Download - Oralità e Scrittura
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ORALITÁ E SCRITTURA:
UN’ ERMENEUTICA DELLACOMUNICAZIONE.
CONFRONTO TRA WALTER J. ONG EMARSHALL MCHLUAN
Nel mondo odierno è particolarmente evidente
quanto l’oralità e la scrittura abbiano una
profonda influenza sulla nostra esistenza
contingentemente empirica . Fin dagli albori della
sua storia, l’uomo si è sempre imbattuto in forme
di oralità e in forme di scrittura, in racconti e
storie da ascoltare o da leggere. Tra i miliardi
di individui che hanno utilizzato queste due
primarie, fondamentali forme di espressione, solo
pochi, in realtà, si sono interrogati circa il
loro significato intrinseco.
Nel presente saggio ci disponiamo a scandagliare
tali questioni alquanto enigmatiche, attingendo
agli studi di due grandi personalità: Walter J.
Ong (1912/2003), religioso gesuita americano,
antropologo, filosofo, insegnante di letteratura
inglese e storico delle culture e delle religioni,
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e il suo collaboratore Marshall McLuhan
(1911/1980), sociologo canadese.
Il vocabolario della lingua italiana Zingarelli
definisce l’oralità come: «Qualità o carattere di
ciò che è orale»1 , intendendo, con il termine
«orale» lo Zingarelli intende «Ciò che è espresso
con le parole, con la voce»2. Una tale
definizione, per quanto precisa, ci pone comunque
di fronte ad un dubbio: il mezzo utilizzato,
ovvero la parola pronunciata a voce alta,
condiziona il messaggio che viene trasmesso, o nel
processo orale il messaggio resta sconnesso dai
suoni utilizzati per comunicarlo?
Secondo la studiosa ___________, l’oralità
utilizza la cosiddetta «parola parlata»3, come
medium per la trasmissione di un determinato
messaggio. Walter Ong, nel suo celebre saggio
Orality and Literacy: The Technologizing of the word del 1982,
definisce le parole emesse come suoni «senza alcun
luogo».
Il suono è un’entità dalla vita breve: esiste
esclusivamente nel momento in cui viene
1 Lo Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, di N. Zingarelli di Zanichelli Editore Spa, p.11932 Ibidem3 W.J. ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Società editrice ilMulino, Bologna, 1986, p. 7
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pronunciato, per poi svanire appena un attimo dopo
la sua nascita. Il suono ha una ontologia effimera
; ed è proprio prendendo atto di una tale
ontologia, che Ong decide di compiere una
fondamentale distinzione tra oralità primaria,
«quella cioè degli analfabeti»4, e oralità
secondaria, «o di ritorno dell’attuale cultura
tecnologica avanzata, in cui una nuova oralità è
incoraggiata dal telefono, dalla radio, dalla
televisione e da altri mezzi elettronici la cui
esistenza e il cui funzionamento dipendono dalla
scrittura e dalla stampa»5.
Per quanto riguarda la cosiddetta “oralità
primaria”, per comprenderla appieno sarebbe utile
ritornare mentalmente indietro nel tempo, a quando
le popolazioni recepivano molto, possedevano e
praticavano una profonda saggezza, non attraverso
i libri, quindi neanche attraverso lo studio,
bensì mediante apprendistato, ascoltando e
memorizzando ciò che veniva detto loro come vera e
propria sequela discepolo-maestro.
E’ possibile riscontrare un esempio di tale
concetto nella «questione omerica» cioè nel
celebre dibattito-scontro letterario che interessò4 Ivi, p. 245 Ivi, p. 29-30
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filologi e storici della lingua greca arcaica
circa la consistenza storica del leggendario
Omero, portata ad esempio anche da Walter Ong.
Notevole è come, in tale questione, la svolta
principale sia stata data proprio dalla scoperta,
effettutata da Millman Parry, della genesi orale
dei poemi:
virtualmente ogni carattere distintivo della poesiaomerica è dovuto all’influenza su di essa deimetodi di composizione orale. Questi possono esserericostruiti mediante uno studio attento del verso,dopo aver però messo da parte quelle convinzionisull’espressione verbale e sui processi mentali chegenerazioni di cultura scritta hanno radicate nellapsiche.6
Analizzando a fondo il testo dei poemi, Parry
scoprì che alcune “formule” si ripetevano in
numerosi punti immutati o con piccole variazioni:
ed egli comprese che tali formule erano funzionali
sia alla memorizzazione di un prodotto già
composto, che alla creazione di nuovi racconti.
Questo lavoro di ricostruzione e memorizzazione di
un testo non poteva essere opera esclusiva di un
singolo, ma doveva necessariamente essere il
risultato di un numero indefinito di anonimi
rapsodi, il prodotto della cultura di tutto un6 Ivi, p. 44
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popolo e non di un autore preciso: Parry ebbe il
merito di mostrare al mondo come i poemi omerici,
a noi giunti in forma di libro scritto, fossero in
realtà espressione della memoria collettiva orale
del popolo greco nell’età che andava tra il XII e
l’ VII secolo a.C.
Le scoperte di Parry ci fanno riflettere su come,
laddove la scrittura non abbia compiuto ancora il
suo ingresso in società, le nozioni, i concetti,
le storie debbano necessariamente essere ripetute,
suono dopo suono, di bocca in bocca per essere
ricordate e tramandate. Basandosi su questo
assunto Ong giustifica il valore che ha il suono
nel tempo e nello spazio come caratteristica della
psicodinamica dell’oralità :
Tutte le sensazioni hanno luogo nel tempo, ma ilsuono in particolare ha un rapporto speciale conil tempo, diverso da quello degli altri settori delsensorio umano. Il suono esiste solo nel momento incui sta morendo; deperibile ed essenzialmenteevanescente, e come tale viene percepito. Quandopronunciamo la parola «permanenza», nel momento incui arriviamo a «-nenza» il «perma-» se ne è giàandato, e deve essere così. Non è possibile fermareil suono ed averlo al tempo stesso.7
7 Ivi, p. 60
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Il suono verbale non vive nel tempo
permanentemente, non afferisce a concetto di
passato o di futuro ma solo di presente, attimo,
istante in cui viene svelato e nel medesimo
palpito in cui si svela, scompare; in esso,
nascita e morte coincidono. Infatti un discorso
orale non potrà mai essere ripetuto in maniera
identica a come è stato pronunciato la prima
volta: frasi, periodi, suoni, intonazioni o anche
dei semplici dettagli varieranno costantemente, in
modo che ogni emissione di suono verrà a
costituire un unicum a se stante ed irripetibile
nella sua autenticità.
Oltre alla relazione del suono con il tempo, Ong
sottolinea un’altra caratteristica che determina
la psicodinamica dell’oralità: l’interiorità del
suono.
Per verificare l’interiorità fisica di un oggetto,nessun senso è efficace quanto l’udito. […] L’uditopuò prendere atto dell’interno di un oggetto senzapenetrarlo. Si può dare un colpetto su una scatolaper sentire se è piena o vuota, o su un muro perscoprire se è cavo o massiccio; nello stesso modosi può far cadere una moneta per sapere se èd’argento o di piombo. Tutti i suoni registrano lastruttura interna di ciò che li produce.8
8 Ivi, p. 105
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L’udito ha la straordinaria capacità di unificare
e armonizzare i singoli elementi che percepisce
dalla realtà empirica. Una manifestazione sonora,
che generalmente può accadere in qualsiasi luogo e
verso qualsiasi direzione, non mantiene il suo
raggio d’azione circoscritto al luogo di
emissione, ma lo estende in diverse diramazioni,
arrivando fino all’ascoltatore anche attraverso
distanze considerevoli, penetrando nel mondo
interiore di quest’ultimo attraverso l’organo
sensoriale dell’orecchio:
L’udito è dunque un senso che unifica. L’idealevisivo è la chiarezza, la nettezza dei contorni, lapossibilità di scindere in componenti ( la campagnadi Descartes a favore della chiarezza registròun’intensificazione della vista all’interno delsensorio umano), quello uditivo è, al contrario,armonia, unificazione. Interiorità ed armonia sonocaratteristiche della percezione umana. 9
Nella cultura orale, pertanto, avere a che fare
con il suono, senza alcun riferimento ai testi
scritti, «entra in profondità nel senso che
l’individuo ha della vita»10 cioè il suono è
specchio del mondo che mi circonda e potenzia,
9 Ivi, p. 10610 Ivi, p. 107
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inoltre, il senso che l’uomo, posto al centro del
cosmo, ha del cosmo stesso.
Un'economia verbale dominata dal suono tende versol'aggregazione (armonia) piuttosto che versol'analisi disaggregante (che compare assieme allaparola scritta, visualizzata). Tende ancheall'olismo conservatore (il presente omeostaticoche dev'essere mantenuto intatto, le espressioniformulaiche che devono essere conservate), alpensiero situazionale (di nuovo olista, conl'azione umana al suo centro) piuttosto che aquello astratto, ad una organizzazione dellaconoscenza centrata attorno alle azioni di esseriumani o antropomorfi, piuttosto che attorno a coseimpersonali.11
Sarebbe lecito chiedersi come mai la parola
pronunciata abbia questa misteriosa tendenza ad
armonizzare ed unificare. La risposta è alquanto
semplice: la parola parlata, derivando
dall’interiorità umana, svela agli uomini la loro
stessa essenza di « interiorità coscienti» e li
rende consci della a loro appartenenza ad una
comunità; in tal modo, l’oralità prepara la strada
per un’ aggregazione senza la quale gli esseri
umani vivrebbero, a guisa di monadi, in solitudine
ed isolamento, e nella più totale diffidenza
11 Ivi pp. 107-108
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reciproca. Per illustrare tale concetto, Ong
propone questo esempio:Quando un oratore si rivolge ad un uditorio, i suoimembri diventano un tutt’uno, che li comprendeinsieme all’oratore. Se egli chiede al suo pubblicodi leggere un volantino, non appena ogni singololettore sarà entrato nel proprio mondo privatodella lettura, si spezzerà l’unità dell’uditorio,per ricomporsi soltanto quando l’oratore riprenderàil suo discorso. La scrittura e la stampa isolano.12
Le parole emesse sotto forma di suoni non sono
segno di qualcosa d’altro, né un rimando ad altre
realtà a loro estrinseche: le ‘parole parlate’
sono portatrici di significato in sé stesse, come
osservava già il filosofo francese Jaques Derrida:
«non esiste segno linguistico antecedente alla
scrittura»13.
Il pensiero è tutto insito nel discorso orale e
chi ascolta tale discorso non pensa alle parole
come a segni, ma come a semplici espressioni
foniche portatrici di un messaggio.
Non è facile che l’analfabeta pensi alle parolecome a dei «segni», quieti fenomeni visivi. Omerosi riferisce ad esse con il solito epiteto «parolealate», che suggerisce evanescenza, potere elibertà: le parole sono in continuo movimento, mavolano, movimento che solleva chi lo compie al di
12 Ibidem13 J.DERRIDA, Of Grammatology (trad.), Baltimore e London, Johns Hophans University Press, 1976, p.14
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sopra dell’ordinario, grossolano, pesante metodo«oggettivo».14
Secondo Ong, il significato della definizione
omerica “parole alate” starebbe da ricercare nella
natura stessa dei suoni, mai fermi e stabili su di
una pagina bianca, e sempre in continuo movimento,
sempre carichi di un potere e di una libertà tali
da farli arrivare ovunque.
L’analisi dell’oralità e della comunicazione fu
una tematica indagata anche dal famoso
collaboratore di Ong, il sociologo canadese
Marshall McLuhan, che nella sua opera maggiore del
1967, Capire i media. Gli strumenti del comunicare., si
concentrò principalmente sull’importanza dei mass-
media, non solo focalizzando l’attenzione sui
messaggi che propagano, ma prestando anche
attenzione ai criteri strutturali con cui
organizzano la comunicazione. Nella seconda parte
del trattato vi è una sezione denominata La parola
parlata. Fiore del male? e dedicata, appunto all’oralità,
che sarà analizzata da McLuhan in una maniera
diversa da come l’aveva intesa il maestro, Ong. Lo
studioso canadese, infatti, spiega l’ oralità come
ciò che 14 W.J. ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Società editrice ilMulino, Bologna, 1986,p. 111
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…Coinvolge drammaticamente tutti i sensi, anche sele persone più alfabete tendono a parlare il piùcoerentemente e il più naturalmente possibile.15
Nella sua visione, la parola parlata giunge a
coinvolgere tutti i sensi: ad esempio ciò che può
semplicemente essere un singhiozzo, un gemito, una
risata o un grido lancinante sortisce effetti
diversi se è emesso da una viva voce umana o se è
reso, magari anche onomatopeicamente, su di un
testo scritto. Nella comunicazione orale si tende
a reagire immediatamente ad ogni situazione che ci
si può presentare, e tale reazione si esplica nei
gesti e nei toni del parlare. L’interlocutore
pertanto non è estraneo e lontano dal suono che
percepisce, come avviene di fronte ad un messaggio
scritto; egli è parte integrante della
comunicazione parlata, alla stregua di una radio
ricevente capace di decifrare onde
elettromagnetiche:
Se l’orecchio umano può essere paragonato a unaradio ricevente, capace di decifrare ondeelettromagnetiche e di ritradurle in suoni, la voceumana può essere paragonata a una radiotrasmittente in quanto sa tradurre i suoni in ondeelettromagnetiche. Il potere della voce di plasmare
15 M. MCLUHAN, Capire i media. Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore Tascabili, Milano, 2008, p.87
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aria e spazio in forme verbali è stato forsepreceduto dall’espressione meno specialistica digrida, grugniti, gesti e comandi, canzoni o danze.16
Alla luce di tutto ciò, la comunicazione verbale
ha dato avvio all’interazione con una realtà molto
più ampia: ha permesso che non si conoscesse solo
la realtà fattuale o gli oggetti empirici solo nel
raggio d’azione del nostro sguardo limitato e
limitante, ma che si intendesse anche una realtà
lontana dall’uditore nello spazio e nel tempo.
Lo sguardo di McLuhan sulla questione si dimostra
significativamente più ampio rispetto alla visione
del suo maestro, e ci permette inoltre di
introdurre un secondo concetto, da prendere in
esame: l’oralità secondaria, ovverossia una forma
di nuova oralità incoraggiata da nuovi mezzi di
comunicazione quali telefono, radio, televisione e
altri mezzi elettronici la cui vita dipende dalla
scrittura e dalla stampa.
Prima di addentrarci in tale labirinto non privo
d’ uscita, cerchiamo di capire cosa si intende con
il termine scrittura e cosa si intende per testo
scritto.
16 Ivi, p. 89
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Secondo quello stesso Zingarelli che ha sostenuto
le precedenti analisi, la definizione di
«scrittura» o meglio di «scrivere» è:
«significare, esprimere, idee, suoni, e sim.,
mediante il tracciamento su una superfice di segni
grafici convenzionali»17. Sin da questa prima
definizione cogliamo due differenze sostanziali
rispetto alla definizione di oralità: l’assenza di
un’espressione vocale e la presenza di segni
grafici convenzionali tracciabili su di una
superfice. Il che fa saltare subito agli occhi la
principale differenza tra la scrittura e
l’oralita: la prima, più durevole della seconda,
ha una potenziale aspirazione all’eternità.
Inoltre notiamo la presenza del termine «segno»,
totalmente assente nella definizione di oralità:
infatti, come vedremo, il concetto di segno è
strettamente legato alla nozione di testo.
L’enciclopedia italiana Treccani definisce il
testo « contenuto d’uno scritto o d’uno stampato,
ossia l’insieme delle parole che lo compongono,
considerate non solo nel loro significato ma anche
nella forma precisa con cui si leggono nel
17 Lo Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, di N. Zingarelli di Zanichelli Editore Spa, p.1627
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manoscritto o nell’edizione a cui ci si
riferisce»18. Nel campo semantico proprio
dell’informatica, il testo è sinonimo di
messaggio, ossia «insieme di dati che viene
fornito da un utente a un sistema informatico o,
viceversa, da questo all’utente o da un sistema a
un altro»19. Tale valenza del testo informatico
come messaggio di qualcuno per qualcun altro può
essere estesa anche al testo letterario o
comunicativo, come egregiamente sostiene il padre
della semiotica Peirce, secondo la cui logica
traduttivaOgni cosa può essere compresa o più rigorosamentetradotta da qualcosa: ossia ha qualcosa capace diuna tale determinazione da stare per qualcosaattraverso questa cosa; un po' come il grano dipolline di un fiore sta all'ovulo che penetra perla pianta da cui è venuto poiché trasmette lepeculiarità di quest'ultima. All'incirca nellostesso senso, anche se non nella stessa misura,ogni cosa è un medium tra qualcosa e qualcosa.20
D’accordo con Peirce si dimostra anche il
linguista e semiologo contemporaneo Roman
Jakobson, secondo cui in ogni processo linguistico
18 Enciclopedia italiana Treccani.it, online, http://www.treccani.it/vocabolario/testo3/19 Ibidem20 PEIRCE C. S., Writings of Charles S. Peirce: A Chronological Edition, a cura di Max Fisch, Edward C. Moore, Christian J. W. Kloesel et al, Bloomington (Indiana), Indiana University Press, 1982, p. 333
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Il MITTENTE invia un MESSAGGIO al DESTINATARIO. Aifini della sua operatività, il messaggio deveinnanzitutto riferirsi a un CONTESTO (il“referente”, secondo un’altra terminologiapiuttosto ambigua), contesto che possa essere coltodal destinatario ( o, in altre parole, alcodificatore e al decodificatore del messaggio);infine ci deve essere un CONTATTO, un canalefisico, una connessione psicologica fra il mittentee il destinatario che consenta loro di entrare erimanere in comunicazione.21
Pertanto ogni atto di comunicazione verbale o
scritta sarebbe un’ esperienza comunicativa
prodotta da un mittente a beneficio di un
destinatario. È irrilevante la lunghezza del
messaggio: anche solo una parola può rientrare
nello schema messo a punto, e costituire un
messaggio chiaro e completo in quanto realizza il
contenuto specifico della comunicazione.
Ogni singola parola è, essa stessa, segno.
Non possiamo accostarci al significato di un
contenuto linguistico senza includere l’accezione
semiotica dei termini:
Il senso di parole italiane come formaggio, mela,nettare, conoscenza, ma, solamente, o di qualsiasialtra parola, o gruppo di parole, è senza dubbio unfatto linguistico, o, più precisamente ocomprensivamente, un fatto semiotico. […] Nonesiste significato senza segno, né si può dedurre
21 R.JAKOBSON, Lo sviluppo della semiotica e altri saggi, Bompiani, Milano Marzo 1979, p. 87
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il senso della parola formaggio da una conoscenzanon linguistica della mozzarella o del provolonesenza l’aiuto del codice linguistico. È necessarioricorrere ad una serie di segni linguistici se sivuole far comprendere una nuova parola.22
Alla luce di quanto afferma Jakobson possiamo ben
comprendere come il senso di una parola, il suo
significato, altro non sia che la trasposizione
della suddetta parola in altro segno, che può
esserle sostituito senza troppi problemi, e che ne
amplia il significato.
Tutto in un documento scritto è segno, e tutto,
mediante un Interpretante, rimanda ad un oggetto,
innescando un processo inferenziale in un gioco di
rimando continuo. La conseguenza di ciò è il
determinarsi di un infinite series senza inizio né fine,
come ben ci illustra Peirce:
Tutte le parole, frasi, libri, e altri segniconvenzionali sono Simboli. Noi parliamo come sescrivessimo o pronunciamo la parola «uomo», maquella che pronunciamo o scriviamo è solo unareplica, o messa in atto della parola: la parola inse stessa non ha alcuna esistenza, sebbene essa siareale, in quanto consiste nel fatto che le entitàesistenti devono conformarsi a essa. Si tratta diun modo generale di successione di quattro suoni orepresentamen di suoni, che diviene un segno soloperché un abito, o legge acquisita, provocheràrepliche di esso destinate ad essere interpretatecome significanti un uomo.23
22 R. JAKOBSON, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli Editore 2002, p. 5623 PEIRCE C.S., Grammatica speculativa, a cura di M.A. Bonfanti, R.Grazia e G.Proni, Bompiani, Milano 1984,p. 172
23
Considerando quanto detto attraverso gli occhi del
nostro semiologo pragmatico, un segno o simbolo
genuino sta per qualcos’altro indicando
all’interpretamen un significato generale, come
avviene, ad esempio, nella parola «uomo»: tale
parola ,una volta generata, non può essere
eliminata dal circolo ermeneutico nel quale si è
inserita.
Alla luce di queste considerazioni, la definizione
di testo che stiamo lentamente costruendo
acquista un’ulteriore connotazione: si potrebbe
dire, infatti, che il testo sia una successione di
segni grafici, contenenti un messaggio, in attesa
di essere eseguiti. Su questa scia di pensiero si
posiziona il nostro studioso Walter Ong secondo il
quale
Quelle che il lettore vede ora su questa pagina nonsono vere parole, ma simboli codificati mediante iquali un essere umano adeguatamente informato puòevocare parole vere, il cui suono egli pronuncia.Un brano scritto non può essere nulla di più chedei segni su una superfice, fin tanto che un essereumano non lo usi consapevolmente come indice diparole parlate. Chi ha una mentalità modellatadalla scrittura e dalla stampa trova convincentepensare alla parola, essenzialmente suono, come aun «segno», poiché il «segno» è qualcosa che vienesoprattutto percepito visualmente. Il signum, da
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cui deriva la parola «segno», era lo stendardoinnalzato da ogni unità dell’esercito romani peressere identificato visivamente; etimologicamente,indicava l’ «oggetto che uno segue», dalla radiceproto-indoeuropea sekw-, seguire.24
Pertanto se i nomi sono parole che si muovono nel
tempo, ad essere immobili, fissi, ancorati al
foglio sono i simboli, che sono insegne, «segni»
delle parole ma non sono parole.
Quindi come potremmo considerare la scrittura?
Naturalmente è possibile considerare la «scrittura»ogni segno semiotico, ossia ogni segno visibile eintelligibile prodotto da un individuo, e a cuiegli assegna un significato. […] L’apertura versonuovi mondi della conoscenza avvenne nella menteumana, non quando fu ideato il singolo segnosemiotico, ma quando fu inventato un sistemacodificato di marcatori visivi per mezzo del qualelo scrivente poteva determinare le parole esatteche il lettore avrebbe prodotto a partire daltesto. Questo è quanto noi oggi solitamenteintendiamo per scrittura in senso stretto.25
L’invenzione di un sistema codificato di marcatori
visivi ci ha condotto a considerare anche le
parole parlate come segni, come simboli visivi; ma
una tale visione si dimostra alquanto inesatta,
inducendoci in errore, ed un tale fallo è causato
24 W.J. ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Società editrice ilMulino, Bologna, 1986, p. 11025 Ivi, p. 126
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dalla tendenza, «forse incipiente nelle culture
orali ma chiaramente marcate in quelle
chirografiche e ancor di più in quelle
tipografiche ed elettroniche, a ridurre tutte le
sensazioni e tutta l’esperienza umana ad analogie
visive»26.
Nella società degli anni zero, ogni concetto deve
necessariamente essere ricondotto ad analogie di
tipo visivo: sentimenti, passioni, pensieri, stati
d’animo vengono sempre più spesso rappresentati
più da immagini che da parole o testi. Ma questa
tendenza, da sola, non basta a convincerci che le
parole siano, come le immagini, dei segni a tutti
gli effetti: le due entità restano profondamente
diverse, e se le parole rimangono parole libere e
forti nella loro essenza, i segni rimangono segni
imprigionati su di una superfice. E tali segni,
offrendosi alla vista del lettore-interpretante ,
tendono a trasformare la mente umana più di
qualsiasi altra invenzione avvenuta nel mondo
alfabetizzato: senza la scrittura, un individuo
non penserebbe e non sarebbe il soggetto che
effettivamente è perché essa crea, un «linguaggio
decontestualizzato, o una forma di comunicazione
26 Ivi, p. 110
23
verbale autonoma»27 cioè un tipo di discorso che
una volta impresso su di una superfice non può
essere più discusso dall’autore e con l’autore. E’
un discorso profondamente autoreferenziale ed
indipendente, avendo perso, grazie alla scrittura,
ogni tratto di quella dipendenza a cui sono
sottoposte le comunicazioni verbali.
Il libro trasmette un messaggio derivante da unafonte, rappresentata da chi ha effettivamente«parlato» o scritto il libro. L’autore potrebbeessere sfidato se fosse possibile raggiungerlo, madi fatto egli non può essere raggiunto in nessunlibro. Non esistono modi diretti di confutare untesto. Anche dopo una confutazione totale edistruttrice, esso dirà ancora esattamente lestesse cose di prima.28
Partendo da questi presupposti, Ong analizza le
obiezioni che sono state mosse nei confronti della
scrittura da Platone nel Fedro (274-7) e nella
Settima lettera, paragonandole alle obiezioni che
oggi vengono poste alle nuove tecnologie. Negli
scritti di Platone, la scrittura viene definita
disumana perché ricrea erroneamente fuori della
mente umana quello che invece può esistere solo al
suo interno, distruggendo, così, la memoria.
Infatti i fruitori di questo nuovo medium, secondo27 Ivi, p. 11928 Ibidem
23
il grande filosofo greco, avrebbero smesso di
ricordare e sarebbero stati vittime della
pigrizia, poiché avrebbero potuto far ricorso a
fonti esterne alla loro mente, evitando lo sforzo
di imparare a memoria. Inoltre egli, riportando il
pensiero del suo maestro Socrate, ritiene il libro
“inerte”, perché se interrogato un testo non
avrebbe mai avuto la possibilità di rispondere in
alcun modo alle accuse; questo rende il testo
passivo, fuori da un contesto, in un mondo irreale
e innaturale.
Lo stesso scetticismo che dimostrava Platone
serpeggiò, secoli dopo, tra la popolazione europea
all’indomani dell’invenzione della stampa, e
ancora oggi serpeggia persino tra di noi, uomini
moderni alle prese con i computer e le nuove
tecnologie: tutte queste nuove invenzioni che si
sono inserite nella vita “analfabetizzata”
dell’individuo sono mezzi per tecnologizzare la
parola e inevitabilmente incutono nel fruitore
sospetto e sfiducia.
La parola è diventata tecnica, la tecnologia viene
utilizzata per ampliare l’oralità, per renderla
sempre più alla portata di tutti e sempre più “per
sempre”: Platone pensava alla scrittura come ad
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una tecnologia esterna così come noi oggi pensiamo
al computer. La scrittura è una tecnica talmente
interiorizzata che non riusciamo a pensarla come
tecnologia, anzi non riusciamo a considerarci più
senza di essa: tutto deve essere scritto e tutto
deve essere fissato su carta o su fogli digitali
per evitare che le parole parlate vengano perdute.
Questo valore “tecnologico” della scrittura ha
una importanza fondamentale nello sviluppo della
nostra definizione:
La scrittura, intesa in questo senso, fu ed èl’evento di maggiore importanza nella storia delleinvenzioni tecnologiche dell’uomo. Non si tratta diuna semplice appendice del discorso orale, poichétrasportando il discorso dal mondo orale-aurale auna dimensione del sensorio, quella della vista, lascrittura trasforma al tempo stesso discorso epensiero. Le incisioni su bastoni e altriaidesmémoire conducono infine alla scrittura, manon ristrutturano l’ambiente vitale umano come fala scrittura vera e propria.29
La scrittura , al contrario del linguaggio
naturale/orale, soffre di artificialità perché non
nasce dall'inconscio ma è “vittima” di una semiosi
infinita che genera l’imprescindibilità tra
interpretamen/representamen, interpretante/segno,
lettore/parole. Infatti è a causa di questo29 Ivi, p. 126-127
23
infinito rimando, che, inevitabilmente, s’innesca
un meccanismo illimitato di interpretanti e
traduzioni, in quanto il significato viene ad
essere la traducibilità di un segno in una rete di
altri segni. Pertanto il segno linguistico,
fonetico non porta in sé un significato chiuso ma
fa di se stesso occasione per aprirsi ad altri
segni che, in epoche diverse, in contesti diversi
e in esperienze diverse, inducono la mente
interpretante a cogliere una varietà di
significati comunicati, come nota, a giusta
ragione, Peirce nella sua Grammatica speculativa :
Omne symbolum de symbolo. Un simbolo, una volta invita, si diffonde fra la gente. Con l’uso e conl’esperienza il suo significato si arricchisce.Parole quali forza, legge, benessere, matrimonio,hanno per noi significati molto diversi da quelliche avevano per i nostri barbari antenati. Ilsimbolo può, con la sfinge di Emerson, direall’uomo:
Dell’occhio tuo io sono il raggio.30
Anche Ong, messo di fronte allo stesso scenario
descritto da Peirce, ovvero nell’ottica di una
sempre nuova e sempre indipendente ridefinibilità
del testo scritto, nonlo percepisce come
30 PEIRCE C.S., Grammatica speculativa, a cura di M.A. Bonfanti, R.Grazia e G.Proni, Bompiani, Milano 1984,p. 175
23
un’avversità, una sventura per l’uomo, né
tantomeno intende condannare in nessun modo la
scrittura; al contrario egli scorge in essa
l’occasione fondamentale per lo sviluppo dei
potenziali umani interiori.
La scrittura è del tutto artificiale: non c’è mododi scrivere «naturalmente». Il discorso parlato èinvece sentito come naturale dagli uomini nel sensoche, in ogni cultura, chiunque non abbia dannifisici o psichici impara a parlare. Il parlarepermette la vita cosciente, ma sale alla coscienzada profondità inconsce, seppure con la cooperazione– consapevole o meno- della società. […] Ildiscorso scritto in quanto tale differisce daquello orale nel senso che non nascedall’inconscio. Il trasferire la lingua parlatanella scrittura è un processo guidato da normeconsapevolmente inventate, e chiaramenteformulabili.31
Le tecnologie non sono semplici aiuti esterni,
lontani dal corpo e dalla mente dell’essere umano,
ma se vengono ben interiorizzata dal soggetto che
se ne appropria, non degrada la vita umana, ma al
contrario la migliora.
La stampa, a ben guardare, ha avuto la grande
capacità di radicare la scrittura in modo ancora
più definitivo su di una superfice: se da un lato
muore il contesto, muoiono con esso anche lo31 W.J. ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Società editrice ilMulino, Bologna, 1986, p. 123
23
spazio e il tempo, e se da un lato la
condivisione face to face in un preciso luogo e
momento decade, per aprirsi ad un’operazione
solipsistica, d’altra parte è pur vero che
La stampa sostituì il prolungato dominio dell’uditocon quello della vista, la cui influenza erainiziata con la scrittura ma che non avrebbe potutoimporsi col suo solo supporto. La stampa collocainesorabilmente le parole nello spazio, più diquanto la scrittura non abbia mai fatto;quest’ultima infatti trasferisce solo le parole dalmondo del suono a quelle dello spazio visivo,mentre la prima le fissa all’interno di questospazio. 32
Cambia, cioè, con la stampa lo spazio in cui si
collocano le parole, e si passa da un contesto
naturale e modificabile a un luogo sempre uguale a
se stesso, immutabile e permanente, uno spazio
visivo immodificabile, trappola di segni. Tale
spazio fisso, ben definito dallo sguardo
dell’uomo, non elimina completamente l’oralità, ma
ne resta al servizio: si può affermare, infatti,
che la scrittura esista solo in quanto dipendente
da un sistema primario precedente, ossia dalla
lingua parlata. Mentre la parola parlata può
benissimo esistere senza alcun sistema semiotico
32 Ivi, p. 174
23
di riferimento, la scrittura non può esistere
senza l’oralità.
Anche rispetto al concetto di scrittura, Marshall
McLuhan, nel suosaggio Capire i media. Gli strumenti del
comunicare, dimostra una significativa divergenza di
idee rispetto al suo maestro:
A poco a poco arrivai a capire che i segni suquelle pagine erano parole intrappolate. Chiunqueera in grado di decifrare i simboli e a rimetterein libertà le parole intrappolate reinserendole inun discorso. L’inchiostro tipografico intrappolavai pensieri, che non potevano andarsene più diquanto un doomboo possa sfuggire da una fossa. 33
Anche McLuhan vede il testo scritto come una
trappola di segni che precedentemente soffrivano
di potente libertà. L’interpretante non ha altro
compito che quello di interpretare quei segni
immobili, in modo tale da rimetterli in libertà,
riconsegnandoli alla loro natura discorsiva e
“alata”.
Quando l’uomo analfabeta si ritrova a
fronteggiare questa nuova tecnologia, come aveva
già notato Ong, egli inizia lentamentea modificare
se stesso, la propria mentalità e il proprio
vivere. L’uomo diventa apatico, atterrito33 M. MCLUHAN, Capire i media. Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore Tascabili, Milano, 2008, p. 91
23
dall’ansia perché pian piano si stacca dalla
comunicazione orale partecipativa e immediata per
abbracciare una comunicazione basata su
rappresentazioni mentali riportati attraverso la
riproduzione grafica di un suono. McLuhan propone
un esempio comune a molti:
Supponiamo che invece di esporre le stelle e lestrisce, scrivessimo su un pezzo di stoffa leparole «bandiera americana» ed esponessimo questo.Trasmetterebbe certamente lo stesso messaggio delsimbolo, ma l’effetto sarebbe molto diverso.Tradurre il ricco mosaico visivo delle stelle edelle strisce in forma scritta equivarrebbe aprivarlo di molte delle sue qualità in quantocorporate image e sintesi di esperienza, anche seresterebbe praticamente immutato l’astratto legameche esso suggerisce.34
Questo esempio ci aiuta a capire il mutamento
l’uomo nel diventare alfabeta. Notiamo bene come
il sentimento emozionale collettivo venga meno,
eliminato dai rapporti con il contesto culturale e
sociale di cui fa parte.
L’alfabeto, contrariamente quanto detto per
l’oralità, viene ad introdurre potere, autorità e
controllo su di un discorso che non è mai vivo nel
presente, ma ha sempre un certo scarto temporale –
più o meno significativo- che separa il momento34 Ivi, p. 92
23
della sua emissione con il momento della sua
ricezione. Emerge pertanto il problema
dell’attualità di un discorso retrodatato e retro
contestualizzato, e verrebbe da chiedersi se
realmente il lettore, in ogni epoca e in ogni
contesto possa sempre farlo proprio,
appropriarsene e crescere con esso così come
avviene nel caso di una comunicazione orale.
L’alfabeto fonetico è una tecnologia particolare
nella quale «a lettere semanticamente prive di
significato corrispondono suoni semanticamente
privi di significato». Non ha la stessa carica
emotiva e calda presente nel linguaggio orale. E
se è vero che la scrittura crea l’uomo
civilizzato, è anche vero che essa tende a
separare gli individui, ad introdurre una
sopravvivenza nello spazio e nel tempo di un
qualcosa che, in caso contrario, sarebbe stato
soggetto al perimento, e ad unificare i codici
comuni.
Le culture tribali non ammettono la possibilitàdell’individuo o del cittadino separato. I concettidi spazio e tempo non sono né continui né uniformi,ma «compassionali» e compressi nella lorointeriorità. È perché l’alfabeto è in grado diestendere i modelli di uniformità visiva e di
23
continuità che le culture risentono del suo«messaggio».35
I caratteri fonici hanno, sin da subito,
privilegiato la vista, come abbiamo detto
precedentemente, diminuendo l’importanza degli
altri sensi, cosa che non accadeva nelle culture
tribali portatrici della cultura orale e per
questo appoggiavano l’udito negando la parte
visiva. Invece la scrittura, come ogni nuova
tecnologia, che McLuhan ribattezza medium, diventa
estensione dell’uomo e diventa messaggio esso
stesso.
Come accade per la semiosi infinita di un testo, i
cui segni visibili rimandano continuamente ad
altri segni altrettanto visibili, il contenuto di
un medium è sempre il contenuto di un altro
medium, in un rimando continuo e illimitato e per
questa infinita trasposizione il medium è il
messaggio:
In questo contesto può risultare illuminantel’esempio della luce elettrica. Essa è informazioneallo stato puro. È un medium, per così dire, senzamessaggio, a meno che non lo si impieghi performulare qualche annuncio verbale o qualche nome.Questo fatto, comune a tutti i media, indica che il«contenuto» di un medium è sempre un altro medium.
35 Ivi, p. 93
23
Il contenuto della scrittura è il discorso, cosìcome la parola scritta è il contenuto della stampae la stampa quello del telegrafo. Alla domanda:«Qual è il contenuto del discorso? » si deverispondere: «È un processo mentale, in se stessonon verbale».36
Per comprendere in che senso «il medium è il
messaggio» è molto utile l’esempio della luce
elettrica, perché è un chiaro ed evidente mezzo di
comunicazione,– la luce elettrica - ma senza
contenuto. Nel processo di accensione di una
lampadina, solo il suo utilizzo conferisce
contenuto al medium utilizzato: e tuttavia il
fruitore non si accorgerà tanto della luce in sé,
quanto del suo contenuto che, appunto, è un altro
medium, segno di segni. Pertanto risulta chiaro
come il cosiddetto medium sia ormai entrato così
tenacemente nelle nostre esistenze quotidiane da
plasmare e controllare «le proporzioni e la forma
dell’associazione e dell’azione umana». Epppure
va specificato che non sono i media in sé ad avere
un valore proprio: tale valore viene determinato,
in un secondo momento, in base al modo in cui i
fruitori li usano, aggiungendosi così a ciò che
l’uomo è. Così facendo l’uomo diventa una somma
delle sue caratteristiche biologiche e delle36 Ivi, p. 30
23
tecnologie che ha quotidianamente a portata di
mano e di cui non ne può fare a meno.
In una società alfabeta e omogenizzata l’uomo cessainfatti di essere sensibile alla vita diversa ediscontinua delle forme. Acquisisce l’illusionedella terza dimensione e il «punto di vistapersonale» diviene parte integrante della suafissazione narcisistica; ciò fa sì che egli sineghi in pratica l’intuizione Blake, o quella delSalmista, secondo cui noi diventiamo esattamenteciò che vediamo. Oggi, quando sentiamo il bisognodi orientarci nella nostra cultura e di sfuggirealle prevenzioni e alle pressioni esercitate daqualsiasi forma tecnica dell’espressione umana,dobbiamo soltanto visitare una società dove questaforma particolare non abbia agito o un periodostorico in cui non era conosciuta.37
L’influenza che il medium ha sulla nostra persona
è un viaggio senza possibilità di ritorno. Non si
può prescindere dall’influenza che le tecnologie
hanno su di noi rimanendo radicati in esse,
soprattutto considerando che viviamo in un mondo
in cui tutto è tecnica.
McLuhan non si limita solo a considerare i media
che ci circondano ma si addentra anche nella
classificazione e nella suddivisione degli stessi
in “caldi” e “freddi” aventi tutti la funzione di
immagazzinare e diffondere informazioni.
37 Ivi, p. 39
23
Per media “caldi” McLuhan intende quei media
caratterizzati da un’alta definizione e da una
scarsa partecipazione da parte dell’utente.
Per comprendere tale definizione portiamo ad
esempio alcuni di questi media “caldi” che abbiamo
tra le mani regolarmente come la stampa e la
radio.
La stampa, come abbondantemente dimostrato in
precedenza, si è ormai inserita in un mondo privo
di segni rendendo visivo persino il linguaggio
parlato.
La stessa concezione delle lettere dell’alfabetocome icona incise è riaffiorata oggi nelle artigrafiche e nei manifesti pubblicitari. Forse illettore avrà riconosciuto l’intuizione di questocambiamento nel sonetto di Rimbaud sulle vocali oin certi quadri di Braque. Ma anche i normalititoli dei giornali tendono a dare ai caratteri unaforma iconica, vicinissima a una risonanzaaudiovisiva e anche a una qualità tattile escultorea.La principale caratteristica della stampa forse cisfugge in quanto appare così ovvia e casuale.Consiste, precisamente, nell’essere unadichiarazione pittorica che può venire ripetuta conprecisione all’infinito, o almeno finchè dura lamatrice. 38
La stampa appare agli occhi dell’interpretante
come una «dichiarazione pittorica» che può essere
38 Ivi, p. 154
23
ripetuta in modi sempre uguali e diversi
all’infinito. Oltre alla stampa, intesa come
elemento solo ed esclusivamente immobile esiste un
altro medium caldo che ha segnato profondamente la
nostra esistenza: la radio. Essa è, in tale
visione, un medium estremamente caldo, perché
riporta il fruitore che ne fa uso ad un’oralità
ormai perduta e lo avvicina così alle sue origini
tribali.
La radio tocca intimamente, personalmente, quasitutti in quanto presenta un mondo di comunicazionisottintese tra l’insieme scrittore-speaker el’ascoltatore. È questo l’aspetto immediato:un’esperienza privata.Le sue profondità subliminali sono cariche degliechi risonanti di corni tribali e di antichitamburi. Ciò è insito nella natura stessa delmedium, per il suo potere di trasformare la psichee la società in un’unica stanza degli echi.39
Si crea una relazione intima, privata tra
ascoltatore e speaker, rapporto raro se pensiamo
al medium in quanto tale. Il ritorno all’oralità e
la limitatezza del fruitore nel completare
visivamente il suono recepito da uno strumento
radiofonico hanno dato la possibilità di rendere
nuovamente contemporaneo il passato. Per questo la
39 Ivi, p. 270
23
radio ha ritribalizzato l’intera umanità che ne fa
uso ed è proprioin virtù di questa ridefinizione
dell’umanità che Hitler ha potuto utilizzare un
canale radiofonico come strumento fondamentale per
affermare il proprio dominio e il proprio potere e
per accelerare l’informazione che «restringe il
mondo alle dimensioni di un villaggio»40.
Per media “freddi”, invece, McLuhan intende quei
media che posseggono una bassa definizione: il
fruitore deve necessariamente avere una presa
maggiore su di essi, tanto da completare le
informazioni che il media non trasmette
autonomamente, come avviene, ad esempio, con il
telefono.
Il telefono è una forma partecipazionale che esige
un partner, con tutta l’intensità della polarità
elettrica. Non può assolutamente essere uno
strumento di fondo come la radio.41
Si ha così un’estensione evidente del corpo umano;
un’estensione dell’orecchio e della voce. Come
ogni medium freddo, l’apparecchio telefonico
decentra ogni operazione, pretende ed esige una40 Ivi, p. 27541 Ivi, p. 243
23
partecipazione completa che l’uomo alfabetizzato
spesso non è in grado di fornire perché vittima
inconsapevole dell’attenzione frammentaria che
richiedono i media caldi e a cui i media caldi ci
hanno abituato. Mentre parliamo al telefono non
visualizziamo la persona dunque l’immagine che il
fruitore si crea è solo ed esclusivamente uditiva;
per questo la partecipazione richiesta è forte e
decisa. Per la sua incompletezza strutturale, la
comunicazione telefonica esige un partner senza
del quale produrrebbe una solitudine immensa in
chi ne fa uso: ma, a differenza della radio, essa
penetra ovunque a discapito di ogni forma di
privacy visiva.
Alla luce di quanto emerso durante le nostre
considerazioni, possiamo ben comprendere come,
nella nostra epoca, scrittura ed oralità siano due
forme di comunicazioni perfettamente
complementari: infatti anche l’oralità, sebbene in
forme talvolta diverse dal passato ,ancora oggi
pregna la nostra vita e la nostra esperienza
modificando lo stile di vita e la stessa struttura
umana.
Come spiega bene lo scrittore Umberto Eco, il
testo, stampato o meno che sia, che un lettore
23
interpretante si ritrova sotto gli occhi è
specchio di un dialogo triadico continuo e
circolare tra l’interpretante (lettore)-segno
(parole di un testo)-oggetto (messaggio) ed «è la
condizione normale della significazione ed è ciò
che permette l’uso comunicativo dei segni per
riferirsi a cose»42. L’interpretante, potenziale o
attuale, è costantemente inserito in questa rete
semiotica nella quale ogni parole-segno
contribuirà a fare del testo un «macrosegno» che
può essere inteso tanto in senso diacronico,
avendo un significato variabile in base alle
interpretazioni che vengono elaborata nelle varie
epoche arricchendo l’opera stessa, quanto in senso
sincronico, poiché ogni elemento segnico che lo
caratterizza porta con sé un significato
particolare. Il segno linguistico, dunque,
spalanca un mondo nuovo al lettore che, con
sorpresa, legge i segni incontrando così l’autore
e la sua storia. Si instaura un dialogo immortale
tra il lettore e l’autore che si offre a noi
mediante la sua opera, mediante segni linguistici
che il lettore deve magistralmente cogliere,
indagare e dispiegare per giungere al reale
42 U.ECO, Trattato di semiotica generale, Bompiani Milano, 1985, p. 104-105
23
oggetto in essi contenuti. L’opera otterrà sempre,
infinitamente un «compimento incompiuto». Il
dialogo tra il lettore e l’autore non si compirà
mai una volta per tutte eternamente fedele nei
secoli, al contrario, la sua incompiutezza rende
l’opera sempre aperta a nuovi significati e sempre
pronta ad arricchirsi. Il testo media l’io
dell’autore che offre la propria storia immortale
all’io del lettore che riceve un vissuto, e si
schiude, così, una conoscenza sorprendente e un
cambiamento inimmaginabile e casuale. Così come
casuale e inaspettato può essere l’incontro con la
persona amata, analogamente casuale e inaspettato
può essere l’incontro con un testo che
materializza la fisicità dell’autore. Un testo
letterario è un messaggio immortale che l’autore
invia al lettore in una collaborazione
appassionata sempre nuova e straordinaria. In
questo circolo ermeneutico il lettore,
imbattendosi nel testo deve essere sempre pronto
ad afferrare i segni che questi trasmette e deve
coglierli poichè, come lo scrittore Italo Calvino
spiega con estrema cura in Perché leggere i
classici:
23
4.D’un classico una rilettura è una lettura di scoperta
come la
prima.
5.D’un classico ogni prima lettura è in realtà una
rilettura.
La definizione 4 può essere considerata come corollario di
questa: 6. Un classico è un libro che non ha mai finito di
dire quel che
ha da dire.43
43 I. CALVINO, Perché leggere i classici, Oscar Mondadori, Milano 2012, p. 7
23
Bibliografia:Lo Zingarelli, Vocabolario della lingua
italiana, di N. Zingarelli di Zanichelli
Editore Spa
L. CASTIGLIONI, S. MARIOTTI, Il vocabolario della
lingua latina
Enciclopedia italiana Treccani.it, online,
http:// www. Treccani .it/ vocabolario/
testo3/
W.J. ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie
della parola, Società editrice il Mulino,
Bologna, 1986
R. JAKOBSON, Lo sviluppo della semiotica e
altri saggi, Bompiani, Milano Marzo 1979,
R. JAKOBSON, Saggi di linguistica generale,
Feltrinelli Editore 2002
M. MCLUHAN, Capire i media. Gli strumenti del
comunicare, il Saggiatore Tascabili, Milano,
2008
C. S PEIRCE., Writings of Charles S. Peirce: A
Chronological Edition, a cura di Max Fisch,
Edward C. Moore, Christian J. W. Kloesel et
al, Bloomington (Indiana), Indiana University
Press, 1982