I POETI NELL’ETÀ AUGUSTEA: VIRGILIO, ORAZIO, OVIDIO.
IL CIRCOLO DI MECENATE Ottaviano Augusto sviluppò un’intensa opera di promozione della cultura, migliorando le biblioteche e divenendo il patrono di poeti, oratori e storici, che ricevevano l’aiuto economico necessario per dedicarsi agli studi e alle arti. Di quest’opera si occupò in prima persona Clinio Mecenate: infatti da quel momento per “mecenatismo” s’intende un’opera di promozione e diffusione della cultura da parte del potere politico o dei privati. Gaio Cilnio Mecenate nacque ad Arezzo nel 69 a.C, era di famiglia equestre e volle sempre rimanere tale, nonostante la sua brillante carriera politica. Era un compagno fedele di Ottaviano; infatti fu con lui a Filippi e nel conflitto contro Antonio. Era un uomo colto e strinse attorno a sé letterati alto livello, come Virgilio, Orazio e Ovidio.
PublioVirgilio Marone nacque nel 70 a.C. vicino a Mantova in un villaggio di
nome Andes. Proveniva da una famiglia di agricoltori ma riuscì comunque a
seguire gli studi a Cremona, Milano, Napoli e a Roma dove conobbe molti poeti e
uomini di cultura e si dedicò alla composizione delle sue opere.
A causa delle guerre civili le terre che possedeva furono date ai veterani di guerra,
e grazie al successo delle sue dieci composizioni poetiche chiamate Bucoliche
entrò a far parte del circolo di Mecenate che era alla ricerca dei famosi letterati
dell'epoca.
Il capolavoro di Virgilio però fu l'Eneide sulla quale lavorò per ben undici anni ma
non riuscì a perfezionarla prima della sua morte avvenuta a Brindisi nel 19 a.C. di
ritorno dalla Grecia. Augusto però decise comunque di pubblicare l'opera così
come l'aveva lasciata.
Quinto Orazio Flacco nacque a Venosa nel 65 a.C. da una
famiglia di umili origini ma di buona condizione economica. Svolse i suoi studi ad Atene e si appassionò
alla filosofia epicurea. Il poeta espresse la sua gratitudine verso il padre in un tributo nelle Satire. Quando
scoppiò la guerra civile Orazio si arruolò nell'esercito di Augusto. Nel 41 a.C. tornò in Italia grazie a
un'amnistia e, appresa la notizia della confisca del podere paterno, si mantenne divenendo segretario di un
questore. In questo periodo cominciò a scrivere versi che iniziarono a dargli una certa fama e nel 38 a.C.
Mecenate lo ammise nel suo circolo. Da allora Orazio si dedicò interamente alla letteratura, non si sposò
mai e non ebbe figli. Mecenate gli donò nel 33 a.C. un piccolo possedimento in Sabina. Con la sua poesia
fece spesso azioni di propaganda per l'imperatore Augusto. Esempi di propaganda augustea sono alcune
Odi e il Carmen saeculare, composto nel 17 a.C. in occasione della ricorrenza dei Ludi Saeculares.
Orazio morì nel novembre dell'8 a. C. all'età di 57 anni e fu sepolto sul colle Esquilino, accanto al suo amico Mecenate, morto solo due mesi prima.
Publio Ovidio Nasone nasce il 20 marzo del 43 a.C. a Sulmona da una famiglia
facoltosa. A 12 anni si reca a Roma con il fratello Lucio, poi morto prematuramente,
per completare gli studi.
Frequenta le lezioni di grammatica e retorica dei più insigni maestri della capitale, in
particolare Marco Aurelio Fusco e Marco Porcio Latrone. Il padre lo vorrebbe
oratore, ma Ovidio si sente già più portato per la poesia. Più tardi Ovidio si reca,
com'era costume ormai da un secolo, ad Atene, visitando durante il viaggio di ritorno
le città dell'Asia Minore; va anche in Egitto e per un anno soggiorna in Sicilia. La
sua fama è legata soprattutto grazie alle Metamorfosi (un vasto poema di quindici
libri) dove ripercorre tutti i racconti del mito in cui è presente il tema della
trasformazione e il passaggio da uno stato all’altro. Con le sue opere faceva
propaganda a Augusto come l’Eneide, inserendo la figura del princeps nell’affresco
dei racconti del mito antico. Compose due raccolte di poesie intitolate Amores e Ars amatoria dove
celebra le gioie dell’amore cioè come sedurre un uomo o una donna. Questo tema, però andava contro la
politica di Augusto; per questo motivo fu relegato a Tomi nell’ 8 d.C. dove scrisse “qui sono io il
barbaro”.
LE METAMORFOSI DI OVIDIO E IL MITO DI NARCISO
Ovidio scrisse le Metamorfosi dove raccontava molti miti greci e latini nei quali gli eroi e gli dei si
trasformavano in elementi della natura.
Le Metamorfosi si compongono di quindici libri e iniziano con la narrazione del Caos fino ad arrivare
all’epoca di Augusto.
Le storie di Ovidio sono ricche di dettagli e di dati concreti; infatti Ovidio sapeva che la mitologia non è
reale, ma nonostante ciò lui le diede “un’altra vita”, per creare un nuovo mondo.
Uno dei più noti tra i miti narrati nelle Metamorfosi di Ovidio è quello di Narciso. I protagonisti sono
Narciso (bello e giovane), la Ninfa Eco (la ninfa dei monti) e Tiresia (l’indovino di Tebe).
IL MITO: Narciso nacque da Liriope e da Cefiso (divinità fluviale) il quale la sedusse circondandola con
i suoi corsi d’acqua, così nacque un bellissimo bambino: Narciso.
Liriope preoccupata per suo figlio si consultò con il profeta Tiresia il quale le disse che egli sarebbe
diventato vecchio “se non avesse mai conosciuto se stesso”.
Quando Narciso raggiunse il sedicesimo anno di età, era un giovane di tale bellezza che ogni abitante
della città, uomo o donna, giovane o vecchio, si innamorava di lui, ma Narciso, orgogliosamente, li
respingeva tutti. Un giorno, mentre era a caccia di cervi, la ninfa Eco furtivamente seguì il bel giovane tra
i boschi desiderosa di rivolgergli la parola, ma incapace di parlare per prima perché costretta a ripetere
sempre le ultime parole di ciò che le veniva detto; era stata infatti punita da Giunone perché l'aveva
distratta con dei lunghi racconti mentre le altre ninfe, amanti di Giove, si nascondevano.
Narciso, quando sentì dei passi, gridò: “Chi è là?”, Eco rispose: “Chi è là?” e così continuò, finché Eco
non si mostrò e corse ad abbracciare il bel giovane. Narciso, però, allontanò immediatamente in malo
modo la ninfa dicendole di lasciarlo solo. Eco, con il cuore infranto, trascorse il resto della sua vita in
valli solitarie, gemendo per il suo amore non corrisposto, finché di lei rimase solo la voce.
Nemesi, ascoltando questi lamenti, decise di punire il crudele Narciso. Il ragazzo, mentre era nel bosco, si
imbatté in una pozza profonda e si accucciò su di essa per bere. Non appena vide per la prima volta nella
sua vita la sua immagine riflessa, si innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza
rendersi conto che fosse lui stesso. Solo dopo un po' si accorse che l'immagine riflessa apparteneva a lui
e, comprendendo che non avrebbe mai potuto ottenere quell'amore, si lasciò morire struggendosi
inutilmente; si compiva così la profezia di Tiresia.
Quando le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per collocarlo sul rogo funebre, al suo posto
trovarono un fiore a cui fu dato il nome narciso. Si narra che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume
dei morti, per entrare nell'Oltretomba, si affacciò sulle acque limacciose del fiume, sperando di poter
ammirare ancora una volta il suo riflesso.
L’ENEIDE DI VIRGILIO
Autore: Publio Virgilio Marone (I secolo a.C)
Genere: poema epico (in lingua latina)
Personaggi principali: Enea (eroe troiano), Anchise
(padre di Enea), la Dea Venere (madre di Enea)
Leggenda: la storia di Enea, alla quale Virgilio si
ispirò, era una antica leggenda di fondazione
collegata alla guerra di Troia. Eroi troiani e greci
furono i colonizzatori di località italiche. Durante il
IV e il II secolo a.C si diffuse la leggenda di Enea, eroe troiano figlio di Anchise e della dea Venere, la
cui casata regnò su Troia dopo l’estinzione della stirpe di Priamo.
In seguito divenne popolare la fuga di Enea da Troia in fiamme con il padre Anchise sulle spalle. Il mito
dell’origine Troiana dei Romani ne traeva sostegno: il più nobile eroe troiano scampato alla catastrofe
sarebbe stato connesso per via genealogica a Romolo, il fondatore
della città. Quando Enea parte per il suo viaggio nel mondo dei
morti riceve una profezia riguardo al potere dei suoi imperiali
discendenti. Qui avrà in dono da Vulcano delle armi, tra le quali uno
scudo decorato con le immagini dei personaggi che renderanno
Roma migliore: il primo fu Augusto.
La gens Iulia prende il nome da Iulo, il figlio di Enea; ne fanno
parte Giulio Cesare e più tardi suo nipote e figlio adottivo, Ottaviano
Augusto.
Virgilio aveva già preannunciato nel proemio delle Georgiche di voler celebrare le imprese di Augusto
che aveva portato pace e prosperità a Roma. Con la sua opera l’autore vuole lodare Augusto attraverso il
racconto dei suoi antenati, rappresentandolo come una divinità perché discendente di Enea che era figlio
delle dea Venere. La dea convince Vulcano a creare delle armi per il figlio, tra cui lo scudo dove viene
raffigurata la discendenza futura dal sangue di Ascanio (Iulo per i latini).
LE RES GESTAE DIVI AUGUSTI
L’opera è di estremo interesse storico e ideologico. Si tratta di un testo destinato a essere riprodotto in pubbliche iscrizioni e noto a noi per via epigrafica. Esso era accompagnato da una versione greca. In uno stile asciutto e efficace Augusto dichiara di aver liberato la Repubblica romana dalle minacce degli assassini di Cesare e dalla regina egiziana Cleopatra. Le guerre civili sono riassunte in una “liberazione” dell’Italia dai tiranni e dalle minacce esterne. Il principe pone particolare cura a spiegare che la fonte delle sue cariche è la volontà del senato e del popolo, ed enumera tutti i benefici e i doni distribuiti a Roma e ai cittadini.