funzione nomofilattica. pluralità di giurisdizione e unità ... · diritto sottoposto al suo ......
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Funzione nomofilattica. Pluralità di giurisdizione e unità di
interpretazione.
Sommario: 1. Pluralità di giurisdizione e pluralità di funzioninomofilattiche; 2. Pluralità di funzioni nomofilattiche e tendenzialeprincipio dell’unità dell’interpretazione-applicazione del diritto; 3.Ancora sulla nomofilachia in relazione alla funzione giurisdizionale; 4.Funzione unificatrice da parte della Cassazione; Bigliografia.
1. Pluralità di giurisdizione e pluralità di funzioni nomofilattiche.
1.1. Nell’ordinamento giuridico italiano sono previste tre funzioni
giurisdizionali: (a) quella della giustizia ordinaria che viene
esercitata, al livello più alto, dalla Cassazione (artt. 24, 102, 111, 113
cost.); (b) quella della giustizia amministrativa (TAR e Consiglio di
Stato: artt. 24, 100, 103, 111, 133 cost.); (c) quella della giustizia
contabile esercitata dalla Corte dei Conti (artt. 100, 103, 111, 113
cost.). A tali funzioni si possono aggiungere: (d) quella dei giudici
tributari (d.lg. 31-12-1992, n. 546 e smi) e (e) quella dei giudici
militari (art. 103 cost. e d.lg. 66/2012) che, ambedue, confluiscono –e
per quel che rileva ai fini del presente scritto- nel solco della
giustizia ordinaria, visto che le decisioni dei relativi giudici, in
ultimo grado, sono sottoposte al giudizio di legittimità della
Cassazione (artt. 62 d.lg. 546/92 e 57-67 del d.lg. 66/2010).
1.1.1. Alla Cassazione, poi, spetta il compito di dirimere i contrasti
in punto giurisdizione (artt. 111/u.c. cost; 37, 41 e 360/1, n. 1), 362,
367 e 368 cpc; 20 cpp; 4, 9-11 d.lg. 2-7-2010, n. 104; 13-17 d.lg. 26-8-
2016, n. 174; 3 d.lg. 546/92).
1.1.2. Ai massimi organi giurisdizionali spetta, infine, la funzione
nomofilattica. Questa è prevista:
(a) per la Cassazione, dagli artt. 65 del rd 30-1-1941, n. 12 (per il
quale a tale organo spetta il compito di provvedere alla <<esatta
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osservanza e uniforme interpretazione della legge, [alla] unità del diritto
oggettivo nazionale, [al] rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni>>),
nonché dagli artt. 360 bis, 363, 374, 384, 420 bis cpc eccetera;
(b) per il Consiglio di Stato, dall’art. 99 del d.lg. 104/2010 (per il
quale: <<La sezione cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di
diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti
giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o
d'ufficio può rimettere il ricorso all'esame dell'adunanza plenaria.
L'adunanza plenaria, qualora ne ravvisi l'opportunità, può restituire gli
atti alla sezione. 2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di
Stato, su richiesta delle parti o d'ufficio, può deferire all'adunanza plenaria
qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare
importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali. 3. Se la
sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di
diritto enunciato dall'adunanza plenaria, rimette a quest'ultima, con
ordinanza motivata, la decisione del ricorso. 4. L'adunanza plenaria decide
l'intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e
di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente. 5. Se ritiene che
la questione è di particolare importanza, l'adunanza plenaria può
comunque enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge anche
quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile,
ovvero l'estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell'adunanza
plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato (comma così
modificato dall'art. 1, comma 1, d.lgs. n. 195 del 2011)>>; (c) per la
Corte dei Conti, dall’art. 11/1 del d.lg. 174/2016 (per il quale: <<1.
Le sezioni riunite in sede giurisdizionale della Corte dei Conti, quali
articolazione interna della medesima Corte in sede di appello, sono
l’organo che assicura l’uniforme interpretazione e la corretta applicazione
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delle norme di contabilità pubblica e nelle altre materie sottoposte alla
giurisdizione contabile … omissis…
3. Le sezioni riunite in sede giurisdizionale decidono sui conflitti di
competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni
giurisdizionali d’appello, dal Presidente della Corte dei conti, ovvero a
richiesta del procuratore generale>>.
1.1.3. A livello comunitario, la funzione nomofilattica è esercitata
dalla Corte di Giustizia UE, Grande Camera (v.nsi: sent. Corte
Giust. UE 20-11-2011, C 369/09 Interedil; 5-10-2010, C-173/69
Elchinov; 4-7-2013, C-100/12 Fastweb [nonché AP Cons. St. 4/2011 e
9/2014 e ord. CSI 84 del 17-10-2013 ecc.], 5-4-2016, C-689/13
[nonché AP nn. 19 e 20/2016]) e una certa funzione in tal senso è,
altresì, svolta dal Tribunale di primo grado.
1.2.2. A livello internazionale la “funzione nomofilattica è svolta dalla
Corte Internazionale di giustizia dell’Aja nell’ambito del diritto
internazionale pubblico” (art. 38 dello Statuto della Corte: così da
Wikipedia: “Funzione nomofilattica”).
1.2.3. Storicamente la nomofilachia è collegata: <<al primato
illuministico della legge ed all’istituzione, nel 1790, del Tribunal de
cassation: esiste, infatti, un rapporto strutturale fra la nascita di questo
nuovo organo, frutto della legislazione rivoluzionaria, e la questione della
funzione nomofilattica. In un certo senso, legge, nomofilichia e Tribunal de
cassation costituiscono, per così dire, tre lati di un unico triangolo>> (A.
Pajno, Nomofiliachia e giustizia amministrativa, Rass. Forense, 3-
4/2014, 641-642).
E il primato della legge (che deriva, se vogliamo, da Montesquieu per
il quale il giudice costituisce <<la bocca che pronuncia la parola della
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legge>>) è presupposto, ancora oggi, da diverse disposizioni
normative (ad esempio: dall’art. 65 del rd 12/1941, dagli artt. 24, 25,
101, 102, 103, 111, 113, 125 della Cost.; dall’art. 363 cpc; da diverse
leggi che configurano come illegittimi gli atti amministrativi per
<<violazione di legge>>; dall’art. 29/1 del d.lg. 104/2010 eccetera).
Più recentemente, però, si parla di <<norme di diritto>> o di
<<questioni di diritto>> (v.nsi, ad esempio, gli artt. 360/1, n. 3), 360
bis, 363 eccetera).
2. Pluralità di funzioni nomofilattiche e tendenziale principio
dell’unità dell’interpretazione-applicazione del diritto.
2.1. A fronte delle diverse normative in punto nomofilachia, si pone il
problema dell’interpretazione del diritto in senso oggettivo.
2.1.1. Sul punto interpretazione si possono avere, in sintesi, tre teorie.
(a) Quella conoscitiva o cognitiva: il diritto, come insieme di regole o
norme, è determinato dal legislatore (almeno per la fonte più
rilevante: la legge) e l’interprete si limita a rilevare il vero significato
della legge; diritto e legge coincidono; in tal senso si dovrebbe avere
un’unica interpretazione rilevata da chi esercita la funzione
nomofilattica.
(b) Quella creativa da parte dei giudici (<<Per diritto io intendo la
profezia di ciò che le corti faranno di fatto, e niente di più pretenzioso>>:
Q.W. Holmes…1 <<Noi possiamo ora arrischiare una approssimativa
definizione del diritto dal punto di vista dell'uomo comune: per una certa
persona profana, il diritto, riguardo ad un particolare insieme di fatti, è
una decisione di un tribunale rispetto a quei fatti in quanto quella
decisione concerne quella particolare persona. Finché un tribunale non ha
1 Trattasi di HOLMES, The Path of the Law, in Harvard Law Review, 10, 1987
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giudicato su quei fatti, non esiste ancora nessun diritto riguardo a quei
fatti. Prima di tale decisione l’unico diritto disponibile è l’opinione dei
giuristi circa il diritto relativo a quella persona e a quei fatti. Tale opinione
non è veramente diritto ma soltanto una congettura su ciò che una corte
deciderà. Il diritto, quindi, relativamente ad una determinata situazione è
sia a) il vero diritto, cioè la specifica decisione già data relativamente a
quella situazione, sia b) il probabile diritto, cioè una congettura riguardo
ad una specifica decisione futura»: T. Frank, 1930, 46)2… <<Qui non vi è
traccia di norma o regola, ma il diritto (vero o probabile che sia) si risolve
in una specifica decisione già data (e nella somma di tutte le decisioni
date), ovvero in una congettura su una specifica decisione futura. Questo
secondo aspetto è sottolineato anche da chi, pur criticando gli estremismi e
le esagerazioni del realismo giuridico, ne accetta l'assunto fondamentale:
<<Io trovo sparsi tutto intorno, e pronti ad essere conglobati in un
giudizio secondo un certo processo di relazione da praticarsi da un giudice,
un vasto conglomerato di principi e regole e consuetudini e principi di
moralità. Se questi sono così ben confermati da giustificare una previsione
con una ragionevole certezza che essi avranno il sostegno del tribunale nel
caso che la loro autorità sia sfidata, io dico che essi sono diritto>>: B.B.
Cardozo3: citazioni tratte da F. Modugno, Interpretazione giuridica,
Cedam 2009, 53-55). La nomofilachia, qui, coincide con il potere dei
giudici4.
(c) Quella mediana per la quale il diritto è frutto delle disposizioni
normative quali interpretate ed applicate (v.si sub 2.2).2 Trattasi di FRANK, Law and the Modern Mind, New York, 1930.3 Trattasi di CARDOZO, Selected Writings, New York, 1947.4 Il realismo giuridico o, secondo altri, la teoria del diritto libero (in quanto dipendentequasi totalmente dall’interpretazione) non è soltanto un fenomeno anglo-americano oscandinavo. Esiste anche in Italia. V.si, GIANFORMAGGIO, Realismi giuridici italiani,in Analisi e diritto 1991. Ricerche di giurisprudenza analitica, a cura di P. Comanducci eR. Guastini, Giappichelli 1991, 159 e segg.
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Le teorie sub (a) e (c) sono, comunque, non più accolte. La prima è,
oggi, abbandonata sebbene trovi il proprio fondamento nel pensiero
di Leibniz5 e degli illuministi (ma non solo)6.
Infatti: “Se il linguaggio giuridico –come ogni linguaggio naturale e
comune- è indeterminato, in quanto presenta espressioni linguistiche
ambigue e, in ogni caso, vaghe, il postulato o pregiudizio della ‘norma
5 MATHIEU (in “Leibniz. Vita, pensiero, opere scelte” [a cura di MASSARENTI, Il Sole-24 Ore, 55 e segg.]) asserisce: <<[Leibniz] si rivolse, anzitutto, a quelle discipline che,nell’ambiente storico e familiare che lo circondava, gli apparivano come le più concrete, eanche le più atte ad aprirgli un’effettiva possibilità di influenzare il corso delle cose: lediscipline giuridiche. Da un altro lato, però, di questo studio egli pretese sempre di risalireai fondamenti primi logico-filosofici, in modo che il diritto divenisse una scienza, capacedi regolare i rapporti tra gli uomini secondo principi assolutamente oggettivi …omissis…Non meraviglia, quindi, che la discussione che nel 1666 Leibniz sostiene per essereaccolto come docente nella facoltà di Lipsia abbai appunto il titolo: Disputatio aritmeticade complexionibus (Lipsia 1666). Di qui uscì anche il nucleo della Dissertatio de artecombinatoria (Lipsia 1666), in cui si raccolgono tutti i motivi più importanti del pensierogiovanile di Leibniz …omissis…L’ars combinatoria doveva, così, fornire lo strumento universale per trovare tutte lepossibili verità; che si sarebbero rese disponibili, non solo per scoprire i segreti dellanatura e risolvere problemi tecnici del tipo che noi siamo abituati a considerare comescienza applicata, ma anche, ad esempio, per risolvere controversie giuridiche, o religiose:insomma, per procedere con oculatezza ad ogni genere di decisioni. Ridotta ad un calcolo,la decisione poteva, per dir così, essere meccanizzata. Del resto alquanto più tardi (1674),Leibnizi si preoccuperà di far eseguire anche di fatto, dal meccanico Olivier, un modello(assai progredito rispetto a quello di Pascal) di macchina calcolatrice: ma, naturalmente, lavera applicazione di quei suoi pensieri non giunse a vederla: egli la troverebbe oggi, nellacostruzione e nell’uso –sotto certi rispetti anche euristico- dei computers da parte dellamoderna tecnologia. Anche gli studi di diritto –per i quali pubblicò nel 1664 lo scritto diabilitazione Specimen quaestionum philosophicarum ex iure collectarum, poi unaDisputatio iuridica di conditionibus (1665), condotta con metodo euclideo, e ancora unatrattazione De casibus perplexis in iure (Norimberga 1666) per ottenere una laurea –nonrappresentavano per lui se non applicazioni particolari della sua logica calcolatoria.Impostato correttamente il problema, per stabilire chi avesse torto e chi ragione sarebbebastato sedersi a tavolino e dichiarare di comune accordo: <<Calcoliamo>>.6 BOBBIO (Contributi ad un dizionario giuridico, v. "Logica giuridica", Giappichelli,1994) asserisce: "Per mostrare quanto il destino della scienza giuridica sia stato connesso,nel pensiero occidentale, allo sviluppo della logica, mi limiterò ad esaminare qui tremomenti o concezioni giuridiche, in cui la stretta parentela tra diritto e logica, in variecombinazioni e significati, è un elemento essenziale per la individuazione del lorocontenuto e del loro valore storico: 1) il giusnaturalismo moderno; 2) la giurisprudenzadei concetti, in cui talora si fa confluire l’intero movimento della pandettistica; 3) ilformalismo neo-kantiano, di cui il normativismo è la più importante filiazione. L’idealedel giusnaturalismo moderno, che è un aspetto del generale movimento razionalistico infilosofia, è la costruzione di una giurisprudenza geometrico more demonstrata. Si pensi aHobbes: sin dalle prime pagine del De cive, Hobbes contrappone gli studiosi della
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vera’ è falsificato: non si dà un solo significato vero di un testo
normativo>> (Modugno, cit., 112, nonché, sulla indeterminatezza del
linguaggio giuridico, C. Luzzati, La vaghezza delle norme, Giuffrè,
1990).
La terza è, essa pure, non del tutto persuasiva: se è vero che, in
definitiva, contano –per i litiganti le sentenze definitive dei giudici-
geometria che «hanno ben coltivato il loro campo» ai filosofi morali, i cui scritti sino adoggi «sono serviti ben poco alla conoscenza della verità». Egli parte dal presuppostotipico di ogni razionalismo etico che i peggiori malanni di cui soffre l’uomo, come laguerra, sarebbero definitivamente debellati «se si conoscessero con egual certezza leregole delle azioni umane come si conoscono quelle delle grandezze in geometria». Il suoscopo è quello di costruire una teoria razionale del diritto, cioè una scienza, come egli siesprime, «derivata con nessi evidenti da princìpi veri». Vi è un curioso passo nel cap. XIVdel De cive, in cui dopo aver definito la legge naturale, aggiunge: “Questa è la legge cheho tentato di esaminare in tutto questo libro”. Si capisce da queste parole che Hobbes vuoipresentare la sua opera come un trattato di diritto naturale, perché solo partendo dalleleggi naturali, considerate come dettami della retta ragione, si può tentare di costruire unsistema razionale, in cui tutte le proposizioni del sistema siano riconducibili ad alcunipostulati iniziali. Non si può dire che Hobbes abbia condotto molto avanti questo tentativoe si sia data molta pena per derivare una legge dall’altra. Ma l’intenzione è chiara sin dalleprime battute: della ventina di leggi naturali che egli enuncia, ve n’è una fondamentale ele altre sono o pretendono di essere derivate da quella con metodo deduttivo. Alla finedella enumerazione, si esprime in questo modo: «Quelle che chiamiamo leggi di naturanon sono altro che una specie di conclusione tratta dalla ragione in merito a quel che sideve fare o tralasciare». Nel Leviatano precisa «conclusioni o teoremi». E’ noto chePufendorf, prima di scrivere l’opera maggiore (De iure naturae et gentium, 1672), avevacomposto, per consiglio del suo maestro di matematica, Erhard Weigel (che fu anchemaestro di Leibniz) un’opera, poi superata ma non ripudiata, che avrebbe dovuto esporrela materia del diritto naturale in forma dimostrativa, valendosi di queste partizioni: 1)Definitiones; 2) Principia; 3) Propositiones seu conclusiones. Ma anche nell’operamaggiore non rinuncia a questo ideale di matematizzazione Nel cap. II De certitudinedisciplinarum, quae circa moralia versantur, prende netta posizione contro la tesitramandata per l’autorità di Aristotele, secondo cui le scienze morali non sono scienzedimostrative. Dopo aver dato della dimostrazione la seguente definizione: «Rerumpropositarum certitudinem necessariam e certis principiis tamquam suis causis indubitatocognoscendam syllogistice deducere», afferma che la scienza morale, che si accinge aesporre, «omnino eiusmodi fundamentis nititur, ut exinde genuinae demonstrationes, quaesolidam scientiam parere sint aptae, deduci queant». Qual fosse l’importanza che Leibnizannetteva alla logica per lo studio della giurisprudenza è stato detto e ripetuto, anche sequesto settore delle ricerche leibniziane, nonostante la minuziosa opera di Grua, rimanequasi completamente inesplorato. Ci limitiamo a due citazioni, scelte in scritti di annilontani, che ci sembrano tra le più significative e le più intransigenti nei confrontidell’ideale del sistema giuridico come sistema deduttivo: «Da qualsiasi definizione sipossono trarre conseguenze sicure, impiegando le incontestabili regole della logica.Questo è precisamente quanto si fa costruendo le scienze necessarie e dimostrative, chenon dipendono dai fatti, ma unicamente dalla ragione, quali la logica, la metafisica,
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la società sana nel suo complesso si comporta secondo la legge quale
interpretata non solo da sentenze passate in giudicato ma da altri
atti (circolari, commenti dottrinari, prassi, eccetera). Se così non
fosse verrebbe meno per gran parte la funzione legislativa del
<<potere legislativo>> e, sebbene da tante parti si lamenti che il
Consiglio di Stato è, di fatto, <<creatore di norme>> e influenza la
l’aritmetica, la geometria, la scienza del movimento, nonché la scienza del diritto; le qualinon sono punto fondate sull’esperienza e sui fatti, ma servono piuttosto a rendere ragionedei fatti e a regolarli in anticipo; ciò che varrebbe, per il diritto, quand’anche non esistesseal mondo neppure una legge». «La teoria del diritto è del numero di quelle che nondipendono da esperimenti, ma da definizioni; non da ciò che mostrano i sensi, ma da ciòche dimostra la ragione; e sono, per così dire, di diritto e non di fatto. Poiché infatti lagiustizia consiste in una certa convenienza e proporzionalità, si può comprendere chequalcosa sia giusta quand’anche non esista alcuno che possa far valere la giustizia o su cuila si possa far valere; allo stesso modo che i rapporti aritmetici sono veri, anche se non visia chi numeri né vi siano cose da numerare ... per cui non c’è da stupirsi che i principi diqueste scienze abbiano valore di verità eterne: poiché essi sono tutti condizionali, e non cidicono che cosa esista, ma che cosa consegua, posta che sia l’esistenza». Questa ideadell’ordinamento giuridico come sistema di regole dedotte da alcuni princìpi evidenti onaturali e, con altre parole, di un legislatore razionale e universale, giunse sino alle sogliedelle grandi codificazioni dell’età illuministica. L’idea stessa di una codificazioneuniversale si ispirava al modello di un ordinamento giuridico come sistema deduttivo, icui caratteri essenziali sarebbero dovuti essere l’unità, la semplicità, la completezza e lacoerenza «Occorrono poche leggi — scriveva Saint-Just ripetendo una opinione assaidiffusa —. Ove ve ne sono molte, il popolo è schiavo ... Colui che dà al popolo troppeleggi è un tiranno». Ma il sopravvento della Scuola storica del diritto, che considerò ildiritto non più come prodotto di una natura umana sempre eguale ma delle mutevoliconvinzioni popolari, mise definitivamente da parte l’idea della legislazione universale.Se, con terminologia kelseniana, chiamiamo sistema statico un ordinamento di regolecostruito a immagine di un sistema deduttivo, nessuno, credo, sarebbe ancora disposto achiamare sistema statico un ordinamento giuridico. Se possa poi dirsi un sistema, e inquale senso, è un’altra questione che qui possiamo tralasciare. Non per questo vennemeno l’idea di una stretta connessione tra diritto e logica: solo che essa retrocesse, sepossiamo esprimerci così, dalla sfera della produzione, delle regole giuridiche, o dallalegislazione, a quella della loro applicazione, cioè dall’attività del legislatore a quella delgiudice e del giurista. Mentre il giusnasturalismo aveva creduto di poter ridurre acomplesso di operazioni logiche l’attività stessa del legislatore, stringendo il nesso tradiritto e logica nel momento stesso della formazione dell’ordinamento, il positivismogiuridico, che tenne il campo nello sviluppo del pensiero giuridico del secolo XIX,abbandonò il momento della produzione giuridica, per esprimerci con una formulasintetica, anche se alquanto rozza, alle forze irrazionali della storia, e restrinse il dominiodella logica ad un campo subordinato ma non meno ben delimitato, e pur vasto eimportante, quello dell’applicazione della legge al caso concreto. In altre parole, ilpositivismo giuridico rinunciò alle posizioni più avanzate del giusnaturalismo, che lacritica storicistica aveva rese indifendibili, ma non rinunciò affatto all’idea che gran partedell’attività mentale concernente il diritto fosse da intendersi sotto il segno della logica.
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stessa dottrina (S. Cassese, Il Consiglio di Stato come creatore di
diritto e come amministratore, in “Le grandi decisioni del Consiglio
di Stato” a cura di G. Pasquini e A. Sandulli, Giuffrè 2001, 2-3),
nessuno può negare che l’ordinamento giuridico è dinamico per la
continua attività trasformatrice delle leggi emanate dal Parlamento
e dal Governo. (Detto ciò è indubbio che è molto più “vera” la teoria
Mi riferisco in particolare, per quel che riguarda l’attività del giudice, alla teoriacosiddetta dichiarativa del giudizio, che risolve la sentenza in un sillogismo; per quel cheriguarda l’attività scientifica, all’insieme di teorie che costituirono il movimento noto colnome di giurisprudenza dei concetti. I possibili riferimenti storici sono molti; ma anchequi mi limito a qualche citazione essenziale. Per la formulazione della teoria delsillogismo è classica quella data dal Beccaria: «In ogni delitto si deve fare dal giudice unsillogismo perfetto: la maggiore dev’essere la legge generale; la minore l’azione conformeo no alla legge; la conseguenza la libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto, ovoglia fare anche solo due sillogismi, si apre la porta all’incertezza». L’idea che debbanoessere distinti il metodo del legislatore dal metodo del giureconsulto o del giudice apparechiaramente e curiosamente, per esempio, nella dottrina di Matteo Pescatore, che, rispettoal legislatore, parla di «sistema della legalità», con ciò intendendo dire che il compito dellegislatore è di fissare il diritto con regole generali; e poi, soltanto rispetto al giureconsultoe al giudice, parla di «logica del diritto», intendendo riferirsi a quella iuris ratio, a quellarecta disputandi ratio, con cui si deducono le conseguenze da un principio: essa «non èaltro che la logica del diritto» senza la quale «il diritto perde, per così dire, ogniconsistenza obbiettiva e sparisce». Per quel che riguarda l’importanza della logica nellascienza giuridica è molto significativo il fatto che, proprio nel più celebre scritto delfondatore della Scuola storica, si trovino quelle espressioni che servirono, se non adalimentare, a giustificare retrospettivamente la giurisprudenza dei concetti. Volendoesprimere la sua ammirazione per i giureconsulti romani, Savigny scriveva che «il lorointero procedimento acquista una sicurezza che non si trova all’infuori della matematica,tanto che si può dire senza esagerazione che essi calcolano coi loro concetti». Qui il nostropensiero corre ad un’altrettanto celebre frase di Leibniz: «Digestorum opus admiror: necquidquam vidi, sive ratio num acumen, sive dicendi nervos spectes, quod magis accedatad mathematicorum laudem». A proposito della irraggiungibile completezza dei codici,Savigny ancora commentava, nella stessa operetta, approfondendo l’analogia tra lascienza giuridica e la matematica: «In ogni triangolo si danno certi elementi, dallaconnessione dei quali discendono necessariamente tutti gli altri ... Nello stesso modo, ogniparte del nostro diritto ha tali punti, attraverso i quali sono dati tutti gli altri: possiamochiamarli i postulati fondamentali. Ricavarli e partendo da essi riconoscere l’interconnessione e il tipo di affinità di tutti i concetti e le forme giuridiche, è uno dei piùdifficili compiti della nostra scienza, ed è proprio quello che dà al nostro lavoro caratterescientifico». Probabilmente con riferimento a queste frasi del Savigny, spesso ripetute, loStammler, se pur con qualche esagerazione, poteva ripetere il luogo comune che lagiurisprudenza dei concetti «tratta concetti che non sono altro che riproduzioni dimateriale storicamente dato, come concetti puri quali i concetti della matematica». Dico«con qualche esagerazione», perché nel capitolo dedicato alla tecnica del diritto nel Geistdes römischen Rechts di Ihering, che viene considerato di solito come la teorizzazione delconcettualismo giuridico, il modello per la elaborazione del metodo delle scienze
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“realistica” sub (c) che non quella sub (a)).
(c) Quindi rimane la teoria mediana o moderata dell’interpretazione
che fa salva la funzione legislativa pur riconoscendo che la
giurisprudenza è un formante del diritto.
2.1.1.1. La differenza tra legge e norme di diritto è, per tale teoria
mediana, basilare. Con il primo termine si fa intendere che le regole
o norme costituenti il diritto oggettivo stiano tutte nella legge come
fonte primaria del diritto, mentre con il sintagma <<norme di
diritto>> si distinguono le fonti dal diritto, visto che per aversi
l’insieme delle norme del diritto oggettivo occorre l’attività creatrice
dell’interprete. Si afferma, quindi (con la teoria mediana) che il
giuridiche non era la matematica, bensì la scienza naturale, e la nozione fondamentale percaratterizzarne il metodo non era la deduzione, ma la costruzione, intesa comeelaborazione del sistema dal basso, cioè partendo dall’isolamento prima e dalraggruppamento poi dei cosiddetti corpi giuridici. Il punto di rottura però, rispetto aicritici del concettualismo, stava pur sempre nel fatto che, giunto al sistema, anche Ihering— s’intende il Ihering della prima maniera— si fermava pieno di ammirazione, edaffermando che esso era «una fonte inesauribile di materia nuova», commentava: «Si puòsolo impropriamente parlare di materia nuova, dal momento che la giurisprudenza silimita a rendere esplicito ciò che il legislatore ha indirettamente stabilito e decretato. Essanon è tanto una creazione nuova quanto una rivelazione». Proprio erigendosi controquesta nozione di sistema, il Heck, sferrando un fortunato attacco alla giurisprudenza deiconcetti, proclamava: «Noi sostituiamo l’ideale di un sistema deduttivo con un altrosistema che può essere chiamato induttivo o descrittivo». Almeno agli occhi degliavversari, sembrava dunque che il tenace ideale dell’ordinamento giuridico come sistemadeduttivo, e quindi dell’opera della scienza giuridica come attività prevalentemente logica,fosse stato trasmesso dai giusnaturalisti del secolo XVII ai positivisti del secolo XIX. Ilpanorama non è destinato a cambiare, quando si passi dalla dottrina tedesca a quellafrancese della cosiddetta Scuola dell’esegesi. Uno dei maggiori rappresentanti dellaScuola scriveva: «... solo allo sviluppo logico delle conseguenze di ogni principio èpossibile chiedere le verità di cui si vuole ottenere il trionfo». E così pure non è senzasignificato che il maggior elogio elevato ad uno dei monumenti della scienza giuridicaottocentesca, il Cours de droit civil français di Aubry e Rau, sia stato formulato in questitermini: «Ciò che costituisce il merito particolare dell’opera è la sicurezza della dottrina,la sobrietà dell’esposizione, la deduzione inflessibile di tutte le conseguenze giuridiche daun principio dato . . . Tutte le soluzioni sono contenute in germe in un insieme di princìpiformulati con tal rigore matematico e così intimamente connessi gli uni agli altri cheformano un vero edificio giuridico di cui si possono criticare senza dubbio i particolari,ma di cui è impossibile non riconoscere la solida costruzione». (V.si, altresì, M.MUGNAI,Introduzione alla filosofia di Leibniz, Einaudi, 2001, pagg. 205 e segg.): daCASAVECCHIA, Brevi cenni sull’ordinamento giuridico inteso come insieme strutturatodi norme giuridiche. Parte prima, in “Il nuovo diritto delle società”, 3/2013, 29 e segg.
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viaggio parte dalle disposizioni normative (“D”) per pervenire,
attraverso l’interpretazione (“I”), alle norme (“N”)7. Ragione per la
quale -abbandonata la tesi illuministica delle <<leggi-norme>> e
senza pervenire a quella per la quale il diritto sta tutto nelle sentenze
dei giudici- si accoglie una tesi mediana o moderata che, in sintesi,
può essere descritta, come iter, come segue.
(i) Si tiene conto che le fonti del diritto (o disposizioni normative) sono
tante (comunitarie, costituzione, leggi costituzionali, leggi ordinarie,
leggi materiali, atti amministrativi, sentenze, atti privati eccetera)8;
(ii) si assume, magari provvisoriamente, che il caso da decidere,
rientra in una delle tante disposizioni normative;
(iii) si ricostruisce il “fatto” per ricondurlo sotto la disciplina di una
certa disposizione normativa e ciò alla luce, normalmente, dei
canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 e segg. cc.;
(iv) si interpreta quella disposizione alla luce degli artt. 12-14 delle
preleggi al cc;
(v) si ricava, attraverso l’interpretazione, la “norma” che
regolerebbe il “caso”;
(vi) si ricava dalla “norma” quella “derivata” (da “Tutti i ladri7 V.si,in tal senso, GUASTINI, Dalle fonti alle norme, Giappichelli, 1990, nonché, dellostesso Autore, Distinguendo. Studi di teoria e metateoria del diritto”, Giappichelli, 1996.8 La globalizzazione economica del mercato da un lato, il diritto comunitario dall’altrohanno fatto acquistare rilevanza positiva [anche] al fenomeno della soft law, termineconiato in contrapposizione alla hard law,che designa le fonti del diritto tradizionalmenteintese, il cui valore è affidato a principi di carattere formale, secondo una costruzionegeometrica di impronta kelseniana. Viceversa gli atti costitutivi della soft law (gli usi nonnormativi, i codici di condotta, l’interpretazione e le clausole generali, i principi, la lexmercatoria, le regolamentazioni delle Associazioni di categoria, etc), accumunati dalcarattere essenzialmente non vincolante delle regole che con essi vengono poste, trovanofondamento nell’effetto pratico che le relative disposizioni producono sui destinatari. E’ inparticolare nella comunità degli affari –cosmopolita e in perenne movimento, bisognosa diregole transnazionali che siano dotate al tempo stesso di flessibilità e effettività, soventeoriginate dalle stesse pratiche commerciali che intendono regolare –che la soft law hatrovato successo, affermandosi nei contratti internazionali, speciale a livello di giudiziarbitrali (BELLOMO, Manuale dir. amm., I, Cedam, 2008, 152).
11
devono essere puniti”, si ricava quella concreta per la quale “Tizio deve
essere punito”);
(vii) si vede, alla luce del “buon senso”, se tale processo conduce a
risultati accettabili;
(viii) si ripete l’operazione se il risultato finale non è ritenuto
accettabile;
(ix) infine, con un atto decisionale (sentenza o lodo), si “applica” la
“norma” al “caso”.
In definitiva è attraverso vari circoli ermeneutici” che il giudice
“interpreta” e “applica” una norma di diritto al caso concreto9. E tali
cerchi vengono sunteggiati (da F. Modugno), come segue:
(1) il <<primo circolo ermeneutico corre tra gli enunciati contenuti in un
testo (o contesto) normativo (incivile nisi tota lege perspecta iudicare…) e
tra questo e quelli contenuti negli altri atti normativi>>: trattasi del c.d.
canone della totalità;
(2) il <<secondo circolo ermeneutico corre tra l’ordine giuridico
complessivo e il processo interpretativo che non è soltanto tornare a
conoscere una manifestazione di pensiero … ma tornare a conoscerla, per
integrarla e realizzarla nella vita di relazione>>;
(3) il <<terzo (doppio)circolo ermeneutico corre tra qualsiasi tipo di
‘dichiarazione emessa” o di ‘comportamento tenuto’ e ‘il senso che vi si
ricollega nell’ambiente sociale’,come pure tra la fattispecie dell’atto
giuridico e la fattispecie legale ai fini della ‘integrazione’ di senso dell’atto
medesimo (in quanto atto disciplinato dal diritto)>>;
9 V.nsi: GIANNINI, Manuale dir. amm., volume secondo, Giuffrè 1988, 748 e segg.;MODUGNO, Interpretazione giuridica, Cedam, 2009; TARELLO, L’interpretazione dellalegge, Giuffrè, 1990; GUASTINI, L’interpretazione dei documenti normativi, in “Trattatodi diritto civile e commerciale”, già diretto da A. Cian e altri, Milano, 2004.
12
(4) il <<quarto circolo ermeneutico corre tra la norma (o precetto o
direttiva della condotta) e il fatto (la fattispecie cui deve applicarsi o la
condotta in cui la direttiva deve effettivamente attuarsi) e, reciprocamente,
tra il fatto e la norma. Perché, sia detto subito –e questo è un punto
centrale- se è vero <<che il fatto non può contenere al proprio interno
(nemmeno in modo implicito) il criterio di decisione giuridica>> (R.Sacco,
1999, 170)10, poiché questo criterio è appunto la norma che ad esso va
applicata e in cui essa deve effettivamente attuarsi, non può disconoscersi
che la norma deve adeguarsi al fatto, deve cioè essere (o rendersi) idonea
all’applicazione a quel determinato fatto (token) e non ad una fattispecie
astratta, tipica (type) che non è altro se non una componente od un
elemento della norma medesima, interno ad essa. Il fatto concreto è invece
esterno alla norma e, per poterlo ricondurre alla (farlo rientrare nella)
fattispecie astratta, per verificare l’ipotesi normativa, occorre muovere ad
esso, per cui è altrettanto vero asserire che “si giunge alla regola di diritto
partendo dal fatto”;
(5) il <<quinto corre tra la precomprensione o prima ipotesi interpretativa
del fatto e il testo-documento-enunciato giuridico. Dalla ipotesi
interpretativa del fatto,ossia dal caso, l’interprete si rivolge al testo da
interpretare e che interpreta sottoponendo alla tensione del caso (per cui la
interpretazione del testo è già in qualche modo indirizzata nel senso della
possibile adeguazione al caso); ma il testo così interpretato può non
rispondere alla interrogazione-interpretazione richiesta dal caso (pur
condotta seguendo uno o più argomenti interpretativi: …). Si ritorna
allora a formulare una nuova ipotesi interpretativa da sottoporre
nuovamente al testo medesimo o ad altro testo ritenuto più adeguato, e così
10 Trattasi di SACCO, L’interpretazione, in G. ALPA ed AA.VV., Le fonti del dirittoitaliano, 2. Le fonti non iscritte e l’interpretazione, in Trattato di diritto civile, dir. da R.Sacco, Torino, 1999.
13
via fino a che non si ritenga che sia stato raggiunto un accordo tra ipotesi e
testo, ossia fino a che l’ipotesi non sembri verificata: <<dal caso,
l’interprete procede e ad esso ritorna, in un procedimento circolare (il
“circolo interpretativo”) di riconduzione bipolare che trova la sua pace nel
momento in cui si compongono nel modo più soddisfacente possibile le
esigenze del caso e quelle del diritto (G. Zagrebelsky, 1988, 41)>> (da F.
Modugno, Interpretazione giuridica, Cedam, 2009, 88-89).
2.1.1.2. Occorre, comunque, approfondire il problema perché:
(1) alla luce di quanto detto sub 2.1. (i), (iv) e (v) occorre tener conto
che:
(a) per le disposizioni normative di fonte legislativa (per il nostro
ordinamento: costituzione, leggi costituzionali, leggi nazionali
[leggi ordinarie, decreti-legge, leggi di conversione, leggi delega,
decreti delegati]; leggi regionali e leggi della Provincia di Trento e
Bolzano), si applicano le metanorme di cui agli artt. 12-14 delle
preleggi al cc e, quindi, si cerca di determinare il significato della
disposizione alla quale ricondurre la fattispecie concreta inserendo
detta disposizione nel sistema complessivo del diritto (c.d.
<<interpretazione sistematica>>: si “connette” il significato delle
parole del linguaggio prescrittivo della disposizione presa in esame
[dimensione sintattica e semantica del detto linguaggio] e si
paragona il significato di detta connessione con <<l’intenzione del
legislatore>> [e cioè, così si ritiene, con l’insieme delle norme intese
come sistema prescrittivo e/o performativo]);
(b) per le altre fonti del diritto (leggi in senso materiale o atti
amministrativi generali, atti amministrativi individuali, sentenze,
negozi giuridici eccetera), l’attività interpretativa incontra limiti più
14
o meno vasti e deve utilizzare diversi canoni interpretativi:
(i) per la Cassazione, il limite è dato dall’elenco di materie in ordine
alle quali tale organo può decidere (le evenienze di cui agli artt. 360,
362 e 368 cpc [certi fatti processuali e certe disposizioni denominate
<<norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di
lavoro>> [e cioè norme di derivazione da contratti e accordi collettivi
di lavoro] e norme, in alcuni casi, derivanti da disposizioni
supervenientes eccetera);
(ii) per gli altri organi giurisdizionali (TAR, Consiglio di Stato, Corte
dei Conti) l’interpretazione-applicazione è, più o meno, completa e
include il riesame dell’operazione di ricostruzione del fatto (cosa,
questa che non è possibile per la Cassazione: <<Infatti, l’errore di
diritto [a sensi dell’art. 360/1, n. 3 cpc] può consistere nell’erronea
individuazione della norma da applicare alla fattispecie, ovvero nell’errata
sussunzione della fattispecie ad una norma correttamente individuata ed
interpretata. Il che si verifica anche quando si applica una norma ad una
fattispecie diversa da quella da essa prevista>> (CC, SU, 18 gen. 2001/5;
CC 28 nov. 2007/24756; CC 26 set. 2005/18782; CC 7 gen. 2004/47,
FI, 1976; CC 21 novembre 2000/15004)”: V. Carbone, in AA.VV. [a
cura di N. Picardi]), Codice di procedura civile, Giuffrè, 2010,
1930)11;
(2) alla luce di quanto asserito sub 2.1 (ii) e (iii) le difficoltà maggiori
si riscontrano nel ricostruire il fatto, visto che le disposizioni
normative relative alle “prove processuali” sono tante e difficili e, a
loro volta, da interpretare: la c.d. “sussunzione” (e cioè il
11 V.si, altresì, sul punto anche GIANNINI, L’interpretazione dell’atto amministrativo e lateoria generale dell’interpretazione, in”Scritti”, volume primo, Giuffrè, 2000, 157 e segg.(capitolo secondo, par. 34: “Ricorso per Cassazione circa l’interpretazione dei negozigiuridici privati”.
15
procedimento attraverso il quale si riporta una determinata
fattispecie concreta o caso nel caso generale previsto da una norma di
legge –procedimento da alcuni giuristi assimilato a quello operato
dai catalizzatori chimici- è operazione complessa sia sul versante
della ricostruzione del caso, che sul versante della interpretazione
delle disposizione normativa;
(3) alla luce di quanto asserito sub 2.1(vi), occorre, poi, tener conto
che chi interpreta pone in essere un’attività logica:
(i) per il giudice detta attività (di interpretazione-applicazione)
consiste nel creare “norme di prolungamento o seconde” per le quali
dalla norma generale: <<Chi ruba deve essere punito>> si può
dedurre che <<Tizio, in quanto ladro, deve essere punito>>
(<<Questi esempi di prolungamento di norme sono inferenze deduttive
normative>> e … <<se la logica delle norme è possibile e se non è
ingiustificato … chiamare “logica deontica” la logica delle norme, allora
… è grazie ad essa che il filosofo del diritto è in grado di spiegare la forza
obbligatoria delle norme giuridiche seconde>>: J. Kalinowski, La
rilevanza della logica deontica per la filosofia del diritto, in AA.VV.
(a cura di A.C. Conte, P. Di Lucia, C. Ferrajoli, M. Jori, Filosofia del
diritto, Cortina 2007, 291 e segg.)12;12 Sul punto e cioè sui rapporti tra diritto e logica, v.nsi: Per i rapporti tra diritto e logica,v.si: N.BOBBIO, Contributi ad un dizionario giuridico, Giappichelli, 1994, v. Logicagiuridica (I) e Logica giuridica (II); G.KALINOWSKI, Introduzione alla logica giuridica,Giuffrè, 1971; C.PERELMANN, Logica giuridica. Nuova retorica, Giuffrè, 1979,T.MAZZARESE, Logica deontica e linguaggio giuridico, Cedam 1999; N.VASSALLO,La depsicologizzazione della logica: un confronto tra Boole e Fuge, F.Angeli 1995;E.BULIGYN, Norme, validità, sistemi normativi, Giappichelli 1995 (sono da leggere icapitoli "Norme e logica Kelsen e Weinberger sull'ontologia delle norme" e "Sul problemadell'applicabilità della logica al diritto"); H.KELSEN, Diritto e logica, in Problemi diteoria del diritto (a cura di R.GUASTINI), Il Mulino, pag. 173 e segg.;A.ROSS, Criticadel diritto e analisi del linguaggio, Il Mulino, 1982; A.G.CONTE, Un saggio filosoficosulla logica deontica, in Filosofia del linguaggio normativo, I, 3 e segg.; C.E.ALCOURRON, Concezioni della logica, in Analisi ediritto 1994, Giappichelli, pag. 17 esegg.; U.SCARPELLI, L'etica senza verità, Il Mulino 1982; A.PINTORE, Il diritto senza
16
(3.1) l’interprete non giudice, poi, al posto del “caso concreto”
suppone un “caso possibile”. Da qui il fatto che l’interprete non
giudice propone un ragionamento di tipo controfattuale”: <<Se il caso
fosse X, allora questo verrebbe disciplinato dalla disposizione normativa
A>> (ragionamento non troppo lontano da quello ipotizzato dal N.
Goodman [in “Fatti, ipotesi e previsioni”, Laterza, 1985]. E’ facile
rilevare una certa analogia tra l’applicazione di una legge scientifica
[“Se il fiammifero fosse stato sfregato, si sarebbe acceso”] e l’applicazione
di una disposizione normativa [“Se il conduttore non paga il canone, il
locatore può risolvere il contratto di locazione”]). Da qui, ancora e per i
casi concreti, la normale superiorità dell’interpretazione del giudice
(che si avvale degli argomenti retorici degli avvocati) rispetto a
quella della dottrina che ha a disposizione solo l’argomentazione
controfattuale, seppure corroborata, normalmente e per la c.d.
migliore dottrina, dalla giurisprudenza e da argomenti sistematici13;
(4) alla luce di quanto esposto sub 2.1. (vii) si può dire che il processo
interpretativo (costituito, se vogliamo, da atti di ragione e di volontà)
non è né di tipo logico-matematico (non vi sono assiomi certi di
partenza, non vi sono precise regole di inferenza –salvo il segmento
di ragionamento sottoposto, per chi accoglie tale tesi, alla c.d.
“logica deontica”- non vi sono teoremi), né di tipo scientifico (non
verità, Giappichelli, 1996; AA.VV. (P.COMANDUCCI e R.GUASTINI), L'analisi delragionamento giuridico, voll. I e II, Giappichelli, 1987 e 1989; N.BOBBIO,Ragionamento giuridico, in contributi ad un dizionario giuridico (cit.); N.MACCORMICK, Ragionamento giuridico e teoria del diritto, Giappichelli, 1978.13 Infatti i testi dottrinari si avvalgono, nei loro ragionamenti, di argomentazioni trattedalla giurisprudenza. Da qui il fatto, come rileva S. Cassese, che attualmente –e in campodi diritto amministrativo- il Consiglio di Stato, attraverso le sentenze, “crea” norme e,quindi, invade il campo del potere legislativo ed esecutivo e, al contempo, influenza ladottrina (v.si CASSESE, Il Consiglio di Stato come creatore di norme e comeamministratore, in “Le grandi decisioni del Consiglio di Stato” [a cura di G. Pasquini e A.Sandulli), Giuffrè, 2001, 2 e segg.]).
17
sono possibili esperimenti tipici delle discipline scientifiche; non
sono possibili “falsificazioni” alla Popper)14: è semplicemente un
processo di tipo retorico, ragione per la quale la “motivazione” delle
sentenze (art. 111/6 Cost.) -così poco rilevante in certi ordinamenti e
nelle sentenze del Consiglio di Stato francese15- è, molte volte, una
mera pezza d’appoggio ad una decisione interpretativa già presa
alla luce di altri motivi nascosti (molte volte per sorreggere degli
obiter dicta che poco hanno a che vedere con quanto viene deciso).
<<Molto della psicologia contemporanea –asseriscono H. Mercier e D.
Sperber- mostra in realtà che la gente non usa la ragione per andare al di
là delle sue intuizioni sbagliate, ma per cercare argomenti che confermano
queste intuizioni. Il nome dato a questa tendenza psicologica è <<bias di
conferma>> o <<bias di polarizzazione>> (myside bias, in inglese) ossia la
tendenza a cercare ragioni che confermino ciò che crediamo già invece che
esaminare oggettivamente le nostre credenze e fare attenzione ai fattori che
potrebbero mostrarne la falsità>> (da H. Mercier e D. Sparber, Meglio
non pensare da soli, DOMENICALE, Il Sole-24 Ore, 30-4-2017, 2816.14 V.si, di POPPER, La logica della scoperta scientifica. Il carattere auto correttivo dellascienza, Einaudi, 1974.15 V.nsi, per l’ordinamento di Common Law, DAVID, I grandi sistemi giuridicicontemporanei (trad. di R. Sacco), Cedam, 1980, 335; MATTEI, Common Law. Il dirittoanglo-americano, UTET, 1992.16 Non si può, comunque, tralasciare di far menzione dell’opera di FERRAJOLI(“Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia…, Laterza, 2007). Merita citare, sulpunto, quanto L. Ferrajoli, dice nella nota 1, pagg. 67-68 dei suoi “”Principia iuris”:Ho progettato questa teoria (assiomatizzata) in Sulla possibilità di una teoria del dirittocome scienza rigorosa, in <<Rivista internazionale di filosofia del diritto>>, 1963, III, pp.320-362 e in Saggio di una teoria formalizzata del diritto, ivi, 1965, I, pp. 55-105. Ne hoofferto un primo, rudimentale, svolgimento in Teoria assiomatizzata del diritto. Partegenerale, Giuffrè, Milano, 1970. Ne ho illustrato il metodo in Risposta all’articolo<<Aziomatization of Legale Theory>> di Jerzy Wroblewski, in <<Rivista internazionaledi filosofia del diritto>>, 1973, I, pp. 148-151; La semantica della teoria del diritto, in Lateoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio,a cura di U. Scarpelli, Edizioni di Comunità, Milano 1983, pp. 81-130; La formazione el’uso dei concetti nella scienza giuridica e nell’applicazione della legge , in <<Materialiper una storia della cultura giuridica>>, 1985, 2, pp. 401-422; La pragmatica della teoriadel diritto, in Analisi e diritto 2002-2003. Ricerche di giurisprudenza analitica, a cura di
18
(5) infine, e alla luce di quanto esposto sub 2.1(viii) e (ix), si può
asserire che le decisioni (che concretizzano il viaggio dalle
disposizioni alle norme [D→I→N]) sono per gran parte –ma non del
tutto come vorrebbero i teorici del c.d. diritto libero- atti di volontà
“politica” e dove il circolo ermeneutico (che, di per sé, potrebbe non
finire mai: ogni segno rimanda ad un altro segno) si ferma per effetto di
P. Comanducci e R. Guastini, Giappichelli, Torino 2004, pp. 351-375. I saggi Lasemantica cit. e La pragmatica cit. sono stati ampiamente utilizzati nelle prime due partidell’Introduzione, in vista della quale, del resto, furano scritti. Ho inoltre anticipato talunetesi iniziali di questo lavoro in Aspettative e garanzie. Prime tesi di una teoriaassiomatizzata del diritto, in L. Lombardi Vallauri (a cura di), Logos dell’essere, logosdella norma, Adriatica Editrice, Bari 1999, pp. 907-950, trad. sp. Di A. Rodenas e j. RuizManero, in <<Doxa>>, 20, 1997, pp. 235-278. Gli ultimi quattro saggi sopra citati sonostati raccolti nella prima parte del volume Epistemologìa y Garantismo, Fontamara,Mèxico 2004. Ulteriori chiarimenti di carattere metateorico sono infine contenuti neiprimi quattro capitoli di Garantismo. Una discussione sul diritto e sulla democrazia,Trotta, Madrid 2006, scritto in risposta alle critiche rivoltemi nei saggi raccolti da M.Carbonell, P. Salazar (a cura di), Garantismo, Estudios sobre el pensiamento jurìdico deLuigi Ferrajoli, Trotta, Madrid 2005.Sulla teoria del diritto, in specifico (e in La semantica della teoria del diritto, cit., 112 esegg.). tale Autore asserisce: La teoria del diritto può essere concepita come un sistema di concetti e di assertiorganizzato –o organizzabile- secondo una struttura logica rigorosa ed esattamenteprestabilita, e poggiante sulla base osservativa apprestata dalla dogmatica e/o dallasociologia giuridica. Il metodo di costruzione dei suoi concetti e dei suoi asserti è –o può,o dovrebbe essere- il “metodo assiomatico”, che consiste nei tre seguenti tipi dioperazioni: a) nella stipulazione, secondo regole di formazione prestabilite, di un numeroristretto di concetti non definiti sulla base di altri concetti e detti perciò “concettiprimitivi”, nonché di proposizioni non derivate da altre proposizioni della teoria e dette“postulati” o “assiomi”; b) nella definizione, secondo le medesime regole, dei restanticoncetti della teoria per mezzo dei concetti primitivi e/o di altri concetti a loro voltadefiniti per mezzo dei concetti primitivi; c) nella derivazione, secondo regole ditrasformazione prestabilite, delle restanti proposizioni della teoria dai postulati e/o dalledefinizioni e/o da altre proposizioni precedentemente derivate dai postulati e/o dalledefinizioni. Il linguaggio di una siffatta teoria è evidentemente un linguaggio“artificiale” o “convenzionale” o “formalizzato”, cioè interamente costruito dal teoricoin base alle regole di formazione da lui stesso stabilite. E il discorso teorico in tal modoprodotto consente soltanto, come controllo di verità, quello della verificazione logicadella coerenza con i postulati e le definizioni delle proposizioni da esse derivate sullabase delle regole di trasformazione anch’esse prestabilite.Una teoria del diritto così costruita non è “normativa” più di quanto lo sia qualunquealtra teoria. Essa è un sistema di per sé indipendente da specifici riferimenti semantici,dato che nessuna delle tre operazioni suddette realizza alcun collegamento diretto tra idati empirici e i concetti e gli asserti teorici. E’ chiaro, però, che perché un tale sistemapossa valere come teoria del diritto, e perché i suoi asserti risultino oltre chelogicamente coerenti anche confermabili o confutabili sulla base dell’osservazione
19
una qualche disposizione normativa (con la conclusione che, con il
giudicato, <<Sententia facit de albo nigrum>>.
(6) In relazione alle precedenti discussioni va rilevato che quando, ai
sensi dell’art. 12 delle preleggi al cc, si afferma che l’interpretazione
prioritaria è quella “letterale”, ciò va chiarito. A parte la dimensione
sintattica, semantica e pragmatica del linguaggio ordinario, di cui
quello giuridico fa parte, occorre tener conto che le parole e la
connessione di esse veicolano due realtà: quella estensionale (che ha a
che vedere con la realtà oggettiva, detta anche denotazione, o <<ciò di
cui il termine è il nome>>: D. Marconi, in AA.VV., Dizionario di
linguistica e di filologia, metrica, retorica, diretto da G.L. Beccaria,
326) e quella intensionale (che, invece, ha a che vedere con il
contenuto concettuale di un enunciato linguistico [v.si, altresì, il
termine connotazione])17.
Se si tiene conto di ciò, molte discussioni relative al fatto se le
disposizioni normative vadano riferite anche ad un ambito
extralinguistico cadono18. Infatti il linguaggio (anche quello
prescrittivo) fa sempre riferimento, anche indiretto, ad una realtà
oggettiva che funge da presupposto dei normali obblighi, divieti,
permessi, eccetera.
(7) Infine, va ricordato che, per alcuni che anelano alla “certezza del
empirica compiuta a livello dogmatico e/o sociologico, deve esistere un qualche nesso trai due livelli di discorso e di linguaggio, nel senso che i concetti e gli asserti elaborati allivello teorico devono poter valere come modelli esplicativi dell’esperienza giuridicaqual è rilevata al livello osservativo della dogmatica e/o della sociologia del diritto(ripreso da CASAVECCHIA, L’ordinamento giuridico. Introduzione in “Il nuovo dirittodelle società”, n. 1/2013, 134 e segg.).
17 La coppia estensione/intenzione è dovuta a R. Carnap, mentre quelladenotazione/connotazione è dovuta a Frege.18 V.si, sul punto, GIANNINI, L’interpretazione … cit., 339 e segg. (Il capitolo quinto,Parte Terza, “Testualità ed extratestualità dell’interpretazione dell’atto amministrativo”).
20
diritto” sostanziale19, sarebbe possibile ricostruire il diritto in senso
certo, in senso cibernetico, applicando ad esso l’informatica giuridica.
Si possono fare tre esempi:
Il primo è tratto dalla voce "topica giuridica" delNovissimo Digesto Italiano (XIX, 1973), in cui, affrontando"il problema dei limiti di fatto del ragionamento giuridicoin quanto ragionamento logico", Giacomo Gavazzi scopre
19 <<Il termine “certezza del diritto” – dice LUZZATI- viene inteso in vari sensi diversi.In questa sede lo userò per designare la possibilità dei soggetti di conoscere prima di agirequale valutazione delle proprie azioni verrà data dall'ordinamento giuridico. Se siconcepiscono kelsenianamente i sistemi giuridici come ordinamenti dinamici, bisognaammettere che la certezza del diritto come è stata definita sopra è una situazione di fattoche dipende da specifici atti degli organi dello Stufenbau, insieme applicatoli e creatori dinorme generali o individuali, dalla struttura linguistica delle disposizioni emanate edall'efficacia delle singole norme. E' noto che il medesimo comportamento può esserequalificato in maniera differente sul piano giuridico da autorità di pari o di diverso livellodella costruzione a gradi.In particolare si presta molta attenzione alla concordanza e alla prevedibilità deiprovvedimenti giudiziari, i quali, una volta divenuti esecutivi, incidono direttamente sullavita e sul patrimonio dei singoli.Altre volte si considera la certezza del diritto non come un fatto, bensì come un valoreetico-politico o un principio giuridico, riferendosi al precetto che prescrive di perseguirelo scopo di rendere conoscibile anticipatamente in via generale la qualificazione giuridicache riceveranno i comportamenti umani La certezza (come fatto) non è una caratteristicadei sistemi giuridici che o c'è o non c'è. E' invece una caratteristica graduabile che puòessere presente in maggiore o minore misura. Abbiamo visto che sussiste un rapporto piùo meno stretto, secondo le tecniche esegetiche adottate dai giuristi, tra la certezza deldiritto e quell'altra caratteristica graduabile che è la precisione del linguaggio normativo. Igiuristi continentali spesso adducono la vaghezza delle leggi quale importante fattore diincertezza. Non bisogna tuttavia dimenticare che il consolidamento della giurisprudenza ela continuità della tradizione giuridica in molti casi permettono di prevedere, almeno inparte, le decisioni giudiziarie future. Per contro, i fautori del diritto giurisprudenzialequale antidoto della decodificazione e di una legislazione caotica e oscura tendono asottovalutare la vaghezza dei precedenti. A questo proposito occorre distinguere fra lesentenze intese quali decisioni relative a un fatto particolare verificatosi nel passato e lesentenze intese quali massime di diritto che costituiscono un modello per i giudici futuri.Mentre il giudice è sempre costretto a decidere se la fattispecie concreta che gli è statasottoposta sia sussumibile oppure no sotto una data fattispecie astratta anche quando sitratta di un caso-limite, ossia deve sempre emettere un dispositivo che precisi la legge,non è necessariamente detto che la sua sentenza formuli in modo chiaro la ratio decidendi.La minore generalità delle massime giurisprudenziali rispetto alla legge non significanecessariamente una minore vaghezza (v. supra §3).Ecco perché il diritto giurisprudenziale, quando i precedenti sono vaghi, non fa cheriproporre a un altro livello i problemi suscitati dalla vaghezza delle leggi.Nei settori dove l'esigenza di garantire la certezza del diritto viene più acutamente sentitail legislatore si serve di espressioni(relativamente) esatte che introducono tagli netti esoluzioni di continuità. Si pensi, per esempio, ai termini acceleratori e dilatori, alle
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alla base della "giurisprudenza razionalistica", una sceltadi valore. Per eliminare i limiti che ostacolanol'applicazione della logica (analitica) al ragionamento deigiuristi, "basterebbe, nella misura in cui sono limiti difatto, migliorare le condizioni di praticabilità del modellorazionalistico, quelle condizioni sulle quali aveva giàinsistito l'illuminismo giuridico; leggi poche, chiare, noncontraddittorie, impossibilità valutativa del giudice, ecc. E-questo il commento del teorico del diritto- "se questepotevano sembrare condizioni difficilmente realizzabiliun tempo, oggi lo sono sicuramente meno con l'avvento
prescrizioni e alle decadenze, alla misura delle pene massime e minime, alle usucapioni, alpassaggio in giudicato per mancata impugnazione, al raggiungimento della maggiore età,alle aliquote fiscali etc. L'impiego di una simile tecnica legislativa semplifica le decisionidei giudici e salvaguarda la ed. giustizia formale: tutti coloro i cui comportamentiricadono sotto la medesima previsione normativa chiaramente delimitata vengono trattatisu un piede di parità. Ovviamente, tale tecnica non consente di reintrodurre all'interno diciascuna classe di casi così individuata quelle differenze fra un caso e l'altro che imutevoli criteri del costume socialme di volta in volta assumono come rilevanti. Questomodo di giudicare può sembrare artificioso al profano di diritto. D'altronde, quando lavaghezza delle norme è alta, è possibile elaborare una serie aperta di parametri di giudizioche tengano conto delle distinzioni ritenute a vario titolo significative. Questo è accadutonell'ipotesi della "modica quantità" (v. supra § 9). E' chiaro, però, che si può "tener conto"di date situazioni in molte maniere diverse. Un simile "tener conto" non rende necessarianessuna decisione particolare sui casi in discussione. Sovente si sente affermare che,crescendo la vaghezza, cresce anche 1' "adeguatezza" delle norme. In realtà si dovrebbedire che quanto più una norma è vaga, tanto meno essa esiste come norma. Essa finiscecol somigliare a una fotografia così sfuocata che diventa impossibile distinguere leimmagini riprodotte. Tuttavia sarebbe errato assimilare il caso della disposizione cheesprima una norma estremamente vaga al caso in cui nessuna disposizione sia stataemanata. Nel primo caso si potrà fondare una decisione sulla disposizione vagaopportunamente reinterpretata; nel secondo, invece, si dovrà ricorrere, ove tale ricorso siaconsentito, all'analogia.E' infine opportuno rammentare che la riduzione della vaghezza del linguaggio legale,nella misura in cui è compatibile con la cultura dei giuristi e con il loro modo di usare illinguaggio (v. supra § 7), non è priva di costi sociali. La maggiore certezza puòcomportare il sacrificio di valori e di interessi importanti, deve vincere resistenze, richiedeun ricambio legislativo più rapido ed efficiente. Del resto i meccanismi di controllosociale troppo rigidi si rivelano spesso scarsamente efficaci, soprattutto laddove sisviluppano conflitti e tensioni. Per tali ragioni molte volte si preferiscono leggi abbastanzavaghe: in tal modo si riesce a piegare parzialmente le regole del gioco a nuove esigenzenon previste o non prevedibili, mantenendo l'illusione, ricca di conseguenze, che detteregole siano rimaste immutate.In ogni caso la certezza del diritto come valore o come principio viene in genere bilanciatacon altri valori o principi di cui implica il sacrificio. Essa è realizzabile soltanto in unacerta misura. Non s'impone in modo assoluto. La scelta del grado di certezza del dirittodesiderabile - e quindi anche del grado massimo di vaghezza normativa tollerabile - è,inutile dirlo, una scelta politica>>,“Analisi e diritto 1990” (a cura di Comanducci eGuastini), 168 e segg.
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delle macchine elettroniche" (Topica giuridica, cit., p. 416).La natura "neutra" e "strumentale" della tecnica, alla qualeva pensando il Gavazzi, trova conferma nel recentedialogo tra Natalino Irti ed Emanuele Severino (Laterza2001). Laddove, infatti, il filosofo sostiene che la tecnicadel diritto -cui mira kelsenianamente Irti- è destinata asoccombere un giorno alle ragioni della tecnica, il giuristapensa bene di contestare a Severino che, sul piano logico,"queste ragioni di indebolimento della politica (e, per ciòstesso, della normatività giuridica, in cui le propostepolitiche aspirano a tradursi) non colpiscono tuttavia ladifferenza logica tra la regola e il regolato; ossia, tradiritto, da un lato, e capitalismo e tecnica, dall'altro. Nonsarà più il diritto della 'verità', ma è pur sempre un dirittodella 'volontà'; debole sì, teso a orientare il capitalismo e latecnica. La volontà di raggiungere scopi attraverso norme- ancorché svigorite dalla spazialità dell'economia edall'omogeneità strutturale tra regime democratico econcorrenza di mercato - si pone sempre come principioordinatore rispetto alla materia regolata" (op. cit., attoprimo, § 6, pp. 14-15).La terza citazione riprende infine l'Aggiornamento (1997)dell"'Enciclopedia del diritto", alla voce "informaticagiuridica" curata da Renato Borruso, secondo tesi ripresein un più recente discorso del 12 dicembre 2001,Discrezionalità ed autonomia dei giudici, innanzi adun'assise di giovani magistrati. "La grande occasione e altempo stesso la grande innovazione che l'assimilazionedell'informatica offre a chi voglia il progresso del dirittoinnanzitutto sul piano di una più efficace (formulazionedella legge, potrebbe consistere –a nostro parere-innanzitutto nell'indurre il legislatore stesso ad adottare illinguaggio formalizzato secondo i canoni della logicaproposizionale di Boole per esprimere il contenuto dellenorme, o - quanto meno - a usare tali formule in calce altesto espresso in modo tradizionale per chiarirne ilsignificato almeno dal punto j di vista sintattico" (voce cit.,p. 658). Di qui, ha concluso più di recente Borruso, "ilcomputer diventerebbe, così, una sorta di datore diresponsi, secondo la vecchia formula romanistica da mihi
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factum, dabo tibi jus, bypassando completamente lo scogliodelle possibili diverse interpretazioni ad opera di altrisoggetti. Un siffatto responso sarebbe soggetto solo alsindacato della Corte costituzionale, ove mai le istruzionidel software apparissero costituzionalmente illegittime"{Discrezionalità ed autonomia dei giudici, cit., sul sito web"Jei-Jus e internet") (da U.Pagallo, Introduzione a“Prolegomeni di informatica giuridica”, Cedem, 2003, 4 esegg.).
Pare, però, doversi asserire che la cibernetica non può, a priori,
rendere “certo” il diritto se questo già, in quanto linguaggio, include
termini vaghi e ambigui. Al massimo un computer può dare
rapidamente responsi asserendo che il caso X viene dalla
giurisprudenza e dottrina dominanti e prevalenti interpretato in un
certo modo, mentre in un altro viene interpretato dalla
giurisprudenza e dottrina minoritarie.
3. Ancora sulla nomofilachia in relazione alla funzione
giurisdizionale.
3. Dato per scontato che la giurisprudenza è un formante del diritto,
appare allora plausibile asserire che ogni Corte (Cassazione,
Consiglio di Stato, Corte dei Conti) esercita la sua funzione
nomofilattica (che, in limiti ristretti, rende “certo il diritto”)
nell’ambito di una sua particolare giurisdizione.
Per la Cassazione tale funzione si ferma, normalmente, al “fatto” e
in tale ambito, attualmente, assume valore il “precedente” (art. 360
bis cpc). (Se ciò avvicini, e in che limiti, il sistema del Civil Law al
sistema inglese dello stare decisis e a quello dell’intero Common Law
non è possibile dire nel presente scritto)20.20 Osservava, comunque, GALGANO: “Per piccoli passi, ma con moto costante, procedeentro la Corte di Cassazione la tendenza –chè di tendenza si tratta, né è dato di prevederequali, e quanto rapidi, saranno gli sviluppi ulteriori- verso l’instaurazione di un sistema
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Per il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, la funzione
nomofilattica arriva a investire “i fatti”.
Va, comunque, rilevato che, con l’adesione dell’Italia all’Unione
europea, <<La funzione di nomofilachia del giudice nazionale –esercitata
dalla Sezioni Unite della Cassazione anche attraverso la regolazione della
giurisdizione- è stata, … sostanzialmente messa in discussione in nome del
diritto della Unione Europea>> (Pajno, cit., pag. 655) e che tale
ridimensionamento è avvenuto anche in campo amministrativo.
Una vicenda per molti versi simile ha caratterizzatol’esperienza della giustizia amministrativa, nella quale conordinanza del 7 aprile 2011 il Tribunale amministrativoregionale del Piemonte dubitando della conformità aldiritto dell’Unione, e dell’orientamento assuntodall’Adunanza Plenaria sull’ordine di esame del ricorsoprincipale e a quello incidentale, ha chiesto la pronunciapregiudiziale della Corte sull’interpretazione della Dir.89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, checoordina le disposizioni legislative regolamentari eamministrative, relative all’applicazione delle proceduredi ricorso in materia di aggiudicazione degli appaltipubblici di forniture e di lavori. Con la sentenza 4 luglio2013, n. C-100/12 Fastweb la Corte di Lussemburgo haaffermato che il ricorso incidentale dell’aggiudicatario nonpuò comportare il rigetto del ricorso di un offerente nellaspecifica ipotesi in cui la legittimità dell’offerta dientrambi gli operatori venga contestata nell’ambito delmedesimo procedimento e per motivi identici, e ciò perchéin tale situazione ciascuno dei concorrenti può far valere
giudiziario basato sul precedente vincolante, analogo allo stare decisis di common law o,se si preferisce un termine di raffronto continentale, corrispondente al sistemaprocessuale spagnolo, che ammette il ricorso per Cassazione per violazione delladoctrina legal, ossia per violazione dei precedenti del Tribunal Supremo” (L’efficaciavincolante del precedente di Cassazione, in “Contratto e Impresa”, 1999, 889 e segg.).V.si, altresì, ANGELONI, Ancora sul precedente di Cassazione: questa volta anchesecondo la Cassazione penale (Contratto e Impresa, 2000, 14 e segg. V.nsi, altresì,MORETTI, Il precedente giudiziario nel sistema inglese; MATTEI, Stare decisis negliStati Uniti; ANTONIOLI, Stare decisis nel restante mondo di common law (tutti in“Atlante di diritto privato comparato, a cura di F. Galgano e con l’assistenza di F. Ferrari,Zanichelli, 1992, 1 e segg).
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un analogo interesse legittimo all’esclusione dell’offertadegli altri, che può indurrel’amministrazione aggiudicatrice a constatarel’impossibilità di procedere ad una offerta regolare. Aseguito di tale pronuncia, l’Adunanza Plenaria delConsiglio di Stato, con la pronuncia n. 9/2014, dopo averrilevato che la sentenza Fastweb ha introdotto unaeccezione all’indirizzo faticosamente elaborato dallagiurisprudenza nazionale e comunitaria, ha limitato lapossibilità dell’esame congiunto del ricorso incidentale edel ricorso principale alle condizioni che si versi nelmedesimo procedimento, gli operatori rimasti in garasiano due, ed il vizio dedotto relativamente alle offerte siaidentico per entrambe. L’Adunanza ha poi affermato chel’identità del vizio deve essere intesa come legataall’aspetto sostanziale ed ha stabilito a quali condizionipossano essere ritenuti “comuni” i vizi prospettati dalricorrente principale e da quello incidentale ai finiindividuali della sentenza Fastweb.Pur avendo l’Adunanza Plenaria qualificato l’ipotesi presain considerazione dalla sentenza Fastweb come eccezioneall’indirizzo consolidato, così riaffermando quelloenunciato nella sentenza n. 4/2011, non può essere messoin dubbio che, attraverso l’intervento della Corte diGiustizia, il TAR Piemonte ha rimesso in discussionel’indirizzo della medesima Adunanza Plenaria, quantomeno con riferimento alla situazione di eccezioneidentificata.
Viene, così, in nome del diritto dell’Unione europea edella sua interpretazione da parte della Corte diLussemburgo, espressamente e direttamente messo indiscussione il vincolo della sezione semplice al rispetto delprincipio enunciato dall’Adunanza Plenaria in funzionedell’esercizio dei compiti di nomofilachia… omissis… sipone, così il problema di stabilire se si sia di fronte ad untrasferimento della funzione di unificazione dellagiurisprudenza alla Corte di Giustizia della Unione(quanto meno con riferimento alle controversie chedebbano essere risolte con l’applicazione del diritto
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dell’Unione, ovvero ad una frammentazione dellafunzione nomofilattica, ovvero ancora ad una sua diversaorganizzazione). Il processo è ancora in corso ed è lontanodall’essere definito; tuttavia sembra possibile ritenere chel’opera di unificazione della giurisprudenza non possaessere più realizzata soltanto a livello nazionale, senza laconsiderazione della nuova governance giudiziaria, e cioèdella presenza nell’arena pubblica di ordini diversi digiudici, nazionali e sovranazionali. La funzione dinomofilachia è, così, destinata a permanere, ma è,probabilmente destinata a cambiare la sua organizzazione(A. Pajno, Nomofilichia e giustizia amministrativa, Rass.Forense, 3-4/2014).
4. Funzione unificatrice da parte della Cassazione.
4.1. Se, quindi, tre sono le giurisdizioni è difficile immaginare
un’unica interpretazione. Non solo: la questione è, ulteriormente,
complicata, dalla funzione nomofilattica degli arbitri e della Corte di
giustizia UE, nonché dalla funzione di annullamento delle leggi da
parte della Corte costituzionale. Parrebbe, quindi, che i Tribunali di
Babele di cui parla S.Cassese, siano ineliminabili. L’unica speranza, a
parere di chi scrive, è che la società civile, specie attraverso i giuristi
(magistrati, avvocati, professori di diritto), prenda sul serio le
decisioni dei giudici e, come minimo, le consideri alla stregua delle
leggi. Le sottoponga a critica, considerando che le stesse sono
semplicemente la concretizzazione della politica, di cui tanto spesso si
parla. Ma per far ciò occorre si sappia che il diritto non sta solo nella
connessione letterale delle parole degli enunciati prescrittivi, bensì nella
realtà alla quale quelle parole necessariamente rinviano. Il che
significa considerare che non vi è diritto senza la connessione delle
disposizioni normative con l’economia (quando si parla di diritto
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privato e commerciale)21, la psicologia (quando si parla di diritto di
famiglia), l’etica (quando si parla del diritto come un tutto)22,
l’attuale teoria della mente (quando si parla di diritto penale)23
eccetera. Il che significa, in sintesi, considerare il diritto come un
fenomeno complesso e cioè intrecciato con tutte le altre discipline
umane24.
E’ quanto, acutamente, osserva A. Trovi in “Le nuove sfide della
giustizia amministrativa” (Giornale dir. amm., 2/2017, 173 e segg.)
le cui parole (relative ai rapporti tra economia e diritto) meritano di
essere trascritte:
Nella relazione per l’apertura dell’anno giudiziario 2017[Pajno, 2017] è centrale l’affermazione del ruolo nuovo cheil giudice amministrativo sarebbe chiamato a svolgere, allaluce dei mutamenti intervenuti nei rapporti sociali e nellerelazioni fra società e poteri pubblici.In questo quadro assume una rilevanza peculiare ilcontenzioso in materia economica. Al giudiceamministrativo è demandato sempre più spesso diaffrontare un contenzioso qualificato per il suo profilotipicamente economico: non solo le vertenze checoncernono gli atti di regolazione, o i provvedimenti intema di concorrenza, ma anche le stesse vertenze suicontratti pubblici o sulle procedure per l'accesso ai
21 V.si, per l’analisi economica del diritto, CHIASSONI, Analisi economica del diritto,formularismo, realismo, in “Analisi e diritto, 1990” (a cura di Comanducci e Guastini),Feltrinelli, 1990, 29 e segg. 22 V.si di MACKIE, Etica: inventare il giusto e l’ingiusto, Giappichelli, 2001.23 V.nsi, per tutti, AA.VV. Dai neuroni alla coscienza. L’architettura del cervello, i misteridella mente, Le Scienze, 2005.24 Sulla complessità in particolare (da distinguere da ciò che è semplicemente complicato),v.nsi: PENROSE, La mente nuova dell’imperatore. La mente, i computer e le leggi dellafisica. BUR,1992, pagg. 190-197, GELL-MANN, Il quark e il giaguaro. Avventure nelsemplice e nel complesso, Bollati Boringhieri, 1996; VON BERTALANFFY, Teoriagenerale dei sistemi, Oscar Mondadori, 2004; CHAITIN, Teoria algoritmica dellacomplessità, Giappichelli, 2006; AA.VV., La sfida della complessità (a cura di G.Bocchi eM.Ceruti), Mondadori, 2007; AA.VV. (a cura di A.Spaziante), Conoscere la complessità,B.Mondadori, 2009; GANDOLFI, Formicai, imperi, cervelli. Introduzione alla scienzadella complessità, Bollati Boringhieri, 2009; BERTUGLIA e VAIO, Complessità emodelli, Bollati Boringhieri, 2011.
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mercati, quelle sul rapporto delle industrie con l'ambiente,quelle sulla limitatezza delle risorse rispetto al welfare. Lepronunce del giudice amministrativo sono destinate adincidere in profondità sugli equilibri di interi settori. Leconsiderazioni dedicate nella Relazione a questo temasono puntuali e condivisibili. Mi sembra, però, che nonsiano conclusive. 11 giudice amministrativo sempre piùspesso deve affrontare vertenze di grande rilievoeconomico: resta da capire, però, se disponga deglistrumenti necessari per decidere queste vertenze. Ilcontenzioso nelle materie economiche, se non vengacircoscritto a livelli modesti (come quello della legittimitàformale o "estrinseca"), richiede da parte del giudice unapiena consapevolezza dei profili di ordine tecnico indiscussione. D'altra parte la legittimità amministrativa, inquesti casi, è la elaborazione, in termini di dirittoamministrativo, di una "sostanza" che è di per sé intermini economici; l'elaborazione compiuta nel processonon deve sacrificare questa sostanza. La legittimitàamministrativa ingloba l'osservanza delle regole e delledinamiche economiche; esse non rappresentano un"merito" riservato all'amministrazione, ma sono l'oggettodel contenzioso giurisdizionale. Un processo che ambiscaad essere adeguato alla materia economica dovrebbeessere aperto all'acquisizione, nel rispetto di una effettivadialettica processuale, di tutti gli elementi di valutazionedi ordine economico. Altrimenti questi elementi finisconocon l'essere trascurati e il "fatto economico" vienesottovalutato, come oggi alcuni economisti lamentanorispetto alla nostra giurisdizione costituzionale.Se non è assicurato in modo fisiologico l'ingresso del "fattoeconomico", il sindacato di legittimità non può essereadeguato al "ruolo" che viene oggi rivendicato per ilgiudice amministrativo. Spesso la sentenza rispecchia losforzo personale del giudice di attingere al profilorappresentato dalla "regola" economica nella singolavertenza. L'interrogativo è però ulteriore, e cioè se ilprocesso ammini-strativo1 come viene oggi interpretato inbase al codice e alle prassi successive (per esempio, conl'utilizzo solo sporadico della consulenza tecnica), sia in
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grado di soddisfare istituzionalmente (indipendentementedagli sforzi individuali) l’esigenza che ho appenadescritto. Il fatto che l'interrogativo si ponga in terminianaloghi anche rispetto alle giurisdizioni di Paesi diversi ead alcune giurisdizioni europee non giustifica unarassegnazione per la situazione attuale, ma confermasoltanto la dimensione generale del problema. E nonsempre le proposte avanzate in altri Paesi (come il ricorsoagli "expertise" da parte del Conseil d'Etat francese)soddisfano appieno, per esempio perché rischiano disacrificare la dialettica processuale.In conclusione, l'affermazione di un "ruolo" nuovo delgiudice amministrativo impone anche una revisione inmerito all'utilizzo degli strumenti necessari per questoruolo.
4.1.1. Ad oggi, comunque, si è lontani dal pervenire ad una
interpretazione unitaria del diritto. Sarebbe già un passo avanti se:
(i) le varie corti (nazionali, europee, internazionali), dialogassero tra
di loro; (ii) se i giuristi comprendessero che ogni fenomeno
complesso implica lo studio di intere parentele di materie incluse in
quel fenomeno; (iii) se si astenessero dal giudicare dove certe materie
sono sottratte al diritto o, comunque, valutassero a fondo cosa
significa la discrezionalità in ogni settore del diritto.
E’ già una buona notizia quella per la quale i presidenti della
Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti, nonché i
procurati generali presso la Cassazione e la Corte dei Conti hanno
firmato, in data 15-5-2017, un memorandum per rendere più certo il
diritto.
4.2. Se, comunque e di fatto, esistono più poteri in punto nomofilachia,
è anche vero che alla Cassazione spetta il primato in punto
giurisdizione (art. 111 Cost.).
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E’ alla luce di tale primato (relativo, ripetesi, al problema
giurisdizione e materie connesse) che va esaminata la giurisprudenza
della Cassazione e degli altri giudici su vari casi risolti in modo
difforme.
A mero titolo di esempio: (1) è corretto che la Cassazione penale
esamini l’atto autorizzatorio edilizio al fine di stabilire se chi l’ha
ottenuto (e ha edificato secondo quell’atto) ha commesso un reato? e
ciò quando sulla materia edilizia la giurisdizione spetta alla
magistratura amministrativa (v.nsi gli intrecci tra reati penali edilizi
e le altre sanzioni civili e amministrative di cui al dpr 6-6-2001, n.
380 e smi); (2) è corretta, al contrario, la decisione del Consiglio di
Stato (IV, 14-10-2016, n. 4244)?25 e ciò in contrasto con la
giurisprudenza della Cassazione (SS.UU. 750/1990; 10.416/2014)?
Bibliografia:
B) AIELLO, La discrezionalità del giudice civile nell’applicazione
della legge, in AA.VV. (a cura di BESSONE), L’attività del giudice.
Mediazione degli interessi e controllo delle attività, Giappichelli,
1997, 85 e segg.; CONTI, Il mutamento del ruolo della Corte di
Cassazione fra unità della giurisdizione e unità delle
interpretazioni, in Consulta Online, 7-12-2015, 807 e segg.; CORSO,
L’adunanza plenaria e la funzione nomofilattica, Rassegna Forense,
3-4/2014, 633 e segg.; IMPERIALI, Appunti sulla nomofilachia delle
25 La decisione citata asserisce: <<Nell’ordinanza in esame, il Consiglio di Stato affrontauna questione nuova riguardante il regime del processo amministrativo. Può il giudiceamministrativo nell’ambito di un giudizio di revocazione sospendere su istanza di parte iltermine per la proposizione del ricorso per Cassazione o il relativo procedimento ai sensidell’art. 398, comma 4, cpc? Secondo il collegio tale disposizione non è applicabile alprocesso amministrativo, stante la limitata ricorribilità per Cassazione delle sentenze delConsiglio di Stato>> (contra: Cass. SS.UU. 750/90 e 10.416/2014)
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sezioni riunite della Corte dei Conti in sede giurisdizionale,
www.nascitacostituzione.it; PAJNO, Nomofilachia e giustizia
amministrativa, Rassegna Forense, 3-4/2014, 641 e segg.; MERUZZI,
Funzione nomofilattica della Suprema Corte e criteri di buona fede,
Contratti e Impresa, 2000, 25 e segg.; PAJNO, Relazione per
l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2017, Giornale dir. amm.,
2/2017, 147 e segg.
Torino, 22 maggio 2017
Marco Casavecchia
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