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8 2016 San Francesco Patrono d’Italia - numero 8 agosto 2016 - Periodico mensile Basilica San Francesco - Assisi - anno XCVII - Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, CNS/CBPA-NO1582 del 21.08.07 Mod 1214/L www.sanfrancesco.org Pensieri, Gesti e Sguardi di Misericordia FRANCESCO d’ ASSISI

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www.sanfrancesco.org

Pensieri, Gesti e Sguardi di Misericordia

FRANCESCOd’ASSISI

Agosto 2016 1

SOMMARIO

EDITORIALE

2 “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia” Enzo Fortunato

2 Vera e perfetta letizia Mauro Gambetti

10 Arrendersi alla Misericordia di Dio Rosario Gugliotta

12 Difensore e custode dei poveri Domenico Sorrentino

IL PERDONO IERI

16 “...non anni, ma anime…”

18 Voglio mandare tutti in Paradiso Roberto Rusconi

20 Per una “genesi” del Perdono Franco Cardini

IL PERDONO OGGI

24 Riconciliati per camminare insieme Pasquale Berardinetti

I PENSIERI

32 Verso l’altro Eraldo Affinati

34 La dolcezza rigeneratrice della fede Aldo Nove

I GESTI

38 La caritas di Francesco Felice Accrocca

43 Purtroppo Francesco è nato troppo in anticipo! Oliviero Toscani

44 Prima il compagno, dopo la via Pietrangelo Buttafuoco

46 Una preghiera per l’Umanità Al Moncef Ben Moussa

GLI SGUARDI

51 Lettera a un ministro

52 Il racconto della pazienza Roberto Carboni

54 I molti nomi di N… Grado Giovanni Merlo

56 Gli occhi perdonanti del ministro Corrado Lorefice

58 Una lettera ai moderni sul rapporto ego/alter Mario Morcellini

60 ... e dunque: perdonalo Gianfranco Agostino Gardin

61 Cura della fragilità Corrado Lorefice

63 Accompagnare il peccatore Francesco Alberoni

PROGRAMMA

64 Il programma della visita di Papa Francesco

NUMERO 8 - AGOSTO 2016NUMERO SPECIALE - VISITA DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALLA PORZIUNCOLA, 4 AGOSTO 2016

CON IL CONTRIBUTO DI

WWW.SANFRANCESCO.ORG

Costo copia: ITALIA e 2,00 - ESTERO e 3,00ABBONAMENTO A 10 NUMERI PIÙ CALENDARIO: Ordinario e 20,00; Sostenitore e 40,00; Estero e 30,00; Albo d’Oro e 100,00 tramite versamento su c.c. postale n. 149062 intestato a: Sacro Convento di San Francesco - 06081 Assisi - Perugia - Italywww.sanfrancescopatronoditalia.it/com - www.saintfrancispatronsaintofitaly.it/com www.sanfrancesco.org - www.sanfrancescoassisi.org

BASILICA DI SAN FRANCESCO - 06081 Assisi (Pg)Mensile della Custodia Generale del Sacro Convento dei Frati Minori Conventuali in AssisiFax 075.812238 - Numero verde 800333733 - [email protected] - twitter @francescoassisi

Direttore Responsabile Enzo FortunatoDirezione San Francesco Patrono d’Italia - Basilica San Francesco, 06081 Assisi (Pg)Redazione Alessio Antonielli, Martin Breski, Andrea Cova, Pawel Dybka, Francesco Lenti, Roberto PacilioSegreteria di redazione Luisa Benevieri, Milena GentiliResponsabile pubblicità Alessio AntonielliGrafica, impaginazione Tiziana Boirivant - [email protected] Mauro Berti, Andrea Cova

Stampa Mediagraf SpA - Viale della Navigazione Interna, 89 - 35027 Noventa Padovana (PD)

Hanno collaborato a questo numero: Felice Accrocca, Eraldo Affinati, Francesco Alberoni, Pasquale Berardinetti, Pietrangelo Buttafuoco, Roberto Carboni, Franco Cardini, Domenico De Masi, Mauro Gambetti, Gianfranco Agostino Gardin, Rosario Gugliotta, Corrado Lorefice, Grado Giovanni Merlo, Mario Morcellini, Al Moncef Ben Moussa, Aldo Nove, Roberto Rusconi, Domenico Sorrentino, Oliviero Toscani

Periodico associato all’Unione Stampa Periodica Italiana Autorizzazione Tribunale di Perugia n. 214 del 22.3.1956

CONSEGNATO PER LA STAMPA IL 27-07-2016

Agosto 2016 Agosto 20162 3

nel bandire il suo passato e i suoi peccati di giovane – lo fa con la percezione chiara della misericordia. Così rac-contano le Fonti Francescane: Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo. Francesco quindi glorifica, ama e loda la misericordia perché gli per-mette di essere uomo nuovo. Un uomo. Anche Dostoevskij, nel suo romanzo L’Idiota, definiva la mi-sericordia come la più importante, forse l’unica legge di vita dell’uma-nità intera. Francesco d’Assisi l’ave-va compreso molto tempo prima.

Vorrei percorrere tre indicazioni che potrebbero diventare percorsi esistenziali: i pensieri, i gesti e gli sguardi di mi-sericordia.

I PENSIERI Negli scritti di san Francesco d’Assisi il termine miseri-cordia o perdono compare tantissime volte, ma se voglia-mo approfondire la sua fonte dobbiamo andare in quel

luogo dove egli rivela la percezio-ne che lo condurrà ad avere uno sguardo nuovo su tutto e tutti. È la piazza del Comune di Assisi: la ten-sione è altissima; il padre lo vuole diseredare; il Vescovo cerca di com-prenderlo; la madre piange attonita; gli astanti sono chi per la condan-na, chi per l’assoluzione... quando il giovane Francesco si spoglia di tutto e afferma: Finora ho chiamato

EDITORIALE

ENZO FORTUNATO

I l soldato aveva confessato la sua passione per le don-ne e le avventure amorose che aveva avuto. L’aba-te aveva spiegato che doveva pentirsi. E lui: ‘Come faccio a pentirmi? Era una cosa che mi piaceva, se

ne avessi l’occasione lo rifarei adesso. Come faccio a pen-tirmi?’. Allora l’abate Gaston, che voleva assolvere quel pe-nitente ormai in punto di morte, era venuto un lampo di genio e aveva detto: ‘Ma a te rincresce che non ti rincresca?’- E il giovane spontanea-mente aveva risposto: ‘Sì, mi rincre-sce che non mi rincresca’. Cioè mi dispiace di non essere pentito. Ecco la fessura sulla porta che aveva per-messo l’assoluzione… Questo passaggio proposto da papa Francesco nel suo testo Il nome di Dio è Misericordia è tratto dal libro di Bru-ce Marshall, in cui protagonista è l’abate Gaston in procin-to di confessare un giovane soldato tedesco condannato a morte. È un passaggio che ci fa comprendere quanto sia necessario fare l’impossibile per far sì che l’uomo sia toccato dalla misericordia di Dio. L’abate riesce a compiere questo gesto in extremis perché ha saputo comprende-re l’importanza del guardarsi dentro. E infatti è lo stesso Marshall che pochi capitoli prima, nello stesso testo, pro-pone l’esame di coscienza dell’arcivescovo di Parigi e lo fa con una introspezione che, lungi dall’essere superficiale, è una grande lezione di vita. In questo passo analizza i peccati che, se anche veniali, finiscono per creare ombre: Man mano che cresce la luce, ci vediamo peggiori di quello che prima non credessimo. Restiamo stupiti della nostra passata cecità nel veder uscire dal nostro cuore tutto uno sciame di sentimenti ignobili. Ma non dobbiamo né stupir-ci né turbarci. Non siamo peggiori di quel che eravamo; al contrario, siamo migliori.Sono due esempi calzanti che spiegano come sia neces-sario guardare attentamente dentro di noi per far sì che il guardare fuori sia animato dalla comprensione. Francesco d’Assisi, proprio nella sua preghiera all’inizio della con-versione, chiede al Signore di illuminare il suo cuore per

radiografare attentamente quello che accadeva dentro di lui, cosa che lo porterà a saper osservare gli altri e le cose con occhi animati dalla “misericordia”. È questo quello che vogliamo proporre in questo percorso. Prima sondiamo il termine misericordia a partire dalla sua etimologia che richiama subito la parte più interes-

sante del corpo umano, il cuore. Il termine deriva infatti da misericors, una composizione dal tema di mise-rere (aver pietà) e cor (cuore). Ed è il cuore a conoscere i fremiti della compassione e condivisione con il fratello. Nelle Fonti Francescane il termine più ricorrente è “Signore” che compare 426 volte ma subito

dopo, non senza sorpresa, il più citato è proprio il termine “fratello”, riportato per 264 volte. Si tratta di un dato stati-stico che racconta come l’amore per Dio non sia disgiunto dall’amore per l’uomo. Anzi, potremmo dire che l’amore per l’uomo è la cartina tornasole dell’amore per Dio. Insie-me ci chiediamo: qual è la strada migliore per concretiz-zarlo e per vivere la fraternità tra gli uomini? Questo amore viscerale trova anche il suo comun denominatore nelle tre grandi fedi monoteistiche: cristianesimo, islamismo ed ebraismo.Infatti lo stesso amore viscerale intessuto di misericordia è espresso sia nella lingua ebraica che in quella islamica. È interessante constatare, ad esempio, che tutte le Sure si aprono con due aggettivi modulati dalla stessa radice rhm del termine biblico: nel nome di Dio misericorde e misericordioso. Ma per tornare a Francesco d’Assisi e per comprende-re quanta forza gli ha dato l’esperienza della misericordia faccio un paragone che potrebbe sembrare azzardato. È Erasmo da Rotterdam, nel suo De immensa Dei miseri-cordia concio, che propone una suggestione quando fa notare che Socrate bandisce il suo passato di peccatore in virtù con questa affermazione: io ero tutte queste cose se la filosofia non mi avesse insegnato la temperanza. Quello che Socrate attribuisce alla filosofia, Francesco d’Assisi –

FARE L’IMPOSSIBILE PER FAR SÌ CHE

L’UOMO SIA TOCCATO DALLA MISERICORDIA

DI DIO

È NECESSARIO GUARDARE

ATTENTAMENTE DENTRO DI NOI

PER FAR SÌ CHE IL GUARDARE FUORI

SIA ANIMATO DALLA COMPRENSIONE

Francesco rinuncia ai beni paterni (part.)Maestro di San Francesco (1253 ca)Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco

Pensieri, Gesti e Sguardi di san Francesco d’Assisi

“Dio PERDONA tante cose per un’opera di misericordia”*

Agosto 2016 Agosto 20162 3

nel bandire il suo passato e i suoi peccati di giovane – lo fa con la percezione chiara della misericordia. Così rac-contano le Fonti Francescane: Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo. Francesco quindi glorifica, ama e loda la misericordia perché gli per-mette di essere uomo nuovo. Un uomo. Anche Dostoevskij, nel suo romanzo L’Idiota, definiva la mi-sericordia come la più importante, forse l’unica legge di vita dell’uma-nità intera. Francesco d’Assisi l’ave-va compreso molto tempo prima.

Vorrei percorrere tre indicazioni che potrebbero diventare percorsi esistenziali: i pensieri, i gesti e gli sguardi di mi-sericordia.

I PENSIERI Negli scritti di san Francesco d’Assisi il termine miseri-cordia o perdono compare tantissime volte, ma se voglia-mo approfondire la sua fonte dobbiamo andare in quel

luogo dove egli rivela la percezio-ne che lo condurrà ad avere uno sguardo nuovo su tutto e tutti. È la piazza del Comune di Assisi: la ten-sione è altissima; il padre lo vuole diseredare; il Vescovo cerca di com-prenderlo; la madre piange attonita; gli astanti sono chi per la condan-na, chi per l’assoluzione... quando il giovane Francesco si spoglia di tutto e afferma: Finora ho chiamato

EDITORIALE

ENZO FORTUNATO

I l soldato aveva confessato la sua passione per le don-ne e le avventure amorose che aveva avuto. L’aba-te aveva spiegato che doveva pentirsi. E lui: ‘Come faccio a pentirmi? Era una cosa che mi piaceva, se

ne avessi l’occasione lo rifarei adesso. Come faccio a pen-tirmi?’. Allora l’abate Gaston, che voleva assolvere quel pe-nitente ormai in punto di morte, era venuto un lampo di genio e aveva detto: ‘Ma a te rincresce che non ti rincresca?’- E il giovane spontanea-mente aveva risposto: ‘Sì, mi rincre-sce che non mi rincresca’. Cioè mi dispiace di non essere pentito. Ecco la fessura sulla porta che aveva per-messo l’assoluzione… Questo passaggio proposto da papa Francesco nel suo testo Il nome di Dio è Misericordia è tratto dal libro di Bru-ce Marshall, in cui protagonista è l’abate Gaston in procin-to di confessare un giovane soldato tedesco condannato a morte. È un passaggio che ci fa comprendere quanto sia necessario fare l’impossibile per far sì che l’uomo sia toccato dalla misericordia di Dio. L’abate riesce a compiere questo gesto in extremis perché ha saputo comprende-re l’importanza del guardarsi dentro. E infatti è lo stesso Marshall che pochi capitoli prima, nello stesso testo, pro-pone l’esame di coscienza dell’arcivescovo di Parigi e lo fa con una introspezione che, lungi dall’essere superficiale, è una grande lezione di vita. In questo passo analizza i peccati che, se anche veniali, finiscono per creare ombre: Man mano che cresce la luce, ci vediamo peggiori di quello che prima non credessimo. Restiamo stupiti della nostra passata cecità nel veder uscire dal nostro cuore tutto uno sciame di sentimenti ignobili. Ma non dobbiamo né stupir-ci né turbarci. Non siamo peggiori di quel che eravamo; al contrario, siamo migliori.Sono due esempi calzanti che spiegano come sia neces-sario guardare attentamente dentro di noi per far sì che il guardare fuori sia animato dalla comprensione. Francesco d’Assisi, proprio nella sua preghiera all’inizio della con-versione, chiede al Signore di illuminare il suo cuore per

radiografare attentamente quello che accadeva dentro di lui, cosa che lo porterà a saper osservare gli altri e le cose con occhi animati dalla “misericordia”. È questo quello che vogliamo proporre in questo percorso. Prima sondiamo il termine misericordia a partire dalla sua etimologia che richiama subito la parte più interes-

sante del corpo umano, il cuore. Il termine deriva infatti da misericors, una composizione dal tema di mise-rere (aver pietà) e cor (cuore). Ed è il cuore a conoscere i fremiti della compassione e condivisione con il fratello. Nelle Fonti Francescane il termine più ricorrente è “Signore” che compare 426 volte ma subito

dopo, non senza sorpresa, il più citato è proprio il termine “fratello”, riportato per 264 volte. Si tratta di un dato stati-stico che racconta come l’amore per Dio non sia disgiunto dall’amore per l’uomo. Anzi, potremmo dire che l’amore per l’uomo è la cartina tornasole dell’amore per Dio. Insie-me ci chiediamo: qual è la strada migliore per concretiz-zarlo e per vivere la fraternità tra gli uomini? Questo amore viscerale trova anche il suo comun denominatore nelle tre grandi fedi monoteistiche: cristianesimo, islamismo ed ebraismo.Infatti lo stesso amore viscerale intessuto di misericordia è espresso sia nella lingua ebraica che in quella islamica. È interessante constatare, ad esempio, che tutte le Sure si aprono con due aggettivi modulati dalla stessa radice rhm del termine biblico: nel nome di Dio misericorde e misericordioso. Ma per tornare a Francesco d’Assisi e per comprende-re quanta forza gli ha dato l’esperienza della misericordia faccio un paragone che potrebbe sembrare azzardato. È Erasmo da Rotterdam, nel suo De immensa Dei miseri-cordia concio, che propone una suggestione quando fa notare che Socrate bandisce il suo passato di peccatore in virtù con questa affermazione: io ero tutte queste cose se la filosofia non mi avesse insegnato la temperanza. Quello che Socrate attribuisce alla filosofia, Francesco d’Assisi –

FARE L’IMPOSSIBILE PER FAR SÌ CHE

L’UOMO SIA TOCCATO DALLA MISERICORDIA

DI DIO

È NECESSARIO GUARDARE

ATTENTAMENTE DENTRO DI NOI

PER FAR SÌ CHE IL GUARDARE FUORI

SIA ANIMATO DALLA COMPRENSIONE

Francesco rinuncia ai beni paterni (part.)Maestro di San Francesco (1253 ca)Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco

Pensieri, Gesti e Sguardi di san Francesco d’Assisi

“Dio PERDONA tante cose per un’opera di misericordia”*

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EDITORIALE

Pietro di Bernardone mio padre, d’ora in poi a maggior ragione dirò: Padre mio che sei nei cieli. Non si tratta della negazione della paternità genitoria-le ma dell’affermazione di quella divina che porta e con-duce l’uomo su pensieri, gesti e sguardi di misericordia. Ad “usare” misericordia. I suoi scritti, infatti, sono sorret-ti dal “reticolato” del perdono alla luce della percezione della paternità di Dio. Solo così è possibile comprendere la straordinarietà e l’unicità della sua indole. Basti pensa-re al capitolo 16 della Regola non bollata dove parla del modo di essere e di evangelizzare tra i non cristiani ma anche nell’oggi della nostra società: Dice il Signore: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe”.Perciò qualsiasi frate che per divi-na ispirazione vorrà andare tra i Saraceni e altri infedeli, vada con il permesso del suo ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti do-vrà rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avrà proce-duto senza discrezione.I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmen-te in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. Possiamo cogliere che la prima indicazione di Francesco è che l’uo-mo sia ispirato da Dio. L’assisiate si rende conto che in una missione così importante è necessario essere portatori del pensiero divino. Ciò permette una grande libertà. Anche quando quella Parola non viene accolta o viene impedita. La secondo atteggiamento che Francesco consiglia è che il frate sia amabile e pacifico non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio: ed è così che l’annuncio passa attraverso la propria umanità. Una umanità conciliante: mi sovviene la missione in Cina del cardinale Roger Etchegaray in un momento dif-ficile nelle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Pechi-no. Quando gli chiesi quale fu il successo della missione egli rispose: «A volte basta un sorriso, una mano poggiata sulla spalla dell’interlocutore. I frutti dell’annuncio si rac-colgono anche attraverso buone relazioni». Il metodo mi-gliore, sempre attuale, è quello di trattare con coloro che non hanno la nostra fede, allontanando la competizione

e la polemica che finiscono per essere controproducenti, stabilendo un dialogo leale e franco. Ma la terza indicazione è quella che ci permette di capire quanto Francesco fosse un precursore dei tempi nei confronti dei suoi contemporanei. La Chiesa di allora pen-sava di conquistare gli altri attraverso una croce “fatta di spade” – così come del resto lo pensava il mondo islamico. Echi di questo atteggiamento arrivano a noi dall’attentato di Dacca, in cui le persone sono state giustiziate perché non conoscevano il Corano. Francesco invece si pone in modo diametralmente opposto a tutto questo. Indica un pensiero altro, un pensiero oltre. Si tratta di cogliere “il

quando” le circostanze lo permetto-no quando piace a Dio annunzino la parola, annotano le Fonti. Non si tratta di essere fondamentalisti del-la fede ma essere ancorati alla fede, scegliendo i tempi e le modalità op-portune.

I GESTI Per quanto riguarda i gesti di Francesco potremmo dire che tutta la sua vita è un gesto di misericor-dia perché qualsiasi cosa lui faccia o pensi è ancorata al riannodare rapporti seguendo un percorso che potremmo suddividere in quattro fasi che riguardano l’incontro con se stessi, l’incontro con il nemico, l’in-contro con l’estraneo. Non ultimo l’incontro con Dio. Francesco ci indica l’importanza di accogliere la lotta interiore che vi-

viamo quotidianamente tra quelli che sono i desideri della carne e i desideri dello spirito. Chi di noi non sperimenta il desiderio della concupiscenza, desideri che non vorrebbe vivere? Quante volte emergono desideri buoni, belli, veri, di perdono, di umiltà e di pace? È una lotta costante den-tro di noi che si assopirà solamente con l’abbraccio con Dio. Dicono le Fonti: Siano fortemente convinti che non appartengono a noi sia i vizi e i peccati [...] Quindi tutti noi frati guardiamoci da ogni superbia e vana gloria. Ma per farlo è necessario prenderne coscienza, accoglierla e offrire questa lotta al Signore. Purificarla, trasformarla. Se ognuno di noi si mettesse la mano sul cuore, difficilmente giudicherebbe e condannerebbe. E infatti negli scritti di Francesco i passi dedicati al suo sguardo sulla lotta interio-re sono quelli più ampi. È attraverso questa consapevolez-za che possiamo pacificare, perdonare. Il secondo passo riguarda l’incontro con il nemico: è la

lezione che il Santo dona ai suoi frati quando respingono i ladroni di Montecasale. Vi era al tempo un gruppo di ladroni che tormentava un villaggio. Tutti li ripudiavano e allontanavano ma Francesco inve-ce invita i frati ad offrirgli il pranzo, prima un giorno e poi un altro – ci raccontano le cronache – e mentre mangiavano i frati cominciarono a parlargli di Dio serviteli con umiltà e allegria, finché abbiano mangia-to. Dopo il pasto annunciate loro le parole del Signore e alla fine [...] vi promettano di non percuotere nes-suno e di non fare del male. Fu così che si convertirono e alcuni di loro divennero frati (Compilazione di Assisi, 115: FF 1669). Qui Francesco applica la logica dell’accoglienza che di fatto è perdono. È un invito a non giudicare, a comprendere in che situazione si trova l’altro. A cercare di leggere al di là dell’oggettività delle azioni, il disagio e la fragilità. Ne è conferma un altro episodio che riguarda

il lupo di Gubbio che spaventava gli abitanti del villaggio perché non aveva di che mangiare: Santo Francesco prese il cammino inverso il luogo dove era il lupo. Ed ecco che,

vedendo molti cittadini li quali era-no venuti a vedere cotesto miracolo, il detto lupo si fa incontro a santo Francesco, con la bocca aperta. Francesco mette in atto la pedago-gia della comprensione, dandogli ristoro e guadagnandone la fiducia (Fioretti, XXI: FF 1852) e ottenendo la sua amicizia per sé e per l’intero villaggio. È la logica della compren-sione del prossimo. Il terzo passo riguarda invece l’incontro con l’estraneo. In parti-colare possiamo citare l’incontro con il Sultano. È un punto di arrivo

interessante dove il nemico diventa fratello attraverso il dialogo e la stima che abbattono la barriera della minaccia e della rivendicazione. Nelle Fonti infatti vediamo come Francesco si avvicina al Sultano, e contrariamente da come

“FINORA HO CHIAMATO PIETRO

DI BERNARDONE MIO PADRE, D’ORA IN POI A MAGGIOR RAGIONE

DIRÒ: PADRE MIO CHE SEI NEI CIELI”.

NON SI TRATTA DELLA NEGAZIONE DELLA PATERNITÀ GENITORIALE MA

DELL’AFFERMAZIONE DI QUELLA DIVINA

CHE PORTA E CONDUCE L’UOMO SU PENSIERI, GESTI

E SGUARDI DI MISERICORDIA

Il lupo di Gubbio (part.) Fioretti di Sancto Francesco Spoleto, C. Argentieri, 1923

FRANCESCO CI INDICA L’IMPORTANZA DI ACCOGLIERE LA

LOTTA INTERIORE CHE VIVIAMO

QUOTIDIANAMENTE TRA QUELLI CHE SONO I DESIDERI DELLA CARNE E I DESIDERI DELLO

SPIRITO

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EDITORIALE

Pietro di Bernardone mio padre, d’ora in poi a maggior ragione dirò: Padre mio che sei nei cieli. Non si tratta della negazione della paternità genitoria-le ma dell’affermazione di quella divina che porta e con-duce l’uomo su pensieri, gesti e sguardi di misericordia. Ad “usare” misericordia. I suoi scritti, infatti, sono sorret-ti dal “reticolato” del perdono alla luce della percezione della paternità di Dio. Solo così è possibile comprendere la straordinarietà e l’unicità della sua indole. Basti pensa-re al capitolo 16 della Regola non bollata dove parla del modo di essere e di evangelizzare tra i non cristiani ma anche nell’oggi della nostra società: Dice il Signore: “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe”.Perciò qualsiasi frate che per divi-na ispirazione vorrà andare tra i Saraceni e altri infedeli, vada con il permesso del suo ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti do-vrà rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avrà proce-duto senza discrezione.I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmen-te in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. Possiamo cogliere che la prima indicazione di Francesco è che l’uo-mo sia ispirato da Dio. L’assisiate si rende conto che in una missione così importante è necessario essere portatori del pensiero divino. Ciò permette una grande libertà. Anche quando quella Parola non viene accolta o viene impedita. La secondo atteggiamento che Francesco consiglia è che il frate sia amabile e pacifico non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio: ed è così che l’annuncio passa attraverso la propria umanità. Una umanità conciliante: mi sovviene la missione in Cina del cardinale Roger Etchegaray in un momento dif-ficile nelle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Pechi-no. Quando gli chiesi quale fu il successo della missione egli rispose: «A volte basta un sorriso, una mano poggiata sulla spalla dell’interlocutore. I frutti dell’annuncio si rac-colgono anche attraverso buone relazioni». Il metodo mi-gliore, sempre attuale, è quello di trattare con coloro che non hanno la nostra fede, allontanando la competizione

e la polemica che finiscono per essere controproducenti, stabilendo un dialogo leale e franco. Ma la terza indicazione è quella che ci permette di capire quanto Francesco fosse un precursore dei tempi nei confronti dei suoi contemporanei. La Chiesa di allora pen-sava di conquistare gli altri attraverso una croce “fatta di spade” – così come del resto lo pensava il mondo islamico. Echi di questo atteggiamento arrivano a noi dall’attentato di Dacca, in cui le persone sono state giustiziate perché non conoscevano il Corano. Francesco invece si pone in modo diametralmente opposto a tutto questo. Indica un pensiero altro, un pensiero oltre. Si tratta di cogliere “il

quando” le circostanze lo permetto-no quando piace a Dio annunzino la parola, annotano le Fonti. Non si tratta di essere fondamentalisti del-la fede ma essere ancorati alla fede, scegliendo i tempi e le modalità op-portune.

I GESTI Per quanto riguarda i gesti di Francesco potremmo dire che tutta la sua vita è un gesto di misericor-dia perché qualsiasi cosa lui faccia o pensi è ancorata al riannodare rapporti seguendo un percorso che potremmo suddividere in quattro fasi che riguardano l’incontro con se stessi, l’incontro con il nemico, l’in-contro con l’estraneo. Non ultimo l’incontro con Dio. Francesco ci indica l’importanza di accogliere la lotta interiore che vi-

viamo quotidianamente tra quelli che sono i desideri della carne e i desideri dello spirito. Chi di noi non sperimenta il desiderio della concupiscenza, desideri che non vorrebbe vivere? Quante volte emergono desideri buoni, belli, veri, di perdono, di umiltà e di pace? È una lotta costante den-tro di noi che si assopirà solamente con l’abbraccio con Dio. Dicono le Fonti: Siano fortemente convinti che non appartengono a noi sia i vizi e i peccati [...] Quindi tutti noi frati guardiamoci da ogni superbia e vana gloria. Ma per farlo è necessario prenderne coscienza, accoglierla e offrire questa lotta al Signore. Purificarla, trasformarla. Se ognuno di noi si mettesse la mano sul cuore, difficilmente giudicherebbe e condannerebbe. E infatti negli scritti di Francesco i passi dedicati al suo sguardo sulla lotta interio-re sono quelli più ampi. È attraverso questa consapevolez-za che possiamo pacificare, perdonare. Il secondo passo riguarda l’incontro con il nemico: è la

lezione che il Santo dona ai suoi frati quando respingono i ladroni di Montecasale. Vi era al tempo un gruppo di ladroni che tormentava un villaggio. Tutti li ripudiavano e allontanavano ma Francesco inve-ce invita i frati ad offrirgli il pranzo, prima un giorno e poi un altro – ci raccontano le cronache – e mentre mangiavano i frati cominciarono a parlargli di Dio serviteli con umiltà e allegria, finché abbiano mangia-to. Dopo il pasto annunciate loro le parole del Signore e alla fine [...] vi promettano di non percuotere nes-suno e di non fare del male. Fu così che si convertirono e alcuni di loro divennero frati (Compilazione di Assisi, 115: FF 1669). Qui Francesco applica la logica dell’accoglienza che di fatto è perdono. È un invito a non giudicare, a comprendere in che situazione si trova l’altro. A cercare di leggere al di là dell’oggettività delle azioni, il disagio e la fragilità. Ne è conferma un altro episodio che riguarda

il lupo di Gubbio che spaventava gli abitanti del villaggio perché non aveva di che mangiare: Santo Francesco prese il cammino inverso il luogo dove era il lupo. Ed ecco che,

vedendo molti cittadini li quali era-no venuti a vedere cotesto miracolo, il detto lupo si fa incontro a santo Francesco, con la bocca aperta. Francesco mette in atto la pedago-gia della comprensione, dandogli ristoro e guadagnandone la fiducia (Fioretti, XXI: FF 1852) e ottenendo la sua amicizia per sé e per l’intero villaggio. È la logica della compren-sione del prossimo. Il terzo passo riguarda invece l’incontro con l’estraneo. In parti-colare possiamo citare l’incontro con il Sultano. È un punto di arrivo

interessante dove il nemico diventa fratello attraverso il dialogo e la stima che abbattono la barriera della minaccia e della rivendicazione. Nelle Fonti infatti vediamo come Francesco si avvicina al Sultano, e contrariamente da come

“FINORA HO CHIAMATO PIETRO

DI BERNARDONE MIO PADRE, D’ORA IN POI A MAGGIOR RAGIONE

DIRÒ: PADRE MIO CHE SEI NEI CIELI”.

NON SI TRATTA DELLA NEGAZIONE DELLA PATERNITÀ GENITORIALE MA

DELL’AFFERMAZIONE DI QUELLA DIVINA

CHE PORTA E CONDUCE L’UOMO SU PENSIERI, GESTI

E SGUARDI DI MISERICORDIA

Il lupo di Gubbio (part.) Fioretti di Sancto Francesco Spoleto, C. Argentieri, 1923

FRANCESCO CI INDICA L’IMPORTANZA DI ACCOGLIERE LA

LOTTA INTERIORE CHE VIVIAMO

QUOTIDIANAMENTE TRA QUELLI CHE SONO I DESIDERI DELLA CARNE E I DESIDERI DELLO

SPIRITO

Agosto 2016 Agosto 20166 7

EDITORIALE

era stato fatto in precedenza da altri frati, Francesco par-la con lui e si confronta: Raduniamo qui i nostri savi e discutiamo della nostra e della vostra fede, dice France-sco e dopo l’incontro i due si allontanano pacificamente. (Cronache e altre testimonianze: FF 2701). Questi episodi in particolare, insieme a molti altri, gettano le basi per quello che sarà poi lo shalom francescano fatto di accoglienza, di perdono, di comprensione e di dialogo. Vogliamo anche noi percorrere questi passi, consapevoli che la misericordia è un cammino faticoso, e prima an-cora dono di Dio. Infatti l’incontro centrale e battito del cuore che gli permette di sperimentare e far spe-rimentare la misericordia è l’incon-tro con Dio che avviene con una consapevolezza senza pari. Quella della propria miseria e della bontà di Dio. Ci bastino due affermazioni. La prima data dall’incipit della sua vita: O alto e glorioso Dio, illumina il cuore mio; ma anche quella dettata al termine della sua esistenza: Altissimo e onnipotente bon Signore. A te solo Al-tissimo, si addicono e nessun uomo è degno di pronuncia-re il tuo nome. Francesco manifesta così sia la grandezza, la bellezza e la bontà di Dio che la propria finitudine, la propria piccolezza, il proprio essere peccatore.

GLI SGUARDI Ma qual è la radice dei pensieri e dei gesti misericor-diosi di Francesco d’Assisi? Probabilmente è il suo sguardo che potremmo definire senza ombre. Esso si poggia sui suoi confratelli benevolo, come quando di ogni suo frate riconosce un aspetto positivo. Nelle Fonti così si legge: spesso pensava tra sé quelle qualità e virtù di cui doveva essere ornato un autentico frate minore. E diceva che sa-rebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti santi frati: la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme con l’amore della povertà; la semplicità e la purità di Leone, che rifulse veramente di santissima purità; la cortesia di Angelo, che fu il primo ca-valiere entrato nell’Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà; l’aspetto attraente e il buon senso di Masseo, con il suo parlare bello e devoto; la mente elevata nella contem-plazione che ebbe Egidio fino alla più alta perfezione; la virtuosa incessante orazione di Rufino, che pregava anche dormendo e in qualunque occupazione aveva incessante-mente lo spirito unito al Signore; la pazienza di Ginepro, che giunse a uno stato di pazienza perfetto con la rinun-zia alla propria volontà e con l’ardente desiderio d’imitare Cristo seguendo la via della croce; la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò

per vigoria tutti gli uomini; la carità di Ruggero, la cui vita e comportamento erano ardenti di amore; la santa inquie-tudine di Lucido. Questo modo di guardare, di affrontare, di conciliare la vita trae la sua essenza dallo sguardo misericordioso di Dio poggiato sulla sua esistenza. Francesco tradurrà subito questo sguardo di Dio e lo fa con gli esclusi e le periferie del suo tempo. Ma ciò che è più importante è che l’incipit della sua vita di uomo di Dio è legato agli sguardi di mi-sericordia. Il suo primo sguardo è per il lebbroso: in gio-

ventù Francesco aborriva i lebbrosi ma spinto dall’amore di Dio scen-de da cavallo, si toglie l’armatura e abbraccia il lebbroso guardandolo negli occhi. Uno sguardo che lo “assolve” dalla sua condanna a vita. Allo stesso modo, in una “escala-tion”, il finale della sua vita è legato allo sguardo di misericordia che un ministro dovrebbe avere annodato a

tre atteggiamenti che è lo stesso Francesco a sottolineare nel momento in cui, nella Lettera al Ministro, scrive: non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare. Il primo è che il frate peccatore dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo per-dono, se egli lo chiede. Francesco qui applica alla lettera le indicazioni di un Dio che perdona, pieno di misericordia. Il secondo è legato al se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. Si tratta di un atteggia-mento inclusivo, che responsabilizza di fronte al prossimo. Francesco vuole l’uomo protagonista, che sappia compie-re il primo passo senza aspettare, che è espressione di quel Padre misericordioso molte volte descritto nei Vange-li e che papa Francesco ha sintetizzato con l’affermazione «Dio mai si stanca di perdonarci, mai! Il problema è che noi ci stanchiamo di chiedere perdono. Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo». Il terzo è quello più forte ed emozionante insieme: se in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me. È una vera illuminazione, che invita a coltivare nel cuore una sola preoccupazione: amare fino alla fine. Amare con quel perdono che Dio dona attraverso Gesù con la Croce “Padre perdona perché non sanno quello che fanno” e che propone quell’anelito biblico “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuo-versi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”. Ma ciò che commuove in questi passaggi è la moti-vazione: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli. È abbagliante scoprire che questa esortazione, al ministro allora e oggi a noi, è attua-

ta attraverso una forte umanità che non punta a riconqui-stare le persone o ristabilire la tranquillità di tutti. Non è un modo furbo di agire. Il vero obiettivo di Francesco è la relazione con il Signore. In questo modo la misericordia non è usata per la nostra tranquillità interiore, ma per manifestare in profondità l’amore del Padre. Lo sguardo di cui parla Fran-cesco quindi è quello in grado di manifestare i sentimenti più nobili che serbiamo dentro. Per questo forse Francesco chiama in causa lo sguardo senza se e senza ma. E se all’inizio abbiamo parlato del cuo-re come elemento di raccordo con la misericordia, potremmo dire che Francesco chiama in causa un altro elemento della nostra corporeità, gli occhi, che sono la finestra della misericordia. Come per il mon-do biblico le viscere sono la sede della misericordia, per Francesco lo sono gli occhi. È lo stesso concetto che papa Francesco ha voluto chiarire per la Chiesa quando ha detto «voglio una Chiesa aperta, comprensiva, che accompagni

le famiglie ferite. Loro dicono di no a tutto, io continuo il mio cammino senza guardare di lato. Non taglio teste, non mi è mai piaciuto farlo. Glielo ripeto: rifiuto il conflitto. I

chiodi si tolgono facendo pressione verso l’alto». Ecco perché con papa Francesco oggi e ieri con san Francesco pos-siamo ancora riferirci a quella pri-mavera francescana di cui ci parlava Vandenbrouck: “la risposta provvi-denziale a tutte queste aspirazioni sgorgate dal più profondo dell’a-nima cristiana. La povertà appare come rimedio, se non addirittura come il rimedio. La storia di Fran-cesco è una delle meglio conosciute

[...]. Tutti , cattolici e non cattolici, credenti e non credenti ne sono stati in ogni tempo toccati. In tutti nasce la sensa-zione di scoprirvi il Vangelo nella sua integrale purezza”. Francesco aveva colto tutto questo, aveva capito che Dio viene per i peccatori e continua a farlo.

* I Promessi Sposi, Alessandro Manzoni

LO SGUARDO DI FRANCESCO SI

POGGIA SUI SUOI CONFRATELLI

BENEVOLO, COME QUANDO DI

OGNI SUO FRATE RICONOSCE UN

ASPETTO POSITIVO

Episodi della vita di san FrancescoDono Doni e figlio Lorenzo, secolo XVIAssisi, Sacro Convento, Chiostro di Sisto IV

SE OGNUNO DI NOI SI METTESSE LA

MANO SUL CUORE, DIFFICILMENTE

GIUDICHEREBBE E CONDANNEREBBE

Agosto 2016 Agosto 20166 7

EDITORIALE

era stato fatto in precedenza da altri frati, Francesco par-la con lui e si confronta: Raduniamo qui i nostri savi e discutiamo della nostra e della vostra fede, dice France-sco e dopo l’incontro i due si allontanano pacificamente. (Cronache e altre testimonianze: FF 2701). Questi episodi in particolare, insieme a molti altri, gettano le basi per quello che sarà poi lo shalom francescano fatto di accoglienza, di perdono, di comprensione e di dialogo. Vogliamo anche noi percorrere questi passi, consapevoli che la misericordia è un cammino faticoso, e prima an-cora dono di Dio. Infatti l’incontro centrale e battito del cuore che gli permette di sperimentare e far spe-rimentare la misericordia è l’incon-tro con Dio che avviene con una consapevolezza senza pari. Quella della propria miseria e della bontà di Dio. Ci bastino due affermazioni. La prima data dall’incipit della sua vita: O alto e glorioso Dio, illumina il cuore mio; ma anche quella dettata al termine della sua esistenza: Altissimo e onnipotente bon Signore. A te solo Al-tissimo, si addicono e nessun uomo è degno di pronuncia-re il tuo nome. Francesco manifesta così sia la grandezza, la bellezza e la bontà di Dio che la propria finitudine, la propria piccolezza, il proprio essere peccatore.

GLI SGUARDI Ma qual è la radice dei pensieri e dei gesti misericor-diosi di Francesco d’Assisi? Probabilmente è il suo sguardo che potremmo definire senza ombre. Esso si poggia sui suoi confratelli benevolo, come quando di ogni suo frate riconosce un aspetto positivo. Nelle Fonti così si legge: spesso pensava tra sé quelle qualità e virtù di cui doveva essere ornato un autentico frate minore. E diceva che sa-rebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti santi frati: la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme con l’amore della povertà; la semplicità e la purità di Leone, che rifulse veramente di santissima purità; la cortesia di Angelo, che fu il primo ca-valiere entrato nell’Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà; l’aspetto attraente e il buon senso di Masseo, con il suo parlare bello e devoto; la mente elevata nella contem-plazione che ebbe Egidio fino alla più alta perfezione; la virtuosa incessante orazione di Rufino, che pregava anche dormendo e in qualunque occupazione aveva incessante-mente lo spirito unito al Signore; la pazienza di Ginepro, che giunse a uno stato di pazienza perfetto con la rinun-zia alla propria volontà e con l’ardente desiderio d’imitare Cristo seguendo la via della croce; la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò

per vigoria tutti gli uomini; la carità di Ruggero, la cui vita e comportamento erano ardenti di amore; la santa inquie-tudine di Lucido. Questo modo di guardare, di affrontare, di conciliare la vita trae la sua essenza dallo sguardo misericordioso di Dio poggiato sulla sua esistenza. Francesco tradurrà subito questo sguardo di Dio e lo fa con gli esclusi e le periferie del suo tempo. Ma ciò che è più importante è che l’incipit della sua vita di uomo di Dio è legato agli sguardi di mi-sericordia. Il suo primo sguardo è per il lebbroso: in gio-

ventù Francesco aborriva i lebbrosi ma spinto dall’amore di Dio scen-de da cavallo, si toglie l’armatura e abbraccia il lebbroso guardandolo negli occhi. Uno sguardo che lo “assolve” dalla sua condanna a vita. Allo stesso modo, in una “escala-tion”, il finale della sua vita è legato allo sguardo di misericordia che un ministro dovrebbe avere annodato a

tre atteggiamenti che è lo stesso Francesco a sottolineare nel momento in cui, nella Lettera al Ministro, scrive: non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare. Il primo è che il frate peccatore dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo per-dono, se egli lo chiede. Francesco qui applica alla lettera le indicazioni di un Dio che perdona, pieno di misericordia. Il secondo è legato al se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. Si tratta di un atteggia-mento inclusivo, che responsabilizza di fronte al prossimo. Francesco vuole l’uomo protagonista, che sappia compie-re il primo passo senza aspettare, che è espressione di quel Padre misericordioso molte volte descritto nei Vange-li e che papa Francesco ha sintetizzato con l’affermazione «Dio mai si stanca di perdonarci, mai! Il problema è che noi ci stanchiamo di chiedere perdono. Lui mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo». Il terzo è quello più forte ed emozionante insieme: se in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me. È una vera illuminazione, che invita a coltivare nel cuore una sola preoccupazione: amare fino alla fine. Amare con quel perdono che Dio dona attraverso Gesù con la Croce “Padre perdona perché non sanno quello che fanno” e che propone quell’anelito biblico “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuo-versi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai”. Ma ciò che commuove in questi passaggi è la moti-vazione: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli. È abbagliante scoprire che questa esortazione, al ministro allora e oggi a noi, è attua-

ta attraverso una forte umanità che non punta a riconqui-stare le persone o ristabilire la tranquillità di tutti. Non è un modo furbo di agire. Il vero obiettivo di Francesco è la relazione con il Signore. In questo modo la misericordia non è usata per la nostra tranquillità interiore, ma per manifestare in profondità l’amore del Padre. Lo sguardo di cui parla Fran-cesco quindi è quello in grado di manifestare i sentimenti più nobili che serbiamo dentro. Per questo forse Francesco chiama in causa lo sguardo senza se e senza ma. E se all’inizio abbiamo parlato del cuo-re come elemento di raccordo con la misericordia, potremmo dire che Francesco chiama in causa un altro elemento della nostra corporeità, gli occhi, che sono la finestra della misericordia. Come per il mon-do biblico le viscere sono la sede della misericordia, per Francesco lo sono gli occhi. È lo stesso concetto che papa Francesco ha voluto chiarire per la Chiesa quando ha detto «voglio una Chiesa aperta, comprensiva, che accompagni

le famiglie ferite. Loro dicono di no a tutto, io continuo il mio cammino senza guardare di lato. Non taglio teste, non mi è mai piaciuto farlo. Glielo ripeto: rifiuto il conflitto. I

chiodi si tolgono facendo pressione verso l’alto». Ecco perché con papa Francesco oggi e ieri con san Francesco pos-siamo ancora riferirci a quella pri-mavera francescana di cui ci parlava Vandenbrouck: “la risposta provvi-denziale a tutte queste aspirazioni sgorgate dal più profondo dell’a-nima cristiana. La povertà appare come rimedio, se non addirittura come il rimedio. La storia di Fran-cesco è una delle meglio conosciute

[...]. Tutti , cattolici e non cattolici, credenti e non credenti ne sono stati in ogni tempo toccati. In tutti nasce la sensa-zione di scoprirvi il Vangelo nella sua integrale purezza”. Francesco aveva colto tutto questo, aveva capito che Dio viene per i peccatori e continua a farlo.

* I Promessi Sposi, Alessandro Manzoni

LO SGUARDO DI FRANCESCO SI

POGGIA SUI SUOI CONFRATELLI

BENEVOLO, COME QUANDO DI

OGNI SUO FRATE RICONOSCE UN

ASPETTO POSITIVO

Episodi della vita di san FrancescoDono Doni e figlio Lorenzo, secolo XVIAssisi, Sacro Convento, Chiostro di Sisto IV

SE OGNUNO DI NOI SI METTESSE LA

MANO SUL CUORE, DIFFICILMENTE

GIUDICHEREBBE E CONDANNEREBBE

Agosto 2016 Agosto 20168 9

EDITORIALE

MAURO GAMBETTI / CUSTODE DEL SACRO CONVENTO

F rancesco d’Assisi, dopo gli anni travagliati della giovinezza, si accorse che la vita gli era stata ri-sparmiata senza alcun merito. Non gli avevano dato la felicità i successi,

non era servito a nulla cercare il ri-scatto dal fallimento… non si pote-va giustificare una esistenza vuota di senso: solo per misericordia era “vivo”, sentiva ancora in se stesso il desiderio della vita piena. La sua fu l’esperienza del perdono che ci precede e ci permette di essere an-cora vivi. E il Poverello di Assisi si aggrappò all’esperienza della misericordia divina, lasciandosene compenetrare

fino al rovesciamento del pensiero e dello sguardo sulla realtà. Così, passò dall’attaccamento a se stesso e alla propria immagine, ad una profonda gratitudine e alla

vera libertà, ipotecata nell’esercizio costante di gesti di misericordia e nel perdono accordato preventi-vamente ai fratelli, amici o nemi-ci che fossero. Poi, l’accesso alla ricompensa che spetta all’uomo buono: la vera e perfetta letizia! Questa scoperta ne accese il de-siderio: “voglio mandarvi tutti in

Paradiso!” – esclamò Francesco. Nasce così il Perdono di Assisi, come una freccia ar-dente scagliata verso il cuore dell’uomo. D’altronde, si

sa, per gustare la misericordia di Dio che tutto abbraccia è indispensabile uno spiraglio nell’animo umano, l’am-missione del limite e del bisogno di perdono. Ad Assisi, come in tutta la Chiesa in questo Anno della Misericordia, il peccatore ha a disposizione l’in-dulgenza plenaria che fiorisce nel grembo di Maria, la Vergine fatta Chiesa. Come a dire, con la tenerezza di una madre: “vorresti essere perdonato fino in fondo, per favore?” Ma c’è di più. Come attesta la Lettera a un Ministro di Frate Francesco, nel Perdono di Assisi c’è

una proposta di amore incondizionato e illimitato che si pone sulle tracce di ogni uomo, anche il “peggiore”, illuminandone gli errori per sottrarlo all’ombra di morte. E risuonano ancora queste parole: “se almeno ti dispia-cesse non essere in grado di comprendere gli sbagli, potresti entrare nella luce”. Così, dopo 800 anni, come una città posta sul mon-te, risplende ancora chiaro il fulgore del Perdono di As-sisi che chiama a conversione ed invita a saziarsi delle gioie celesti!

DOPO 800 ANNI RISPLENDE ANCORA

CHIARO IL FULGORE DEL

PERDONO DI ASSISI

San Francesco in gloria (part.)Cesare Sermei (1646 - 1647)Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco

Nel Perdono di Assisi c’è una proposta di amore incondizionato e illimitato che si pone sulle tracce di ogni uomo, anche il “peggiore”

Vera e perfetta LETIZIA

I cinque compagni di San FrancescoPietro Lorenzetti (1305-1345)Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco

Agosto 2016 Agosto 20168 9

EDITORIALE

MAURO GAMBETTI / CUSTODE DEL SACRO CONVENTO

F rancesco d’Assisi, dopo gli anni travagliati della giovinezza, si accorse che la vita gli era stata ri-sparmiata senza alcun merito. Non gli avevano dato la felicità i successi,

non era servito a nulla cercare il ri-scatto dal fallimento… non si pote-va giustificare una esistenza vuota di senso: solo per misericordia era “vivo”, sentiva ancora in se stesso il desiderio della vita piena. La sua fu l’esperienza del perdono che ci precede e ci permette di essere an-cora vivi. E il Poverello di Assisi si aggrappò all’esperienza della misericordia divina, lasciandosene compenetrare

fino al rovesciamento del pensiero e dello sguardo sulla realtà. Così, passò dall’attaccamento a se stesso e alla propria immagine, ad una profonda gratitudine e alla

vera libertà, ipotecata nell’esercizio costante di gesti di misericordia e nel perdono accordato preventi-vamente ai fratelli, amici o nemi-ci che fossero. Poi, l’accesso alla ricompensa che spetta all’uomo buono: la vera e perfetta letizia! Questa scoperta ne accese il de-siderio: “voglio mandarvi tutti in

Paradiso!” – esclamò Francesco. Nasce così il Perdono di Assisi, come una freccia ar-dente scagliata verso il cuore dell’uomo. D’altronde, si

sa, per gustare la misericordia di Dio che tutto abbraccia è indispensabile uno spiraglio nell’animo umano, l’am-missione del limite e del bisogno di perdono. Ad Assisi, come in tutta la Chiesa in questo Anno della Misericordia, il peccatore ha a disposizione l’in-dulgenza plenaria che fiorisce nel grembo di Maria, la Vergine fatta Chiesa. Come a dire, con la tenerezza di una madre: “vorresti essere perdonato fino in fondo, per favore?” Ma c’è di più. Come attesta la Lettera a un Ministro di Frate Francesco, nel Perdono di Assisi c’è

una proposta di amore incondizionato e illimitato che si pone sulle tracce di ogni uomo, anche il “peggiore”, illuminandone gli errori per sottrarlo all’ombra di morte. E risuonano ancora queste parole: “se almeno ti dispia-cesse non essere in grado di comprendere gli sbagli, potresti entrare nella luce”. Così, dopo 800 anni, come una città posta sul mon-te, risplende ancora chiaro il fulgore del Perdono di As-sisi che chiama a conversione ed invita a saziarsi delle gioie celesti!

DOPO 800 ANNI RISPLENDE ANCORA

CHIARO IL FULGORE DEL

PERDONO DI ASSISI

San Francesco in gloria (part.)Cesare Sermei (1646 - 1647)Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco

Nel Perdono di Assisi c’è una proposta di amore incondizionato e illimitato che si pone sulle tracce di ogni uomo, anche il “peggiore”

Vera e perfetta LETIZIA

I cinque compagni di San FrancescoPietro Lorenzetti (1305-1345)Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco

Agosto 2016 Agosto 201610 11

EDITORIALE

ROSARIO GUGLIOTTA / CUSTODE DELLA PORZIUNCOLA

L a Porziuncola, questa piccola chiesetta, è luogo da cui scaturiscono, da ottocento anni, Perdono e Mise-ricordia, legati dalla fe-

lice coincidenza dell’Anno San-to della Misericordia, e l’ottavo Centenario del Perdono di Assi-si. Due facce, potremmo dire, di una stessa medaglia. San Francesco chiese que-sto dono nel 1216. Sembra stes-se attraversando un momento della sua vita non molto felice: c’erano problemi interni alla Co-munità che diveniva sempre più ampia. Il Santo sentiva di dover e voler rispondere sempre con radicalità alla chiamata di Dio, mentre probabilmente non tutti i confratelli erano disposti alla stessa generosità nella sequela di Cristo… alcuni, forse, ritenevano un po’ troppo esigente la Regola che il Poverello d’Assisi stava scri-vendo. Quella fu, per Francesco, una grande tentazione di lasciare la comunità, di allon-tanarsi dai frati. Ma lui smasche-rò l’opera del maligno, capì che si trattava di una tentazione e, secondo una prassi medievale, si gettò tra le spine per fare pe-nitenza, sorpreso subito dopo di vederlo mutato in un Roseto senza spine, come ancora oggi può essere ammirato alla Por-ziuncola. Immediatamente si recò in Porziuncola, accompagnato da due angeli, dove sull’altare ebbe in visione Gesù e Maria che gli chiesero di manifestare le sue richieste.

Il Santo avrebbe potuto pensare per se stesso, per la propria salute, o forse per i problemi dell’Ordine

nascente … Invece, avendo fat-to esperienza così profonda del-la Misericordia di Dio, al punto da sentirsi rinnovato profonda-mente dall’aver ottenuto indul-genza, come rinato da un nuovo battesimo, chiese in dono che tutti coloro che si recavano alla Porziuncola, pentiti e confessa-ti, avrebbero ricevuto il Perdo-no dei propri peccati dal giorno del Battesimo sino al momento dell’ingresso nella piccola chiesa ottenendo piena indulgenza. È l’Indulgenza della Porziuncola! Francesco sapeva che la vera felicità e la realizzazione dell’uo-mo non sta nel possedere cose materiali, ma nel sentire l’amore e

la paternità di Dio vivendo riconciliati con Lui. Un’ar-monia che si ripercuote nel rapporto con i fratelli e ancora con il Creato. Ecco perché Francesco è dav-vero l’uomo della Pace: riconciliato con Dio, con gli

uomini e con il Creato tanto da poterli chiamare tutti fratelli e so-relle. Tutto è partito da questa sua rinascita, qui alla Porziuncola. Quando Francesco dice “vo-glio mandarvi tutti in Paradi-so”, non è solo un riferimento post-mortem, ma è la possibilità di poter vivere da risorti già su questa terra nella gioia dei figli di Dio, perché incontrare Gesù e sperimentare la Misericordia del Padre ci pone in una posizione

paradisiaca già su questa terra. E tutto può iniziare qui, alla Porziuncola: porta della vita eterna.

LA PORZIUNCOLA, QUESTA PICCOLA

CHIESETTA, È LUOGO DA CUI SCATURISCONO, DA OTTOCENTO ANNI, PERDONO E MISERICORDIA,

LEGATI DALLA FELICE COINCIDENZA

DELL’ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA,

E L’OTTAVO CENTENARIO DEL

PERDONO DI ASSISI

FRANCESCO È DAVVERO L’UOMO

DELLA PACE: RICONCILIATO CON

DIO, CON GLI UOMINI E CON IL CREATO

TANTO DA POTERLI CHIAMARE TUTTI

FRATELLI E SORELLE San Francesco si getta nel roseto (part.)Tiberio d’Assisi (1518)Assisi, Basilica di Santa Maria degli Angeli

Francesco si gettò tra le spine per fare penitenza, sorpreso subito dopo di vederlo mutato in un Roseto senza spine

ARRENDERSI alla Misericordia di Dio

Agosto 2016 Agosto 201610 11

EDITORIALE

ROSARIO GUGLIOTTA / CUSTODE DELLA PORZIUNCOLA

L a Porziuncola, questa piccola chiesetta, è luogo da cui scaturiscono, da ottocento anni, Perdono e Mise-ricordia, legati dalla fe-

lice coincidenza dell’Anno San-to della Misericordia, e l’ottavo Centenario del Perdono di Assi-si. Due facce, potremmo dire, di una stessa medaglia. San Francesco chiese que-sto dono nel 1216. Sembra stes-se attraversando un momento della sua vita non molto felice: c’erano problemi interni alla Co-munità che diveniva sempre più ampia. Il Santo sentiva di dover e voler rispondere sempre con radicalità alla chiamata di Dio, mentre probabilmente non tutti i confratelli erano disposti alla stessa generosità nella sequela di Cristo… alcuni, forse, ritenevano un po’ troppo esigente la Regola che il Poverello d’Assisi stava scri-vendo. Quella fu, per Francesco, una grande tentazione di lasciare la comunità, di allon-tanarsi dai frati. Ma lui smasche-rò l’opera del maligno, capì che si trattava di una tentazione e, secondo una prassi medievale, si gettò tra le spine per fare pe-nitenza, sorpreso subito dopo di vederlo mutato in un Roseto senza spine, come ancora oggi può essere ammirato alla Por-ziuncola. Immediatamente si recò in Porziuncola, accompagnato da due angeli, dove sull’altare ebbe in visione Gesù e Maria che gli chiesero di manifestare le sue richieste.

Il Santo avrebbe potuto pensare per se stesso, per la propria salute, o forse per i problemi dell’Ordine

nascente … Invece, avendo fat-to esperienza così profonda del-la Misericordia di Dio, al punto da sentirsi rinnovato profonda-mente dall’aver ottenuto indul-genza, come rinato da un nuovo battesimo, chiese in dono che tutti coloro che si recavano alla Porziuncola, pentiti e confessa-ti, avrebbero ricevuto il Perdo-no dei propri peccati dal giorno del Battesimo sino al momento dell’ingresso nella piccola chiesa ottenendo piena indulgenza. È l’Indulgenza della Porziuncola! Francesco sapeva che la vera felicità e la realizzazione dell’uo-mo non sta nel possedere cose materiali, ma nel sentire l’amore e

la paternità di Dio vivendo riconciliati con Lui. Un’ar-monia che si ripercuote nel rapporto con i fratelli e ancora con il Creato. Ecco perché Francesco è dav-vero l’uomo della Pace: riconciliato con Dio, con gli

uomini e con il Creato tanto da poterli chiamare tutti fratelli e so-relle. Tutto è partito da questa sua rinascita, qui alla Porziuncola. Quando Francesco dice “vo-glio mandarvi tutti in Paradi-so”, non è solo un riferimento post-mortem, ma è la possibilità di poter vivere da risorti già su questa terra nella gioia dei figli di Dio, perché incontrare Gesù e sperimentare la Misericordia del Padre ci pone in una posizione

paradisiaca già su questa terra. E tutto può iniziare qui, alla Porziuncola: porta della vita eterna.

LA PORZIUNCOLA, QUESTA PICCOLA

CHIESETTA, È LUOGO DA CUI SCATURISCONO, DA OTTOCENTO ANNI, PERDONO E MISERICORDIA,

LEGATI DALLA FELICE COINCIDENZA

DELL’ANNO SANTO DELLA MISERICORDIA,

E L’OTTAVO CENTENARIO DEL

PERDONO DI ASSISI

FRANCESCO È DAVVERO L’UOMO

DELLA PACE: RICONCILIATO CON

DIO, CON GLI UOMINI E CON IL CREATO

TANTO DA POTERLI CHIAMARE TUTTI

FRATELLI E SORELLE San Francesco si getta nel roseto (part.)Tiberio d’Assisi (1518)Assisi, Basilica di Santa Maria degli Angeli

Francesco si gettò tra le spine per fare penitenza, sorpreso subito dopo di vederlo mutato in un Roseto senza spine

ARRENDERSI alla Misericordia di Dio

Agosto 2016 Agosto 201612 13

to” sui nostri doveri: tutt’altro! È piuttosto una energia in-teriore con cui lo Spirito Santo. È una grazia da implorare con umile e fiduciosa preghiera. Un aspetto da non trascurare, nell’implorare l’indul-genza, è la preghiera secondo le in-tenzioni del Santo Padre. Anche qui in sintonia col Poverello, che amò tanto il Vicario di Cristo. È provvi-denziale a tal fine che, in questo Anno della misericordia, papa Fran-cesco abbia scelto di venire alla Por-ziuncola, pellegrino tra i pellegrini. Da non dimenticare infine la solida-rietà. L’indulgenza fu per Francesco anche un regalo per la gente più umile e priva di mezzi, in un tempo in cui procurarsi questo beneficio spirituale imponeva costosi e lunghi pellegrinaggi. France-sco chiese al Papa una indulgenza “senza obolo”. A misura dunque dei nullatenenti! Anche con la Porziuncola egli si faceva difensore e custode dei poveri.

Vi voglio mandare tutti in Paradiso! Pensava, France-sco, solo all’al di là? Al contrario: credo volesse condivi-dere con tutti il Paradiso che aveva dentro. Se stiamo in grazia di Dio, siamo già, in qualche modo, in Paradiso. Ma

sperimentarlo pienamente in questa vita implica una sintonia con lo Spi-rito Santo che, quando non è inter-rotta dalla colpa grave, è per lo più disturbata dalle nostre fragilità. L’in-dulgenza, posto il perdono sacra-mentale, mira a sviluppare questa sintonia. Riceverla in Porziuncola, sotto lo sguardo tenero della Ma-dre, è un po’ come lasciarci curare in un singolare “ambulatorio”, in cui Gesù, il medico divino, nella misura della nostra docilità, toglie da noi il

“cuore di pietra” e ci dona un “cuore di carne”. Non manchiamo, cari fratelli e sorelle, in quest’Anno speciale, l’appuntamento con la gioia. Vogliate pregare, per favore, anche per me.

EDITORIALE

DOMENICO SORRENTINO / VESCOVO DI ASSISI

L a Provvidenza sempre ci accompagna e spesso ci sorprende. Chi avrebbe potuto prevedere che, per l’VIII centenario del Perdono di Assisi, aves-simo un papa di nome Francesco? E come indo-

vinare che questo anniversario cadesse nell’anno dedicato alla misericordia? Sono circostanze che destano stupore e fanno intuire un disegno di Dio. Al mio predecessore Teobaldo, nel 1310, toccò confermare, contro voci critiche, l’indulgenza della Porziun-cola che Francesco aveva ottenu-to da papa Onorio III. A me forse tocca, nell’attuale contesto storico, spiegarne il senso e l’attualità. Vivo, in vescovado, tra le onde di grazia generate dallo Spirito di Dio nel giovane Francesco quando, sotto gli occhi del ve-scovo Guido, si spogliò di tutto per conformarsi a Cri-sto. Nel luogo dove si commemora l’evento – la Sala della Spogliazione – si ammira il dipinto che lo ricorda, mentre dirimpetto è di scena proprio la Porziuncola, nell’atto del-la consegna che i benedettini ne fanno a Francesco. Nel centro della Sala, poi, campeggia il Perdono di Assisi, con il volto radioso del Santo, mentre implora l’indulgenza dal Redentore per intercessione della Beata Vergine. Mi pare di scorgere un filo fra le diverse scene. Fran-cesco, che ha rinunciato ai tesori della terra, distribuisce a piene mani i tesori del cielo. E mentre il dio-denaro ha scompaginato la sua famiglia carnale, una cappella povera e disadorna accoglie e plasma la sua famiglia spirituale. Non più padre Pietro di Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli: dalla spogliazione all’indulgenza della Por-ziuncola corre il cammino di un uomo trasfigurato. Trasfigurato per trasfigurare: dando la notizia del “per-dono”, il 2 agosto 1216, Francesco esclamò: Io vi voglio mandare tutti in Paradiso. La Porziuncola diveniva una porta del cielo. Aperta soprattutto per i semplici e pove-ri. Casa dove la presenza di Dio si percepisce come una carezza e le pietre hanno il calore di un grembo materno. Tutto vi dice semplicità, non disturbata, anzi evidenziata,

dall’arte che la decora. Che cosa avrà sentito, Francesco, in questo luogo, a lui caro più di ogni altro? Possiamo supporre che qui egli si abbandonasse al dialogo con la Trinità, cullato dalle braccia della Madre. In questa piccola chiesa egli accolse la consacrazione di Chiara, sua “pianticella”, e radunò i

compagni per farne delle fraternità in missione per il mondo. Alla sua ombra volle anche spiccare il volo verso l’eternità. Indulgenza, dunque. Di che cosa si tratta? È parola connessa al per-dono: perdono speciale, perdono sovrabbondante. Le braccia del Pa-dre che, nella parabola evangelica di Luca 15,11-32, si stringono al col-

lo del figlio ritrovato, il suo bacio, l’invito alla festa, ci sono offerti ogni volta che ci accostiamo al sacramento della riconciliazione. Perdono profondo e pieno. Che cosa aggiunge a tutto questo l’indulgenza? Per comprenderlo occorre riflettere sulla situazione spirituale in cui il peccato ci getta. Ma il peccato non è solo una colpa da perdonare. È anche una malattia dell’anima. Il sacramento del perdono pone rimedio a un aspetto fondamentale di questa pena: la separazione da Dio o l’allontanamento da lui. Restano per lo più da vincere i residui della malattia. Se non li cu-riamo in vita, sarà necessario farlo dopo la morte, in Pur-gatorio. In funzione di questa “cura” nasce l’attuale prassi dell’indulgenza. L’indulgenza espande in noi l’efficacia del perdono sacramentale, favorendo un’apertura a Dio così profonda, da disporre il nostro cuore all’incontro definiti-vo con lui, quando lo vedremo così come Egli è (cf 1Gv 3,2). Per questo, ogni assoluzione sacramentale stimola ed esige un’ulteriore crescita spirituale, di cui è espressione la stessa “penitenza” che il confessore ci dà. Ma quanta fatica e incertezza, da parte nostra! Come non sentire il bisogno di una grazia speciale, che ci consenta di realizzare più agevolmente questa totale guarigione del cuore? Ecco la grazia dell’indulgenza! Essa non è uno “scon-

FRANCESCO CHIESE AL PAPA

UNA INDULGENZA “SENZA OBOLO”. A

MISURA DUNQUE DEI NULLATENENTI

“VI VOGLIO MANDARE TUTTI IN PARADISO”

PENSAVA, FRANCESCO, SOLO ALL’AL DI LÀ?

AL CONTRARIO: CREDO VOLESSE

CONDIVIDERE CON TUTTI IL PARADISO CHE AVEVA DENTRO

Dalla spogliazione all’indulgenza della Porziuncola corre il cammino di un uomo trasfigurato

Difensore e CUSTODE dei poveri

Agosto 2016 Agosto 201612 13

to” sui nostri doveri: tutt’altro! È piuttosto una energia in-teriore con cui lo Spirito Santo. È una grazia da implorare con umile e fiduciosa preghiera. Un aspetto da non trascurare, nell’implorare l’indul-genza, è la preghiera secondo le in-tenzioni del Santo Padre. Anche qui in sintonia col Poverello, che amò tanto il Vicario di Cristo. È provvi-denziale a tal fine che, in questo Anno della misericordia, papa Fran-cesco abbia scelto di venire alla Por-ziuncola, pellegrino tra i pellegrini. Da non dimenticare infine la solida-rietà. L’indulgenza fu per Francesco anche un regalo per la gente più umile e priva di mezzi, in un tempo in cui procurarsi questo beneficio spirituale imponeva costosi e lunghi pellegrinaggi. France-sco chiese al Papa una indulgenza “senza obolo”. A misura dunque dei nullatenenti! Anche con la Porziuncola egli si faceva difensore e custode dei poveri.

Vi voglio mandare tutti in Paradiso! Pensava, France-sco, solo all’al di là? Al contrario: credo volesse condivi-dere con tutti il Paradiso che aveva dentro. Se stiamo in grazia di Dio, siamo già, in qualche modo, in Paradiso. Ma

sperimentarlo pienamente in questa vita implica una sintonia con lo Spi-rito Santo che, quando non è inter-rotta dalla colpa grave, è per lo più disturbata dalle nostre fragilità. L’in-dulgenza, posto il perdono sacra-mentale, mira a sviluppare questa sintonia. Riceverla in Porziuncola, sotto lo sguardo tenero della Ma-dre, è un po’ come lasciarci curare in un singolare “ambulatorio”, in cui Gesù, il medico divino, nella misura della nostra docilità, toglie da noi il

“cuore di pietra” e ci dona un “cuore di carne”. Non manchiamo, cari fratelli e sorelle, in quest’Anno speciale, l’appuntamento con la gioia. Vogliate pregare, per favore, anche per me.

EDITORIALE

DOMENICO SORRENTINO / VESCOVO DI ASSISI

L a Provvidenza sempre ci accompagna e spesso ci sorprende. Chi avrebbe potuto prevedere che, per l’VIII centenario del Perdono di Assisi, aves-simo un papa di nome Francesco? E come indo-

vinare che questo anniversario cadesse nell’anno dedicato alla misericordia? Sono circostanze che destano stupore e fanno intuire un disegno di Dio. Al mio predecessore Teobaldo, nel 1310, toccò confermare, contro voci critiche, l’indulgenza della Porziun-cola che Francesco aveva ottenu-to da papa Onorio III. A me forse tocca, nell’attuale contesto storico, spiegarne il senso e l’attualità. Vivo, in vescovado, tra le onde di grazia generate dallo Spirito di Dio nel giovane Francesco quando, sotto gli occhi del ve-scovo Guido, si spogliò di tutto per conformarsi a Cri-sto. Nel luogo dove si commemora l’evento – la Sala della Spogliazione – si ammira il dipinto che lo ricorda, mentre dirimpetto è di scena proprio la Porziuncola, nell’atto del-la consegna che i benedettini ne fanno a Francesco. Nel centro della Sala, poi, campeggia il Perdono di Assisi, con il volto radioso del Santo, mentre implora l’indulgenza dal Redentore per intercessione della Beata Vergine. Mi pare di scorgere un filo fra le diverse scene. Fran-cesco, che ha rinunciato ai tesori della terra, distribuisce a piene mani i tesori del cielo. E mentre il dio-denaro ha scompaginato la sua famiglia carnale, una cappella povera e disadorna accoglie e plasma la sua famiglia spirituale. Non più padre Pietro di Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli: dalla spogliazione all’indulgenza della Por-ziuncola corre il cammino di un uomo trasfigurato. Trasfigurato per trasfigurare: dando la notizia del “per-dono”, il 2 agosto 1216, Francesco esclamò: Io vi voglio mandare tutti in Paradiso. La Porziuncola diveniva una porta del cielo. Aperta soprattutto per i semplici e pove-ri. Casa dove la presenza di Dio si percepisce come una carezza e le pietre hanno il calore di un grembo materno. Tutto vi dice semplicità, non disturbata, anzi evidenziata,

dall’arte che la decora. Che cosa avrà sentito, Francesco, in questo luogo, a lui caro più di ogni altro? Possiamo supporre che qui egli si abbandonasse al dialogo con la Trinità, cullato dalle braccia della Madre. In questa piccola chiesa egli accolse la consacrazione di Chiara, sua “pianticella”, e radunò i

compagni per farne delle fraternità in missione per il mondo. Alla sua ombra volle anche spiccare il volo verso l’eternità. Indulgenza, dunque. Di che cosa si tratta? È parola connessa al per-dono: perdono speciale, perdono sovrabbondante. Le braccia del Pa-dre che, nella parabola evangelica di Luca 15,11-32, si stringono al col-

lo del figlio ritrovato, il suo bacio, l’invito alla festa, ci sono offerti ogni volta che ci accostiamo al sacramento della riconciliazione. Perdono profondo e pieno. Che cosa aggiunge a tutto questo l’indulgenza? Per comprenderlo occorre riflettere sulla situazione spirituale in cui il peccato ci getta. Ma il peccato non è solo una colpa da perdonare. È anche una malattia dell’anima. Il sacramento del perdono pone rimedio a un aspetto fondamentale di questa pena: la separazione da Dio o l’allontanamento da lui. Restano per lo più da vincere i residui della malattia. Se non li cu-riamo in vita, sarà necessario farlo dopo la morte, in Pur-gatorio. In funzione di questa “cura” nasce l’attuale prassi dell’indulgenza. L’indulgenza espande in noi l’efficacia del perdono sacramentale, favorendo un’apertura a Dio così profonda, da disporre il nostro cuore all’incontro definiti-vo con lui, quando lo vedremo così come Egli è (cf 1Gv 3,2). Per questo, ogni assoluzione sacramentale stimola ed esige un’ulteriore crescita spirituale, di cui è espressione la stessa “penitenza” che il confessore ci dà. Ma quanta fatica e incertezza, da parte nostra! Come non sentire il bisogno di una grazia speciale, che ci consenta di realizzare più agevolmente questa totale guarigione del cuore? Ecco la grazia dell’indulgenza! Essa non è uno “scon-

FRANCESCO CHIESE AL PAPA

UNA INDULGENZA “SENZA OBOLO”. A

MISURA DUNQUE DEI NULLATENENTI

“VI VOGLIO MANDARE TUTTI IN PARADISO”

PENSAVA, FRANCESCO, SOLO ALL’AL DI LÀ?

AL CONTRARIO: CREDO VOLESSE

CONDIVIDERE CON TUTTI IL PARADISO CHE AVEVA DENTRO

Dalla spogliazione all’indulgenza della Porziuncola corre il cammino di un uomo trasfigurato

Difensore e CUSTODE dei poveri

Agosto 2016 Agosto 201614 15

IIil perdono ieri

Agosto 2016 Agosto 201614 15

IIil perdono ieri

Agosto 2016 Agosto 201616 17

IL PERDONO IERI

I l beato Francesco risiedeva presso Santa Maria della Porziuncola, ed una notte gli fu rivelato dal Signore che si recasse dal sommo pontefice Onorio, che in quel tempo dimorava a Perugia,

per impetrare una Indulgenza a favore della medesi-ma chiesa di Santa Maria della Porziuncola, riparata allora da lui stesso. [...] si presentò al cospetto di papa Onorio, e disse: “Santo Padre, di recente, ad onore

della Vergine Madre di Cristo, riparai per voi una chiesa. Prego umilmente vostra santità che vi poniate un’Indulgenza senza oboli”. Il papa rispose: “Questo, stando alla consuetudine, non si può fare, poiché è op-portuno che colui che chiede un’Indulgenza la meriti stendendo la mano ad aiutare, ma tuttavia indicami quanti anni vuoi che io fissi riguardo all’Indulgen-za”. San Francesco gli rispose: “Santo Padre, piaccia

alla vostra santità concedermi, non anni, ma anime”. Ed il papa riprese: “In che modo vuoi delle anime?”. Il beato Francesco rispose: “Santo Padre, voglio, se ciò piace alla vostra santità, che quanti verranno a que-sta chiesa confessati, pentiti e, come conviene, assolti dal sacerdote, siano liberati dalla colpa e dalla pena in cielo e in terra, dal giorno del battesimo al giorno ed all’ora dell’entrata in questa chiesa”. Il papa rispo-

se: “Molto è ciò che chiedi, o Francesco; non è infatti consuetudine della Curia romana concedere una si-mile indulgenza”. Il beato Francesco rispose: “Signore, ciò che chiedo non viene da me, ma lo chiedo da parte di colui che mi ha mandato, il Signore Gesù Cristo”. Allora il signor papa, senza indugio proruppe dicendo tre volte: “Ordino che tu l’abbia”. I cardinali presenti obiettarono: “Badate signore, che se concedete a costui una tale Indulgenza, farete scomparire l’Indulgenza della Terra Santa e ridurrete a nulla quella degli apostoli Pietro e Paolo, che sarà tenuta in nessun conto”. Rispose il papa: “Gliela ab-biamo data e concessa, non possiamo né è convenien-te annullare ciò che è stato fatto, ma regoliamola in modo tale che la sua validità si estenda solo per una giornata”. Allora chiamò san Francesco e gli disse: “Ecco, da ora concediamo che chiunque verrà ed entrerà nella predetta chiesa, opportunamente confessato e pentito, sia assolto dalla pena e dalla colpa; e vogliamo che questo valga ogni anno in perpetuo ma solo per una giornata, dai primi vespri compresa la notte, sino ai vespri del giorno seguente”. Mentre il Beato Francesco, fatto l’inchino, usciva dal palazzo, il papa, vedendolo allontanarsi, chiamandolo disse: “O semplicione dove vai? Quale prova porti tu di tale Indulgenza?”. E il Be-ato Francesco rispose: “Per me è sufficiente la vostra parola. Se è opera di Dio, tocca a Lui renderla mani-festa. Di tale Indulgenza non voglio altro istrumento, ma solo che la Vergine Maria sia la carta, Cristo sia il notaio e gli Angeli siano i testimoni”. [...] Con quanta solennità poi fu resa pubblica l’Indulgenza nell’occasione della consacrazione della stessa chiesa da parte di sette vescovi, non intendia-mo scrivere se non soltanto quello che Pietro Zalfa-ni, presente a detta consacrazione, affermò davanti a frate Angelo ministro provinciale, a frate Bonifazio, frate Guido, frate Bartolo da Perugia e ad altri fra-ti del convento della Porziuncola: e cioè che egli era presente alla consacrazione di quella chiesa, che fu celebrata il 2 agosto ed aveva ascoltato il Beato Fran-cesco mentre predicava alla presenza di quei vescovi; che egli aveva in mano la “cedola” e diceva: “Io vi voglio mandare tutti in paradiso e vi annuncio una Indulgenza che ho ottenuto dalla bocca del sommo pontefice. Tutti voi che siete venuti oggi, e tutti coloro che ogni anno verranno in questo giorno, con buona disposizione di cuore e pentiti, abbiano l’Indulgenza di tutti i loro peccati”.

Dal Diploma di Teobaldo, FF 3391 - 3399

“... NON ANNI, MA ANIME”

Agosto 2016 Agosto 201616 17

IL PERDONO IERI

I l beato Francesco risiedeva presso Santa Maria della Porziuncola, ed una notte gli fu rivelato dal Signore che si recasse dal sommo pontefice Onorio, che in quel tempo dimorava a Perugia,

per impetrare una Indulgenza a favore della medesi-ma chiesa di Santa Maria della Porziuncola, riparata allora da lui stesso. [...] si presentò al cospetto di papa Onorio, e disse: “Santo Padre, di recente, ad onore

della Vergine Madre di Cristo, riparai per voi una chiesa. Prego umilmente vostra santità che vi poniate un’Indulgenza senza oboli”. Il papa rispose: “Questo, stando alla consuetudine, non si può fare, poiché è op-portuno che colui che chiede un’Indulgenza la meriti stendendo la mano ad aiutare, ma tuttavia indicami quanti anni vuoi che io fissi riguardo all’Indulgen-za”. San Francesco gli rispose: “Santo Padre, piaccia

alla vostra santità concedermi, non anni, ma anime”. Ed il papa riprese: “In che modo vuoi delle anime?”. Il beato Francesco rispose: “Santo Padre, voglio, se ciò piace alla vostra santità, che quanti verranno a que-sta chiesa confessati, pentiti e, come conviene, assolti dal sacerdote, siano liberati dalla colpa e dalla pena in cielo e in terra, dal giorno del battesimo al giorno ed all’ora dell’entrata in questa chiesa”. Il papa rispo-

se: “Molto è ciò che chiedi, o Francesco; non è infatti consuetudine della Curia romana concedere una si-mile indulgenza”. Il beato Francesco rispose: “Signore, ciò che chiedo non viene da me, ma lo chiedo da parte di colui che mi ha mandato, il Signore Gesù Cristo”. Allora il signor papa, senza indugio proruppe dicendo tre volte: “Ordino che tu l’abbia”. I cardinali presenti obiettarono: “Badate signore, che se concedete a costui una tale Indulgenza, farete scomparire l’Indulgenza della Terra Santa e ridurrete a nulla quella degli apostoli Pietro e Paolo, che sarà tenuta in nessun conto”. Rispose il papa: “Gliela ab-biamo data e concessa, non possiamo né è convenien-te annullare ciò che è stato fatto, ma regoliamola in modo tale che la sua validità si estenda solo per una giornata”. Allora chiamò san Francesco e gli disse: “Ecco, da ora concediamo che chiunque verrà ed entrerà nella predetta chiesa, opportunamente confessato e pentito, sia assolto dalla pena e dalla colpa; e vogliamo che questo valga ogni anno in perpetuo ma solo per una giornata, dai primi vespri compresa la notte, sino ai vespri del giorno seguente”. Mentre il Beato Francesco, fatto l’inchino, usciva dal palazzo, il papa, vedendolo allontanarsi, chiamandolo disse: “O semplicione dove vai? Quale prova porti tu di tale Indulgenza?”. E il Be-ato Francesco rispose: “Per me è sufficiente la vostra parola. Se è opera di Dio, tocca a Lui renderla mani-festa. Di tale Indulgenza non voglio altro istrumento, ma solo che la Vergine Maria sia la carta, Cristo sia il notaio e gli Angeli siano i testimoni”. [...] Con quanta solennità poi fu resa pubblica l’Indulgenza nell’occasione della consacrazione della stessa chiesa da parte di sette vescovi, non intendia-mo scrivere se non soltanto quello che Pietro Zalfa-ni, presente a detta consacrazione, affermò davanti a frate Angelo ministro provinciale, a frate Bonifazio, frate Guido, frate Bartolo da Perugia e ad altri fra-ti del convento della Porziuncola: e cioè che egli era presente alla consacrazione di quella chiesa, che fu celebrata il 2 agosto ed aveva ascoltato il Beato Fran-cesco mentre predicava alla presenza di quei vescovi; che egli aveva in mano la “cedola” e diceva: “Io vi voglio mandare tutti in paradiso e vi annuncio una Indulgenza che ho ottenuto dalla bocca del sommo pontefice. Tutti voi che siete venuti oggi, e tutti coloro che ogni anno verranno in questo giorno, con buona disposizione di cuore e pentiti, abbiano l’Indulgenza di tutti i loro peccati”.

Dal Diploma di Teobaldo, FF 3391 - 3399

“... NON ANNI, MA ANIME”

Agosto 2016 Agosto 201618 19

IL PERDONO IERI

ROBERTO RUSCONI / STORICO

C on queste parole Francesco d’Assisi, alla pre-senza di sette vescovi dell’Umbria, da un pul-pito eretto sulla spianata

antistante la chiesetta della Porziun-cola, annunciava a una folla di fede-li di avere ottenuto un privilegio dal Papa. Chiunque vi fosse venuto in pellegrinaggio il giorno della dedi-cazione della chiesa, vale a dire il 2 agosto, qualora si fosse pentito dei propri peccati e confessato, avrebbe conseguito l’indulgenza plenaria. In altre parole, dopo la sua morte non avrebbe dovuto scontare nessuna

pena per i propri peccati in purgatorio, prima di poter entrare in paradiso. La scena della proclamazione è stata affidata ad al-cuni dipinti. Vi si rappresentava un episodio del tutto immaginario. Negli anni ’70 del ‘200 la conces-sione papale era data per scontata. Nella prima metà ‘300 i vescovi di Assisi si proposero di colmare la la-cuna di un documento papale con propri documenti. Dal canto loro i frati minori si sforzarono di “in-ventare” – cioè di creare ex novo pretendendo di scoprire una realtà dimenticata – la storia di quell’in-

dulgenza. In fondo alla chiesetta, attualmente inglobata in una enorme basilica cinquecentesca, un pala d’altare rias-sumeva agli occhi dei pellegrini lo svolgersi di quei lontani avvenimenti. Di qui l’affanno a fondare un privilegio per il quale non esisteva alcun documento. “Dove vai, o sem-plicione”, avrebbe detto papa Onorio III a Francesco che se ne andava dopo avere ottenuto l’assenso del Papa, ma senza una pergamena tra le mani. Passarono i decenni e il mona-co divenuto papa per qualche mese nel 1294, Celestino V, sottoscrisse una bolla, con la quale concedeva formalmente l’indulgenza plenaria a quanto si fossero recati presso la basilica di Collemaggio all’Aquila nel giorno della sua dedicazione, la festa di san Giovanni Battista, tra 28 e 29 agosto. La perdonanza aquilana fu cassata da Bonifa-cio VIII appena divenne papa.Non lo fece con la perdonanza assisana (anche perché non vi era nessun documento da revocare…). Il Papa in-vece fu indotto a proclamare il primo anno santo agli inizi

dell’anno ‘300, per riaffermare la pienezza del suo potere. Il santuario assisano costruito all’estremità della città, sopra la tomba del Santo, e la chiesetta nella piana sotto-stante, strettamente legata alla memoria dei primordi fran-cescani, hanno rappresentato i richiami tangibili alla storia del giovane assisano che si fece povero e divenne san-

to. Per fare visita a quei luoghi nel tempo si sono modificati gli itinerari di pellegrinaggio, attirando anche teologi e predicatori dell’ordine dei frati minori. E anche una serie di malfattori: la folla che si ammassa-va intorno alla Porziuncola in quei giorni aveva comportamenti anche assai vivaci e molto spicciativi. Nell’anno santo straordinario della misericordia, indetto dal Papa, un gesuita argentino, che ha voluto

prendere il nome del santo assisiate, una mostra documen-taria ci presenta le tracce di una storia lontana, che però si è protratta nel tempo. Sull’esistenza del purgatorio ormai si fa assai meno conto, ma della misericordia da parte di Dio e fra gli uomini pare esservi un grande bisogno.

CHI FOSSE VENUTO IN PELLEGRINAGGIO ALLA PORZIUNCOLA IL 2 AGOSTO, E SI

FOSSE PENTITO DEI PROPRI PECCATI E CONFESSATO,

AVREBBE CONSEGUITO L’INDULGENZA

PLENARIA

IN FONDO ALLA CHIESETTA UN PALA

D’ALTARE RIASSUMEVA AGLI OCCHI DEI PELLEGRINI LO SVOLGERSI DI QUEI LONTANI AVVENIMENTI

Francesco annuncia a tutti il grande dono ricevuto da Cristo e dalla Chiesa (part) Porziuncola, Prete Ilario da Viterbo (1393)

La Bolla papale con cui Bonifacio VIII indice il primo Giubileo nel 1300

Con queste parole Francesco d’Assisi, da un pulpito eretto sulla spianata antistante la chiesetta della Porziuncola, annunciava a una folla di fedeli di avere ottenuto un privilegio dal Papa

Voglio mandare tutti in PARADISO

Agosto 2016 Agosto 201618 19

IL PERDONO IERI

ROBERTO RUSCONI / STORICO

C on queste parole Francesco d’Assisi, alla pre-senza di sette vescovi dell’Umbria, da un pul-pito eretto sulla spianata

antistante la chiesetta della Porziun-cola, annunciava a una folla di fede-li di avere ottenuto un privilegio dal Papa. Chiunque vi fosse venuto in pellegrinaggio il giorno della dedi-cazione della chiesa, vale a dire il 2 agosto, qualora si fosse pentito dei propri peccati e confessato, avrebbe conseguito l’indulgenza plenaria. In altre parole, dopo la sua morte non avrebbe dovuto scontare nessuna

pena per i propri peccati in purgatorio, prima di poter entrare in paradiso. La scena della proclamazione è stata affidata ad al-cuni dipinti. Vi si rappresentava un episodio del tutto immaginario. Negli anni ’70 del ‘200 la conces-sione papale era data per scontata. Nella prima metà ‘300 i vescovi di Assisi si proposero di colmare la la-cuna di un documento papale con propri documenti. Dal canto loro i frati minori si sforzarono di “in-ventare” – cioè di creare ex novo pretendendo di scoprire una realtà dimenticata – la storia di quell’in-

dulgenza. In fondo alla chiesetta, attualmente inglobata in una enorme basilica cinquecentesca, un pala d’altare rias-sumeva agli occhi dei pellegrini lo svolgersi di quei lontani avvenimenti. Di qui l’affanno a fondare un privilegio per il quale non esisteva alcun documento. “Dove vai, o sem-plicione”, avrebbe detto papa Onorio III a Francesco che se ne andava dopo avere ottenuto l’assenso del Papa, ma senza una pergamena tra le mani. Passarono i decenni e il mona-co divenuto papa per qualche mese nel 1294, Celestino V, sottoscrisse una bolla, con la quale concedeva formalmente l’indulgenza plenaria a quanto si fossero recati presso la basilica di Collemaggio all’Aquila nel giorno della sua dedicazione, la festa di san Giovanni Battista, tra 28 e 29 agosto. La perdonanza aquilana fu cassata da Bonifa-cio VIII appena divenne papa.Non lo fece con la perdonanza assisana (anche perché non vi era nessun documento da revocare…). Il Papa in-vece fu indotto a proclamare il primo anno santo agli inizi

dell’anno ‘300, per riaffermare la pienezza del suo potere. Il santuario assisano costruito all’estremità della città, sopra la tomba del Santo, e la chiesetta nella piana sotto-stante, strettamente legata alla memoria dei primordi fran-cescani, hanno rappresentato i richiami tangibili alla storia del giovane assisano che si fece povero e divenne san-

to. Per fare visita a quei luoghi nel tempo si sono modificati gli itinerari di pellegrinaggio, attirando anche teologi e predicatori dell’ordine dei frati minori. E anche una serie di malfattori: la folla che si ammassa-va intorno alla Porziuncola in quei giorni aveva comportamenti anche assai vivaci e molto spicciativi. Nell’anno santo straordinario della misericordia, indetto dal Papa, un gesuita argentino, che ha voluto

prendere il nome del santo assisiate, una mostra documen-taria ci presenta le tracce di una storia lontana, che però si è protratta nel tempo. Sull’esistenza del purgatorio ormai si fa assai meno conto, ma della misericordia da parte di Dio e fra gli uomini pare esservi un grande bisogno.

CHI FOSSE VENUTO IN PELLEGRINAGGIO ALLA PORZIUNCOLA IL 2 AGOSTO, E SI

FOSSE PENTITO DEI PROPRI PECCATI E CONFESSATO,

AVREBBE CONSEGUITO L’INDULGENZA

PLENARIA

IN FONDO ALLA CHIESETTA UN PALA

D’ALTARE RIASSUMEVA AGLI OCCHI DEI PELLEGRINI LO SVOLGERSI DI QUEI LONTANI AVVENIMENTI

Francesco annuncia a tutti il grande dono ricevuto da Cristo e dalla Chiesa (part) Porziuncola, Prete Ilario da Viterbo (1393)

La Bolla papale con cui Bonifacio VIII indice il primo Giubileo nel 1300

Con queste parole Francesco d’Assisi, da un pulpito eretto sulla spianata antistante la chiesetta della Porziuncola, annunciava a una folla di fedeli di avere ottenuto un privilegio dal Papa

Voglio mandare tutti in PARADISO

Agosto 2016 Agosto 201620 21

IL PERDONO IERI

FRANCO CARDINI / STORICO

L a ricorrenza dell’ottavo centenario del “Per-dono di Assisi” (1216-2016) è, sul piano del-la cronologia storica, alquanto contestata. Solo con il Liber Sacre

Indulgentie di frate Francesco di Bartolo d’Assisi, che compì la sue ricerche fra il 1331 e il 1334 e organizzò i documenti, le nar-razioni storiche e le notizie de-vozionali relative all’Indulgentia, noi disponiamo di un quadro completo; i due codici principali sono conservati ancora oggi nella Biblioteca del Sacro Convento di Assisi. Tuttavia, già in quegli anni, era ormai una tradizione conso-lidata ma oggetto di difficoltà e di discussioni. A testimoniarcelo è una famosa quaestio redatta tra 1279 e 1285 dal mistico e teolo-go provenzale Pietro di Giovanni Olivi, il quale c’informa di quanto incerti fossero gli indizi e i pareri a proposito del fatto che papa Onorio III avesse potuto concedere a Francesco d’Assisi un’in-dulgenza plenaria di quell’importanza e di quell’am-piezza: gesto davvero ecceziona-le in quell’inizio del Duecento, e non comprovato da alcuna lettera papale di concessione. Alcuni decenni più tardi la situazione doveva essere mutata ma non risolta, dato che il Liber di Francesco di Bartolo, senza dubbio redatto nelle intenzioni di porre fine a dubbi e a polemiche, conobbe una precoce e vasta for-tuna. Fu divulgato e volgarizzato, ed è appunto a un volgarizzamento in lingua occitana che noi dobbiamo la sua definizione come perdonan-za. Ma già qualche anno prima del lavoro di France-

sco di Bartolo, entro cioè il primo ventennio del XIV secolo, il cronista fabrianese Francesco Venimbeni in-dicava il 1216 come l’anno della concessione papale

dell’Indulgenza. In tal modo si attribuiva a una delle prime de-cisioni di Onorio III una scelta rivoluzionaria, che non può non essere connessa non solo con le incipienti fortune della fraterni-tas promossa dal Povero di Assi-si, ma altresì con le soluzioni del IV concilio lateranense e con la stessa dinamica del movimento crociato: che non solo era come sappiamo l’oggetto dell’Indul-genza legata all’Iter Hierosolymi-tanum, ma che avrebbe anche di lì a poco interessato lo stesso frate Francesco con esiti sui quali ancora, e vivacemente, si discute (l’incontro con il sultano al-Malik

al-Kamil e il testo del capitolo 16 della Regula non bullata). Ma, al di là di un evento capitale nella storia delle indulgenze, lo studio sulla genesi del “Perdono” coin-

volge il tema – ancora più affasci-nante e capitale – della Porziun-cola, toponimo già segnalato a metà dell’XI secolo e corrispon-dente a una semplice capella di-pendente dal monastero di san Benedetto del Subasio secondo una lettera di papa Innocenzo IV nel 1244, ma sede altresì di un luogo caro a Francesco e ai suoi primi seguaci e nel quale – se-condo una data poi divenuta tra-

dizionale – nel 1215 sarebbe stata consacrata la chie-setta di Santa Maria degli Angeli. Dal Trecento in poi comunque, il pellegrinaggio

al luogo sito alle falde del Subasio – dove alla fine del secolo XVI sarebbe sorta poi la celebre, impo-nente basilica (la “cupola bella del Vignola” ammirata da Giosuè Carducci) – divenne uno dei più noti d’I-talia e della Cristianità occidentale: e parte di quel-la translatio Terrae Sanctae dalla Palestina di Gesù all’Umbria del serafico alter Christus, autentica plan-che tournante nel complesso rapporto tra crociata e pellegrinaggio. Il resto è storia nota, ben documentata, ma tanto intensa e significativa quanto, qua e là, perfino diver-tente: come quando si esaminano le vicende comples-se e colorite della “Festa del Perdono”, della relativa processione e del giro di proventi, profitti e interessi che animarono nei secoli la controversia per la gestio-ne dei diritti e delle cerimonie tra i conventuali del Sacro Convento e i minori di Santa Maria degli Angeli. Una controversia nella quale dovettero intervenire an-che dei big della Chiesa come Roberto Bellarmino e Prospero Lambertini, futuro Benedetto XIV.

IL CRONISTA FABRIANESE FRANCESCO

VENIMBENI INDICAVA IL 1216 COME L’ANNO DELLA

CONCESSIONE PAPALE DELL’INDULGENZA.

IN TAL MODO SI ATTRIBUIVA A

UNA DELLE PRIME DECISIONI DI ONORIO

III UNA SCELTA RIVOLUZIONARIA

LO STUDIO SULLA GENESI

DEL “PERDONO” COINVOLGE IL TEMA DELLA PORZIUNCOLA,

TOPONIMO GIÀ SEGNALATO A METÀ

DELL’XI SECOLO

A destra: San Francesco salva le anime del purgatorioIn basso: Liber sacre indulgentie Sancte Marie de Portiuncola vel de AngelisAssisi, Archivio Storico del Sacro Convento di San Francesco

Con il Liber Sacre Indulgentie, frate Francesco di Bartolo d’Assisi, che compì la sue ricerche fra il 1331 e il 1334, organizzò i documenti, le narrazioni storiche e le notizie devozionali relative all’Indulgentia

Per una “GENESI” del perdono

Agosto 2016 Agosto 201620 21

IL PERDONO IERI

FRANCO CARDINI / STORICO

L a ricorrenza dell’ottavo centenario del “Per-dono di Assisi” (1216-2016) è, sul piano del-la cronologia storica, alquanto contestata. Solo con il Liber Sacre

Indulgentie di frate Francesco di Bartolo d’Assisi, che compì la sue ricerche fra il 1331 e il 1334 e organizzò i documenti, le nar-razioni storiche e le notizie de-vozionali relative all’Indulgentia, noi disponiamo di un quadro completo; i due codici principali sono conservati ancora oggi nella Biblioteca del Sacro Convento di Assisi. Tuttavia, già in quegli anni, era ormai una tradizione conso-lidata ma oggetto di difficoltà e di discussioni. A testimoniarcelo è una famosa quaestio redatta tra 1279 e 1285 dal mistico e teolo-go provenzale Pietro di Giovanni Olivi, il quale c’informa di quanto incerti fossero gli indizi e i pareri a proposito del fatto che papa Onorio III avesse potuto concedere a Francesco d’Assisi un’in-dulgenza plenaria di quell’importanza e di quell’am-piezza: gesto davvero ecceziona-le in quell’inizio del Duecento, e non comprovato da alcuna lettera papale di concessione. Alcuni decenni più tardi la situazione doveva essere mutata ma non risolta, dato che il Liber di Francesco di Bartolo, senza dubbio redatto nelle intenzioni di porre fine a dubbi e a polemiche, conobbe una precoce e vasta for-tuna. Fu divulgato e volgarizzato, ed è appunto a un volgarizzamento in lingua occitana che noi dobbiamo la sua definizione come perdonan-za. Ma già qualche anno prima del lavoro di France-

sco di Bartolo, entro cioè il primo ventennio del XIV secolo, il cronista fabrianese Francesco Venimbeni in-dicava il 1216 come l’anno della concessione papale

dell’Indulgenza. In tal modo si attribuiva a una delle prime de-cisioni di Onorio III una scelta rivoluzionaria, che non può non essere connessa non solo con le incipienti fortune della fraterni-tas promossa dal Povero di Assi-si, ma altresì con le soluzioni del IV concilio lateranense e con la stessa dinamica del movimento crociato: che non solo era come sappiamo l’oggetto dell’Indul-genza legata all’Iter Hierosolymi-tanum, ma che avrebbe anche di lì a poco interessato lo stesso frate Francesco con esiti sui quali ancora, e vivacemente, si discute (l’incontro con il sultano al-Malik

al-Kamil e il testo del capitolo 16 della Regula non bullata). Ma, al di là di un evento capitale nella storia delle indulgenze, lo studio sulla genesi del “Perdono” coin-

volge il tema – ancora più affasci-nante e capitale – della Porziun-cola, toponimo già segnalato a metà dell’XI secolo e corrispon-dente a una semplice capella di-pendente dal monastero di san Benedetto del Subasio secondo una lettera di papa Innocenzo IV nel 1244, ma sede altresì di un luogo caro a Francesco e ai suoi primi seguaci e nel quale – se-condo una data poi divenuta tra-

dizionale – nel 1215 sarebbe stata consacrata la chie-setta di Santa Maria degli Angeli. Dal Trecento in poi comunque, il pellegrinaggio

al luogo sito alle falde del Subasio – dove alla fine del secolo XVI sarebbe sorta poi la celebre, impo-nente basilica (la “cupola bella del Vignola” ammirata da Giosuè Carducci) – divenne uno dei più noti d’I-talia e della Cristianità occidentale: e parte di quel-la translatio Terrae Sanctae dalla Palestina di Gesù all’Umbria del serafico alter Christus, autentica plan-che tournante nel complesso rapporto tra crociata e pellegrinaggio. Il resto è storia nota, ben documentata, ma tanto intensa e significativa quanto, qua e là, perfino diver-tente: come quando si esaminano le vicende comples-se e colorite della “Festa del Perdono”, della relativa processione e del giro di proventi, profitti e interessi che animarono nei secoli la controversia per la gestio-ne dei diritti e delle cerimonie tra i conventuali del Sacro Convento e i minori di Santa Maria degli Angeli. Una controversia nella quale dovettero intervenire an-che dei big della Chiesa come Roberto Bellarmino e Prospero Lambertini, futuro Benedetto XIV.

IL CRONISTA FABRIANESE FRANCESCO

VENIMBENI INDICAVA IL 1216 COME L’ANNO DELLA

CONCESSIONE PAPALE DELL’INDULGENZA.

IN TAL MODO SI ATTRIBUIVA A

UNA DELLE PRIME DECISIONI DI ONORIO

III UNA SCELTA RIVOLUZIONARIA

LO STUDIO SULLA GENESI

DEL “PERDONO” COINVOLGE IL TEMA DELLA PORZIUNCOLA,

TOPONIMO GIÀ SEGNALATO A METÀ

DELL’XI SECOLO

A destra: San Francesco salva le anime del purgatorioIn basso: Liber sacre indulgentie Sancte Marie de Portiuncola vel de AngelisAssisi, Archivio Storico del Sacro Convento di San Francesco

Con il Liber Sacre Indulgentie, frate Francesco di Bartolo d’Assisi, che compì la sue ricerche fra il 1331 e il 1334, organizzò i documenti, le narrazioni storiche e le notizie devozionali relative all’Indulgentia

Per una “GENESI” del perdono

Agosto 2016 Agosto 201622 23

IIil perdono oggi

Agosto 2016 Agosto 201622 23

IIil perdono oggi

Agosto 2016 Agosto 201624 25

IL PERDONO OGGI

PASQUALE BERARDINETTI / FRATI MINORI DELLA PORZIUNCOLA

N el caldo pomeriggio di lunedì 11 luglio, a 500 anni dalla pubblicazione del breve Romanum

Pontificem (11 luglio 1517), i frati delle Famiglie francescane dell’Umbria si sono dati appun-tamento presso la Porziunco-la per celebrare un importan-tissimo passo del cammino denominato “Frati francescani in Capitolo”, voluto per cammi-

nare insieme e crescere nella comune vocazione e missione francescana. Lo scor-so novembre il primo incontro ufficiale, in tal senso, mirato a “ricordare” e “comprendere” gli avvenimenti, anche quelli con-flittuali, entrati nella storia del I Ordine francescano. In realtà i primi veri passi sono stati mos-si qualche mese prima da Assisi verso Roma in un pellegrinaggio – durato circa una settimana –

“FRATI FRANCESCANI IN CAPITOLO”, VOLUTO PER

CAMMINARE INSIEME E CRESCERE NELLA

COMUNE VOCAZIONE E MISSIONE

FRANCESCANA

Chiedendo e donandosi il Perdono alla Porziuncola

RICONCILIATI per camminare insieme

Agosto 2016 Agosto 201624 25

IL PERDONO OGGI

PASQUALE BERARDINETTI / FRATI MINORI DELLA PORZIUNCOLA

N el caldo pomeriggio di lunedì 11 luglio, a 500 anni dalla pubblicazione del breve Romanum

Pontificem (11 luglio 1517), i frati delle Famiglie francescane dell’Umbria si sono dati appun-tamento presso la Porziunco-la per celebrare un importan-tissimo passo del cammino denominato “Frati francescani in Capitolo”, voluto per cammi-

nare insieme e crescere nella comune vocazione e missione francescana. Lo scor-so novembre il primo incontro ufficiale, in tal senso, mirato a “ricordare” e “comprendere” gli avvenimenti, anche quelli con-flittuali, entrati nella storia del I Ordine francescano. In realtà i primi veri passi sono stati mos-si qualche mese prima da Assisi verso Roma in un pellegrinaggio – durato circa una settimana –

“FRATI FRANCESCANI IN CAPITOLO”, VOLUTO PER

CAMMINARE INSIEME E CRESCERE NELLA

COMUNE VOCAZIONE E MISSIONE

FRANCESCANA

Chiedendo e donandosi il Perdono alla Porziuncola

RICONCILIATI per camminare insieme

Agosto 2016 Agosto 201626 27

IL PERDONO OGGI

che ha visto coinvolti rappresentanze dei frati umbri “dalle tonache diverse ma con lo stesso cingolo”. All’interno dell’Anno Santo straordinario della Misericordia e alle soglie dell’imminente Giubileo del Perdono di Assisi (1216-2016), la memoria e la comprensione sono confluite in una reciproca richiesta di per-dono e di gioiosa accoglienza della misericordia, per giungere – il prossimo anno – alla cele-brazione di un “Capitolo genera-lissimo” con il quale si intende adempiere simbolicamente alla convocazione del Capitolo, mai celebrato, contenuta nella missi-va del 1517 di Papa Leone X. Tutta l’iniziativa nasce dai Frati Minori, dai Frati Mino-ri Conventuali, dai Frati Mino-ri Cappuccini e dai Frati del Terz’Ordine Regolare dell’Um-bria. Fin da subito è stata fatta propria dai rispettivi Ministri generali, presenti in questa importantissima giornata di riconciliazione. Il primo di loro ad intervenire è stato fra Mauro Jöhri, Ministro generale OFM Capp, che ha introdot-

to la giornata invitando i presenti alla stima reciproca e a voler convergere per camminare insieme, non ri-tenendo esserci – tra i frati – meriti o demeriti solo in base all’appartenenza ad una famiglia. Fra Mauro ha espresso gratitudine, anche a nome degli altri Mini-

stri, a tutti i frati dell’Umbria per l’iniziativa in corso, sottolinean-do la preziosità che la stessa sia partita da Assisi dove il france-scanesimo è nato. È seguita, poi, la proiezione di un breve video con alcune testimonianze, di frati e studio-si, volte a far emergere – sotto forma di aneddoti e riflessioni – alcune difficoltà e anche i mo-menti belli che hanno segnato le relazioni tra i frati in questi pas-sati 500 anni. Fra Marco Tasca, Ministro ge-nerale OFM Conv, nato e cre-sciuto in una famiglia numero-

sa, ha sottolineato quanto sia quasi inevitabile che i fratelli “bisticcino” tra loro, ma è importante che prevalga la schiettezza, la parresia e, certamente, l’a-more per la propria vocazione che in fine è amore

per tutta la famiglia francescana, perché Francesco è lo stesso per tutti, come Cristo è l’unico in cui crediamo ed il Vangelo il mede-simo che cerchiamo di osservare e vivere. Fra Marco ha prosegui-to mettendo al centro il fratello e non l’idea, cosa che poi si tradu-ce nell’atteggiamento dell’acco-glienza delle differenze, le quali messe insieme sono ricchezza per tutti. Infine ha ricordato che i frati stanno già facendo insie-me diverse cose: tra le altre, nel 2018 partirà a Roma

un’unica Università Francesca-na, e poi si sta pensando ad una presenza comune dei nostri Or-dini a Gerusalemme. A questo punto i frati si sono disposti per procedere proces-sionalmente verso la Basilica, dove si è svolta la celebrazione della Riconciliazione presiedu-ta da S.E. Mons. Gualtiero Sigi-smondi, Vescovo di Foligno, che ha offerto una meditazione ed un aiuto per l’esame di coscien-

za. Preziosa l’aggiunta della parola “insieme” che il

L’INIZIATIVA NASCE DAI FRATI MINORI, DAI FRATI MINORI

CONVENTUALI, DAI FRATI MINORI

CAPPUCCINI E DAI FRATI DEL TERZ’ORDINE

REGOLARE DELL’UMBRIA

NEL 2017 CELEBRAZIONE

DI UN “CAPITOLO GENERALISSIMO” CON IL QUALE SI

INTENDE ADEMPIERE SIMBOLICAMENTE

ALLA CONVOCAZIONE DEL CAPITOLO, MAI CELEBRATO,

CONTENUTA NELLA MISSIVA DEL 1517 DI

PAPA LEONE X

Agosto 2016 Agosto 201626 27

IL PERDONO OGGI

che ha visto coinvolti rappresentanze dei frati umbri “dalle tonache diverse ma con lo stesso cingolo”. All’interno dell’Anno Santo straordinario della Misericordia e alle soglie dell’imminente Giubileo del Perdono di Assisi (1216-2016), la memoria e la comprensione sono confluite in una reciproca richiesta di per-dono e di gioiosa accoglienza della misericordia, per giungere – il prossimo anno – alla cele-brazione di un “Capitolo genera-lissimo” con il quale si intende adempiere simbolicamente alla convocazione del Capitolo, mai celebrato, contenuta nella missi-va del 1517 di Papa Leone X. Tutta l’iniziativa nasce dai Frati Minori, dai Frati Mino-ri Conventuali, dai Frati Mino-ri Cappuccini e dai Frati del Terz’Ordine Regolare dell’Um-bria. Fin da subito è stata fatta propria dai rispettivi Ministri generali, presenti in questa importantissima giornata di riconciliazione. Il primo di loro ad intervenire è stato fra Mauro Jöhri, Ministro generale OFM Capp, che ha introdot-

to la giornata invitando i presenti alla stima reciproca e a voler convergere per camminare insieme, non ri-tenendo esserci – tra i frati – meriti o demeriti solo in base all’appartenenza ad una famiglia. Fra Mauro ha espresso gratitudine, anche a nome degli altri Mini-

stri, a tutti i frati dell’Umbria per l’iniziativa in corso, sottolinean-do la preziosità che la stessa sia partita da Assisi dove il france-scanesimo è nato. È seguita, poi, la proiezione di un breve video con alcune testimonianze, di frati e studio-si, volte a far emergere – sotto forma di aneddoti e riflessioni – alcune difficoltà e anche i mo-menti belli che hanno segnato le relazioni tra i frati in questi pas-sati 500 anni. Fra Marco Tasca, Ministro ge-nerale OFM Conv, nato e cre-sciuto in una famiglia numero-

sa, ha sottolineato quanto sia quasi inevitabile che i fratelli “bisticcino” tra loro, ma è importante che prevalga la schiettezza, la parresia e, certamente, l’a-more per la propria vocazione che in fine è amore

per tutta la famiglia francescana, perché Francesco è lo stesso per tutti, come Cristo è l’unico in cui crediamo ed il Vangelo il mede-simo che cerchiamo di osservare e vivere. Fra Marco ha prosegui-to mettendo al centro il fratello e non l’idea, cosa che poi si tradu-ce nell’atteggiamento dell’acco-glienza delle differenze, le quali messe insieme sono ricchezza per tutti. Infine ha ricordato che i frati stanno già facendo insie-me diverse cose: tra le altre, nel 2018 partirà a Roma

un’unica Università Francesca-na, e poi si sta pensando ad una presenza comune dei nostri Or-dini a Gerusalemme. A questo punto i frati si sono disposti per procedere proces-sionalmente verso la Basilica, dove si è svolta la celebrazione della Riconciliazione presiedu-ta da S.E. Mons. Gualtiero Sigi-smondi, Vescovo di Foligno, che ha offerto una meditazione ed un aiuto per l’esame di coscien-

za. Preziosa l’aggiunta della parola “insieme” che il

L’INIZIATIVA NASCE DAI FRATI MINORI, DAI FRATI MINORI

CONVENTUALI, DAI FRATI MINORI

CAPPUCCINI E DAI FRATI DEL TERZ’ORDINE

REGOLARE DELL’UMBRIA

NEL 2017 CELEBRAZIONE

DI UN “CAPITOLO GENERALISSIMO” CON IL QUALE SI

INTENDE ADEMPIERE SIMBOLICAMENTE

ALLA CONVOCAZIONE DEL CAPITOLO, MAI CELEBRATO,

CONTENUTA NELLA MISSIVA DEL 1517 DI

PAPA LEONE X

Agosto 2016 Agosto 201628 29

IL PERDONO OGGI

Vescovo ha fatto alla frase di san Francesco “fratelli, voglio mandarvi tutti insieme in Paradiso”, come an-che il riferimento finale alla Porziuncola, benedettina e francescana, nel giorno in cui si celebrava la festa liturgica del santo Patrono d’Europa, Benedetto aba-te. Ma rimandiamo al video per gustare appieno il dono che il Signore ci ha fatto attraverso la parola di Mons. Gualtiero. Il rito è poi proseguito con la confessione delle colpe (nel servizio dell’unità, della verità e contro la carità), dalla voce dei Ministri provinciali delle frater-nità umbre. Poi le confessioni individuali dei frati presenti in Basilica, e finalmente la richiesta e la con-cessione reciproca di perdono tra i Ministri generali, conclusasi con un abbraccio esteso a tutti i frati. Un momento toccante conclusosi con un ringraziamen-to, di cui si sono fatti portavoce i Vicari generali, ed il passaggio in Porziuncola mentre il Vescovo asper-geva tutti con l’acqua benedetta.

I frati si sono poi trasferiti dietro alla Porziun-cola per celebrare i Vespri di san Benedetto abate, presieduti da fra Nicholas Polichnowski, Ministro generale TOR. Al termine, fra Michael A. Perry, Mi-nistro generale OFM, ha dato il suo saluto. Anche

lui, esprimendo tanta gioia, ha voluto ringraziare i frati umbri. A nome di tutti i Ministri generali ha convocato il “Capitolo gene-ralissimo” per il periodo 29 mag-gio - 2 giugno 2017. «Questa vol-ta – ha detto fra Michael – è per i frati dell’Umbria, ma speriamo la prossima volta possa celebrarsi

per il mondo intero, di poter fare quello che i nostri frati non riuscirono a fare cinque secoli fa». La serata si è conclusa con una cena consumata fraternamente nel Refettorio del Convento Porziun-cola e con un momento di festa in Chiostro, tra mu-sica sacra e non, di frate Alessandro e del Coro del Sacro Convento, ed alcuni “effetti speciali” regalatici dal celebre “Frate Mago” cappuccino.

SI STA PENSANDO AD UNA PRESENZA

COMUNE DEI NOSTRI ORDINI A GERUSALEMME

Agosto 2016 Agosto 201628 29

IL PERDONO OGGI

Vescovo ha fatto alla frase di san Francesco “fratelli, voglio mandarvi tutti insieme in Paradiso”, come an-che il riferimento finale alla Porziuncola, benedettina e francescana, nel giorno in cui si celebrava la festa liturgica del santo Patrono d’Europa, Benedetto aba-te. Ma rimandiamo al video per gustare appieno il dono che il Signore ci ha fatto attraverso la parola di Mons. Gualtiero. Il rito è poi proseguito con la confessione delle colpe (nel servizio dell’unità, della verità e contro la carità), dalla voce dei Ministri provinciali delle frater-nità umbre. Poi le confessioni individuali dei frati presenti in Basilica, e finalmente la richiesta e la con-cessione reciproca di perdono tra i Ministri generali, conclusasi con un abbraccio esteso a tutti i frati. Un momento toccante conclusosi con un ringraziamen-to, di cui si sono fatti portavoce i Vicari generali, ed il passaggio in Porziuncola mentre il Vescovo asper-geva tutti con l’acqua benedetta.

I frati si sono poi trasferiti dietro alla Porziun-cola per celebrare i Vespri di san Benedetto abate, presieduti da fra Nicholas Polichnowski, Ministro generale TOR. Al termine, fra Michael A. Perry, Mi-nistro generale OFM, ha dato il suo saluto. Anche

lui, esprimendo tanta gioia, ha voluto ringraziare i frati umbri. A nome di tutti i Ministri generali ha convocato il “Capitolo gene-ralissimo” per il periodo 29 mag-gio - 2 giugno 2017. «Questa vol-ta – ha detto fra Michael – è per i frati dell’Umbria, ma speriamo la prossima volta possa celebrarsi

per il mondo intero, di poter fare quello che i nostri frati non riuscirono a fare cinque secoli fa». La serata si è conclusa con una cena consumata fraternamente nel Refettorio del Convento Porziun-cola e con un momento di festa in Chiostro, tra mu-sica sacra e non, di frate Alessandro e del Coro del Sacro Convento, ed alcuni “effetti speciali” regalatici dal celebre “Frate Mago” cappuccino.

SI STA PENSANDO AD UNA PRESENZA

COMUNE DEI NOSTRI ORDINI A GERUSALEMME

Agosto 2016 Agosto 201630 31

P P pensieri

Foto

: AN

SA M

edic

i Sen

za F

ront

iere

Agosto 2016 Agosto 201630 31

P P pensieri

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: AN

SA M

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i Sen

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ront

iere

Agosto 2016 Agosto 201632 33

IL PERDONO IERI

ERALDO AFFINATI / SCRITTORE

Q uesto passo del Testamento di San France-sco mi fa sentire il rumore delle briglie, nel momento in cui il giovane cavaliere con un balzo impetuoso si

avvicina all’uomo ma-lato. Lui forse in quel momento non se ne rende conto, ma si tratta di un gesto spartiacque fra prima e dopo. Proviamo a pensare quante volte, ognuno di noi, ha provato il medesimo impeto partecipativo, ad esempio di fronte all’oltraggio di un principio in cui crede, oppure al co-spetto di una fragilità altrui. Cosa ne abbiamo fatto dell’e-nergia istintiva che ci pulsava nelle vene, pronta a spin-gerci oltre lo steccato delle nostre stesse convinzioni? A questa domanda non si può rispondere con leggerez-za: c’è sempre il rischio di ridurla a un semplice esame di coscienza, da cui ricavare una lista di buoni propositi. Lo spirito francescano implica una comprensione preliminare: esiste una passione segreta, pre-sente nel cuore dell’individuo, in mancanza della quale nessuno si lascerebbe alle spalle il proprio destriero. Per vedere chi soffre devi accendere l’interruttore del-la tua cantina interiore: alcuni, quando sprofondano dentro se stessi, vengono subito invasi dal-lo splendore. Chiamiamoli spiriti

eletti. Ma la grande maggioranza di noi è come il figlio di Bernardone prima del cambiamento: avanziamo a tentoni, nel buio fitto. Siamo “nei peccati”. Andiamo a

sbattere. Ci facciamo male. Pren-diamo fischi per fiaschi. Chi vive sbaglia. E sente l’amaro in bocca. Senza il reietto, inteso in senso lato, continueremmo a romperci la testa contro il muro. Non ci sa-rebbe dolcezza. Il primo dovere dell’insegnante è quello di misurarsi con l’ostaco-lo che lo scolaro gli pone. Il vero educatore deve rinunciare all’ar-matura del suo ruolo professiona-

le affidandosi alla tensione che lo anima quando in-crocia lo sguardo dell’adolescente ferito. Ecco perché, nell’epoca contemporanea, la scuola si pone come una trincea etica. Nella qualità della relazione umana che è

potenzialmente in grado di favo-rire, rappresenta un’avanguardia antropologica. Oggi esistono molti lebbrosi spirituali: giovani e adulti. Ven-gono da ogni parte del mondo e sono anche in mezzo a noi. Fran-cesco non li evita, ma sa che non basterà abbracciarli per metterli in salvo. Conta il movimento com-piuto verso di loro: nell’istante in cui scendi da cavallo, si accende una luce capace di dare senso alla tua azione.

COSA NE ABBIAMO FATTO DELL’ENERGIA

ISTINTIVA CHE CI PULSAVA NELLE VENE, PRONTA A SPINGERCI OLTRE LO STECCATO DELLE NOSTRE STESSE

CONVINZIONI?

OGGI ESISTONO MOLTI LEBBROSI

SPIRITUALI: GIOVANI E ADULTI. VENGONO

DA OGNI PARTE DEL MONDO.

FRANCESCO NON LI EVITA, MA SA

CHE NON BASTERÀ ABBRACCIARLI PER METTERLI IN SALVO

Il lebbroso mondatoFlorencillas de San Francisco Barcellona, Luis Gili Editor, 1948

Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.

(dal Testamento di San Francesco, FF 110)

La grande maggioranza di noi è come il figlio di Bernardone prima del cambiamento: avanziamo a tentoni, nel buio fitto. Siamo “nei peccati”. Andiamo a sbattere

Verso l’ALTRO

Agosto 2016 Agosto 201632 33

IL PERDONO IERI

ERALDO AFFINATI / SCRITTORE

Q uesto passo del Testamento di San France-sco mi fa sentire il rumore delle briglie, nel momento in cui il giovane cavaliere con un balzo impetuoso si

avvicina all’uomo ma-lato. Lui forse in quel momento non se ne rende conto, ma si tratta di un gesto spartiacque fra prima e dopo. Proviamo a pensare quante volte, ognuno di noi, ha provato il medesimo impeto partecipativo, ad esempio di fronte all’oltraggio di un principio in cui crede, oppure al co-spetto di una fragilità altrui. Cosa ne abbiamo fatto dell’e-nergia istintiva che ci pulsava nelle vene, pronta a spin-gerci oltre lo steccato delle nostre stesse convinzioni? A questa domanda non si può rispondere con leggerez-za: c’è sempre il rischio di ridurla a un semplice esame di coscienza, da cui ricavare una lista di buoni propositi. Lo spirito francescano implica una comprensione preliminare: esiste una passione segreta, pre-sente nel cuore dell’individuo, in mancanza della quale nessuno si lascerebbe alle spalle il proprio destriero. Per vedere chi soffre devi accendere l’interruttore del-la tua cantina interiore: alcuni, quando sprofondano dentro se stessi, vengono subito invasi dal-lo splendore. Chiamiamoli spiriti

eletti. Ma la grande maggioranza di noi è come il figlio di Bernardone prima del cambiamento: avanziamo a tentoni, nel buio fitto. Siamo “nei peccati”. Andiamo a

sbattere. Ci facciamo male. Pren-diamo fischi per fiaschi. Chi vive sbaglia. E sente l’amaro in bocca. Senza il reietto, inteso in senso lato, continueremmo a romperci la testa contro il muro. Non ci sa-rebbe dolcezza. Il primo dovere dell’insegnante è quello di misurarsi con l’ostaco-lo che lo scolaro gli pone. Il vero educatore deve rinunciare all’ar-matura del suo ruolo professiona-

le affidandosi alla tensione che lo anima quando in-crocia lo sguardo dell’adolescente ferito. Ecco perché, nell’epoca contemporanea, la scuola si pone come una trincea etica. Nella qualità della relazione umana che è

potenzialmente in grado di favo-rire, rappresenta un’avanguardia antropologica. Oggi esistono molti lebbrosi spirituali: giovani e adulti. Ven-gono da ogni parte del mondo e sono anche in mezzo a noi. Fran-cesco non li evita, ma sa che non basterà abbracciarli per metterli in salvo. Conta il movimento com-piuto verso di loro: nell’istante in cui scendi da cavallo, si accende una luce capace di dare senso alla tua azione.

COSA NE ABBIAMO FATTO DELL’ENERGIA

ISTINTIVA CHE CI PULSAVA NELLE VENE, PRONTA A SPINGERCI OLTRE LO STECCATO DELLE NOSTRE STESSE

CONVINZIONI?

OGGI ESISTONO MOLTI LEBBROSI

SPIRITUALI: GIOVANI E ADULTI. VENGONO

DA OGNI PARTE DEL MONDO.

FRANCESCO NON LI EVITA, MA SA

CHE NON BASTERÀ ABBRACCIARLI PER METTERLI IN SALVO

Il lebbroso mondatoFlorencillas de San Francisco Barcellona, Luis Gili Editor, 1948

Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.

(dal Testamento di San Francesco, FF 110)

La grande maggioranza di noi è come il figlio di Bernardone prima del cambiamento: avanziamo a tentoni, nel buio fitto. Siamo “nei peccati”. Andiamo a sbattere

Verso l’ALTRO

Agosto 2016 Agosto 201634 35

IL PERDONO IERI

ALDO NOVE / SCRITTORE

San Francesco riceve le stimmate (part.)El Greco, 1578 The Walters Art Museum, Baltimora (USA)

Il beato padre Francesco, ricolmo ogni giorno più della grazia dello Spirito Santo, si adoperava a formare con grande diligenza e amore i suoi nuovi figli, insegnando loro, con princìpi nuovi, a camminare rettamente e con passo fermo sulla via della santa povertà e della beata semplicità. Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti desiderava conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati. A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo: “O Dio, sii propizio a me peccatore!”(Lc 18,13). A poco a poco si sentì inondare nell’intimo del cuore di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé: l’angoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nell’animo per timore del peccato, scomparvero, ed ebbe la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia. Poi, come rapito fuori di sé e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente poté contemplare liberamente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza dileguarono, egli aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro.

(da Vita Prima di Tommaso da Celano, FF 363)

Q uesto passo così intenso mi riporta al mi-stero della Trasfigurazione, e a quanto poco di esso si possa dire. Si tratta piut-tosto di accogliere un mistero invalicabile

che, pure, Francesco d’Assisi ha vissuto nella sua pienezza e queste parole ci riportano con ine-quivocabile fermezza. Trasumanar significar per verba / non si porìa; però l’essemplo basti / a cui esperien-za grazia serba”, ci dice Dante in un noto quanto apparentemente er-metico passo della Comedia. L’esperienza mistica non può essere veramente detta, ma solo ispirata, “mostrata” tramite l’esem-pio. Tutta la vita di Francesco è stata una Imitatio Christi a cui si addice la nostra contemplazione. Siamo qua lontani dai mezzi che l’esegesi ci concede. Pure, con parole semplici, con la pura traspo-sizione dei fatti, possiamo sentire, “assaporare” quanto san Francesco ha vissuto sulla sua carne, fino al miracolo delle stimmate, che spesso ci dimentichiamo essere stato lui per primo a ricevere quale testimonianza del “corpo ardente” d’Amore.

Con “timore e tremore” e dunque con compartecipe sottomissione Francesco si è fatto prendere dal Padre fino a perdersi in Lui, al limite di quanto noi possiamo com-prendere. Pure, quel limite è la testimonianza intera della sua vita. E, nell’ordine temporale del viatico terrestre nostro,

qualcosa di universale e segreto si svela abbacinante ai nostri occhi, alla nostra mente. Un lampo di eternità rigeneratrice, l’esperienza che il grande mistico padre Ramon Panikkar chiama “tempeternità”: la coincidenza della nostra quotidia-nità e la possibilità di incontrare il Signore adesso. San Francesco ha vissuto in un “adesso” senza tempo quanto questo passo vertiginoso ci testimonia. A noi prenderlo semplicemente

alla lettera, senza spiegazione dialettiche, ma con “timore e tremore”, appunto, e al contempo con la dolcezza rige-neratrice della fede. Altro non credo vi sia d’aggiungere, se non quanto sia benefico leggere e rileggere questo vertiginoso passaggio della vita del Poverello d’Assisi.

CON “TIMORE E TREMORE”

FRANCESCO SI È FATTO PRENDERE DAL PADRE FINO A PERDERSI IN LUI, AL LIMITE DI QUANTO

NOI POSSIAMO COMPRENDERE

Possiamo sentire, “assaporare” quanto san Francesco ha vissuto sulla sua carne, fino al miracolo delle stimmate

La DOLCEZZA rigeneratrice della fede

Agosto 2016 Agosto 201634 35

IL PERDONO IERI

ALDO NOVE / SCRITTORE

San Francesco riceve le stimmate (part.)El Greco, 1578 The Walters Art Museum, Baltimora (USA)

Il beato padre Francesco, ricolmo ogni giorno più della grazia dello Spirito Santo, si adoperava a formare con grande diligenza e amore i suoi nuovi figli, insegnando loro, con princìpi nuovi, a camminare rettamente e con passo fermo sulla via della santa povertà e della beata semplicità. Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti desiderava conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati. A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza gli anni passati malamente e ripetendo: “O Dio, sii propizio a me peccatore!”(Lc 18,13). A poco a poco si sentì inondare nell’intimo del cuore di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé: l’angoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nell’animo per timore del peccato, scomparvero, ed ebbe la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia. Poi, come rapito fuori di sé e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente poté contemplare liberamente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza dileguarono, egli aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro.

(da Vita Prima di Tommaso da Celano, FF 363)

Q uesto passo così intenso mi riporta al mi-stero della Trasfigurazione, e a quanto poco di esso si possa dire. Si tratta piut-tosto di accogliere un mistero invalicabile

che, pure, Francesco d’Assisi ha vissuto nella sua pienezza e queste parole ci riportano con ine-quivocabile fermezza. Trasumanar significar per verba / non si porìa; però l’essemplo basti / a cui esperien-za grazia serba”, ci dice Dante in un noto quanto apparentemente er-metico passo della Comedia. L’esperienza mistica non può essere veramente detta, ma solo ispirata, “mostrata” tramite l’esem-pio. Tutta la vita di Francesco è stata una Imitatio Christi a cui si addice la nostra contemplazione. Siamo qua lontani dai mezzi che l’esegesi ci concede. Pure, con parole semplici, con la pura traspo-sizione dei fatti, possiamo sentire, “assaporare” quanto san Francesco ha vissuto sulla sua carne, fino al miracolo delle stimmate, che spesso ci dimentichiamo essere stato lui per primo a ricevere quale testimonianza del “corpo ardente” d’Amore.

Con “timore e tremore” e dunque con compartecipe sottomissione Francesco si è fatto prendere dal Padre fino a perdersi in Lui, al limite di quanto noi possiamo com-prendere. Pure, quel limite è la testimonianza intera della sua vita. E, nell’ordine temporale del viatico terrestre nostro,

qualcosa di universale e segreto si svela abbacinante ai nostri occhi, alla nostra mente. Un lampo di eternità rigeneratrice, l’esperienza che il grande mistico padre Ramon Panikkar chiama “tempeternità”: la coincidenza della nostra quotidia-nità e la possibilità di incontrare il Signore adesso. San Francesco ha vissuto in un “adesso” senza tempo quanto questo passo vertiginoso ci testimonia. A noi prenderlo semplicemente

alla lettera, senza spiegazione dialettiche, ma con “timore e tremore”, appunto, e al contempo con la dolcezza rige-neratrice della fede. Altro non credo vi sia d’aggiungere, se non quanto sia benefico leggere e rileggere questo vertiginoso passaggio della vita del Poverello d’Assisi.

CON “TIMORE E TREMORE”

FRANCESCO SI È FATTO PRENDERE DAL PADRE FINO A PERDERSI IN LUI, AL LIMITE DI QUANTO

NOI POSSIAMO COMPRENDERE

Possiamo sentire, “assaporare” quanto san Francesco ha vissuto sulla sua carne, fino al miracolo delle stimmate

La DOLCEZZA rigeneratrice della fede

Agosto 2016 Agosto 201636 37

GG gesti

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GG gesti

Agosto 2016 Agosto 201638 39

GESTI

FELICE ACCORCCA / VESCOVO DI BENEVENTO

L a vita di Francesco è tutta costellata di gesti di solidarietà. Dopo essere stato, nei primi 24 anni della sua vita, es-senzialmente concentra-

to su se stesso, quando incontrò il Signore il suo sguardo si volse sugli altri. Visse due anni da solo, finché alcuni uomini di Assisi smisero di credere alla sua pazzia e si avvicinarono a lui. Altri si uni-rono a loro, poiché difficilmente si resiste al fascino del Vangelo. Francesco si sforzava di esse-re esempio per gli altri, anteponendo le esigenze della

caritas al rigore della penitenza: i suoi compagni testi-moniarono che una volta fece apparecchiare la mensa

e fece sedere tutti a tavola affin-ché non si vergognasse a mangia-re da solo un frate che si era alza-to nel corso della notte, urlando in preda ai morsi della fame. In un’altra occasione, invece, con-vinto che dell’uva avrebbe fatto bene ad un frate, lo condusse in una vigna e cominciò lui a man-giarne per primo, perché l’altro non provasse imbarazzo nel farlo:

per tutto il tempo che visse, quel frate narrò molte

FRANCESCO SI SFORZAVA DI ESSERE

ESEMPIO PER GLI ALTRI, ANTEPONENDO

LE ESIGENZE DELLA CARITAS AL RIGORE DELLA PENITENZA

Francesco dona il mantello a un povero (part.)Giotto et alii (post 1296)Assisi, Basilica Superiore di San Francesco

San Francesco e storie della sua vita Bonaventura Berlinghieri (1235)Chiesa di San Francesco a Pescia

Egli, come abbiamo visto, amava dire che i beni che lui e i frati utilizzavano erano proprietà dei poveri, da cui li avevano soltanto presi in prestito

La CARITAS di Francesco

© S

. Dille

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isi.d

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GESTI

FELICE ACCORCCA / VESCOVO DI BENEVENTO

L a vita di Francesco è tutta costellata di gesti di solidarietà. Dopo essere stato, nei primi 24 anni della sua vita, es-senzialmente concentra-

to su se stesso, quando incontrò il Signore il suo sguardo si volse sugli altri. Visse due anni da solo, finché alcuni uomini di Assisi smisero di credere alla sua pazzia e si avvicinarono a lui. Altri si uni-rono a loro, poiché difficilmente si resiste al fascino del Vangelo. Francesco si sforzava di esse-re esempio per gli altri, anteponendo le esigenze della

caritas al rigore della penitenza: i suoi compagni testi-moniarono che una volta fece apparecchiare la mensa

e fece sedere tutti a tavola affin-ché non si vergognasse a mangia-re da solo un frate che si era alza-to nel corso della notte, urlando in preda ai morsi della fame. In un’altra occasione, invece, con-vinto che dell’uva avrebbe fatto bene ad un frate, lo condusse in una vigna e cominciò lui a man-giarne per primo, perché l’altro non provasse imbarazzo nel farlo:

per tutto il tempo che visse, quel frate narrò molte

FRANCESCO SI SFORZAVA DI ESSERE

ESEMPIO PER GLI ALTRI, ANTEPONENDO

LE ESIGENZE DELLA CARITAS AL RIGORE DELLA PENITENZA

Francesco dona il mantello a un povero (part.)Giotto et alii (post 1296)Assisi, Basilica Superiore di San Francesco

San Francesco e storie della sua vita Bonaventura Berlinghieri (1235)Chiesa di San Francesco a Pescia

Egli, come abbiamo visto, amava dire che i beni che lui e i frati utilizzavano erano proprietà dei poveri, da cui li avevano soltanto presi in prestito

La CARITAS di Francesco

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GESTI

volte ai suoi compagni, con grande devozione e non senza effusione di lacrime, il gesto di misericordia che Francesco aveva avuto nei suoi confronti. Si sforzavano, perciò, di essere e di considerarsi fratelli, preziosi perché tali, non per il denaro possedu-to o la condizione sociale d’appartenenza. Forse è per questo che quei primi anni man-tengono inalterato il loro fascino, soprattutto in un tempo come il nostro, che comunica notizie a velocità sempre maggiore e favo-risce – ironia della sorte – la cre-scita dell’anonimato nelle città e nei piccoli centri; un tempo in cui cresce sempre di più il numero di coloro che si sentono soli… I santi, uomini come tutti, si sforzano di pensare secondo Dio e – lo sappiamo – i pensieri di Dio non sono i nostri e le sue vie distano dalle nostre quanto il cielo dalla terra (Is 55,9). Francesco, che si proponeva di pensare e agire secondo Dio, finiva spes-so per apparire strano persino ai suoi compagni. Una volta, a Celano, una povera vecchia ricevette da lui un pezzo di stoffa che egli aveva stracciato da un panno che portava al collo: Va’ – le disse Francesco –, fatti una tunica, poiché ne hai veramente bisogno. La vecchietta, piena di stupore (non so se per timore o per la grande gioia, precisa l’agiografo, nativo di quel-lo stesso luogo), prese dalle sue mani quel panno e si allontanò velocemente, per manometterlo con le forbici ed evitare così il ri-schio che potesse esserle richiesto indietro. Rendendosi conto però che la stoffa, una volta tagliata, non le bastava a confezionare un abito, resa coraggiosa dalla bene-volenza sperimentata poco prima, tornò dal Santo per fargli notare che il panno era insufficiente. Il comune buon senso avrebbe forse suggerito una risposta tagliente: France-sco, invece, le fece dare del panno anche dal suo com-pagno, costringendolo – non so quanto volentieri – ad uniformarsi a lui. Un’altra volta, mentre tornava da Siena, imbattutosi in un poveraccio, disse al frate che l’accompagnava: Fratello, dobbiamo restituire il mantello a questo po-veretto, perché è suo. Noi l’abbiamo avuto in prestito sino a quando non ci capitasse di incontrare uno più povero. Il compagno, naturalmente, cercò di opporre

resistenza, ma Francesco rispose netto: Io non voglio essere ladro e ci sarebbe imputato a furto, se non lo dessimo ad uno più bisognoso». A quel punto, il frate cedette. Tuttavia, la situazione forse più paradossale si ve-rificò alle Celle di Cortona: Francesco indossava un

mantello nuovo, procuratogli ap-positamente dai frati, quando ca-pitò un poveraccio che piangeva per la morte della moglie e per la sua famiglia che era rimasta nella miseria (forse egli era malato e la donna provvedeva a far sbarcare a tutti il lunario?). Francesco gli donò il proprio mantello, dicen-dogli: te lo dono a condizione che tu non lo ceda a nessuno, se non te lo pagherà profumatamen-te. Quando i frati si resero conto

di quanto stava accadendo, era ormai tardi. Essi avreb-bero voluto riprendere il mantello, ma quel povero, reso ardito dallo sguardo del Santo, si mise a difenderlo con mani ed unghie come suo. Alla fine, i frati riscat-tarono il mantello ed il povero se ne andò con il prez-zo ricevuto. Francesco donava tranquillamente quanto possedeva, poiché riteneva fosse stato preso in prestito dai poveri. Dalla fine del XIX secolo e per tutto quello seguente le opere di Tommaso da Celano, il primo biografo del

Santo di Assisi, sono state guarda-te da molti storici con malcelato sospetto. Solo da poco tempo (e con fatica) ci si sta aprendo alla prospettiva che il frate abruzzese riferì con sostanziale fedeltà i fatti e le notizie di cui era venuto a co-noscenza. Senza misconoscere la sua opera di fine cesellatore che lo costrinse a rivedere, scompor-re, ricomporre e, a volte, rielabo-

rare letterariamente molti brani, dobbiamo dire – con tutta sincerità – che le sue opere si rivelano per noi uno scrigno prezioso dal quale attingere notevoli teso-ri. Tommaso ci restituisce, infatti, frammenti di un vis-suto autentico che ebbe anche i suoi momenti difficili, ma che in ogni caso si rivela ricco di insegnamenti. Valga da esempio la risposta che Francesco diede a Pietro Cattani: l’episodio si colloca dopo il ritorno di Francesco dalle terre d’Oltremare, al tempo in cui frate Pietro fu suo vicario, quindi tra il settembre 1220 e il marzo 1221. Questi, considerando il gran numero

FRANCESCO, CHE SI PROPONEVA DI PENSARE E AGIRE

SECONDO DIO, FINIVA SPESSO PER APPARIRE STRANO PERSINO AI

SUOI COMPAGNI

SI SFORZAVANO DI ESSERE E DI CONSIDERARSI

FRATELLI, PREZIOSI PERCHÉ TALI, NON

PER IL DENARO POSSEDUTO O LA

CONDIZIONE SOCIALE D’APPARTENENZA

San Francesco d’Assisi (part.) Polittico Demidoff di Carlo Crivelli (1476)Londra, National Gallery

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GESTI

volte ai suoi compagni, con grande devozione e non senza effusione di lacrime, il gesto di misericordia che Francesco aveva avuto nei suoi confronti. Si sforzavano, perciò, di essere e di considerarsi fratelli, preziosi perché tali, non per il denaro possedu-to o la condizione sociale d’appartenenza. Forse è per questo che quei primi anni man-tengono inalterato il loro fascino, soprattutto in un tempo come il nostro, che comunica notizie a velocità sempre maggiore e favo-risce – ironia della sorte – la cre-scita dell’anonimato nelle città e nei piccoli centri; un tempo in cui cresce sempre di più il numero di coloro che si sentono soli… I santi, uomini come tutti, si sforzano di pensare secondo Dio e – lo sappiamo – i pensieri di Dio non sono i nostri e le sue vie distano dalle nostre quanto il cielo dalla terra (Is 55,9). Francesco, che si proponeva di pensare e agire secondo Dio, finiva spes-so per apparire strano persino ai suoi compagni. Una volta, a Celano, una povera vecchia ricevette da lui un pezzo di stoffa che egli aveva stracciato da un panno che portava al collo: Va’ – le disse Francesco –, fatti una tunica, poiché ne hai veramente bisogno. La vecchietta, piena di stupore (non so se per timore o per la grande gioia, precisa l’agiografo, nativo di quel-lo stesso luogo), prese dalle sue mani quel panno e si allontanò velocemente, per manometterlo con le forbici ed evitare così il ri-schio che potesse esserle richiesto indietro. Rendendosi conto però che la stoffa, una volta tagliata, non le bastava a confezionare un abito, resa coraggiosa dalla bene-volenza sperimentata poco prima, tornò dal Santo per fargli notare che il panno era insufficiente. Il comune buon senso avrebbe forse suggerito una risposta tagliente: France-sco, invece, le fece dare del panno anche dal suo com-pagno, costringendolo – non so quanto volentieri – ad uniformarsi a lui. Un’altra volta, mentre tornava da Siena, imbattutosi in un poveraccio, disse al frate che l’accompagnava: Fratello, dobbiamo restituire il mantello a questo po-veretto, perché è suo. Noi l’abbiamo avuto in prestito sino a quando non ci capitasse di incontrare uno più povero. Il compagno, naturalmente, cercò di opporre

resistenza, ma Francesco rispose netto: Io non voglio essere ladro e ci sarebbe imputato a furto, se non lo dessimo ad uno più bisognoso». A quel punto, il frate cedette. Tuttavia, la situazione forse più paradossale si ve-rificò alle Celle di Cortona: Francesco indossava un

mantello nuovo, procuratogli ap-positamente dai frati, quando ca-pitò un poveraccio che piangeva per la morte della moglie e per la sua famiglia che era rimasta nella miseria (forse egli era malato e la donna provvedeva a far sbarcare a tutti il lunario?). Francesco gli donò il proprio mantello, dicen-dogli: te lo dono a condizione che tu non lo ceda a nessuno, se non te lo pagherà profumatamen-te. Quando i frati si resero conto

di quanto stava accadendo, era ormai tardi. Essi avreb-bero voluto riprendere il mantello, ma quel povero, reso ardito dallo sguardo del Santo, si mise a difenderlo con mani ed unghie come suo. Alla fine, i frati riscat-tarono il mantello ed il povero se ne andò con il prez-zo ricevuto. Francesco donava tranquillamente quanto possedeva, poiché riteneva fosse stato preso in prestito dai poveri. Dalla fine del XIX secolo e per tutto quello seguente le opere di Tommaso da Celano, il primo biografo del

Santo di Assisi, sono state guarda-te da molti storici con malcelato sospetto. Solo da poco tempo (e con fatica) ci si sta aprendo alla prospettiva che il frate abruzzese riferì con sostanziale fedeltà i fatti e le notizie di cui era venuto a co-noscenza. Senza misconoscere la sua opera di fine cesellatore che lo costrinse a rivedere, scompor-re, ricomporre e, a volte, rielabo-

rare letterariamente molti brani, dobbiamo dire – con tutta sincerità – che le sue opere si rivelano per noi uno scrigno prezioso dal quale attingere notevoli teso-ri. Tommaso ci restituisce, infatti, frammenti di un vis-suto autentico che ebbe anche i suoi momenti difficili, ma che in ogni caso si rivela ricco di insegnamenti. Valga da esempio la risposta che Francesco diede a Pietro Cattani: l’episodio si colloca dopo il ritorno di Francesco dalle terre d’Oltremare, al tempo in cui frate Pietro fu suo vicario, quindi tra il settembre 1220 e il marzo 1221. Questi, considerando il gran numero

FRANCESCO, CHE SI PROPONEVA DI PENSARE E AGIRE

SECONDO DIO, FINIVA SPESSO PER APPARIRE STRANO PERSINO AI

SUOI COMPAGNI

SI SFORZAVANO DI ESSERE E DI CONSIDERARSI

FRATELLI, PREZIOSI PERCHÉ TALI, NON

PER IL DENARO POSSEDUTO O LA

CONDIZIONE SOCIALE D’APPARTENENZA

San Francesco d’Assisi (part.) Polittico Demidoff di Carlo Crivelli (1476)Londra, National Gallery

Agosto 2016 Agosto 201642 43

GESTI

di forestieri che giungeva alla Porziuncola e conscio che le elemosine non bastavano a far fronte alle molte necessità, chiese al Santo di poter trattenere parte dei beni dei novizi per attingervi al momento opportuno. Guardiamoci da una tale pietà, fratello carissimo – si sentì rispon-dere –, che per un uomo, chiun-que sia, ci comportiamo in modo empio verso la Regola. E quando frate Pietro, di rincalzo, gli chiese allora come fare, Francesco ripre-se: Spoglia l’altare della Vergine e portane via i vari arredi, se non potrai sovvenire in altro modo agli indigenti. Credimi, le sarà più caro che sia osser-vato il Vangelo del Figlio suo e che resti nudo il suo al-tare, piuttosto che vedere l’altare rivestito e disprezzato il Figlio. Il Signore manderà poi chi possa restituire alla Madre quanto ci ha dato in prestito. Una tale risposta appare non soltanto coerente con il pensiero di Francesco, ma mostra anche una qualche affinità con il suo linguaggio. È difficile dubitare della storicità e dell’episodio e della risposta di Francesco. Una risposta che ci mostra l’intima convinzione del Santo, e che trova conferma anche nei ricordi dei Compagni. Essi testi-moniano infatti che, in quegli stessi mesi in cui frate

Pietro fu vicario, venne da Francesco la madre di due frati a chiedere l’elemosina. Egli, allora, si rivolse an-cora una volta a frate Pietro: Possiamo dare qualcosa in elemosina a nostra madre?, gli chiese. Francesco,

infatti, riteneva che la madre di un frate fosse anche madre sua e di tutti gli altri frati. Frate Pie-tro gli rispose che non avevano niente, se non un Nuovo Testa-mento che serviva per le letture durante la preghiera notturna, poiché a quel tempo i frati non avevano ancora breviari. Riprese Francesco: Da’ a nostra madre il

Nuovo Testamento: che lo venda per far fronte alle sue necessità. Credo fermamente che piacerà di più al Signore e alla beata Vergine Madre sua che non se lo userete per le letture. Già, il Vangelo prima di tutto… E nel Vangelo s’af-ferma a chiare lettere che i poveri sono i vicari di Cristo (cf. Mt 25,31-46). Disprezzando loro si disprezza Lui, facendo finta di non vederli si distoglie lo sguardo dal Figlio di Dio, da Colui che è venuto tra gli uomini per salvarli, condividendo la loro fragilità, il loro dolore, la loro povertà. Non possiamo respirare, a pieni polmoni, incenso sotto le volte delle chiese e poi turarci il naso e tirare avanti di fronte allo sporco dei poveri!

FRANCESCO DONAVA QUANTO POSSEDEVA,

POICHÉ RITENEVA FOSSE STATO PRESO

IN PRESTITO DAI POVERI

OLIVIERO TOSCANI / FOTOGRAFO

Purtroppo FRANCESCO

è nato troppo in anticipo!

È in questo momento che il mondo ha bisogno un pensatore come lui, con questa personalità. Non

siamo ancora abbastanza civili per poter capire bene, apprezzare, e quindi applicare quello che san Francesco vive.

Noi siamo ancora dipendenti dalle giustizie umane, che pur-troppo non sono sempre giuste. Avere misericordia e senso del perdono è l’unico modo per poter finalmente essere fieri di apparte-nere alla razza umana!

AVERE MISERICORDIA E SENSO DEL

PERDONO È L’UNICO MODO PER POTER

FINALMENTE ESSERE FIERI DI APPARTENERE ALLA RAZZA UMANA!

San Francesco d’AssisiGiuseppe Cades (1787)Carboncino della scultura di Lazzaro Morelli

La visione del carro di fuoco (part.)Giotto et alii (post 1296)Assisi, Basilica Superiore di San Francesco

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di forestieri che giungeva alla Porziuncola e conscio che le elemosine non bastavano a far fronte alle molte necessità, chiese al Santo di poter trattenere parte dei beni dei novizi per attingervi al momento opportuno. Guardiamoci da una tale pietà, fratello carissimo – si sentì rispon-dere –, che per un uomo, chiun-que sia, ci comportiamo in modo empio verso la Regola. E quando frate Pietro, di rincalzo, gli chiese allora come fare, Francesco ripre-se: Spoglia l’altare della Vergine e portane via i vari arredi, se non potrai sovvenire in altro modo agli indigenti. Credimi, le sarà più caro che sia osser-vato il Vangelo del Figlio suo e che resti nudo il suo al-tare, piuttosto che vedere l’altare rivestito e disprezzato il Figlio. Il Signore manderà poi chi possa restituire alla Madre quanto ci ha dato in prestito. Una tale risposta appare non soltanto coerente con il pensiero di Francesco, ma mostra anche una qualche affinità con il suo linguaggio. È difficile dubitare della storicità e dell’episodio e della risposta di Francesco. Una risposta che ci mostra l’intima convinzione del Santo, e che trova conferma anche nei ricordi dei Compagni. Essi testi-moniano infatti che, in quegli stessi mesi in cui frate

Pietro fu vicario, venne da Francesco la madre di due frati a chiedere l’elemosina. Egli, allora, si rivolse an-cora una volta a frate Pietro: Possiamo dare qualcosa in elemosina a nostra madre?, gli chiese. Francesco,

infatti, riteneva che la madre di un frate fosse anche madre sua e di tutti gli altri frati. Frate Pie-tro gli rispose che non avevano niente, se non un Nuovo Testa-mento che serviva per le letture durante la preghiera notturna, poiché a quel tempo i frati non avevano ancora breviari. Riprese Francesco: Da’ a nostra madre il

Nuovo Testamento: che lo venda per far fronte alle sue necessità. Credo fermamente che piacerà di più al Signore e alla beata Vergine Madre sua che non se lo userete per le letture. Già, il Vangelo prima di tutto… E nel Vangelo s’af-ferma a chiare lettere che i poveri sono i vicari di Cristo (cf. Mt 25,31-46). Disprezzando loro si disprezza Lui, facendo finta di non vederli si distoglie lo sguardo dal Figlio di Dio, da Colui che è venuto tra gli uomini per salvarli, condividendo la loro fragilità, il loro dolore, la loro povertà. Non possiamo respirare, a pieni polmoni, incenso sotto le volte delle chiese e poi turarci il naso e tirare avanti di fronte allo sporco dei poveri!

FRANCESCO DONAVA QUANTO POSSEDEVA,

POICHÉ RITENEVA FOSSE STATO PRESO

IN PRESTITO DAI POVERI

OLIVIERO TOSCANI / FOTOGRAFO

Purtroppo FRANCESCO

è nato troppo in anticipo!

È in questo momento che il mondo ha bisogno un pensatore come lui, con questa personalità. Non

siamo ancora abbastanza civili per poter capire bene, apprezzare, e quindi applicare quello che san Francesco vive.

Noi siamo ancora dipendenti dalle giustizie umane, che pur-troppo non sono sempre giuste. Avere misericordia e senso del perdono è l’unico modo per poter finalmente essere fieri di apparte-nere alla razza umana!

AVERE MISERICORDIA E SENSO DEL

PERDONO È L’UNICO MODO PER POTER

FINALMENTE ESSERE FIERI DI APPARTENERE ALLA RAZZA UMANA!

San Francesco d’AssisiGiuseppe Cades (1787)Carboncino della scultura di Lazzaro Morelli

La visione del carro di fuoco (part.)Giotto et alii (post 1296)Assisi, Basilica Superiore di San Francesco

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cipazione dai vincoli del mondo – e così sono le pietre vendute da Silvestro per la Chiesa da riparare e da cui vuole ricavare ancora più guadagno, sono vincoli – dà prova di misura, in ognuno, delle proprie forze. Silvestro si misura con gli altri “compagni” del Santo, trova il proprio viaggio – l’ascesa a Dio – e stabilisce così

il dominio del basso mondo. Nessuno, nella “via”, manca più a se stesso. “Te ado-riamo e a Te facciamo ricorso”. Ogni solitudine è un plu-rale. Ogni preghiera è il rammentare dello stare insieme nella via della Misericordia. Così è detto: “Il credente è egli stesso comunità”.

GESTI

PIETRANGELO BUTTAFUOCO / GIORNALISTA

È stato detto: “Prima il compagno, dopo la via”. Nell’incontro col prossimo, infatti, si dischiude la strada della Misericordia. Ciascuno è compagno a se stesso ma tra sé e la

meta, l’intimità con Dio, c’è la po-chezza umana dove ognuno – pic-colo o grande che sia – è mancante a se stesso. Una difficoltà che la compas-sione tra gli uni e gli altri scioglie sempre nell’esatto contrario: nel de-gnarsi della sacrissima stazione. È il disporsi dell’Annunzio della Divina Presenza presso l’uo-mo in cui l’attesa dell’altro prepara alla lode del Vero. Ed accade quando ognuno, nell’Alzata, nel mostrarsi pronto ad ergersi in preghiera, si porta al cospetto dell’Altissimo. Silvestro – pur vecchio – ama ancor più il mondo che la migliore delle opere, il ritorno a Dio, ma la Misericordia, per tramite del Santo, capovolge il veleno: sveglia in lui le

qualità innate che sono conferite a tutti gli uomini nell’av-vio della Creazione. Il tratto di liberalità di Francesco apre in Silvestro – il

suo “compagno” – la “via”. È suffi-ciente un sorriso. Gli dà più denaro di quanto gliene spetti e dispone in Silvestro la strada della Misericordia. Scorge la Croce, Silvestro, e que-sta, dalla bocca del Santo, abbrac-cia il mondo e raggiunge il Cielo. Per ogni luce in cielo somigliante a quella del Signore c’è sempre un

angelo – Gabriele è tra loro – a proclamare: “Iddio è più grande, non vi è dio eccetto che Iddio”. Gli angeli corrono ai margini di tutti i cieli e cadono in prosternazione. Tra le virtù necessarie a conseguire la beatitudine, la perfetta imitazione dei servitori di Dio, c’è quella dove ognuno rafforza nel cuore la confessione della propria po-chezza e della spaventosa impotenza. L’aspirare all’eman-

NELL’INCONTRO COL PROSSIMO

SI DISCHIUDE LA STRADA DELLA MISERICORDIA

Silvestro era un sacerdote secolare della città di Assisi, e da lui un tempo l’uomo di Dio aveva comprato pietre per riparare una chiesa. Quando vide, in quei giorni, frate Bernardo, che dopo il Santo fu la prima pianticella dell’Ordine, lasciare completamente i suoi beni e darli ai poveri, si sentì acceso da una cupidigia insaziabile e si lamentò col servo di Dio per le pietre, che un tempo gli aveva vendute, come se non gli fossero state pagate completamente. Francesco, osservando che l’animo del sacerdote era corroso dal veleno delI’avarizia, ebbe un sorriso di compassione. Ma, desiderando di portare in qualunque modo refrigerio a quella arsura maledetta, gli riempì le mani di denaro, senza contarlo. Prete Silvestro si rallegrò dei soldi ricevuti, ma più ancora ammirò la liberalità di chi donava. Ritornato a casa, ripensò più volte a quanto gli era accaduto, biasimandosi santamente e meravigliandosi di amare, pur essendo ormai vecchio, il mondo, mentre quel giovane disprezzava in tale modo tutte le cose. Quando poi fu pieno di buone disposizioni, Cristo gli aprì il seno della sua misericordia, gli mostrò quanto valessero le opere di Francesco, quanto fossero preziose davanti a lui e come con il loro splendore riempissero tutta la terra. Vide infatti, in sogno, una croce d’oro, che usciva dalla bocca di Francesco: la sua cima arrivava ai cieli, bracci protesi lateralmente cingevano tutto attorno il mondo. Il sacerdote, compunto a quella vista, scacciò ogni ritardo dannoso, lasciò il mondo e divenne perfetto imitatore dell’uomo di Dio. Cominciò a condurre nell’Ordine una vita perfetta e la terminò in modo perfettissimo con la grazia di Cristo. Ma, quale meraviglia che Francesco sia apparso crocifisso, lui che ha amato tanto la croce? Non è certo sorprendente che, essendo così radicata nel suo cuore la croce, che opera cose mirabili, e venendo su da un terreno buono, abbia prodotto fiori, fronde e frutti meravigliosi! Nient’altro, di specie diversa, poteva nascere da questa terra, che la croce gloriosa fin da principio aveva presa in tale modo tutta per sé.

(La conversione del medesimo frate Silvestro. Una sua visione, FF 696)

La cacciata dei diavoli da ArezzoGiotto et alii (post 1296)Assisi, Basilica Superiore di San Francesco

Ogni solitudine è un plurale. Ogni preghiera è il rammentare dello stare insieme nella via della Misericordia

Prima il COMPAGNO, dopo la via

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cipazione dai vincoli del mondo – e così sono le pietre vendute da Silvestro per la Chiesa da riparare e da cui vuole ricavare ancora più guadagno, sono vincoli – dà prova di misura, in ognuno, delle proprie forze. Silvestro si misura con gli altri “compagni” del Santo, trova il proprio viaggio – l’ascesa a Dio – e stabilisce così

il dominio del basso mondo. Nessuno, nella “via”, manca più a se stesso. “Te ado-riamo e a Te facciamo ricorso”. Ogni solitudine è un plu-rale. Ogni preghiera è il rammentare dello stare insieme nella via della Misericordia. Così è detto: “Il credente è egli stesso comunità”.

GESTI

PIETRANGELO BUTTAFUOCO / GIORNALISTA

È stato detto: “Prima il compagno, dopo la via”. Nell’incontro col prossimo, infatti, si dischiude la strada della Misericordia. Ciascuno è compagno a se stesso ma tra sé e la

meta, l’intimità con Dio, c’è la po-chezza umana dove ognuno – pic-colo o grande che sia – è mancante a se stesso. Una difficoltà che la compas-sione tra gli uni e gli altri scioglie sempre nell’esatto contrario: nel de-gnarsi della sacrissima stazione. È il disporsi dell’Annunzio della Divina Presenza presso l’uo-mo in cui l’attesa dell’altro prepara alla lode del Vero. Ed accade quando ognuno, nell’Alzata, nel mostrarsi pronto ad ergersi in preghiera, si porta al cospetto dell’Altissimo. Silvestro – pur vecchio – ama ancor più il mondo che la migliore delle opere, il ritorno a Dio, ma la Misericordia, per tramite del Santo, capovolge il veleno: sveglia in lui le

qualità innate che sono conferite a tutti gli uomini nell’av-vio della Creazione. Il tratto di liberalità di Francesco apre in Silvestro – il

suo “compagno” – la “via”. È suffi-ciente un sorriso. Gli dà più denaro di quanto gliene spetti e dispone in Silvestro la strada della Misericordia. Scorge la Croce, Silvestro, e que-sta, dalla bocca del Santo, abbrac-cia il mondo e raggiunge il Cielo. Per ogni luce in cielo somigliante a quella del Signore c’è sempre un

angelo – Gabriele è tra loro – a proclamare: “Iddio è più grande, non vi è dio eccetto che Iddio”. Gli angeli corrono ai margini di tutti i cieli e cadono in prosternazione. Tra le virtù necessarie a conseguire la beatitudine, la perfetta imitazione dei servitori di Dio, c’è quella dove ognuno rafforza nel cuore la confessione della propria po-chezza e della spaventosa impotenza. L’aspirare all’eman-

NELL’INCONTRO COL PROSSIMO

SI DISCHIUDE LA STRADA DELLA MISERICORDIA

Silvestro era un sacerdote secolare della città di Assisi, e da lui un tempo l’uomo di Dio aveva comprato pietre per riparare una chiesa. Quando vide, in quei giorni, frate Bernardo, che dopo il Santo fu la prima pianticella dell’Ordine, lasciare completamente i suoi beni e darli ai poveri, si sentì acceso da una cupidigia insaziabile e si lamentò col servo di Dio per le pietre, che un tempo gli aveva vendute, come se non gli fossero state pagate completamente. Francesco, osservando che l’animo del sacerdote era corroso dal veleno delI’avarizia, ebbe un sorriso di compassione. Ma, desiderando di portare in qualunque modo refrigerio a quella arsura maledetta, gli riempì le mani di denaro, senza contarlo. Prete Silvestro si rallegrò dei soldi ricevuti, ma più ancora ammirò la liberalità di chi donava. Ritornato a casa, ripensò più volte a quanto gli era accaduto, biasimandosi santamente e meravigliandosi di amare, pur essendo ormai vecchio, il mondo, mentre quel giovane disprezzava in tale modo tutte le cose. Quando poi fu pieno di buone disposizioni, Cristo gli aprì il seno della sua misericordia, gli mostrò quanto valessero le opere di Francesco, quanto fossero preziose davanti a lui e come con il loro splendore riempissero tutta la terra. Vide infatti, in sogno, una croce d’oro, che usciva dalla bocca di Francesco: la sua cima arrivava ai cieli, bracci protesi lateralmente cingevano tutto attorno il mondo. Il sacerdote, compunto a quella vista, scacciò ogni ritardo dannoso, lasciò il mondo e divenne perfetto imitatore dell’uomo di Dio. Cominciò a condurre nell’Ordine una vita perfetta e la terminò in modo perfettissimo con la grazia di Cristo. Ma, quale meraviglia che Francesco sia apparso crocifisso, lui che ha amato tanto la croce? Non è certo sorprendente che, essendo così radicata nel suo cuore la croce, che opera cose mirabili, e venendo su da un terreno buono, abbia prodotto fiori, fronde e frutti meravigliosi! Nient’altro, di specie diversa, poteva nascere da questa terra, che la croce gloriosa fin da principio aveva presa in tale modo tutta per sé.

(La conversione del medesimo frate Silvestro. Una sua visione, FF 696)

La cacciata dei diavoli da ArezzoGiotto et alii (post 1296)Assisi, Basilica Superiore di San Francesco

Ogni solitudine è un plurale. Ogni preghiera è il rammentare dello stare insieme nella via della Misericordia

Prima il COMPAGNO, dopo la via

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l’essere umano non solo nella sua vita, ma anche nella sua memoria. Oggi, è estremamente urgente combattere l’estremismo, sopratutto per proteggere i giovani, perchè lo sviluppo del pensiero estremista è una minaccia per loro e dunque per il futuro dell’Umanità. L’estremismo è un male, un pericolo universale e, laddove il cosidetto Stato Islamico si estende e impone la sua legge, è si-nonimo del grado di ignoranza che prevale in quelle regioni e che sto-ria e cultura sono stati marginalizzati in modo volontario per imporre una certa visione della storia e una certa percezione della cultura. Lì, c’erano regimi politici anch’essi terroristici che per generazioni han-no sottomesso i loro popoli, seminando e strumentalizzando l’ignoranza. Siamo quindi nella continuità, un unico modello politico, un unico riferimento religioso, una sola ideologia, una sola cultura e una sola storia valida, tutto il resto viene rifiutato, distrutto o cancellato. Nell’attacco al Museo del Bardo il 18 marzo 2015, e come quelli commessi a Parigi, a Bruxelles, gli autori sono dei giova-nidiventati fondamentalisti ciechi perché attirati in un mondo dove regna da una parte l’ignoranza e dall’altra l’abbondanza dei mezzi economici, frutto di affari resi possibili nella com-plessa economia mondiale e fondati, fra l’altro, sul traffico ille-cito di stupefacenti, opere d’arte, esseri umani. Questi giovani sono per la maggior parte il lato che appare di questo mondo

di violenze e di terrore; sono stati attirati nell’inferno con false immagini del paradiso. Sono comunque terroristi, ma basta osservare i canali satellitari dove, nel nome della religione, si diffonde il sentimento di intolleranza, di odio e di disprezzo per il mondo moderno libero e viene promesso il paradiso a

chi sceglie la via del jihad contro gli infedeli. Affascinati dalle idee e dalle immagini surreali sul paradiso, con di-scorsi che promettono piaceri e felici-tà eterna, si staccano dal mondo reale fino a disprezzarlo e sentono l’impa-zienza di svolgere una missione per raggiungere un premio nell’aldilà..., il piacere di morire. Il che è significativo di come il fondamentalismo religioso

ha banalizzato i concetti della vita e della morte. Lottare contro questo fenomeno significa anche trovare i mezzi per proteggere i giovani dalla deriva di un compor-tamento e dall’attrazione che usano le organizzazioni terrori-stiche per reclutarli e farne delle macchine per eseguire atti criminali. Lottare contro le organizzazioni terroristiche signifi-ca anche proteggere le società da un male che fa perdere ai giovani la speranza e li spinge a dimenticare il senso della vita. Nel credere che lo spirito di san Francesco possa giun-gere a queste anime perse e ricordargli che “ora è tempo di misericordia” e imprimere la pietà nei cuori induriti, risiede il bisogno urgente di una preghiera per l’Umanità, che sentivo come il vero motivo del mio viaggio ad Assisi e di quei mo-menti di quietudine davanti alla tomba di Francesco.

GESTI

AL MONCEF BEN MOUSSA / DIRETTORE DEL MUSEO DEL BARDO A TUNISI

N ella nostra vita ci sono dei momenti e delle im-magini indimenticabili, di felicità o di tristezza, che si impongono alla nostra memoria e nulla possiamo fare per can-

cellarli. Il 25 settembre 2015, sei mesi dopo il terribile attacco terroristico al Museo del Bardo, e su invito di padre Fortunato, mi è stata data un’opportu-nità unica, quella vivere e di esprimer-mi al Cortile di San Francesco sul tema dell’Umanità. Arrivavo quindi ad Assisi con la memoria ancora sottomessa al peso insopportabile delle immagini di quel terribile giorno del 18 marzo 2015 e con l’anima sofferente. Pensando alle violenze sempre cre-scenti e a tutti i crimini commessi dall’uomo ai danni del suo genere, e vedendo la sua incapacità di proteggersi dal suo lato inumano, quelle immagini tragiche diventavano la realtà amara e insuperabile del nostro tempo. Con queste idee e questa inquietudine mi sono trovato nell’ambiente sacro e di pace che avvolge il cuore. Da musul-mano, pur essendo non praticante, so bene il senso della pre-ghiera e all’improvviso vedevo il motivo della mia presenza in questo ambiente che mi sembrava surreale… Sergio Fusetti, Capo Restauratore e Conservatore della Basilica, mi fece visi-tare questo luogo sacro in modo estremamente sapiente e pia-

cevole, poi dai momenti di ammirazione fra gli affreschi della Basilica mi guidava anche dove il Santo è sepolto. Davanti alla tomba di Francesco è superata l’ammirazione per la bellezza

del luogo... ora sono momenti di quie-tudine che sembrano un’eternità o una sosta fuori dal tempo, un’immer-sione nell’essenza della vita e, come se fossi staccato dal resto del mondo, vedevo il motivo della mia presenza: sollecitare da questo uomo di Dio una preghiera per l’umanità che in nessun altro luogo del mondo può trasforma-re la disperazione in una speranza. Dalla disperazione alla speranza: troviamo nella vita di san Francesco

racconti che mostrano come lo spirito di questo Santo ricordi all’uomo che “è tempo di misericordia; poi, di giustizia”, tale il racconto dell’esperienza di una devota nobildonna che si recò da Francesco chiedendo il rimedio alla cattiveria del marito. Leggendo questo fatto, mi sono anche ricordato che quel 25 settembre era il giorno del mio compleanno e che la mia presenza nel mondo di Francesco di Assisi è stato proprio il regalo più prezioso che abbia mai ricevuto nella mia vita. Per questo tutto ciò che dovevo pronunciare aveva il significato di sollecitare una preghiera per l’umanità, perché il pericolo dell’estremismo, che sia religioso o altro, ha sempre costituito una minaccia per il genere umano, ed è deciso oggi a colpire

ARRIVAVO QUINDI AD ASSISI CON LA MEMORIA ANCORA

SOTTOMESSA AL PESO INSOPPORTABILE DEL TERRIBILE ATTACCO TERRORISTICO AL

MUSEO DEL BARDO

IMPRIMERE LA PIETÀ NEI CUORI INDURITI, RISIEDE IL BISOGNO URGENTE DI UNA PREGHIERA PER

L’UMANITÀIn un’altra circostanza, una devota nobildonna si recò dal Santo (San Francesco d’Assisi), per esporgli il proprio dolore e richiedere il rimedio: aveva un marito molto cattivo, che la faceva soffrire osteggiandola nel servizio di Cristo. Perciò chiedeva al Santo di pregare per lui, affinché Dio si degnasse nella sua bontà d’intenerirgli il cuore. E aggiunse: “ Gli dirai da parte di Dio e mia che ora è tempo di misericordia; poi, di giustizia”. Ricevuta la benedizione, la donna ritorna, trova il marito, gli riferisce quelle parole. Scende sopra di lui lo Spirito Santo che, trasformandolo in un uomo nuovo, così lo induce a rispondere con tutta mansuetudine: “Signora, mettiamoci a servire il Signore e salviamo l’anima nostra”. Dietro esortazione della santa moglie, condussero una vita da celibi per parecchi anni, finché ambedue nello stesso giorno tornarono al Signore. Veramente degno di ammirazione lo Spirito profetico operante in quest’uomo di Dio, con la potenza del quale egli rinnovava il vigore alle membra ormai inaridite e nei cuori induriti imprimeva la pietà.

(Legenda Maior, FF 1193)

La preghiera in San Damiano (part.)Giotto et alii (post 1296)Assisi, Basilica Superiore di San Francesco

Lo sviluppo del pensiero estremista è una minaccia per i giovani e dunque per il futuro dell’Umanità

Una PREGHIERA per l’Umanità

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l’essere umano non solo nella sua vita, ma anche nella sua memoria. Oggi, è estremamente urgente combattere l’estremismo, sopratutto per proteggere i giovani, perchè lo sviluppo del pensiero estremista è una minaccia per loro e dunque per il futuro dell’Umanità. L’estremismo è un male, un pericolo universale e, laddove il cosidetto Stato Islamico si estende e impone la sua legge, è si-nonimo del grado di ignoranza che prevale in quelle regioni e che sto-ria e cultura sono stati marginalizzati in modo volontario per imporre una certa visione della storia e una certa percezione della cultura. Lì, c’erano regimi politici anch’essi terroristici che per generazioni han-no sottomesso i loro popoli, seminando e strumentalizzando l’ignoranza. Siamo quindi nella continuità, un unico modello politico, un unico riferimento religioso, una sola ideologia, una sola cultura e una sola storia valida, tutto il resto viene rifiutato, distrutto o cancellato. Nell’attacco al Museo del Bardo il 18 marzo 2015, e come quelli commessi a Parigi, a Bruxelles, gli autori sono dei giova-nidiventati fondamentalisti ciechi perché attirati in un mondo dove regna da una parte l’ignoranza e dall’altra l’abbondanza dei mezzi economici, frutto di affari resi possibili nella com-plessa economia mondiale e fondati, fra l’altro, sul traffico ille-cito di stupefacenti, opere d’arte, esseri umani. Questi giovani sono per la maggior parte il lato che appare di questo mondo

di violenze e di terrore; sono stati attirati nell’inferno con false immagini del paradiso. Sono comunque terroristi, ma basta osservare i canali satellitari dove, nel nome della religione, si diffonde il sentimento di intolleranza, di odio e di disprezzo per il mondo moderno libero e viene promesso il paradiso a

chi sceglie la via del jihad contro gli infedeli. Affascinati dalle idee e dalle immagini surreali sul paradiso, con di-scorsi che promettono piaceri e felici-tà eterna, si staccano dal mondo reale fino a disprezzarlo e sentono l’impa-zienza di svolgere una missione per raggiungere un premio nell’aldilà..., il piacere di morire. Il che è significativo di come il fondamentalismo religioso

ha banalizzato i concetti della vita e della morte. Lottare contro questo fenomeno significa anche trovare i mezzi per proteggere i giovani dalla deriva di un compor-tamento e dall’attrazione che usano le organizzazioni terrori-stiche per reclutarli e farne delle macchine per eseguire atti criminali. Lottare contro le organizzazioni terroristiche signifi-ca anche proteggere le società da un male che fa perdere ai giovani la speranza e li spinge a dimenticare il senso della vita. Nel credere che lo spirito di san Francesco possa giun-gere a queste anime perse e ricordargli che “ora è tempo di misericordia” e imprimere la pietà nei cuori induriti, risiede il bisogno urgente di una preghiera per l’Umanità, che sentivo come il vero motivo del mio viaggio ad Assisi e di quei mo-menti di quietudine davanti alla tomba di Francesco.

GESTI

AL MONCEF BEN MOUSSA / DIRETTORE DEL MUSEO DEL BARDO A TUNISI

N ella nostra vita ci sono dei momenti e delle im-magini indimenticabili, di felicità o di tristezza, che si impongono alla nostra memoria e nulla possiamo fare per can-

cellarli. Il 25 settembre 2015, sei mesi dopo il terribile attacco terroristico al Museo del Bardo, e su invito di padre Fortunato, mi è stata data un’opportu-nità unica, quella vivere e di esprimer-mi al Cortile di San Francesco sul tema dell’Umanità. Arrivavo quindi ad Assisi con la memoria ancora sottomessa al peso insopportabile delle immagini di quel terribile giorno del 18 marzo 2015 e con l’anima sofferente. Pensando alle violenze sempre cre-scenti e a tutti i crimini commessi dall’uomo ai danni del suo genere, e vedendo la sua incapacità di proteggersi dal suo lato inumano, quelle immagini tragiche diventavano la realtà amara e insuperabile del nostro tempo. Con queste idee e questa inquietudine mi sono trovato nell’ambiente sacro e di pace che avvolge il cuore. Da musul-mano, pur essendo non praticante, so bene il senso della pre-ghiera e all’improvviso vedevo il motivo della mia presenza in questo ambiente che mi sembrava surreale… Sergio Fusetti, Capo Restauratore e Conservatore della Basilica, mi fece visi-tare questo luogo sacro in modo estremamente sapiente e pia-

cevole, poi dai momenti di ammirazione fra gli affreschi della Basilica mi guidava anche dove il Santo è sepolto. Davanti alla tomba di Francesco è superata l’ammirazione per la bellezza

del luogo... ora sono momenti di quie-tudine che sembrano un’eternità o una sosta fuori dal tempo, un’immer-sione nell’essenza della vita e, come se fossi staccato dal resto del mondo, vedevo il motivo della mia presenza: sollecitare da questo uomo di Dio una preghiera per l’umanità che in nessun altro luogo del mondo può trasforma-re la disperazione in una speranza. Dalla disperazione alla speranza: troviamo nella vita di san Francesco

racconti che mostrano come lo spirito di questo Santo ricordi all’uomo che “è tempo di misericordia; poi, di giustizia”, tale il racconto dell’esperienza di una devota nobildonna che si recò da Francesco chiedendo il rimedio alla cattiveria del marito. Leggendo questo fatto, mi sono anche ricordato che quel 25 settembre era il giorno del mio compleanno e che la mia presenza nel mondo di Francesco di Assisi è stato proprio il regalo più prezioso che abbia mai ricevuto nella mia vita. Per questo tutto ciò che dovevo pronunciare aveva il significato di sollecitare una preghiera per l’umanità, perché il pericolo dell’estremismo, che sia religioso o altro, ha sempre costituito una minaccia per il genere umano, ed è deciso oggi a colpire

ARRIVAVO QUINDI AD ASSISI CON LA MEMORIA ANCORA

SOTTOMESSA AL PESO INSOPPORTABILE DEL TERRIBILE ATTACCO TERRORISTICO AL

MUSEO DEL BARDO

IMPRIMERE LA PIETÀ NEI CUORI INDURITI, RISIEDE IL BISOGNO URGENTE DI UNA PREGHIERA PER

L’UMANITÀIn un’altra circostanza, una devota nobildonna si recò dal Santo (San Francesco d’Assisi), per esporgli il proprio dolore e richiedere il rimedio: aveva un marito molto cattivo, che la faceva soffrire osteggiandola nel servizio di Cristo. Perciò chiedeva al Santo di pregare per lui, affinché Dio si degnasse nella sua bontà d’intenerirgli il cuore. E aggiunse: “ Gli dirai da parte di Dio e mia che ora è tempo di misericordia; poi, di giustizia”. Ricevuta la benedizione, la donna ritorna, trova il marito, gli riferisce quelle parole. Scende sopra di lui lo Spirito Santo che, trasformandolo in un uomo nuovo, così lo induce a rispondere con tutta mansuetudine: “Signora, mettiamoci a servire il Signore e salviamo l’anima nostra”. Dietro esortazione della santa moglie, condussero una vita da celibi per parecchi anni, finché ambedue nello stesso giorno tornarono al Signore. Veramente degno di ammirazione lo Spirito profetico operante in quest’uomo di Dio, con la potenza del quale egli rinnovava il vigore alle membra ormai inaridite e nei cuori induriti imprimeva la pietà.

(Legenda Maior, FF 1193)

La preghiera in San Damiano (part.)Giotto et alii (post 1296)Assisi, Basilica Superiore di San Francesco

Lo sviluppo del pensiero estremista è una minaccia per i giovani e dunque per il futuro dell’Umanità

Una PREGHIERA per l’Umanità

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Agosto 2016 Agosto 201648 49

SSsguardi

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SSsguardi

Agosto 2016 Agosto 201650 51

SGUARDI

A frate N... ministro. Il Signore ti benedica!

I o ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento

nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battitu-re, tutto questo devi ritenere come una grazia.

E così tu devi volere e non diversamente.

E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente ri-

conosco che questa è vera obbedienza.

E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore

darà a te.

E in questo amali e non pretendere che diventino cri-stiani migliori.

E questo sia per te più che stare appartato in un eremo.

E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa manie-

ra, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato.

E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi oc-chi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo

al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli.

E avvisa i guardiani, quando potrai, che tu sei deciso a fare così.

R iguardo poi a tutti i capitoli della Regola che trattano dei peccati mortali, con l’aiuto del Signore, nel Capi-

tolo di Pentecoste, raccolto il consiglio dei frati, ne faremo un Capitolo solo in questa forma:

S e qualcuno dei frati, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente, sia tenuto per obbedienza a ri-

correre al suo guardiano

E tutti i frati, che fossero a conoscenza del peccato di lui, non gli facciano vergogna né dicano male di lui,

ma ne abbiano grande misericordia e tengano assai se-greto il peccato del loro fratello, perché non i sani hanno bisogno del medico, ma i malati (Mt 9,12).

E sempre per obbedienza siamo tenuti a mandarlo con un compagno dal suo custode.

L o stesso custode poi provveda misericordiosamente a lui, come vorrebbe si provvedesse a lui medesimo, se

si trovasse in un caso simile.

E se fosse caduto in qualche peccato veniale, si confessi ad un fratello sacerdote.

E se in quel luogo non ci fosse un sacerdote, si confessi ad un suo fratello, fino a che possa trovare un sacer-

dote che lo assolva canonicamente, come è stato detto.

E questi non abbiano potere di imporre altra penitenza all’infuori di questa: “Va’ e non peccare più!” (Cfr. Gv

8,11).

Questo scritto tienilo con te, affinché sia meglio osser-vato, fino al capitolo di Pentecoste; là sarai presente

con i tuoi frati.

E queste e tutte le altre cose, che sono ancora poco chiare nella Regola, sarà vostra cura di completarle,

con l’aiuto del Signore Iddio.

[...] che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono [...]

Lettera a un MINISTRO

FONTI FRANCESCANE 234 - 239

Agosto 2016 Agosto 201650 51

SGUARDI

A frate N... ministro. Il Signore ti benedica!

I o ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento

nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri anche se ti coprissero di battitu-re, tutto questo devi ritenere come una grazia.

E così tu devi volere e non diversamente.

E questo tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio e mia per te, perché io fermamente ri-

conosco che questa è vera obbedienza.

E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore

darà a te.

E in questo amali e non pretendere che diventino cri-stiani migliori.

E questo sia per te più che stare appartato in un eremo.

E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa manie-

ra, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato.

E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi oc-chi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo

al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli.

E avvisa i guardiani, quando potrai, che tu sei deciso a fare così.

R iguardo poi a tutti i capitoli della Regola che trattano dei peccati mortali, con l’aiuto del Signore, nel Capi-

tolo di Pentecoste, raccolto il consiglio dei frati, ne faremo un Capitolo solo in questa forma:

S e qualcuno dei frati, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente, sia tenuto per obbedienza a ri-

correre al suo guardiano

E tutti i frati, che fossero a conoscenza del peccato di lui, non gli facciano vergogna né dicano male di lui,

ma ne abbiano grande misericordia e tengano assai se-greto il peccato del loro fratello, perché non i sani hanno bisogno del medico, ma i malati (Mt 9,12).

E sempre per obbedienza siamo tenuti a mandarlo con un compagno dal suo custode.

L o stesso custode poi provveda misericordiosamente a lui, come vorrebbe si provvedesse a lui medesimo, se

si trovasse in un caso simile.

E se fosse caduto in qualche peccato veniale, si confessi ad un fratello sacerdote.

E se in quel luogo non ci fosse un sacerdote, si confessi ad un suo fratello, fino a che possa trovare un sacer-

dote che lo assolva canonicamente, come è stato detto.

E questi non abbiano potere di imporre altra penitenza all’infuori di questa: “Va’ e non peccare più!” (Cfr. Gv

8,11).

Questo scritto tienilo con te, affinché sia meglio osser-vato, fino al capitolo di Pentecoste; là sarai presente

con i tuoi frati.

E queste e tutte le altre cose, che sono ancora poco chiare nella Regola, sarà vostra cura di completarle,

con l’aiuto del Signore Iddio.

[...] che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono [...]

Lettera a un MINISTRO

FONTI FRANCESCANE 234 - 239

Agosto 2016 Agosto 201652 53

SGUARDI

ROBERTO CARBONI / VESCOVO FRANCESCANO DI ALES-TERRALBA

S e ci fosse ancora bisogno di dimostrare che Francesco d’Assisi è un grande maestro del discernimento spirituale, questa Lettera a un ministro ne sarebbe la

conferma piena. È la trasformazio-ne in direzione spirituale concreta della pagina drammatizzata della perfetta letizia. Ha sullo sfondo la passione di Gesù. Infatti è solo scorgendo in filigrana il volto del Cristo patiens, che possiamo giu-stificare il cammino che Francesco propone: ogni persona che ti sarà di ostacolo […] anche se ti coprisse-ro di battiture, amali. Come non vedere qui il racconto della “pazienza” di Cristo, del suo amore sino alla fine nonostante l’opposizione, lo scherno, le battiture. In ef-fetti non ci sono altre motivazioni per Francesco – ed è questa anche la proposta per noi – nell’accogliere le mo-lestie, le persone difficili, le sconfitte anche relazionali, se non illuminandole con l’abbagliante luce di colui che “taceva e pregava” per i suoi persecutori mentre veniva schernito e condotto al supplizio della croce. Il secondo quadro che Francesco propone mi pare che abbia come sfondo alcune pagine evangeliche: in-nanzi tutto quella del figlio prodigo che ritorna a casa e invece di trovare rimproveri, i meritati castighi e la pu-nizione per il suo peccato, incrocia solo lo sguardo del padre che an-siosamente lo aspetta e lo avvolge di perdono. A questo si aggiunge la parabola della dramma perduta e così ostinatamente cercata. Ogni peccatore, forse anche noi, perduti in chissà quali angoli bui dell’esi-stenza, siamo cercati con insisten-za, quasi caparbietà, dal Signore. È lui infatti che vuole dare il perdo-no anche a coloro che non hanno la forza per chiederlo. È sfolgorante la motivazione finale di questo com-

portamento che Francesco chiede a questo Ministro, ma in definitiva a tutti i frati: che tu possa attrarlo al Signore. Non si tratta infatti di una tecnica più o meno furba per

riconquistare le persone, per rista-bilire la tranquillità di tutti. Il vero obiettivo di Francesco è la relazio-ne con il Signore. La nostra mise-ricordia viene così spogliata della sottile tentazione di essere usata “per la nostra tranquillità”, per es-sere invece orientata all’unico e vero utilizzo che se ne può fare: manifestare in profondità l’amore del Padre.

Infine, è sorprendente la grande maturità spirituale di Francesco nel trattare i peccati dei suoi fratelli. Mi viene in mente un libretto di qualche anno fa di Henry Nouwen, Il guaritore ferito. La tesi di quel libretto era che solo chi ha avuto ferite (e il Signore Gesù ha le sue piaghe ben profonde…) può trattare e toccare un ferito, sia nello spirito che nel corpo, perché sa dove fa male… Francesco conosce per esperienza il peccato, come lui stesso ci ricorda nel suo Testamento. Ma soprattutto ha memoria della grande misericordia con cui è stato tratta-to dal Signore e da quelli che lo conoscevano. Adesso fa sua questa pedagogia e la propone ai suoi frati. Com’è attuale questo atteggiamento, sia nel

contesto della vita religiosa che in quello più ampio della vita eccle-siale: avere uno sguardo di mise-ricordia e non lo sguardo di colui che scruta solo per trovare errori e quantificare limiti. È l’atteggiamen-to del Signore, che pur invitando la persona a ritrovare la sua strada (vai e non peccare più) innanzi tut-to le offre il perdono (neanche io ti condanno...). Un insegnamento

audace per conciliare misericordia, perdono e invito alla conversione.

LA NOSTRA MISERICORDIA VIENE

SPOGLIATA DELLA SOTTILE TENTAZIONE

DI ESSERE USATA “PER LA NOSTRA TRANQUILLITÀ”

AVERE UNO SGUARDO DI MISERICORDIA E NON LO SGUARDO

DI COLUI CHE SCRUTA SOLO PER TROVARE ERRORI E

QUANTIFICARE LIMITI

È sorprendente la grande maturità spirituale di Francesco nel trattare i peccati dei suoi fratelli

Il racconto della PAZIENZA

La vera e perfetta letiziaLes Fioretti de Saint FrançoisParigi, Éditions Franciscaines, 1946

Agosto 2016 Agosto 201652 53

SGUARDI

ROBERTO CARBONI / VESCOVO FRANCESCANO DI ALES-TERRALBA

S e ci fosse ancora bisogno di dimostrare che Francesco d’Assisi è un grande maestro del discernimento spirituale, questa Lettera a un ministro ne sarebbe la

conferma piena. È la trasformazio-ne in direzione spirituale concreta della pagina drammatizzata della perfetta letizia. Ha sullo sfondo la passione di Gesù. Infatti è solo scorgendo in filigrana il volto del Cristo patiens, che possiamo giu-stificare il cammino che Francesco propone: ogni persona che ti sarà di ostacolo […] anche se ti coprisse-ro di battiture, amali. Come non vedere qui il racconto della “pazienza” di Cristo, del suo amore sino alla fine nonostante l’opposizione, lo scherno, le battiture. In ef-fetti non ci sono altre motivazioni per Francesco – ed è questa anche la proposta per noi – nell’accogliere le mo-lestie, le persone difficili, le sconfitte anche relazionali, se non illuminandole con l’abbagliante luce di colui che “taceva e pregava” per i suoi persecutori mentre veniva schernito e condotto al supplizio della croce. Il secondo quadro che Francesco propone mi pare che abbia come sfondo alcune pagine evangeliche: in-nanzi tutto quella del figlio prodigo che ritorna a casa e invece di trovare rimproveri, i meritati castighi e la pu-nizione per il suo peccato, incrocia solo lo sguardo del padre che an-siosamente lo aspetta e lo avvolge di perdono. A questo si aggiunge la parabola della dramma perduta e così ostinatamente cercata. Ogni peccatore, forse anche noi, perduti in chissà quali angoli bui dell’esi-stenza, siamo cercati con insisten-za, quasi caparbietà, dal Signore. È lui infatti che vuole dare il perdo-no anche a coloro che non hanno la forza per chiederlo. È sfolgorante la motivazione finale di questo com-

portamento che Francesco chiede a questo Ministro, ma in definitiva a tutti i frati: che tu possa attrarlo al Signore. Non si tratta infatti di una tecnica più o meno furba per

riconquistare le persone, per rista-bilire la tranquillità di tutti. Il vero obiettivo di Francesco è la relazio-ne con il Signore. La nostra mise-ricordia viene così spogliata della sottile tentazione di essere usata “per la nostra tranquillità”, per es-sere invece orientata all’unico e vero utilizzo che se ne può fare: manifestare in profondità l’amore del Padre.

Infine, è sorprendente la grande maturità spirituale di Francesco nel trattare i peccati dei suoi fratelli. Mi viene in mente un libretto di qualche anno fa di Henry Nouwen, Il guaritore ferito. La tesi di quel libretto era che solo chi ha avuto ferite (e il Signore Gesù ha le sue piaghe ben profonde…) può trattare e toccare un ferito, sia nello spirito che nel corpo, perché sa dove fa male… Francesco conosce per esperienza il peccato, come lui stesso ci ricorda nel suo Testamento. Ma soprattutto ha memoria della grande misericordia con cui è stato tratta-to dal Signore e da quelli che lo conoscevano. Adesso fa sua questa pedagogia e la propone ai suoi frati. Com’è attuale questo atteggiamento, sia nel

contesto della vita religiosa che in quello più ampio della vita eccle-siale: avere uno sguardo di mise-ricordia e non lo sguardo di colui che scruta solo per trovare errori e quantificare limiti. È l’atteggiamen-to del Signore, che pur invitando la persona a ritrovare la sua strada (vai e non peccare più) innanzi tut-to le offre il perdono (neanche io ti condanno...). Un insegnamento

audace per conciliare misericordia, perdono e invito alla conversione.

LA NOSTRA MISERICORDIA VIENE

SPOGLIATA DELLA SOTTILE TENTAZIONE

DI ESSERE USATA “PER LA NOSTRA TRANQUILLITÀ”

AVERE UNO SGUARDO DI MISERICORDIA E NON LO SGUARDO

DI COLUI CHE SCRUTA SOLO PER TROVARE ERRORI E

QUANTIFICARE LIMITI

È sorprendente la grande maturità spirituale di Francesco nel trattare i peccati dei suoi fratelli

Il racconto della PAZIENZA

La vera e perfetta letiziaLes Fioretti de Saint FrançoisParigi, Éditions Franciscaines, 1946

Agosto 2016 Agosto 201654 55

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GRADO GIOVANNI MERLO / STORICO

S i tratta di un testo indirizzato ad personam, anche se il destinatario non è stato sinora individuato. Una certa tradizione ha voluto che fosse frate Elia, in quanto due manoscritti che lo traman-

dano indicano con chiarezza questo nome e altri due in modo anonimo il ministro generale. Gli studiosi propendono oggi per la indicazione contenuta in manoscritti ritenuti più autorevoli che indicano un destinatario imprecisato o, me-glio, precisato dalla sigla N: scelta che lascia aperte molte possibili e auspicabili soluzioni per l’identifica-zione del destinatario. Il testo appartiene alla tipologia delle lettere personali indirizzate da frate Francesco a precisi interlocutori con il fine di aiutarli ad affrontare situazioni difficili e di invitarli alla fedeltà evangelica nella concretezza imposta dalle re-lazioni interpersonali. In questo caso i suggerimenti sono rivolti a un fratello/frate con responsabilità di guida su altri fratelli/frati. Le responsabilità del ministro si rivelano pesanti proprio perché riguardano altri. Esse sono però un banco di prova per le proprie capacità d’amore e d’ob-bedienza verso Dio, anche in con-tingenze di assoluta difficoltà, come quando, per esempio, i fratelli/frati costituiscano un consistente e duro ostacolo a vivere secondo il modello del santo Vangelo. Di grande importanza è la pericope 7 (E in ciò amali e non volere che siano cristiani migliori). Nella sua icasticità tale pericope propone con grande evidenza in qual modo frate Francesco intendesse l’esperienza cristiana, in quanto abbandono to-tale alla volontà divina e all’azione della Grazia. Non meno chiarificatrice è la pericope succes-siva (E questo sia per te più che stare nell’eremo) in merito alla dialettica tra istituzioni religiose ed esperienza stessa.

L’eremo non è di per sé luogo di perfezione evangelica, poiché questa si realizza, prima e sopra tutto, sul piano delle relazioni interpersonali: le quali devono strutturarsi sull’amore gratuito e sulla più grande misericordia. È assai importante ancora che le indicazioni e le esortazioni di

frate Francesco non siano limitate a un fratello/frate ministro in difficol-tà, bensì siano da costui estese agli altri fratelli/frati guardiani che a lui, in quanto ministro, fanno riferimen-to disciplinare e organizzativo. La seconda parte della lettera offre qualche possibilità di datazio-ne – da aggiungere eventualmente

a quelle derivabili dall’ipotetica destinazione a frate Elia che assunse la guida dell’Ordine/fraternità nel marzo del 1221 – in quanto esiste l’esplicito riferimento al capitolo nel quale venne discusso e approvato il testo della Regola che sarebbe giunta alla conferma di Onorio III. La lettera è dunque anteriore alla Pentecoste del 1223 e offre alcu-ne indicazioni non trascurabili circa le modalità attraverso le quali si pervenne alla elaborazione della Regola stessa nella sua forma definitiva. Nella Regola bollata si giunse,

poi, a una diversa formulazione del “capitulum” prefigurato e proposto in questa lettera. Ciò forse motiva il fatto che essa sia stata trasmessa soltanto attraver-so una delle collezioni degli scritti di frate Francesco, in specifico il co-siddetto “gruppo della Porziuncola”. Avendo oramai una norma diversa stabilita nel capitolo di Pentecoste del 1223, non si imponeva la neces-sità né si prospettava l’opportunità di riprodurre la Lettera al ministro: la quale, per altro, è un testo di ca-

rattere “contingente” (Questo scritto tienilo con te […] fino a Pentecoste), nonostante che presenti contenuti di elevato valore cristiano e di perenne validità.

LE RESPONSABILITÀ DEL MINISTRO SI

RIVELANO PESANTI PROPRIO PERCHÉ

RIGUARDANO “ALTRI”

LA LETTERA OFFRE ALCUNE INDICAZIONI NON TRASCURABILI CIRCA LE MODALITÀ

ATTRAVERSO LE QUALI SI PERVENNE

ALLA ELABORAZIONE DELLA REGOLA STESSA

NELLA SUA FORMA DEFINITIVA

Il testo appartiene alla tipologia delle lettere personali indirizzate da frate Francesco a precisi interlocutori con il fine di aiutarli ad affrontare situazioni difficili e di invitarli alla fedeltà evangelica

I molti nomi di N...Sigillo della Provincia Romana raffigurante San Francesco che ottiene l’approvazione della Regola da papa Onorio IIILegno e bronzo inciso, XVII secolo

Agosto 2016 Agosto 201654 55

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GRADO GIOVANNI MERLO / STORICO

S i tratta di un testo indirizzato ad personam, anche se il destinatario non è stato sinora individuato. Una certa tradizione ha voluto che fosse frate Elia, in quanto due manoscritti che lo traman-

dano indicano con chiarezza questo nome e altri due in modo anonimo il ministro generale. Gli studiosi propendono oggi per la indicazione contenuta in manoscritti ritenuti più autorevoli che indicano un destinatario imprecisato o, me-glio, precisato dalla sigla N: scelta che lascia aperte molte possibili e auspicabili soluzioni per l’identifica-zione del destinatario. Il testo appartiene alla tipologia delle lettere personali indirizzate da frate Francesco a precisi interlocutori con il fine di aiutarli ad affrontare situazioni difficili e di invitarli alla fedeltà evangelica nella concretezza imposta dalle re-lazioni interpersonali. In questo caso i suggerimenti sono rivolti a un fratello/frate con responsabilità di guida su altri fratelli/frati. Le responsabilità del ministro si rivelano pesanti proprio perché riguardano altri. Esse sono però un banco di prova per le proprie capacità d’amore e d’ob-bedienza verso Dio, anche in con-tingenze di assoluta difficoltà, come quando, per esempio, i fratelli/frati costituiscano un consistente e duro ostacolo a vivere secondo il modello del santo Vangelo. Di grande importanza è la pericope 7 (E in ciò amali e non volere che siano cristiani migliori). Nella sua icasticità tale pericope propone con grande evidenza in qual modo frate Francesco intendesse l’esperienza cristiana, in quanto abbandono to-tale alla volontà divina e all’azione della Grazia. Non meno chiarificatrice è la pericope succes-siva (E questo sia per te più che stare nell’eremo) in merito alla dialettica tra istituzioni religiose ed esperienza stessa.

L’eremo non è di per sé luogo di perfezione evangelica, poiché questa si realizza, prima e sopra tutto, sul piano delle relazioni interpersonali: le quali devono strutturarsi sull’amore gratuito e sulla più grande misericordia. È assai importante ancora che le indicazioni e le esortazioni di

frate Francesco non siano limitate a un fratello/frate ministro in difficol-tà, bensì siano da costui estese agli altri fratelli/frati guardiani che a lui, in quanto ministro, fanno riferimen-to disciplinare e organizzativo. La seconda parte della lettera offre qualche possibilità di datazio-ne – da aggiungere eventualmente

a quelle derivabili dall’ipotetica destinazione a frate Elia che assunse la guida dell’Ordine/fraternità nel marzo del 1221 – in quanto esiste l’esplicito riferimento al capitolo nel quale venne discusso e approvato il testo della Regola che sarebbe giunta alla conferma di Onorio III. La lettera è dunque anteriore alla Pentecoste del 1223 e offre alcu-ne indicazioni non trascurabili circa le modalità attraverso le quali si pervenne alla elaborazione della Regola stessa nella sua forma definitiva. Nella Regola bollata si giunse,

poi, a una diversa formulazione del “capitulum” prefigurato e proposto in questa lettera. Ciò forse motiva il fatto che essa sia stata trasmessa soltanto attraver-so una delle collezioni degli scritti di frate Francesco, in specifico il co-siddetto “gruppo della Porziuncola”. Avendo oramai una norma diversa stabilita nel capitolo di Pentecoste del 1223, non si imponeva la neces-sità né si prospettava l’opportunità di riprodurre la Lettera al ministro: la quale, per altro, è un testo di ca-

rattere “contingente” (Questo scritto tienilo con te […] fino a Pentecoste), nonostante che presenti contenuti di elevato valore cristiano e di perenne validità.

LE RESPONSABILITÀ DEL MINISTRO SI

RIVELANO PESANTI PROPRIO PERCHÉ

RIGUARDANO “ALTRI”

LA LETTERA OFFRE ALCUNE INDICAZIONI NON TRASCURABILI CIRCA LE MODALITÀ

ATTRAVERSO LE QUALI SI PERVENNE

ALLA ELABORAZIONE DELLA REGOLA STESSA

NELLA SUA FORMA DEFINITIVA

Il testo appartiene alla tipologia delle lettere personali indirizzate da frate Francesco a precisi interlocutori con il fine di aiutarli ad affrontare situazioni difficili e di invitarli alla fedeltà evangelica

I molti nomi di N...Sigillo della Provincia Romana raffigurante San Francesco che ottiene l’approvazione della Regola da papa Onorio IIILegno e bronzo inciso, XVII secolo

Agosto 2016 Agosto 201656 57

SGUARDI

CORRADO LOREFICE / ARCIVESCOVO FRANCESCANO DI PALERMO

L a Lettera a un ministro è certamente una di quelle pagine la cui trama è lo stesso evan-gelo del Crocifisso-Risorto. Scritto impegna-tivo perché tale è il dettato evangelico sul

perdono ai fratelli. È al contempo una lettera nella quale emerge pienamente il sen-tire spirituale del “somigliantissi-mo a Cristo” e l’aiuto che vuole offrire al confratello ministro per la sua crescita spirituale. Riguardo al rapporto perso-nale con Dio, Francesco, uomo spirituale, è consapevole che tutto ciò che comunemente vie-ne considerato ostacolo – a vol-te anche le stesse persone – nel cammino di amore verso il Si-gnore, deve essere considerato per quello che autenticamente è: grazia. Per questa ragione si deve arrivare anche ad amare chi ci contrista, accet-tandolo così com’è. Ci sembra interessante notare come a tale relazione di amore, per Francesco, deb-ba essere posposto anche il de-siderio buono, quale il condurre vita solitaria. Al rapporto fraterno di mise-ricordia va assegnato sempre il primo posto, anche nella propria vita spirituale, il cui programma (l’appartarsi in un eremo che il ministro avrebbe desiderato rea-lizzare) viene convertito proprio dalla concreta situazione di pec-cato vissuta dal fratello. È cioè il peccato del fratello che evangelizza il ministro. La cartina al tornasole del suo vero amore per il Signore e per Francesco è data infatti proprio dal perdono, richiesto o non richiesto, da concedere. È bellissima, a tal proposito, l’immagine degli

occhi perdonanti del ministro. Proprio il reiterato amore, l’esercizio della continua misericordia è ciò che può attrarre il fratello che continuamente sba-glia. Possiamo affermare come nell’Assisiate sia cer-tamente presente la macrothymia evangelica, per la

quale bisogna sempre accoglie-re, pazientare e dare ulteriori chances al fratello peccatore, perché nessuno perisca e tutti giungano alla conversione (cf. 2Pt 3,9). E questa longanimità fa crescere evangelicamente lo stesso ministro perché lo spinge salutarmente ad entrare sempre più nella “scandalosa” logica evangelica. Sapienti si rivelano anche le considerazioni riguardanti i pec-cati, mortali o veniali che siano, commessi dai frati. Misericordia,

segretezza, custodia fraterna fino al punto, in assenza di presbiteri, di ascoltare la colpa del fratello: queste le caratteristiche che devono regnare nel guardiano

e nell’intera comunità di frati. Da queste pagine traspare anche la profonda umanità di Francesco e la lucida consape-volezza della debolezza della nostra condizione. Quando si sbaglia, a nulla vale infierire ma bisogna portare il fratello nel cuore, farsi convertire dalla de-bolezza del fratello e operare nell’unico modo perché questi possa lasciarsi toccare dalla gra-

zia di Dio: usare misericordia. La via della conversio-ne infatti passa sempre dall’instancabile e diuturna accoglienza nei riguardi di chi sbaglia, di noi, spesso infedeli ai doni di Dio e alla custodia fratrum soro-rumque.

UNA LETTERA NELLA QUALE EMERGE

PIENAMENTE IL SENTIRE

SPIRITUALE DEL “SOMIGLIANTISSIMO A CRISTO” E L’AIUTO CHE VUOLE OFFRIRE

AL CONFRATELLO MINISTRO PER LA SUA CRESCITA SPIRITUALE

QUANDO SI SBAGLIA, A NULLA VALE INFIERIRE MA

BISOGNA PORTARE IL FRATELLO NEL CUORE,

FARSI CONVERTIRE DALLA DEBOLEZZA

DEL FRATELLO

Il reiterato amore, l’esercizio della continua misericordia può attrarre il fratello che continuamente sbaglia

Gli occhi PERDONANTIdel ministro

San Francesco e storie della sua vita Bonaventura Berlinghieri (1235)Chiesa di San Francesco a Pescia

Agosto 2016 Agosto 201656 57

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CORRADO LOREFICE / ARCIVESCOVO FRANCESCANO DI PALERMO

L a Lettera a un ministro è certamente una di quelle pagine la cui trama è lo stesso evan-gelo del Crocifisso-Risorto. Scritto impegna-tivo perché tale è il dettato evangelico sul

perdono ai fratelli. È al contempo una lettera nella quale emerge pienamente il sen-tire spirituale del “somigliantissi-mo a Cristo” e l’aiuto che vuole offrire al confratello ministro per la sua crescita spirituale. Riguardo al rapporto perso-nale con Dio, Francesco, uomo spirituale, è consapevole che tutto ciò che comunemente vie-ne considerato ostacolo – a vol-te anche le stesse persone – nel cammino di amore verso il Si-gnore, deve essere considerato per quello che autenticamente è: grazia. Per questa ragione si deve arrivare anche ad amare chi ci contrista, accet-tandolo così com’è. Ci sembra interessante notare come a tale relazione di amore, per Francesco, deb-ba essere posposto anche il de-siderio buono, quale il condurre vita solitaria. Al rapporto fraterno di mise-ricordia va assegnato sempre il primo posto, anche nella propria vita spirituale, il cui programma (l’appartarsi in un eremo che il ministro avrebbe desiderato rea-lizzare) viene convertito proprio dalla concreta situazione di pec-cato vissuta dal fratello. È cioè il peccato del fratello che evangelizza il ministro. La cartina al tornasole del suo vero amore per il Signore e per Francesco è data infatti proprio dal perdono, richiesto o non richiesto, da concedere. È bellissima, a tal proposito, l’immagine degli

occhi perdonanti del ministro. Proprio il reiterato amore, l’esercizio della continua misericordia è ciò che può attrarre il fratello che continuamente sba-glia. Possiamo affermare come nell’Assisiate sia cer-tamente presente la macrothymia evangelica, per la

quale bisogna sempre accoglie-re, pazientare e dare ulteriori chances al fratello peccatore, perché nessuno perisca e tutti giungano alla conversione (cf. 2Pt 3,9). E questa longanimità fa crescere evangelicamente lo stesso ministro perché lo spinge salutarmente ad entrare sempre più nella “scandalosa” logica evangelica. Sapienti si rivelano anche le considerazioni riguardanti i pec-cati, mortali o veniali che siano, commessi dai frati. Misericordia,

segretezza, custodia fraterna fino al punto, in assenza di presbiteri, di ascoltare la colpa del fratello: queste le caratteristiche che devono regnare nel guardiano

e nell’intera comunità di frati. Da queste pagine traspare anche la profonda umanità di Francesco e la lucida consape-volezza della debolezza della nostra condizione. Quando si sbaglia, a nulla vale infierire ma bisogna portare il fratello nel cuore, farsi convertire dalla de-bolezza del fratello e operare nell’unico modo perché questi possa lasciarsi toccare dalla gra-

zia di Dio: usare misericordia. La via della conversio-ne infatti passa sempre dall’instancabile e diuturna accoglienza nei riguardi di chi sbaglia, di noi, spesso infedeli ai doni di Dio e alla custodia fratrum soro-rumque.

UNA LETTERA NELLA QUALE EMERGE

PIENAMENTE IL SENTIRE

SPIRITUALE DEL “SOMIGLIANTISSIMO A CRISTO” E L’AIUTO CHE VUOLE OFFRIRE

AL CONFRATELLO MINISTRO PER LA SUA CRESCITA SPIRITUALE

QUANDO SI SBAGLIA, A NULLA VALE INFIERIRE MA

BISOGNA PORTARE IL FRATELLO NEL CUORE,

FARSI CONVERTIRE DALLA DEBOLEZZA

DEL FRATELLO

Il reiterato amore, l’esercizio della continua misericordia può attrarre il fratello che continuamente sbaglia

Gli occhi PERDONANTIdel ministro

San Francesco e storie della sua vita Bonaventura Berlinghieri (1235)Chiesa di San Francesco a Pescia

Agosto 2016 Agosto 201658 59

SGUARDI

MARIO MORCELLINI / PRORETTORE ALLA COMUNICAZIONE, UNIVERSITÀ LA SAPIENZA

I l testo che commento è un ulteriore piccolo mira-colo regalato dalle Fonti Francescane. Per quanto si possa pensare che l’antologia sia stata condotta con intelligenza e sensibilità, colpisce la sofisticata ana-

lisi dei sentimenti umani radicali, ovviamente incompri-mibili anche in un homo religiosus. Sembra di vedere, quasi cinemato-graficamente, il Ministro Provinciale che animosamente va a lamentarsi presso i suoi superiori della riotto-sità e riluttanza all’obbedienza dei suoi frati, accusati di essere di “im-pedimento nell’amare il Signore”. Partiamo intanto dalla sor-prendente modernità persino della lingua: è difficile trovare passaggi che non parlino direttamente, e dunque senza mediazio-ni, ai moderni. Tutto il testo approfondisce la metafora dell’impedimento, letto come continua ricerca di alibi non di rado per mascherare le asperità dell’itinerario di spogliazione dei sentimenti umani, facendone carico agli altri. San Francesco rovescia l’alibi e chiede esplicita-mente al Provinciale di amare quelli che gli procura-no ostacoli, e anzi di considerare questa prova come una chance di salvezza: “tutto questo devi ritenere come una grazia”. In altre parole, un’obbedienza convinta e non formale chiede di tener conto degli altri, includendoli anche se nemici o violenti. Ma Fran-cesco dice qualcosa di più, e ancora una volta con accenti di prepotente modernità: istituisce un confronto in cui la quotidianità delle contese e dei risentimenti finisce per essere lo scenario della vita vera, da pre-ferire persino alla scelta apparentemente più radicale di “stare appartato in un eremo”. Impossibile non sottolinea-re una scelta di impegno per la vita attiva contro il luogo

comune che solo la vita contemplativa possa davvero ac-celerare il compimento di una vocazione religiosa. E tutto questo avviene non nei fragori persino troppo rumorosi della modernità, ma molti secoli addietro, in un tempo in cui l’opzione monastica (la solitudine del monos) faceva

premio sulla comunità di vita con-sacrata (il cenobio, e cioè il koinos bios). Ma il testo ha molto a che fare con la comunicazione, anche con-temporanea. Ancora una volta, Francesco usa la misericordia per rovesciare il tavolo, e ancora una volta attiva una profonda cono-scenza della dinamica della maldi-cenza come tessuto sottocutaneo

dell’incattivimento dei rapporti. Al capezzale del cuore degli uomini, il Santo dice che “tutti i frati, che fossero a conoscenza del peccato di lui, non gli facciano vergogna né dicano male di lui, ma ne abbiano grande misericor-dia e tengano assai segreto il peccato del loro fratello”. Se si pensa a quanto i media contemporanei esasperano le narrazioni del male e sono succubi del fascino del gossip,

si capisce quanto questa lettera par-li agli uomini della comunicazione (o almeno a quelli che ancora leg-gono). È evidente lo sforzo instancabi-le di immedesimarsi nell’altro. O se vogliamo dirla in termini moderni, un modo rivoluzionario per rispon-dere alla domanda dell’individua-lismo contemporaneo: cosa fare dell’altro? E la risposta è l’unica che disarma davvero l’attrito con gli al-tri, la provocante e unilaterale ca-pacità di immedesimarsi e, dunque,

finalmente di com-prendere: “provveda misericordiosa-mente a lui, come vorrebbe si provvedesse a lui medesimo, se si trovasse in un caso simile”.

IL TESTO APPROFONDISCE

LA METAFORA DELL’IMPEDIMENTO,

LETTO COME CONTINUA RICERCA

DI ALIBI

AL CAPEZZALE DEL CUORE DEGLI UOMINI, IL SANTO DICE CHE “TUTTI I

FRATI, CHE FOSSERO A CONOSCENZA DEL

PECCATO DI LUI, NON GLI FACCIANO

VERGOGNA NÉ DICANO MALE DI LUI”

“Come vorrebbe si provvedesse a lui […], se si trovasse in un caso simile”

Una LETTERA ai moderni sul rapporto ego/alter

San Francesco prega assieme ai frati Miniatura del XIV secoloRoma, Museo Francescano

Agosto 2016 Agosto 201658 59

SGUARDI

MARIO MORCELLINI / PRORETTORE ALLA COMUNICAZIONE, UNIVERSITÀ LA SAPIENZA

I l testo che commento è un ulteriore piccolo mira-colo regalato dalle Fonti Francescane. Per quanto si possa pensare che l’antologia sia stata condotta con intelligenza e sensibilità, colpisce la sofisticata ana-

lisi dei sentimenti umani radicali, ovviamente incompri-mibili anche in un homo religiosus. Sembra di vedere, quasi cinemato-graficamente, il Ministro Provinciale che animosamente va a lamentarsi presso i suoi superiori della riotto-sità e riluttanza all’obbedienza dei suoi frati, accusati di essere di “im-pedimento nell’amare il Signore”. Partiamo intanto dalla sor-prendente modernità persino della lingua: è difficile trovare passaggi che non parlino direttamente, e dunque senza mediazio-ni, ai moderni. Tutto il testo approfondisce la metafora dell’impedimento, letto come continua ricerca di alibi non di rado per mascherare le asperità dell’itinerario di spogliazione dei sentimenti umani, facendone carico agli altri. San Francesco rovescia l’alibi e chiede esplicita-mente al Provinciale di amare quelli che gli procura-no ostacoli, e anzi di considerare questa prova come una chance di salvezza: “tutto questo devi ritenere come una grazia”. In altre parole, un’obbedienza convinta e non formale chiede di tener conto degli altri, includendoli anche se nemici o violenti. Ma Fran-cesco dice qualcosa di più, e ancora una volta con accenti di prepotente modernità: istituisce un confronto in cui la quotidianità delle contese e dei risentimenti finisce per essere lo scenario della vita vera, da pre-ferire persino alla scelta apparentemente più radicale di “stare appartato in un eremo”. Impossibile non sottolinea-re una scelta di impegno per la vita attiva contro il luogo

comune che solo la vita contemplativa possa davvero ac-celerare il compimento di una vocazione religiosa. E tutto questo avviene non nei fragori persino troppo rumorosi della modernità, ma molti secoli addietro, in un tempo in cui l’opzione monastica (la solitudine del monos) faceva

premio sulla comunità di vita con-sacrata (il cenobio, e cioè il koinos bios). Ma il testo ha molto a che fare con la comunicazione, anche con-temporanea. Ancora una volta, Francesco usa la misericordia per rovesciare il tavolo, e ancora una volta attiva una profonda cono-scenza della dinamica della maldi-cenza come tessuto sottocutaneo

dell’incattivimento dei rapporti. Al capezzale del cuore degli uomini, il Santo dice che “tutti i frati, che fossero a conoscenza del peccato di lui, non gli facciano vergogna né dicano male di lui, ma ne abbiano grande misericor-dia e tengano assai segreto il peccato del loro fratello”. Se si pensa a quanto i media contemporanei esasperano le narrazioni del male e sono succubi del fascino del gossip,

si capisce quanto questa lettera par-li agli uomini della comunicazione (o almeno a quelli che ancora leg-gono). È evidente lo sforzo instancabi-le di immedesimarsi nell’altro. O se vogliamo dirla in termini moderni, un modo rivoluzionario per rispon-dere alla domanda dell’individua-lismo contemporaneo: cosa fare dell’altro? E la risposta è l’unica che disarma davvero l’attrito con gli al-tri, la provocante e unilaterale ca-pacità di immedesimarsi e, dunque,

finalmente di com-prendere: “provveda misericordiosa-mente a lui, come vorrebbe si provvedesse a lui medesimo, se si trovasse in un caso simile”.

IL TESTO APPROFONDISCE

LA METAFORA DELL’IMPEDIMENTO,

LETTO COME CONTINUA RICERCA

DI ALIBI

AL CAPEZZALE DEL CUORE DEGLI UOMINI, IL SANTO DICE CHE “TUTTI I

FRATI, CHE FOSSERO A CONOSCENZA DEL

PECCATO DI LUI, NON GLI FACCIANO

VERGOGNA NÉ DICANO MALE DI LUI”

“Come vorrebbe si provvedesse a lui […], se si trovasse in un caso simile”

Una LETTERA ai moderni sul rapporto ego/alter

San Francesco prega assieme ai frati Miniatura del XIV secoloRoma, Museo Francescano

Agosto 2016 Agosto 201660 61

SGUARDI

GIANFRANCO AGOSTINO GARDIN / VESCOVO FRANCESCANO DI TREVISO DOMENICO DE MASI / SOCIOLOGO

D oveva essere un soggetto davvero difficile quel frate. Forse una di quelle persone a cui non va mai bene niente, o un piantagrane implacabi-le, o un perenne “bastian contrario” che mette

in discussione tutto e che ti porta a cedere per sfinimento. E infatti sembra proprio sfinito il frate “ministro”, cioè il suo superiore; il quale scrive a san Francesco - così par di capire - chiedendo di andarsene a vivere in un eremo, cioè in un conventino iso-lato, e libero da ogni responsabilità. Avrà pensato: Francesco, comprensi-vo com’è, mi risponderà: ma sì, va’ in pace, hai già patito abbastanza! La risposta del Santo di Assisi è però di tutt’altro genere. Francesco scrive: renditi conto che questo fratello tanto difficile è per te una “grazia”, cioè un dono. Perché? Perché ti offre una singolare occasione di praticare il Vangelo, e questa occasione di essere un vero discepolo di Gesù tu non devi proprio perderla. In sostanza, Francesco risponde: non fuggire, pensando a te. Pensa piuttosto a lui. Ne vengono alcune indicazioni precise. La prima è: amalo; e ama tutti “coloro che agiscono

con te in questo modo”. Una seconda: amalo com’è, o forse proprio perché è così. Una terza: non pretendere che cam-bi, che “diventi un cristiano migliore”. E dunque: perdonalo. Non in maniera solenne, pieno di sussiego, ma con un gesto umile, semplice; anzi, deve accorgersi che tu lo perdoni anche solo dal tuo sguardo, vedendo i tuoi occhi. E questo - dichiara Francesco - deve accadere anche con un fratello “che abbia

peccato quanto è possibile peccare”, e anche con chi poi ricadesse nel suo peccato mille volte: che gli basti vede-re i tuoi occhi, per cogliere in te tutta la misericordia che il Signore attraver-so di te intende manifestargli. Giustamente è stato detto che que-sta pagina sulla misericordia verso il

fratello che sbaglia è una tra le più alte e ispirate dell’intera let-teratura cristiana del Medioevo. Ma c’è da pensare che France-sco non sarebbe d’accordo con questo giudizio altisonante. Se si potesse chiedere a Francesco perché ha indicato una così sconfinata misericordia (un pericoloso “buonismo”, direbbe qualcuno), penso che risponderebbe: ma questo non è che il Vangelo! E che altro deve fare un cristiano se non praticare il Vangelo?

N ell’Anno Santo della Misericordia, questa lettera di san Francesco al ministro suona come un inno alla misericordia. Gu-

stiamola frase per frase.La Lettera dice: “Che non ci sia alcun fra-te al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo per-dono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato”. In questo modo Francesco conferisce al concetto di mise-ricordia un significato materno, ispirato alla pìetas. E qui sta un aspetto centrale della rivoluzio-ne francescana: il Dio pantocra-tore distante, terribile e temibile della tradizione ebraica e bizan-tina, nel pensiero francescano si trasforma in genitore vicino e umanissimo che pre-ferisce comprendere e perdonare piuttosto che giu-dicare e punire. Se si pensa che siamo in un secolo segnato da guerre e intolleranze, ci si rende conto del salto di qualità che Francesco fa fare alla sua fratellanza e a tutta l’umanità. Correggendo con il perdono l’asimmetria che il peccato crea tra il giusto e il peccatore, Francesco trasforma l’asimmetria in reciprocità e fa propria la massima evangelica “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”: “Se qualcuno dei frati, per istiga-zione del nemico, avrà peccato mortalmente […] il custode prov-veda misericordiosamente a lui, come vorrebbe si provvedesse a lui medesimo, se si

trovasse in un caso simile”. E, affinché non vi siano dubbi, questo concetto è

ulteriormente rinforzato infran-gendo la durezza paterna che porta al giudizio con l’abbraccio materno che porta all’accoglien-za: “E se in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli”. Ma poi la Lettera aggiunge un ulteriore significato al concet-to di misericordia, consigliando che il frate peccatore non solo sia perdonato ma sia anche og-getto della massima delicatezza: “Tutti i frati, che fossero a cono-scenza del peccato di lui, non gli facciano vergogna né dica-no male di lui, ma ne abbiano

grande misericordia e tengano assai segreto il pecca-to del loro fratello, perché non i sani hanno bisogno del medico, ma i malati”. Come si vede, Francesco consiglia di intendere la colpa come una fragilità meritevole di cura. In questa accezione, avere misericordia dell’altro signi-fica prendersi cura dell’altro, il quale, senza questa

cura, non sopravviverebbe, così come non sopravviverebbe un bambino senza la cura della ma-dre. Madre che nutre e dà vita al figlio fin dall’atto del conce-pimento e lo espelle dall’utero solo quando egli è giunto a giu-sta maturazione. Insomma, per Francesco la misericordia è vittoria sull’ostili-

tà, trasformazione dell’ostile in fratello, condivisione

RENDITI CONTO CHE QUESTO FRATELLO TANTO DIFFICILE È

PER TE UNA “GRAZIA”

IL DIO PANTOCRATORE

DISTANTE, TERRIBILE E TEMIBILE DELLA

TRADIZIONE EBRAICA E BIZANTINA, NEL PENSIERO

FRANCESCANO SI TRASFORMA IN

GENITORE VICINO E UMANISSIMO

CHE PREFERISCE COMPRENDERE E PERDONARE

PIUTTOSTO CHE GIUDICARE E PUNIRE

E questo - dichiara Francesco - deve accadere anche con un fratello “che abbia peccato quanto è possibile peccare”

La misericordia è vittoria sull’ostilità, trasformazione dell’ostile in fratello, condivisione del peccato, mitezza della pena

… e dunque: PERDONALO Cura della FRAGILITÀ

IL FRATE PECCATORE NON SOLO SIA

PERDONATO MA SIA ANCHE OGGETTO DELLA MASSIMA DELICATEZZA

Agosto 2016 Agosto 201660 61

SGUARDI

GIANFRANCO AGOSTINO GARDIN / VESCOVO FRANCESCANO DI TREVISO DOMENICO DE MASI / SOCIOLOGO

D oveva essere un soggetto davvero difficile quel frate. Forse una di quelle persone a cui non va mai bene niente, o un piantagrane implacabi-le, o un perenne “bastian contrario” che mette

in discussione tutto e che ti porta a cedere per sfinimento. E infatti sembra proprio sfinito il frate “ministro”, cioè il suo superiore; il quale scrive a san Francesco - così par di capire - chiedendo di andarsene a vivere in un eremo, cioè in un conventino iso-lato, e libero da ogni responsabilità. Avrà pensato: Francesco, comprensi-vo com’è, mi risponderà: ma sì, va’ in pace, hai già patito abbastanza! La risposta del Santo di Assisi è però di tutt’altro genere. Francesco scrive: renditi conto che questo fratello tanto difficile è per te una “grazia”, cioè un dono. Perché? Perché ti offre una singolare occasione di praticare il Vangelo, e questa occasione di essere un vero discepolo di Gesù tu non devi proprio perderla. In sostanza, Francesco risponde: non fuggire, pensando a te. Pensa piuttosto a lui. Ne vengono alcune indicazioni precise. La prima è: amalo; e ama tutti “coloro che agiscono

con te in questo modo”. Una seconda: amalo com’è, o forse proprio perché è così. Una terza: non pretendere che cam-bi, che “diventi un cristiano migliore”. E dunque: perdonalo. Non in maniera solenne, pieno di sussiego, ma con un gesto umile, semplice; anzi, deve accorgersi che tu lo perdoni anche solo dal tuo sguardo, vedendo i tuoi occhi. E questo - dichiara Francesco - deve accadere anche con un fratello “che abbia

peccato quanto è possibile peccare”, e anche con chi poi ricadesse nel suo peccato mille volte: che gli basti vede-re i tuoi occhi, per cogliere in te tutta la misericordia che il Signore attraver-so di te intende manifestargli. Giustamente è stato detto che que-sta pagina sulla misericordia verso il

fratello che sbaglia è una tra le più alte e ispirate dell’intera let-teratura cristiana del Medioevo. Ma c’è da pensare che France-sco non sarebbe d’accordo con questo giudizio altisonante. Se si potesse chiedere a Francesco perché ha indicato una così sconfinata misericordia (un pericoloso “buonismo”, direbbe qualcuno), penso che risponderebbe: ma questo non è che il Vangelo! E che altro deve fare un cristiano se non praticare il Vangelo?

N ell’Anno Santo della Misericordia, questa lettera di san Francesco al ministro suona come un inno alla misericordia. Gu-

stiamola frase per frase.La Lettera dice: “Che non ci sia alcun fra-te al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo per-dono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato”. In questo modo Francesco conferisce al concetto di mise-ricordia un significato materno, ispirato alla pìetas. E qui sta un aspetto centrale della rivoluzio-ne francescana: il Dio pantocra-tore distante, terribile e temibile della tradizione ebraica e bizan-tina, nel pensiero francescano si trasforma in genitore vicino e umanissimo che pre-ferisce comprendere e perdonare piuttosto che giu-dicare e punire. Se si pensa che siamo in un secolo segnato da guerre e intolleranze, ci si rende conto del salto di qualità che Francesco fa fare alla sua fratellanza e a tutta l’umanità. Correggendo con il perdono l’asimmetria che il peccato crea tra il giusto e il peccatore, Francesco trasforma l’asimmetria in reciprocità e fa propria la massima evangelica “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”: “Se qualcuno dei frati, per istiga-zione del nemico, avrà peccato mortalmente […] il custode prov-veda misericordiosamente a lui, come vorrebbe si provvedesse a lui medesimo, se si

trovasse in un caso simile”. E, affinché non vi siano dubbi, questo concetto è

ulteriormente rinforzato infran-gendo la durezza paterna che porta al giudizio con l’abbraccio materno che porta all’accoglien-za: “E se in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli”. Ma poi la Lettera aggiunge un ulteriore significato al concet-to di misericordia, consigliando che il frate peccatore non solo sia perdonato ma sia anche og-getto della massima delicatezza: “Tutti i frati, che fossero a cono-scenza del peccato di lui, non gli facciano vergogna né dica-no male di lui, ma ne abbiano

grande misericordia e tengano assai segreto il pecca-to del loro fratello, perché non i sani hanno bisogno del medico, ma i malati”. Come si vede, Francesco consiglia di intendere la colpa come una fragilità meritevole di cura. In questa accezione, avere misericordia dell’altro signi-fica prendersi cura dell’altro, il quale, senza questa

cura, non sopravviverebbe, così come non sopravviverebbe un bambino senza la cura della ma-dre. Madre che nutre e dà vita al figlio fin dall’atto del conce-pimento e lo espelle dall’utero solo quando egli è giunto a giu-sta maturazione. Insomma, per Francesco la misericordia è vittoria sull’ostili-

tà, trasformazione dell’ostile in fratello, condivisione

RENDITI CONTO CHE QUESTO FRATELLO TANTO DIFFICILE È

PER TE UNA “GRAZIA”

IL DIO PANTOCRATORE

DISTANTE, TERRIBILE E TEMIBILE DELLA

TRADIZIONE EBRAICA E BIZANTINA, NEL PENSIERO

FRANCESCANO SI TRASFORMA IN

GENITORE VICINO E UMANISSIMO

CHE PREFERISCE COMPRENDERE E PERDONARE

PIUTTOSTO CHE GIUDICARE E PUNIRE

E questo - dichiara Francesco - deve accadere anche con un fratello “che abbia peccato quanto è possibile peccare”

La misericordia è vittoria sull’ostilità, trasformazione dell’ostile in fratello, condivisione del peccato, mitezza della pena

… e dunque: PERDONALO Cura della FRAGILITÀ

IL FRATE PECCATORE NON SOLO SIA

PERDONATO MA SIA ANCHE OGGETTO DELLA MASSIMA DELICATEZZA

Agosto 2016 Agosto 201662 63

del peccato, mitezza della pena: “E se fosse caduto in qualche peccato veniale, si confessi a un fratello sa-cerdote. E se in quel luogo non ci fosse un sacerdote, si confessi a un suo fratello, fino a che possa trovare un sacerdote che lo assolva ca-nonicamente, come è stato detto. E questi non abbiano potere di imporre altra penitenza all’in-fuori di questa: Va’ e non pecca-re più!”. Dunque, secondo la grande intuizione di Francesco, la tra-sformazione dell’ostile in fratello impedisce che l’ostilità entri in me e mi aiuta a capire

che i bisogni dell’altro vanno considerati prioritari rispetto ai miei bisogni. Così gli ostacoli della fede si trasformano in opportunità dell’anima: “[...] quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signo-

re Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o al-tri anche se ti coprissero di bat-titure, tutto questo devi ritenere come una grazia”. È da questo capolavoro di umanesimo anticipato e pratica-to che nasce tutta la visione mo-derna della città di Dio, simme-

trica e non antagonistica rispetto alla città dell’uomo.

FRANCESCO CONSIGLIA DI

INTENDERE LA COLPA COME UNA FRAGILITÀ MERITEVOLE DI CURA

San Francesco d’Assisi (part.)Andrea Vanni (1355)Altenburg - Germania, Lindenau Museum

SGUARDI

FRANCESCO ALBERONI / SOCIOLOGO

I l cristianesimo ha dato continuamente frutti e si e ar-ricchito attraverso l’insegnamento dei suoi dottori e dei suoi santi. È cresciuto come un grandissimo albero a partire da

una pianticella e i grandi santi come Francesco sono i rami da cui nascono nuovi rami e nuovi germogli. Quindi anche nuovi o più precisi insegna-menti per il nostro tempo. Dalle parole di san Francesco il cristianesimo appare non solo una religione della misericordia come perdono illimitato, ma anche come rispetto della libertà e della spontanei-tà del credente. L’amore per Dio e il comportamento corretto non devono nascere dalla obbliga-zione e dal controllo esterno, come la paura, ma da uno slan-cio sorgivo dell’anima dell’individuo a cui gli altri, anche i più rigorosi, devono guardare con rispetto. E non fa eccezione a

questa regola nemmeno il custode al quale Francesco chiede di accompagnare il peccatore misericordiosamente, come fa-

rebbe con se stesso. Questo scritto di san Francesco il-lustra in modo esemplare il principio cristiano che mette al primo posto il libero e spontaneo amore per Dio che non deve essere intralciato da nessuno, nemmeno da un intervento troppo invadente della comunità e dei suoi membri. Pur tutto questo, nella comunità cristiana c’è la legge e c’è la gerarchia. Ma l’una e l’altra devono restare al ser-vizio della libera volontà di amore per

Dio di ogni singolo credente, e per questo si appoggiano sulla misericordia che riduce lo spazio di giudizio degli uomini e delle leggi per lasciare spazio alla infinita sapienza e bontà di Dio.

L’AMORE PER DIO E IL COMPORTAMENTO CORRETTO NASCONO

DA UNO SLANCIO SORGIVO DELL’ANIMA E NON FA ECCEZIONE

A QUESTA REGOLA NEMMENO IL CUSTODE...

Dalle parole di san Francesco il cristianesimo appare non solo una religione della misericordia come perdono illimitato, ma anche come rispetto della libertà e della spontaneità del credente

ACCOMPAGNAREil peccatore

Albero della Vita (part.)Taddeo Gaddi (1333)Firenze, Santa Croce

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del peccato, mitezza della pena: “E se fosse caduto in qualche peccato veniale, si confessi a un fratello sa-cerdote. E se in quel luogo non ci fosse un sacerdote, si confessi a un suo fratello, fino a che possa trovare un sacerdote che lo assolva ca-nonicamente, come è stato detto. E questi non abbiano potere di imporre altra penitenza all’in-fuori di questa: Va’ e non pecca-re più!”. Dunque, secondo la grande intuizione di Francesco, la tra-sformazione dell’ostile in fratello impedisce che l’ostilità entri in me e mi aiuta a capire

che i bisogni dell’altro vanno considerati prioritari rispetto ai miei bisogni. Così gli ostacoli della fede si trasformano in opportunità dell’anima: “[...] quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signo-

re Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o al-tri anche se ti coprissero di bat-titure, tutto questo devi ritenere come una grazia”. È da questo capolavoro di umanesimo anticipato e pratica-to che nasce tutta la visione mo-derna della città di Dio, simme-

trica e non antagonistica rispetto alla città dell’uomo.

FRANCESCO CONSIGLIA DI

INTENDERE LA COLPA COME UNA FRAGILITÀ MERITEVOLE DI CURA

San Francesco d’Assisi (part.)Andrea Vanni (1355)Altenburg - Germania, Lindenau Museum

SGUARDI

FRANCESCO ALBERONI / SOCIOLOGO

I l cristianesimo ha dato continuamente frutti e si e ar-ricchito attraverso l’insegnamento dei suoi dottori e dei suoi santi. È cresciuto come un grandissimo albero a partire da

una pianticella e i grandi santi come Francesco sono i rami da cui nascono nuovi rami e nuovi germogli. Quindi anche nuovi o più precisi insegna-menti per il nostro tempo. Dalle parole di san Francesco il cristianesimo appare non solo una religione della misericordia come perdono illimitato, ma anche come rispetto della libertà e della spontanei-tà del credente. L’amore per Dio e il comportamento corretto non devono nascere dalla obbliga-zione e dal controllo esterno, come la paura, ma da uno slan-cio sorgivo dell’anima dell’individuo a cui gli altri, anche i più rigorosi, devono guardare con rispetto. E non fa eccezione a

questa regola nemmeno il custode al quale Francesco chiede di accompagnare il peccatore misericordiosamente, come fa-

rebbe con se stesso. Questo scritto di san Francesco il-lustra in modo esemplare il principio cristiano che mette al primo posto il libero e spontaneo amore per Dio che non deve essere intralciato da nessuno, nemmeno da un intervento troppo invadente della comunità e dei suoi membri. Pur tutto questo, nella comunità cristiana c’è la legge e c’è la gerarchia. Ma l’una e l’altra devono restare al ser-vizio della libera volontà di amore per

Dio di ogni singolo credente, e per questo si appoggiano sulla misericordia che riduce lo spazio di giudizio degli uomini e delle leggi per lasciare spazio alla infinita sapienza e bontà di Dio.

L’AMORE PER DIO E IL COMPORTAMENTO CORRETTO NASCONO

DA UNO SLANCIO SORGIVO DELL’ANIMA E NON FA ECCEZIONE

A QUESTA REGOLA NEMMENO IL CUSTODE...

Dalle parole di san Francesco il cristianesimo appare non solo una religione della misericordia come perdono illimitato, ma anche come rispetto della libertà e della spontaneità del credente

ACCOMPAGNAREil peccatore

Albero della Vita (part.)Taddeo Gaddi (1333)Firenze, Santa Croce

Agosto 201664

ore 15,00 Decollo dall’eliporto vaticano

ore 15,40 Atterraggio nel campo sportivo “Migaghelli” a Santa Maria degli Angeli

Il Santo Padre è accolto da: S.E. Mons. Domenico Sorrentino, Arcivescovo - Vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino On. Catiuscia Marini, Presidente Regione Umbria Dr. Stefania Proietti, Sindaco di Assisi

Trasferimento in auto alla Basilica di Santa Maria degli Angeli

ore 16,00 Basilica di Santa Maria degli Angeli

Il Santo Padre è accolto da: Padre Michael Anthony Perry, Ministro Generale dell’Ordine Francescano dei Frati Minori Padre Claudio Durighetto, Ministro Provinciale Padre Rosario Gugliotta, Custode

a seguire:

Momento di preghiera silenziosa nella Porziuncola. Meditazione del Santo Padre su Matteo 18,21-35

al termine:

Il Santo Padre esce dalla Basilica Nel corridoio del Convento saluta gli eventuali Vescovi e i Superiori degli Ordini Francescani presenti Sale all’infermeria, dove incontra i Religiosi ammalati del Convento, con il personale assistente

al termine della visita, il Santo Padre esce sul sagrato della Basilica, e saluta i fedeli

ore 18,00 Trasferimento in auto al campo sportivo

Prima del decollo Padre Enzo Fortunato, direttore della Rivista San Francesco, consegna al Santo Padre il numero speciale della Rivista, realizzato per l’occasione

ore 18,15 Decollo dal campo sportivo sportivo “Migaghelli”

ore 19,00 Atterraggio all’eliporto vaticano

Diretta su Rai Uno dalla 15,30 con il commento di Aldo Valli e padre Enzo Fortunato

PROGRAMMA

Il PROGRAMMAdella visita di papa Francesco

Insieme a te per l’accoglienzae il perdono.

Auxilium, da sempre al servizio delle persone.Siamo una cooperativa sociale che ha reinventato i servizi assistenziali per le persone che vivono un disagio fisico,

psichico e sociale. Con umanità, passione e professionalità siamo vicini a chi ha bisogno, ogni giorno dal 1999.

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attualità

il secondo francesco

in terra santa

papa francesco in viaggio

tra Gerusalemme e betlemme

raccontaci Francesco

il “non credo” crolla

davanti a san francesco

aldo nove, insieme a Jovanotti,

ci racconta il suo francesco

5

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la santità di due papi

tra stupore e meraviGlia

sorpresero assisi

e la storia

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inchiesta

de masi e ovadia

ci parlano di felicità

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gratitudine

Verso PasQua

sconfiGGere

le tre miserie:

materiale, morale

e spirituale

I commenti di Vittorio Viola,

Enzo Bianchi e del neo cardinale

Philippe Nakellentuba Ouedraogo

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al soGlio pontificio

per la prima volta un

“sAIO

bianco” un anno con papa francesco

Rivista San FrancescoPiazza San Francesco, 2 - 06081 Assisi (PG)[email protected]: IT02K0631538271000000062101

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