Testo dell'Introduzione e dei saluti ai partecipanti del
Dott. DOMENICO BRESICH
DIRIGENTE SCOLASTICO I.C. "BOROLI" - NOVARA
Aula Magna Scuola Secondaria di Primo Grado "Pier Lombardo" - Novara
7 novembre 2015
Buongiorno a tutti, ben trovati, ben arrivati. Comincio con un saluto alle autorità, ai membri della società civile, saluto i genitori, saluto i docenti presenti, molto numerosi, saluto tutte le persone che hanno scelto di venire a passare un'ora e mezza in nostra compagnia in una scuola che si apre non soltanto agli alunni, ma anche ai grandi. Con la soddisfazione ed il piacere del padrone di casa, il piacere genuino del padrone di casa apro questo evento; diamo stamattina il via ad un viaggio esaltante di scoperta, diamo il via ad un percorso di scoperta e riscoperta di quanto per noi, che facciamo questo mestiere, per noi scuola, è essenziale. L'essenziale è l'educazione, le relazioni educative, direbbe qualcuno: un essenziale è invisibile agli occhi, ma sempre comunque un essenziale. Un essenziale per noi che facciamo scuola e per la famiglia, quindi per le mamme e i papà, che ci affidano i loro figli. E' una ricchezza, è una possibilità quella che cominciamo oggi; una possibilità non frequente. Genitori, insegnanti sono qui presenti oggi e nei quattro sabati di novembre, di gennaio, di marzo e di maggio prossimi. Se questo oggi si realizza, se partiamo, se riusciamo a partire è perché ancora si trova in giro qualcuno disposto a investire, e dico investire non dico spendere, a investire in educazione. A parole lo fanno in molti, nei fatti e vi prego di credermi, non è così anzi, è' assai raro. Ma perché questo percorso può realizzarsi? Perché ci sono persone che investono, abbiamo trovato enti e fondazioni che investono in educazione. Sono, in primis, la fondazione Achille e Giulia Boroli, oggi qui rappresentata dalla dottoressa Cadario, che spesso e bene ci sostiene nelle nostre alzate d'ingegno o con qualche intuizione formativa. Poi c'è la Fondazione Comunità Novarese Onlus, per la precisione il Fondo Cominazzini, nella persona del professor Maggi che ringraziamo e che, con fatica e sacrificio, ha voluto essere presente tra noi e si tratterà per quello che riesce. Poi c'è la fondazione Banca Popolare di Novara per il territorio, e a fare veci del Presidente dell'avvocato Zanetta abbiamo il dottor Gigi Santoro. Sono saluti e ringraziamenti che doverosamente e anche volentieri mettono in premessa questo incontro; saluto anche,come dicevo, le autorità, saluto anche il tenente Lo Porto che, a nome e per conto della Guardia di Finanza e del suo Comandante, ha voluto farci sentire la presenza delle Istituzioni. Mi addentro nel cuore di "Cathedra di Psy", questo titolo un poco così insolito, infrequente; siamo partiti dal problema, cioè dalla constatazione, dal fatto che oggi si rinuncia troppo spesso, con troppa facilità all'educazione. Si abdica al compito, si abdica al ruolo educativo e questa abdicazione poi causa una serie infinita di danni nei ragazzi, nei discendenti, nei nostri alunni, nei nostri figli. Bambini e ragazzi adolescenti mostrano segni di confusione e disorientamento: dislessia, ipercinesi, disturbi dell'apprendimento e altre problematicità sono diagnosticate e certificate con una frequenza sempre maggiore, quasi esponenziale, dal servizio di neuropsichiatria, dal Servizio Sanitario Nazionale. A noi invece sembra fondamentale un risveglio, ci sembra necessaria una nuova consapevolezza di che cosa significa educare; educare sia da parte dei genitori, sia da parte dei docenti. Questa nuova consapevolezza spiega anche la presenza così massiccia di tutti e quasi tutti. Insomma siamo 148 in questo Istituto tra docenti d'infanzia di primaria e secondaria di primo grado. Dislessia e ipercinesi: abbiamo bisogno di risvegliarci, di prendere consapevolezza del fatto che senza educazione non si va avanti, che senza educazione affronteremo problemi sempre più grandi, perché il problema fondamentale è che manca una consapevolezza, perlomeno viene sempre meno una consapevolezza educativa, di quello che è il ruolo educativo. Lo scopo quindi di questa "Cathedra di Psy" è dichiaratamente quello di contrastare, combattere l'atrofia pedagogica, l'immobilismo. Fornire ai genitori e fornire ai docenti, e qui comincerà la parte diciamo così pratica, strumenti di comprensione e di azione perché vogliamo diventare ed essere, continuare ad essere, educatori informati e pronti ad adottare tutti rimedi possibili. Il progetto è stato pensato e poi costruito con il patrocinio dell'Università degli Studi di Bergamo, Dipartimento delle Scienze Umane e Sociali, il suo
direttore, professor Giuseppe Bertagna e per la mia categoria, per la nostra categoria, il Centro per la Qualità dell'Insegnamento e dell'Apprendimento, da cui abbiamo molto da imparare e che ha molto da dirci rispetto alla qualità dell'insegnamento. "Cathedra di Psy" si svilupperà in una serie di lezioni tematiche. Come ho detto prima avremo quattro sabati impegnati in questo senso; uno psicologo, un sociologo, un pedagogista sono già presenti tra di noi. Occasione di riflessione, occasione di concreto ripensamento e riallineamento di certune convinzioni pedagogiche e didattiche: non si tratta di andare a scoprire l'America, no, ma di fare un po' di ordine nella vostra testa, nel nostro ripostiglio pedagogico insomma. Ogni tanto bisogna fare un po' di ordine, lo abbiamo voluto evidenziare con questa mattinata di apertura per tramite di relatori, lasciatemelo dire, eccezionali. Occasione privilegiata che non capita spesso. Oggi aprire la presentazione è quasi inutile, mi astengo e lascio volentieri, volentierissimo. la parola. Mi metto in ascolto come voi, come tutti chiedendo al Professor Borgna, psichiatra di fama internazionale, l'apertura; al Professor Bertagna la locuzione, come dire, principale rispetto al progetto e poi alla professoressa Maria Giovanna Fantoli e alla Professoressa Casaschi di illustrare ai docenti, ai genitori e a tutti i convenuti quello che è il costrutto del percorso. Grazie.
ISTITUTO COMPRENSIVO
ACHILLE BOROLI
PRESENTAZIONE DEL PROGETTO
CATHEDRA DI PSY
NOVARA, 7 NOVEMBRE 2015
INTRODUZIONE A CURA DEL PROF. EUGENIO BORGNA
La prima considerazione doverosa è il sottolineare come tra la psichiatria e la pedagogia vi
sia una relazione profonda e come la prima presenti due percorsi ben distinti.
Esiste una psichiatria che affronta le problematiche in modo farmacologico ed una
incentrata sul soggetto, maggiormente tesa verso un orizzonte relazionale che investa il
appo to t a ge ito i, pe so ale edu ativo e giova i. I uesta p ospettiva si po e l’allea za tra psichiatria e pedagogia che operano con una tenacia che ha il sapore leopardiano
dell’illusio e della spe a za.
La psichiatria propone la riflessione sulla sofferenza del bambino e le forme in cui essa si
esprime, fatte di negatività e malattia (per esempio ansia o inquietudine). Oggi a tale forma
di sofferenza si risponde con la somministrazione di farmaci, anche ai bambini. Ma questa
non sempre può essere la risposta adeguata, occorre piuttosto entrare in dialogo con i
bambini, riflettere su quali parole scegliere per comunicare, sforzarsi di ascoltarle e
interpretarle perché esse cambiano al di là del loro significato sintattico o grammaticale ed
assu o o sig ifi ati dive si a se o da dello stato d’a i o o ui ve go o as oltate.
La soffe e za del a i o i ge e a i lui u alle ta e to ell’a uisizio e delle conoscenze, perciò dobbiamo rivolgere a questa sofferenza uno sguardo attento a cogliere
le oscillazioni del suo stesso sguardo. Necessaria è anche la riflessione su chi siamo noi e
quello che sono gli altri, nella relazione continua e attenta con il bambino.
Occorre, altresì, sforzarsi di non rimanere prigionieri nella corazza della propria identità che
ci impedisce di andare al di là della sofferenza e, a questo proposito, sono illuminanti le
parole di Simone Weil che ha colto il mistero della vita e del dolore e ci aiuta a riflettere su
quello i so da ile dell’a o e.
Anche se questa immensa fabbrica offrisse le più straordinarie meraviglie e non costasse
he u a sola la i a di u solo a i o, io o l’a ette ei. Discorso di Ivan nei fratelli
Karamazov, Dostoevskij, V,4. Cfr. Quaderni II, 232-233)
Aderisco completamente a questo sentimento. Nessun motivo, di qualsivoglia genere, che
mi venga offerto per compensare una lacrima di un bambino, può farmi accettare questa
la i a. Nessu o, assoluta e te essu o he l’i tellige za possa o epi e. U o solo, a i telligi ile u i a e te all’a o e sop a atu ale: Dio l’ha voluto. E pe uesto otivo, accetterei un mondo che fosse solo male e le cui conseguenze fossero solo cattive, così
come una lacrima di un bambino . “i o e Weil
INTRODUZIONE PROF. GIUSEPPE BERTAGNA
Il percorso progettuale muove da una premessa che si articola in tre aspetti volti a porre in
relazione le competenze della psicologia, sociologia e pedagogia grazie alla collaborazione
con il Dipartimento di Scienze Umane e delle prof.sse Fantoli e Casaschi. Il lavoro, che da
oggi inizia a muovere i primi passi, si concretizzerà in un libretto sperimentale, occasione e
motivo per la continuità del dialogo avviato.
Il p ogetto pa te dall’ela o azio e di t e idee p i ipali e la p i a t ae ispi azio e dalle
riflessioni di San Tommaso secondo il quale la persona non è che abbia relazioni, ma è essa
stessa relazione e legami.
Il legame è ciò che esiste tra chi ascolta e chi parla ed esso esiste a tanti livelli diversi:
legame tra istituzioni, tra docenti e do e ti, do e ti e alu i, do e ti e fa iglie…
Se viene meno il legame, viene meno la persona ed è per questo che la pratica del legame
sta alla base della comunicazione educativa.
Se si rompe il legame, viene meno la relazione educativa ed è quindi essenziale saper
ost ui e po ti .
La seconda idea si riferisce a Irnerio, il fondatore dell’U ive sità di Bolog a: il do e te colui che insegna apprendendo e apprende insegnando.
Il docente è colui che insegna e impara dallo sguardo di chi ha davanti; se egli insegna senza
questa dimensione non è un insegnante.
Noi possiamo apprendere solo ciò che riusciamo a insegnare in modo concettuale ed
ese pla e, att ave so l’u ità di pa ola e testi o ia za.
Gli insegnanti possono testimoniare ciò che insegnano e app e do o. No l’i seg a te he fa app e de e o os e ze all’alu o, a uest’ulti o he app e de pe h vuole
farlo, in quanto la testimonianza di ciò che il docente insegna e apprende lo rende
responsabile.
L’i seg a e to o si asa su teo ie i o ulatorie, quasi che le conoscenze fossero farmaci
da iniettare; infatti il sapere non si inocula ma si costruisce attraverso la circolarità
dell’i seg a e to-apprendimento.
La terza idea si fonda sul rapporto tra la sociologia, la psicologia e la pedagogia, discipline
diverse, atte a cogliere i molteplici aspetti della realtà e che concorrono insieme ad arrivare
ad una dimensione unitaria.
La psicologia e la sociologia hanno una base descrittiva, vogliono capire come stanno le
cose, guardano e raccolgono esperienze e parole da cui ricavano teorie, che divengono
predittive, e spiegazioni.
Lo sguardo della pedagogia è diverso da quello delle altre due discipline; esso infatti
p esuppo e he sia stata fatta u ’esplo azio e dell’a go e to da ui so o state t atte le
teorie predittive.
La pedagogia parte dalla teoria e vede fino a che punto vi si possono adattare i singoli casi
poichè le teorie servono a capire meglio le situazioni simili. Per ciascuno di noi non valgono
le teorie della sociologia e della psicologia. Compito della pedagogia è di scoprire in quali
i osta ze il aso si ile o i o du i ile ad u a diag osi…..
La pedagogia ha implicazioni con la decisione morale ed etica, deve mettersi in gioco e,
fatal e te, a volte s aglia. No ’ u ’edu azio e uguale per tutti, ma proprio perché è per
ias u o di oi, fo da e tale il lega e: il lega e dell’alu o he i seg a.
INTRODUZIONE DELLA PROF.SSA MARIA GIOVANNA FANTOLI
L’ele e to più i po ta te pe edu a e l’a o e: a o e pe lo studio, pe il proprio
lavo o, i p op i alu i, olleghi. Pu appa e do a ale, l’a o e l’aspetto più i po ta te e da riempire di contenuti e significati. Per questo, durante i prossimi incontri, il pomeriggio
sarà dedicato alla condivisione del lavoro di insegnanti e genitori.
Prima di avviare questa attività, appare opportuna la riflessione sul nome del progetto :
Cathed a di Psy .
Cathed a p op ia e te il luogo dell’auto evolezza pe la p ofessio e do e te. Non è solo
luogo fisico ma, soprattutto, di relazione e condivisione, luogo delle problematiche umane,
luogo dove siamo autorevoli gli uni per gli altri. Ma è anche il luogo dove ci si dà in dono agli
altri.
Occasione di riflessione, oggi 7 novembre, diventa il più importante romanzo pedagogico
che inizia il ove e di u lo ta o , I P o essi “posi .
Si parte dalla data (inizio del romanzo) e si va al finale:
Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso,
perché ci si è dato cagione; ma che la condotta piú cauta e piú innocente non basta a tenerli
lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li
rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c'è
parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La
quale, se non v'è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a
chi l'ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s'è fatto
apposta. P o essi sposi- cap. XXXVIII)
Re zo e Lu ia so o l’u o pe l’alt o il luogo auto evole he li ha edu ati e da ui si so o lasciati educare.
I due giovani si sono reciprocamente educati, pertanto sono in grado di educare. Ma, nel
contempo, sono stati educati dalle esperienze che hanno vissuto e dalla fiducia nella
Provvidenza, perciò sono diventati capaci di generare.
Renzo e Lucia diventano capaci di generare uomini di grande profonda umanità e
accoglienza. Ogni autentica relazione è fatta di accoglienza, l’edu azio e stessa per
l’a oglie za.
La pratica didattica è segnata profondamente dalla fatica che, tuttavia, va valorizzata così
come devono esserlo le difficoltà di docenti, alunni e famiglie. Ma fatica e difficoltà sono
l’hu us da ui fa ge e are i frutti migliori, proprio come è accaduto a Renzo e Lucia che
hanno saputo realizzare pienamente il loro compito educativo.
Il docente educa insegnando o u ’i te sità he de iva dal odo i ui si vive la p op ia umanità.
Accogliamo la fatica del lavoro e la rinuncia del tempo libero perché abbiamo bisogno di
aiutarci e di essere aiutati.
La persona, messa al centro, realizza le opere migliori.
Sintesi a cura dei proff. Giuseppe Giarrusso e Grazia Varnavà
Intervento del
Professor EUGENIO BORGNA
Psichiatra
Aula Magna Scuola Secondaria di Primo Grado "Pier Lombardo" - Novara
7 novembre 2015
Silvia Cadario ha voluto sfidare ogni posizione strettamente scientifica, invitando anche uno psichiatra che, di per sè, sembrerebbe che nulla abbia a che fare con la pedagogia o da dire su questi temi, su questo progetto formativo di così straordinaria importanza. Ho letto le premesse, i contenuti e anche questa straordinaria scala di lezioni che implicano tematiche così ampie, così profonde, così rigorose e, soprattutto insondabili. Se ho accolto questo invito è perché, devo dirlo, c'è anche una psichiatria. Le psichiatrie sono mille e non sto qui a definirle, poichè mi perderei in geroglifici incomprensibili. Una psichiatria è quella essenzialmente, radicalmente farmacologica e una seconda psichiatria è quella che considera il soggetto nella sua interiorità. L 'incontro possibile fra pedagogia e psichiatria avviene nell’ interiorità del soggetto, della soggettività, cioè nell'orizzonte relazionale che lega da una parte chi cura, chi insegna, chi è genitore e chi ascolta e dall'altra parte chi è curato, chi è seguito, chi è soggetto di informazioni, di insegnamenti. Nulla potrei comunque aggiungere alle cose bellissime, straordinarie che sono state scritte; devo soltanto aggiungere un ringraziamento a Silvia Cadario che continua ad adoperarsi con questa passione leopardiana della speranza in cui riassumerei il significato del suo impegno, del suo entusiasmo, della sua cultura, della sua capacità anche di cogliere i segni del tempo. Uno psichiatra può, in fondo, soltanto cercare di proporre qualche rapida riflessione su quella che è la sofferenza nel bambino. Lo sguardo deve essere attento alla sofferenza del bambino senza distinguere le forme con cui la sofferenza si esprime: attraverso l'handicap, attraverso quelle esperienze psicologiche che vengono sempre considerate come segno di negatività o addirittura di malattia, sempre che non lo siano, come la timidezza, la fragilità, l’inquietudine, l'ansia. Manifestazioni che oggi potrebbero correre il rischio fatale di essere considerate soltanto come segni di una malattia e quindi da aggredirsi farmacologicamente sia con gli antidepressivi che oggi, per legge, si possono prescrivere anche alle età infantili, sia con la prescrizione dissennata di questo Rintalin che viene usato, utilizzato e anche proposto nella cura di esperienze umane, psicologiche estremamente ricche come sono quelle alle quali accennavo prima. Chi cura, ma anche chi insegna e chi poi soprattutto, padre e madre, dovrebbe cercare di entrare sempre in dialogo complesso, in un dialogo forse impossibile su quello che sono i bambini che vivono con loro o che sono l'oggetto del loro insegnamento. Quali parole scegliere nell'illustrare cose che devono essere illustrate, senza tenere presenti i modi con cui, un bambino, soprattutto se questi è segnato o anche solo incrinato dalla sofferenza, ascolta e interpreta? Le parole non sono degli strumenti matematici rigorosi, gelidi che valgono per tutti, esse cambiano di significato al di là di quella che è la loro struttura sintattica o grammaticale, a seconda degli stati d'animo. Le parole, comunque queste vengono sentite, vengono ascoltate comportano l'impegno, forse impossibile, di chi insegna di utilizzare parole che riescano in qualche modo a coagulare, a magnetizzare esperienze di vita che sono sempre diverse. Le parole spesso separano, distinguono, almeno apparentemente, i bambini che rallentano l' acquisizione delle conoscenze sulla base di quelle fragilità, di quella debolezza che è una dote psicologica e che, invece. nel contesto viene ad essere in qualche modo interpretata come segno di reversione o comunque di non normalità. Non potrei non citare, affrontando il tema della sofferenza del bambino, Simone Weil che ha scritto la premessa per la quale anche uno psichiatra può parlare di questi temi, seppure con timore e tremore perchè sono temi sui quali la competenza, l'esperienza anche della disciplina psichiatrica viene in qualche modo nitidamente ad infrangersi e scomparire e allora uno psichiatra, ma penso chiunque di noi, non potrebbe affrontare un tema come questo che ripeto spesso come titolo e cioè che lo sguardo che rivolgiamo alla sofferenza del bambino sottintende anche che ci sono molti modi di guardare, molti modi di dare un senso e un contenuto agli sguardi che abbiamo verso gli altri. Infatti, mentre magari chi guarda non distingue le sfumature o le oscillazioni
dell'animo con cui sono espresse, queste parole tutti questi sguardi sono colti dall'altra parte, che siano bambini o no ,con sensibilità altissima. Allora, forse prima di ogni altra considerazione, la premessa di questo cammino misterioso che porta verso l'interno dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni come sentiero dal quale non è possibile allontanarsi sia per chi si occupi di psichiatria sia per chi si occupi del bambino oncologico, del bambino che sta male e per chi, soprattutto, insegna od è, soprattutto, genitore è la capacità di cogliere lo sguardo di chi ascolta. Senza questa continua riflessione su quello che noi siamo e su quello che sono gli altri, perchè noi siamo, inizio a dirlo, quello che diveniamo, cioè di ora in ora se volete, di situazione in situazione. Noi cambiamo dall'identità che abbiamo o riusciamo a frantumarla o riusciamo a metter in questa relazione continua con quella che è l'alterità, anche quella di un bambino. Oppure noi, chiunque insegni, chiunque sia genitore, chiunque sia psichiatra o psicoterapeuta o pedagogo, rimane comunque prigioniero dietro alle sbarre della propria identità che, come una corazza anche se invisibile, ci rende impossibile gettare quei ponti che uniscono, che consentono di andare al di là della sofferenza e della malattia, al di là dell'età e del fatto che il soggetto sia quello appunto pediatrico o colui che soffre di disturbi in età adulta. Io concludo questo mio intervento, che non poteva essere che espressione dei sentimenti che uno psichiatra ha provato leggendo questi testi bellissimi e soprattutto anche questo iter interiore che mi è parso di cogliere nell'elencazione di quelle che saranno le lezioni che loro ascolteranno. Spero che tutti conoscano Simone Weil, morta a 34 anni e che ha saputo cogliere fino in fondo tantissime cose della vita, certo, ma soprattutto il mistero della vita e anche, ancora più importante, il mistero del dolore. Discorso di Ivan Karamazov: " anche se questa immensa fabbrica offrisse le più straordinarie meraviglie e non costasse che una sola lacrima di un solo bambino, io non accetterei. Aderisco completamente a questo sentimento, nessun motivo, di qualsiasi genere, che mi venga offerto per compensare una lacrima di un bambino può farmi accettare questa lacrima. Nessuno, assolutamente nessuno che l'intelligenza possa concepire. E poi salto ad una conclusione dell'insondabile, del mistero che ciascuno interpreta come vuole, come può, come crede, uno solo ma intellegibile all'amore soprannaturale, Dio l'assoluto." Grazie
Intervento del
Professor GIUSEPPE BERTAGNA
Direttore del Dipartimento di Scienze Umane - Università di Bergamo
Aula Magna Scuola Secondaria di Primo Grado "Pier Lombardo" - Novara
7 novembre 2015
Come sapete, le cose brevi sono sempre efficaci e profonde. Colpiscono, come
l’intervento magistrale del professor Borgna. Io non sarò così breve, però spero di non farvi dormire. Vorrei sottolineare con una premessa tre aspetti: la premessa nasce
dall’idea di collaborazione con il Dipartimento di Scienze umane e sociali, Dipartimento che, pro tempore, ho l’onore di dirigere. Questa collaborazione non è casuale, infatti ci saranno la professoressa Fantoli che è stata una nostra dottoranda e collabora con il
nostro centro di ateneo e la professoressa Casaschi, nostra collaboratrice di università e
noi che, come docenti, o meglio i docenti, anche insieme al professor Gattico oggi
presente, abbiamo contribuito insieme alla presidente e alla professoressa Fantoli alla
definizione del programma. Qual è l'idea che vorremmo elaborare? Quella di unire le tre
competenze caratteristiche del nostro dipartimento, cioè lo sguardo psicologico che questa
mattina il professor Borgna ha spiegato come dovrebbe essere, lo sguardo sociologico
della realtà che ci circonda e delle sue elaborazioni formali e lo sguardo pedagogico per
affrontare temi e problemi all'ordine del giorno nei processi educativi. La nostra intenzione
è anche quella di realizzare alcuni libretti sperimentali per verificare se da questa iniziativa
possa scaturire la possibilità di continuare il dialogo con altri mezzi che possano anche
servire ad altri genitori, ad altre scuole, ad altre famiglie. Le iniziative che intraprendiamo si
basano, questa è la premessa, su tre idee. La prima è già stata ricordata: diceva san
Tommaso - che forse qualcuno ha sentito un po' più a lungo di Simon Weil, vissuta poco e
ancora contemporanea – che è vissuto molti secoli fa e che, bene o male è nel refrain
anche linguistico oltre che culturale del nostro Paese, che la persona non è che abbia
relazioni, la persona è relazioni, è legami. Non si tratta di avere legami perché, se non c’ è relazione non esiste la persona. L'idea del legame si riferisce a tutto, è un comune, una
specie di aria che attraversa tutti gli incontri che faremo. Esiste un legame tra noi e voi ma,
se uno parla e l'altro che deve ascoltare non ascolta, il legame viene meno. I legami sono
anche istituzionali, qui ne abbiamo una prova visibile di quanto una scuola possa reggere
se, solo se, ha legami con il territorio. Legami interpersonali tra docenti ma anche legami
interpersonali tra docenti e studenti, legami interpersonali tra famiglie, genitori, docenti e
studenti, nella consapevolezza che, se viene meno il legame, viene meno la persona,
quindi viene meno la possibilità dell'educazione. L'educazione c'è laddove e soltanto resta
la possibilità e la pratica del legame. Quando si fa la guerra, quando si rompe il legame,
non c'è spazio per l'educazione. L'educatore è uno che cerca continuamente ponti, che
cerca anche di entrare nelle fortezze che sembrano più inespugnabili e più isolate e più
incarcerate in un nucleo quasi irraggiungibile. Legami quindi. La seconda idea, che
attraversa un po' tutti gli incontri ed è anche questa classica, si riferisce al fondatore
dell'Università di Bologna che è Irnerio, un giurista. L'Università di Bologna è la più antica
università esistente in Italia. Diceva Irnerio che l'università si fonda perchè si possa
insegnare apprendendo e si possa imparare insegnando. Ecco, questo è lo scopo
dell'Università e credo che sia anche lo scopo di ogni scuola. Se un insegnante, se un
relatore, mentre trasferisce le idee che ha in testa in linguaggio, in voce e le consegna a
chi lo ascolta e se, mentre fa questa operazione, non impara dallo sguardo di chi ha
davanti, dalla compostezza o dalla irrequietezza di chi ha davanti, dal contesto in cui è
inserito, da una profondità maggiore che sente di acquisire mentre dice cose che magari
ha già ripetuto in tante occasioni e in tante circostanze, bene, se un insegnante insegna
senza questa dimensione, non è un insegnante. Allo stesso modo un allievo, uno
studente, e siamo tutti studenti fino alle più alte età della vita e siamo tutti quindi in
condizione di apprendimento, ebbene noi stessi possiamo apprendere e abbiamo davvero
appreso solo ciò che riusciamo poi a trasferire nell'insegnamento ed è nell'insegnamento
che avviene su due versanti, quello concettuale che è quello della parola e quello
esemplare, piano della testimonianza. Ecco, l'unità di parola e di testimonianza è ciò che
mette insieme l'insegnamento e l'apprendimento. Non sono gli insegnanti che fanno
imparare, nessuno impara se non vuole, ma certo gli insegnanti possono testimoniare che,
insegnando, apprendono perché vogliono; quindi non solo dicono alcune cose, ma
testimoniano esemplarmente quello che l'allievo, a questo punto, capisce senza difficoltà e
cioè che non è l'insegnante che gli insegna ma è lui che apprende perché vuole, perché si
mette in gioco, perché trova una relazione e, facendo questo, non vede soltanto la parola
che, se per caso è contraddittoria con la vita e con l'esperienza, viene immediatamente
rimproverata come antinomica dal ragazzo; allora non potrà pensare "predica bene ma
razzola male", invece vedrà la testimonianza del suo docente, del suo relatore che, non
soltanto insegna, ma impara mentre insegna e, allo stesso modo, capisce che
l'apprendimento è dato alla sua responsabilità e questa sua responsabilità è
accompagnata da una testimonianza vivente che poi lui mantiene perché mantiene la
relazione con questo insegnante. Insomma non c'è nessuna teoria inoculatoria
nell'insegnamento e nell'apprendimento. Non possiamo fare le punture, sarebbe bello, ma
non si riesce ad insegnare trasferendo o inoculando il sapere. L'ultima dimensione
riguarda il perché considerare tre discipline come la psicologia, la sociologia e la
pedagogia nell'analisi di problemi reali che sono i no e i sì dell'educazione, assieme a tutti
quelli che avete potuto vedere nel programma. Dunque, perché?
Perché sono discipline molto diverse che hanno caratteristiche diverse che colgono, come
è ovvio, dimensioni diverse della realtà che però, composte, restituiscono della stessa
realtà una dimensione unitaria che è quella che consente il conferimento di senso; infatti
senza dimensione unitaria, senza la scoperta di un senso unitario, non c'è alcuna
possibilità di mantenere legami e non c'è la possibilità di insegnare apprendendo o di
apprendere insegnando. La psicologia e la sociologia hanno una base che è
essenzialmente descrittiva. Descrivono e vogliono capire come stanno le cose. Capire
cioè qual è la situazione riferita ai temi che verranno discussi. Per capire la situazione
guardano e raccolgono le esperienze delle persone. Dalle osservazioni e dalle esperienze
delle persone ricavano poi teorie, interpretazioni, spiegazioni e da queste spiegazioni
concludono dicendo che dalla esperienza che è accaduta ad altri genitori, ad altri allievi,
ad altri insegnanti, ad altre persone - e da ciò che si è visto e censito attraverso gli
strumenti di osservazione messi in campo - è possibile ricavare una teoria. A proposito è
bellissima quella che ci ha appena testimoniato il Professor Borgna che, dopo una vita
passata nella professione, nello studio e nell'accademia, ci dice che la cosa importante è
capire la sofferenza, e non semplicemente medicalizzarla, ma entrare in rapporto con la
sofferenza e quindi cercare di elaborarla. Ecco, questa teoria poi diventa predittiva. Di fatto
poi anche Lui ci ha invitato a non affrontare il tema della sofferenza semplicemente con il
Ritalin (un farmaco) ma a fare qualche cosa di diverso. Bene, lo sguardo pedagogico, lo
sguardo della pedagogia, non è lo sguardo della psicologia e della sociologia, perché
presuppone semmai queste dimensioni. Presuppone che si sia fatta una esplorazione di
ciò che c'è sull'argomento e di ciò che le esperienze che sono state condotte su questi
temi consentono di ricavare in termini di teorie e in termini di teorie predittive, le quali poi
servono per prevedere quello che può accadere se, per caso, si è davanti ad una nuova
situazione che richiama analogicamente la precedente. Ma parte da qui e fa una cosa
diversa; per esempio non parte dalle esperienze e giunge alle teorie, ma invece parte dalle
teorie che sono state ricavate, anche dagli psicologi e dai sociologi oltre che dagli
psichiatri, e vede se, e fino a che punto, possono andare bene per i casi singoli. Quindi fa
un percorso inverso e, siccome il caso singolo è inesauribile, non c'è mai nessuna teoria
che può andare bene per un caso singolo. Le teorie servono semplicemente come
grimaldelli, come strumenti per capire di più, capire meglio, capire più in profondità la
specificità dei casi singoli con cui noi ci troviamo a che fare. E siamo tutti casi singoli, e per
ciascuno di noi non valgono le teorie che la psicologia e la sociologia - scienze che hanno
un valore anche normativo - dicono esserci, perché il caso singolo è sempre eccedente a
qualsiasi ampiezza la teoria raggiunga. Ed è proprio questa allora la differenza della
pedagogia, scoprire in che modo, in quali forme, in quali dimensioni, in che circostanze e
perché, il caso singolo non è riconducibile a, per esempio, una diagnosi, non è
riconducibile ad un sintomo, non è riconducibile a una teoria, non è riconducibile cioè a
qualche cosa di schematico; occorre riconoscere questa differenza, e partire da questa
differenza per poi usarla come pilastro attorno a cui aggregare tutte le altre dimensioni che
servono per far crescere la persona; quindi la pedagogia ha a che fare, per forza di cose,
con la decisione morale, etica e con l'azione. E' una disciplina pro-attiva che costringe a
mettersi in gioco, ad agire, e chi agisce, come dice il proverbio, sbaglia, ma proprio perché
è normale che agendo si sbagli, è normalissimo, se siamo esseri razionali, che
riconosciamo l'errore e che tenteremo di fare meglio la prossima volta, senza sensi di
colpa ma anche senza superficialità perché noi sappiamo che l’educazione può scaturire solo da questo continuo percorso ricorsivo tra azione e decisione che si ricava dalla
specificità dei casi singoli. Questo insomma, e chiudo, per far condividere un po' a tutti il
principio che non c'è un'educazione uguale per tutti. Non c'è una cultura che sia uguale
per tutti, invece, proprio perchè di ciascuno ed è per ciascuno, il "tutti" può nascere solo
dai legami che ciascuno costruisce. Il "tutto" può nascere dalle modalità con cui testimonia
di essere insegnante che apprende, di essere studente che insegna. Benedetto
l'Ottocento, il Novecento, il Medioevo, l'antichità quando nelle scuole non insegnavano i
professori ma gli studenti più bravi insegnavano a quelli che avevano più problemi e
scoprivano questi studenti che, in alcuni ambiti erano bravi ed erano professori, e in altri
erano asini ed erano studenti, e quindi la circolarità apprendimento-insegnamento risultava
molto più esaltata di quanto invece possa risultare in una impostazione uniforme che dice
l'insegnante è uno e gli studenti sono trenta. Invece non è così, perché siamo tutti coinvolti
in questa dinamica educativa ed è questo che accende il percorso e costituisce la
differenza tra la psicologia, la sociologia e la pedagogia. Noi speriamo di offrirvi attività,
proposte, analisi, casi, situazioni riflessive accompagnate da persone che andranno oltre
alle teorie, proprio per farvi notare come ciò che sentirete al mattino non sarà ritrovabile
sulla situazione personale o sulla situazione singola che ciascuno ha davanti ma, che
proprio da questo cammino di scoperta della differenza, può nascere il recupero delle
teorie che servono per esaltare anche l'utilizzazione educativa e propositiva delle
differenze di cui ciascuno di noi è testimone.
Intervento del
Professoressa MARIA GIOVANNA FANTOLI
Docente di Scuola Secondaria e Coordinatrice del progetto
Aula Magna Scuola Secondaria di Primo Grado "Pier Lombardo" - Novara
7 novembre 2015
Dopo l'intervento del professor Borgna e del professor Bertagna diventa per me un compito
molto difficile, per cui dichiaro subito la mia inadeguatezza e contemporaneamente anche la
mia emozione. E devo dire, se posso permettermi, che ho dentro di me un ricordo personale di
quando, giovane insegnante a Borgomanero, avevo 24 anni e insegnavo appunto all'Istituto
delle suore rosminiane, ebbi la grande fortuna di ascoltare una conferenza del professor
Borgna che allora disse che l'elemento più importante per educare è l'amore, amare i propri
studenti, il proprio mestiere, il proprio lavoro, i colleghi. Vi sembrerà, e può essere, un elemento
appunto insondabile, indefinibile, che può toccare la banalità, ma dopo trentatré anni da quel
momento io ho, man mano nel tempo, capito che è veramente la cosa più importante, tanto da
riempire di contenuto e di significato e da far interagire con le teorie, gli studi, la
consapevolezza che si approfondisce nel tempo. E’ quello che cercherò, e cercheremo, di fare
anche negli incontri pomeridiani dove io sarò insieme alla dottoressa Casaschi per condurre il
lavoro di condividere con gli insegnanti e con i genitori di questa scuola quanto gli spunti offerti
al mattino dagli illustri relatori potranno appunto essere portati nella pratica didattica. Io avevo
preparato una serie di slide e di osservazioni che adesso mi sembrano superate e quindi cerco
di raccogliere alcune questioni, che sono già state poste, per poi dirvi concretamente che cosa
dovremo fare insieme al pomeriggio. Prima di tutto parto da questo titolo "Cathedra", "Cathedra
di Psy". Allora io do inteso, so che è stato compreso che cosa volesse dire certo cattedra. Ma
che cos'è? Prima di tutto un luogo di autorevolezza per il nostro mestiere, per la nostra
professione, quindi un luogo chiaramente non fisico, non solo fisico, ma un luogo, come si
diceva prima, di relazioni, di condivisione del proprio percorso di insegnanti, propriamente
didattico ma anche relativo alle problematiche umane sempre implicate nel nostro lavoro che è
appunto fondato sulla relazione. Quindi un luogo di autorevolezza a cui guardare e in cui siamo
autorevoli gli uni per gli altri perché, come diceva prima il professor Bertagna, la pedagogia
guarda ai casi singoli, a ciascuno di noi che può offrire o offrirsi proprio in dono all'altro dando il
proprio contributo e la propria esperienza. Di tutte le slide lascerei questa, in cui si descrive che
si lavorerà dunque al mattino, quando ascolteremo i tre relatori che affronteranno quattro
argomenti fra i più significativi che ci coinvolgono tutti come insegnanti e come genitori ma
anche come uomini desiderosi di educarsi e di educare, e poi al pomeriggio. Ecco quindi
cathedra è questo luogo costituito dalla relazione del mattino e dal lavoro del pomeriggio. Poi
lascerei anche un'altra slide. Io ho badato anche a questa circostanza: il 7 di novembre del
1628 è l'inizio dei Promessi Sposi e quindi, sarà perchè sono un' insegnante di lettere, queste
cose mi colpiscono e non sono per me marginali. Ho messo l'inizio del romanzo, con la data
appunto del 7 novembre 1628 e la conclusione del trentottesimo capitolo dei Promessi Sposi, e
vorrei rileggerlo con voi. "Dopo un lungo dibattere e cercare insieme conclusero che i guai
vengono bensì spesso perchè ci si è dato cagione ma che la condotta più cauta è più innocente
non basta a tenerli lontani. E che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio
li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benchè trovata da
povera gente ci è parsa così giusta che abbiam pensato di metterla qui come il sugo di tutta la
storia." Allora Renzo e Lucia sono l'uno per l'altra questo luogo autorevole che li ha educati e da
cui si sono lasciati educare; quindi il modello della loro relazione, e il modello delle relazioni che
essi hanno vissuto nel corso della loro vicenda, è stato per me, mentre pensavo appunto a
questo intervento e a quel lavoro che avremmo fatto, motivo di ispirazione per quello che
dovremmo fare noi. Ecco quindi, l'uno per l'altro educati e quindi capaci di educare perchè io
credo che i Promessi Sposi siano un grandissimo libro di educazione e di pedagogia e quindi
ho voluto proprio incominciare sotto la loro egida, come dire, sotto il loro modello e la loro
ispirazione. Poi vedremo i particolari di questa loro relazione; la relazione educativa è una
relazione che accoglie, che accoglie quella sofferenza di cui parlava prima il professor Borgna.
I nostri ragazzi, al di là di tutti i problemi che il Dirigente Bresich ha enucleato ed ha evidenziato
all'inizio, a causa di questi soffrono e quindi hanno bisogno di qualcuno che accolga la loro
sofferenza. Quindi vedremo come i docenti che insegnano e che apprendono
contemporaneamente potranno accettare, accogliere questa sofferenza e tradurla in una
positività per le loro lezioni. Io avevo scelto questi spunti, presi sempre dai Promessi Sposi,
perché il compito educativo è proprio quello di generare degli uomini, uomini che tengano alle
sfide della storia e della loro storia personale, uomini capaci di accogliere e di essere grandi
nella loro umanità, perché chi accoglie parte dalla propria umanità. Prima si parla di interiorità.
Ecco questo è quello di cui tutti possiamo disporre, per cui la premessa che è richiesta a tutti
noi, a tutti coloro che vorranno partecipare a questo cammino, a questo percorso, a questa
storia, è appunto la propria umanità, la propria interiorità che è fatta delle cose che già abbiamo
sentito, di azione, di scelte, di decisione; infatti noi, quando progettiamo come insegnanti,
decidiamo di andare in una direzione piuttosto che in un'altra, di dare la priorità a delle cose
piuttosto che ad altre; quindi decidiamo, agiamo, riflettiamo, torniamo su quello che è stato
messo in essere dalle nostre decisioni e da lì ripartiamo per una vita migliore, che in questo
caso è un clima scolastico di apprendimento per una diminuzione di sofferenza, laddove c'è, e
per una valorizzazione della fatica, perchè la fatica che facciamo noi docenti, la fatica che fanno
i nostri alunni, la fatica dei genitori, è sicuramente indicibile. Io credo davvero che non sia stato
ancora scritto il libro che racconti tutte le nostre fatiche e tutte le nostre difficoltà. Ecco questo è
il terreno su cui noi operiamo, un terreno da valorizzare, ed è l'humus da cui far generare
proprio dei frutti di vita migliore. L'auspicio che volevo fare era proprio questo: come Renzo e
Lucia vogliamo compiere questo percorso educativo, con la consapevolezza poi che il compito
educativo riguarda tutti gli uomini. In primis noi, che siamo educatori che insegniamo educando
ed educhiamo insegnando, ma poi il compito educativo, proprio perché deriva dall'intensità con
cui ciascuno di noi vive la propria umanità, è il compito di tutti. Tutti siamo chiamati ad educare;
quell'atrofia educativa di cui si diceva prima nasce forse dal fatto che ci tocca e allora
dovremmo riscoprire questa umanità in ciascuno di noi. Ciascuno di noi l’ha forse un po'
nascosta e quindi si è sopita nel corso del tempo. Da che cosa nasce il progetto lo abbiamo
detto e ne abbiamo qui l'esempio, la testimonianza; nasce dal fatto che noi siamo qua, siamo
qui insieme, è un sabato mattina e noi stiamo sacrificando un'ora, due ore, tre ore della nostra
giornata. Per me è commovente, io davvero non pensavo di vedere così tante persone che
sono qui quando invece potremmo essere da un'altra parte. Ecco allora questa folta
partecipazione da che cosa ha origine? Ha origine dal fatto che abbiamo bisogno di aiutarci e di
essere aiutati, e condividere il bisogno che abbiamo è la prima mossa della nostra umanità.
Quindi gli attori sono già stati citati, li ringrazio ancora una volta tutti quanti, a cominciare dal
professor Bertagna, ormai ci conosciamo da un po' di anni, che ha dato la sua disponibilità, e
attori siamo soprattutto noi che facciamo fatica a vivere questa relazione. La novità che
rappresenta l'abbiamo già detta, è stata spiegata; quindi psicologia, sociologia, dalle
esperienze alle osservazioni, alle teorie; pedagogia, dalle teorie al caso singolo per prendersi
cura, per abbracciare il caso singolo, e ritornare anche a modificare le teorie partendo proprio
dalla singolarità di ciascuno di noi. La novità è questa ed è il percorso di condivisione che noi
vogliamo fare assieme al mattino e al pomeriggio con questi tre diversi approcci. Nel primo
incontro, ad esempio, il 21 di novembre, ci troveremo al mattino per ascoltare le relazioni dei
nostri illustri professori e al pomeriggio parleremo proprio dei casi singoli; quindi il nostro
sguardo pedagogico sarà orientato a far emergere dalla nostra professione, dal nostro
insegnamento, quegli elementi che possono essere letti alla luce delle teorie del mattino ma poi
determinate proprio nella concretezza del nostro agire didattico; poi i due mesi che
intercorreranno dal 21 di novembre all'incontro successivo, saranno dedicati a sperimentare -
per chi lo desidererà, per i docenti che lo vorranno, per i genitori che proveranno a riflettere e a
vedere nella quotidianità con i loro figli - delle pratiche didattiche anche diverse, cioè ad
affrontare proprio i problemi quotidiani alla luce di quello che noi ci saremmo detti nel
pomeriggio ed al mattino, per poi, e questa prospettiva c'è anche in quello che ha detto il
professor Bertagna, magari anche realizzare dei materiali concreti che possono essere dei
libretti, possono essere delle dispense, dei materiali appunto da esportare, da far conoscere,
se funzionano, se ci danno motivo di riflessione e di risultato. Risultato nei termini di cui parlavo
proprio prima, di crescita dell'umanità, di crescita del tasso educativo di questa scuola. Ecco,
noi vorremmo che questa scuola fosse proprio questo, un luogo in cui l'educazione, la persona,
messa al centro, cresce e realizza anche opere diverse, opere migliori, la vita migliore di cui
parlava Manzoni. Quindi al pomeriggio faremo questo e ogni due mesi avremo l’occasione di
incontrarci. Naturalmente per me - e penso anche per la professoressa Casaschi - sarà
possibile essere a disposizione, in questo lasso di tempo fra un incontro e l'altro, per darvi il
contributo che possiamo dare. Direi di aver detto tutto ma credo che a questo punto, se c'è
tempo, possiamo dare spazio alle domande, nel caso in cui non sia stata chiara nell'evidenziare
quello che vorremmo fare; altrimenti ci vediamo il 21.