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Giuditta Dipinta Lavoro di Maturità: L’altra metà della storia dell’arte Nora Huber Liceo Cantonale Lugano 1 • 2009

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Giuditta DipintaLavoro di Maturità: L’altra metà della storia dell’arte

Nora HuberLiceo Cantonale Lugano 1 • 2009

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! ! ! ! ! ! ! ! ! Pagina

1. Abstract........................................................................................................3

2. Introduzione.................................................................................................4

3. Il Libro di Giuditta......................................................................................5-7

4. Giuditta nel testo biblico.............................................................................8-9

5. Giuditta nell’arte.....................................................................................10-15

6. Artemisia Gentileschi...................................................................................16

! 6.1. La Giuditta di Artemisia..............................................................17-21

7. Lavinia Fontana......................................................................................22-23

! 7.1. La Giuditta di Lavinia................................................................24-26

8. Conclusioni...........................................................................................27-28

Bibliografia...................................................................................................29

Allgato: Documenti Visivi..............................................................................a-p

2

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1. Abstract

Giuditta è un’eroina dell’Antico Testamento, una donna pia che grazie al suo ingegno e al

supporto dalla sua fervente fede in Dio libera il popolo giudeo dall’assedio dell’esercito assiro,

inviato dal re babilonese Nabucodonosor 11 (605 - 562 a.C.). Grazie ad un astuto piano di

seduzione riesce ad infiltrarsi nella tenda di Oloferne e lo decapita, con l’aiuto dell’ancella

Abra. Tornata alla città di Betulia esibisce la testa e sventa la minaccia assira.

Il libro in cui è narrata la storia di Giuditta si trova nell’antico testamento, fa parte del gruppo

dei deuterocanonici ed è stato probabilmente scritto all’epoca di Antioco IV Epifane (167-164

a.C). Giuditta nella Bibbia viene rappresentata come la personificazione di Israele: è una donna

bella, sapiente e povera di spirito. La sua grande virtù, fede e salvezza ne fanno un personaggio

strettamente positivo.

Il tema di Giuditta è sempre stato molto popolare in tutte le forme artistiche. Nel medioevo

l’approccio è epico narrativo, e Giuditta rappresenta un vessillo di virtù. L’approcio

rinascimentale è più allegorico, infatti viene sottolineato il trionfo del bene sul male, della

Chiesa sul demonio, dell’umiltà e della castità sulla lussuria e sull’orgoglio. Diventa un

emblema di virtù stessa.

Con Caravaggio si assiste ad un cambiamento significativo: la rappresentazione si focalizza ora

sull’atto della decapitazione e non sulla vicenda narrativa come nel medioevo e nel

rinascimento. Si assiste quindi a dipinti più drammatici che diventano un’indagine psicologica.

La versione biblica di Giuditta è distorta, si sottolinea il trionfo di Giuditta debole su un

potente Oloferne reso possibile con l’inganno. Giuditta è quindi casta e seducente ma

ingannevole! Come rappresentarlo? La soluzione è l’uso più cosciente dell’ancella Abra, che

assume gli aspetti negativi di Giuditta.

Artemisia Gentileschi, su stampo caravaggista, è una pittrice che rappresenta Giuditta con forte

carica psicoanalitica ed emotiva, a seguito dello stupro subito all’età di 17 anni ad opera di

Agostino Tassi.

Lavinia Fontana, in contrapposizione, dipinge Giuditta per commissioni, e le sue Giuditte

hanno uno stampo più accademico ed epico, come accadeva nel medioevo.

Artemisia Gentileschi, che dipinge per sé, ha dotato le sue quattro Giuditte di una forte carica

psicoanalitica, mentre Lavinia fontana che dipingeva per altri no.

3

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2. Introduzione

Le Giuditte di Artemisia Gentileschi, nello sfogliare un libro di storia dell’arte, mi sono saltate

subito all’occhio, perché guardandole sembra di poter leggere gli appunti di uno

psicoterapeuta che ha ascoltato Artemisia parlare a proposito dello stupro. Ho così cominciato

a cercare altre artiste che avevano dipinto Giuditta ma ho trovato solo un altro genere di

rappresentazione, quella che nel mio lavoro definisco epico narrativa.

Così ho pensato di analizzare due artiste, Artemisia Gentileschi e un’altra artista

rappresentativa per l’altro canone di rappresentazione, Lavinia Fontana, con lo scopo ultimo di

definire il legame tra canone di rappresentazione e artista. Lavinia è infatti molto accademica

nel dipingere, e i suoi quadri non sono intrisi di carica psicoanalitica come quelli di Artemisia.

Ho cominciato con un percorso lineare per studiare il modo in cui era stata dipinta Giuditta

durante i secoli, definendo tre tipi di approccio: quello medioevale, in cui la rappresentazione è

strettamente epica e narrativa e si concentra sui fatti avvenuti prima e dopo la decapitazione,

quello rinascimentale, che si focalizza sulla narrazione come il precedente ma mette a fuoco sui

fatti che avvengono all’interno della tenda di Oloferne e quello chiamato “di cambiamento”,

che si ha con Caravaggio, in cui la rappresentazione si focalizza sul momento cruento e

drammatico in cui la spada trafigge il collo di Oloferne.

Ho quindi analizzato i dipinti di Artemisia e Lavinia collocandoli in uno dei tre tipi di approccio

e, grazie ad un riguardo per la storia personale e le vicissitudini delle due artiste, sono riuscita a

determinare un collegamento tra il loro modo di dipingere e i dipinti: la pittura di Artemisia

risulta carica di retroscena psicoanalitici ed emotivi perché lei dipinge per sé stessa, mentre

Lavinia Fontana non si cala nei panni della sua Giuditta, rimane una distante osservatrice,

asettica, poiché i suoi dipinti sono stati fatti su commissione, dipinti per altri.

L’approccio al tema quindi cambia quando cambiano le situazioni e i sentimenti dell’artista nel

momento in cui ha dipinto l’opera.

4

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3. Il Libro di Giuditta

“L’unica fra tutte le eroine dell’antichità ad “affidare la salvezza della sua città, del suo popolo e l’avvenire del suo Dio esclusivamente alla propria bellezza” Mario Brelich1

Questo primo capitolo è significativo per l’analisi del mito dipinto di Giuditta poiché ci

permette di conoscere i fondamenti storici e biblici del personaggio. Una doverosa digressione

è quindi da farsi riguardo al Libro di Giuditta, testo che fa parte dell’Antico Testamento, in cui

appare per la prima volta la figura di Giuditta. L’obiettivo è quello di evidenziare il modo in cui

la Bibbia definisce la figura di Giuditta.

Giuditta è per prima cosa un’eroina dell’Antico Testamento2, testo che, insieme al Nuovo

testamento e ai Salmi, costituisce la bibbia cristiana.

1. Contenuto e struttura dell’opera

La storia di Giuditta ò quella di una donna ebrea dotata di imperturbabile fede in Dio. Grazie

non solo alla sua bellezza, come comunemente si crede, ma soprattutto alla sua intelligenza

libera la sua città, Betulia, e il suo popolo, gli israeliani, dall’assedio del potente esercito assiro

che il re Nabucodonosor aveva spedito sotto la guida del suo generale Oloferne.

Il racconto inizia introducendo i personaggi principali, sia assiri che giudei. Nei capp. 8 - 13 vi

è la narrazione della storia vera e propria di Giuditta, dello stratagemma che riesce a realizzare

per uccidere Oloferne. Nella terza parte viene narrata la sconfitta degli assiri e la loro fuga,

infine nonché la vittoria degli israeliani.

La storia che si legge nel libro di Giuditta ha una struttura complessa3. Il generale assiro

Oloferne, dopo aver raso al suolo l’intera Giudea, da Ninevah a Gerusalemme, assedia la città di

Betulia. Gli abitanti sono sul punto di arrendersi, quando Giuditta, una vedova, si propone per

salvare la nazione. Senza spiegare a nessuno il suo piano si dirige, indossando i suoi abiti

migliori, con la sua ancella Abra all’accampamento dei nemici. Dopo aver sedotto le guardie,

incantate dalla sua bellezza, chiede di poter incontrare il generale Oloferne per offrirgli i suoi

5

1 Brelich, Mario, 2002, Giuditta, ed. Adelphi, Milano, copertina.

2 Ci è pervenuto in versione greca datata all’incirca verso la fine II secolo a.C.

È composto da 16 capitoli che descrivono la vicenda di Giuditta al tempo di Nabucodonosor (605-562 a.C.), re

degli Assiri.

3 Un’analisi del testo si trova in Dubarle, André M., 1966, Judith: Forme et Sense des Diverses Traditions, Institut

Biblique pontifical, Roma.

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servigi. Dinnanzi al generale gli spiega che gli Israeliti non possono essere sconfitti senza

peccare dinnanzi al loro Dio, confermando ciò che il comandante Achior aveva detto a

Oloferne. Ma, aggiunge Giuditta, il suo popolo è sul punto di commettere il peccato fatale,

poiché presi dalla disperazione stanno per consumare vino e cibo consacrato. Di conseguenza

Giuditta consiglia a Oloferne di mantenere l’assedio alla città di Betulia, senza sprecare forze in

un attacco teso a conquistare la città. Dopo quattro giorni di permanenza nell’accampamento,

Oloferne invita Giuditta a mangiare e bere con lui. Indossando i suoi abiti più pregiati e i suoi

gioielli più costosi va nella sua tenda e cena con il generale. Durante il pasto Oloferne comincia

a desiderarla ma, a causa degli effetti del vino “che non aveva mai bevuto fin dal giorno della sua

nascita” (Giuditta 12;20), cade addormentato. Giuditta dice ad Abra di stare di guardia fuori

dalla sua tenda e di aspettarla. Sola con Oloferne, prende la sua scimitarra e decapita il

generale. Dopodiché esce dalla tenda, dice ad Abra di nascondere la testa di Oloferne nel

paniere e torna a Betulia. Al suo ritorno è ben accolta dai suoi concittadini, a cui presenta la

testa di Oloferne, suggerendo loro di appenderla ai bastioni esterni della città come trofeo. Gli

Assiri, confusi e spaventati dall’uccisione del loro generale da parte di Giuditta, scappano e si

disperdono. Giuditta viene onorata e rimane famosa - e nubile, nonostante le molteplici

proposte di matrimonio - fino alla sua morte all’età di centocinque anni.

2. Datazione

Secondo l’opinione più diffusa tra gli esperi in campo biblico4, il libro di Giuditta è stato scritto

all’epoca della persecuzione di Antioco IV Epifane5 ( 167 - 164 a.C. ) e all’epoca della rivolta

maccabea6. Il contesto storico del Libro dei Maccabei ha importanti legami stilistici e

contenutistici con il Libro di Giuditta. Nabucodonosor e Oloferne personificano il tiranno

Antioco IV7. Giuditta, invece è simbolo della comunità giudaica.

6

4 P.J. Achtemeiere, Dizionario della Bibbia, Zanichelli, voce: Giuditta.

5 Sovrano del regno Seleucide. Il suo nome originale era Mitridate, prese il nome di Antioco dopo l’ascesa al trono,

succedendo al fratello maggiore. Era figlio del re seleucide Antioco III il Grande.

6 Il momento in cui i tradizionalisti siriani cercarono di rovesciare il capo Siriano Antioco IV Epifane, che voleva

ellenizzare la Giudea.

7 P.J. Achtemeiere, Dizionario della Bibbia, Zanichelli, voce: Giuditta.

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Un altro libro di teologia alla voce “Giuditta”8 ricondurrebbe il testo a un Giudeo palestinese,

la cui produzione letteraria si colloca verso la fine del regno di Giovanni Ircano I9 ( 135 - 104

a.C. ) o all’inizio di quello di Alessandro Ianneo10 ( 103 - 78 a.C. ), quando cioè la Samaria (dove

è situata Betulia11) fu ridotta sotto il controllo effettivo di Gerusalemme.

Sono favorevoli a datare lo scritto attorno al 160 a.C., come pure alcuni termini greci tipici

dell’epoca seleucide (200 - 142 a.C. ) impiegati dall’autore e largamente distribuiti nel Libro.

Il testo sembra essere stato scritto in un momento di grandi tensioni politiche, e quindi

Giuditta potrebbe essere stata utilizzata come exemplum di virtù da seguire, come modello di

buona condotta in un’epoca di persecuzioni. Un’altra funzione dell’opera è certamente quella

di dare conforto con una vicenda nella quale Israele (personificato da Giuditta), anche se più

debole di fronte ad un potente oppressore, trionfa grazie alla sua incrollabile fede in Dio.

3. Genere Letterario

Abbiamo a che fare con un romanzo storico-teologico, in altre parole una storia raccontata per

insegnare una morale. Certamente possiamo ritenere che il Libro di Giuditta sia un racconto.

Le denominazioni utilizzate nel racconto hanno dei significati, per esempio Betulia (bet ‘

oeloah) significa “Casa di Dio”, in pratica Gerusalemme . Il racconto suggerisce che di fronte

ad ogni forma di aggressione, la vera forza, l’autentica “spada” di Israele ( cfr. 2 Mac 15, 15 -

1612 ) è la sua incrollabile fede in Dio.13

7

8 Cyclopædia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature, John McClintock e James Strong, Baker Book

House Co, 1887.

9 Fu un sovrano della famiglia degli Asmonei, i tradizionalisti assiri che svilupparono la rivolta maccabea contro

Antioco IV Epifane.

10 Alexander Iannaeus fu re dei Giudei e Sommo Sacerdote

11 Ora Gerusalemme

12 “Jeremiah allungò la mano e diede a Giuda una spada d’oro, dicendogli: prendi questa spada sacra, un dono di

Dio, con la quale decapiterai i tuoi avversari”

13 P.J. Achtemeiere, Dizionario della Bibbia, Zanichelli, voce: Giuditta.

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4. Giuditta nel testo biblico

Nell’enciclopedia biblica di Achtemeiere14 Giuditta viene caratterizzata attraverso tre attributi

principali, che definiscono il carattere del personaggio: donna bella, donna sapiente e donna

povera nello spirito. Li ho riportati con le relative spiegazioni perché li trovo molto utili alla

comprensione della figura di Giuditta. Infatti per la nostra discussione più avanti è utile tenere

in considerazione il modo in cui Giuditta è stata dipinta con il passare dei secoli, e come la sua

figura primaria sia stata in parte distorta.

1. Origine

Giuditta significa “donna giudea”. Si potrebbe pensare che quindi Giuditta sta per la

“comunità ebraica”. In effetti le qualità e le caratteristiche attribuite a Giuditta, sono attribuite

a tutto il popolo ebreo. All’epoca, durante la metà del secolo II a. C., la Palestina era teatro di

tensioni militari e sociali a seguito della rivolta dei Maccabei.

2. Donna Bella

Naturalmente è la bellezza di Giuditta è centrale nel racconto. Nel testo viene del resto

sottolineata ripetutamente “era bella di aspetto e molto avvenente nella persona” (Giuditta,

8,7). Per una dozzina di volte il suo fascino e la sua avvenenza sono al centro dell’attenzione

(Giuditta, 10,4.7.8.14.19.23; 11,21.23; 12,13.20; 16,6.9) ed è la sua bellezza ad affascinare Ozia,

Cabri e Carmi, i capi di Betulia (Giuditta, 10,4). Del suo fascino, fatto come detto non solo di

bellezza esteriore, ma anche di dolcezza, intelligenza e astuzia, si serve per irretire e poi

uccidere Oloferne.

3. Donna Sapiente

La “Sapienza” in origine è il pensiero di dio stesso, il suo progetto, il suo disegno, la sua

volontà.15 Giuditta è una donna che sa, che conosce e osserva strettamente tutte le tradizioni

ebraiche. Ha appreso a memoria la storia dei Padri d’Israele e, soprattutto, è capace di farne suo

l’insegnamento. Giuditta è certamente devota a Dio, la sua fede è molto salda e la guida nelle

sue azioni. Non solo, ma è nel nome di Dio che immagina, pianifica l’omicidio che salverà

Israele dalla tirannia. Non agisce, come erroneamente si pensa, perché animata dalla ribellione

o protesta o spirito femminista, ma si ritiene spinta dal dovere verso Dio e verso il suo popolo.

8

14 P.J. Achtemeiere, Dizionario della Bibbia, Zanichelli.

15 P.J. Achtemeiere, Dizionario della Bibbia, Zanichelli. Voce: Giuditta.

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4. Donna Povera nello Spirito

Come detto, Giuditta crede fervidamente e osserva le leggi ebraiche, si rivolge a Dio

frequentemente pregandolo.16

Da questa sua fede in Dio Giuditta trae forza e ispirazione. Si può dire che seguire la Tora per

lei non è un fardello, uno sforzo, ma è proprio mettendo in pratica gli insegnamenti della Tora

che trova la via da seguire giorno per giorno.

Giuditta vive sola, è vedova e il suo servire fedelmente il Signore è per lei anche di grande

conforto. osservare le leggi di Dio significa per lei sapere cosa fare, essere guidata nelle scelte.

In questo senso la via verso la salvezza del suo popolo è suggerita dalle leggi religiose e dalla

fede.

Una visione, quella che si evince dalla lettura del Libro di Giuditta, che appare incentrata sulla

virtù, sulla fede e sulla salvezza per il popolo ebraico, e che non sembra lasciar spazio ad

interpretazioni negative riguardo al personaggio di Giuditta: il personaggio appare quindi

buono. Questa concezione biblica virtuosa non è stata sempre adottata; come si vedrà nel

capitolo che segue alcune rappresentazioni pittoriche di Giuditta si distanziano dalla

concezione originaria del personaggio, quella di virtuoso vessillo di Dio.

9

16 Giuditta, 8,4-7

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5. Giuditta nell’arte

Il tema di Giuditta che uccide Oloferne è tra i temi maggiormente raffigurati nella storia

dell’arte. E per arte non intendo qui solo la pittura. Penso anche ai racconti e ai poemi, alle

sculture, affreschi dell’epoca tardo-medievale e inizio rinascimento. Il tema è stato oggetto

anche di drammi teatrali nel sedicesimo e diciassettesimo secolo. Lo si ritrova ancora nella

poesia e nei romanzi degli ultimi due secoli. La sua storia è stata recitata da Arnold Bennett17 e

Jean Girardoux18 e in un’opera di Arthur Honegger19.

Certo si tratta di una storia avvincente, dalle molte sfaccettature, che per la sua drammaticità si

presta ad essere raffigurata nella pittura ma anche narrata. I punti cruciali della vicenda sono

senz’altro quelli anche maggiormente dipinti: il ritorno di Giuditta da Betulia (Fig.6) o nella

tenda mentre o subito dopo aver decapitato Oloferne (Fig.1).

Ma quello che fa di Giuditta un personaggio interessante, non sono solo le sue gesta eroiche,

perché in fondo di eroi maschili che hanno compiuto gesti memorabili per salvare il loro popolo

ve ne sono parecchi. Quello che rende tutto ancor maggiormente interessante è che il suo

gesto con il tempo è stato svalutato, a almeno non valorizzato al pari di altre gesta eroiche.

Come se, per il fatto di essere compiuto da una donna, non avesse lo stesso valore. Ha sofferto

sin dall’inizio per la sua posizione nella Bibbia, scontrandosi con la patriarcale tradizione del

Vecchio Testamento, che ha sempre lasciato in ruolo marginale la storia della sua eroina

femminile. Giuditta è comunque l’unica eroe donna nella storia di Israele. Le storie dei profeti

maschi sono diventate canonici testi ebraici, mentre il libro di Giuditta non è considerato con la

stessa importanza20, infatti come già detto sopra, il libro non fa parte del canone ebraico.

Durante il medioevo la storia di Giuditta viene narrata - nella Bibbia di Carlo il Baldo21 della

seconda metà del IX secolo - partendo dalla sua uscita da Betulia fino al suo ritorno a casa, con

un approccio epico-narrativo. Questa Bibbia contiene anche una delle prime illustrazioni del

Libro di Giuditta. Nei dipinti medioevali - p.es. un affresco del VIII secolo in S. Maria Antiqua22

10

17 Enoch Arnold Bennett (27.05.1867 – 27.03.1931), scrittore e drammaturgo inglese

18 Jean Giraudoux (Bellac, 29.10.1882 – Parigi, 31.01.1944), scrittore e commediografo francese.

19 Arthur Honegger (10.031892 - 27.11.1955), compositore svizzero. Ha composto Judith, dramma biblico in 3 Atti

(Mézières, 11/6/1925)

20 Questo è in parte dovuto alla tradizione patriarcale di quell’epoca

21 Florentine Mütherich e Joachim E. Gaehde, Carolingian Painting (New York: Braziller, 1976), numero 19.

22 Chiesa di Santa Maria Antiqua, Roma, Italia.

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e un bassorilievo del XII secolo a Vézelay23 - Giuditta viene raffigurata nel momento topico in

cui tiene in mano la testa di Oloferne. Durante questo periodo sembra che l’accento venisse

messo sul gesto eroico, commesso grazie all’appoggio divino, quindi i dipinti e i testi parlano

della liberazione di un popolo aiutato dalla sua sua fede in Dio. Giuditta trionfa - e con lei gli

ebrei - perché si affida all’aiuto di Dio. L’eroina è uno strumento divino e in tal senso le sue

gesta, la sua bellezza, la sua astuzia non hanno nulla di sospetto in quanto strumento di Dio.

L’approcio narrativo continua nell’arte rinascimentale, ma il punto di vista e la focalizzazione

cambiano da “epica-narrativa” a una messa a fuoco sull’evento principale, la decapitazione di

Oloferne e la deposizione della sua testa nella borsa dell’ancella Abra. Diverse versioni del tema

sono state fatte dal Mantegna (fig.1), come anche la versione di Giuditta della Cappella Sistina

di Michelangelo (fig.2).

Giuditta è un personaggio dell’antico testamento, il suo popolo è il popolo ebraico, ma

nondimeno esprime il trionfo e le possibilità, la forza della fede cristiana, per esempio nella

statuetta del Ghiberti24. Come Jael25, Esther26 e altri personaggi femminili biblici, Giuditta è

una Vergine. Per S. Bonaventura27 Giuditta è una Vergine che vince sul diavolo e gli strappa la

testa. Dichiarandola Vergine la Chiesa ne fa un personaggio da venerare anche per la sua

castità. Forse in quel periodo storico non era concepibile venerare una donna sia pur una

eroina per le sue gesta, per la sua bravura, per il suo coraggio. Occorreva che fosse anche al

riparo dal desiderio e dalle passioni umane, in questo caso femminili. Il gruppo dei bronzi di

Donatello in Piazza Signoria (fig.3), Firenze, rappresenta bene questo concetto di persona al di

sopra delle passioni umane, Giuditta sta sopra un Oloferne ubriaco, proprio come il divino che

vince sul demonio.

Nell’arte rinascimentale Giuditta diventa la personificazione della virtù. Come nel caso della

Giuditta di Giorgione (Fig.4), del 1500-1504 circa dell’Hermitage, dove l’eroina è in posizione

eretta con i piedi sulla testa di Oloferne, proprio come nelle immagini in cui la Vergine tiene un

piede sul serpente, che personifica il demonio. Qui Giuditta appare come una donna virtuosa,

11

23 La Basilica di Vézelay (chiamata anche Abbazia di Vézelay) è un monastero benedettino che si trova in Francia, a

Vézelay, in Borgogna.

24 Lorenzo Ghiberti (Firenze, 1378 - 1455) è stato uno scultore, pittore e orafo italiano.

25 Jael è un’altra eroina biblica che uccise il capitano Sisera di Canaan

26 Il Libro di Ester narra le vicende di Ester. È un libro contenuto nella Bibbia sia cristiana che ebraica.

27 San Bonaventura da Bagnoregio al secolo Giovanni Fidanza (Bagnoregio, 1218 circa – Lione, 1274) è stato un

religioso, filosofo e teologo italiano, amico anche di san Tommaso d’Aquino. Venne soprannominato Doctor

Seraphicus. Johannis de Caulibus, Meditaciones vite Christi, olim S. Bonaventuro attribuitae, cura et studio M.

Stallings-Taney, Turnhout, Belgique 1977.

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con in mano una spada (simbolo di nobiltà d’animo e di virtù). Il centro focale del dipinto,

nonostante lo sfondo elaborato, rimane però la testa decapitata di Oloferne: lo sguardo, la

spada, e la gamba evidenziata dal taglio nel vestito conducono lo sguardo verso la testa mozzata,

sottolineando l’elemento importante del dipinto. Questo elemento si trova però nella parte

inferiore del dipinto, artificio utilizzato per creare una superiorità di Giuditta rispetto ad

Oloferne: allegoricamente la superiorità della virtù (Giuditta) sul male (Oloferne).

Nei secoli seguenti Giuditta resta l’emblema della virtuosità, addirittura del suo mito si fanno

forti i cattolici alle prese con la riforma protestante. Qui la vittoria di Giuditta su Oloferne

diventa metafora della vittoria della Chiesa cattolica sui protestanti. 28

Fino alla fine del sedicesimo secolo si può dire che quello che prevale è l’aspetto eroico della

storia di Giuditta. Per dirla anche in altre parole Giuditta viene utilizzata per indicare la

possibilità di ribellione al male, purché l’azione sia sorretta dalla forza divina e dalla fede.

Ma proprio la pittura ci dà il segnale di un cambiamento. Nel dipinto di Botticelli (fig. 6

1470-72) Giuditta sta tornando a Betulia, ha in mano la spada ma è la sua serva a portare la testa

di Oloferne. L’eroina appare dolce, gentile e molto, molto femminile.29 Nel quadro di

Giorgione (fig.4, 1500-1504) Giuditta ha in mano la spada, schiaccia la testa di Oloferne, ma il

suo sguardo è da eroina sopra le parti, virtuosa e serena. Non sembra una persona che ha

appena commesso un omicidio, per giustificato che fosse. Nel dipinto di Caravaggio (fig.5,

1598-99) invece la scena cambia: l’attenzione è focalizzata sul ciò che accade nella tenda.

Giuditta ha un’aria determinata, della donna devota non c’è traccia, il suo sguardo è fisso su

quanto sta facendo. Lo sguardo non è evanescente, ma concentrato, non crudele ma

determinato. Lo stesso vale per la serva che regge un telo, pronta probabilmente a raccogliere

la testa decapitata di Oloferne. La scena non è all’esterno, come nei quadri precedenti per

esempio di Giorgione, tutto so svolge sotto la tenda e i toni sono cuoi, è scuro e il colore della

tenda - rosso cupo - contribuisce a rendere la scena molto drammatica. Caravaggio mette in

scena un omicidio e tutto fa capire che il momento è drammatico. Il sangue di Oloferne

zampilla dal suo collo. I personaggi sono molto umani e Giuditta non nasconde il suo coraggio

inteso anche come efferatezza. Anche se il su gesto nel contesto della narrazione continua ad

essere giustificato dal fatto che Oloferne è un tiranno, lei sembra perdere l’innocenza che la

caratterizzava. Fa la cosa giusta, ma deve “sporcarsi le mani” come diremmo al giorno d’oggi.

Viene raffigurata in modo molto femminile, ma non assomiglia all’immagine della Vergine.

12

28 Mary D. Garrard, 1989, Artemisia Gentileschi, the image of female hero in Italian baroque art, Princeton.

29 Per un’analisi più dettagliata si veda più avanti

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Ma del resto già attraverso i secoli il gesto di Giuditta è stato interpretato in modo ambivalente.

Certo la Bibbia lo presenta come un gesto chiaramente eroico e giusto ma il modo in cui

Giuditta ha la meglio su Oloferne presuppone anche l’astuzia o per meglio dire l’inganno. Per

un certo verso l’astuzia e la seduzione sono proprio le armi con cui gli uomini possono essere

ingannati dalle donne. Tutti gli uomini non solo i tiranni che meritano la morte. Per questo la

figura di Giuditta non lascia indifferenti gli uomini30.

La Giuditta raffigurata da Botticelli incarna la dolcezza, appare come una donna bionda, che

secondo gli ideali dello Stilnovo rappresentava la donna-angelo, vestita di abiti celesti (e

celestiali si può aggiungere), che tiene nella mano sinistra un ulivo (simbolo di pace e giustizia)

e nella mano destra una spada (simbolo di nobiltà). La testa di Oloferne è lontana da Giuditta,

non la corrompe con la sua parte negativa, ed è pure avvolta in un panno bianco che la nasconde

in parte (dissimula e purifica quindi il lato bestiale dell’atto commesso). La buona Giuditta

appare nell’arte del XVI e XVII secolo, da Veronese (fig.7) a Elisabetta Sirani (fig.8). In

Veronese Giuditta è sempre bionda, vestita in modo regale, adorna di gioielli. Tiene la testa di

Oloferne lontano dal corpo, quasi a voler prendere le distanze dalla parte malvagia e demoniaca

che rappresenta la testa di Oloferne. La testa infatti è nell’ombra, in un angolo, e quindi

l’importanza viene data dalla figura di Giuditta, illuminata da una luce quasi divina. Questo

procedimento è lo stesso utilizzato da Giorgione e da Botticelli. La Giuditta di Elisabetta è

anch’essa vestita con abiti regali, occupa una posizione di importanza e maestosità al centro del

dipinto. La testa è visibile in parte (come nel quadro di Botticelli) perché dissimulata dalla stoffa

bianca quasi splendente della borsa in cui viene adagiata. Anche in questo caso la borsa assume

il valore di purificare la crudeltà dell’atto della decapitazione mettendo in luce i pregi di

Giuditta.

Questa é una Giuditta che non ha zone d’ombra, una eroina capace di rendere puro anche un

gesto efferato come un omicidio. Mentre è Oloferne ad essere raffigurato quasi come

mostruoso. Ma non ci sono umani senza ombra, e neppure gli eroi sembrano sfuggire a questa

regola. Nel corso della storia Giuditta perde l’aurea di innocenza e altre caratteristiche vengono

messe in risalto. Alla purezza si contrappone l’astuzia, alla raffinatezza si contrappone la

brutalità.

E così a Firenze nel 1504 si discute se non rimpiazzare la Giuditta di Donatello (fig. 3) del 1453

posta di fronte al Palazzo Vecchio con il Davide di Michelangelo. A questo proposito Francesco

di Lorenzo Filarete afferma:

13

30 Il dialogo tra Giuditta è Oloferne è molto ambiguo, per esempio lei gli dice che è stata scelta da Dio per postare

a termine la sua missione, che Oloferne capisce come la propria, la presa di Betulia.

Page 14: Giudittasoloparole - LAM1

“la Giuditta è un presagio del demonio, e non va bene che quella statua stia lì,

anche se abbiamo la croce e i gigli come nostro emblema. Inoltre, non è

appropriato che una donna uccida un uomo; e, soprattutto, questa statua fu

eretta sotto una stella demoniaca, dato che siamo andati continuamente di

male in peggio da quando è lì.”

Interessante l’affermazione che la statua di Giuditta portasse sfortuna, perché altre statue

proprio sulla stessa piazza - Perseus di Cellini che decapita Medusa (fig.9) e il rapimento della

Sabina di Giambologna31 (fig.10) vengono ritenute “demoniache”. Forse perché non é una

donna a commettere il gesto violento contro un uomo ma il contrario.

Molte altre interpretazioni artistiche di Giuditta mostrano chiaramente l’aspetto di pericolosità

di una donna che inganna e aggredisce un uomo. Una di queste é il racconto del Mercante di

Chaucer - nei racconti di Canterbury32.

Molto intrigante è la Giuditta di Baldung Grien (fig.12): in questo dipinto Giuditta é si casta e

apparentemente serena, ma alcuni dettagli tradiscono una certa inquietudine, per esempio le

gambe incrociate, contorte quasi. Come contorte potrebbero essere le intenzioni di una donna

che prima seduce e poi aggredisce. Giuditta é molto bella in questo dipinto e quindi

potenzialmente molto pericolosa per un uomo, certamente per Oloferne di cui brandisce la

testa.

Interessante è anche la figura della serva o ancella, Abra. Anche la sua raffigurazione cambia

attraverso i vari dipinti. Da donna anziana che aiuta Giuditta a portare la testa di Oloferne

(Botticelli) diventa un personaggio diabolico, dalla faccia non solo cattiva ma distorta come nel

quadro di Correggio a Strasburgo (fig.13) del 1513. Nello stesso quadro invece Giuditta è invece

raffigurata gentilmente. Si potrebbe dire che Abra prende su di sé il ruolo demoniaco, per far si

che Giuditta possa restare senza colpa. In questo senso Abra e Giuditta potrebbero

rappresentano le due facce della stessa persona.33 34

Questa è la strada percorsa dall’eroina Giuditta nel corso dei secoli, un percorso non lineare,

molto complesso fino alle Giuditte di Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi. Le due pittrici si

14

31 Le statue furono inserita nella Loggia della Signoria, nota anche come Loggia dei Lanzi.

32 Il racconto del Mercante è la decima novella dei Canterbury Tales, opera di Geoffrey Chaucer. In questa novella

è sottolineato il ruolo ingannevole e mistificatore della donna.

33 Ad esempio nel dipinto di Correggio, Giuditta, 1512-14, Olio su tela, Strasburgo, Musée des Beaux-Arts,

Francia.

34 Mary D. Garrard, 1989, Artemisia Gentileschi, the image of female hero in Italian baroque art, Princeton.

Page 15: Giudittasoloparole - LAM1

trovano quindi a dover riproporre un soggetto trattato in molti modi rispettando - come nel

caso di Lavinia Fontana - o distaccandosi completamente dalla tradizione precedente - come nel

caso di Artemisia Gentileschi.

15

Page 16: Giudittasoloparole - LAM1

6. Artemisia Gentileschi

Nata a Roma l’8 luglio 1593, Artemisia Gentileschi fu la prima figlia del pittore Orazio

Gentileschi, un caravaggista. È considerata una delle migliori pittrici del suo tempo e fu la

prima donna artista che entrò a far parte nel 1616 dell’Accademia di Arte del Disegno a Firenze.

Artemisia crebbe a stretto contatto con lo studio del padre e mostrò presto uno straordinario

talento per la pittura, a differenza dei suoi fratelli. Artemisia nacque in un’era in cui la pittura

era strettamente di dominio maschile, ma fortunatamente ebbe un padre che riconobbe il suo

talento e la incoraggiò a dipingere. Il suo stile, come quello del padre, è di stampo

caravaggista35, anche se nei suoi dipinti la sua impronta personale è molto marcata. Nel 1612 le

fu negato il permesso di entrare a fare parte di un’accademia di pittura poiché era una donna.

Malgrado questo, continuò i suoi studi privatamente sotto il tutorato del maestro Agostino

Tassi, amico e collega del padre. All’età di quindici anni venne stuprata da Tassi, che le propose

poi di sposarla ma non mantenne la sua intenzione. Il padre, Orazio (fig.13), intentò quindi una

causa contro il collega per lo stupro della figlia. Il processo durò quasi sette mesi e fu molto

duro psicologicamente per Artemisia, che venne sottoposta a diversi interrogatori anche sotto

tortura. Tassi fu però ritenuto colpevole, anche grazie ad un alto tasso di condanne che già

gravavano su di lui, e fu imprigionato per un anno36. In seguito al processo la produzione di

Artemisia prese una piega violenta e oscura37. Molti dei suoi lavori possono essere interpretati

come un’espressione di vendetta e rabbia. Un mese dopo il processo il padre le arrangiò un

matrimonio con Pierantonio Stiattesi, un artista fiorentino poco noto, per restituirle l’onore. A

Firenze ebbe molto successo38 come artista e collezionò una cerchia di amici artisti elitari,

come per esempio il nipote di Michelangelo. Alla fine, a causa di alcune difficoltà finanziarie,

ritornò a Roma nel 1621, accompagnata dalle sue due figlie. Più tardi visse e dipinse a Napoli,

dove morì nel 1653.

16

35 Longhi, Roberto, 1916, Gentileschi padre e figlia, in "L'Arte"

36 Eva Menzio (a cura di), Artemisia Gentileschi, Lettere precedute da Atti di un processo di stupro, Abscondita,

Milano 2004

37 Si veda per esempio il dipinto Giuditta che decapita Oloferne, ca. 1612-13. Museo di Capodiponte, Napoli.

38 Si veda il il periodo fiorentino (1614-1620), http://it.wikipedia.org/wiki/

Artemisia_Gentileschi#Il_periodo_fiorentino_.281614-1620.29

Page 17: Giudittasoloparole - LAM1

1. La Giuditta di Artemisia

La storia di Artemisia - ma vale per ogni artista - é importante per capire i suoi lavori. Le sue

quattro Giuditte sono molto diverse da tutto quanto era stato dipinto in precedenza. La sua

Giuditta - nella versione di palazzo Pitti (fig. 16), quelle simili di Napoli (fig. 15) e degli Uffizi

(fig. 17), e la versione di Detroit (fig. 18) - non é un personaggio che emana serenità e

tranquillità, una eroina ispirata dal divino, incarnazione solo del bene. La sua Giuditta è una

donna che compie un gesto eroico certamente, ma intanto che lo compie non può essere vista

solo come esempio di virtuosità. Certamente - come già detto per la Giuditta di Caravaggio -

non è innocente. Lo potrà essere considerata a posteriori, ma mentre taglia la gola a Oloferne é

presente con tutta se stessa. Non vi è neppure ambiguità, l’intenzione è chiara, il gesto deciso e

soprattutto viene raffigurata intanto che lo sta commettendo. Non vi é ambiguità neppure tra lei

e l’ancella. Non vi è la divisione dei ruoli, da una parte Giuditta la buona e dall’altra Abra ad

impersonare la cattiva. Entrambe agiscono assieme. Nel dipinto esposto a Napoli Abra tiene

fermo con forza il torace di Oloferne mentre Giuditta affonda la spada nella sua gola. Anche lei

tiene ferma la testa di Oloferne, tenendolo per i capelli. Entrambe hanno - letteralmente - le

mani sporche di sangue. Non vi è innocenza. Abra aiuta Giuditta ma quest’ultima è pienamente

coinvolta, differentemente da come appare nei dipinti di come osserviamo nei dipinti di

Botticelli e Correggio.

Giuditta è molto attraente in tutti i dipinti di Artemisia, ma non è lì per essere ammirata, né lei -

differenza del Davide di Michelangelo sua controparte biblica - è in contemplazione 39.

Tra tutti i dipinti sembra che la tela custodita a Napoli, resa famosa dalla sua gemella degli

Uffizi, potrebbe essere la prima versione: infatti radiografato ai raggi X ha evidenziato un

disegno leggermente differente sotto la sua superficie40. Questa versione potrebbe essere stata

dipinta attorno al 1612, verosimilmente dopo il traumatico evento del 1612. Seguono le altre

versioni: Giuditta con l’ancella del 1613, quella custodita agli Uffizi del 1620, mentre quella di

Detroit potrebbe essere datata di 5 anni dopo.

Nella discussione che segue prenderemo in considerazione le due versioni gemelle di Giuditta,

quella di Napoli e quella degli Uffizi. Il motivo della mia scelta è da ricondursi al fatto di voler

trovare un legame tra il modo di dipingere di Artemisia e la sua storia, il perché dipinge. Ho

quindi scelto il dipinto che lei ha eseguito dopo poco tempo lo stupro, carico quindi di

17

39 Si veda per approfondire la Fig.11 o Fig.14 in contrasto con le Giuditte di Artemisia: il David è statico e

contemplativo.

40 Mary D. Garrard, 1989, Artemisia Gentileschi, the image of female hero in Italian baroque art, Princeton

University Press, Princeton.

Page 18: Giudittasoloparole - LAM1

emozioni, e lo stesso dipinto eseguito qualche anno più tardi, per sottolineare il ruolo che

l’esperienza della violenza subita ha avuto su Artemisia e sulla sua produzione artistica. Una

violenza probabilmente rivissuta in modo traumatico anche nel corso del processo se è vero che

gli interrogatori della vittima all’epoca la esponevano ad un trattamento non migliore di quello

dell’accusato. Un trauma profondo, mitigato forse dal fatto che a differenza di tanti altri casi

analoghi, il padre si fosse schierato dalla sua parte e avesse accusato l’autore del misfatto.

Il padre lavorava da caravaggista e non può sfuggire che La Giuditta che decapita Oloferne di

Napoli in qualche modo ha ispirato la Gentileschi41. Ma certamente si può affermare che

Artemiasia non si fermata all’ispirazione, è andata molto al di là. La sua tela è

impressionantemente matura, espressivamente molto forte. Il dipinto di Artemisia

sembrerebbe anche molto simile ad un dipinto ormai perduto di Rubens, chiamato “La

Grandiosa Giuditta”, la cui composizione è preservata in un’incisione di Cornelius Galle I

datata al 1610 (fig.19). Benché molto diversa, in quest’ultima opera per esempio la posizione

delle braccia tra loro parallele e perpendicolari al corpo di Oloferne, richiama la scelta fatta da

Artemisia.

A quanto pare esami tecnici hanno rivelato che la parte sinistra del quadro è stata tagliata,

quindi potrebbe essersi persa una parte - il corpo di Oloferne - che farebbe assomigliare ancora

di più la versione di Napoli a quella degli Uffizi.42

Certo é che ogni dettaglio del quadro (fig.15) mostra chiaramente la forza e il coraggio di

Giuditta. La drammaticità del momento è ridata dai contrasti di colore anche delle vesti delle

due donne: il blu acceso del vestito di Giuditta e il rosso porpora della veste dell’ancella

chiamano l’attenzione verso il centro del quadro: la lama della spada che taglia la testa di

Oloferne. Anche la direzione delle braccia delle due donne sembrano condurre l’attenzione

verso il centro focale del dipinto. In altri dipinti precedenti l’attenzione era posta sulle

conseguenze dell’uccisione. La testa decapitata simboleggiava la liberazione del popolo

ebraico. Ma qui è diverso: Artemisia vuole farci vedere anche la sofferenza di Oloferne, non

vuole lasciare nulla alla fantasia, vuole che sia ben chiaro che è proprio Giuditta a giustiziare il

tiranno. E l’immagine è davvero raccapricciante, il sangue di Oloferne cola copiosamente sulle

lenzuola. La vittima viene mostrata mentre probabilmente è ancora viva. Ben diversa dalla

Giuditta di Botticelli che cammina serena con in mano l’ulivo, simbolo di pace.

18

41 Caravaggio, Giuditta che taglia la testa a Oloferne (1597-1600) olio su tela cm. 145x195, Roma, Galleria

Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini.

42 Roberto Longhi, Gentileschi padre e figlia, in "L'Arte", 1916

Page 19: Giudittasoloparole - LAM1

Anche la figura di Abra è diversa da tutti gli altri autori: vediamo una giovane donna, attraente

intenta ad aiutare la sua padrona. Sta in piedi accanto a lei e tiene fermo l’uomo. Il suo aspetto è

piacevole, la sua veste bella. In realtà non sembra una ancella, almeno non così come era stata

raffigurata in passato. Non solo, come detto, non incarna il male, ma prende parte all’azione

tanto quanto Giuditta. Si capisce che la donna sulla sinistra è Giuditta di fatto solo perchè

impugna la spada. Altrimenti poche cose le distinguono. I loro visi esprimono gli stessi

sentimenti: concentrazione, determinazione e coraggio.

Certo rispetto al dipinto di Caravaggio, qui tutto è maggiormente reale. Il modo in cui Giuditta

decapita la vittima in Caravaggio è improbabile, a meno che Oloferne fosse così narcotizzato

dall’alcol da non muoversi proprio. In quel dipinto Giuditta tiene la spada in un modo che

difficilmente le premetterebbe di tagliare una testa. La tiene appunto come qualcuno che non

vuole sporcarsi l’abito. Ma un gesto come quello compiuto da Giuditta, anche se è giustificato,

sporca l’abito. In questo senso è molto interessante come Artemisia abbia capito che la

divisione tra vittima e carnefice non è così netta e che purtroppo il gesto violento (di uno

stupratore) lascia un profondo segno nella vittima. La vittima perde la propria innocenza, di

fronte a se stessa e al mondo. Ma come sembra indicare il dipinto, dove vediamo Giuditta che

non ha paura ad andare vicino al tiranno, è proprio questa capacità di sporcarsi che le permette

di togliere di mezzo il tiranno. Tra l’altro vi è a questo riguardo una certa evoluzione nei due

dipinti, quello del 1612 e quello degli Uffizi: nel primo il sangue sgorga dalla ferita e cola sulle

lenzuola. Ma nel secondo dipinto il sangue schizza fuori verso l’alto, raggiunge verosimilmente

e macchia molto di più la veste di Giuditta. Dal quadro traspare in ogni caso una notevole

rabbia, nessuna pietà per l’uomo. Sembra esagerato parlare di vendetta? Oggi forse

parleremmo di elaborazione del trauma, ma la psicologia sarebbe arrivata solo quattro secoli

dopo.

Tra l’altro sembrerebbe che Artemisia assomigliasse piuttosto all’ancella Abra che al Giuditta.43

Quindi lei stessa si vede non direttamente come l’autrice dell’omicidio, ma come l’aiutante.

Forse questo era meno impegnativo da sopportare, anche se come detto tra le due donne nonsi

può dire che vi sia una differenza in termini di responsabilità. Se è vero che è Giuditta a

brandire la spada, Abra l’aiuta in modo determinante tenendo fermo Oloferne. Quindi

Artemisiaa-Abra aiuta l’altra donna. Diversamente da come si comportò, tradendola, la sua

19

43 Mary D. Garrard, 1989, Artemisia Gentileschi, the image of female hero in Italian baroque art, Princeton

University Press, Princeton.

Page 20: Giudittasoloparole - LAM1

amica Tuzia44. Quindi Artemisia si identifica in Giuditta, ma forse anche nella lealtà della

ancella45.

Perché questo magnifico quadro è stato nascosto per secoli ai visitatori degli Uffizi? Forse che

l’immagine era troppo brutale per l’epoca. Verosimilmente no, dato che vi sono altre

raffigurazioni di miti e personaggi biblici altrettanto se non ancora maggiormente violenti. Una

ipotesi è che qui vediamo un uomo assassinato da due donne. La situazione è certamente

sconcertante e insolita. L’uomo è inerme e questo non combacia certo con l’immagine che gli

uomini hanno di sé. Senza contare che nell’antico testamento così come nel Talmud essere

immobilizzati e decapitati da una donna non era concepibile, in ogni caso era vergognoso

essere battuti da una rappresentante del gentil sesso. Forse per questo non ci sono molti

quadri dell’assassinio di Oloferne dipinti da pittori maschi.

Nella versione degli Uffizi le due donne sembrano meno graziose che nel quadro precedente.

L’inquadratura è maggiormente curata (la tela non è stata tagliata). I colori dei vestiti delle

donne meno vividi. Il quadro desta più inquietudine. Giuditta è meno bella della sua ancella,

vestita più riccamente, con un bracciale che spicca sulle braccia forti. Oloferne appare

interamente, il suo corpo è coperto da una ricca stoffa color porpora. Certo che vedendolo

interamente, spicca maggiormente il fatto che doveva trattarsi di un uomo forte, possente. A

maggior ragione appare umiliante che due donne riescano ad immobilizzarlo e decapitarlo.

Certo era ubriaco, ma i suoi occhi (tra l’altro in tutti i dipinti) sono spalancati, non è privo di

sensi. Quindi è cosciente di cosa gli sta capitando (mentre per esempio nel quadro di

Correggio ha gli occhi chiusi). Anche questo è un dettaglio che lascia intuire la forza delle due

donne e l’inerzia, l’incapacità dell’uomo.

Sembra che la seconda versione sia stata commissionata da Cosimo II de’ Medici. chissà se poi

era contento della rappresentazione. Tanto più che proprio questa versione ha un potenziale

terrorizzante maggiore che la prima. Anche l’ambiente attorno: lo sfondo è più cupo. Se nel

primo quadro alle spalle di Giuditta vi era una fioca luce, in questo lo sfondo è proprio buio.

Anche Giuditta stessa sembra più cupa, forse semplicemente meno femminile, questo è certo, i

tratti divengono più mascolini pur mantenendo una buona dose di fascino, per esempio la

scollatura per altro tipica dell’epoca. Giuditta è una donna affascinante, ma certamente non

necessariamente per gli uomini (di nessuna epoca, non solo i contemporanei di Artemisia).

Quindi se è stato grazie alla seduzione e alla bellezza che Giuditta riesce ad ammaliare

20

44 Amica intima dell’artista che, lasciando passare Agostino Tassi dal suo appartamento, lo fece entrare in casa

della giovane pittrice. Mary Garrard, Artemisia Gentileschi.

45 Abra personifica l’amica leale e fidata che non è stata Tuzia

Page 21: Giudittasoloparole - LAM1

Oloferne, a farsi invitare nella sua tenda e a farlo ubriacare, nel momento in cui lo uccide

Giuditta non si serve delle sue doti femminili. Difficilmente immaginiamo che Oloferne

sarebbe stato sedotto dalla Giuditta raffigurata da Artemisia nella tela degli Uffizi.

E lo stesso vale per le altre Giuditte, sia quella di Palazzo Pitti che quella della tela esposta a

Detroit. Sono donne il cui viso non tenta neppure di essere seducente anche se le loro vesti

sono molto eleganti e curate. Nella versione degli Uffizi e in quella di Palazzo Pitti i vestiti e i

gioielli indossati da Giuditta sono più femminili e preziosi, sottolineano e si avvicinano di più

alla versione biblica della storia. Mentre in questi due dipinti l’ancella è riconoscibile dalle vesti

meno curate e tipiche di una ancella.

Differentemente da questa visione carica di significati psicologici e profondi riconducibili alla

vicenda biografica travagliata di Artemisia46, altre rappresentazioni sono state fatte da alcune

artiste femmine, come per esempio Elisabetta Sirani47, Lavinia Fontana48, Fede Galizia49. Le

rappresentazioni del tema di queste artiste sono molto simili; la neutralità delle loro opere,

nonostante siano maestose quanto quelle di Artemisia Gentileschi, è peculiarità della mancanza

di quell’impronta fortemente autobiografica e psicoanalitica che prende vita nelle Giuditte di

Artemisia. Per riportare un esempio che si discosta dallo stile di Artemisia ho scelto

arbitrariamente di analizzare la produzione di Lavinia Fontana. Le sue opere sono

rappresentative di questo stile neutrale e discosto dal substrato psicoanalitico nella misura in

cui le analisi alla sua opera possono essere applicate, con le convenute modifiche necessarie per

ogni dipinto poiché unico, anche agli altri quadri su Giuditta delle altre artiste: il filo che le

accomuna è la neutralità personale con cui sono dipinte.

21

46 Lo stupro: si veda il capitolo 4.

47 Elisabetta Sirani (Bologna, 1638 – Bologna, 1665) è stata una pittrice italiana. Ha dipinto il quadro Giuditta con

la testa di Oloferne, ca. 1658, Olio su tela, Walters Art Gallery, Baltimore, Maryland

48 Si veda il capitolo 5

49 Fede Galizia (Milano, 1578-Milano, 1630) è stata un pittrice italiana. Ha dipinto il quadro Giuditta con la Testa

di Oloferne, 1596, Olio su tela, Ringling Museum of Art of Sarasota (Florida)

Page 22: Giudittasoloparole - LAM1

7. Lavinia Fontana

Nata a Bologna nel 1552 e morta a Roma nel 1614, Lavinia produsse più di 135 importanti lavori,

e fu una delle prime artiste donne a lavorare su commissione. Imparò a dipingere grazie agli

insegnamenti del padre, Prospero Fontana50, che si era fatto una buona reputazione a Roma e

che aveva lavorato con Giorgio Vasari51 adornando il Palazzo Vecchio di Firenze.

Diversamente da molte artiste femminili di quel periodo, ad eccezione di Artemisia Gentileschi,

Lavinia ricevette incoraggiamenti in casa, dove suo padre le insegnò a dipingere. Fu presa

molto in considerazione da uno degli allievi di suo padre, Ludovico Carracci52. Il suo talento

fiorì grazie al suo soggiorno in una città all’avanguardia, Bologna, dove l’Accademia d’Arte

fondata nel 1158 era aperta anche alle donne.

All’età di venticinque anni acconsentì a sposarsi con il pittore Giano Paolo Zappi53, a

condizione di poter continuare a dipingere. Il marito supportò la sua carriera fiorente, tanto

che abbandonò il suo lavoro per poter aiutare la moglie a perseguire la sua carriera.

Finanziariamente e criticamente di successo, Fontana fu un’importante rappresentante della

scuola Manierista54, guadagnandosi una buona reputazione per la sua abilità nelle pose, nei

dettagli e nell’uso di una gamma di delicati colori. Un’altra importante caratteristica dei lavori

di Fontana sono l’abitudine a dipingere con dovizia di particolari le stoffe sempre preziose e i

gioielli che impreziosiscono i quadri, rendendoli più raffinati.

Lavinia ebbe la fortuna di ricevere molte commissioni, soprattutto ricevette molte commissioni

dalla Chiesa, dallo Stato e da privati. Ci sono anche tutte le opere per quella che Caroline P.

Murphy55 definisce la “Vita vedovile”.

22

50 Prospero Fontana (Bologna, 1512 – Bologna, 1597) è stato un pittore italiano, di stile manierista.

51 Giorgio Vasari (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574) è stato un pittore, architetto e storico dell’arte

italiano.

52 Ludovico Carracci (Bologna, 21 aprile 1555 – Bologna, 13 novembre 1619) è stato un pittore italiano, cugino dei

fratelli Agostino e Annibale Carracci.

53 Nel 1577 Lavinia si sposò con un pittore di fama minore che non la eguagliò mai nella sua produzione artistica,

ma le permise di dipingere e le fece da manager, in un certo senso.

54 Il manierismo è una corrente pittorica italiana del XVI secolo che si ispira alla maniera, cioè allo stile, dei grandi

artisti che operarono a Roma negli anni precedenti, in particolare Raffaello e soprattutto Michelangelo.

55 Caroline P. Murphy, Lavinia Fontana, a Painter and her Patrons in Sixteenth-century Blogna, Yale University

Press, 2003

Page 23: Giudittasoloparole - LAM1

Le donne che restavano vedove, naturalmente solo quelle che disponevano di una

considerevole fortuna, commissionavano opere d’arte, in particolare quadri. In parte si trattava

di ritratti dei loro mariti defunti, oppure quadri destinati ad ornare una cappella. Tuttavia molte

di loro commissionavano anche dipinti con i quali ornavano le loro ricche dimore. Questo

fenomeno dura almeno per i secoli sedicesimo e diciassettesimo56 e concerne particolarmente

Bologna dove opera Lavinia Fontana. All’inizio l’artista ottiene questi incarichi tramite lo

studio del padre, Prospero Fontana, anche lui molto richiesto per questo genere di lavori su

commissione. Mettere a fuoco la destinazione dei dipinti richiesti a Lavinia, ossia le ricche case

delle vedove, permette di capirli ed interpretarli nel loro contesto originale. In particolare per

vedere il collegamento che esiste tra il suo modo di dipingere, il perché della scelta del soggetto

di Giuditta (ricordiamo che anche Giuditta era una vedova) e il valore emotivo-psicologico

assente nei suoi dipinti, dato dal fatto che essi sono stati fatti semplicemente su commissione.

Dalla biografia di Lavinia Fontana ci si può quindi aspettare ragionevolmente che le sue

rappresentazioni del tema di Giuditta siano caratterizzate meno, rispetto a quelle di Artemisia,

da un substrato psicologico così accentuato. Verteranno quindi verso una dimensione più

accademica e formale, più pacata e neutrale rispetto alle opere analizzate nel capitolo 4.

23

56 Caroline P. Murphy, Lavinia Fontana, a Painter and her Patrons in Sixteenth-century Blogna, Yale University

Press, 2003

Page 24: Giudittasoloparole - LAM1

1. La Giuditta di Lavinia

Lavinia Fontana esegue quindi parecchi ritratti di vedove che andavano ad ornare le dimore

ricche della città. Ma non dipinge solo i ritratti dei committenti e dei loro familiari, anche

soggetti tra cui Giuditta. Sono infatti del 1600 circa le sue due tele raffiguranti “Giuditta con la

testa di Oloferne” 57. La prima cosa interessante da notare é che le artiste come Lavinia

Fontana, che hanno rappresentato il tema di Giuditta senza risvolti psicoanalitici derivati dalla

propria biografia58 , hanno attinto agli episodi narrativi della vicenda, riavvicinandosi a quel

filone epico narrativo medievale59 tipico appunto delle prime e accademiche rappresentazioni

neutralmente psicologiche di Giuditta. Il tema è quindi stato trattato dal punto di vista

biografico, della sua condizione; come la sua storia biblica chiarisce, è stata utilizzata da pittori

e scrittori come simbolo di vedovanza.

Si sa che la prima delle due tele, quella esposta al Museo D. Barghellini a Bologna, era stata

commissionata da Costanza Bianchetti Barghellini 60 (da cui prende il nome: La Giuditta di

Barghellini fig. 23). Costanza, vedova dal 1594, era probabilmente anche legata da amicizia a

Lavinia poiché divenne anche la madrina della figlia di Lavinia, Ludovica.

La tela esposta all’Oratorio dei Pellegrini di Bologna venne probabilmente commissionata dalla

famiglia Ratta61. In particolare da Monsignor Dionisio Ratta che aveva già altre opere di

Lavinia62.

Se osserviamo la prima delle due tele (Pellegrini, fig. 22) notiamo chiaramente che la Giuditta

raffigurata ripropone il personaggio biblico così come interpretato nel medioevo. Giuditta ha il

volto illuminato da una luce che viene dall’alto, dal cielo. È nel nome di Dio quindi che

commette l’omicidio, ma dall’espressione del volto é chiaro che lo ha fatto per compiere il

volere divino, ispirata dalla sua fede. Brandisce la spada con una mano e tiene ancora per i

capelli la testa di Oloferne con l’altra mano. Non la vediamo mentre commette il gesto. Il suo

24

57 Lavinia Fontana, Giuditta con la testa di Oloferne, ca. 1600, olio su tela, 120x93, Oratorio dei Pellegrini,

Bologna (Fig.21) e Giuditta con la testa di Oloferne, 1600,olio su tela, 130x110, Museo Davia Barghellini, Bologna.

(Fig.22)

58 Si confronti con Artemisia Gentileschi, capitolo 4.

59 Si veda per riprendere il capitolo 3, parte 2.

60 Silvia Urbini, Fortunati, 1994, p. 205.

61 Caroline P. Murphy, Lavinia Fontana, a Painter and her Patrons in Sixteenth-century Blogna, Yale University

Press, 2003

62 Silvia Urbini, Fortunati, 1994, p. 205, ha ipotizzato questo concetto. Ha citato il “Giornale di Dionisio Ratta”,

1596-97.

Page 25: Giudittasoloparole - LAM1

vestito, molto bello e riccamente ornato, non é sciupato né macchiato dal sangue di Oloferne.

Come se il gesto della decapitazione, e la lotta che probabilmente lo aveva preceduto, non

l’avesse coinvolta. Come se non fosse stata lei a decapitarlo. Quanta differenza con la Giuditta

di Artemisia! Occorre tornare indietro di più di un secolo per ritrovare la stessa espressione

innocente sul volto di Giuditta.

Alcuni critici affermano (vedi in particolare C.P. Murphy63) che vi sarebbe una chiara

somiglianza tra le vesti di questa Giuditta e quelle di Santa Cecilia nel celebre dipinto di

Raffaello (fig.23)64. Somiglianza intenzionale, per significare la castità di Giuditta, vedova, e di

Elena Duglioli dall’Olio a cui il dipinto era destinato. Questa vedova era già assai casta durante

il matrimonio, ma dopo la morte del marito lo diventa del tutto: sembra abbia annunciato la

volontà di restare per sempre casta e sposa di Cristo65.

Anche la Giuditta di Barghellini ha un vestito estremamente ricco e curato. Il che di in sé non

stupisce, infatti la storia narra che entrò nella tenda di Oloferne per sedurlo, quindi era

certamente ben vestita. Giuditta non é intenta ad uccidere Oloferne, ma guarda verso di noi

(“in camera” diremmo oggi). Non porta traccia della collutazione né dell’orribile gesto appena

commesso. Anche lei non ne sembra sfiorata, lo ha fatto per compiere la volontà di Dio, quindi

non ha né colpa né responsabilità. Sullo sfondo si vede Abra con la cesta in mano pronta a

trasportare la testa. Solo lo sguardo della serva tradisce qualche emozione.

Certo le Giuditte di Lavinia Fontana non sono delle seduttrici, non sono inquietanti, non

pongono il tema della colpa, della responsabilità anche di chi commette un omicidio sia pur per

salvare il suo popolo. La Giuditta di Lavinia é nel giusto, e nulla nel dipinto fa sorgere il dubbio

di una realtà più complessa, come sappiamo essere quella tra vittima e carnefice. Del resto i

quadri erano destinati alle ricche stanze delle vedove bolognesi, le quali non volevano certo

vivere attorniate da immagini inquietanti.

Inoltre le Giuditte di Lavinia non sono neppure delle seduttrici, o almeno non lo sono più dopo

essere riuscite a decapitare Oloferne. Si può pensare che avessero messo in atto l’inganno con

ogni forma di seduzione. Ma quando vengono ritratte hanno l’aria del tutto innocente.

25

63 Raffaello Sanzio (Urbino, 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520) è stato un pittore e architetto italiano, tra i più

celebri del Rinascimento.

64 Caroline P. Murphy, Lavinia Fontana, a Painter and her Patrons in Sixteenth-century Blogna, Yale University

Press, 2003

65 Andrea Emiliani, “L’altra Cecilia, Elena Duglioli Dall’Olio (1472-1520)” in Immagini per un dipinto:La Santa

Cecilia di Raffaello, Bologna, 1983, 82-118.

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Ben diversa ad esempio la Giuditta della Scuola di Pordenone (fig. 26). In questo dipinto

l’ancella Abra solleva un lembo della tenda, lasciando intravedere l’interno e scambiandosi un

cenno con Giuditta. Questo vedo-non vedo dell’interno della tenda contribuisce ad aumentare

il senso di inganno. L’abito di Giuditta appena slacciato sul petto invece ne aumenta la

dimensione sensuale.

Si differenziano anche dalle Giuditte prodotte da altre donne come per esempio le Giuditte di

Artemisia Gentileschi. La Giuditta di Ratta, la cui faccia è illuminata da una luce che appare

divina, sembra aver ricevuto l’ispirazione divina per compiere il gesto. Una dimensione

teologica che non appare nei dipinti di Artemisia. La Giuditta di Bargellini invece assomiglia

molto al ritratto di Lavinia Fontana, Ritratto nello studiolo (fig.24), per il volto, la posizione

della figura, lo sguardo e l’espressione. Nelle due versioni di Giuditta inoltre Abra ha un ruolo

marginale, nella Bargellini è relegata sullo sfondo, quasi a riempire uno spazio vuoto senza

nessuna funzione attiva, mentre nella Giuditta di Ratta è ancora più distante dall’azione, con lo

sguardo rivolto altrove . Lavinia si avvicina più ai canoni medievali nel dipingere Giuditta66, e i

suoi ritratti non sembrano contenere quella dose di esperienza personale di cui invece sono

pregne le Giuditte di Artemisia. Questo fatto ha una spiegazione semplice: al contrario delle

Giuditte della Gentileschi, dipinte sotto l’influenza di sentimenti ancora vividi che rimandano

allo stupro subito, quelle di Lavinia sono lavori su commissione eseguiti in una neutralità di

sentimenti, che fa di loro delle opere più accademiche.

26

66 Si veda capitolo 3, paragrafo 3.

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8. Conclusione

Non solo la rappresentazione di Giuditta durante i secoli cambia, ma all’interno della cerchia di

pittrici contemporanee italiane cambia anche il valore assunto da quel personaggio così spesso

rappresentato sulla tela.

L’innocente Giuditta guidata da Dio che compie le azioni nel suo nome67 è anche la Giuditta

ingannevole e seduttrice di Grien (fig.12), o l’inquietante figura buona accompagnata da una

grottesca Giuditta.68 Ma come fa un personaggio a incapsulare tutte queste rappresentazioni?

Giuditta diventa per alcuni artisti, o più precisamente per alcune artiste, un tramite, come per

Artemisia Gentileschi. La sua rappresentazione della vicenda è strettamente personale, e si

distanzia così dalla narrativa biblica. Giuditta rimane però anche un’importante immagine

legata alla Chiesa: così viene sfruttata per esempio da Lavinia Fontana ma anche dai numerosi

pittori dell’epoca medievale o rinascimentale, da quelli appartenenti al filone teologico di

Giuditta: l’eroina come vessillo di Verità e Virtù.69 Lavinia e Artemisia sono due facce della

stessa medaglia, seppure ben differenti tra loro: dipingono il medesimo soggetto, ma

l’interpretazione è diametralmente opposta.

La Giuditta di Lavinia non sembra invischiata in una rete di sentimenti ed emozioni dell’artista;

segue i canoni comuni dell’arte rinascimentale maschile70, presentando la Virtù che trionfa sul

male, Dio che sconfigge il diavolo. Diversamente dai quadri di Artemisia, che si staccano dal

contesto religioso restando fedeli solo alla storia, quelli di Lavinia sembrano essere opere sacre:

sono quadri per una categoria di persone che, come la maggior parte delle persone nel XVI

secolo, apprezzano l’arte sacra e l’arte biblica. Le Giuditte di Artemisia non hanno come scopo

quello di soddisfare il sottile piacere di un particolare mercato, bensì fungono quasi da seduta

psicoterapeutica; la tela diventa quindi un mezzo per liberarsi dai demoni oscuri del passato,

acquistando maggiore forza ed espressività.71

Il tema della Giuditta sviluppato da Lavinia Fontana (ma come anche da Fede Galizia o

Elisabetta Sirani), verte su un aspetto tutto neutrale: nei loro dipinti la carica psicoanalitica è

assente, rimpiazzata da una forte componente accademia e di stampo maschile: seguono i

canoni dell’arte maschile. È anche doveroso spezzare una lancia in favore dei dipinti di Lavinia

Fontana: infatti tra le due è Lavinia ad aver mantenuto la visione biblica di Giuditta, come

27

67 si vedano per esempio le Giuditte di Veronese, Sirani e Botticelli (Figure: 6,7,8)

68 Correggio, Fig.13

69 Mantegna, Michelangelo, Donatello e Giorgione. (Figure: 1,2,3,4)

70 si veda capitolo 5.1

71 Si veda Capitolo 4 e 4.1.

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donna virtuosa, incaricata da Dio e suo strumento per la salvezza di un popolo. L’utilizzo della

luce divina sul viso ne accentua la dimensione teologica. Così facendo si distacca dal nuovo

volto che ha assunto Giuditta nei secoli, soprattutto dopo la rappresentazione drammatica di

Oloferne concentrata sul momento in cui la spada trafigge il collo di Oloferne, che si vede ora

come virago coraggiosa e sprezzante del pericolo, sicura della sua forza, che ha in sé la potenza

e la supremazia rispetto al mondo maschile. Lavinia però non si immedesima con la donna sulla

tela, si limita a riportarne la storia (quindi sul filone epico narrativo medievale) senza calarsi nel

personaggio, restando un’attenta osservatrice della parola scritta nella Bibbia.

Artemisia invece fa sua la natura di Giuditta, usandola come vessillo e come exemplum di vita,

dando ai quadri una chiave psicoanalitica non indifferente, che si collega alla sua travagliata

storia. Il dipinto per Artemisia diventa quindi un tramite, come un moderno studio di

psicoanalisi, per liberarsi dai fantasmi che la legano al suo passato, al tragico evento con

Agostino Tassi. Riesce a creare una Giuditta che non è propriamente quella che la Bibbia

descriveva, ma una nuova Giuditta, un prototipo di femminista estemporaneo, un precursore

certamente dei trionfi femminili del XX secolo.

Artemisia dipinge quindi per sé, Lavinia per gli altri, e questa differenza sostanziale si vede

chiaramente nell’impeto dei dipinti (pacati e eterei quelli di Lavinia Fontana, dove Giuditta è

dipinta in pose statiche, accademiche e molto strutturate, e violenti e passionali quelli di

Artemisia, dove l’impeto dei suoi sentimenti si riversa anche nella composizione del quadro,

che diventa dinamica e intensa), che traccia una linea di demarcazione molto evidente tra la sua

produzione e quella delle altre artiste come Lavinia Fontana. Ecco quindi come la storia, le

vicissitudini e i sentimenti di un’artista possono cambiare radicalmente la percezione e la

rappresentazione di una figura. Giuditta quindi è un personaggio che si è evoluto con la storia e

nella storia, grazie alle emozioni con cui è stata dipinta e alla storia di chi la dipinge. Giuditta è

quindi come un diamante di cui ognuno vede e dipinge solo una faccia: ma è proprio l’insieme

di tutte queste facce che determina la sua brillantezza, la sua complessità e la sua

multidimensionalità.

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Bibliografia

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