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Copyright © 2003 byConsorzio per l’AREA di ricerca scientifica e tecnologica di TriesteAREA Science ParkPadriciano, 99 - 34012 Trieste

prima edizione: Dicembre 2003

I marchi citati nella presente pubblicazione sono di proprietà dei rispettivi titolariprogetto grafico: Mariangela Paludostampato presso la Tipografia Filacorda Udine

Coordinamento scientifico:Lanfranco ConteDipartimento di Scienze degli Alimenti - Università degli Studi di UdineMaria Cristina NicoliDipartimento di Scienze degli Alimenti - Università degli Studi di Udine

Hanno collaborato alla redazione del volume:Monica AneseDipartimento di Scienze degli Alimenti - Università degli Studi di UdineRenzo BortolomeazziDipartimento di Scienze degli Alimenti - Università degli Studi di UdineSonia CalligarisDipartimento di Scienze degli Alimenti - Università degli Studi di UdineLara ManzoccoDipartimento di Scienze degli Alimenti - Università degli Studi di UdineMaria ParpinelCentro di Riferimento Oncologico - Aviano (PN)Paola PittiaDipartimento di Scienze degli Alimenti - Università degli Studi di Udine

Unione EuropeaObiettivo 2 - FESR

Ministero dell’Economia e delle Finanze

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

Lo studio è stato ideato e coordinato dal Servizio Trasferimento Tecnologico di AREA Science Park ed è finanziato con il contributo del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale.

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Impiego di oli e grassi nella

formulazione dei prodotti

da forno

Autori variCoordinamento scientifico:Lanfranco Conte, Maria Cristina Nicoli

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AREA Science Parkper la diffusione dell’innovazione

AREA Science Park è uno dei principali parchi scientifici multisetto-riali d’Europa.

Suo obiettivo principale è favorire lo sviluppo del territorio regionale grazie alla creazione di un legame stabile tra il mondo della ricerca e il sistema imprenditoriale, attraverso iniziative che promuovono e facilitano la diffusione dell’innovazione tecnologica.

In particolare nella zona Obiettivo 2 del Friuli-Venezia Giulia AREA ha attivato “Progetto Novimpresa”, un’iniziativa cofinanziata da Unione Europea, Stato e Regione che offre alle imprese del territorio numerosi servizi a sostegno dello sviluppo tecnologico e della loro competitività.

Dall’attività a fianco delle imprese sono stati evidenziati alcuni temi di particolare interesse per gruppi di imprese o settori produttivi. In questa collana vengono pubblicati i risultati degli approfondimenti e degli studi.

AREA Science Park - Progetto NovimpresaPadriciano, 99 - 34012 Triestetel. 040.375.5275 - fax 040.226698e-mail: [email protected]://www.area.trieste.it - http://novimpresa.area.trieste.it

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Presentazione

Fortemente attenta alle esigenze manifestate dalle imprese del terri-torio regionale, AREA Science Park presenta un nuovo volume al-l’interno della propria collana dedicata all’innovazione ed alle nuove tecnologie per le imprese.Nell’ottica di un potenziamento costante delle proprie azioni volte ad accrescere le competitività delle imprese regionali e ritenendo prioritario il soddisfacimento tempestivo e puntuale delle esigenze d’innovazione, questo volume è stato pensato per rispondere alla “domanda di sapere” proveniente dalle industrie alimentari impe-gnate nella preparazione di prodotti da forno.Cogliendo le opportunità offerte dai servizi di trasferimento tecno-logico di AREA sul territorio, alcuni operatori del settore ci hanno manifestato, infatti, un forte interesse all’approfondimento delle te-matiche che sono sviluppate in questa pubblicazione. In collaborazione con il Dipartimento di Scienze degli Alimenti del-l’Università di Udine, è stata realizzata un’analisi approfondita ed aggiornata sul tema, raccolta in un agile volume di indicazioni “pron-te all’uso”, direttamente fruibili all’interno delle realtà aziendali.Con questa nuova iniziativa AREA intende aprire un ulteriore canale di comunicazione fra la ricerca e le imprese a sostegno della diffusio-ne dell’innovazione, per collegare sempre più strettamente ed effica-cemente il sistema che produce sapere e conoscenza con le dinamiche di sviluppo e le vocazioni espresse dal territorio.

prof.ssa Maria Cristina PedicchioPresidente Consorzioper l’AREA di ricerca scientificae tecnologica di Trieste

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Indice

Parte 1 - Le sostanze grasse alimentari p. 9

1.1 Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche(L. S. Conte) p. 9Definizione, caratteristiche generali, proprietà chimico-fisiche delle sostanze grasse alimentari p. 9Distribuzione e funzione dei lipidi in natura p. 10Gli acidi grassi p. 11

1.2 Aspetti normativi (L. S. Conte) p. 16Principali fonti di grassi ed oli vegetali naturali differenti da quelli di oliva e loro caratteristiche p. 16Oli ottenuti dalle olive e loro caratteristiche p. 28Grassi di origine animale p. 32

1.3 Controlli analitici (L. S. Conte) p. 40

1.4 Stabilità e modalità di magazzinaggio (R. Bortolomeazzi) p. 49Rancidità idrolitica p. 49Rancidità ossidativa p. 50Prevenzione dell’ossidazione p. 52Antiossidanti p. 54Un approccio pratico p. 57

Parte 2 - Le sostanze grasse nei prodotti da forno p. 59

2.1 Le funzioni tecnologiche dei grassi(M. Anese, L. Manzocco) p. 59Introduzione p. 59

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I meccanismi d’azione dei grassi nei prodotti da forno p. 61Funzioni tecnologiche dei grassi nei prodotti da forno p. 65Criteri di scelta dei grassi per la preparazione di prodotti da forno p. 67

2.2 Interazioni tra grassi e altri ingredienti in fase di formulazione e cottura (M. C. Nicoli) p. 71Introduzione p. 71Ingredienti ed additivi ad azione antiossidante p. 72Antiossidanti formati in fase di cottura p. 74

2.3 Modalità di confezionamento e conservazione dei prodotti da forno (P. Pittia, S. Calligaris) p. 76Introduzione p. 76Requisiti dei materiali di confezionamento p. 78Ruolo della composizione dell’atmosfera all’interno delle confezioni p. 80Temperatura di conservazione p. 81

2.4 I sostituti dei grassi (M. C. Nicoli) p. 85Introduzione p. 85Polisaccaridi p. 86Proteine p. 89Lipidi modificati p. 89Analoghi dei grassi p. 90Alcune considerazioni sull’impiego dei sostituti dei grassi p. 91

Parte 3 - Lipidi e nutrizione p. 95

3.1 Aspetti nutrizionali di oli e grassi (M. Parpinel) p. 95Introduzione p. 95I lipidi nell’organismo p. 101Lipidi alimentari e patologie p. 103Modificazioni dei grassi causate dai trattamenti termici e aspetti nutrizionali p. 105

Bibliografia p. 107

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Parte 1Le sostanze grasse alimentari

1.1 Caratteristiche chimiche e chimico-fisiche

Definizione, caratteristiche generali, proprietà chimico-fisiche delle sostanze grasse alimentari

Le sostanze grasse vengono chiamate “lipidi”. Con questo termine, viene indicata una classe di sostanze alquanto eterogenea, tanto che una classificazione univoca probabilmente non esiste ed i diversi autori includono o escludono da questa classe alcuni gruppi di sostanze.

Alcuni oli e grassi alimentari

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Caratteristica comune dei lipidi è la loro generale idrofobicità, dovuta alla polarità nulla o scarsa delle loro molecole, principalmente costituite da carbonio ed idrogeno, ed in misura molto minore di ossigeno, essi risultano di conseguenza solubili in solventi apolari o di limitata polarità, quali idrocarburi lineari e loro miscele (n-pentano, n-esano, n-eptano, etere di petrolio ecc.), idrocarburi ramificati (isoottano), idrocarburi aromatici (benzene, cilene, ecc.), etere etilico, acetato di etile, ecc. Tra i solventi non polari va annoverata anche l’anidride carbonica in fase liquida, utilizzata nella estrazione con fluidi supercritici.Limitata è invece la solubilità in solventi polari quali acqua ed alcoli, almeno per i lipidi che non presentino gruppi polari, come è invece il caso di catene con uno o più sostituenti polari (tipo –OH) o di molecole che contengano gruppi fosforici.

Distribuzione e funzione dei lipidi in natura

In natura i lipidi assolvono a diversi compiti, in relazione anche alla differenza di struttura chimica.Essi rappresentano una importante fonte di energia, anche sotto forma di grasso di deposito. Tramite β-ossidazione degli acidi grassi, infatti, da un grammo di grasso si ricavano 9 kcal. Gli acidi grassi, inoltre, come costituenti dei triacilgliceroli entrano nella composizione delle membrane cellulari così come i fosfolipidi ed il colesterolo.Gli esteri degli acidi grassi con funzioni alcoliche di molecole differenti dal glicerolo, quali ad esempio alcoli alifatici a lunga catena, alcoli ter-penici o steroli, costituiscono le strutture di rivestimento degli organi-smi viventi: della superficie delle foglie, dei frutti e dei fusti, nel regno vegetale (Tabella 1.1), della pelle e dei peli nel regno animale.

Tabella 1.1 - Composizione percentuale delle cere di alcune piante

Uva Rapa Mela Rosa Pisello Canna da zucchero (foglia) (foglia) (frutto) (fiore) (foglia) (fusto)

COMPOSTOIdrocarburi 2 33 20 58 40-50 2-8Cere (Esteri) 6 16 18 11 5-10 6Aldeidi 6 3 2 - 5 50Chetoni - 20 3 - - -Alcoli secondari - 8 20 9 7 -Alcoli primari 60 12 6 4 20 5-25Acidi 8 8 20 5 6 3-8

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Gli acidi grassi

Gli acidi grassi sono i componenti maggioritari dei lipidi. La loro struttura molecolare è essenzialmente riconducibile ad una catena di atomi di carbonio (denominata catena alifatica), in genere lineare, con un gruppo carbossilico (-COOH) ad una estremità.Gli acidi grassi possono essere classificati secondo differenti criteri. Qui si seguirà quello della presenza di uno o più doppi legami, o della loro assenza.Possiamo quindi distinguere gli acidi grassi in acidi grassi saturi, ovvero privi di doppi legami, monoinsaturi (con un doppio legame), polinsaturi (con due o più doppi legami).L’attribuzione della qualifica di “grassi” dovrebbe a rigore comprendere solo gli acidi grassi a lunga catena, ma viene in genere ricompresa in questa definizione anche una serie di acidi a corta e media lunghezza di catena carboniosa, in considerazione del fatto che essi si trovano in natura associati ad acidi di dimensioni maggiori.La nomenclatura degli acidi grassi fa riferimento ad una denominazio-ne cosiddetta “comune” che è quella più antica e nella quale il nome dell’acido grasso deriva dalla fonte naturale dalla quale fu isolato per la prima volta, o nella quale è, o era ritenuto predominante. Ad esem-pio, l’acido oleico deve il suo nome al fatto di essere l’acido grasso predominante nell’olio di oliva, l’acido palmitico nel grasso di palma e gli acidi linoleico e linolenico nell’olio di lino. Accanto a questa vi è la denominazione scientifica, relativamente più recente, che attribui-sce i nomi in rispetto delle regole stabilite dalla IUPAC (International Union Pure and Applied Chemistry), ovvero in base al numero di atomi di carbonio ed alla presenza e numero di eventuali insaturazioni. Nella pratica comune, infine, si utilizza un’indicazione stenografica che sin-tetizza la lunghezza di catena (determinata dal numero di atomi di carbonio) ed il numero di insaturazioni: in questo caso, ad esempio, l’acido oleico che è costituito da 18 atomi di carbonio e possiede una sola insaturazione viene indicato come C18:1. Talvolta questa notazio-ne abbreviata indica anche la posizione del doppio legame e, in tal ca-so, l’acido oleico viene indicato come C18:1 Δ9 poiché l’insaturazione è presente sul carbonio 9.

Gli acidi grassi saturi

Nella Tabella 1.2 sono elencati i principali acidi grassi saturi. Come si vede, essi non sono presenti solo nei grassi di origine animale, ma anche in

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quelli di origine vegetale: l’acido palmitico, ad esempio, è maggiormente rappresentato nel grasso di palma rispetto ai grassi animali.Dai valori del punto di fusione dei vari acidi grassi saturi riportati in tabella si può evincere come essi possano influenzare notevolmente le proprietà fisiche di un alimento: elevate concentrazioni di acidi saturi a 16 e/o 18 atomi di carbonio conferiranno concretezza al grasso (è il caso dei grassi di palma e dei grassi di animali terrestri). Al contrario, più elevata sarà la concentrazione di acidi grassi con lunghezza di catena intorno a 12 o 14 atomi di carbonio, più il grasso assumerà caratteristiche di fluidità.

Tabella 1.2 - I principali acidi grassi saturi

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°C)

Fonti in natura

4 Butirrico Butanoico C4:0 - 4,5 Grasso del latte

6 Caprinico Esanoico C6:0 -2 Grasso del latte, olio di cocco, di palmisti

8 Caprilico Ottanoico C8:0 16,5 Grasso del latte, olio di cocco, di palmisti

10 Caprico Decanoico C10:0 31,5 Grasso del latte, olio di cocco, di salmisti, semi di olmo (50% degli acidi grassi)

12 Laurico Dodecanoico C12:0 44 Semi di Lauraceae, oli di cocco e di palmisti (40-50%)

14 Miristico Tetradecanoico C14:0 58 Presente in tutti gli oli e grassi vegetali ed animali, latte (8-12%), cocco e palmisti (15-30%), Miristicaceae (Noce moscata) 70-80%

16 Palmitico Esadecanoico C16:0 63 Presente in tutti gli oli e grassi animali e vegetali, sego e strutto (25-30%), palma (30-50%), cacao (25%)

18 Stearico Ottadecanoico C18:0 71,2 Presente in tutti gli oli e grassi animali e vegetali, sego (20%), strutto (10%), cacao (35%), oli vegetali (1-5%)

20 Arachico Eicosanoico C20:0 77 Presente in tutti gli oli e grassi animali in quantità limitate, solo nell’olio di arachide 1-2%

22 Beenico Docosanoico C22:0 80 Presente in tutti gli oli e grassi animali in quantità limitate, solo nell’olio di arachide 1-2%, presente nell’olio di Brassicaceae

24 Lignocerico Tetracosanoico C24:0 Presente in tutti gli oli e grassi animali in quantità limitate, solo nell’olio di arachide 1-2%

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Gli acidi grassi insaturi

In natura, gli acidi grassi monoinsaturi più comuni sono l’acido palmitoleico (C16:1), ubiquitario e presente in piccole quantità in tutti gli oli vegetali e l’acido oleico (C18:1Δ9), presente in tutti gli oli vegetali ed i grassi animali in quantità variabile (Tabella 1.3). L’acido oleico è l’acido grasso predominante negli oli di oliva. Il suo contenuto varia tra il 59% e quasi l’80% in relazione ad una serie di fattori, quali cultivar, ambiente di coltivazione, condizioni climatiche e grado di maturazione delle olive. Si registrano normalmente contenuti minori per i prodotti di climi caldi.L’acido oleico, per il suo ridotto livello di insaturazione, rende gli oli che ne sono ricchi più stabili nei confronti della ossidazione, cosa estremamente importante nei processi tecnologici che implichino l’uso del calore. L’acido oleico, inoltre, viene normalmente ritenuto estremamente desiderabile nella dieta (si veda in proposito il capitolo 3.1). Probabilmente, in base a queste considerazioni, il miglioramento genetico delle piante oleaginose ha puntato all’incremento del suo contenuto, riducendo nel contempo il contenuto di acido linoleico (C18:2).L’altro acido grasso monoinsaturo maggiormente rappresentato nel regno vegetale è l’acido erucico (C22:1Δ13), caratteristico degli oli di Brassicaceae (Colza, Ravizzone, Crambe abyssinica), in cui può rappresentare sino al 50 % degli acidi grassi.Negli anni ’70, una serie di osservazioni ipotizzò che la causa di alcune patologie a carico del muscolo cardiaco e di altri organi, legate ad accumulo di lipidi, era da attribuirsi all’acido erucico, presente negli oli di colza allora molto diffusi e consumati.Il miglioramento genetico provvide allora a bloccare la reazione di allungamento della catena carboniosa. Si ottennero così semi di colza che contengono un olio in cui il contenuto di acido erucico è estremamente ridotto o addirittura nullo. Furono i canadesi per primi ad ottenere una cultivar priva di acido erucico denominata “Cambra” (CANadian BRAssica), cui in seguito se ne aggiunsero molte altre.Gli acidi grassi monoinsaturi possono andare incontro ad ulteriori reazioni di deidrogenazione, con formazione di acidi grassi polinsaturi (polienoici).

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Tabella 1.3 - Principali acidi grassi monoinsaturi e loro distribuzione in naturaN

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Fonti in natura

10 Caproleico cis-9-decanoico C10:1 Latte

14 Miristoleico cis-9-tetradecenoico

C14:1 Latte

16 Palmitoleico cis – 6 -esadecenoico

C16:1 Tutti i grassi animali e vegetali

18 Petroselinico cis – 6-ottadecenoico

C18:1Δ6 Latte

18 Oleico cis – 9-ottadecenoico

C18:1Δ9 Tutti gli oli ed i grassi, olio di oliva (59-83%), oli di semi (40-70%)

18 Elaidinico trans – 9-ottadecenoico

C18:1Δ9 Latte, oli e grassi raffinati, margarine

18 Vaccenico trans- 11-ottadecenoico

C18:1Δ11 Latte

18 Vaccenico Cis-11-ottadecenoico

C18:1Δ11 Olio di pesce

20 Gadoleico cis-9-eicosenoico C20:1Δ9 Olio di pesce

20 Gondoico cis-11-eicosenoico

C20:1Δ11 Olio di pesce

22 Cetoleico cis-11-docosenoico

C22:1Δ11 Olio di Pesce

24 Selacoleico cis-13-tetracosenocio

C24: 1Δ13 Cerebrosidi

26 Ximenico cis-17-esacosenoico

C26:1 Δ17 Ximenia americana

26 Lumechico cis-21-esacosenoico

C22: 1Δ21

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Nella Tabella 1.4 sono elencati alcuni tra i più comuni acidi grassi polienoici. In alcuni casi, essi, a parità di lunghezza della catena e di numero di insaturazioni, possono differenziarsi per la reciproca posizione dei doppi legami. Ad esempio, si possono avere due acidi grassi a 18 atomi di carbonio con tre insaturazioni, rispettivamente posizionate in 9, 12, 15 o in 6, 9,12. Nel primo esempio, la posizione dei primi due doppi legami è la stessa dell’acido linoleico (C18:2) e si parla quindi di serie dell’acido linoleico. Numerando i carboni a partire dal gruppo metile (-CH3), che si trova al termine della catena alifatica, nel primo caso si incontra il primo doppio legame in corrispondenza del carbonio 6, mentre, nel secondo caso, in corrispondenza del carbonio 3. La posizione si indica con la lettera “n” oppure con la lettera “ω” e si parlerà quindi di acidi grassi n-6 (ω-6) o n-3 (ω-3).Gli acidi grassi ω-3 sono più antichi e sono tipici del regno acquatico, trovandosi ampiamente rappresentati negli organismi marini, alghe e pesci, mentre altre fonti sono alquanto poco diffuse. Al contrario, gli acidi grassi ω-6 sono più recenti e sono diffusi in tutto il regno vegetale.Gli acidi grassi polinsaturi ω-3 sono particolarmente importanti nella dieta e sono considerati fattori vitamino simili in quanto il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli ed è costretto ad introdurli con la dieta (si veda in proposito il capitolo 3.1). L’importanza degli acidi grassi ω-3 è di tale rilevanza che oggi sono sempre più numerosi gli alimenti che vengono arricchiti con questi composti, tra cui anche i prodotti da forno.I doppi legami degli acidi grassi polinsaturi possono presentarsi isolati o coniugati (ovvero in posizione adiacente); in natura, in genere, essi sono isolati, in quanto la coniugazione dei doppi legami avviene in seguito a trattamenti tecnologici quali, ad esempio, la decolorazione delle sostanze grasse.Oggi si dà una certa importanza all’opportunità della presenza nella dieta di acidi grassi con doppi legami coniugati, in relazione alle loro considerevoli attività biologiche (effetti anticancerogeni, modulazione della funzionalità immunitaria, effetti antidiabete, antiobesità, anti trombotica ed antiaterosclerotica). Una delle poche fonti naturali è rappresentata dal grasso del latte in cui è presente un acido linoleico a doppi legami coniugati (CLA). Gli acidi grassi a doppi legami coniugati (CLA) sono sintetizzati nel rumine dei bovini (da cui la denominazione di acido rumenico), tramite isomerizzazione biologica (B. fibrisolvens). L’attività biologica dei CLA sembra essere associata ad una riduzione dell’assorbimento dei lipidi ad opera della lipoproteina lipasi dipendente.

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Tabella 1.4 - Principali acidi grassi polinsaturi e loro distribuzione in naturaN

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Fonti in natura

18 Linoleico Cis,cis-9,12-octadecadienoico

C18:2 Oli vegetali, in particolare oli di semi (girasole, mais ecc)

18 Linolenico Cis,cis,cis-9,12,15-octadecatrienoico

C18:3 Oli vegetali, in particolare oli di semi (soia, colza ecc)

18 γ-Linolenico Cis,cis,cis,6-9,12,-octadecatrienoico

C18:3 Oli di pesce, olio di semi di Borrago officinalis, olio di semi di Oenotera biennis

18 Morotico Cis,cis,cis,4-8,12,15-octadecatetraenoico

C18:4 Oli di pesce

20 C20:1 Oli vegetali, in particolare oli di semi (soia, colza ecc)

20 Cis,cis-13,16-docosadienoico

C20:2 Oli di pesce, olio di semi di colza

20 Arachidonico Cis,cis,cis,cis-5,8,12,15-

eicosatetraenoico

C20:4 Oli di pesce

20 C20:5 Oli di pesce

25 Nisinico Cis,cis,cis,cis-4,8,12,15-

eicosapentenoico

C26:4 Oli di pesce

26 C26:5 Oli di pesce

1.2 Aspetti normativiPrincipali fonti di grassi ed oli vegetali naturali differenti da quelli di oliva e loro caratteristiche

Se le caratteristiche degli oli ottenuti dalle olive sono fissate da norme legislative della UE o della Repubblica Italiana, per tutti gli altri oli si fa riferimento alla norma del Codex Alimentarius, a livello internazionale, e alle tabelle Norma Grassi e Derivati (NGD), che sono ampiamente armonizzate alla norma Codex, a livello nazionale.In accordo con lo standard del Codex Alimentarius (versione 2003,

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meeting di Londra), le denominazioni degli oli e dei grassi vegetali sono le seguenti:• olio di arachide (peanut oil, groundnut oil) deriva dai semi di

Arachis hypogaea L.;• olio di babassu deriva dalle mandorle del frutto di diverse varietà

della palma Orbignya spp.;• olio di cocco deriva dalle mandorle della noce di cocco (Cocos nu-

cifera L.);• olio di cotone deriva dai semi di varie specie cltiate di Gossypium

spp.;• olio di vinaccioli deriva dai semi dell’uva (Vitis vinifera L.);• olio di mas (corn oil) deriva dal geme della cariosside del mais

(embrione di Zea mays L.);• olio di senape deriva dai semi di Sinapis alba L. o di Brassica hirta,

Moench, Brassica juncea (L.), Brassica nigra (L.) Koch;• olio di palmisti (Palm kernel oil) deriva dal tegumento del frutto

della palma da olio (Elaeis guineensis);• olio di palma deriva dalla polpa del mesocarpo del frutto della

palma da olio (Elaeis guineensis);• oleina di palma che è la frazione liquida derivata dal fraziona-

mento dell’olio di palma;• stearina di palma che è la frazione solida derivata dal fraziona-

mento dell’olio di palma;• superoleina di palma che è la frazione liquida derivata dall’olio

di palma (descritta sopra) ottenuta tramite un procedimento che consente di ottenere un prodotto con numero di iodio maggiore o eguale a 60;

• olio di colza prodotto dai semi di Brassica napus L., Brassica campe-stris L., Brassica juncea L. e Brassica tournefortii Gouan species;

• olio di colza a basso contenuto di acido erucico prodotto dai semi oleosi di varietà a basso contenuto di acido erucico di Brassica na-pus L., Brassica campestris L. e Brassica juncea L., commercialmente chiamato anche “Canola”;

• olio di cartamo estratto dai semi di Carthamus tinctorious L.;• olio di cartamo ad alto contenuto di acido oleico è estratto dai se-

mi di Carthamus tinctorious L. geneticamente modificati per avere un elevato contenuto di acido oleico;

• olio di sesamo estratto dai semi di Sesamum indicum L.;• olio di soia estratto dai semi di soia (Glycine max (L.) Merr.);

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• olio di girasole estratto dagli acheni di Helianthus annuus L.;• olio di girasole ad alto contenuto di acido oleico, estratto dagli

acheni di varietà di Helianthus annuus geneticamente modificato;• olio di girasole, a medio contenuto di acido oleico, estratto dagli

acheni di varietà di Helianthus annuus geneticamente modificato;

Altre definizioni:

• oli vegetali eduli: sono alimenti composti principalmente da tri-gliceridi degli acidi grassi ottenuti da fonti vegetali; possono con-tenere piccole quantità di altri lipidi come fosfatidi o costituenti dell’insaponificabile ed acidi grassi liberi naturalmente presenti nell’olio o grasso;

• oli vergini: sono ottenuti, senza alterare la natura dell’olio, me-diante processi meccanici, come pressione o torsione ed eventual-mente applicazione del calore. Possono essere purificati mediante lavaggio con acqua, sedimentazione, filtrazione e centrifugazione;

• oli di pressione a freddo: sono ottenuti, senza alterare l’olio, me-diante processi meccanici, quali pressione o torsione, senza appli-cazione di calore. Possono essere purificati mediante lavaggio con acqua, sedimentazione, filtrazione e centrifugazione.

Le caratteristiche compositive sono distinte in caratteristiche di pu-rezza (genuinità) e caratteristiche di qualità. Il Codex Alimentarius elenca in una sezione a parte parametri relativi alla presenza di so-stanze “indesiderabili”. Le prime sono proprie dell’origine botanica dell’olio o grasso, mentre le seconde attestano l’idoneità del prodotto in relazione alla conservazione delle caratteristiche nutrizionali dello stesso che possono essere diminuite ad esempio da problemi di irran-cidimento (si veda in proposito il capitolo 1.4). La terza lista, ovvero quella delle sostanze indesiderabili, identifica le sostanze che posso-no rappresentare un rischio per la salute del consumatore ed indica i limiti per ognuna di esse. Essendo la norma Codex un riferimento, essa va intesa come raccolta di linee guida, non a carattere cogente e quindi i singoli paesi aderenti al Codex possono imporre limiti più severi qualora ravvisino pericoli per la salute dei cittadini.Nelle Tabelle 1.5, 1.6, 1.7 e 1.8 sono riportate le caratteristiche compositive dei principali oli e grassi vegetali.Gli oli ed i grassi possono essere utilizzati tal quali o necessitare di operazioni di raffinazione, al fine di eliminare caratteristiche che li rendono non adatti all’impiego diretto.

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La raffinazione viene condotta secondo lo schema della figura 1.1. Naturalmente, gli step indicati non devono necessariamente essere eseguiti tutti. Per esempio, può essere necessaria la sola neutralizzazione o la sola deodorazione. La sequenza indicata può venire variata nel caso in cui si applichi una deacidificazione per distillazione: in questo caso, il primo step diviene la decolorazione in quanto alle condizioni adottate per la distillazione degli acidi grassi, i pigmenti subirebbero modificazioni irreversibili che non consentirebbe alle terre decoloranti di adsorbirli efficientemente. Per la decolorazione, infatti, si utilizzano terre attive o attivate per lavaggio con acidi.In Italia, essendo ancora in vigore una legge del 1960, gli oli di semi devono essere raffinati. In pratica non esiste un “obbligo” alla raffinazione, tuttavia la legislazione vigente prevede che essi debbano rientrare in caratteristiche colorimetriche tali da non poterne evitare la decolorazione. Questa circostanza fa spesso affermare che non sia legalmente ammesso produrre olio di semi di pressione; in realtà non è vero, è invece corretto dire che non si può produrre olio di semi con caratteristiche colorimeriche non adeguate alla legislazione nazionale. Ne consegue che gli oli di semi di pressione, che eccedono tali limiti, non possono venire commercializzati come tali. E’ tuttavia vero anche che, se un olio di semi di pressione viene prodotto in un Paese della Unione Europea ed è colà a norma della legge nazionale, per il principio della libera circolazione delle merci, esso può circolare ed essere venduto in Italia.

Figura 1.1 – Schema della raffinazione degli oli vegetali

Fosfatidi e lipoproteine

Acidi Grassi

Olio Grezzo Degommazione Neutralizzazione

Acidi Grassi Distillati

Deodorazione

Decolorazione Terre

Decoloranti

Olio Raffinato

Demargarinazione Cere

Linea dell’olio

Linea dei sottoprodotti

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Tabella 1.5 - Composizione percentuale degli acidi grassi dei principali oli e grassi differenti dall’oliva

Ac. Grasso Arachide Babassu Cocco Cotone Vinaccioli Mais Senape Palma Palmisti Oleina di Palma Stearina di Palma

C6:0 ND ND ND ND ND ND ND ND ND – 0,8 ND NDC8:0 ND 2,6 – 7,3 4,6 – 10,0 ND ND ND ND ND 2,4 – 6,2 ND NDC10:0 ND 1,2 – 7,6 5,0 – 8,0 ND ND ND ND ND 2,6 – 5,0 ND NDC12:0 ND – 0,1 40,0 – 55,0 45,1 – 53,2 ND – 0,2 ND ND – 0,3 ND ND – 0,5 45,0 – 55,0 0,1 – 0,5 0,1 – 0’,5C14:0 ND – 0,1 11,0 - 27,0 16,8 – 21,0 0,6 – 1,0 ND – 0,3 ND – 0,3 ND – 1,0 0,5 – 2,0 14,0 – 18,0 0,5 – 1,5 1,0 – 2,0C16:0 8,0 – 14,0 5,2 – 11,0 7,5 – 10,2 21,4 – 26,4 5,5 –11,0 8,6 – 16,5 0,5 – 4,5 39,3 - 47,5 6,5 – 10,0 38,0 – 43,5 48,0 – 74,0C16:1 ND – 0,2 ND ND ND – 1,2 ND – 1,2 ND – 0,5 ND – 0,5 ND – 0,6 ND – 0,2 ND – 0,6 ND – 0,2C17:0 ND – 0,1 ND ND ND – 0,1 ND – 0,2 ND – 0,1 ND ND – 0,2 ND ND – 0,2 ND – 0,2C17:1 ND – 0,1 ND ND ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,1 ND ND ND ND – 0,1 ND – 0,1C18:0 1,0 – 4,5 1,8 – 7,4 2,0 – 4,0 2,1 – 3,3 3,0 – 6,5 ND – 3,3 0,5 – 2,0 3,5 – 6,0 1,0 – 3,0 3,5 – 5,0 3,9 – 6,0C18:1 35,0 – 69,0 9,0 – 20,0 5,0 – 10,0 14,7 – 21,7 12,8 – 28,0 20,0 – 42,2 8,0 – 23,0 36,0 – 44,0 12,0 – 19,0 39,8 – 46,0 15,5 – 36,0C18:2 12,0 – 43,0 1,4 – 6,6 1,0 – 2,5 46,7 – 58,2 58,0 – 78,0 34,0 – 65,6 10,0 – 24,0 9,0 – 12,0 1,0 – 3,5 10,0 – 13,5 3,0 – 10,0C18:3 ND – 0,3 ND ND – 0,2 ND – 0,4 ND – 1,0 ND – 2,0 6,0 – 18,0 ND – 0,5 ND – 0,2 ND – 0,6 ND – 0,5C20:0 1,0 – 2,0 ND ND – 0,2 0,2 – 0,5 ND – 1,0 0,3 – 1,0 ND – 1,5 ND – 1,0 ND – 0,2 ND – 0,6 ND – 1,0C20:1 0,7 – 1,7 ND ND – 0,2 ND – 0,1 ND – 0,3 0,2 – 0,6 5,0 – 13,0 ND – 0,4 ND – 0,2 ND – 0,4 ND – 0,4C20:2 ND ND ND ND – 0,1 ND ND – 0,1 ND – 1,0 ND ND ND NDC22:0 1,5 – 4,5 ND ND ND – 0,6 ND – 0,5 ND – 0,5 0,2 – 2,5 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,2C22:1 ND – 0,3 ND ND ND – 0,3 ND – 0,3 ND – 0,3 22,0 – 50,0 ND ND ND NDC22:2 ND ND ND ND – 0,1 ND ND ND – 1,0 ND ND ND NDC24:0 0,5 – 2,5 ND ND ND – 0,1 ND – 0,4 ND – 0,5 ND – 0,5 ND ND ND NDC24:1 ND - 0,3 ND ND ND ND ND 0,5 – 2,5 ND ND ND ND

Ac. Grasso Superoleina Colza Colza a Cartamo Cartamo Sesamo Soia Girasole Girasole Girasole di palma basso erucico alto oleico alto oleico medio oleico

C6:0 ND ND ND ND ND ND ND ND ND NDC8:0 ND ND ND ND ND ND ND ND ND NDC10:0 ND ND ND ND ND ND ND ND ND NDC12:0 0,1 – 0,5 ND ND ND ND – 0,2 ND ND – 0,1 ND – 0,1 ND NDC14:0 0,5 – 1,5 ND –0,2 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,1 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,1 ND – 0,1C16:0 30,0 – 39,0 1,5 – 6,0 2,5 – 7,0 5,3 – 8,0 3,6 – 6,0 7,9 – 12,0 8,0 – 13,5 5,0 – 7,6 2,6 – 5,0 4,0 – 5,5C16:1 ND – 0,5 ND – 3,0 ND – 0,6 ND – 0,2 ND – 0,2 0,1 – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,3 ND – 0,1 ND – 0,05C17:0 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,3 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,2 ND – 0,1 ND – 0,2 ND – 0,1 ND – 0,01C17:1 ND ND – 0,1 ND – 0,3 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,06C18:0 2,8 – 4,5 0,5 – 3,1 0,8 – 3,0 1,9 – 2,9 1,5 – 2,4 4,8 – 6,7 2,0 –5,4 2,7 –6,5 2,9 – 6,2 2,1 – 5,0C18:1 43,0 – 49,5 8,0 – 60,0 51,0 – 70,0 8,4 – 21,3 70,0 – 83,7 35,9 – 43,0 17,0 – 30,0 14,0 – 39,4 75,0 – 90,7 43,1 – 71,8C18:2 10,5 – 15,0 11,0 – 23,0 15,0 – 30,0 67,8 – 83,2 9,0 – 19,9 39,1 – 47,9 48,0 – 59,0 48,3 – 74,0 2,1 – 17,0 18,7 – 45,3C18:3 0,2 – 1,0 5,0 – 13,0 5,0 – 14,0 ND – 0,1 ND – 1,2 0,3 – 0,5 4,5 – 11,0 ND – 0,3 ND – 0,3 ND – 0,5C20:0 ND – 0,4 ND – 0,3 0,2 – 1,2 0,2 – 0,4 0,3 – 0,6 0,3 – 0,7 0,1 – 0,6 0,1 – 0,5 0,2 – 0,5 0,2 – 0,4C20:1 ND – 0,2 3,0 – 15,0 0,1 – 4,3 0,1 –0,3 0,1 – 0,5 ND – 0,3 ND – 0,5 ND – 0,3 0,1 – 0,5 0,2 – 0,3C20:2 ND ND - 1,0 ND – 0,1 ND ND ND ND – 0,1 ND ND NDC22:0 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,6 ND – 1,0 ND – 0,4 ND – 1,1 ND – 0,7 0,3 – 1,5 0,5 – 1,6 0,6 – 1,1C22:1 ND > 2,0 – 60,0 ND – 2,0 ND – 1,8 ND – 0,3 ND ND – 0,3 ND – 0,3 ND – 0,3 NDC22:2 ND ND – 2,0 ND – 0,1 ND ND ND ND ND – 0,3 ND ND – 0,09C24:0 ND ND – 2,0 ND – 0,3 ND – 0,2 ND –0,3 ND – 0,3 ND – 0,5 ND – 0,5 ND – 0,5 0,3 – 0,4C24:1 ND ND –0,4 ND – 0,2 ND – 0,2 ND ND ND ND ND ND

ND = Non dosabile definito come < 0,05 % (Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)

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Tabella 1.5 - Composizione percentuale degli acidi grassi dei principali oli e grassi differenti dall’oliva

Ac. Grasso Arachide Babassu Cocco Cotone Vinaccioli Mais Senape Palma Palmisti Oleina di Palma Stearina di Palma

C6:0 ND ND ND ND ND ND ND ND ND – 0,8 ND NDC8:0 ND 2,6 – 7,3 4,6 – 10,0 ND ND ND ND ND 2,4 – 6,2 ND NDC10:0 ND 1,2 – 7,6 5,0 – 8,0 ND ND ND ND ND 2,6 – 5,0 ND NDC12:0 ND – 0,1 40,0 – 55,0 45,1 – 53,2 ND – 0,2 ND ND – 0,3 ND ND – 0,5 45,0 – 55,0 0,1 – 0,5 0,1 – 0’,5C14:0 ND – 0,1 11,0 - 27,0 16,8 – 21,0 0,6 – 1,0 ND – 0,3 ND – 0,3 ND – 1,0 0,5 – 2,0 14,0 – 18,0 0,5 – 1,5 1,0 – 2,0C16:0 8,0 – 14,0 5,2 – 11,0 7,5 – 10,2 21,4 – 26,4 5,5 –11,0 8,6 – 16,5 0,5 – 4,5 39,3 - 47,5 6,5 – 10,0 38,0 – 43,5 48,0 – 74,0C16:1 ND – 0,2 ND ND ND – 1,2 ND – 1,2 ND – 0,5 ND – 0,5 ND – 0,6 ND – 0,2 ND – 0,6 ND – 0,2C17:0 ND – 0,1 ND ND ND – 0,1 ND – 0,2 ND – 0,1 ND ND – 0,2 ND ND – 0,2 ND – 0,2C17:1 ND – 0,1 ND ND ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,1 ND ND ND ND – 0,1 ND – 0,1C18:0 1,0 – 4,5 1,8 – 7,4 2,0 – 4,0 2,1 – 3,3 3,0 – 6,5 ND – 3,3 0,5 – 2,0 3,5 – 6,0 1,0 – 3,0 3,5 – 5,0 3,9 – 6,0C18:1 35,0 – 69,0 9,0 – 20,0 5,0 – 10,0 14,7 – 21,7 12,8 – 28,0 20,0 – 42,2 8,0 – 23,0 36,0 – 44,0 12,0 – 19,0 39,8 – 46,0 15,5 – 36,0C18:2 12,0 – 43,0 1,4 – 6,6 1,0 – 2,5 46,7 – 58,2 58,0 – 78,0 34,0 – 65,6 10,0 – 24,0 9,0 – 12,0 1,0 – 3,5 10,0 – 13,5 3,0 – 10,0C18:3 ND – 0,3 ND ND – 0,2 ND – 0,4 ND – 1,0 ND – 2,0 6,0 – 18,0 ND – 0,5 ND – 0,2 ND – 0,6 ND – 0,5C20:0 1,0 – 2,0 ND ND – 0,2 0,2 – 0,5 ND – 1,0 0,3 – 1,0 ND – 1,5 ND – 1,0 ND – 0,2 ND – 0,6 ND – 1,0C20:1 0,7 – 1,7 ND ND – 0,2 ND – 0,1 ND – 0,3 0,2 – 0,6 5,0 – 13,0 ND – 0,4 ND – 0,2 ND – 0,4 ND – 0,4C20:2 ND ND ND ND – 0,1 ND ND – 0,1 ND – 1,0 ND ND ND NDC22:0 1,5 – 4,5 ND ND ND – 0,6 ND – 0,5 ND – 0,5 0,2 – 2,5 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,2C22:1 ND – 0,3 ND ND ND – 0,3 ND – 0,3 ND – 0,3 22,0 – 50,0 ND ND ND NDC22:2 ND ND ND ND – 0,1 ND ND ND – 1,0 ND ND ND NDC24:0 0,5 – 2,5 ND ND ND – 0,1 ND – 0,4 ND – 0,5 ND – 0,5 ND ND ND NDC24:1 ND - 0,3 ND ND ND ND ND 0,5 – 2,5 ND ND ND ND

Ac. Grasso Superoleina Colza Colza a Cartamo Cartamo Sesamo Soia Girasole Girasole Girasole di palma basso erucico alto oleico alto oleico medio oleico

C6:0 ND ND ND ND ND ND ND ND ND NDC8:0 ND ND ND ND ND ND ND ND ND NDC10:0 ND ND ND ND ND ND ND ND ND NDC12:0 0,1 – 0,5 ND ND ND ND – 0,2 ND ND – 0,1 ND – 0,1 ND NDC14:0 0,5 – 1,5 ND –0,2 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,1 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,1 ND – 0,1C16:0 30,0 – 39,0 1,5 – 6,0 2,5 – 7,0 5,3 – 8,0 3,6 – 6,0 7,9 – 12,0 8,0 – 13,5 5,0 – 7,6 2,6 – 5,0 4,0 – 5,5C16:1 ND – 0,5 ND – 3,0 ND – 0,6 ND – 0,2 ND – 0,2 0,1 – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,3 ND – 0,1 ND – 0,05C17:0 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,3 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,2 ND – 0,1 ND – 0,2 ND – 0,1 ND – 0,01C17:1 ND ND – 0,1 ND – 0,3 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,1 ND – 0,06C18:0 2,8 – 4,5 0,5 – 3,1 0,8 – 3,0 1,9 – 2,9 1,5 – 2,4 4,8 – 6,7 2,0 –5,4 2,7 –6,5 2,9 – 6,2 2,1 – 5,0C18:1 43,0 – 49,5 8,0 – 60,0 51,0 – 70,0 8,4 – 21,3 70,0 – 83,7 35,9 – 43,0 17,0 – 30,0 14,0 – 39,4 75,0 – 90,7 43,1 – 71,8C18:2 10,5 – 15,0 11,0 – 23,0 15,0 – 30,0 67,8 – 83,2 9,0 – 19,9 39,1 – 47,9 48,0 – 59,0 48,3 – 74,0 2,1 – 17,0 18,7 – 45,3C18:3 0,2 – 1,0 5,0 – 13,0 5,0 – 14,0 ND – 0,1 ND – 1,2 0,3 – 0,5 4,5 – 11,0 ND – 0,3 ND – 0,3 ND – 0,5C20:0 ND – 0,4 ND – 0,3 0,2 – 1,2 0,2 – 0,4 0,3 – 0,6 0,3 – 0,7 0,1 – 0,6 0,1 – 0,5 0,2 – 0,5 0,2 – 0,4C20:1 ND – 0,2 3,0 – 15,0 0,1 – 4,3 0,1 –0,3 0,1 – 0,5 ND – 0,3 ND – 0,5 ND – 0,3 0,1 – 0,5 0,2 – 0,3C20:2 ND ND - 1,0 ND – 0,1 ND ND ND ND – 0,1 ND ND NDC22:0 ND – 0,2 ND – 0,2 ND – 0,6 ND – 1,0 ND – 0,4 ND – 1,1 ND – 0,7 0,3 – 1,5 0,5 – 1,6 0,6 – 1,1C22:1 ND > 2,0 – 60,0 ND – 2,0 ND – 1,8 ND – 0,3 ND ND – 0,3 ND – 0,3 ND – 0,3 NDC22:2 ND ND – 2,0 ND – 0,1 ND ND ND ND ND – 0,3 ND ND – 0,09C24:0 ND ND – 2,0 ND – 0,3 ND – 0,2 ND –0,3 ND – 0,3 ND – 0,5 ND – 0,5 ND – 0,5 0,3 – 0,4C24:1 ND ND –0,4 ND – 0,2 ND – 0,2 ND ND ND ND ND ND

ND = Non dosabile definito come < 0,05 % (Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)

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Tabella 1.6 - Caratteristiche chimico – fisiche degli oli e grassi differenti dall’oliva

Arachide Babassu Cocco Cotone Vinaccioli Mais Senape Palma Palmisti Oleina di Palma

Densità relativa 0,912 – 0,920 0,914 – 0,917 0,908 – 0,921 0,918 – 0,926 0,920 – 0,926 0,917 – 0,925 0,910 – 0,921 0,891 – 0,899 0,899 – 0,914 0,899 – 0,920 (X°C/acqua a 20°c) X = 20°C X = 25°C X = 40°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 50°C X = 40°C X = 40°C

Densità apparente 0,889 – 0,895 0,896 – 0,898 (g/l) (50°C) (40°C)

Indice di rifrazione 1,460 – 1,465 1,448 – 1,451 1,448 – 1,450 1,458 – 1,466 1,467 – 1,477 1,465 – 1,468 1,461 – 1,469 1,454 – 1,456 1,448 – 1,452 1,458 – 1,460(ND 40°C) (50°C)

Indice di saponificazione (mg KOH/g olio) 187 – 196 245 – 256 248 – 265 189 – 198 188 – 194 187 – 195 168 – 184 190 – 209 230 – 254 194 – 202

Indice di Iodo 86 – 107 10 – 18 6,3 – 10,6 100 – 123 128 – 150 103 – 135 92 – 125 50 – 55 14 – 21 ≥ 56

Insaponificabile (g/kg) ≤ 10 ≤ 12 ≤ 15 ≤ 15 ≤ 20 ≤ 28 ≤ 15 ≤ 12 ≤ 10 ≤ 13

Stearina Superoleina Colza Colza baso Cartamo Cartamo alto Sesamo Soia Girasole Girasole alto Girasole medio di palma di Palma erucico oleico oleico oleico

Densità relativa 0,881 – 0,891 0,900 – 0,925 0,910 – 0,920 0,914 – 0,920 0,922 – 0,927 0,913 – 0,919 0,915-0,924 0,919 – 0,925 0,918-0,923 0,909 – 0,915 0,914 – 0,916 (X°C/acqua a 20°c) X = 60°C X = 40°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 25°C X = 20°C

Densità 0,881 – 0,885 0,897 – 0,920 0,912 – 0,914apparente (g/l) a 60°C a 20°C

Indice di rifrazione 1,447 – 1,452 1,463. 1,465 1,465 – 1,469 1,465 – 1,467 1,467 – 1,470 1,466 – 1,470 1,465-1,469 1,466-1,470 1,461-1,468 1,467-1,471 1,461 – 1,471 (ND 40°C) a 60°C a 25°C a 25°C a 25°C

Indice di saponificazione (mg KOH/g olio) 193 – 205 180 – 205 168 – 181 182 – 193 186 – 198 186 – 194 186-195 189-195 188-194 182-194 190-191

Indice di Iodo ≤ 48 ≥ 60 94 – 120 105 – 126 136 – 148 80 – 100 104-120 124-139 118 – 141 78 – 90 94-122

Insaponificabile (g/kg) ≤9 ≤ 13 ≤ 20 ≤ 20 ≤ 15 ≤ 10 ≤ 20 ≤ 15 ≤ 15 ≤ 15 ≤ 15

(Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)

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Tabella 1.6 - Caratteristiche chimico – fisiche degli oli e grassi differenti dall’oliva

Arachide Babassu Cocco Cotone Vinaccioli Mais Senape Palma Palmisti Oleina di Palma

Densità relativa 0,912 – 0,920 0,914 – 0,917 0,908 – 0,921 0,918 – 0,926 0,920 – 0,926 0,917 – 0,925 0,910 – 0,921 0,891 – 0,899 0,899 – 0,914 0,899 – 0,920 (X°C/acqua a 20°c) X = 20°C X = 25°C X = 40°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 50°C X = 40°C X = 40°C

Densità apparente 0,889 – 0,895 0,896 – 0,898 (g/l) (50°C) (40°C)

Indice di rifrazione 1,460 – 1,465 1,448 – 1,451 1,448 – 1,450 1,458 – 1,466 1,467 – 1,477 1,465 – 1,468 1,461 – 1,469 1,454 – 1,456 1,448 – 1,452 1,458 – 1,460(ND 40°C) (50°C)

Indice di saponificazione (mg KOH/g olio) 187 – 196 245 – 256 248 – 265 189 – 198 188 – 194 187 – 195 168 – 184 190 – 209 230 – 254 194 – 202

Indice di Iodo 86 – 107 10 – 18 6,3 – 10,6 100 – 123 128 – 150 103 – 135 92 – 125 50 – 55 14 – 21 ≥ 56

Insaponoificabile (g/kg) ≤ 10 ≤ 12 ≤ 15 ≤ 15 ≤ 20 ≤ 28 ≤ 15 ≤ 12 ≤ 10 ≤ 13

Stearina Superoleina Colza Colza baso Cartamo Cartamo alto Sesamo Soia Girasole Girasole alto Girasole medio di palma di Palma erucico oleico oleico oleico

Densità relativa 0,881 – 0,891 0,900 – 0,925 0,910 – 0,920 0,914 – 0,920 0,922 – 0,927 0,913 – 0,919 0,915-0,924 0,919 – 0,925 0,918-0,923 0,909 – 0,915 0,914 – 0,916 (X°C/acqua a 20°c) X = 60°C X = 40°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 20°C X = 25°C X = 20°C

Densità 0,881 – 0,885 0,897 – 0,920 0,912 – 0,914apparente (g/l) a 60°C a 20°C

Indice di rifrazione 1,447 – 1,452 1,463. 1,465 1,465 – 1,469 1,465 – 1,467 1,467 – 1,470 1,466 – 1,470 1,465-1,469 1,466-1,470 1,461-1,468 1,467-1,471 1,461 – 1,471 (ND 40°C) a 60°C a 25°C a 25°C a 25°C

Indice di saponificazione (mg KOH/g olio) 193 – 205 180 – 205 168 – 181 182 – 193 186 – 198 186 – 194 186-195 189-195 188-194 182-194 190-191

Indice di Iodo ≤ 48 ≥ 60 94 – 120 105 – 126 136 – 148 80 – 100 104-120 124-139 118 – 141 78 – 90 94-122

Insaponoificabile (g/kg) ≤9 ≤ 13 ≤ 20 ≤ 20 ≤ 15 ≤ 10 ≤ 20 ≤ 15 ≤ 15 ≤ 15 ≤ 15

(Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)

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Tabella 1.7 - Composizione percentuale degli steroli degli oli e grassi differenti dall’oliva

Arachide Babassu Cocco Cotone Vinaccioli Mais Palma Oleina di Palma Palmisti Stearina di Palma

Colesterolo ND-3,8 1,2-1,7 ND-3,0 0,7-2,3 ND-0,5 0,2-0,6 2,6-6,7 2,6-6,7 0,6-3,7 2,5-5,0

Brassicasterolo ND-0,2 ND-0,3 ND-0,3 0,1-0,3 ND-0,2 ND-0,2 ND ND ND-0,8 ND

Campesterolo 12,0-19,8 17,7-18,7 6,0-11,2 6,4-14,5 7,5-14,0 16,0-24,1 18,7-27,5 12,5-39,0 8,4-12,7 15,0-26,0

Stigmasterolo 5,4-13,2 8,7-9,2 11,4-15,6 2,1-6,8 7,5-12,0 4,3-8,0 8,5-13,9 7,0-18,9 12,0-16,6 9,0-15,0

β-sitosterolo 47,4-69,0 48,2-53,9 32,6-50,7 76,0-87,1 64,0-70,0 54,8-66,6 50,2-62,1 45,0-71,0 62,6-73,1 50,0-60,0

Δ-5 avenasterolo 5,0-18,8 16,9-20,4 20,0-40,7 1,8-7,3 1,0-3,5 1,5-8,2 ND-2,8 ND-3,0 1,4-9,0 ND-3,0

Δ-7 stigmastenolo ND-5,1 ND ND-3,0 ND-1,4 0,5-3,5 0,2-4,2 0,2-2,4 ND-3,0 ND-2,1 ND-3,0

Δ-7 avenasterolo ND-5,5 0,4-1,0 ND-3,0 0,8-3,3 0,5-1,5 0,3-2,7 ND-5,1 ND-6,0 ND-1,4 ND-3,0

Altri ND-1,4 ND ND-3,6 ND-1,5 ND-5,1 ND-2,4 ND ND-10,4 ND-2,7 ND-5,0

Steroli Totali (mg/kg) 900-2000 500-800 400-1200 2700-6400 2000-7000 7000-22000 300-700 270-800 700-1400 250-500

Palma Colza basso Cartamo Cartamo alto Sesamo Soia Girasole Girasole alto Girasole medio Superoleina erucico oleico oleico oleico

Colesterolo 2,0-3,5 ND-1,3 ND-0,7 ND-0,5 0,1-0,5 0,2-1,4 ND-0,7 ND-0,5 0,1-0,2

Brassicasterolo ND 5,0- 13,0 ND-0,4 ND-2,2 0,1-0,2 ND-0,3 ND-0,2 ND-0,3 ND-0,1

Campesterolo 22,0-26,0 24,7-38,6 9,2-13,3 8,9-19,9 10,1-20,0 15,8-24,2 6,5-13,0 5,0-13,0 9,1-9,6

Stigmasterolo 18,2-20,0 0,2-1,0 4,5-9,6 2,9-8,9 3,4-12,0 14,9-19,1 6,0-13,0 4,5-13,0 9,0-9,3

β-sitosterolo 55,0-70,0 45,1-57,9 40,2-50,6 40,1-66,9 57,7-61,9 47,0-60,0 50,0-70,0 42,0-70,0 56,0-58,0

Δ-5 avenasterolo 0-1,0 2,5-6,6 9,8-4,8 0,2-8,9 6,2-7,8 1,5-3,7 ND-6,9 1,5-6,9 4,8-5,3

Δ-7 stigmastenolo 0,-0,3 ND-1,3 13,7-24,6 3,4-16,4 0,5-7,6 1,4-5,2 6,5-24,0 6,5-24,0 7,7-7,9

Δ-7 avenasterolo 0-0,3 ND-0,8 2,2-6,3 ND-8,3 1,2-5,6 1,0-4,6 3,0-7,5 ND-9,0 4,3-4,4

Altri 0-0,2 ND-4,2 0,5-6,4 4,4-11,9 0,7-9,2 ND-1,8 ND-5,3 3,5-9,5 5,4-5,8

Steroli Totali (mg/kg) 300-600 4500-11300 2100-4600 2000-4100 4500-19000 1800-4500 2400-5000 1700-5200

ND = Non Dosabile (Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)

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Tabella 1.7 - Composizione percentuale degli steroli degli oli e grassi differenti dall’oliva

Arachide Babassu Cocco Cotone Vinaccioli Mais Palma Oleina di Palma Palmisti Stearina di Palma

Colesterolo ND-3,8 1,2-1,7 ND-3,0 0,7-2,3 ND-0,5 0,2-0,6 2,6-6,7 2,6-6,7 0,6-3,7 2,5-5,0

Brassicasterolo ND-0,2 ND-0,3 ND-0,3 0,1-0,3 ND-0,2 ND-0,2 ND ND ND-0,8 ND

Campesterolo 12,0-19,8 17,7-18,7 6,0-11,2 6,4-14,5 7,5-14,0 16,0-24,1 18,7-27,5 12,5-39,0 8,4-12,7 15,0-26,0

Stigmasterolo 5,4-13,2 8,7-9,2 11,4-15,6 2,1-6,8 7,5-12,0 4,3-8,0 8,5-13,9 7,0-18,9 12,0-16,6 9,0-15,0

β-sitosterolo 47,4-69,0 48,2-53,9 32,6-50,7 76,0-87,1 64,0-70,0 54,8-66,6 50,2-62,1 45,0-71,0 62,6-73,1 50,0-60,0

Δ-5 avenasterolo 5,0-18,8 16,9-20,4 20,0-40,7 1,8-7,3 1,0-3,5 1,5-8,2 ND-2,8 ND-3,0 1,4-9,0 ND-3,0

Δ-7 stigmastenolo ND-5,1 ND ND-3,0 ND-1,4 0,5-3,5 0,2-4,2 0,2-2,4 ND-3,0 ND-2,1 ND-3,0

Δ-7 avenasterolo ND-5,5 0,4-1,0 ND-3,0 0,8-3,3 0,5-1,5 0,3-2,7 ND-5,1 ND-6,0 ND-1,4 ND-3,0

Altri ND-1,4 ND ND-3,6 ND-1,5 ND-5,1 ND-2,4 ND ND-10,4 ND-2,7 ND-5,0

Steroli Totali (mg/kg) 900-2000 500-800 400-1200 2700-6400 2000-7000 7000-22000 300-700 270-800 700-1400 250-500

Palma Colza basso Cartamo Cartamo alto Sesamo Soia Girasole Girasole alto Girasole medio Superoleina erucico oleico oleico oleico

Colesterolo 2,0-3,5 ND-1,3 ND-0,7 ND-0,5 0,1-0,5 0,2-1,4 ND-0,7 ND-0,5 0,1-0,2

Brassicasterolo ND 5,0- 13,0 ND-0,4 ND-2,2 0,1-0,2 ND-0,3 ND-0,2 ND-0,3 ND-0,1

Campesterolo 22,0-26,0 24,7-38,6 9,2-13,3 8,9-19,9 10,1-20,0 15,8-24,2 6,5-13,0 5,0-13,0 9,1-9,6

Stigmasterolo 18,2-20,0 0,2-1,0 4,5-9,6 2,9-8,9 3,4-12,0 14,9-19,1 6,0-13,0 4,5-13,0 9,0-9,3

β-sitosterolo 55,0-70,0 45,1-57,9 40,2-50,6 40,1-66,9 57,7-61,9 47,0-60,0 50,0-70,0 42,0-70,0 56,0-58,0

Δ-5 avenasterolo 0-1,0 2,5-6,6 9,8-4,8 0,2-8,9 6,2-7,8 1,5-3,7 ND-6,9 1,5-6,9 4,8-5,3

Δ-7 stigmastenolo 0,-0,3 ND-1,3 13,7-24,6 3,4-16,4 0,5-7,6 1,4-5,2 6,5-24,0 6,5-24,0 7,7-7,9

Δ-7 avenasterolo 0-0,3 ND-0,8 2,2-6,3 ND-8,3 1,2-5,6 1,0-4,6 3,0-7,5 ND-9,0 4,3-4,4

Altri 0-0,2 ND-4,2 0,5-6,4 4,4-11,9 0,7-9,2 ND-1,8 ND-5,3 3,5-9,5 5,4-5,8

Steroli Totali (mg/kg) 300-600 4500-11300 2100-4600 2000-4100 4500-19000 1800-4500 2400-5000 1700-5200

ND = Non Dosabile (Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)

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Tabella 1.8 - Composizione dei tocoferoli e dei tocotrienoli degli oli e grassi differenti dall’oliva

Arachide Babassu Cocco Cotone Vinaccioli Mais Palma Palmisti Oleina Stearina di Palma di Palma

α-tocoferolo 49-373 ND ND-17 136-674 16-38 23-573 4-193 ND-44 30-280 ND-100

β-tocoferolo Nd-41 ND ND-11 ND-29 ND-89 ND-356 ND-234 ND-248 ND-250 ND-50

γ-tocoferolo 88-389 ND ND-14 138-746 ND-73 268-2468 ND-526 ND-257 ND-100 ND-50

δ-tocoferolo ND-22 ND ND ND-21 ND-4 23-75 ND-123 ND ND-100 ND-50

α-tocotrienolo ND 25-46 ND-44 ND 18-107 ND-239 4-336 ND 50-500 20-150

γ-tocotrienolo ND 32-80 ND-1 ND 115-205 ND-450 14-710 ND-60 20-700 10-500

δ-tocotrienolo ND 9-10 ND ND ND-3,2 ND-20 ND-377 ND 40-120 5-150

Totali 170-1300 60-130 ND-50 380-1200 240-410 330-3720 150-1500 ND-260 300-1800 100-700

Palma Colza Cartamo Cartamo Sesamo Soia Girasole Girasole Girasole superoleina Basso erucico alto oleico alto oleico medio oleico

α-tocoferolo 130-240 100-386 234-660 234-660 ND-3,3 9-352 403-935 400-1090 488-668

β-tocoferolo ND-40 ND-140 ND-17 ND-13 ND ND-36 ND-45 10-35 19-52

γ-tocoferolo ND-40 189-753 ND-12 ND-44 521-983 89-2307 ND-34 3-30 2-19

δ-tocoferolo ND-30 ND-22 ND ND-6 4-21 154-932 ND-7 ND-17 ND-2

α-tocotrienolo 170-300 ND ND ND ND ND-69 ND ND ND

γ-tocotrienolo 230-420 ND ND-12 ND-10 ND-20 ND-103 ND ND ND

δ-tocotrienolo 60-120 ND ND ND ND ND ND ND ND

Totali 400-1400 430-2680 240-670 250-700 330-1010 600-3370 440-1520 450-1120 509-741

ND = Non Dosabile

(Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)

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Tabella 1.8 - Composizione dei tocoferoli e dei tocotrienoli degli oli e grassi differenti dall’oliva

Arachide Babassu Cocco Cotone Vinaccioli Mais Palma Palmisti Oleina Stearina di Palma di Palma

α-tocoferolo 49-373 ND ND-17 136-674 16-38 23-573 4-193 ND-44 30-280 ND-100

β-tocoferolo Nd-41 ND ND-11 ND-29 ND-89 ND-356 ND-234 ND-248 ND-250 ND-50

γ-tocoferolo 88-389 ND ND-14 138-746 ND-73 268-2468 ND-526 ND-257 ND-100 ND-50

δ-tocoferolo ND-22 ND ND ND-21 ND-4 23-75 ND-123 ND ND-100 ND-50

α-tocotrienolo ND 25-46 ND-44 ND 18-107 ND-239 4-336 ND 50-500 20-150

γ-tocotrienolo ND 32-80 ND-1 ND 115-205 ND-450 14-710 ND-60 20-700 10-500

δ-tocotrienolo ND 9-10 ND ND ND-3,2 ND-20 ND-377 ND 40-120 5-150

Totali 170-1300 60-130 ND-50 380-1200 240-410 330-3720 150-1500 ND-260 300-1800 100-700

Palma Colza Cartamo Cartamo Sesamo Soia Girasole Girasole Girasole superoleina Basso erucico alto oleico alto oleico medio oleico

α-tocoferolo 130-240 100-386 234-660 234-660 ND-3,3 9-352 403-935 400-1090 488-668

β-tocoferolo ND-40 ND-140 ND-17 ND-13 ND ND-36 ND-45 10-35 19-52

γ-tocoferolo ND-40 189-753 ND-12 ND-44 521-983 89-2307 ND-34 3-30 2-19

δ-tocoferolo ND-30 ND-22 ND ND-6 4-21 154-932 ND-7 ND-17 ND-2

α-tocotrienolo 170-300 ND ND ND ND ND-69 ND ND ND

γ-tocotrienolo 230-420 ND ND-12 ND-10 ND-20 ND-103 ND ND ND

δ-tocotrienolo 60-120 ND ND ND ND ND ND ND ND

Totali 400-1400 430-2680 240-670 250-700 330-1010 600-3370 440-1520 450-1120 509-741

ND = Non Dosabile

(Fonte Codex Alimentarius, London meeting, 2003, February)

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Oli ottenuti dalle olive e loro caratteristiche

Nel caso degli oli ottenuti dalla lavorazione delle olive, la valutazione dei parametri di purezza (genuinità) e di qualità ha portato inizialmente alla definizione di ben 9 categorie di prodotto, secondo quanto previsto dal Regolamento CEE 166/66 e ribadito nel 1991 dal Regolamento CEE 2568/91. Le 9 categorie sono elencate nella Tabella 1.9.

Tabella 1.9 - Categorie degli oli ottenuti dalla lavorazione delle olive

1

Oli di oliva vergini, estratti con mezzi meccanici

Olio extra vergine di oliva Direttamente commestibile

2 Olio di oliva vergine Direttamente commestibile

3Olio di oliva vergine corrente

Olio di oliva commestibile, non commercializzabile al dettaglio (ABOLITO DALL’ 1/11/2003)

4 Olio di oliva lampante Destinato alla raffinazione

5

Oli raffinati, ottenuti da oli vergini

Olio di oliva raffinato Non commercializzabile al dettaglio

6Olio di oliva Miscela di olio raffinato ed

olio vergine (o extra vergine) diverso dal lampante

7

Oli estratti con solventi dalle sanse di oliva

Olio di sansa di oliva grezzo

Olio estratto con solvente, tal quale, non direttamente commestibile

8Olio di sansa di oliva raffinato

Olio derivante dal sansa grezzo, sottoposto a raffinazione

9Olio di sansa d’oliva Miscela di olio di sansa raffinato

e di olio vergine diverso dal lampante

In seguito (Reg. CEE 1513/2001) è stata eliminata la categoria “vergine corrente” e quindi oggi le categorie sono 8.“Cuore” del Reg. 2568 è una tabella chiamata “Allegato I” che riporta una nutrita serie di caratteristiche ed i limiti per ciascuna di esse. A livello di Unione Europea, i limiti e relativi metodi per verificarli sono stabiliti mediante l’emanazione di Regolamenti e di Direttive: la

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fondamentale differenza è che un Regolamento vale come legge in ogni Paese membro dell’Unione, mentre una Direttiva per essere operativa deve essere recepita dalla legislazione del Paese membro. In linea di massima per quanto riguarda l’olio di oliva, si tratta di Regolamenti.Nella storia della legislazione in materia di oli ottenuti dalla lavorazione delle olive, in particolare per quanto riguarda le caratteristiche compositive ed i relativi metodi di analisi utilizzati per verificarle, c’è una data di partenza, a livello comunitario, ovvero il 30 settembre 1966, quando sulla Gazzetta Ufficiale venne pubblicato il primo regolamento relativo all’attuazione di un’organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi, denominato 136/66. Vale la pena ricordare come all’epoca si parlasse di “Europa a 6”, della quale non facevano parte né Grecia né Spagna e si può dunque dire che l’unico paese produttore di olio da olive fosse l’Italia.Nel 136/66, rimasto come regolamento base sino al 1998 per tutto ciò che riguarda le sostanze grasse e dunque anche per gli oli ottenuti dalla lavorazione delle olive, gli oli erano definiti in base all’acidità libera ed alle caratteristiche organolettiche, definite “assolutamente irreprensibili” per un olio extra vergine e via via meno “irreprensibili”, sino a parlare apertamente di difetti per gli altri oli.Una seconda data storica per il controllo di qualità degli oli ottenuti dalla lavorazione delle olive è il 5 settembre 1991, quando la Comunità emanava un regolamento (2568/91) relativo alle caratteristiche degli oli ottenuti dalla lavorazione delle olive ed ai metodi di analisi utilizzabili per verificarle. Anche se in seguito una serie di altri regolamenti è intervenuta con differenti modifiche, il documento base rimane questo.Tutto ciò vale, naturalmente, all’interno del territorio dell’Unione Europea, ma l’olivo è sempre stata una pianta mediterranea ed altri Paesi che si affacciano sul mare Mediterraneo sono produttori di olio di oliva ed esportatori verso i Paesi UE. Inoltre, poiché vi sono altri Paesi quali Stati Uniti d’America, Canada, Australia che sono importatori, esiste l’esigenza di avere regole comuni anche su questo scenario più ampio. Queste regole sono stabilite dal Consiglio Oleicolo Internazionale (COI) che ha sede a Madrid e cui aderiscono moltissimi Paesi, sia produttori/esportatori che importatori. Il COI che è una emanazione dell’ONU stabilisce una Norma Commerciale, per molti versi simile al Regolamento CEE, che ha valore nei rapporti con in Paesi non UE.La Norma Commerciale del COI viene rivista ed emendata se necessario almeno una volta all’anno, in occasione delle Sessioni Plenarie.

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Se i parametri sono per lo più i medesimi, non così è per alcuni limiti che sono differenti tra CEE e COI, cioè non sono, come si dice, “armonizzati”. Ciò è in ampia misura legato al fatto che, abbracciando il COI un bacino di produzione più vasto della UE (che essenzialmente è limitato a Portogallo, Spagna, Italia e Grecia), deve tenere in considerazione composizioni del prodotto che risentono della presenza di condizioni climatiche e di varietà di olivo alquanto differenti da quelle della parte settentrionale del bacino Mediterraneo. Infine, come per tutti i prodotti alimentari, esiste un organismo a livello mondiale, emanazione della FAO/OMS, denominato “Codex Alimentarius”, che per quanto riguarda le sostanze grasse e non solo l’olio di oliva, si riunisce ogni tre anni a Londra. Al Codex Alimentarius aderiscono più di 200 Paesi.Le norme del Codex Alimentarius nel 2003 dovrebbero diventare norme di riferimento nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organisation, WTO).Nella Tabella 1.10 sono riportati i parametri previsti per l’olio extra vergine di oliva da CEE, COI e Codex e vengono evidenziati i parametri non armonizzati.

Tabella 1.10 - Parametri di composizione dell’olio extravergine di oliva stabiliti da tre differenti fonti normative.

CEE 2568/91 CEE 1513/2001 COI CODEX

Acidità (% acido oleico) ≤ 1,0 ≤ 0,8 ≤ 1,0 ≤ 1,0

Numero di Perossidi (meq O2/kg olio) ≤ 20 ≤ 20 ≤ 20 ≤ 20

K270 ≤ 0,20 ≤ 0,20 ≤ 0,25 ≤ 0,25

ΔK ≤ 0,01 ≤ 0,01 ≤ 0,01 ≤ 0,01

C14:0 (%) ≤ 0,05 ≤ 0,05 ≤ 0,05 0,0 - 0,1

C16:0 (%) - - 7,5 - 20,0 7,5 – 20,0

C16:1 (%) - - 0,3 - 3,5 0,3 - 3,5

C17:0 (%) - - ≤ 0,3 ≤ 0,5

C17:1 (%) - - ≤ 0,3 ≤ 0,6

C18:0 (%) - - 0,5 - 5,0 0,5 - 5,0

C18:1 (%) - - 55,0 - 83,0 55,0 – 83,0

C18:2 (%) - - 3,5 - 21,0 3,5 – 21,0

C18:3 (%) ≤ 0,9 ≤ 0,9 ≤ 0,9 ≤ 1,5

C20:0 (%) ≤ 0,6 ≤ 0,6 ≤ 0,6 ≤ 0,8

C20:1 (%) ≤ 0,4 ≤ 0,4 ≤ 0,4 -

C22:0 (%) ≤ 0,2 ≤ 0,2 ≤ 0,2 ≤ 0,2

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CEE 2568/91 CEE 1513/2001 COI CODEX

C24:0 (%) - - ≤ 0,2 ≤ 1,0

Colesterolo (%) ≤ 0,5 ≤ 0,5 ≤ 0,5 ≤ 0,5

Brassicasterolo (%) ≤ 0,1 ≤ 0,1 ≤ 0,1 ≤ 0,1

Campesterolo (%) ≤ 4,0 ≤ 4,0 ≤ 4,0 ≤ 4,0

Stigmasterolo (%) < CAMPE < CAMPE < CAMPE < CAMPE

Δ - 7 –stigmastenolo (%) ≤ 0,5 ≤ 0,5 ≤ 0,5

Betasitosterolo + Δ-5-avenaster + Δ 5,23-stigmastadienolo + clerosterolo + sitostanolo + Δ5,24-stigmastadienolo (%) ≥93,0 ≥93,0 ≥ 93,0 ≥ 93,0

Steroli totali (ppm) ≥ 1000 ≥ 1000 ≥ 1000 ≥ 1000

Cere (ppm) ≤ 250 ≤ 250 ≤ 350 ≤ 300

Acidi grassi saturi in posizione 2 del trigliceride (%) ≤ 1,3 ≤ 1,3 ≤ 1,5 ≤ 1,5

Eritrodiolo + uvaolo (%) ≤ 4,5 ≤ 4,5 ≤ 4,5 ≤ 4,5

ECN 42 (HPLC - teorico) ≤ 0.2- ≤ 0.2- ≤ 0,2 ≤ 0,4

Stigmastadieni (ppm) ≤ 0,15 ≤ 0,15 ≤ 0,10

R1 - - > 15

C18:1 T(%) ≤ 0,05 ≤ 0,05 ≤ 0,05

C18:2 + C18:3 T(%) ≤ 0,05 ≤ 0,05 ≤ 0,05

Acqua + sostanze volatili (% m/m) - - ≤ 0,2 ≤ 0,2

Punto di Fiamma - - - ≥ 120°C

Ferro (ppm) - - ≤ 3,0 ≤ 5,0

Rame (ppm) - - ≤ 0,1 ≤ 0,4

Piombo (ppm) - - - ≤ 0,1

Arsenico (ppm) - - - ≤ 0,1

Solventi alogenati (ppm) (ognuno) ≤ 0,10 ≤ 0,10 ≤ 0,1 ≤ 0,1

Solventi alogenati (ppm) (somma) ≤ 0,20 ≤ 0,20 ≤ 0,2 ≤ 0,2

Numero di saponificazione - - - 184 - 196

Numero di iodio - - - 75 - 94

Insaponificabile (g/kg) - - - 15

Indice di Bellier - - - ≤ 17

Alcoli alifatici (ppm) - - - ≤ 300

nD 20°C - - - 1,4677 - 1,4705

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Grassi di origine animale

I grassi di origine animale che interessano il settore dei prodotti da forno sono essenzialmente due: il burro e lo strutto.

Il Burro

Il burro è costituito dalla materia grassa del latte, ottenuta mediante un processo denominato di scrematura, ovvero di separazione della parte grassa detta “crema”, seguita da un processo chiamato “inversione delle fasi”, in cui dalla crema si giunge al burro vero e proprio.In pratica, partendo dal latte, si realizza una progressiva concentrazione della frazione grassa, con diminuzione proporzionale del non grasso (residuo magro) e del contenuto di acqua, come si evince dalla Figura 1.2.

Figura 1.2 - Evoluzione del contenuto di acqua, grasso e residuo magro da latte a burro

0 20 40 60 80 100

Burro

Crema

Crema

Crema

Latte scremato

Latte intero

Residuo MagroGrassoAcqua

La prima fase (la scrematura) avviene anche spontaneamente nel latte lasciato a sé in quanto il grasso, emulsionato nella matrice acquosa sotto forma di globuli, tende lentamente ad affiorare a causa della differenza di peso specifico. L’affioramento di per sé è un processo teoricamente molto lento. Tuttavia, poiché la velocità dipende dalle dimensioni dei globuli e queste aumentano a causa della coalescenza, ovvero del fenomeno che porta più globuli di dimensioni ridotte a riunirsi in globuli di maggior diametro, essa aumenta via via che il

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processo prosegue. L’affioramento spontaneo rimane comunque un processo abbastanza lento, durante il quale, peraltro, hanno luogo importanti modificazioni, note come “maturazione della crema”, tra le quali particolare importanza ha la fermentazione del citrato con sviluppo di diacetile, sostanza responsabile del classico aroma del burro.La necessità di lavorare ingenti quantitativi di latte ha portato a cercare mezzi per rendere più veloce la separazione della fase lipidica dal latte. Sempre tenendo in considerazione la differenza di peso specifico e di densità, si è quindi applicata la tecnologia della centrifugazione e quindi, oggi, si producono creme di centrifugazione. Poiché il processo è troppo veloce per consentire contemporaneamente la maturazione della crema, quest’ultima necessita poi di un periodo di maturazione.Le principali differenze tra una crema di centrifuga ed una di affioramenbto sono riportate nella Tabella 1.11.

Tabella 1.11 - Comparazione tra la composizione della crema di affioramento e di centrifuga

Affioramento Centrifuga

H2O 71 % 61 %Grasso 22 % 34 %Estratto Secco 7 % 5 %

La crema, tuttavia, non è ancora burro in quanto in essa la struttura fisica del grasso è ancora quella del latte, ovvero è ancora una emulsione di grasso in acqua, sia pure con un ridotto contenuto di acqua; essa quindi non è un prodotto di per sé stabile dal punto di vista microbiologico e a tal fine va sottoposta a trattamenti di risanamento e stabilizzazione.Il passaggio da crema a burro avviene durante la cosiddetta “inversione delle fasi” in cui l’emulsione grasso in acqua viene destabilizzata per azione meccanica in modo da realizzare la fuoriuscita del grasso dai globuli, con conseguente ulteriore separazione di acqua (il “latticello”). Si ottiene infine un’emulsione di acqua in grasso.Il burro risulta stabile in quanto presenta un ridotto tenore di acqua e l’acqua rimasta è microdispersa in particelle di dimensioni tali da non essere compatibili con lo sviluppo microbico. A norma di legge il burro deve contenere non meno dell’82% di materia grassa e non più del 16% di acqua. Il burro, seppur stabile nei confronti dello sviluppo microbico, va conservato in regime di refrigerazione

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per evitare lo sviluppo dei processi ossidativi. Infatti, se da un lato la sua composizione in acidi grassi risultando ricca di acidi grassi saturi rendendolo meno suscettibile di ossidazione rispetto agli oli vegetali, dall’altro lato esso è totalmente privo di sostanze ad azione antiossidante ed espone all’aria una superficie particolarmente estesa (si veda capitolo 1.1 e 1.4). Va ricordato che un difetto tipico del burro è il cosiddetto “difetto di luce”, dovuto a fenomeni di irrancidimento causati dall’esposizione alla luce.Le caratteristiche di genuinità e qualità del burro sono normate dal Reg. (CE) 213/2001 che prevede, tra l’altro, anche la realizzazione di un saggio organolettico. Le caratteristiche di base che vengono valutate sono: aspetto, consistenza e gusto, valutate su una scala da 0 a 5, con un valore minimo di 4 per garantire l’accettabilità del prodotto. Nella Tabella 1.12 sono riportati i difetti del burro previsti dal Reg. 213.Un prodotto particolare è il cosiddetto “burro concentrato” o “anidro”, che deriva dalla necessità della UE di realizzare lo smaltimento a prezzo ridotto del burro d’intervento. A tal fine, il burro conferito, prima di essere destinato al consumo, viene concentrato sino ad un tenore elevatissimo di grasso (99,8%) e contestualmente addizionato di “rivelatori” che permettono di verificarne la corretta utilizzazione finale ed assicurare la parità di trattamento di tutti gli operatori partecipanti. I rivelatori utilizzati sono steroli (stigmasterolo), vanillina, trigliceride dell’acido enantico o un estere dell’acido carotenico.Il burro concentrato riveste particolare interesse per il settore dei prodotti da forno in quanto esso, così come la corrispondente crema è esplicitamente destinato alla fabbricazione di prodotti di pasticceria e gelati, oltre che ad altri prodotti alimentari (Reg. CE 2571/97, GUCE L350 del 20.12.1997).

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Tabella 1.12 - Nomenclatura dei difetti del burro

Aspetto Consistenza Gusto

1. Acquoso, goccioline d’acqua evidenti

2. Colore non uniforme, due colori

3. Striata

4. Screziato, marezzato

5. Chiazzato

6. Separazione d’olio

7. Colore eccessivo

8. Poroso

9. Granuloso

10. Materiale estraneo

11. Muffa

12. Sale non disciolto

14. Corta, fragile, friabile

15. Pastosa, untuosa, molle

16. Appiccicosa

17. Dura

18. Molle

20. Mancanza d’aroma,insipido

21. Impuro (1)

22. Gusto estraneo

23. Stantio

24. Sapore di formaggio, di formaggio acido

25. Acido

26. Sapore di lievito

27. a) Sapore di cottob) Sapore di bruciato

28. Sapore di muffa

29. Rancido

30. Oleoso, di pesce

31. Sapore di sego

32. a) Sapore di ossidatob) Sapore metallico

33. Sapore di foraggio

34. Acre, amaro

35. Eccessivamente salato

36. Ammuffito, marcio

37. Sapore di malto

38. Sapore di prodotti chimici

Lo strutto

Lo strutto è ottenuto dal tessuto adiposo del maiale che viene separato dalle altre parti mediante colatura a caldo. Allo scopo, i tessuti adiposi, che contengono il grasso, vengono riscaldati in acqua, in genere sotto

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pressione, e successivamente raffreddati: in questo modo si ottiene la rottura delle cellule del tessuto adiposo e la fuoriuscita del grasso. La fase liquida che si ottiene è grasso e la fase solida è costituita da un residuo proteico. Le due fasi vengono separate per centrifugazione o per pressione. Con questo procedimento si ottiene il cosiddetto strutto Extra, che non richiede una successiva raffinazione, mentre la frazione sottoposta a raffinazione viene denominata strutto di I e II qualità.Lo strutto Extra si presenta come un grasso di colore bianco, la cui composizione in acidi grassi è caratterizzata da una elevata concentrazione di acido palmitico (24%) ed acido stearico (13 %), accanto alla caratteristica presenza di tracce di acidi grassi ramificati. Una peculiarità della composizione dello strutto è la presenza in posizione 2 del trigliceride di elevate concentrazioni di acido palmitico, contrariamente a quanto accade nel caso di oli e grassi vegetali. Nonostante l’elevata concentrazione di acidi grassi saturi, lo strutto è relativamente esposto ad ossidazione a causa della assenza di antiossidanti.

I grassi modificati

Le necessità tecnologiche unite talvolta alla non costante reperibilità sul mercato dei grassi, alle loro non costanti caratteristiche chimico-fisiche, nonchè a considerazioni di natura economica, hanno orientato la ricerca del settore agro alimentare verso la possibilità di modificare grassi esistenti in natura in modo da renderli più “adatti” alle esigenze della produzione di alimenti. Sono nati così i “grassi modificati” che sono ottenuti da sostanze grasse naturali intervenendo per via chimica o chimico-fisica in modo da modificare talune loro caratteristiche. Tra questi si annoverano le margarine.

Le margarine

La margarina fu “inventata“ nel 1866, quando il Direttorio francese bandì un concorso per la ricerca di una sostanza grassa alimentare, alternativa al burro, che potesse soddisfare le necessità di approvvigionamento dell’esercito. Tre anni dopo, Mège Mouries brevettò una emulsione di latte scremato e di grassi animali che denominò “margarina” e che presentava soddisfacenti proprietà sensoriali e di stabilità. La formulazione di Mege Mouries è schematizzata nella Figura 1.3. Nel 1871, il brevetto fu acquistato da tale Jurgens che lo rivendette all’olandese Van Den Bergh.

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Figura 1.3 - Procedimento Mege Mouries per la fabbricazione della margarina (1869)

Procedimento Mege Mouries

Grasso bovino

Lavaggio

Depurazione

Cristallizzazione

30 °C

Filtrazione

Pressatura

Emulsionamento

Fase solidaFase liquida

Prodotto finito

Latte magro

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E’ palese come la formulazione di Mege Mouries sia assolutamente distante dal concetto che abbiamo oggi di “margarina”. A norma della vigente legislazione, la margarina deve essere costituita da non meno del 80-85% di fase grassa e non più di 16% di acqua. Sono ammesse le formule vegetali monoseme oppure quelle ricche di polinsaturi, mentre la formula per pasticceria prevede, ad esempio, la presenza di sego, palma indurito, olio di semi indurito ed olio liquido. Vengono inoltre utilizzati nella formulazione delle margarine componenti secondari (per quantità, non certo per il ruolo svolto) quali lecitine, monogliceridi (emulsionanti), acido sorbico (antimicrobico), aromi e coloranti.La moderna fabbricazione delle margarine si è completamente allontanata dalla formulazione del 1869 e la modifica delle caratteristiche fisiche (reologiche) del prodotto è stata ottenuta con un intervento drastico sulla composizione chimica.Come ricordato nel capitolo 1.1, gli acidi grassi saturi risultano in genere concreti alla temperatura ambiente, è quindi pensabile che realizzando la “saturazione” dei doppi legami si possano ottenere grassi concreti partendo da oli fluidi.Il processo di fabbricazione realizza esattamente questo: la “saturazione” dei doppi legami si ottiene inserendo nella molecola degli acidi grassi ulteriori atomi di idrogeno. Il processo, noto come “idrogenazione”, richiede un’elevata dose di energia. Per ridurre l’energia necessaria, si impiegano dei “catalizzatori” che sono in grado di fissare momentaneamente le molecole degli acidi grassi insaturi in posizione tale da potere essere maggiormente suscettibili alla reazione con idrogeno gassoso. La presenza di idrogeno gassoso fa intuire come questa non sia assolutamente una “mild technology”, ma richieda condizioni drastiche: si lavora sottopressione, ad elevate temperature (150°C) ed in presenza di catalizzatori metallici.In caso di insufficiente pressione parziale dell’idrogeno (in passato dovuta a problemi di resistenza alla pressione dei reattori, oggi ad eventuale riduzione dell’efficienza del catalizzatore), la reazione di idrogenazione non si completava ed anzi regrediva, con conseguente nuova formazione del doppio legame, ma anche con conseguente sua isomerizzazione da configurazione cis (normalmente presente in natura) a configurazione trans (assolutamente rara in natura).Le margarine commercializzate sino alla fine degli anni ’70 presentavano contenuti di isomeri trans non trascurabili. Si pensi che all’epoca la Food and Drug Administration ammetteva per le margarine, cosiddette industriali, un limite di isomeri trans “non superiore al 50% degli acidi grassi insaturi”!

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In seguito a ricerche di carattere tossicologico e di fisiologia della nutrizione si dimostrò la non idoneità di massicce introduzioni di isomeri trans con la dieta (si veda capitolo 3.1). Nel frattempo, la tecnologia di produzione dei catalizzatori ed il livello di sicurezza degli impianti erano migliorati e si riuscì a ridurre sensibilmente il contenuto di isomeri trans.L’idrogenazione rimaneva comunque un approccio pesante e peraltro difficilmente controllabile, rendendo non agevole la produzione di grassi con un intervallo di punti di fusione e quindi di contenuto di grasso solido adeguato alle esigenze di una industria alimentare in continua evoluzione.Venne allora introdotta l’interesterificazione, tecnologia che invece di modificare la struttura chimica degli acidi grassi provvede a ridistribuirli nei trigliceridi, eventualmente utilizzando più di una fonte lipidica, ad esempio utilizzando olio di soia (altamente fluido a temperatura ambiente) e grasso di palma (completamente concreto a temperatura ambiente): la ridistribuzione degli acidi grassi delle due sostanze grasse nei rispettivi trigliceridi porta ad una sostanza grassa ”nuova”, il cui livello di “concretezza” dipenderà dalla percentuale relativa di acidi grassi saturi, quindi concreti, nei trigliceridi.Con questa tecnologia, è stato possibile ottenere a temperatura moderata ed in presenza di catalizzatori metallici “semplici” miscele di trigliceridi con un intervallo di percentuale di grasso solido molto ampio, tale da potere facilmente essere frazionato per cristallizzazione e fornire frazioni utili alle differenti esigenze della moderna industria alimentare (si pensi ai numerosi prodotti spalmabili o in tubetti). Un altro approccio realizza la sintesi dei trigliceridi utilizzando enzimi (lipasi) di origine fungina immobilizzati su membrane.

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1.3 Controlli analitici

Sin qui, si sono citati molti parametri di composizione, riferibili alla valutazione della purezza e della qualità degli oli e dei grassi, vediamo ora di comprenderne il significato. Nella Tabella 1.13 sono elencati i parametri previsti dalla CEE e per ognuno di essi è riassunto il significato.Innanzitutto, per produrre un olio di oliva, che sia extra vergine e di buona, anzi ottima qualità, si deve partire da una materia prima di eccellente qualità. La qualità delle olive può essere influenzata da molti fattori quali ad esempio il clima, la piovosità, la siccità e gli attacchi di parassiti, ma oltre a ciò, purtroppo anche l’uomo può in ampia misura concorrere ad abbassarne la qualità, con pratiche non corrette.La degradazione della struttura del frutto, ad esempio, può fare sì che

Gas-cromatografo dotato di campionatore automatico

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gli enzimi in esso presenti, a causa della rottura delle cellule e delle membrane cellulari, vengano a contatto con l’olio. Ciò non avviene nel frutto integro poichè l’olio è contenuto nei “vacuoli”, piccoli serbatoi isolati dalle regioni della cellula che contengono gli enzimi. Tra gli enzimi presenti, vi è una categoria in grado di scindere la molecola del trigliceride nei suoi componenti: si tratta delle lipasi, che producono acidi grassi liberi. Le lipasi possono essere anche prodotte dalle larve di un insetto che deposita le sue uova all’interno della drupa dell’olivo (la mosca dell’olivo). Di qualsiasi origine siano, esse portano ad un olio con un elevato contenuto di acidi grassi liberi che non influenzano le caratteristiche organolettiche dell’olio perché, come si è già detto, questi acidi a lunga catena di atomi di carbonio non sono in grado di “attivare” i nostri recettori per il gusto acido, tuttavia testimoniano una cattiva qualità delle olive di partenza. Inoltre, altri enzimi, “ossidasi”, in grado di ossidare gli acidi grassi sono particolarmente attivi nei confronti degli acidi grassi liberi.Un olio di elevata acidità, quindi può derivare da olive che hanno subito un forte attacco di mosca, così come da olive che si sono degradate, per esempio in seguito ad un prolungato stoccaggio prima della molitura. Inoltre, se lo stoccaggio è effettuato in condizioni critiche, come ad esempio cumuli di frutti di spessore elevato, si possono instaurare fenomeni fermentativi in grado di conferire all’olio sapori ed odori sgradevoli, noti come “riscaldo” ed “avvinato”. Stoccaggio a parte, anche le olive raccolte da terra, invece che staccate dall’albero, possono facilmente presentare livelli di degradazione tali da innalzare l’acidità dell’olio estratto.Un olio troppo acido rientra nella categoria degli oli “lampanti” che cioè non sono adatti al consumo diretto ma devono essere raffinati. Il limite previsto dalla normativa per l’acidità di un olio extra vergine è stato mantenuto per molti anni pari a 1.0 % e recentemente è stato abbassato a 0.8 % con l’intento di migliorare la qualità degli oli offerti al consumatore. Oli di ottima qualità hanno in genere valori di acidità inferiori o eguali a 0.5 - 0.6 %.Le considerazioni fatte qui sono particolarmente dedicate agli oli ottenuti dalle olive, ma per quanto riguarda le caratteristiche di qualità, esse sono trasferibili anche alle altre sostanze grasse.Un altro parametro di qualità molto importante è il cosiddetto “numero di perossidi” che è in relazione allo stato d’ossidazione degli oli. In realtà, è un parametro che ne dà una valutazione assolutamente parziale, prendendo in considerazione solo i primi prodotti che si formano durante la ossidazione. Tuttavia è per ora l’unico parametro standardizzato, in quanto a seconda delle condizioni nelle quali la

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reazione ha luogo, si possono formare prodotti di ossidazione differenti. Il numero di perossidi esprime quindi un giudizio sullo stato di conservazione dell’olio e non tanto della materia prima: un olio vecchio o conservato male manifesta un valore elevato di numero di perossidi, il cui limite è stato fissato pari a 20 milliequivalenti di ossigeno attivo per kg di olio (meqO2/kg). E’ a dire il vero un limite piuttosto elevato e sicuramente gli oli di ottima qualità si posizionano ben al di sotto di questo valore. Un olio appena franto da olive integre ha valori di numero di perossidi usualmente inferiori a 10 meqO2/kg.I valori di assorbimento della luce ultravioletta, come si è detto, sono in relazione alla presenza di doppi legami coniugati. Questi si formano in genere nella fase di raffinazione in cui si eliminano i colori indesiderati. Tuttavia, anche nella fase di irrancidimento si formano composti che contengono doppi legami coniugati, in questo caso, i parametri di estinzione specifica a 232 nm e 270 nm (K232 e K270) possono essere posti in relazione alla freschezza dell’olio. Questo è un esempio di parametro non armonizzato tra UE e COI: nel caso di K270, il limite è stato armonizzato tra UE e COI ed è pari a 0,22, mentre per quanto riguarda K232, il COI non lo prevede e quindi non fissa alcun limite. Un valore elevato dell’assorbimento nell’ ultravioletto serve a mettere in evidenza una eventuale commistione di olio vergine con olio raffinato, in questo senso è quindi un parametro di purezza (genuinità). Tuttavia esso potrebbe anche dipendere dalla presenza di prodotti di ossidazione: in questo caso costituisce un parametro di qualità. Analiticamente, è possibile discriminare tra i differenti motivi che hanno portato questo valore al di fuori dei limiti previsti dalla legge.La composizione degli acidi grassi viene determinata con una tecnica analitica denominata gas cromatografia: in poche parole, essa consiste nel liberare gli acidi grassi dai trigliceridi a cui sono legati, trasformarli in modo da renderli volatili nelle condizioni adottate per l’analisi ed iniettarli nel gas cromatografo. Qui essi vengono portati in fase vapore e come tali transitano attraverso una colonna che contiene una particolare sostanza (un polimero) che è in grado di interagire in maniera differente con i differenti acidi grassi: gli acidi grassi che interagiscono poco o niente con questa sostanza attraverseranno la colonna più velocemente di quelli che invece interagiscono con essa e quindi il risultato sarà che i differenti acidi grassi verranno separati gli uni dagli altri, rendendone possibile il relativo dosaggio.Dosarli è importante in quanto il contenuto relativo (percentuale) degli acidi grassi è “codificato” dalla biochimica del vegetale da cui l’olio è stato estratto e la biochimica delle singole piante dipende

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dalla loro appartenenza a questa o a quella famiglia botanica. In altre parole, gli acidi grassi consentono di risalire all’origine botanica dell’olio e, dunque, discriminando tra un olio di oliva ed uno di semi, costituiscono un parametro di purezza (genuinità). Nella Figura 1.4 è riprodotto il tracciato che si ottiene mediante gas cromatografia dalla analisi degli acidi grassi di un olio di oliva vergine: le dimensioni dei picchi sono proporzionali alla concentrazione dei relativi acidi grassi.I limiti posti dalla Unione Europea riguardano quegli acidi grassi che si conservano “traccianti” della presenza di determinati oli. Negli oli di semi, l’acido linolenico (C18:3) rappresenta circa l’ 8 % del totale degli acidi grassi, mentre negli oli di oliva non è mai superiore allo 0,9 %, anche se negli ultimi anni, la comparsa sul mercato di oli di origine marocchina ha posto il problema della esistenza di oli di sicura origine con un contenuto di acido linolenico intorno all’ 1%.Elevate quantità di acido eicosenoico (C20:1) e di acido beenico (C22:0) sono anch’esse traccia della presenza di altri oli, quali soia e colza, mentre se sono accompagnati da rilevanti quantità di acido lignocerico (C24:0) allora attestano la presenza di olio di arachide.La legislazione della Unione Europea non prevede limiti per il contenuto di acido oleico in considerazione della variabilità di questo dato. Infatti, pur essendo l’acido grasso predominantedella composizione in acidi grassi degli oli ottenuti dalle olive, esso può oscillare da poco meno del 60 % a più del 70 % del totale degli acidi grassi, dipendendo, tra l’altro, dalle condizioni ambientali nelle quali è stato coltivato l’olivo. E’ noto che in genere oli di regioni caratterizzate da un clima particolarmente caldo, come ad esempio il Nord Africa, presentino livelli inferiori di acido oleico e superiori di acido linoleico rispetto a quelli di regioni a clima più freddo.

Tabella 1.13 - Significato di alcuni parametri compositivi previsti dal Reg. CEE 2568/91 e successive modificazioni

Parametro Analitico Limite CEE Significato

Acidità (% acido oleico) ≤ 0,8 Dipende dall’idrolisi dei trigliceridi: è principalmente funzione dello stato di conservazione della materia prima

Numero di Perossidi (meq O2/kg olio)

≤20 E’ un indice correlato allo stato di ossidazione dell’olio, dipende da cattiva conservazione dello stesso

K232 ≤ 2.40 Rappresenta l’assorbimento dei dieni coniugati, che possono essere presenti per raffinazione o in seguito ad ossidazione dell’olio

(continua)

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Tabella 1.13 - Significato di alcuni parametri compositivi previsti dal Reg. CEE 2568/91 e successive modificazioni (segue)

Parametro Analitico Limite CEE Significato

K270 ≤ 0,22 Rappresenta l’assorbimento dei trieni coniugati, che possono essere presenti per raffinazione o in seguito ad ossidazione dell’olio

ΔK ≤ 0,01 Rappresenta l’entità della assorbanza a 270 nm rispetto alla curva di assorbanza nell’ UV, un valore elevato indica presenza di oli raffinati

C14:0 (%) ≤ 0,05 Un valore elevato indica la presenza di oli di semi

C18:3 (%) ≤ 1,0 Un valore elevato indica la presenza di oli di semi, in particolare soia o colza

C20:0 (%) ≤ 0,6 Un valore elevato indica la presenza di oli di semi, in particolare soia, colza o arachide

C20:1 (%) ≤ 0,4 Un valore elevato indica la presenza di oli di semi, in particolare soia o colza

C22:0 (%) ≤ 0,2 Un valore elevato indica la presenza di oli di semi, in particolare colza o arachide

C24:0 (%) ≤ 0,2- Un valore elevato indica la presenza di oli di semi, in particolare arachide

Colesterolo (%) ≤ 0,5 Un valore elevato indica miscelazione con grassi estranei (anche vegetali, es frazionato di palma)

Brassicasterolo (%) ≤ 0,1 Un valore elevato indica la presenza di oli di semi, in particolare soia o colza

Campesterolo (%) ≤ 4,0 Un valore elevato indica la presenza di oli di semi

Stigmasterolo (%) < CAMPE Negli oli di semi, campesterolo e stigmasterolo sono spesso equivalenti

Δ - 7 –stigmastenolo (%) ≤ 0,5 Un valore elevato indica la presenza di olio di girasole o di cartamo, anche ad alto oleico

Betasitosterolo + Δ-5avenasterolo.+ Δ 5,23stigmastadienolo+ clerosterolo + sitostanolo + Δ5,24stigmastadienolo (%)

≥ 93,0 Un valore basso può indicare la miscelazione con oli di semi

Steroli totali (ppm) ≥ 1000 Un valore basso può essere indice di commistione con oli di semi “desterolati”

Eritrodiolo + uvaolo (%) ≤ 4,5 Un valore elevato può essere indice di commistione con oli estratti con solvente (sansa)

Cere (ppm) ≤ 250 Un valore elevato può essere indice di commistione con oli estratti con solvente (sansa)

(continua)

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Tabella 1.13 - Significato di alcuni parametri compositivi previsti dal Reg. CEE 2568/91 e successive modificazioni (segue)

Parametro Analitico Limite CEE Significato

Acidi grassi saturi in posizione 2 del trigliceride(%)

≤ 1,3 Un valore elevato può indicare la presenza di oli esterificati, nei quali i trigliceridi siano ottenuti per sintesi chimica tra glicerina ed acidi grassi

ECN 42 (HPLC - teorico) ≤ 0.2- Un valore elevato indica la presenza di oli differenti dall’oliva, anche ad elevato contenuto di acido oleico

Stigmastadieni (ppm) ≤ 0,15 Derivano da modificazioni degli steroli: un valore elevato indica la presenza di oli raffinati, eventualmente desterolati

C18:1 T(%) ≤ 0,05 I trans isomeri si formano in raffinazione: un valore elevato indica la presenza di oli raffinati, ev. desterolati

C18:2 + C18:3 T(%) ≤ 0,05 I trans isomeri si formano in raffinazione: un valore elevato indica la presenza di oli raffinati, ev. desterolati

Figura 1.4 - Analisi gas cromatografica con colonna capillare (SP 2340, 30 m) degli acidi grassi (come esteri metilici) di un olio di oliva vergine. Identificazione dei picchi: 1 = ac. Palmitico (C16:0), 2 = Ac. Palmitoleico (C16:1), 3 = ac. Stearico (C18:0); 4 = Ac. Oleico (C18:1); 5 = ac. Linoleico (C18:2); 6 = Ac. Eicosanoico (C20:0); 7 = ac Linolenico (C18:3); 8 = Ac. Eicosenoico (C20:1), 9 = ac. Beenico (C22:0)

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Gli acidi grassi che contengono nella loro molecola uno o più doppi legami, se sottoposti a processi tecnologici che prevedono trattamenti in ambiente acido, come avviene nel corso della raffinazione degli oli, possono sottostare a modificazioni note come isomerizzazioni cis-trans. L’analisi gas cromatografica degli acidi grassi mette in evidenza la presenza di questi isomeri trans; il limite stabilito è pari allo 0.05% del totale degli acidi grassi. In realtà in un olio non sottoposto a raffinazione non c’è alcun motivo che giustifichi la presenza di isomeri trans, tuttavia non si è posto un limite pari a zero in quanto, da un punto di vista analitico, si deve sempre tenere conto dell’errore analitico.Il limite di legge di 0.5 % previsto per il colesterolo ha la funzione di porre in evidenza la presenza di oli vegetali che contengano, accanto ai fitosteroli, tracce di una certa importanza di colesterolo, nella fattispecie olio di palma o sue frazioni. Sfruttando le differenti temperature di cristallizzazione, infatti, si riescono ad ottenere frazioni di olio di palma ricche in acido oleico e quindi simili per composizione agli acidi grassi all’olio di oliva anche se sono caratterizzate dalla presenza di colesterolo.Il campesterolo è in genere contenuto in quantità elevate negli oli di semi: l’olio di colza ne contiene intorno al 30 %. Quindi un’aggiunta di questo all’olio di oliva anche in ragione del 10% potrebbe facilmente essere posta in evidenza. Negli oli di girasole, anche in quelli ottenuti da ibridi ad elevato contenuto di acido oleico, il campesterolo rappresenta intorno al 10% del totale degli steroli, così come nell’olio di soia.Negli oli ottenuti dalle olive, il campesterolo è sempre inferiore al valore di 4.0%, almeno per oli ottenuti da olive sane e raccolte a giusta maturazione staccandole dall’albero: esistono oli con un contenuto di campesterolo superiore al 4%, ma si tratta di oli estratti da olive surmature o raccattate da terra anziché staccate dall’albero. In queste condizioni, la fisiologia del frutto cambia, entrando in quella fase denominata “post raccolta” in cui i normali processi biochimici si modificano, avvenendo in realtà in una materia vivente che sta morendo.Lo sterolo predominante negli oli ottenuti dalle olive è il β-sitosterolo per il quale la UE ha stabilito il limite come superiore o eguale al 93.0 % del totale degli steroli. Quando fu stabilito questo limite, tuttavia, le tecniche analitiche disponibili non consentivano la completa separazione di questo sterolo da alcuni altri. Per questo motivo, oggi il limite del 93% è mantenuto, ma viene applicato alla somma di 6 steroli tra i quali compare anche il β-sitosterolo. Valori inferiori al limite

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vengono attribuiti a miscelazione con oli di semi, che contengono quantità relative di β-sitosterolo inferiori al 93%, anche se per questo sterolo valgono le considerazioni fatte sullo scostamento dal limite per il campesterolo.Dal residuo solido dell’estrazione dell’olio dalle olive viene estratto l’olio residuo mediante solventi: in questo caso l’olio viene denominato olio di sansa grezzo. Esso viene sottoposto a raffinazione e, miscelato ad un olio vergine, viene commercializzato sotto la denominazione di “olio di sansa di oliva”. L’olio estratto dalle sanse è caratterizzato dalla presenza di componenti detti eritrodiolo ed uvaolo della cui origine si è già detto. La somma di eritrodiolo e di uvaolo rispetto agli steroli negli oli ottenuti dalle olive con mezzi meccanici (ovvero gli oli vergini e gli oli di oliva) non è mai superiore al valore di 4.5%, mentre negli oli ottenuti dalle sanse arriva al 30%; piccole quantità sono presenti nell’olio di vinaccioli, in cui derivano sempre dalle bucce della bacca dell’uva.Analogamente, il contenuto di cere è in rapporto alla presenza di oli estratti dalle sanse di oliva: in questi oli il contenuto di cere raggiunge livelli più di 10 volte superiore a quello dei normali oli vergini. Le cere sono quindi importanti dal punto di vista della definizione della purezza, non della qualità del prodotto: un contenuto di cere entro i limiti di legge attesta comunque che il prodotto appartiene, sulla base di questo parametro, alla categoria degli oli vergini. Tuttavia, un contenuto più o meno elevato, purchè entro i limiti, non fornisce al consumatore nessun parametro utile per scegliere o meno un olio in base alla qualità.La disponibilità sul mercato di oli con composizione degli acidi grassi praticamente identica a quella degli oli ottenuti dalle olive e privati degli steroli ha indirizzato le analisi per la valutazione della genuinità (purezza) verso la determinazione della composizione dei trigliceridi. In questo caso in realtà si calcola quale sarebbe il contenuto teorico di una particolare categoria di trigliceridi, globalmente indicati con il termine di ECN 42 partendo dalla composizione degli acidi grassi e poi si valuta quale sia lo scostamento tra questo dato teorico ed il dato ottenuto sperimentalmente. Se il valore è superiore a 0.2 si deduce la miscelazione con oli di differente origine, anche se la composizione degli acidi grassi era in accordo con i limiti previsti per un olio di oliva.La validità del metodo e del relativo limite è basata sulle differenze dei meccanismi biochimici che sono alla base della sintesi dei trigliceridi, che sono differenti nel tessuto dei semi ed in quello dei frutti.

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Tra i parametri riportati per la prima volta nel Reg. 2568/91, compare l’analisi sensoriale. In realtà, anche se la valutazione organolettica degli oli vergini di oliva era già eseguita da esperti assaggiatori, nel 1978, gli studi fondamentali di Olias ed altri in Spagna, e di Montedoro, Camurati e Solinas, in Italia, gettarono le basi per un approccio scientifico all’analisi sensoriale degli oli vergini di oliva.Il COI adottò il metodo per la valutazione organolettica dell’olio di oliva nel 1987 ed il medesimo metodo venne adottato dalla CEE nel 1991. Il metodo fu denominato panel test ed era basato sulla classificazione dei campioni, ottenuta in base ad una scala di 9 punti, mediante un foglio di profilo standardizzato.Il tipo di foglio di profilo utilizzato, anche se estremamente dettagliato, costrinse la CEE ad introdurre un bonus pari a 1.5 punti, da ridurre di 0.5 punti all’anno nell’arco di tre anni in quanto un elevato numero di campioni di oli di oliva sicuramente genuini e di qualità non venivano riconosciuti tali da questo metodo.Al termine dei tre anni, la CEE ha tuttavia dovuto mantenere un bonus di 1 punto. Nel frattempo, il COI ha lavorato alacremente sul metodo ed oggi è disponibile un nuovo metodo di valutazione organolettica. Il nuovo metodo, ormai giunto alla quinta sperimentazione circolare con un numero elevato di gruppi di assaggiatori (una ventina) ha dimostrato ottime caratteristiche di affidabilità. A partire dal 2002, la CEE ha sostituito il metodo sino ad oggi utilizzato con quello messo a punto dal COI.Nel caso del burro, i parametri che vengono valutati ai fini della genuinità sono relativi alla verifica della presenza di grassi estranei, quali sego e strutto.Storicamente, la valutazione della purezza era affidata alla verifica della conformità di alcuni rapporti caratteristici tra acidi grassi tipici del burro, in particolare tra acido butirrico e somma tra acido caprinico e acido caprilico, tra acido miristico ed acido laurico, tra acido laurico ed acido caprico e tra acido oleico ed acido stearico. Questi parametri sono oggi destituiti di validità in quanto la mutata alimentazione delle bovine ha modificato i livello di acidi a diciotto atomi di carbonio nel latte.Un approccio più affidabile e che è stato inserito nel Reg. (CE) 213 / 2001 è risultato una particolare analisi dei trigliceridi che ha fissato una serie nutrita di rapporti tali da consentire la messa in evidenza con differenti oli e grassi.

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1.4 Stabilità e modalità di magazzinaggio

L’irrancidimento di una sostanza grassa può essere definito come la formazione di odori e sapori sgradevoli (off-flavours) che ne compromettono la qualità sia dal punto di vista sensoriale che nutrizionale. Questo fenomeno può avvenire sia a carico di un olio o di un grasso tal quali, sia quando essi siano presenti come ingredienti in un alimento complesso, quale un prodotto da forno. La formazione di composti sgradevoli è legata a tutta una serie di reazioni chimiche che avvengono nel grasso e, a seconda del tipo di reazioni coinvolte, si distinguono due tipi di rancidità: idrolitica e ossidativa.

Rancidità idrolitica

Le sostanze grasse sono costituite per il 95-98 % da trigliceridi che sono degli esteri degli acidi grassi con la glicerina. Nelle reazioni di idrolisi si ha la rottura del legame estere con la conseguente liberazione di acidi grassi liberi. Queste reazioni avvengono in presenza di acqua e sono catalizzate da vari fattori quali: enzimi (lipasi), già presenti nell’alimento o rilasciati da microorganismi; un ambiente acido o basico. Sebbene la rancidità idrolitica sia importante per quanto riguarda le caratteristiche sensoriali di un prodotto, non rappresenta un problema dal punto di vista nutrizionale, in quanto i trigliceridi vengono comunque idrolizzati nell’organismo umano prima dell’assorbimento. In qualche caso una parziale idrolisi è addirittura desiderata per lo sviluppo di aromi particolari. Lo sviluppo di off-flavours in seguito a rancidità idrolitica è particolarmente importante in quegli oli e grassi che contengono acidi grassi con una catena di atomi di carbonio minore di 16 atomi di carbonio (acido palmitico). Gli acidi grassi a lunga catena (acido palmitico, acido stearico, acido oleico, acido linoleico, acido linolenico, ecc.) sono infatti praticamente inodori.Sostanze grasse con acidi grassi a corta catena sono il burro, il burro anidro, l’olio di cocco e l’olio di palmisto. L’acido laurico caratterizzato

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da una catena di 12 atomi di carbonio ha un aroma di tipo “saponoso”, mentre gli acidi grassi con catena ancora più corta (acido butirrico, capronico, caprilico e caprico) hanno il caratteristico odore di rancido. Spesso questo tipo di rancidità crea maggiori problemi nei prodotti finiti che contengono questi acidi grassi piuttosto che negli oli tal quali in quanto durante la raffinazione ed in particolare con la deodorazione la quasi totalità degli acidi grassi liberi viene rimossa. La prevenzione della rancidità idrolitica nei prodotti che contengono grassi o oli con acidi grassi a corta catena può essere effettuata mediante il controllo della carica microbica, dell’umidità e l’inattivazione degli enzimi. La presenza di enzimi idrolitici in qualche ingrediente o provenienti da microrganismi può provocare irrancidimento idrolitico negli impasti prima della cottura. Di qui la necessità di usare ingredienti di prima qualità privi di attività enzimatica.La formazione di acidi grassi liberi si ha anche durante la frittura a causa dell’elevata temperatura e della presenza di acqua nell’alimento.

Rancidità ossidativa

Da un punto di vista generale, la rancidità ossidativa può essere considerata come la conseguenza delle reazioni tra l’ossigeno atmosferico e la sostanza grassa ed in particolare gli acidi grassi. I primi prodotti relativamente stabili dell’ossidazione sono gli idroperossidi degli acidi grassi. Questi composti sono di per sé inodori, ma possono decomporsi facilmente dando origine a numerose molecole più piccole (aldeidi, chetoni, alcoli, ossiacidi, idrocarburi, ecc) che sono le vere responsabili dell’aroma di rancido. Queste molecole hanno inoltre una soglia di percezione olfattiva molto bassa.La formazione degli idroperossidi può avvenire attraverso più meccanismi: autossidazione; fotossidazione; reazioni enzimatiche. L’autossidazione è una reazione di tipo radicalico la cui fase di iniziazione è catalizzata dalla presenza di ioni metallici, idroperossidi, calore, radiazioni U.V. e di più alta energia. La fotossidazione avviene con un meccanismo diverso in cui intervengono radiazioni luminose e alcuni composti detti sensibilizzanti, quali ad esempio la clorofilla e la mioglobina. Nel caso delle reazioni enzimatiche, la formazione degli idroperossidi è invece catalizzata da enzimi (lipossigenasi). Questi potrebbero, ad esempio, favorire l’innesco di reazioni di ossidazione negli impasti refrigerati e surgelati.Gli idroperossidi formati per fotossidazione e per via enzimatica

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possono decomporsi in presenza di ioni metallici, formando specie radicaliche che danno inizio alla reazione di autossidazione.Le reazioni di ossidazione, oltre alla necessaria presenza dell’ossigeno, sono quindi favorite dalla presenza di ioni metallici, radiazioni, sostanze sensibilizzanti, idroperossidi ed enzimi. Nelle sostanze grasse possono inoltre essere presenti composti con effetto antiossidante, i quali sono in grado di svolgere un’azione protettiva nei confronti dei fenomeni ossidativi.Oltre ai fattori appena esposti, la velocità della reazione di ossidazione, e quindi la maggiore o minore stabilità di una sostanza grassa, dipendono dalla sua composizione trigliceridica e in particolare dal tipo di acidi grassi più rappresentativi. A parità di tutte le altre condizioni risulta determinante la composizione degli acidi grassi.L’ossidazione avviene, infatti, a carico degli acidi grassi insaturi, tra cui l’acido oleico, l’acido linoleico e l’acido linolenico sono i più abbondanti negli oli e grassi di origine vegetale. Come precedentemente evidenziato nel capitolo 1.1, questi acidi grassi sono caratterizzati da un diverso grado di insaturazione (numero di doppi legami): l’acido oleico presenta 1 doppio legame, l’acido linoleico 2 e l’acido linolenico 3. Maggiore è il numero di doppi legami, più l’acido grasso viene ossidato facilmente. Le velocità relative di reazione sono approssimativamente 1:10:25 rispettivamente per acido oleico, linoleico e linolenico. Queste considerazioni possono essere utilizzate per stabilire delle velocità di ossidazione relative di oli e grassi sulla base della loro composizione acidica. Oli con una percentuale maggiore di acidi grassi polinsaturi sono intrinsecamente meno stabili rispetto all’ossidazione (si veda la Tabella 1.5). E’ da sottolineare, come già ricordato, che l’effettiva stabilità dipende anche dall’eventuale presenza di composti con azione antiossidante quali tocoferoli e polifenoli.Le sostanze grasse possono essere sottoposte a dei processi di idrogenazione e frazionamento che hanno lo scopo di modificare le loro proprietà chimico-fisiche. Si possono così ottenere dei prodotti con caratteristiche particolari, sia di consistenza che di grado di in saturazione, i quali vengono utilizzati nella preparazione di margarine (si veda a questo proposito anche il capitolo 1.2, pag. 36).Mediante il processo di idrogenazione si ha una più o meno spinta saturazione dei doppi legami degli acidi grassi, con l’ottenimento di un prodotto con un ridotto grado di insaturazione. L’acido linolenico con tre doppi legami può, ad esempio, essere ridotto ad acido linoleico con due doppi legami e ad acido oleico con un solo doppio legame. In maniera analoga possono essere ridotti l’acido linoleico, l’acido

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oleico o anche gli acidi grassi con quattro e cinque doppi legami caratteristici degli oli di pesce. I grassi idrogenati, avendo una concentrazione di acidi grassi insaturi molto bassa, risultano quindi più stabili all’ossidazione rispetto agli oli da cui sono stati ottenuti. L’idrogenazione, oltre a modificare il numero di doppi legami, modifica anche la loro configurazione (cis/trans) e la loro posizione nella catena idrocarburica degli acidi grassi. Queste modificazioni della struttura chimica degli acidi grassi comportano anche modificazioni delle proprietà fisiche del grasso, quale ad esempio un aumento del punto di fusione.Il frazionamento è un processo fisico mediante il quale si separa l’olio in diverse “frazioni” caratterizzate da una diversa composizione degli acidi grassi e di conseguenza con diverse proprietà fisiche. Ad esempio, dall’olio di palma si possono ottenere due frazioni principali: una costituita in prevalenza da acidi grassi saturi (stearine) con punto di fusione più elevato, 44-50 °C e una costituita in prevalenza da acidi grassi monoinsaturi con punto di fusione più basso, circa 10 °C. La separazione di una frazione solida nelle bottiglie di olio esposte al freddo può essere considerata come un esempio di frazionamento durante il quale si è avuta la separazione della parte dell’olio con punto di fusione più alto. La frazione satura è solida a temperatura ambiente e più resistente all’ossidazione e può trovare impiego nella preparazione di margarine. Mediante questo processo si ottengono quindi dei grassi “frazionati” con particolari caratteristiche chimico-fisiche che li rendono adatti per impieghi specifici.

Prevenzione dell’ossidazione

Generalmente gli oli e i grassi escono dagli impianti di raffinazione con concentrazioni estremamente ridotte di acidi grassi liberi, idroperossidi e off-flavours. L’obbiettivo successivo è quello di mantenere queste caratteristiche qualitative per tutto il periodo dello stoccaggio fino al momento dell’uso.Alla luce di quanto riportato sopra, si possono individuare quattro fattori che contribuiscono al deterioramento ossidativo delle sostanze grasse: ossigeno (aria), calore, luce e ioni metallici.L’assenza dell’ossigeno bloccherebbe le reazioni di ossidazione, ma la completa eliminazione dell’aria non è realizzabile in pratica. Anche lo stoccaggio sotto atmosfera inerte non previene del tutto l’ossidazione in quanto l’ossigeno già disciolto nell’olio è sufficiente per portare ad

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irrancidimento ossidativo. Analogamente, nel caso di un prodotto da forno, il confezionamento in atmosfera protettiva non consente di rimuovere l’ossigeno intrappolato o disciolto nella matrice. Un approccio più pratico è quello di minimizzare l’incorporazione di aria nell’olio durante le varie procedure di manipolazione, evitando, ad esempio, forti rimescolamenti durante i travasi all’aria. Conservare sotto atmosfera inerte e/o riempire completamente i recipienti è comunque vantaggioso. I recipienti devono inoltre essere tenuti sempre ben chiusi in quanto le sostanze grasse possono venire facilmente contaminate mediante assorbimento di odori sgradevoli dall’ambiente. È quindi raccomandato evitare lo stoccaggio in ambienti in cui siano presenti vernici o altre sostanze che rilasciano odori anomali.Per quanto riguarda calore e luce, una maggiore stabilità si ottiene evitando rialzi termici (stoccaggio al sole) e l’esposizione del prodotto a fonti di luce sia solare che artificiale.La presenza di ioni metallici, in particolare di rame e ferro, ha un effetto negativo sulla stabilità delle sostanze grasse. Sotto questo aspetto l’uso di contenitori di acciaio inox o di vetro risulta la scelta migliore. L’acciaio e il vetro impediscono inoltre la diffusione dell’aria e del vapor d’acqua. L’acciaio offre anche un’ottima protezione dalle radiazioni luminose. Una buona protezione è offerta in questo senso anche dal vetro scuro (ambrato). I materiali plastici come il polietilentereftalato (PET) e il polietilene (PE) ad alta densità sono invece più o meno permeabili all’aria, al vapor d’acqua e alle radiazioni.In Tabella 1.14 sono riassunte le caratteristiche di alcuni materiali di confezionamento.Oltre ai fattori appena esposti, è buona pratica, per migliorare la sta-bilità di una sostanza grassa, l’uso di contenitori puliti e asciutti, evi-tando il mescolamento di un prodotto nuovo di buona qualità con i residui di un prodotto in parte già deteriorato. Bastano infatti piccole quantità di un prodotto deteriorato per rovinare un’elevata quantità di prodotto buono. In Tabella 1.15 sono riassunti i fattori che favori-scono il deterioramento ossidativo e le eventuali azioni protettive.

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Tabella 1.14 - Caratteristiche di alcuni materiali di confezionamento, in relazione a permeabilità di umidità, ossigeno e trasmissione di radiazioni luminose

Materiale O2a H2Ob Lucec

UV VisibileMetallo 0 0 0Vetro ambrato 0 0 3% 3-65%Vetro chiaro 0 0 90%PET (polietilene tereftalato) 10 4 ca 90%PVC (cloruro di polivinile) 16 2,5 ca 90%HDPE (polietilene alta densità) 110 0,5 31-44% 57%

a permeabilità dell’ossigeno = cm3/0,0254 mm/100 in2/atm/24 ore a 73°F, 50%RH.b permeabilità del vapore acqueo = gm/0,0254 mm /100 in2/atm/24 ore a 100°F, 90% RH.c la trasmissione della luce è la percentuale della luce che passa attraverso il materiale.

(tabella modificata da: Bailey’s, 1985).

Tabella 1.15 - Fattori che favoriscono l’irrancidimento ossidativo delle sostanze grasse e possibili azioni di protezione

Fattori pro-ossidanti Azioni protettive

Presenza di ossigeno Evitare l’incorporazione di aria; uso di contenitori di vetro o metallo; conservazione sotto gas inerte

Presenza di ioni metallici Uso di contenitori di acciaio inox; vetro o eventualmente di materie plastiche.

Radiazioni luminose e U.V. Contenitori di metallo o vetro scuro.

Calore Evitare rialzi termici; evitare lo stoccaggio al sole; conservazione in luogo fresco.

Presenza di olio o grasso rancido

Evitare mescolamento di olio vecchio (rancido) con prodotto nuovo di buona qualità; usare recipienti e attrezzature facilmente lavabili.

Antiossidanti

L’eliminazione o la riduzione dei fattori che favoriscono l’insorgere dell’ossidazione delle sostanze grasse rappresenta solo uno dei possibili modi per affrontare il problema. È possibile infatti l’uso di sostanze denominate antiossidanti allo scopo di prolungare il periodo di conservazione dei prodotti alimentari, proteggendoli dal

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deterioramento provocato dall’ossidazione. Ritardare l’insorgere dell’irrancidimento ossidativo significa aumentare la shelf-life del prodotto, cioè renderlo accettabile per un periodo di tempo più lungo. Esiste un gruppo di sostanze che possono essere usate come antiossidanti nelle sostanze grasse e che rientrano nella categoria degli additivi alimentari. Gli additivi alimentari sono regolamentati per legge. La normativa stabilisce quali composti possono essere utilizzati, in quali prodotti possono essere addizionati e le dosi massime consentite. Alcune di queste sostanze sono prodotti di sintesi quali ad esempio il butil-idrossi-toluene (BHT), il butil-idrossi-anisolo (BHA), gli alchil-gallati, l’ascorbil-palmitato e l’ascorbil-stearato. Altri antiossidnati, quali i tocoferoli, possono essere sia di origine sintetica che ottenuti da fonti naturali. I tocoferoli, infatti, sono presenti naturalmente in tutti gli oli vegetali.Due aspetti devono essere sottolineati per quanto riguarda l’uso degli antiossidanti nelle sostanze grasse:1) un antiossidante, per svolgere la massima efficacia, deve essere

aggiunto all’olio o al grasso prima che il processo ossidativo sia iniziato;

2) un antiossidante non migliora la qualità di un grasso o di un olio scadente, non migliora la qualità di un grasso già ossidato, non previene la rancidità idrolitica, non previene alterazioni di tipo microbico. Si può quindi affermare che un antiossidante non è in grado di migliorare le caratteristiche di un grasso di qualità sca-dente, ma consente solo di mantenere le caratteristiche di qualità di un prodotto già buono all’origine.

Sia le restrizioni di tipo legislativo che le preoccupazioni dei consu-matori nei riguardi degli additivi in genere hanno spinto gli interessi della ricerca verso nuovi antiossidanti ottenuti da fonti naturali, qua-li ad esempio spezie e piante officinali. Molte specie vegetali sono state studiate per la loro attività antiossidante, ma di queste solo gli estratti di alcune piante sono disponibili ed utilizzati come antiossi-danti nell’industria alimentare. In particolare sono disponibili estratti di salvia, origano, rosmarino e miscele di tocoferoli naturali. Questi estratti possono presentarsi sotto forma di polveri più o meno solubi-li in acqua o come estratti in olio vegetale e quindi solubili nei grassi e negli oli. Possono essere usati in sistemi acquosi ed emulsionati, nonché essere addizionati ad oli e grassi usati per prodotti cotti al forno o fritti.Tra i metodi utilizzati per valutare la stabilità all’ossidazione di una

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sostanza grassa o l’efficienza di un antiossidante il Rancimat test è, probabilmente, quello più usato. Questo metodo si basa su una ossidazione accelerata mediante riscaldamento della sostanza grassa a temperature di 100-120 °C e insufflazione di aria. Si usano quindi due dei fattori, visti prima, che favoriscono l’ossidazione: calore e ossigeno. Il Rancimat test prevede la valutazione nel tempo della variazione di conducibilità di una certa quantità di acqua distillata attraverso la quale gorgoglia l’aria che è precedentemente passata attraverso la sostanza grassa. È possibile notare dapprima un periodo durante il quale non vi sono significative variazioni di conducibilità, cui segue un rapido incremento dovuto alla formazione di acidi volatili come prodotti secondari di una ossidazione molto spinta. Il primo periodo, misurato in ore, viene chiamato tempo di induzione e rappresenta un indice della stabilità di una sostanza grassa. Maggiore il tempo di induzione, maggiore sarà la stabilità ossidativa. Questo metodo può essere applicato a un olio o un grasso tal quali o dopo aggiunta di un antiossidante a varie concentrazioni in modo da valutarne l’effetto. In figura 1.5 è rappresentato un tipico grafico ottenibile con questo metodo, nonché la modalità di calcolo del tempo di induzione.A titolo di esempio nel grafico di figura 1.6 è mostrata l’efficienza antiossidante di estratti di rosmarino, origano e di ascorbilpalmitato su campioni di olio di girasole sottoposti a Rancimat test a 100°C. Come si può vedere dal grafico, alle concentrazioni più alte, due degli antiossidanti naturali analizzati mostrano un’attività antiossidante superiore a quella dell’antiossidante sintetico.

Figura 1.5 - Esempio di determinazione del tempo di induzione con il Rancimat test

Conducibilità(µS/cm)

Tempo (ore)Tempo di induzione

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Figura 1.6 - Tempi di induzione al Rancimat test a 100 °C di olio di girasole addizionato con 0.2, 0.5, e 1 % (p/p) di Herbalox, Robertet, Origanox e ascorbil-palmitato

0

10

20

30

40

50

0 0,2 0,4 0,6 0,8 1

Concentrazione (% p/p)

Tem

po d

i ind

uzio

ne (

h)

Herbalox

Origanox

Robertet

Ac. ascorbico 6-palmitato

Un approccio pratico

A questo punto, come tradurre in pratica le numerose informazioni sin qui fornite?Da quanto detto risulta evidente come la principale causa di alterazione delle sostanze grasso sia l’ossidazione lipidica. Ne consegue che è necessario tenere sotto controllo la concentrazione dell’ossigeno, la temperatura, la luce e la presenza di ioni metallici.Le possibilità di limitare lo sviluppo dell’ossidazione dovranno quindi tenere in considerazione i seguenti parametri:1) in fase di stoccaggio delle sostanze grasse si dovrà porre particola-

re attenzione alla temperatura dell’ambiente: evitare la conserva-zione ad elevate temperature; più fresco è l’ambiente meglio è. Va evitato quindi lo stoccaggio in prossimità di fonti di calore;

2) in fase di stoccaggio, evitare la conservazione del prodotto in re-cipienti con un elevato spazio di testa libero occupato da aria. In pratica, evitare recipienti mezzi vuoti. L’ideale è conservare il pro-dotto in recipienti di capacità tale da essere completamente vuota-ti ad ogni utilizzo: ad esempio approvvigionarsi di confezioni di capacità adeguata ad usi singoli, oppure frazionare il contenuto di recipienti di capacità elevata in recipienti di capacità ridotta;

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3) quanto detto nella seconda parte del punto 2) potrebbe essere controproducente se i recipienti di dimensioni ridotte, in caso di riutilizzo, non venissero accuratamente lavati ed asciugati prima del nuovo riempimento;

4) evitare nella maniera più assoluta il “rabbocco” con olio nuovo di un recipiente semivuoto da tempo: in questo caso l’olio già pre-sente nel recipiente avrà di sicuro un elevato livello di ossidazio-ne e l’aggiunta di olio fresco altro non farebbe che fornire nuovo prodotto da ossidare;

5) a livello di acquisto, ricordarsi che le condizioni di utilizzo della materia grassa sono particolarmente critiche: in fase di impasto la superficie di esposizione all’aria è elevatissima, e il successi-vo trattamento termico può ridurre la stabilità del grasso. Se un grasso viene quindi acquistato già parzialmente ossidato (numero di perossidi elevato), la sua utilizzazione in cottura non potrà che peggiorarne la qualità. Ne consegue che oli e grassi da utilizzare a caldo dovranno preferibilmente avere un numero di perossidi il più basso possibile.

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Parte 2Le sostanze grasse nei prodotti da forno

2.1 Le funzioni tecnologiche dei grassi

Introduzione

Come noto, la produzione di prodotti da forno richiede frequentemente l’impiego di quantità non trascurabili di sostanza grassa. La natura e il contenuto dei lipidi nei prodotti da forno sono molto variabili a

Grissini in uscita dal forno di cottura (per gentile concessione di Oscar Industria Dolciaria Spa, Stabilimento di Dignano, UD)

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seconda della tipologia di prodotto e della formulazione. In generale, i lipidi più utilizzati nella preparazione dei prodotti da forno sono burro, strutto, oli vegetali idrogenati, margarine e olio di oliva. Alcune caratteristiche rilevanti dal punto di vista tecnologico di questi grassi sono riportate in tabella 2.1.Il contenuto di lipidi può variare dal 5 al 15% per alcuni prodotti sostitutivi del pane, quali fette biscottate, cracker, grissini, fino ad arrivare al 20-30% nel caso di prodotti dolci, quali biscotti e torte. Va a questo proposito ricordato che, proprio in virtù dell’elevato contenuto di materia grassa, negli ultimi anni notevole impulso è stato dato alla produzione di prodotti da forno alleggeriti o “light”, nei quali tutto o, più spesso, una parte del contenuto lipidico è sostituito con ingredienti a ridotto contenuto calorico (si veda a questo proposito il capitolo 2.4).

Tabella 2.1 - Sostanze grasse più utilizzate nella preparazione dei prodotti da forno

Lipide Caratteristiche principali

Burro Profilo aromatico caratteristico; elevata lavorabilità dell’impasto senza formazione di grumi; elevata capacità di inglobare aria durante l’impastamento con conseguente possibilità di ottenere prodotti lievitati senza aggiunta di agenti lievitanti; parzialmente solido alla temperatura di impastamento; elevata stabilità nei confronti di reazioni ossidative

Strutto Elevata lavorabilità analoga a quella del burro

Oli vegetali idrogenati Elevata lavorabilità analoga a quella del burro; assenza di colesterolo

Margarine (emulsioni di acqua in oli idrogenati contenenti emulsionanti)

Come grassi idrogenati

Olio di oliva Elevata lavorabilità dell’impasto senza formazione di grumi; impiego consigliato nella preparazione di prodotti da forno croccanti; valore nutrizionale elevato; maggiore suscettibilità all’ossidazione rispetto ai grassi solidi

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I meccanismi d’azione dei grassi nei prodotti da forno

L’instaurarsi di interazioni chimiche e fisiche tra i lipidi e gli altri ingredienti del prodotto, prevalentemente amido, glutine ed eventuali altre proteine addizionate all’impasto, avviene già nelle prime fasi di lavorazione. Questo evento, denominato “lipid binding” (legame dei lipidi), ha inizio in seguito all’idratazione della farina, senza necessariamente richiedere l’applicazione di forza lavoro. Il contenuto minimo di umidità richiesto affinché questi legami inizino a formarsi è di circa il 23%. Il fenomeno prosegue fino a quando l’impasto raggiunge un tenore medio di umidità del 36-40%. La successiva fase di impastamento manuale o meccanico favorisce ulteriormente l’instaurarsi di questi legami.Le funzioni tecnologiche dei grassi nei prodotti da forno devono attribuirsi, tra l’altro, alla loro capacità di fungere da tensioattivi. In particolare, i grassi in grado di esplicare queste particolari funzioni sono i cosiddetti lipidi polari che presentano una struttura chimica anfifilica, cioè costituita da gruppi idrofobici, in grado di legare molecole non polari, e da gruppi idrofilici, capaci di instaurare legami con l’acqua e con altre molecole polari (Figura 2.1).

Linea di produzione di grissini (per gentile concessione di Oscar Industria Dolciaria Spa, Stabilimento di Dignano, UD)

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Figura 2.1 - Rappresentazione schematica di un lipide polare

Gruppo carbossilico idrofilicocarico negativamente (polare)

Catena idrofobica (non polare)

Sostanze grasse quali burro, strutto, oli vegetali idrogenati e margarine presentano maggiori proprietà tensioattive rispetto agli oli. Le proprie-tà tensioattive delle sostanze grasse si devono attribuire alla presenza di acidi grassi a corta catena (fino a 6 atomi di carbonio) e/o di gruppi fosforici (si veda a questo proposito il capitolo 1.1). Ed è proprio la struttura anfifilica di queste molecole che potrebbe spiegare i meccani-smi alla base della funzionalità tecnologica dei grassi nei prodotti da forno. Attualmente le teorie più accreditate sono le seguenti:• formazione di legami o complessi tra lipidi e altri costituenti del-

l’impasto, in particolare proteine e amido (amilosio);• stabilizzazione della schiuma (ovvero della struttura liquido-gas)

nell’impasto;• formazione di dispersioni acquose.

Formazione di complessi tra lipidi e altri costituenti dell’impasto

In base a questa ipotesi, i lipidi polari, grazie alla loro natura anfifili-ca, sarebbero in grado di creare un “ponte” tra le proteine del glutine (gliadina e glutenina) o tra queste ultime e l’amido. In particolare, i lipidi polari possono legarsi alle molecole della gliadina mediante legami idrofilici e a quelle della glutenina attraverso legami idrofo-bici. In questo modo si forma il complesso gliadina-lipide-glutenina che contribuisce alla formazione di una struttura stabile, capace di trattenere i gas che si formano durante la fermentazione (Figura 2.2). Analogamente, i lipidi polari possono legarsi idrofobicamente alla

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glutenina e idrofilicamente all’amido (Figura 2.3). La struttura che si forma sarebbe in grado di ritardare il processo di raffermamento.

Figura 2.2 - Rappresentazione schematica del complesso gliadina-lipide-glutenina

lipide

glutenina

gliadina

gliadina

Figura 2.3 - Rappresentazione schematica del complesso glutine-lipide-amido

lipide

glutine

gasamido

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Stabilizzazione della schiuma

Un altro meccanismo che potrebbe spiegare il ruolo funzionale dei lipidi nei prodotti da forno può essere ricondotto alla loro capacità di stabilizzare le schiume. L’impasto, infatti, può essere idealmente considerato come una schiuma, ovvero una dispersione di gas in una soluzione acquosa.Secondo questa teoria i lipidi si allineerebbero a formare un monostrato all’interfaccia tra la fase acquosa e la fase gassosa, stabilizzando il sistema.

Formazione di dispersioni acquose

In base a questa teoria, i lipidi nell’impasto si organizzerebbero a formare degli agglomerati, detti micelle, in grado di formare delle dispersioni acquose stabili. Le micelle sono strutture ove i lipidi sono orientati in modo che le parti polari siano all’esterno, cioè a diretto contatto con il mezzo acquoso, mentre quelle idrofobiche siano rivolte all’interno (Figura 2.4). Secondo questa teoria le micelle verrebbero trattenute all’interno del reticolo glutinico sia mediante intrappolamento fisico sia attraverso legami polari e/o ionici. La presenza di micelle contribuirebbe alla formazione di un impasto lievitato tenace e in grado di trattenere i gas.

Figura 2.4 - Rappresentazione schematica di una dispersione acquosa

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Va osservato che gli emulsionanti (caratterizzati anch’essi da una struttura anfifilica) possono svolgere funzioni analoghe a quelle dei lipidi polari. Infatti, in taluni casi, essi possono sostituire parzialmen-te o totalmente i grassi.

Funzioni tecnologiche dei grassi nei prodotti da forno

Oli e grassi svolgono numerose e importanti funzioni tecnologiche nei prodotti da forno, grazie all’instaurarsi di interazioni chimiche e fisiche con gli altri ingredienti dell’impasto. Il risultato macroscopico di tali interazioni è rappresentato dall’ottenimento di prodotti da forno con le caratteristiche di texture e palatabilità desiderate.Queste funzioni tecnologiche possono essere esplicate sia dai lipidi endogeni, ovvero quelli naturalmente contenuti nelle farine, sia da quelli addizionati in fase di formulazione. Benché la frazione lipidica naturalmente presente nelle farine sia generalmente modesta (ad esempio 2.5 - 3.3% nella farina di frumento), essa è in grado di svolgere un ruolo non trascurabile nel condizionare la qualità del prodotto finito, soprattutto nei casi in cui la concentrazione di grassi aggiunti in fase di formulazione sia di piccola entità. Tali funzioni sono esplicate dai lipidi liberi, ovvero quelli non legati chimicamente alle strutture cellulari o ad altri componenti delle farine, quali ad esempio l’amido.Le principali funzioni tecnologiche dei grassi nei prodotti da forno sono riassunte nella Tabella 2.2.

Tabella 2.2 - Principali funzioni tecnologiche dei grassi nei prodotti da forno

• Aerazione degli impasti

• Ritenzione dei gas nella maglia glutinica

• Azione plasticizzante

• Azione anti-raffermamento

• Miglioramento proprietà sensoriali

• Azione lubrificante

Areazione: è la capacità degli impasti di incorporare l’aria o i gas prodotti durante la fermentazione. I gas occupano le cavità generate durante la miscelazione dell’impasto. Il grado di intrappolamento dei

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gas nell’impasto dipende dalla forza del glutine, a sua volta influenzata dalla formazione dei complessi gliadina-lipide-glutenina.

Ritenzione dei gas: quanto maggiore è la ritenzione di gas nella maglia glutinica tanto più elevati sono l’incremento di volume, la sofficità o morbidezza dei prodotti da forno lievitati. Come già ricordato, l’elevata ritenzione di gas di un impasto contenente lipidi è attribuita alla loro natura anfifilica che consente loro di disporsi all’interfaccia tra impasto e fase gassosa riducendo così la tensione superficiale. Va inoltre osservato che, secondo altre teorie, un aumento della ritenzio-ne dei gas per azione dei grassi è da attribuirsi anche alla loro capaci-tà di aumentare la temperatura di gelatinizzazione dell’amido. Poiché l’aumento di volume si arresta quando l’amido risulta gelatinizzato, l’addizione di grassi consente di prolungare nel tempo il momento di fine espansione dell’impasto. Conseguentemente, è possibile ottenere prodotti da forno più lievitati.Per ottenere un’aerazione e un aumento di volume ottimali è fondamentale la scelta del grasso. Deve necessariamente trattarsi di un grasso solido perché, come è già stato ricordato, questi grassi presentano maggiori proprietà tensioattive rispetto a quelli liquidi. Ne consegue che l’impiego degli oli non è consigliato qualora si vogliano ottenere prodotti soffici e ad elevato volume a meno che non vengano utilizzati in combinazione con emulsionanti.I grassi, oltre che solidi, devono essere costituiti da cristalli di piccole dimensioni (un’elevata superficie specifica del grasso infatti contribuisce ad incrementare la quantità di gas inglobato) e presentare buone proprietà plasticizzanti, indispensabili ai fini della miscelazione nell’impasto. Come già accennato, i grassi che meglio assolvono questa funzione tecnologica sono il burro, lo strutto e gli oli vegetali idrogenati.

Azione plasticizzante: è la proprietà che rende possibile la fase di miscela-zione ed il mantenimento di una consistenza costante dell’impasto. Poiché la concentrazione di lipidi nell’impasto è inversamente proporzionale al contenuto di acqua, un opportuno dosaggio di questi composti consente di modulare i valori di umidità relativa dei prodotti da forno.

Azione anti-raffermamento: la capacità dei grassi di ritardare il processo di retrogradazione dell’amido, che è alla base del raffermamento dei prodotti da forno, si deve attribuire alla formazione di complessi tra i lipidi (o gli emulsionanti) e l’amilosio. Grazie alla sua configurazione elicoidale, l’amilosio è in grado di intrappolare le catene alifatiche de-gli acidi grassi. La formazione del complesso è influenzata dalla lun-

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ghezza e dal grado di insaturazione del lipide. I grassi saturi, a causa della loro “concretezza”, sono meno adatti a svolgere questa funzio-ne. Ne consegue che i lipidi con un maggiore grado di insaturazione risultano più efficaci nel rallentare il fenomeno del raffermamento (si veda il capitolo 1.1). I complessi lipide-amilosio sono insolubili in acqua e tenuti insieme da interazioni idrofobiche. Il complesso in-solubile, collocandosi alla superficie dei granuli di amido, ne rallenta l’assorbimento di acqua, prevenendo di fatto la gelatinizzazione del-l’amido. Poiché il processo di retrogradazione riguarda solo l’amido gelatinizzato, ne consegue che la presenza di complessi lipide-amido contribuisce a prevenire il raffermamento dei prodotto da forno.

Proprietà sensoriali: come già accennato, i grassi influenzano enor-memente le proprietà sensoriali dei prodotti da forno. Gli attributi sensoriali maggiormente influenzati dalla presenza di grassi nella formulazione sono l’aroma, l’aspetto (oli spruzzati sulla superficie di cracker dopo cottura conferiscono un aspetto traslucido apprezzato dal consumatore) e caratteri a loro volta legati alle proprietà reolo-giche del prodotto, quali morbidezza (importante nel caso di torte, merendine, ecc.) e croccantezza (biscotti, cracker, grissini, croissant, ecc.). In altre parole, in quest’ultimo caso, la funzione tecnologica del grasso è quella di “rompere” la struttura del glutine e di consentire al prodotto di spezzarsi facilmente sotto l’azione dei denti (i biscotti preparati senza l’aggiunta di grassi sono così duri da essere, talvolta, immangiabili!).

Azione lubrificante: grazie a questa funzione è possibile evitare che il prodotto si attacchi su teglie e piastre di cottura, nonché ridurre con-siderevolmente la formazione di sfridi durante le operazioni di taglio e porzionamento condotte mediante affettatrici ad elevata velocità. Un’eccessiva formazione di sfridi, infatti, comporta problemi igienici e di pulizia degli impianti, oltre che una non soddisfacente presenta-zione e accettabilità del prodotto.

Criteri di scelta dei grassi per la preparazione di prodotti da forno

I criteri in base ai quali è possibile scegliere i grassi per la preparazione di prodotti da forno sono riassunti nella Tabella 2.3.

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Tabella 2.3 - Principali criteri di scelta dei grassi per la preparazione di prodotti da forno

• Ottenimento delle proprietà reologiche desiderate

• Conferimento di specifiche proprietà sensoriali

• Lavorabilità degli impasti

• Azione stabilizzante

• Esigenze dei consumatori

Al fine di soddisfare uno o più di questi attributi, è necessario scegliere, di volta in volta, la tipologia di lipide più idonea e stabilire la quantità ottimale da impiegarsi nella formulazione.

Proprietà reologiche e sensoriali: come già discusso nel paragrafo pre-cedente, i grassi svolgono un ruolo importante nello sviluppo delle proprietà reologiche e sensoriali dei prodotti. Attraverso l’incorpora-zione di grassi e/o oli è possibile ottenere, a seconda dei casi, prodot-ti ben lievitati e soffici oppure croccanti. I grassi inoltre influenzano positivamente anche l’aroma e l’aspetto dei prodotti da forno.

Lavorabilità degli impasti: è funzione degli impianti utilizzati per l’impa-stamento e la formatura dei prodotti da forno. A seconda del macchina-rio impiegato, la miscela deve rispondere a determinati requisiti reolo-gici. Ad esempio, nel caso in cui venga impiegato un miscelatore a pale, una consistenza sufficientemente fluida dell’impasto, tale da consentirne la movimentazione, è ottenuta attraverso dosaggi opportuni di grasso (ed eventualmente emulsionanti), oltre che di zucchero e acqua, oppure mediante l’impiego di grasso in grado di fondere parzialmente in fase di impastamento. Al contrario, se il prodotto viene estruso, l’impasto deve presentare una consistenza più elevata, tale da sostenere il proprio peso contro la forza di gravità all’uscita dall’estrusore. Analogamente, la for-matura di biscotti, torte, snack, ecc. attraverso la deposizione dell’impa-sto in stampi richiede miscele sufficientemente fluide. Nel caso in cui il prodotto (ad esempio il biscotto) sia modellato su cilindri rotanti aventi la superficie forgiata da cavità di foggia particolare o, una volta estruso, venga tagliato nella forma desiderata da lame o coltelli, l’impasto deve essere sufficientemente coeso da consentire una separazione netta dei pezzi dagli sfridi. Questo requisito viene soddisfatto attraverso l’impie-go di concentrazioni elevate di grassi solidi.

Azione stabilizzante: come noto, i principali fenomeni chimici e fisi-ci connessi allo scadimento qualitativo dei prodotti da forno sono rappresentati da ossidazione dei grassi, retrogradazione dell’amido

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e modificazioni di consistenza legate a migrazione di umidità (si vedano a questo proposito i capitoli 1.4 e 2.3). Benché, come verrà descritto nel capitolo 2.3, le strategie atte a inibire o rallentare questi cambiamenti siano molteplici, va comunque osservato che un’azione stabilizzante può essere esplicata anche dal grasso, opportunamente scelto e dosato, impiegato nella formulazione del prodotto da forno.Come già discusso precedentemente, un contributo al rallentamento dei processi ossidativi è dato dall’impiego di grassi saturi (burro, margarina e oli vegetali idrogenati), meno suscettibili all’ossidazione di quelli insaturi (oli). Inoltre, come già osservato, i grassi presentano un’azione anti-raffermamento, grazie alla loro capacità di formare complessi con l’amido.Infine, grazie alla loro azione plasticizzante, i grassi possono essere impiegati in sostituzione dell’acqua in prodotti da forno compositi (quali, ad esempio, wafer o pasta frolla farciti con crema pasticcera) per il controllo di fenomeni di migrazione di umidità da un componente all’altro. Tali fenomeni, infatti, sono responsabili della perdita delle caratteristiche di consistenza e croccantezza del prodotto. Ad esempio, un’adeguata formulazione della crema che preveda elevate concentrazioni di sostanza grassa in sostituzione totale o parziale dell’acqua, consente di controllarne l’attività dell’acqua e di impedire la migrazione di umidità verso la base amidacea.

Categoria di consumatori: un altro criterio di scelta dei grassi da impie-garsi nella formulazione di prodotti da forno è rappresentato dalla categoria di consumatori a cui essi sono rivolti. In generale, si tratta di prodotti da forno destinati a consumatori con particolari esigenze nutrizionali. Ad esempio, per la preparazione di prodotti privi o a ridotto contenuto di colesterolo, la scelta dovrà necessariamente rica-dere su oli (in particolare olio di oliva), che però sono più suscettibili a reazioni ossidative, o su grassi di origine vegetale (oli idrogenati o margarine). Nel caso di prodotti da forno a ridotto contenuto calori-co, la sostanza grassa potrà essere sostituita parzialmente o totalmen-te con composti sostitutivi (si veda il capitolo 2.4).In taluni casi, nella produzione di prodotti da forno rispondenti a specifici requisiti nutrizionali, ai grassi sono richieste specifiche funzioni tecnologiche, anziché nutrizionali. E’ il caso dei prodotti da forno per celiaci, nei quali la totale assenza di glutine porta all’ottenimento di prodotti spesso aventi proprietà sensoriali (colore, sapore, volume), reologiche (consistenza, morbidezza, croccantezza), e funzionali inferiori rispetto ai prodotti tradizionali. La produzione di prodotti da forno senza glutine viene effettuata attraverso la

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modificazione delle formulazioni. In questi casi, la farina di frumento (ma anche di orzo e segale, anche se questi cereali rivestono scarsa importanza nella nostra dieta) viene sostituita con farine di cereali non contenenti glutine (mais, riso, miglio), svariate tipologie di amidi (mais, riso, patata, tapioca, cassava) o farine di semi oleaginosi sgrassate (soia, arachidi). A causa dell’assenza di glutine, questi prodotti sostituiscono la massa, ma non sono in grado di conferire le caratteristiche tecnologiche della farina di frumento. Per questa ragione, a farine ed amidi non convenzionali vengono addizionati composti in grado di simulare le proprietà funzionali del glutine. Oltre ad addensanti e gelificanti, sono spesso utilizzati lipidi polari ed emulsionanti, in grado di favorire la formazione di legami tra amido e glutenina e, dunque, l’aumento di volume dell’impasto e la ritenzione dei gas.Nella Tabella 2.4 vengono riassunte le principali caratteristiche richieste ai lipidi in relazione alla tipologia di prodotto da forno.

Tabella 2.4 - Principali caratteristiche richieste ai grassi per la preparazione di prodotti da forno con proprietà desiderate

Proprietà del prodotto da forno Lipide

Proprietà reologiche Elevato volume dell’impasto Grasso solido contenete cristalli di piccole dimensioni

Impasto fluido Grasso in grado di fondere parzialmente durante l’impastamento

Impasto consistente Elevate concentrazioni di grasso solido

Proprietà sensoriali Morbidezza Indispensabile l’uso di grassi

Croccantezza Possibile l’impiego di oli

Stabilità nei confronti di: Reazioni di ossidazione Grassi saturi

Raffermamento Lipidi aventi un certo grado di insaturazione

Migrazione di umidità Sostanze grasse in sostituzione parziale o totale dell’acqua

Requisiti nutrizionali Ridotto contenuto di colesterolo

Grassi vegetali idrogenati MargarineOli, eventualmente in combinazione con emulsionanti

Ridotto contenuto calorico Sostituzione parziale dei grassi con altri ingredienti

Assenza di glutine Grassi in sostituzione della farina di frumento

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2.2 Interazioni tra grassi e altri ingredienti in fase di formulazione e cottura

Introduzione

Come noto, i prodotti da forno sono costituiti da diversi ingredienti, in proporzioni variabili a seconda della tipologia di prodotto. In generale, oltre a farina e grassi, all’impasto possono essere addizionati anche sale, zucchero, emulsionanti, composti con azione conservante e antiossidante. E’ quindi ragionevole pensare che queste sostanze possano interagire tra loro, sia attraverso reazioni chimiche che mediante interazioni di natura

Estratti di spezie commerciali con proprietà antiossidanti

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fisica. Infatti, molte delle caratteristiche qualitative di un prodotto da forno, nonché la sua stabilità, sono condizionate dalla natura e dall’entità di questi molteplici eventi. In altre parole, fin dalle prime fasi di lavorazione, il prodotto può essere considerato come un piccolo e dinamico laboratorio ove avviene una innumerevole serie di eventi (biologici, chimici e fisici), gran parte dei quali indispensabili per l’ottenimento delle caratteristiche qualitative desiderate. Ad esempio, nella fase di formulazione e di formazione dell’impasto, le interazioni che hanno luogo tra farina e grassi influenzano positivamente la funzionalità tecnologica dell’impasto e/o la stabilità del prodotto finito. Come già discusso nel capitolo 2.1, sono infatti i complessi lipide-glutine e lipide-amido che consentono la formazione di un impasto capace di trattenere i gas di fermentazione e di ritardare il processo di raffermamento.Va tuttavia rilevato che le conoscenze sulle dinamiche dei cambiamenti che avvengono in fase di lavorazione dell’impasto e, successivamente, durante la cottura, sono ancora poche e frammentarie. Questo è dovuto principalmente all’enorme complessità delle reazioni coinvolte e al gran numero di variabili in grado di condizionarle. Una maggiore ed approfondita conoscenza di tutti questi eventi sarebbe importantissima poiché consentirebbe di poter gestire in modo più consapevole e mirato il processo produttivo.La Tabella 2.5 riassume le principali interazioni, attualmente conosciu-te, tra i grassi e gli altri componenti dei prodotti da forno.

Tabella 2.5 - Principali interazioni tra grassi e altri componenti dei prodotti da forno

Interazione Effetti

Lipide-amido Rallentamento del processo di raffermamento

Lipide-glutine Ritenzione dei gas

Lipide-antiossidanti Rallentamento dell’ossidazione lipidica

Ingredienti ed additivi ad azione antiossidante

Un aspetto piuttosto complesso e ancora poco studiato riguarda l’in-fluenza della composizione del formulato sulla stabilità della frazione lipidica. In altre parole, sostanze intenzionalmente addizionate al

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prodotto da forno o formate in fase di processo possono esercitare un’azione “stabilizzante” nei confronti dei lipidi presenti. Ad esem-pio, è noto che l’aggiunta di antiossidanti in fase di formulazione consente di rallentare le reazioni di ossidazione dei grassi (si veda a questo proposito anche il capitolo 1.4). La pratica di addizionare degli antiossidanti agli impasti è assai frequente e si rende necessaria soprattutto qualora vengano utilizzati l’olio di oliva o altri lipidi con un elevato grado di insaturazione. In anni recenti si è diffuso l’uso di estratti di piante aromatiche (rosmarino, origano, salvia, ecc.) che, oltre a possedere notevoli proprietà antiossidanti, sono generalmente ben accettati dai consumatori proprio in virtù della loro origine na-turale. Inizialmente questi prodotti presentavano notevoli limitazioni di impiego per il loro intenso profilo aromatico e per la difficoltà di standardizzare le loro proprietà antiossidanti. Trattandosi, infatti, di sostanze di origine naturale, la capacità antiossidante di questi prodot-ti può essere condizionata da fattori pre e post raccolta oltre che dal processo di estrazione applicato. Attualmente, nel caso dei derivati di rosmarino, l’attività antiossidante viene riferita al contenuto di acido carnosico. Oggi sono presenti sul mercato diverse tipologie di prodotti ad azione antiossidante derivanti principalmente dal rosmarino ed dall’origano. Essi differiscono per lo stato fisico (possono infatti essere in forma liquida o polverulenta) e per la loro solubilità nei grassi o in acqua. Inoltre, le nuove tipologie di estratti vengono sottoposte a procedimenti tecnologici in grado di separare quasi completamente la frazione aromatica, rendendo l’uso di questi prodotti decisamente più versatile di qualche anno fa.Va tuttavia rilevato che, a fronte dell’ampio campo di impiego di que-ste sostanze, soprattutto nei prodotti da forno, le modalità del loro utilizzo sono spesso empiriche. Le indicazioni d’uso di questi estratti sono, infatti, spesso incomplete o generiche poiché riferite alla loro azione su un grasso di riferimento, senza tenere in considerazione eventuali interazioni con la matrice alimentare a cui vengono addizio-nati. Tale circostanza è resa ancora più problematica se si considera il fatto che l’addizione al prodotto di quantità eccessive di estratto può avere un effetto pro-ossidante, ovvero può accelerare, anziché inibire, i fenomeni di ossidazione. Inoltre, poche e frammentarie sono le infor-mazioni relative alla stabilità di questi estratti in prodotto sottoposti ai trattamenti prolungati di cottura o frittura.

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Antiossidanti formati in fase di cottura

Meno nota e meno studiata è l’azione protettiva esplicata da alcune sostanze che si formano nel prodotto da forno in seguito al trattamento di cottura. Tali sostanze, che possiedono potenti proprietà antiossidanti, si formano in seguito all’innesco di una reazione nota con il nome di reazione di Maillard. Questa reazione si verifica in tutti gli alimenti sottoposti a trattamenti termici che contengono zuccheri riducenti (ad es. glucosio, fruttosio) e gruppi amminici di proteine o amminoacidi. I prodotti di questa reazione sono molto numerosi: si tratta sia di composti volatili che di sostanze ad elevato peso molecolare (polimeri) caratterizzate da colorazioni brune. In altre parole, è grazie al verificarsi di questa reazione che i prodotti da forno presentano i caratteristici aroma di cotto e colore bruno. Alcuni dei prodotti della reazione di Maillard sono caratterizzati dal possedere spiccate proprietà antiossidanti. In generale, quanto maggiore è il grado di imbrunimento del prodotto da forno tanto più elevate sono le proprietà antiossidanti di queste molecole.La formazione di questi composti sembra essere alla base della elevata stabilità della frazione lipidica dei prodotti da forno. In virtù del loro potere antiossidante, i prodotti della reazione di Maillard sono in grado di interagire con i grassi. In questo modo, anche se trattamenti termici, quali cottura, estrusione, essiccamento, possono accelerare le reazioni di ossidazione dei lipidi (si veda il capitolo 1.4), e la degradazione, anche parziale, di alcuni antiossidanti eventualmente addizionati all’impasto, l’ossidazione della sostanza grassa viene rallentata o, in alcuni casi, prevenuta e la sua stabilità aumentata. A titolo di esempio nella Figura 2.5 vengono riportati i cambiamenti del numero di perossidi di olio di girasole presente in un impasto durante una simulazione di un trattamento di cottura, a confronto con un campione di olio di controllo sottoposto alla medesima storia termica.

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Figura 2.5 - Cambiamenti del numero di perossidi durante la cottura di un impasto contenente olio di girasole e di olio di girasole (controllo) (modificato da Mastrocola et al., 2000)

60

50

40

30

20

10

0250200150

tempo di cottura (min)

num

ero

di p

ero

ssid

i(m

eqO

2/kg

olio

)

Olio nell'impasto

Olio di controllo

100500

E’ possibile osservare come l’olio addizionato all’impasto presenti una stabilità sorprendente se confrontata con quella del campione di olio di controllo. Questo comportamento trova una spiegazione nella formazione, nel corso della cottura, di molecole ad azione antiossi-dante come ben evidenziato nella Figura 2.6.

Figura 2.6 - Cambiamenti di colore e della capacità antiossidante durante la cottura di un impasto contenente olio di girasole (modificato da Mastrocola et al., 2000)

Attività antiossidante

Imbrunimento

Tempo di cottura (min)

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2.3 Modalità di confezionamento e conservazione dei prodotti da forno

Introduzione

Lo scadimento qualitativo dei prodotti da forno può manifestarsi in seguito a cambiamenti macroscopici di alcune caratteristiche fisiche e chimiche. Nella tabella 2.6 vengono riportate le principali modificazioni che possono avere luogo durante la conservazione di tali prodotti e le possibili cause scatenanti.

Tabella 2.6 - Principali cause di scadimento qualitativo dei prodotti da forno durante la conservazione

Proprietà Modificazione CausaConsistenza Rammollimento Indurimento Migrazione di umidità Sviluppo

microbico Retrogradazione amido

Stato di dispersione del grasso

Affioramento, separazione Migrazione dei lipidi

Colore Comparsa di colorazioni anomale Imbrunimento non adeguato

Reazioni di ossidazione Sviluppo microbico (muffe) Reazioni di imbrunimento non-enzimatico

Odore e sapore Sviluppo di odori e sapori non desiderati (es. rancido) Perdita di aromi

Autossidazione dei grassi Ossidazione idrolitica dei grassi Assorbimento/rilascio di aromi Sviluppo microbico

Valore nutrizionale Diminuzione della concentrazione di nutrienti

Reazioni di ossidazione Interazioni tra componenti

Come si può notare, l’ossidazione lipidica è solo uno dei fattori in grado di influenzare la qualità dei prodotti da forno. Per prodotti a breve shelf-life, infatti, le principali cause di scadimento qualitativo sono da ricondursi prevalentemente ad alterazioni di natura

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microbiologica o ad eventi fisici, quali ad esempio la migrazione di umidità. L’irrancidimento della frazione lipidica diviene invece spesso l’evento alterativo prevalente nei prodotti da forno con vita commerciale medio-lunga. In questi casi, il controllo delle reazioni ossidative nel prodotto finito implica l’utilizzo di strategie adeguate, che riguardano, non solo la scelta più idonea della materia prima e delle sue modalità di magazzinaggio, ma anche l’individuazione di condizioni di processo, confezionamento e conservazione ottimali.La velocità con cui un prodotto da forno può andare incontro a fenomeni di irrancidimento nel corso della sua vita commerciale dipende dalla natura del grasso impiegato e dall’eventuale utilizzo di antiossidanti (si vedano a questo proposito i capitoli 1.4 e 2.2), oltre che da una serie di variabili ambientali strettamente connesse alle modalità di confezionamento e conservazione del prodotto. Ne consegue che una scelta mirata delle condizioni ottimali di conservazione e/o dei materiali di imballaggio e delle tecnologie di confezionamento più appropriati può rappresentare uno strumento di fondamentale importanza ai fini del miglioramento della stabilità e quindi della shelf-life del prodotto.

Alcuni prodotti da forno dolci

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Requisiti dei materiali di confezionamento

Nel settore dei prodotti da forno, i materiali di imballaggio più utilizzati sono quelli che presentano una bassa permeabilità all’acqua ed all’ossigeno, oltre che un’adeguata capacità barriera nei confronti della luce ambientale e, in particolare, delle radiazioni ultraviolette (UV). Nella tabella 2.7 sono riportate le principali caratteristiche dei materiali e dei contenitori più frequentemente utilizzati per il confezionamento dei prodotti da forno.Tra tutti questi materiali, quelli che trovano maggiore applicazioni nei prodotti da forno sono i materiali plastici. Essi si caratterizzano per la loro elevata flessibilità e versatilità, che consentono la produzione di contenitori di diverso formato (buste, vassoi, ecc.), dimensioni (dalle porzioni monouso ai formati famiglia) e colore. Tra i polimeri plastici, i più ampiamente utilizzati sono il polietilentereftalato (PET) e il polipropilene (PP), sia normale che orientato (oPP), che presentano una bassa permeabilità sia al vapor d’acqua che all’ossigeno. In taluni casi, il PP viene impiegato in accoppiamento con altri materiali plastici (es. copolimeri di polivinilcloruro -PVC- e polivinilidencloruro -PVdC). In questo modo, il film ottenuto presenta una permeabilità a

Alcuni prodotti da forno salati

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gas e vapori minore rispetto a quella del semplice PP e ciò lo rende idoneo alla produzione di imballaggi per prodotti da forno altamente sensibili alle variazioni di umidità.

Tabella 2.7 - Caratteristiche e campi di impiego dei principali materiali e dei contenitori utilizzati per il confezionamento dei prodotti da forno

Materiali Contenitori Caratteristiche materiale

Campi di impiego

Banda stagnata (latta)

Scatole Impermeabilità a gas e vaporiProtezione totale nei confronti della luce

Solo per alcune tipologie di prodotti (es. tradizionali, di nicchia)Spesso utilizzati come contenitori secondari (non direttamente a contatto con il prodotto)

Carta, cartone

Scatole Buona permeabilità a ossigeno e vapor d’acquaProtezione totale nei confronti della luceRigidità e buona protezione del prodotto contro urti e rottureBasso impatto ambientale ed elevata riciclabilità

Utilizzati per contenitori secondariSe usata a contatto con il prodotto, la carta viene trattata per renderla impermeabile al grasso (“greaseproof”)

Materiali plastici

Buste, scatole, vassoi, ecc.

Bassa permeabilità a ossigeno e vapore acqueoLimitata protezione (se non colorati o metallizzati) nei confronti della luceAlto impatto ambientale e bassa riciclabilità

Impiego molto diffusoPer incrementare le prestazioni, i singoli materiali plastici possono essere accoppiati o coestrusi con altri materiali plastici o metallizzati

Alluminio Da solo: fogli laminati (spessore superiore a 30 mm)

Impermeabilità totale (se laminato) o parziale (se deposto come vernice metallizzata) a gas e vapori

Usato come laminato per imballaggi di prodotti di confetteria e cioccolateria

In accoppiamento con altri materiali plastici (PE, PP) e carta o cartoncini cerati

Elevata protezione nei confronti della luce

Se accoppiato con altri materiali, migliora le loro specifiche prestazioni e le funzionalità d’uso

PE: polietilenePP: polipropilene

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Ruolo della composizione dell’atmosfera all’interno delle confezioni

Le atmosfere protettive

La reazione di ossidazione lipidica nei prodotti da forno può essere controllata anche attraverso la scelta di tecnologie di confezionamento in grado di abbassare la pressione parziale dell’ossigeno nell’atmosfera a contatto con il prodotto. Di ampia diffusione in questa categoria di prodotti è il confezionamento in atmosfera protettiva, che prevede la sostituzione dell’atmosfera naturale all’interno dell’imballaggio con una adeguata miscela di gas. Nel caso dei prodotti da forno, generalmente sono adottate miscele costituite da anidride carbonica (CO2) ed azoto (N2) in opportuni rapporti (in genere vengono impiegate miscele costituita da 80% CO2 e 20% N2 oppure 100% CO2). L’utilizzo di atmosfere protettive ha il duplice vantaggio di inibire lo sviluppo microbico, grazie all’attività antimicrobica dell’anidride carbonica, e di rallentare le reazioni ossidative, in virtù della riduzione di ossigeno nello spazio di testa.Una particolare atmosfera protettiva è anche quella che si genera all’interno della confezione per effetto dell’utilizzo dell’etanolo, nebulizzato sulla superficie di molti prodotti da forno (merendine, prodotti lievitati) prima del confezionamento. Attualmente la legislazione italiana ne consente l’utilizzo come conservante in pane speciale preconfezionato fino ad una concentrazione massima del 2% riferito alla sostanza secca del prodotto (D.M. n. 312 del 1998). Nel caso di prodotti da forno dolciari l’etanolo è impiegato, in genere, come agente veicolante di aromi e la sua presenza consente di svolgere sia nel prodotto che, dopo sua evaporazione, nell’atmosfera circostante, una funzione antifungina e antiraffermamento. Non sono altresì noti effetti dell’etanolo sull’evoluzione dei processi di ossidazione lipidica.

Le atmosfere innovative: “l’active packaging”

Tecnologie di confezionamento di recente introduzione ed alternative a quelle attualmente adottate sono quelle definite “attive” (active packaging). Esse prevedono l’impiego di sostanze in grado di interagire attivamente e costantemente con l’atmosfera interna alla confezione,

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variandone la composizione. Inoltre, esse possono interagire direttamente con il prodotto, rilasciando componenti in grado di favorirne la stabilità e/o di contribuire al miglioramento delle sue caratteristiche qualitative. Tra gli imballaggi attivi di maggiore interesse per il settore dei prodotti da forno sono da ricordare i sistemi in grado di assorbire l’ossigeno (“oxygen scavanger”), costituiti da polveri di ferro o di composti a base di ferro. Gli assorbitori di ossigeno possono essere sia inseriti in sacchetti e collocati nella confezione prima della sua chiusura, sia inclusi preliminarmente nel materiale da imballaggio. Essi sono in grado di assorbire per reazione chimica sia l’ossigeno presente nello spazio di testa della confezione sia quello che potrebbe permeare attraverso il materiale da imballaggio nel caso in cui esso non presenti una elevata capacità barriera. Le condizioni anaerobiche, controllate e mantenute dal sistema assorbitore, sono in grado di rallentare significativamente l’evoluzione delle reazioni ossidative, ma anche lo sviluppo microbico, favorendo in tal modo un ulteriore prolungamento della vita commerciale del prodotto. I maggiori svantaggi di questi sistemi “oxygen scavanger” sono rappresentati dal loro costo elevato e dalla presenza, talora non gradita da parte del consumatore, di un materiale estraneo, non edibile, all’interno della confezione. La diffusione di queste soluzioni di confezionamento è modesta sia Italia che in Europa, limitata anche dalla carenza di una legislazione specifica che ne regolamenti e faciliti l’impiego. Questi sistemi di confezionamento innovativi entrano in contatto parzialmente o totalmente con il prodotto ed attualmente la loro composizione è stata studiata verificando che i diversi componenti non siano pericolosi o tossici oppure che siano già inseriti nelle liste approvate degli additivi alimentari.

Temperatura di conservazione

La temperatura di conservazione rappresenta uno dei principali fattori in grado di condizionare la velocità delle reazioni di ossidazione nei prodotti da forno. Come per la maggior parte delle reazioni chimiche, infatti, la velocità di sviluppo dell’ossidazione lipidica aumenta all’aumentare della temperatura. Ne consegue che il controllo delle temperature di conservazione può consentire di rallentare efficacemente lo sviluppo di odori e sapori di rancido.La maggior parte dei prodotti da forno, soprattutto quelli tradizionali come pane, biscotti, grissini, ecc., viene conservata a temperatura

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ambiente. L’utilizzo di temperature di refrigerazione non è strettamente necessario, in quanto lo sviluppo di microrganismi patogeni e di alterazione (essenzialmente muffe e lieviti) è inibito dai bassi valori di attività dell’acqua caratteristici di questi prodotti. Inoltre, basse temperature di conservazione potrebbero favorire l’evolvere di fenomeni di raffermamento, in grado di modificare le caratteristiche qualitative del prodotto, riducendone la vita commerciale. Sebbene la temperatura di conservazione non sembri essere un fattore critico per questi prodotti, la loro stabilità può diminuire drasticamente se lo stoccaggio avviene in luoghi dove la temperatura aumenta in maniera incontrollata. L’aumento di temperatura può essere dovuto, per esempio, alla vicinanza di fonti di calore (radiatori, disposizione in scaffali o vetrine esposti ai raggi luminosi). Tali condizioni possono causare un aumento inatteso della velocità di ossidazione e di formazione di odore e sapore di rancido prima della data di scadenza riportata sulle confezioni. L’effetto di abusi o fluttuazioni di temperatura durante la conservazione può essere più o meno accentuato a seconda della quantità e della qualità della frazione lipidica contenuta nel prodotto ed assume un’importanza maggiore nei prodotti da forno con shelf-life media-lunga. Infatti, prodotti di panetteria o pasticceria, che vengono consumati entro breve tempo dalla preparazione, presentano in genere, rischi minori di sviluppare odore e sapore di rancido.Le innovazioni nel settore dei prodotti da forno hanno portato allo sviluppo, negli ultimi anni, di una tipologia di prodotti a media lunga shelf-life refrigerati o di congelati. Ne sono esempi il pane precotto congelato, la cui conservazione a basse temperature consente di superare la quotidianità dell’acquisto, ma anche alcuni prodotti dolciari di vario genere contenenti anche altri ingredienti (creme, frutta, noci, ecc.) pronti per il consumo dopo scongelamento e/o rigenerazione. Non vanno dimenticati, inoltre, altri prodotti non cotti, che presentano un alto contenuto di servizio come pasta frolla, pasta sfoglia, basi per pizza pronte per l’uso, molti dei quali si caratterizzano per un contenuto piuttosto elevato di grassi. In questi casi, l’impiego di basse temperature di conservazione è fondamentale per la loro conservazione in quanto rallenta lo sviluppo microbico e la comparsa di odori e sapori associabili all’irrancidimento. Tuttavia, queste condizioni non consentono di bloccare totalmente lo sviluppo delle reazioni ossidative che, in taluni casi, possono risultare più rapide di quanto atteso. Infatti, benché le reazioni di ossidazione siano accelerate in presenza di alte temperature, refrigerazione e congelamento

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non consentono di bloccarne lo sviluppo. Infatti, la temperatura influenza non solo la velocità di reazione ma anche altre proprietà fisiche e chimico-fisiche dell’alimento. Ad esempio, è noto che al diminuire della temperatura, la solubilità dell’ossigeno aumenta. La maggiore disponibilità di ossigeno nel sistema alimentare può causare un’accelerazione delle reazioni ossidative. Inoltre, al diminuire della temperatura possono avere luogo cambiamenti di fase dei costituenti del sistema (acqua, lipidi, zuccheri), tali da influenzare in modo complesso l’evolvere delle reazioni chimiche. In particolare, in seguito a una diminuzione della temperatura, i grassi possono cristallizzare. Questo cambiamento di fase può indurre un aumento inaspettato della velocità di ossidazione, tale da vanificare l’effetto atteso conseguente alla riduzione di temperatura.A titolo di esempio nella tabella 2.8 viene riportato un confronto sulla stabilità relativa di due oli molto impiegati nella produzione di prodotti da forno: l’olio extravergine di oliva e l’olio di palma. Le temperature di confronto sono state scelte al fine di contemplare condizioni di congelamento (-30 e -18°C), di refrigerazione (4C°) oltre che condizioni di abuso di temperatura (40°C). La stabilità degli oli è stata descritta attraverso un’indicazione cromatica: la stabilità decresce passando da colori più chiari a colori più scuri.

Tabella 2.8 - Stabilità relativa di olio extra vergine di oliva e olio di palma a temperature di particolare interesse tecnologico.

-30°

C (

tem

pera

tura

di

co

ngel

amen

to)

-18°

C (

tem

pera

tura

di

co

nser

vazi

one

dei

pr

odo

tti c

ong

elat

i)

4°C

(te

mpe

ratu

ra

di r

efri

gera

zio

ne)

25°C

(te

mpe

ratu

ra

ambi

ente

)

40°C

(ab

uso

di

tem

pera

tura

)

Olio di palma

Olio extra vergine di oliva

Legenda: la stabilità del prodotto diminuisce secondo la seguente scala:

> > > >

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Osservando la tabella appare evidente come, a parità di temperatu-ra di conservazione, l’olio di palma risulti più stabile dell’olio extra vergine di oliva in virtù della suo minore grado di insaturazione. Tuttavia, per entrambi gli oli considerati, non sempre è possibile evidenziare una chiara dipendenza tra stabilità e temperatura di conservazione. Ad esempio, per l’olio di palma, tra 4 e 25°C non vi sono sostanziali differenze in termini di stabilità. In altre parole, in questo intervallo di temperatura, la velocità di ossidazione dell’olio di palma non cambia. Un’analoga osservazione può essere fatta per l’olio extravergine di oliva. Questo comportamento è dovuto al fatto che in questo intervallo di temperatura entrambi gli oli tendono a solidificare, trasformandosi in una miscela complessa di olio cristal-lizzato ed olio in fase liquida. Pertanto, in queste condizioni, la velo-cità di ossidazione non dipende più solo dalla temperatura ma anche dal rapporto tra olio solidificato ed olio in forma liquida. Da queste osservazioni emerge chiaramente che la pratica comune di ridurre la temperatura di conservazione di un prodotto da forno non sempre si traduce in un guadagno in termini di stabilità. La conseguenza pra-tica di ciò è che la previsione della vita commerciale dei prodotti da forno, soprattutto quelli conservati in condizioni di refrigerazione o congelamento, non è sempre agevole poiché i test accelerati di shelf-life possono non dare risultati attendibili.La tabella 2.9 riassume i principali fattori in grado di influenzare la velocità di ossidazione lipidica nei prodotti da forno e gli interventi applicabili per rallentarla.

Tabella 2.9 - Principali fattori in grado di influenzare lo sviluppo dell’ossidazione lipidica nei prodotti da forno e possibili interventi applicabili per controllarne gli effetti

Fattori Intervento

Luce Conservazione al riparo dalla luceImpiego di imballaggi opachi (carta, cartone, film plastici metallizzati o accoppiati con film metallici)

Ossigeno Uso di materiali a bassa permeabilitàUso di atmosfere protettiveUtilizzo di assorbitori di ossigeno

Temperatura Conservazione lontano da fonti di caloreControllo delle temperature in fase di distribuzione e conservazione

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2.4 I sostituti dei grassi

Introduzione

I sostituti dei grassi non sono certamente una novità degli ultimi decenni. La sostituzione dei grassi nei prodotti da forno con acqua o sciroppi e puree di frutta è antichissima. Tuttavia, se nel passato l’alleggerimento era una pratica obbligata a causa della cronica carenza di certi ingredienti, oggi il problema è opposto, cioè dovuto a sovrabbondanza ed eccesso nei consumi. Tuttavia, oggi come allora, la pratica dell’alleggerimento è un’operazione complessa con risultati spesso poco soddisfacenti sotto il profilo della qualità del prodotto finito. Le ragioni sono da ricondurre al ruolo chiave dei lipidi nel prodotti da forno. La loro presenza infatti è indispensabile per conferire al prodotto le peculiari caratteristiche sensoriali (aroma, flavour, sofficità, volume, palatabilità, aspetto traslucido) e condizionarne la vita commerciale (vedasi a questo proposito il capitolo 2.1).Ne consegue che la semplice riduzione della frazione lipidica, eventualmente bilanciata da un incremento del contenuto di acqua, porta a dei risultati negativi sia sotto il profilo della qualità che della stabilità del prodotto. Decisamente più percorribile appare la strategia della sostituzione parziale o totale dei lipidi con sostanze in grado di simularne le proprietà funzionali, ma aventi un minor apporto calorico.Attualmente è disponibile una vasta gamma di sostanze con proprietà funzionali assimilabili a quelle dei grassi. Le principali sono riassunte nella Tabella 2.10.

Tabella 2.10 - Classi di sostanze potenzialmente utilizzabili in sostituzione dei grassi nei prodotti da forno

Sostituti dei grassi Polisaccaridi Proteine Lipidi modificati

Analoghi dei grassi Esteri del saccarosio, polioli

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In linea di principio si distinguono due classi di sostanze potenzial-mente utilizzabili nei prodotti da forno: i sostituti e gli analoghi dei grassi. I primi sono prevalentemente a base polisaccaridica e proteica. Esistono, inoltre, sostituti dei grassi ottenuti a partire da lipidi chimi-camente modificati al fine da apportare un tenore calorico inferiore a quello dei lipidi tradizionali. La categoria dei cosiddetti fat analogs, ovvero analoghi dei grassi, è invece costituita da prodotti di sintesi, acalorici, con aspetto, consistenza e proprietà funzionali uguali a quelle dei grassi. Gran parte dei lipidi modificati e degli analoghi dei grassi può essere impiegata come ingredienti in prodotti desti-nati al mercato statunitense in quanto approvati dalla Food and Drug Administration come GRAS (generally recognized as safe), ovvero come ingredienti sicuri per l’alimentazione umana. Tuttavia, l’utilizzo di queste sostanze per prodotti destinati al mercato europeo attualmen-te non è consentito.Di seguito vengono riportate alcune informazioni sulle potenzialità di impiego dei principali sostituti dei grassi utilizzabili nei prodotti da forno. A tale proposito si è ritenuto utile non escludere dalla rassegna, anche quelle classi di sostanze attualmente non ammesse dalla UE.

Polisaccaridi

Si tratta di una categoria di sostituti dei grassi molto ampia. Storicamente, i primi sostituti dei grassi ad essere commercializzati negli anni ’60 erano prodotti a base di cellulosa e destrine. I polisaccaridi sono attualmente la categoria di prodotti maggiormente utilizzati nella sostituzione dei grassi in un’ampia gamma di prodotti alimentari, tra cui prodotti di pasticceria, caramelle, e come coating per prodotti a base di cioccolato. Essi sono in grado di simulare alcune proprietà funzionali dei grassi in virtù della loro capacità di formare gel e soluzioni viscose stabili in un ampio intervallo di pH e temperature. Condizione necessaria per poter utilizzare i polisaccaridi come sostituti dei grassi è un contenuto di acqua sufficientemente elevato. Ne consegue che i polisaccaridi non possono essere utilizzati per “alleggerire” impasti a basso tenore di acqua, quali quelli utilizzati per la produzione di biscotti e snack.I polisaccaridi utilizzati come sostituti dei grassi sono di origine vegetale, più raramente di origine animale (ad esempio le gelatine). Alcuni prodotti, come la gomma xantano e il gellano sono ottenuti

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per via fermentativa. Nella Tabella 2.11 vengono riportate le principali classi di polisaccaridi che possono sostituire i lipidi.

Tabella 2.11 - Principali classi di polisaccaridi impiegati come sostituti dei grassi nei prodotti da forno

Amidi, amidi modificati, maltodestrine

Pectine

Gomma arabica, Alginati, carragenani, agar-agar, gellani, gomma xantano, gelatine

Polidestrosio

Cellulose, emicellulose, cellulose modificate

Derivati di frutta

Fibra

L’impiego di amidi ed amidi modificati come sostituti dei grassi è mol-to diffuso. Gli amidi modificati presentano una maggiore affinità per l’acqua rispetto agli amidi nativi. Essi vengono ottenuti sottoponendo l’amido nativo a parziale idrolisi chimica o enzimatica. Questo proce-dimento consente in pratica di “rompere” la molecole dell’amido in strutture più piccole. Gran parte dei sostituti dei grassi a base polisac-caridica attualmente in commercio sono costituiti da amidi modificati. I diversi prodotti (Paselli SA2; N’Oil; C*Pur01906; C*Pur01907; Oatrim; Maltrin; Nutrifat C; ecc.) possono differire per l’origine dell’amido (patata, tapioca, avena, ecc.) e per grado di idrolisi. In linea generale, questi prodotti si presentano in forma di polveri, anidre. Al fine di garantire una omogenea dispersione di questi prodotti nell’impasto, è consigliabile la miscelazione a secco degli altri ingredienti prima dell’aggiunta dell’acqua. Concentrazioni pari al 20% rispetto all’ac-qua consentono di ottenere gel stabili in un ampio intervallo di pH. La forza del gel dipende dal pH dell’impasto e dalla temperatura alla quale viene idratato. I gel ottenuti sono in genere termoreversibili, ov-vero fondono ad una temperatura intorno ai 50-70 °C formando una soluzione altamente viscosa che gelifica quando la temperatura dimi-nuisce. Recenti studi sembrano dimostrare che l’impiego di queste so-stanze può garantire la sostituzione fino al 50% del grasso. Percentuali di sostituzione superiori possono portare a conseguenze negative sotto il profilo del volume e della densità del prodotto.

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I derivati della cellulosa e le gomme sono polisaccaridi che non vengono o vengono parzialmente metabolizzati dall’organismo umano; essi pertanto risultano acalorici o ipocalorici. Queste sostanze, da sole o in combinazione tra loro, sono in grado di formare gel o soluzioni altamente viscose in grado di rendere stabili schiume e sistemi emulsionati. La Figura 2.7 mostra un confronto della capacità viscosante di alcuni polisaccaridi in soluzione acquosa.Il polidestrosio è un prodotto ottenuto per polimerizzazione del glucosio con sorbitolo e acido citrico. Può essere utilizzato nei prodotti da forno in sostituzione dei grassi o degli zuccheri poiché possiede proprietà “volumizzanti”, ovvero è in grado di conferire volume ai prodotti nei quali viene aggiunto. E’ solubile in acqua e stabile al calore. Tuttavia, molta cautela deve essere posta nell’uso di questa sostanza poiché, ad alte dosi, può esplicare effetti lassativi.Diversi formulati a base di frutta essiccata, quali mele fichi, prugne, uva, vengono proposti per conferire consistenza, viscosità e dolcezza ad impasti a ridotto tenore di lipidi. Proposti in forma di pasta o polveri anidre, possono sostituire burro, margarina e oli nella formulazione di pane, dolci lievitati e biscotti. L’utilizzo di questi prodotti è consentito dalle normative UEInteressante è l’uso recente dell’inulina. Si tratta di una fibra solubile in acqua che coniuga l’attività viscosante a proprietà prebiotiche, ovvero che favoriscono lo sviluppo della flora microbica intestinale.

Figura 2.7 - Viscosità di soluzioni acquose contenenti concentrazioni crescenti di fruttosio, gomma xantano, maltidex (soluzione acquosa contenente 77 % maltitolo e 3 % sorbitolo, Cerestar Italia) e maltodestria 6.5 D.E.

-8

-6

-4

-2

0

2

4

6

-30 -20 -10 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

Concentrazione (% p/p)

Maltodestrina 6.5 D.E.

Maltidex

Gomma xantano

Ln

vis

cosi

tà (

Pas)

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Proteine

Si tratta di prodotti a base di proteine ottenute da uova, latte, siero di latte e vegetali. La particolarità di alcuni sostituti dei grassi a base proteica è la “microparticolazione”, procedimento tecnologico brevettato verso la fine degli anni ’90 che consente di formare aggregati proteici di forma sferica, con diametro di circa 1 micron, in grado di dare risposte sensoriali di cremosità, consistenza e “rotondità” simili a quelle dei grassi. Questi prodotti hanno, tuttavia, le stesse limitazioni dei sostituti dei grassi a base polisaccaridica. Infatti, per esplicare le loro proprietà funzionali hanno necessariamente bisogno di cospicue concentrazioni di acqua. Non si prestano pertanto ad essere utilizzati in impasti a basso tenore di umidità.Il primo prodotto “microparticolato” è stato Simplesse, prodotto dalla NutraSweet Company, costituito da proteine del siero di latte. Si presenta in forma di polvere facilmente idratabile. In sospensione acquosa Simplesse conferisce struttura, cremosità, stabilità ad emulsioni e schiume e favorisce una uniforme distribuzione dell’umidità nell’impasto in un ampio intervallo di pH e temperature. Un grammo di proteine microparticolate fornisce circa un terzo delle calorie di una analoga quantità di grasso. Le proteine “microparticolate” sono denaturate e dunque si prestano ad essere utilizzate anche in prodotti destinati a trattamenti termici prolungati ed intensi quali cottura, pastorizzazione e sterilizzazione. Questi prodotti vengono proposti in sostituzione dei grassi in prodotti da forno, anche surgelati, impasti read-to-use per dolci e torte refrigerati, creme e topping.Le proteine “microparticolate” sono ritenute sicure (GRAS) e consentire dalla UE.

Lipidi modificati

Si tratta di trigliceridi modificati, a basso tenore calorico, costituiti da acidi grassi a corta e a lunga catena. Lo sviluppo di questi prodotti prese origine dall’osservazione che gli acidi grassi a corta catena (con meno di 6 atomi di carbonio) apportano una ridotta quantità di calorie, mentre gli acidi grassi a lunga catena (con almeno 18 atomi di carbonio) vengono scarsamente assorbiti dall’intestino. Questi sostituti dei grassi sono stati sviluppati negli anni ’90 per superare le limitazioni di impiego dei prodotti a base polisaccaridica e proteica che richiedono necessariamente l’addizione di acqua per esplicare le loro funzioni di

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sostituti dei grassi. I lipidi modificati, infatti, possono essere utilizzati anche in prodotti con un ridotto tenore di umidità.Un esempio di un prodotto con queste caratteristiche è la Caprenina, prodotta da Procter and Gamble, che presenta caratteristiche funzionali (struttura, palatabilità e punto di fusione) molto simili a quelle del burro di cacao. Si tratta di un trigliceride costitutito da due acidi grassi a media catena, l’acido caprilico (C8) e l’acido caprico (C10), ed un acido grasso satura a lunga catena, l’acido beenico (C22:0). Gli acidi caprico e caprilico derivano dal cocco mentre l’acido beenico viene ricavato dalle nocciole e da oli di pesci marini. La combinazione di acidi grassi a media catena con l’acido beenico, che viene solo parzialmente metabolizzato dall’organismo umano, consente alla Caprenina di fornire 5 kcal/grammo contro le circa 9 kcal/grammo di un grasso tradizionale. La Caprenina è stata riconosciuta dalla FDA come GRAS, ma non ne è consentito l’utilizzo in ambito europeo.Un altro prodotto con caratteristiche simili è Salatrim, prodotto da Nabisco, che è costituito da trigliceridi che contengono almeno un acido grasso a corta catena (C2, C3 o C4 come acido acetico, proprionico e butirrico) ed uno saturo a lunga catena (prevalentemente C18, acido stearico). A seconda del tipo di acidi grassi a corta e lunga catena, della loro posizione nel trigliceride e dei loro rapporti ponderali, questi lipidi modificati possono presentare proprietà funzionali molto diverse che conferiscono una elevata versatilità di impiego. Questi prodotti possono essere utilizzati per la produzione di prodotti di pasticceria, creme, prodotti a base di cioccolato, snack, biscotti e prodotti da forno alleggeriti.

Analoghi dei grassi

Si tratta di prodotti di sintesi, non metabolizzati dall’organismo umano e dunque acalorici, che esplicano proprietà funzionali identiche a quelle dei grassi (Olestra, Prolestra, Tacta e DDM). Olestra è forse il prodotto più conosciuto: è costituito da un “cuore” di saccarosio a cui sono legati 6-8 molecole di acidi grassi diversi (da C10 a C20). Le molecole di questo olio sintetico sono inattaccabili dalle lipasi, enzimi che consentono al nostro organismo l’assimilazione dei grassi. Olestra ha le stesse caratteristiche sensoriali e funzionali di un olio tradizionale. Approvato dalla FDA nel 1996, viene utilizzato come ingrediente (con qualche limitazione) nella produzione di snack e cracker alleggeriti, come olio di frittura o agente di distacco. L’uso di Olestra e degli altri analoghi dei grassi non è consentito dalla UE.

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Nella Tabella 2.12 è riportato un quadro riassuntivo di potenzialità di impiego dei sostituti dei grassi per alcune tipologie di prodotti da forno.

Tabella 2.12 - Potenzialità di impiego di sostituti e analoghi dei grassi in prodotti da forno diversi

Prodotto Polisaccaridi Sostituti ed analoghi dei grassiProteine

Lipidi modificati ed analoghi dei grassi

Prodotti a base di cereali (pane, cracker)

Gomme, amidi, amidi modificati, fibre, inulina

Proteine “microparticolate”

Emulsionanti Caprenina Salatrim Olestra

Prodotti di pasticceria e dolciumi

Amidi, amidi modificati, gomme, cellulosa, inulina, polidestrosio

Proteine “microparticolate”

Emulsionanti Caprenina Salatrim Olestra

Prodotti da forno e torte lievitate

Amidi, amidi modificati, gomme, cellulosa, inulina, polidestrosio

Proteine “microparticolate”; miscele di proteine; concentrati proteici del siero di latte

Emulsionanti Caprenina Salatrim Olestra

Pizze refrigerate e congelate

Amidi, amidi modificati, gomme, cellulosa, inulina, polidestrosio

Proteine “microparticolate”; concentrati proteici del siero di latte

Emulsionanti Caprenina Salatrim Olestra

Snacks (sfogliatelle, biscotti salati, popcorn)

Amidi, amidi modificati, maltosio, cellulose, gomme

Caprenina Salatrim Olestra

Alcune considerazioni sull’impiego dei sostituti dei grassi

Come è già stato ricordato, l’alleggerimento della frazione lipidica di un prodotto da forno rappresenta un problema tecnologico complesso di non semplice e rapida soluzione.E’ pratica diffusa quella di compensare la riduzione della frazione lipidica con un aumento della quantità di acqua addizionata

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all’impasto. Tuttavia questa operazione presenta diversi inconvenienti, quali ad esempio modificazioni della consistenza e del volume oltre che un aumento della suscettibilità del prodotto ad andare incontro ad alterazioni di natura microbiologica. L’incremento della percentuale di acqua nella formulazione può anche accelerare fenomeni di migrazione dell’umidità tra gli strati più umidi e quelli più “secchi”. E’ questo il caso dei prodotti da forno con glassature o caratterizzati da farciture a basso tenore di acqua libera. Inoltre, molti prodotti da forno alleggeriti presentano ottime caratteristiche qualitative appena preparati, ma tendono a raffermare rapidamente durante la conservazione. Frequente è anche il problema della “lavorabilità” degli impasti così ottenuti, spesso molto diversi per caratteristiche reologiche (ad esempio viscosità, elasticità, ecc.) da quelli convenzionali.In linea di principio, non esiste un sostituto dei grassi ideale né è possibile pensare a strategie di alleggerimento preconfezionate, adattabili a tutte le tipologie di prodotti da forno. Spesso i tentativi compiuti per alleggerire una formulazione portano a dei risultati insoddisfacenti sotto il profilo della qualità e della stabilità del prodotto finito. Questo dipende generalmente dal fatto che l’ingrediente prescelto non è in grado di riprodurre adeguatamente tutte le proprietà funzionali esplicate dal grasso nel prodotto (si veda a questo proposito il capitolo 2.1). Ne consegue che spesso è preferibile utilizzare combinazioni di ingredienti diversi che, nel loro insieme, sono in grado di compensare meglio gli effetti negativi derivanti dalla mancanza di lipidi. Molti dei prodotti attualmente commercializzati come sostituti dei grassi sono infatti miscele di ingredienti con proprietà funzionali diverse. Alcuni studi recenti hanno analizzato il comportamento, come sostituti dei grassi, di combinazioni di polisaccaridi idrosolubili e fibre. I risultati sembrano indicare che la presenza dei polisaccaridi idrosolubili sia indispensabile per garantire una adeguata shelf-life del prodotto. Queste molecole infatti, in virtù della loro affinità per l’acqua, agirebbero come regolatori dell’umidità, prevenendo fenomeni di migrazione dell’acqua e disidratazione superficiale. Le fibre insolubili invece consentirebbero di limitare gli effetti negativi di una eccessiva concentrazione di polisaccaridi solubili che portano alla formazione di impasti spesso eccessivamente “gommosi”.Nei prodotti da forno ad umidità piuttosto elevata vengono spesso impiegati con successo emulsionanti e gomme in combinazione con sostituti dei grassi di natura polisaccaridica. Le Tabelle 2.13 e 2.14 riportano due esempi di possibili formulazioni di prodotti da forno basate sulla combinazione di questi ingredienti/additivi.

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Tabella 2.13 - Formulazione di una focaccia ai frutti di bosco (Khan, 1993)

Ingrediente Concentrazione (%)

Farina 23.3Latte magro 18.0Zucchero 16.3Acqua 15.4Uova intere 9.92Frutti di bosco 6.19Maltodestrine 3.62Oli vegetali idrogenati 2.5Amido pregelatinizzato 2.0Agenti lievitanti 1.4Emulsionanti 0.5Sale 0.4Gomma xantano 0.2Vaniglia 0.2Aromi 0.07

Tabella 2.14 - Formulazione di una torta al cioccolato a ridotto contenuto di lipidi (Khan, 1993)

Ingrediente Concentrazione (%)

Acqua 43.01Farina 19.03Uova intere 9.51Oli vegetali idrogenati 7.23Fruttosio 4.76Polidestrosio 4.76Cacao 4.28Amido di frumento 2.85Latte magro in polvere 0.95Agenti lievitanti 2.66Amido modificato 0.38Sale 0.38Cellulosa 0.20

Va notato che molti prodotti commerciali a ridotto tenore lipidico presentano un contenuto zuccherino maggiore di quello dei prodotti tradizionali con conseguente minima riduzione dell’apporto calorico.E’ stata inoltre valutata l’efficacia di diversi emulsionanti in combinazione con maltodestrine a basso D.E. (destrosio equivalenti)

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nel ridurre parzialmente o totalmente gli oli vegetali idrogenati in una torta al cioccolato. In linea generale, tra gli emulsionanti analizzati, gli esteri del saccarosio consentono di ottenere torte con maggior volume rispetto a quelle prodotto impiegando monogliceridi, succinil monogliceridi, sorbitano monostearato e polisorbato 60. Inoltre, anche la metodologia di incorporazione degli ingredienti svolge un ruolo determinante. Al fine di ottenere prodotti con maggior volume, è infatti consigliabile miscelare gli emulsionanti idratati e le maltodestrine secche.Da questi esempi appare quindi evidente che una corretta strategia di alleggerimento deve necessariamente prevedere un “approccio di sistema”. Non è infatti sufficiente procedere soltanto alla sostituzione dei grassi nella formulazione. Spesso infatti si rende necessario riformulare integralmente il prodotto, modificando quindi i rapporti ponderali anche degli altri ingredienti, oltre che modificare le condizioni di processo (tempi e temperature di cottura, ecc.). Ad esempio, la velocità di penetrazione del calore in un impasto arricchito di polisaccaridi e con minor tenore in grassi è generalmente più alta. Ne consegue che i tempi di cottura saranno più brevi rispetto a quelli convenzionali.In conclusione, è oggi possibile preparare prodotti da forno a basso tenore lipidico utilizzando gli ingredienti disponibili sul mercato, ma vi sono molte limitazioni e problematiche che devono necessariamente essere considerate. Quando si mette a punto una nuova formulazione è necessario conoscere la “funzionalità” dei vari ingredienti, selezionando quelli più idonei e combinandoli per ottenere le caratteristiche qualitative desiderate. E’, infatti, frequente che prodotti di questo tipo vengano ottenuti utilizzando tre o quattro ingredienti tra sostituti ed analoghi dei grassi. Va comunque rilevato che maggiore il numero degli ingredienti utilizzati, maggiore il rischio di insorgenza di “effetti indesiderati” in fase di formulazione, processo e conservazione.

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Parte 3Lipidi e nutrizione

3.1 Aspetti nutrizionali di oli e grassi

Introduzione

I lipidi, oltre a rappresentare la principale fonte di riserva energetica degli organismi terrestri e marini, costituiscono le membrane biologiche e svolgono importanti funzioni bioregolatrici. I lipidi, come i carboidrati, sono formati da carbonio, idrogeno e ossigeno ma, rispetto ai carboidrati, sono una fonte concentrata di energia (9 kcal, corrispondenti a 37 kJ, per grammo). Analogamente agli altri principi nutritivi anche i lipidi devono rappresentare, in quantità adeguata, una parte essenziale della dieta quotidiana di un individuo. I lipidi, infatti, hanno funzioni biologiche molto differenziate:• sono un’importante riserva/fonte energetica• sono componenti fondamentali delle membrane cellulari in tutti i

tessuti• sono precursori di sostanze regolatrici del sistema cardiovascolare,

della coagulazione del sangue, della funzione renale, del sistema immunitario

• fungono da trasportatori delle vitamine liposolubili e degli steroli presenti nella frazione insaponificabile dei lipidi totali.

L’importanza nutrizionale dei lipidi alimentari si esprime attraverso l’apporto quantitativo e qualitativo di acidi grassi e di componenti minori presenti nella frazione insaponificabile. Sono classificati come “lipidi di deposito”, costituiti principalmente dai trigliceridi, e “lipidi

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cellulari”. Questi ultimi comprendono fosfolipidi, glicolipidi e steroli, tra cui il colesterolo, nonché le vitamine liposolubili (vitamina A, D, K e E). Dal punto di vista nutrizionale risulta determinante il rapporto tra acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi assunti con la die-ta. Infatti le caratteristiche chimiche degli acidi grassi, quali il grado di insaturazione, la posizione delle insaturazioni, la lunghezza della catena carboniosa e l’isomeria geometrica, influenzano e condiziona-no le proprietà fisiche, nutrizionali, e biologiche dei lipidi. Il nostro organismo trasforma gli acidi grassi che compongono i trigliceridi in energia ma li utilizza anche come “mattoni” per sintetizzare i trigli-ceridi che servono per le altre funzioni dell’organismo (dai grassi di deposito alla componente lipofila delle membrane cellulari).Tutti gli acidi grassi svolgono funzione energetica, ma non solo. Gli acidi grassi saturi hanno prevalentemente un ruolo energetico mentre, tra gli acidi grassi monoinsaturi, l’acido oleico, oltre ed essere quello maggiormente digeribile dall’organismo umano, svolge un’importante azione nella formazione delle HDL (lipoproteine ad alta densità). Gli acidi grassi polinsaturi invece, accanto alla funzione energetica, svolgono importanti ruoli strutturali e metabolici quali ad esempio la prevenzione dei dismetabolismi lipidici e l’aterosclerosi. Tuttavia, proprio per la presenza di doppi legami, queste molecole possono facilmente andare incontro a fenomeni di ossidazione. Pertanto, l’assunzione di alimenti ricchi in antiossidanti naturali è una condizione indispensabile per contrastare la fisiologica ossidazione, in vivo, di queste sostanze.Nell’organismo, gli acidi grassi insaturi fungono da precursori di molecole più complesse, in particolare degli acidi grassi ω-9, o serie dell’acido oleico e derivati, degli acidi grassi ω-6, o serie dell’acido linoleico e derivati, e degli acidi grassi ω-3, o serie dell’acido linolenico e derivati.Particolare importanza rivestono gli acidi grassi essenziali (AGE), cioè l’acido linoleico (C18:2) e l’acido linolenico (C18:3). Sono definiti essenziali perché l’organismo umano non è in grado di sintetizzarli e devono pertanto venire assunti con la dieta. Sono molto importanti sotto il profilo nutrizionale in quanto svolgono molteplici funzioni:• costituiscono i fosfolipidi, componenti essenziali della struttura

delle membrane;• sono i precursori delle prostaglandine, dei leucotrieni e dei trom-

bossani, sostanze ormone-simili che agiscono da mediatori chimi-ci e da regolatori a livello molecolare;

• regolano i lipidi ematici, in particolare il colesterolo, svolgendo così un’azione preventiva nei confronti dell’aterosclerosi.

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Tra i cosiddetti componenti “minori” dei grassi alimentari spiccano le vitamine liposolubili. Si tratta di sostanze presenti in quantità di-verse in relazione all’origine, vegetale o animale, dell’alimento che le contiene. Mentre la vitamina D si trova principalmente nei prodotti di origine animale, i precursori della vitamina A e le vitamine E e K sono presenti principalmente nei prodotti di origine vegetale. Nella Tabella 3.1 sono riportate le principali caratteristiche nutrizionali e le altre fonti alimentari della pro-vitamina A e delle vitamine E e K, presenti nei grassi di origine vegetale.I grassi alimentari rappresentano una delle principali fonti di vitami-ne liposolubili nella dieta. A titolo di esempio nella Tabella 3.2 ven-gono riportati i contenuti di caroteni, vitamina E, e vitamina K1 nei principali grassi di origine vegetale.

Tabella 3.2 - Contenuto di caroteni, vitamina E e vitamina K1 nei principali oli e grassi di origine vegetale (aggiornamento BDA98, dati non pubblicati)

Alimento Caroteni Vitamina E Vitamina K1 (µg/100g) (mg/100g) (µg/100g)

Burro di arachidi 0 4.99 0.7 (1)

Burro di cacao 0 (1) 1.8 (1) 24.7 (1)

Margarina panetto (vegetale) (3) (3) (3)

Margarina spalmabile vegetale (3) (3) (3)

Olio di cocco tracce 0.70 0.5 (1)

Olio di colza tracce 22.20 122 (1)

Olio di germe di grano tracce 136.70

Olio di mandorle dolci 0 45.80 7 (1)

Olio di oliva 18 18.50 60.2 (1)

Olio di oliva extravergine 216 21.42

Olio di palma tracce 33.10 8.0 (1)

Olio di riso 0 32.30 24.7 (1)

Olio di semi di arachidi 0 15.20 0.7 (1)

Olio di semi di girasole tracce 49.20 5.4 (1)

Olio di semi di mais tracce 34.50 1.9 (1)

Olio di semi vari (3) (3) (3)

Olio di sesamo tracce 4.09 13.6 (1)

Olio di soia tracce 18.50 197.6 (1)

Olio di vinacciolo tracce 18.90 280 (2)

(1) USDA Nutrient database for Standard Reference (2003)(2) Souci-Fachmann-Kraut,Online Database Food Composition and Nutrition (2003)(3) variabile in relazione ai tipi di grassi utilizzati nella formulazione

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I grassi alimentari nella dieta italiana

Le principali fonti di lipidi nella dieta degli italiani sono i latticini, la carne, e soprattutto i condimenti. Inoltre, una quota importante di lipidi proviene dai prodotti da forno. Secondo un recente studio, relativo alla valutazione dei livelli di assunzione di lipidi e acidi grassi trans da parte della popolazione europea (TRANSFAIR Study), è emerso (Tabella 3.3) che, nel caso della popolazione italiana, la maggioranza dei lipidi assunti con la dieta (51% sui lipidi totali) deriva da oli e grassi utilizzati come ingredienti o condimenti. Tale quota è costituita sia da grassi di origine animale che vegetale ed è così ripartita: 30.8% di acidi grassi saturi, 65.9% di acidi grassi monoinsaturi, 74.6% di acidi grassi polinsaturi e 18.7% di acidi grassi trans. Dai prodotti da forno vengono assunte percentuali pari a 12.1% di acidi grassi saturi, 8.2% di acidi grassi monoinsaturi, 11.2% di acidi grassi polinsaturi e 15.5% di acidi grassi trans.

Tabella 3.3 - Contributo, espresso come percentuale, di alcuni gruppi di alimenti all’ingestione di lipidi totali e di acidi grassi in Italia. Diete relative all’intero territorio nazionale ed all’area geografica di Nord-Est (modificato da Pizzoferrato et al, 1999)

Dieta Contributo % sui Contributo % sugli acidi grassi della dieta lipidi della dieta Saturi Monoinsaturi Polinsaturi Trans cis cis (tot)

NazionaleLatte e derivati 19.7 37.3 10.1 3.0 49.3Carne e salumi 13.3 15.3 12.5 6.8 13.6Oli e grassi 51.8 30.8 65.9 74.6 18.7Prodotti da forno 10.8 12.1 8.2 11.2 15.5Altri alimenti 4.4 4.5 3.4 4.4 3.0

Totale 100 100 100.1 100 100.1

Nord OrientaleLatte e derivati 20.6 35.9 12.3 2.6 42.7Carne e salumi 14.0 14.7 15.4 6.4 11.9Oli e grassi 49.8 32.9 58.1 78.1 26.7Prodotti da forno 11.7 12.7 10.6 9.7 16.3Altri alimenti 4.0 3.8 3.7 3.3 2.4

Totale 100.1 100 100.1 100.1 100

Lo studio in oggetto ha evidenziato inoltre (Tabella 3.4) che, a livello nazionale, il contributo calorico dei lipidi è pari al 31.4% del totale

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dell’energia assunta quotidianamente con la dieta (32 % nelle regioni del Nord-Est), che corrisponde a 94.4g/capite/die (100.9 g/capite/die per il Nord-Est). Tale quota di lipidi totali è così frazionata: 10.6 % di acidi grassi saturi (11.8 % al Nord-Est), 13.2 % di acidi grassi monoinsaturi, di cui 10.6 % di acido oleico (11.5 % e 9.1 %, rispettivamente, per il Nord-Est), 6.0 % di acidi grassi polinsaturi (5.1 % per il Nord-Est) e 0.5 % di acidi grassi trans (0.6 % per il Nord-Est).

Tabella 3.4 - Stima dell’ingestione di lipidi totali ed acidi grassi in Italia. Diete riferite all’intero territorio nazionale ed all’area geografiche di Nord-Est (modificata da Pizzoferrato et al, 1999)

Tipo di dieta Lipidi tot Saturi Monoinsaturi Polinsaturi Trans cis cis (tot)

Nazionaleg/capite/die 96.4 32.5 40.6 15.5 1.6% Energia tot 31.4 10.6 13.2 5.1 0.5

Nord Orientaleg/capite/die 100.9 37.1 36.5 18.9 1.9% Energia tot 32.0 11.8 11.5 6.0 0.6

Sulla base di questi dati è possibile fare un confronto tra le quantità medie di lipidi totali ed acidi grassi assunti con la dieta e quelle raccomandate dai LARN (Livelli di Assunzione Raccomandati di Energia e Nutrienti) per la popolazione italiana (LARN, 1996). I LARN infatti stabiliscono che l’apporto lipidico corretto è da considerarsi il seguente:• 35-40 % dell’energia totale fino al secondo anno di vita,• 30 % fino all’adolescenza• 25 % nell’età adulta.

Nel dettaglio, e riferendosi alla sola popolazione adulta, la quota di acidi grassi saturi non dovrebbe superare il 10 % delle calorie totali, mentre la rimanente quota dovrebbe essere coperta dai mono e dai polinsaturi: per questi ultimi, la quota complessiva di AGE non deve superare il 4-6% delle calorie totali della dieta e deve essere accompa-gnata da quote significative di tocoferoli o altri antiossidanti. Infine, sempre secondo i LARN, la quota di acidi grassi trans non dovrebbe superare i 5g/die.

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Osservando la tabella 3.4 appare evidente che l’energia derivante dall’assunzione di lipidi nella dieta (31-32 %) è superiore a quella raccomandata dai LARN per la popolazione adulta (25 %). Inoltre esiste ancora uno squilibrio tra acidi grassi saturi ed acidi grassi polinsaturi. Fortunatamente, bassa e lontana dal limite posto dai LARN (5 g/die) è invece la quantità di acidi grassi trans, indice di un uso non eccessivo di grassi idrogenati o di alimenti che li contengono. Come è noto gli acidi trans possono essere naturalmente contenuti nel burro o formarsi in seguito ai processi di idrogenazione dei grassi vegetali.Pertanto, per coprire correttamente i fabbisogni nutrizionali di lipidi, si consiglia che i 2/3 della quota lipidica sia di origine vegetale, mentre il rimanente (1/3) di origine animale. Tale suddivisione è giustificata dal fatto che, come noto, gli acidi grassi saturi prevalgono nel mondo animale e gli insaturi si trovano prevalentemente nel regno vegetale. Vanno però ricordate alcune importanti eccezioni, come i grassi provenienti da animali marini, prevalentemente composti da acidi grassi polinsaturi, e i grassi estratti da piante di origine tropicale, come il cocco ed il palma, prevalentemente composti da acidi grassi saturi.Inoltre, un’eccessiva assunzione di AGE può provocare danni di tipo metabolico e funzionale. Questo spiega la necessità di un’adeguata assunzione di tocoferoli e di altri antiossidanti al fine di contrastarne i loro effetti indesiderati. Per questo motivo i LARN stimano un fabbisogno complessivo di tocoferolo, sulla base del rapporto tocoferolo/acidi grassi polinsaturi, pari a 0.4. Pertanto, l’apporto di tocoferolo, per la popolazione adulta, non deve essere comunque inferiore a 3 mg/die per le donne e a 4 mg/die per i maschi.

I lipidi nell’organismo

I lipidi di origine alimentare giungono nell’organismo sotto forme diverse e solitamente si trovano in alimenti complessi. Ad eccezione degli oli infatti, tutte le altre fonti lipidiche contengono, in percentuali variabili, anche gli altri macronutrienti (proteine e carboidrati) che rendono la digestione di queste molecole, di per sé già più complessa delle altre, più lunga.I grassi, una volta ingeriti, vengono ridotti in forma di piccole goccioline grazie all’azione emulsionante dei sali biliari. In questo modo essi possono essere attaccati dagli enzimi prodotti dal pancreas,

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la lipasi pancreatica (scompone i grassi in acidi grassi e glicerolo) e la colesteroloesterasi (rilascia il colesterolo libero). Per essere assorbiti i grassi devono formare specifiche strutture: gli acidi grassi liberi vengono trasportati dalle albumine, gli altri (trigliceridi, fosfolipidi e colesterolo) formano le lipoproteine plasmatiche che, attraverso il dotto toracico, entrano nella circolazione sanguigna.Esistono quattro diversi tipi di lipoproteine:1) Chilomicroni: sono le lipoproteine meno dense (80-90% triglice-

ridi, 10-15% fosfolipidi e colesterolo esterificato, 1-2% proteine). Esse trasportano i lipidi alimentari ai tessuti, dove vengono scisse da un enzima specifico con conseguente formazione di acidi gras-si e colesterolo.

2) VLDL o lipoproteine a bassissima densità (50-79% trigliceridi, 12% colesterolo esterificato, 7-1% proteine): vengono sintetizzate dal fegato e servono per trasportare i trigliceridi dal fegato al tessuto adiposo.

3) LDL o lipoproteine a bassa densità (20-30% fosfolipidi, 40% cole-sterolo, 25% proteine): trasportano il colesterolo nei tessuti. Esse tuttavia possono depositare il colesterolo sulle pareti delle arterie, risultando così aterogene.

4) HDL o lipoproteine ad alta densità: presentano un’alta percentua-le di proteine (20% fosfolipidi, 20% colesterolo, 40-50% proteine, tracce di trigliceridi), che le rende idonee a raccogliere il coleste-rolo presente in eccesso nei tessuti periferici, e convogliarlo al fegato dove viene eliminato. Rappresentano una forma di difesa dell’organismo nei confronti dell’aterosclerosi.

La digestione dei grassi termina a livello epatico, dove vengono eliminati gli eccessi di colesterolo e si ha l’utilizzo degli acidi grassi che arrivano in forma libera se a catena corta o legati a chilomicroni se a lunga catena. A livello epatico, inoltre, si ha anche la sintesi di trigliceridi, fosfolipidi e colesterolo da composti non lipidici, che ven-gono successivamente inviati in circolo attraverso le lipoproteine. A livello cellulare infine avviene la biosintesi di acidi grassi e molecole complesse. Va notato che il colesterolo viene sintetizzato non solo nel fegato, ma anche nelle gonadi, nella corteccia surrenale e nel reticolo endoplasmatico cellulare. La regolazione del metabolismo lipidico di-pende da vari fattori e principalmente dalla composizione della dieta, dalla secrezione ormonale e dalla produzione di enzimi.

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Lipidi alimentari e patologie

Obesità e soprappeso

Numerosi studi epidemiologici condotti sia sugli animali che sull’uomo hanno evidenziato che esiste un’associazione diretta tra sovrappeso, obesità e numerose patologie (WHO, 2003). Secondo questi studi l’eziologia nutrizionale dell’obesità è da ricercare non solo nell’eccessiva assunzione di calorie ma anche nelle caratteristiche qualitative della dieta. Infatti, a parità di calorie assunte, le diete iperlipidiche contribuirebbero in maniera maggiore all’obesità rispetto a quelle iperglucidiche.

Sviluppo fisico e cerebrale

Esiste un’ampia documentazione sperimentale, epidemiologica e clinica sui danni nello sviluppo cerebrale e psichico in caso di carenza di acidi grassi polinsaturi. Tali condizioni peraltro rare nel mondo occidentale ed in Italia, sono ancora frequenti nei Paesi in via di sviluppo. Queste patologie da carenza sono facilmente evitabili con l’allattamento al seno, con l’uso delle più comuni formule sostitutive del latte materno (ad esempio latte in polvere umanizzato) e con la dieta usualmente suggerita in fase di svezzamento.

Malattie cardiovascolari

Nel corso degli ultimi 40 anni lo studio delle relazioni tra grassi alimentari e salute, e più specificatamente tra grassi alimentari e patologie, è stato focalizzato prevalentemente al problema dell’arterioclerosi, delle malattie cardiovascolari e della cardiopatia coronaria. Le relazioni tra grassi e accidenti cerebrovascolari (ictus) sono meno chiare e consistenti ma, entro certi limiti, le conclusioni sono simili.Tra i principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari troviamo la presenza di elevate quantità di LDL e di basse quantità di HDL contemporaneamente a livelli elevati di trigliceridi ematici. La maggior parte degli studi che sono stati compiuti finora hanno

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evidenziato che i livelli di LDL possono essere significativamente aumentati dalla presenza nella dieta di acidi grassi saturi e trans, mentre possono essere diminuiti dalla presenza di acidi grassi mono e polinsaturi. Il livello delle HDL, invece, può essere abbassato dalla sola presenza di acidi grassi trans, che sono anche in grado di aumentare i livelli di trigliceridemia a digiuno. Gli acidi grassi saturi, in particolare gli acidi grassi laurico, miristico e palmitico, agiscono in modo tale da favorire l’accumulo di placche ateromatose, divenendo di fatto uno dei principali fattori di rischio per l’aterosclerosi.Per quanto riguarda il ruolo degli acidi grassi monoinsaturi sulle lipoproteine, esso sembra neutrale o al più in grado di aumentare i livelli di HDL, con azione ipocolesterolemizzante. Infatti, le popolazioni che usano olio di oliva come grasso di base della loro alimentazione sembrano essere protette dalla cardiopatia coronaria. E’ stato dimostrato che gli acidi grassi polinsaturi, ed in particolare l’acido linoleico, svolgono un ruolo ipocolesterolemizzante, favoriscono il rallentamento della progressione dell’arteriosclerosi e giocano un ruolo protettivo per il muscolo cardiaco contro l’ischemia. Gli acidi grassi polinsaturi però possono essere dannosi se assunti in dosi elevate ed in presenza di scarse quantità di sostanze antiossidante, poiché in questo modo si favorisce la formazione di perossidi e la produzione di radicali liberi.

Tumori

Diversi studi internazionali hanno mostrato una stretta relazione tra energia (o introito calorico) ed alcuni tumori (ad esempio tumore alla mammella e tumori dell’apparato digerente), mentre i vari gradi di sovrappeso e la vera e propria obesità sono, per sé, associati ai tumori del corpo dell’utero, della prostata, e della mammella. Per questo motivo lo studio delle relazioni tra i tumori ed i componenti alimentari in grado di fornire energia all’organismo sono costantemente oggetto di studio e di attenzione da parte della comunità scientifica internazionale (WHO, 2003).L’osservazione che diete ipercaloriche possono favorire la comparsa di alcune patologie tumorali non consente tuttavia di accusare, tout court, i grassi, di avere effetti cancerogeni. E’ infatti molto difficile valutare gli effetti sulla salute di singole classi di nutrienti isolandoli dall’influenza di altre variabili, legate non solo alla complessità di composizione degli alimenti, ma anche ai diversi stili di vita. Questo consente di spiegare

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come studi epidemiologici condotti in paesi diversi portino spesso a risultati controversi. Infatti, gli studi condotti nel Nord America hanno evidenziato un ruolo negativo dei lipidi nei confronti delle patologie tumorali, mentre analoghi studi condotti in Grecia, Spagna ed Italia hanno indicato un certo ruolo protettivo, ma solo quando i lipidi sono di origine vegetale (ad esempio nel caso del tumore della mammella e del colon retto). Questi risultati apparentemente contrastanti possono essere messi in relazione ad un consumo qualitativamente diverso dei grassi. Infatti, nel caso dei paesi dell’area mediterranea, la principale fonte di lipidi nella dieta è costituita dall’olio di oliva, utilizzato prevalentemente come condimento, al quale risulta associato un consumo relativamente elevato di vegetali. Al contrario, nei Paesi Nord europei ed in nord America si consumano maggiormente i grassi saturi, sia di origine animale che vegetale. In altre parole, la dieta del Sud Europa risulta caratterizzata da elevati consumi di grassi che contengono significative quantità di acidi grassi monoinsaturi, più digeribili, meno ossidabili, e soprattutto ricchi di sostanze antiossidanti come ad esempio la vitamina E e i composti fenolici.

Modificazioni dei grassi causate dai trattamenti termici e aspetti nutrizionali

Come è già stato ampiamente ricordato, l’ossidazione dei grassi è un fenomeno frequente che costituisce spesso la principale causa di alterazione di molti alimenti tra cui i prodotti da forno. Le reazioni di ossidazione infatti possono essere accelerate da trattamenti termici quali cottura, frittura, tostatura, pastorizzazione e sterilizzazione. Perfino alle temperature di congelamento il fenomeno dell’ossidazione lipidica procede a velocità non trascurabili, costituendo spesso la causa di scadimento qualitativo dei prodotti da forno surgelati. Oltre a conferire al prodotto caratteristiche sensoriali indesiderate, le reazioni di ossidazione causano un peggioramento complessivo della qualità nutrizionale dell’alimento. Questo è dovuto alla riduzione del contenuto di sostanze “utili” (vitamine, acidi grassi essenziali) ed alla comparsa di sostanze più propriamente tossiche, dai perossidi agli idroperossidi fino a sostanze complesse che si formano nelle fasi finali dei processi di ossidazione. Gli effetti tossici di queste sostanze possono interessare l’apparato cardiocircolatorio, l’apparato digerente,

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il fegato ed il rene, dove si accumulano. Allo stato attuale degli studi, la presenza di sostanze ad azione cancerogena direttamente formate dalla degradazione termo-ossidativa dei grassi non è stata ancora adeguatamente quantificata. Non è quindi possibile una valutazione ampia della loro assunzione nell’ambito di studi epidemiologici sulla popolazione mentre, al contrario, la presenza di sostanze ad elevata azione antiossidante e anti-mutagena nell’olio di oliva, soprattutto se extravergine, si è dimostrata in grado di diminuire la quantità di ammine eterocicliche, sostanze ad azione mutagena e cancerogena, prodotte durante i trattamenti di frittura di alimenti a base di carne.

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- Reg CEE 2081/92 del 17 luglio 1992. Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L 73 del 24/7/1992.

- Reg CEE 2082 del 24 luglio1992, Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L 208 del 30/7/1992.

- Reg CEE 2568/91 dell’11 luglio 1991, relativo alle caratteristiche degli oli d’oliva e degli oli di sansa d’oliva nonché ai metodi ad essi attinenti, Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L 248 del 5/9/1991.

- Robertson G.L. Food Packaging. Principles and practice. Marcel Dek-ker, New York, 1993.

- Souci-Fachmann-Kraut. Online Database. Food Composition and Nutrition Tables. 6° recidierte und erganzt Auflage. MedPharm Scient-ific Publishers, 2003.

- USDA Nutrient database for Standard Reference, US Department of Agricul-ture, Agricultural Research Service. Release 16. Nutrient Data Laboratory Home Page, htttp://www.nal.usda.gov/fnic/foodcomp, 2003.

- WHO Technical Report Series Diet, Nutrition and the Prevention of Chronic Disease, WHO, Geneva 2003.

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Finito di stampare nel mese di Dicembre 2003