giorgio stabile - immagini del mondo

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  GIORGIO STABILE PENSIERO SCIENTIFICO E IMMAGINI DEL MONDO DAL TARDO- ANTICO NEWTON  Estratto  da L'EUROPA DEI POPOLI ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO EDITALIA

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GIORGIO STABILE

PENSIERO SCIENTIFICO

E IMMAGINI DEL MONDO

DAL TARDO-ANTICO A NEWTON

 Estratto da

L'EUROPA DEI POPOLI

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO

EDITALIA

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Pensiero scientifico e immagini del mondodal tardo-antico a Newton

GIORGIO STABILE

Per poter osservare lo sviluppo del pensiero scien-

tifico europeo dal tardo-antico all'età moderna, con-servandone la sua unità di lunga durata ma anche ilsuo interno, successivo diversificarsi, un punto di vi-sta privilegiato è, indubbiamente, quello della costru-

zione dell'immagine o, meglio, delle "immagini" delmondo che via via si sono venute elaborando. .Co-struzioni che riassumono in modo paradigrnaticocontinuità e rotture tra diversi stili di pensiero, e cheper il fatto di costituire delle vedute generali sul mon-do non sono concezioni strettamente e solamentescientifiche ma implicano diverse e, talvolta, oppostevedute filosofiche, si intersecano con influenze e idee

religiose, e presuppongono insomma la messa in gio-co di più vaste e complesse gerarchie di valori con cuiinterpretare e ordinare il mondo. Ma interpretare eordinare il mondo non significa raccogliere con i sen-si una realtà già bella e data, ma presuppone sempreuna scelta, consapevole o accettata per tradizione, in-tomo ai metodi e agli strumenti che il pensiero deveimpiegare per costruire quella che è sempre e comun-que una immagine della realtà.

1. IMMAGINI DEL MONDO TRA TARDO-ANTICO E

MEDIOEVO

È nella civiltà del bacino del Mediterraneo che sivengono elaborando tra il I1 secolo a.C. e il IV secolod.C. i grandi temi cosmologici destinati a influenzarele concezioni che, dall'alto Medioevo, si innesterannopiù direttamente nella tradizione speculativa e scienti-fica dei popoli d'Europa. Temi risultanti dalla con-fluenza delle dottrine filosofiche e scientifiche gre-

co-latine di età ellenistica, delle religioni astrali e deiculti misterici di tradizione orientale, e delle concezio-ne di due grandi religioni del libro, la giudaica e la

cristiana. Una  koinè di culture, di popoli, di religioni,che ha uno dei suoi centri capitali in Alessandria, e in

cui le influenze del tardo aristotelismo, del medio eneoplatonismo, dello stoicismo, del neopitagorismo,già per loro conto segnati dal primitivo incontro dellaGrecia con le culture d'oriente, tornano a sovrap-

porsi e fondersi, per effetto della massima espansioneimperiale di Roma, con quelle di una rinnovata cre-

scente presenza delle civiltà orientali. Con una neces-saria dose di semplificazione, tre immagini del mondovengono essenzialmente a scontrarsi e fondersi nella koiné culturale del tardo-antico: quella greca, quellagiudaica e quella cristiana, ambedue queste ultimepartecipi o debitrici della cosmologia biblica. La più

"scientifica" ed evoluta, destinata a riemergere e

imporsi nellYOccidenteeuropeo, è quella greca, elabo-rata tra il IV e il I11 secolo a.C. per opera soprattuttodi Platone e Aristotele e proseguita con gli apportidella scienza d'età ellenistica e romana.

2. IL LASCITO DELLA COSMOLOGIA SCIENTIFICA

GRECA

Parlare qel lascito della cosmologia scientificagreca equivale a parlare di un'immagine del mondoche, nelle sue linee essenziali, rimase patrimonio"

scientifico"

dei popoli d'Europa fino almeno allametà del '500. L'astronomia greca, in particolare peropera della scuola pitagorica, aveva iniziato a tra-durre in paradigma teorico quelli che erano i datiimmediati della percezione di un osservatore che,posto sopra la Terra, osservasse l'insieme dei feno-

meni che apparivano svolgersi sulla semisfera visibiledel cielo, chiusa dal cerchio dell'orizzonte. Dove è

subito da awertire che parlare del cielo visibile co-me "semisfera" è parlare di una "immagine" presain prestito dalla geometria con cui un greco costrui-va una struttura, per lui reale ma nei fatti fittizia, in

cui poter organizzare i dati della percezione, tantoche, ad esempio, un semita vedeva il cielo come una

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tenda o una lastra sormontata di acque, poggiantesu montagne altissime.

Fatta questa precisazione, è opportuno ricordarealmeno alcuni dei fenomeni o "apparenze" visibili aun osservatore, attorno a cui si sviluppere. il dibattito

successivo. A parte i moti assolutamente evidenti delSole e della Luna, la cui teoria anticipò presso tutti ipopoli quella dei restanti corpi celesti, le osservazionia occhio nudo accumulate da intere generazioni diastronomi avevano rivelato un diverso andamentonella miriade di corpi luminosi in continuo moto sullavolta celeste: mentre la quasi totalità di essi, le stel-le, ruotava uniformemente ogni ventiquattro ore daoriente a occidente, conservando tra loro eguali di-stanze intorno a un asse (quello dei poli) perpendico-

lare al piano dell'equatore celeste, altri cinque corpiluminosi, difficilmente distinguibili tra le stelle (cioè

Saturno, Giove, Marte, Venere, Mercurio secondo laposteriore denominazione latina) mostravano un an-

damento parzialmente difforme. Infatti, pur seguendoogni giorno il moto est-ovest solidale con la voltastellata, osservati nel corso dell'anno, si scoprì cheoccupavano posizioni sempre più "in ritardo" rispet-to alle stelle circostanti, e cioè che, oltre il moto diur-no, osservavano anche un lento movimento annuo,da occidente a oriente, inverso a quello della voltastellata e ciascuno con una velocità diversa. Somman-do assieme tutte queste posizioni, si scoprì inoltre chele orbite di ciascuno non si svolgevano attorno all'as-

se dei poli ma, con diversa inclinazione, tutte entrouna fascia di stelle larga 16" (lo zodiaco) disposta 8"

sopra e 8" sotto la sua linea centrale coincidente conl'orbita descritta dal Sole, cioè l'eclittica, la quale ri-sultava "inclinata" od "obliqua" rispetto al cerchiodell'equatore celeste. Per cui da ciò derivava un dop-

pio sistema, e sfalsato, di rotazione: quello diurnodelle stelle, attorno all'asse del mondo, di moto uni-forme e verso ovest, e quello annuo degli altri settecorpi, attorno ad assi diversamente inclinati, di mototra loro difforme e verso est. Per di più si scoperseche, nel descrivere le loro orbite, cinque di questi corpi(esclusi Luna e Sole) presentavano un'ulteriore ano

-

malia e cioè che periodicamente il loro moto verso estsembrava ritardare fino a interrompersi (stazione),per poi riprendere retrocedendo verso ovest (retrogra-dazione) e infine ricurvare procedendo di nuovo versoest: sicché la loro traiettoria formava, periodicamen-

te, una curva intrecciata a "cappio". Per questo insie-me di moti e direzioni irregolari, questi sette corpi ce-lesti furono detti astri "errabondi", in greco planètes(da cui poi il sostantivo pianeti), mentre all'oppostoper la loro uniformità di moto e direzione, le stelle

furono dette astri"

non errabondi"

, in greco aplanè-tes (da cui la dizione latina di stellae inerrantes ofixae, perché "infisse" senza variazione nel cielo).

Di questo complesso di fenomeni, e delle loro tan-te particolarità, non bastava offrire una descrizione intermini di calcoli e di traiettorie geometriche, ma oc-correva darne una giustificazione"fisica" e, per alcu-

ni filosofi, anche "metafisica". Si pose infatti il pro-

blema di come tanti corpi potessero spontaneamenteruotare per secoli sospesi nello spazio, senza mai esau-rire il loro moto e (come un qualsiasi corpo libratonell'aria) cadere sulla Terra. Di qui l'idea del sistemadelle "sfere celesti". Si pensò infatti che l'emisfero ce-leste sopra l'orizzonte fosse in realtà la metà visibiledi una sfera solida e cava, con al centro la Terra (sfe-rica anch'essa), che recava perennemente in cerchio,incastonati dentro di sé, i corpi celesti. Ma essendoimpossibile che, oltre le stelle, anche i pianeti potesse-

ro insistere sulla stessa sfera, avendo ciascuno am-piezze orbitali e velocità differenti, fu ovvio dedurre

che ogni pianeta fosse recato in cerchio da una pro-pria sfera solida, anch'essa cava, in modo da potersiinserire l'una nell'altra secondo l'ordine imposto dallaampiezza decrescente delle orbite dei pianeti, con alcentro la Terra. Ma poiché i corpi celesti dovevanotutti risultare simultaneamente visibili dalla Terra, lesfere furono immaginate di materia trasparente. Esiccome secolari osservazioni compiute dagli astrono-mi sembravano confermare che, diversamente dai

processi terrestri di generazione e corruzione, i corpicelesti erano esenti di qualsiasi processo di alterazio-ne, nascita o morte, si postulò che la materia delle

sfere fosse di essenza incorruttibile, ontologicamentediversa da quella dei quattro elementi costituenti lamateria terrestre. Fu questa la cosiddetta "quintaessenza" o "quinto elemento", che Aristotele identi-ficò in una sostanza lucida e inalterabile, l'etere, e imedievali in una essenza che, simile a quella del cri-stallo, presentava caratteri di assoluta purezza, inal-

terabilità e trasparenza (da cui le cosiddette sfere"cristalline"). Quanto al problema del moto delle sfe-re (che si fisserà nel ritornante interrogativo a quo

moventur planetae?, "da cosa sono mossi i pianeti?")una soluzione fu quella fondata sull'analogia biologi-ca. Poiché gli unici esseri capaci di moto spontaneo eautonomo sono gli esseri "viventi", perché dotati diun'anima che infonde loro autodeterminazione edenergia, anche gli astri e le sfere, se presentano unospontaneo moto di rotazione, vuol dire che sono do-tati di un'anima, che sono anch'essi animali viventi.

Di queste elaborazioni dell'astronomia coeva, Pla-tone, nel dialogo intitolato al filosofo pitagoricoTimeo, e la cui influenza rimarrà viva sino al Rinasci-mento, intese dare, in forma di racconto cosmogoni-

co, la giustificazione fisica e insieme metafisica. Egli

immaginò che una divinità acorporea perennementevivente in uno stato di identità e perfezione volesseesprimere fuori di sé, in una materia informe e preesi-

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4 Pensiero scientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

stente, una immagine di sé nella forma del più bello epiù perfetto degli animali intelligibili. Prendendo aprestito l'esempio del vasaio che dà forma alla creta,Platone racconta che a questa produzione del mondomateriale fu delegata una divinità intermedia, il De-

miurgo (un "artigiano" o "artefice"), che guardandoal Dio e leggendo nella sua mente le idee eterne, presel'uno e le altre come archetipi, come modelli con cuiplasmare la preesistente materia e dar forma al mon-do. I1 cosmo risulta pertanto come una incorporazio-

ne "fisica" della forma acorporea di Dio e.delle sueidee. La materia, che Platone definisce chòra (cioèterra bruta, suolo grezzo, terreno incolto in quantonon recinto da limiti e "ordinato" al suo interno) è ilcaos indefinito e amorfo, madre e ricettacolo di tuttele forme, da cui sorgeranno per agitazione gli elemen-ti dell'aria, dell'acqua, del fuoco e della terra. Essa

diviene kòsmos, quando, raccolta in unità la massadei quattro elementi, il demiurgo, senza lasciar resi-dui, la plasma e recinge in forma di sfera, la più per-fetta e più simile alla divinità. Quanto dire che il kò-

smos, secondo un tipico concetto greco, per esser taledeve essere anzitutto una "totalità conclusa", neldoppio valore di "delimitata", "chiusa", perché nonha residui fuori di sé, e di "compiuta" "perfetta"perché ha tutto ordinato dentro di sé. L'esser delimi-tato infatti è condizione essenziale perché il mondopossa venir commisurato al suo interno secondo "or-dine" e "proporzione", e dunque risultare "cosmo"

nel senso di un tutto armonicamente "bello". Non di-versamente dal canone di Policleto, il geometra o l'ar-tista, a fronte dello spazio indifferenziato della rena edella cera, o della massa grezza di marmo e di argilla,procede dapprima a racchiuderli in una figura o su-perficie conchiusa, e poi ne ripartisce secondo pro-porzione le parti. In tal senso il mondo non può cheessere una creazione ordinata. E l'ordine che guida ildemiurgo è quello che per Platone, debitore del pita-

gorismo, più si approssima a quello ideale e divino,cioè quello della geometria. E per assimilare le formedella natura alle idee divine, egli sceglie dalla geome-

tria e dalla aritmetica le più armoniche e, dunque, lepiù perfette combinazioni di figure, numeri e interval-li musicali con cui plasmare, articolare e distanziare,una volta composta la sfera del cosmo, le sue princi-pali parti. Al demiurgo infatti spetta plasmare l'ani-ma vivificatrice del cosmo, i cieli, gli astri, la terra, iltempo, mentre ai suoi figli, demiurgi successivi e debi-tori per imitazione dell'arte paterna, tocca con conse-guente minor maestria la produzione dell'anima e delcorpo umano, degli altri organismi viventi, delle pian-te, delle pietre. Processo di articolazione del cosmoche prende avvio con la costruzione della potenzaanimatrice del mondo, l'anima mundi, che conferisceal cosmo il carattere di un grande animale vivente ma

t

Toro o*

i

Una delle maggiori anomalie che gli antichi astronomiosservavano nella traiettoria dei pianeti (oltre quella del

1 movimento annuo, da occidente a oriente, inverso alI movimento della volta stellata), era il cosiddetto feno-

imeno della retrocessione o retrograduzione. Ad eccezio-

ne del Sole e della Luna, gli altri cinque apparivano ral-

i lentare periodicamente il loro moto orbitale verso est

fino a interromperlo (stazione), per poi riprenderlo in1 senso retrogrado verso ovest (retrograduzione) e infine

ricurvare dirigendosi di nuovo verso est: sicché, di tan-i to in tanto, la loro traiettoria disegnava sullo sfondo

idella sfera stellata una curva a forma di cappio o, in

alcuni casi, a forma di S. Per questo singolare vagabon-

i dare tra le stelle fisse, questi astri furono designati conl'aggettivo di "errabondi", che in greco si dice plur16tes1 (da cui poi il sostantivo pianeti). Nella figura viene mo-

strato il moto di retrocessione di Marte, nella costella-

zione del19Ariete e del Toro, quale si osserva dal Io

maggio (inizio del rallentamento del moto verso est), al1 I o giugno (stazione), dopo il I o giugno fino al I'' agosto

: (retrocessione), dopo il 1' agosto fino al lo settembre

(chiusura del cappio e ripresa del moto verso est). La

linea tratteggiata rappresenta l'eclittica, cioè la traietto-

,ria seguita dal Sole, e lungo la quale si muovono i pia-

neti."Questa anomalia verrà spiegata da Copernico co-

ime una semplice ((apparenza)) o «illusione ottica))

provocata dal fatto che l'osservazione viene compiuta

i nel mentre la Terra è in moto annuo di rivoluzione e,

pertanto, il pianeta viene traguardato sulla sfera stella-

ta , nel caso dei pianeti esterni più lenti, mentre la Terra

periodicamente li raggiunge, uguaglia e supera o, nel1 caso dei pianeti interni più veloci, mentre la Terra viene

da essi raggiunta, uguagliata e superata. Viceversa, per

gli astronomi antichi e per Tolomeo questa anomalia

l era un fenomeno reale, che contrastava con i postulati

della perfetta circolarità delle sfere planetarie e del loro

lmoto uniforme attorno al centro della Terra immobile.

Per giustificare questo fenomeno alla luce dei suddetti

1 postulati Tolomeo farà ricorso alla complessa teoria dei

, deferenti e degli epicicli.

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che, proprio per la modalità della sua origine, portacon sé la ragione metafisica della diversità dei movi-menti celesti e delle Idro orbite. La formazione del-l'anima inizia infatti con una misteriosa mescolanzadegli opposti principi metafisici del "medesimo" edella "alterità" a cui viene aggiunta la 'kssenza" per

conferire all'anima saldezza ontologica e perciò pe-renne esistenza.La successiva destinazione di questo misto ontolo-

gico spiega il suo stretto nesso con la struttura delcosmo. Esso viene infatti suddiviso in un doppio na-stro, del medesimo e dell'alterità, che il demiurgo so-vrappone a X e poi ricongiunge nei rispetti estremi,dando luogo alla produzione di due "cinture" so-vrapposte che, animate di moto contrario, corrispon-deranno, la più esterna (quella del "medesimo") alcerchio dell'equatore del cielo stellato, e la più interna(quella della "alterità"), appunto a un cerchio carat-

terizzato da una posizione e da un moto"

altri"

e"diversi", cioè quello dell'eclittica e dello zodiaco, re-clinato in senso "obliquo" rispetto alla posizione"normale" dell'equatore celeste e lungo cui si muovo-no in senso "inverso" il Sole e gli altri pianeti. Conciò Platone vuol dare ragione metafisica sia dell'ani-mazione del mondo sia del contrasto che in questaanimazione gli astronomi avevano già rilevato, tral'ordinato e uniforme moto periodico delle stelle soli-dale all'asse del mondo e quello anomalo e difformedei pianeti lungo l'eclittica. Questo contrasto per Pla-tone non è altro che la manifestazione di una opposi-

zione metafisica che l'anima del mondo porta nellapropria essenza e che trasferisce al cosmo. Opposizio-ne tra il principio divino della permanenza nell'identi-tà, della medesimezza eternamente ritornante su di sé,e quello della variazione difforme, della dissimiglian-za dall'identico, cioè della "alterità". I1 contrasto me-tafisico e fisico tra questi due moti, via via che siscende nelle sfere più basse dei cieli e nello spazio su-blunare e terreno, aumenta e si moltiplica per il suotrasferimento dall'anima del mondo alle anime deisingoli esseri. I1 cosmo diffrange così l'unità perma-nente di Dio nel diverso, nell'alterità, nella crescentegraduale perdita di somiglianza da lui. Col gradualeallontanarsi dall'uno, di cui il cielo delle stelle fisse è

una immagine mobile perché circolarmente perma-nente in sé, le regioni dello spazio aumentano in dissi-miglianze, in "differenze", e le differenze importanomolteplicità. I1 cosmo platonico, dunque, si rivela co-me una graduale produzione del molteplice dall'uno.Se fisicamente esso si manifesta come un ordine ar-monico dettato dai principi della geometria e dellamatematica, metafisicamente esso si rivela una copia,via via degradata nel dissimigliante molteplice della

materia, del suo archetipo intelligibile, che persiste e-terno nelle idee della mente divina, in uno spazio so-

praceleste, "iperuranico". I1 mito platonico, seppuretrasposto in un superiore ordine di intelligibilità me-tafisica, risentiva indubbiamente delle idee ispiratricidelle cosmogonie orientali, con un oscuro caos pri-mordiale coesistente e riottoso al dominio delle po-tenze ordinatrici, come pure della religione orfico-pi-

tagorica, col marcato dualismo tra olimpica esistenzanel mondo celeste della perenne identità, e cadutacolpevole nella penosa regione del divenire e dellapluralità delle cose destinate a nascita e morte.

Sulla base di questi elementi il sistema cosmologi-co greco era di fatto compiuto nella sua gran parte.Un sistema fondato su due postulati che rimarrannotali almeno fino a Copernico: la perfetta circolaritàdelle orbite dei corpi celesti e la uniformità del loromovimento. Due postulati imposti sia dal concetto disfera, sia dall'idea che il moto perfettamente uniformedelle stelle fosse l'archetipo a cui doveva in qualche

modo soggiacere anche quello"

anomalo"

dei pianeti.Platone fece propri questi postulati, e a fronte delleanomalie che apparivano nel moto e nella traiettoriadei pianeti, si chiese in che modo gli astronomi avreb-bero potuto giustificare tali apparenze. La tradizionetardo-antica dice che la richiesta fu quella di "salvarei fenomeni", nel senso di conservare l'esistenza di ciòche appare senza dover distruggere quella dei postu-lati o, il che è lo stesso, di conservare l'esistenza diquei postulati senza dover distruggere quella dei feno-meni. La prima soluzione a questo problema venneda un suo alunno, Eudosso di Cnido (408 ca.-359,

con la raffinata teoria geometrica delle sfere omocen-triche. I1 sistema planetario di Eudosso era costituitoda una serie di sfere concentriche con centro comunela Terra. Solo che il numero di esse non era di otto,come richiedeva la semplice sequenza delle sfere dellestelle fisse e dei sette pianeti, ma di 27 (una per lestelle fisse, 3 per il Sole e la Luna, 4 per i restantipianeti). Il gruppo di sfere concentriche dedicate a o-gni pianeta era studiato in modo che la sfera interna,che recava il pianeta, facesse perno con il suo asse indue punti diametralmente opposti della concavità del-la sfera superiore, l'asse della quale, a sua volta, face-va perno nella concavità di quella ancora superiorema con inclinazione diversa dall'asse di quella inferio-re, e così via fino alla terza o quarta. Inoltre il versodi rotazione delle sfere era talvolta opposto. I1 gran-dissimo ingegno di Eudosso fu quello di ottenere chela traiettoria di ogni pianeta risultante da questo sfal-samento degli assi trascinati "a doppio vortice" dasfere in rotazione opposta, riproducesse tutti i moti ele anomalie apparenti sulla sfera stellata, compresaquella del "cappio" o "nodo" delle retrogradazioni.I1 grave inconveniente del sistema, in quanto omocen-

trico rispetto alla Terra, fu la sua incapacità di spie-gare la notevole variazione di grandezza e luminosità

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 Pensiero scientifico e immaxini del mondo dal tardo- antico a Newton

IUna prima soluzione al problema delle anomalie planetarie fu da-ta da Eudosso di Cnido (408 ca.-359, con la teoria delle sfere ~ 3 ~ 3 0 'N 

ornocentriche,cioè un sistema di sfere concentriche con  centro co-

l mune la Terra.  A tal fine, invece di un sistema a ot to sfere, come

i  t -*$

SY,

l quello tradizionale, ne ideò uno a 27 sfere (successivamente

aumentate da Callippo). Ad ogni pianeta era infatti dedicata unaserie di tre o quattro sfere, a seconda della complessità dei motiplanetari da risolvere. Il sistema era ad assi sfalsati, cioè gli assidelle sfere, da quella interna che recava il pianeta a quelle via viapiù esterne, facevano perno nella concavitit della sfera superiorecon diversa inclinazione rispetto all'asse di quest'ultima. I1 siste-ma (a ) riproduce quello tradizionale, con la sfera esterna (dellestelle fisse) che gira di moto diurno attorno all'asse del mondoorientato in senso Nord-Sud, mentre al suo interno gira in sensoopposto la sfera di un pianeta P, il cui asse risulta far perno nellaconcavità della sfera delle stelle fisse con una inclinazione di S 

23" 30' (pari a quella dell'eclittica rispetto all'orizzonte celeste). (a )

Al centro rimane la Terra T. I1 sistema di Eudosso (b) non fece I

altro che applicare ad ogni pianeta questo sistema ad assi diversz-mente inclinati, moltiplicando il numero delle sfere, variandone opportunamente senso di rotazione, velocità, e inclinazione degli

assi. La traiettoria di ogni pianeta P era perciò la risultante del trascinamento di ciascun asse secondo un movimento a doppiovortice (cioè a due coni opposti al vertice T), in modo da riprodurre, con grande sagacia geometrica, tutti i moti e le anomalie

~apparenti sulla sfera stellata, compresa quella a cappio delle retrogradazioni. L'inconveniente del sistema, proprio perché orno- 1centrico rispetto alla Terra, fu la sua mcapacità di spiegare la notevole variazione di grandezza e luminosità che si osservava neipianeti, e che non poteva che implicare una variazione delle loro distanze dalla Terra.

L

che si riscontrava in pianeti come Venere, Mercurio eMarte, che meglio si spiegavano come effetto dellavariazione delle loro distanze dalla Terra.È qui opportuno ricordare che a risolvere in mo-

do del tutto nuovo il problema furono'tra IV e I11secolo a.C. due altri astronomi greci, Eraclide Ponti-co (388-310 ca.) e Aristarco di Samo (310-230 ca.).Proprio partendo dallo studio di Mercurio e Venere edalle variazioni del loro splendore e grandezza appa-rente in concomitanza con il loro spostarsi alternato eregolare a sinistra e a destra del Sole, Eraclide pensòche i due fenomeni fossero in relazione tra loro e chesi potessero spiegare ponendo come centro della rota-zione dei due pianeti non la Terra ma il Sole. Mer-curio e Venere diventavano più grandi e luminosi

quando nella loro rotazione attorno al Sole si avvici-navano alla Terra e viceversa. Essi erano perciò satel-liti del Sole e lo seguivano nel suo giro annuale intor-no alla Terra che, posta al centro del mondo, perEraclide aveva comunque, come aveva affermato ilpitagorico Ecfanto, un moto di rotazione attorno alsuo asse. Ma difficoltà analoghe presentava lo studiodei pianeti superiori, Marte in particolare ma ancheGiove e Saturno, e in tal senso il sistema di Eraclidefu esteso a tutti i pianeti. Poiché Marte appare dallaTerra enormemente più splendente quando% 'in oppo-sizione col Sole, cioè quando si trova rispetto ad esso

dalla parte diametralmente opposta dello zodiacosecondo la linea congiungente Marte-Terra-Sole, era

owio ritenere che la distanza dell'orbita di Martedalla Terra fosse in quel momento minima rispetto atutte le altre posizioni lungo lo zodiaco. Pertanto il

raggio del giro circolare di Marte non poteva averecome centro la Terra ma doveva essere posto in unpunto eccentrico rispetto a essa. Ma se in un tal cir-colo eccentrico il punto più vicino alla Terra giace indirezione opposta al Sole il punto più lontano, e conesso il centro dell'eccentrico, dovrà giacere sempresulla linea condotta dalla Terra al Sole. E questopunto centrale fu, come per Mercurio e Venere, iden-tificato nel Sole. Lo stesso fu dedotto per le orbite diGiove e di Saturno. Sicché per risolvere il problemaposto da"l sistema omocentrico nacque l'idea di porrecome centro comune delle orbite dei cinque pianeti il

Sole, mentre la Terra rimaneva centro dell'universo, eattorno ad essa ruotava la Luna e il sistema satellita-re Sole-pianeti. Ma a questo punto il passaggio al si-stema eliocentrico diventava breve e facile e fu com-piuto da Aristarco di Samo. La questione si riducevaa considerare il moto relativo del Sole e della Terra.Se si tiene fissa la Terra, come Eraclide, il Sole giraattorno ad essa di moto annuo recando attorno alsuo centro mobile il corteggio dei cinque pianeti. Seinvece, come fece Aristarco, si pone fisso il Sole e ilsuo moto annuo è attribuito alla Terra, il Sole rimaneil centro delle orbite non solo dei cinque pianeti ma

anche della Terra, che gli girerà attorno avendo comesatellite la Luna. Come si vede l'astronomia greca

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arrivò a una soluzione di geometria delle orbite ana -

loga a quella di Copernico. Solo che questa ipotesirimase quasi intieramente ignorata in quanto para-dossale ("amante dei paradossi" era infatti chiamatoEraclide) e fisicamente improponib;ile perché contra-ria sia al senso comune sia ai principi metafisici e fisi-

ci che erano a fondamento della cosmologia sia plato-nica che aristotelica.

Concorrente all'immagine platonico-eudossianadel mondo è infatti quella costruita da Aristotele.Con lui l'idea cosmogonica di Platone scompare per-ché scompare il dualismo che la giustificava tra unpreesistente mondo intelligibile e l'insorgenza, neltempo, di una sua copia sensibile. Come pure, il con-nesso concetto di una degradazione per dissimiglianzadall'uno al molteplice, privato della sua connotazionedi caduta etica, si ripropone come gerarchia di ordinifisici e metafisici a complessità crescente, dalle essenzeperenni del mondo celeste, perché semplici e incorrut-tibili e dunque necessarie, a quelle in divenire delmondo sublunare, perché composte e corruttibili, equindi contingenti. Per Aristotele il cosmo non è ge-nerato ma esiste da sempre, è eterno. I1 mondo intelli-gibile è da sempre dentro il mondo sensibile, in quan-

to la materia è informata ab aeterno dalleidee-essenze. Qualsiasi realtà, per il fatto di esistere, ègià un synolon, una "totalità" (òlon) costituita dallamateria "insieme con" (syn) la forma, forma che valea un tempo come morphè, in quanto configurazione

plastica che conferisce alla materia un'identità fisica,e come éidos, in quanto essenza che conferisce a que-sta configurazione fisica una più profonda e immuta-bile identità metafisica. Lo stesso mondo è un enormesinolo, una totalità vivente di materia e forma. Tota-lità che anche Aristotele concepisce come un kòsmos,nella forma compiuta di una sfera animata, cinta dalcielo delle stelle fisse, oltre il quale c'è totale assenzadi materia e di spazio. I1 cosmo contiene il tutto, manon è contenuto da nulla, perché è contraddittoriopensare che al di là del Tutto sopravanzi qualcosa; néè pensabile che al di là ci sia il vuoto, dal momento

che per Aristotele il vuoto è puro non essere, è inesi-stenza impensabile, e neppure pensabile come puraentità spaziale. L'idea di uno spazio geometrico comeentità illimitata e isomorfa, presupposta alle figure eai corpi, per Aristotele non ha sussistenza reale. Sem-

mai sono le figure i presupposti dello spazio; lo spa-zio deve essere un quid esistente, e per esistere deveessere un sinolo, una porzione di materia cui una"forma" dà figura, limite, essenza. Per Aristotele lainforme chòra platonica e lo stesso caos delle cosmo-

gonie poetiche doveva esistere in un "posto", in un"dove". Ogni cosa per esistere deve avere un "dove",un ubi in cui esistere, cioè un tòpos o "luogo" come

"porzione di spazio confinata" in cui essere contenu-

ta. Nella sua generalità lo spazio è una somma di"luoghi", una somma di porzioni "ubicate" di spa-zio. Del resto la categoria aristotelica dello spazio o,meglio, del luogo, è la particella interrogativa ubi cheimplica la domanda del "dov'è" qualcosa o qualcu-no. E la risposta al "dov'è" implica a sua volta che

questo qualcosa o qualcuno si ubichi indicando il"luogo" che lo "contiene", che lo "circonda", e cheè il limite del contenente immediatamente contiguo.Ma in questa concezione dell'ubi, il "luogo" conte-nente non può mai essere predicato in forma indeter-minata (Socrate è nello spazio) ma deve essere semprepredicato in modo da poter essere determinato a suavolta da un ulteriore luogo contenente (Socrate è nel-l'agorà, l'agorà è in Atene, Atene è nell'Attica, ...)

fino al limite estremo, quello dell'ottava sfera, che è illuogo dei luoghi perché tutto contiene e da nulla è

contenuto. Concezione ch per secoli impedirà dipensare l'universo come spazi\infinito e che non acaso era in diretto conflitto con la concezione atomi-stica democritea, e poi epicureo-lucreziana, che su-bordinava all'esistenza di uno spazio vuoto e indefini-to il concorso casuale degli atomi per la costruzionedel mondo. Viceversa per Aristotele la esistenza delmondo è impensabile senza una forma che ne delimitipreventivamente lo spazio. Per lui il cosmo è unasfera perfetta che, come in Platone, non deve esserepensata come pura forma geometrica ma come un or -ganismo, come un'entità biologica altamente differen-

ziata al suo interno, al pari dell'uomo, che esprimegià in sé una struttura orientata dello spazio biologi-co secondo "luoghi" o regioni (testa-piedi, destra-

sinistra, porzione anteriore e posteriore) che sono as-soluti perché ciascuno qualificato da funzioni e attivi-tà non scambievoli. I1 cosmo infatti ha un alto e unbasso assoluti (polo Sud e Nord), una destra e unasinistra assoluti (oriente e occidente), un davanti e undietro assoluti (culminazione del Sole al semimeridia-

no passante per il centro dell'ecumene abitato e suoopposto) che non possono essere scambiati perchéesercitano poteri intimamente connessi con la loro

ubicazione. Per Aristotele il luogo esercita una certapotenza in rapporto alla sua ubicazione nello spazio.Entro questo spazio confinato, come una polis grecao un organismo vivente, il cosmo può essere ordinatoin una gerarchia di luoghi, ma nel senso fin qui detto.Sotto la cinta della sfera stellata digradano con am-

piezza sempre minore le altre sfere celesti, secondol'ordine di Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere,

Mercurio e Luna. Con la sfera della Luna il mondoceleste si conclude e sotto di esso succede, immedia-tamente confinante, il mondo detto appunto "sublu-

nare" o terrestre.Un confine di decisiva importanza per la cosmolo-

gia fino all'età moderna. Pur costituendo nella sua

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:iero scientijìco e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

totalità un tutto unico e solidale, l'universo è suddivi-so dalla sfera della Luna in due regni nettamente di-stinti: quello celeste, che è dominio della perenne re-golarità dei moti e della incorruttibilità delle sostanze,e quello terrestre, che è dominio di una regolaritàcontinuamente perturbata dal variare dei fenomeni,dall'irrequieto spostarsi dei corpi e mescolarsi degli e-lementi e, soprattutto, dal perenne generarsi, alterarsie corrompersi delle sostanze. Mondo dell'astronomiae mondo della fisica non costituiscono una stessarealtà su cui insistono due diversi modi di osservare,ma due diverse realtà studiate da discipline gerarchi-camente distinte per oggetto e per metodo. I1 mondosublunare è il regno dei quattro elementi cioè dellequattro componenti ultime in cui è scomponibile lanatura e sotto le cui forme si trova attuata ab aeternola materia prima (che non si dà mai allo stato infor-

me come la chòra platonica). Proprio perché compo-nenti ultime sono dette corpi semplici perché se a lorovolta vengono scomposti danno parti di sostanzaidentica a quella dell'aggregato di cui sono parti.L'ordine degli elementi è ripartito in quattro zone sfe-riche, concentriche al centro del mondo, in ognunadelle quali ciascun elemento tende a collocarsi per na-tura (detti perciò "luoghi naturali") e che dall'alto sisuccedono in sfera del fuoco, dell'aria, dell'acqua e

della terra. I1 che vuol dire che a creare questa parti-colare successione non è un casuale dislocarsi deglielementi nello spazio ma la potenza esercitata dai"luoghi" nell'inclinare a sé gli elementi affini. La sog-giacente topografia qualitativa e orientata dello spa-zio crea l'ordine delle parti e non viceversa. Lo spazioin tanto sussiste in quanto assomma e si risolve inuna serie contigua di luoghi confinanti tra loro perproprietà discontinue. L'alto è la regione nobile cheesercita la potenza sul leggero, il sottile, il puro, l'e-stremamente mobile, mentre il basso, diametralmenteopposto, la esercita su quelle opposte, il pesante, ilgrosso, il meno puro, l'inerte. Di qui l'inclinazione diciascun elemento a dirigersi verso il proprio luogo na-turale che è l'esatto reciproco del potere esercitato dalluogo: il fuoco e l'aria, puri, sottili, onnipervasivi, ve-loci, hanno la qualità della leggerezza assoluta che lifa dirigere verso l'alto, mentre l'acqua e la terra, gra-vi, densi, e meno puri, hanno la qualità della pesan-tezza assoluta che li fa dirigere verso il basso. Il por-tarsi nel proprio luogo è per ogni corpo il portarsialla propria forma (èidos), "dove" cioè le propriequalità, che in altri "dove" sono in potenza, possonoattuarsi e lì trovar compimento e attuazione. Infattiattuare il proprio èidos, la propria essenza, che è il

fine di ogni cosa, presuppone un primitivo stato di"

potenza"

, di"

privazione"

della piena essenza, dacui sorge la "inclinazione a", il "desiderio verso" ilfinale completamento dell'essenza, il che implica un

Un postulato della antica astronomia platonica, rispet-tato da Eudosso, implicava che i pianeti (P) si doveva-no muovere di moto uniforme, in un cerchio perfetto(od orbita) al cui centro (C) era posta la Terra. Ma aquesto postulato ostavano alcune irregolarità osserva-te dalla Terra, come la variazione di velocità nel perio-

do dei pianeti e il mutamento periodico della lorograndezza, e luminosità. Per risolvere queste irrego-

ità l'astronomia post-eudossiana ideò il cossiddettoentrico, cioè il cerchio dell'orbita di un pianeta P

sultava scentrato rispetto alla Terra, in quanto laerra (T) non coincideva esattamente con il centro Cell'orbita, ma veniva leggermente spostata da esso.erciò il pianeta P, pur conservando un moto unifor-

circonferenza, visto dalla Terra in T dove-

e muoversi di moto difforme rispetto alle, cioè sempre più lento via via che si avvici-

apogeo (il punto più distante dalla Terra) epre piu veloce via via che si avvicinava al perigeounto più vicino alla Terra). Così pure, con il varia-

della distanza tra P e T, bisognava atten-i, come confermato dall'osservazione, una varia-e nella luminosità e nella grandezza di P.

4

moto di traslazione, di "trasporto verso" dove la for-ma è attuata, e dove, privo di ragion sufficiente, ilmoto si annulla in quiete. Non è quindi il paradossoidrostatico di Archimede che regola lo spostamentodi aggregati fluidi nell'atmosfera, né la legge di cadu -ta dei gravi a regolare la traiettoria dei corpi, maquesta legge metafisica dell'inclinazione al luogo na-turale e alla attuazione della forma.È questa una delle profonde ragioni del geocentri-

smo e della sua persistenza. Per vincerlo non bastavaconvincere della sua equivalenza geometrica con l'e-

liocentrismo, che il moto del Sole è solo il reciprocoottico del moto della Terra, ma occorreva sradicare

tutte le ramificazioni che il geocentrismo era andatoapprofondendo e moltiplicando sul terreno metafisicoe fisico. La Terra non è il centro del mondo per posi-

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zione, per semplice equidistanza geometrica dal peri-metro cosmico (posizione facilmente scambievole conil Sole) ma per natura, per necessità derivante dallasua essenza. Anzi essa non è il centro del mondo magiace attorno al centro del mondo, il qae centro nonè un punto geometrico ma un ubi, un luogo dello spa-

zio fisico che gode di una proprietà unica rispetto atutti gli altri ubi, quella di avere simultaneamente lamaggior distanza compossibile rispetto a tutti i puntidella concavità cosmica e quindi di essere simultanea-mente il più "basso" in assoluto. Come tale tra tutti ipunti esso è l'unico a esercitare il potere di inclinare asé l'elemento pesante in assoluto, la terra, che diri-gendosi verso quell'ubi attua la sua forma e si quieta.La Terra come globo è dunque il risultato del conver-gente desiderio di tutte le sue parti a dirigersi verso ilcentro e10 il basso dello spazio cosmico. Propriamen-

te ad attuare pienamente la forma e ad essere perfet-tamente in quiete è la sola particella di terra che coin-cide con il centro del mondo, tutte le altre che le siaccalcano attorno, via via che per cerchi concentricisi risale alla superficie, attuano imperfettamente laforma e il restante conato a continuare verso il centrospiega la coesione terrestre. In tal senso una pietrache cade sulla superficie terrestre percuote il suolo enon "plana" perché la sua inclinazioneè bruscamenteinterrotta dal suo completamento e perciò continua aC< pesare" e comprimere. È dunque la potenza ema-nante dai luoghi a imporre un ordine fisico al cosmo.

Tanto che se la Terra fosse portata nello stesso luogodella Luna, ogni sua parte non si dirigerebbe verso laLuna ma tornerebbe a convergere verso il centro delcosmo. I1 cosmo aristotelico è cioè omocentrico insenso forte e rnetafisico: pensare un universo policen-

trico è quanto dire distruggere la sua fisica e metafisi-ca. Se il mondo sublunare si potesse conservare inquiete, gli elementi rispetterebbero costantementel'ordine imposto dai loro luoghi naturali, e i corpimanterrebbero le rispettive distanze dal centro delmondo. Ma essendo tali luoghi, a differenza delle sfe-

re solide celesti, delle semplici regioni sferiche comu-

nicanti tra loro, gli elementi, finché possono, stazio-nano entro di esse, ma se vengono allontanati damoti innaturali prendono a mescolarsi reciprocamen-te dando origine, per affinità od opposizione delle lo-ro qualità, a tutta una serie di fenomeni terrestri emeteorici, e al costituirsi di aggregati momentanei odurevoli destinati comunque a una finale separazionee corruzione.

Tale concezione ha un'importanza determinantenella teoria del moto dei corpi: il corpo diversifica ilsuo comportamento a seconda della regione di spazio

in cui si trova e della sua composizione interna. Nelmondo sublunare, i corpi sono infatti soggetti a moticonformi alla loro sostanza temporanea e corruttibile,

cioè i moti rettilinei che, essendo per natura finiti, as-sumono direzioni e traiettorie temporanee e variabilie di velocità difforme. I corpi semplici hanno per na-

tura moti rettilinei verso il basso o verso l'alto e acce-lerano per la crescente inclinazione a raggiungere illoro luogo e il loro stato naturale di quiete. I corpi

composti da più elementi assumeranno il moto natu-rale dell'elemento prevalente fino a raggiungere an-

ch'essi la quiete. Dunque due categorie di moti natu-rali, opposti di verso e di significato ontologico: dalcentro verso l'alto del mondo, dall'alto verso il centrodel mondo. Ad essi si aggiunge un'altra serie di moti,quelli violenti o contro natura, cioè quelli dei corpi cheun agente esterno costringe a rimanere o dirigersi,finché l'azione violenta perdura, all'interno o ve o1un luogo che non gli è proprio, come il lanciare n

alto una pietra o uno spruzzo d'acqua o come torceie

verso terra una fiamma o soffiare fumo verso il bas-

so. Moti innaturali che la natura si affretterà a ripor-tare alla regola riaccelerando la caduta della pietra edell'acqua o risollevando rapidamente la fiamma e ilfumo. Naturali o violenti che siano, i moti non sonoconnaturati ai corpi sublunari, ma sono traslazionitemporanee imposte per spostarsi quanto prima daun luogo contro natura a un luogo per natura in cuiricollocarsi in quiete. Connaturata ai corpi sublunariè la quiete, poiché i loro moti, svolgendosi in sensorettilineo e in uno spazio finito, hanno sempre un ini-zio e una fine.

Diverso è il caso dei corpi celesti che, esenti damovimenti interni di alterazione qualitativa, hannol'essenza ingenerabile, inalterabile e incorruttibile del"quinto elemento", privo di pesantezza e leggerezza edunque di tendenza al moto verso l'alto o verso ilbasso. Dunque un elemento perennemente sospesonelle regioni superiori e costitutivo delle sfere celesti,la cui inclinazione al moto è di assimigliarsi ciascunaal proprio luogo contenente, cioè la sfera superiore,fino all'ottava, la quale, a sua volta, tende ad assimi-

gliarsi alla divinità. Tale tendenza alla simiglianza si

esprime, come in Platone, nel moto di traslazione cir-

colare uniforme, l'unico che possa svolgersi con con-

tinuità infinita in un universo sferico e perciò finito, el'unico che, diversamente dai moti rettilinei tempora-nei e opposti, ritornando in sé, può congiungere ini-zio e fine conservando eternamente una traiettoriasenza opposti. Questo eterno ritorno su di sé è unasorta di traslazione attraverso l'identico che l'ottavasfera assume nel desiderio di assimilarsi e assomiglia-re col proprio moto all'immobile identità divina, mo-to che poi si ritrasmette per via di successiva imitazio-ne ai cieli inferiori. Questo è il principio metafisico

del movimento universale la cui causa somma è unessere divino che, dice Aristotele ((muovecome un es-sere amato, e mediante ciò che è mosso muove le al-

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 PensierI

!o scientifico e immagini del mondo dal tardo- antico a Newton

tre cose» e da cui ((dipende il cielo e la natura)). In

tal senso è "motore immobile", immobile perché, pu-ro intelletto in atto che si rispecchia nella propria in-tellezione, non ha necessità di muoversi verso l'altro

da sé; motore perché questo suo stato di perennecontemplazione e immobile bellezza attrae a sé ogni

realtà sottostante e attraendola la muove a sé comeun essere amato. Ma il moto per amore non è chel'effetto fisico di un'attrazione intellettiva, che presup-pone un'attività intelligente. Da ciò la postulazione,in Aristotele, delle "intelligenze celesti" ciascuna delle

quali è preposta a una singola sfera. Solo in quantosostanze capaci del moto intellettivo di attrazione essepossono indurre i cieli, come loro strumenti fisici od<<organi", a tradurlo in moto di traslazione circolare.In tal senso le intelligenze celesti, "intendendo", cioèesercitando un'attività speculativa, muovono. Mossidal moto speculativo delle intelligenze i cieli, come

cause seconde, a loro volta muovono di moto fisicol'intera natura, talché l'insieme dei moti universali sirisolve in un unico tendere al loro primum movens co-me causa prima.

Dal motore immobile dipende quindi il movimen-to universale per effetto della tendenza di ogni cosaad assimilarsi al proprio luogo naturale, una sorta dicatena causale a cascata che termina nella natura icui processi di mescolamento dei corpi, di nascita ecorruzione, del divenire, insomma, non è che la risul-tante anche qui della perenne agitazione di luogo in

luogo. Se la dinamica degli elementi è regolata dallequalità della leggerezza e pesantezza assolute, la loroazione e combinazione reciproca è regolata dai feno-meni di affinità o repulsione tra le rispettive qualitàprimarie (caldo, freddo, secco, umido), che sono i veriprincipi attivi dei processi naturali conseguenti all'in-

contro tra elementi eterogenei nella loro traslazioneverso i luoghi naturali. Ciascun elemento o "corposemplice" è dotato di una coppia diversamente com-

binata delle quattro qualità primarie: il fuoco è caldoe secco, l'aria è calda e umida, l'acqua è fredda eumida, la terra è fredda e secca. Tutti gli altri corpi

sono detti "composti" perché derivano dalla mesco-lanza (mixtio) di tutti o alcuni degli elementi, mentrele loro proprietà specifiche sono cohseguenza sia deglielementi che entrano nella mixtio, sia della quantitàrelativa in cui vi concorrono, sia, soprattutto, dallequalità primarie che finiscono per risultare prevalenti.È difatti il diverso rapporto con cui si combinano lequalità primarie che costituisce il temperamento (tem-peramentum) di ciascun corpo, che ne caratterizza lacosiddetta complessione (complexio) vale a dire la suaspecifica costituzione naturale e la conseguente capa-cità di azione. In tal senso la fisica dei corpi è unafisica non quantitativa ma qualitativa. I processi digenerazione e corruzione delle sostanze sublunari

sono regolati dai principi metafisici delle quattrocause (materiale, efficiente, formale e finale) e daquelli di potenza e atto e di materia e forma. Unasostanza è prodotta in essere da una sostanza già inatto (causa efficiente), che conferendo a una materiain potenza (causa materiale) la sua forma specifica le

trasmette un principio interno che, come vis a tergo,ne stimola e guida lo sviluppo verso un fine (causafinale); tale fine è da attuarsi in conformità a unmodello ideale (causa formale) che è preesistente alprocesso e lo regola come vis a fronte. Attraversoquesto evolversi progressivo dalla potenza all'attol'originario composto (o sinolo) di materia e formasi costituisce in individuo perfetto. Ma trattandosi disostanza sublunare essa andrà incontro a ulterioriprocessi del divenire, che Aristotele individua neimovimenti qualitativi dell'aumento, dell'alterazionee della diminuzione, movimenti che non sono come

quello esterno di traslazione nello spazio, ma chemuovono e variano la sostanza al proprio interno eche ne provocheranno la crescita, la maturazione ela decrescita fino alla senescenza e la morte. Genera-zione e corruzione sono dunque i limiti della per-sistenza dei corpi sublunari. I1 regno celeste è perAristotele sottoposto alle leggi del De coelo e del-l'astronomia, quello terrestre alle leggi della Physicae del De generatione et corruptione: quindi due sta-tuti diversi per due regni diversi.

Parlare così a lungo dell'immagine aristotelica

del mondo equivale a parlare dell'immagine che, inte-grata ma non mutata dai successivi apporti dellascienza alessandrina e dalla teologia cristiana, rimarràpatrimonio dei popoli di Europa fino al XVII secolo,come quella prevalente e accreditata di un indiscussofondamento "scientifico".

3. ETA ELLENISTICA E TARDO-ANTICO

Dalla cfsmologia alla teologia cosmica: l'incontro delpaganesimo con le teologie astrali d'oriente, la cosmo-logia ebraico-biblica e il Cristianesimo

Sin dalle origini con il dominio subito dalle grandimonarchie asiatiche di Ciro e di Dario (VI-V secolo)e poi con la conquista macedone (IV secolo) e il co-stituirsi dei regni ellenistici nei secoli successivi laGrecia era entrata in ripetuti e vasti contatti con le

civiltà e le religioni orientali in particolare di Egitto,Siria e Persia. Un processo iniziato proprio in conco-

mitanza con il sorgere dei grandi sistemi cosmologicidi cui abbiano parlato. Con l'avvento del dominio dei

Romani in Oriente a partire dal I1 secolo a.C., cul-

minato con la massima espansione dell'impero allametà del 111secolo d.C., l'intera civiltà greco-romana

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Un sistema più sofisticato dell'eccentrico per risolvere,oltre il problema della variazione delle distanze, anche

la maggiore delle anomalie riscontrate nelle orbite pla-

netarie - cioè quella della retrogradazione dei pianeti

(B), che periodicamente apparivano compiere una gi-

ravolta della loro orbita (1,2,3,4) a forma di cappio

(2,3) - fu quello ad epicicli e deferenti adottato da To-lomeo e ideato secoli prima da Apollonio e Ipparco.

Nella forma più semplice questo nuovo sistema teoriz-

zava una diversa meccanica delle orbite dei pianeti

(A), che risultavano dalla composizione di due cerchi,

uno più grande detto deferente, il cui centro C coinci-deva con il centro del mondo, e uno più piccolo, con

raggio diverso a seconda dei pianeti, detto epiciclo, il

cui centro era fissato sul cerchio rotante del deferentee sulla cui circonferenza ruotava il pianeta. Deferente

ed epiciclo avevano senso inverso di rotazione. Varian-do opportunamente sia i raggi sia la velocità di rota-

zione del deferente e10 dell'epiciclo, questo sistema a

due cerchi riusciva a simulare i moti reali dei-pianeti,

compresa l'anomalia della retrogradazione (A). Così

pure, per effetto della rotazione attorno al centro del-

l'epiciclo, il pianeta si trovava a transitare in alcuni

momenti all'esterno e altri ali'interno del deferente,

sicché la sua distanza dalla Terra poteva variare perio-dicamente, dando così ragione di un fenomeno che il

sistema omocentrico di Eudosso e Callippo non era

riuscito a spiegare. Ulteriori risultati, nell'approssima-re il modello geometrico alle osservazioni, Tolomeo egli astronomi successivi ottennero rendendo eccentrico

il deferente, cioè non facendo coincidere il centro Ccon la Terra. I1 sistema deferente-epiciclo era in realtà

una soluzione geometrica ex hypothesi, potente e dutti-le per poter prevedere il moto e le posizioni successive

dei pianeti e dar conto dei fenomeni celesti, ma che

per alcuni risultava fisicamente incompatibile con il

modello delle sfere concentriche e solide e che, pertan-to, non poteva essere considerato come reale. Tolomeo

comunque ritenne fisicamente realizzabile questo mo-dello e lo riprese e perfezionò, introducendo alcune

varianti, come I'equante, per giustificare altre irregola-

rità, per quanto minori.

fu coinvolta in un rapporto di egemonia politica mainsieme di complessa e reciproca penetrazione con le

culture e religioni orientali. Punto di massimo incontrotra le culture del bacino del Mediterraneo e quelle del

Medio ed Estremo Oriente fu Alessandria d'Egitto, un

fiorentissimo centro di elaborazione e di espansionedei maggiori filoni di pensiero filosofico, scientifico e

religioso sino dall'età ellenistica a quella cristiana. Nonfu un caso che proprio dalla grande scuola scientificadi Alessandria provenisse Claudio T o l o m ~ a s t r o n o -

mo, matematico e geografo greco, nato a Pelusio nel I1

secolo d.C., che completò, in modo che per secoli ap-parve insuperabile, il sistema cosmologico di Aristote-

le. È appunto per la immediata contiguità con questosistema che abbiamo poco sopra delineato che è op-portuno darne conto subito a dispetto della sua collo-cazione cronologica. Egli scrisse il più grande trattato

di astronomia matematica dell'antichità, tramandatocon il titolo greco di Grande [in gr.: megàle] ordina-mento matematico di astronomia. Esso rappresentò un

supporto capitale aii'affermazione della cosmologia a-

ristotelica come vera immagine scientifica del mondo eproprio alla sua enorme fama e diffusione si deve iltitolo abbreviato più conosciuto di Almagesto, che è ilrisultato del passaggio dalla traduzione greco-araba a

quella arabo-latina e da questa all'italiano. I1 titolo la-tino Almagestum (o Almagesti) è infatti derivato dalla

trascrizione fonetica della parola araba al-Magisti chea sua volta traduceva il superlativo (meghìste) dellaprima parola (megàle) del titolo originale greco, cioènon più "La Grande" ma addirittura "La Grandissi-ma". per antonomasia. Ampiamente famoso già daiprimi secoli dell'era volgare e commentato da Pappo,

Teone Alessandrino, Proclo, e sebbene non ignoto al-

l'alto Medioevo, esso si diffuse soprattutto in ambientearabo, con una prima traduzione risalente al IX seco-lo. Le traduzioni latine risalgono invece al XII secolo,

la prima direttamente dal testo greco, compiuta in Si-cilia da un autore anonimo attorno al 1160, la secon-da, di alcuni anni posteriore (1175), condotta sul testo

arabo da Gerardo da Cremona e destinata, nonostantela provenienza indiretta, a soppiantare la precedente.

Parimenti diffusa fu la traduzione latina del compen-dio che ne aveva fatto l'astronomo arabo al-Farghani(volgarizzato in Alfragano), con il titolo di Liber de

aggregatìonibus scientiae stellarum et principiis coele-

stium motuum.

L'ingresso del trattato tolemaico nell'occidente la-tino agì come un incomparabile strumento di rinno-vamento e ammaestramento tecnico dell'astronomia,

e come tale aggiunse un corredo scientifico decisivo agiustificare quella che nel De coelo aristotelico era in

gran parte una teoria filosofico-descrittiva del cosmo.Tolomeo tornò sulle più ardue questioni tecniche nonrisolte dal sistema di Eudosso, neppure nella revisione

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1 Pensiero scientijico e immagini del mondo dal tardo-antico a  Newton

compiuta dal contemporaneo Callippo, che aveva au-

mentato le sfere omocentriche a 33, revisione accoltada Aristotele, che a sua volta pensò bene di aggiunge-

re altre quindici sfere. Tolomeo per spiegare le ano-

malie planetarie evitò il ricorso a un così gran nume-ro di sfere omocentriche adottando un diverso

sistema e, per meglio spiegare la rotazione inversa tramoto annuo e moto diurno, introdusse una delle più

importanti novità nella struttura gerarchica dei cieli,ipotizzando l'esistenza di una nona sfera, o Primomobile, posto al di sopra del cielo delle stelle fisse conil compito di trascinare di moto diurno l'intero siste-

ma. Tutte le sfere inferiori, a loro tolta, avevano unmoto proprio che si combinava con quello della nonasfera. In particolare, al cielo delle stelle fisse venivaattribuito il moto lentissimo di precessione degli equi-

nozi, calcolato in un grado ogni cento anni, mentre icieli planetari avevano come proprio il moto annuoda ovest a est. Quanto alle anomalie delle orbite pla-

netarie Tolomeo, oltre che compiere una quantità dinuove osservazioni, adottò un diverso sistema, dettoa epicicli e deferenti, ideato secoli prima da Apollonioe Ipparco. Nella sua forma più semplice questa nuovameccanica dei pianeti, fondata su una diversa geome-tria delle orbite e sul calcolo delle rispettive velocitàdi rotazione, consisteva in due cerchi, uno più grandedetto deferente, il cui centro coincideva con la Terra,e uno opportunamente più piccolo, a seconda dei pia-neti, detto epiciclo, sulla cui circonferenza ruotava ilpianeta e il cui centro era fissato sul cerchio rotantedel deferente. Variando opportunamente sia i raggi

del deferente e10 dell'epiciclo, sia il verso e10 la velo-

cità di rotazione di ambedue, questo sistema a duecerchi riusciva a simulare meglio i moti reali dei pia-

neti, compresa l'anomalia della retrogradazione. Così

pure, per effetto della rotazione attorno al centro del-l'epiciclo, il pianeta si trovava in alcuni momenti al-l'esterno e in altri all'interno del deferente, cioè la suadistanza dal centro di esso (la Terra) poteva variareperiodicamente, dando così ragione di un fenomenoche il sistema omocentrico di Eudosso e Callippo nonera riuscito a spiegare. Il sistema deferente-epiciclo sidimostrò uno strumento potente e duttile per poterprevedere il moto e le posizioni successive dei pianeti.Tolomeo riprese e perfezionò questo sistema, intro-

duce~doalcune varianti per giustificare altre irrego-

larità, per quanto minori. Una di esse fu quella di

combinare una precedente soluzione della anticaastronomia, quella dell'eccentrico (per cui il centrodell'orbita planetaria non coincideva con la Terra)con il deferente che diveniva, cioè, esso stesso eccen-

trico rispetto alla Terra. Sicché sia l'epiciclo che il de-

ferente non avevano più come centro la Terra. Maquanto più il sistema si complicava, tanto meno giu-

stificava una delle maggiori irregolarità, cioè la va-

riazione di velocità nel periodo dei pianeti osservatidalla Terra. I1 che ostava a uno dei due postulatidell'astronomia antica, cioè che il moto dei corpi cele-

sti, oltreché perfettamente circolare, doveva essereanche perfettamente uniforme. A tal fine Tolomeointrodusse il cosiddetto equante- cioè un punto in-terno al deferente ma spostato sia rispetto al centro

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- del deferente sia rispetto al punto in cui Tolomeoimmaginava collocata la Terra e osservando dal qualeil moto del pianeta risulta uniforme. L'equante, cioè,"rendeva eguale" il moto di ogni pianeta. Ma in talmodo la Terra non conservava più la sua centralitàgeometrica, come richiesto dalla cosmologia aristote-lica, e in più il punto equante risultava un puro artifi-cio matematico e non un punto "fisico':. Di qui ilcrescente distacco tra modello fisico-cosmologico e si-stema tolemaico. Un sistema che, quanto più mirabil-mente si approssimava a simulare i moti apparentidei pianeti senza voler smentire i postulati dell'astro-nomia, tanto più accresceva gli artifizi geometrici per

rispettare ambedue le due esigenze. Artifizi di sommaperizia matematica, in quanto risultanti da un com-

plesso montaggio di cerchi perfetti e di moti unifor-mi, cioè in perfetta coerenza con i postulati dell'astro-nomia e con il geocentrismo. Coerenza che tuttaviaaveva alti costi in termini di complessità del sistema,tali da rendere poco credibile la sua effettiva esistenza

in natura. Tra modello geometrico e modello fisicodel mondo la distanza si accresceva, tanto che quellogeometrico fu piuttosto considerato un modello exhypothesi, cioè che giustificava per via di ipotesi ma-tematica il modello fisico della cosmologia aristoteli-

ca. Del resto fino in età moderna matematica e fisicapoggeranno su principi e statuti differenti, astratti eideali la prima, concreti e reali la seconda. Ma questa

IL'idea deli'equante è invenzione di Tolomeo. Dopo

, aver wstruito, pur con moti nniformi e cerchi per-fetti, la teoria planetaria degli epicicli e deferenti, e-gli dovette constatare che, calcolata sia rispetto ai

loro centri geometrici D sia rispetto alla Terra, la

velocità dei pianeti risultava non uniforme, il che de-rogava dal cosiddetto postulato platonico della uni-

formità dei moti celesti. Egli allora cercò di rimedia-'

re a questa grave incoerenza supponendo che i moti

planetari risultavano uniformi se misurati non dalcentro geometrico D o dalla Terra, ma da un punto

E, situato sulla linea degli absidi (cioè sulla linea che

congiunge apogeo e perigeo) dalla parte oppostadella Terra rispetto al centro D del deferente. E que-

sto punto E fu chiamato perciò punctum aequans,

cioè un punto ideale di osservazione che renderebbe

uniforme o eguale (aequus) il moto dei pianeti. In

altri termini, non è la retta DB, congiungente il cen-

tro D del deferente con il centroC 

dell'epiciclo, chepercorre angoli eguali in tempi eguali, ma la retta

EV partente da un punto immaginario E scelto solo

per tale ragione, cioè per pure esigenze di teoria ma senza giustificazione fisica o cosmologica. La teoria dell'equante fu perciò

considerata uno degli aspetti più artificiosi e più deboli della astronomia tolemaica e come tale duramente criticata da Coperni-

co e dai copernicani. L'equante non era infatti un punto fisico ma del tutto ideale e geometrico, scelto al solo fine di farcorrispondere i calcoli con i postulati della teoria. Nella teoria eliocentrica, viceversa, il vero punto equante, da cui le orbite

1 apparivano realmente circolari e uniformi diveniva il Sole, cioè un punto fisico e centro reale del sistema planetario.

considerazione sulla convenzionalità dei sistemi astro-nomici, quanto più l'architettura geometrico-matema-tica sembrava distaccarsi dalla struttura più semplicepostulata dalla cosmologia, non sembra che fossecondivisa da Tolomeo. Egli, infatti, in un'opera sco-nosciuta al Medioevo e riscoperta, in parte, nel XVIIsecolo e poi nel nostro secolo, cioè le Ipotesi dei pia-neti, non soltanto rivendicò la realtà della ipotesi perepicicli e deferenti, ma ne descrisse, dal punto di vista,della meccanica celeste la sua realizzabilità cosmolo-gica e fisica.

Altro carattere rilevante del sistema tolemaicoera l'impossibilità di determinare sperimentalmente

le distanze dei pianeti. Ma questa indifferenza al cal-colo delle distanze comportava che bastasse, pianetaper pianeta, che la traiettoria risultante dal sistemaper epiciclo ed eccentrico rispettasse il comporta-mento apparente dei moti, indipendentemente dallareale distanza dei pianeti tra di loro e dalla Terra.Sicché, per esempio, se la Luna avesse realmente se-guito la traiettoria attribuitale dal sistema, la varia-zione di grandezza sarebbe stata enormemente mag-giore di quella osservata. Obiettivo di Tolomeo eraanzitutto poter prevedere le "posizioni" dei pianeti,cioè che, per quanto complesso, fosse il "meccani-

smo" studiato per ciascuno dei pianeti, esso coinci-desse con "posizioni" e "tempi" rilevati dalle osser-vazioni. Di qui lo studio separato delle teorie dei

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6 Pensiero scientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

pianeti, che fu metodo corrente dei tantissimi succes-sivi trattati intitolati appunto Theorica planetarum,cioè studio delle singole teorie dei pianeti e non delsistema nella sua unità. Se infatti le teoriche dei varipianeti fossero state riunite in un sistema unico, co-

me rileverà Copernico, il mancato calcolo delle di-stanze relative avrebbe comportato una totale diso-

mogeneità e disarmonia tra le parti del cosmo. Inogni caso la comunanza di presupposti con la co-smologia di Aristotele, la totale accettazione dellasua fisica e dinamica (sulla cui base Tolomeo rifiutònell'Almagesto l'ipotesi della mobilità della Terra),l'aver fornito la massima giustificazione matematicadella visione geocentrica del mondo, legò per secoliil nome di Tolomeo a quello di Aristotele, dandoluogo a quella visione tolemaico-aristotelica delmondo, cioè ad un tempo astronomica, fisica e

metafisica, che rimase dal tardo Medioevo quella do-minante in Europa e considerata come attuale finoagli inizi del XVII secolo. Ma va anche ricordato cheTolomeo fu autore di un altrettanto celebre e diffusis-simo trattato di astrologia, il Tetrabiblos o Quadripar-

titum, che ben interpreta, in paralleloall'Almagesto,

un doppio e complementare modo in cui l'antichitàconsiderava la volta celeste: da un lato la teoria ma-tematica delle leggi che regolano i movimenti dei cor-pi celesti, dall'altro la teoria dei poteri "fisici" chequesti corpi esercitano. In quanto corpi animati, l'e-nergia che li anima non si esprime solo in traiettoriecicliche, ma in "influenze" sul mondo sublunare cheda essi dipende. In concomitanza con i fenomeni cele-sti, con i transiti astrali, altri fenomeni avvengonosulla terra e nell'aria, e di queste sincronie ha compi-to individuare ragioni e ritmi l'astrologia. Essa è

Una intepretazione prevalente a proposito delle costruzioni geometriche della astronomia, sostenuta ancora nel '500 da Osianderper negare significato reale al sistema di Copernico, era che, proprio perché fondate su ragionamenti matematici, tali costruzionifossero semplici teorie ex hypothesi senza pretesa di corrispondere alla realtà fisica dei fenomeni celesti. Un'interpretazione piùvolte ripetuta anche a proposito della teoria tolemaica dei deferenti e degli epicicli, per la sua apparente incompossibilità colmodello fisico delle sfere solide. In realt&, come risulta da un trattato di Tolomeo sulle  Ipotesi dei pianeti, sconosciuto aimedievali e riscoperto parte in greco (nel 1620) e parte in arabo (nel nostro secolo), per l'astronomo alessandrino il valore dellesue ipotesi astronomiche era quello di una reale descrizione dei moti planetari, e cioè che la teoria degli epicicli e dei deferentipoggiava su una incontestabile verità fisica. I1 meccanismo capace di riprodurre il moto dei pianeti quale risultava dal modello

epiciclico esposto nell'Almagesto, è appunto spiegato da Tolomeo nelle  Ipotesi dei pianeti, ed è qui illustrato, a proposito deimoti del Sole (sopra) e di Mercurio (sotto), dalla ricostruzione che ne ha fatto lo studioso di astronomia antica 0.Neugebauer

(in A History of Ancient Mathematical Astronomy, 3 voll., Berlino-Heidelberg-New York 1975, p. 1403 fig. 91, p. 1404 fig. 93).Come si vede si tratta di sfere solide, con una sfera centrale omocentrica, contornata da altre eccentriche, di cui quelle atratteggio uguale hanno moto di rotazione identico attorno a un rispettivo centro comune. Questo meccanismo consente che le

sfere, seppure eccentriche, abbiano un rotolamento interno simultaneo che non altera l'assetto reciproco. Anzi, vincolate come

sono, il moto della prima non può che trascinare con sé anche le altre, mantenendole attorno ai relativi centri.

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scienza al pari dell'astronomia, è scienza dell'armoniacosmica, delle immutabili leggi con cui ciclicamentegli astri si congiungono e disgiungono, in un giococombinatorio di forze che governano l'avvicendarsidelle stagioni, il variare delle piogge: dei venti, delle

siccità, delle inondazioni, insomma del convulso dive-nire della natura e anche dell'uomo, alla cui nascita

segnano con i loro caratteri la sua indole e il suo de-

stino. Un tema questo che in Tolomeo rimane entro ilrigore della sua alta qualità di astronomo, ma che erapatrimonio diffuso di una assai corrente manualisticaastrologica, più popolare e marcatamente esoterica,segno di una profonda penetrazione nel paganesimodi antichi culti astrali di origine egiziana e caldea.Una religione astrale che gradualmente impronta disé la stessa cosmologia scientifica greca.

Tutto ciò era l'effetto del massiccio accentrarsi

sulla tarda civiltà greco-romana di nuove o rinnovate

influenze orientali che avevano sollecitato, nelle stessefilosofie colte tardo-pagane, il riemergere o il poten-ziarsi di elementi già latenti dalle origini. È il caso delneopitagorismo, in rinnovato rigoglio tra repubblica eimpero, con Ocello Lucano (11-1secolo a.C.), NigidioFigulo (98-45 a.C.), Nicomaco di Gerasa (I secolod.C.). Sin dalle origini legato a interessi per l'astrolo-

gia caldea e i computi astronomici babilonesi, il pita-gorismo aveva sviluppato una forma di religioneastrale come l'orfismo, per molti aspetti debitrice di

miti orientali, con la dottrina della comune originedegli astri e dell'anima umana destinata, dopo la ca-duta e successive reincarnazioni, alla definitiva im-

mortalità stellare. Pur concepito all'interno dell'astro-

nomia scientifica greca, il cosmo pitagorico avevaassunto caratteri suoi peculiari, come la centralità delfuoco-sole, molti secoli più tardi richiamata a soste-gno dai fautori dell'eliocentrismo, o la teoria dualistadel mondo, suddiviso tra il celeste regno stellare equello dell'aria e dei venti, turbinoso purgatorio at-mosferico per la purificazione delle anime e regionedel penoso "ciclo delle esistenze", dualismo che si in-

tegrerà, mescolato ad analoghi temi neoplatonici, nel-la soteriologia cosmica cristiana. Così pure la specu-lazione sulle misteriose consonanze combinatorie deinumeri, della geometria e delle corde vibranti, daràluogo alla connessa teoria dell'armonia cosmica emusicale delle sfere celesti, anch'essa destinata a largafortuna, come supporto della esegesi cristiana sul si-gnificato figurale della numerologia biblica e sul mi-rabile corrispondersi delle opere della creazione.

Tema dell'armonia cosmica su cui convergeva an-

che un'altra delle grandi filosofie ellenistiche, lo stoi-cismo, con la dottrina del logos-pnèuma, come forzaordinatrice del mondo sensibile. I1 logos-pnèuma è

uno "spirito" o "respiro" del cosmo, un etere sottileche riempie il cosmo e pervade tutti i corpi e vi giace

nascosto come calore-energia. Misto di aria e fuocoesso è dunque onnipervasivo, mobile ma anche atti-vo e, come tale, intelligente. Congenere alla luce so-

lare esso infatti ha, come il sole, autonome capacitàgerminali, capacità di sollecitare e produrre in essere

le più diverse cose secondo un loro specifi o princi-pio razionale che le guidi al compimento. $

 

erciò nelIògos-pnèuma sono presenti i cosiddetti 1ògdi sperma-tikòi o "ragioni seminali" di tutte le cose,,cioè prin-

cipi dotati, come un seme, di una intelligenza germi-

nale, cioè di una "idea" o "ragione fabbricatrice"specifica per ciascun essere. La pienezza elastica del-lo pneuma, che trattiene il cosmo in tensione unita-

ria, in uno stato vibrante e tonico come un animalevivente, è al contempo capace di mantenere in ordi-ne gli esseri che produce e che alimenta di sé. Maquesto cosmo, per gli stoici, assertori della dottrina

del fato astrale e dell'eterno ritorno, è destinato adistruggersi e rinnovarsi ogni 36.000 anni (il cosid-detto "grande anno"), dopo che i cieli e i planeti siritroveranno, compiuti i loro innumerevoli cicli an-

nuali, nella stessa posizione dell'anno di origine.Una formulazione diversa da quella degli stoici, ecorretta sulla base della dottrina di un sapiente babi-

lonese (Beroso), si pensava che ad ogni compimentodel grande anno, il cosmo sarebbe stato distrutto, al-ternativamente, da una inondazione e da un incen-dio universale (ekpyrosis) per poi iniziare di nuovo

l'identica successione di eventi, di individui, di feno-meni naturali del ciclo precedente.La dottrina del logos si era trasmessa grazie allo

stoico Posidonio di Apamea (135-51 a.C.) e Antiocodi Ascalona (I secolo a.C.), non solo nella filosofiagiudaico-ellenistica, in particolare dell'ebreo ellenizza-

to Filone di Alessandria (ca. 20 a.C.-ca. 50 d.C.), maanche nella tradizione medioplatonica dei primi duesecoli dell'era cristiana e nello stesso neoplatonismo,corrente eminentemente sincretica, che compose in si-stema elementi platonici, pitagorici, stoici e di deriva-

zione orientale. Imbevuto di sapienza orientale era

del resto il maestro di Plotino (205-270), iniziatore delneoplatonismo, ultima grande scuola filosofica greca,in cui confluiscono temi luministici di trasparente ori-gine mazdea zoroastriana e della religione solare dalungo imperante nel paganesimo romano. Luministicainfatti è la reinterpretazione che Plotino fa della co-

smogonia platonica. La creazione del cosmo che Pla-tone delega alla capacità fabbricatrice e plasmatricedelle "mani" del Demiurgo e dei suoi dèi-figli, Ploti-no la risolve nella potenza demiurgica intrinseca al-l'energia della luce che si espande in un processo inin-terrotto e degradante di ipostasi, di "solidificazioni"o "entificazioni" della luce. Il mondo nasce da un"traboccamento" di luce dall'uno, già di per sé pri-ma immobile ipostasi della luce, come dal capo del-

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"tempio", la volta celeste diviene così la proiezionedivinizzata e ipostatica di una monarchia asiatica e,per converso, lo Stato politico e i suoi reggitori di-vengono un'estensione naturale e organica dello statocosmico, alle cui leggi cicliche di nascita crescita etramonto non possono che soggiacere. Non è un caso

che, al termine dell'età ellenistica, le legioni di Cesarerecassero sui propri vessilli il Toro, costellazione elet-tiva di Venere, considerata capostipite astrale dellagens Julia, mentre Virgilio, nella IV ecloga ("sibilli-no" punto di incontro, per gli interpreti che ne discu-tono da secoli, di influenze etrusche, neopitagoriche,stoiche, egizie, iranico-caldaiche, giudaiche e persinocristiane) celebri con potente messianismo astrologicoil rinnovarsi del ciclo cosmico con la nascita di unrampollo di genitura celeste. Una genitura astrale dicui Augusto non mancò di blasonarsi, pubblicando ilproprio oroscopo e battendo moneta con inciso ilproprio segno zodiacale, il Capricorno. Culto stellaree solare conferiscono alle forme tradizionali della reli-giosità pagana un nuovo e più profondo radicamentocosmico, e la scienza astronomica offre una ragione"scientifica" come fondamento delle credenze religio-

se e come legittimazione del potere. Un segno tra itanti di questo radicamento cosmico sia della religio-

ne pagana che del potere imperiale è il rifacimentonel 125 d.C., forse opera di un greco damasceno, deltempio del Pantheon edificato da Agrippa nel 27 a.C.e che Adriano volle sovrastato da quello che lo stori-

co Dione Cassio chiamò una ((allegoria del cielo)),cioè una cupola a volta emisferica, punteggiata da ro-

soncini a forma di stelle, culminante con l'ampio oc-

chio centrale da cui irrompe la luce solare. Simboli-smo non casuale, dal momento che le divinità grechee romane si erano andate via via identificando con ildio Sole, e il culto solare di Mitra, penetrato dall'O-riente già nella seconda metà del I secolo d.C., si erapropagato, in larga misura come religione dell'eserci-to, in tutto il territorio dell'impero, finché nel I11 se-colo sembrò sul punto di eclissare sia il Cristianesimosia la stessa ideologia delle classi colte pagane, il neo-

platonismo. Ma accanto al culto di Mitra, la diasporairanica, analoga a quella giudaica, portò con sé tenacinuclei di diffusione di religione mazdea o zoroastria-na, il cui radicale principio dualistico tra divinità delbene e del male, tra potenze demoniche della luce edelle tenebre, si ritroverà nelle cosmogonie gnostiche(in specie quelle di Basilide, Valentino e Marcione,1-11secolo d.C.), e in quelle ermetiche. Un principiodualistico che affiora anche nella letteratura cabalisti-ca e giudaica e, seppur depurato della sua radicalitàmetafisica, nella stessa letteratura cristiana, canonica

e apocrifa, prefigurando quella opposizione cosmolo-gica tra potenze luminose e salvifiche dimoranti nelleregioni eteree e celesti, e potenze infernali rinchiuse

nelle buie cavità della terra, che darà luogo a un nuo-vo modo di percepire, secondo una polarità etico-reli-giosa, lo spazio cosmico della cosmologia greca. Granparte delle visioni e credenze più o meno ortodossedel Medioevo conserveranno del resto una topografiadualistica e oppositiva del mondo, tra inferi e cieli,

tra potenze sataniche e angeliche, al cui fondo soggia-ceva questo elemento maniche0 di tradizione mazdea.

Tutto questo insieme di dottrine e tendenze filoso-fico-religiose eterogenee e in ambiguo connubio traloro, convergono tuttavia in un sistema a suo modounitario. Tale sistema può essere definito come quellodi una "teologia cosmica" proprio in conseguenzadella penetrazione entro il politeismo pagano dellegrandi religioni astrali d'oriente, da quella egizia aquella caldaico-babilonese. I1 cosmo della astronomiagreca, già abitato da energie intelligenti, da cieli ani-mati dall'attrazione del motore immobile o dalla cin-ta vivente dell'anima del mondo, diviene un tempiocosmico abitato da divinità astrali, carico di simbolied elementi di lontane teologie "barbare".

Ma un'altra e diversa cosmologia interferisce conquesto sistema, quella ebraico-biblica dovuta alla pre-senza di forti nuclei di cultura giudaica e dall'espan-sione crescente del Cristianesimo. L'antica cosmolo-gia ebraica, quale può dedursi da testi compositi percronologia e provenienza come quelli dell'Antico Te-stamento, non presenta certo i caratteri di sistematici-tà e di ordine che il modello desunto dalla geometria

aveva conferito all'astronomia e alla cosmologia gre-ca. Essa ha piuttosto i caratteri più indefiniti delle co-

smologie desunte dalle strutture del "quotidiano" e,in questo caso, dall'organizzazione dello spazio uma-no. I1 mondo è la "casa" di Dio, un "edificio" cheospita al suo interno uomini e cose. La istintiva tri-partizione in una parte inferiore "sotterranea", unamedia "sovraterrena" e una superiore "sovraceleste",è percepita in analogia con la struttura di un'anticacasa ebraica: il magazzino sotterraneo comprendenteuna cisterna per la riserva di acqua; il piano inferiorea livello del suolo per il lavoro quotidiano e per la

servitù; il piano superiore, poggiante sul "soffitto"dell'inferiore, destinato a dimora e soggiorno del pa-drone di casa e a sua volta sovrastato da una terraz-

za, dove spesso era collocato un padiglione o altanaper sostare durante la ore di calura. Analogamentel'edificio cosmico ebraico è immaginato avere nellecavità sotterranee la sceòl, un'immensa caverna-serba-toio delle anime vaganti dopo la morte, sottostante laterra, e ricavata nelle profondità di una chiostra dialtissime "montagne eterne". Sopra la sceòl e contor-nato dall'enorme camera cosmica formata dalle pareti

di queste montagne, giaceva il"

piano terra"

o pianoinferiore dell'edificio. Esso era costituito dalla piatta-forma galleggiante e tonda della terra abitata dai

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t scientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

il cui "ombelico" o centro era Gerusalem-

me, e circondata dal cosiddetto mare abissale, o abis-so grande, perché l'avvolgeva al di sotto riempiendol'intero bacino. Mare che era detto anche inferiore,in opposizione a quello superiore o celeste. Sulle altis-

sime vette delle montagne eterne poggiava infatti una

lastra cristallina e lucida del cielo, denominata "fir-mamento", che, in quanto soffitto, recava gli astri vi-

sibili dalla terra, e in quanto pavimento, sosteneva ilgran mare superiore delle acque celesti che conferiva-

no alla lastra trasparente un colore azzurrino. Questomare era formato dalla raccolta cosmica delle acquedolci e fecondatrici, in opposizione al mare inferioreche era formato dalla raccolta delle acque salate e in-feconde. Come nell'androginia dei miti babilonesi,

quello del cielo era considerato il mare "maschio",quello della terra il mare "femmina". Per fecondare

la terra, le acque del mare superiore seguivano unasorta di "circuito cosmico", scendendo lungo cunicoliinterni alle montagne eterne e penetrando da sottocome vene impetuose nel mare inferiore, fino a zam-pillare sulla piattaforma della terra, dando origine al-le sorgenti, ai fiumi e a tutte le raccolte di acqua dol-ce. Altra via di provenienza delle acque dolci esuperiori era quella delle piogge, delle nevi, delle ru-giade e di tutte le precipitazioni meteoriche che, rac-colte in serbatoi celesti sulle cime delle montagne,Dio faceva cadere sulla terra riversandole attraverso"botole" o cataratte presenti nella lastra del firma-

mento e da cui, come nel Diluvio, potevano precipita-re di colpo e interamente le acque del mare celeste.Sopra il mare celeste era la dimora di Dio, il montedella casa di Dio, dove egli aveva eretto le sue altane

sopra le acque e ivi basato la sommità dell'edificiocosmico, cioè una cupola celeste che, per essere cupo-la del cielo del firmamento, fu chiamato cielo del cie-lo. In questa regione suprema dello spazio cosmico, siritenne che ci fosse, come in un mondo archetipo(conforme ai principi delle mitologie astrali d'orientema anche del Giudaismo postbiblico e del Cristianesi-mo neoplatonizzante), l'originale autentico della Pale-

stina e della vera Gerusalemme, quella Gerusalemmeceleste di cui 1'Apocalisse racconta che, giunto il rin-novamento messianico del mondo, calerà dal cieloper sostituire il suo riflesso, la sua copia imperfetta,cioè la Gerusalemme terrena. Diversamente dalla

concezionegreca, soprattutto aristotelica, della eterni-tà del mondo, e dallo stesso rinnovamento ciclico delcosmo sostenuto dagli stoici, questo elemento apoca-

littico-messianico tipico della nuova religiosità portòcon sé l'idea della fine del mondo non come annienta-mento, ma come abolizione dei due piani cosmici, co-me riassorbimento della copia nel modello. Alla fine

dei tempi il mondo diventerà integralmente il mondopromesso dei cieli.

Contaminazioni tra cosmologia ellenistica e biblica e ilcostituirsi della cosmologia medievale

Questa primitiva visione della cosmologia ebraico-

biblica andrà presto soggetta a contaminazioni conelementi della cosmologia ellenistica, da cui nacqueroibride mescolanze, talvolta differenti da scrittore ascrittore. L'esegesi cristiana della Bibbia ad opera deiPadri greci e latini e di quella talrnudica degli Ebrei,costringeva a un continuo confronto tra la "aggiorna-ta" scienza greco-ellenistica e il racconto biblico dellacreazione del mondo. Anzitutto quanto al numero deicieli (se due o sette), alla loro natura (se spirituale op-pure eterea, ignea o acquea), se fossero abitati dalleintelligenze celesti o non piuttosto dalle gerarchie ange-liche che l'angelologia cristiana aveva fissato in nove eche in conformità al numero dei cieli furono ridotte asette, e, ancora, se la loro figura e quella della terrafosse piatta come nella cosmologia ebraica o circolarecome in quella greca. Celebre è la polemica di Lattan-

zio contro la sfericità dei cieli e della Terra, da lui deri-sa per l'impossibilità di concepire un cielo sottostantela terra e uomini a "testa in giù" agli antipodi e, co-munque, condannata come anticristiana perché ne ve-deva tramutata l'immagine in quella delle sfere armil-

lari e zodiacali tanto care agli astrologi fedeli al deter-

minismo cosmico delle religioni "barbare" e astrali.

Agostino rimane alle prese su come determinare laforma del cielo, se a sfera come la cosmologia greca ose a forma di camera a volta o di pelle distesa, cometestimonia la Bibbia con immagini chiaramente echeg-gianti la concezione ebraica del "cielo dei cieli" e quel-la delle antiche cosmogonie mesopotamiche dell'otre dipelle gonfiato per separare terra e cielo. Altro proble-ma assai controverso era l'esistenza delle acque sopra-

celesti, anch'esse derivate dalla cosmologia ebraica etestimoniate dai versetti della Genesi (1, 6-7) dove è

detto che Dio pose il firmamento tra le acque, dividen-do le acque inferiori da quelle superiori. Per Ambrogio

queste acque superiori servono a raffreddare l'asse delmondo riscaldato dal perpetuo ruotare del cielo, men-tre un sostenitore della cosmologia ebraica, Severianodi Gabala (V secolo), spiegherà che è detto "firma-mento" perché Dio lo "raffermò" per effetto di uncongelamento cristalliforme, rendendolo appunto unalastra di cristallo come lastra divisoria tra le acque del

mare celeste da quello terrestre. Un secolo più tardiGiovanni Filopono W1 secolo), sostenitore della di-pendenza da Mosè degli astronomi greci, finirà peridentificare questo firmamento cristallino con la sferadel primo mobile introdotta da Tolomeo, idea che pas-sò ai teologi medievali. Da parte loro Isidoro di Sivi-

glia (570-630) e poi Beda (672-735) affermeranno che

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I Questa figura, riprodotta da uno dei più celebri atlanti cosmogra-

fici del '500, il Cosrnographicus liber di Pietro Apiano (Anversa

1 do emblematico, in dieci sfere mobili e immediatamente contigue

le varie componenti confluite, dall'antichita fino a tutto il Me

1 dioevo, nella concezione del cosmo dei popoli europei quale

stabilizzò dal XIII secolo tino all'eta moderna. Nella parte cen

 Mercurio, Venere,Sole, Marte, Giove e Saturno, concluso

1 so e suddiviso nelle dodici case dei segni zodiacali, ognuna

rispettivo simbolo, suddivisione che si ripete anche nei cieli

l Libra) a questo cielo venne attribuito, oltre il moto diu

come cristallino perché, privo di stelle, e d u n q ~ epuro e trasparente, fu così chiamato dai teologi medievali che lo identicon le acque sopracelesti che la cosmologia ebraica potieva sopra il firmamento, e perciò ritenuto di sostanza acquea e

le acque sopracelesti hanno il compito di temperarel'ardore del cielo empireo.

I1 cielo empireo (o "infiammato") è un cielo di

grande importanza nella teologia cristiana e rappre-senta, come sommo e decimo cielo sopra la nona sfe-ra cristallina, la sede dei beati e il coronamento cri-stiano di un cosmo di tradizione pagana. Esso è uncaso quanto mai tipico delle contaminazioni avvenutein età tardo-antica tra le più diverse tradizioni cosmo-logiche e religiose. Presente come dio Sole o regionedi pura luce nei miti naturalistici d'Egitto e della Cal-dea e nella religione di Mitra e dell'Estremo Oriente,

trovò il suo corrispettivo in Grecia nel cosmo pitago-rico di Filolao, con l'idea di una immobile sfera difuoco awolgente il tutto (I'Olimpo) o in quello dello

stesso Platone che nella Repubblica rappresenta l'ani-

ma del mondo come cinta luminosissima che trattieneattorno a sé il cosmo. Questo concetto, veicolatodalla koinè culturale del I1 secolo d.C., si ritrova nel-

lo gnosticismo, col Dio"

fuoco invisibile"

da cui e-mana un mondo di luce contrapposto al mondo te-nebroso della materia, concetto analogo a quellopresente in una posteriore raccolta di antichi miticaldaici, i cosiddetti Oracoli caldei, in cui questomondo di pura luce è separato dal mondo terrenoda un cielo di fiamma. I1 concetto fece ingresso nelsistema neoplatonico con Proclo (410-485), che perrisolvere il problema di dove fosse "collocato" il

mondo aristotelico, lo immaginò contenuto da unmondo di pura luce come suo typos e tòpos, cioè co-me suo "modello ideale" e "luogo contenente",

reinterpretando così la cinta luminosa dell'anima

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Pensier o scientiJ1co e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

rnundi platonica. Ma già prima Basilio di Cesarea

(330-379) aveva affermato che, prima del mondo visi-bile, Dio avesse creato fuori del tempo un mondo in-

visibile colmo di luce intelligibile, conveniente agli es-

seri amanti di Dio, nature intellettuali e acorporee.

Concetti che troviamo riformulati da uno scrittore digrande influenza nell'alto Medioevo, Marziano Ca-pella, che immagina la Filologia traversare gli immen-si campi luminosi dei cieli fino all'ultima sfera, oltrela quale trova l'autore del mondo circondato da una

luce intellettuale e da un oceano di fiamma che cir-

conda il mondo a guisa di muraglia. Dalla fusione diqueste tradizioni il concetto di cielo empireo si fissanella teologia cristiana nel IX secolo, col monaco diFulda Valafrido Strabo che affermò che il cielo delprimo versetto del Genesi non doveva intendersi comeil firmamento, ma come un cielo empyreus, cioè

igneus o intellectuale che prende il nome non dall'ar-

dore ma dallo splendore di luce e che fu subito riem-

pito di angeli.Divenuto sede di spiriti eletti e poi dei beati, questo

cielo segna la definitiva inclusione del cosmo greco en-tro la visione cristiana del mondo. I1 kòsmos concluso,

il Tutto armonico che oltre sé aveva il nulla, trova intal modo un "luogo" che lo contiene sin dalla creazio-ne, un cielo acorporeo e di luce sopramondana checonfina con la mente divina. I1 cosmo greco è definiti-

vamente accolto in Dio. Episodio di capitale importan-za, perché la percezione e l'immagine del mondo assu-

me un ulteriore valore che diverrà comune a tutti ipopoli di Europa. Interposte tra l'empire0 e la terra, lesfere celesti sono gradini discendenti e ascendenti dellacausalità del Dio cristiano, cioè "organi" attraversocui si realizza una volontà provvidenziale che non è

"intrinseca"ma è "oltre" il cosmo e rispetto a cui lospazio intracosmico assume un significato ascendente esalvifico. La regione della salvezza delle anime e dellaquiete eterna è "aldilà" dei confini del mondo e "las-sù" assume valore indicativo di una regione ipercosmi-

ca, meta per un itinerario ultramondano e origine di

una volontà ordinatrice. La religione cristiana abitua apensare a uno spazio, seppur spirituale, oltre il cosmoe attorno al cosmo, che riassume e ridetermina, distac-candolo dal mondo, quello delle escatologie astrali ditradizione pitagorico-platonica od orientale.

Questo processo di cristianizzazione del mondo erastato favorito dalla scomparsa, nell'occidente latino,delle opere di Aristotele e Tolomeo, cioè del nucleopiù scientifico e sistematico della cosmologia ellenisti-

ca, per effetto del graduale oblio della lingua e delle

lettere greche awenuto nei primi secoli dopo Cristo edella contemporanea polemica monastica contro l'elle-

nismo profano. Queste opere rimarranno nell'area del-l'oriente bizantino e prenderanno altra via, quelladegli Arabi, che dal IX secolo le tradurranno e com-

menteranno, subendone notevoli influenze, per poi ri-

trasmetterle nuovamente all'occidente con le traduzio-ni arabo-latine a partire dal XII secolo. Le grandi lineedella cosmologia e della scienza antica rimangono in-vece affidate a opere di autori latini di ispirazione neo-

pitagorica e platonica, la cui fortuna è appunto dovutaalla maggiore affinità che il Medioevo cristiano sentivacon cosmologie caratterizzate, ben più dell'aristoteli-

smo, da una concezione etica del mondo e da forti ele-menti di misticismo astrale. Tra queste opere vanno ri-cordate, per la loro larga fortuna, il commento diMacrobio (IV-V secolo) al Somnium Scipionis di Cice-rone, che, in una cornice neoplatonica, dava ampio

spazio ai temi della cosmologia e della cosmografiaclassica (e che trasmetterà al Medioevo anche l'ipotesidi Eraclide Pontico), il trattato di Marziano Capella(V secolo)  De nuptiis Mercurii et Philologiae sulle sette

arti liberali che veicolò, semplificati, molti temi dellascienza greca, ma, soprattutto, la traduzione di Calci-

dio (IV secolo) della prima parte del Timeo di Platoneaccompagnata da un monumentale commento che co-stituirà la summa physica dell'alto Medioevo. La filo-sofia ma, anzitutto, la cosmogonia platonica, spessorecepita in unione con la mistica astrale dei neopitago-

rici, risultava certo più conciliabile con i valori sacrali

del cosmo ebraico-cristiano e con la dottrina biblicadella creazione. Del resto, secondo la stessa testimo-nianza dei Padri della Chiesa, anche in ambienti noncristiani era diffusa l'idea di una diretta dipendenza diPlatone e Pitagora dall'insegnamento di Mosé e delVecchio Testamento, per aver frequentato in Oriente iprofeti ebrei o averne letti gli scritti. E appunto neldesiderio di trovare una continuità tra mondo classicoe rivelazione cristiana la tradizione del Cristianesimo

platonizzante cercò di riconoscere nel Timeo la dottri-na della creazione. Nonostante il fatto che il Dio del

Timeo avesse non creato ma "prodotto" il mondo permezzo del Demiurgo da una materia preesistente, erapur vero che Platone, contro l'eternità del mondo ari-

stotelico, aveva offerto una ragione metafisica della di-

pendenza del mondo da Dio nel dire che qualsiasi cosache esiste, necessariamente deve nascere da qualchecausa, e che è impossibile che esista senza causa. Lostesso accadde per la teoria dell'anima del mondo, am-

piamente diffusa anche dal commento di Macrobio, incui i cristiani vedevano l'impronta vivificante di Dionel cosmo, tanto da identificarla con il Logos o Verbodivino della teologia trinitaria o, in taluni casi, con loSpirito Santo. Altro potente strumento di diffusionedella immagine platonica del mondo fu il diffusissimo

 De consolatione philosophiae del neoplatonico Severino

Boezio (480 ca.-526) che in un celebre metro (111, 9)

riassumeva intera la teoria della emanazione del cosmoda un modello divino, parlando di Dio come «colui

che governa il mondo con stabile norma)), ((creatore

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del cielo e della terra)), «che dall'eternità fa provenireil tempo e restando immoto imprime il moto a tuttele cose))e «che non indotto da cause esterne dà for-ma alla materia fluttuante)). In tal modo il neoplato-nismo, oltre che conciliarsi con la dottrina cristiana,

era destinato a sovrapporsi alla struttura aristotelicadel mondo, dando di essa, senza alterarne gli elementicosmologici, una visione creazionista sotto forma diemanazione o processione dall'unità eterna di Dio.L'emanazionismo neoplatonico rimarrà presso i teo-logi cristiani un modo tipico di concepire la causazio-

ne fisica del mondo, anche dopo il ritorno della co-smologia tolemaico-aristotelica nell'occidente latino.Nella forma cristianizzata conferitagli dalla Patristicagreca e latina, soprattutto da Agostino, il neoplatoni-smo ebbe infatti ampia influenza lungo tutto l'altoMedioevo nell'offrire un modo simbolico di interpre-

tare il rapporto tra Bibbia e natura, tra Dio e cosmo.L'immagine del mondo è quella di un "testo scritto"direttamente da Dio, in ogni realtà del quale egli hariposto, come il Demiurgo di Platone, la copia di unmodello "ideale" di cui ogni realtà è insieme immagi-ne e simbolo. Ma il modello di cui è simbolo non è unarchetipo di contenuto solo metafisico, ma altresì mo-rale e religioso. I1 cosmo è quindi un tessuto di sim-

boli i cui veri significati sono quelli etico-religiosi eche convergono tutti verso un mondo soprannaturale,che è il regno spirituale delle verità metafisiche, reli-

giose e morali. I1 contenuto propriamente naturaledel mondo è quindi asservito a un superiore significa-to spirituale. La fisica, l'astronomia e le altre scienzesi risolvono quindi in teologia. I medievali nel legge-re il mondo usano le stesse tecniche allegoriche appli-cate ai testi letterari e soprattutto all'esegesi del testosacro. I sensi del libro della Scrittura sono anche isensi del libro della natura e del cosmo nel quale lavolontà divina che ha scritto la historia naturae comelinguaggio figurato, ornamento e involucro di signifi-cati oltremondani. Il cosmo, platonicamente e agosti-nianamente, è in un rapporto di somiglianza, analo-

gia e partecipazione con il mondo delle idee eternecelate nella mente di Dio. Su questa concezione si in-

nesta la visione della natura come aenigma e comespettacolo di mirabilia in cui il singolare e il raro ne-gli esseri viventi, negli animali, nelle piante, nei mine-rali sono signa Dei, enigmi da sciogliere con chiavimistiche che ne svelano i sensi morali. È la letteraturadei bestiari e dei lapidari che, sull'esempio del Physio-logus (un bestiario della tarda letteratura ellenistica),rilegge sotto questa luce la storia naturale di Plinio edi Solino e della produzione parascientifica latina.Questa raffigurazione della natura e del cosmo chemescola elementi di scienza ellenistica a concezioni re-ligiose è presente, tra i moltissimi, in testi che costi-tuiscono la biblioteca scientifica dal VI1 fino alle

soglie del XII secolo, come il De natura rerum di Isi-doro di Siviglia, il De universo di Rabano Mauro, ilDe mundi constitutione dello pseudo-Beda, la Clavis

physicae di Onorio di Autun. La concezione agosti-niana e monastica esalta il valore miracolistico e sa-

cramentale al cosmo (per Pier Damiani le proprietàdegli esseri animati sono salutaris allegoriae... sacra-mentum, un sacro mistero che contiene allegorie perla salvezza) e condanna la scienza fisica come vanacuriositas, come tentazione diabolica di scrutare ilmondo e la natura nel puro significato materiale, in-

dipendentemente dal divino. Contro questa concezio-ne reagirà, nel XII secolo, la Scuola di Chartres e inparticolare Guglielmo di Conches, recuperando un'in-

terpretazione più fisica che religiosa della cosmogoniadel Timeo, innestandovi elementi dell'ermetismo edella cosmologia stoica, recuperata attraverso l'esege-

si letteraria di Virgilio con il tema dell'igneus vigorche permea il cosmo e della mens che dà vita alla ma-teria (agitat molem). Tema a sua volta commisto aquello dell'anima mundi platonica, in cui, quale inter-mediaria tra Dio e materia informe (sylva), Gugliel-mo vedeva esprimersi una autonoma capacità de-miurgica della natura. Di qui, appunto, una suainterpretazione non letterale del racconto genesiaco,in termini apertamente naturalistici e alla luce di unacosmologia che combina platonismo e stoicismo.

5. IL RITORNO DI ARISTOTELE E TOLOMEO IN OCCI-

DENTE: LE INFLUENZE ARABE E IL DEFINITIVO AS-

SETTO DELLA COSMOLOGIA PRECOPERNICANA

NEL XIII SECOLO

Questa visione più marcatamente fisico-naturali-stica della natura, affidata alle ancora ibride cosmo-gonie del XII secolo, si rafforza e assume definitivoassetto con l'arrivo in Occidente, tra il XII e XIII se-colo, di tutta una biblioteca scientifica, ricercata, tra-

dotta e letta a sostegno di una visione più concreta

dell'universo fisico. Dalle zode di confine con altre ci-viltà e culture

-

dalla Spagna, dall'Italia meridionalee dalla Sicilia da secoli sotto influenza araba, ma an-

che dall'oriente bizantino - nuove fonti di culturascientifica si vanno diffondendo tra i popoli europei.Attraverso i centri più attivi di cultura e di traduzio-ne spagnoli, in cui forte era la componente ebraica,tornano alla latinità occidentale anche le opere di A-ristotele e di Tolomeo. Nel XII secolo Toledo divieneun centro importante di traduzioni arabo-latine, tal-volta mediate attraverso l'ebraico o l'antico volgarecastigliano. Per queste vie tornano in traduzione lati-na quasi tutti gli scritti di Aristotele assieme agli im

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portanti commenti e parafrasi dell'arabo Averroè, chene darà una interpretazione rigoristica e "razionale",

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siero scientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

scevra dalle conciliazioni neoplatonizzanti di Avicennae di altri fdosofi arabi, e con esse molte opere di com-

mentatori di pensatori arabi ed ebraici come&Farabi e Avicebron, il Canon medicinae di Avicen-

na, l'intero Almagesto di Tolomeo e l'assai più letto

compendio che ne aveva fatto Alfragano, e così altriscritti di matematica, di ottica, di astronomia, di astro-loga, di cosmografia, di alchimia, di geomanzia. La

scienza greco-araba offre una rinnovata visione delmondo, assai diversa da quella della tradizione agosti-

niana e monastica. Le opere di Aristotele e Tolomeo

fanno in particolare riscoprire, in tutta la superiorecoerenza metafisica, fisica e astronomica, il sistema ari-

stotelico-tolemaico che, proprio per la mediazione ara-ba, è ritrasmesso parallelamente a rielaborazioni insenso neoplatonico e islamico. Per la religione islami-ca, come per quella giudaica e quella cristiana, la rice-

zione della filosofia neoplatonica ebbe la funzione dicorreggere e conciliare gli elementi eterodossi della fi-losofia e cosmologia peripatetica (in particolare l'eter-nità del mondo, la mortalità dell'anima individuale, ilconcetto di materia prima e di Dio motore immobile,tutti difesi da Averroè) con gli opposti dettami dellerispettive dottrine teologiche. Gli Arabi furono i primia riprendere con tale funzione il neoplatonismo elleni-

co attraverso testi come l'anonimo Liber de causis

(un estratto commentato dell'Elementatio theologicadi Proclo) e l'altrettanto anonima Theologia Aristotelis,che è un misto di testi di Plotino e di Proclo e di tema-

tiche del Cristianesimo alessandrino. Tutti testi il cuitema centrale è l'interpretazione della causalità univer-sale e della generazione del cosmo come processioneda una causa prima, dalla quale emana una virtù atti-va che si trasmette come comunicazione di energia e dibontà alla gerarchia delle intelligenze celesti. La divini-tà non è un immobile motore, ma l'essere sommo chenon ha invidia, non rifiuta di comunicare il suo benesotto forma di energia causante. Energia che, assimilataalla luce solare che perfeziona e chiama a sé le cose, sitraduce in amore universale come vincolo di simpatia

che muove e unisce a Dio tutti gli enti creati. La teoriadel moto è concepita cioè come teoria dell'amore.

Grandi interpreti della filosofia neoplatonica inambiente arabo furono al-Kindi (IX secolo), al-Fara-

bi (X secolo), Avicenna, di cui diremo tra poco, e do-

Do di lui Al-Gazali (1058-111l), tutti autori che, tra-dotti, esercitarono notevole influenza sulla filosofia eteologia del XIII secolo. Senza dubbio il più impor-tante fu il filosofo, astronomo e medico arabo Abu'Ali al-Musayn ibn Sina (980-1037), universalmenteconosciuto come Avicenna le cui maggiori opere ven-

gono tradotte tra il XII e XIII secolo. Autore di uno

dei massimi trattati di medicina, il Canon medicinae(0 Canon per antonomasia), che rimarrà in Occidentecome testo ufficiale d'insegnamento accanto alle ope-

L'astrolabio rimase per secoli, prima dell'astronomia telescopica,lo strumento principe per i calcoli delle osservazioni celesti a oc-

chio nudo. I1 perimetro dell'astrolabio simula I'orizzonte celeste,in rapporto alla latitudine per cui I'astrolabio è costruito. Questotipo si divide in due parti principali, una "celeste" (la griglia gire-vole) e l'altra "terrestre" (la piastra sottostante). La griglia gire-vole o "rete" ha un anello che rappresenta l'eclittica, indici "avirgola" che fissano le posizioni delle stelle più importanti e chesi possono aggiustare via 'via in rapporto all'orizz~nteterrestre,cioè alla piastra. La piastra riporta una fitta serie di linee inciseche rappresentano i paralleli celesti, il meridiano e l'orizzonte lo-cale. Tra il IX e il XVI secolo furono scritti numerosissimi trattatisull'astrolhbio, strumento di cui rimangono centinaia di esempla-ri, i più diversi e di struttura estremamente complessa. Milano,

Museo Poldi-Pezzoli (MPP)

re di Ippocrate e Galeno, egli fu l'interprete più origi-nale e profondo della filosofia greca in ambiente mu-

sulmano. Egli assimilò entro il quadro della teologiamusulmana i grandi temi dell'aristotelismo, rileggen-doli alla luce del neoplatonismo e della mistica islami-

ca. I1 mondo deriva dall'uno, per necessaria autopro-

duzione, attraverso un flusso di sostanze intermedieche, via via che emanano, emanano a loro volta quel-le successive, secondo un ordine gerarchico che va

dalle sostanze semplici ed eterne a quelle compostedel mondo sublunare e alla materia prima. Tutto ilcomplesso della cosmologia aristotelica viene tradotto

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nei ritmi dell'emanatismo neoplatonico e della misticamusulmana. Dalla prima causa irraggiano, per succes-siva emanazione, le varie sfere celesti, il cui moto cir-colare e la cui successione trovano ragione nella loroessenza. Il fatto che ogni sfera si muova spontanea-

mente, per Avicenna, vuol dire che essa è dotata alproprio interno di un principio di moto, cioè di un'ani-ma. Ma il fatto che il moto della sfera non si diriga,come quello degli elementi, alla ricerca di un "luogo"naturale in cui restare in quiete, ma rimanga perenne-mente in cerchio nello stesso luogo, vuol dire che essaha un qualche "concetto" che le impone, in derogaall'inclinazione naturale, di muoversi di moto diversodal rettilineo. Ma poiché un concetto presuppone unintelletto che lo concepisca, allora ogni sfera deve ave-re una propria "intelligenza"che concepisca la ragionedi quel moto, al quale l'anima, come principio motore,

si assoggetta. Ma né l'anima né l'intelligenza bastano aprodurre in atto il moto, se non si aggiunge una "spin-ta interiore", cioè un moto di desiderio dell'intelligenzaverso l'oggetto della sua percezione e che essa trasmet-te all'anima della sfera. Solo così essa diviene una "in-telligenza motrice". E poiché oggetto del desiderio è

"assimilarsi" all'unità immobile di Dio, il moto assu-me l'andamento circolare di una sfera come forma piùatta ad esprimere una tensione continua a farsi simileal centro come sede di un'immobile identità. Questainterpretazione neoplatonizzante del moto circolare è

assai importante, in quanto vuol rispondere con unaraffinata soluzione metafisica al secolare interrogativosu cosa spinge i corpi celesti a muoversi e a muoversisfericamente. Non è infatti l'esistenza fisica delle sfereastronomiche il presupposto del moto di rivoluzione distelle e pianeti ma è viceversa una presupposta ragionemetafisica che genera l'esistenza delle sfere e dunque ilmoto di rivoluzione. Una ragione che si inserisce nellapiù generale teoria del moto di Avicenna che, a inte-grazione di quella dei luoghi naturali aristotelica e con-tro quella casualistica della scuola atomistica araba,propone l'esistenza del cosiddetto mail, cioè di un "a-

more"

come inclinazione o tensione motivata a un fi-ne, che spinge ogni ente a raggiungere e conservare lapropria collocazione naturale nel cosmo e, con essa, lapropria perfezione ontologica. Questa teoria psicologi-co-metafisica dell'amore diviene dunque fondamentodi quella che altrimenti resterebbe una descrizione pu-ramente fisica del moto di traslazione dei corpi nellospazio, e anzi è l'interno meccanismo dello stesso ordi-ne emanatistico del cosmo. Da Dio emana direttamen-te solo una prima intelligenza a cui "affida" l'essenzadi tutto ciò che emanerà per successive e più ristretteemanazioni, fino alla totale specificazione ed esauri-

mento di quella essenza. Unica e immobile come il Diodi cui è delegata, la prima intelligenza contiene in es-senza e "concepisce intenzionalmente" il restante uni-

verso, e perciò da essa emana una seconda intelligenzache, non più fissa ma datrice di moto, per l'intrinseca

spinta metafisica sopra ricordata, emana l'anima dellaprima sfera e il corpo in moto della sfera stessa; dallaessenza della seconda intelligenza emana a sua volta la

terza intelligenza motrice da cui emana l'anima e ilcorpo della seconda sfera, e così fino alla sfera della

Luna, dalla quale emana la decima e ultima intelligen-za, detta dator formarum, in quanto infonde nella ma-teria prima le forme delle cose, specificate e differen-

ziate dalle sfere superiori, e che presiede al governo delmondo sublunare. I1 sistema delle sfere di Aristotele

diviene l'ipostasi corporea e animata di una gerarchiadi intelligenze che è espressione di un ordine di tra-

smissione metafisico emanato per flusso successivo daDio. Ma il cosmo non è solo veicolo di emanazione

verso il basso e di sussistenza del mondo, ma anche dielevazione di conoscenza verso l'alto, verso la regione

delle forme pure e astratte da materia. Per Avicenna

ogni atto di astrazione intellettuale e di scienza divieneun atto di risalita e comunione dell'intelletto umanocon le realtà più alte del cosmo, diviene cioè sapienza.

La teoria gnoseologica dell'astrazione aristotelica sisalda in continuità con quella islamico-neoplatonica

della derivazione. Per Avicenna, infatti, superati i gradidella conoscenza sensibile, l'anima umana può elevarsiall'intelligenza delle forme pure e intelligibili per sé, e,

per effetto di un ulteriore profondamento unitivo e mi-

stico con le più alte intelligenze celesti, può attingerealla suprema forma di conoscenza e di contemplazio-ne: cioè la profezia e l'estasi. Giungere alla sommità

della conoscenza è giungere alla sommità del cosmo dacui dominare con perfetta sapienza il presente e il futu-ro: se a un uomo fosse possibile, dice Avicenna, cono-

scere in essenza di tutto ciò che avviene nel cielo e interra, conoscerebbe anche tutto ciò che awerrà e come

esso awerrà nel futuro. I1 neoplatonismo arabo finiva

 Nella pagina seguente:

Le quattro sfere planetarie qui riprodotte, costruite nella secondametà del XVI secolo, rappresentano rispettivamente quella che, perla teoria geocentrica di Tolomeo, era la complessa struttura a giu-stificazione del moto della sfera del Sole, della Luna, di Mercurio edi Venere. La loro suddivisione rappresenta anche il modo tipico

dei trattati di  theorica planetarum. Essi appunto suddividevanodistintamente e successivamente la teoria matematica (theorica) diciascun pianeta, proprio in quanto, se considerati nel loro insiemee rispettando le relative distanze, movimenti e grandezze calcolatida Tolomeo, ne sarebbe risultato un sistema che Copernico definì

un monstrum, perché non governato da un'armonica proporzionereciproca, cioè come se ricomponendo i pezzi separati di una sta-tua, ne derivasse un aggregato di parti l'una di proporzione diversadall'altra. Uno dei pregi del sistema eliocentrico di Copernico epoi di Keplero fu appunto quello di rispettare, con i calcoli, que-sta interna struttura armonica. (Biblioteca Apostolica Vaticana)

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Pe~s i e r o cientgco e immagini del mondo &l  tardo- antico a Bgwkmz

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così col dare una giustificazione metafisica alle stesseprofezie degli astrologi che miravano alla conoscenzadel futuro attraverso il dominio cosmico degli astri.Questo del resto era il significato del famosissimodetto "il sapiente dominerà le stelle" (sapiens domina-

bitur astris).

Di qui meglio si comprende come l'influenza ara-ba portasse con sé anche una rinnovata e organicaconcezione astrologica dell'universo. Di qui l'immis-sione tra XII e XIII secolo di una serie di trattatidi astrologia araba, ebraica ed ellenistica, tra cuiil Quadripartitum di Tolomeo e l'ancor più celebreIntroductorium in astronomiam dell'arabo Albumasar,che sarà la Bibbia degli astrologi di tutto l'occidente.Un'astrologia che non ha più i caratteri delle antichereligioni astrali, ma quelli di una vera "scienza fisica"che rilancia l'idea, da secoli radicata nelle società

agrarie, del fatalistico legame di causalità tra macro-cosmo e microcosmo. Per il De radiis dell'araboal-Kindi la natura e gli uomini sono dominati dalleinfluenze dei corpi celesti, perché con i loro raggi tra-

smettono le loro virtu intrinseche. L'incrociarsi mute-vole di pianeti e costellazioni genera una mutevoletessitura di raggi e di virtu che determinano la costi-tuzione dei corpi e il temperamento naturale degliuomini, condizionandone le inclinazioni o, nelle inter-pretazioni più radicali, determinandone i destini. Maconoscere la tessitura di queste influenze può renderei dominati a loro volta dominatori del loro futuro.Per questo insieme di ragioni l'astrologia fu accettatacome fatto di cultura in tutta Europa sino in età mo-derna. Essa è considerata disciplina gemella e più ric-ca dell'astronomia matematica in quanto non calcolasemplicemente i moti e le reciproche congiunzioni deicorpi celesti, ma ne indaga le qualità intrinseche e glieffetti di quelle congiunzioni sugli esseri e sulle vicen-de terrene. Non a caso uno degli strumenti principaliper il calcolo astronomico, cioè l'astrolabio, introdot-to dagli Arabi a perfezionamento delle antiche sferearmillari, non serve solo all'astronomo matematico

per fissare e prevedere le posizioni degli astri ma an-che all'astrologo per dedurre da quelle posizioni le

vere cause degli eventi a venire.La penetrazione in Spagna del neoplatonismo ara-

bo non mancò di influenzare anche pensatori di reli-gione ebraica come Avicebron (1045-70), il cui Fonsvitae in traduzione latina ebbe eccezionale fortuna, eMosè Maimonide (1135-1204) che nella Guida deiper-

plessi recepì appieno lo schema emanatistico avicen-

niano delle intelligenze celesti e del cosmo. Avicebronnel Fons vitae enunciò una teoria dell'emanazione daDio di tutte le forme create, che la corrente francesca-

na accettò come singolarmente affine a quella neopla-

tonico-cristiana di Agostino. Contro il concetto ari-stotelico dell'eternità del mondo e di una materia

come pura potenza increata e principio metafisico al-ternativo alla forma, Avicebron affermò che la mate-ria non è mai esistita come pura potenza ma sin dallacreazione è stata unita da Dio alla forma e che, ema-nando da lui come "materia spirituale" universale giàimpregnata di forme (ilemorfismo universale), ha da-to luogo a tutta la gerarchia delle sostanze costituentiil mondo, teoria che nel Rinascimento sarà ripresa insenso panteistico da Bruno e poi ancora nel '600 daiplatonici di Cambridge per il concetto dello spaziocome emanazione divina.

Queste interpretazioni del cosmo, che fondevanola processione luministica neoplatonica con temi dimistica araba ed ebraica, risultarono meglio accetta-

bili alla teologia cristiana del XIII secolo. AlbertoMagno è tra i primi a mutuare gli schemi avicennisti-

ci, fondendoli con quelli assai simili del Liber de cau-

sis e della teologia luministica dello pseudo-Dionigi.Nel suo trattato De causis et processu universitatis sulprocesso causativo del cosmo, interpreta il mondo co-me processo perfluxus ed emanati0 da Dio alla mate-

ria, e in cui è centrale il tema della creazione comediffusione di luce. Dio è il vero intellectus universaliter

agens che non cessa mai di illuminare, per mantenerloin esistenza, il suo causato. Egli è causa di ogni esseree fonte di tutte le forme che irraggiano dalla suamente, e che danno luogo a un cosmo che è aristoteli-

co nella sua struttura, ma neoplatonico-avicennisticonella modalità della sua creazione. Il tema della pro-cessione del mondo come emissione e irradiamento diluce divina sarà peraltro caro a una corrente platoni-co-agostiniana come quella dei francescani, in primoluogo Bonaventura da Bagnoregio, per il quale primaforma sostanziale e generale del mondo è la luce, masoprattutto i teorici della metafisica della luce comeGiovanni Peckham, Roberto Grossatesta e, Witelo.Dio è come un potente punto di luce, un principiosemplice di energia che raggia istantaneamente nellospazio, compenetrando l'essenza della materia e indu-cendola a un'espansione concentrica che lascia via

via, dal centro alla circonferenza, una sostanza sem-pre meno grossolana e sempre più trasparente e rare-

fatta. Essa si espande dalla terra, all'acqua, all'aria, alfuoco, alla quinta essenza celeste, fino al cielo empi-

reo, che è materia totalmente attuata in pura energialuminosa destinata a riflettersi nuovamente sulle so-stanze create. La luce consente il transito per conti-nuità dal mondo corporeo allo spirituale e viceversa,fino ai confini della materia opaca.

Pur se contaminato da elementi neoplatonici, e-braici e arabi, lo schema cosmologico aristotelico ri-mane struttura portante delle grandi architetture dot-

trinali della teologia scolastica, in particolare dellaSummae theologiae di Tomrnaso d'Aquino, che non acaso nelle cinque "vie" per dimostrare l'esistenza di

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Pensiero scientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

Dio usufruirà esplicitamente di argomenti tratti dalla

metafisica e dalla cosmologia di Aristotele. Nel '200

si realizza infatti l'assunzione della cosmologia aristo-telico-tolemaicaentro la teologia scolastica in un con-

nubi0 talmente stretto che, nel futuro contrasto con

la dottrina copernicana, la messa in crisi della primaporrà in questione anche l'egemonia dottrinale dellaseconda. Da questo connubio deriva appunto il defi-

nitivo assetto della cosmologia precopernicana, qual ètrasmesso all'Europa moderna, e che Dante promuo-verà a struttura della Commedia e che proprio l'operadantesca contribuirà, con la sua enorme fortuna, arendere un dato diffuso di cultura e una componentedi fondo della mentalità premoderna.

Questo assetto è la risultante del complesso e seco-lare processo di contaminazioni che abbiamo esamina-to. Alla sommità è il cielo della teologia cristiana, cioè

I'empireo che, "infiammato" di luce intelligibile, cir-conda la sfera del mondo. Al di sotto è il nono cielo,privo di astri, e che Tolomeo postulò oltre quello dellestelle fisse, con il compito di trascinare con moto diur-no, da oriente verso occidente, tutte le sfere sottostan-

ti. Gli astronomi medievali chiamarono per tale ragio-ne questo cielo primo mobile e i teologi lo assimilaronoalle acque sopracelesti della cosmologia ebraica e bibli-

ca e lo denominarono cielo cristallino o acqueo.  Al disotto rimaneva il nucleo originario della cosmologiaantica, cioè il cielo delle stelle fisse, i sette cieli planeta-ri

e la regione sublunare degli elementi con al centro laTerra. Quanto al moto dell'universo, la concezione ari-stotelico-avicennistica delle sfere mosse all'interno daun'anirna congiunta a un'intelligenza motrice, è corret-ta dai teologi con quella dell'angelologia cristiana, percui sono delle sostanze separate e angeliche (le cosid-dette "intelligenze angeliche") a muovere come lorostrumenti le sfere, in virtù della sola energia intellettua-le. Questa visione del mondo e questo modello geocen-

trico del cosmo era il risultato dell'incontro delle tregrandi religioni del Mediterraneo, la cristiana, l'ebraicae la musulmana, con la filosofia e la cosmologia gre-

co-ellenistica. Una visione del mondo che, fissatasi nel'200, divenne dominante in Europa fino all'avvento delcopernicanesimo.

6 . DALL'AUTUNNODEL MEDIOEVO ALL'ETA MO-

DERNA

Tra civiltà agraria di lunga durata e insorgere della ci-viltà urbana. La messa in questione dei principi della

 fisica e cosmologia aristotelica

L'immagine del mondo che perdura nei due secoliche dall'apogeo della Scolastica portano all'età del-

l'umanesimo e del Rinascimento è raffigurata con

grande efficacia nelle miniature di un lussuoso e raffi-nato libro d'ore francese, le Très riches heures, confe-zionato per Jean duca di Berry tra la fine del XIV egli inizi del XV da pittori di ambiente franco-borgo-gnone. I1 libro d'ore è un breviario per laici, con l'in-

dicazione delle preghiere quotidiane da recitare secon-do le ore canoniche della Chiesa, e accompagnato dalcalendario in cui i giorni sono indicati dalla ricorren-za di un santo o da una festa da solennizzare. Si trat-ta quindi di un ordine devozionale del tempo, scandi-to secondo l'anno liturgico cristiano ma parallelo aquello astrale e agrario. I1 calendario non è ancora unconvenzionale datario che subordina i giorni alla loroserie numerica, ma una rappresentazione del tempo ilcui computo rimane associato ai contenuti qualitativiche si ritenevano differenziare il succedersi di giorni,mesi e stagioni: la religione, l'astrologia, gli eventi

meteorici, i lavori dei campi, il tutto percepito nel più

ampio contesto della rappresentazione del mondo. Èappunto questa percezione a più livelli del tempo edel ciclo cosmico che le Très riches heures pongono inemblematico risalto nelle miniature dedicate a ognimese. Infatti, nel contesto ideale dello tempo cristianoche dà significato al libro, le miniature si bipartiscononettamente in spazio terreno e spazio celeste, correlatitra loro da un precisa congiuntura di tempo. Lo spa-zio terreno è costituito, al di sotto, da un'imponentecampitura rettangolare del foglio entro cui è raffigu-

rata, mese per mese, una scena di vita religiosa o a-

graria o di caccia che simbolicamente lo rappresenta.Lo spazio della volta celeste è costituito, al di sopra,da un arco a tutto sesto che sovrasta e conclude lospazio terreno. Si tratta dell'emisfero celeste visibiledalla Terra, e in cui sono raffigurati, entro quattrocalotte sovrapposte, il carro del Sole, il calendario lu-nare con la serie dei giorni e le fasi della Luna, i segnizodiacali visibili in quel mese nel cielo delle stelle fissee, all'estremità, la fascia dei 30 gradi in cui è suddivi-sa ogni casa dei segni. Anche se a occupare il prosce-

nio è il mondo sublunare, la presenza sovrastante di

Sole, Luna e segni zodiacali vale a ricordare che sonoessi i veri regolatori del ciclo cosmico. Essi infatti,succedendosi ciclicamente a ogni variare di giorno,mese e stagione, determinano il ritmo del divenire ter-reno, della nascita, fioritura, fruttificazione e mortedel paesaggio rurale, dell'apparire e scomparire deifenomeni naturali, della generazione e corruzione de-gli esseri viventi. Ma in più è implicita un'idea tipicadel tempo agrario, che cioè la natura, fatalmente go-vernata dagli astri, chiama il contadino, come ogniuomo, a compiere ciclicamente determinati compiti olavori che devono essere in costante riscontro con iltempo astrale e che non possono essere né anticipati,né ritardati e tanto meno omessi, ove non si vogliaalterare l'ordine del mondo. La civiltà agraria e la

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sua religione hanno appuntamenti inderogabili con lacongiuntura del tempo che ha già in sé preordinata lasuccessione quotidiana delle azioni di lavoro e di cul-to, azioni che aumentano o diminuiscono di numero,si prolungano o abbreviano di durata col fluttuaredella luce diurna e con l'alternarsi stagionale di sei

mesi produttivi e sei mesi silenti. Un fatalismo ciclicocui rimane elettivamente legata la società contadinache lavora la propria terra o quella attorno al castellodel signore, che più volte appare dominare sullo sfon-do delle miniature, in un'atmosfera ancora feudale.

Ma oltre quel contado e quel castello è facile in-dovinare un altro ambiente e un'altra concezione dellavoro e del tempo, che si erano venuti costituendotra XIII e XV secolo. Col sorgere dei Comuni in Ita-lia e lo sfaldamento del sistema feudale in Europa oc-cidentale e centrale, si era avuto un parallelo sviluppo

delle città e delle classi urbane e dei primi Stati nazio-

nali. Nuove forme di aggregazione sociale e di attivitàerano sorte non più legate unicamente al primato del-le attività rurali e dell'aristocrazia fondiaria. Fuoridella cinta delle mura antiche affluisce e si stanzianelle città una popolazione nuova che rompe con gliusi consuetudinari, dà vita ad attività che implicanocelerità di scambio e mobilità di beni non più solofondiari ma di moneta e di manufatti. Corporazionidi arti e mestieri e nuove tecniche artigiane popolanoe si suddividono il territorio cittadino con un impiegoe una percezione del tempo assai meno condizionato

dalle fluttuazioni della luce diurna e delle stagioni.L'orizzonte temporale dell'artigiano che "produce"manufatti non è quello cosmico del contadino che"trasforma" la terra assecondando le stagioni. L'oro-logio comunale segna le ore di lavoro artigianoastraendo sempre più dalla qualità del tempo astrale,e ritmandone sempre più la sua quantità secondo unasuccessione numerica. Le attività mercantili e le primeintraprese bancarie e di computo fanno emergere fi-gure e abilità nuove in cui la destrezza dell'intelletto,più che della mano, è al servizio di una percezione

più astratta dei valori, di una sagace e più libera con-

gettura del futuro e della convenzionalità del tempo.Ma la vita urbana oltre a nuove attività produce an-che nuove forme di cultura. Le scuole di grammaticae logica e di abaco si affiancano alle tradizionaliscuole cattedrali, mentre quelle monastiche e abbazia-

li rimangono isolate nel loro ambiente rurale e feuda-le. Tra XI e XIII secolo a Bologna come a Padova, aParigi come a Oxford, a Orléans come a Tolosa, era-no sorte le università, le cosiddette Universitates scho-

larium o magistrorum et scholarium, libere associazio-ni di rnagistri e studentes, laici e chierici delle più

diverse provenienze nazionali o sociali. Esse si aggre-gano spontaneamente e si allocano in interi settori

delle città, con loro giurisdizioni e prerogative, dan-

dosi ordinamenti autonomi e, soprattutto, propri cur-

ricula di studio che introducono la lettura di nuovi

testi, come quelli di astronomia e medicina greco-ara-

ba o di metafisica, logica e filosofia naturale di Ari-stotele e del suo commentatore Averroè, che accen-

tuano la distinzione tra piano della ragione naturale e

piano della fede, tra valore della nuova scientia dei

filosofi e la sapientia trasmessa dalla Scrittura. La fi-

losofia aristotelica si propone come un nuovo stru-

mento della ragione, con un proprio e autonomo sta-

tuto logico e scientifico assai più attento alla ricerca

nell'ordine naturale. Argomentare secondo logica e

ragione naturale è uno stile di pensiero che si impone

come altro e diverso dalla tecnica della interpretazio-

ne biblica come esposizione allegorica della rivelazio-

ne divina. Un argomentare che informa di sé le nuove

tecniche di insegnamento nelle università, cioè la lec-

tio, intesa come lettura e sistematico commento di te-sti sia di teologia che di filosofia, e la quaestio, cioè la

disputa, la messa in questione di punti dottrinali di

più contestato interesse nati dalla lectio e che sono

posti in discussione tra maestro e discepoli. Queste

tecniche implicano la possibilità di concludere in due

modi diversi attorno a una medesima questione, quel-

lo derivante dalla necessità logica della ragione natu-

rale e quello insegnato dagli articoli della fede cristia-

na. L'esordio della mentalità laica e cittadina,

coincide con una più marcata distinzione tra argo-

mentare del filosofo e del teologo. In più l'introduzio-ne di Aristotele e dei commentatori arabi produce

 Nella pagina seguente:

Pol de Limbourg, Miniatura del  Mese di giugno dalle Trés Riches

 Heures du Duc de  Berry. Questa miniatura è tratta da uno dei

libri più belli fra quelli manoscritti illustrati, un libro d'ore confe-

zionato per Jean, duca di Berry tra il 1410 e il 1416. E un mirabi-

le esempio della concezione agraria del tempo e del cosmo medie-

vali. La struttura è bipartita. La parte inferiore rappresenta i

lavori agrari di giugno di fronte al castello del signore. Questa

parte è in senso emblematico la regione del mondo terreno e

sublunare, mondo delle nascite e delle morti, della generazione e

corruzione, che si succedono ciclicamente a ogni variare di mese e

di stagione. La natura, governata dai cieli superiori, chiama infat-

ti il contadino, come ogni uomo, a espletare il compito che la

congiuntura del tempo fatalmente reca con sé, in rapporto al do-

minio esercitato della vicenda ciclica dei pianeti, del Sole e dei

segni zodiacali. Essi infatti emergono e regnano sull'orizzonte del-

l'emisfero visibile fino al loro tramonto, ma comunque destinati a

tornare visibili con periodica fissita. E questa la parte rappresen-

tata nella lunetta superiore, la regione sempiterna e incorruttibile

delle sfere celesti, che non conoscono nascite e morti, né genera-

zioni e corruzioni, che governano il tempo perché con il loro mo-

to regolarmente lo ritmano e lo numerano, così come appare dal-

le cornici inferiore e superiore contraddistinte dalla successione e

numerazione dei gradi (DR).

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un doppio effetto, quello di proporre un solido corpodi dottrine fisiche e metafisiche e una coerente visionedel mondo ma, al contempo, quello di fornire allalectio e alla disputa un metodo logico e razionale dianalisi che ben presto diverrà strumento di critica e direvisione interna a questo stesso corpo di dottrine.

Tale revisione inizia appunto nelle università e nel-

l'ambiente laico delle città, quello dei mercanti e degliartigiani. Dopo le grandi sintesi dottrinali del '200 che,soprattutto con Tommaso d'Aquino, avevano integra-to nella teologia cristiana il nucleo portante della fisicae della cosmologia greco-araba, il pensiero teologico,filosofico e scientifico del '300 inizia a porre in que-

stione importanti principi di fisica e cosmologia for-mulati da Aristotele in ordine alla finitezza ed eternitàdel mondo, alla dottrina di Dio motore immobile e delmondo come catena necessaria di cause, alla teoria delmoto dei corpi, alla inesistenza del vuoto. A questamessa in questione aveva contribuito la condannaemessa nel 1277 dal vescovo di Parigi, Stefano Tem-

pier, contro un cospicuo gruppo di tesi correnti negliambienti universitari, tesi più specificamente aristoteli-

che o più in generale dell'aristotelismo arabo, specieaverroiste, ma anche tra quelle sostenute da Tommasod'Aquino. La condanna tornava a porre in evidenza ildivario profondo tra alcuni principi capitali dell'aristo-

telismo e la dottrina cristiana, divario di cui terrà con-to in particolare la corrente francescana, tradizional-mente contraria all'aristotelismo fatto invece propriodalla corrente domenicana e tomista. Saranno appunto

i grandi teologi francescani inglesi del XIV secolo co-me Duns Scoto e Ockham ad approfondire il solco traaristotelismo e riflessione teologica, in particolare libe-rando la scienza della natura dalla metafisica platoni-co-aristotelica delle essenze e ponendo al centro l'ideacristiana di Dio come creatore libero e onnipotente.L'unità metafisica del mondo aristotelico viene infran-

ta in una molteplicità di individui non più garantiti daun'essenza universale comune, ma dal semplice fatto diesistere per un diretto atto di volontà creatrice di Dio.Dio non può essere limitato nella sua libera volontàcreatrice neppure da essenze eterne coesistenti nella suamente di cui gli individui e l'intero cosmo sarebberocopia. L'onnipotenza di Dio è concepita nel senso più

pieno di  potenza assoluta, svincolata da qualsiasi ordi-ne, da qualsiasi archetipo mentale ad essa presupposto,e ciò spezzava il legame di necessità che per Aristoteleintercorreva tra Dio motore immobile e le leggi di cau-

salità discendente dalle sfere celesti al mondo subluna-

re. Per il filosofo greco e i suoi interpreti arabi tutto ilmondo era sotto il vincolo di una catena necessaria dicause ed effetti, sicché l'ipotesi che potesse essere altroe diverso da ciò che realmente è rimaneva nell'ordine

dell'irrealtà, dell'assolutamente impossibile. Per i teo-logi francescani la contingenza è alla radice stessa di

ogni essere creato e di tutto l'ordine del cosmo. Ognigrado gerarchico dell'essere non è garantito dalla cau-

sa che lo precede né è a sua volta garante dell'effettoche da lui consegue, ma ciascuno è sospeso a Dio daun atto di libera creazione e di libera volontà a mante-nerlo in essere. Se ogni parte dell'universo è mantenutain essere dalla volontà divina, nella loro "successione"

non c'è più necessità. Ciò significa che l'onnipotenzadivina, nella sua assoluta infinità, poteva far passaredal possibile al reale un mondo con leggi diverse daquelle che attualmente lo reggono, o anche molti altrimondi. L'ideale premessa della  potentia Dei absolutapermette così al teologo di spingere l'esame di unaquaestio di filosofia naturale oltre i limiti ritenuti lecitida una visione del mondo posta come necessaria, e dispingersi nel più vasto campo di ciò che è logicamenteconsentito, perché non contraddittorio (cioè coerente)rispetto a un diverso mondo possibile.

Questa apertura al possibile, pur nell'ambito diciò che è pensabile secundum imaginationem e "logica-mente" non contradditorio, rimuoveva un primoserio ostacolo al rinnovamento della fisica celeste eterrestre che la solida unione aristotelico-scolastica(nella versione domenicana e tomista) frappose finoal '600. Così pure l'accento posto da Ockham sullaconoscenza del reale come esperienza intuitiva dell'in-

dividuale favorirà una tendenza già presente nel seco-lo XIII alla indagine sperimentale fuori dei canoni apriori della scienza aristotelica. È del resto dal movi-mento scientifico delle università di Parigi e di Ox-

ford, e soprattutto da parte di maestri francescani,che nel XIV secolo si muovono le prime serie obiezio-ni alla fisica e metafisica di Aristotele e alle soluzionidella astronomia tolemaica. Giovanni Buridano criti-ca la teoria aristotelica della gravità e del moto deicorpi fondata sulla inclinazione o virtù metafisicaverso i "luoghi naturali" e la integra con il concetto"fisico" di impetus come un impulso o inclinazionedinamica conferita al proiettile da colui che lo lanciae che è solo gradatamente sopraffatta dalla resistenzadell'aria e dal peso del corpo. Diviene quindi logica-mente non contraddittorio pensare che, in assenza diuna resistenza di fatto, il corpo possa continuare al-l'infinito il moto "violento" conferitogli ma che laconcezione metafisica di Aristotele considerava im-

possibile perché "contro natura". Buridano sostieneche Dio avrebbe potuto conferire uno stesso tipo diimpetus iniziale alle sfere celesti che, in mancanza diresistenza, avrebbero continuato, come di fatto conti-nuano, a ruotare con moto uniforme e perenne. Solu-

zione che rendeva logicamente inutile l'esistenza delleintelligenze motrici o dell'anima delle sfere e che spo-

stava l'accento dall'idea aristotelica di Dio come cau-

sa di"

attrazione metafisica"

a un Dio come causa dimovimento "meccanico" per un cosmo che continua

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 Pensiero scientijico e immagini del mondo dal tardo- antico a  Newton

Il cielo australe secondo gli antichida Andreas Cellarius, Atlas coelestis seu hamzonia macracosmica, Amsterdam 1661

(per cortese concessione della Biblioteca di Babele di Giancarlo Beltrame)

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a funzionare per sua logica interna senza altro inter-vento divino che non sia quello di conservarlo in es-sere. Un altro sostenitore dell'impetus fu, tra gli altri,il fisico parigino Nicola Oresme, uno tra i più indi-pendenti e notevoli del tardo Medioevo, che tradusseappunto il concetto di moto di un corpo in una rap -

presentazione quantitativa e "grafica" con un sistemadi linee coordinate ad angolo retto. In quella orizzon-tale e di base (longitudo o "lunghezza") rappresenta-va la traslazione (o "cambiamento" di luogo) del cor-po nello spazio e da essa innalzava successive lineeverticali la cui altezza (latitudo) rappresentava le va-

riazioni di intensità in più o in meno (intensio e remis-

sio) della velocità nel tempo. Questa rappresentazionevenne estesa a tutti i tipi di cambiamento che Aristo-

tele considerava altrettanti tipi di movimento, non pe-rò come " traslazione di luogo" bensì come " rasla-

zione metafisica"

interna a ogni forma o sostanza,come processo di trasformazione dalla potenza all'at-

to, dal non essere all'essere e viceversa (generazione ecorruzione) o di alterazione delle qualità (colore, odo-

re, sapore ecc.) e delle dimensioni (crescita e decresci-

ta). In tal senso il processo di modificazione metafisi-ca di una forma diventava un processo o flusso"quantitativo" continuo della sua latitudo attraversogli infiniti gradi di intensio e remissio delle sue qualitàaccidentali e sostanziali. Ma appunto la riflessione lo-

gico-matematica attorno agli infiniti gradi di cambia-

mento di una forma e agli assurdi logici che compor-

tava il tentativo di definire univocamente il gradominimo e massimo del cambiamento e l'istante ditempo in cui esso iniziava e finiva metteva in questio-ne il concetto di misura assoluta e quindi la stessafinitezza e precisione assoluta dell'universo aristoteli-

co. Le questioni logiche si risolvono in seri quesiti perla filosofia peripatetica. Quando è che la forma di So-crate finisce di non essere e inizia ad essere? Quandoè che Socrate inizia (incipit) a essere bianco o finisce(desinit) di essere bianco per mutare colore? Se dicia-

mo che Socrate può portare un peso fino a un massi-

mo (maximum) di 100 libbre, dove inizia (incipit) ilminimo (minimum) di peso che Socrate non può por-tare? Se si dicesse 101 libbre allora fino lì finirebbe(desinit) il massimo che Socrate può portare, e così sesi dicesse 100,5 libbre e via via all'infinito per tutti igradi infiniti di peso maggiori di 100 e minori di 101libbre e in ognuno dei quali ambedue gli opposti dimassimo e minimo finirebbero sempre paradossal-mente per coincidere. Ma il problema equivale a chie-derci se in un braccio di bilancia il contrappeso postosulla tacca 100 equipara in equilibrio un peso equiva-lente, in quale punto dell'intervallo tra le tacche di

misura 100 e 101 andrà spostato il contrappeso perrompere l'equilibrio e vincere la resistenza? Lo spo-

stamento anche minimo che immagineremmo compie-

re "fisicamente" in realtà attraversa di colpo quellache in senso "logico" e "matematico" è una serie infi-nita di punti e di corrispondenti incrementi infinitesimidi peso già bastevoli per vincere la resistenza. I1 chevuol dire che per quanto infittiamo di tacche "fisiche"l'intervallo tra 100 e 101 ognuna sarà una misura e-normemente approssimata rispetto alla precisione infi-

nitesima che richiede la misura matematica ideale. Lariflessione logica sull'incipit e desinit, sul maximum esul minimum, in quanto riflessione intorno all'infinito,finiva per estendersi non solo a problemi di filosofiadella natura e di meccanica ma al concetto stesso diassoluta definibilità dei processi causali e del mondo.Dio per la Bibbia aveva creato il mondo secondo mi-sura, numero e peso, e pur essendo perciò tutto fisica-mente misurabile, la misura infinitamente precisa dellecose rimane inaccessibile all'uomo e, dice Oresme, che

conoscere con precisione assoluta le proporzioni tra lecose del mondo trascende le capacità umane. La prae-

cisio absoluta è solo prerogativa di Dio.Se tutto ciò ancora non poneva in discussione la

finitezza del cosmo aristotelico, è pur vero che la ri-flessione intorno alla infinità e onnipotenza di Diocome superamento di qualsiasi determinazione mina-va la logica del finito che a quel cosmo garantiva, peresclusione di uno spazio circostante, la sua finitezza edi conseguenza anche la sua assoluta unicità. Di quil'idea, che alcuni teologi discutono, sulla non necessi-tà di arguire dalla unicità di Dio l'unicità del mondo,

poiché se egli è infinito è anche al di là di ogni circo-

scrizione spaziale (è incircumscriptibilis) e nell'infinitadilatazione della sua essenza egli può ben circoscrive-

re altri ubi e altri "luoghi" in cui creare non uno mamolti altri mondi. Questa infinita "pienezza" dell'es-

sere divino contraddice l'idea aristotelica di un "vuo-

to" circostante il cosmo come pura negatività e ine-sistenza, come nihil, e in esso, come altri teologi de-

ducono discutendone la questione, non è contraddit-torio pensare che Dio abbia conferito un moto rettodi traslazione all'intera ottava sfera e con essa al co-

smo. Dunque possibilità di altri mondi, possibilità dialtri ubi e luoghi dove traslare il cosmo e anche possi-bilità del moto di rotazione della Terra. Possibilità di-scussa da Oresme che rammenta l'ipotesi avanzata daEraclide Pontico e che giudica impossibile da esclude-re mediante esperienza: le apparenze sarebbero infattile stesse se fosse la terra a ruotare e non l'ottava sfe-ra. Ma anche se è il cielo a ruotare non ne conseguenecessariamente che la Terra sia ferma: avverrebbecome in una ruota di mulino in cui i1 suo perno cen-trale non rimane fermo ma ruota ad eccezione delcentro che, in quanto punto "matematico", non ha

parti e quindi non è corpo. Tutte queste sottili, anchese feconde, dispute erano altrettanti segni di insoffe-renza e di potenziale crisi del sistema aristotelico-

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Pensiero scientiJIco e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

Volvelle per determinare i nodi deli'orbita lunareda Pietro Apiano, Astronomim caesareum, Ingolstadt 1540

(per carteseconcessione della Biblioteca di Babele di Giancarlo

Beltrame)

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tolemaico ma all'interno del quale pur sempre rima-nevano come semplici alternative logiche al suo supe-ramento. Ma perché tale superamento avvenisse dallapossibilità logica alla realtà fisica occorreva un muta-mento dei presupposti metafisici su cui quell'immagi-ne del mondo e quel sistema si fondava.

7. CULTURA UMANISTICA E PLATONISMO MATEMATI-

CO: LA RIVOLUZIONE COPERNICANA E LA DISTRU-ZIONE DEL COSMO ARISTOTELICO -TOLEMAICO

La frattura che avviene nel XV secolo tra culturamedievale e cultura umanistica trova certamente il suonuovo confine nella cultura delle classi, cittadine, legataa valori nuovi della vita politica e civile, e coinvolge icancellieri, i mercanti, gli artisti, gli artigiani-scienziati,gli uomini di lettere filologi e storici nella ricerca o nel-la riscoperta dell'antico. Questa riscoperta non è recu-

pero erudito del passato ma, a ben guardare,è

accom-pagnata dal senso di un'età nuova, in cui, in unostretto nesso tra tempo storico e astrale, la fondamen-tale tematica della renovatio o "rinascita" è sentita noncome ritorno alla antichità, ma della antichità, comeinizio di una congiuntura cosmica già conosciuta dallaGrecia e da Roma e che la natura, nella sua vicendaciclica, riporta all'orizzonte dei tempi richiedendo unaconforme rigenerazione delle forme di civiltà e di cul-tura. È in questa particolare ottica di rigenerazione,non libresca, ma "naturale" e cosmica della civiltà an-tica che, a fronte di quella medievale sentita come un

intermezzo di oscuro declino, viene affiancandosi e dif -fondendosi fuori delle università, dove l'aristotelismoscolastico ancora domina, una rinnovata e diretta co-noscenza dei testi scientifici di Archimede, di Euclide,di Erone, di Vitruvio, di Apollonio di Perge, o di quel-li filosofici sin lì sconosciuti di Plotino e di Platone.Una filosofia platonica e neoplatonica rinnovata nel-l'ampiezza e genuinità delle fonti soprattutto a Firen-ze, per merito di Marsilio Ficino, che intraprende latraduzione latina non solo di tutto il corpus attribuitoa Platone ma di una serie di scritti di ispirazione plato-nica, neoplatonica, pitagorica ed ermetica, ponendo a

disposizione dell'Europa colta una quantità di nuovefonti e suggerendone un'interpretazione che a lungocondizionerà le correnti filosofiche e scientifiche dei se-coli successivi.

Nel contesto di questo platonismo marcatamenteantiaristotelico si pone Niccolò Cusano (1401-64), mapiù che nella fioritura classico-umanistica il suo pensie-ro rimane nel filone parallelo della mistica matemati-co-speculativa tedesca che deriva dalla teologia di tra-dizione albertino-renana. Egli sviluppa appieno i temisopra ricordati della logica dell'infinito, del massimo e

del minimo, in cui i paradossi della matematica sono

specchio ed enigma dell'opera di Dio nel mondo. Lerelazioni geometriche, valide per le quantità finite, seproiettate all'infinito perdono la loro determinazioneper confondersi nella coincidentia oppositorum. Nulladi più opposto che una linea retta tangente a un cer-chio e il cerchio stesso, ma se dilato il cerchio fino al-l'infinitamente grande, la circonferenza al limite finiràper concidere con suo opposto, la linea retta. Se il dia-

metro di un cerchio si estende all'infinito la circonfe-renza fmirà per coincidere con il proprio diametro. Seil lato di un triangolo si estende ali'infinito, gli altridue lati coincideranno con esso. La linea retta infinitaè perciò, nello stesso tempo, triangolo e cerchio. E inun cerchio infinito circonferenza e centro non hannoun loro "dove" assoluto e posizioni relative "defini-te": essi possono coincidere ovunque e non esistere innessuna parte. Grande e piccolo, maximum e minimum,hanno valore e opposizione definita finché sono rela-zioni tra grandezze finite, finché possono paragonarsi

tra loro come relazione di più grande e di più piccolo,ma l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolotransitano, appunto, nell'infinito dove massimo e mini-mo si identificano e vanno al di là dell'intelletto uma-no e finito. Torna in Cusano l'idea che conoscere è

sempre una "congettura", una approssimazione allaprecisione assoluta, che è precisione infinita. L'intellet-to umano non comprende o "misura" mai la verità inmodo così preciso da non poterla comprendere piùprecisamente ancora all'infinito. L'intelletto sta alla ve-rità come un poligono inscritto sta al cerchio circo-scritto: quanti più angoli, moltiplicando i suoi lati, avrà

il poligono, tanto più i suoi infiniti punti tenderanno acoincidere con gli infiniti punti del cerchio, ma non sa-rà mai uguale a meno che non si risolva nell'identitàcon il circolo. Nel mondo dunque, in quanto contra-zione materiale delle forme divine, non può esistereprecisione assoluta, che è prerogativa di Dio. Non è

possibile che esistano una sfera o un circolo verissimi(cioè infinitamente precisi), di cui non se ne possano da-re di ancora sempre più veri. La precisa equidistanzatra cose diverse non si trova fuori di Dio perché eglisolo è la vera eguaglianza. Da questa concezione teolo-gico-metafisica della matematica e dalla conseguente cri-

tica della logica del finito, ne deriva in Cusano l'ideache il cosmo tolemaico-aristotelico manca di precisionee di determinazione rigorosa. Per lui l'universo è inter-minatuin, perché la definitezza dei limiti è intrinseca-mente vietata alle cose create. Centro e circonferenzadel cosmo, Terra e ottava sfera sono solo approssima-zioni fisiche in rapporto alla precisione metafisica. In talsenso il mondo non ha una vera circonferenza e un ve-ro centro. E se la Terranon è il vero centro ma solouna sua approssimazione, essa non sarà immobile ma siapprossimerà alla quiete assoluta avendo ancora un

grado di velocità di rotazione. Essa non può essere

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Pensiero scientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

priva di qualsiasi movimento, nulla nel cosmo è privodi movimento. Ma se la Terra non è centro del mon-

do, per la stessa approssimazione la sfera delle stellefisse non sarà la sua vera circonferenza. Poiché il cen-

tro è un punto perfettamente equidistante dalla circon-

ferenza, e non è possibile che, nel mondo fisico, ci siauna vera sfera tale che non se ne possa dare una più

vera, è chiaro che non si può dare un centro di cuinon possa esistere uno più vero e più preciso. Nullanel cosmo è definito e preciso, anche i poli del mondosono congetturali, imprecisi e quindi mobili. Né Sole,né Luna, né pianeti possono descrivere cerchi perfetti,visto che non si muovono attorno a un centro fisso.Tutto questo insieme di deduzioni logiche rappresentala distruzione se non fisica, quanto meno metafisica,della cosmologia aristotelico-tolemaica. Negare l'esi-stenza reale di orbi circolari perfetti e di moti rigorosa-

mente uniformi implicava la negazione dell'ideale stes-so dell'astronomia greca e medievale, cioè la riduzione

delle apparenze a un sistema che "salvasse" i fenome-

ni: nella prospettiva di Cusano questi stessi fenomenidiventavano apparenze fallaci. Ma di questa fallaciamancava ancora una dimostrazione astronomica e fisi-ca. Cusano, infatti, risolve il cosmo in una imprecisarealtà finita nell'infinita potenza di Dio. La macchinadel mondo, egli afferma, ha in certo modo il suo cen-tro dappertutto e la sua circonferenza in nessun luogo,perché la sua circonferenza e il suo centro sono Dioche è dappertutto e in nessun luogo. Trasferimento ar-dito dal cosmo chiuso a un universo indefinito di una

definizione di tradizione ermetica che Cusano riferisceal Dio cristiano: «Una sfera il cui centro è dappertuttoe la circonferenza in nessun luogo)).

La ragione dell'imprecisione del mondo aristoteli-

co-tolemaico ha per Cusano una radice teologico-me-tafisica nell'infinita appross'imazione delle sue misure"fisiche", mai realizzabile se confrontata all'infinità

attuale di Dio in cui finisce per risolversi ma, al con-tempo, a occultarsi definitivamente all'intelletto uma-no. Si tratta di una divaricazione massima del concet-to platonico e neoplatonico tra mondo ideale che perCusano è tutto implicito e complicato (complicatio) inDio, come nel centro adimensionale e acorporeo diuna sfera, e mondo materiale che da esso erompe ir-

raggiandosi in un "dispiegamento" o explicatio, cheawiene attraverso la "concrezione" o "contrazione"materiale (contractio) delle sue forme delimitate e fisi-che. Un approccio tutto teologico e mistico alla spe-

culazione matematica tipica del neoplatonismo chepone Cusano ambiguamente tra Medioevo ed età mo-

derna come colui che ha tratto dalla riflessione tar-do-scolastica e della mistica tedesca le ragioni di unaesplicita rottura con la finitezza del naturalismo e del-la logica aristotelica. È questo approccio che gli fariconoscere la possibilità del moto della Terra e la suasimiglianza, se considerata da un altro punto della re-gione cosmica, con una "stella nobile", perché cir-

condata dal brillare della sfera del fuoco. Una visionerelativistica (qualsiasi osservatore posto in qualsiasiluogo del cosmo riterrebbe di esserne al centro) cheparifica, nei suoi aspetti instabili e scambievoli, lastruttura ontologica del mondo, che gli appare so-

stanzialmente dappertutto simile. Ma se non è più

quello medievale, il cosmo di Cusano è ancora con-

cettualmente incluso e solidale al circuito di una sfe-ra, anche se trascende da quella fisica dell'ottavo cie-lo a quella teologica di Dio. La rotazione della sferadelle stelle fisse continua a impedire di pensare comerealmente possibile un universo come spazio indefini-

to o infinito oltre il sistema planetario.A consentire questo fondamentale passo da un co-

smo chiuso a un universo infinito sarà, come sua ine-

liminabile condizione, la rivoluzione astronomica co-

pernicana. Di poco successivo a Cusano, NicolòCopernico (1473-1543), fu un astronomo nativo diTorun nella Pomerania (Prussia polacca) lungamenteconteso dagli storici tedeschi come loro compatriota,una contesa assolutamente anacronistica per un'Eu-

ropa resa ancora comune, al di là dei localismi terri-toriali soggetti a mutevoli possessi patrimoniali più

che a stabili identità nazionali, dal persistente retag-gio dell'universalismo medievale e dal più vasto confi-ne di una civiltà latina e cristiana di cui Copernicosentiva certamente di fare ancora parte. Suddito prus-

siano del re di Polonia, e per quasi tutta la vita cano-

nico della cattedrale di Frauenburg nella diocesi diWarmia, Copernico era statd studente nella ricca ecolta Cracovia, poi in Italia nelle università di Bolo-

gna, Padova, Ferrara, oltre che alla corte papale diRoma, per apprendere il diritto canonico ma anchemedicina, matematica e astronomia, del cui celebreprofessore Domenico Maria da Novara fu discepolo e

assistente e di cui certamente condivise gli interessicosì vivi in Italia per la rinascita degli studi greci el'umanesimo scientifico, buona parte del quale consi-steva nella ripresa del pitagorismo e platonismo ma-

tematico. Ben diversamente dalle aperture infinitistedi Cusano, Copernico sembra affrontare il problemadel cosmo, oltre che sul campo più specifico e tecnicodell'astronomia matematica e d'osservazione, entrouna concezione, certamente umanistica, della mate-matica e della geometria come espressione ontologicadi proporti0 e s~mmetria.L'idea cioè, come affer-

mava Leon Battista Alberti, che tutto ciò che la natu-

ra produce la esprime, come in una grande opera

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Claudio Tolomeo, astronomo, matematico e geografo greco del

I1 secolo d.C., fu tra i maggiori rappresentanti della scuola

scientifica di Alessandria. Nella sua opera più famosa, 17Almage-

sto, fornì una sistematica teoria matematica dei moti celesti a

giustificazione della cosmologia aristotelica. Essa era fondata

sul presupposto della immobilità della Terra al centro del cosmo

(geocentrismo) e della rotazione attorno a essa di "sfere solide"

e concentriche che trascinavano con moto circolare uniforme i

pianeti, tra i quali il Sole, e le stelle. Tale immagine del mondo,fatta propria dalla teologia scolastica e commista con elementi

di tradizione cristiana, fu ritenuta coincidere con quella del rac-

conto biblico della creazione. Essa rimase dominante in Europa

e considerata "attuale" fino all'affermarsi del sistema copernica-

no, agli inizi del '600, così come rimase dominante l'immagine

di Tolomeo, considerato, come in questo ritratto, alla stregua di

uno scienziato "attuale" (per gentile concessione dell'Istituto

dell'Enciclopedia Italiana)

Nicolò Copernico (1473-1543) fu un astronomo polacco di raffi-

nata educazione umanistica e influenzato dal platonismo mate-

matico. Riprendendo un'ipotesi già formulata nel 111secolo a.C.

da Aristarco di Samo, nel De revolutionibus orbium coelestium

(1543), rovesciò arditamente il presupposto aristotelico-tolemai-

co, ipotizzando il Sole fermo al centro del mondo (eliocentrismo)

e la Terra dotata di un doppio moto di rivoluzione attorno al

Sole e di rotazione attorno al proprio asse. Ripartendo dalle

osservazioni di Tolomeo, provò a calcolare se tutti i fenomeni

celesti potessero risultare in effetti coerenti con tale ipotesi e

scoprì che il sistema eliocentrico era il solo che li giustificasse in

modo armonico e più semplice di quello geocentrico. Esso era

dunque reale, ma la realtà del moto della Terra sconvolgeva la

struttura del cosmo greco cristianizzato, implicava la sua non

identità con quello della creazione biblica e obbligava a ripensare

in modo totalmente nuovo le leggi fisiche dettate da Aristotele(per gentile concessione dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana)

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 Pensiero s c i e n t 8 c o e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

Questa immagine tratta dalla Selenograpkiadi Johannes Hevelius (1647) rappresenta lo

schema copernicano del mondo. Esso è defini-

to come kypotkesis, perché ancora sentito in

alternativa ad altre due possibili ipotesi: quel-

la tolemaica e quella ticonica (dal nome del-l'inventore, l'astronomo danese Tycho Brahe)

che rappresentava un compromesso tra geo-

centrismo ed eliocentrismo. In termini di pura

rappresentazione geometrica, il sistema coper-

nicano non sembra differire granché da quello

tolemaico, se non per lo "scambio" di posto

tra Terra e Sole e la scomparsa dei cieli sopra

le stelle fisse (il moto e le irregolarità nella

precessione degli equinozi erano infatti spiega-

te con il moto della Terra). In realtà questo

semplice scambio di posto e questa scomparsa

implicavano una rivoluzione fisica e metafisi-1ca. L'aver rimosso dal centro e collocato laI Terra tra i pianeti, significava che nella regio-

ne "superiore"dell'incorruttibile ed eterno en-

trava a far parte e si mescolava quella "infe-

riore" della corruzione e del perenne muta-

mento, i1 che apriva la strada alla unificazione

di spazio celeste e spazio terrestre e, quindi, al-

la unificazione delle leggi della fisica per I'inte-

ro universo. In più, che la Terra fosse un piane-

ta, per Copernico, voleva dire che essa rotolava

come una biglia lungo la propria orbita: un ro-tolamento che implicava di per sé due moti si-

multanei, quello di rotazione attorno al proprio

asse, l'altro di rivoluzione attorno al Sole. Un

doppio moto che sconvolgeva le leggi della di-

namica aristotelica, fondate sullo stato di quiete della Terra al centro del cosmo, e aveva conseguenze demolitrici sull'assetto

dell'antica cosmologia. I1 moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole (cioè l'orbita terrestre, definita da Copernico o r b ~ s

 magnus), oltre che ridurre a pure illusioni ottiche le anomalie planetarie e a rendere inutile il complesso sistema di epicicli e

deferenti inventati da Tolomeo per giustificarle, dilatava enormemente il vecchio cosmo e ne alterava profondamente l'asset -

to. I1 fatto che osservando ripetutamente dalla Terra una medesima stella durante il moto annuo di rivoluzione non si 'rilevasse alcuno spostamento di visuale o  parallasse di quella stella comportava, per Copernico, che la distanza della sfera 1delle stelle fosse talmente enorme da rendere praticamente nullo lo spostamento della Terra lungo l'orbe magno, il cui cer-

chio, di conseguenza, doveva valere come un punto inesteso. Quindi, diversamente dallo schema del mondo aristoteli - '

co-tolemaico, per Copernico tra orbite planetarie e sfera delle stelle fisse intercorreva un intervallo immenso. E' nell'impossi-

bilità di riprodurre in sdala tale intervallo che lo schema di Hevelius si limita a porre, sopra l'orbe di Saturno, la scrittal

 Interstitium amplissimum stellis vacuum, per segnalare che lì bisogna immaginare un "intervallo amplissimo privo di stelle",

cioè un vastissimo spazio vuoto. Se infatti il disegno avesse dovuto rispettare in scala la vastità di questa distanza, tanto da 1ridurre il raggio dell'orbe rnagno,come voleva Copernico, a pressoché un punto inesteso, avrebbe dovuto porre la circonferen-za delle stelle fisse a una grande distanza rispetto al foglio del libro. Siccome nello schema il raggio dell'orbe magno e di 1,75 l1 cm, se il disegnatore avesse voluto rispettare in scala la distanza tra centro del cosmo copernicano e sfera delle stelle fisse.

secondo il calcolo che aveva fatto Tycho Brahe, avrebbe dovuto tracciare la circonferenza delle stelle fisse a una distanza di

circa 120 m dal centro del disegno, mentre per il cosmo tolemaico si trattava solo di 30 cm. Se queste erano le conseguenze

del moto di rivoluzione della Terra, non meno importanti erano quelle del moto di rotazione. Esso infatti comportava che il

moto della volta celeste fosse solo apparente e non reale e che, dunque, la sfera delle stelle fisse, oltre che immensamente

lontana, fosse immobile (Sphera stellarumfixarum immobilis, "la sfera delle stelle fisse è immobile" dice infatti la scritta). Con I

l'immobilità delle stelle il cosmo chiuso dei Greci è a un passo per divenire l'universo infinito dei moderni. Essa infatti era la

condizione per poter pensare come inesistente la cinta chiusa del cosmo antico. Anche se Copernico ancora crede che le stelle

sono tutte distribuite sulla superficie di una sfera finita e immobile, cosa impedisce di pensare, come farà prima Digges e poi IBruno, che, proprio perché immobili e di grandezza e luminosità differenti, le stelle siano distribuite non su una stessa

superficie sferica, ma in profondità cioè a distanze via via crescenti dal Sole, in uno spazio senza limiti o addirittura infinito?I

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Il sistema tolemaicoda Andreas Cellarius, Atlas coelestis seu hamonta mcrocosmica, Amsterdam 1561

ber cortese concessione della Biblioteca di Babele di Giancarlo Beltrame)

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I1 sistema copernicano

da Andreas Cellarius, Atlm coelestis seu hamania macrocosmica,Amsterdam 1661

(per cortese concessione della Biblioteca di Babele di Giancarlo Beltrame)

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d'arte, secondo la legge della concinnitas, cioè dellasimmetria e della proporzione tra le parti, ideale ispi-rato alla concezione pitagorico-platonica di un Diocome geometra e architetto che ha costruito il mondosecondo la regola aurea della proporzione. Idea nondiversa da quella di Leonardo da Vinci per cui «la

natura è costretta dalla ragione de la sua legge, che inlei infusamente vive)) a esprimersi appunto secondoragione, cioè ratio, ma nel senso matematico-geome-

trico di proportio, per cui il tutto deve essere sempre ilrisultato di un canone di proporzione, in cui un mo-dulo o unità di misura dovrà ritrovarsi secondo unacombinatoria finita, economica e armonica di multipliin ogni singola parte da cui il tutto è costituito.

Non è un caso che nel 1543, l'anno stesso in cuivede la luce il De revolutionibus di Copernico, AndreaVesalio (1514-64), medico e anatomista fiammingo

pubblica un testo di altrettanta capitale importanza,il De humani corporis fabrica, primo grande trattatoe, insieme, atlante anatomico dell'età moderna. ComeCopernico nello svelare la vera "fabbrica del mon-

do", così Vesalio intende svelare la vera "fabbrica delcorpo" per dimostrarne l'interna armonia. Da questafabbrica ogni organo può essere estratto, privato del-la sua epidermide, e offerto all'esame autoptico neisuoi minuti dettagli; ma non è pensabile come parteautonoma, dotata di una sua autonomia di funzioni,indipendente dalla fabrica nella quale per natura è in-

tegrata. Una fabrica che è una forma già tutta data e

compiuta, che è la totalità presupposta alle parti ri-spetto alla quale esse devono essere in proporzione.Alberti raccomandava nel Trattato di pittura: «Una

cosa rammenta, che a bene misurare un animante, sipigli uno qualche suo membro col quale li altri si mi-surino)), canone di misura antropometrico che deveintendersi implicitamente riproposto come canone dimisura di qualsiasi fabbrica, anche la fabbrica delmondo. La macchina del mondo rimane in Copernicocomposta nel suo insieme, come un corpo umano, u-na fabrica, un edificio, affinché ogni membro risulticommisurabile col tutto per via di rapporti. Un edifi-cio a sé stante, una struttura organica che evidenziala forma globale in stretta unione alle sue parti secon-

- do una concezione organicistica della macchina tipicadel Rinascimento. Concezione che è segno di un suoevidente debito dalla fabbrica del corpo umano e dal-

l'anatomia, e strettamente connesso con il canoneumanistico delle proporzioni organiche e con l'ideadell'arte come imitatrice del canone di natura.

Nonostante la sua portata rivoluzionaria, l'astro-nomia copernicana è appunto animata da questo ri-torno umanistico alla economia classica delle forme,

coerente al grande principio metafisica, come ricordaun alunno di Copernico, Retico, per cui la natura,ovvero Dio, non fa nulla invano, in modo cioè che

mediante una sola causa possa produrre il maggiornumero di effetti. La stessa economia per cui un fab-

bricante di orologi evita di inserire nel suo meccani-smo ruote inutili o tali che la loro funzione non possaessere compiuta da una soltanto, e in modo più per-fetto, grazie a un piccolo mutamento della sua posi-

zione. E questa ruota che Copernico sposta di luogonell'orologio del cosmo a sostituirne altre più com-plesse e inutili è quella della Terra. È questo sposta-mento il principio di economia costruttiva del cosmoda cui derivano, come da causa semplice, una quanti-tà di fenomeni che l'antica cosmologia aveva spiegatoimpiegando un quantità di sfere, deferenti ed epicicliinutili. Copernico in realtà era tornato a porsi in mo-

do libero dai pregiudizi della fisica aristotelica il pro-blema platonico di come "salvare le apparenze". Cioèdi come trovare un'ipotesi in accordo con i fenomeni

celesti che, forte tuttavia del suddetto principio dieconomia e di simmetria, riconducesse i moti celesti aorbite circolari e uniformi. Egli sulle prime si era po-sto l'obiettivo di riformulare le tavole astronomichesul genere delle usatissime Tabulae alphonsinae, cioèdegli almanacchi di calcolo e previsione quotidianadelle posizione degli astri, raccogliendo in altrettanticataloghi le osservazioni compiute in tutti i tempi,comprese quelle di Tolomeo, per raffrontarne i risul-tati. La grandezza di Copernico non fu tanto quella

di apportare fatti osservativi nuovi ma di correggere einterpretare quelli già conosciuti alla luce di una teo-

ria nuova, quella eliocentrica. In tal senso riprese sudi sé l'ipotesi di Ipparco, come quella di EraclidePontico o degli astronomi pitagorici Filolao e Niceta,che comunque implicava di accogliere quella che luistesso chiamò una absurda opinio- la mobilità dellaTerra- perché contraria all'opinione accettata daimatematici e soprattutto contraria al senso comune.Si trattava di un vero e proprio stravolgimento"per-cettivo", contrario a ciò che era sanzionato dai sensie giustificato dalla fisica aristotelica, ma dal quale eranecessario partire per provare a calcolare se tutti i fe-nomeni celesti potessero risultare effetti coerenti contale stravolgente ipotesi, e di lì scoprire se il sistemaeliocentrico era il solo che li giustificasse in modo ar-monico e più semplice di quello geocentrico. Del re-sto le ipotesi di Eudosso e Callippo conservavano sìla concentricità e uniformità di rotazione delle orbitema non spiegavano il variare delle distanze tra piane-

ti, mentre Tolomeo era riuscito dal punto di vista delcalcolo a soddisfare queste apparenze, ma a costo diuna complessa combinazione di moti circolari compo-

sti per eccentrici ed epicicli, certamente flessibile al fi-ne di rappresentare qualsiasi tipo di curva chiusa, ma

a condizione di poter accumulare cerchi fino a farlicorrispondere con i dati e senza accettare restrizioniper quanto riguarda le velocità che occorreva attri-

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?ro scientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

buire loro. Combinazioni di velocità che, per risultarecircolari e uniformi (che era postulato di tutta l'anticaastronomia e accettato anche da Copernico), doveva-no secondo Tolomeo essere osservati da un punto deltutto convenzionale e diverso dalla Terra come il co-

siddetto punto equante. E proprio questa crescente

non sovrapponibilità tra "modello cosmologico" pla-

tonico-aristotelico, per sfere omocentriche, e "model-lo geometrico" tolemaico per eccentrici ed epicicli,aveva divaricato la distanza tra fisica e matematica etra "filosofi naturali" e "astronomi matematici",dando luogo a tentativi di armonizzare i due sistemima anche di presentare l'astronomia come altra cosadalla cosmologia, in quanto costruzione ex hypothesi,cioè pura convenzione di calcolo capace di prevederele posizioni osservabili dei pianeti. Concezione ipote-tica che presentava quindi tutti i sistemi astronomicicome altrettanti sistemi matematicamente equivalenti

e ciascuno dei quali completamente "artificiale" elontano dalla verità cosmologica.

Lo sforzo di Copernico fu invece quello di mo-

strare l'implicazione reale dell'ipotesi eiiocentrica.Partendo infatti da alcune ipotesi che la realtà dell'e-liocentrismo richiedeva, egli intuì che, qualora i risul-tati delle osservazioni e dei calcoli vi corrispondesse-

ro, essi sarebbero stati perfettamente compossibili conla realtà "fisica" dell'ipotesi. Modello cosmologico eastronomico sarebbero tornati a coincidere, e in piùrivelando una simmetria matematica del sistema cheera perfettamente conforme alla concezione pitagori-co-platonica a cui quel sistema si ispirava. Un sistemache impiegava un'altra composizione di cerchi e chesalvaguardava l'antico postulato dell'uniformità deimovimenti in modo più semplice e più conveniente.Di qui le sette ipotesi formulate in un'operetta dicommento al suo sistema, De hypothesibus coelestiuma se constitutis commentariolus. Sette ipotesi da cuiCopernico partiva non come artifici mentali ma comealtrettante assunzioni di principio secondo cui potercostruire un sistema di moti celesti «in cui tutto simuovesse uniformemente attorno al proprio centrocosì come esige la legge del movimento assoluto)) eche, assunti in primo momento sotto la forma condi-zionale di ipotesi, passavano a realtà di fatto una vol-ta rivelata la reciproca congruenza tra sistema ipotiz-zato e le osservazioni e i calcoli astronomici sin lìcompiuti, a partire dallo stesso Tolomeo. I1 metodoadottato da Copernico era quello adottato dai mate-

matici e dai geometri nella risoluzione dei problemisecondo l'inferenza logica del "se ... allora",. cioè po-

ste e assunte come note le condizioni per risolvere ilproblema, se queste condizioni soddisfano le inferen-ze logiche richieste dalla sua dimostrazione, allora

quelle condizioni sono vere. Le ipotesi di Copernicoassumevano come principali condizioni note per risol-

vere il problema astronomico quelle che sin lì il sensocomune aveva rifiutato come assurde: cioè il doppiomoto di rotazione diurna e di rivoluzione annua della'.Terra e la stabilità del Sole. Queste condizioni Coper-nico poneva come quinta e sesta ipotesi, ma vediamo-le nell'ordine.

La prima ipotesi affermava che non esiste un solocentro per tutti gli orbi celesti o sfere. Non era veroquindi, come voleva il sistema aristotelico-tolemaico,che tutti i pianeti ruotassero intorno al centro del co-smo, e che la Terra si trovasse a coincidere con que-

sto centro assoluto in quanto luogo più "basso" ri-spetto a tutti i punti della ottava sfera e verso cuitenderebbero a convergere tutti i corpi "gravi". Laseconda ipotesi affermava infatti che il centro dellaTerra non è il centro dell'universo ma solo della

"gravità" e della sfera della Luna. Mentre la terzaipotesi affermava che tutte le sfere ruotano intorno al

Sole come al loro punto centrale e pertanto il centrodel mondo è "intorno" al Sole. Per Copernico infatti(come confermerà l'astronomia ellittica di Keplero) ilSole è eccentrico rispetto al centro dell'universo, percui sarebbe più corretto parlare del sistema coperni-cano come sistema eliostatico piuttosto che eliocentri-co. La quarta ipotesi affermava che, pur ruotandoattorno al Sole, la distanza tra Terra e Sole è imper-cettibile in confronto all'altezza del firmamento. Ciòvoleva dire che la distanza Terra-Sole e quella tra ilSole e le stelle, trasferita a scala cosmica, è pratica-mente come un triangolo la cui base, rappresentatadal diametro dell'orbita terrestre attorno al Sole (eche Copernico chiamava orbe magno), è talmente im-

percettibile e i due lati che la congiungono a una stel-la sono così enorhemente lunghi da rendere im-

percettibile, e quasi nullo, l'angolo al vertice (la cosid-

detta parallasse di una stella), e quindi i due lati ten-

dono a coincidere con una linea. Sono come le duelunghissime aste di un compasso che dovessero de-scrivere alla base un cerchio equivalente alla punta sucui fanno centro, cioè un diametro pressoché equiva-lente a un punto. Un'ipotesi, questa, tra le più com-

battute e controverse, perché dilatava in modo enor-me lo spazio cosmico e rendeva incredibile la distanzatra sistema planetario e cielo delle stelle fisse. Unavolta ammesso il moto della Terra, quest'ipotesi delresto era da dedurre con inflessibile coerenza logica,poiché ai tempi di Copernico non era possibile rileva-re con osservazione ottica alcuna parallasse annuale(o angolo al vertice) delle stelle fisse. Osservare laparallasse delle stelle secondo il sistema copernicanoequivale a compiere, a intervalli di sei mesi, le stesseosservazioni ai due estremi del diametro dell'orbe ma-gno lungo circa 300 milioni di chilometri, e vedere se

da questi due punti opposti si nota uno spostamentodell'angolo di visuale delle medesime stelle. Poiché -

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l

Un problema che si pose allo stesso Copernico relati-1 vamente al moto della Terra era perché, osservando le

stelle nel corso della sua rivoluzione annua, non si ri-

, velasse mai il cosiddetto effetto di parallasse. I1 feno-

meno della varallasse si riferisce alla differenza di vi-

suale che si verifica quando uno stesso oggetto vienevisto da diverse posizioni: esso appare di volta in volta

1 spostato rispetto a dei punti di riferimento. Nel casoillustrato è ipotizzato l'effetto di parallasse che si do-

vrebbe riscontrare rispetto a una medesima stella S

I osservata dalla Terra T in movimento, lungo la suaorbita, dalla posizione T alla posizione T I, cioè diarne-

1 tralmente opposte e massimamente distanti tra di loro,a intervalli di sei mesi. Traguardata da queste due

1 posizioni estreme la stella S dovrebbe presentare un ef -fetto di spostamento visivo o di parallasse, misurato

I dall'angolo al vertice y del triangolo formato dalle di-stanze TiS, ST, e dalla base TiT corrispondente al dia-metro dell'orbe magno passante per il Sole. Ma il fatto

che questo angolo y gli astronomi deli'epoca non riu- l

lscissero ad osservarlo, poteva essere recato a prova o 1

1 che la Terra non si muovesse o, come affermò Coper-nico, che la distanza delle stelle doveva essere talmenteenorme che il raggio dell'orbe magno, cioè la distanzapur grande tra Terra e Sole, diventava impercettibile1 come un punto in confronto all'altezza del firmamen-to. Nel caso della figura ciò voleva dire che il diametro

1 TiT diventava pressoché equivalente a un punto e chei due lati TiS, ST erano così enormemente lunghi daI rendere impercettibile, e quasi nullo, l'angolo al vertice

,(la cosiddetta parallasse). Un'ipotesi, questa, tra le più

combattute e controverse, perché dilatava in modo e-

I norme lo s~az ioosmico e rendeva incredibile. e incre- !dibilmente-vuota, la distanza tra sistema planetario e 1sfera delle stelle fisse. I

Copernico e gli astronomi suoi contemporanei non ri-levavano, a distanza di sei mesi, alcuna parallasse ospostamento angolare delle stelle sulla volta celesteera obbligo pensare o che le stelle fossero enormemen-te distanti, se veramente la Terra si muoveva attornoal Sole, oppure che le stelle non fossero così enorme-

mente lontane, e che la Terra fosse davvero immobi-

le. Questo della mancanza della parallasse stellare fuun argomento da cui molti conclusero la falsità delsistema copernicano (solo ne11'800 si riuscì a valuta-re l'esistenza della parallasse stellare in millesimi disecondo di grado e per oggetti distanti almeno40.000 miliardi di chilometri dalla Terra!). La veritàdell'ipotesi eliocentrica era dunque davvero ardita,

ma Copernico era disposto a poggiarla su una rigo-rosa deduzione matematico-geometrica che mante-

nesse in accordo il moto della Terra con i dati delleosservazioni. E appunto il moto della Terra era lachiave di volta di tutto il sistema, e come tale di-chiarato nella quinta e sesta ipotesi, e cioè (5) chequalunque moto appaia nella sfera delle stelle fisse(l'ottava del sistema tolemaico-aristotelico o firma-mento), non deriva da alcun moto del firmamento,ma dal moto quotidiano di rotazione della Terra edegli elementi a lei più vicini attorno ai suoi poli fis-si, mentre il firmamento e il più alto cielo rimango-

no immobili; e (6) che ciò che ci appare come movi-

mento del Sole non deriva dal suo moto, ma da unsecondo moto della Terra di "rotolamento" o rivo-

luzione di essa e della sua sfera attorno al Sole im-

mobile, come ogni altro pianeta.La Terra, pertanto, assumeva due movimenti, co-

me una trottola nello spazio, in cui il moto di rivolu-zione conseguiva di necessità da quello di rotazione:mentre infatti ruotava attorno a se stessa, la Terranon poteva che assumere un moto di rivoluzione ap-

pena si riflettesse sul fatto che essa rotolava, come unglobo, lungo la concavità interna della propria sferaod orbita circolare attorno al Sole. Nulla di più natu

-

rale che pensare, come nel getto di una biglia, che lasua revolutio generi simultaneamente due movimentiche ne costituiscono l'orbs. Da queste ipotesi e dallanaturalità di questi movimenti nasce l'idea della suaopera massima, il De revolutionibus orbium celestium(comparsa nel 1543 poco prima della sua morte), cioèdi un sistema di orbite circolari concentriche il cuimoto di rotolamento non è altro che quello conse-guente alle semplici proprietà geometriche dei pianeti,cioè della loro forma di globi o di sfere. Tutte le ra -

gioni dedotte dal moto delle anime e delle intelligenzecelesti e dalle speciali condizioni ontologiche del motodi rotazione uniforme venivano a cadere. Per Coper-nico ogni astro e ogni sua parte è centro a se stesso ela sua stessa "sfericità" non è altro che il risultato delpoggiarsi di tutte le sue parti attorno al proprio sin-

golo centro, per naturale appetito alla coesione, come"una goccia di acqua" che tende a chiudersi nellaforma sferica come la più semplice e perfetta, come lapiù "capace" delle figure (per effetto della legge geo-metrica degli "isoperimetri", per cui tra tutti i peri-metri di pari lunghezza quello che contiene più spazio

è quello di figura circolare), e come quella destinata

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$ero scient$co e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

in ragione della sua forma a ruotare o rotolare. I1 co-smo diviene così uno spazio  policentrico con tanti"globi" rotolanti l'uno (la Luna) attorno alla Terra, etutti insieme attorno al Sole. Già queste ipotesi dellanuova "astronomia" bastavano a sconvolgere lastruttura ordinata e assoluta dello "spazio cosmico"dell'antica visione del mondo. Per Aristotele se la

Terra o un suo solo frammento si fosse trovata nelcielo della Luna, la sua inclinazione sarebbe stataquella di seguire la sua gravità e dirigersi in basso,verso il centro del mondo. Nello spazio astronomicocopernicano le conseguenze fisiche che Aristotele ave-va dedotto perdono significato o, comunque, sonosconvolte: prima di tutte la teoria del cosmo comespazio orientato e assoluto suddiviso in una gerarchiadi "luoghi" con proprietà differenti e assolute. Gerar-chia fondata sulla netta divisione tra mondo celeste emondo terrestre, l'uno luogo della incorruttibile "nonpesantezza" delle stelle e dei pianeti, da cui il loro

ruotare senza fine, l'altro della "pesantezza" o "leg-gerezza" assoluta dei quattro elementi, da cui il loroelevarsi o scendere in linea retta da o verso il centrounico del cosmo, in un continuo mescolarsi e awicen-

darsi di generazione e corruzione. La realtà del motodella Terra sconvolgeva la struttura del cosmo grecocristianizzato, implicava la sua non identità con quel-lo sanzionato dalla teologia scolastica come conformeal racconto biblico della creazione, e obbligava a ri-pensare in modo totalmente nuovo le leggi fisichedettate da Aristotele. Alle obiezioni di Tolomeo e de-gli aristotelici contro il moto della Terra, perché im-plicava conferirle un moto "violento" e il conseguen-te dissolversi delle cose terrestri nello spazio, Co-pernico, da astronomo, non oppone una spiegazionein termini di leggi fisiche, ma un rovesciamento dipunto di vista percettivo assai semplice ma di profon-do valore epistemologico e che sarà la precondizioneper costruire una nuova fisica: «per chi ritiene che laTerra gira sarà ovvio anche affermare che si tratta diun moto naturale e non violento)). Quanto dire che ladinamica dei moti terrestri dovrà partire da un dato fisico e di natura semplicemente opposto a quello sin

lì creduto reale.La Terra diviene semplicemente "un altro piane-

ta" dal cui moto naturale bisogna partire per capirele leggi che regolano la dinamica dei corpi posti su diessa. Ed è bene notare che la centralità del Sole, pro-prio perché dedotta sul filo della rigorosa logica ma-tematico-geometrica, è ampiamente celebrata da Co-pernico non come ragione fondante la sua sceltaeliocentrica, ma come ancor più certa validazioneideologica della sua verità. Copernico vede infatticoincidere la centralità astronomica del Sole con lacentralità ideologica che la eliolatria era tornata ad

assumere nella filosofia umanistica (basti pensare al

Questa tavola con cui Keplero, nel  Myste rium cosmo-

 graphicum (1596), illustra il sistema copernicano ha uneccezionale valore. Come nota lo studioso M.-P. Ler-ner (Tre saggi sulla cosmologia  alla  fine del Cinquecen-

 to , Napoli 1992, pp. 65 ss., p. 68) si tratta probabil-mente del primo tentativo di rappresentare in scala unsistema planetario, ad eccezione, come ovvio, dell'in-tervallo tra Saturno e le stelle fisse (lettera  z ) del qualeKeplero commenta, come molti altri, che è «simile al -l'infinito)). Questa rappresentazione risulta più fedeleai calcoli copernicani di quanto non lo sia quella trac-ciata dallo stesso Copernico nella sua opera. L'eliocen-

trismo ha come effetto quello di ridimensionare il vec-chio sistema dei pianeti, modificandone radicalmentela struttura interna. Come si vede, in questo universogli spazi vuoti prevalgono nettamente su quelli pieni ele sfere planetarie non sono più in contiguità ininter-rotta, come nel cosmo aristotelico-tolemaico, ma sonoin discontinuità tra di loro. Per Copernico gli intervallitra i diversi cieli sono più grandi dei cieli stessi e inpiù, mentre viene dilatato enormemente l'intervallo tral'ultima sfera planetaria di Saturno e le stelle fisse, ladistanza tra Saturno e il centro del mondo viene ridot-ta di oltre un terzo. I1 che spinge a chiedersi quale tipodi corpo o sostanza riempie questi intervalli e quale siala reale natura degli orbi. L'universo si distingue sem-

pre più in un sistema solare tutto contratto al centrodi uno spazio immenso cui fa da confine uno stermina-to ammasso di stelle.

 De Sole di Ficino), per effetto del recupero delle an-tiche fonti ermetiche e zoroastriane, della religioneastrale pitagorica e neoplatonica del tardo Ellenismoe della filosofia luministica dello pseudo-Dionigi e ditradizione bizantina. L'eliocentrismo infatti avevaben più forti ragioni che non l'eliolatria pagana cri-

stianizzata: esso sembrava rispondere in modo ben

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Il planisfero Borgiano (a sinistra, in metallo) e il planisfero di Walsperger (a destra, su pergamena) sono tra i più celebri del XV secolo. I1planisfero di Walsperger visualizza il globo terrestre nel contesto del sistema geocentrico. La Terra appare circondata dalle sfere celesti fino

flultimo cielo, ma la rappresentazione si sofferma su quella che allora era considerata la "terra abitata" cioè i'ecumene di tradizione grecaesteso dal Gange fino all'estremità oceanica della Spagna, ma con una determinante influenza biblico-cristiana di tradizione medievale.L'ecumene è infatti orientato verso sud, cioè verso la montagna del paradiso terrestre, una città ideale munita di torri e da dove scorrono i

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 Pensiero scientifico e immagini del mondo &.E t a rdo -m@ a

quattro fiumi principali della Terra. Tripartita in Africa, Asia ed Europa, la supeficie abitabile appare, ip analogia w n il wsw chiuso

aristotelico,come uno spazio "wnfmto" e circondato dall'omo inattraversabile. Spazio chiuso e w n f i t o che il disca metallico del planisfe-

ro Borgiano rappresenta con anwr maggiore evidenza Anche qui l'orientamento è verso sud e l'Africa occupa perciò la parte suqeriore,mentrel'Asia e l'Europa occupano di conseguenza la parte centrale e inferiore. Le numerosissime scritte in ambedue i planisferi riportano miti eleggende della geografia antica e medievale. La Terra, wme il wsmo, è ancora un territorio da scoprire (Biblioteca Apostob Vaticana)

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più mirabile del geocentrismo ai principi di uniformi-tà dei moti circolari e di armonia geometrica a cuiPlatone aveva richiamato gli astronomi nell'appello a"salvare i fenomeni" celesti, cioè a spiegarne le ano-

malie. Copernico infatti, pur facendo anch'egli usoancora di epicicli, era riuscito a risolvere con assolutasemplicità, mediante il moto della Terra, il più grave

problema dell'astronomia antica, cioè la retrograda-zione dei pianeti, per cui la loro traiettoria sembravaformare, periodicamente, una curva intrecciata a cap-

pio, e per cui era stato studiato il complesso e artifi-cioso sistema per epicicli e deferenti. Copernico dimo-

strò invece che questi fenomeni erano appunto"fenomeni" nel senso di "apparenze", cioè di illusio-

ni ottiche provocate, come fra oggetti posti su ruoteconcentriche di una giostra che girino a velocità diffe-

renti, dal fatto che nel suo moto annuo di rivoluzio-

ne, la Terra periodicamente raggiunge, uguaglia e su-

pera i pianeti esterni più lenti, o viene raggiunta,

uguagliata e superata dai pianeti interni più veloci,che, guardati sullo sfondo della sfera stellata in quellefasi, appaiono assumere quegli inesistenti movimentianomali. In più, il modello semplificato delle orbitecircolari e l'uso della trigonometria consentirono aCopernico di calcolare, mediante l'ampiezza degli an-

goli risultanti dalle triangolazioni tra Terra, Sole e glialtri pianeti, le distanze reciproche tra i corpi celesti.Ciò gli consentì di calcolare la scala del sistema solaree inoltre di determinare con estrema precisione il tem-

po impiegato da ciascun pianeta a compiere un intero

periodo attorno al Sole. Da ciò dedusse un ordina-mento mirabile del cosmo che rivelava un'armonia e

una proporzione costante tra moto periodico dei pia-

neti e il raggio delle loro orbite, quale in altro modonon era riscontrabile e che era manifestamente "fab-

brica" di un divino e supremo Architetto. Un'armo-nia che il sistema tolemaico non era riuscito in alcunmodo a svelare, dovendosi limitare a sviluppare perciascun pianeta una teoria distinta dagli altri in mododa poter descrivere e poter quindi prevedere, attraver-so specifici accorgimenti, le posizioni apparenti, senzatener conto delle distanze e delle grandezze reali dei

vari corpi celesti. Tanto che, come disse Coperniconella dedica a Paolo I11 del  De revolutionibus, la for-ma del mondo che dai loro calcoli ne sarebbe deriva-ta era come quella di un artista che traesse da luoghidiversi e mani e piedi e altre membra, ottime di persé, ma non proporzionate a un medesimo corpo, fi-nendo per comporre, se congiunte tra loro, non unuomo ma un mostro. La superiore armonia del co-

smo copernicano realizzava così l'ideale umanisticodella proporti0 e della symmetria, come ideale della

. finitezza classica, ma celava anche in sé le potenziali-

tà dell'infinito, ancora una volta in virtù del moto dirotazione terrestre. Per esplicita ipotesi di Copernico,

infatti, il moto di rotazione diurno della Terra ren-

deva "immobile" il firmamento e il più alto cielo.Cioè a ruotare ogni ventiquattro ore non era la vol-ta delle stelle fisse, ma il globo terrestre: ciò che simuove non è più, come voleva Aristotele, il "luogocontenentè" ma il "luogo contenuto". Ma a benguardare perché mai questo luogo contenente, ormai

immobile, dovrebbe essere una sfera conclusa e fini-ta? A farlo ritenere per secoli. una sfera era stato

l'obbligo di attribuire un movimento solidale di ro-

tazione a migliaia di corpi luminosi che, mantenendocostanti le loro posizioni reciproche, non potevanoche ritenersi tutti giacere infissi in una stessa superfi-cie concava, cioè a identica distanza dalla Terra. Mauna volta scoperto che queste migliaia di corpi lumi-nosi sono immobili rispetto alla Terra, al Sole e aglialtri pianeti, cosa più obbliga, se non un ideale difinitezza formale- che è ancora quello dello stessoCopernico- a ritenerli a uguale distanza dalla Ter-

ra, cioè racchiusi in una immobile volta sferica cele-

ste? Tanto più che lo stesso Copernico aveia dimo-

strato dover essere enorme lo spazio intercorrentetra il supremo degli astri erranti, cioè Saturno, e loscintillio della sfera delle stelle fisse, e che per luiquesto enorme intervallo era il massimo indizio perdiscernere la condizione cosmologica delle stelle daquella dei pianeti, perché tra ciò che è mosso e nonmosso era necessario che il divino artefice ponesse lamassima differenza. I1 moto della sfera delle stellefisse è, per scoperta dello stesso Copernico, sempli-

cemente il reciproco ottico della rotazione terrestre,cioè un'illusione visiva, una "apparenza", a cui nonc'è più alcun obbligo credere come a una realtà fisi-ca. Le stelle, tanto più che variano rispettivamentedi grandezza o luminosità, possono essere ciascuna aenormi e diversissime distanze dalla Terra, cioè pos-sono essere distribuite a distanze via via crescenti inuno spazio senza fine. I1 cosmo chiuso dei Greci è

quindi a un passo per divenire l'universo infinito deimoderni.

9. GLI EFFETTI DELLA TEORIA COPERNICANA. DAL

COSMO CHIUSO ALL'UNIVERSO INFINITO E LA

SCOMMESSA METAFISICA DI BRUNO. GLI SVILUPPI

DELLA COSMOLOGIA E DELLA FISICA: TYCHO

BRAHE, KEPLERO, GALILEI

Le enormi implicazioni che la teoria copernicana,se ritenuta vera, comportava nella radicale revisionedell'anticq immagine fisica del mondo, e della metafi-sica da cui essa traeva fondamento, furono subitopercepite. Copernico nella lettera dedicatoria a Pao-

lo I11 aveva peraltro affermato che compito propriodell'astronomo, e del matematico in quanto mate-

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Pensiero scientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a  Newton

Giovanni Keplero (1571-1630), astronomo e matematico tede-sco, fu tra i primi in Europa a professare esplicitamente il siste-

ma di Copernico, ma riformandolo in punti fondamentali per ilprogresso dell'astronomia. Per lui il cosmo eliocentrico esprime-

va un disegno divino di profonda armonia matematica, dal mo-mento che le orbite planetarie gli si svelarono distanti tra lorocome i perimetri d i ideali sfere circoscritte l'una dopo l'altra ai

cinque solidi più perfetti della geometria, e come gli intervalli

delle note musicali. Nella ricerca di una coerenza armonica tracalcoli astronomici e osservazioni Keplero rifiutò due antichi

postulati rispettati dallo stesso Copernico (la circolarità delle or-bite e il moto uniforme dei pianeti), il che gli permise di enun-

ciare le famose tre leggi: che le orbite dei pianeti non sono cer-chi ma ellissi; che il loro moto non è uniforme ma tale però chei raggi che li congiungono al Sole attraversano aree uguali intempi uguali; che per qualsiasi pianeta il rapporto tra quadratodel tempo di una sua rivoluzione e il cubo della sua distanza dal

Sole è una costante (cioè di valore identico per tutti). L'idea di

"sfere solide" trascinanti in moto circolare e uniforme i corpicelesti era distrutta. Per Keplero a guidare i pianeti, liberi nellospazio, era un'energia divinamente intelligente sprigionata dal

Sole attraverso i "raggi" dell'orbita ellittica. L'universo era or-

mai uno spazio popolato di stelle con al centro il sistema solare:un "armonico meccanismo" regolato dalle leggi della geometriama animato da un'energia divina (per gentile concessione del-l'Istituto del17EnciclopediaItaliana)

Galileo Galilei (1564-1642) fu matematico, fisico e astronomo trai massimi dell'età moderna. Convinto della realtà "astronomica"dell'ipotesi copernicana, fu il primo a trarre le conseguenze "fisi-che" del moto terrestre, ponendo con ciò i fondamenti della fisicamoderna. Con Copernico la Terra diveniva, per effetto del moto

di rivoluzione e rotazione, una "trottola" proiettata nello spazio.

Ciò comportava la risposta alle obiezioni già mosse da Tolomeoall'ipotesi di Aristarco sui presumibili effetti sconvolgenti di un

tale moto sui corpi terrestri. Risposta che richiedeva, connessaalla confutazione astronomica, una nuova teoria del moto deicorpi alternativa a quella aristotelica. Galilei operò sui due fronti,

fornendo, con il cannocchiale, nuove prove della realtà del siste-ma copernicano e giungendo a formulare, con le esperienze dimeccanica e di caduta dei gravi e in linguaggio geometrico-mate-matico, le nuove leggi del moto (gravità e accelerazione) coerenticon quel sistema. Per Galilei il mondo creato dal Dio delle Scrit-

ture non era quello decretato dalla teologia scolastica ma quelloosservato con il cannocchiale e governato dalla legge di gravità.

Di qui lo scontro con la Chiesa che con la condanna del 1633tentò di riaffermare I'indiscutibile verità del sistema tolemaico e il

primato della teologia che quel sistema aveva fatto proprio (DR)

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matico, era ricercare una rappresentazione non ipote-tica ma vera del cosmo. Ciò che Copernico, da astro-nomo e da matematico, non ritenne suo compito svi-luppare, furono le conseguenze cosmologiche e fisicheche la verità di questa nuova rappresentazione com-portava. A limitare la potenziale forza eversiva di es-

sa, pensò bene un teologo luterano amico di Coperni-co, Andrea Osiander, che forse all'insaputa o controil parere dell'autore, antepose in apertura al testo  Derevolutionibus una anonima premessa  Ad lectorem dehypothesibus huius operis che molti contemporaneicontinuarono ad attribuire a Copernico. Ed è appun-to sul concetto di ipotesi come "arbitrio" o "artificiomentale" che Osiander fondava il suo avvertimento, enon sul concetto rigorosamente geometrico usato daCopernico secondo cui le ipotesi sono "assunzioni diprincipio" che, una volta rivelata la reciproca con-

gruenza tra il sistema ipotizzato e le osservazioni e icalcoli, diventavano verità di fatto astronomiche. PerCopernico, se le premesse teoriche sono provate dalledimostrazioni sperimentali e dai calcoli, passano dallostato di ipotesi a "ciò che volevasi dimostrare" cioè avere cause.

L'apparente modernità epistemologica della posi-zione di Osiander, rivendicata da alcuni storici mo-derni, era in realtà un modo per mantenere alla mate-matica e alla geometria uno statuto subordinato esecondario rispetto alla filosofia naturale e alla co-

smologia peripatetica, che si riteneva fondata su più

forti ragioni metafisiche, per non dire rispetto allateologia, secondo la quale le stesse ragioni dei filosofisono ragioni verisimili se confrontate alla insondabili-

tà di Dio che rivela la sua verità solo per ispirazionediretta. In tal senso il sistema copernicano diventavauna delle tante possibili ipotesi, "escogitate" o "in-

ventate", supponendo dei moti in base a principi geo-

metrici, comodi solo per calcolare le posizioni passatee future dei corpi celesti. Accettare l'affermazione diOsiander che «non è infatti necessario che queste ipo-tesi siano vere, e persino nemmeno verisimili, ma è

sufficiente solo questo: che presentino un calcolo

conforme alle osservazioni)), significava sottrarre alsistema copernicano tutta la sua portata cosmologicae fisica, significava porlo come sistema arbitrario dicalcolo accanto alla persistente verità fisica della co-

smologia greca cristianizzata. Un'affermazione perevitare ciò che Osiander giustamente temeva, ma chenon si poté evitare, e cioè che la mobilità della Terrae l'immobilità del Sole potesse risultare offensiva aidotti del tempo e ((venisse inopportunamente a turba-re il regolare assetto delle discipline liberali da lungotempo istituito)), cioè turbasse l'intero assetto di unacultura che vedeva subordinate le scienze matemati-

che alle humanae litterae, alla filosofia e alla teologia,e la cui struttura poggiava su una conforme e secola-

re visione del mondo. Riconoscere la verità del siste-

ma copernicano implicava infatti una rivoluzionementale, comportava la necessità di attribuire conte-nuto reale alle conclusioni naturali tratte dalle dimo-strazioni della geometria e della matematica, e di su-bordinare ad esse le stesse leggi della fisica e della

metafisica aristotelica, che andava pertanto ripensa-

ta nella sua globalità. In sostanza, occorreva rico-

struire su basi nuove la percezione "quotidiana" del-lo spazio e del tempo ritenuta per secoli come quella"naturale".

Non a caso la fortuna e diffusione del copernica-

nesimo coincide in parte con il rifiuto di questa limi-tante impostazione data da Osiander; limitante per-ché, se davvero accettata, avrebbe negato il passo aglisviluppi della nuova cosmologia, della nuova filosofiae della nuova fisica. I1 copernicanesimo si diffuse an-zitutto e con più facilità in ambienti lontani dalla cul-tura delle scuole e delle università, più aperti alle no

-

vità e meno disposti a tener fermi pregiudizi da cuidipendeva il prestigio e l'autorità delle loro discipline.Un commentatore inglese di Copernico, Thomas Dig-

ges, in  A perfit  description of the Caelestiall Orbes ac-

cording to the most  ancient doctrine of the Pythago-

reans lately revived by Copernicus and by geometrica11demostration approuved  (1576), è il primo a rappre-sentare la struttura ancora chiusa del cosmo coperni-cano come quella di un mondo aperto, distribuendosu tutta la pagina, oltre il confine di quella che per

Copernico era l'ultima sphaera mundi, tutta una diste-sa di stelle, invadendo quello che un tempo era lospazio acorporeo del cielo empireo con «un orbe distelle fisse che si estende sfericamente in profonditàinfinitamente verso l'alto ed è per conseguenza immo-

bile)). Copernico aveva del resto eliminato una dellepiù importanti obiezioni astronomiche contro l'infini-tà dell'universo, cioè l'esistenza di un'estrema sferamobile, e nulla poteva più "scientificamente"impedi-re che il cosmo chiuso e gerarchico aristotelico-tole-

maico fosse destinato a dilatarsi fino ad esploderecome una bolla. Sarà questa la coraggiosa deduzio-

ne metafisica che, sulla base della polemica controOsiander e della rivendicata verità del sistema coperni-cano, sarà compiuta da Giordano Bruno. Una sceltametafisica, prima che astronomica e fisica, che spingeBruno a immaginare come semplicemente inesistentela separazione medievale tra mondo astronomico emondo teologico, tra cosmo greco e infinità acorpo-

rea della mente divina entro cui i teologi medievaliritenevano fosse circoscritto e compreso. Per Brunolo spazio mondano si divinizza e lo spazio divino simondanizza. Rotta la barriera, le due regioni si fon-dono in un universo infinito celebrato ne  La cena de

le ceneri (1584), nel  De l'infinito universo e mondi(1584), nel  De innumerabilibus, immenso et  infigura-

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 Pensiero scientifico e immagini de l mondo dal tardo- ant ico a  Newton

Questa illustrazione è tratta dali'opera  A perjìt de-scription  of the Caelestiall Orbes according to the most **pe ptionoftheCzleftidOrbes,

uc or àÌ qt o tbc moì? a#hti~nt&&iac ancient doctrine  o f  the Pythagoreans Iately  revived by p r t b a ~ o r c a ~ ~ .C.

Copernicus and b j geometricail demostration approuved(1576) del copernicano inglese Thomas Digges. Si trat-ta di una traduzione-parafrasi del I libro del  De re-volutionibus di Copernico la cui dottrina è presentatcome una rimessa in vita delle antiche dottrine

astronomiche dei Pitagorici, ma sulla base di prove di- *1 mostrate geometricamente. L'illustrazione documentaI come Digges sia uno &i primi a trarre la logica conse-

guenza dall'affermazione copernicana della ,immobilità

del cielo delle stelle fisse. Nel rappresentare il sistemaeliocentrico Digges infatti distribuisce ordinatamenteI su tutta la pagina una distesa di stelle, oltre il confin

di quefia che per Copernico era ancora I'dtima sphae- ra mundi, e invadendo uno spazio che si riteneva quel-lo acorporeo e spirituale del cielo empireo, habitacu-

lum  Dei et omnium electorum. Esso diventa, come dice'la scritta, «un orbe di stelle fisse infinitamente eccelso

che si estende in altezza sfericamente edè

per conse-guenza I'immobik edificio della felicità, ornato dì inumerevoli luci di gloria perpetuamente scintillanti,che eccedono di gran lunga il nostro Sole sia in gran -dezza che in qualità, la vera corte degli angeli celestivuota di pena e ricolma di perfetta ed eterna gioia, ladimora degli eletti)). Questo riversarsi delle stelle nelcielo empireo, in un'ambigua fusione tra spazio fisico

i e spazio spirituale, rappresenta una prima rottura delcosmo chiuso di tradizione greca e un'apertura verso

1 l'affermazione di uno spazio e di un universo infinito. Affermazione che Copernico aveva reso possibile eliminando una delle'più importanti obiezioni astronomiche contro l'infinità dell'universo, cioè l'esistenza di un'estrema sfera mobile che, proprio

tto della rotazione terrestre, la mobilità della sfera stellata,

una bolla in uno spazio senza forma.

 bili: sive  de universo et mundis (1591) e dove Brunoprende le mosse e va oltre Niccolò Cusano, che avevasemplicemente constatato l'assoluta imprecisione nelfissare limiti certi al mondo, per affermare con certez-za la sua infinitezza attuale. L'idea atomistico-lucre-

ziana di uno spazio infinito o indefinito, attraversatodal continuo agitarsi di atomi, torna in Bruno sottola forma di una materia spirituale, come quella im-maginata da Avicebron, che riempie infinitamente l'u-niverso perché in essa trova pienezza ontologica lastessa onnipotenza di Dio, che come infinita  natura

 naturans non poteva che esprimersi in un'infinita  na-

 tura naturata. Una materia divina e proteiforme, cheè in potenza in quanto ha "potenza" a divenire infi-nite forme, infinitamente ricca e infinitamente estesa.L'uniformità dello spazio, in quanto ricettacolo del-

l'essere divino, priva Dio della ragione di creare in unpunto e di non creare in un altro; per il principio diragion sufficiente e per il principio di pienezza tutto

ciò che Dio ha potenza di fare non può non averlofatto, e non può non averlo fatto in tutti i luoghi lad-

dove era possibile fosse fatto. In tal senso le sferechiuse e finite dell'antica cosmologia semplicementeesplodono, i vasti spazi che dividono la Terra e il si-stema solare dalle altre infinite stelle parificano que-sto piccolo mondo in un universo in cui sono conte-nuti infiniti altri mondi come il nostro. Nullaimpedisce di pensare infatti, che le stelle siano altrisistemi solari come il nostro, dispersi e diffusi nellospazio infinito, in cui ogni punto può essere il centro,perché nessun punto è più l'unico centro e dove Dio è

davvero una sfera in cui il centro è dappertutto e lacirconferenza in nessun luogo. Un panteismo dagliaccesi toni ilozoisti e brulicante di minute e infimerealtà materiali quotidiane, ma anche attraversato daun profondo senso neoplatonico della cristallina pu-

rezza e unità della essenza divina.Se la difesa della verità del sistema copernicano

consentì al filosofo domenicano Bruno per la primavolta in età moderna, e a costo di una condanna al

rogo per eresia eseguita dalla Chiesa il 17 febbraio1600, di concepire il cosmo in termini di universo e di

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L'orbita ellittica di Marte, da Giovanni Keplero, Astronomia nova,

Heidelberg 1609 (per cortese concessione della Biblioteca di Babeledi Giancarlo Beltrame)

tradurne l'estensione non più in termini di cieli e diluoghi ma in quelli prima non immaginabili di spazioe materia, è con Tycho Brahe e Keplero che il discor-so astronomico continua a dipanarsi secondo le ra-gioni della matematica e della scienza. L'astronomodanese Tycho Brahe (1546-1601), maestro di Kepleroe grandissimo osservatore di fenomeni celesti e inno-vatore di strumenti e tecniche nel suo celebre osserva-

torio di Uraniborg, fu il primo a dare consistenza a-

stronomica alla possibilità di un universo comespazio infinito, dimostrando l'inesistenza delle sferecelesti. Lo studio accurato dapprima di una stellanuova del 1572 e poi della traiettoria di una cometaapparsa nel 1577 lo convinse che questo nuovo corpoceleste non transitava, secondo l'opinione asserita

dalla filosofia peripatetica, nelle regioni meteorichedel mondo sublunare, ma attraversava liberamente laregione celeste secondo un'orbita che calcolò dovesseessere ovale. Poiché la cometa ruotava attorno al Solesecondo un'orbita esterna a quella di Venere, e dun-que intersecava le orbite dei pianeti, Brahe ne dedussenel De mundi aetherei recentioribus phaenomenis(1588) la conclusione, rivoluzionaria, che «la realtà ditutte le sfere, comunque possano essere concepite, de-

ve essere esclusa dai cieli». I1 moto delle comete chia-ramente provava che il cielo non era un insieme disfere dure e solide, ma un'etere fluido e libero, aperto

in tutte le direzioni, e tale da non opporre alcun osta-

colo alla libera corsa dei pianeti che doveva essere

regolata dalla sapienza divina e non da un "macchi-nario" o rotolamento di sfere reali. I pianeti si muo-vevano dunque in uno spazio celeste fluido e il loroorbe o sfera materiale diventava l'orbita o traiet-toria puramente geometrica dell'astronomia moder-na. Conclusione che distruggeva definitivamente la

teoria gerarchica delle sfere come motori dei cieli edegli astri e che poneva su nuove basi il problemafisico da cosa o da quale forza fossero mossi e man-tenuti in assetto circolare i pianeti liberamente inter-secantesi negli spazi dell'universo. Ma da scrupoloso

.osservatore Brahe trasse anche una conclusione con-

traria al sistema copernicano. Una conclusione chegli fece ideare il cosiddetto "sistema ticonico" oterzo sistema del mondo, che tentava di accordare ilsistema tolemaico con quello copernicano. PoichéBrahe non riuscì a rilevare alcuna parallasse stellare,piuttosto che ipotizzare con Copernico una enorme

distanza tra orbita della Terra e sfera stellata, pre-ferì mantenere l'immobilità della Terra al centro &l-

l'universo, optando per un sistema analogo a quellodi Eraclide Pontico. Per Tycho infatti la Terra rima-

neva fissa al centro del mondo con attorno il satelli-te della Luna, e allo stesso tempo attorno alla Terraruotava il Sole attorno al quale, a loro volta, ruo-tavano i cinque pianeti, quelli più interni, Veneree Mercurio, che rimanevano costantemente tra laTerra e il Sole, e quelli esterni, Marte, Giove eSaturno, che circondavano nel loro più largo girosia il Sole che la Terra. Poiché il sistema implicavacomunque che le orbite si intersecassero tra loro,tanto più rimaneva valida la negazione dell'esistenzadi sfere reali. Di fatto Brahe, a parte la sua rivolu-zionaria deduzione di fisica celeste, dal punto divista del meccanismo astronomico non faceva chescambiare il perno fisso di rotazione del sistema co-pernicano dal Sole alla Terra, come un puro rove-sciamento ottico. In tal modo manteneva del sistemacopernicano tutti i vantaggi matematici, ma offrivaa1 contempo un "salvacondotto" teologico a chi vo-lesse non entrare in conflitto con le Sacre Scritture,

dalle quali i teologi continuavano a trarre le proveche la verità divina concordava con il sistema tole-maico, e cioè che essa insegnasse la immobilità dellaTerra e la mobilità del Sole. Un sistema ingegnoso edi compromesso che come tale di fatto fu percepito,andando incontro a scarsa fortuna fino ad essereabbandonato.

Sulla scia delle osservazioni e delle scoperte diTycho Brahe, fu il grande matematico e astronomoGiovanni Keplero (157 1-1630) a rivendicare nuova-

mente contro Osiander la realtà del sistema coperni-cano, ma apportandovi delle correzioni decisive per

lo sviluppo dell'astronomia moderna. Keplero si poseil problema di quali forze potessero agire su pianeti in

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moto libero nell'etere fluido e del perché mai, liberatidal vincolo delle sfere solide, la loro orbita dovesseessere circolare e il loro moto uniforme. Per Kepleroil sistema copernicano doveva essere ulteriormente in-verato in un sistema che avesse come suo nucleo ge-neratore una "ragione" armonica e matematica divi-

na, che si sviluppasse senza soluzione di continuitàdalle distanze dei pianeti ai loro moti e al loro stessonumero, in una totalità armonica che avesse comesua ragion sufficiente intrinseca un vincolo matemati-co. L'entusiastica adesione al sistema copernicano sicongiungeva infatti in Keplero a una profonda fedeneoplatonica e neopitagorica in un Dio geometrizzan-te e matematizzante che avesse davvero fatto ogni co-sa secondo numero, peso e misura. Ponendo a fruttoil discepolato con Brahe e la larga messe di calcoli eosservazioni, Keplero ricercò e scoperse come cosamirabile la ragion sufficiente e il vincolo matematico

con cui Dio aveva costruito l'universo e non potevache costruirlo in tal modo. Nel Mysterium cosmogra-phicum (1596) egli rivelò che la struttura geometricadell'universo era quella dei cinque solidi regolari cheEuclide, nello scolio alla proposizione 18 del XIII li-bro, aveva dimostrato non poter esere che cinque equei soli cinque e cioè il dodecaedro, il tetraedro, ilcubo, l'icosaedro e l'ottaedro. Cioè si trattava degliunici solidi la cui superficie esterna poteva essere for-mata da facce aventi come spigoli dei lati identici traloro. Per Keplero il cosmo eliocentrico esprimeva undisegno divino di profonda armonia matematica, dalmomento che le orbite planetarie gli si svelarono di-stanti tra loro come i perimetri di ideali sfere circo-scritte l'una dopo l'altra a questi cinque solidi unici eperfetti della geometria, tanto da consentirgli il se-guente enunciato: «L'orbita della Terra è la misura ditutte le altre orbite. Circoscrivi ad essa un dodecae-dro, la sfera che a sua volta la circoscrive è l'orbita diMarte. Alla sfera di Marte circoscrivi un tetraedro, lasfera che lo contiene è l'orbita di Giove. Alla sfera diGiove circoscrivi un cubo, la sfera che lo racchiudesarà l'orbita di Saturno. Nell'orbita della Terra inscri-

vi un icosaedro, la sfera inscritta in esso è l'orbita diVenere. All'orbita di Venere inscrivi un ottaedro, inesso sarà inscritta l'orbita di Marte)).È questa la ra-gione che per Keplero spiega il fatto che i pianeti egli orbi non siano venti o cento, ma solo sei, e la mi-rabile corrispondenza per cui alla reciproca grandezzadei cieli (che Copernico aveva stabilito essere sei) cor-rispondevano soltanto cinque solidi geometrici, i solifra tutti gli infiniti solidi possibili, che avessero pro-prietà particolari che nessun altro dei solidi geometri-ci poteva vantare. Era questa dunque la ragion suffi-ciente della struttura del sistema solare, che obbligava

il Dio geometra al rispetto dell'economia delle suestesse regole.

lA confronto con l'ipotesi copernicana, la Selenographiadi Johannes Hevelius (1647) pone anche la  HypothesisThyconica, cioè il sistema del mondo escogitato dal-

l'astronomo danese Tycho Brahe, grandissimo osserva-tore e maestro di Keplero. Poiché Brahe non riuscìa rilevare alcuna parallasse stellare, diversamente daCopernico non ipotizzò un'enorme distanza tra sistemasolare e sfera stellata, ma preferì mantenere I'immobili-

tà della Terra al centro dell'universo, scostandosi co-

munque dal sistema tolemaico e optando per una solu-zione analoga a quella di Eraclide Pontico. Come sivede, la Terra è fissa al centro del mondo con la Luna eil Sole che ruotano attorno ad essa. A loro volta i pia-neti interni, Venere e Mercurio, ruotano attorno al Solemantenendosi in un'orbita che rimane costantementetra la Terra e il Sole, mentre quelli esterni, Marte, Gio-

ve e Saturno, facendo anch'essi centro nel Sole, abbrac-ciano con le loro orbite sia il Sole che la Terra. In real-tà risulta comunque un sistema eliocentrico ma chesposta il perno fisso di rivoluzione dal Sole alla Terra,con un puro rovesciamento ottico. I1 sistema, come sivede, implicava che le orbite si intersecassero periodica-mente tra di loro, e ciò fu reso possibile. da uno deimaggiori risultati di Brahe astronomo, cioè la negazio-

ne dell'esistenza delle sfere solide e l'affermazione che iI cieli erano liquidi. Da quel momento le orbite dei pia-neti smisero di essere dei sistemi solidi vincolati e assun-sero il carattere di pure traiettorie geometriche. Di fattoBrahe manteneva tutti i vantaggi matematici del sistemacopernicano, ma offriva al contempo una soluzionecosmologica di compromesso, comoda per chi volesseevitare il conflitto teologico con le Sacre Scritture, sucui i teologi fondavano, come su verità divina, la difesadell'immobilità della Terra e della mobilità del Sole. Unsistema ingegnoso ma che andò incontro a scarsa fortu-na perché, a fronte di un dibattito che in Europa era

,tutto incentrato sulla lotta tra sostenitori del sistematolemaico e copernicano, non serviva ai primi e non erasufficiente ai secondi.

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, Keplero non si contento di descrivere le reali proporzioni delcosmo copernicano ma ne volle indagare il principio necessa-rio, di ragion sufficiente, per cui esso era quello e non altro.Già Copernico aveva sostenuto che l'ordine del mondo eragovernato da una certa ratio, cioè da una proporzione esat-ta, per la quale l'ordo sphaerarum si succedeva secondo il

rapporto tra grandezza delle orbite e tempi impiegati a per-correrle. Keplero cerco di comprendere perché il rapportofosse queiio e perché i pianeti fossero non più di sei. Egliargomento che il numero dei pianeti e la dimensione delle

Q

loro orbite potevano essere capiti come applicazione da par-te di Dio al mondo delle proprietà dei cinque solidi regolaridella geometria euclidea (A) i soli a godere della caratteristi-ca di essere formati da facce tra di loro identiche, e costituiteda figure di lati e angoli uguali (da sinistra a destra: il cuboo esaedro formato da sei quadrati, il tetraedro formato daquattro triangoli equilateri, il dodecaedro formato da dodicipentagoni equilateri, l'icosaedro formato da venti triangoliequilateri e l'ottaedro formato da otto triangoli equilateri).Secondo Keplero circoscrivendo e inscrivendo ai cinque soli-

di regolari, nella sequenza di cubo, tetraedro, dodecaedro,iwsaedro e ottaedro, le relative sfere (B) risultava mirabil-mente che i raggi delle sfere così disposte stanno tra loronella stessa proporzione delle distanze medie dei pianeti dalSole nel sistema copernicano e, dunque, le sei circonferenzemassime delle sfere stanno tra loro come le orbite planetarie.Dunque per Keplero era dimostrato che Dio, nel crearel'universo, aveva scelto i cinque solidi regolari in modo dastabilire univocamente, in accordo con le loro dimensioni, ilnumero dei cieli, le loro proporzioni e le relazioni dei loromovimenti. Da questa scelta discendeva per necessità mate-1 matica che il numero dei pianeti non potesse essere né mag-giore né minore di sei e così pure rimanevano univocamentedeterminate tutte le loro relazioni di grandezza e movimento.Una necessità matematica che valeva come ragion sufficiente

per poter affermare che il mondo non poteva che essere chequello scoperto da Copernico.

Ma nella tenace ricerca di una coerenza armonicatra calcoli astronomici e osservazioni Keplero rifiutòpersino i due antichi postulati dell'astronomia plato-nica rispettati dallo stesso Copernico (la perfetta cir-

colarità delle orbite e la uniformità del moto dei pia-

neti). Nell'Astronomia nova (1609) e negli Harmonicesmundi (1619) Keplero svelò le vere leggi che sostitui-ranno ormai quei postulati e libereranno definitiva-

mente l'astronomia dalla necessità dell'artificioso ri-corso agli eccentrici e agli epicicli. Libere ormai daivincoli meccanici delle sfere solide e librati in un eterefluido, per Keplero le orbite dei pianeti non avevanopiù ragione di essere circolari né il loro moto peren-nemente uniforme: una diversa forma delle loro orbi-te poteva dar ragione sia delle variazioni di moto chedi grandezza apparente dei pianeti rispetto alla Terra.Egli riuscì infatti a enunciare le famose tre leggi che

soddisfacevano a queste condizioni meglio che il siste-ma copernicano. Nel presupposto della perfetta circo-

larità delle orbite, Copernico aveva infatti ancora fat-to ricorso a una serie di epicicli. Le tre leggi afferma-vano: la prima che le orbite descritte dai pianeti at-torno al Sole non sono cerchi ma ellissi e che uno deidue fuochi dell'ellisse è occupato dal Sole; una legge

che distruggeva definitivamente l'idea di un centro u-nico e univoco dell'universo. La seconda, riguardantela velocità con cui il pianeta percorre la sua orbita,affermava che la linea (o raggio variabile) che con-giunge il pianeta con il Sole attraversa (o "~pazza'~)

aree uguali in tempi uguali. Questa legge introducevaun concetto nuovo rispetto a quello di uniformità delmoto, nel senso che il moto dei pianeti non risultauniforme perché percorre in tempi uguali segmentiuguali di orbita, ma li percorre con velocità variabilein modo tale che risulti costantemente upiforme laporzione di area dell'ellisse attraversata dal raggio

nell'unità di tempo. L'irregolarità apparente delle ve-locità in realtà veniva ricondotta, secondo un ritmo

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?roscientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

periodico, alla regolarità uniforme di una condizionegeometrica. Una legge della "variabilità uniforme"che spiegava peraltro perché il pianeta si muovesse

più rapidamente quando è più vicino al Sole (al perie-

lio) e sempre più lentamente fino a raggiungere il

punto più lontano (l'afelio). Una legge dell'ellisse che

valeva tanto per le comete, secondo la forma rilevatada Tycho Brahe, quanto per i pianeti, che presentano

un'ellisse assai meno pronunciata e prossima al cer-chio. La terza legge, chiamata da Keplero legge "ar-monica" perché dimostrava per lui la profonda armo-

nia del sistema celeste e che per l'appunto annunciò

negli Harmonices mundi (1619), affermava che tra ilperiodo di un pianeta, cioè la durata di una rivoluzio-

ne completa attorno al Sole, e la sua distanza media

da esso esisteva una relazione costante. Profonda-mente convinto che anche tra i numeri che esprimeva-no il tempo di rivoluzione (periodo) del pianeta e lasua distanza media dal Sole dovesse esistere una qual-che correlazione armonica, Keplero, visto che i valori

unitari di tempo e distanza non svelavano alcun rap-porto costante tra loro, tentò tutte le combinazioni dicalcolo possibili, per scoprire l'esistenza di tale rap-porto. Egli infatti elevò inutilmente i valori della di-stanza e del tempo, dapprima tra quello semplice del-la distanza e il quadrato del tempo, poi tra il

quadrato della distanza e il valore semplice del tempoe infine tra il quadrato della distanza e il quadrato

del tempo. Vista l'inutilità dei risultati, solo la sua

profonda fiducia dell'armonia pitagorica delle sferepoté spingerlo a tentare di calcolare la potenza suc-cessiva, il cubo. Mentre il cubo del tempo non risulta-

va di alcuna utilità, di colpo si awide che il cubo del-la distanza media di un qualsiasi pianeta dal Solediviso per il quadrato del tempo di una rivoluzione,

dava per qualsiasi pianeta una costante, cioè 1, il che

gli consentì di enunciare che i quadrati dei tempi chei pianeti impiegano a percorrere le loro orbite [tempi

periodici] sono proporzionali ai cubi delle loro di-stanze medie dal Sole. Legge fondamentale per l'ar-monia celeste perché esprimeva una legge di necessitàche vincolava in un rapporto funzionale velocità del

pianeta e sua distanza dal Sole. I1 che voleva dire chenel sistema solare è impossibile che un corpo si muo-va a qualsiasi velocità e lungo qualsiasi orbita. Unavolta stabilita l'orbita, cioè la distanza media dal So-le, è automaticamente determinata la velocità e vice-versa. Il che voleva anche dire, per i calcoli astrono-

mici, che individuata la distanza dal Sole di un

pianeta, se ne poteva calcolare il periodo e viceversa.In tal modo Keplero aveva individuato una regola di

automeccanismo, di autoregolazione interna del siste-

ma, che poteva quindi funzionare come una vera"macchina". Per spiegare non solo il come ma da checosa fossero mossi i pianeti, proprio in ragione di

questo loro costante rapporto con il Sole, Kepleiro

immaginò che quest'ultimo avesse in sé una forzaproveniente da una sua anima motrix, e che fosse essaa guidare i pianeti, liberi nello spazio, con un'energia

divinamente intelligente sprigionata dal Sole attraver-so i "raggi" dell'orbita ellittica. Erano dunque i raggi

del Sole a spingere, attrarre e respingere con anda-mento ritmico e periodico i pianeti, disegnando in tal

modo le loro orbite. Una forza intrinseca e misteriosache vedeva il Sole come motore attivo e i pianeti co-me masse inerti soggette a questa forza. In ogni caso

l'idea di "sfere solide" trascinanti in moto circolare euniforme i corpi celesti era definitivamente distrutta e

si apriva il capitolo moderno dell'astronomia ellittica.Per Keplero l'universo era ormai uno spazio fluido,

non infinito ma finito, popolato ai suoi confini di

stelle e che aveva, distantissimo, al centro, il sistemasolare che funzionava come un "armonico meccani-smo" regolato dalle leggi della geometria e animatoda un'energia divina.

Con l'affermarsi e l'affinarsi del sistema coperni-

cano il problema della meccanica celeste era destinato

a spostarsi sempre più da quello dell'assetto dei corpicelesti a quello del moto dei corpi celesti, cioè dellafisica e della dinamica che governava la costante

struttura del loro assetto. Keplero aveva di fatto uni-ficato fisica celeste e fisica terrestre, dettando leggiche valevano per l'intero sistema solare. I1 concetto di

"mondo sublunare", come nucleo "interno" e "diver-

so"

dal mondo celeste e regolato da una dinamicasua propria era semplicemente scomparso, solo cherimaneva da connettere entro una fisica nuova la di-namica dei corpi terrestri secondo leggi che valesseroanche per la fisica dei corpi celesti.

È in tal senso che agì un altro grande sostenitore

del copernicanesimo, il matematico, fisico e astrono-mo pisano Galileo Galilei (1 564-1 642). Convinto an-

ch'egli, contro Osiander, della realtà astronomica del-l'ipotesi copernicana, fu il primo a trarre le con-seguenze "fisiche" del moto terrestre, ponendo con

ciò i fondamenti della fisica moderna. Con Coperni-co, come s'è visto, la Terra era divenuta, per effettodel moto di rivoluzione e rotazione, una "trottola"proiettata nello spazio. Ciò comportava la risposta

alle obiezioni già mosse da Tolomeo all'ipotesi di Ari-starco sui presumibili effetti sconvolgenti di un tale

moto sui corpi terrestri. Risposta che richiedeva, con-

nessa alla confutazione astronomica, una nuova teo-

ria del moto dei corpi che fosse alternativa a quellaenunciata nella Physica e nel De coelo di Aristotele.

Galilei operò su ambedue questi due fronti, fornendo,

con il cannocchiale, nuove prove della realtà del siste-

ma copernicano e giungendo a formulare, con leesperienze di meccanica e di caduta dei gravi, le nuo-ve leggi del moto valide universalmente. Negli stessi

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Volvelle per datare i fenomeni astronomici, da Pietro Apiano, A-stronomicum caesareum, Ingolstadt 1540 (per cortese concessionedella Biblioteca di Babele di Giancarlo Beltrame)

anni in cui Keplero enunciava le sue leggi della dina-mica celeste Galilei esplorava per la prima volta leprofondità dell'universo con il cannocchiale, alla ri-cerca di nuove prove osservative della realtà del siste-

ma copernicano. Con l'uso del cannocchiale l'astro-nomia, che sino ad allora si era avvalsa di osservazio-ni a occhio nudo e dell'aiuto di strumenti di misuraper traguardare i corpi celesti, fece un enorme balzoin avanti, accelerando la dissoluzione del cosmo ari-stotelico-tolemaico. Galileo per primo costruì e seppeusare il telescopio, non come un diversivo curioso,ma come uno strumento scientifico, nel senso che fuchiamato a dirimere questioni scientifiche in relazionea teorie divergenti. Galileo infatti lo rivolse al cielo evide realtà sino allora precluse ai sensi e alle cono-scenze, ma avendo come presupposto mentale delle

questioni scientifiche. Vedere realtà nuove sino alloraprecluse alla percezione nulla avrebbe significato senon ci fosse stata una teoria in base a cui interrogaree interpretare ciò che per la prima volta si scopriva osi vedeva meglio. Galileo seppe cosa e come investi-gare e con l'occhio, che per la prima volta dilatava lasua percezione nell'imrnensamente grande, colse im-prevedibili novità per il sistema copernicano, che an-

nunciò nel Sidereus nuncius del 1610. Egli scopre chela Luna ha montagne (e riesce a calcolarne l'altezza)e crateri come la Terra e che dunque essa ha unastruttura fisica come quella terrestre, il che implica

"sperimentalmente" che non c'è differenza tra la fisi-

ca celeste e quella del mondo sublunare. Egli scopre

che Giove ha una serie di satelliti (da lui battezzati,in onore al granduca Cosimo I1 de' Medici, "pianetiMedicei") come la Terra ha per satellite la -Luna, eperciò nulla impedisce che la Terra si muova in cer-chio con attorno la Luna come fa Giove con i suoisatelliti. In più il sistema di Giove offre un modello in

scala minore dell'intero sistema copernicano. Nel ten-tativo di mostrare la identica condizione fisica di Ter-ra e pianeti, Galilei inoltre afferma che la Terra è unpianeta splendente come gli altri, ma per effetto delriflesso dei raggi solari, e che solo questo riflesso, di-mostrabile geometricamente e in modo ineccepibile,fornisce alla Luna il suo tipico chiarore. Egli invertecosì l'opinione dei filosofi peripatetici per cui la Terraera l'unico corpo opaco e che, in conformità alla di-versa natura della sostanza dei cieli, la Luna era do-

tata di un suo chiarore intrinseco come tutti gli altripianeti. Egli scopre inoltre per la prima volta che Ve-

nere, osservata dalla Terra, ha delle fasi identiche allaLuna, cosa inspiegabile secondo il sistema tolemaico,ma perfettamente coerente con quello copernicano,dal momento che l'unica spiegazione che giustifichil'osservazione delle fasi è che l'orbita di Venere, inter-na a quella della Terra, si svolga effettivamente attor-no al Sole. I1 cannocchiale rivela infine a Galilei chela striscia della Via lattea è in realtà un ammassosterminato di stelle, il cui numero era fino allora cal-colato in appena 1022. Inoltre stelle e pianeti, privatidell'alone avventizio dovuto alla rifrazione atmosferi-ca, mostrano attraverso l'oculare del telescopio laloro reale grandezza, il che comporta nuovi dati dicalcolo e una nuova impostazione dei problemi in-

torno alla distanze relative dei corpi celesti. Ma oltreche distruggere la cosmologia aristotelico-tolemaica,l'astronomia telescopica abitua a percepire il sistemasolare come uno spazio comune che coinvolge, senzasoluzioni di continuità, la totalità dei pianeti insiemealla Terra e rafforza l'idea "relativistica" che ogni os-servazione compiuta dal globo terrestre è "correlati-va" a infinite altre che sarebbe possibile compieredagli altri pianeti. I1 che vuol dire che la nostra perce-

zione del mondo non ha nulla né d l"

centrale"

né di"privilegiato". È solo un modo, e tantomeno il piùcomodo, di affacciarsi sulla sterminata ampiezza dellospazio cosmico.

Ma l'aspetto che Galilei affrontò con effetti rivo-

luzionari fu quello delle conseguenze fisiche che il si-stema copernicano aveva sulla teoria del moto deigravi, per effetto del moto della Terra. Un doppiomoto che per gli aristotelici avrebbe dovuto disperde-re nello spazio gli oggetti posti sopra la Terra e cheavrebbe fatto disperdere, insieme ad essi, anche il sa-tellite della Luna. A tal fine Galilei reimpostò la fisica

alla ricerca di qualche principio che fosse a fonda-mento di una dinamica che potesse spiegare i fenomeni

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Pensiero scientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

osservati sulla Terra. I più importanti di tali principifurono quello della relatività e della composizione deimovimenti e la formulazione della legge di accelera-

zione dei gravi. Sulla base dell'esempio di una nave,fosse essa ferma oppure in movimento, purché unifor-me, egli rilevò che ogni altro moto che si compie al

suo interno, spostamento di uomini, volo di animali,gocciolii d'acqua o spostamento di oggetti, avvienenello stesso modo e senza alcun turbamento sia che lanave sia in quiete, sia che la nave sia in moto. I1 che,trasferito alla Terra, voleva dire che essa, e tutto ciòche su di essa poggia, è partecipe di un moto inerzialee uniforme che non sortisce alcun effetto rispetto atutti gli altri moti che ad esso si "aggiungono" o"sottraggono". Si tratta cioè, come voleva Coperni-co, di uno stato "naturale" nel senso che ogni motocosiddetto "violento" non è altro che un moto di ac-celerazione o decelerazione rispetto allo stato di moto

inerziale. Ma l'esempio della nave serviva anche a de-

finire il concetto di "relatività" del movimento, nelsenso che moto e quiete venivano ad assumere un va-lore ontologicamente pari, o "indifferente". Rispetto.alla dinamica aristotelica per la quale ogni moto erauno spostamento da uno stato di quiete "assoluta" auno che era sempre una traslazione "assoluta", unprocesso in divenire con un inizio e una fine, il motodiveniva uno stato "relativo" distinguibile dalla quie-te solo a seconda della scelta del sistema di riferimen-

to. Un uomo fermo sulla nave che viaggia è simulta-

neamente in quiete rispetto alla nave e in motorispetto alla riva. A sua volta una nave in quiete è

simultaneamente in moto rispetto alla superficie inrotazione della Terra, ma, ancora, in quiete rispetto aun oggetto celeste che ruotasse attorno alla Terra allastessa velocità del moto terrestre, e così all'infinito. Intal senso il moto si può considerare come risultante dipiù componenti e possono comporsi le velocità pergenerare un moto complesso. Studiando il moto dicaduta dei gravi Galilei rilevò che se un peso vienefatto cadere dalla cima di un albero della nave in mo-

to, esso cadrà alla sua base e non un po' più indietro

come chi credeva nei moti assoluti, durante la cadutainfatti la componente orizzontale del moto infertoledalla nave si compone istante per istante con la com-

ponente verticale del moto di gravità senza turbarnela traiettoria. In ogni moto la componente orizzontaleinferta dalla Terra si compone con quella verticaleche per Galilei è quella naturale dei corpi. Nel caso diun moto "violento" come un tiro di bombarda, seesso è diretto sulla verticale la palla decelererà fino ache il moto impresso uguaglierà il moto di gravità ela palla ricadrà di nuovo con normale moto accelera-

to in linea retta. I1 motivo per cui la palla nell'elevarsie ricadere si conserva costantemente sulla verticaledella bombarda, pur in presenza del moto terrestre, è

Il cielo stellato australe, da Andreas Cellarius, Atlas 'coelestis seu

. harrnonia rnacrocosmica, Amsterdam 1661 (per cortese concessio-ne della Biblioteca di Babele di Giancarlo Beltrame)

dato dal fatto che sia la bombarda che la palla parte-

cipano simultaneamente della stessa componente oriz-zontale inferta loro dal moto della Terra. Essa per-tanto risulta nulla rispetto alla componente verticale

inferta dal moto "violento" e poi da quello di gravitànaturale dei corpi. Nel caso il tiro sia in senso obli-quo si genererà una parabola composta istante peristante dal moto retto inferto dalla bombarda e daquello di gravità insito nella palla; ma sia nel tiroverticale che in quello a parabola in ogni istante lacomponente orizzontale conferita dal moto della Ter-ra alla palla rimane identica. In tal senso la questionecopernicana implicava una revisione totale delle leggidella fisica e del moto dei gravi. Per Galilei lo spaziodel'universo è ovunque identico e di natura non sem-

plicemente geometrico-euclidea ma fisico-archimedea,esso infatti è attraversato da corpi la cui tendenza è amuoversi secondo la linea più breve verso il centrodegli agglomerati di materia (i corpi celesti) di cuifanno parte. La legge primitiva e fondamentale dellafisica è quella che Galilei scoprì come legge propriadi ogni corpo, in quanto dotato di peso o gravità, co-

me sua proprietà originaria. Questa legge è appuntoquella di accelerazione dei gravi, secondo cui un cor-po lasciato in caduta libera si muove verticalmentedallo stato di quiete secondo incrementi di velocitàche seguono la più semplice legge di variazione, cioè

quella per cui la variazione è costante, vale a dire chegli incrementi stessi sono i medesimi istante per istan-

te, e per accumulo danno un moto naturalmente acce-

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Microcosmo e macrocosmo, da Robert Fludd, Utriusque cosmi...

 historia, Oppenheim 1617-19 (per cortese concessione della Biblio-teca di Babele di Giancarlo Beltrame)

lerato. Per meglio studiare il comportamento dei gra-vi e riuscire a derivarne una legge costante Galileiadottò il sistema di "rallentare" la velocità di cadutainclinandone sempre più la verticale, appunto attra-

verso il"

piano inclinato"

. Lo studio di una palla ro-tolante lungo un piano adeguatamente inclinato glidiede modo, "diluendo" e "disaggregando" gli spazie gli istanti di osservare con più attenzione il compor-tamento del corpo fino a dedurre la legge delle velo-cità secondo cui un corpo in caduta libera, o su unpiano inclinato, attraversa spazi via via crescenti inproporzione ai quadrati dei tempi impiegati a percor-rerli. In tal senso nei tempi 1, 2, 3, gli spazi percorsisono in totale 1, 4, 9, e il loro incremento, come disseGalilei, è come quello dei numeri dispari ab unitate

(1, 3, 5). La questione copernicana aveva così messo

capo a una delle prime leggi della fisica moderna, unalegge che prescindeva dalla "natura" del corpo e dal-la sua collocazione in qualsiasi luogo dell'universo.Una legge quindi necessaria e valida universalmenteed esprimibile in semplici termini di relazioni mate-matiche e geometriche. In tal senso, come disse nelSaggiatore (1626), la natura è scritta in caratteri ma-tematici e la ragione che indaga la natura non puòche essere conforme a quel linguaggio. La ragione in-

fatti, per Galilei, nel discorso geometrico e matemati-co esprime la forma più alta e corretta di logica. Ra-gionare è istituire relazioni e proporzioni come ingeometria. Per questa via si opera un definitivo pro-cesso di matematizzazione della natura e di identifica-

zione tra natura e macchina, tra mondo dei fenomenie mondo della meccanica. Per Galilei le leggi dellanatura non sono altro che le leggi che governano lamacchina, e viceversa. I1 concetto di leva, del resto,non è altro che un'applicazione del concetto di poten-za e resistenza tra due corpi che tendono reciproca-

mente a superarsi esercitando la loro tendenza allagravità, così come nel braccio di una bilancia i duepesi che si fanno equilibrio non sono altro che duegravi che esercitano il conato o "peso" verso il bassoma rimangono vincolati al perno centrale che fungeda "centro di gravità". E così pure la vite non è altroche un "piano inclinato" ravvolto a spirale su se stes-so il cui sforzo a penetrare in un materiale come illegno è pari a quello di un corpo grave che tenda arisalire l'inclinata dalla base al vertice. Ma anche ilsemplice filo a piombo usato dai mastri costruttorinon è altro che un grave in caduta libera trattenuto

in quiete, e la direzione del filo in tensione non rap-

presenta altro che l'inclinazione del piombo a muo-versi di linea retta verso il centro della Terra, come seil suo moto fosse colto e bloccato in istanti. Ma, asua volta, il filo a piombo oscillante diventa un pen-dolo vincolato a un perno e il cui periodo è scanditodalla discesa e risalita lungo un ideale doppio pianoinclinato curvilineo. Tutti gli accadimenti fisici sonodunque leggibili come casi particolari di poche e sem-plici leggi meccaniche. In tal senso macchina e mondosi trovano unificati sotto le stesse leggi. L'idea moder-

na che il mondo sia una macchina nasce proprio dal-la scoperta che tra macchina e natura non esiste, co-me sosteneva Aristotele, diversità di essenza e di fini.Tra congegno prodotto dal tecnico e fenomeno pro-dotto dalla natura esiste solo differenza nell'ordine digrandezza e di complessità ma stesse sono le leggi chele governano, cioè quelle della geometria e della mec-canica. Quest'idea Galilei aveva maturato frequentan-do il mondo dei tecnici, un mondo che, a iniziare daLeonardo da Vinci, aveva tentato per via di semplifi-cazione di indagare sul perché del funzionamento del-le macchine, passando dall'uso intuitivo e irriflesso

delle leggi (il contadino che scalza una pietra con lavanga, o che cerca di equilibrare spostandolo il con-trappeso di una stadera, usa senza saperlo il principiodi una macchina semplice, la leva, e la connessa leggedella statica), a un uso riflesso e consapevole. Tra iprimi a far ciò fu appunto Leonardo da Vinci che usòla geometria e la teoria delle proporzioni per analiz-zare e scoprire le condizioni di lavoro di una macchi-na. Quanto più questo processo di astrazione venneaumentando, tanto più l'attenzione si venne spostan-do dalla macchina alle parti elementari che la com-pongono e alle leggi semplici che ne governano ilfunzionamento. Processo che, per astrazioni ulteriori,porterà attraverso Galilei alla meccanica razionale

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come scienza applicabile ai corpi in generale, sianoessi naturali o artificiali, posti sulla Terra o in qual-siasi luogo dell'universo.

Per Galilei, infatti, il sistema copernicano è comeuna macchina messa in moto da Dio con la legge delpiano inclinato. Come suggerisce con un "mito plato-

nico"

raccontato nella prima giornata del Dialogo so-pra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e co-pernicano (1632), Dio nel fabbricare il mondo nonfece altro che far cadere dallo stato di quiete, da unastessa altezza e lungo piani diversamente inclinati, idiversi pianeti che, raggiunta la base per accelerazio-ne conservano perennemente la velocità acquisita conmoto uniforme lungo le loro orbite secondo una leggesemplice, unica e comune. Diversamente da Keplero,infatti, per Galilei le orbite planetarie sono ancora deicerchi perfetti e con periodo uniforme, e la forza cheli tiene in moto non è una misteriosa anima motrix

emanante dal Sole, ma la loro stessa forza di gravitàche Dio, facendoli scorrere su un piani diversamenteinclinati, muta da moto accelerato a moto uniformecon tempi periodici differenti. E anzi, per Gali le~lapossibilità che un corpo possa conservare un motouniforme, cioè il moto inerziale, è solo nel caso in cuiil moto si svolga in realtà lungo una superficie nonrettilinea ma circolare, dal momento che, rispetto alpunto centrale di attrazione verso cui tutti i corpigravi tendono con moto accelerato, solo tutti i puntiequidistanti dal centro corrisponderanno a uno stessogrado di accelerazione di velocità e quindi sarannotra loro di moto uniforme. Questa concezione delmoto aveva finito per rovesciare l'impostazione dellacosmologia e della fisica antica. Mentre prima era lostato di quiete quello naturale dei corpi ed era il mo-

vimento a richiedere spiegazione, ora il moto era unostato intrinseco e naturale dei corpi che, se lasciati li-beri, avrebbero continuato a proseguire in uno spazioinfinito, ed era invece il loro stato di quiete a doveressere spiegato, come stato di "impedimento" al moto.

Per Galilei, in ogni caso, il mondo creato dal Diodelle Scritture non era più quello decretato dalla teo-

logia scolastica ma quello osservato con il cannoc-

chiale e governato dalla legge di gravità. Natura eScrittura, per lui, sono ambedue linguaggi provenientida Dio, l'uno "dettato" per la salvazione dell'uomo,l'altro "scritto" nella natura con indelebili caratterimatematici. E due verità provenienti da Dio non pos-sono contraddirsi e non possono che essere ambeduedi pari veridicità, nei rispettivi ordini, quello dellateologia e quello della scienza. La visione del mondodecretata dai filosofi peripatetici e dai teologi scolasti-ci non è altro che una falsa interpretazione delle veri-tà della Scrittura, la quale non può esser forzata fino

a smentire ciò che Dio ha realmente compiuto nellacreazione, cioè la costituzione nel mondo scoperta da

Copernico, con il Sole immobile al centro dell'univer-so e la Terra mobile. Ma queste conclusioni di Galileisegnavano la distruzione del mondo aristotelico-sco-lastico su cui la teologia ufficiale aveva fondato il suoinsegnamento. Di qui lo scontro con la Chiesa che,dapprima con l'ammonizione del 1616 e poi con il

processo e la condanna del 1633, seguita dall'abiuradi Galilki, tentò di riaffermare l'indiscutibile verità delsistema tolemaico e il primato della teologia che quelsistema aveva fatto proprio.

Il processo e la condanna di Galilei avranno comeeffetto quello di dividere la geografia scientifica deipopoli europei, così come la contemporanea lotta traRiforma e Controriforma aveva disegnato una con-forme e diversa geografia religiosa d'Europa. Conl'imporsi della nuova scienza nata dalla rivoluzionecopernicana l'unione di religione, filosofia e fisica,che aveva contraddistinto la cultura e la visione del

mondo dell'occidente sin dal lontano Medioevo, sifrantuma. Ormai è verso l'Europa del Nord che è de-stinato a svilupparsi il nuovo spirito scientifico. Giànel tardo periodo rinascimentale aveva preso semprepiù corpo la cosiddetta "crisi della coscienza euro-pea", con la distinzione tra metodo coltivato nell'am-bito delle discipline retoriche e letterarie, che saràproprio dell'Europa latina, e metodo scientifico sortodalla riflessione intorno alla fondazione geometrico-matematica delle arti e delle tecniche, e poi applicatoalle grandi questioni della fisica e della astronomia,che sarà proprio dell'Europa del Nord. Una crisi chesi concretizzava con la diversificazione tra due formedi sapere, quello della "persuasione" proprio delle di-scipline cosiddette "umanistiche" e quello della "di-mostrazione", proprio delle scienze cosiddette "esat-te", fisica e matematiche anzitutto. È una crisidell'assetto europeo che corrisponde a una diffrazionedelle culture, delle società e delle nazioni, che si diffe-renziano e si riconoscono appuhto per stili di pensie-ro e attaggiamenti culturali diversi. Riforma e Con-troriforma hanno di fatto disegnato una mappa dellacultura continentale che è riconoscibile anche attra-

verso zone di differenziata prevalenza di questi duemetodi, umanistico e scientifico.

10. DALLA MACCHINA DEL MONDO DI CARTESIO

ALLA SINTESI NEWTONIANA

È su questa linea che si viene operando un rove-sciamento di priorità nel valore e nel ruolo attribuitoal metodo geometrico, al cosiddetto mos geometricusin quanto metodo di ricerca e di esposizione ispiratoai trattati di geometria. A questo metodo, che diven-

ne imperante nell'Europa del '600, viene riconosciutoun superiore statuto di certezza razionale e un ambito

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sempre più vasto di legittima applicazione. La rifles-sione operata da scienziati e filosofi-scienziati, come.Galilei in Italia e Cartesio in Francia, su geometri eingegneri greci quali Euclide, Pappo, Diofanto, Apol-lonio di Perge, Archimede consentì che emergesse unmetodo critico e di analisi del tutto nuovo che, sebbe-ne storicamente documentato nei trattati di geometria

e di meccanica, non per questo doveva rimanere con-finato a queste discipline cui fu per la prima voltaapplicato. Galilei dapprima, e Cartesio poi, ma inmaniera più sistematica ed esplicita, riconobbero nelmetodo delle matematiche il metodo stesso della ra-gione, e come tale applicabile a qualsiasi oggetto chela ragione consideri. La matematica viene individuatacome scienza che contiene e applica le regole della lo-gica e della dimostrazione, essa ha quindi rapportocon le forme con cui pensare il sapere, e non già con icontenuti in cui il sapere volta a volta si identifica.

Per effetto di ciò lo stesso concetto di ragione muta:da "facoltà" produttrice di "contenuti" mentali, laragione diviene "funzione" produttrice di "rapporti".

Da ratio come organo capace di produrre, o ripro-durre per copia, delle immagini-idee, diviene ratio coAme facoltà di istituire rapporti tra idee, tra parole etra cose. La ragione diviene appunto ratio-raison nelsenso geometrico e matematico del termine, una mac-china per calcolare, per individuare rapporti secondola semplice regola delle proporzioni e del confrontodel più, del meno e dell'uguale.

Lo stesso Pascal, che non aveva esitato a esclama-

re di fronte al nuovo universo che «il silenzio eternodi questi spazi infiniti mi incute spavento)) e che ave-va tra i primi notato lo scentramento dell'uomo afronte dell'enorme dilatazione verso l'infinitamentegrande operata dal telescopio e verso l'infinitamentepiccolo che il progresso della microscopia stava quo-tidianamente rivelando, non esita a considerare lageometria come la forma più alta concessa all'uomonella conoscenza dell'ordine possibile dell'universo.Pascal è non solo grandissimo geometra e matemati-co, ma è tra i primi ideatori e costruttori della "mac-china per calcolare". L'enorme novità era che, impo-

stati i numeri, il calcolo avveniva all'interno dellamacchina, senza che l'uomo dovesse intervenire conoperazioni o accompagnasse con la propria mente ilcalcolo, bastava solo che prendesse nota dei risultatifinali. L'importanza dell'invenzione di Pascal eraquella di rivelare che la mente umana, nel calcolare,non operava diversamente da una macchina e che laragione era dunque una ratio nel senso di strumentocapace di confrontare e porre in rapporto tra lorograndezze e concetti. La matematica non era altro,percib, che la struttura stessa del ragionare e della lo-

gica, che si poteva fisicizzare nella macchina perchéera già fisicizzata nella ragione dell'uomo.

Ma l'idea della matematica come mathesis univer-sal i~,come scienza generale dei rapporti e delle pro-porzioni intrinseca alla ragione era già stata sanzio-nata da Cartesio nelle Regulae ad directionem ingenii(1628) e nel Discours de la méthode (1637). La scien-za, in quanto matematica e geometria, è per sua na-tura analitica, essa scompone il complesso nel sem-

plice fino a raggiungerne i principi e gli elementiprimi da cui risalire per ricomporre, con ordine e inserie continua, la realtà in ogni suo aspetto. Questoradicalismo analitico della ragione, fondato sullageometria, porta Cartesio a un processo di totalesemplificazione e destrutturazione del mondo sin lìconosciuto, anche della cosmologia copernicana, dicui pure è un esplicito seguace. Egli sottrae alla vi-sione tardo-rinascimentale della natura e del mondo,sia essa kepleriana e tanto più bruniana, ogni ele-mento ilozoistico, animistico o vitalistico. La sua di-

varicazione metafisica tra res extensa e res cogitanscomporta la assoluta adimensionalità di ogni essen-za spirituale cosciente (il pensiero) e la pura dimen-

sionalità materiale di ogni forma estesa (cioè lo spa-zio). In questa divaricazione tra mente e spazio, lospazio riassume nella sua più assoluta semplicità lesole realtà chiare e distinte che possiamo conosceredella materia: figura, grandezza e movimento, e leregole secondo cui queste realtà possono essere traloro diversificate e combinate, cioè i principi dellageometria e della meccanica. Ne Le monde (1633) epoi nei Principia philosophiae (1644) Cartesio ripro-

pone una cosmogonia, alla maniera della Bibbia o diPlatone, ma partendo da due principi semplicissimicreati da Dio: la materia e una quantità finita dimovimento conferitale una volta per tutte.

La macchina del mondo di Descartes non è unafabrica pensata, voluta ed edificata da un Dio Archi-tetto, e neppure una macchina progettata secondo u-

na forma precostituita da un Dio Ingegnere. La mac-china del mondo per Cartesio si costruisce da solamentre funziona, e funziona mentre si costruisce. Dio

nel creare la materia le ha conferito una quantità fini-ta di movimento e una regola d'azione conforme alla

sua natura divina, semplice e immutabile, cioè il prin-cipio d'inerzia, secondo cui «ogni parte della materia,in particolare, continua a rimanere sempre nel mede-simo stato, fino a che 10 scontro con altre non la co-stringa a mutare))e «ogni corpo che si muove tende acontinuare il suo movimento in linea retta)). Se lamateria fosse stata creata in uno spazio vuoto si po-trebbe pensare che essa, in conformità alla suddettaregola, rimarrebbe nella sua interezza eternamente instato inerziale, cioè in moto rettilineo uniforme. Mapoiché per Cartesio lo spazio non è vuota estensione

ma si identifica con la materia, l'estensione-

materia,per effetto del movimento conferitole in quantità finita

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Pubblicata da Cartesio nei  Principia philosophiae (1644),

questa immagine di una fionda intende rappresentare, nellasua quotidiana semplicità, i moti elementari a cui è soggettoqualsiasi corpo in natura e che per Cartesio sono aH'origine

della stessa costituzione del mondo. Rispetto alle immagini

del cosmo di Tolomeo, di Copernico o di Keplero, che rap-presentano una fabbrica del mondo già costruita, questa di

Cartesio rappresenta l'antefatto fisico da cui prenderà formail cosmo. Per Cartesio la macchina del mondo non è una

 fabrica voluta, progettata ed edificata da Dio secondo una1 forma precostituita, ma si costruisce da sola mentre funzio-na, e funziona mentre si costruisce, alla maniera di corpi

1 trascinati in cerchio come fa una qualsiasi fionda. Ogni par-ticella di materia, come il sasso posto in A, è infatti fornitaI da Dio di una quantità di movimento e di una regola (il

principio d'inerzia) secondo cui essa tende a continuare ilsuo movimento in linea retta e, in particolare, continua a

rimanere sempre nel medesimo stato, fino a che lo scontrocon altre particelle non la costringa a mutare. Sicché, come

nella fionda EA, in ogni istante ogni particella di material tende a continuare il moto retto in direzione ACG, ma poi-ché lo spazio è un continuum indefinito di materia, privo di

vuoto, le parti di materia sono destinate a urtarsi tra di lo-

ro, a frammentarsi in particelle di varie dimensioni e a de-viare continuamente dal moto retto fino ad assumere, perpotersi muovere simultaneamente, un moto circolare in dire-

zione B ed F, cioè un moto a girotondo come i pesci in unavasca, e cioè a vortice o a  tourbillon. Sicché, in ogni istante,ogni particella di materia di cui è riempito il mondo è trattenuta in A, B, F dalla pressione e dagli urti delle.altre particelle

I circostanti secondo lo stesso vincolo meccanico esercitato dalla fionda EA sul sasso A. Se infatti la particella A fosse libera di

muoversi in uno spazio vuoto, il suo "conato" di muoversi in linea retta si realizzerebbe all'infinito, nel senso che si troverebbe neipunti C e in G ecc. nello stesso istante in cui è costretta a trovarsi nei punti B e F ecc.; "conato" che è rappresentato per Cartesiodalla forza centrifuga che tiene in tensione il sasso A in direzione di D e delle linee tratteggiate BC e FG. Da questo urto casuale e

da questo meccanismo rotatorio tra le parti della materia originaria e caotica ha preso via via forma e ordine il mondo, dandoluogo a una serie di vortici, da cui è costituito il sistema solare e ciascuna delle stelle sparse nell'universo.

i / 

da Dio, non può che agitarsi al suo interno e fram-

mentarsi in molteplici parti, ognuna delle quali avrà

parimenti la tendenza a mantenere il suo stato o a

muoversi di moto rettilineo uniforme. Ma essendo lo

spazio pieno di materia, ogni parte di essa, nel tende-

re a mantenere il suo stato, non potrà che urtarsi con

le altre ed assumere, per continuare a muoversi, unmoto che devia continuamente dal retto e che finisce

per assumere un moto a "girotondo" come i pesci in

una vasca, e cioè un movimento a vortice o a tourbil-

lon. Da questo urto casuale tra le parti prende via via

forma il mondo in una serie di vortici, uno dei quali è

il nostro sistema solare, ma rimanendo tuttavia sog-

getto a un vincolo: che la somma del movimento ov-vero la somma delle singole velocità assunte dalle di-verse parti rimanga costante. Ed è per questo vincolo

che le parti della macchina funzionano, funzionano

cioè nel senso matematico di funzione inversa. Essen-do infatti finita e inesauribile la quantità di movimen-to disponibile, per ogni istante la somma algebrica

delle velocità delle singole particelle del mondo dovrà

essere costante, e al crescere della velocità dell'una

dovrà di necessità diminuire quella di un'altra. Dato

questo vincolo chiuso a funzione inversa le parti non

potranno assumere una velocità libera a piacere e una

qualsiasi posizione ma verranno a disporsi, come in

un fluido posto in un frullatore, in rapporto alla pro-pria grandezza e alla relativa velocità. La macchina

del mondo prende forma mentre si costruisce e si co-

struisce prendendo la forma risultante da questo gio-co di funzioni inverse delle velocità. Gli stati succes-sivi di equilibrio del mondo sono come una serie suc-

cessiva di equazioni in cui le variabili non possono

che mutare in funzione l'una dell'altra, dal momento

che sono vincolate alla costanza del risultato istante

per istante. La forma della macchina del mondo sarà

il risultato automatico di questa operazione algebrica

delle velocità. Questa operazione algebrica corrispon-

de infatti a una dislocazione fisica delle parti della

macchina attraverso un meccanismo automatico di

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Pensierc scientifico e immagini del mondo dal tardo-antico a Newton

distribuzione secondo velocità e grandezza. Il cosmo,in tal senso, diviene un sistema chiuso, una macchinaa ciclo continuo ma non più produttrice di energiaindefinita. Questo spostamento di attenzione dallafabbrica o forma della macchina al sistema di relazio-

ni tra le parti trova appunto ragione nel concetto difunzione. Un concetto che era centrale nella Géome-trie di Cartesio e in base a cui egli riuscì a tradurre lagenerazione di una forma sotto l'aspetto di una rela-

zione algebrica e viceversa. In questo costante legamereciproco di relazioni automatiche di variazione tra leparti sta appunto la novità e l'estrema flessibilità esemplicità della macchina cartesiana del mondo. Unamacchina tuttavia che appare come "geometria reifi-cata" e che appare come un gioco di biglie prive diuna forza intrinseca e regolate nei loro rapporti da unsistema casuale di urti di cui sono soggetti passivi.Era del resto questa la condizione per "disanimare"

la materia e privarla di quelle forze occulte con cui ilnaturalismo rinascimentale aveva reso la natura unainesauribile fonte di energia e una misteriosa genera-

trice di forme sempre nuove.Questo mondo immaginato e costruito per via di

deduzioni geometrico-matematiche, pur nella sua for-za innovante dal punto di vista meccanicistico, appar-ve a filosofi sperimentali come Huygens e Newtoncome una fisica "immaginaria" come una "favolafilosofica" fondata su pure ipotesi. Isaac Newton(1642-1727), astronomo e fisico inglese, elaborò infat-ti in una più alta e coerente sintesi i maggiori risultati

della rivoluzione scientifica europea sviluppatasi nelcorso di un secolo. In polemica con la fisica dedutti-vistica e puramente "geometrica" di Cartesio e deicartesiani, imperante nella seconda metà del '600,Newton riprese a meditare e studiare le soluzioni datealla questione copernicana da Galilei e Keplero, cer-cando di assumerle entro una teoria fisica generaleche le correggesse e spiegasse alla luce di pochi princi-pi generali e le connettesse secondo un filo unitario.A suo parere ciò che gli scienziati precedenti avevanoosservato lo avevano semplicemente descritto secondoenunciati o leggi che egli volle spiegare secondo un

filo conduttore che correggesse e verificasse questeleggi e le riconducesse a una causa unica. Egli neiPhilosophia naturalis principia mathematica, la suaopera massima, pubblicata una prima volta nel 1687e poi nel 1713, assume un procedimento analogo aigeometri, o meglio all'esposizione sintetica euclidea,procedendo dai principi semplici e dalle leggi primiti-ve della fisica alle graduali conseguenze complesse, inpolemica con il procedimento analitico-deduttivo diCartesio costruito partendo da ipotesi "fittizie". Main realtà questa esposizione sintetica risultava il ver-sante rovesciato di un processo analitico che Newtonera venuto in anticipo compiendo attorno alla vera

causa delle leggi che di fatto erano state enunciate an-

zitutto da Keplero e Galilei. Già dal 1684 gli astrono-

mi e fisici Hooke e Halley si erano posti il problemadi una dimostrazione non descrittiva ma causale delleleggi di Keplero, in particolare la seconda e la terza,interrogandosi intorno a quale legge dovesse soddi-sfare la forza agente sul pianeta perché esso assumes-se un andamento ellittico, fosse essa o meno l'animamotrix supposta da Keplero. Essi intuirono che talelegge doveva in qualche modo coinvolgere I'interazio-ne pianeta-Sole presumibilmente secondo la legge cheregola la diminuzione d'intensità della luce cioè se-condo l'inverso della sua distanza dal Sole, Halleyconcluse che la forza che mantiene i pianeti nelle loroorbite agisce in proporzione inversa al quadrato delledistanze, ma non riuscì a dedurre da tale ipotesi i mo -

ti osservati nei corpi celesti. Posta a Newton la do-

manda su quale curva avesse dovuto descrivere un

pianeta ammettendo che la sua gravità, owero la for-

za che agisce su di esso, decresca con il quadrato del-la distanza dal Sole, egli rispose di averla calcolata eche doveva essere un'ellisse. Quanto dire che Newtonera giunto a rovesciare completamente l'impostazionegeometrico-descrittiva della astronomia precedente,partendo da un concetto che era stato rifiutato dascienziati come Galilei e Cartesio, cioè quello di for-za, che sembrava loro compromesso dalla nozione oc-culta e metafisica che ne aveva dato il naturalismorinascimentale. La grandezza di Newton fu quella ditrattare il concetto di forza analizzandone matemati-

camente e calcolandone accuratamente gli effetti.È inquesta diversa prospettiva che egli era partito nondalla legge descrittiva di Keplero, ma dalla forza chedoveva regolare I'interazione Sole-pianeta deducendo-ne matematicamente che non poteva che essere un'el-lisse. Quanto dire che sono le forze in gioco che gene-rano e disegnano le traiettorie dei pianeti e non già leproprietà geometriche delle traiettorie che non spiega-no il perché della loro forma, ma ne descrivono sem-

plicemente le relazioni specifiche. Tanto più che ilprincipio d'inerzia, formulato da Cartesio e che saràripreso e giustificato da Newton, ampiamente accetta-

to nella seconda metà del '600, poneva il problema inmodo del tutto nuovo. I1 principio affermava che uncorpo lasciato libero di muoversi nello spazio conser-va all'infinito un moto rettilineo uniforme finché noninterviene una forza a turbarne l'azione. Per la nozio-ne tradizionale, il corpo in moto rettilineo si muovedi moto "intrinseco" finché non interviene un altrocorpo a urtarlo e a variarne lo stato. Per Newton,viceversa, la forza è sempre un'azione esterna applica-ta al corpo, anche nel caso del moto di inerzia, cioèdi un singolo corpo in moto rettilineo uniforme. Perquesta ragione lo stesso Newton aveva mostrato cheil moto rettilineo e uniforme poteva essere considerato

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L'ordine gerarchico delle sfere solide e dello spazio sfe-1 rico finito dell'antica cosmologia si trasforma, in Carte-

sio, in una serie di vortici fluidi che seguono gli stessiprincipi meccanici di una fionda e che sono composti diparticelle di tre diverse dimensioni: le prime sono una

1 sorta di pulviscolo atomico risultante dalla frizione trale parti di materia che si urtano e framrnentano, e per-

ciò fluido finissimo e velocissimo che riempie ogni inter-

stizio tra i corpi più grandi (è il  primo elemento cheCartesio identifica con il fuoco e la luce);le seconde so-no particelle via via ridotte in forma rotonda dagli urtie dagli attriti, pur sempre piccolissime ma più grandie meno veloci (è il  secondo elemento identificato con I'aria); le terze sono grossi agglomerati o frammenti dimateria conservatisi in dimensioni assai più grandi eperciò più lenti (è il  terzo elemento identificato con la terra). Nel mondo di Cartesio il Sole e le stelle fisse, dalmomento che emettono luce e10 calore, risultano costi-tuiti dal pulviscolo del primo elemento che è riuscitoad addensarsi al centro dei vortici dando loro formarotonda e da cui continuamente si proietta sugli altri

1 corpi; i cieli sono costituiti dal secondo elemento, cio&

particelle di aria o etere rotanti, la cui piccolezza con-sente il filtraggio tra di esse del primo elemento (la luce)e perciò sono trasparenti; la Terra, i pianeti e le cometesono costituite dal terzo elemento che, di natura più

inerte, respinge e riflette le particelle di luce che li urta,e perciò sono corpi opachi. I1 sistema solare (con alcentro S) costituisce solo uno degli indefiniti vortici del-l'universo, in esso i pianeti sono come battelli fluttuan-

ti, trascinati in cerchio dal fluido celeste, e le cui orbitesi collocano a diverse distanze dal centro a seconda del-

, la grandezza e, perciò, velocità relativa di ogni pianeta.A loro volta, le stelle fisse divengono il centro di ungrandissimo numero di altri vortici, e così deve inten-

1 dersi per tutta quanta la materia che è oltre le stelleI fisse e che, invisibile, si estende per uno spazio che De-

scartes ritiene non infinito ma indefinito, cioè oltre ogniI limite che a noi piaccia immaginare.l

come disegnato da una forza a risultante nulla. Infat-ti, come aveva dimostrato Galilei, un corpo muoven-

tesi con moto uniforme percorre spazi uguali in tempiuguali, e secondo Newton per ogni punto esterno allalinea del moto uniforme doveva comunque valere lalegge delle aree di Keplero. Infatti se da questo puntoesterno si tracciano via via delle linee che intercettanosuccessive posizioni del corpo in moto uniforme, cioècon intervalli pari a segmenti uguali, i triangoli suc-cessivi formati in questo modo avranno tutti stessaaltezza e la stessa base, cioè avranno area uguale.Dunque anche nel caso del moto rettilineo uniformevale la legge che Keplero aveva dettato per le orbite

ellittiche, in quanto, come si è visto, i raggi partentida un punto esterno alla linea del moto uniformespazzano aree uguali in tempi uguali. Questa superio-

re capacità unificante di Newton di sottoporre a unastessa regola delle aree persino il moto inerziale come

provocato da una forza che spazza aree uguali intempi uguali induceva di necessità a presupporre chea variare quella forza ne dovesse intervenire una se-

conda che costringesse la linea retta a chiudersi viavia in una linea curva e in una traiettoria chiusa, cir-colare o ellittica. E questa forza non poteva che esse

-

re quella provocata dalla presenza di un "secondo"corpo, indipendentemente dal fatto che urtasse o me-

no il "primo". Nel caso di un pianeta questa forzanon poteva che essere una forza attrattiva verso il So-

le, che pulsasse a intervalli in senso centripeto correg-

gendo via via in senso curvilineo la retta del motouniforme, mutando il moto uniforme in moto accele-

rato, giacché ogni impulso non faceva che accrescere

la velocità del pianeta stesso. Come si vede, Newtonveniva altresì dimostrando che il moto circolare non

poteva essere un moto uniforme, ma un moto accele-rato per effetto della forza centripeta continuamente

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 Pensiero scient~jìcoe immagini del mondo dal tardo- antico a Newton

agente. Da questo esempio si vede come il procedi-mento di Newton fosse quello di unificare e ricondur-re a un filo comune tutte le leggi sin'allora enunciateper la macchina del mondo col presupporre alla loroorigine delle forze agenti tra di loro e calcolate mate-maticamente. Questo processo di analisi, come si è

detto, Newton poi esprimerà in forma sintetica nellaprima parte dei Principia, in cui enuncia anzitutto letre leggi fondamentali del moto (d'inerzia, di accele-razione, di azione e reazione) che aveva dedotto peranalisi dall'approfondimento delle ricerche di Galileie di Keplero e a cui qualsiasi corpo per Newton è

di necessità assoggettato. Ogni corpo è in sé massadi materia inerte, ma che assume "peso", "gravità","velocità", "direzione", "verso", a seconda della suaquantità di materia e delle forze che su di essa agisco-no. In tal senso il concetto di forza torna nel siste-ma di Newton dopo esser stato espunto dalla scienzaprecedente, preoccupata di non coinvolgere nella ci-nematica (o descrizione geometrica) dei moti un con-cetto ambiguo come quello di vis o di forza, di cuiavevano fatto ampio uso le filosofie naturalistiche eilozoistiche del tardo Rinascimento. Solo che Newtonrisolve il concetto di forza in un costrutto matemati-co, cioè nella sua risultante dimostrabile matematica-mente e non già nella causa metafisica che ne è all'o-rigine. Per questo aspetto Newton rifuggirà appuntodal "fingere ipotesi" e consegnerà ai posteri un con-cetto di scienza come quella che dà ragione dell'insie-me dei fenomeni ma di cui non conosce le cause me-

tafisiche. L'universo intero, e la dinamica celeste, nonè che il gioco, misurabile, di tali forze sulle singolemasse. Forze la cui origine Newton, utilizzando leconclusioni di Keplero, individuò nell'attrazione uni-versale secondo cui ogni coppia di masse nell'univer-so si attrae reciprocamente con una forza che è diret-tamente proporzionale al prodotto delle due masse einversamente proporzionale alla distanza che le sepa-ra. Newton in tal modo era giunto a formulare unasola legge capace di spiegare contemporaneamentecome ogni oggetto nell'universo attragga ogni altrooggetto con una forza di tipo gravitazionale: siano

essi due granelli di sabbia, due diversi corpi del siste-ma solare, o anche due stelle lontanissime tra loro.Nell'universo newtoniano sono le masse stesse che di-segnano le orbite nella forma risultante dalla recipro-ca tendenza ad attrarsi con una forza di tipo gravita-zionale (come quella di una mela che cade da unalbero). Tutti gli oggetti dell'universo si trattengonoinsieme perchè ognuno tende a cadere per gravità ver-so l'altro fino a raggiungere un equilibrio che li man-tiene in tensione e coesione costante. Di questa gravi-tazione universale Newton riuscì a formulare la leggematematica, come principio semplice e sommo del-

l'intera meccanica del cosmo. Un cosmo che, come

nel caso di Cartesio, si costruisce funzionando e fun-ziona costruendosi. Una visione del mondo che ri-marrà valida fino all'epoca di Einstein e che comun-que era al capo opposto, sia per struttura che perconcezione scientifica e filosofica, rispetto a quellache i popoli europei avevano condiviso alle lontaneorigini del Medioevo.

 Bibliografia

Diamo qui di seguito alcune indicazioni bibliografiche per un primo ap-profondimento dei temi trattati nel saggio.

Per una visione generale sulla storia della cosmologia dall'antichità all'etàdi Copernico fondamentale è:

DUHEM,P.  Le système du  monde. Histoire des doctrines cosmologiques de

 Platon à Copernic, 10 voll. , Parigi 1916-59.

Un'ottima e accurata visione d'insieme per il periodo considerato è:

DDKSTERHUIS,E.J., Il  meccanicismo e l'immagine del mondo dai Presocra-

tici  a Newton. Milano 1971.

Per una visione'd'insieme sulla storia del pensiero filosofico e scientifico

dall'antichità al '700:

GEYMONAT, L., Storia del pensiero filosofico e scientifico, voll. 1-111,Mila-

no 1977.

Per altre analisi storiche sulla scienza e sull'astronomia nell'antichita edall'antichità fino a Keplero:

DREYER,J.L.E.,Storia dell'astronomia da Talete  a Keplero, Milano 1980.DUHEM,P. CKav sà cpatv6vma. Essai  sur la notion de théorie physique de

 Platon a Galilée, 1908 (tr. ingl. To Save  the Phenomena, Chicago-Lon-dra 1969; fondamentale per l'analisi e la storia dell'antico principiodell'astronomia greca di "salvare i fenomeni").

HEATH, Th.,  Aristarchus of Samos, the Ancient Copernicus. A History of 

Greek Astronomy to Aristarchus, Oxford 1913.SCHIAPARELLI, G.V., "Le sfere omocentriche di Eudosso, di Calippo edi Aristotele", in  Memorie del Regio Istituto Lombardo di Scienze e

 Lettere, Classe di Scienze matematiche e naturali, XIII, 1877.ID., Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci, ibid., XVIII

1898.

Sulle scienze dalle origini babilonesi al tardo-antico:

LLOYD, G.E.R, . La scienza dei Greci, Roma-Bari 1978.LLOYD,G.E.R, . Metodi e problemi della scienza greca, Bari 1993.NEUGEBAUER, O.,  Le scienze esatte nell'Antichità, Milano 1974.SAMBURSKY, S. , Il  mondo fisico dei Greci, Milano 1973.STAHL,IW.H. , La scienza dei Romani, Bari 1991.VON FRITZ, K.,  Le origini della scienza in Grecia, Bologna 1988.

Sull'idea di natura in età greco-romana posta a confronto con quella della

rivoluzione scientifica:

LENOBLE, R., Storia dell'idea di natura, Napoli 1974.

Per le influenze delle cosmologie asiatiche e orientali:

BERTHELOT,R.,  La  pensée de l'Asie ez  I'astrobiologie,Parigi 1949.FRANKFORT,H. et al., La  filosofia prima dei Greci. Concezioni del mondo

in Mesopotamia, nellantico  Egitto e presso gli Ebrei, Torino 1963 (piùgenerico, ma di agevole lettura).

Per la cultura, l'ermetismo e le religioni astrali del tardo-antico:

ALTHEIM, F., Il  dio invitto. Cristianesimo e culti solari, Milano 1960.BOLL, F., et al. Storia dell'astrologia, Bari 1977.CUMONT, F.,  Le religioni orientali nel paganesimo romano, Bari 1967.ID.,  Astrology and Religion among the Greeks and  Romans, New York

1960.

ID.,  Les mystères  de Mithra, Bmxeiies 1913.

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I  A sinistra:La spingarda con carretto e dispositivi per l'elevazione del fusto di Leonardo da Vinci (Cod. Ati. f. 26 vb). L'idea moderna che ilmondo sia una macchina nasce proprio dalla scoperta che tra macchina e natura non esiste, come sosteneva Aristotele, diversità diessenza e di fini. Tra congegno prodotto dal tecnico e prodotto di natura esiste solo differenza nell'ordine di grandezza e di complessi-tà, ma stesse sono le leggi che li governano, cioè quelle della geometria e della meccanica. Quest'idea nacque'nel mondo dei tecnici,quanto più cercarono di indagare sul perché del funzionamento delle macchine, passando dall'uso intuitivo e irriflesso delle leggi (ilcontadino che scalza una pietra con la vanga, o che cerca di equilibrare spostandolo il contrappeso di una stadera, usa senza saperlo ilprincipio di una macchina semplice, la leva, e la connessa legge della statica) a un uso riflesso e consapevole. Tra i primi a far ciò fuLeonardo da Vinci che usò la geometria e la teoria delle proporzioni per analizzare e scoprire le condizioni di lavoro di una macchina.Quanto più questo processo di astrazione aumenta, tanto più il disegno della macchina, come in questa illustrazione, sottrae attenzioneal ripasso forte delle strutture concrete per lasciar emergere con tratto fine il modellato geometrico. Quanto dire che non è l'indicazionedel contenuto materico di una forma a determinare la sua efficienza e compatibilità meccanica, quanto piuttosto le proprietà geometri-

che e la semplicità della sua figura, il calcolo delle misure ottimali in proporzione all'insieme degli organi. Processo che, per astrazioniulteriori, porterà alla meccanica razionale come scienza applicabile ai corpi in generale, siano essi naturali o artificiali (per gentileconcessione dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana)

 A destra in alto:

I cannocchiali astronomici a lente obiettiva di Galilei. La dissoluzione del cosmo tolemaico-aristotelico fu accelerata dall'impiego delcannocchiale in astronomia, che sin'allora si era awalsa di osservazioni a occhio nudo con l'aiuto di strumenti di misura. Anche se iprimi occhiali sembra furono fabbricati a Pisa nel XIII secolo e divennero di uso comune in tutta Europa, molto più tempo ci volleperché si scoprisse che sovrapponendo a opportuna distanza due lenti si può ottenere l'effetto di telescopio o microscopio. L'invenzionedel cannocchiale si deve a un fabbricante di occhiali olandese del primo decennio del XVII secolo, ma fu tuttavia Galileo che per primolo costruì e seppe usarlo, non come un diversivo curioso, ma come uno strumento scientifico. Poco potente (fino a 30 ingrandimenti) edecisamente meno sofisticato di un attuale telescopio da amatore, esso fu chiamato a dirimere questioni scientifiche in relazione a teoriedivergenti. Galileo lo rivolge al cielo e vede realtà sino allora precluse ai sensi e alle conoscenze, ma sa cosa investigare e con l'occhio,

che per la prima volta dilata la sua percezione neli'immensamente grande, coglie imprevedibili novità per il sistema copernicano, cheannuncerà nel Sidereus Nuncius del 1610. La Luna ha montagne e crateri come la Terra e dunque la fisica celeste e come quellaterrestre, Giove ha satelliti come la Terra e perciò la Terra può muoversi con attorno la Luna come fa Giove, la striscia della ViaLattea si rivela un ammasso sterminato di stelle fino allora calcolate in appena 1022, stelle e pianeti, privati dell'alone avventiziodovuto alla rifrazione, mostrano la loro reale grandezza, il che comporta nuovi dati di calcolo e una nuova impostazione dei problemi.Oltre che distruggere la cosmologia aristotelico-tolemaica, l'astronomia telescopica abitua a percepire il sistema solare come uno spaziocomune senza soluzioni di continuità con la Terra (Firenze, Istituto e Museo di Storia della Scienza)

I  A  destra al centro:Due microscopi di costruzione italiana del secolo XVII, assai simili, per concezione e struttura, ai primi microscopi costruiti da Galileo.I1 microscopio nasce e si evolve in modo analogo a quello del telescopio. I primi furono costruiti durante il XVII secolo secondo due

Itipi fondamentali. I1 microscopio semplice, concepito a mo' di una potente lente d'occhiale, era a lente unica oppure composta da due otre elementi giustapposti, e assicurata a un supporto libero o fisso. I1 microscopio composto, in analogia al telescopio, era formato dadue o più lenti disposte a una certa distanza dentro un tubo di cartone rigido (come quelli illustrati), di avorio o più comunemente diottone, talvolta poggiante su un tripode. Restano pochissimi esemplari di microscopio del XVII secolo, mentre nel XVIII secolodivennero assai popolari e prodotti in numero sempre maggiore e sempre più perfezionati. Al superamento, con il telescopio, dellabarriera dell'immensamente grande, corrispose, con il microscopio, quello dell'immensamente piccolo. Un intero universo si svelò oltreciò che si riteneva minimo in assoluto. L'acaro, creduto l'insetto più minuscolo e semplice, risultò di grandezza e complessità impensa-bile a fronte di un mondo brulicante di piccolissimi esseri, e suggerì a Pasca1 sconvolgenti riflessioni sull'infinito. Per l'effetto combina-to di telescopio e microscopio, si affacciò l'immagine di un mondo come serie continua e senza confini, sospesa tra ordini di realtàinfinitamente grandi e infinitamente piccoli. L'occhio cominciò a essere considerato alla stregua di una lente capitata all'uomo trale diversissime possibili, in grado di rivelare a suo modo una porzione, minuscola e senza un "dove" preciso, di questa serie infinita

I(F. PrincipelIstituto e Museo di Storia della Scienza)

 A destra in basso:

Uno dei telescopi costruiti da William Herschel (1738-1822), musicista inglese e astronomo, che fu anche un abile costruttore deitelescopi cosiddetti riflettori o catottrici o newtoniani. Essi segnarono una netta evoluzione rispetto ai cannocchiali a visione diretta,

che presentavano aberrazione cromatica per effetto della rifrazione delle lenti. I1 prototipo, che otteneva fino a 150 ingrandimenti, fuideato e fabbricato da Newton nel 1668, mettendo a frutto i suoi studi di ottica e sulla composizione della luce. I1 telescopio "rifletto-re" permetteva la costruzione di tubi meno lunghi e più maneggevoli pur mantenendo la stessa lunghezza focale: dalla lente, i raggi inentrata venivano proiettati in uno specchio posto nel fondo del tubo, riflessi e fatti tornare indietro verso un prisma che, fissatoall'interno a 45" rispetto all'asse del tubo, li rifletteva e faceva convergere nel fuoco dell'oculare fissato di lato al telescopio. Herschel necompletò nel 1788 uno "gigante" (come quello qui riprodotto) di 12 m di lunghezza focale e 147 mm di diametro, la cui incastellatura ecostruzione richiese dieci persone e quattro anni di lavoro. I telescopi a grande specchio consentirono osservazioni oltre il sistemasolare e la verifica delle leggi di Newton in zone sempre più vaste dell'universo. Herschel, che aveva scoperto già un nuovo pianeta,Uranio, riuscì a osservare il fenomeno delle stelle doppie cioè coppie di stelle che si "trattenevano" l'una attorno all'altra secondo leleggi di Keplero, leggi che Newton aveva spiegato in termini di attrazione gravitazionale. Quindi anche nei corpi lontanissimi dalsistema solare, negli spazi interstellari, si muovevano in accordo con la legge di gravitazione universale enunciata dal Newton (pergentile concessione dell71stituto dell'Enciclopedia Italiana)

5/17/2018 Giorgio Stabile - Immagini Del Mondo - slidepdf.com

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