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Università degli Studi di Foggia
DOTTORATO DI RICERCA IN
ECONOMIA E DIRITTO DELL'AMBIENTE, DEL TERRITORIO E DEL
PAESAGGIO
CICLO: XXVIII
TITOLO TESI
IL PREZZO DELL’INNOVAZIONE TECNOLOGICA DEGLI ALIMENTI PRONTI
ALL’USO: IL CASO DEI PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI DI QUARTA GAMMA
Presentata da: Dott.ssa Miriam Spalatro
Coordinatore del Dottorato Relatore
Prof. Francesco Contò Prof. Giuseppe Martino Nicoletti
__________________________________ ______________________________________
Esame finale anno 2016
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Abstract
L’innovazione tecnologica ha permesso all’uomo di migliorare la propria vita
e risolvere problemi legati anche alla stessa sopravvivenza. Tuttavia, il
processo di innovazione tecnologica guardato in maniera più critica può
presentare problematiche talvolta anche più insidiose di quelle risolte con il
passo avanti tecnologico compiuto.
L’allevamento intensivo, l’agricoltura intensiva, la coltivazione di prodotti
ortofrutticoli in serra ad esempio rappresentano passi avanti tecnologici che
mentre hanno permesso di accrescere la quantità e la varietà di alimenti
disponibili durante l’anno, a seguito di recenti studi incentrati sulla ricerca
delle vie dello sviluppo sostenibile, è stato ampiamente dimostrato come
vadano in direzioni meno giuste in termini di impatti ambientali.
Conseguenze dannose sempre più tangibili sono state evidenziate negli ultimi
anni nelle abitudini alimentari dei Paesi sviluppati, come il fenomeno dello
spreco alimentare e dell’eccessivo consumo di carne e prodotti caseari;
fenomeni che destano sempre più preoccupazioni in termini ambientali e
sociali. Così mentre la vita di tutti i consumatori sembra migliorare e molti
problemi appaiono risolti, altri ne insorgono portandoci in direzioni meno
accettabili e conducendoci ad un’analisi più critica della innovazione
tecnologica prodotta e adottata.
I prodotti ortofrutticoli di quarta gamma sono l’innovazione tecnologica sui
cui è incentrata l’analisi condotta in questo studio. La quarta gamma
rappresenta un segmento di mercato sviluppatosi negli ultimi decenni nel
settore della frutta e verdura che ha permesso di compiere molti passi avanti
ai consumatori; mettendo a loro disposizione prodotti pronti all’uso con un
elevato contenuto di servizio come le praticità nell’utilizzo, le maggiore
sicurezza in termini di igiene, più varietà di scelta. Ma, allo stesso tempo,
l’innovazione della quarta gamma ha introdotto nel mercato prodotti che, per
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soddisfare le sempre più spinte esigenze dei consumatori e della grande
distribuzione – che si fa interprete “minuziosa” delle esigenze di consumo -
mostrano evidenti limiti a livello ambientale. Limiti legati allo spreco
alimentare (circa il 50% del prodotto che giunge negli stabilimenti produttivi
e gettato via per garantire gli “elevatissimi standard qualitativi di mercato”),
al trasporto (approvvigionamento della materia prima realizzato su mercati
esteri nonostante la presenza di prodotto nazionale e locale buono, sano e
economico), d’imballaggio (primario, secondario e terziario usato per
garantire l’integrità nel trasporto e la freschezza di un prodotto
relativamente leggero, ingombrante, spesso dal bassissimo apporto nutritivo
e deperibile), la conservazione (il rigido rispetto della catena del freddo dal
campo alla tavola).
Metodo
Questo studio, pertanto, si è focalizzato sull’analisi e la valutazione delle
performance ambientali di una busta di insalata iceberg di quarta gamma
(prodotto ortofrutticolo leader di mercato nel settore insalate) realizzata da
un’azienda multinazionale ubicata nel Sud Italia e venduta in Puglia,
paragonandole con le performance ambientali di un prodotto tradizionale
coltivato a livello locale sempre in Puglia. La metodologia applicata è stata
l’LCA, l’analisi è stata condotta seguendo la normative ISO 14040 e 14044,
l’ILCD Handbook (EC - JRC - Institute for Environment and Sustainability,
2010) e le “Guidelines for the implementation of the PEF”.
Risultati e discussione
Dai risultati si evince che la fase di coltivazione dell’insalata iceberg
contribuisce pesantemente agli impatti ambientali totali, sia del prodotto a
chilometro zero ma in particolare a quello di quarta gamma. In tutte le
categorie esaminate tale fase, infatti, apporta il maggior contributo a causa,
principalmente, dell’energia elettrica impiegata nell’irrigazione, e delle
emissioni dei fertilizzanti. In questa fase pesano negativamente anche le
perdite in campo. Il processo di trasformazione di quarta gamma
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rappresenta, dopo la fase agricola, il principale hot spot lungo il ciclo di vita
del prodotto pronto all’uso. Ciò è riconducibile principalmente all’impiego di
energia elettrica durante tutte le operazioni di questa fase. I trasporti,
sempre nel prodotto pronto all’uso, risultano impattanti, sebbene in misura
inferiore rispetto alla fase di coltivazione e trasformazione. Un contributo
seppur modesto è dato dalla fase di packaging.
Conclusioni
Dall’analisi e dalle valutazioni condotte nel corso dello studio è emerso uno
scenario di produzione molto articolato relativamente al settore quarta
gamma, nonostante i relativi prodotti sino definiti comunemente
“minimamente processati”. L’unità funzionale analizzata durante il suo ciclo
di vita è coinvolta in un sistematico processo di “sprechi alimentari”, e questo
dal campo sino alla tavola.
I miglioramenti ipotizzabili pertanto dovrebbero essere orientati alla
riduzione degli scarti e dei consumi energetici (maggior impatto rilevato),
anche se si ritiene fisiologico che la trasformazione di quarta gamma includa
delle perdite lungo il suo iter.
Inoltre, un aspetto fondamentale che fa riflettere in merito alla sostenibilità
del prodotto analizzato e il rapporto tra i suoi impatti ambientali e il suo
contributo nutritivo. Essendo l’insalata iceberg composta da circa il 95% di
acqua, questa apporta ben pochi elementi a una dieta dal punto di vista
nutrizionale e pertanto il suo contributo alla dieta stessa andrebbe ripensato
nell’equilibrio di un paniere di alimenti che contemplino elementi di
sostenibilità e non solo elementi nutrizionali.
Keywords
LCA; Life Cycle Assessment; technological innovation; iceberg lettuce; fresh-
cut salad; minimally processed; ready to use; ready to eat; fourth range
product; laitue iceberg; lactuca sativa; head lettuce.
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INDICE
INDICE ..............................................................................................................................6
INTRODUZIONE .............................................................................................................8
I PRODOTTI VEGETALI DI QUARTA GAMMA .................................................... 14 Definizione di quarta gamma ........................................................................................ 14
Insalate e lattughe ........................................................................................................................ 22 La storia ................................................................................................................................ 25 La produzione ..................................................................................................................... 27 La conservazione ............................................................................................................... 32 Il consumo ............................................................................................................................ 34 Il mercato mondiale ......................................................................................................... 40 Il mercato europeo ........................................................................................................... 46 Il mercato italiano ............................................................................................................. 53
La nuova normativa vigente in Italia .................................................................................... 65 Lo sviluppo del settore in Italia ............................................................................................... 66
Quarta gamma e innovazione tecnologica ............................................................... 70 Requisiti dei prodotti di quarta gamma ............................................................................... 71 Prodotti di quarta gamma e fase agricola .......................................................................... 74 La coltivazione delle lattuga iceberg ..................................................................................... 80 Colture fuori suolo ........................................................................................................................ 80 Prodotti di quarta gamma e fase industriale ..................................................................... 83
ASPETTI AMBIENTALI SIGNIFICATIVI DELLA PRODUZIONE DI FRUTTA E VERDURA DI QUARTA GAMMA ............................................................................. 88
Il trasporto ........................................................................................................................... 90 Il consumo di energia ....................................................................................................... 95 L’utilizzo di acqua .............................................................................................................. 96
L’utilizzo di acqua nel settore dei prodotti di quarta gamma...................................... 99 L’imballaggio e la conservazione ............................................................................... 101
Definizione e classificazione degli imballaggi alimentari .......................................... 102 Imballaggio primario ............................................................................................................... 104 Imballaggio secondario e terziario ..................................................................................... 105 L’atmosfera modificata............................................................................................................ 106 Uso di additivi .............................................................................................................................. 107 Imballaggio e sostenibilità ..................................................................................................... 107
Spreco alimentare ........................................................................................................... 112 Sostenibilità socioeconomica ...................................................................................... 119
IL CALCOLO DEGLI IMPATTI AMBIENTALI .................................................... 122 L’LCA in sintesi ................................................................................................................. 122
La metodologia LCA .................................................................................................................. 124 Definizione degli scopi e degli obiettivi .............................................................................. 127 L’analisi dell’inventario ........................................................................................................... 130 La valutazione degli impatti .................................................................................................. 132 Interpretazione e miglioramento ........................................................................................ 135 LCA dei prodotti agroalimentari .......................................................................................... 136
Caso studio ......................................................................................................................... 141 La fase industriale in un’azienda di rilievo nazionale .................................................. 141 Produzione a Km zero .............................................................................................................. 146
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Obiettivo e scopo dell’analisi ................................................................................................. 148 Inventario ..................................................................................................................................... 150 Data Quality ................................................................................................................................. 151 Risultati e discussione .............................................................................................................. 153
CONCLUSIONI ........................................................................................................... 155
BIBLIOGRAFIA ......................................................................................................... 157
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INTRODUZIONE
Il cibo si trova in corrispondenza di un intreccio particolarmente complesso
di continuità e trasformazione caratteristico delle società industriali
contemporanee. Alcune tendenze comuni riscontrabili a livello mondiale
hanno introdotto profondi cambiamenti negli stili alimentari, orientando le
scelte di consumo in maniera più o meno auspicabile per il benessere della
collettività:
pensiamo in primo luogo al fenomeno dell’urbanizzazione, che per
soddisfare i bisogni alimentari della popolazione residente nelle città
ha determinato il progressivo allungamento della filiera
agroalimentare. Accrescendosi la distanza tra il luogo di produzione e
quello in cui avviene il consumo finale si crea, di fatto, la necessità di
trasportare il cibo per maggiori distanze, con l’esigenza di migliorare
le infrastrutture di trasporto, immagazzinamento e vendita per
evitare perdite aggiuntive;
il secondo elemento è il cambiamento della composizione della
dieta alimentare, generata all’aumento del reddito disponibile.
Questo fenomeno, evidente in particolare nelle economie emergenti -
ma in gran parte “emerse”, come Brasile, Russia, India e Cina - implica
che al posto di alimenti a base amidacea si tende a privilegiare
maggiormente la carne, il pesce e i prodotti freschi, quali frutta e
verdura, tutti più deperibili;
il terzo elemento è costituito dalla crescente globalizzazione del
commercio e la rapida diffusione della Grande distribuzione
organizzata (GDO) in molti Paesi emergenti. I supermercati sono
diventati l’intermediario dominante tra i coltivatori e i consumatori,
sostituendo i dettaglianti in molti Paesi dell’Africa, dell’Asia e del Sud
America, consentendo una più ampia diversificazione della dieta e
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l’imposizione di requisiti merceologici rigidi e condizionanti le
abitudini di consumo e gli schemi di produzione.
Inoltre il cibo incorpora sempre di più in se una fetta di valore aggiunto, dato
dalla differenza fra il suo potere nutritivo e la sua funzione “non alimentare”,
in cui è compresa la parte di sogno, di simbolo, di potere socializzante e di
comodità che veicola. Nell’insieme, questa parte di valore è anche superiore a
quella nutritiva, sia in termini di percezione (e quindi preferenza) di chi
consuma, sia di costi che compongono il prezzo finale del bene (Baroni, M.R.,
2010).
Il cibo è divenuto quindi una unità inscindibile di materia commestibile,
packaging e servizio che contribuiscono tutte al successo del consumo di un
alimento.
Consumo che non è più solo il risultato della mera azione di “nutrimento” ma
un processo più complesso di percezioni che compongono l’esperienza
alimentare legate anche ad aspetti coreografici o di facilità d’uso che rendono
gradevole l’esperienza del consumo stesso. Aspetti che spingono a guardare
al valore emozionale, quindi “non nutrizionale” degli alimenti, e di progettare
tutto quello che c’è “attorno al cibo”. Anche se a seguito della crisi economica
questi trend si sono affievoliti, “i consumi dei prodotti alimentari evidenziano
ormai alcune tendenze consolidate che possono riassumersi, da un lato, nella
costante riduzione della quota di spesa destinata all’alimentazione e,
dall’altro, nel sostanziale cambiamento della loro composizione tipologica
che premia prevalentemente i prodotti a maggior valore aggiunto
caratterizzati da un più elevato contenuto di qualità e di innovatività” (Ismea
2006). Investiti da un processo continuo di “arricchimento”, i prodotti
alimentari risultano concepiti, sempre più, secondo l’ottica integrata di
prodotto-servizio; rappresentano la declinazione di un nuovo concept
alimentare destinato ad assolvere alla più evoluta e complessa funzione d’uso
meal solution (soluzione per il pranzo) piuttosto che alla funzione d’uso
tradizionale di semplice ingrediente o componente di un pasto (Stampacchia
et al., 2008).
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Secondo tale approccio il consumo viene visto come esperienza “olistica” del
cliente, frutto dell’integrazione di esperienze sensoriali (sense), affettive
(feel), cognitive (think), comportamentali (act) e sociali (Schmitt, 1999), nella
quale sono coinvolti molti aspetti differenti del suo essere in quanto
individuo e del suo contesto socio-cultuale. L’attenzione si sposta dall'analisi
dei singoli atti di acquisto e dei processi decisionali che ne guidano le scelte
(Bettman et al., 1988 ) all’analisi della dimensione esperienziale del consumo
e del contesto generale entro cui esso si realizza.
Oggi, la domanda dei consumatori è una forza trainante della produzione
agricola e l'industria agro-alimentare. I consumatori chiedono una gamma
sempre più varia di alimenti di alta qualità con la garanzia della sicurezza
alimentare, e allo stesso tempo, essi richiedono che il cibo deve essere
semplice e veloce da preparare (Duquesne et al., 2005). Quando compriamo
una busta di insalata di quarta gamma – che siamo disposti a pagare anche
cinque, sei, sette volte di più il prezzo di mercato di un prodotto
ortofrutticolo tradizionale – oltre a comprare il prodotto di per se compriamo
a tutti gli effetti anche del “tempo”; il tempo necessario per lavarla, tagliarla e
asciugarla, perché qualcuno ci ha già pensato per noi.
Il problema è che quella che a prima vista sembra un’operazione facile in
effetti non lo è. Perché quando si taglia un’insalata si tagliano i suoi tessuti e
questi diventano più fragili e più esposti ai batteri. Batteri che possono essere
quelli presenti nel terreno, o nell’acqua di lavaggio, o anche sugli strumenti
usati per lavarla. Per evitalo allora bisogna controllare con la massima
attenzione tutta la filiera produttiva: da quando l’insalata viene coltivata sino
a quando la busta viene sigillata.
Le insalate, una volta considerate un alimento povero, sono oggi un alimento
pregiatissimo, perché saziano fornendo poche calorie e molte fibre e micro-
nutrienti (antiossidanti, sali minerali). Per mantenerci in salute dovremmo
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mangiare ogni giorno cinque porzioni di frutta e verdura; l’Organizzazione
Mondiale della Sanità ci dice almeno 400 grammi al giorno. Tuttavia, queste
raccomandazioni non sempre sono seguite perché non abbiamo il tempo
materiale per pulire questi prodotti; i ritmi di vita frenetici, la maggiore
partecipazione delle donne alla vita lavorativa, la più alta ricerca del tempo
libero ci spingono a dedicare meno tempo alla preparazione dei pasti. È
questo il motivo per cui le vendite di alimenti come banane, clementine,
pomodori ciliegino e insalate in busta crescono, proprio perché sono la frutta
e la verdura che ci serve per stare bene che allo stesso tempo è veloce da
pulire. Quindi quando compriamo insalata in busta oltre il tempo compriamo
anche “salute”.
A tutte queste esigenze e queste forze di mercato che sostengono e
incrementano sempre più il mercato mondiale dei prodotti ortofrutticoli di
quarta gamma, bisogna tener presente che alcuni rilevanti cambiamenti nel
sistema economico (minore disponibilità di materie prime e aumento del loro
costo), nuovi aspetti normativi (principio di responsabilità del produttore,
eco-tasse e eco-incentivi) e l’aumento della sensibilità sociale dei
consumatori verso le problematiche ambientali spingono sempre di più
l’innovazione di prodotto verso una integrazione dei requisiti ambientali
nella progettazione del cibo e di ciò che gli sta attorno.
Innovare sulla strada della sostenibilità, prevedendo cioè un minor
consumo di risorse, produzione di rifiuti e di emissioni, è ormai una necessità
imprescindibile nella moderna economia globalizzata. E, proprio la
produzione e il consumo di cibo rappresentano una grande parte dell'impatto
ambientale totale legato alle attività umane (Baldwin, 2009), diventa
pertanto importante valutare la sostenibilità dei prodotti alimentari. I
benefici generati dalle pratiche di sostenibilità sono importanti dal punto di
vista sociale e ambientale a livello globale. Ma non basta, la valenza può
ritenersi oggi anche economica, poiché i vantaggi delle pratiche sostenibili
comprendono costi più bassi di produzione, miglioramento della funzione e
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della qualità dei prodotti, aumento della quota di mercato, miglioramento
delle prestazioni ambientali, il miglioramento delle relazioni con gli
stakeholder, e minori rischi. Il World Business Council for Sustainable
Development ha scoperto anche che le imprese che incorporano pratiche
sostenibili hanno avuto maggiore successo finanziario (WBCSD, 2002).
La quarta gamma rappresenta, per i prodotti ortofrutticoli, uno dei grossi
passi avanti in termini di “innovazione tecnologica” (secondo Treccani,
l'attività deliberata delle imprese e delle istituzioni tesa a introdurre nuovi
prodotti e servizi, nonché nuovi metodi per produrli, distribuirli e usarli).
Non a caso, nei pesi industrializzati i prodotti di quarta gamma sono uno dei
principali segmenti di crescita negli stabilimenti produttivi dell'industria
alimentare al dettaglio (Soliva-Fortuny e Martin-Belloso, 2003).
L’innovazione ha fatto si che i prodotti di quarta gamma grazie alle
caratteristiche apprezzate dai consumatori, quali la “freschezza” e “praticità
di impiego” e un’implicita “garanzia di sicurezza”, rappresentino oggi
un’importante quota di mercato dei vegetali nei Paesi sviluppati, quota
destinata a crescere nel tempo. Inoltre, sempre più il consumatore vuole
“conoscere” i prodotti che acquista: luogo di provenienza, materie prime che
li costituiscono, impatto ambientale, sono alla base del “consumo
consapevole”.
Tra i prodotti di quarta gamma queste considerazioni valgono in particolar
modo per la lattuga. La lattuga di quarta gamma, rappresenta oltre l'80%
della produzione totale di prodotti di quarta gamma, ed è stata una delle
commodities più altamente richieste dai fast food e dai salad bar negli ultimi
dieci anni (Beltran et al. 2015). Le insalate, inoltre, sono un alimento
condizionato anche dalla stagionalità. Sempre più il mercato dei prodotti
ortofrutticoli nei Paesi industrializzati si spinge verso un’offerta di prodotti
che non tiene conto della stagionalità e che si realizza nel corso dell’intero
anno. Aspetto, quello della stagionalità, molto dibattuto dal punto di vista
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della sostenibilità di disporre di un prodotto ortofrutticolo lungo l’intero arco
dell’anno. Un’analisi comparativa di differenti catene di fornitura ha indicato
che la stagionalità può essere una variabile importante nella definizione della
migliore scelta realizzata da un punto di vista ambientale (Hospido et al.,
2009).
I prodotti di quarta gamma, ancor più, rappresentando prodotti ortofrutticoli
lavorati e arricchiti di servizio (aspetti che implicano un consumo di risorse
ulteriore rispetto ai prodotti ortofrutticoli tradizionali di prima gamma)
necessitano di uno studio attento per comprendere il loro consumo di
risorse, il loro impatto ambientale e le conseguenze del loro eventuale
spreco. Questo lavoro, pertanto, si propone di analizzare e valutare il ciclo di
vita dei vegetali di quarta gamma - o “pronti all’uso” - partendo dal campo
fino alla tavola dei consumatori, al fine di valutarne la sostenibilità. Come
riferimento è stata presa una busta di insalata iceberg da 200 gr seguita in
tutto il suo ciclo di vita per individuare la fasi più critiche dal punto di vista
ambientale, in maniera da poter offrire anche dei suggerimenti per gli
stakeholder sui possibili miglioramenti realizzabili.
In merito a queste considerazioni il seguente lavoro esplora le seguenti
questioni, rispondendo alla relative domande: qual è l’impatto ambientale di
una busta di insalata iceberg di quarta gamma da 200 gr fornita a un
consumatore Italiano residente in Puglia? Quali sono le attività che
maggiormente contribuiscono a determinare l’impatto ambientale di questa
busta d’insalata iceberg? Qual è l’impatto ambientale della stessa quantità di
insalata iceberg tradizionale (di prima gamma) prodotta a kilometro zero?
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I PRODOTTI VEGETALI DI QUARTA GAMMA
Definizione di quarta gamma
In genere sono definiti prodotti di quarta gamma “la frutta e gli ortaggi che
dopo la mondatura e la cernita sono puliti, lavati, tagliati, eventualmente
sbucciati, asciugati, dosati, confezionati in sacchetti di plastica o in vaschette
e venduti come prodotti freschi pronti all’uso”.
Secondo IFPA (International Fresh-cut Produce Association) sono definiti
come “qualsiasi frutta fresca o verdura o combinazione di queste fisicamente
alterate nella loro forma originale, ma rimanendo allo stato fresco. Questa
frutta e verdura è stati rifilata, pelata, lavata e tagliata in prodotto utilizzabile
al 100% che viene imbustato o preconfezionati in modo da offrire ai
consumatori alta nutrizione, convenienza e valore, pur mantenendo la
freschezza”.
Secondo l’AIIPA (Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari) “sono
prodotti di quarta gamma le verdure e gli ortofrutticoli freschi che, dopo la
raccolta, sono sottoposti a processi tecnologici di minima entità finalizzati a
garantirne la sicurezza igienica e la valorizzazione, seguendo le buone
pratiche di lavorazione. Pertanto, si definiscono prodotti ortofrutticoli di
quarta gamma la frutta, la verdura e, in generale, gli ortaggi freschi, a elevato
contenuto di servizio, confezionati e pronti per il consumo.” (AIIPA, 2015).
L’art. 2 della Legge 77 del 2011 – la normativa che disciplina il settore in
Italia – definisce il prodotti di quarta gamma nella seguente maniera: “si
definiscono prodotti ortofrutticoli di quarta gamma i prodotti ortofrutticoli
destinati all'alimentazione umana freschi, confezionati e pronti per il
consumo che, dopo la raccolta, sono sottoposti a processi tecnologici di
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minima entità atti a valorizzarli seguendo le buone pratiche di lavorazione
articolate nelle seguenti fasi: selezione, cernita, eventuale monda e taglio,
lavaggio, asciugatura e confezionamento in buste o in vaschette sigillate, con
eventuale utilizzo di atmosfera protettiva” (Figura 1.1)
Figura 1.1 Prodotti di quarta gamma
Fonte: www.almater. it
I prodotti della quarta gamma sono preparati e condizionati in maniera tale
da fornire tutta una serie di servizi (convenience) al consumatore (pulizia,
mondatura, lavaggio, taglio in unità o sub-unità pronte all’uso) sia esso il
singolo individuo o la ristorazione collettiva, conservando l’impressione di
freschezza e di genuinità del prodotto fresco (Colelli G., 2001). Pertanto per i
prodotti di quarta gamma il costo al chilogrammo è tenuto in poco conto dal
consumatore e potrebbe anche non essere un buon indicatore di costo per i
chilogrammi consumati, dal momento che tanti tipi di frutta e verdura
contengono molte parti non commestibili nel loro peso di acquisto. Così
anche se i prodotti ortofrutticoli freschi tradizionali sono meno costosi
rispetto a quelli di quarta gamma, per alcuni consumatori questa differenza
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di prezzo può essere un piccolo prezzo da pagare in più per la comodità, vale
a dire per il valore della shelf life più lunga, la facilità di preparazione, e una
maggiore disponibilità di offerta associata a forme elaborate di prodotto
(Reed et al., 2004).
Quindi, comunque li si voglia definire, i prodotti di quarta gamma sono
prodotti pre-lavorati che comprendono servizi di tecnologia commerciale e di
packaging che ne aumentano il valore aggiunto finale, rimanendo sempre
caratterizzati dal fatto di avere le stesse caratteristiche di purezza e di qualità
del prodotto fresco e presentando allo stesso tempo i vantaggi d’uso tipici
delle conserve (Corepa, 2005).
Nei prodotti di quarta gamma rientrano non solo la frutta e le verdura che
possono essere consumati “a crudo”, ma anche i prodotti ortofrutticoli
lavorati, come le verdure per minestrone, destinati ad essere “cucinati”.
Il termine quarta gamma, coniato in Francia alcuni anni fa (IV gamme),
deriva dalla classificazione che viene fatta dell’offerta di frutta, verdura e
ortaggi presente sul mercato che distingue in 5 gamme:
prima gamma, vegetali freschi introdotti sul mercato “grezzi” o “non
lavorati” (nella loro presentazione tradizionale); possono essere
inseriti direttamente o dopo una breve conservazione, mantengono le
loro caratteristiche qualitative originarie ma sono soggetti a una
veloce deperibilità. Quindi prodotti ortofrutticoli freschi tal quali,
commercializzati allo stato sfuso, o avvolti da involucri protettivi, o
preconfezionati “senza particolari manipolazioni”;
seconda gamma, prodotti ortofrutticoli trasformati e sottoposti a un
processo di stabilizzazione. Come “conserve” proposte in scatola
(vetro o barattolo), sottoposte a trattamento di pastorizzazione o
sterilizzazione, con data di scadenza piuttosto lunga. Questi prodotti
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perdono buona parte delle loro proprietà nutritive e in particolare il
tenore di vitamine (sottoli, sottaceti, salamoie, marmellate e
confetture, composte e preparazioni);
terza gamma, frutta e verdure “surgelate” o “congelate”, processate o
non, grazie alla conservazione con il freddo hanno con data di
scadenza sufficientemente lunga conservando ugualmente buona
parte delle proprietà nutritive e organolettiche iniziali;
quarta gamma, ortofrutta fresca, lavata, confezionata senza alcun
tipo di additivo, refrigerata e pronta al consumo, “ready to eat” in
inglese o “prêts à l’emploi” in francese;
quinta gamma, frutta e verdure processate (precotte e ricettate) e
refrigerate, non stabilizzate, confezionate e pronte al consumo.
In ambito anglosassone sono utilizzati termini come fresh-cut, più in
generale, o minimally processed. In italiano sono anche utilizzati i termini
“freschi pronti al consumo” o “freschi-pronti” (Quartagamma, 2015),
riferendosi a una categoria più ampia di alimenti detti anche ready to use o
ready to eat (Coreras, 2015).
Nei prodotti di quarta gamma si definiscono come “prodotti a elevato
valore aggiunto” poiché la materia prima rappresenta solo una piccola parte
del costo/valore del prodotto finito; anche se da essa dipende molto la
qualità dello stesso. Un forte contributo, di fatto, al valore del prodotto finito
è dato da: la confezione, la marca, lo stile, il prezzo, ma anche la logistica, le
attività di promozione e comunicazione, le garanzie come le certificazioni, i
servizi post vendita come la gestione di storni, ritiri e eventuali contestazioni.
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L’assortimento dei prodotti di quarta gamma in Italia prevede: insalata fresca
in busta o vaschetta come, insalate miste, lattuga, iceberg, rucola, soncino,
indivia, valeriana, carote semplici e a julienne, mais, i funghi già tagliati, le
cipolle, germogli di soia; verdure pronte da cuocere, come minestrone,
spinaci lavati, fagiolini già spuntati, cavolini di Bruxelles, cavolo, verdure
miste da cuocere, patate sbucciate e tagliate a fette, zucchine; sacchetti di
ortaggi e verdure preparati anche con salse fresche per il condimento; fette
di frutta confezionate in vaschette e provviste anche di cucchiaio per
degustazione, come macedonia, melone, ananas, mela, mango.
A livello internazionale, secondo l’IFPA (International Fresh-Cut Produce
Association) i prodotti di quarta gamma includono:
broccoli e cavolfiori (cimette e insalata confezionate);
cavolo (triturati);
carote (triturati, bastoncini e baby pelate);
sedano (tritato e a bastoncini);
gourmet prelavato e insalata confezionata e insalata di cavolo;
lattuga (triturate, senza torsolo, lavata e confezionata);
cipolle (a fette, a dadini e sbucciate);
peperoni (tritati e ad anelli);
zuppa / mix di stufato di verdure;
spinaci (lavati e tagliati);
zucca e zucchine (a fette);
verdure da saltare in padella;
patate dolci;
macedonie;
mele;
uva (lavata e disacinata);
meloni (a metà e a cubetti);
ananas (senza torsolo, a fette e a cubetti).
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Prodotti che sono confezionati singolarmente o in miscela, aggiungendo altri
ingredienti di origine vegetale non freschi come (es. noci, olive, mais, ecc.),
per i quali vanno rispettate le normative in vigore.
In questo segmento di mercato si trovano pertanto tante tipologie di prodotti
ortofrutticoli, verdure a foglia tagliata (lattuga, radicchio) o a foglia intera,
dette anche baby leaf (rucola, spinacio, valerianella), ortaggi a radice (carota),
a tubero (patata), o a bulbo (cipolla) variamente tagliati, ortaggi a frutto
maturo (pomodori) o immaturo (zucchina, cetriolo), fusti o piccioli fogliari
(asparago, sedano, finocchio), gemme fiorali (carciofo), infiorescenze (cavolo
broccolo e cavolfiore), fiori (fiori di zucca) e frutta matura (melone, mela,
ananas) variamente tagliata (Colelli et al., 2009).
Le verdure più utilizzate per la produzione delle insalate di quarta gamma
sono rappresentate da insalate adulte (I gamma) e ortaggi da foglia da
taglio (baby leaf), raccolti in uno stadio di sviluppo variabile da 20 a 40
giorni, quando le piante si trovano ancora nella fase di crescita attiva. In
merito ai prodotti ortofrutticoli a foglia intera baby leaf (Fig.1.2), secondo
Amirante P. et al. sono ortaggi miniature o mini ortaggi e ortaggi a foglie
piccole (baby leaf), vengono prodotti mediante l’elevata densità di semina o
anticipando l’epoca di raccolta, oppure con l’impiego di cultivar
appositamente costituite o selezionate tra il germoplasma esistente. Nel caso
degli ortaggi “baby leaf”, l’unico indice di maturazione è definito dalla loro
altezza che, può variare in base alle specie e alle esigenze commerciali dai 50-
70 mm fino agli 80-120 mm.
Le diverse categorie di ortaggi di quarta gamma possono anche facilmente
essere suddivise in sei diverse tipologie:
insalate tenere sono insalate pulite, tagliate e lavate, a foglia tenera
unitipo o misto tenera (novella, rucola, cicoria, lattughino, songino,
misticanza, spinacio, tris con spinacio, romana ecc.;
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Figura 1.2 Coltivazione di lattuga baby leaf in tunnel
Fonte: Provincia di Bergamo
insalate adulte unitipo, insalate di quarta gamma pulite, tagliate e
lavate, a foglia adulta e grande (anche in cuore). Es.: scarola, riccia,
lattuga, radicchio, iceberg ecc.;
insalate miste (salad mix), insalate di quarta gamma pulite, tagliate,
lavate e miste. Presentano un mix di verdure dato da solo misto
insalate adulte e/o altre verdure come carote, pomodori ecc.;
insalate arricchite, insalate di quarta gamma pulite, tagliate e lavate,
miste e arricchite da altri ingredienti quali il condimento (olio e aceto)
o ingredienti diversi dalla verdura (esempio formaggio, tonno ecc.);
verdure da cuocere, verdure pulite, tagliate e lavate che necessitano
di cottura prima del consumo, patate pelate e tagliate in diverse
forme, spinaci mondati e lavati, cavolfiori e broccoli tagliati in singole
infiorescenze, cipolle pulite;
crudite verdure pulite, tagliate e lavate, non a foglia, che possono
essere consumate crude come bastoncini di sedano e di carote pronti
21
per il consumo; spesso rappresentano degli arricchitori di insalata (es.
germogli di soia, carote, crauti ecc.).
Figura 1.3 Frutta di quarta gamma
Fonte: www.freshplaza.it
In merito alla frutta invece (pesche e meloni e altra frutta tagliata a fette,
ananas pelati, privati della parte centrale fibrosa, e tagliati a fette, agrumi
sbucciati e divisi in spicchi, uva disacinata) quello della quarta gamma è un
mercato che in Italia non è ancora decollato e che offre buone prospettive di
crescita, se confrontato con la buona esperienza statunitense (Figura 1.3). I
prodotti vegetali di quarta gamma sono generalmente caratterizzati da un
buon contenuto in vitamine e sali minerali. Il modesto potere calorico (15-30
Kcal/100g) deriva dal ridotto contenuto in proteine, glucidi e grassi (Tab1).
Tabella 1 Valori nutrizionali vegetali di quarta gamma
Fonte: INRAN.
22
Insalate e lattughe In merito al prodotto “insalate” – prodotto leader a livello mondiale nelle
vendite dei prodotti di quarta gamma – in fase di consumo questa
denominazione generica è utilizzata per indicare un gruppo di ortaggi a foglia
consumati prevalentemente crudi (Corriere della Sera, 2016). La maggior
parte delle insalate si può suddividere in tre famiglie botaniche: le cicorie
(che includono i radicchi), le indivie e le lattughe. A queste si affiancano
numerose erbe di campo quali le crispigne, il tarassaco, la borragine e così
via. La produzione delle diverse specie non ha interruzioni nel corso
dell’anno: alcune varietà sono prettamente invernali (indivia riccia, indivia
scarola, radicchi), altre sono tipicamente primaverili-estive (lattuga
cappuccio, lollo, trocadero), altre ancora estivo-autunnali (lattuga a costa
lunga, iceberg). Dal punto di vista nutrizionale, le insalate sono ricche di
vitamine, sali minerali (calcio, ferro) e fibre.
Il gruppo delle cicorie, dal caratteristico sapore amarognolo
(particolarmente gradevole nelle piante giovani), comprende molte varietà
diverse tra loro, in genere con raccolta autunnale o invernale. Le cicorie a
foglia rossa sono comunemente chiamate Radicchi, mentre alte varietà
utilizzate sono il Pan di Zucchero (la varietà di cicoria più utilizzata in
insalata) dalle foglie verdi racchiuse in un ampio cappuccio allungato;
l’Indivia Belga dalla caratteristica forma ovale allungata. L’indivia scarola è
consumata sia cruda sia cotta.
Le indivie sono piante simili alle cicorie, tipiche dei mesi invernali, ma
reperibili ormai durante tutto l’anno. Si dividono in indivie ricce e indivie
scarole, hanno l’aspetto di cespi appiattiti, con le foglie verdi inserite in un
breve fusto. La parte centrale è di colore più chiaro tendente al giallo.
L’indivia riccia è consumata cruda insieme ad altre foglie di insalata per
aggiungere un tocco di amaro e un senso di ruvidezza.
23
Le lattughe sono tipologie di insalate più delicate delle precedenti, sia per la
consistenza delle foglie sia per quanto attiene alla loro conservazione. Si
dividono in “lattuga cappuccio” dalla forma rotonda e dalle foglie molto
larghe, concave e rugose. Tra le diverse varietà si distinguono per
robustezza e consistenza l’”Iceberg” e la “Trocadero”, l’iceberg in
particolare quest’ultima in particolare resiste anche al calore e, per
questo, è spesso utilizzata nella preparazione degli hamburger (Corriere
della Sera, 2016). Tra le lattughe abbiamo la “lattuga a costa lunga”, detta
anche “lattuga romana” dalla forma molto allungata e consistenza croccante.
Le erbe di campo sono varietà di erbe spontanee che posso essere utilizzate
nelle insalate, le più utilizzate in cucina sono la Borragine, il Cerfoglio, il
Crescione, la Portulaca, il Silene. Anche molti fiori sono adatti ad uso
alimentare e per la preparazione di insalate, tra questi la Calendula, la Malva,
la Primula, il Tarassaco. La misticanza è un misto di erbe, per lo più
selvatiche, che si consumano crude in insalata. In ogni periodo dell’anno si
trovano erbe diverse, per cui in genere si utilizzano quelle disponibili al
momento.
Le insalate adulte di prima gamma in riferimento a prodotto comunemente
chiamato lattuga (Lactuca sativa L facente parte della famiglia delle
Asteracee) – oggetto specifico di questo studio - come prodotto fresco
tradizionale sono rappresentate da varietà botaniche molto diverse tra loro:
il colore della foglia è variabile e si evidenzia con diversificazioni consistenti
dell’intensità di verde, a tonalità di rosa e rosso più o meno accentuate, fino al
violetto molto scuro. La lattuga è originaria dell’Oriente, sulle sue origini non
esistono certezze, anche se è accreditata l'ipotesi che provenga dalla Siberia. I
romani ne promossero la coltivazione in tutto l'Occidente attribuendole
svariate virtù terapeutiche. Cristoforo Colombo portò la lattuga nelle
Americhe. Il nome deriva dal lattice che viene emesso alla rottura dei tessuti
delle nervature o delle radici (Fondazione Bonduelle, 2016).
24
È coltivata in tutto il mondo. Il ciclo di coltivazione è comunque molto breve,
potendo durare da poche settimane a qualche mese a seconda dei tipi e della
stagione. In Italia è maggiormente coltivata in Campania, Lazio, Abruzzo,
Veneto, Lombardia, Liguria Piemonte. Al Nord la raccolta avviene da metà
Aprile a Novembre, al centro- sud da Ottobre ad Aprile.
Esistono diverse tipologie di lattuga, che possono essere distinte in due
grandi gruppi:
Lattughe con testa, ovvero che formano un cespo. Tra queste le più
diffuse sono la Trocadero o Cappuccina e la Iceberg. L’iceberg è molto
diffusa negli Stati Uniti e in Spagna per esportazione sui mercati del
Nord Europa. La lattuga iceberg è stata sviluppata alla fine del XIX
secolo in California. E' una varietà di lattuga a cappuccio ma è
divenuta un'icona della categoria. Il suo nome viene dal modo nel
quale veniva originariamente confezionata e trasportata: su ghiaccio
tritato, tanto che le teste di lattuga assomigliavano ad iceberg. Le
lattughe di queste tipologie possono essere destinate al mercato del
fresco oppure alle filiere di quarta gamma per la produzione dei cuori
di lattuga oppure, se sfalciate molto giovani, per la produzione di
insalatine baby leaf.
Lattughe senza testa, non formano un cespo compatto. Si
annoverano diverse tipologie: quali lollo o spumiglia, foglia di quercia,
gentilina. Sono destinate al mercato del fresco o alla produzione di
baby leaf per la quarta gamma.
Come tutte le verdure a foglia, la lattuga è ricca d’acqua e quindi poco
calorica: con il cetriolo è uno degli alimenti meno calorici che consumiamo.
Tuttavia, è ricca di nutrimenti preziosi tra cui la pro-vitamina A o
betacarotene e la vitamine B9 (acido folico).
25
Sulla base delle indicazioni della Commissione Europea (2001), la
classificazione sistematica prevede le varietà botaniche di seguito riportate:
Lactuca sativa var. capitata (L.) Janchen, comprendente la lattuga a
cappuccio sia a foglia liscia sia a foglia riccia (iceberg) (Figura 1.4);
Lactuca sativa var. crispa L., comprendente la lattuga da taglio, la
lattuga foglia di quercia e la lollo;
Lactuca sativa var. longifolia (Lam.) Janchen, comprendente la lattuga
romana e romanella;
Lactuca sativa var. angustana Irish x Bremen, comprendente la lattuga
da stelo.
Figura 1.4 Insalata iceberg (Head lettuce)
Fonte: www.cosarica.net e www.interempresas.net
La storia
La produzione e il consumo di materie prime di quarta gamma non è nuova. I
prodotti di quarta gamma hanno origine negli Stati Uniti alla fine degli anni
‘60 con l’obiettivo di rinnovare il reparto ortofrutticolo. Anche se secondo
26
l'International Fresh-Cut Produce Association, i prodotti di quarta gamma
sono stati a disposizione dei consumatori sin dal 1930 nei supermercati di
vendita al dettaglio.
L'industria di quarta gamma si è sviluppata inizialmente per la fornitura di
alberghi, ristoranti, servizi di ristorazione, e altre istituzioni. Per la
ristorazione i prodotti di quarta gamma presentano una serie di vantaggi, tra
cui una riduzione della necessità di manodopera per la preparazione del cibo,
una ridotta necessità di sistemi speciali di trattamento dei rifiuti, e la
possibilità di consegnare in tempi brevi forme specifiche di prodotti (Watada
et al., 1996). Ed è proprio l’incremento di consumo di cibi fuori dal contesto
domestico, si pensi alla crescita delle mense scolastiche, aziendali, ospizi,
comunità in genere che ha contribuito alla crescita di questo comparto. In
questo contesto le cucine industriali devono preparare e cucinare grandi
quantità di pasti in breve tempo, spesso senza personale sufficiente,
attrezzature o anche solo condizioni fisiche (Rocha A. et al., 2007).
Nel mercato europeo e italiano la quarta gamma è stata introdotta negli anni
‘80, ad opera prima della Francia e nella seconda metà del decennio in Italia,
quando prosperità economica e crescita del Paese rappresentavano
condizioni ideali di sviluppo per questo settore. Tuttavia, il vero successo in
termini di penetrazione di mercato è avvenuto negli ultimi due decenni, come
conseguenza di un trend generale di crescita del consumo di frutta fresca a
verdura.
L’industria della frutta e della verdura di quarta gamma è in costante crescita
dovuta principalmente alla tendenza dei consumatori a consumare cibi sani e
convenienti e il loro interesse per il ruolo del cibo di migliorare il benessere
umano (Gilbert, 2000; Bogaert et al, 2004). Le organizzazioni come
l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la FAO, l’United States
Department of Agriculture (USDA) e l'Autorità Europea per la Sicurezza
Alimentare (EFSA) raccomandano un aumento del consumo di frutta e
27
verdura per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e il cancro (Allende
et al., 2006). Chi mangia quantità più generose di frutta e verdura, come parte
di una dieta sana, è meno suscettibile a rischio di malattie croniche, tra cui
ictus, altre malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro (Schroder et al.,
2002; Lock et al., 2005;. Sjoströmm et al., 2005).
Frutta e verdura contengono vitamine, minerali e fibre che possono aiutare a
proteggere consumatori da malattie croniche, e secondo Sjoströmm et al.
(2005) il consumo medio/disponibilità di frutta e verdura, escluse le patate e
i succhi di frutta e verdura, deve essere considerati come un indicatore per il
monitoraggio nutrizione e la salute pubblica.
Tuttavia, altri fattori sociali hanno influito sul successo di questo comparto,
come l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro che ha provocato un
cambiamento radicale nello stile di vita, caratterizzato da un tempo ridotto
per preparare pasti sani (Poulain J.P., 2002). Tendenze che nei paesi
industrializzati comprendono anche l'invecchiamento della popolazione, il
maggior numero di famiglie più piccole e l'aumento del potere d'acquisto; in
Argentina nel 2000, le verdure di quarta gamma nei supermercati hanno
raggiunto livelli di vendite pari quasi al 10% sul fatturato totale del settore
frutta e verdura e dopo la crisi sono diminuiti di circa il 5% (Alonso G. et al.,
2009). Questi sviluppi potrebbero indurre cambiamenti nella domanda di
cibo fuori casa che riguardano sia la fornitura di alimenti e servizi di
ristorazione, sia la dieta e la salute dei consumatori che richiedono tali
elementi (Stewart et al., 2004).
La produzione
Il settore produttivo della quarta gamma in Italia è caratterizzato da una
forte concentrazione territoriale e produttiva, e da una filiera corta e
integrata.
28
Il processo di produzione e conservazione dei prodotti di quarta gamma,
partendo dal campo fino alla tavola dei consumatori, si articola nelle seguenti
fasi:
pre-refrigerazione;
selezione;
cernita;
eventuale monda e taglio;
lavaggio/spazzolatura;
asciugatura e confezionamento in buste o in contenitori sigillati
(eventuale utilizzo di atmosfera modificata);
taglio;
eventuale aggiunta di antiossidanti;
eventuale secondo lavaggio con disinfezione e relativa asciugatura;
dosatura, confezionamento, sigillatura, etichettatura;
stoccaggio in frigorifero o conservazione in atmosfera modificata;
trasporto e distribuzione.
Per la produzione della quarta gamma è indispensabile la massima
accuratezza nel trattamento delle materie prime di base e l'utilizzo di
alti livelli di tecnologia lungo tutta la filiera produttiva. Da anni ormai
l'industria di quarta gamma e le aziende agricole produttrici di materie prime
seguono per la quasi totalità disciplinari di produzione integrata, scegliendo
le più idonee tipologie di materie prime, limitando fortemente l'utilizzo di
fitofarmaci in campo o in serra, con conseguente riduzione dei residui di
pesticidi ben al di sotto delle soglie consentite per la produzione tradizionale.
Gli impianti di lavorazione dovrebbero essere in prossimità delle aree
di produzione, per ridurre l’intervallo tra raccolta e lavorazione. In
Italia i maggiori impianti di lavorazione si trovano nel Nord Italia, mentre le
produzioni si realizzano in larghissima parte nel Sud (Colelli et al., 2009).
29
Figura 1.5 Il processo produttivo della quarta gamma
Fonte: AIIPA
I due poli di produzione sono Bergamo (Nord) e Battipaglia nella (Sud), ma è
certamente quest’ultimo ad immettere, nel periodo compreso tra novembre e
giugno, la quasi totalità delle produzioni di quarta gamma italiane, coltivando
infatti oltre 1.000 ha di scarola, lattuga da taglio, radicchio, spinacio e rucola
(Borrelli, 2006; Siviero, 2006).
Oggi si stima che in Italia la coltivazione di ortaggi destinati alla quarta
gamma occupi una superficie di circa 6.500 ettari a livello nazionale,
principalmente in coltura protetta, distribuiti in gran parte in Campania -
30
3.600 nella sola Piana del Sele con una crescita di superfici dal 1995 ad oggi
del 6200% e un volume d’affari stimato, escluso l’indotto di 320 milioni di
euro e circa 4.000 occupati - Lombardia e Veneto (intervista diretta con Del
Grosso Marco). In particolare nella Piana del Sele si è registrato un forte
incremento di produzione negli ultimi anni grazie al particolare clima che
rende possibile la produzione anche nei mesi invernali, in particolare di
rucola (2.500 ettari) (Figura 1.6).
Figura 1.6 Piana del Sele % di colture baby leaf
Fonte: Altesia STP.
Trasportate in stabilimento, le materie prime sono poste in celle di
stoccaggio, con temperature non superiori a 6°C, sufficientemente
dimensionate per quantità e tempi di permanenza. I prodotti sono sottoposti
poi a mondatura, accurata cernita manuale e taglio (Figura 1.7). Gli
ortofrutticoli di quarta gamma sono quindi sottoposti a (almeno) un doppio
31
lavaggio industriale e a un trattamento di decontaminazione che ne
garantisce la sicurezza igienica. Le verdure sono rimescolate in acqua (Figura
1.8) ed eliminati gli eventuali frammenti di insetti e foglie di più piccole
dimensioni. Il prodotto, asciugato tramite centrifuga e confezionato, viene
verificato al metal detector ed identificato per mantenere la rintracciabilità di
filiera e poi posto in cella a temperature non superiori a 6°C (AIIPA, 2015).
Figura 1.7 Cernita e lavorazione dei prodotti di quarta gamma
Fonte: www.terraevita.it
La temperatura degli ambienti di lavorazione non deve superare i 14°C.
La temperatura delle celle di conservazione delle materie prime, dei
semilavorati e dei prodotti finiti deve essere inferiore agli 8°C, fatta eccezione
per le materie prime che per loro natura possono essere conservate a
temperature superiori. Durante il processo di lavorazione i prodotti
ortofrutticoli di quarta gamma devono essere sottoposti ad almeno due cicli
di lavaggio. Tutti gli imballi in commercio dovranno, infine, essere
ecocompatibili, cioè adatti – come minimo – ad essere smaltiti tramite
raccolta differenziata.
32
Figura 1.8 Lavaggio insalata di quarta gamma
Fonte: FreshPlaza.
La conservazione
Essendo prodotti altamente deperibili, affinché mantengano le caratteristiche
qualitative dei prodotti di base, è fondamentale il mantenimento della
catena del freddo. Dal momento di uscita dallo stabilimento di lavorazione
sino al consumo del prodotto questo deve essere conservato a una
temperatura non superiore agli 8°C (D.M. 3746 del 20/06/2014).
Temperatura che dovrebbe essere rispettata anche durante il trasporto dal
banco frigo del punto vendita in cui avviene l’acquisto sino al luogo di
consumo.
Il confezionamento in atmosfera modificata ha lo scopo di incrementare la
shelf life inibendo l'azione dei microrganismi aerobi e fenomeni come
l'ossidazione, il cambiamento di colore e l'imbrunimento. L’imballaggio in
atmosfera modificata a causa degli alti livelli di umidità relativa e dei bassi
valori della concentrazione di ossigeno, e della massiccia presenza di
superfici sottoposte a taglio durante la lavorazione, il rischio dello sviluppo di
microrganismi patogeni per l’uomo aumenta. Rischio che si accresce
enormemente nel caso in cui non viene rigorosamente rispettato il regime di
33
bassa temperatura. In tali condizioni, sui prodotti minimally processed si
potrebbero sviluppare batteri del genere Clostridium, Yersinia, e Listeria,
pericolosi per la salute del consumatore (Colelli G., 2001).
La crescita microbica (Tabella 1.1) su tali prodotti viene controllata
soprattutto attraverso l’applicazione di idonee procedure igieniche e
attraverso il controllo della temperatura (ciò del resto coincide con le
pratiche rivolte all’aumento della vita commerciale del prodotto). Inoltre la
rimozione dell’acqua liquida sulla superficie del prodotto (efficace
asciugatura per centrifugazione), oltre all’accumulo di CO2 nella confezione,
ostacolano lo sviluppo e la crescita dei microrganismi. A ciò si accompagna,
per sicurezza, una scadenza di consumo molto ristretta; la vita commerciale
(o shelf life) dei prodotti di quarta gamma ha una media di 5-7 giorni.
Tabella 1.1 Organismi patogeni d’interesse e potenziale interesse per i
prodotti di Quarta gamma
Patogeni d’interesse Patogeni di potenziale interesse
34
In merito alla conservazione un ruolo di rilievo è rappresentato dal
packaging, importante non solo per il mantenimento della vita commerciale
del prodotto, ma anche per il contributo che dà alla praticità d’uso e
all’attrattività del consumatore. In generale, da uno studio condotto sul
web, sembra che molte aziende italiane ricorrano soprattutto alle buste,
seguite da vassoi e vaschette e quindi flow-pack.
Tuttavia, il prolungamento della vita commerciale spinto per alcuni prodotti
anche a più settimane in frigorifero, non esclude comunque la possibilità di
perdita di caratteristiche sensoriali come aroma, sapore. Per le mele fresh-
cut, a fette o in cubetti ad esempio, come prodotti minimally processed che
incontrano oggi un grande interesse degli operatori di mercato della frutta
per la loro promettente diffusione, la loro durata di conservazione, da un
punto di vista microbiologico, è stato fissato in circa 2 o 3 settimane in
frigorifero. Tuttavia è stato provato che, in pochi giorni subiscono
degradazioni biochimiche con produzione di perdite di sapore e di
consistenza (Guarrasi V. et al., 2014). Non sorprende quindi che, la shelf-life
dei prodotti di quarta gamma è generalmente limitata dalle variazioni
sensoriali più che dallo sviluppo microbico (Jacxsens et al., 2002)
Il consumo
La direttiva 99/44/CE definisce consumatore qualsiasi persona fisica che, nei
contratti soggetti alla presente direttiva, agisce per fini che non rientrano
nell'ambito della sua attività commerciale o professionale.
Il Reg. CE 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della
legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza
alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, definisce
consumatore finale il consumatore finale di un prodotto alimentare che non
35
utilizzi tale prodotto nell'ambito di un'operazione o attività di un'impresa del
settore alimentare.
Il consumo più diffuso dei prodotti di quarta gamma è come contorno, piatto
unico nel caso delle insalate, sia in ambito domestico sia in quello della
ristorazione per la praticità che deriva dall’altro contenuto di servizio. I
cambiamenti negli stili di vita, che hanno coinvolto i paesi industrializzati
negli ultimi decenni, hanno inciso sul cambiamento dei modelli di consumo
alimentare. Ciò che più ha influito sul successo di mercato dei prodotti di
quarta gamma è stata la nuova componente decisionale che ha agito sui gusti
dei consumatori condizionata in particolar modo da:
la destrutturazione della famiglia riscontrabile nella unità
mononucleo dei single;
lo sviluppo del lavoro femminile con la costituzione delle famiglie
cosiddette dual career;
la verticalizzazione dei pasti imposta dalla freneticità dei ritmi imposti
dai cambiamenti sociali e culturali.
Il successo commerciale di questi prodotti è dovuto a diversi fattori:
il notevole “servizio” che incontra il favore di una categoria di
consumatori in aumento, che non dispone di tempo per la
preparazione dei pasti;
il vantaggio che l’acquisto di prodotti della quarta gamma non
comporta scarti, in quanto il prodotto è consumabile al 100%;
l’alta qualità che in genere viene associata a tale tipologia di
prodotto, sia in termini di aspetto esteriore, sia organolettico che
nutrizionale (Colelli et al., 2009).
36
Nella fase di consumo si possono rilevare alcuni comportamenti dei
consumatori caratteristici dei prodotti di quarta gamma. Uno di questi è la
scorretta abitudine di rilavare i prodotti prima del consumo. Le criticità
maggiori dei prodotti di quarta gamma sono legate al loro essere prodotti
freschi, quindi vivi e biologicamente dinamici e quindi piuttosto fragili in
termini di integrità e d’igiene (decadimento dei tessuti vegetali e sviluppo di
microrganismi patogeni che possono contaminarli). Tuttavia, nonostante la
grande attenzione per questo aspetto ben “il 56% degli italiani dichiara di
rilavare sotto l’acqua corrente sempre l’insalata in busta acquistata, contro il
26% dell’UK e il 39% dei tedeschi” (Nomisma, 2013).
Un altro aspetto critico che si manifesta in fase di consumo riguarda la
gestione della catena del freddo. Considerato che gli operatori gli operatori
del settore alimentare devono garantire che in ogni fase della distribuzione, i
prodotti ortofrutticoli di quarta gamma siano mantenuti ad una temperatura
inferiore a 8°C, l’AIIPA ha individuato nei comportamenti del consumatore
una scarsa educazione alla corretta gestione dei prodotti di quarta gamma. Il
consumatore spesso non ripone le confezioni nel banco frigo, non impiega
borse frigorifere per fare la spesa, realizza lunghi periodi di rottura della
catena del freddo quando acquista alimenti refrigerati, congelati o
surgelati, non gestisce correttamente il prodotto anche a livello domestico.
Tutti comportamenti che possono generare spreco di prodotto nonché rischi
per la sicurezza alimentare.
Un aspetto legato alla fase di consumo altamente condizionante tutta la
catena produttiva e distributiva dei prodotti di quarta gamma riguarda
l’aspetto visivo dei prodotti di questi ortofrutticoli. Trattandosi di prodotti
confezionati tra gli aspetti sensoriali normalmente coinvolti nelle scelte di
acquisto dei consumatori, non potendo coinvolgere l’aspetto olfattivo e di
consistenza del prodotto – come normalmente accade per la valutazione della
maturazione, delle aspettative sul sapore e l’integrità di un prodotto
ortofrutticolo tradizionale di prima gamma, determinato dall’essere un
37
prodotto confezionato, le caratteristiche visive del prodotto di quarta gamma
finiscono per essere il fattore dominante nel processo di scelta e acquisto di
questi prodotti. Le proprietà visive del prodotto confezionato sono infatti
importanti parametri presi in considerazione dal consumatore al
momento dell’acquisto (Ferrante et al., 2004; Piagentini et al., 2005). I
principali sono assenza di discolorazione (imbrunimento della superficie
di taglio, ingiallimento delle parti verdi, colore poco brillante,
imbianchimento superficiale) e assenza di danni fisici (foglie danneggiate,
foglie ferite, foglie rotte) (Jacxsens et al., 2003). Le due tipologie di difetti
sono spesso legate e interdipendenti, come riportato da Watada e Qi (1999), i
quali affermano che i prodotti di quarta gamma sono suscettibili di
discolorazione a causa di tessuti danneggiati ed assenza di protezione.
Comportamenti errati messi in atto da parte dei consumatori possono non
sorprendere se si considera che, tenendo presente che molti consumatori
mixano aspetti salutistici e aspetti ambientali quando si occupano di cibo e
che le sensazioni che provano, anche se sbagliate, sono più interessanti delle
conferme fornite da ricerche formali, e nonostante ci siano ampie conoscenze
a disposizione dei consumatori come quelle legate all’LCA, i consumatori
spesso si confondono se i risultati non sono chiari e, inoltre, la gente tende a
mettere in pratica le cose più semplici e non quelle realmente importanti
(riciclare la carta piuttosto che evitare il consumo di carne, per esempio)
(Jungbluth et al., 2000).
In merito alla fase di consumo, considerato che il settore della quarta gamma
deve il suo sviluppo sia in Italia che all’estero al settore della ristorazione sia
pubblica che privata, è importante considerare che i servizi di ristorazione
pubblica come le mense scolastiche ad esempio considerano sempre più
importanti gli aspetti legati alla sostenibilità. Il settore degli
approvvigionamenti pubblici interessa circa il 19% del Pil dell'UE
(Commissione europea, 2011) e il 17% del Pil italiano (Arpat, 2010),
rappresentando uno strumento di orientamento del mercato, da un lato
38
per lo sviluppo di abitudini di consumo degli utenti della pubblica
amministrazione, e dall’altro di pratiche di produzione delle imprese.
Ciò è particolarmente importante per quello che riguarda gli acquisti
alimentari. Secondo uno studio svolto per conto della Commissione europea,
il settore Food and Beverage è responsabile tra il 20 e il 30 per cento dei più
significativi impatti ambientali in Europa (Commissione europea, 2006),
specialmente a causa dell’utilizzo di sostanze inquinanti impiegate nella
produzione, trasformazione e trasporto dei prodotti alimentari. L’analisi
degli impatti ambientali delle odierne abitudini di consumo condotta con lo
strumento dell’LCA (Life Cycle Assesment – Valutazione del Ciclo di Vita) nei
paesi industrializzati ha portato a concludere che, per una corretta
valutazione:
devono essere prese in considerazione tutte le fasi del ciclo di vita
e tutti gli impatti ambientali;
il consumo di carne e di prodotti animali devono essere ridotti;
deve essere evitato il trasporto aereo;
bisogna acquistare prodotti stagionali e meno prodotti di
serra;
considerare l’aspetto dell’efficienza energetica in ambito
domestico;
ridurre lo spreco e il consumo eccessivo.
Le dinamiche che caratterizzano i servizi di ristorazione pubblica, in primis
scolastica e ospedaliera (ma anche in università, residenze sanitarie
assistenziali, carceri ecc.), pertanto, rappresentano una sfida e
un’opportunità per la messa in atto di pratiche ispirate alla sostenibilità. Il
servizio pubblico di refezione scolastica, ad esempio, è un ambito complesso
in cui il cibo si lega all’equilibrio nutrizionale, alla salute e all’educazione dei
giovani utenti. Pertanto la definizione dei menù, la sicurezza e la freschezza
dei prodotti selezionati, la sinergia del momento del pasto con i processi
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educativi sono tutti fattori che contribuiscono ad un servizio di mensa
scolastica più sostenibile (Galli F. et al., 2012). La figura 1.9 indica
sinteticamente le principali pratiche di ristorazione orientate alla
sostenibilità che possono essere inserite nei capitolati di appalto e attuate a
in misura diversa a seconda delle caratteristiche delle specifiche realtà locali.
Figura 1.9 Mappa concettuale: aspetti chiave di mense scolastiche più
sostenibili
Fonte: Galli F. et al., 2012.
L’approvvigionamento attraverso “filiera corta” è uno dei sistemi da
considerare per una gestione sostenibile delle mense, insieme anche al
controllo e al monitoraggio sistematico degli sprechi. Questi due fattori
incidono sull’approvvigionamento di prodotti ortofrutticoli di quarta gamma.
Sia perché la loro provenienza spesso è diversa dai mercati locali, sia perché
questi prodotti sono preferiti dalle comunità proprio perché consentono di
ridurre, se non eliminare, lo spreco legato all’utilizzo di prodotto fresco di
prima gamma. L’approvvigionamento attraverso la “filiera corta” (la cui
giustificazione giuridica, è oggetto di dibattito e la definizione tecnica non
può che essere adattata al contesto produttivo locale) è associata da un lato
alla freschezza e alla stagionalità dei prodotti e dall’altro alla possibilità
di risparmio in termini di costi di trasporto e di intermediazione, che
invece gravano sul commercio all'ingrosso (Slow Food, 2008).
40
Il mercato mondiale
Di recente, il mercato dei prodotti ortofrutticoli di quarta gamma è esploso
un po’ dappertutto a livello mondiale. In particolare nel Nord America in cui
si concentra la maggiore produzione e consumo, con gli Stati Uniti d’America
assoluti leader.
Negli Stati Uniti questo mercato è partito già dagli anni ‘40, ma i prodotti
erano prodotti di seconda qualità, erano usati i prodotti informi, la qualità
era poca e le shelf life limitate. Negli anni ‘80 con l’apertura dei salad bar
(Figura 1.10), i prodotti freschi di quarta gamma hanno cominciato a
sostituire quelli inscatolati.
Figura 1.10 Salad Bar
Fonte: www.farmboy.ca; www. www.rochebros.com.
Bisogna tener presente che negli USA la lattuga è in generale la terza verdura
più consumata nel 2013 (Figura 1.11). Sebbene negli ultimi 40 anni i consumi
di verdure negli USA siano molto variati, tre prodotti, patate, pomodori e
lattuga, rappresentano nel 2013 il 59% dei consumi di verdure e legumi
41
presente negli Stati Uniti nel 2013. La lattuga, nelle varietà iceberg (prima
in assoluto), romana e le leaf lettuce rappresentano il 7% del totale
delle verdure consumate con una quantità di 25,5 chili pro capite, nel
settore dei fast food, in particolare. La lattuga iceberg è molto apprezzata, la
catena di fast food McDonlad dichiara che “la lattuga iceberg è stata scelta per
gli hamburger di McDonald in quanto può resistere al calore (rimane
croccante e saporito anche a diretto contatto con il cibo caldo alla griglia)”.
Figura 1.11 Consumi (chili) pro capite e percentuale di verdure e
legumi disponibili, 2013
Fonte: USDA, Economic Research Service, Food Availability Data.
Oggi, in termini di valore della produzione, la lattuga è la coltura vegetale
principale negli Stati Uniti. Più del 90 per cento della produzione di lattuga
degli Stati Uniti si realizza in California e Arizona. Le principali varietà sono
42
iceberg, romana e diverse varietà di foglie. In termini di varietà di lattuga
l’iceberg è in assoluto la più popolare; tuttavia, il consumo pro capite di
lattuga iceberg è in calo negli ultimi anni mentre il consumo di lattuga
romana e leaf lettuce sono in aumento. Il crescente successo della lattuga
romana è dovuta in parte alla maggiore popolarità dell’insalata Caesar.
Mentre il consumo di leaf lattuce è aumentato in gran parte a causa della
popolarità dei salad bars, mentre entrambe hanno beneficiato
dell'introduzione delle insalate confezionate (ERS - Economic Research
Service, 2001).
La produzione di lattuga negli Stati Uniti si realizza tutto l'anno, attraverso
una sequenza di produzioni tra gli stati dell’Arizona e della California. La
maggior parte della produzione è concentrata tra aprile e ottobre nella valle
di Salinas della California, mentre la produzione da novembre a marzo si
verifica a Yuma, in Arizona e nella zona d’Imperial Valley in California (Figura
1.12). La California è l’area in cui si concentra gran parte della produzione
durante il periodo di transizione tra le stagioni (ERS 2001).
Figura 1.12 Zone di produzione dell’insalata iceberg negli USA
Fonte: ERS Economic Research Service (2001).
43
In California un numero piccolo di imprese si occupa della coltivazione, la
lavorazione e il trasporto di lattuga ai punti vendita al dettaglio. Inoltre, la
quota di imprese che si occupano dei prodotti imbustati negli ultimi anni è
divenuta più concentrata. Tale maggiore concentrazione si pensa sia il
risultato di barriere all'ingresso sul mercato, come gli elevati investimenti di
capitale, la difficoltà di trasporto dei prodotti imbustati per mantenerne la
freschezza, e il ruolo svolto dai marchi (ERS, 2001).
In merito ai prodotti insalata di quarta gamma negli Stati Uniti il mercato ha
registrato una forte crescita alla fine degli anni ‘90, rimanendo però
concentrato nelle mani di poche aziende, che non hanno nello stesso periodo
registrato una crescita in termini di unità. Le insalate di quarta gamma hanno
visto tra il 1993 e 1999 un aumento delle vendite del 560 % (anni del boom
di questo settore), passando da 197 milioni di dollari a 1,3 miliardi di dollari,
mentre il numero delle imprese è cresciuto nello stesso periodo di una sola
unità - da 53 a 54 – mentre le prime due aziende detenevano insieme il 75%
delle vendite nazionali (ERS, 2001). Negli anni ‘90, i miglioramenti
tecnologici, in particolare nei materiali da imballaggio, sono stati in gran
parte responsabili dell'aumento della disponibilità di diverse varietà di
prodotti di quarta gamma e delle insalate ready to eat (ERS, 2001).
Figura 1.13 Consumo pro-capite di insalata negli USA nel (1985-2001)
Fonte ERS/USDA 2001
44
A metà degli anni ‘70, le catene di fast food hanno cominciato ad utilizzare
prodotti come la lattuga fresca tagliata e le cipolle tritate. A metà degli anni
‘80, è cominciata l’apertura dei salad bar, e i prodotti fresh-cut hanno iniziato
a sostituire i prodotti in scatola (Garrett, 2002). Non a caso, la principale
crescita nel consumo di frutta e verdura fresca tagliata negli Stati Uniti
si è verificata nel settore della ristorazione. Nel 1980 ristoranti fast food
come McDonald e Burger King hanno avuto una forte espansione negli Stati
Uniti, e di conseguenza i prodotti di quarta gamma utilizzati nelle insalate
pronte per il consumo, in particolare lattuga fresca tagliata, sono diventati
prodotti molto richiesti. Nel 2006, nei soli Stati Uniti, McDonald ha utilizzato
80 milioni di chili di insalata (compreso il mix primavera), 100 milioni di chili
di leaf lettuce e lattuga iceberg nei panini, 30 milioni di chili di pomodori, 54
milioni di chili di mele, e 6,5 milioni di chili di uva (McDonald, 2006). Al
giorno d'oggi, i prodotti freschi tagliati rappresentano una delle
categorie di alimenti nei supermercati statunitensi in più rapida
crescita, con le insalate confezionate voce più importante del venduto.
Le vendite di frutta fresca tagliata e di verdura sono cresciute sino a circa 15
miliardi di dollari l'anno in Nord America, nel settore della ristorazione e del
mercato al dettaglio, e rappresentano quasi il 15% delle vendite di tutti i
prodotti. Secondo la United Fresh Produce Association (2007), la fetta più
grande di prodotti fresh-cut al dettaglio sono le insalate fresche tagliate, con
un fatturato di $ 2,7 miliardi di dollari all'anno. Tuttavia, il settore fast food
sta facendo crescere la domanda di frutta confezionata fresh-cut, offrendo
grazie a questo prodotto scelte più sane nei propri menu. Scott (2008) in
merito evidenzia che le vendite negli Stati Uniti di prodotti di frutta fresca
tagliata sono in aumento per ogni singolo prodotto, con tassi di crescita che
vanno dal 7% al 54%. I meloni sono stati il segmento con una crescita più
rapida negli ultimi anni. Questa tendenza dovrebbe continuare almeno nel
corso dei prossimi. Un certo numero di rapporti di ricerca di mercato hanno
previsto che la domanda di prodotti di frutta di quarta gamma continuerà ad
45
aumentare ancora nel tempo, grazie alla richiesta dei servizi di ristorazione e
delle mense scolastiche.
In Asia lo sviluppo di prodotti di quarta gamma è cominciato in Corea e in
Giappone tra gli anni ‘80 e ‘90. La Corea è al giorno d’oggi il mercato più
sviluppato sia per volumi che per varietà di prodotti presenti; nel 2006 in
Corea c’erano ben 102 società che producevano prodotti di quarta gamma. In
questi paesi come negli Usa il mercato ha preso piede prima nel settore della
ristorazione (mense scolastiche, ristoranti) per poi espandersi negli ultimi
anni, nel settore dei mercati al dettaglio (Kim e Jung, 2006). In Cina solo alla
fine degli anni ‘90 con l’introduzione e la crescita delle più importanti catene
di fast food occidentali questo mercato ha cominciato a svilupparsi. In Corea
nel 2005 il mercato era dominato dalle verdure che hanno la quota di
mercato più alta rispetto alla frutta, con l’insalata iceberg leader indiscusso
leader di mercato con la quota del 48,7% del totale delle verdure di quarta
gamma trasformate (Figura 1.14)
Figura 1.14 Industria dei prodotti vegetali di quarta gamma in Corea nel
2005
Fonte: Kim, J.G., 2007.
46
Secondo l’associazione coreana di produttori di quarta gamma KFPA, in
Corea, il mercato dei prodotti di quarta gamma ha raggiunto circa 1,1 miliardi
di dollari nel 2006, rispetto ai 530 milioni del 2003. In Giappone, le vendite
dei prodotti di quarta gamma sono cresciuti da circa 1 miliardo di dollari nel
1999 a 2,6 miliardi nel 2005, pari a circa il 10% del totale delle vendite di
prodotti freschi (Izumi, 2007).
In Giappone, il settore dei servizi di ristorazione - che fornisce ristoranti, fast
food, e mense scolastiche - costituisce circa il 66% del mercato totale di
quarta gamma. Le vendite di fresh-cut producono nel settore retail, tra cui
supermercati e negozi multiservizio, sono state pari a 0,9 miliardi di dollari, il
34% del mercato totale (Kim, 2007).
Sebbene siano facilmente disponibili dati precisi sul livello del mercato dei
prodotti ortofrutticoli di quarta gamma in Cina, questa nazione ha tutti i
requisiti per diventare il più ampio mercato di consumo dei prodotti di
quarta gamma in futuro. Valga come esempio che nel 2006 nella citta di
Beijing è stata realizzata una nuova industria che ha trasformato nel 2006
ben 3.900 tonnellate di prodotto. Le stime prevedono che il mercato dei
prodotti ortofrutticoli di quarta gamma crescerà in Cina con quote del 20%
annue (Zhang, 2007).
Il mercato europeo
In Europa i prodotti di quarta gamma sono apparsi per la prima volta in
Francia agli inizi degli anni ‘80, a opera di Florette Group. Subito dopo questi
prodotti hanno cominciato ad apparire in Gran Bretagna, Italia, Svizzera,
adattati alle preferenze dei consumatori, le esigenze di produzione, di
distribuzione e legislative di ciascuna nazione.
Il mercato Europeo dei prodotti di quarta gamma varia molto da nazione a
47
nazione. In alcuni Paesi è un mercato maturo e in crescita costante, come in
Francia, in Gran Bretagna, in Italia; in altri Paesi è a tutti gli effetti un mercato
nuovo. La Gran Bretagna in particolare è leader a livello europeo per
consumi. Altre nazioni nelle quali i consumi sono particolarmente cospicui
sono il Belgio, l’Olanda, la Germania.
Nel periodo 2007/2009 l’Italia, con i suoi circa 4 kg di vendite pro-capite,
rappresentava in Europa il terzo paese per ordine di importanza dopo Regno
unito (oltre 13 kg) e Francia (oltre 6 kg); su un media europea di circa 3 kg
pro capite, nulla in confronto ai circa 30 kg di vendite registrati nello stesso
periodo negli Stati Uniti (DEPAA).
Negli ultimi dieci anni, le confezioni di insalata mista ready to eat sono state
uno dei più grandi successi del settore alimentare del Regno Unito. Il Regno
Unito nel 2004 ha fornito 120.000 tonnellate di insalate di quarta gamma,
pari a 700 milioni di euro; seguito dalla Francia con 77.000 tonnellate,
considerando sia i vegetali di quarta gamma che le verdure grigliate e a
vapore. In Italia, le vendite hanno superato 42.000 tonnellate di produzione,
pari a € 375 milioni, sempre nel 2004 (Nicola et al., 2006).
In merito a prodotto lattuga è importante segnalare il ruolo che gioca la
Spagna nel mercato europeo dei prodotti vegetali freschi. La Spagna
rappresenta in Europa il più grande produttore, e il più grande esportatore al
mondo; dai dati FAO che si riferiscono in aggregato a due tipologie di
prodotti lettuce (Lactuca Sativa) e endive (Cichorium endivia) (entrambe della
famiglia delle Asteraceae) in cui sono ricomprese molte varietà di prodotti,
tra cui la lattuga iceberg la fa da padrone. Dai dati FAOSTAT si evince che la
Spagna ha prodotto nel 2012 della categoria 870.300 tonnellate di lettuce and
chicory, confermandosi quarto produttore al mondo dopo la Cina, gli Stati
Uniti, l’India e la prima in Europa (totale Europa 2.764.628 tonnellate).
In termini di esportazioni, la Spagna attualmente è leader nel mondo,
esportando più di questi prodotti rispetto a qualsiasi altro paese e che
48
rappresentano il 58% di tutte le esportazioni di lattuga in Europa nel 2012.
La regione in cui si realizza la maggior parte della produzione è la Murcia -
regione del Mediterraneo sud-orientale - da cui proviene circa l’80%
dell’esportazione di lattuga spagnola (nel 2008 su una produzione nazionale
di 554.165 tonnellate, 439.024 provenivano dalla sola regione della Murcia)
(Agridesk Espana, 2010). Secondo i dati Mercasa la Murcia ha prodotto 333
mila tonnellate nel 2011, seguita da Andalusia (292 mila tonnellate) e poi
Valencia e Alicante (49,9 mila tonnellate insieme) (Fig.1.15).
Figura 1.15 Coltivazione e raccolta lattuga nella regione della Murcia.
Fonte: Murciatoday.
L'economia della regione di Murcia è sempre stata fortemente dipendente
dall'agricoltura. Non per niente è Murcia è spesso indicata come la Huerta de
España, o il giardino mercato della Spagna, grazie ai suoi contratti di
esportazione in essere di verdura e frutta per la fornitura delle grandi catene
49
di supermercati britannici e del nord europea, tra cui Sainsbury, Marks and
Spencer, Tesco , Waitrose e Asda (MurciaToday, 2016).
L'associazione dei produttori-esportatori di frutta e verdura da Murcia
(Proexport) attribuisce il 74% di tutte le esportazioni di lattuga spagnole a
questa fertile regione. Il successo di questa zona è strettamente legato al
clima, che è temperato per la vicinanza al Mar Mediterraneo; Murcia e
alcune parti di Almeria e Alicante, sono gli unici posti in Europa che
hanno il clima adatto per permettere alla lattuga di crescere nei mesi
invernali da novembre ad aprile. Le giornate calde e le notti fresche di
questa zona durante i mesi autunnali e invernali forniscono il clima ideale
per questa coltura all'aperto, rendendo possibile la fornitura di lattuga al
resto d'Europa durante i mesi freddi dell'anno.
Figura 1.16 Trend di esportazione di verdure in Spagna (migliaia di
Euro)
Fonte: ESTACOM ICEX
50
Figura 1.17 Maggiori importatori di vegetali dalla Spagna (tonnellate,
2012)
Fonte: ESTACOM ICEX
La cosa ancora più significativa è il fatto che queste cifre continuano a salire .
Secondo ICEX Spagna, le esportazioni di lattuga e indivia spagnola sono state
pari a più di 514 milioni di euro nel 2011 e più di 630 milioni di euro nel
2012. Ad oggi, tutte le verdure da insalata esportazioni spagnole sono
destinate per l'Europa, e in particolare Germania (circa 157.6 milioni di
euro), il Regno Unito (108,8 milioni di euro) e la Francia (104,8 milioni di
euro). Destinazioni tutte europee, perché il prodotto deve essere mantenuto
freddo in ogni fase della produzione e spedizione, per giungere il più fresco
possibile a destinazione, aspetto che pone limiti pratici all’espansione
geografica del mercato. Anche se il veloce turn-over che si realizza dai campi
agli scaffali dei dettaglianti permette di garantire un prodotto fresco
proteggendo il già basso contenuto di proteine, acido folico, vitamina C e la
vitamina A presente nella lattuga, composta per circa il 95% di acqua.
L'export totale di lattughe spagnole nel 2015 ha raggiunto 723.848
tonnellate, per un valore di 631 milioni di euro. La lattuga resta di gran lunga
il prodotto che ottiene i risultati migliori tra tutti i prodotti ortofrutticoli
della Murcia destinati all'esportazione (Figura 1.18). Anche se nel 2015 c'è
51
stato un calo del 2,1% nei volumi rispetto all'anno precedente, le spedizioni
totali hanno comunque fruttato 423 milioni di euro per 501.985 tonnellate.
La Murcia fornisce il 70% circa della lattuga esportata dalla Spagna
(FreshPlaza 4 3 2016).
Figura 1.18 : Lavorazione lattuga in Murcia (Spagna).
Fonte: Murciatoday.
In base a interviste condotte da produttori italiani della Provincia di Salerno
(Piana del Sele) e in merito all’insalata iceberg oggetto di questo studio i
produttori spagnoli godono di un vantaggio competitivo sul mercato italiano
perché riescono a realizzare prodotti di pezzatura maggiore, 700-800
grammi, grazie alle condizioni climatiche favorevoli (clima molto simile a
quello della Sicilia) e alle condizioni di terreno più idonee a questo tipo di
produzione (terreni sciolti). I fattori di successo dei produttori spagnoli
sono la garanzia di uno standard qualitativo costante durante tutto
l’arco dell’anno e la continuità delle forniture, nonostante realizzino
una coltivazione a pieno campo. Queste due condizioni unite alla forte
concorrenzialità dei prezzi dei prodotti spagnoli crea difficoltà per i
produttori italiani (intervista diretta con produttori della Piana del Sele) e
spinge molte aziende di trasformazione e di vendita al dettaglio a preferire il
prodotto spagnolo.
Tuttavia, nella campagna 2015/16 il settore spagnolo della lattuga iceberg è
stato caratterizzato da una costante instabilità provocata dal clima atipico
52
(FreshPlaza, 2016c e 2016b). Dopo alcune settimane di grandi volumi a
disposizione, dovuti a un inizio anticipato della produzione, il settore ha
affrontato a marzo una diffusa carenza di cespi, causata da un calo nella
produzione e da una predominanza di calibri ridotti.
I servizi tecnici di Proexport e Amopa (le due maggiori associazioni di settore
della spagnole) hanno dichiarato “che i calibri 12 e 14 saranno i più diffusi a
marzo, al posto dei più commerciali 9 e 10”. I volumi sono risultati ridotti
perché le piante non hanno potuto svilupparsi in condizioni ottimali. La
predominanza di calibri piccoli, insieme all'inizio anticipato del periodo di
produzione ha ridotto le prospettive di vendita per le ultime settimane di
marzo. Rispetto alle prime settimane del 2016, è stato prevista una riduzione
dei volumi disponibili fino al 30%.
Inoltre, come conseguenza della produzione anticipata, sempre in base a
dichiarazioni di Amopa e Proexport nelle prime due settimane di marzo “i
coltivatori sono stati obbligati a distruggere grandi quantità di prodotto a
causa del crollo dei prezzi all'origine”. Quantità dichiarate da FreshPlaza
nella misura del 50% nelle ultime settimane di febbraio 2016. Il caldo
eccessivo registrato nei mesi da novembre a gennaio nel sud-est della Spagna
ha causato un generalizzato anticipo nelle date di raccolta a Murcia, Almeria e
Alicante. D'altro canto, la zona orientale della Spagna ha registrato un calo
delle temperature e venti che hanno ostacolato il normale sviluppo della
stagione di produzione; ciò ha portato alle carenze registrate.
53
Il mercato italiano
I prodotti di quarta gamma rappresentano un mercato di successo nei paesi
sviluppati, frutto di un’innovazione di prodotto, di processo e organizzativa,
che va realizzandosi “in diretta”, sotto i nostri occhi. Con una quota di
vendite in volume pari circa all’8% del totale ortofrutta, la quarta gamma in
Italia costituisce un mercato in continuo sviluppo che ha registrato una prima
battuta d’arresto con la crisi dei consumi nel dicembre del 2012, anno in cui
si è registrata la prima flessione “a valore” dopo anni di crescita (-5,5%)
(Nomisma, 2013). Secondo Nielsen, nell'intero anno 2013 i dati della quarta
gamma hanno comunque presentato una variazione positiva nei volumi.
Un mercato che vale circa 1 miliardo di euro in Italia , 700 milioni di euro di
fatturato, con il 70% della produzione a marchio della Grande Distribuzione
organizzata, garantisce comunque prezzi superiori in media quattro o
cinque volte quelli del mercato tradizionale, con elevate marginalità sia
per agricoltori che per i produttori. I quantitativi si attestano intorno alle
100.000 tonnellate annue. La produzione appare concentrata in mano a
poche aziende, l’AIIPA dichiara di fatto che “a oggi aderiscono ad AIIPA IV
Gamma 10 aziende che rappresentano circa il 90% della produzione
nazionale del settore” (AIIPA, 2016).
54
Ogni anno 300 mila nuove famiglie acquistano insalate e verdure pronte
all'uso: nell'anno terminante a maggio 2015 ne sono state consumate 89.300
tonnellate (+2,7 per cento rispetto all'anno precedente) per un valore di 633
milioni di euro (+1,3 per cento). Ogni famiglia secondo Nielsen spende in
media 34 euro, con 18 acquisti all'anno.
Da un’analisi condotta in collaborazione tra FreshPlaza e IRI (Istituto di
Ricerche di mercato), sono stati presi in considerazioni e i dati ottobre 2014 -
settembre 2015 e confrontati con i relativi dati del periodo precedente
(ottobre 2013 - settembre 2014). Le vendite di verdure di quarta gamma nel
periodo considerato hanno raggiunto oltre 755 milioni di euro (755.408.072
per l'esattezza), in crescita del 5,1% sul periodo precedente. I volumi hanno
superato i 102 milioni di chili, in aumento del 4,3%. Tutte le macro-aree
italiane (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro e Sardegna, Sud) sono risultate in
crescita in questo rapporto (Figura 1.19)
Crescita anche si di minor misura ma comunque confermata dai dati Nielsen
di settore. Nel 2015 dai dati Nielsen (Fonte: Nielsen HHP Trade Planner -
Totale Italia - Dicembre 2015) relativi ai 12 mesi del 2015 rispetto al 2014 si
evidenzia una crescita del 3% nelle vendite a valore e del 2,8% in quelle a
volume.
Figura 1.19 Aumento delle vendite a valore/volume/unità delle verdure
di quarta gamma in Italia (Set 2014 – Ott 2015 / Set 2013 - Ott 2014)
Fonte: Rielaborazione FreshPlaza su dati IRI.
55
Nel corso del 2015 si è perciò manifestata una netta espansione nella
domanda di prodotti di quarta gamma che ha dato slancio e vigore al settore.
A fungere da traino per la crescita dei consumi, a fronte di una spesa media
annua per nucleo familiare rimasta pressoché invariata a 34 euro (1,92 € per
singolo atto d'acquisto), è stato l'allargamento del parco acquirenti, arrivato a
19 milioni di famiglie.
Pertanto, al netto delle variazioni nell'andamento degli acquisti dovute ai
consueti picchi primaverili ed estivi e dell'incidenza di iniziative
promozionali, si è in presenza di una crescita nel numero di italiani che
inseriscono con regolarità le referenze di quarta gamma nel carrello della
spesa (FreshPlaza, 2016).
Secondo un analisi dei dati ISMEA condotta su dati Market Track Nielsen che
focalizza le vendite di prodotto confezionato (peso fisso EAN) presso la
distribuzione moderna (Iper, Super e Liberi servizi), discount e grocery
(superfici inferiori a 100 metri quadrati) nel periodo 2013-2015, nel 2015 gli
acquisti di ortaggi di quarta gamma sono aumentati del 2,3% rispetto al 2014
mentre la spesa è cresciuta del 2,2%. I prezzi medi sono rimasti
sostanzialmente stabili. Per quanto concerne la spesa si tratta di una ripresa
dopo la battuta d'arresto registrata nel 2014 (-2,4% rispetto al 2013).
In termini di spesa, le insalate costituiscono il 75% delle vendite di ortaggi di
quarta gamma. Seguono la rucola con il 9% e quindi spinaci, carote, bietole,
funghi, cavoli, aromi e minestroni.
56
Figura 1.20 Ripartizione della spesa di ortaggi di quarta gamma in Italia
nel 2015 (% in valore)
Fonte: elaborazione ISMEA su banca dati Market Track Nielsen.
Lo scorso anno si è assistito a un aumento degli acquisti di tutti i principali
prodotti orticoli di quarta gamma rispetto all'anno precedente. La spesa per
insalate è cresciuta dell'1,1%, beneficiando anche di un lieve aumento dei
listini medi di queste referenze (+0,5%). Per la rucola l'incremento è stato del
3,4% rispetto al 2014, trainato dall'aumento dei volumi esitati (+2,3%) e
anche da quello dei listini medi (+1,3%).
Per gli spinaci l'aumento della spesa è stato del 5,8% ed è ascrivibile
principalmente all'aumento dei quantitativi acquistati (+5,3%). Infine, per le
carote è stato registrato un incremento della spesa del 5,6% a fronte di una
riduzione del 4,4% del prezzo medio e un incremento del 10,5% dei volumi
venduti. Tra i prodotti emergenti di quarta gamma si segnala l'incremento
degli acquisti per aromi, minestrone, zucche, germogli, carciofi e broccoli.
57
Figura 1.21 Variazione percentuale degli acquisti di ortaggi di quarta
gamma 2015/2014 (% in quantità)
Fonte: elaborazione ISMEA su banca dati Market Track Nielsen.
Figura 1.22 Fatturato Quarta gamma verdure Italia - milioni € (MDD
Marchio Distributore)
Fonte: elaborazioni Monitor F&V Agroter su dati Nielsen
58
Degli oltre 755 milioni di euro che vale, nel periodo in esame, il mercato della
verdura di quarta gamma, la parte del leone la fanno le insalate, seguite a
grande distanza dalle altre referenze: in ordine verdure da cuocere, crudité,
aromi e fanalino di coda gli snacks/aperitivi (Figura 1.23).
Figura 1.23 Mercato verdure quarta gamma Italia valore in euro
categoria di prodotti (Set 2014 – Ott 2015 / Set 2013 - Ott 2014).
Fonte: Rielaborazione FreshPlaza su dati IRI.
Le due tipologie diverse dal minestrone rappresentano (Figura 1.24)
praticamente la quasi totalità dei circa 81 milioni di euro e 17 milioni di chili
che questo sotto-settore vale; e se la vendita delle verdure da cuocere in
foglia è in crescita, così non è invece per le altre verdure da cuocere, le quali
al contrario sono in flessione, eccezion fatta che al Sud Italia (Figura 1.25)
59
Figura 1.24 Verdure da cuocere di quarta gamma vendite in Italia a
valore (euro) periodo ottobre 2014-settembre 2015 delle diverse sotto-
referenze
Fonte: Rielaborazione FreshPlaza su dati IRI.
In crescita anche le vendite di frutta di quarta gamma, pur essendo una
tipologia di prodotto marginale rispetto alle verdure di quarta gamma. Su
773 milioni di euro di vendite complessive per tutti i prodotti di quarta
gamma nel periodo in esame, meno di 18 milioni sono imputabili alla frutta
di quarta gamma (Fig.1.26).
60
Figura 1.25 Variazione delle vendite (in termini di valore) delle varie
tipologie di verdure di quarta gamma da cuocere in Italia e nelle diverse
regioni tra ottobre 2014-settembre 2015 e ottobre 2013-settembre
2014.
Fonte: Rielaborazione FreshPlaza su dati IRI.
Figura 1.26 Vendite frutta di quarta gamma e verdura di quarta
gamma sul totale delle vendite del periodo ottobre 2014-settembre
2015.
Fonte: Rielaborazione FreshPlaza su dati IRI.
61
Il prezzo medio di vendita al kg ha registrato performance negative
sintetizzabili in circa -2% all’anno nell’ultimo triennio. Attestandosi a
7,5euro/kg nel 2014. Cambiamento dovuto anche al cambio del mix di
acquisto e non solo al calo dei prezzi.
Dal punto di vista del consumatore in Italia prodotti di quarta gamma sono
interessanti per una serie di motivi:
sono prodotti freschi minimamente processati con una attenzione
crescente a ridurre i trattamenti;
sono prodotti ritenuti salutari in quanto ortofrutta e verdura naturali;
sono prodotti confezionati pronti per l’uso, quindi pratici
nell’impiego in linea con i nuovi costumi alimentari.
Il profilo dei consumatori di quarta gamma in Italia sono soprattutto giovani
(penetrazione della categoria 80% contro il 60% della media), i più istruiti, le
persone con un lavoro impiegatizio e i residenti in Lombardia. Le ragioni di
acquisto sono comodità a praticità d’uso. Le resistenze all’acquisto (pari
ancora al 10% delle citazioni, quindi rilevanti) sono:
il timore che il prodotto contenga conservanti;
il prezzo;
la mancanza di freschezza;
la scarsa fiducia nel prodotto.
La quarta gamma ha oltretutto un percepito particolare. La maggior parte dei
clienti la rilava, per esempio, perché pensano di pulirla meglio o rinfrescarla.
Molti inoltre ritengono contenga conservanti. Inoltre, tutti gli studi ormai
mostrano chiaramente come il “cliente di quarta gamma” compri solo quella
(o quasi) e non l'insalata sfusa. A livello nazionale il 30% dei clienti incide per
62
quasi l'80% dei volumi. L'alta concentrazione degli acquisti mostra quindi
un'assoluta fedeltà.
Un mercato quindi che vede in Italia la sua chiave di successo in:
la sempre maggiore attenzione dei consumatori a mangiare in modo
sano e naturale. In Italia infatti aumentano i vegetariani (oggi il 7%
della popolazione), cresce il consumo di prodotti biologici (+65% in 5
anni) e un italiano su due si dichiara a dieta;
alla praticità di utilizzo, in Italia i single sono il 33% delle famiglie, in
Francia il 35% in Germania il 40%.
Il tasso di penetrazione nelle famiglie nel luglio 2012 è risultato pari al 71,6%
(con 17.062.209 famiglie acquirenti), prossimo al 77% delle verdure a peso
variabile (Nomisma, 2013).
Figura 1.27 Volume di consumo medio di quarta gamma pro-capite per
regione (numero indice base 2012-2013). Totale Italia 100
Fonte: Monitor F&V 2014
63
La Grande Distribuzione accoglie la grossa fetta delle vendite dei prodotti di
quarta gamma - il 72% in volume già nel 2004 (Largo Consumo, 2004), grazie
alla sua organizzazione efficace (riordini automatizzati, consegne alle
piattaforme in modo da ridurre i tempi, gli stock, le strutture e dunque i costi
stessi della distribuzione) che ben si conforma alle caratteristiche dei
prodotti di quarta gamma, adatti alla vendita a “libero servizio”, con shelf life
breve, che necessitano di rotazioni veloci e frequenti, mantenimento della
catena del freddo che così fortemente condizionano la struttura dei circuiti
distributivi.
Nel segmento Ipermercati e Supermercati è in continua crescita il numero di
metri espositivi dedicati alla categoria della quarta gamma (spazio a scaffale
misurato in metri lineari). Dal 2007 al 2013 hanno segnato un + 58%,
traducibile in 5,6 metri lineari. L’aumento dei metri lineari è suddivisibile in
due fasi temporali con due diverse velocità: periodo 2008-2010 con aumenti
superiori al 10% e un rallentamento nel periodo 2011-2013 (Figura 1.28).
Nel 2014 nei supermercati si è registrata una quota canale del 47%, Iper
27%, Libero Servizio 14%, Discount 9%, altri 3%.
Figura 1.28 Spazio a scaffale Quarta gamma negli Iper e Supermercati
in Italia
Fonte: elaborazioni Monitor F&V Agroter su dati Nielsen, Iri, Marca 2015 e
Monitor F&V 2014
64
I fattori di successo del mercato dei prodotti ortofrutticoli di quarta
gamma sono molteplici e differenti per i singoli attori che intervengono nella
filiera:
per l’agricoltore i prodotti di quarta gamma sono interessanti perché
rappresentano prodotti innovativi apprezzati dai consumatori,
prevedono la vendita di nuove varietà di ortofrutta e verdura con
nuove tecniche di coltura, sono più remunerativi perché hanno prezzi
di vendita maggiori che rispecchiano la qualità e il servizio contenuti
nel prodotto, c’è sicurezza di collocamento sul mercato;
per il produttore, la quarta gamma rappresenta un mercato nuovo
che amplia la sua possibilità di segmentare la sua offerta, un mercato
nel quale è possibile costruire nuove posizioni competitive, un
mercato remunerativo – anche se con margini già decrescenti - che si
inserisce in un contesto, quello della vendita di ortofrutta e verdura,
tradizionale e con una offerta matura;
per la Grande Distribuzione, anch’esse attratta da un nuovo mercato,
mercato nel quale gioca un ruolo dominante vista la scarsa
penetrazione marche industriali. Mercato nel quale è possibile
operare con private label, avere un rapporto diretto con i produttori,
condizionando i processi produttivi e gli standard di sicurezza,
guidando e orientando la crescita del comparto.
In Italia il 2015 ha segnato l’anno di passaggio tra il maggior consumo
di insalate in busta rispetto a quelle tradizionali: a gennaio il numero di
consumatori di insalate in busta ha superato il numero di quelli di
insalate sfuse. Queste ultime registrano un trend negativo soprattutto nel
canale tradizionale (-5,2 per canto a valore e -5,1 per cento a volume rispetto
al 2014) e nei mercati rionali (-4,9% a valore e -7% a volume), luoghi tipici
per l'acquisto di prodotti ortofrutticoli.
65
La nuova normativa vigente in Italia
Dallo scorso 13 agosto sono entrate in vigore le nuove regole previste dal
decreto attuativo (decreto 20 giugno 2014) dell’art. 4 della legge n. 77/2011
“Disposizioni concernenti la preparazione, il confezionamento e la
distribuzione dei prodotti ortofrutticoli di quarta gamma”; norme dalle quali
gli operatori del settore si aspettano una crescita del mercato per le garanzie
di sicurezza e qualità del prodotto (FreshPlaza, 2016a).
Tra i nuovi obblighi, quello di mantenere i prodotti ortofrutticoli ad una
temperatura inferiore a 8°C, questo per impedire che in alcuni supermercati
e negozi non attrezzati con frigoriferi adatti i prodotti di quarta gamma
posano essere esposti e venduti. Le nuove disposizioni sono un passo avanti
in materia di sicurezza alimentare e verso la trasparenza e la corretta
informazione del consumatore. Un rafforzamento delle sue tutele, anche se
alcune previsioni potranno comportare un aumento dei costi.
Le principali nuove regole che il consumatore può e deve controllare sono:
1. nei supermercati e nei negozi i prodotti ortofrutticoli di quarta
gamma dovranno essere mantenuti ad una temperatura inferiore a
8°C;
2. è consentita l’aggiunta di ingredienti di origine vegetale non freschi o
secchi, ma in quantità non superiore al 40% del prodotto finito;
3. sulla confezione dovranno essere riportate, “in un punto evidente
dell’etichetta, in modo da essere facilmente visibili e chiaramente
leggibili“:
“prodotto (oppure il tipo di prodotto, ad esempio insalata) lavato e
pronto per il consumo“, o “prodotto lavato e pronto da cuocere“;
66
le istruzioni per l’uso per i prodotti da cuocere;
la dicitura: “conservare in frigorifero a temperatura inferiore agli
8°C“;
la dicitura: “consumare entro due giorni dall’apertura della
confezione e comunque non oltre la data di scadenza“, a meno che il
prodotto è da cuocere nella confezione integra.
Lo sviluppo del settore in Italia
Sino alla fine del 2012 in Italia gli acquisti di prodotti di quarta gamma hanno
registrato un trend di crescita costante, dovuto soprattutto alla praticità
d’uso e all’elevato contenuto di servizio. Crescita che ha fatto registrare un
incremento dei consumi (in volume) in dieci anni nella del 376%, nonostante
il costo più elevato rispetto ai vegetali tradizionali.
Nel 2013 l’Italia ha registrato in volume e valore il dato più alto di vendite di
insalata di quarta gamma rispetto agli altri paesi europei (101 tonnellate,
contro le 91 della Gran Bretagna e 661 della Francia); il 2,4% delle vendite
totali di verdure (valore interessante rispetto all’1,9% degli USA), il
medesimo della Francia, e nettamente superiore allo 0,7% della Germania. Il
consumo pro capite italiano di insalate è stato di 1,6 kg, il più alto registrato
in Europa, rispetto a 1,4 kg del Regno Unito, 1,1kg della Francia e 0,5 kg della
Germania.
Il mercato delle insalate in busta in Italia offre ancora molte possibilità di
crescita:
67
al Sud Italia, dove prevalgono ancora consumi nei mercati rionali;
accrescendo i consumatori fedeli a scapito di quelli occasionali;
penetrare maggiormente il canale Ho.RE.Ca. nel quale passano
all’estero circa il 50% delle vendite;
accrescere la gamma offerta di prodotti ad elevato contenuto di
servizio (ad esempio meal solution, come insalate in ciotole pronte).
In merito alla frutta il mercato della quarta gamma è ancora tutto da
costruire, con le 2 tonnellate in volumi e i 17 Mln di euro in valore (valori
simili a quelli della Francia 2 tonnellate e 19 Mln di euro e Germania 4
tonnellate e 26 Mln di euro) a differenza del Regno Unito, paese in cui la
frutta è già una realità significativa di mercato con 38 tonnellate vendute e
277 Mln de euro di vendite (1,4% delle vendite totali di frutta).
I primi segnali di cedimento del mercato si sono manifestati a dicembre 2012,
quando l'onda lunga della crisi ha determinato una brusca inversione di
tendenza negli acquisti domestici che si è protratta fino a giugno 2013.
Secondo i dati Nielsen confrontando il trimestre precedente al settembre
2013 con quello 2012, il valore complessivo del mercato della quarta gamma
ha segnato un -3,8%, i volumi un -1,6%, mentre il prezzo medio è diminuito
del -2,2%.
Nonostante ciò, le catene della Grande Distribuzione dedicano sempre
maggior spazio alla categoria degli ortofrutticoli pronti al consumo, con un
incremento medio di 6 metri in più sugli scaffali di Ipermercati e
Supermercati rispetto ad aprile 2007. Al tempo stesso sono aumentate le
famiglie consumatrici di prodotti quarta gamma, passate da 15,8 milioni del
luglio 2011 a 17 milioni di luglio 2013. Parallelamente, si assiste ad un'offerta
e un'attenzione per le categorie del fresco sempre più forte da parte dei
discount, con un aumento dei metri quadri dei banchi carne, panetteria e
frutta-verdura.
68
Aldilà degli apparenti contrasti con le leggi della domanda e offerta, in
particolare degli alimentari, il caso della quarta gamma si può riassumere nel
fatto che il consumatore compie le sue scelte considerando che, anche se il
prodotto costa più del fresco corrispondente, offre di più e quindi può essere
acquistato ad un prezzo superiore. Il futuro della quarta gamma rimane
legato al proseguimento di questo comportamento del consumatore,
nonostante la crisi e il calo dei redditi, rispetto alla presenza di prodotto
fresco.
Un altro aspetto critico, sul versante dei produttori, è l’ingresso di nuovi
entranti attirati dall’elevata redditività, un fatto che può agire sulla riduzione
dei prezzi e sulla riduzione della qualità. La tecnologia di produzione in linea
di massima è semplice e disponibile, in realtà i maggiori produttori grazie ad
un continuo sforzo di ricerca hanno messo a punto tecnologie sempre più
avanzate e sicure non sempre accessibili ai nuovi entranti.
Infine rimane aperto il confronto/scontro con la GD sul piano del potere
contrattuale, vista anche la rilevante presenza delle marche commerciali che
impediscono la fidelizzazione del consumatore nei confronti dei marchi dei
produttori. Le imprese di punta si muovono su diversi fronti, innanzitutto
variando l’offerta che si è estesa ai succhi di frutta freschi, gli smoothies, ai
piatti pronti a base di vegetali, a nuove presentazioni, alla frutta, ai dessert, ai
prodotti monoporzione per le macchine distributrici.
Un altro tema chiave è quello della garanzia di sicurezza dei prodotti di
quarta gamma e degli aspetti normativi, che dettino norme in materia di
standard di produzione per un comparto che se all’inizio, secondo uno slogan
molto diffuso “vende tempo libero”, sempre più deve configurarsi perché
“vende cibo fresco, naturale e sicuro”.
Tra le criticità agronomiche che i produttori di ortaggi di quarta gamma si
trovano ad affrontare, ci sono gli obblighi (derivanti da normative regionali,
nazionali o europee nonché da disciplinari di produzione imposti dagli
69
acquirenti) di contenere, da un lato, i livelli di sostanze considerate dannose
o anti-nutrizionali quali nitrati, nitriti, residui di fitofarmaci, diserbanti o
altre sostanze chimiche nei prodotti e, dall’altro, l’impatto del processo
produttivo sull’ambiente (ad esempio inquinamento da nitrati delle acque
sotterranee). In questo scenario, particolare rilievo assumono la difesa
fitosanitaria, il diserbo e la gestione della fertilizzazione. Ma, anche la
necessità di una specializzazione sempre più spinta, che porta sempre più
verso la quasi mono-coltura, sta creando delle sfide veramente importanti
per i coltivatori di prodotti da foglia.
In conclusione, la sfida che il settore delle produzioni di quarta gamma si
trova oggi ad affrontare è continuare ad accrescere il proprio mercato
nonostante la crisi generale dei consumi privati (e la stasi/contrazione anche
di quelli alimentari), il differenziale ancora troppo elevato di prezzo nei
confronti del fresco e la diffidenza del consumatore nei confronti di prodotti
ortofrutticoli percepiti come “industrializzati”. Per vincere questa sfida il
lavoro che si compie è rivolto alla ricerca e innovazione sui prodotti e sui
processi puntando alla sicurezza d’uso, alle procedure di tracciabilità e
all’incremento del grado di convenience, aprire nuovi mercati per sottrarsi al
ruolo dominante della GDO e, soprattutto, rivedere i modelli organizzativi
lungo la filiera allo scopo di fare sistema per raggiungere un obiettivo
comune.
Specializzazione, qualità, servizio, sostenibilità, saranno dunque sempre più
in futuro le giuste parole d’ordine per sopravvivere e per crescere. Perché
ciò avvenga, però, è necessario un intenso sforzo di sviluppo della ricerca e
dell’innovazione sui processi produttivi, sui prodotti, sui modelli
organizzativi.
70
Quarta gamma e innovazione tecnologica
Il mercato dei prodotti ortofrutticoli si evolve verso un sempre più massiccio
coinvolgimento della Distribuzione Organizzata. La Distribuzione
Organizzata, a sua volta spinge verso una sempre maggiore
standardizzazione dei prodotti. I consumatori, dal canto loro, chiedono
sempre più prodotti esteticamente impeccabili, oltre che con qualità
nutrizionali e organolettiche (sapore, aroma, croccantezza) elevate.
La vita commerciale dei prodotti ortofrutticoli di quarta gamma tende ad
essere ancora più bassa rispetto a quelli di prima gamma. Questo perché, al
contrario delle altre tecniche di trasformazione che generalmente
stabilizzano il prodotto conferendo una più lunga shelf life rispetto al
prodotto tal quale, gli interventi operati sui prodotti della quarta gamma
tendono ad aumentare la loro deperibilità, e quindi a ridurne la vita
commerciale. Ad un più alto contenuto in “servizio” generalmente
corrispondono una maggiore deperibilità rispetto al prodotto di partenza e la
messa in atto di tecnologie aggiuntive finalizzate ad ottenere una shelf life
compatibile con la distribuzione commerciale (Colelli et al., 2009).
Prodotti per i quali diventa molto importante il rispetto della catena del
freddo (temperature sempre inferiori a 5 °C), il mantenimento di elevati
standard igienico-sanitari nelle diverse fasi della preparazione, e,
naturalmente, l’utilizzo di appositi imballaggi idonei al mantenimento delle
condizioni di atmosfera modificata ottimali per la tipologia di prodotto
(Colelli G., 2001).
Tutto questo ha generato nel tempo, specie per i prodotti ortofrutticoli
deperibili, una maggiore attenzione alla fase di post-raccolta, in particolare
quella di frigoconservazione. Agli aspetti intermedi del post-raccolta
(raccolta, prerefigerazione, trasporto, sino all’arrivo sul mercato) viene data
importanza proprio perché per i prodotti deperibili la vita commerciale è
breve, quindi non viene attuata una semplice conservazione, bensì una serie
71
di trattamenti da realizzarsi nel rispetto della “catena del freddo” (controllo
continuo della temperatura). Questo anche perché la temperatura
rappresenta il parametro ambientale che più di ogni altro influenza i
fenomeni degradativi nella fase post-raccolta. Tutto questo per far sì che i
prodotti ortofrutticoli deperibili raggiungano in mercati in condizioni
estetiche, organolettiche e nutrizionali conformi alle sempre più elevate
aspettative dei consumatori e ai rigidi standard importi dalle catene di
distribuzione. Circa il 40% dei prodotti freschi è sensibile alle basse
temperature in quanto possono provocare danni ai tessuti in seguito a
separazione dei lipidi di membrane e indebolimento dei legami idrofobi
influenzando le interazioni tra e con le proteine (Watada e Qi, 1999; Hodges e
ToIVonen, 2008). Risulta quindi molto importante trovare un ottimo di
temperatura di conservazione tra quella responsabile di provocare danni da
freddo e quella più alta responsabile di accelerare il deterioramento (Watada
e Qi, 1999).
Requisiti dei prodotti di quarta gamma
I prodotti di quarta gamma rappresentano un successo mondiale nel mercato
dei prodotti ortofrutticoli perché incontrano una serie di esigenze dei
consumatori che li rendono vincenti commercialmente; elevato contenuto di
servizio, mancanza di scarti , elevata percezione della qualità da parte del
consumatore che, si fida di questi prodotti in termini sia di estetica, sapore e
contenuto di valori nutrizionali.
Il prodotto di quarta gamma per non deludere il consumatore nelle sue
aspettative legate alla qualità, essendo un prodotto più deperibile
rispetto ad uno fresco tradizionale a causa delle molteplici operazioni a
cui è sottoposto (mondatura, taglio, lavaggio, asciugatura, imbustatura),
richiede il rispetto di numerosi accorgimenti che si traducono in
rigorosi “requisiti tecnici” lungo tutto il suo processo produttivo e
72
commerciale, dal campo sino alla tavola. Fattori condizionanti la qualità
che impongono una serie di accorgimenti che si traducono in aspetti tecnici
di cui tener conto nelle varie fasi del processo di produzione, accorgimenti
più o meno risolti dal punto di vista tecnico, e se risolti spesso migliorabili
che inducono continue esigenze in termini di ricerca di innovazioni
tecnologiche.
Quando si parla di requisiti qualitativi non si può assolutamente prescindere
- anzi in primissima analisi ci si riferisce - alla qualità della materia prima
utilizzata nel processo di trasformazione industriale. Al fine di migliorare gli
aspetti qualitativi di tipo organolettico e nutrizionale dei prodotti bisogna
porre molta attenzione alla qualità dei prodotti di partenza. Tutti gli sforzi
dovrebbero essere compiuti per fare in modo che chi trasforma prodotti di
quarta gamma possa partire da materia prima dalle caratteristiche superiori
in termini di sapore, consistenza e valore nutrizionale (Colelli et al., 2008).
Gli aspetti qualitativi della materia prima di cui tener conto riguardano:
l’aspetto esteriore, colore, freschezza, assenza di difetti, integrità dei
tessuti;
la consistenza, il prodotto deve risultare a seconda della tipologia di
materia prima croccante, sodo, turgido;
aspetti organolettici di gusto (sapore come dolcezza, acidità) e di
olfatto (profumo, aroma);
valore nutrizionale, contenuto di vitamine, sali minerali, fibre,
antiossidanti;
sicurezza d’uso, come assenza di sostanze dannose (residui di
diserbanti, fitofarmaci ecc.) e di microorganismi.
Il prodotto fresco tradizionale immesso nel processo produttivo deve essere
integro nel suo aspetto esteriore, confezionato adeguatamente, deve
garantire un’adeguata shelf life per permettere tranquillità nella lavorazione,
riduzione degli scarti di lavorazione, ma soprattutto integrità e
73
conservazione di un adeguato aspetto esteriore che convinca e persuada
il consumatore all’acquisto. E questo vale in particolare per i prodotti di
quarta gamma, ancor più rispetto a quelli tradizionali di prima gamma,
perché essendo confezionati il consumatore incentra la sua scelta
d’acquisto sugli aspetti visivi piuttosto che olfattivi o di consistenza con
il maggior impatto sui consumatori in quanto il prodotto è racchiuso in
una confezione e quindi può essere valutato solo attraverso la vista
(Colelli et al., 2009).
Tuttavia, questo induce anche i produttori di quarta gamma a compiere scelte
d’acquisto drastiche, come quella di preferire i mercati esteri a quelli locali
sostenendo anche costi d’acquisto della materia prima superiori, pur di
assicurarsi una materia prima con caratteristiche qualitative (essenzialmente
estetiche e di shelf life) migliori che permettano di gestire il loro processo
produttivo con più tranquillità in termini di garanzia di requisiti qualitativi,
anche in questo caso essenzialmente estetici. In merito all’insalata iceberg,
oggetto di questo studio, il responsabile di produzione dello stabilimento
produttivo di portata regionale analizzato ha dichiarato di preferire e
acquistare il prodotto spagnolo a quello italiano perché esteticamente più
valido, più turgido e adeguato ad affrontare gli stress del processo produttivo
a cui i prodotti di quarta gamma sono sottoposti (intervista diretta con
produttore di quarta gamma). Soltanto vegetali di qualità superiore, in
termini di accrescimento e condizione fisiologica, aspetto e integrità, possono
sostenere lo stress indotto dal processo di preparazione e risultare idonei al
consumo per un periodo prolungato di tempo (Colelli G. et al. 2009).
Molti sono i fattori che hanno un ruolo importante sulla qualità finale di un
prodotto di quarta gamma, tra questi si elencano (secondo Colelli et al.
2009):
la scelta varietale;
l’ambiente di coltivazione;
le tecniche colturali adottate;
74
lo stadio di maturazione alla raccolta;
le condizioni della fase che intercorre tra la raccolta e la lavorazione
vera e propria;
le condizioni operative di processo;
le condizioni di trasporto e di vendita, fino al consumo finale.
In tutte queste fasi si vanno realizzando innovazioni, frutto di miglioramenti
e ricerche, finalizzati ad un accrescimento della qualità del prodotto finale.
Prodotti di quarta gamma e fase agricola
La scelta varietale ad esempio diventa fondamentale se si considera che una
cultivar destinata alla produzione di quarta gamma dovrebbe garantire una
serie di caratteristiche, quali secondo Colelli et al. (2009) (Figura 1.29):
uniformità di dimensione e maturazione, idoneità alla raccolta
meccanica, ridotto scarto;
bassa sensibilità stagionale (scarsa dipendenza dalle condizioni
climatiche nei diversi periodi dell’anno o, in alternativa, disponibilità
di famiglie di cultivar con le stesse caratteristiche organolettiche e
fisiologiche, ma differenziate per l’adattamento alle diverse condizioni
stagionali);
peculiari caratteristiche organolettiche e sensoriali (forma,
dimensione, colore, sapore, aroma);
buon contenuto di sostanza secca (maggiore consistenza, resistenza
meccanica alle manipolazioni e alle lavorazioni);
bassa sensibilità alle basse temperature (maggiore tolleranza al
freddo e maggiore conservabilità);
elevata resistenza genetica alle malattie e alle fisiopatie (tessuti
integri e resistenti con riduzione dell’impiego di fitofarmaci e
dell’accumulo di residui nel prodotto);
75
basso livello di attività degli enzimi che contribuiscono ai processi
degradativi (imbrunimento, ossidazione, produzione di sostanze
volatili);
bassa attività respiratoria (rallentamento della distruzione della
clorofilla e mantenimento del colore verde);
maturazione più lenta nel post-raccolta.
Figura 1.29 Vivaio orticolo
Fonte: Marco Valerio Del Grosso, Antesia STP Soc. Cop.
In merito all’ambiente di coltivazione, la difesa in campo si deve basare
sull’adozione di tutte quelle pratiche colturali (ventilazione del tunnel,
corretta spaziatura delle piante, concimazioni limitate) atte a mantenere
condizioni ambientali e pedologiche non predisponenti allo sviluppo dei
parassiti. Pertanto molte implicazioni sono state osservate da una serie di
studi sulla qualità dei prodotti ortofrutticoli ottenuti in base:
76
al periodo di coltivazione, che condiziona un minor attacco da
patogeni, parassiti, fisiopatie;
alla tipologia di terreno utilizzato (argilloso, sabbioso ecc.), e questo
sia per coltivazioni in pieno campo che in serra sono preferibili terreni
di medio impasto, facilmente lavorabili, con un buon drenaggio che
scongiurino il ristagno idrico evitando l’esposizione delle piante a
malattie e fisiopatie;
alle condizioni climatiche, come condizioni di umidità, di
temperatura, esposizione alla luce solare, che favoriscono determinati
sapori, contenuti nutrizionali e aspetti legati alla qualità visiva.
Attenzione deve essere posta anche all’areale di produzione; prediligendo
per questioni sanitarie e qualitative aree lontane da fonti di inquinamento
come strade, industrie, discariche, aree di allevamento di animali o di elevata
presenza di fauna selvatica, o semplicemente trattate con ammendanti di
origine animale.
In merito alle tecniche colturali, la tecnica di produzione svolge un ruolo
strategico nell’ottenimento di un prodotto di qualità idonea per la
trasformazione di quarta gamma. Il comportamento fisiologico della lattuga,
come la sensibilità a danni da CO2, è risultato influenzato dalle pratiche
colturali, quali irrigazione e fertilizzazione, oltre che dal clima (Sorensen et
al., 1994). Soprattutto nel caso degli ortaggi da foglia, sono necessarie oculate
modifiche delle pratiche colturali rispetto ai sistemi di produzione
tradizionali (Colelli et al., 2009). In particolare ci riferiamo alle strategie per
la gestione della fertilizzazione (la quantità di azoto) che possono influire
sulla formazione della sostanza secca utile a consentire resistenza meccanica
ai tessuti vegetali, resistenza che influisce sul requisito qualitativo della
croccantezza.
77
Anche la nutrizione minerale con calcio ha importanti implicazioni
qualitative nel post-raccolta, in quanto influenza il mantenimento della
consistenza dei tessuti, ritarda la degradazione delle membrane e la
maturazione (Elia, comunicazione personale). La fase di gestione e di raccolta
sono delicate dal punto di vista della qualità del prodotto finale anche dal
punto di vista igienico sanitario. Devono pertanto essere condotte con
tecniche adeguate specie l’aggiunta di fertilizzanti. Di conseguenza,
soprattutto nelle colture ortive da foglia, è sconsigliata la fertilizzazione o
l’ammendamento con letame e compost. Oltre ai contaminanti biologici, la
limitazione nell’applicazione di compost può essere rappresentata da un
elevato contenuto in inerti (vetro e plastica) e dalla presenza di metalli
pesanti (rame, zinco, piombo, nichel, mercurio e cromo) (Colelli et al., 2009).
In merito alle tecniche colturali l’irrigazione occupa un posto di rilievo. La
situazione più probabile è l’eccesso di disponibilità idrica che comporta
l’ottenimento di tessuti più acquosi, con più basso contenuto di solidi solubili
e di sostanza secca (Crisosto et al., 1997; Weston e Barth, 1997); questi
risultano meno resistenti alla manipolazione con possibili effetti anche
sull’aumento della attività respiratoria (Lamikanra, 2002). Oltre alla quantità
è opportuna la verifica della qualità dell’acqua per verificare la presenza di
inquinamento microbico (coliformi fecali) e chimico (fluoro, bromo, cloro,
sodio e boro). I mezzi per il controllo delle contaminazioni microbiologiche
sono il filtraggio, la sterilizzazione con ozono o UV e la pulizia delle tubature.
Per la stessa ragione le acque reflue non sono indicate per l’irrigazione delle
coltivazioni di ortaggi destinati alla quarta gamma.
Aspetti fondamentali che hanno dimostrato influire sulla qualità di alcune
colture e riguardanti le tecniche di produzione riguardano la densità
dell’impianto e gli apprestamenti protettivi. Su alcune specie della
categoria baby leaf come lo spinacio e le baby carrot la coltivazione con una
maggiore densità dell’impianto ha dimostrato di favorire alcuni fenomeni
auspicabili incrementativi della qualità, come per lo spinacio la riduzione
78
della polvere sulle foglie, la forma più eretta delle stesse e l’asciugatura più
veloce della pianta per maggiore scivolata di pioggia e rugiada (Elia e
Conversa, 2006; Elia et al., 1998; Da Silva et al., 2008). In merito agli
apprestamenti protettivi, tecniche come l’inerbimento, la pacciamatura
effettuate in differenti modalità hanno condizionato aspetti legati alla qualità
come la resistenza al freddo.
Anche la difesa fitosanitaria ha il suo valore per il controllo delle malattie e
le implicazioni che queste possono avere sulla sicurezza del prodotto.
L’impiego dei prodotti fitosanitari è regolato da norme di legge che
impongono livelli massimi di residui, anche se la Grande Distribuzione
organizzata impone spesso oneri più stringenti ai suoi fornitori di prodotti
ortofrutticoli alzando il livello qualitativo dei prodotti e generando maggiori
oneri e attenzioni sui requisiti qualitativi già molto spinti che i fornitori
devono assicurare. La Grande Distribuzione Organizzata (GDO) svolge un
ruolo egemone nel settore della quarta gamma perché commercializza
la grandissima fetta di prodotto e, a seguito del suo potere, detta regole
al mondo della produzione sia in termini commerciali che qualitativi
(intervista diretta con Marco Del Grosso). Per tale motivo i parametri
commerciali influenzano profondamente la tecnica di produzione. Le
richieste alla produzione in fase agricola consistono ad esempio in: in
smaltimento differenziato dei rifiuti, analisi chimiche e microbiologiche di
controllo continue, utilizzo di reti anti insetto e anti rane, rintracciabilità e
tracciabilità, igiene totale, lotta integrata e biologica. Alcune certificazioni
della GDO sono Conad Percorso Qualità, Marchio Coop, Esselunga Naturama,
Viversano Carrefour, M&S, Tesco Natura Choise. Inoltre, molte catene
distributive e fornitori di quarta gamma ad esse collegati impongono un
livello di residui inferiore del 50% del residuo massimo ammesso dalla
normativa comunitaria, restringendo di fatto ulteriormente la possibilità di
applicazione di prodotti con scarsa residualità (Elia e Conversa, 2006).
79
La fase di raccolta, sempre in merito alla gestione della produzione dei
prodotti destinati alla quarta gamma, ha anch’essa un ruolo fondamentale
nella determinazione degli aspetti qualitativi. Molti studi confermano la
necessità di individuare uno stadio di maturazione ottimale – in genere una
raccolta precoce - per garantire livelli qualitativi elevati nella trasformazione
in prodotti di quarta gamma. Il grado di maturità alla raccolta di un prodotto
ortofrutticolo fresco destinato alla quarta gamma è un fattore critico nel
determinare il suo potenziale qualitativo e la sua conservabilità (Soliva-
Fortuny et al., 2002; Soliva-Fortuny et al., 2004; Bergquist et al., 2006;
Beaulieu e Lea, 2007). Un frutto destinato alla trasformazione di quarta
gamma è indicata la raccolta, di poco anticipata rispetto allo stadio di
maturazione indicato per i frutti destinati al consumo diretto (Colelli et al.,
2009). Lattuga (tipologia iceberg) (Figura 1.29) raccolta immatura ha
mostrato una migliore qualità visiva rispetto a cespi raccolti a stadi fenologici
più avanzati, questa è stata correlata negativamente al livello di fenoli nei
tessuti ed all’intensità dell’imbrunimento (Couture et al., 1993). In specie da
foglia lo stadio fenologico al momento della raccolta influenza il contenuto di
sostanza secca ed il contenuto di sostanze antiossidanti. Il primo è
direttamente correlato alla resistenza meccanica alla lavorazione e quindi
alla qualità visiva del prodotto finale. I composti antiossidanti, come la forma
ridotta della vitamina C (acido ascorbico), sono utili a contrastare i danni da
ROS (Reactive Oxygen Species) in foglie di lattuga con elevato contenuto di
vitamina C è stata verificata la minore biosintesi di fenoli mediata dalla PAL
(Reyes et al., 2007)
Maggiori contenuti di vitamina C e di percentuale sostanza secca generano
condizioni estetiche (visive) migliori nella fase di conservazione.
80
La coltivazione delle lattuga iceberg
Il 50% della coltivazione dei prodotti di quarta gamma in Italia avviene in
serra, con una media di 5/6 cicli all’anno con una superficie investita di circa
6.500 ha. Le aziende agricole produttrici sono circa 500, quelle di
trasformazione 200, occupati 1.500 unità (ma c’è una sottostima).
La lattuga è una coltura di stagione fresca con requisiti di temperatura ben
precisi. Le temperature di crescita ottimali sono 23° C durante il giorno e 7°C
durante la notte. Le alte temperature possono causare bullonatura, amarezza,
scarsa formazione della testa, e punte secche. A temperature vicine al
congelamento, le piante giovani non sono danneggiate, ma la crescita è lenta.
Il congelamento può danneggiare le foglie esterne della lattuga matura,
portando alla loro caduta in fase di manipolazione e di stoccaggio (Turini T.
et al., 2011).
La lattuga iceberg è coltivata in campo aperto e non tollera il gelo. Per questo
motivo la sua produzione è vincolata dai periodi dell’anno. La lattuga in
generale è un prodotto altamente deperibile. Pertanto dopo la raccolta deve
essere raffreddata al più presto possibile.
Generalmente, la produzione di lattuga iceberg e labor intensive specie nella
fase di raccolta e post-raccolta (Tusini, 2009). Inoltre pratiche colturali e
costi per la produzione di lattuga iceberg variano considerevolmente tra i
coltivatori di una regione (Smith R.F: et al., 2009).
Colture fuori suolo
Sempre in merito alle tecniche colturali un sistema che prende sempre più
piede è quello della coltivazione senza suolo. I sistemi senza suolo
permettono la coltivazione di prodotti per la quarta gamma di alta qualità.
81
Essi offrono l’indubbio vantaggio di controllare la nutrizione idrica e
minerale della pianta, consentono la riduzione dei nitrati applicando
opportune strategie, l’arricchimento in elementi minerali (calcio, ferro,
magnesio), antiossidanti (selenio) e composti funzionali (omega 3) (Conversa
et al., 2004). Permettono di aumentare il numero dei raccolti durante l’anno
tramite il riscaldamento della soluzione nutritiva che precocizza la coltura.
L’assenza di terreno aumenta l’igienicità del prodotto e permette di ridurre
l’utilizzo di prodotti fitochimici (fitosanitari) sino anche ad escluderli
(diserbanti). Numerosi accorgimenti condotti a livello sperimentale hanno
dimostrato come accorgimenti meccanici o, ad esempio, aumentando la
conducibilità elettrica della soluzione nutritiva hanno permesso di migliorare
gli aspetti qualitativi come gusto, aroma, intensità del colore verde,
percentuale di sostanza secca e addirittura prolungamento della shelf life
(Clarkson et al., 2003; Gonnella et al., 2004).
Le colture fuori suolo aumentano rese e qualità, in particolare l’NFT
(Nutrient Film Technique) più indicato per le colture da cespo, e il cosiddetto
“floating system”, o idroponica galleggiante, perfetto per quelle da taglio
(Figura 1.30). Vista l’elevata densità colturale e la rapida successione dei cicli,
senza soluzione di continuità, per queste specie da foglia a sviluppo
orizzontale non è proponibile la coltura in substrati artificiali in sacchetto,
adatta invece alle colture da frutto, soprattutto a sviluppo verticale (Battistel,
2014)
NFT e floating non rappresentano in realtà delle vere innovazioni
tecnologiche: il primo è stato messo a punto in Inghilterra addirittura 50 anni
fa, mentre il secondo, nato in Italia, viaggia pure sulla trentina. La vera
innovazione tecnica consiste nella loro quasi integrale possibilità di
automazione, senza la quale oggi se ne perdono i principali benefici. In
entrambi i sistemi è possibile la movimentazione automatica continua
(Figura 1.31) degli elementi di coltivazione, canalette (NFT) o pannelli di
82
polistirolo galleggianti (floating), da un lato all’altro della serra, ovvero dalla
testata di trapianto a quella di raccolta.
Figura 1.30 Basilico e rucola coltura floating system
Fonte: FreshPlaza.
In questo modo si può anche adattare la densità colturale allo stadio di
crescita, massimizzando assorbimento e utilizzazione della radiazione solare,
e quasi azzerare le tare improduttive all’interno della serra (Battistel, 2014)
Figura 1.30 Semina e taglio su coltivazioni floating system
Fonte: FreshPlaza.
83
Esistono oggi a livello mondiale anche diversi esempi su larga scala di
robotizzazione integrale, in cui pure le operazioni di trapianto e raccolta sono
gestite da macchine. Si tratta ovviamente di sistemi che richiedono
investimenti molto elevati, non solo per gli impianti di coltivazione, ma anche
per quelli di fertirrigazione a ciclo chiuso integrale, di climatizzazione e,
molto spesso, anche di illuminazione artificiale (Battistel, 2014).
A ciò si possono aggiungere anche gli aspetti qualitativi superiori (maggiore
contenuto di sostanza secca, quindi maggiore shelf-life e croccantezza;
omogeneità, pulizia, ecc.) e pure i benefici ambientali (il ciclo chiuso
minimizza il consumo idrico e azzera la dispersione di fertilizzanti nei corsi
d’acqua superficiali o nelle falde profonde). Nonostante i numerosi vantaggi
che possono comportare, tuttavia la loro diffusione in Italia è ancora assai
limitata. Diversa la situazione all’estero: diffusi dapprima in Nord Europa
(Inghilterra, Olanda, Belgio, Scandinavia), stanno oggi riscoprendo invece un
rinnovato interesse anche in Nord America, Giappone, Korea, Russia.
(Battistel, 2014).
Prodotti di quarta gamma e fase industriale
I processi di lavorazione dei prodotti di quarta gamma, considerato che si
riferiscono a molte varietà di prodotti, sono molto differenziati e
caratterizzati da una automazione impiantistica più o meno spinta che si
alterna ad operazioni di tipo manuale. Non tutte le operazioni sono
necessarie per le diverse tipologie di prodotto, ed alcune possono essere
facoltative per alcuni prodotti (Colelli et al., 2009).
In merito alla fase di raccolta del prodotto questa può essere realizzata a
mano o con l’ausilio di macchine operatrici, soprattutto per ciò che riguarda
lo sfalcio delle baby leaf, in casi particolari, le insalate da taglio. Importante è
84
che la manipolazione del prodotto sia tale da non danneggiarlo provocando
lesioni o pressioni eccessive.
Dopo la raccolta è importante raffreddare rapidamente la materia prima per
mantenerne inalterate le caratteristiche: in base alla specie si può ricorrere
ad un raffreddamento tramite aria forzata, molto usato e particolarmente
efficace e versatile, o ad un raffreddamento con acqua. Il raffreddamento
mediante vuoto è invece utilizzato per i prodotti con grande rapporto
superficie/volume, quali i prodotti fogliosi (Colelli, 2001). Il trasporto
prevede la movimentazione dal campo al centro aziendale o ai centri di
condizionamento o di trasformazione, a seconda dei casi.
Massima attenzione nella fase di trasporto è destinata a limitare i danni
meccanici sui prodotti. Il trasporto spesso è effettuato in contenitori forniti
direttamente dall’industria di trasformazione. All’arrivo nello stabilimento, il
prodotto, qualora non destinato ad una fase di stoccaggio temporaneo, viene
avviato alla fase di controllo e selezione ed alla successiva fase di mondatura.
La riduzione del periodo tra raccolta e lavorazione è estremamente impor-
tante considerando che i ritmi respiratori sono elevati, particolarmente nelle
specie orticole da foglia (Colelli et al., 2009).
Raggiunto lo stabilimento di produzione dopo l’eventuale stoccaggio il
prodotto è posizionato su nastri trasportatori che lo intrudono sulle linee di
lavorazione. Qui il personale normalmente realizza la selezione manualmente
il prodotto, in alcuni casi sono disponibili sistemi di selezione automatica
secondo diversi criteri legati alle dimensioni, alle caratteristiche
morfologiche, al colore, o, nei sistemi più recenti, ad alcune caratteristiche
composizionali (Beni et al., 2001).
Il lavaggio rappresenta una fase molto importante del processo di
lavorazione industriale. E’ un punto critico che serve a eliminare terra, corpi
estranei e residui di prodotto indesiderati, a ridurre la carica microbica e a
85
rimuovere l’eventuale presenza di contaminanti chimici. Un sistema di
lavaggio ottimale di norma si compone di tre vasche separate, all’interno
delle quali getti d’aria movimentano il flusso d’acqua, rendendo più efficace la
rimozione meccanica dello sporco dalle superfici del prodotto. Il cloro è
l’agente sanitizzante dell’acqua abitualmente usato in gran parte dell’Europa
Occidentale e nel Nord America, durante la fase di lavaggio, essendo
abbastanza efficace ed economico (Colelli et al., 2009). Usato generalmente in
soluzione acquosa in concentrazione variabile tra 50- 200 ppm (Parish et al.,
2003; Soliva-Fortuny e Martín-Belloso, 2003) per un tempo di contatto pari a
1-3 minuti. Negli ultimi anni le crescenti preoccupazioni relative da un lato
alla possibile formazione di composti nocivi, hanno accresciuto i dubbi
relativi all’uso dell’ipoclorito di sodio e spingono verso l’ implementazione di
agenti sanitizzanti alternativi. Alcuni trattamenti fisici sono stati proposti
come alternativa all’uso di sanitizzanti chimici, tra cui l’uso dell’ozono e
quello di radiazioni non ionizzanti, quali i raggi ultravioletti (UV-C).
In seguito all’ultima operazione di lavaggio, e prima del confezionamento,
avviene l’operazione di asciugatura, che consiste nella rimozione dell’acqua
in eccesso sulla superficie del prodotto. Tale operazione risulta della
massima importanza perché la presenza di acqua liquida a contatto con i
tessuti aumenta notevolmente il rischio di proliferazione microbica di tipo
degenerativo. Una prima fase può consistere nell’uso di piattaforme forate
vibranti che scuotono il prodotto facendolo avanzare, provocando
l’allontanamento dell’acqua attraverso i fori. Tale operazione può avvenire
contemporaneamente, o essere seguita, dalla ventilazione forzata con aria
fredda (-1 - 0 °C) o, in alternativa, l’asciugatura del prodotto può realizzarsi
attraverso centrifugazione. Il sistema per centrifugazione, sebbene molto
utilizzato, soprattutto per le insalate tagliate, può presentare l’inconveniente
di arrecare danni meccanici al prodotto, con conseguente aumento potenziale
dei fenomeni di imbrunimento.
86
Per il mantenimento della qualità dei prodotti tagliati sono ad oggi
disponibili diverse strategie basate su mezzi fisici e chimici, che mirano in
particolare al rallentamento dell’imbrunimento e della perdita di
consistenza. Le basse temperature, i trattamenti termici e l’utilizzo di
atmosfere modificate sono tra i più utilizzati sistemi fisici, mentre i sistemi
chimici prevedono l’inibizione degli enzimi responsabili dell’ imbrunimento.
Esistono diversi composti ad azione anti-imbrunente: l’acido ascorbico, la
cisteina, il cloruro di sodio e l’immersione in soluzioni con composti a base di
calcio, è uno dei pre-trattamenti più usati per il mantenimento della
consistenza iniziale di pezzi di diverse specie come zucchina carota alla
julienne mela pera e fragola a pezzi. Tra i mezzi fisici, l’uso di rivestimenti
(coating) edibili rappresenta un’altra valida strategia per il mantenimento
della qualità dei prodotti tagliati. Tali coating sono costituiti da sostanze che
ricoprono il prodotto formando una barriera invisibile, inodore ed insapore
che agisce da barriera protettiva. Questa barriera limita enormemente gli
scambi gassosi (anche col vapore d’acqua) e la perdita quindi di composti
volatili, impartendo al prodotto una maggiore resistenza meccanica e
preservando allo stesso tempo il colore e la consistenza dei pezzi.
Il calore, sia usato secco (tra i 35 ed i 40 °C) sia in forma di breve immersione
in acqua calda (fino a 50- 53 °C), costituisce un altro mezzo fisico usato in
fase post-raccolta per estendere la vita commerciale dei prodotti
ortofrutticoli, e che ha potenziali applicazioni anche per il prodotto di quarta
gamma.
Il confezionamento in atmosfera modificata (MAP) è un valido ausilio al
fine di estendere la vita commerciale dei prodotti di quarta gamma.
Attraverso l’atmosfera modificata si punta ad ottenere all’interno della
confezione una composizione ottimale di gas per un dato prodotto, creata dal
prodotto stesso con la respirazione o attivamente creata attraverso la
sostituzione dell’aria con un’opportuna miscela di gas, prima della chiusura
del contenitore. Una volta chiuso l’imballaggio non è possibile nessun’altra
forma di controllo e la composizione dell’atmosfera al suo interno sarà
87
inevitabilmente destinata a variare in relazione al metabolismo del prodotto
ed alle proprietà barriera del materiale utilizzato (Sivertsvik et al., 2002). Per
ogni tipologia di prodotto è della massima importanza utilizzare appropriate
composizioni gassose, in quanto la tolleranza a basse concentrazioni di
ossigeno e/o ad alte concentrazioni di anidride carbonica dipendono dal tipo
di prodotto. Un grandissimo numero di lavori scientifici descrive condizioni
gassose ottimali per diverse specie di quarta gamma in quanto tale aspetto
rappresenta un importante punto critico. Un aspetto molto importante
relativo all’applicazione di atmosfere modificate è la scelta del materiale da
imballaggio, in funzione delle proprietà barriera ai gas. È noto infatti che in
relazione alla composizione, alla struttura ed allo spessore, i film polimerici
utilizzati si lasciano attraversare dall’ossigeno e dall’anidride carbonica in
maniera diversa. Con l’obiettivo di ottenere una concentrazione relativa di
tali gas il più possibile vicina a quella ottimale per il particolare prodotto ivi
racchiuso, la scelta del film viene effettuata alla luce di numerosi fattori, che
comprendono naturalmente il tipo e la quantità di prodotto (in relazione alla
sua attività metabolica), la superficie scambiante del film e la sua
permeabilità relativa ai gas metabolici.
In relazione alla tecnologia MAP, un ultimo accenno andrebbe rivolto ai
materiali da imballaggio, soprattutto in relazione all’impatto ambientale
legato all’enorme aumento d’uso di tali materiali conseguente la crescita del
settore della quarta gamma. Da questo punto di vista è in corso un forte
dibattito legato alla sostenibilità ambientale di tale pratica e si guarda con
molta speranza alla crescente disponibilità ed utilizzo di materiali
completamente riciclabili in tempi brevi e, in molti casi, ottenuti a partire da
sottoprodotti o da materiale vegetale (Marsh e Bugusu, 2007).
88
ASPETTI AMBIENTALI SIGNIFICATIVI DELLA PRODUZIONE DI FRUTTA E
VERDURA DI QUARTA GAMMA
L’attuale sistema di approvvigionamento alimentare ha dimostrato di avere
impatti problematici che mettono in discussione la sua sostenibilità. Questi
impatti includono la dipendenza da input come l’allevamento intensivo e la
produzione di alimenti fuori stagione (Baldwin C., 2009). Ad esempio, la
produzione agricola è responsabile da sola del 17-32% delle emissioni
globali di gas serra (Bellarby et al., 2008). Diventa, pertanto importante
approfondire e valutare tutto il comparto della produzione di cibo
soffermandosi sugli aspetti problematici principali. Le considerazione chiave
sulla sostenibilità in tema di approvvigionamento di cibo includono le
tematiche energia, rifiuti, acqua, aria, clima, biodiversità, qualità del cibo,
quantità di cibo, prezzi degli alimenti, la sicurezza alimentare, l’occupazione e
il benessere dei dipendenti (Kramer e Meeusen, 2003). Aspetti che devono
essere rivisti alla luce dei fondamentali principi dello sviluppo sostenibile. I
principi di sostenibilità per i prodotti alimentari sono i seguenti (Baldwin C.,
2009):
1. garantire la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare;
2. fornire cibo ricco dal punto di vista nutrizionale;
3. ridurre al minimo prodotti e ingredienti animali;
4. utilizzare prodotti agricoli non provenienti da sfruttamento intensivo;
5. evitare il trasporto aereo di cibo;
6. diversificare le risorse;
7. processi produttivi con input minimi (materie prime, acqua ed energia);
8. processi produttivi con “zero” rifiuti;
9. ridurre al minimo l'imballaggio totale;
10. efficienza nella consegna dei prodotti alimentari ai consumatori
In merito ai prodotti ortofrutticoli poi, l’analisi dei risultati di LCA condotti
nell’ambito della vendita di prodotti vegetali ha dimostrato che il trasporto
89
aereo e la produzione in serre riscaldate sono le scelte relative alle fasi del
ciclo di vita che creano i più elevati impatti ambientali (Figura 2.1).
Figura 2.1 Impatti ambientali della vendita di prodotti vegetali
Fonte: ESU Services.
Inoltre, è stato dimostrato che al pari dei prodotti animali i prodotti con un
elevato impatto sono quelli coltivati con operazioni ad alta intensità,
come le serre. Quindi, la priorità, per un consumo sostenibile, dovrebbe
essere data ai prodotti agricoli a bassa intensità. Aspetto che comprende
l'approvvigionamento di verdura fresca o frutta di stagione, in termini di
tempi ma anche luoghi. Questo perché il legame tra cibo locale e un ridotto
impatto ambientale non è sempre forte. Le pratiche di coltivazione a basso
impatto ambientale realizzate in aree di approvvigionamento più lontane
hanno dimostrato vantaggi rispetto alle pratiche ad alta intensità locali
(Baldwin C., 2009).
90
Le nostre scelte di consumo da un punto di vista ambientale sono tra loro
molto diverse in termini di impatti, e la loro conoscenza può spingere il
consumatore verso forme di consumo più consapevoli dal punto di vista
ambientale e, di conseguenza, più sostenibili. Valgano alcuni esempi come
quello dei vegetali coltivati in campo e le patate, che hanno un GWP/ per kg
(Global Warming Potential – Potenziale di Riscaldamento Globale) di
prodotto notevolmente più basso rispetto ad altri alimenti come carne e
pane. Prodotti vegetali come carote, cipolle e patate, ad esempio,
contribuiscono al processo di acidificazione e eutrofizzazione meno del 5%
del livello della carne di maiale. Inoltre, i pomodori coltivati in una serra
hanno un profilo ambientale che è notevolmente diverso dagli ortaggi
prodotti in pieno campo, sia perché il riscaldamento necessario in serra
genera - relativamente - una grande emissione di gas serra, sia perché l'uso di
nutrienti è inefficiente, portando ad una perdita significativa di azoto e
fosforo (Halberg et al., 2006). Ne consegue che la produzione in serra di
ortaggi in termini di emissioni di gas serra è simile alla produzione di carne
di maiale, ma causa un po’ meno acidificazione e perdita di nutrienti. Rispetto
agli ortaggi in serra, le verdure coltivate in campo hanno un basso consumo
energetico e bassa emissione di gas ad effetto serra per chilogrammo di
prodotto, anche se è un po’ più alto per le carote impagliate.
L'elevata importanza dell’uso di energia, ad esempio, per i pomodori prodotti
in serra (riscaldamento) e le carote (preparazione del terreno e la copertura
di paglia) e la grande differenza nelle rese fa si che anche i prodotti biologici
abbiano emissioni di gas serra superiori rispetto a quelli convenzionali.
Il trasporto
Per i prodotti della catena alimentare la problematica dell’impatto
ambientale è legata molto anche alla voce trasporti. In pratica si tratta di
91
mappare e definire quanti chilometri ha percorso un prodotto prima di
arrivare sulla tavola del consumatore. Nel calcolo bisogna considerare i
chilometri totali, includendo anche quelli interni agli stabilimenti e
analizzando i vari carichi e scarichi che il prodotto ha subito. La voce
trasporti è una delle componenti peculiari del settore alimentare di quarta
gamma, dove tutto si basa su capacità logistica, velocità, tempismo, e dove
spesso le scelte si fanno senza prendere in considerazione parametri legati al
basso impatto ambientale.
La fase di trasporto dei prodotti ortofrutticoli di quarta gamma in termini di
maggiori impatti ambientali riguarda soprattutto due momenti:
l’approvvigionamento della materia prima, quando proviene da mercati
diversi dalle aree vicine agli stabilimenti di produzione (per l’insalata iceberg
ad esempio uno dei principali mercati di approvvigionamento europei è la
Spagna, regione della Murcia) e la fase di consegna alle catene di
distribuzione o ai dettaglianti in generale.
Per l’approvvigionamento della materia prima sorprende come la
disponibilità di prodotto nei pressi delle aree di produzione sia scartata come
scelta di acquisto da parte delle aziende di trasformazione sia per questioni
di convenienza economica del prodotto estero ma anche per i requisisti
qualitativi che questi prodotti garantiscono (disponibilità costante nell’arco
dell’anno e costanza degli standard qualitativi) (intervista diretta con
produttori di insalata iceberg della Piana del Sele e con aziende di
trasformazione in Puglia). Inoltre, l’approvvigionamento non segue sempre le
stesse strade, specie nelle aziende di minori dimensioni, per questioni sia di
stagionalità che di convenienza economica. Quando il prodotto è acquistato
nei mercati nazionali è trasportato su gomma. Se proviene dalla Spagna,
come il caso studio analizzato in questo lavoro, parte del trasporto avviene
via nave.
92
Alcuni studi di valutazione di impatto ambientale incentrati proprio sul
mercato dell’insalata in Gran Bretagna hanno però dimostrato come il
prodotto locale non sia sempre preferibile in termini ambientali rispetto a
quello importato. Confrontando la produzione di insalata in diverse fattorie
della Gran Bretagna (che realizzano produzioni in serra e a pieno campo nel
solo periodo estivo) con fattorie della Spagna (a pieno campo). A causa dei
maggiori consumi energetici – e delle relative emissioni di gas a effetto serra
- nel periodo invernale (novembre-aprile) da parte delle fattorie inglesi che
realizzano produzioni in serre riscaldate rispetto alle produzioni a pieno
campo delle fattorie spagnole e, “durante i mesi estivi, il livello globale di
emissioni della lattuga prodotta in UK a pieno campo è simile a quella della
lattuga spagnola cresciuta in inverno, anche quando vengono incluse le
emissioni per il trasporto della lattuga spagnola per più di 2.600 kilometri,
dovuto alla più bassa meccanizzazione e alle più alte rese delle fattorie
spagnole” (Milà i Canals et al. 2008). Quindi è risultato che, presi in
considerazione insieme, questi risultati forniscono una chiara illustrazione di
una conclusione generale che il cibo prodotto localmente non è
necessariamente “environmental friendly” rispetto al cibo importato (Hospido
et al., 2008).
Nella ipotesi analizzata il consumo di energia legato al trasporto, e le relative
emissioni, sono compensate dal maggior consumo di energia dovuto al
ricorso alla produzione in serre riscaldate rispetto a quella a pieno campo,
alla differenza nelle rese quando il consumo è realizzato nei mesi estivi e alla
minore meccanizzazione. Fattori questi che potrebbero in futuro essere
messi in discussione però dai cambiamenti climatici di origine
antropogenica in corso a seguito dei quali l’anno 2015 è risultato l’anno più
caldo da quando l’uomo ha cominciato a registrare le temperature terrestri
(Figura 2.2). La temperatura media globale è stata seconda la Nasa e Noaa
(National Centers for Environmental Information, l’agenzia federale Usa per
la meteorologia) di 1 °C sopra la media del periodo 1880-1999. È la cifra più
alta mai registrata negli ultimi 136 anni, e supera il record del 2014 di 0,16
93
gradi. La temperatura sulla superficie terrestre è stata più alta di 1,33 gradi
rispetto alla media; quella della superficie marina ha registrato +0,74 gradi
sopra la media (Noaa/Nasa, 2016).
Figura 2.2 Cambiamenti climatici anno 2015
Fonte : NOAA’s National Centers for Environmental Information
Il termometro è stato da record anche a dicembre 2015, che con 1,11 gradi
sopra la media si è confermato il dicembre più caldo di sempre. Nel corso del
2015 sono stati 10 i mesi che hanno segnato un primato delle temperature,
con le sole eccezioni di gennaio e aprile. Gennaio 2015, stando ai dati della
Nasa, è stato il più caldo dal 1880, cioè da quando si ha disponibilità di dati.
La temperatura globale ha raggiunto 1,13 gradi in più rispetto alla media del
1951-1980, che è il parametro usato dall'Agenzia statunitense per misurare il
trend delle temperature. Si tratta dello scostamento dalla media più alto mai
registrato nella storia, e della quarta volta consecutiva in cui la temperatura
94
sale di oltre un grado sopra la media dopo ottobre (+1.06 gradi) novembre
(+1.02) e dicembre (+1,11) del 2015 (Figura 2.3).
Figura 2.3 Cambiamenti climatici gennaio 2016
Fonte: NASA (2016).
Cambiamenti climatici che rendono più accessibili le produzioni nelle aree
poste più a Nord (se parliamo di Europa) rispetto a quelle storicamente a
maggior vocazione, perché le più alte temperature modificano i tempi di
maturazione (anticipandoli), le rese e di conseguenza le relative disponibilità
di prodotto e la periodicità delle offerte; modificano anche i calibri (che si
riducono) e la conseguente qualità, e generano cambiamenti nel consumo di
acqua per l’irrigazione, che cresce sia per le colture protette che in pieno
campo.
95
In merito alla consegna dei prodotti presso le catene di distribuzione occorre
sottolineare inoltre l’aspetto di grande ingombro che i prodotti
ortofrutticoli di quarta gamma realizzano. Questi prodotti sono leggeri,
ingombranti e delicati da maneggiare. Pertanto, anche a causa della scelta
dell’imballaggio - dettate sia da esigenze di protezione del prodotto sia di
conservazione - si realizzano in fase di trasporto grandi ingombri per limitate
quantità di prodotto, dall’altrettanto limitato valore commerciale. Una
situazione molto simile alle problematiche di movimentazione delle acque
minerali imbottigliate e delle bibite (grandi ingombri con poco valore
commerciale) con l’aggravante in meno però del peso del prodotto, che per i
prodotti di quarta gamma a confronto resta esiguo, ma con la problematica in
più della catena del freddo da mantenere.
Il consumo di energia
La determinazione del consumo energetico della produzione industriale dei
prodotti ortofrutticoli di quarta gamma consente la quantificazione delle
emissioni che non sono state generate dalla voce “trasporti”. Nella maggior
parte dei casi si focalizza sullo stabilimento e quindi sulle sue esigenze
energetiche. Normalmente la voce “energia” consiste nel calcolo totale del
fabbisogno in termini di kilowattora totali di cui lo stabilimento necessita,
comprendendo in questa stima uffici, aree di stoccaggio, mensa, officine e
qualunque altro reparto consumi energia. Il calcolo è abbastanza semplice e
normalmente si articola in diverse voci principali, quali zona produzione,
aree di stoccaggio, uffici e personale. Se si considerano gli stabilimenti italiani
si evidenzia il fatto che in passato non si è mai posta particolare attenzione al
risparmio energetico – e questo vale anche per il consumo idrico - in quanto è
avvenuto di rado che già in partenza, in fase di progettazione di un nuovo
stabilimento, si sia fatto un tentativo di ottimizzare le aree, gli accessi o le
tecnologie. Nella maggior parte dei casi gli stabilimenti sono cresciuti in
96
maniera disomogenea, tramite la costruzione di nuove strutture accanto a
quelle già esistenti. Questo ha portato alla creazione di aree sicuramente
realizzate con materiali di avanguardia, che però hanno comportato
un’ottimizzazione solo parziale in termini generali.
Per quanto riguarda le linee di lavorazione possiamo suddividere le voci di
consumo in base alle due macro-aree di lavorazione: preparazione-lavaggio
e asciugatura. Tenendo presente che tutte le fasi di lavorazione industriale
si svolgono in ambienti condizionati con una temperatura che si aggira in
media interno ai 14 °C. Dall’analisi delle linee di lavorazione emerge che
generalmente la zona di maggior consumo è quella riservata all’asciugatura,
specialmente laddove vengano utilizzati sistemi a “tunnel ad aria forzata”.
Questi sistemi, a differenza della semplice centrifuga, hanno batterie di
scambio termico che determinano un consumo di energia molto alto. Per le
vasche di lavaggio, a parte qualche motore elettrico e soffiante per il
borbottaggio, il consumo è determinato dalla refrigerazione dell’acqua. In
generale, per la voce “consumo energetico”, è necessario non solo calcolare il
consumo generale espresso in chilowattora, ma anche valutare se siano
presenti emissioni gassose dovute a combustione, per esempio se i
chilowattora siano prodotti da un generatore con motore diesel.
L’utilizzo di acqua
L’uso dell’acqua in agricoltura genera molti problemi e sprechi e spinge verso
la ricerca di sempre nuove tecniche di irrigazione, iniziative per difendere le
acque sotterranee - quelle a cui l’agricoltura maggiormente attinge per
l’irrigazione, sistemi per ridurre gli inquinamenti provocati da un uso
eccessivo di concimi azotati, dai reflui delle attività zootecniche, dell’avanzata
delle acque saline in seguito all’abbassamento delle falde idriche sotterranee
a causa di un eccessivo prelievo.
97
Il ciclo dell’acqua coinvoltanella produzione e nell’usodegli alimenti umani
continua dopo il “consumo”. Tutta l’acqua impiegata ritorna nell’ambiente,
per la maggior parte in forma liquida contenente sottoprodotti, scarti e rifiuti
delle varie fasi del ciclo; sono le acque inquinate che finiscono nel sottosuolo
e l’acqua contenuta nei rifiuti solidi, destinati alle discariche e agli
inceneritori, che si “perde” nelle falde sotterranee o come vapore
nell’atmosfera.
Per disporre di dati di riferimento interessante sarebbe conoscere
esattamente quanta acqua viene utilizzata per produrre una unità di pesodi
cibo o una unità di peso di sostanze nutritive. Caratterizzare cioè il valore
delle merci con altri indicatori, diversi da quelli monetari, fisici, come il
costo in acqua o in energia o l’impatto ambientale. Sono stati pubblicati
molti studi sul “costo in acqua”, talvolta chiamato “impronta”, degli alimenti,
con risultati peraltro contradditori perché dipendono dalle parti del
complesso ciclodi produzione che sono prese in considerazione.
“L’impronta idrica è un indicatore del consumo di acqua dolce che include sia
l’uso diretto che indiretto di acqua da parte di un consumatore o di un
produttore. L’impronta idrica di un singolo, una comunità o di un’azienda è
definita come il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre beni e
servizi, misurata in termini di volumi d’acqua consumati (evaporati o
incorporati in un prodotto) e inquinati per unità di tempo. Nella definizione
dell’impronta idrica è data inoltre rilevanza alla localizzazione geografica dei
punti di captazione della risorsa” (Ministero dell’ambiente, 2015).
Il computo globale della water footprint è dato dalla somma di tre
componenti:
acqua blu, si riferisce al prelievo di acque superficiali e sotterranee
destinate ad un utilizzo per scopi agricoli, domestici e industriali. È la
98
quantità di acqua dolce che non torna a valle del processo produttivo
nel medesimo punto in cui è stata prelevata o vi torna, ma in tempi
diversi;
acqua verde, è il volume di acqua piovana che non contribuisce al
ruscellamento superficiale e si riferisce principalmente all’acqua
evapo-traspirata per un utilizzo agricolo;
acqua grigia, rappresenta il volume di acqua inquinata, quantificata
come il volume di acqua necessario per diluire gli inquinanti al punto
che la qualità delle acque torni sopra gli standard di qualità.
La valutazione dell’indicatore water footprint (Figura 2.4) è quindi una
misura volumetrica del consumo e dell’inquinamento di acqua. Misura che
fornisce un’indicazione della sostenibilità della risorsa acqua utilizzata per
fini antropici.
Figura 2.4 Impronta idrica degli alimenti
Fonte: www.barillacfn.com
99
L’utilizzo di acqua nel settore dei prodotti di quarta gamma
Nel settore della quarta gamma l’utilizzo di acqua è uno degli aspetti rilevanti
del ciclo di vita dei prodotti ortofrutticoli. La materia prima giunge presso lo
stabilimento di produzione pronta per essere lavorata.
In merito all’utilizzo di acqua in fase agricola ad esempio per la produzione di
lattuga iceberg dipende da molteplici aspetti, primo in assoluto le condizioni
climatiche in cui è realizzata la coltivazione. I consumi di acqua stimati per la
produzione in serra nella Piana del Sele (Provincia di Salerno) sono di circa
1.000 – 1.500 metri cubi per ettaro (per produzioni in serra), ma queste
quantità di acqua possono variare in base alle condizioni climatiche; durante
l’inverno 2015-2016 le più elevate temperature registrate hanno generato
anche per la produzione in serra un incremento dei consumi di acqua per
irrigazione in media del 20% in più (intervista diretta con produttore locale).
La coltivazione in pieno campo rispetto alla coltivazione in serra richiede in
media un consumo di acqua del 30% inferiore.
Nel processo produttivo della quarta gamma l’acqua è utilizzata
essenzialmente per il lavaggio del prodotto. Il lavaggio è effettuato in vasche
(in genere una per ogni linea produttiva) e all’acqua utilizzata viene aggiunto
del cloro per igienizzare. Il lavaggio del prodotto avviene prima della fase di
confezionamento, quando il prodotto è già stato privato delle foglie in
eccesso (insalate) e tagliato. L’uso del cloro durante il lavaggio dei prodotti di
quarta gamma risulta un trattamento di routine per il controllo della
popolazione microbica anche se non del tutto sufficiente per eliminare
completamente il rischio legato alla presenza di alcuni microrganismi
patogeni come Listeria monocytogenes (Baur et al., 2004; Ahn et al., 2005).
Nonostante la buona efficacia complessiva, l’economicità e la facilità di
100
impiego la possibile formazione nell’acqua di composti cancerogeni a base
cloro ha fatto sorgere alcuni dubbi circa il suo utilizzo (Martín-Diana et al.,
2008; Martínez- Sánchez et al., 2006). Inoltre, nell'industria si stanno
abbandonando i derivati del cloro per via delle alterazioni delle
caratteristiche olfattive a discapito del prodotto: una volta aperta la
confezione infatti il consumatore percepisce uno sgradevole odore di cloro,
che di certo non stimola l'appetito. E neanche un nuovo acquisto (FreshPlaza,
2015).
Durante la fase di impacchettamento dei prodotti, sono assai pochi gli
stabilimenti che si avvalgono di un sistema di utilizzo consapevole delle
risorse idriche con moderni sistemi di riciclo. Il settore, che ai suoi albori si
basava su attività di tipo semi-manuale, ha conosciuto uno sviluppo graduale.
Il grande utilizzo di acqua è dettato (o meglio lo era, negli anni passati) dalla
necessità di assicurarsi una ridotta carica batterica sulle foglie limitando il
più possibile il ricorso ai prodotti chimici. Ne deriva una regola generale che
affonda le sue radici nel passato: grande quantità di acqua a perdere che
alimenta le vasche di lavaggio, per rendere possibile un risultato ottimale. In
Europa sono in molti ad adottare questa filosofia: molta acqua senza prodotti
chimici. Tuttavia, nei Paesi del Nord, nel tentativo di limitare lo spreco idrico
e al tempo stesso bandire i prodotti chimici che possono lasciare residui,
alcune aziende hanno adottato sistemi per ozonizzare l’acqua delle vasche di
lavaggio, o introdotto sistemi di filtraggio con i raggi UV. Negli Stati Uniti è
abbastanza diffusa la pratica di diluire cloro a bassa concentrazione nelle
prime vasche di lavaggio in modo da ridurre la carica batterica, e lasciare
nelle vasche successive l’acqua per il risciacquo. Il largo consumo di acqua
dipende non solo dalla lavorazione delle materie prime, ma anche dalla
necessità di sanificare gli impianti di produzione, attività che viene effettuata
quotidianamente.
101
L’imballaggio e la conservazione
I prodotti vegetali sono caratterizzata da una elevata attività metabolica che
si realizza nella fase di post-raccolta. Inoltre, essi sono contengono una quota
molto elevata di acqua e questo li rende vulnerabili agli attacchi di funghi e
batteri. Frutta e verdura sono soggetti a un processo spontaneo endogeno e
degenerativo chiamato senescenza. Questo fenomeno che non può essere
fermato, ma solo rallentato, consiste di una serie di reazioni che causano
alterazioni biochimiche, alcune desiderate (colore e sviluppo di sapore),
altre deleterie e temute in quanto provocano perdita di peso, freschezza e
valore nutrizionale.
Gli obiettivi principali e cruciali degli imballaggi di frutta e verdura sono
diversi:
protezione durante il trasporto;
tracciabilità;
innovazione di prodotto;
diversificazione della vita commerciale;
estensione della shelf-life.
La ricerca al giorno d’oggi in merito al packaging si focalizza principalmente:
studi sulla modulazione della permeabilità dei materiali; applicazione di
sistemi per il controllo del rispetto della catena del freddo al packaging
secondario e terziario; sulle performance di sensori di maturazione e
dell’active packaging. Il confezionamento deve, a seconda dei casi, facilitare o
limitare tutti questi fenomeni: deve adattarsi al metabolismo del prodotto al
fine di non ostacolare la respirazione e non provocare la morte del cibo, ma
allo stesso tempo, deve preservare da tutti le reazioni o cambiamenti che
potrebbero causare un decadimento della qualità. Un'attenta pianificazione
102
delle pellicole plastiche con permeabilità ottimale per le diverse applicazioni
rappresenta la soluzione che il packaging offre a questo tipo di problemi. La
permeabilità deve essere tale da consentire la creazione di un'atmosfera
particolare: ossigeno, anidride carbonica e la concentrazione di etilene non
deve superare o essere inferiore a certi livelli per non causare condizioni di
asfissia, morte o sviluppo di agenti patogeni.
In generale respirazione, velocità di senescenza e produzione di etilene
diminuiscono con una bassa concentrazione di ossigeno ed elevate
concentrazioni di anidride carbonica. Il ruolo dell'imballaggio pertanto
dovrebbe essere quello di consentire di raggiungere tali livelli di gas e di
interferire positivamente sull'attività metabolica per estendere
conservabilità del prodotto confezionato.
Un'altra proprietà del pacchetto che è essenziale per preservare la freschezza
degli ortaggi è la permeabilità al vapore acqueo. Infatti, la perdita di umidità
attraverso il materiale di confezionamento, che è proporzionale alla
differenza di pressione parziale di vapore tra la superficie del prodotto e
l'ambiente di conservazione, possono influenzare negativamente le principali
caratteristiche qualitative di frutta e vegetali come il loro aspetto, la
consistenza e il sapore. In realtà anche una perdita di peso del 5% è
sufficiente a causare una diminuzione di freschezza e per dare un aspetto
senza linfa alle verdure, soprattutto quelle a foglia larga.
Definizione e classificazione degli imballaggi alimentari
La normativa nazionale definisce imballaggio “il prodotto, composto da
materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere e a proteggere determinate
merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a consentire la loro
manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o
103
all’utilizzatore, e ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a
perdere usati allo stesso scopo” (art. 218 del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 recante Norme in materia ambientale).
La crescente eterogeneità delle tipologie di imballaggio ha reso necessaria
una loro classificazione, che tradizionalmente si suddivide in:
imballaggio primario o per la vendita, tutti gli imballaggi destinati
alla vendita al dettaglio dei prodotti. Si suddividono, a loro volta, in
imballaggio a diretto contatto con il prodotto, che ha una funzione di
protezione del prodotto (ad esempio la lattina per bevande), e in
sovra imballaggio, che ha invece una funzione di contenimento (un
esempio e la pellicola di plastica che contiene piu lattine di alluminio);
imballaggio secondario o multiplo, utilizzato, nei punti vendita, per
il raggruppamento di un certo numero di prodotti, indipendentemente
dal fatto che sia venduto come tale al consumatore finale o che possa
servire solo a facilitare il rifornimento degli scaffali nel punto di
vendita (ad esempio il vassoio di cartoncino che raggruppa più
lattine);
imballaggio terziario o per il trasporto, utilizzato per facilitare la
manipolazione ed il trasporto di grandi quantita di prodotti oppure di
imballaggi secondari per evitare i danni connessi al trasporto (ad
esempio il pallet su cui e possibile impilare anche 10.000 lattine di
alluminio).
Dal punto di vista ambientale e possibile individuare due macro-categorie
finalizzate allo smaltimento:
104
imballaggi domestici, tutti gli imballaggi provenienti dal
consumatore finale (in prevalenza primari, con frazioni di secondari e
terziari);
imballaggi industriali, provenienti dal circuito di produzione e
distribuzione dei prodotti; sono in genere secondari e terziari, ma
possono essere anche primari, come nel caso dei vuoti a rendere.
Imballaggio primario
Nel settore dei prodotti ortofrutticoli l’uso di imballaggi di plastica spazia da
prodotti con lunga shelf-life sino a quelli freschi e freschissimi.
Per i prodotti di quarta gamma sono utilizzati imballaggi dalle caratteristiche
specifiche. I film plastici utilizzati devono avere requisiti ben precisi e tutti
rispettati, requisiti in termini di:
permeabilità a specifici tipi di gas;
buona trasparenza e brillantezza;
costi bassi;
elevata elasticità;
buona lavorabilità;
saldabilità con il calore;
inerzia verso il cibo;
nessuna tossicità;
facile stampabilità;
praticità d’uso.
105
Le nuove frontiere di queste tipologie di packaging sono i film biodegradabili
che hanno dimostrato avere delle prestazioni simili ai film tradizionali in
commercio in termini di senescenza e variazione di colore.
Imballaggio secondario e terziario
La fornitura di frutta e verdura fresca nei supermercati e negozi durante
tutto l’anno richiede un sistema logistico complesso. Scatole di legno, cartone,
plastica sono gli imballaggi secondari utilizzati principalmente. Mentre le
cassette di plastica sono impiegate come packaging riutilizzabile, scatole di
legno e cartone sono utilizzate i come una soluzione single-serve (non
riutilizzabile).
Per la frutta e la verdura essendo prodotti delicati sono molto importanti gli
aspetti associati alla manipolazione. Danni meccanici come urti, vibrazioni,
ammaccature, tagli e compressioni possono compromettere seriamente la
vita commerciale dei prodotti di quarta gamma. Le conseguenze possono
essere un aumento dell'attività respiratoria, l'accumulo di metaboliti tossici
secondari, la produzione di etilene.
Inoltre, a causa della rottura di membrane e pareti, una de
compartimentazione cellulare porta all'accelerazione di reazioni biochimiche
indesiderate, questo favorisce la penetrazione di microrganismi. Tutto questo
significa un deterioramento della qualità del vegetale: visivamente si possono
vedere imbrunimenti localizzati, triturazioni e abrasioni esterne che rendono
il prodotto non più commercializzabile. Quando un’alterazione non è
immediatamente visibile, si può parlare di un danno latente: fenomeni
degenerativi e infettivi iniziano all'interno del prodotto e le conseguenze
possono diventare evidenti solo nella fase di commercializzazione. In questo
caso il pericolo sta nella contaminazione e perdita dell'intero lotto. Così è
106
importante concentrarsi sulla raccolta, trattamento, imballaggio, trasporto e
conservazione realizzando tutte le precauzioni che riducano al minimo
eventuali danni meccanici ricorrendo all'uso dei più appropriati imballaggi
protettivi.
L’atmosfera modificata
Una delle tecnologie di confezionamento più diffuse per la frutta e verdura è
l’atmosfera modificata. Generalmente, l'uso di atmosfera modificata è
caratterizzata da una bassa concentrazione di ossigeno e una elevata
presenza di anidride carbonica che permette di estendere la freschezza delle
verdure in imballaggio tradizionale, in quanto riduce la velocità di
respirazione di prodotti, la produzione di etilene (responsabile
dell’invecchiamento dei prodotti ready to eat) e le variazioni di consistenza.
In ogni caso effetti indesiderati potrebbero essere causati se la pianificazione
della confezione è fatta senza considerare i limiti di tolleranza ai gas di frutta
e verdura.
È, comunque, importante sottolineare che le soluzioni di packaging ottimale
dipendono da molte variabili legate al prodotto (specie vegetali, cultivar,
metodi di produzione agricola, livello di crescita, processi di raccolta e
trattamenti post-raccolta), sistemi di conservazione (temperatura e umidità)
e caratteristiche del materiale di imballaggio. L'interazione tra questi tre
componenti crea e mantiene le condizioni atmosferiche previste. Non è
sufficiente sostituire l'aria all'interno della confezione se un prodotto respira,
consuma ossigeno e produce anidride carbonica, e cambia la proporzione tra
questi due gas; la velocità di produzione dipende dal quoziente respiratorio
della verdura e dalla permeabilità del materiale di confezionamento. Il ruolo
del packaging è quello di aiutare a raggiungere uno stato stazionario
107
(concentrazione costante di ossigeno e anidride carbonica che si verifica
soltanto quando la velocità del consumo di ossigeno e la produzione di
anidride carbonica sono uguali alle loro rispettive velocità di permeabilità
attraverso la pellicola di plastica (questa condizione è possibile solo quando
la velocità di respirazione è costante).
Uso di additivi
Per i vegetali di quarta gamma, è chiaro che gli additivi chimici possono
inibire la crescita dei patogeni e preservare la perdita di colore delle verdure.
Il calcio ha dimostrato di essere efficace nel ritardare l'invecchiamento, nel
ridurre la respirazione e la sintesi di etilene e nel prevenire azioni di
imbrunimento. Il benzoato di sodio e il potassio sorbato sono stati utilizzati
come agenti antimicrobici.
Questi sono efficaci quando il vegetale è conservato a 0 °C o a pH inferiori a 5.
L’acido citrico, il bisolfito, l’acido ascorbico limitano le ossidazioni che sono
responsabili di cambi di colore e qualità sensoriali. L’ozono ha dimostrato di
essere efficace contro la proliferazione batterica fungina con un'azione
migliore rispetto all'uso di acque clorurate aggiunte alle acque di lavaggio.
Inoltre, rimuove i cattivi odori ed elimina l'etilene.
Imballaggio e sostenibilità
L’imballaggio in campo alimentare e in particolar modo l’imballaggio
primario, può ritenersi a tutti gli effetti l’abito di un prodotto. Un abito che
assolve a molteplici ruoli (protezione, conservazione, sicurezza, trasporto,
igiene, marketing, comunicazione ecc.). Nelle varie fasi di trasporto,
108
stoccaggio e utilizzo del prodotto e che fa tutt’uno con l’alimento che riveste
quest’ultimo deve essere sottoposto a valutazione della sostenibilità del ciclo
di vita.
L’imballaggio dal punto di vista della sostenibilità ha sempre destato
preoccupazioni, perché è ritenuto rispetto al prodotto alimentare che avvolge
una entità secondaria, di cui liberarsi dopo l’utilizzo nella maniera mena
problematica possibile. La ragione di fondo deriva dal fatto che gli imballaggi
sono generalmente prodotti di breve durata e quindi contribuiscono in
maniera rilevante al crescere del flusso dei rifiuti solidi (Barone M.G., 2010).
Al packaging rispetto al prodotto dovrebbe riconoscersi invece in termini di
sostenibilità un ruolo meno problematico e più attivo. Basti pensare che nei
paesi meno sviluppati lo scarso utilizzo di soluzioni di packaging determina
problemi di conservazione del prodotto accrescendo la produzione di scarti
alimentari, rifiuti e incrementando l’impatto ambientale dei relativi prodotti.
Nei paesi sviluppati, invece, in cui il packaging garantisce la corretta
conservazione dei prodotti imballati per periodi relativamente lunghi, gli
sforzi per la sostenibilità dell’imballaggio rappresentano un pensiero
ricorrente nell’attività di chi tutti i giorni progetta e produce soluzioni di
packaging.
L’imballaggio contribuisce quindi a fornire alimenti sicuri; tuttavia il suo uso
in termini di materia deve essere ridotto al minimo e la produzione di rifiuti
eliminata. L’imballaggio leggero e riciclaggio sono alcune opzioni chiave dello
sviluppo (Badwin C.J., 2009). Pertanto è possibile individuare una serie di
requisiti che devono essere massimizzati, nel rispetto della legislazione
cogente, già nella fase di design di un nuovo imballo:
minimizzazione delle risorse (energetiche e materie prime)
riduzione della quantità di imballo necessaria;
109
uso di materiali a ridotto impatto ambientale, preferendo fonti
energetiche, materie prime e processi produttivi eco-compatibili;
ottimizzazione della vita dei prodotti da imballaggio, estendendo
tramite il riuso, il riciclo o intensificandone l’uso la vita degli
imballaggi stessi;
estensione della vita dei materiali che compongono l’imballaggio
tramite il riciclaggio, compostaggio, recupero di energia;
facilitazione del disassemblaggio.
La Waste Hierarchy è uno strumento internazionalmente riconosciuto per la
valutazione ambientale degli imballaggi. Riduzione, riutilizzo, riciclaggio sono
le azioni chiave di questa gerarchia su cui si basa la buona progettazione e
valutazione ambientale dell’imballaggio (2.5).
Figura 2.5 Waste Hierarchy
110
Tuttavia, sia che si decida di progettare un nuovo imballaggio, sia che si
decida di riprogettare uno già in uso gli interventi possibili per migliorarne la
sostenibilità sono numerosi e realizzabili tramite diverse tecnologie:
ottimizzazione dei materiali;
ottimizzazione peso/volume;
riciclabilità degli imballaggi;
imballaggi multifunzionali;
riduzione degli imballaggi di riempimento;
ottimizzazione del confezionamento;
impiego di materiali riciclabili;
maneggiabilità;
riduzione dei tempi di magazzino;
sistemi alternativi di movimentazione interna.
La riprogettazione ad esempio si rende necessaria in caso di over packaging
che spinge a minimizzare i materiali utilizzati conservando le prestazioni
necessarie a cui l’imballaggio deve assolvere, sino ad arrivare al limite
all’eliminazione di alcuni imballaggi superflui.
Nel processo di riduzione dei materiali d'imballaggio, la principale
preoccupazione dei produttori è quella di evitare che il consumatore
percepisca una perdita di valore del prodotto a causa del cambiamento della
confezione: si teme per esempio che un imballaggio minimizzato appaia
meno resistente e che il prodotto contenuto sia considerato di poco valore o
di qualità scadente. In realtà invece, facendo leva sulla crescente
consapevolezza degli acquirenti riguardo ai temi ambientali e sulla necessità,
in costante aumento, di produrre sempre meno rifiuti nelle case, con un
imballaggio ridotto all'essenziale e il più possibile ecosostenibile si riesce
addirittura a fornire un valore aggiunto al prodotto.
111
Un altro dei timori più diffusi è che con una riduzione delle confezioni i
prodotti risultino meno visibili nella moltitudine di confezioni che affollano
gli scaffali dei supermercati, e che quindi non siano in grado di attirare il
cliente inducendolo all'acquisto: con l'aiuto della grafica, delle etichette e dei
colori si può facilmente ovviare all'inconveniente.
Carta e cartoni ad esempio sono materiali ampiamente utilizzati come
packaging secondario per i prodotti di quarta gamma. Sono prodotti a partire
da fonti rinnovabili, sono riciclabili e leggeri. Danno origine a imballaggi
molto variegati, a partire dagli astucci pieghevoli in cartone adatti al contatto
con gli alimenti sino agli spessi cartoni ondulati per il confezionamento
secondario e terziario. Le particolari fustellature consentono, in fase di
trasporto, di minimizzare gli ingombri. Questo, aggiunto alla leggerezza del
materiale, rende "amico dell'ambiente" questo tipo di confezioni. I
miglioramenti nella progettazione di questa tipologia di imballaggi
dovrebbero riguardare l'ottimizzazione del rapporto resistenza/peso,
l'utilizzo di sistemi meccanici per formare le scatole che minimizzino
l'impiego di colle e facilitino così le operazioni di riciclaggio.
Negli ultimi anni si è cercato di migliorare la riciclabilità, cioè le possibilità di
riutilizzo, dei vari imballi. Il processo della quarta gamma necessita di una
serie di imballi, dai contenitori per il trasporto della “materia grezza” dal
campo, passando attraverso la logistica distributiva intermedia, fino al
packaging finale per lo scaffale. Tale processo, per un prodotto medio in un
packaging finale per il consumatore da 250 grammi, comporta un grosso
impatto sulla catena in termine di prezzo e ripercussioni sull’ambiente. Un
primo passo è stato fatto con la riduzione degli imballi in legno, con l’utilizzo,
per il trasporto dei semilavorati dal campo allo stabilimento, di cassette
realizzate in materie plastiche sanificabili e riutilizzabili, adatte quindi
all’utilizzo prolungato e in colore “blu alimentare”, facile da tracciare in caso
di rottura e rischio di contaminazione del prodotto con frammenti. Per
quanto riguarda il packaging intermedio rivolto alla grande distribuzione,
112
spesso effettuato con cartonati, si sta sviluppando l’abitudine di utilizzare
cassette simili a quelle per le operazioni in campo, in materiale plastico a
“lunga durata”. In merito al packaging della singola confezione pratica, gli
imballi con singolo film in materiale riciclabile sono sicuramente una buona
scelta, che comporta un impatto minore rispetto a quello dei doppi imballi
come “barchetta o vaschetta” riposta nella busta. Logicamente il consumatore
stesso fa parte dell’equazione per quanto riguarda il corretto smaltimento e il
futuro riciclo dell’imballo.
Spreco alimentare
Combattere e ridurre lo spreco alimentare (food waste) è ritenuto la sfida più
importante di questo secolo per una economia sostenibile. Recenti studi
pubblicati a partire dal 2011 hanno evidenziato le dimensioni del fenomeno:
stimato dalla Fao in 1/3 della produzione globale. L’Esposizione Universale
EXPO 2015 di Milano, non a caso ha individuato nello spreco alimentare il
tema dominante per la sostenibilità da esplorare durante l’evento, evento da
cui le Nazioni Unite hanno acquisito indicazioni per scrivere i nuovi Obiettivi
del Millennio.
La Fao, organizzazione che si occupa insieme al WRAP inglese in maniera più
approfondita gli sprechi alimentari, nella sua definizione ripartisce il
fenomeno dello spreco di cibo in “perdita” o “food loss” e “spreco” o “food
waste” sottolineando che le perdite riguardano la parte iniziale della catena
alimentare (produzione primaria, fasi successive alla raccolta e
trasformazione), mentre gli sprechi si registrano piuttosto alla fine della
catena (fasi della distribuzione e del consumatore finale) (Fao, 2011).
La Fao, inoltre, evidenzia la necessità di considerare nel calcolo dello spreco
alimentare solo i prodotti commestibili “pianificati per il consumo umano”.
113
Escludendo i prodotti mangiabili dall’uomo ma destinati sin dalla loro
produzione a scopi diversi come ad esempio mangime per animali o
produzione di biocarburanti. Includendo, invece, gli alimenti prodotti per
essere destinati al consumo dell’uomo ma “fortuitamente” destinati a scopi
diversi (come gli scarti commestibili dell’industria alimentare dovuti a difetti
di forma o peso spesso utilizzati come mangime per animali).
In questi termini si potrebbe considerare “perdite e sprechi alimentari tutte
le derrate inizialmente destinate al consumo umano, a esclusione dei prodotti
per uso non alimentare, che vengono gettate o distrutte a tutti i livelli della
catena alimentare, dal produttore al consumatore (Comitato Economico e
Sociale Europeo, 2013). Definizione che sottolinea i due aspetti che diventano
fondamentali: i prodotti devono essere “commestibili” e “pianificati per il
consumo umano”. Anche se ciò che non è commestibile e non può essere
trasformato in sottoprodotto oggi potrebbe diventarlo domani, in funzione
dei progressi della scienza e della tecnica, per cui queste definizioni per
quanto valide sono comunque da considerarsi in fieri (Comitato Economico e
Sociale Europeo, 2013).
In uno studio del 2013 la Fao ha fatto suo un nuovo termine nella definizione
di spreco alimentare, quello di “food wastage”. Il food wastage è un concetto
più flessibile che ricomprende in sé sia “food loss” sia “food waste”. Nello
stesso studio sono presenti anche definizioni più complete di food loss e food
waste. “Food loss si riferisce a una diminuzione della massa (quantità di
sostanza secca) o del valore alimentare (qualità) del cibo originariamente
destinato al consumo umano. Perdite dovute principalmente a inefficienze
della catena alimentare, come carenze infrastrutturali e della logistica,
mancanza di tecnologie, insufficiente abilità, conoscenze e capacità gestionali
degli attori della supply chain, e dalla mancanza di accesso ai mercati”. “Food
waste” si riferisce al cibo adatto per il consumo umano che è scartato prima o
dopo essere andato oltre la sua data di scadenza o lasciato rovinare. Spesso
questo accade perché il cibo si è rovinato, ma può essere anche per altri
114
motivi, come un eccesso di offerta causata dai mercati, o le abitudini di
shopping e di consumo dei singoli consumatori (Fao, 2013).
In una economia caratterizzata dallo spreco di prodotti alimentari ciascuno
di noi getta via cibo in quantità variabile a seconda del proprio reddito,
abitudini alimentari e area del mondo in cui si vive. Nei paesi industrializzati
il cibo si getta via soprattutto in fase di consumo, e questo è ancora più grave
perché implica che il prodotto ha già generato un coinvolgimento di risorse
passando nelle varie fasi del ciclo produttivo maggiore rispetto a un prodotto
appena colto.
La questione dello spreco alimentare assume ulteriore rilievo se al di là del
già preoccupante consumo di risorse scarse per la produzione degli alimenti
che finiscono in discarica (acqua, energia, suolo in particolare), si considera
l’emissione di CO2 in atmosfera che il ciclo dei vita degli alimenti gettati via
genera. Se tutto il cibo sprecato al Mondo rappresentasse lo spreco di una
intera nazione, questa sarebbe la terza più grande emettitrice di gas serra
dopo la Cina e gli USA (Kim et al., 2015).
Le emissioni di gas serra correlate al settore agricolo giocano un ruolo
determinante nella lotta ai cambiamenti climatici da realizzarsi tramite
cambiamenti nei regimi alimentari (riduzione del consumo di carne specie
bovina e caprina, e prodotti caseari), riduzione dello spreco alimentare
(specie dei prodotti di origine animale responsabili della fetta maggiore di
emissioni di gas serra e di prodotti vegetali, i più sprecati in termini
quantitativi) e incremento delle rese agricole (Kim et al., 2015)
La FAO nel suo lavoro del 2011 evidenzia che “ulteriore ricerca nel settore
dello spreco alimentare è urgente, specialmente se si considera che la
sicurezza alimentare è il problema maggiore nella maggior parte del mondo
sviluppato”. Inoltre, un interessante capitolo del rapporto rende noto che più
un prodotto “va avanti” lungo la catena produttiva, maggiore è la sua
115
impronta ambientale, poiché i costi ambientali che vengono sostenuti “a
valle” - durante la lavorazione, il trasporto, lo stoccaggio ed il consumo -
vanno a sommarsi ai costi ambientali iniziali, quelli già avvenuti “a monte” -
durante la produzione e il raccolto. Detto in parole povere: prima un
alimento viene consumato rispetto alla catena produttiva, meglio è per tutto
il Pianeta.
Per produrre cibo che non verrà consumato vengono inutilmente utilizzate
risorse naturali e generate emissioni nell’atmosfera e rifiuti. Per stimare
l’impatto ambientale di un alimento è necessario considerare il suo intero
“ciclo di vita”, percorrendo tutte le fasi della filiera alimentare. Una
valutazione dell’impatto ambientale delle filiere produttive agroalimentari
che quantifica le singole voci separatamente presenta infatti dei forti limiti:
occorre un bilancio complessivo perché l’impatto generato da un singolo
segmento della filiera può essere esaltato o compensato dalla variazione che
si genera nei segmenti successivi, per esempio la riduzione dell’impatto di un
inquinante può portare all’incremento di un altro.
A tal fine la metodologia LCA (Life Cycle Assessment, in italiano "valutazione
del ciclo di vita") rappresenta un approccio ampiamente accettato, in grado
di identificare i processi a più alta intensità di emissione e di uso di risorse
all’interno di un processo produttivo e di individuare le opzioni di
miglioramento potenzialmente più promettenti per la loro praticabilità
tecnologica in un orizzonte di breve-medio termine. La procedura LCA è
standardizzata a livello internazionale dalle norme ISO 14040 e 14044.
In questo lavoro, pertanto, è stato esaminato l’intero ciclo di vita di alcuni
prodotti ortofrutticoli di quarta gamma. Sono stati scelti questi prodotti
anche perché da recenti studi condotti sullo spreco alimentare generato da
prodotti deperibili in sei supermercati svedesi in un periodo di due anni è
risultato che il reparto ortofrutta è responsabile dell’85% del totale dello
spreco generato in termini di peso e del 46 % delle emissioni di CO2 calcolate
116
tramite la Carbon Footprint (Scholz et al., 2015). Il medesimo studio propone
di concentrare gli sforzi per la riduzione dello spreco alimentare sui
prodotti risultati maggiormente responsabili del fenomeno in termini
di peso (ortofrutta) e di emissioni di CO2 (come le carni responsabili del
3,5% del peso degli alimenti sprecati ma del 29% della carbon footprint
totale).
Nella catena produttiva atta alla produzione di insalate per la quarta gamma,
in Italia, gli scarti e i rifiuti possono provenire generalmente: da scarti di
lavorazione (vegetali); da parti di packaging (plastica, cartone o altro
materiale); da macchinari, indumenti o utensili per la lavorazione; dalle
acque di lavaggio.
Nella catena produttiva, nei cicli di lavorazione le differenti varietà di insalate
comportano un impatto differente in termine di scarti. Basti pensare, solo a
livello agronomico, alla grande differenza che intercorre tra varietà che
possono essere falciate più volte a seguito di una semina o di un trapianto e
quelle che dopo la raccolta obbligano a far ripartire da zero il ciclo delle
lavorazioni colturali. I vegetali in foglia, come si è visto, si possono dividere in
due classi: adulti (lavorazione delle “insalate a ceppo”) e baby leaf
(lavorazione delle “insalatine da sfalcio”). La prima differenza emerge
sicuramente in campo, dal momento che le foglie adulte rispetto alle baby leaf
richiedono una lavorazione diversa, così come cambia la produzione per
metro quadrato sul ciclo dei raccolti. Sullo stabilimento, la differenza è poi
sostanziale: le adulte richiedono un ciclo di lavorazione più complesso, in
termini di monda e taglio, ma soprattutto di produzione di scarti e riduzione
di peso in rapporto al rendimento. Lo scarto generato dalle insalate a ceppo
va mediamente dal 20 al 40% a seconda della varietà, della qualità, del
periodo dell’anno, mentre quello prodotto dalle baby leaf oscilla dal 5 al 15%.
La tecnologia sarebbe probabilmente pronta ad aiutare la parte industriale
del processo introducendo già in ambito agricolo l’ottimizzazione delle
risorse, attraverso una parziale lavorazione del prodotto in campo.
117
È lo sviluppo dell’imbrunimento a rendere i prodotti di quarta gamma
inaccettabili per il consumatore causando sprechi ed importanti perdite
economiche (López-Gálvez et al., 1996). Il taglio è il principale responsabile
dell’insorgenza di tale fenomeno in quanto porta all’attivazione di processi
metabolici che causano l’accumulazione dei composti fenolici e la
conseguente formazione dei pigmenti scuri (Baur et al., 2004; Degl’Innocenti
et al., 2007). Ciascuna specie reagisce in modo differente all’imbrunimento
(Watada e Qi, 1999). La lattuga è una delle specie più studiate in quanto
mostra un’alta sensibilità a tale fenomeno (Tomás-Barberán et al., 1997;
Degl’Innocenti et al., 2007; Tavarini et al., 2007; Martínez-Sánchez et al.,
2011). Mentre per le carote è l’imbianchimento dei tessuti a generare
maggiori problemi visivi. Si tratta di un fenomeno indesiderato che colpisce
soprattutto le carote di quarta gamma e che porta alla formazione di
colorazione biancastra a livello superficiale tale da rendere il prodotto non
attraente per il consumatore (Watada et al., 1996).
La perdita di consistenza costituisce maggiormente un problema nel
settore frutta di quarta gamma che non in quello degli ortaggi (SolIva-
Fortuny e Martín-Belloso, 2003). La perdita di acqua è un’importante causa
di deterioramento qualitativo in post raccolta in quanto risulta direttamente
coinvolta in una perdita quantitativa (peso), di aspetto (appassimento,
avvizzimento) e di consistenza (rammollimento e perdita di croccantezza)
(Medina et al., 2012). Durante la preparazione dei prodotti di quarta gamma
molte barriere naturali (buccia e le parti più esterne) sono rimosse rendendo
il prodotto finito più suscettibile alla disidratazione (Gorny, 1997). L’ampia
superficie di taglio e priva di protezioni, in condizioni di temperature non
refrigerate o di ambiente secco, può portare a importanti perdite di peso
(Watada et al., 1996).
In merito all’insalata iceberg un recente studio condotto sul mercato svedese
ha analizzato il flusso di rifiuti generato da questo prodotto dal campo allo
118
scaffale di vendita al dettaglio. Lo studio ha stimato l’impronta di carbonio
dei rifiuti nelle diverse fasi. A livello di azienda agricola 3,3 ton di cespi di
lattuga di alta qualità non sono stati raccolti, quindi sprecati, per ettaro e
per anno (il 15% rispetto alle 18,7 tonnellate raccolte), corrispondenti a circa
1100 tonnellate di CO2eq ogni anno a livello nazionale. La giustificazione di
questo spreco ottenuta con interviste condotte presso cinque aziende
agricole del sud della Svezia è di mancata corrispondenza con gli ordini di
acquisto: se la lattuga diventa vecchia poi non può essere venduta perché
perde i requisiti di qualità necessari.
Da produttori intervistati nel corso del presente studio in Provincia di
Salerno (Piana del Sele) la maggior parte della produzione di lattuga iceberg
si realizza su programmazione con i clienti. I programmi colturali sono
uguali ai programmi di conferimento quando il cliente ritira il 100% del
prodotto grazie alle condizioni di mercato favorevoli. Questa corrispondenza
dipende da molti fattori che influenzano il mercato del prodotto, tra cui,
prime in assoluto, le condizioni climatiche. Durante l’inverno 2015-2016 le
maggiori temperature registrate hanno ridotto i ritiri di prodotto coltivato su
programmazione. La crisi di mercato (eccesso di offerta) si è manifestata a
causa dell’abbondanza di lattuga iceberg disponibile sul mercato. Un surplus
di prodotto fisiologico dai produttori è ritenuto in media pari al 10-20%,
quest’anno in media pari ad oltre il 40% del prodotto pronto per essere
raccolto.
Tornando sempre allo spreco, l’analisi condotta sul mercato svedese mostra
che circa il 50% della lattuga in vendita nei negozi al dettaglio svedesi è di
produzione nazionale e il 50% importato. L'impronta di carbonio della
lattuga iceberg svedese sprecato al dettaglio è stato stimato a 1500 tonnellate
di CO2eq ogni anno a livello nazionale. La conclusione di questo studio,
pertanto, è stata che le perdite in fase di vendita al dettaglio sono state
considerate d’importanza superiore rispetto alle perdite che si verificano
durante la produzione primaria, e che pertanto le misure d’intervento
dovrebbero essere mirate principalmente al settore retail (Schenck et al.,
119
l2014). In riferimento invece alla fase di vendita all’ingrosso lo stesso studio
ha stimato tramite interviste presso le principali aziende di vendita lo scarto
di lattuga pari al 3% dovuto essenzialmente a controlli di qualità (rifiutati al
produttore) e in minor parte a scarti legati alla manipolazione del prodotto.
Sostenibilità socioeconomica
Il secondo “macro-pilastro” dopo quello ambientale analizza gli aspetti sociali
dal punto di vista dell’impatto nel breve e lungo periodo, i benefici in termini
di impiego, occupazionali e dello sviluppo eventualmente generato. È inoltre
fondamentale stabilire se vi sia la possibilità di garantire lo sviluppo delle
generazioni future, valutando quindi se ogni singolo settore che compone la
filiera possa garantire risorse durature. Questo aspetto di risorse future
richiede uno sguardo più allargato sul sistema in cui l’azienda è inserita, che
vada oltre il contesto della singola azienda prendendo in esame anche il
contesto limitrofo, i rischi legati anche al mondo circostante, al “distretto” a
cui la sopravvivenza dell’azienda è legata. Un esempio calzante potrebbe
essere rappresentato dall’analisi del sistema di approvvigionamento della
quarta gamma. Questi “distretti”, che oggi danno lavoro a migliaia di
famiglie e quotidianamente approvvigionano intere nazioni, sono anche
estremamente fragili e vulnerabili. Negli ultimi anni molti di essi hanno già
mostrato evidenti segni di problematiche legate allo sfruttamento intensivo
delle risorse naturali, alla contaminazione delle acque e alla stanchezza dei
terreni. È verosimile pensare che la formula “distretto” apporti benefici alla
singola azienda per quanto riguarda la facilità di utilizzo delle infrastrutture e
il reperimento di personale specializzato, ma apra altri scenari dal punto di
vista ambientale. Il rischio legato alla tenuta di un sistema è comunque
elevato, e le cause da analizzare sono diverse: impatto ambientale (le
aziende, sia agricole che di condizionamento, sono dislocate in un ristretto
raggio geografico, spesso a livello idrico si approvvigionano alla stessa falda,
120
usano le stesse infrastrutture di approvvigionamento e smaltimento, e sono
attigue ai terreni coltivati; fattori di rischio socioeconomici (è indubbio che lo
sviluppo ha comportato vantaggi per la popolazione locale anche se
attualmente la manodopera legata alle operazioni di coltivazione e
condizionamento è in larga parte rappresentata da immigrati). Un’altra delle
voci di analisi da tenere presente in relazione al fattore socioeconomico è il
fattore sicurezza sul lavoro, il rispetto delle normative vigenti disposte dagli
organi governativi. Non in Europa dove è legato all’evidenziare e combattere
lo sfruttamento di lavoro nero o di lavoro minorile ma tutto questo è più che
altro legato al non rispetto di normative internazionali.
Se si considera il distretto produttivo di prodotti ortofrutticoli della Murcia,
molte delle principali aziende agricole della regione dipende da questi
contratti di fornitura con i supermercati stranieri, nell’aprile del 2015 alcuni
di questi contratti hanno corso il rischio di essere compromessi come
conseguenza di un documentario andato in onda nel Regno Unito da Channel
4 e da un articolo pubblicato dal Daily Mail come un preludio al
documentario. Il documentario faceva alcune gravi accuse circa le condizioni
in cui i lavoratori sul campo sono impiegati in Agroherni, un’azienda di
produzione agricola con sede a Las Palas, nel comune di Fuente Álamo, a
Murcia, paragonando le condizioni di lavoro dei suoi dipendenti a quelli degli
schiavi. In questa area "dalla terra al pacchetto un cespo d’insalata impiega
20 secondi senza essere toccato da mani umane" e "un esercito di moderni
schiavi dei nostri giorni sono utilizzati per far crescere le verdure per le
insalate che d’inverno che riempiono gli scaffali dei supermercati Britannici",
come ha evidenziato Channel 4. Le rivelazioni hanno fatto discutere milioni di
clienti di supermercati britannici, convinti di fare la loro spesa in catene
distributive i cui prodotti sono realizzati in modo etico e i lavoratori trattati
in modo equo. Mentre le catene dei supermercati si giustificano dicendo che è
una conseguenza della guerra commerciale che ha visto i supermercati
tagliare i prezzi nel tentativo di competere con i discount Aldi e Lidl,
portando così allo sfruttamento dei più deboli (Murcia Today, 201
122
IL CALCOLO DEGLI IMPATTI AMBIENTALI
L’LCA in sintesi
Per valutare in che misura la produzione di cibo influenza l'ambiente, è
necessario scegliere un adeguato strumento di valutazione ambientale.
Diversi tipi di strumenti di valutazione sono stati sviluppati per stabilire
indicatori ambientali, che possono essere utilizzati per determinare l'impatto
ambientale dei sistemi di produzione animale o prodotti agricoli. Gli
strumenti di valutazione ambientale possono essere suddivisi in due
categorie “basati sull’area” e “basati sul prodotto” (Halberg et al., 2005).
Le valutazioni basate sul prodotto si chiamano LCA (Life Cycle Assestment). Le
valutazioni basate sull’LCA considerano tutte le fasi del ciclo di vita di un
prodotto: durante questa valutazione tutti gli impatti ambientali di ogni fase
sono considerati, partendo dalle materie prime, il processo produttivo, la
distribuzione, l’utilizzo e lo smaltimento.
I produttori hanno infatti individuato in un comportamento finalizzato al
risparmio di energia e di materiali, una chiave di volta per migliorare
l'efficienza della produzione e per ottenere nuovi vantaggi competitivi e una
migliore collocazione sul mercato. Ecco perché questa tecnica può affermarsi
come strumento strategico innovativo a livello industriale poiché offrendo un
valido metodo di confronto tra diverse produzioni, può divenire in effetti un
supporto d'immagine per i processi produttivi ad impatto ambientale più
limitato.
Quindi la Life Cycle Assessment (LCA) è un metodo scientifico utilizzato per
quantificare gli impatti in tutte le attività che si verificano nel corso del ciclo
di vita di un prodotto o servizio, dall’estrazione e trasporto delle materie
123
prime fino allo smaltimento in discarica o riciclaggio dello stesso (Figura 3.1).
L’aspetto fondamentale che caratterizza un’LCA è proprio la completezza
dell’analisi, che scompone l’intero sistema “oggetto dello studio” mediante un
approccio denominato “dalla culla alla tomba” (from cradle to grave).
Figura 3.1: L’analisi del ciclo di vita e le sue relazioni con l’ambiente
socio-economico e naturale.
Con riferimento alle possibili finalità dell’analisi LCA, si riportano di seguito
le principali casistiche:
Ricerca & Sviluppo;
implementazione di strategie di green marketing (es. etichettatura
ecologica, comunicazione ambientale);
Problemi economici sociali, legislativi
Analisi del ciclo di vita
Impatti dei processi
produttivi sull’ambien
te
Progettazione per la
sostenibilità
Gestione fine vita (riciclo, discarica ecc.) Materiali
per Energie
Rinnovabili
Estrazione risorse e materie prime
Uso sostenibile
delle risorse
124
individuazione di azioni di miglioramento della filiera.
La metodologia LCA
La metodologia LCA, secondo la SETAC (Society of Environmental Toxicology
and Chemistry) e definita come “il procedimento oggettivo di valutazione dei
carichi energetici e ambientali relativi a un processo o un’attività, effettuato
attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti
rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del
processo o attività, comprendendo l’estrazione delle materie prime, la
fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo
smaltimento finale”.
Nell’LCA tutte le emissioni prodotte e le risorse utilizzate rilevanti nel ciclo di
vita di un prodotto sono aggregate e espresse per FU (Unità Funzionale). Le
categorie di impatto ambientale comunemente applicate nell’LCA di
prodotti alimentari sono il riscaldamento globale, l'eutrofizzazione,
l'acidificazione, lo smog fotochimico, e l’uso del suolo (Dalgaard, 2007). Per
ciascuna delle categorie di impatto ambientale, le sostanze emesse in tutta la
catena di produzione che contribuisce alla specifica categoria di impatto
ambientale sono quantificate (Tabella 3.1).
La norma UNI EN ISO 14040 definisce un’LCA come una “compilazione e
valutazione, attraverso tutto il ciclo di vita, dei flussi in entrata e in uscita,
nonché dei potenziali impatti ambientali, di un sistema di prodotti”. La norma
introduce il concetto di “sistema di prodotto” per sottolineare la visione
globale con la quale l’analisi deve essere condotta.
125
Tabella 3.1 Categorie di impatto selezionate con le relative unità
funzionali, elementi che contribuiscono all’impatto e fattori di
caratterizzazione
In un’analisi del ciclo di vita, considerare il prodotto come sistema, significa
prestare attenzione a tutti i flussi di materie ed energia che, nell’interazione
tra sistema ambiente (tutto ciò che si trova all’esterno) e sistema industriale
di riferimento, entrano in quest’ultimo per poi rientrare nell’ambiente sotto
forma di emissioni e rifiuti (figura 3.2).
126
Figura 3.2 Ciclo produttivo e LCA
Questo concetto sottolinea il carattere di trasversalità dell’analisi che deve
interessare tutta la filiera, dalla produzione, alla distribuzione e consumo fino
allo smaltimento finale del bene.
L’analisi LCA e strutturata su quattro fasi sequenziali (figura 3):
definizione degli obiettivi dell’analisi (ISO 14041:1998);
analisi di inventario, finalizzata al reperimento dei dati necessari (ISO
14041:1998);
analisi degli impatti riconducibili al prodotto analizzato (ISO
14042:2000).
interpretazione dei risultati ottenuti e definizione di potenziali azioni
di miglioramento (UNI EN ISO 14043:2000).
127
Figura 3.3 Schema operativo di una LCA secondo la norma UNI EN ISO
14040
Definizione degli scopi e degli obiettivi
Ogni LCA è preceduta da una fase preliminare, la norma ISO 14041 specifica
che: “gli obiettivi e gli scopi dello studio di una LCA devono essere definiti
con chiarezza. L’obiettivo deve stabilire senza ambiguità: l’applicazione
prevista, le motivazioni che inducono a realizzare lo studio ed i destinatari a
cui comunicare i risultati”. Con la definizione dell’obiettivo, quindi, si
stabilisce l’oggetto di studio, definendo le ragioni e le motivazioni che
spingono ad affrontare tale analisi. Risulta evidente, a questo punto,
l’importanza di questo passaggio che influenza inevitabilmente l’ampio
campo di applicazione che una LCA potenzialmente può avere.
Questa fase preliminare è indubbiamente critica in quanto determina tutta la
successiva impostazione dello studio di LCA. È evidente, infatti, che ad ogni
applicazione del metodo corrisponderà un approccio diverso al problema e
Definizione degli scopi e degli obiettivi
Analisi di inventario
Valutazione degli impatti
Interp
retazion
e e miglio
ramen
to
128
quindi una diversa esecuzione dell’LCA stessa: diverso è il modo di procedere
a seconda che al centro della valutazione ci sia un processo produttivo o un
prodotto o ancora se l’uso è di pianificazione aziendale o strategica.
In generale, le motivazioni alla base di questo tipo di analisi possono essere
divise in base all’utilizzo dei risultati internamente o esternamente
all’azienda. Motivazioni interne sono:
nuovi prodotti, sostegno alla progettazione di nuovi prodotti o
all’innovazione di quelli già esistenti attraverso valutazioni della
variabile ambientale;
budgeting ambientale, creazione di un sistema informativo che
supporti un sistema di gestione ambientale, tenendo sotto controllo le
emissioni, i consumi di risorse e gli effetti connessi, il quale può essere
utilizzato per assegnare i parametri di qualità ambientale che devono
essere rispettati dall’unità produttiva affinché l’impresa nel suo
complesso raggiunga i propri obiettivi di carattere ambientale;
decisioni di investimento, l’LCA è anche uno strumento
indispensabile nelle decisioni di investimento in quanto fornisce le
informazioni utili all’analista ambientale su quelle che dovranno
essere le aree d’intervento o i processi produttivi da modificare;
riduzione dei costi, un’analisi a tutto campo della "vita" del prodotto
può permettere di scovare aree, prima nascoste, dove realizzare
economie più significative. Livelli maggiori di ottimizzazione si
possono ad esempio raggiungere nell’acquisizione di materie prime e
in particolare nell’utilizzo razionale degli imballaggi.
Mentre le motivazioni esterne possono essere:
Ecolabel, l’LCA serve come base informativa per la certificazione
esterna;
129
supporto nei Sistemi di gestione Ambientale, norma ISO 14001;
marketing, l’LCA può essere anche usato per realizzare vantaggi
competitivi sul mercato confrontando l’impatto ambientale tra più
prodotti o famiglie di prodotti;
relazioni con le istituzioni, l’impresa può utilizzare questo
strumento per orientare decisioni pubbliche, per dimostrare il
perseguimento dei suoi obiettivi ambientali.
Nell’ambito della fase preliminare si realizza come primo step la definizione
delle finalità deve esplicitamente descrivere le ipotesi, le assunzioni ed i
metodi che verranno utilizzati. In questa fase occorre definire vari aspetti del
sistema:
l’unità funzionale;
i vari metodi di allocazione;
gli effetti ambientali considerati;
la metodologia ed il tipo di valutazione di impatto impiegata;
la qualità dei dati;
i confini del sistema analizzato.
L’unità funzionale di un’analisi LCA rappresenta l’unita di misura di
riferimento mediante la quale trattare i dati ed esporre i risultati di un’analisi
LCA. Lo scopo principale dell'unita funzionale e quello di fornire un
riferimento univoco cui legare i flussi in entrata (es. materie prime) e in
uscita (es. emissioni). L’individuazione dell’unita funzionale e un passaggio
necessario al fine di garantire la comparabilità di un’analisi LCA. Qualora la
funzione di un processo sia la produzione di un imballaggio, l'unita di misura
a cui riferire le sue prestazioni sarà la quantità d’imballaggio necessaria per
contenere un certo volume di prodotto, e non il chilogrammo di vetro o di
cartone.
130
La scelta dell’unità funzionale determina il parametro a cui riferire tutti
gli elementi che compongono il bilancio ambientale del sistema in
esame. La scelta deve essere fatta ricordando che per unità funzionale
occorre intendere la prestazione quantificata e per questo misurabile e
oggettivamente riscontrabile di un prodotto, da utilizzare come unità di
riferimento in uno studio di LCA. In altre parole, l’unità funzionale è un’unità
di misura complessa a cui legare i flussi di materia in entrata ed in uscita.
Assumere una determinata unità funzionale significa normalizzare il sistema
studiato ad una determinata funzione, definita in base agli scopi ed agli
obiettivi prefissati.
La definizione dei confini del sistema e funzionale alla pianificazione delle
attività di raccolta dei dati e delle informazioni necessarie. Tale attività
comporta:
una minuziosa descrizione del sistema in esame in termini di processi
coinvolti;
la costruzione del diagramma di flusso del ciclo produttivo.
L’analisi dell’inventario
L’analisi di inventario e caratterizzata dalle seguenti attivita:
costruzione preliminare di un diagramma di flusso, opportunamente
dettagliato, finalizzato a rappresentare le operazioni che concorrono
a formare il sistema considerato;
sulla base della struttura definita dal diagramma di flusso, raccolta dei
dati necessari allo svolgimento dell’analisi.
Alla base di una corretta applicazione della metodologia si pone la questione
della raccolta dei dati e del controllo sulla loro attendibilità. Occorre
131
precisare che le fonti possono essere molteplici. Normalmente, in base alla
provenienza, si identificano tre categorie di dati:
dati primari , dati reperiti direttamente sul campo (preferibili);
dati secondari, dati derivati ricavabili dalla letteratura o da banche
dati appositamente predisposte;
dati terziari, provenienti da stime e da valori medi.
Appare chiaro che per rappresentare al meglio il sistema industriale preso in
esame, sarebbe opportuno procedere direttamente alla misurazione dei
consumi di materie e di energia ed alle rilevazioni ed analisi delle emissioni.
Fare riferimento esclusivamente a dati primari, indubbiamente eleva
qualitativamente l’attendibilità dell’analisi. Per far ciò però, chi effettua
l’analisi, oltre ad avere la possibilità di accedere direttamente a queste
tipologie di dati, dovrebbe avere una conoscenza specifica di tutte le
differenti tecnologie presenti nel sistema. La realtà quindi, impone delle
soluzioni alternative a quelle sopra descritte per identificare e quantificare i
dati di un sistema oggetto di LCA.
Nel percorso evolutivo della metodologia di analisi del ciclo di vita, si sono
accumulate banche dati, messe oggi a disposizione (in formato elettronico o
cartaceo) da parte di soggetti pubblici e privati le quali permettono di
accedere, gratuitamente (nel primo caso) o a pagamento (nel secondo caso),
ai dati inerenti i principali sistemi industriali.
Un’altra fonte di dati è rappresentata dalla letteratura presente; di questa
categoria fanno parte i rapporti delle istituzioni pubbliche o associazioni di
categoria, altri studi di LCA, monografie, ecc. Resterà, naturalmente, a cura
dell’operatore, verificare l’attendibilità di questo tipo di fonte.
Un’ulteriore aspetto inerente la raccolta dati riguarda la disaggregazione di
informazioni complesse attraverso l’utilizzo di modelli che consentono di
imputare le relative quantità in input ed output alle singole fasi di un
processo. Tale procedimento risulta di non facile applicazione in quanto il
132
margine di errore può essere più o meno ampio in base al tipo di
semplificazioni apportate al modello o al tipo di variabili considerate. Può
essere utile, in questo caso, avvalersi di autorevoli modelli presenti in
letteratura e condivisi nel panorama dottrinale.
Nella stesura di un inventario occorre prestare particolare attenzione a:
indicare l’origine dei dati;
indicare l’anno a cui i dati si riferiscono;
rispettare i parametri minimi di disaggregazione dei dati;
indicare sempre i valori minimi e massimi, nel caso di valori medi
di processo.
Al termine della fase di inventario, occorre organizzare la lunga lista di dati e
informazioni raccolte. La rappresentazione grafica fornisce sicuramente una
chiara visione del sistema oggetto di studio. Un diagramma di flusso mette in
evidenza gli input e gli output, relativi ai vari processi, collegati tra loro
mediante frecce. Una linea continua delinea i confini del sistema, lasciando
all’esterno tutti i componenti esclusi dall’analisi.
La valutazione degli impatti
Le informazioni ottenute dall’analisi di inventario, costituiscono la base di
partenza per le valutazioni di tipo ambientale a cui è dedicata la terza fase di
un’analisi del ciclo di vita. E’ indubbiamente una delle fasi più critiche
dell’LCA in quanto è in essa che si definiscono le grandezze e le relazioni che
consentono di associare ad ogni impatto di un sistema/prodotto gli effetti
ambientali potenziali associati.
Per effettuare l’analisi e valutazione degli impatti, quindi, occorre classificare
e aggregare gli impatti per poi effettuare la loro valutazione. Nella
classificazione e l’aggregazione degli impatti i consumi di materie e di
133
energia così come i composti che formano le emissioni in aria acqua e suolo,
sono aggregati in funzione degli effetti che possono procurare sull’ambiente e
in funzione della rilevanza di ciascuno. Le categorie più generalmente usate
per l’aggregazione degli impatti sono indicate nella tabella 3.2.
Tabella 3.2 Esempio di suddivisione delle categorie di impatti.
Consumo di risorse consumo di risorse rinnovabili;
consumo di risorse non rinnovabili.
Inquinamento
effetto serra;
danno alla fascia di ozono;
tossicità per l’uomo;
eco tossicità dei suoli e delle acque
dolci e marine;
formazione di composti ossidanti per
processo fotochimico;
acidificazione;
eutrofizzazione.
Degradi
dell’ecosistema uso del territorio.
Nella valutazione degli impatti, questi ultimi una volta individuati e
aggregati sarà necessario stabilire delle scale di valore per ciascun impatto.
Dopo aver individuato le categorie d’impatto che s’intendono analizzare si
procede ad organizzare i dati dell’inventario in maniera tale da attribuire ad
ogni emissione imputabile al sistema in esame il corrispettivo impatto
ambientale. La classificazione, quindi, consiste nella definizione delle
categorie di impatto, in quanto ad ogni impatto è associato uno o più effetti
ambientali mediante una relazione.
Il passaggio successivo “la caratterizzazione”, consente di quantificare questa
relazione. Per ogni categoria di effetto ambientale viene calcolata una
variabile quantitativa usando dei fattori di equivalenza mediante il modello
134
causa-effetto. Tutti gli impatti riconducibili ad un determinato effetto
ambientale saranno quindi espressi mediante l’unità di misura equivalente
più opportuna. Ciò consente di avere un quadro sintetico e quantitativo di
tutti gli effetti ambientali generati dal sistema/prodotto, sebbene questo
implica una serie di approssimazioni che devono essere attentamente
valutate.
La classificazione e la caratterizzazione permettono di individuare il
contributo potenziale del sistema a determinati effetti (effetto serra,
acidificazione, eutrofizzazione, smog fotochimico, tossicità umana, tossicità
ambientale), ossia il suo “profilo ambientale”. Tali numeri, tuttavia,
quantificano il contributo del sistema a tali effetti, ma non indicano quale
contributo sia più rilevante rispetto agli altri.
Per far ciò è necessario procedere alla normalizzazione, in cui i contributi del
sistema ad ognuno degli effetti sono rapportati alla quantità annuale di
quell’effetto che si verifica in una determinata zona (ad esempio: Italia,
Europa, tutto il mondo) in un determinato periodo di tempo (ad esempio: un
anno). In questo modo si può avere un’idea sia del contributo relativo del
sistema ai diversi effetti, sia quale contributo è più rilevante.
Es.:
kg CO2 emessi durante la produzione di una bottiglia di vetro
kg CO2 emessi annualmente in Europa
Con la valutazione, infine, si attribuisce un peso di importanza ai diversi
effetti prodotti dal sistema, in modo che questi possano essere comparati tra
di loro per giungere ad un’ulteriore aggregazione dei dati. La norma ISO
14042, prevede che sebbene durante questa fase di valutazione si possano
utilizzare vari metodi di “pesatura”, al fine di garantire la trasparenza
dell’analisi, questi, devono essere opportunamente documentati.
135
Figura 3.3 Rappresentazione grafica dei possibili effetti ambientali derivanti dalle emissioni dell’attività antropica
Interpretazione e miglioramento
La procedura di analisi del ciclo di vita termina con la fase
dell’interpretazione, in cui si esamineranno i risultati ottenuti, si identificano
le eventuali criticità del sistema per ipotizzare dei miglioramenti.
L’interpretazione del ciclo di vita (LCI life cycle interpretation) si suddivide
nei seguenti punti:
identificazione, i dati provenienti dalle precedenti fasi dell’LCA
(principali input, output e impatti potenziali) vengono analizzati e
comparati con quanto previsto nella “Goal and scope definition”. È
evidente che la componente soggettiva presente in fase di creazione
del modello (es. definizione dei confini del sistema) può influenzare
gli esiti finali dello studio, pertanto risulta di fondamentale
importanza che le conclusioni estrapolate dalla lunga serie di
136
informazioni possibili, siano in linea con gli obiettivi predeterminati
nella fase iniziale;
valutazione, lo studio di LCA compiuto, viene, a questo punto,
sintetizzato e, i suoi risultati, diffusi e resi noti, rappresentazioni
grafiche (come istogrammi o grafici a torta) possono servire a rendere
di immediata comprensione ciò che si è evinto dall’analisi. Inoltre
attraverso l’ausilio di grafici, è possibile effettuare considerazioni
comparate mettendo a confronto aspetti diversi dello stesso scenario
o, addirittura, scenari diversi;
conclusioni/raccomandazioni/rapporto finale, infine si possono
trarre le conclusioni dello studio effettuato. Si raccomanda circa la
stesura del report finale dell’LCA, e, in base a quanto eventualmente
emerso, si predispongono eventuali azioni di miglioramento al
prodotto o sistema considerato.
E’ importante sottolineare come le tipologie di risultati siano strettamente
legate alle assunzioni fatte in fase di definizione degli scopi e degli obiettivi.
Pertanto, è importante, prima di effettuare qualsiasi tipo di considerazione,
procedere ad una revisione di tutte le informazioni e le implicazioni assunte
nella formulazione del modello, nonché nella definizione dei suoi confini.
LCA dei prodotti agroalimentari
La metodologia LCA viene applicata come strumento di valutazione
ambientale di molte tipologie di beni. Quando si fa riferimento ai prodotti
derivanti dall’attività agricola, però, bisogna tener presente alcuni aspetti che
contraddistinguono il settore. Occorre precisare, innanzitutto, che la
137
definizione di prodotto agroalimentare comprende una vasta serie di beni
che prevedono tecniche di produzione e di trasformazione diverse.
Si possono individuare le colture di cereali, le colture orticole annuali, le
colture arboree pluriennali e i prodotti derivanti dall’allevamento di animali
o da attività di pesca. Ogni categoria di prodotto agroalimentare così
individuata presenta peculiarità più o meno problematiche da tener presente
durante l’esecuzione di una LCA.
La caratteristica comune del ciclo di vita di un prodotto agroalimentare,
risiede nel fatto che esso, nella maggior parte dei casi, si articola in due fasi
principali:
fase agricola, destinata alla produzione della materia prima;
fase industriale, riguardante la trasformazione dell’alimento ed il
confezionamento finalizzato alla sua distribuzione.
Nel caso degli alimenti di origine vegetale le criticità ambientali della fase di
produzione agricola, ruotano principalmente intorno all’utilizzo dei
fertilizzanti e dei pesticidi. Le quantità e modalità d’impiego di tali sostanze
variano in base alla tipologia di coltura e alla modalità di allevamento. Diversi
saranno gli input energetici e di materie, nonché le emissioni relative alla
coltivazione di vegetali in campo aperto rispetto alle coltivazioni in serra,
così come per le coltivazioni arboree rispetto a quelle orticole o ai cereali. La
difficoltà riscontrabile durante un’analisi del ciclo di vita di un alimento di
origine vegetale, però, non risiede nell’individuare le quantità di fertilizzanti
o pesticidi che entrano nel sistema analizzato, bensì nel prevedere modelli di
dispersione in acqua aria e suolo di queste sostanze inquinanti.
Tale problema ha interessato gli studiosi di LCA fin dall’inizio della sua
applicazione alle colture vegetali, tanto che, ad oggi, numerosi sono i modelli
di dispersione presenti in letteratura. Naturalmente, si tratta di tentativi di
138
semplificare realtà abbastanza complesse e contestualizzarle da un punto di
vista geografico e varietale. Tali modelli si basano su una serie di fattori
variabili e modificabili quali: l’intensità del vento, la piovosità, la metodologia
di applicazione della sostanza, la capacità di assorbimento della pianta, la
forma di allevamento ecc.; e, sebbene con un grado variabile di
approssimazione, essi vengono ritenuti validi da un punto di vista scientifico
e frequentemente utilizzati nelle Food LCA.
I fertilizzanti (specialmente quelli azotati) influiscono maggiormente sulla
categoria d’impatto riguardante il “potenziale di eutrofizzazione”, mentre i
pesticidi influenzano la “tossicità” nelle sue possibili distinzioni “uomo,
acqua, aria, suolo”. Proprio su quest’ultimo punto occorre prestare
particolare attenzione, in quanto, nella comparazione delle varie categorie
d’impatto riferite alle fasi del ciclo di vita del prodotto esaminato,
quantitativi, anche minimi, di prodotti fitosanitari considerati in fase
d’inventario, influenzano la tossicità con valori tanto alti da impedirne il
confronto con le altre categorie.
Il problema si accentua quando si effettuano operazioni di “normalizzazione”
e “valutazione” con riferimento a studi di LCA effettuati in aree geografiche
come l’Italia, in cui non solo mancano modelli di dispersione ma bisogna
sopperire anche alla mancanza di “pesi” che permettano di attribuire ai vari
principi attivi che compongono le varie sostanze usate in agricoltura, diversi
gradi di tossicità.
In questi casi la componente soggettiva appare rilevante, e, sebbene unica
soluzione, si presta alle dovute obiezioni. Sarebbe auspicabile un intervento
del mondo scientifico in collaborazione con le istituzioni per rendere chiare e
disponibili queste informazioni.
Un altro hot spot normalmente attribuibile alla fase agricola di un prodotto
agroalimentare di origine vegetale è rappresentato dall’energia utilizzata in
139
fase di irrigazione delle colture. Con particolare riferimento all’agricoltura
intensiva tale aspetto può influenzare sensibilmente l’analisi. Le tecniche di
irrigazione sono molteplici, esse variano principalmente in base alla
piovosità ed alla disponibilità più o meno ampia di acqua da destinare alle
coltivazioni. Normalmente, il pompaggio degli elevati volumi d’acqua avviene
mediante pompe azionate da energia elettrica e quindi fondamentali
risulteranno le relative fonti di produzione energetica.
Le criticità ambientali della fase agricola devono considerare anche gli
impatti relativi alla creazione delle strutture (ad esempio la costruzione di
serre, impianti di fertirrigazione, ecc.), all’utilizzo di macchinari e allo
sfruttamento del suolo. I primi due aspetti riguardano l’analisi dei processi di
produzione dei materiali utilizzati per la costruzione delle strutture e degli
impianti nonché i consumi di carburante e relative emissioni, gli oli
lubrificanti e tutto ciò che riguarda la gestione del parco macchine aziendale.
Con il termine “Land use”, invece, si identificano le criticità ambientali
relative allo sfruttamento del suolo. Tale valutazione, risulta di fondamentale
importanza in una Food LCA, ma, alla stessa maniera, di non facile
applicazione. In letteratura, sono presenti alcuni tentativi di
standardizzazione della metodologia di valutazione di tale categoria
d’impatto basati sull’individuazione di sottocategorie come: biodiversità,
fertilità del suolo, perdita di sostanza organica, valore del paesaggio, ecc.
Appaiono comunque evidenti le difficoltà riscontrabili in fase di valutazione
degli impatti derivanti dal “land use”, sia per quanto riguarda la raccolta e
l’aggregazione di dati dalle caratteristiche diverse che gli effetti non
chiaramente noti attribuibili alle diverse tipologie di coltivazioni.
Per quanto riguarda la trasformazione della materia prima vegetale (fase
industriale) occorre considerare che i prodotti agroalimentari (come tutti i
processi tecnologici degli alimenti) non possono essere gestiti alla stessa
maniera dei prodotti industriali non destinati all’alimentazione umana. In
140
molti casi criteri di sicurezza igienico-sanitaria devono essere
necessariamente preposti a quelli di sostenibilità ed eco-efficienza. Inoltre,
una Food LCA dovrebbe essere condotta avendo presente che i miglioramenti
tecnologici, volti a ridurre gli impatti, devono rispettare non solo criteri di
sicurezza alimentare previsti dalla legge, ma anche determinate
caratteristiche chimico fisiche ed organolettiche dell’alimento. In molti casi,
infatti, risulta inopportuno prendere in considerazione “ipotesi sostenibili”
che comportino alterazioni negative nel prodotto finale. Tali ipotesi di
miglioramento ambientale, infatti, difficilmente saranno applicabili in realtà
aziendali che si pongono determinati standard qualitativi da raggiungere. Ad
esempio molti prodotti di origine vegetale, al termine della lavorazione della
materia prima, prevedono, per motivi di sicurezza igienico-sanitaria, un
trattamento termico del prodotto confezionato. Tale procedimento presenta
criticità ambientali non trascurabili legate al raggiungimento delle alte
temperature (necessarie al relativo trattamento termico di pastorizzazione o
sterilizzazione) mediante utilizzo di combustibili fossili o impiego di energia
elettrica. In questo caso, una soluzione sostenibile che preveda l’eliminazione
della fase dal processo tecnologico sarebbe inconcepibile, mentre intervenire
sulle fonti di produzione del calore appare molto più plausibile.
A questo proposito occorre ribadire che una Food LCA analizza gli impatti
ambientali legati all’intera filiera di un prodotto agroalimentare, ma può
risultare fuorviante allorquando essa è utilizzata come strumento di
comparazione di alimenti dalle caratteristiche merceologiche e nutrizionali
differenti. Non si può affermare che un alimento sia preferibile ad un altro
basandosi esclusivamente su considerazioni di tipo ambientale, occorrerebbe
invece, valutare l’insieme dei parametri legati alla sua produzione ed alla sua
funzione alimentare.
Le criticità ambientali riconducibili alla fase industriale di un prodotto
agroalimentare riguardano il metodo di lavorazione della materia prima di
origine agricola ed il confezionamento. Nella fase industriale, la componente
141
principale è rappresentata sicuramente dall’impiego di energia, che, in base
ai vari processi tecnologici può influire in maniera più o meno rilevante
sull’insieme degli impatti. Importanti problemi ambientali possono derivare
dall’impiego di particolari sostanze che, come la soda nel caso delle olive da
mensa, se non recuperate, confluiscono nei reflui industriali con conseguenti
problemi di smaltimento. Per quanto riguarda il confezionamento
dell’alimento, anche in questo caso l’impiego di energia elettrica risulta
determinante, sensibili differenze, però, si possono riscontrare rispetto alle
diverse tipologie di contenitore. Il materiale di costituzione della confezione
rappresenta un primo punto di differenziazione, tra i diversi tipi di
contenitore, il vetro e la banda stagnata sono normalmente utilizzati
dall’industria conserviera mentre per il prodotto fresco vengono utilizzati
anche plastica e legno. Nell’effettuare un’analisi del ciclo di vita sarebbe
opportuno considerare il contributo derivante dall’impiego di prodotti
necessari alla pulizia e la disinfezione dei locali e dei macchinari appartenenti
alle linee di produzione e di confezionamento. Quest’ultimo aspetto risulta di
notevole incidenza soprattutto alla luce dell’introduzione di rigide procedure
di controllo dei punti critici (HACCP).
Caso studio
La fase industriale in un’azienda di rilievo nazionale
L’azienda oggetto di analisi è lo stabilimento produttivo di una
multinazionale europea con sede nel Sud Italia. L’azienda nell’anno 2013 ha
realizzato una produzione di circa 8.000 tonnellate di prodotto (7.893.167
kg).
Nello stesso anno per realizzare questa produzione sono stati utilizzati
257.950 kilolitri di acqua e scaricate acque reflue per 240.058 kilolitri.
142
L’azienda si è fatta carico dal 2010 di un obiettivo di riduzione dell’utilizzo
dell’acqua; obiettivo monitorato tramite l’indice di water intensity (lt/kg di
produzione). Nel 2010 questo indice è risultato pari a 39,6 e nel 2012 è sceso
37,58 lt/kg, nel 2014 34 lt/kg. Nel 2013 l’azienda si era riproposta un
obiettivo di riduzione dell’utilizzo dell’acqua del 23%; la riduzione
effettivamente registrata è stata del 13%; in linea con l’obiettivo medio
raggiunto nel periodo monitorato, in quanto dall’anno della prima rilevazione
all’ultima si è ottenuto un decremento del 13%.
In merito al consumo di energia per il trasporto nel 2013 l’azienda ha
consumato 19.080 kWh. L’energia elettrica acquistata è stata pari a
6.271.000 kWh, anche qui non c’è stata produzione da fonti rinnovabili. In
merito all’efficienza energetica nel 2013 l’azienda aveva in programma di
ridurre i suoi consumi di energia del 7%. L’indice di energy intensity
(kWh/kg) relativo al consumo di energia elettrica della produzione nel 2010
è stato pari a 0,93 kWh/kg, sceso a 0,9 nel 2011 e a 0,77 nel 2013,
registrando un decremento annuo del 7% nel triennio.
Per la produzione di rifiuti solidi generati nel 2013 il dato è di 4.121.700
kg, tutti rifiuti non pericolosi inviati in discarica. L’azienda si è posta
l’obiettivo di avviare a riciclo (biodigestione) la quasi totalità degli scarti
generati dal ciclo produttivo per allinearsi all’obiettivo aziendale del Gruppo
di appartenenza di recuperare al minimo l’80% dei rifiuti industriali ordinari
nel periodo 2012-2015.
L’invio dei rifiuti solidi a biodigestore contribuisce a realizzare una politica di
sostenibilità condotta dal Gruppo industriale di appartenenza. Tuttavia, dalla
più attuale letteratura in materia si evince che la lattuga (il prodotto di
quarta gamma è assimilabile a quello fresco), tra i vegetali valutati per
alimentare un biodigestore, come resa e percentuale di metano prodotta è
sicuramente il vegetale meno performante, ha il più basso potenziale di
143
produzione di biogas (Tab. 3.3). Il mais dolce ha la più alta produzione di
biogas per kg, seguita dai rifiuti di patate e fagiolini. Il contenuto di metano
della maggior parte dei sottoprodotti varia intorno al 50%, che è indicativo
dei carboidrati. L’indice in tabella è calcolato come quantità di biogas (peso)
prodotto dalla sostanza organica, ed è espresso come percentuale sulla
sostanza organica (Poltronieri and D’Urso, 2016).
Tabella 3.3 : Analisi dei risultati del Biogas Potential Tests
Fonte: Poltronieri and D’Urso (2016)
In merito all’utilizzo di acqua i dati forniti dall’azienda sono espressi in m3,
specificando che l’acqua prelevata da pozzi è stata nel 2014 di 267.358 m3
(Tab.3.4). Mentre l’acqua proveniente da acquedotto è stata pari a circa 500
m3 circa nel 2014.
Tabella 3.4 Acqua prelevata dai pozzi da azienda quarta gamma oggetto
di valutazione anno 2014 (m3)
Mese 2014
gen 19.902
feb 19.696
mar 21.078
apr 23.189
mag 23.509
144
giu 23.610
lug 23.658
ago 23.506
set 23.085
ott 22.967
nov 21.791
dic 21.367
TOTALE 267.358
L’acqua inviata a depuratore nel 2014 è stata pari 238.743 m3 con un
dettaglio mensile indicato in tabella 3.5
Tabella 3.5 Acqua inviata a depuratore da azienda quarta gamma
oggetto di studio anno 2014 (m3)
Mese 2014
gen 17.712
feb 17.529
mar 19.488
apr 20.638
mag 20.923
giu 21.426
lug 21.056
ago 20.808
set 20.546
ott 20.206
nov 19.394
dic 19.017
TOTALE 238.743
145
Gran parte della differenza tra l’acqua immessa nel processo produttivo e
quella inviata al depuratore, circa 30mila m3, resta sul prodotto a seguito
delle operazioni di lavaggio (intervista diretta con dirigente dell’azienda
oggetto di studio).
In merito ai consumi elettrici annuali espressi in kWh, sono risultati nel 2014
pari a 6.586, con dettaglio mensile espresso in tabella 3.6.
Tabella 3.6 Consumi elettrici anno 2014 da azienda quarta
gamma oggetto di studio (kWh)
Mese 2014
gen 508,31
feb 475,64
mar 546,19
apr 535,87
mag 531,41
giu 559,61
lug 585,09
ago 624,48
set 590,09
ott 561,24
nov 537,69
dic 530,08
TOTALE 6.586
I consumi termici di gas o gasolio annuali (caldaie, motori elettrici, gruppi di
continuità) in litri o metro cubo sono stati nel 2014 relativi solo al gasolio per
l’alimentazione del gruppo elettrogeno di emergenza e pari a circa 60 m3.
146
Produzione a Km zero
La produzione presa a riferimento riguarda un’azienda agricola locale
ubicata a 4 km da Vieste, in provincia di Foggia. L’azienda si occupa della
coltivazione in campo aperto e della vendita di ortaggi e utilizza una
superficie di terreno di circa 2 ettari.
In merito al prodotto insalata è stata analizzata la coltivazione dell’insalata
iceberg. La coltivazione di questo prodotto è realizzata due volte l’anno: in
primavera e in autunno (in estate non è possibile produrre per le
temperature troppo elevate, in inverno neanche perché troppo basse).
Nel ciclo di produzione autunnale la coltivazione è fatta a fine agosto/inizio
settembre, per raccogliere poi il prodotto a fine novembre/metà dicembre.
Mentre per il ciclo primaverile la coltivazione è fatta a febbraio/marzo per
realizzare la raccolta a maggio. Il ciclo vegetativo primaverile è più lungo a
causa delle temperature inferiori.
La coltivazione è fatta con piantine acquistate sul posto da un fornitore
proveniente da Bari. È fatta a mano e sono interrate circa 25.000 piantine per
ettaro, scaglionate in due semine a distanza di circa 20 giorni una dall’altra.
Ogni piantina è interrata in file distanti tra loro circa 15 cm, distanza usata
anche per distanziare le piantine tra loro sulla stessa fila.
L’irrigazione è limitata (specie nella stagione invernale) spesso alla sola fase
di preparazione del terreno, e successivamente alla semina, poiché questa
azienda dispone di un terreno sempre abbastanza umido grazie alla presenza
di una falda acquifera superficiale. A marzo e aprile può capitare di irrigare
ogni settimana, se non ci sono precipitazioni. Si irriga sicuramente a fine
agosto e a settembre. Per irrigare è utilizzata acqua di pozzo per circa un’ora
a settimana su 1000 mq; la portata della pompa è di 250 litri al minuto
147
Come fertilizzante è utilizzato sempre in fase di preparazione del terreno,
prima del trapianto, un misto organico che contiene sia l’azoto più altre
sostanze nutritive che fa “partire” la piantina (Concime Minerale Composto
NP, composizione: Azoto (N) 18%; Anidride Fosforica solubile in acqua e
citrato ammonico neutro 46%; Anidride Fosforica solubile in acqua 42,5%),
con dosaggio 1 quintale per 10.000 mq. La fase di preparazione del terreno
viene effettuata mediante lavorazione meccanica; non deve esserci neanche
un filo di erba sul terreno e la terra deve essere stata a riposo almeno 30
giorni prima della coltivazione delle nuove piante.
Quando l’insalata comincia a crescere - dopo circa un mese dall’impianto – si
realizza una nuova concimazione con concime a base di azoto 26%. In questa
fase si procede anche alla pulitura del terreno da erbe infestanti, questa
operazione è fatta a mano con l’ausilio di una piccola zappetta; questo lavoro
deve essere fatto almeno un paio di volte durante il ciclo vegetativo.
Per i trattamenti fatti contro le malattie fungine (perenospora) si utilizza un
prodotto a base di rame metallico (ossicloruro tetrarameico). Il dosaggio è di
200 gr per 100 lt di acqua; per 1 ettaro si impiegano 400 litri di soluzione. Il
trattamento è ripetuto una seconda volta a distanza di 15 giorni. Se c’è
l’attacco dei pidocchi (dipende dalle condizioni metereologiche, se è umido
c’è l’attacco dei pidocchi), si utilizza un aficida - evenienza che può
presentarsi una volta l’anno – con principio attivo ”imidacloprid” che non è
un neonicotinoide (ci sono più tipi di prodotti disponibili). Il dosaggio è 50 ml
per 100 lt . Per i 10.000 mq interessati si impiegano 400 lt, e si fa un solo
trattamento alla prima comparsa degli afidi.
La raccolta è fatta alla base della radice, sul campo si eliminano le foglie
rovinate (in media circa 100 gr per cespo). In media un terzo della
produzione rimane sul campo perché non venduta (si raggiungono anche
punte di invenduto del 50%, mentre in alcune stagioni il prodotto è
interamente raccolto e richiesto dal mercato), le oscillazioni nelle vendite
148
dipendono anche dalla qualità del prodotto ottenuto e dall’offerta di aziende
concorrenti. Anche perché dopo circa 20 giorni dalla maturazione l’insalata
non si riesce più a vendere perché genera infiorescenze. Il prodotto raccolto
pesa in media 800 gr – 1 kg.
La vendita del prodotto si protrae per circa un mese ed è fatta al mercato
locale dell’ortofrutta. Il prodotto è trasportato per 4 Km al mercato con
furgoncino diesel e consegnato al cliente con buste di bioplastica.
Obiettivo e scopo dell’analisi
Lo scopo di questo studio è quello di analizzare e valutare le performance
ambientali di una busta di insalata iceberg di quarta gamma prodotta da
un’azienda italiana ubicata nel Sud Italia e venduta in Puglia, e poi
paragonarle con le performance ambientali di un’insalata iceberg
tradizionale (prima gamma) a “chilometro zero”, coltivata e venduta sempre
in Puglia.
La metodologia LCA è stata applicata ad una caso aziendale di produzione di
insalata iceberg di quarta gamma, l’analisi è stata condotta seguendo la
normative ISO 14040 e 14044, l’ILCD Handbook (EC - JRC - Institute for
Environment and Sustainability, 2010) e le “Guidelines for the
implementation of the PEF” (Commissione Europea, 2015).
L’unità funzionale è una confezione di insalata iceberg di quarta gamma da
200 grammi. Un prodotto con apporto nutritivo indicato in tabella 3.7.
149
Tabella 3.7 Scheda nutrizionale insalata iceberg
Fonte: www.bonduelle.it
Nella valutazione del ciclo di vita condotta sono stati analizzati i seguenti step
che indicano nella loro totalità i confini del sistema:
processo di coltivazione;
il trasporto e la consegna del prodotto presso l’industria;
la fase industriale, selezione, lavaggio, packaging (primario) e la
distribuzione ai centri di distribuzione (includendo il packaging
secondario);
il trasporto alla distribuzione;
la vendita all’ingrosso.
Il contesto geografico è quello dell’area mediterranea. Le categorie d’impatto
scelte sono quelle definite nell’ambito della Product Environmental Footprint
PEF Guide, determinate dalla Commissione Europea in collaborazione con il
Joint Research Centre e l’ISPRA come indicato in Tabella 3.8.
Tabella 3.8 Categorie di impatto
Impact Category Unit Acronym
Climate change midpoint, excl biogenic carbon (v1.06) kg CO2eq GWPf
Climate change midpoint, incl biogenic carbon (v1.06) kg CO2eq GWPt
PEF-IPCC global warming (biogenic) kg CO2eq GWPb
150
Ozone depletion, WMO model, ReCiPe kg CFC-11eq
OD
Human toxicity cancer effects, USEtox (without long-term) CTUh HTc
Human toxicity non-canc. effects, USEtox (without long-term) CTUh HTnc
Acidification, accumulated exceedance Mole of H+eq
A
Particulate matter/Respiratory inorganics, RiskPoll kg PM2.5eq
PM
Ecotoxicity for aquatic fresh water, USEtox (without long-term) CTUe E
Ionising radiation, human health effect model, ReCiPe (corrected) kg 235Ueq Ir
Photochemical ozone formation, LOTOS-EUROS model, ReCiPe kg NMVOC
POF
Terrestrial eutrophication, accumulated exceedance Mole of Neq
TE
Freshwater eutrophication, EUTREND model, ReCiPe (without long-term)
kg Peq FE
Marine eutrophication, EUTREND model, ReCiPe kg Neq ME
Land use, Soil Organic Matter (SOM, Ecoinvent&Hemeroby - EMS-19May2015)
kg C deficit eq
LU
Resource depletion water, midpoint, Swiss Ecoscarcity (v1.06 - EMS- 19May2015)
m³eq. RDw
Resource depletion, mineral, fossils and renewables, midpoint (v1.06)
kg Sbeq RD
Inventario
Le operazioni di campo sono state raccolte direttamente presso aziende di
produzione (dati primari), tali informazioni sono state poi confrontate con
alcuni dati di letteratura.
I trasporti sono stati stimati in base alle informazioni fornite dalle aziende di
trasformazione considerando: un trasporto refrigerato con nave di 1.350 km
e trasporto su gomma di 400 km.
I dati inerenti il processo di trasformazione sono stati raccolti presso
aziende locali, così come quelli inerenti il confezionamento primario e
secondario.
Per quanto riguarda i trasporti alla distribuzione si è stimata una distanza
media di 800 km sulla base alle informazioni fornite dalle aziende di
produzione.
151
Perdite lungo la filiera: 30% in campo, 52% in azienda di trasformazione
6,7% alla distribuzione per il prodotto di quarta gamma; 15% per il prodotto
a chilometro zero.
Il ciclo di vita è stato modellizzato utilizzando il software Gabi
(www.thinkstep.com)
Data Quality
In merito ai dati analizzati di seguito sono riportate una serie di assunzioni e
limiti che permettono di valutare l’affidabilità dei dati stessi elaborati. Nei
limiti del possibile si è cercato di elaborare dati primari, ove non disponibili
si è ricorso a dati secondari e terziari.
Per le operazioni colturali si è fatto riferimento al database Ecoinvent v.3.1
per quantificare le emissioni delle macchine operatici, mentre il database
Gabi (Thinkstep) è stato utilizzato per le emissioni della produzione di
energia elettrica. I consumi idrici sono stati regionalizzati, mentre si è fatto
riferimento a fertilizzanti generici considerando il contenuto di NPK. Le
perdite di azoto sono state calcolate secondo il modello di Bentrup (Brentrup
F. et al., 2000). Le emissioni di NOx e fosforo sono state calcolate secondo il
report Ecoinvent n.15 sui sistemi di produzione agricola (Nemececk et al.,
2007). Le emissioni di pesticidi sono state calcolate seguendo il modello
Mackay I (Mackay, 1991).
Il database Thinkstep è stato adottato per le operazioni di trasformazione di
quarta gamma e packaging, sia primario che secondario. Per quanto riguarda
il fine vita degli imballaggi, è stata utilizzata la EoL (End of Life) Formula
elaborata nell’ambito del progetto PEF. Alla stessa maniera, si è ipotizzato lo
smaltimento degli scarti di insalata per la produzione di biogas.
152
Tabella 3.9 Inventario dei dati raccolti relativi alle fasi del ciclo di vita
valutate d’insalata di quarta gamma.
FASE INPUT UNITA' QUANTITA' OUTPUT UNITA' QUANTITA'
Coltivazione
Superficie sqm 1,150 Insalata Iceberg kg 0,417
GLO: lubricating oil [allocatable product] kg 0,000171278 Scarti kg 0,125
planting [allocatable product] sqm 1,15 tillage, harrowing, by spring tine harrow [allocatable product] sqm 1,15 tillage, ploughing [allocatable product] sqm 1,15 tillage, rotary cultivator [allocatable product] sqm 1,15
Irrigazione
GLO: polyethylene, high density, granulate [allocatable product] kg 0,040 ES: electricity, low voltage [allocatable product] MJ 0,152 Water (ground water, regionalized ES) [Water] kg 172,500
Fertilizzazione
Europe without Switzerland: diesel, low-sulfur [allocatable product] kg 0,0003 Ammonium [Inorganic emissions to air] kg 0,00009085
fertilising, by broadcaster [allocatable product] sqm 1,008 Nitrate [Inorganic emissions to fresh water] kg 0,017156275
GLO: nitrogen fertiliser, as N [allocatable product] kg 0,005 Nitrogen (atmospheric nitrogen) [Inorganic emissions to air] kg 0,000408825
GLO: phosphate fertiliser, as P2O5 [allocatable product] kg 0,006 Nitrous oxide (laughing gas) [Inorganic emissions to air] kg 0,00005678125
GLO: potassium fertiliser, as K2O [allocatable product] kg 0,005 Phosphorus [Inorganic emissions to fresh water] kg 0,00008468182
transport, freight, lorry >32 metric ton, EURO5 [allocatable product] tkm 0,002 Potassium [Inorganic emissions to fresh water] kg 0,001402755
transport, tractor and trailer, agricultural [allocatable product] tkm 0,00003
Controllo fitosanitario
application of plant protection product, by field sprayer [allocatable product] sqm 5,240 Copper (+II) [Heavy metals to agricultural soil] kg 0,000038813
GLO: copper oxide [allocatable product] kg 0,00004 Copper (+II) [Heavy metals to fresh water] kg 0,000000431
RER: fosetyl-Al, at regional storage [Pesticide] kg 0,0001 Fosetyl-aluminium [Pesticides to fresh water] kg 0,000063175
RER: fungicides, at regional storehouse [Pesticide] kg 0,001 Fosetyl-aluminium [Pesticides to agricultural soil] kg 0,000000305
RER: insecticides, at regional storehouse [Pesticide] kg 0,00002 Propamocarb [Pesticides to agricultural soil] kg 0,000105499
Water (ground water, regionalized ES) kg 0,460 Propamocarb [Pesticides to fresh water] kg 0,000003061
Pyraclostrobin [Pesticides to agricultural soil] kg 0,000011519
Pyraclostrobin [Pesticides to air] kg 0,000000038
Thiamethoxam [Pesticides to fresh water] kg 0,000001340
Thiamethoxam [Pesticides to agricultural soil] kg 0,000004407
Thiamethoxam [Pesticides to air] kg 0,000000001
Trasporto
Insalata (iceberg) [plant production] kg 0,417 Insalata (iceberg) [plant production] kg 0,417
Ship transport [Others] kgkm 562,950 Truck transport [Others] kgkm 112,590
Trasformazione
Diesel [Refinery products] kg 0,003 Insalata (iceberg) [plant production] kg 0,20016
IT: electricity, low voltage [allocatable product] MJ 1,231 Scarti (da IV gamma) [Others] kg 0,21684
Insalata (iceberg) [plant production] g 417,000 wastewater, average [Waste] m3 0,0126351
Water (ground water, regionalized IT) kg 14,153 Water (tap water) [Operating materials] kg 0,025
Packaging
Insalata (iceberg) [plant production] kg 0,200 Insalata (iceberg) [plant production] kg 0,200
Cardboard (packaging) [Materials from renewable raw materials] kg 0,026 Electricity [Electric power] MJ 0,002 Polypropylene film (PP) [Plastic parts] Mass 0,004
Trasporto alla distribuzione
Insalata (iceberg) [plant production] kg 0,200 Insalata (iceberg) [plant production] kg 0,1866
Truck transport [Others] kgkm 248,562 Scarti (distribuzione) [Others] kg 0,0134
EOL PP
Polypropylene film (PP) [Plastic parts] Mass 0,004 Material output to disposal, burdens (PEF Annex V) [Auxiliary flow] kg 0,002129
Material output to energy recovery, burdens (PEF Annex V) [Auxiliary flow] kg 0,001161
Material output to material recycling, burdens (PEF Annex V) [Auxiliary flow] kg 0,00071
EOL Cardboard
Cardboard (packaging) [Materials from renewable raw materials] kg 0,026 GLO: waste paperboard [Waste] kg 0,011004
Material output to disposal, burdens (PEF Annex V) [Auxiliary flow] kg 0,0133096
Material output to energy recovery, burdens (PEF Annex V) [Auxiliary flow] kg 0,0018864
EOL Scarti Scarti kg 0,355 CH: biogas, from grass [allocatable product] m3 0,157
153
Risultati e discussione
Dai risultati in figura 3.4 (Global Warming Potential) si evince che la fase di
coltivazione contribuisce pesantemente agli impatti ambientali totali. In
tutte le categorie esaminate tale fase, infatti, apporta il maggior contributo a
causa, principalmente, dell’energia elettrica impiegata nell’irrigazione, e delle
emissioni dei fertilizzanti. In questa fase pesano negativamente anche le
perdite in campo, che aumentano proporzionalmente gli impatti della
coltivazione rispetto all’unità funzionale (rappresentata da 200 g di prodotto
confezionato).
Il processo di trasformazione di quarta gamma rappresenta, dopo la fase
agricola, il principale hot spot lungo il ciclo di vita. Ciò è riconducibile
all’impiego di energia elettrica durante tutte le operazioni di questa fase.
I trasporti risultano impattanti, sebbene in misura inferiore rispetto alla fase
di coltivazione e trasformazione, per le categorie d’impatto collegate alle
emissioni da combustibili fossili, mentre ulteriore contributo seppur
modesto è dato dalla fase di packaging.
La fase di EoL (End of Life) “alleggerisce” il quadro ambientale complessivo
ad eccezione del processo di recupero degli scarti di insalata mediante
biodigestione, in cui a causa dello scarso rendimento dello scarto, i vantaggi
derivanti dal biogas recuperato non riescono a compensare gli impatti
generati durante la fase di biodigestione.
154
Figura 3.4 GWP Global Warming Potential insalata di quarta gamma
In Fig.3.4 è riportato il contributo di Global Warming Potential di ciscuna fase
del ciclo di vita del prodotto di quarta gamma analizzato, impatto
maggiormente rappresentativo dell’analisi effettuata. Dal grafico si può
evincere quali siano le fasi più impattanti del ciclo di vita del prodotto di
quarta gamma (coltivazione e trasformazione industriale).
In fig. 3.5 sono messi a confronto i due sistemi esaminati: prodotto di quarta
gamma e prodotto a chilometro zero. Si evince per quasi tutte le categorie di
impatto analizzate - fuorché “Human toxicity”, “Ecotoxicity for aquatic fresh
water” “Freshwater eutrophication” e “Resource Depletion” - un maggiore
contributo del prodotto di quarta gamma.
155
Figura 3.5 Confronto tra prodotto di quarta gamma e prodotto a km
zero
CONCLUSIONI
Dall’analisi e dalle valutazioni condotte nel corso dello studio è emerso uno
scenario di produzione molto articolato relativamente al settore quarta
gamma, nonostante i relativi prodotti sino definiti comunemente
“minimamente processati”. L’unità funzionale analizzata mediante l’LCA,
busta di insalata iceberg da 200 grammi, durante il suo ciclo di vita è
coinvolta in un sistematico processo di “sprechi alimentari”, e questo dal
0,00%
20,00%
40,00%
60,00%
80,00%
100,00%
120,00%
Km zero IV gamma
156
campo sino alla tavola. In campo il prodotto di butta per tanti motivi
(commerciali, cimatici ecc.) con scarti che vanno dal 10% al 50%. Nel
processo industriale ancora un 50% di prodotto è scartato per garantire i
rigidi dettati qualitativi della domanda. In fase di distribuzione un ulteriore
6-7% è gettato via per questioni contrattuali legati essenzialmente alla vita
commerciale del prodotto.
Queste continue perdite che si realizzano nel corso di tutto il ciclo di vita del
prodotto di quarta gamma analizzato non fanno altro che aggravare il peso
degli impatti ambientali calcolati. E, fanno nascere l’esigenza, oltre a quella di
ridurre gli sprechi alimentari di ripensare agli impatti ambientali di tutti i
processi, per ottimizzare ad esempio i consumi di energia sia in fase agricola
che in fase industriale. D’altro canto a ben poco giova, dal punto di vista del
recupero di energia, lo sforzo condotto di riutilizzare gli scarti di lavorazione
tramite biodigestore, considerato che il contributo energetico ottenuto non
compensa il consumo energetico sostenuto per gli scarti stessi.
I miglioramenti ipotizzabili pertanto dovrebbero essere orientati alla
riduzione degli scarti e dei consumi energetici, anche se si ritiene
fisiologico che la trasformazione di quarta gamma includa delle perdite lungo
il suo iter.
Inoltre, un aspetto fondamentale che fa riflettere in merito alla sostenibilità
del prodotto analizzato e il rapporto tra i suoi impatti ambientali e il suo
contributo nutritivo. Essendo l’insalata iceberg composta da circa il 95% di
acqua, questa apporta ben pochi elementi a una dieta dal punto di vista
nutrizionale e pertanto il suo contributo alla dieta stessa andrebbe ripensato
nell’equilibrio di un paniere di alimenti che contemplino elementi di
sostenibilità e non solo elementi nutrizionali.
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