gifra atripalda giornalino dolce sentire novembre 2013 copia
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I l titolo di quest’articolo si riferisce proprio a te. Lo so che forse ti ricorda una canzone oppure che ti sembra l’emblema delle domande retoriche (con
annessa risposta: “io santo?? Ma dai…”). Eppure se hai questo giornalino tra le mani vuol dire che molto pro-babilmente ti ritieni, se non un fervente cristiano, almeno uno curioso di Dio e della Sua storia. Quindi la domanda posta tanto scontata non è. Spesso si è portati a credere che la santità è per pochi eletti, è ristretta a quei pochissimi che hanno fatto nelle loro vite cose straordinarie. Abbiamo quasi paura di cercarla, di tendere verso di essa sentendoci profondamente inadeguati e sconfitti in partenza perché la meta sembra irraggiungibile. “Non avete paura di essere i santi del terzo millennio!”, affermava Giovanni Paolo II ai giovani durante la Giornata Mondiale della Gioventù nel 2000 a Roma. Il defunto Pontefice si impegnava con tutta le sue forze per susci-tare in tanti cuori il desiderio di santità. Con le sue numerose canonizzazioni mostrava uomini e donne che hanno vissuto la parola pronunciata dal Signore nel
Discorso della montagna: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48).
ALL’INTERNO:
Pag. 2: La spiritualità francescana: vivere
secondo la forma del Santo Vangelo; Sorella Morte. Pag. 3: Il nostro ritiro di inizio anno fraterno. Pag. 4: Appunti di viaggio: da regina a santa.
Ma come si può percorrere la strada della santità? Posso farlo con le mie forze? La risposta è chiara: una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, perché è Dio che ci rende santi. Ricordando il Concilio Vaticano II un altro Papa, Benedetto XVI, asseriva che i cristiani sono “chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo il dise-gno della sua grazia e giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di
Dio”. La santità, quindi, “ha la sua radice ultima nella grazia battesimale, nell’essere inne-stati nel mistero pasquale di Cristo, con cui ci viene comuni-cato il suo Spirito, la sua vita di Risorto”. Ma Dio rispetta sempre la nostra libertà e chiede che accettiamo questo dono e viviamo le esigenze che esso comporta, chiede che ci lascia-
mo trasformare dall’azione dello Spirito Santo, confor-mando la nostra volontà al volere di Dio. Dobbiamo partire perciò dalle cose semplici come il non lasciar passare mai una domenica senza l'incontro con Cristo, non cominciare né finire un giorno senza un breve in-contro con Dio, seguire nelle decisioni quotidiane que-gli indicatori di strada che il Signore ci ha dato come i Dieci Comandamenti. Poi in nostro soccorso c’è l’esempio di chi Santo lo è già e proprio per questo la sua vita continua a parlare e a far risplendere l’amore di Dio. Guardiamo per esempio a noi della Gifra e dell’Ofs, al modus vivendi al quale ci ispiriamo, quello di Francesco d’Assisi, che invita a cercare di essere santi proprio nelle cose piccole e semplici. Ci sono poi tante altre persone normali, che santi invece ancora non lo sono e magari non saranno canonizzate mai, ma che nella loro bontà quotidiana è possibile vedere la verità della fede. Sono i nostri amici, i nostri genitori o quei sacerdoti che dimostrano che possiamo essere beati nella straordinaria ordinarietà della nostra vita.
Cosimo – GIOVANI ADULTI
NOVEMBRE 2013 Dolce Sentire 2
I l modo di vivere che propone san Francesco non è altro che una applicazione del Vangelo.
Per Francesco il santo Vangelo contiene la stessa persona di Gesù Cristo. Per lui amare il Vangelo vuol
dire amare Gesù; ascoltare il Vangelo, ascoltare Gesù. Vivere secondo il Vangelo, significa: vivere se-
condo l'esempio di Gesù, vivere la vita così come l'ha vissuta Gesù Cristo.
Nel Vangelo Francesco scoprì l'immenso amore di Dio Altissimo, che ci è stato rivelato attraverso il suo unico Figlio Gesù Cristo. Dio ci ha mostrato l'amore più grande dandoci il più bel dono che è il suo Figlio
unigenito, Gesù Cristo. Guardando l'esempio di Gesù, che per noi uomini e per la nostra salvezza, si è fatto povero e piccolo, Francesco si fa povero e piccolo. Rispondere a questo grande amore per Francesco signifi-
cava diventare simile a Gesù, essere servo di tutti; fare come ha fatto il Signore, che, pur essendo il Figlio di Dio, si è fatto il più piccolo di tutti e il servitore di tutti.
Per la spiritualità francescana, amare Dio con tutto il cuore e con tutta l'anima, e amare il prossimo come se stesso, era sempre il compito primario. Questo è la realtà vera di questa nuova forma di vita. Affidando la
propria vita nelle mani di Colui che ci ama e vivendo alla sua presenza, si diventa sempre più liberi e solo allora si annuncia, con la felicità, l'immensa misericordia di Dio. Questo è la buona notizia che Francesco e
tutti i suoi seguaci hanno annunciato con la semplicità e nella forza dello Spirito Santo.
Per Francesco, Gesù Cristo è innanzitutto il Figlio del Padre per mezzo del quale tutte le cose sono state ge-
nerate e rinnovate. L'idea di seguire Gesù gli si presenta come un suggerimento di grazia nella sua instancabi-
le ricerca dei disegni di Dio. Questa ispirazione carismatica lo conduce a spogliarsi di tutto, scegliendo
l'umile povertà per assomigliare sempre più a Gesù Cristo.
Francesco non è affascinato dal Signore grande e potente, ma dal Signore povero, umile e crocifisso e vuole seguirne sempre le orme in libertà e letizia. La sequela di Cristo, intrapresa in risposta al suo amore, diventa
per Francesco una realtà che traccia la strada verso la liberazione integrale, prima attraverso la liberazione dal male e poi attraverso l'orientamento al bene con l'adesione piena alla volontà di Dio.
(dal Manuale per l’assistenza all’OFS e alla Gifra)
“Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male”. Il 2 novembre, in tutta la Chiesa, si commemorano e si ricordano i fedeli defunti. Una ricorrenza sempre carica di mestizia e sofferen-za, al pensiero dei nostri cari che abbiamo amato e non sono più accanto a noi, ma anche un giorno da vivere nella Speranza e nella Fede, che ci sprona all'Amore sempre e comunque: La Vita, infatti, non è tolta ma trasformata. L'incontro con la morte (sorella, come la chiama San Francesco), per noi credenti, dunque non uno sprofondare in un abisso oscuro, ma ad una CHIAMATA alla luce e alla vita piena, un passaggio che ci fa entrare definitivamente nella casa del Signore. Lui tutti attende e vuole abbracciare. La commemorazione dei defunti diventa pertanto anche un'occasio-ne unica per riflettere sulla nostra vita; sul "qui e ora"; sul senso che stiamo dando al nostro esistere, alle nostre scelte, al nostro futuro, a come stiamo rispondendo alla nostra Vocazione cristiana e alla nostra Vocazione specifica… Un invito ad alzare lo sguardo ogni giorno verso il Signore: Lui è il nostro orizzonte, la nostra meta, il prin-cipio e il fine di tutto… San Francesco spesso ammoniva i suoi frati ricordando loro che su questa terra siamo solo di passaggio, “pellegrini e forestieri”.
NOVEMBRE 2013 Dolce Sentire 3
G iovedì 31 ottobre e venerdì 1 novembre
la fraternità della Gioventù Francescana
di Atripalda ha dato inizio ufficialmente
alle attività del suo anno fraterno vivendo un
ritiro incentrato sulla Santità, presso il convento
di San Giovanni Battista. Questa è stata la mia
prima esperienza in fraternità e, dato che mi è
piaciuta molto, credo che sarà difficile dimenti-
carla, sia dal punto di vista formativo, sia perché
nello stare insieme agli altri mi sono molto diver-
tita. Arrivati nel tardo pomeriggio del giovedì, celebrata la preghiera dei Vespri e dopo aver cenato,
tutti insieme ci siamo riuniti nel salone principale del
convento per una festa tutta basata su giochi e tanto
divertimento. Ognuno di noi ha “reso onore” ad un
santo, cercando di imitarne l’aspetto e, in antitesi con
la festa commerciale che contemporaneamente la
società consumistica celebrava, cioè Halloween, la
nostra fraternità ha celebrato “Holyween”, cioè la
“Festa dei Santi”. Terminato questo momento di festa
e di gioco, dopo aver celebrato la preghiera della
Compieta, siamo andati a riposare. Al mattino seguen-
te, dopo la celebrazione delle Lodi, la colazione e un
po’ di svago che ci siamo concessi, il nostro fratello
Tony dell’Ordine Francescano Secolare ci ha tenuto
una breve ma intensa formazione, incentrata su quanto
è importante considerare Dio nella nostra vita come
l’unico Padre amorevole, il quale, col dono del Battesi-
mo, ci ha resi già santi. Il “deserto”, cioè il breve
tempo di riflessione personale che abbiamo vissuto
subito dopo, mi ha portata a riflettere proprio su questo: Sembra così utopico e fuori da ogni
schema e da ogni prospettiva e aspirazione
di vita diventare santi, quando paradossal-
mente la radice della Santità è già in noi col
sacramento del Battesimo. Dopo una breve
condivisione e il pranzo, il ritiro si è conclu-
so con la Santa Messa presieduta da padre
Rosario, nostro assistente, e, pieni
di entusiasmo, abbiamo lasciato il convento
per fare ritorno a casa.
Giulia - ADOLESCENTI
NOVEMBRE 2012 Dolce Sentire 4
poveri e gli ammalati. Papa Benedetto
XVI ha scritto al cardinale di Esztergom
-Budapest, Péter Erdö, in occasione di
questo centenario, che Elisabetta
«nacque in un contesto sociale ancora
segnato da una recente evangelizzazio-
ne». Il riferimento è all’Ungheria. Ma,
come detto sopra, ella si trasferì in
Germania in un momento storico segna-
to da una svolta di prospettive
nell’Europa occidentale. le Crociate
segnano la società, la cultura, l’econo-
mia dell’epoca. Santa Elisabetta appare
nel punto in cui un’epoca finisce e
un’altra sorge. Mondo era e mondo è.
Proprio per questo, proprio perché il
mondo cambia sempre ed ogni epoca è
in questo uguale all’altra, l’ esempio di
Santa Elisabetta grida ancora dal fondo
dei secoli e parla, soprattutto a noi
giovani, un linguaggio che non tramon-
ta, a dispetto di ogni cambiamento
culturale e di ogni liquidità: c’è un Dio,
c’è una Persona, c’è un Amore che re-
sta, ti coinvolge, ti strappa alle aspetta-
tive ed ai pregiudizi del mondo e ti con-
segna alla vita come un granello di terra
fertile che se muore produce molto,
come un pugno di letame da cui possono
APPUNTI DI VIAGGIO
M arburgo è una città dell’Assia,
una regione a sud ovest della
Germania. Pur essendo una
cittadina di 80.000 abitanti circa, Marburgo
conserva ancora l’aria di assopito borgo
medievale, tra i muti turriti e le chiese dalle
guglie alte e bianche. Le case, con i tetti
aguzzi e rossi, si alzano nel cielo invernale
come artigli, quasi volessero strappargli il
suo blu e portare un po’ della sua serenità
incantata quaggiù. L’autunno intorno
esplode dagli ippocastani e le conifere alte
respirano come l’aria di secoli fa. In questo
paesino fiabesco, sorge, emblema dell’epo-
ca di cambiamento che stava attraversando,
la prima chiesa in stile gotico costruita in
Germania. È dedicata a Santa Elisabetta
d’Ungheria, che da ottocento anni circa vi
riposa. Moglie del re Ludovico IV di
Turingia detto “Il Santo”, Essa è patrona
dell’Ordine Francescano Secolare. Nono-
stante avesse vissuto in una delle corti più
ricche del Medioevo, Elisabetta decise di
passare gli ultimi anni della sua giovane ed
intensa vita dedicandosi interamente alla
cura dei poveri e dei malati, per i quali
aveva fatto erigere un ospedale. Di lei la
tradizione ricorda che avrebbe trasformato
in rose i pani che aveva nascosto per i
sbocciare splendide rose, destinante a non
avvizzire nel pulviscolo del tempo. E
quante rose, quante scintille di amore
l’Amore ci dona ogni giorno e quante puoi
donare a tua volta anche tu! Sono la
pazienza di un fratello malato, l’amore di
tuo padre stanco; lo sguardo di tuo marito
ed il tuo perdono all’amico che ti ha tradi-
to; sono lo straniero in metropolitana che ti
ha rivolto un sorriso e la mamma che ti
aspetta da sempre; è la gioia di un abbrac-
cio inaspettato; è il cuore sereno nei sacri-
fici quotidiani che rendono sacra la vita;
sei tu quando capisci di non essere niente,
ma che c’è un Tutto che basta e che ti
basta, ed a cui di buon grado presterai per
una manciata di giorni un paio di occhi, un
paio di braccia, un paio di gambe, un
cervello – nel migliore dei casi – ed un
cuore, fino a quando a Lui ritornerai. Sì,
anche tu sei una rosa per Dio e per il mon-
do, quando camminando per strada o a
fine giornata saprai ancora metterti
all’opera pensando: O Maestro, fa' ch'io
non cerchi tanto di essere consolato,
quanto a consolare; di essere compreso,
quanto a comprendere; di essere amato,
quanto ad amare.
Consiglia - GIOVANI ADULTI