SCUOLA DOTTORALE INTERNAZIONALE “TULLIO ASCARELLI”
Diritto - Economia - Storia
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XXIII ciclo
LE LIMITAZIONI AL VOTO NEL MERCATO FINANZIARIO
Marina Cordopatri
A.A. 2010/2011
Coordinatore: Chiar.mo Prof. Andrea Guaccero
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INDICE
Introduzione
Capitolo primo
I criteri di attribuzione del voto
1. La cd. democrazia azionaria: proprietà e controllo. 2. segue. 3. L’attribuzione del voto secondo il principio one vote/one
share. 4. segue. Efficienza. 5. Le deviazioni del principio. 6. Criteri diversi di attribuzione. 7. Segue. Spunti critici. 8. L’esperienza statunitense. 9. Verso un diritto comune europeo.
Capitolo secondo
La modulazione del diritto di voto.
1. Diritto di voto e autonomia statutaria. 2. Considerazioni generali sulla natura e sui limiti delle
modulazioni del diritto di voto. 3. I limiti legali. 4. segue. La record date. 5. I limiti statutari. 6. segue. Le azioni di risparmio. 7. I limiti contrattuali: in particolare i patti parasociali.
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8. segue. Il contratto di riporto e i contratti derivati.
Capitolo terzo
Le prospettive rimediali.
1. La tutela obbligatoria. 2. La tutela reale: suoi limiti. 3. segue. Ipotesi di tutela giurisdizionale. 4. La tutela degli azionisti senza diritto di voto. Il principio
di buona fede. 5. La legittimazione. 6. La regola di neutralizzazione e la sua ricezione nel diritto
comunitario. 7. segue. Il rapporto con l’emissione di azioni speciali e
con gli atti dispostivi del diritto di voto.
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Introduzione
Questa ricerca si propone di esaminare i casi in cui, nell’ambito delle società
quotate nei mercati regolamentati, possa essere limitato o, per dir così,
modulato il diritto di voto di taluni azionisti.
Così ci si ripromette di inquadrare i casi di cui sopra nel rispetto dei principi
del diritto societario moderno. Primo fra tutti, quello – peraltro, reso bene
dallo slogan “chi più ha più rischia” – secondo cui la scelta legislativa è nel
senso di riconoscere e attribuire il potere di governo della società alla
maggioranza dei soci e di orientare, di conseguenza, l’attività della società
al perseguimento dei loro interessi.
L’indagine, la cui linea di tendenza è seguita anche dal legislatore
dell’ultima riforma con riferimento alla corporate governance, tende altresì
alla individuazione di tecniche organizzative che possano assicurare meglio
– o se si vuole con maggiore efficienza – il rispetto del principio one share–
one vote, per cui il potere di voto è attribuito al socio proporzionalmente alla
di lui partecipazione al rischio (cd. democrazia azionaria), imponendo una
proporzionalità fra rischio e controllo. Si vuol dire che il tasso di rischio e la
consistenza della disponibilità del voto comporta anche che il detentore del
capitale azionario, che ha un diritto pieno di partecipare agli utili o
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all’avanzo di liquidazione, svolga un’attività di indirizzo e di controllo sulle
scelte societarie.
La ricerca si propone, quindi, di valutare preliminarmente se il principio in
discorso – ormai risalente, e accolto, oltre che nell’esperienza giuridica
statunitense, anche in quella del nostro ordinamento – possa considerarsi
ancora ai nostri giorni lo strumento che possa assicurare una maggiore
efficienza e concretezza nell’attribuzione del potere. O, piuttosto, se
riescano congrue e necessarie, o quantomeno più opportune, le (molteplici)
limitazioni che, allo stato, lo restringono.
Invero, la contemplazione, nell’atto costitutivo, di posizioni partecipative
con diritti amministrativi non omogenei, comporta la differenziazione e/o la
disomogeneità dell’interesse dei soci dedotto nel contratto sociale, con gli
evidenti problemi che ne potrebbero discendere. Ne consegue che la detta
contemplazione, che costituisce certamente un aspetto dell’autonomia
privata, deve essere scrutinata alla luce delle diverse esigenze che possono
essere prefigurate.
Le deviazioni dal principio one vote – one share possono (meglio, devono)
essere quindi ammesse solo in determinate circostanze (come, ad esempio,
nel caso dell’offerta al pubblico di una nuova categoria di azioni senza
voto), nelle quali i relativi costi non siano sopportati dagli azionisti diffusi.
6
A ben vedere, forse, la soluzione del problema è strettamente connessa con
la valutazione attuale del ruolo economico-sociale da riconoscere alla
società per azioni.
Ciò non di meno, anche in quest’ottica più permissiva, non si dovrebbe
prescindere dal grado di protezione da accordare alle minoranze e
all’azionariato diffuso, che influenza la misura e la distribuzione dei
benefici privati del controllo, e si dovrebbero individuare validi meccanismi
di composizione dei diversi e molteplici interessi coinvolti. Composizione
che bene può operarsi, come si cercherà di dimostrare nel corso dell’opera,
anche e soprattutto con una corretta e ponderata applicazione delle norme
contenute nel codice civile e dei principi desumibili dal diritto comune. Ad
esempio, un giusto limite alla modulazione del diritto di voto potrebbe
correttamente cogliersi nel principio di diritto comune della buona fede. E
altrettanto utile, onde valutarne la compatibilità con i tradizionali rimedi
civilistici, è, in questa prospettiva, interrogarsi anche sulla funzione svolta
dalle norme di settore. Si tratta, all’evidenza, di un frammento della
problematica più ampia, che riguarda la tutela individuale, in presenza di un
intervento pubblico nell’economia (rafforzato dalle autorità di vigilanza di
settore), per assicurare un’adeguata e più piena protezione di interessi
ritenuti meritevoli di tutela.
In tale contesto, cioè all’interno del novero delle prospettive rimediali, si
deve inquadrare e leggere la cd. regola di neutralizzazione, o come viene
chiamata in altri ordinamenti la breaktrhough rule, – introdotta nel nostro
7
ordinamento con decreto legislativo n. 229/2007, in seguito al recepimento
della direttiva europea 2004/25/CE, e peraltro avversata dalla maggioranza
degli Stati membri –, alla cui analisi si intende dedicare adeguata attenzione.
La regola, consacrata nell’art. 104 bis T.U.F., e che rappresenta una
importante innovazione nel mercato finanziario, porta importanti deroghe
alle limitazioni al diritto di voto nonché alle limitazioni della trasferibilità
delle azioni (patti di prelazione o di gradimento, e così via).
Invero, in forza della regola in discorso, tutte le restrizioni previste in
accordi contrattuali fra la società e i possessori di titoli o in accordi
contrattuali fra soci e in patti parasociali non hanno effetto nei confronti
dell’offerente (è il caso dell’offerta pubblica d’acquisto), per il periodo in
cui l’offerta deve essere accettata, nelle assemblee chiamate a decidere sugli
atti e le operazioni previste dall’art. 104, e quindi su ogni misura preventiva
da recepire in occasione di un’OPA. La stessa norma prevede pure che la
previsione della regola in discorso deve essere contenuta nello statuto della
società quotata. In sintesi, l’applicazione di tale regola comporta
l’attribuzione del diritto di voto ad azionisti che ne erano privi: ciò al fine di
ridurre il trinceramento dei managers delle società e dei possessori di
blocchi azionari.
Si spiegherà, per questa via, perché la regola de qua, che prima della
modifica introdotta dalla legge n. 2/2009 era imperativa e inderogabile, più
che ogni altra disposizione in materia, è ora assolutamente in grado di
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innalzare il livello di concorrenzialità delle imprese sui mercati finanziari
europei, perfettamente in linea con lo scopo che si prefigge di raggiungere.
Al riguardo, però, rimane da appurare se, ai fini dell’applicazione della detta
regola di neutralizzazione, così come formulata nella direttiva OPA, sia
corretto e fondato distinguere fra limitazioni contrattuali e limitazioni
strettamente connaturate alla struttura genetica dello strumento finanziario.
Ed invero, con riferimento alla prima categoria, la sospensione delle
restrizioni risponde all’esigenza di restituire agli azionisti, in occasione
dell’OPA, la pienezza delle facoltà e dei diritti connessi alle azioni stesse.
Al contrario, le limitazioni connesse alla natura del titolo dovrebbero essere
escluse dalla restrizione della gittata applicativa della regola in discorso, che
finirebbe così per rivelarsi “sovrabbondante” rispetto agli scopi del
legislatore e per stravolgere il contenuto di diritti geneticamente connessi
alla specifica categoria di azioni, la cui lesione non sarebbe in alcun modo
riparata attraverso il rimedio rappresentato dall’equo indennizzo.
9
Capitolo primo
I CRITERI DI ATTRIBUZIONE DEL VOTO
SOMMARIO: 1. La cd. democrazia azionaria. – 2. Segue. – 3. L’attribuzione del voto secondo il principio one vote/one share. – 4. Segue. Efficienza. – 5. Le deviazioni del principio. – 6. Segue. Criteri diversi di attribuzione. – 7. Spunti critici. – 8. L’esperienza statunitense. – 9. Verso un diritto comune europeo.
1. La cd. democrazia azionaria.
La struttura capitalistica della società comporta, in via di principio, che i
diritti e i poteri dei soci nella società si determinino in funzione della
partecipazione al capitale sociale. Nel nostro ordinamento il principio di
democrazia azionaria, che forse assurge ormai a un mero slogan1 svuotato
del proprio contenuto2, è stato elaborato per collegare il rapporto che
intercorre, nelle società di capitali, fra l’investimento, espressione del
rischio – meglio “quantificazione” dello stesso –, e il potere che al socio è
riconosciuto all’interno dell’organizzazione societaria. Si è cercato, così, di
1 L’espressione è di C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali, Padova, 2006, 143. Come rilevato, fra gli altri da R . WEIGMANN, voce <azioni di società>, in Dig. it. – discipline privat., sezione commerciale, II, Torino, 1987, 129; e F. DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1984, 269; il ‘peso’ dell’azionista nelle decisioni assembleari generalmente dipende da numero delle azioni da lui detenute, anche se non si possono tralasciare di considerare le ipotesi di esclusione, di limitazione e di sospensione del voto, nelle quali rientrano, ad esempio, le azioni di risparmio e quelle di godimento. 2 Si tornerà in prosieguo sull’attualità di questo principio all’interno del nostro ordinamento.
10
riequilibrare, secondo gli schemi giuridici conosciuti nel nostro
ordinamento, primo fra tutti quello della responsabilità, la posizione di tutti i
soci all’interno della società. Il funzionamento dell’assemblea è perciò
dominato dal principio maggioritario ed il peso di ogni socio in assemblea è
proporzionato alla quota di capitale sottoscritto ed al numero delle azioni
possedute. Si è cercato, ancora, di riservare il potere decisionale in
assemblea a quanti detengono la maggioranza del capitale e, quindi,
rischiano (o possono rischiare) in misura maggiore. O, meglio, di distribuire
il detto potere in proporzione alla partecipazione azionaria detenuta.
La società per azioni si caratterizza, infatti, per il principio organizzativo in
base al quale i diritti del socio non soltanto sono commisurati in base alla
sua partecipazione al capitale sociale, ma sono stimati addirittura
preventivamente, prima ancora dell’imputazione al singolo socio, e a
prescindere, dall’atto con cui la società viene organizzata. Si tratta, in effetti,
di una soluzione organizzativa tipica ed essenziale della società per azioni3 e
che dimostra per intero la sua rilevanza, laddove vengano in questione diritti
del socio che possano per la loro natura tradursi in termini quantitativi; non
anche quelli che non consentono alcuna quantificazione4.
3 Cfr. C. ANGELICI, voce <Azioni di società>, in Enc. giur., IV, 1. 4 Sul punto, F. D’ALESSANDRO, I titoli di partecipazione, Milano, 1968, 131.
11
E’ noto, d’altronde, che sono stati predisposti congegni idonei a scongiurare
il pericolo, per la verità attuale, che l’eventuale disinteresse dei soci alla vita
della società possa paralizzarne la vita, e dunque le scelte operative5. ?
In buona sostanza, all’origine, il principio di democrazia azionaria si
proponeva di assicurare la concreta partecipazione del socio alle scelte e agli
indirizzi societari, in ragione e sotto il riflesso della sua effettiva
partecipazione al capitale sociale.
Sennonché, il principio in discorso si è venuto via via modificando, per non
dire, trasformando. Come è stato autorevolmente rilevato6, dal rigido
principio della partecipazione azionaria in senso oggettivo si è passati, nel
tempo, ad una sorta di categorizzazione progressiva delle azioni. Se, da un
lato, è vero che l’azione è da considerarsi quale unità di misura dei diritti e
degli obblighi sociali, dall’altro lato è altrettanto vero che, ai nostri giorni,
possono contemplarsi diverse categorie di azioni, addirittura la categoria
dell’azione unica7, e comunque in ogni caso quella composta da azioni
cc.dd. ordinarie8. Ne consegue che alla diversificazione ormai conclamata
5 Il riferimento è qui, fra i tanti, al recente d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 27, in materia di deleghe di voto, in attuazione della direttiva 2007/36/CE.
6 C. ANGELICI, Le azioni, in AA.VV., Il Codice civile commentato, P. Schlesinger (diretto da), Milano, 1992, 62 ss.
7 Cfr. P. SPADA, Dalla nozione al tipo della società per azioni, in Riv. dir. civ., 1985, I, 113 ss.; B. VISENTINI, Azioni di società, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 983; G. RIVOLTA, La società a responsabilità limitata, Milano, 1982, 163.
8 Quest’ultima categoria, come opina taluno (C. ANGELICI, Le azioni, cit., 67; M. BIONE, Le azioni, in AA.VV., Trattato delle Società per Azioni, Colombo-Portale (diretto da)
12
delle categorie di azioni9 corrisponde la diversificazione della posizione dei
soci nell’assetto societario e, dunque, dei rispettivi diritti ed obblighi sociali.
2. Segue.
Si pone a questo punto l’interrogativo, ai fini della ricerca, se e quanto sia
ancora rimasto nel nostro ordinamento del principio richiamato della
‘democrazia azionaria’.
Senza dubbio non può essere trascurata l’esigenza di efficienza che ha
ispirato l’elaborazione di detto principio, ma non è neppure da sottacere che
autorevole dottrina ha affermato quanto sia “poco plausibile”10 lo
svolgimento ancora oggi di un discorso riguardo al principio di ‘democrazia
azionaria’. L’avviso è estremamente importante e merita, pertanto, qualche
ulteriore considerazione.
Se, infatti, si assume che l’accezione da dare al concetto di democrazia è
quella corrente, per la quale il potere gestionale è demandato alla
Torino, 1991, 17 ss.; A. MIGNOLI, Le assemblee speciali, Milano, 1960, 86; A. BARTALENA, Le azioni con prestazioni accessorie come “categoria” di azioni, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, 199 ss., il quale ultimo individua nelle “azioni convenzionalmente assunte e qualificate come ordinarie”, il riferimento per determinare se il trattamento sia poziore o deteriore; C. F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, Milano, 2004, 74 s.) deve essere sempre e comunque presente. 9 Da tale scelta legislativa non risulta certo riguardato il principio di uguaglianza in virtù del quale è precluso che diritti speciali e diversi possano essere riconosciuti al singolo azionista, non già, invece, la creazione, appunto, di categorie di azioni con diritti diversi, essendo, quello della categoria, un criterio comunque generale ed astratto.
10 Per tutti v. C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali, cit., 143 s.
13
maggioranza – così che, ad esempio, il funzionamento dell’organo
assembleare deve essere informato al (e regolato sulla scorta del) principio
maggioritario11 – il principio in parola mal si coniuga con l’esigenza che si è
appalesata negli ultimi anni e che ha trovato tutela sempre più pregnante nel
diritto positivo, oltre che nelle pronunce giurisprudenziali, si vuol dire con
l’esigenza di tutela delle minoranze12. Come a dire che alle dette minoranze
si è voluta apprestare altra e più incisiva tutela che prescinde dall’effettiva
partecipazione dei soci all’organizzazione sociale, o meglio dalla entità della
stessa, rispetto a quella detenuta dalla maggioranza.
Ancora, contrasterebbe con il detto principio di democrazia azionaria la
soluzione adottata dal nostro legislatore nell’ultima riforma, per cui il vizio
inficia la validità delle delibere assembleari esclusivamente nel caso in cui
riguardi la volontà del socio il cui voto (in ragione proprio dell’effettiva
partecipazione detenuta) risulti in concreto determinante per la formazione
della maggioranza (cd. prova di resistenza), secondo quanto disposto dalle
norme di cui agli artt. 2373 e 2377 cod. civ.
11 Seppure secondo C. ANGELICI, La riforma della società di capitali, cit., 144, sarebbe comunque più corretto definirlo “plutocratico”, considerati i modi di computo della maggioranza. 12 Questa considerazione ha spinto G. ROSSI, Il mercato d’azzardo, Milano, 2008, passim, ad affermare che la democrazia azionaria è stata sequestrata dalle minoranze che usando impropriamente i patti parasociali e le scatole cinesi hanno creato un potere senza responsabilità, annullato la funzione delle assemblee e dato vita ad una prassi autocratica che calpesta sistematicamente i diritti dei piccoli azionisti.
Del resto all’esigenza appena evidenziata si è ispirata, da ultimo, la recente riforma delle procedure concorsuali laddove ha distinto la categoria dei creditori per classi: si trattava, ancor qui, di assicurare tutela ai creditori cc.dd. deboli.
14
Di più. Contrasta con il richiamato principio anche la possibilità
riconosciuta alle minoranze societarie di nominare, nelle società quotate13,
uno dei componenti dell’organo di controllo, con le modalità fissate dalla
Consob con regolamento (art. 148, co. 2, T.U.F.)14.
Non può essere, però, sottaciuta la encomiabile ed ancora attuale volontà del
legislatore di ri-affermare l’applicabilità del principio, quasi sia, oltre per dir
così “eticamente” più corretto, quello sicuramente più efficiente. Non
sembra consono, infatti, che i soci che decidono di investire nella società di
capitali maggiori, vengano a trovarsi in posizioni subordinate (o comunque
deminute) rispetto ai soci che nella società abbiano deciso di investire
risorse meno cospicue.
La direttiva europea sui diritti degli azionisti 2007/36/CE15, prima, e il
legislatore italiano, successivamente16, hanno curato di riaffermare, come si
è accennato, il principio della democrazia azionaria laddove hanno inteso
assicurare la partecipazione degli azionisti diffusi, mediante la facilitazione
13 Per vero anche nelle società privatizzate, seppur non quotate, è oggi prevista la nomina di un rappresentante delle minoranze nel collegio sindacale, attraverso il sistema del voto di lista.
14 La riforma del 2005 ha attribuito alla Consob, e non anche allo statuto, la determinazione delle modalità di nomina del membro del collegio sindacale di minoranza, in precedenza non prevista: per la situazione pregressa v. S. AMBROSINI, , in Riv. soc., 1999, 1902; E. FAZZUTTI, La nomina dei sindaci nelle società ‘quotate’ (e non), in Giur. comm., 2000, I, 25 ss.
15 Il riferimento è alla direttiva comunitaria richiamata anche infra nt. 15.
16 Con il d. lgs. n. 27/2010.
15
del voto per delega17, e così riducendo di gran lunga il numero dei problemi
che hanno da sempre caratterizzato le società quotate italiane.
Le superiori considerazioni riescono, forse, di conforto per le conclusioni
che si vogliono trarre.
Invero, se, da un lato, come è stato pure correttamente ed autorevolmente
posto in evidenza18, il principio della democrazia azionaria sembra in taluni
ambiti cedere il posto ad altre e diverse esigenze (quali quella di tutela delle
minoranze da possibili abusi da parte della maggioranza, ovvero l’altra di
stabilità del voto espresso in assemblea), dall’altro lato, esso trova tuttora
applicazione alla luce dei recenti interventi normativi, come principio che
dovrebbe informare ancora e sempre, beninteso nei limiti e nei termini di cui
si è detto, il regolare funzionamento degli organismi societari.
3. L’attribuzione del voto secondo il principio one vote/one share.
E’ innegabile che il più importante diritto di cui dispongano i soci sia quello
di esprimere il proprio voto in relazione alle questioni più rilevanti attinenti
all’organizzazione e alla gestione della società. Di conseguenza, assume
17 Le disposizioni della direttiva comunitaria si possono applicare anche alle cooperative quotate e, dunque, alle banche popolari, che soffrono oggi di un deficit particolarmente grave di democrazia azionaria.
18 Cfr. C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali, cit., 143; G. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. Diritto delle società, Torino, 2006, 208 ss.; R. WEIGMANN, voce <azioni di società>, cit., 130 s.
16
fondamentale importanza l’allocazione , i.e. il criterio di allocazione, dei
diritti di voto in capo ai soci.
Il mezzo diffusamente impiegato è la incidenza sulla struttura di voto della
società, meglio, sul criterio secondo cui i voti sono attribuiti alle azioni,
attraverso il noto principio one vote-one share. Espressione, questa,
generalmente utilizzata, nell’ambito della disciplina delle società per azioni,
per indicare il principio per cui ogni azione attribuisce un diritto di voto in
assemblea e dunque il principio della cd. proporzionalità, ovvero del
rapporto proporzionale fra le azioni detenute da un socio e il potere da
questi effettivamente esercitabile in sede assembleare.
Come noto, infatti, con la suddivisione in parti del capitale, con astrazione
dalle persone dei soci, i poteri e i diritti (siano essi patrimoniali ovvero
amministrativi, come è quello di voto) del socio nella società si
commisurano al numero delle azioni possedute. Ancora, dalle caratteristiche
delle azioni dipende essenzialmente la posizione del socio, anche e
soprattutto con riguardo al suo diritto di voto e al conseguente potere in
assemblea. Dunque, il socio che possiede più azioni ha una somma di tanti
complessi unitari di poteri e di diritti19. Al punto che giustamente è stato
19 L’affermazione non ha però carattere assoluto, soffrendo, come noto, di taluni temperamenti, quale è quello, ad esempio previsto, con particolare riferimento all’ambito della presente indagine, dall’art. 2351, co. 2 e 3 , cod. civ., i quali prevedono i limiti di voto o i suoi scaglionamenti in ragione proprio della quantità del numero di azioni possedute da uno stesso soggetto.
17
ritenuto20 che, con l’acquisto di altre azioni, l’azionista non viene ad
occupare una nuova posizione, ma accresce la posizione già acquisita21.
D’altro canto, anche quando più azioni siano in possesso di uno stesso
azionista, le vicende che riguardano una singola azione non toccheranno di
certo le altre22.
Quella di one vote-one share, lungi dall’essere per dir così scontata, è una
regola contrastata. Sono invero frequenti le ipotesi di disproportional
ownership, cioè i casi in cui una società pone in essere meccanismi che
permettono ad alcuni soci di controllare una percentuale di voti in misura
non proporzionale, bensì nettamente superiore, rispetto alla percentuale dei
diritti di natura patrimoniale-finanziaria di cui sono titolari. Molto frequente
è, ad esempio, l’ipotesi di separazione fra cash flow rights e voting rights,
per la quale un singolo azionista (o un nucleo ristretto di azionisti) pur
detenendo una percentuale minoritaria dei cash flow rights, risulta tuttavia
20 Il riferimento è ancora a C. ANGELICI, Le azioni, cit., 62.
21 E’ questo il principio cd. dell’autonomia delle azioni: in argomento, v., fra gli altri, G. FERRI, Le società, in Trattato di diritto civile, Vassalli (diretto da), Torino, 1971, 445 s.; P. G. JAEGER, Il voto <divergente> nelle società per azioni, Milano, 1976, 54 ss.; C. ANGELICI, La circolazione della partecipazione azionaria, in Trattato delle società per azioni, Colombo-Portale (diretto da), Torino, II, 1991, 104 ss.; M. BIONE, Le azioni, in Trattato delle società per azioni, Colombo-Portale (diretto da), Torino, 1991, II, 37 ss. Per una valutazione parzialmente difforme, critica del principio di autonomia, v. G. C. RIVOLTA, La partecipazione sociale, Milano, 1964, 301 ss.; P. SPADA-M. SCIUTO, Il tipo della società per azioni, in Trattato delle società per azioni, Colombo-Portale (diretto da), Torino, II, 1991, 29 ss.
22 Discorso diverso è da farsi, invece, per le vicende che attengono all’operazione di emissione dei titoli azionari, vicende che si ripercuotono su tutti quei titoli azionari (di massa) riconducibili alla medesima emissione.
18
in grado di esercitare nelle assemblee degli azionisti la maggioranza dei
diritti di voto, assicurandosi per questa via anche i board rights e spesso
anche i management rights.
L’applicabilità del principio one vote–one share, sotto analisi, lungi dal dar
luogo ad una questione ormai superata e dunque di poco conto, continua ad
essere invece al centro dell’attenzione e giunge addirittura a generare e a
rinverdire querelles, sia a livello comunitario23 che a livello internazionale24.
Il dibattito sul principio one vote-one share affonda, a ben guardare, le
proprie radici nel primo quarto del XX secolo25, allorquando le azioni,
ordinarie e privilegiate, che fino ad allora avevano tutte i medesimi diritti di
voto, iniziarono ad essere emesse26 con differenziazioni sia in punto di fatto
sia in punto di diritto di voto27.
23 V. in tal senso G. FERRARINI, <Un’azione-un voto>: un principio europeo?, in Riv. soc., 2006, passim; M. L. VITALI, Le deviazioni dal principio di proporzionalità nell’esercizio del diritto di voto: un recente studio della Commissione europea, in Riv. soc., 2007, 904 s.; A. KHACHATURYAN, The One-Share-One-Vote Controversy in the EU, ECMI Paper No. 1/August 2006, passim.
24 Cfr., per tutti, S. GROSSMAN – O. HART, One vote – One share and the Market for Corporate Control, in Journal of Financial Economics, 20, 1988, passim.
25 Così L. LOSS – J. SELIGMAN, Securities Regulation, New York 3rd ed., 2003, 1833; G. FERRARINI, <Un’azione-un voto>: un principio europeo?, cit., 40.
26 E’ stato nel 1925 che alcune delle principali corporations negli Stati Uniti iniziarono ad emettere azioni ordinarie senza diritto di voto (v. sul punto G. FERRARINI, <Un’azione-un voto>, cit., 40.
27 E’ stato pure osservato (A. BERLE – G. MEANS, The modern Corporation and Private Property, New Brunswick rev. ed., 1968, 69) che in questa maniera si è cercato di costruire, con metodi per dir così legali, quali fra tutti le categoria di azioni privilegiate senza diritto di voto e il sindacato azionario di voto, minoranze di controllo.
19
Il principio in discorso esprimeva elevati standards di democrazia
societaria, come riflessi nelle regole di responsabilità sociale, integrità ed
affidabilità nei confronti degli azionisti. Senza contare che, come pure
precisato da autorevoli economisti28, poiché il principale elemento idoneo
ad influenzare la facilità della acquisizione delle partecipazioni sociali è
proprio il criterio con il quale i voti sono attribuiti alle azioni, l’applicazione
del principio one vote – one share si rivela essere all’uopo sicuramente il
migliore.
La superiore considerazione, per quanto riguarda l’esperienza statunitense,
che sin dagli anni ’20 del secolo scorso ha condotto l’allora Presidente
Roosvelt a contrastare ogni forma di concentrazione del potere economico,
ha portato anche il NYSE29 a richiederne l’applicazione quale requisito di
ammissione alla quotazione sui mercati. Tanto da far presumere che sia
stato proprio questo approccio a contribuire alla costituzione – sempre negli
Stati Uniti – di società con azionariato diffuso.
In Europa, come in Italia del resto, il suesposto principio ha focalizzato con
qualche ritardo l’interesse degli esperti, in concomitanza con lo sviluppo del
mercato dei capitali. In Italia, come in Germania, ma non in Francia e in
28 Cfr. S. GROSSMAN – O. HART, One vote – One share and the Market for Corporate Control, cit., 175.
29 Il quale pure, in principio lo aveva introdotto come self-regulatory rule, salvo poi diventare principio imposto a livello legislativo a seguito della promulgazione dei Securities Exchange Acts del 1933 e del 1934.
20
Svezia, sono state espressamente proibite le azioni a voto multiplo30, ma
persistono tuttora i limiti al diritto di voto nelle società quotate e i limiti di
emissione di azioni del tutto sprovviste del diritto di voto.
4. Segue. Efficienza.
Come rilevato 31, “proportionality between ultimate economic risk and
control means that share capital which has an unlimited rights to partecipate
in the profits of the company or in the residue on liquidation, and only such
share capital, should normally carry control rights, in proportion to the risk
carried”32.
Le ragioni che vengono correntemente addotte a favore dell’applicazione
del principio in discorso sono sostanzialmente due: da un lato, si afferma
che i diritti di controllo dovrebbero spettare agli shareholders in quanto
residual claimants. Si tratta di soggetti che hanno assunto il rischio di
investimento e ai quali spetta ciò che residua a seguito del soddisfacimento
degli altri soggetti portatori di interessi nei confronti dell’impresa, cioè di
30 Tale limite espresso è rimasto in Italia anche dopo la riforma del 2003 ed il principio che ne è alla base, quello cioè di favorire la contendibilità del controllo, sembra precludere altresì la creazione di azioni speciali con potere di veto sulle deliberazioni assembleari.
31 Rapporto Winter, Gruppo di esperti di diritto societario Report of the High Level Group of Company Law Experts on Issues Related to Takeover Bids, Bruxelles, 10 gennaio 2010.
32 ‘la proporzione fra il rischio economico e il controllo richiede che le azioni che hanno diritti illimitati di partecipare agli utili o a quanto rimane dopo la liquidazione, e solo queste azioni, possono portare diritti di controllo, in proporzione al rischio sopportato’.
21
soggetti che nutrono il maggior interesse alla massimizzazione del valore
stesso della società33. Dall’altro lato, è stato sostenuto34 che la modalità di
attribuzione dei diritti di voto dovrebbe essere finalizzata ad incentivare gli
investimenti: sarebbe questa la buona ragione per la quale il peso
dell’opinione espressa dal singolo azionista deve essere proporzionale al
capitale che egli ha investito nella società.
Come accennato, sembra prevalere nella dottrina d’oltreoceano35 e in quella
italiana36 la convinzione che, a determinate condizioni, la regola in discorso
debba considerarsi ottimale.
33 F.H. EASTERBROOK – D.R. FISCHEL, Voting in corporate law, in Journal of Law and Economics, 1983, 395-428 osservano infatti che “as the residual claimants, the shareholders are the group with the appropriate incentives (collective choise problems to one side) to make discretionary decisions”.
34 Cfr. M. BURKART – S. LEE, One Share – One Vote: the Theory, in Review of Finance, 2008, 37, che non ha mancato di manifestare le proprie perplessità in merito al parallelismo, cui pure prima si accennava, fra il principio democratico e la regola “one vote – one share”, ponendo l’accento sul fatto che, mentre in virtù di tale principio il singolo azionista dispone di un numero di voti proporzionale al numero di azioni dallo stesso possedute, ogni cittadino, può, viceversa esprimere solamente un voto per esempio nelle elezioni politiche, non avendo diritto ad un numero di voti proporzionale, ad esempio, all’importo versato nelle casse dell’Erario a titolo di imposte.
35 Cfr., ex multis, B. JOHNSON – R. MAGEE – N. NAGARAJAN – N. NEWMAN, An analysis of the stock price reaction to sudden executive deaths, in Journal of Accounting and Economics, 1985, 167; L. BEBCHUK – R. KRAAKMAN – G. TRIANTIS, Stock pyramids, cross-ownerships, and the dualclass equity: The creation and agency costs of separating control from cash flow rights, in R. K. MORCK (ed.), Concentrated Corporate Ownership, NBER Conference Report Series, Chiacago and London, 2000, 287; D. YERMACK, Flights of fancy: Corporate jets, CEO perquisites, and inferior shareholder returns, in Journal of Financial Economics, 2006, 219. Secondo altri autori l’affermazione andrebbe mitigate nel senso che un’azione-un voto sarebbe la struttura azionaria ottimale solo in determinate circostanze. In questo senso v. S. GROSSMAN – O. HART, One Share – One Vote and the Market for Corporate Control, cit., 175.
22
Dal canto loro, autorevoli economisti37 sono del parere che, ricorrendo
determinate circostanze, la struttura azionaria migliore è quella che prevede
una sola classe di azioni38. L’argomento decisivo su cui si fa leva è che,
proprio nella prospettiva di una possibile riallocazione del controllo di una
società, se solo una delle due “squadre” contendenti ha un apprezzabile
beneficio privato, la regola one vote-one share debba ritenersi ottimale.
Nell’ipotesi contraria, quella cioè per vero meno ricorrente in cui entrambe
le squadre avessero un significativo beneficio privato, il valore della società
potrebbe essere massimizzato da qualsivoglia deviazione dal detto principio.
Dalle superiori considerazioni discende che, alle condizioni di cui si è detto,
è da ritenersi preferibile la struttura societaria che preveda l’attribuzione del
diritto di voto alle azioni emesse secondo il principio in discorso.
Non di meno, laddove i benefici privati siano rilevanti, anche in ragione
della debole protezione dell’investitore, le deroghe al detto principio
saranno certamente più fondate e dunque più frequenti.
36 G. FERRARINI, <Un’azione-un voto>: un pricipio europeo?, cit., 30, con riguardo particolare alla dovizia di riferimenti bibliografici dall’A. richiamati in nt. 30.
37 Il riferimento è qui al più volte citato S. GROSSMAN – O. HART, One Share – One Vote and the Market for Corporate Control, cit., 175. Ma v. anche M. HARRIS – A. RAVIV, Corporate governante: Voting rights and majority rules, in Journal of Financial Economics 20, 1988, 211.
38 L’esempio pratico analizzato nel lavoro richiamato di Grossman e Hart è riportato in G. FERRARINI, <Un’azione-un voto>: un principio europeo?, loc. ult. cit.
23
5. Le deviazioni del principio.
Le deviazioni dalla regola one share-one vote hanno assunto nel tempo, e a
seconda dell’ordinamento in cui esse venivano elaborate, forme
estremamente differenziate.
Per vero risalenti meccanismi, per dir così, di disproportional ownership
erano stati già elaborati dal diritto romano39 ed ancora dal diritto
medioevale40. In tali ordinamenti i detti meccanismi erano stati costruiti al
fine di proteggere talora i soci medio-piccoli e di favorire talaltra il controllo
da parte dei grandi azionisti.
Più di recente, negli Stati Uniti, come accennato, se all’inizio del XX secolo
era possibile che le imprese si orientassero nel senso della concentrazione
del potere nelle mani di pochi, con l’attribuzione ai soci di minoranza di
azioni sprovviste dei diritti di voto, nel 1926 è stata vietata41 la quotazione
sui mercati regolamentati a tutte quelle società che emettevano non-voting
stocks.
39 I publicani, invero, concepivano meccanismi che attribuivano diritti differenziati a favore degli appartenenti ai ceti più ricchi VEDERE DIGESTO.
40 VEDERE FONTI.
41 Per vero dal 1926, anno in cui il NYSE per la prima volta si rifiutò di approvare l’emissione di azioni ordinarie sprovviste del diritto di voto, ebbe solo inizio la detta strategia che voleva portare ad un’espulsione dal mercato di tali tipi di azioni, la quale venne successivamente rafforzata.
24
Si potrebbe, allora, ritenere che da tale periodo comincia ad imporsi, sia
negli Usa42 che in Europa, il parziale43 divieto di emettere azioni con diritti
di voto limitati ovvero del tutto sprovviste di tali diritti. Almeno fino alla
seconda metà del secolo scorso quando sono ritornati in auge i meccanismi
di dissociazione fra il diritto di voto e i diritti di controllo, quale reazione al
fenomeno dell’aumento delle offerte pubbliche d’acquisto. Così, nel 1986, il
NYSE ha modificato la propria disciplina regolamentare, (de)qualificando il
rispetto del principio one vote-one share da parte delle società non più come
requisito necessario per la quotazione e adeguandosi in questo modo alle
disposizioni dell’Amex e del Nasdaq, che ammettevano già da tempo la
quotazione di società con differenti categorie di azioni.
Nello stesso periodo, anche alcuni Stati membri della Comunità europea
hanno provveduto, seppur con meccanismi differenti fra loro, a modificare
le proprie norme di diritto societario e ad ammettere e a favorire deviazioni
dalla regola one vote-one share.
42 Si deve pur tuttavia dare atto che durante quegli anni la detta strategia non venne seguita dagli altri due importanti mercati statunitensi quali il Nasdaq e Amex.
43 Invero negli USA si è assistito al fenomeno per cui nel 1926 la regola one share-one vote è stata introdotta dal New York Stock Exchange come self-regulatory rule, salvo poi diventare principio imposto a livello legislativo a seguito della promulgazione dei Security Exchange Acts del 1933 e del 1934. L’American Stock Exchange e il Nasdaq hanno, invece, sempre ammesso alla quotazione le società che avessero emesso categorie di azioni differenziate.
25
Da rilevare, tuttavia, che l’indirizzo derogatorio è stato recentemente
accantonato, per dar luogo ad una regolamentazione via via più rigida e ad
una diminuzione delle ipotesi di disproportional ownership.
6. Segue. Criteri diversi di attribuzione.
Le deviazioni dal principio one vote-one share possono informarsi a criteri
diversi ed essere attuate attraverso meccanismi più o meno espliciti.
Innanzitutto, è possibile, nella pratica, che lo statuto della società, seppure le
azioni abbiano gli stessi diritti di voto, contenga disposizioni idonee a
minare la regola un’azione-un voto, che prevedano, cioè, limiti al numero di
azioni di cui può essere titolare un singolo soggetto, ovvero limiti al numero
di voti che un singolo socio, seppure possessore di più titoli azionari, può in
concreto esprimere.
Le società, inoltre, possono ricorrere all’emissione di categorie di azioni
privilegiate che attribuiscano ai possessori diritti poziori riguardo a
determinate decisioni attinenti alla vita ovvero alla gestione della società.
Esse, a titolo esemplificativo e certamente non esaustivo, potrebbero
attribuire ai possessori di dette categorie di azioni il diritto alla nomina di
uno o più membri del consiglio di amministrazione della stessa società
ovvero il diritto di porre il veto per una eventuale operazione di fusione
societaria.
26
Le società potrebbero, inoltre, ricorrere alle cc. dd. piramidi societarie, cioè
allo strumento mediante il quale l’azionista di comando di una società
accresce il proprio potere, a parità di mezzi investiti44.
Ancora. Le società potrebbero ricorrere all’espediente, assai impiegato nella
pratica, dei patti parasociali45 ovvero ricorrere a sistemi di proprietà
azionaria cd. incrociata. Tale ultimo sistema, come noto, si realizza qualora
un gruppo di società facente capo ad un unico soggetto controllante,
mantiene dei legami azionari reciproci46.
Anche recenti indagini47, condotte in diversi paesi della Comunità europea e
altrove, hanno da ultimo posto in evidenza che i meccanismi utilizzati per
44 Nella pratica il gruppo piramidale è composto da una serie di imprese, siano esse quotate o non, disposte a cascata, sulla base di un meccanismo in virtù del quale il socio di maggioranza di una società A, che a sua volta possiede una quota maggioritaria della società b, che a sua volta possiede anch’essa una quota di maggioranza della società C (e così via, a cascata per l’appunto). All’evidenza il socio al vertice della società A detiene la maggioranza assoluta dei diritti di voto in tutte le società che si collocano lungo la catena di controllo.
45 Cfr., sul punto, R. COSTI, I patti parasociali, in La riforma delle società quotate, Atti del convegno di studio a Santa Margherita Ligure, Milano, 1998, 113; M. PINNARO’, I patti parasociali, in Intermediari finanziari, mercati e società quotate, Patroni Griffi-Sandulli-Santoro (a cura di), Torino, 1999, 833; A. TUCCI, Patti parasociali e governance nel mercato finanziario, Bari, 2005, 202; A. PICCIAU, Sub art. 123, in AA.VV., La disciplina delle società quotate nel T.U.F., Marchetti-Bianchi (diretto da), Milano, 1999, 925.
46 L’esempio di partecipazione incrociata che si può portare è il caso in cui l’azionista che controlla la società A, che a sua volta controlla il 10% della società B ed il 100% della società C, la quale ultima a sua volta controlla il 15% di B. Sta di fatto, quindi, che A possiede il 25% dei voti della società B, in parte direttamente, in parte attraverso la società C.
47 Ci si vuol riferire, in particolare, allo studio commissionato dalla Commissione Europea all’Institutional Investor Services (ISS), che contiene, fra l’altro, l’analisi delle diverse
27
tenere separata la proprietà azionaria dal controllo, i cc. dd. CEMs (Control-
Enhancing Mechanisms), sono estremamente variegati e possono assumere
le forme più varie48.
Nel nostro ordinamento diversi sono i tipi di deviazione dal principio
un’azione-un voto.
Per cominciare, sono ritenute legittime le strutture di gruppo49, i patti
parasociali50 e le partecipazioni incrociate51. Ed è praticata, altresì, la
imposizione di tetti all’esercizio del diritto di voto52.
regole che disciplinano i CEMs nella giurisdizione di ogni singolo Stato considerato ed anche le modalità con cui i detti meccanismi vengono percepiti dagli investitori istituzionali. Con particolare riguardo all’esperienza dei Paesi dell’Europa Occidentale v. anche M. BENNEDSEN – K. NIELSEN, The principle of proportional ownership, investor protection and firm value in Western Europe, in ECGI Finance Workin Paper No. 134/2006.
48 Sul punto si rinvia all’approfondita analisi di M. L. VITALI, Le deviazioni dal principio di proporzionalità nell’esercizio del diritto di voto: un recente studio della Commissione europea, in Riv. soc., 2007, 904 ss. e soprattutto 905.
49 V. in argomento M. BIANCHI – M. BIANCO – L. ENRIQUES, Pyramidal Groups and the Separation Between Ownership and Control in Italy, in F. BARCA and M. BECHT (a cura di), The control of Corporate Europe, Oxford, 2001, passim.
50 Così, fra i tanti, R. D’AMBROSIO, Sub art. 102-112, in AA.VV., Il testo unico della intermediazione finanziaria. Commentario al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, Rabitti Bedogni (a cura di), Milano, 1998, 599 ss., in part. 601. 51 V. ancora M. BIANCHI – M. BIANCO – L. ENRIQUES, Pyramidal Groups and the Separation Between Ownership and Control in Italy, cit. Che il ricorso alle partecipazioni incrociate sia lo strumento usato diffusamente al fine di separare la proprietà dal controllo è confermato anche da S. CLAESSENS – S. DJANKOV – L. LANG, The separation of ownership and control in East Asian corporations, in Journal of Financial Economics 58, 2000, 81-112, dall’analisi dei quali è emerso che nei Paesi dell’Estremo Oriente il fenomeno delle classi di azioni aventi contenuto differenziato è quasi del tutto assente, facendosi ricorso appunto alle partecipazioni azionarie incrociate e ai gruppi piramidali, strumenti, questi ultimi, ampiamente utilizzati anche nell’ambito delle economie emergenti. 52 La facoltà di prevedere nello statuto che, in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto, il diritto di voto possa essere limitato in una misura massima o, con
28
Da precisare, però, che è ‘virtualmente’ assente la pratica di emettere azioni
con diritto di voto differenziati53.
7. Spunti critici.
In definitiva, il comune denominatore dei richiamati istituti, predisposti
dall’ordinamento positivo ovvero impiegati nella prassi e dall’ordinamento
tollerati, è costituito dall’effetto che essi producono: essi comportano tutti,
seppure sotto diversi aspetti, una deroga al principio di proporzionalità.
Insomma, consentono all’azionista di maggioranza di limitare il proprio
investimento nell’equity della società, di mantenerne il controllo e di fruire
per intero dei benefici del controllo. Benefici, questi ultimi, di carattere non
esclusivamente e non necessariamente economico, definiti privati perché
non sono condivisi fra tutti gli azionisti.
Detti benefici consistono, per un verso, nella possibilità che l’azionista di
maggioranza ponga in essere forme di arricchimento speculativo, quando
non di vera e propria ‘espropriazione’ delle risorse della società, in
riferimento allo stesso diritto, possano invece disporsi scaglionamenti, è riservata dall’art. 2351 alle sole società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
53 Non possono trascurarsi, invero, le divergenze riscontrabili nei vari Stati membri in relazione ai regimi diversificati in materia di azioni a voto multiplo. Numerosi ordinamenti europei ammettono la presenza di tali azioni, quali, ad. Esempio, la Svezia, la Danimarca, l’Olanda, l’Irlanda, l’Inghilterra, la Finlandia e l’Ungheria. In Francia è prevista l’emissione delle cc.dd. azioni a vote double.
29
pregiudizio degli interessi della minoranza54 e degli altri soggetti coinvolti
dalle vicende della società, quali sono, fra tutti, i creditori e, nel caso di
società quotate, l’intero mercato. Per altro verso, possono essere costituiti da
determinate ricadute, non sempre e non necessariamente di natura
patrimoniale, sul piano della politica o del potere, e comunque strettamente
legate al controllo della società.
E’ del tutto evidente, dunque, che tutti i meccanismi che recano deviazione
dal criterio di attribuzione del diritto di voto alle azioni secondo il principio
un’azione-un voto, e che integrano ed operano una separazione fra la
proprietà ed il controllo, sono per dir così geneticamente destinati ad
incidere sugli interessi di molteplici soggetti, coinvolti o toccati a vario
titolo dalla gestione della società.
Il rapporto corrente fra proprietà e controllo all’interno di una determinata
società, soprattutto se quotata nei mercati regolamentati, rileva, in primo
luogo, in ordine alle determinazioni di una società, e quindi al
funzionamento di questa. I diversi criteri, secondo i quali possono essere
‘attribuiti’ proprietà e controllo, sono indice della misura in cui gli azionisti
54 Argomento, questo della tutela della minoranza, sul quale si tornerà nel capitolo successivo. E’ qui sufficiente aggiungere che, come è stato pure affermato in dottrina (v. O. HART, Firms, Contracts and Financial Structure Oxford, 1995, 201; G. FERRARINI, <Un’azione-un voto>: un principio europeo?, cit., 32), il livello di protezione delle minoranze, che è ovviamente diverso da Paese a Paese, è un valore idoneo ad incidere sulla misura e la distribuzione dei detti benefici privati del controllo. Alla luce delle precedenti considerazioni, si potrebbe concludere che negli ordinamenti nei quali i benefici in discorso sono rilevanti per la debole protezione che viene apprestata alle minoranze e all’investitore, in genere, le deviazioni dalla struttura un’azione-un voto sono sicuramente più frequenti.
30
possono partecipare attivamente alla adozione delle decisioni relative alla
gestione della società nonché del potere di contestazione (ad es. sull’operato
dei managers, che i detti azionisti effettivamente hanno55). In altre parole, la
struttura azionaria, lungi dal rappresentare un problema meramente
teorico56, ha pregnanti risvolti sul piano schiettamente pratico, poiché essa
ha, o può avere, un rilevante impatto sul funzionamento della società, sulla
creazione di valore e sul comportamento degli investitori. Ed invero, nelle
strategie di acquisizione riveste particolare importanza la conoscenza dei
criteri di adozione dei meccanismi in grado di alterare il rapporto di
proporzionalità fra proprietà e controllo, data l’evidente ricaduta sulla
decisione di acquistare o meno le azioni della società.
In secondo luogo, il detto rapporto fra proprietà e controllo rileva anche
sotto il diverso profilo della tutela degli investitori e della opportuna
trasparenza e correttezza dei mercati regolamentati57.
55 Così anche A. RICCARDI, Il principio one share–one vote, Atti del convegno del seminario interdisciplinare su etica, economia, diritto, Genova, 9 gennaio 2009, 11.
56 Ancora, per tutti, G. FERRARINI, <Un’azione-un voto>: un principio europeo?, cit., passim; ma v. anche R. MAGLIANO, La regola di neutralizzazione e le deviazioni dal principio di proporzionalità tra rischio e potere: ancora dubbi sulla compatibilità comunitaria della legislazione italiana sui poteri speciali, in Dir. comm. internaz., 2010, 1, 61 ss.; A. RICCARDI, Il principio one share–one vote, cit.
57 Cfr. U. TOMBARI, Le categorie speciali di azioni nella società quotata, in Quaderni Cesifin, La società quotata dalla riforma del diritto societario alla legge sul risparmio, Tombari (a cura di), Torino, 2008, 77, il quale sottolinea, peraltro, che la direttiva OPA non imporrebbe affatto il principio un’azione–un voto, principio che se affermato implicherebbe una serie di rilevanti limiti all’emissione di azioni speciali nelle società quotate.
31
Ad avviso di altri58, invece, le strutture azionarie dualistiche – quelle cioè
che prevedono la presenza obbligatoria nella partecipazioni azionarie della
categoria delle azioni senza voto ovvero della categoria delle azioni con
voto plurimo – e altri simili meccanismi di deviazione dal principio
un’azione-un voto, quali sono le piramidi societarie59 e le partecipazioni
incrociate, comportano tutti l’assenza di strumenti idonei a limitare i cc. dd.
agency costs 60, soprattutto con riferimento alle società che non hanno una
minoranza di controllo. Invero, è stato osservato61 che, in presenza di una
minoranza di controllo, emergono due fattori, vale a dire la reputazione
degli azionisti di maggioranza che volessero tornare sul mercato azionario e
la tutela giuridica degli altri azionisti, idonei a limitare i richiamati costi
d’agenzia. E’ questa, certamente, un’altra e diversa ragione per cui le
58 Il riferimento è qui a L. BEBCHUK – R. KRAAKMAN – G. TRIANTIS, Stock Pyramids, Cross-Ownership and dual Class Equity: The Mechanism and Agency Cost of Separating Control From Cash-Flow Rights, cit., 445.
59 Cfr. P. MONTALENTI, I gruppi piramidali tra libertà d’iniziativa economica e asimmetria del mercato, in Riv. soc., 2008, 326.
60 Per un’analisi più generale di quelli che la moderna microeconomia definisce gli “agency problems”, v. H. HANSMANN – R. KRAAKMAN, Agency Problems and Legal Strategies, in AA.VV., The Anatomy of Corporate Law, Oxford – New York, 2004, 21 ss.; F. H. EASTERBROOK – D. R. FISCHEL, The economic structure of corporate law, Harvard University Press, 1991,.
61 Cfr. ancora L. BEBCHUK – R. KRAAKMAN – G. TRIANTIS, Stock Pyramids, Cross-Ownership and dual Class Equity: The Mechanism and Agency Cost of Separating Control From Cash-Flow Rights, cit. 452; ripreso anche in G. FERRARINI, <Un’azione-un voto>: un pricipio europeo?, cit., 37, i quali ritengono che i costi di agenzia mostrano la tendenza ad essere più elevate nei Paesi in cui le leggi sono meno severe e sono pertanto più elevati i benefici privati.
32
deviazioni dal principio un’azione-un voto dovrebbero potere operare con
assoluta parsimonia.
E’ dunque opportuno valutare e ponderare quali siano le conseguenze, in
capo ai diversi soggetti coinvolti dalle vicende della società, che derivino
dall’utilizzo dei diversi meccanismi di disproportional ownership. Ciò
anche allo scopo di valutare se l’applicazione rigida della regola un’azione–
un voto possa ancora essere considerata ottimale, e per questo opportuna, o
possa essere ritenuta, più correttamente -almeno in determinate circostanze
e a determinate condizioni, da scrutinare quanto al nostro ordinamento in
prosieguo- addirittura preferibile rispetto a taluni meccanismi di
disproportional ownership. In tale ultima ipotesi sarà allora necessario
individuare i meccanismi che potrebbero essere a ciò predisposti.
Con l’avvertenza che l’individuazione va fatta in stretto riferimento al
contesto giuridico in cui essi sono chiamati ad operare, si vuol dire che è
necessario porre in correlazione la individuazione di detti meccanismi con le
altre regole del diritto societario, quali, fra tutte, quelle relative alla modalità
di nomina e di revoca degli amministratori e quelle che disciplinano le
riunioni assembleari e che individuano le decisioni per le quali sono richiesti
quorum qualificati. Infatti, il grado e l’intensità degli effetti della adozione
dei meccanismi che deviano dal principio in discorso variano a seconda
della articolazione della disciplina delle fattispecie.
33
8. L’esperienza statunitense.
9. Verso un diritto comune europeo.
Al fondo, l’applicazione della regola one vote-one share, idonea seppure in
talune circostanze ad assicurare risultati di gran lunga più soddisfacenti
rispetto a quelli derivanti dalla adozione dei CEMs, non può essere
considerata sempre e comunque fondatamente ottimale.
E’ dato constatare, infatti, l’esistenza di una molteplicità di strutture
azionarie che rappresentano, ciascuna in proporzione diversa, la proprietà e
il controllo. In ognuna di queste deve preferirsi di volta in volta il
meccanismo da applicare, a seconda delle caratteristiche della società e del
contesto normativo in cui la società si colloca ed opera.
La ritenuta impossibilità di rinvenire un modello di attribuzione e/o
distribuzione della proprietà e del controllo in assoluto valido ed ottimale
induce la opportunità di individuare per la società una struttura specifica e
34
peculiare62, a seconda dell’ordinamento giuridico in cui essa sia chiamata ad
operare.
Del resto, a quel che è dato intendere, sembra essere questa la linea seguita
dalla direttiva OPA 2004/25/CE, che non contiene un orientamento chiaro
ed univoco a sostegno del principio un’azione–un voto. La direttiva, al
contrario, pare autorizzare l’utilizzo di meccanismi derogatori rispetto alla
richiamata regola, anche se impone alle società quotate l’obbligo di rendere
pubbliche le eventuali deviazioni, prescrivendo loro di offrire dettagliate
informazioni quanto “alla struttura del capitale… con l’indicazione delle
varie categorie di azioni e, per ogni categoria di azioni, dei diritti e degli
obblighi connessi e la percentuale del capitale sociale che essa
rappresenta”63. La richiamata direttiva prescrive, inoltre, che devono essere
pubblicate informazioni riguardo ai possessori di titoli che conferiscano
diritti speciali di controllo (cd. golden shares) e impongano qualsiasi
restrizione al diritto di voto. Essa richiede, altresì, che siano indicate
esplicitamente le limitazioni dei diritti di voto ad una determinata
percentuale di azioni ovvero sia specificato il numero di voti o i termini per
l’esercizio del diritto di voto.
62 V. in questo senso anche M. BURKART – S. LEE, One Share – One Vote: the Teory, cit. 39.
63 Art. 10, co. 1, lett. a), l.
35
L’esito dell’apprezzamento delle differenze correnti fra i diversi tessuti
normativi europei comporta l’inapplicabilità del principio in discorso in
maniera uniforme e omogenea64.
E’ di conforto, ove ve ne fosse il bisogno, il Rapporto Winter65, che, pur
predicando il rafforzamento del principio un’azione–un voto, tuttavia si
guarda bene dall’imporre l’omogenea applicazione del principio di parità in
ordine al rapporto fra proprietà e controllo.
La piana constatazione che da più tempo nella maggior parte degli
ordinamenti non esiste una perfetta e speculare coincidenza fra proprietà e
controllo e che, quindi, la dissociazione è fenomeno del tutto ricorrente, in
una con la constatazione che non è possibile la ricerca di una soluzione che
sia in assoluto ottimale, induce a predicare la possibilità che i vari
ordinamenti della Comunità europea consentano, ciascuno per proprio
conto, alle singole società di assicurare in piena (o quasi piena) autonomia e
nell’ovvio rispetto delle norme di diritto societario proprie dello Stato in cui
esse operano, l’attribuzione della proprietà e del controllo secondo le
proprie necessità ed i propri obiettivi.
64 In questo senso anche G. FERRARINI, <Un’azione-un voto>: un principio europeo?, cit., 54 s., il quale A. peraltro rileva come l’approccio europeo sia parzialmente coerente con le raccomandazioni di policy formulate dagli economisti e come non venga fatta “alcuna distinzione riguardo alle modalità con cui tali deviazioni hanno luogo”.
65 Il richiamato Rapporto del Gruppo di alto livello di esperti di diritto societario sulle questioni riguardanti le offerte pubbliche di acquisto, Bruxelles, 10 gennaio 2002.
36
E’ dunque auspicabile che ogni singolo Stato apporti, sul piano normativo e
alla luce ed in ossequio dei principi cui esso si ispira nonché delle ragioni
economiche che di volta in volta ne informano nei vari periodi storici il
tessuto sociale, gli opportuni assestamenti e correzioni onde prevenire il
rischio di eccessi di dissociazione e di abusi di potere.
Le superiori considerazioni trovano conferma nell’art. 104, co.1-bis, T.U.F.
come modificato dal d. lgs. n. 146/2009, per il quale, sulla scorta di quanto
avveniva già negli altri Stati europei, la materia da esso disciplinata è da
attribuire alla competenza degli statuti delle singole società. Con la
conseguenza che non è più richiesta66 l’autorizzazione assembleare per la
rinascita del voto nelle azioni con diritto di voto subordinato
all’effettuazione di un’offerta67.
Alla luce della vigente normativa europea, dunque, si può ora provvedere
all’introduzione di regole che mirino ad aumentare la trasparenza anche
contabile e la responsabilità degli amministratori e che tendano alla
individuazione e al consolidamento degli strumenti più funzionali e consoni
alla protezione delle minoranze.
D’altronde, come è stato pure ritenuto, neanche il ricorso alla regola del
breakthrough può assicurare, a livello europeo, per dir così un diritto
66 Diversamente da quanto stabiliva la pregressa legislazione speciale.
67 Sul potenziale difensivo di tali azioni, sul quale peraltro si tornerà nel prosieguo della trattazione v. M. GATTI, Le azioni con voto subordinato all’effettuazione di un’opa e <l’autorizzazione di conferma>, in Giur. comm., 2004, 511.
37
uniforme o comune, posto che “non è affatto chiaro che le strutture
azionarie a due categorie costituiscano un sostanziale impedimento per
l’integrazione economica in Europa” 68.
Sarà, allora, opportuno andare alla ricerca, all’interno del nostro attuale
impianto normativo e con particolare riguardo alle società quotate nei
mercati regolamentati, delle legittime restrizioni e/o modulazioni del diritto
di voto.
68 Il riferimento è, ancora e per tutti, a G. FERRARINI, <Un’azione – un voto>: un principio europeo?, cit. 55.
38
Capitolo secondo
LA MODULAZIONE DEL DIRITTO DI VOTO NELLE SOCIETA’ QUOTATE.
SOMMARIO: 1. Diritto di voto e autonomia statutaria. – 2. Considerazioni generali sulla natura e sui limiti delle modulazioni del diritto di voto. – 3. I limiti legali – 4. segue. La record date. – 5. I limiti statutari. – 6. segue. Le azioni di risparmio. – 7. I limiti contrattuali: in particolare i patti parasociali. – 8. segue. Il contratto di riporto e i contratti derivati.
1. Diritto di voto e autonomia statutaria.
Con la nuova formulazione dell’art. 2351 cod. civ. il legislatore ha accolto
le direttive della legge di delega al governo, con la quale si richiedeva un
generico ampliamento dell’autonomia statutaria69 in materia di
organizzazione della struttura societaria delle società di capitali. La norma
richiamata, comunque, non ha inteso abbandonare il principio di
proporzionalità (attenuato) per cui ogni azione attribuisce il diritto di voto70.
69 Cfr. sul punto P. FERRO-LUZZI, La <diversa assegnazione delle azioni> (sub art. 2346, comma 4, c.c.), in AA.VV., Liber amicorum Campobasso, 2006, I, 587 s.
70 Come si è cercato di evidenziare nel capitolo precedente, e come è emerso da un recente studio commissionato dalla Comunità europea (Sherman & Sterling – Institutional
39
Restano, altresì, fermi nella nuova formulazione il divieto di emissione di
azioni a voto multiplo e il limite della metà del capitale sociale quale tetto
quantitativo per l’emissione di azioni il cui diritto di voto non sia ‘pieno’.
Ciò non di meno, non pare possa essere messa in discussione la portata
innovativa del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Soprattutto riguardo alla
modulazione del diritto amministrativo di voto71.
In particolare, è stata irrogata la disciplina delle azioni con diritto di voto
per dir così ‘compresso’, nel senso che le dette limitazioni sono state
affrancate dalla loro necessaria compensazione con privilegi di natura
patrimoniale72, contemplata dalla pregressa normativa73.
Il regime attuale è stato motivato dal legislatore, e ancor prima dalla
dottrina, sull’assunto che per questa via le società avrebbero potuto
soddisfare meglio le esigenze di attingere a nuova finanza senza diluire la
Shareholder Services – European Corporate Governace Institute, Proportionality between Ownership and Control in Eu Listed Companies: External Study Commissioned by the European Commission, May 2007), in nessuno degli ordinamenti presi in esame è emerso che si adottasse il principio di proporzionalità per dir così ‘puro’, emergendo, anzi, che l’ordinamento di ogni Paese registrava deviazioni più o meno evidenti dal detto principio.
71 Secondo M. L. VITALI, Sub art. 2351, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società, Marchetti-Bianchi (a cura di), Milano, 2008, 373, l’art. richiamato nel testo rappresenta “una delle norme di nuova introduzione in cui è più intenso il potenziamento dell’autonomia statutaria”.
72 E’ dunque scomparsa la nozione di privilegio, rimanendo superata l’originaria prospettiva del rapporto fra azione-partecipazione e privilegio, appunto.
73 Nella Relazione al codice civile ci si riferisce ai possessori di queste categoria di azioni come ad “azionisti con l’animo degli obbligazionisti”. Cfr. sul punto anche A. PADOA SCHIOPPA, Saggi di storia del diritto commerciale, Milano, 1992, 221 e 242.
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conformazione del controllo e, ancora, rispondere in maniera più
soddisfacente alla richiesta di maggiore libertà degli operatori e del mercato,
concedendo spazio alla loro creatività. In questo modo è stato riconosciuto il
potere, allo statuto, e dunque alla società, di graduare il rischio
dell’investimento da parte dei soci. All’evidenza, le azioni speciali che
vedono a vario titolo limitato o soppresso, anche se successivamente alla
loro emissione, il diritto di voto costituiscono, unitamente agli altri
strumenti finanziari, una valida alternativa per le società al ricorso al
credito74. Addirittura, la possibilità dell’autonomia privata di plasmare
ulteriormente le azioni costituisce uno degli ‘strumenti’, ora non più ad
appannaggio esclusivo delle public utilities o delle grandi imprese
industriali, particolarmente efficace di finanziamento delle società ad alto
tasso tecnologico con elevate aspettative di crescita.
74 In senso critico si v. M. DE ACUTIS, Il finanziamento dell’impresa societaria: i principali tratti caratterizzanti e gli <altri strumenti finanziari partecipativi>, in AA.VV., Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, Cian (a cura di), Padova, 2004, 260. Secondo C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali, cit., 56 s., al fondo si è posto il problema che operazioni di finanziamento a favore della società possono trovare la loro giustificazione nella posizione stessa del socio ed essere finalizzate alla realizzazione di interessi diversi da quelli tipicamente presenti in operazioni finanziarie con terzi: possono evidenziare spesso una causa societatis. L’A. ha altresì posto in evidenza che, da un punto di vista di politica legislativa, si è cercato in questo contesto di evitare che con tali ‘mezzi di finanziamento’, per dir così esterni, il socio potesse utilmente sottrarsi alla propria responsabilità e al ‘proprio tipico rischio’, ponendosi così su un piano di parità con i creditori (da qui il problema anche noto con il nome di sottocapitalizzazione nominale della società), giungendo, in conclusione, a ritenere che queste operazioni, quando effettuate da chi già riveste la posizione di residual claimant, possono in termini economici ragionevolmente essere intese come apporto di capitale di rischio.
41
L’attribuzione del legislatore di maggiore autonomia75 allo statuto è fatta
palese anche dalla possibilità, ora confermata dal disposto dell’art. 2346, co.
4, cod. civ., che sia attribuito un numero di azioni non proporzionale rispetto
ai conferimenti effettuati. E, ancora, dalla possibilità che sia reperita nuova
finanza mediante il ricorso agli strumenti finanziari partecipativi di cui
all’art. 2346, co. 6, cod. civ., ai quali può essere pure riconosciuto il diritto
di voto76.
Appare, dunque, incontrovertibile l’intento del legislatore di riconoscere un
sempre maggiore grado di autonomia privata, al punto che vi è chi77 ha
decritto l’attività legislativa come un “percorso tracciato”. In effetti la
precedente formulazione dell’art. 2351, co. 2, imponeva una stretta
correlazione fra la compressione del diritto di voto e il riconoscimento di un
privilegio patrimoniale78. Il più recente art. 145 T.U.F. ha operato
75 Autonomia che secondo taluni Autori avrebbe dovuto essere maggiore, proprio alla luce della filosofia contrattualistica che avrebbe dovuto animare la riforma. V. in questo senso C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali, cit., 2 ss.; C. MARCHETTI, La <nexus of contracts theory>:teorie e visioni del diritto societario, Milano, 2000, passim.
76 Discussa è la questione se detti strumenti possano esercitare il diritto di voto loro eventualmente attribuito nell’assemblea dei titolari di strumenti ovvero anche in quella generale. Nel primo senso v., fra gli altri, C. F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, cit., 7; V. SANTORO, Sub art. 2351, in AA. VV., La riforma delle società, Sandulli-Santoro (a cura di), Torino, 2003, 152; contra, però, nel senso che gli strumenti finanziari sarebbero dotati di voto anche nell’assemblea generale degli azionisti, v. A. PISANI MASSAMORMILE, Azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi, in Riv. soc., 2003, 1268.
77 Il riferimento è ancora a C. F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, cit., dal quale si è mutuata l’espressione.
78 Che poteva cogliersi, alternativamente, nella distribuzione degli utili o nel rimborso del capitale.
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l’estensione normativa della categoria di azioni senza voto alle società
quotate, introducendo, come noto, la categoria delle azioni di risparmio, alle
quali è analogamente riconosciuto il diritto a particolari privilegi di natura
patrimoniale. La riforma del disposto dell’art. 2351, co. 2, ha poi inciso
sulla citata correlazione fra compressione del voto e riconoscimento di un
privilegio di natura patrimoniale. Essa ha contemplato, infatti, la categoria
di azioni prive del diritto di voto, quella delle azioni con diritto di voto
limitato a particolari argomenti e l’altra delle azioni con diritto di voto
subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente
potestative. Ha comunque lasciato in vita il limite per cui il valore di tali
azioni, nel complesso, non può superare la metà del capitale sociale.
La sostituzione del referente normativo del privilegio con quello del diritto
patrimoniale speciale e la contemplazione della categoria di azioni prive di
diritto di voto, che possono non avere alcun riconoscimento patrimoniale
speciale, hanno inevitabilmente comportato che, onde valutare l’emissione
azionaria si debba avere riguardo al suo concreto contenuto, potenzialmente
variabile, e, soprattutto, alla causa del negozio.
In definitiva, anche il nostro ordinamento79 ha finito per riconoscere e
promuovere la emissione di strumenti azionari per dir così ibridi, conformati
79 Negli Usa, ad esempio, è nota l’esperienza dell’emissione di azioni privilegiate, ovvero di senior Securities, come bonds o preferred shares. Per un’analisi comparativa dei problemi posti all’attenzione degli interpreti dalla scomposizione della partecipazione azionaria, v. per tutti, V. BRUDNEY- W. L. BRATTON, Brudney and Chirelstein’s Cases and Material on Corporate Finance, Westbury (N.Y.), 1993, 336 ss.
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con dividendi, perdite e voto come variabili80, e per questo riconducibili alle
categorie conosciute di partecipazione azionaria e della qualità di socio con
adattamenti a vario titolo.
D’altra parte non può essere sottaciuto il rilevante impatto del potere di
modulazione ora riconosciuto alla autonomia privata sulla struttura e
sull’organizzazione societaria pregresse. Invero, in precedenza, emergevano
un’unica relazione fiduciaria ed un unico vincolo associativo determinato
dall’interesse comune. In seguito alla riforma, per contro, a seguito ed in
ragione delle distinte e diverse modulazioni del diritto di voto – che a vario
titolo possono caratterizzare l’emissione di diversi titoli azionari – si assiste
inevitabilmente ad una intensificazione dei conflitti di interessi, dati, per
l’appunto, dalla diversa posizione giuridica che i soci, a seconda della
conformazione delle azioni di cui sono titolari, vengono ad assumere in seno
alla organizzazione societaria81.
Le sopra rilevate modulazioni potrebbero, dunque, avere due importanti
conseguenze: da un lato, la intensificazione di conflitti di interessi;
dall’altro, l’insufficienza e la inidoneità dei meccanismi predisposti per la
80 Per un’illustrazione sulle diverse emissioni nel nostro ordinamento v. M. LAMANDINI, Struttura finanziaria e governo nelle società di capitali, Bologna, 2001, 63 ss.; U. TOMBARI, Azioni di risparmio e strumenti “ibridi” partecipativi, Torino, 2000, passim; Id., Azioni di risparmio e tutela dell’investitore (Verso nuove forme rappresentative della società con azioni quotate), in Riv. soc., 2002, 1062, ove ulteriori richiami.
81 V. in argomento A. GAMBINO, Il principio di correttezza nell’ordinamento delle società per azioni, cit., 222; C. F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, cit. 124 ss.; da ultimo anche L. ENRIQUES, Il conflitto d’interessi degli amministratori di società per azioni, Torino, 2000, 160.
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composizione dei richiamati conflitti82. Salvo valutare poi83 se i detti
meccanismi di composizione siano diversamente efficaci a seconda della
fonte, legislativa o privata, della detta modulazione del diritto di voto.
2. Considerazioni generali sulla natura e sui limiti delle modulazioni del
diritto di voto.
Nonostante la rilevante portata innovativa, in tema appunto di autonomia
privata84, il legislatore ha comunque ritenuto prevalente il principio,
consacrato e conservato nel I comma dell’art. 2351, della proporzionalità
del diritto di voto alla partecipazione azionaria, rappresentata dallo slogan
un’azione-un voto85. La scelta del legislatore ha destato diverse perplessità,
anche in dottrina.
82 Così i doveri fiduciari da parte degli amministratori e il meccanismo della soggezione del singolo alla assemblea fondato sull’interesse comune. Cfr. sul punto anche P. M. SANFILIPPO, Funzione amministrativa e autonomia statutaria nelle società per azioni, Torino, 2000, 102 s.
83 Infra, nei successivi paragrafi.
84 Seppure essa non potrà mai spingersi fino al punto di negare in assoluto la partecipazione del socio al capitale sociale mediante il conferimento, come pure è stato ritenuto.
85 La cui portata, anche a livello comunitario e internazionale, è stata affrontata nel cap. I, al quale si rimanda.
45
Da un lato, vi è chi86 ha messo in luce l’anacronismo dell’imperatività della
regola un’azione-un voto, in considerazione sia della filosofia
contrattualistica che avrebbe dovuto animare la riforma, sia della
introduzione delle disposizioni in aperto contrasto con essa87. Dall’altro lato,
vi è chi88 ha manifestato, invece, perplessità sulla possibilità che la
autonomia privata moduli e comprima il diritto di voto in diversa misura e
secondo le più varie esigenze.
Le dette perplessità sono state manifestate con maggiore preoccupazione
con riguardo alle società quotate, per le quali la deroga per dir così
generalizzata al principio della proporzionalità avrebbe significato con
molta probabilità lo scollamento nel rapporto fra proprietà e controllo, così
da inficiare un corretto funzionamento del sistema di formazione dei prezzi
delle azioni.
86 Sul punto ancora M. LAMANDINI, Struttura finanziaria e governo nelle società di capitali, cit., 109-116.
87 Tanto che si è andata pure predicando una modifica al comma in discorso che prevedesse al suo incipit l’introduzione della clausola, conosciuta alla tecnica legislativa, che prevedesse “salvo diversa disposizione dello statuto”. Nel senso di un ampliamento delle limitazioni e quindi delle ipotesi di deviazione dal principio di proporzionalità v. anche A. STAGNO D’ALCONTRES, Sub art. 2351, in AA. VV., Società di capitali. Commentario, Niccolini-Stagno d’Alcontres (a cura di), Napoli, 2004, 303.
88 N. ABRIANI, La struttura finanziaria delle società di capitali nel progetto Mirone e nella legge delega per la riforma del diritto societario: un primo confronto, in Associazione Disiano Preite, Verso un nuovo diritto societario, Bologna, 2002, 277, in partic. 296; e dopo la riforma v. Id., Sub art. 2351, in AA. VV., Il nuovo diritto societario, Cottino-Bonfante (diretto da), Bologna, 2004, 324, per il quale “non pare azzardato paventare il rischio che l’ampia variabilità del diritto di voto introdotta, pur con i limiti ora richiamati, dalla riforma possa condurre a effetti controproducenti rispetto alla stessa auspicata estensione del ricorso al mercato di capitali.”.
46
D’altra parte non pare possa essere revocata in dubbio la generale
estensibilità dell’ambito di applicazione della disposizione di cui all’art.
2351 cod. civ. a tutte le società per azioni, ivi comprese le società quotate
sui mercati regolamentati.
Per vero, sulla natura imperativa della disposizione che prevedeva la
proporzionalità fra azioni e voto, e quindi fra rischio e potere, non vi era
consenso nella dottrina89 formatasi sotto l’impero della previgente
normativa. Invero, l’avviso più plausibile, per il quale il principio di
proporzionalità non avesse carattere imperativo, muoveva dalla
constatazione che la risalente normativa prevedeva già delle eccezioni alla
inderogabilità nella disciplina delle società per azioni, quali, appunto, lo
stesso art. 2351, co. 2.
89 Nella non imperatività si v., fra gli altri, L. CALVOSA, La partecipazione eccedente, Milano, 1999, 161 s., secondo la quale il principio di proporzionalità è sicuramente quello ritenuto normale e tipico dal nostro ordinamento, ma ciò non significa che esso sia assolutamente inderogabile; G. OPPO, Sui principi generali del diritto privato, in Riv. dir. civ., 1991, I, 486; M. CASELLA, Legittimità del voto scalare nella società per azioni, in Riv. soc., 1974, 417 ss.; C. ANGELICI, Le azioni, cit., 148 s., che pone quale limite (i.e. vera e propria condizione alla deviazione da detto principio) “l’adozione di tecniche coerenti con il modello organizzativo della società per azioni: tecniche pertanto volte all’oggettività della partecipazione azionaria e non alla persona (nel senso di concreta situazione personale) del socio”; M. BIONE, Le azioni di risparmio tra mito e realtà, in Giur. comm., 1975, 172, il quale usa per la prima volta l’espressione che rende bene l’idea di monetizzazione della rinuncia (totale o parziale) al voto.
Contra, nel senso di riconoscere carattere cogente alla disposizione v., per tutti, G. SENA, Il voto nella assemblea della società per azioni, Milano, 1961, 258, per il quale le limitazione eventualmente contenute nello statuto avrebbero carattere eccezionale.
47
A maggior ragione dopo l’entrata in vigore della riforma del diritto
societario, resta attuale la derogabilità ad opera della autonomia privata al
più volte richiamato principio di proporzionalità90. In proposito, anzi, si è
assistito alla tipizzazione delle deroghe al detto principio, per cui il
legislatore ha previsto la possibilità di modulare l’esercizio del diritto di
voto, con la possibilità di escluderlo, limitarlo o condizionarlo a determinati
eventi, non meramente potestativi, e ha altresì previsto la possibilità per lo
statuto di disporre clausole che ne prevedessero la limitazione o lo
scaglionamento in relazione al possesso azionario91.
Si pone, a questo punto, tutta una serie di questioni. Ad esempio, ci si
potrebbe chiedere quale sia la odierna nozione di azioni ordinarie; ci si
potrebbe chiedere inoltre se sia ancora necessario ed utile configurare la
categoria delle azioni ordinarie nell’assetto societario. Ci si potrebbe
chiedere, altresì, se sia corretto o meno continuare a far parola di intento
comune dei soci di cui all’art. 2247 cod. civ. Ci si potrebbe domandare, da
ultimo, se il catalogo delle deroghe di cui sopra possa essere considerato o
meno esaustivo.
90 Tanto che secondo C. F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, cit., 29, poiché né la novella né il T.U.F. “stabiliscono il contenuto della relazione con la società degli azionisti senza voto ma li continuano a chiamare azionisti, diviene rilevante il problema del limite entro il quale si può configurare il diritto patrimoniale diverso in modo tale che essi siano, ancorché titolari di una relazione speciale, azionisti”.
91 Si tratta, per vero, di due tecniche all’evidenza diverse: l’una ha natura oggettiva, che attiene al titolo azionario e in quanto tale ne segue le vicende circolatorie, l’altra, invece, ha natura soggettiva, che attiene alla persona del singolo socio e alla di lui titolarità di altri titoli azionari.
48
Per cominciare. Sebbene sia stato anche ritenuto92 che per azioni ordinarie si
devono correttamente intendere solo quelle che siano state emesse nel
rispetto del principio di cui all’art. 2351 cod. civ., e quindi quelle che
attribuiscano il diritto di voto, sembrerebbe tuttavia maggiormente
condivisibile la tesi per la quale quello di azione ordinaria è un concetto
relativo93, da apprezzare in relazione con le altre categorie di azioni emesse
dalla stessa società. Comunque, poiché nel testo normativo non se ne
rinviene la relativa nozione, non è dato rilevare la esistenza di azioni fornite
di diritti attribuiti loro ex lege. Ciò non di meno, pare fondato ritenere che
almeno una categoria delle azioni emesse debba essere qualificata come
‘ordinaria’, ovviamente nel senso relativo sopra evidenziato94.
Altra questione la cui soluzione merita più approfondite meditazioni è
quella se le limitazioni che restringono il diritto di voto incidano, da un lato,
sulla qualità di socio dei relativi titolari e, dall’altro, sul requisito della
comunanza di intenti dei soci.
Quanto al primo problema che si è profilato non sembra possa farsi
discendere dalla limitazione al diritto di voto la negazione della qualità di
socio al titolare della azioni con diritto di voto limitato o escluso. Il diritto di
92 Così A. STAGNO D’ALCONTRES, Sub art. 2351, cit., 301.
93 In questo senso, per tutti, A. MIGNOLI, Le assemblee speciali, Milano, 1960, 87; e, da ultimo, anche C.F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, cit., 71 s.
94 Così, per tutti, C. ANGELICI, Le azioni, cit., 67; contra, però, M. BIONE, Le azioni, cit., 47 s.
49
voto, invero, è strumentale, e in quanto tale necessario, per partecipare al
governo dell’iniziativa economica, ma esso non è necessario per
l’imputazione dei risultati economici generati da tale iniziativa, e quindi
perché l’attività possa essere correttamente ricondotta a tutti i soci95.
L’elemento che fonda il rapporto comune fra i soci della società azionaria
sembra, dunque, da rinvenire nel vincolo a capitale dei complessivi valori
conferiti, che possono essere in misura non proporzionale in una
assegnazione ovvero nella determinazione dei valori di ciascuna azione. La
disciplina dei diritti attribuiti dalle azioni, così del diritto di voto, è
preordinata alla organizzazione della attività sociale, ma è irrilevante ai fini
della attribuzione della qualità di socio.
Quanto al secondo ordine di problemi relativo alla configurazione
dell’attività comune dei soci ex art. 2247, si deve prendere atto che ormai,
per espressa previsione normativa, comportano la partecipazione azionaria
sia le azioni ordinarie (con esse intendendosi qui quelle munite di diritto di
voto, come di altri diritti soggettivi) sia quelle prive di diritto di voto.
Invero, anche quando determinate azioni vengano emesse sprovviste del
diritto amministrativo di voto, o munite di un diritto deminuto,
95 Cfr. A. GAMBINO, Spunti di riflessione sulla riforma: l’autonomia societaria e la risposta legislativa alle esigenze del finanziamento dell’impresa, in Giur. comm., 2003, I, 5 secondo il quale l’unico elemento essenziale della partecipazione sociale in tutte le tipologie è il solo diritto patrimoniale agli utili, con la conseguenza che l’attività comune è tale ormai solo “per finzione”.
50
soccorreranno le regole disciplinanti il titolo e per l’effetto la posizione del
suo titolare dettate al momento della emissione.
Secondo la dottrina meno recente96 l’esercizio in comune dell’attività cui fa
riferimento l’art. 2247 cod. civ. sarebbe consistito proprio nella possibilità
di tutti i soci di influire sulle scelte decisionali della società, tant’è che si
riteneva necessario l’esercizio del diritto di voto.
Sennonché, pur essendo innegabile che l’attività negli organi sociali
attraverso l’esercizio del diritto di voto, quale l’assemblea, risulta necessaria
per l’esistenza e l’attività dell’ente-società, non è necessario che tutte le
azioni siano dotate del diritto di voto e che quindi tutti i soci partecipino
attivamente alla attività di gestione. In effetti, il rapporto azione-
partecipazione si realizza allorché gli effetti della attività della società
vengono indirettamente imputati al patrimonio dei singoli97. La
partecipazione negli organi di cui si faceva parola in precedenza costituisce,
come è stato autorevolmente sostenuto98, un espediente tecnico-giuridico
per l’accesso alla società per azioni, ma non costituisce né può costituire, in
un sottotipo caratterizzato dalla emissione di varie categorie azionarie,
l’unico indice normativo della “partecipazione” alla attività comune. Si vuol
96 Cfr. in questo senso G. FERRI, Delle società, cit., 51; P. GRECO, Le società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959, 41.
97 Cfr. ancora A. GAMBINO, Spunti di riflessione sulla riforma: l’autonomia societaria e la risposta legislativa alle esigenze del finanziamento dell’impresa, loc. cit.
98 Così C.F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, cit., 72 s.
51
dire che è necessario, ai fini del governo della società, che solo alcuni titoli
azionari attribuiscano il potere, da un lato, di governare e di determinare
l’attività e, dall’altro, di designare i soggetti incaricati della gestione di
impresa. La ratio sottesa all’attribuzione del diritto di voto, quindi, non è
quella per la quale ogni socio debba necessariamente partecipare alla
gestione della società, bensì quella diversa della necessità di governare la
società, con riferimento alla nomina delle cariche sociali e
dell’approvazione dei risultati economici dell’operato dei gestori.
In questo specifico senso deve intendersi allora la necessità della esistenza
nella compagine sociale di almeno una categoria di azioni – per quanto
concerne le limitazioni e le modulazioni aventi natura per dir così oggettiva
– o almeno un ristretto numero di azioni – se si ha riguardo alle modulazioni
di natura soggettiva o su base contrattualistica, come si vedrà in seguito –
che siano comunque dotate del diritto di voto, tale da permettere il
funzionamento della società99. E’ allora evidente che anche i soci che
vedono limitato, ovvero del tutto escluso, il proprio diritto di voto
partecipano alla gestione della società per il tramite degli organi a ciò
99 E’ in questo senso che il diritto di voto, ed il suo esercizio, sono idonei a produrre effetti di rilievo sulla persistenza della società fino al suo scioglimento per impossibilità del funzionamento dell’assemblea nel caso di mancata approvazione del bilancio.
Al riguardo si profila anche l’altra e diversa questione di individuare quali siano i poteri del giudice nell’ipotesi in cui la società non riesca ad operare.
52
preposti, che quindi svolgono tale attività anche per conto100 di quei soggetti
che non votano.
Quanto, poi, all’ultima questione posta in precedenza, quella cioè se il
catalogo delle deroghe tipizzate dal legislatore debba intendersi esaustivo, o
se il repertorio delle ipotesi di deroga al detto principio di proporzionalità
possa estendersi oltre le previsioni normative espresse, valgano le seguenti
considerazioni.
Intanto la questione può avere una soluzione differente a seconda che si
abbia riguardo a società chiuse o a società aperte. Ed invero, se da un lato
sembra essere pacifico che per le prime l’autonomia privata può creare
nuove e diverse forme di deroghe101, dall’altro lato, le società quotate e
quelle aventi azioni diffuse in maniera rilevante, che presuppongono la
ulteriore tutela del mercato e degli investitori, comportano per definizione
un maggior rigore nella disciplina di dette deroghe.
Fra le deroghe proprie della disciplina delle società chiuse, che non trovano
applicazione alle società quotate, va certamente annoverata quella
espressamente prevista dall’art. 2351, co. 3, cod. civ., per effetto della quale
alle società quotate è precluso modulare il diritto di voto se ciò si
100 Il duplice carattere dell’attività comune, come agire funzionale e agire per conto è molto chiara a C. F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, cit., 71 ss.
101 Così, fra gli altri, M. L. VITALI, Sub art. 2351, cit., 400.
53
concretizza in una limitazione riguardante la persona del socio, e non anche
che le azioni di cui esso è titolare.
D’altra parte è pur vero che esigenze di modulazione del diritto di voto
possono essere avvertite anche nelle società aperte e che, quindi, anche qui,
si dovrà riconoscere all’autonomia privata il potere di intervenire e
modulare, secondo le esigenze che di volta in volta si possono manifestare,
tenendo ancora e sempre presenti le esigenze di tutela che caratterizzano la
diffusione dei titoli azionari nel mercato.
Si tratta, allora, di esaminare i limiti e le modulazioni che possono essere
poste dalla autonomia privata nelle società aperte, le quali, come noto, si
informano a peculiari esigenze di tutela.
Altro e diverso problema è quello posto dalle deroghe che surrettiziamente
eludono il divieto del cd. voto capitario e delle azioni a voto multiplo102.
3. I limiti legali.
102 Per l’esame delle quali fattispecie si rinvia alla trattazione più approfondita in A. ANGELILLIS, Sub art. 2351, cit., 447 ss. In particolare, sul voto capitario v. V. SANTORO, Sub art. 2351, in AA.VV., La riforma delle società, M. Sandulli-V. Santoro (a cura di), Torino, 2003, 151 s.; contra, però, nel senso di ammettere la fattispecie del voto capitario sul presupposto che il binomio rischio-potere abbia perso il suo carattere imperativo e tipologico v. G. D’ATTORRE, Il principio di uguaglianza tra soci nelle società per azioni, Milano, 2007, 167 ss.
54
Innanzitutto, alcune ipotesi in cui si impongono limiti al diritto di voto – in
quanto integrale abolizione dello stesso – sono espressamente previste dal
codice e dalla legge speciale, in materia di società quotate.
La accennata distinzione fra limiti avente fonte legale o statutaria e i limiti
di derivazione convenzionale ha delle ricadute di carattere oltre che teorico
anche pratico. La verità è che la violazione di un limite legale o statutario dà
adito alla esperibilità della tutela generalizzata e di più cogente efficacia,
mentre la violazione di limiti convenzionali dà adito più semplicemente alla
esperibilità da parte degli interessati dell’azione risarcitoria. Ciò spiega
perché la imposizione dei limiti legali o statutari non abbisogna di un
particolare regime di pubblicità: si tratta di limiti posti direttamente da
norme imperative e cogenti103.
Anche se è da soggiungere che, se da un lato tali limitazioni sono
espressamente previste dalla legge, e quindi, per questo, facilmente
conoscibili, dall’altro lato non può essere obliterata l’evidente esigenza di
tutela sopra richiamata, cosicché dovrebbero essere pubblicizzate anche le
cause e le condizioni che caso per caso impegnano la disciplina normativa
diretta a comprimere, fino ad arrivare ad abolirlo, il diritto di voto.
Fra i limiti al diritto di voto previsti direttamente dalla legge è da annoverare
quello di cui all’art. 2347 cod. civ., che disciplina il caso di comproprietà
103 Argomenta ex art. 2377 cod. civ.
55
indivisa di più titolari su uno o più titoli azionari104. In questo caso, come
noto, i diritti dei comproprietari verso la società devono essere esercitati da
un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli artt.
1105 e 1106 cod. civ. Nell’ipotesi ora richiamata, invero, l’esercizio dei
diritti sociali – ivi compreso quello amministrativo di voto – resta precluso
ove non si provveda alla nomina del rappresentante. La dottrina più
attenta105 ritiene, tuttavia, che ai comproprietari sarebbe in ogni caso
riconosciuto il diritto di esercitare collettivamente l’impugnativa delle
delibere assembleari.
Dalla ratio sottesa alla disciplina in discorso – volta ad evitare che la società
subisca intralci o pregiudizi da un eventuale quanto probabile disaccordo fra
tutti i comproprietari – potrebbe conseguire che in caso di accordo fra i
contitolari potrebbe essere riconosciuto loro il diritto di voto in assemblea,
seppure non si sia provveduto alla nomina del rappresentante.
Altra ipotesi di limitazione al diritto di voto discendente dal dato normativo,
e senza pretese di completezza, è certamente quella costituita dal conflitto di
interessi o dalla morosità del socio. O ancora, quelle ad esclusivo
appannaggio delle società quotate previste dall’art. 120 T.U.F. nel caso in
cui siano state omesse le comunicazioni prescritte al secondo comma del
104 La disciplina dettata dall’art. 2347 richiamato nel testo trova, per vero, applicazione anche quando oggetto di comproprietà indivisa sia un pacchetto azionario, come nel caso, a titolo meramente esemplificativo, di azioni che siano cadute in successione ereditaria ovvero acquistate dai coniugi in regime di comunione legale.
105 Cfr. in questo senso C. ANGELICI, Le azioni, cit., 45; M. BIONE, Le azioni, cit., 28.
56
citato articolo o all’art. 121, in materia di partecipazioni reciproche che
eccedano i limiti prescritti.
E’ evidente come, in questi casi, a differenza che negli altri, la integrale
compressione del diritto di voto relativamente ad un certo numero di azioni,
che pure vengono emesse provviste di tale diritto, abbia funzione
schiettamente sanzionatoria.
4. segue. La record date.
Certamente da non trascurare è il limite, posto di recente dal d. lgs. n.
27/2010, in tema di diritti degli azionisti di società quotate106, della record
date, disciplinata dal nuovo art. 83-sexies, co. 2, T.U.F., la quale pone
questioni di notevole importanza.
In forza del su richiamato principio, già presente in alcuni ordinamenti
europei, l’elenco dei soggetti legittimati al voto si cristallizza ad una data
anteriore all’assemblea, non avendo alcuna rilevanza per la società – ai fini
106 Al riguardo va precisato che il principio della record date si applica tanto alle società quotate nei mercati regolamentati, quanto a quelle con azioni negoziate nei sistemi multilaterali di negoziazione (ivi compresi quelli comunitari) con il consenso dell’emittente, riprendendosi per questa via la distinzione fra ammissione alla quotazione e ammissione alle negoziazioni. Alle società con azioni dematerializzate non quotate né ammesse in un sistema multilaterale tale regola si applica esclusivamente in forza di una previsione statutaria.
57
della legittimazione – eventuali avvicendamenti successivi a tale data e
comunque anteriori alla assemblea.
E’ pure vero, d’altra parte, e va subito posto in evidenza, che per le società
non quotate o con titoli negoziati in mercati non regolamentati può anche
essere previsto il blocco, cioè il divieto di cessione delle azioni fino alla data
dell’assemblea. Il blocco in discorso può essere previsto anche per le società
con azioni diffuse in misura rilevante, ma la sua validità non può eccedere i
due giorni feriali (art. 83-sexies, co. 3, T.U.F.).
Nell’ipotesi in cui la cessione non è vietata dallo statuto ed avviene dopo la
rituale comunicazione107, l’intermediario deve provvedere ad inviare una
rettifica all’emittente. Fermo restando che tale comunicazione, per dir così,
correttiva va effettuata solo se il trasferimento stesso è avvenuto prima della
record date riferita alla prima convocazione dell’assemblea.
Comunque, ed è questa la novità del portato del decreto, il trasferimento
registrato dopo la record date non incide sulla legittimazione. Quindi ove il
socio trasferisca i titoli nello spazio temporale intercorrente dopo la record
date, e quindi anche nelle more delle diverse (eventuali) convocazioni, egli
107 Invero, ai sensi dell’art. 83-sexies, co. 1, T.U.F. la legittimazione è attestata da una comunicazione all’emittente effettuata dall’intermediario in conformità alle proprie scritture contabili, in favore del soggetto a cui spetta il diritto di voto. La disposizione richiamata ha spinto R. LENER, Legittimazione all’intervento in assemblea, record date ed esercizio del diritto di voto dopo la SHRD. Appunti introduttivi., Relazione al Convegno Georgeson – LUISS Ceradi, Roma, LUISS Guido Carli, 6 maggio 2010, 4 a ritenere che detta comunicazione abbia essa stessa “valore legittimante”, non costituendo più una mera modalità – per quanto obbligatoria – con la quale la certificazione veniva portata a conoscenza dell’emittente.
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rimarrà comunque legittimato all’intervento e al conseguente diritto di voto
in assemblea, a condizione, beninteso, che lo fosse con riferimento alla
record date.
A tal riguardo si è posta, a questo punto, la questione della individuazione
del momento in cui si perfeziona l’eventuale trasferimento. Si tratta di
appurare se la registrazione che rileva ai nostri fini è quella che attiene alla
conclusione del contratto con il quale si trasferisce la legittimazione (di
norma una compravendita) ovvero quella del regolamento dell’operazione.
A ben vedere la questione non è di poco conto se solo si pensi alla
constatazione che nel mercato dei titoli anche le operazioni cc.dd. a pronti
sono, di fatto, regolate a tre giorni.
Pare corretto ritenere che abbia rilievo il riferimento al momento della
regolamentazione dell’operazione (cd. actual settlement date) e non anche il
riferimento al momento della conclusione del contratto108 (cd. trade date).
L’avviso appena rassegnato, peraltro, si pone in linea con il disposto
dell’art. 2355, ult. co., cod. civ. Esso, infatti, si rivela anche il più corretto
dal punto di vista sistematico: la legittimazione all’intervento in assemblea e
dunque all’esercizio del diritto di voto si trasferisce nel momento in cui
l’acquirente degli strumenti finanziari ottiene la registrazione a suo nome
dell’avvenuto regolamento dell’operazione, la mera conclusione del relativo
108 Sul tema dei contratti conclusi senza uno specifico accordo, con riferimento non solo ai contratti negoziati in borsa, bensì in generale v. N. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari, 2001, 347 s.
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contratto non essendo immediatamente attributiva della legittimazione
all’esercizio del diritto di intervento e di quello di voto.
Alla stregua del principio sopra illustrato colui che acquista in data
successiva alla record date, pur divenendo effettivo titolare delle azioni,
difetta comunque del titolo per richiedere la comunicazione né, sembra
questa la soluzione più corretta, ha diritto di intervenire in assemblea.
Correlativamente colui che risulta essere legittimato alla record date e che
venda i titoli successivamente a tale data resta ancora e comunque
legittimato ad intervenire in assemblea e ad esercitare il diritto di voto.
Peraltro, la disciplina ora illustrata presenta, sotto il profilo ricostruttivo,
spunti problematici109.
La prima questione che viene in rilievo è se l’emittente possa escludere
dalla assemblea il titolare che risultasse tale al momento della record date
ma che successivamente avesse alienato i titoli, e, ove si pervenisse a dare
una risposta positiva al quesito, in che limiti possa prevedere tale esclusione.
Si tratta di un falso problema, giacché la soluzione si trova nella
disposizione legislativa, per la quale ha diritto di partecipare alla assemblea
e all’esercizio del voto colui che, titolare alla record date, ha alienato il
109 Sui notevoli benefici legati all’introduzione di questo istituto, quali fra tutti quello di agevolare le strategie di investimento massimizzando la scissione fra l’esercizio del diritto di voto e le conseguenze economiche dello stesso, poiché sia l’alienante che l’acquirente potrebbero trarre profitto nel trading a ridosso della scadenza assembleare, v. A. BUSANI, Più partecipazione all’assemblea delle società, in Le società, 2010, 403; M. GAETA, Maggiore tutela agli azionisti delle società quotate, in Giur. merito, 2010, 2070.
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proprio diritto nel lasso di tempo compreso fra quella data e quella della
assemblea.
Se è vero che si tratta di una falsa questione è però altrettanto vero che
spetta all’interprete interrogarsi circa la plausibilità della soluzione
normativa. Sta di fatto che, allo stato, il sistema propone una situazione di
questo tipo: partecipa alla assemblea ed esercita il diritto di voto colui che,
al momento in cui quella si svolge, non è più titolare del diritto e, dunque,
non è più interessato alle sorti della società, con il conseguente possibile
pregiudizio che il voto del non più titolare del diritto può arrecare alla
posizione di chi non esercita il diritto di voto, ma è comunque titolare della
partecipazione azionaria. Al paradosso testé prospettato sarebbe opportuno
che il legislatore ponesse rimedio per via di revisione della legge110.
La verità è che si tratta di un limite legale che non consente, allo stato,
deroga alcuna né “perdona” neanche la sua ignoranza da parte
dell’acquirente ovvero la di lui buona fede.
A meno che non si ritenga di percorrere la via delle soluzioni rimediali per
cui le modalità di esercizio del diritto di voto dovrebbero essere oggetto di
un accordo precipuo fra le parti, nel senso che colui che acquista la
partecipazione azionaria dopo la record date possa determinare l’indirizzo di
110 Sulle ragioni che hanno indotto il legislatore ad operare questa importante modifica, recependo la disciplina comunitaria elaborata al fine di favorire la partecipazione degli azionisti alla vita delle società, v. A. BUSANI, Più partecipazione all’assemblea delle società, cit., 402 s.
61
voto dell’alienante. Beninteso, però, che detto accordo avrà efficacia
esclusivamente inter partes e sarà destinato a rimanere fuori dalla
richiamata disciplina oggettiva del procedimento assembleare, non potendo,
per alcuna ragione, avere effetto sulla validità delle deliberazioni assunte
una sua violazione111. E’ comunque fatto salvo il suo diritto di recesso112.
Altro discorso è quello se un così fatto accordo abbia, come pare possa
avere, rilevanza sull’apprezzamento dei titoli azionari.
Occorre, a questo punto, esaminare i poteri del presidente dell’assemblea
con riguardo alla esclusione del legittimato che si sappia avere già ceduto le
azioni ovvero con riguardo alla ammissione di colui che abbia acquistato i
titoli prima dell’assemblea.
Non vi è dubbio che, per esigenze di tutela del mercato, assicurata in
massima parte dalla certezza, l’intero procedimento assembleare deve essere
regolato in termini rigorosamente oggettivi. Dunque il legittimato deve
essere ammesso alla riunione dei soci, mentre il non legittimato – sempre
con riguardo alla comunicazione, ovviamente – deve esserne escluso.
Nelle società quotate, peraltro, come in quelle che fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio, nelle quali vige il regime di dematerializzazione
111 E’ evidente, con riferimento alla efficacia delle pattuizioni di cui in discorso nel testo, la natura non già reale, bensì meramente obbligatoria.
112
62
obbligatoria113, l’eliminazione del supporto cartaceo114 va incontro
all’ulteriore importante rischio di privare il legittimato della possibilità di
provare al preposto alla verifica il proprio diritto ad intervenire alla riunione
assembleare. Ed invero, nell’ipotesi in cui l’intermediario non adempia i
propri obblighi professionali con la dovuta diligenza, il titolare finisce con il
sopportare le conseguenze negative, avendo preclusa qualsiasi forma di
tutela reale, ma potendo soltanto esperire l’azione risarcitoria, beninteso
contro la prova del danno subito.
D’altra parte, al riguardo, non rileva neppure la esibizione della “copia”
della comunicazione che ai sensi e per gli effetti dell’art. 23, co. 3, del
regolamento gestione accentrata, deve essere fruibile dall’acquirente
contestualmente alla comunicazione. Invero, tale copia non è idonea a
conferire la legittimazione cartolare, che è ricollegata esclusivamente alla
comunicazione115.
113 La prescrizione agli emittenti quotati nei mercati regolamentati, e a quelli che abbiano strumenti diffusi in misura rilevante, di accentrare le relative emissioni di strumenti finanziari presso una società di gestione, in regime, appunto, di dematerializzazione si deve al decreto Euro, il quale agli artt. 28, co. 2, e 36, co. 1, attribuisce altresì alla Consob il potere di assoggettare all’obbligo della dematerializzazione anche strumenti finanziari che non siano negoziati o destinati alla negoziazione sui mercati regolamentati, che tuttavia presentino comunque caratteristiche di diffusione fra il pubblico.
114 Tale mancanza è di non poco rilievo, come acutamente sottolinea N. DE LUCA, Circolazione delle azioni e legittimazione dei soci, Torino, 2007, 338; A. STAGNO D’ALCONTRES, Il titolo di credito. Ricostruzione di una disciplina, Torino, 1999, 33 s.
115 Secondo R. LENER, Legittimazione all’intervento in assemblea, record date ed esercizio del diritto di voto dopo la SHRD. Appunti introduttivi, cit., 11, a tal proposito “utilizzando categorie concettuali classiche potrebbe parlarsi di contrassegni di legittimazione”.
63
Quanto alla posizione del socio alienante, eventualmente in conflitto con la
deliberazione che si deve prendere, è da ritenere che il possibile conflitto di
interessi potrebbe essere risolto alla stregua delle norme del diritto comune,
e per esse l’art. 2373 cod. civ., salvo che, per accordo, si faccia portatore
dell’interesse dell’acquirente, rientrando quindi nella ipotesi dell’interesse
per conto di terzi.
Altri problemi di carattere generale, rappresentati dall’impugnazione e dal
recesso dell’acquirente, nuovo socio, trovano, come è noto, ora soluzione
nel dato normativo.
In ordine alla questione se il socio acquirente abbia la legittimazione ad
impugnare la delibera assembleare, è da invocare l’art. 127-bis T.U.F. che
prevede che, pur non essendo legittimato a partecipare alla assemblea, il
socio subentrante è da considerare fittiziamente assente e come tale
legittimato alla impugnativa ex art. 2377 cod. civ.
In ordine alla altra questione se possa esercitare o meno l’esercizio del
diritto di recesso, è da ritenere che il socio subentrante deve essere
considerato alla stregua del socio che non ha concorso alla deliberazione, ai
sensi dell’art. 2437 cod. civ., e come tale legittimato ad esercitare il diritto
di recesso, ovviamente nel rispetto dei relativi limiti.
5. I limiti statutari.
64
La esigenza di aumentare il tasso di autonomia statutaria a fronte della
disciplina particolarmente rigida nell’emissione di azioni diversamente
modulate nella prospettiva del diritto al voto, avvertita prima della riforma,
ha indotto il legislatore del 2003 ad allineare le regole interne con quelle
degli altri ordinamenti. Il grado di autonomia statutaria riconosciuto dal
vecchio testo dell’art. 2351, co. 2, cod. civ., non era ritenuto sufficiente né
soddisfacente, soprattutto con riguardo alle società quotate. In queste ultime
gli equilibri imposti dal mercato dovrebbero essere di per sé sufficienti a
valutare l’efficienza degli strumenti finanziari emessi116, ovviamente senza
trascurare le avvertite esigenze di tutela che si pongono per le società
aperte117.
In linea generale, si lamentava la circostanza, di non poco conto, che le
limitazioni all’esercizio del diritto di voto dovessero dipendere
necessariamente dal riconoscimento di taluni privilegi di natura
patrimoniale e che il voto non potesse essere per dir così soppresso e/o
116 In questo senso, facendo leva proprio sul concetto di free bargaining approach, v. per tutti M. LAMANDINI, Società di capitali e struttura finanziaria: spunti per la riforma, in Associazione Disiano Preite, Verso un nuovo diritto societario, Bologna, 2002, 280.
117 Sempre sotto il vigore della disciplina pre-riforma, è stato pure sostenuto e argomentato diversamente che il riconoscimento dei privilegi di natura patrimoniale operato all’art. 2351, co. 2, più volte citato nel testo, fosse “di dubbia coerenza sistematica” alla luce dell’introduzione per le società quotate della disciplina delle azioni di risparmio, che condiziona la loro emissione alle esistenza di privilegi di natura patrimoniale che vengono integralmente e liberamente stabiliti nello statuto; così N. ABRIANI, La struttura finanziaria delle società di capitali nel progetto Mirone e nella legge delega per la riforma del diritto societario: un primo confronto, in Associazione Disiano Preite. Verso un nuovo diritto societario, Bologna, 2002, 292 s.; e, ancora, D. GALLETTI, Azioni di risparmio e destinazione al mercato vecchio e nuovo della disciplina delle società “quotate”, in Banca Borsa e Titoli di credito, 1999, 608 ss. e spec. 620.
65
riemergere al verificarsi di determinati eventi118. Si vuol dire che non
risultava più sufficiente l’ambito riconosciuto alla autonomia privata in cui
essa si sarebbe potuta esprimere per modulare, secondo le più varie e
diverse esigenze, il diritto di voto.
Con la riforma, quindi, si è voluto invece riservare al mercato la valutazione
di meritevolezza prima lasciata al legislatore. La soluzione adottata da
quest’ultimo con riferimento proprio al riconoscimento del potere di
modulazione del diritto di voto, per vero, è in linea con la linea guida della
riforma, cioè quella dell’incentivazione della autonomia contrattuale. La
funzione di selezionare i titoli, per dir così, maggiormente appetibili sul
mercato è lasciata quindi ai singoli operatori119, che faranno le proprie
opportune valutazioni, scegliendo le società maggiormente efficienti.
118 L’anacronismo della disposizione era stato esplicitamente messo in evidenza da N. ABRIANI, La struttura finanziaria delle società di capitali nel progetto Mirone e nella legge delega per la riforma del diritto societario: un primo confronto, cit., 292.
119 Nello stesso senso sembra essere anche la dottrina prevalente; v. in particolare G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. Diritto delle società, Torino, 2006, 215 s.; N. ABRIANI, La struttura finanziaria delle società di capitali nel progetto Mirone e nella legge delega per la riforma del diritto societario: un primo confronto, cit., 292; E. DESANA, Le azioni e il diritto di voto, in AA. VV., Il nuovo diritto societario, S. Ambrosini (a cura di), Torino, 2005, 117; V. SANTORO, Sub art. 2351, cit., 147; e F. FERRARA-F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2006, 545, per i quali l’autonomia statutaria, alla luce della riforma, incontra limiti solo “estremi” quali, per quanto concerne il profilo della modificazione dei diritti di voto che qui interessa, quello del divieto di emettere azioni a voto plurimo e quello costituito dal divieto di superare con tali azioni la metà del capitale sociale; M. NOTARI, Disposizioni generali. Conferimenti. Azioni, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, 2006, 413, per il quale la funzione di cui sopra è stata in questo modo riservata “all’autonomia negoziale e al mercato”; Id., Sub art. 2348, in AA.VV., Commentario alla riforma delle società, P. Marchetti-L. A. Bianchi-F. Ghezzi-M. Notari (diretto da), Milano, 2008, 171 ss. per il quale, peraltro, tale scelta del legislatore si mostra essere del tutto coerente con altre operate
66
Interessante problema interpretativo è poi quello relativo alla lettura
dell’incipit del secondo comma dell’art. 2351, “salvo quanto previsto dalle
leggi speciali”. Esso si incentra nel rapporto fra tale disposizione e l’art. 145
T.U.F. che prevede e disciplina, per le sole società quotate, la categoria delle
azioni di risparmio120. In altre parole, ci si deve chiedere se l’incipit sopra
richiamato debba significare per le società quotate una preclusione, per un
verso, all’emissione di azioni sprovviste del diritto di voto che non fossero
fatte rientrare nella nota categoria delle azioni di risparmio, e, per altro
verso, all’emissione di azioni con diritto di voto in diversa misura modulato,
senza alcuna compensazione con i privilegi di natura patrimoniale che pure
l’art. 145 impone.
La questione posta è sicuramente ricca di risvolti pratici ed è stata oggetto di
una serrata querelle in dottrina.
Da un lato, vi è chi ritiene che le società quotate possano emettere
esclusivamente azioni senza diritto di voto che rientrino nella categoria delle
azioni di risparmio, con le relative conseguenze, anche applicative121.
Diverse sono state, per vero, le argomentazioni portate a sostegno di tale
tesi: si è sostenuta l’esistenza necessaria di un principio di equilibrio fra
sempre in sede di riforma, quali, fra tutte, la atipicità delle categoria di azioni, il cui principio è sancito all’art. 2348 cod. civ.
120 Per l’analisi puntuale della quale si rinvia infra, § 6.
121 Ci si vuol riferire qui al riconoscimento obbligatorio di diritti patrimoniali ‘compensativi’, ai diritti spettanti nell’ipotesi di esclusione delle quotazioni nonché alle disposizioni che riguardano l’organizzazione di categoria.
67
poteri amministrativi e patrimoniali122; si è pure paventato il rischio di
defraudare, ammettendo tale ipotesi, i titolari di azioni senza diritto di voto
della necessaria organizzazione di categoria123, e, da ultimo, si è
riconosciuto al rinvio alle leggi speciali la natura di limite alla applicabilità
alle società quotate della disciplina di diritto comune, con il rischio di
asimmetrie informative124. Soprattutto, però, si è sostenuto che, aderendo a
tale tesi, si sarebbe disatteso il principio per cui alle società quotate
dovrebbero applicarsi norme caratterizzate da un più alto grado di
imperatività rispetto a quelle che pure si applicano alle società chiuse.
Dall’altro lato vi è chi125 ritiene che i principi di cui agli articoli 2351 cod.
civ. e 145 T.U.F. siano fra loro compatibili, al punto che l’applicazione
122 Per tutti, v. U. TOMBARI, Azioni di risparmio e tutela dell’investitore (verso nuove forme rappresentative della società con azioni quotata), in Riv. soc., 2002, 1074; D.U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 85; A. PISANI MASSAMORMILE, Azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi, in Riv. soc., 2003, 1302 s. In questo senso anche G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale. Diritto delle società, cit., 218, ove è affermato che le azioni di risparmio, essendo del tutto prive del diritto di voto, “si differenziano dalle azioni senza voto emesse dalle società non quotate (dopo la riforma del 2003) per il fatto che devono essere necessariamente dotate di privilegi di natura patrimoniale, anche se sotto tale profilo l’attuale disciplina (artt. 145-147 Tuf) ha profondamente modificato quella originaria”, ma soprattutto in nt. 28, volendo, l’autore scongiurare il pericolo che l’emittente per tale via possa eludere agevolmente il principio che le azioni di risparmio devono godere di particolari privilegi patrimoniali.
123 Ancora U. TOMBARI, Azioni di risparmio e tutela dell’investitore (verso nuove forme rappresentative della società con azioni quotata), cit., 1074.
124 V. ancora, per tutti, V. SANTORO, Sub art. 2351, cit., 148.
125 La soluzione prospettata nel testo riceve il consenso, seppure sulla base di considerazioni diverse, di molti studiosi, quali, fra tutti, G. PRESTI, Il nuovo diritto delle società di capitali e cooperative, in Il nuovo diritto delle società di capitali e delle società cooperative, M. Rescigno-A. Sciarrone Alibrandi (a cura di), 221 ss.; M. NOTARI, Le categorie speciali di azioni, in AA. VV., Liber Amicorum Campobasso, 2006, 61; A.
68
dell’uno non esclude l’applicazione dell’altro. D’altra parte, manca una
norma esplicita in tal senso. Diverse, anche con riferimento all’avviso da
ultimo propugnato, sono le argomentazioni addotte dalla dottrina.
Le considerazioni a sostegno della prima tesi, seppure in misura diversa,
sono corrette, ma non bastano a far ritenere che la disciplina di diritto
comune di cui all’art. 2351 non si applica, neppure in via residuale rispetto
all’art. 145 T.U.F., alle società quotate.
In effetti, le considerazioni a supporto della seconda teoria sono da ritenere
prevalenti giacché è il mercato il luogo deputato per antonomasia al più
elevato numero di negoziazioni ed è la disciplina delle società aperte quella
che deve concedere maggiore libertà alla autonomia statutaria, segnatamente
con riguardo al regime del diritto di voto.
Fermo che non è dato cogliere una norma in senso contrario, la
liberalizzazione della vocazione statutaria si coniuga felicemente con la
selezione e la scelta delle negoziazioni assicurato dal mercato. Sarà proprio
il mercato, infatti, a selezionare gli strumenti più appetibili.
BLANDINI, Le azioni a voto limitato nella riforma, in Giur. comm., 2004, 487; e ancora e sempre C.F. GIAMPAOLINO, Le azioni speciali, cit., 184 ss., il quale argomenta sostenendo che, se si aderisse all’avviso contrario, si restringerebbe oltre misura il ricorso per le società quotate allo strumento azionario, scelta questa peraltro definita dallo stesso autore “incoerente” con la necessità di finanziamento delle società che fanno appello al risparmio e che quindi “possono fruire della possibilità di modellare una particolare tipologia di azioni”. L’autore, infine, non manca di rilevare che per tale via si frustrerebbe uno degli obbiettivi della riforma che è proprio quello di consentire la partecipazione di quanti più soggetti possibile al capitale di rischio.
69
Correlativamente, sul piano normativo, il combinato disposto degli articoli
2351, co. 2, cod. civ. e 145 T.U.F. consente e promuove una lettura
armonica ed idonea ad offrire, nello spirito della riforma e delle spinte del
mercato, un maggiore grado di autodeterminazione alla autonomia privata.
D’altronde la pretesa maggiore rigidità in materia di disciplina delle società
quotate nei mercati regolamentati è prescritta esclusivamente con riguardo
alla disciplina della governance societaria, e non anche con riguardo alle
prerogative delle diverse categorie di azioni con riferimento al diritto di
voto126. Del resto non può essere sottaciuto che lo stesso T.U.F. ha operato,
proprio con riguardo alle azioni di risparmio, una sorta di deregulation,
laddove ha abolito i minimi legali di privilegio patrimoniale, rimettendo
integralmente la materia alla autonomia statutaria.
Senza dire che la possibilità per le società quotate di emettere azioni senza
diritto di voto, o che vedano tale diritto limitato127 troverebbe conferma nel
disposto dell’art. 105 T.U.F.
Se le superiori considerazioni sono corrette, è fondato ritenere allora che
anche alle società quotate possa validamente applicarsi la disciplina prevista
all’art. 2351, co. 2, cod. civ., oltre naturalmente a quella specificamente
prevista all’art. 145 T.U.F. Con la conseguenza che varie e diverse possono
126 In questo senso sembra anche doversi leggere G. PRESTI, Il nuovo diritto delle società di capitali e cooperative, cit., 221 ss.
127 Lungi dall’essere vietata esplicitamente da alcuna delle norme contenute nel T.U.F., come pure evidenziato da A. BLANDINI, Le azioni a voto limitato nella riforma, cit., 488.
70
essere le modulazioni al diritto di voto, create di volta in volta
dall’autonomia privata a seconda delle diverse esigenze delle società.
Beninteso, la validità di tali scelte si dovrà sempre e comunque
commisurare con l’appetibilità che i titoli dimostrano avere sul mercato.
E’ da soggiungere che proprio a seguito della qui predicata negazione della
stretta correlazione fra la limitazione al diritto di voto e il riconoscimento di
privilegi di natura patrimoniale le società che fanno ricorso al mercato di
capitale del rischio – come pure le società chiuse, del resto – potranno
emettere azioni per le quali il diritto di voto possa essere anche del tutto
escluso, ma alle quali può non essere riconosciuto alcun particolare
privilegio di natura patrimoniale128.
La categoria, quindi, dei limiti statutari all’esercizio del diritto di voto che
può essere di volta in volta ideata dalla inventiva degli operatori, e purché
consacrata nello statuto, può essere ampia e dal contenuto più vario.
Potranno così aversi azioni, alle quali riconoscere o meno un privilegio di
128 Al riguardo, va pure rilevato che una parte minoritaria della dottrina ha affermato che il nuovo tenore della norma non legittimerebbe la condivisione di una clausola statutaria siffatta, per la pretesa violazione del principio di parità del trattamento; v. nel senso ora descritto A. BLANDINI, Le azioni a voto limitato nella riforma, cit., 467 ss. e spec. 477; F. MARTORANO, Sub art. 2348, in AA.VV., Commentario, M. Sandulli-V. Santoro (a cura di), 137. Non si può trascurare di rilevare al riguardo che ove si aderisse a questo avviso ci si scontrerebbe inevitabilmente con il dato letterale, senza dire che non sarebbe neanche coerente con le altre scelte del legislatore della riforma che sono nel senso di riconoscere, come detto, il più ampio grado di autonomia contrattuale nella determinazione del peso dell’investimento nel capitale di rischio da parte di ciascun socio. Tale tesi ha il conforto, per la dottrina, di M.L. VITALI, Sub art. 2351, cit., 409 s., il quale peraltro non manca di rilevare che “la disciplina della struttura finanziaria della società per azioni conosce fattispecie di azioni che possono essere connotate anche solamente da posizioni giuridiche passive, come nel caso di emissione delle azioni riscattabili”.
71
natura patrimoniale, prive di diritto amministrativo di voto; o munite di
diritto di voto solo a determinate condizioni, ovvero in relazione a
determinati argomenti.
Le modulazioni che giungono in taluni casi fino a negare il diritto di voto
non possono comunque essere ritenute un vulnus al principio di parità di
trattamento, presente, come pure messo in luce dalla dottrina più
autorevole129, all’interno e con riferimento ad una determinata categoria di
azioni e collegato al diritto di evitare qualsiasi alterazione nella
partecipazione sociale.
La “libertà” di modulazione incontra un primo limite, esplicito, consistente
nella “metà del capitale sociale”, previsto al secondo comma dell’art. 2351,
che peraltro ha esclusivamente natura quantitativa, e un secondo limite,
implicito, costituito dalla tutela in generale del mercato e dell’affidamento
degli investitori.
Quanto al primo limite, la ratio ad esso sottesa è di tutta evidenza. Seppure
in sede di lavori preparatori alla riforma ne era stata prospettata
l’eliminazione, la dottrina maggioritaria si era schierata da subito contro tale
avviso, mettendo in evidenza la sua essenziale funzione di assicurare il
129 Cfr. in argomento A. MIGNOLI, Le assemblee speciali, Milano, 1960, 161.
72
governo della società attraverso il voto a chi detenesse una percentuale non
certo esigua del capitale sociale130.
Vero è pure che tale limite solleva, per la formulazione della stessa
disposizione, talune problematiche, che potrebbero essere di seguito così
richiamate.
In via preliminare, ci si chiede se tale limite si debba ritenere riferito a tutti i
titoli azionari emessi, per i quali il diritto di voto sia stato in qualche misura
escluso, limitato o condizionato. A ben vedere la soluzione della questione
si può rinvenire nella ratio stessa della norma. Pare corretto ritenere per il
computo in discorso tutte le azioni che siano emesse con diritto di voto “non
pieno”: il limite in analisi opera per tutte quelle azioni che vedono
diversamente modulato il diritto di voto, in virtù di disposizioni statutarie.
Il detto limite, inoltre, deve ritenersi esteso anche alle azioni di risparmio131,
le quali pertanto andranno conteggiate insieme alle altre azioni
130 Il fenomeno è stato studiato ovviamente anche dalla dottrina statunitense. Con riguardo proprio al controlling minority structuring, cioè alle strutture proprietarie il cui controllo è esercitato da una piccola frazione del capitale sociale, v. L. A. BEBCHUCK-R.R. KRAAKMAN-G. TRAINTIS, Stock Pyramids, Cross-Ownership and Dual Class Equity: The Creation and Agency Cost of Separating Control from Cash Flow Rights, cit, passim; L. A . BEBCHUK, A Theory of the evolution of Ownership Structure in Publicly Traded Companies, 1998, Harvard Law School Working Paper; e per altri riferimenti v. E. DESANA, Le azioni e il diritto di voto, cit., 120.
131 Ed invero, in seguito all’abrogazione dell’art. 145, co. 4, T.U.F. operato dal d. lgs. n. 37/2004, art. 3, co. 1, si ritiene debba ora applicarsi il limite previsto nel codice civile, la cui applicazione non era prima riconosciuta per il criterio di specialità della legge.
73
eventualmente emesse dalla società emittente al fine di verificare il
raggiungimento della soglia prescritta132.
Rimangono escluse, pertanto, sia le azioni che non si riferiscono a limiti al
diritto di voto che abbiano origine statutaria sia, ancora, tutte quelle
categorie che non comportino una vera e propria limitazione, come quella
delle azioni che, seppure per disposizione statutaria, richiedono ai titolari
autorizzazioni per il compimento degli atti degli amministratori, a norma
dell’art. 2364, co. 4, cod. civ.133
Quanto, da ultimo, alle azioni in cui non vi sia valore nominale, il limite di
cui all’art. 2351, co. 2, più volte richiamato, andrebbe riferito, anche qui
avendo riguardo alla ratio che lo informa, al numero delle azioni emesse
dalla società134.
Quanto, al secondo ordine di problemi, e cioè alla tutela dei soci con diritto
di voto limitato e/o escluso, e dell’affidamento in generale del mercato,
siano sufficienti qui le seguenti considerazioni.
132 Sul punto il rinvio è a G. M. PUGLIESE, Sub art. 145, in AA.VV., Il coordinamento della riforma del diritto societario con i testi unici della banca e della finanza, F. Maimeri (a cura di), Milano, 2006, 453 ss.
133 Come pure messo in luce dalla dottrina più attenta (il riferimento è qui a M. NOTARI, Le categorie, cit., 603, dal quale pure si è mutuato l’esempio), si tratta evidentemente di un diritto aggiuntivo, riconosciuto ai titolari di dette azioni.
134 Questo sembra essere, se non si prende abbaglio, anche il senso delle conclusioni che si hanno in F. FERRARA-F. CORSI, Gli imprenditori e le società, cit., 422.
74
Innanzitutto, laddove vi sia una clausola statutaria che limiti e/o escluda,
seppure circoscritta a taluni argomenti, il diritto di voto, e nulla sia invece
prescritto in relazione al diritto ad impugnare la relativa delibera, si deve
ritenere che il socio abbia diritto di impugnare, ai sensi e per gli effetti
dell’art. 2377 cod. civ., tutte quelle delibere per le quali è legittimato a
votare. In altre parole, i soci che hanno esercitato il diritto di voto, anche
limitatamente ad una determinata assemblea, o ne erano legittimati, possono
impugnare la relativa delibera135. Invero la formulazione della stessa norma
di cui all’art. 2377 – la quale, si ricorda, allude anche ai soci assenti,
dissenzienti o astenuti – sembra presupporre che perché sia riconosciuto al
singolo socio il diritto ad impugnare è sufficiente che egli abbia la
legittimazione ad esercitare il diritto correlato al voto, e non anche che tale
diritto egli abbia in concreto esercitato.
Del pari, argomentando dalla disposizione dello stesso art. 2377, i soci
sprovvisti del diritto di voto (o che lo abbiano limitato solo a talune materie,
assemblee, e/o altre condizioni) non sono comunque lasciati senza tutela: ad
essi è infatti riconosciuto il diritto di chiedere il risarcimento del danno
eventualmente subito in ragione della “non conformità della delibera alla
legge o allo statuto”136. La tutela apprestata dall’ordinamento ai soci che
135 In argomento v. anche R. SACCHI, Tutela reale e tutela obbligatoria della minoranza, in Liber amicorum Campobasso, 135 ss.
136 Sul punto v. F. CHIAPPETTA, Sub art. 2377, in AA. VV., Commentario alla riforma delle società, P. Marchetti-L.A. Bianchi-F. Ghezzi-M. Notari (a cura di), Milano, 2008, 644 ss.
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pure hanno scelto di non partecipare alle vita della società, divenendo
titolari di titoli azionari privi in qualsiasi misura del diritto di voto,
comunque si riflette sul mercato.
Senza dire che il maggiore grado di tutela dovrebbe essere fondatamente
assicurato dal fatto che le società quotate in mercati regolamentati italiani o
di altri paesi dell’Unione Europea sono sottoposte, a differenza delle società
chiuse, a specifici e più particolari controlli.
6. segue. Le azioni di risparmio.
La categoria delle azioni di risparmio sicuramente costituisce per le società
quotate l’esempio meno controverso, alla luce di quanto detto, e più
studiato137 di azioni sprovviste del diritto di voto. A dette opinioni però sono
al contempo riconosciuti per legge benefici di natura patrimoniale, la cui
“quantità” è ora irrilevante per il legislatore. Tale categoria di azioni
137 La letteratura sull’argomento è vastissima. Basti vedere P. BALZARINI, Le azioni di società, Milano, 2000, 217 ss.; C. ANGELICI, Le azioni, cit., 171 ss.; M. NOTARI, Sub art. 145, in AA. VV., Commentario, P. Marchetti-L.A. Bianchi (a cura di), 1535 ss.; G. B. PORTALE, Tra “deregulation” e crisi del diritto azionario comunitario, in AA. VV., La riforma delle società quotate, F. Bonelli-V. Buonocore-F. Corsi-R. Costi-P. Ferro-Luzzi-A. Gambino-P.G. Jaeger-A. Patroni Griffi (a cura di), Atti del Convegno di studio, Santa Margherita Ligure, 13-14 giugno 1998, Milano, 1998, 373; M. BIGELLI-E. SAPIENZA, Le azioni di risparmio e gli errori di misurazione del premio per il diritto di voto, in Banca impr. soc., 2003, 67 ss.. Si vedano inoltre per lo studio del tema in generale P. SPADA, Le azioni di risparmio, in Riv. dir. civ., 1974, 585; U. BELVISO, Il significato delle azioni di risparmio, in Giur. comm., 1976, 779; F. TEDESCHI, A proposito di un recente contributo in tema di azioni di risparmio, in Giur. comm., 1978, 831; L. CHIARAVIGLIO, A proposito di azioni di risparmio, in Riv. soc., 1977, 1182; P. BALZARINI, Le azioni senza diritto di voto. (Prassi statutaria e profili di diritto comparato), Milano, 1992.
76
rappresenta la risposta del legislatore alla esigenza di incentivare
l’investimento in azioni offrendo all’un tempo ai risparmiatori la possibilità
di scegliere titoli rispondenti alle loro esigenze in misura migliore. Titoli,
cioè, che tengano conto del disinteresse dei risparmiatori alla partecipazione
alla vita della società e dunque all’esercizio dei diritti amministrativi. E pure
del preminente rilievo attribuito, di contro, al contenuto patrimoniale e alla
redditività dei titoli azionari.
Sono evidenti le differenze, anche e soprattutto con riguardo alla relativa
disciplina, che le distingue dalle altre azioni a voto limitato emesse dalle
società quotate, in virtù dell’applicabilità a queste ultime della disciplina di
cui all’art. 2351, co. 2, nei limiti e termini sopra evidenziati.
Invero le azioni di risparmio mantengono una loro precipua peculiarità e
appetibilità, costituita, per l’appunto dalla loro disciplina.
Per cominciare, esse possono essere emesse anche al portatore138, seppure
non si rivelano più per tale via idonee ad assicurare l’anonimato dei propri
titolari, con l’introduzione del regime di de materializzazione obbligatoria.
138 Seppure quelle appartenenti agli amministratori, ai sindaci ed ai direttori generali devono essere sempre e comunque nominative, giusto il disposto dell’art. 145, co. 3, T.U.F. Si deve pure rilevare che la circostanza per cui anche tali azioni al portatore debbano comunque risultare iscritte in un conto aperto dall’intermediario a nome del cliente e che quindi l’eventuale trasferimento avvenga sempre fra conti individuati nominativamente ha indotto a dubitare (v. P. SPADA, La ricchezza assente, in Banca borsa titoli di credito, 1999, I, 418 s.) che la distinzione fra azioni nominative e azioni al portatore potesse conservare rilievo alcuno nel sistema di gestione dematerializzata. Nel senso che, correttamente, la distinzione permane poiché le azioni nominative necessitano sempre e comunque dell’iscrizione nel libro soci si v., per tutti, B. LIBONATI, Titoli di credito e strumenti finanziari, Milano, 1999, 132 ss.
77
In secondo luogo, esse devono necessariamente essere dotate di privilegi di
natura patrimoniale139, seppure la consistenza di detti privilegi non è più
determinata dal legislatore140. Anche la necessarietà del requisito in discorso
rende la categoria delle azioni di risparmio sicuramente di maggiore
appetibilità rispetto alle altre azioni con diritto di voto limitato, che
potrebbero (ma non necessariamente) non essere commisurate a
riconoscimenti patrimoniali.
Valido, di contro, per tutte le categorie di azioni speciali a voto limitato,
escluso ovvero condizionato, il limite per cui esse non possono superare la
metà del capitale sociale. Il limite, ovviamente, opera anche in sede di
riduzione del capitale sociale per perdite, poiché la legge ha predisposto
meccanismi volti ad evitare l’elusione del divieto. Infatti, in virtù del
disposto dell’art. 145, co. 5, T.U.F. il rapporto fra capitale e azioni speciali
senza voto o a voto limitato deve essere ristabilito entro due anni, mediante
emissione di nuove azioni ordinarie da attribuire in opzione ai possessori di
azioni speciali. E’ pure previsto che se la parte del capitale rappresentata da
azioni ordinarie si è ridotta al di sotto del quarto del capitale sociale, essa
139 L’ampia formulazione della norma ha correntemente fatto ritenere in dottrina (v., sul punto, R. SANTAGATA, Cumulo di cariche amministrative ed interessi in conflitto nelle società per azioni, in AA. VV., Liber amicorum Campobasso, 1181 s.) che i privilegi di natura patrimoniale possono consistere anche in diritti patrimoniale che siano diversi da quelli riconosciuti agli azionisti. Per una analitica esposizioni tutte le possibili articolazioni dei privilegi patrimoniali si rinvia a M. NOTARI, Sub art. 145, cit., 1563 ss.
140 La l. n. 216/1974 fissava in modo analitico il contenuto e la misura minima dei privilegi che dovevano essere inderogabilmente riconosciuti a tali categorie di azioni; il d. lgs. n. 58/1998 ha modificato la rigida disciplina sul punto, peraltro facilmente eludibile, lasciando alla autonomia privata la commisurazione di detti privilegi.
78
deve essere riportata almeno al quarto entro sei mesi, pena lo scioglimento
della società.
Di dette azioni non si tiene conto per il calcolo dei quorum costitutivi e
deliberativi nelle assemblee ordinarie e straordinarie. E neppure si tiene
conto delle stesse per il calcolo delle aliquote di capitale richieste per
l’esercizio dei diritti attribuiti alle minoranze141, giusto il disposto dell’art.
145, co. 6, T.U.F., come novellato dal d. lgs. n. 37/2004.
Al riguardo anche alle altre categorie di azioni speciali senza diritto di voto
dovrebbe ritenersi applicabile la disciplina prevista espressamente per le
azioni di risparmio dalla norma da ultimo citata. L’applicazione analogica si
rivela opportuna, se non proprio necessaria, in considerazione del fatto che
si tratta in entrambi i casi di categorie di azioni che non hanno diritto di voto
e che i diritti dei relativi titolari non possono essere sacrificati o meno in
relazione al fatto che quelli sottoscritti siano titoli da far rientrare nella
categoria delle azioni di risparmio ovvero in altre e diverse categorie di
azioni sprovviste comunque del diritto di voto. Ove si seguisse l’avviso
contrario, si verrebbe a creare una ingiustificata sperequazione fra la
posizione (e la tutela) delle minoranze a seconda che esse abbiano
sottoscritto l’una o l’altra categoria di azioni.
141 E quindi la convocazione dell’assemblea su richiesta della minoranza qualificata ai sensi dell’art. 2367, la rinuncia e la transazione sull’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori ex art. 2393, la azione sociale di responsabilità esercitata dalla minoranza ex art. 2393-bis, la denunzia al collegio sindacale ex art. 2408 ed ancora la denunzia di gravi irregolarità al tribunale ex art. 2409.
79
Quanto all’organizzazione degli azionisti di risparmio, essa deve rinvenirsi
nella disciplina di quella prevista per gli obbligazionisti, e dunque nella
esistenza di un’assemblea, nella quale tali azionisti hanno diritto di voto142,
e nella presenza del rappresentante comune nominato dalla stessa assemblea
per la tutela dei diritti e degli interessi comuni di questi ultimi nei confronti
della società e dei terzi. Anche per questa ragione il compenso per lui fissato
dalla assemblea degli azionisti di risparmio deve ritenersi, come peraltro
sottolineato dalla giurisprudenza143, seppure con specifico riguardo al
rappresentante comune degli obbligazionisti, a carico della stessa società,
anche per questioni di indipendenza. Ove si condividesse l’avviso per cui
tale compenso dovrebbe essere a carico della società si arriverebbe a far
dipendere la posizione del rappresentante degli azionisti cc.dd. speciali dal
soggetto giuridico nei confronti del quale egli dovrebbe eventualmente far
valere i diritti.
Nell’ipotesi in cui, ancora, il rappresentante comune rimanesse inerte,
rinunciando così a far valere i diritti degli azionisti nei confronti della
società e dei terzi, il singolo azionista potrebbe esperire la azione
142 Riterrei applicabili anche alla assemblea degli azionisti di risparmio, peraltro, le diverse soluzioni interpretative che la dottrina (sul punto v. già G. COTTINO, Le convenzioni di voto nelle società commerciali, Milano, 1958, 209 s.) ha elaborato in tema di sindacati azionari, le quali, peraltro, sono state anche ritenute applicabili ad accordi di voto stipulati fra soggetti che non fossero soci, quali ad esempio, quelli conclusi con riferimento alla assemblea degli obbligazionisti.
143 V., ex multis, Cass. 6 febbraio 1969, n. 389, in Banca Borsa e Titoli di credito, 1970, II, 205 ss.
80
individuale idonea a tutelare i propri diritti nei confronti della società che
non siano però “incompatibili con le deliberazioni dell’assemblea previste
dall’articolo 2415”.
7. I limiti contrattuali: in particolare i patti parasociali.
Altra categoria di fonti da cui discendono i limiti all’esercizio del diritto di
voto relativamente a determinate azioni va rinvenuta in tutti quei patti e quei
contratti con i quali i titolari di azioni, evidentemente provviste del diritto di
voto, dispongono di tale diritto144. Essi dispongono del diritto di voto in
favore di altri soggetti, verosimilmente verso corrispettivo e a tempo
determinato, vincolandone l’esercizio alle modalità ed ai termini in essi
concordati.
Come noto, tutti questi contratti, seppure con causa e discipline diverse,
consentono ai soci di creare un vincolo parallelo a quello sociale, seppure a
questo estraneo, con cui regolare e/o modificare taluni aspetti e rapporti
previsti dalla legge o dallo statuto e della cui efficacia obbligatoria, peraltro,
non pare ora possa più utilmente dubitarsi.
144 I soci, per il tramite di questi contratti, tendono a disporre obbligatoriamente di diritti (qui, nello specifico, del diritto di voto) che essi hanno acquisito in seguito ed in ragione alla adesione al contratto di società. In questo senso cfr. G. SANTONI, Patti parasociali, Napoli, 1985, 4; G. OPPO, Contratti parasociali, Milano, 1942, 3 ss., i quali si riferiscono nello specifico ai patti parasociali; e G. FERRI, Le società, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, X, III ed., Torino, 1985, 134.
81
Nonostante le dette “convenzioni” non costituiscano parte del contratto di
società, essendone, anzi, formalmente e per definizione esterni, essi sono in
ogni caso idonei ad esercitare una notevole incidenza sulla vita dell’ente cui
si riferiscono145 e, soprattutto con riguardo alle convenzioni di voto che in
questa sede ci occupano, allo svolgimento dell’attività sociale.
Gli accordi in materia di diritto di voto si rivelano, altresì, idonei a riservare
il controllo congiunto, come pure è stato definito da parte della dottrina146, a
due o più soggetti che siano fra loro giuridicamente ed economicamente
indipendenti. Ma, aldilà di tutte le considerazioni che precedono, tali accordi
si dimostrano il mezzo più funzionale ed idoneo al contemperamento delle
esigenze individuali e personali del singolo socio rispetto a quelle degli altri
soci e della stessa società147. Vero è pure che i contratti con cui vengono
limitati tali diritti amministrativi possono anche rispondere all’interesse
(economico e non) di soggetti terzi, non soci, che mirano per i più svariati
145 Tanto che secondo G. SANTONI, Patti parasociali, cit., 6, questa circostanza spesso non fa distinguere se si tratti di accordi parasociali fra i soci o regole contenute nello statuto.
146 Cfr. sul punto, fra i molti, M. STELLA RICHTER jr., “Trasferimento del controllo” e rapporti tra i soci, Milano, 1996, 158 e 200; V. CARIELLO, “Controllo congiunto” e accordi parasociali, Milano, 1997, 17 ss., al quale ultimo si rimanda per gli ulteriori approfondimenti bibliografici.
147 Cfr. D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971, 188 ss.; C. ANGELICI, La costituzione della società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, XVI, Torino, 1985, 232, secondo i quali i patti parasociali, nello specifico, consentono l’adattamento dei tipi legali dell’organizzazione sociale alle diverse esigenze che gli interessati possono avere nel concreto.
82
motivi a intervenire in assemblea e a prendere parte alla gestione della
società, esercitando il diritto di voto.
Tutte le convenzioni contrattuali che abbiano ad oggetto la disposizione del
diritto di voto o la sua limitazione, siano esse negoziate fra parti che siano
tutti soci ovvero fra soci e soggetti che rimangono estranei alla compagine
societaria, sono, come si è detto, in ogni caso chiamate a svolgere una
funzione accessoria rispetto al contratto di società e a consentire alle parti
(qui ai soli soci), “una ulteriore utilizzazione (per lo più atipica)
dell’organizzazione societaria”148, in altre parole, possono realizzare, per via
convenzionale, un risultato analogo ad una attribuzione non proporzionale
del voto.
Senza tralasciare, poi, che oltre le deroghe espressamente previste dall’art.
2351 cod. civ., il principio di proporzionalità risulta superato anche da altre
norme del codice civile e del T.U.F. finalizzate a tutelare altri interessi.
Esempi che bene rappresentano quanto sinora affermato sono rappresentati
dalla disposizione di cui all’art. 2451 cod. civ., ai sensi del quale alle società
di interesse nazionale si applicano le norme del codice civile
compatibilmente con le disposizioni di leggi speciali (quindi anche attinenti
all’esercizio del diritto di voto) e da quella di cui all’art. 2449, la quale
prevede che, nell’ipotesi in cui lo Stato o altri Enti pubblici abbiano una
148 Così, con puntuale riguardo ai patti parasociali però, C. ANGELICI, La costituzione della società per azioni, cit., 232.
83
partecipazione in una società per azioni, lo statuto della società possa
conferire loro la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci
ovvero componenti del consiglio di sorveglianza.
Vi sono poi ulteriori strumenti che, sempre nell’ottica della modulazione
extrastatutaria del diritto di voto, finiscono per incidere sulla regola di
proporzionalità, quali ad esempio, i gruppi piramidali, il levereged buyout,
etc.
Si tratta di congegni cui è riconosciuto senza alcun dubbio effetto, o per dir
così funzione, di leva, idonei, cioè a creare o ad aumentare il distacco fra
proprietà e controllo149.
Se non sembra ormai più dubitabile la ammissibilità dei sindacati di voto a
maggioranza, tanto nelle società quotate quanto in quelle chiuse150, se ne
può allora confermare che l’ordinamento societario ammette il reperimento,
sia pure per via extrastatutaria, del principio di proporzionalità applicato in
funzione della regola maggioritaria che presiede al governo della società
per azioni.
149 Cfr. sul punto F. D’ALESSANDRO, I patti parasociali dal codice civile alle recenti riforme, relazione al Convegno “Patti parasociali. Disciplina e predisposizione delle clausole” organizzato da Paradigma, Milano, 12 novembre 2002, dattiloscritto, 19 ss.; A. MIGNOLI, L’interesse sociale, in Riv. soc., 1958, 730 s.; E. MACRI’, Patti parasociali e attività sociale, cit., 23.
150 In questo senso, fra i molti, R. RORDORF, I patti parasociali e i sindacati di voto, in Le società, 2003, 19 ss.; R. TORINO, I contratti parasociali, Milano, 2000, 137; G. SEMINO, I patti parasociali nella riforma delle società di capitali, in Le società, 2003, 347; G. A. RESCIO, I sindacati di voto, in AA.VV., Trattato delle società , Colombo-Portale (a cura di), Torino, 1994, 485 ss.
84
La previsione di questa tipologia di limiti all’esercizio del diritto di voto e la
loro natura convenzionale, debbono fare tuttavia i conti con la esigenza di
tutela del mercato e dell’affidamento dei terzi nonché degli interessi della
società e di tutti gli altri soci che non sono riguardati dai medesimi accordi.
Si cerca così di evitare che l’attività sociale sia demandata a persone che
non hanno un reale interesse ad una buona gestione, o che addirittura
potrebbero nutrire interessi in senso contrario151.
Si vuol dire che il legislatore ha inteso per questa via assicurare l’esercizio
“diligente” dei poteri degli azionisti, al punto che esso ha preferito
disciplinare le modalità del detto esercizio anziché la “facilità
deliberativa”152. E’ stato, invero, riconosciuto che le regole di trasparenza in
materia di patti parasociali, unitamente alle regole in materia di corporate
governance introdotte dal T.U.F., hanno lo scopo di incentivare
l’investimento in capitale di rischio. Le dette regole, infatti, mirano ad
assicurare un maggiore grado di tutela agli investitori. Non è priva di
fondamento l’idea per la quale gli investitori, ed in particolare quelli
151 Tale evenienza era presente anche a G. OPPO, Contratti parasociali, cit., 7 ss. al quale si deve la tripartizione dell’intera fattispecie dei contratti parasociali in tre gruppi, secondo che i loro effetti si riferiscano esclusivamente ai soci sindacati; ovvero rivolti a procurare vantaggi alla società a carico dei soci; ovvero, infine, siano diretti ad incidere sulla società, eventualmente recandole pregiudizio.
152 Cfr. S. ROSSI, Il voto extrassembleare nelle società di capitali, Milano, 1997, 366.
85
istituzionali, siano maggiormente incentivati ad investire in una determinata
società quanto più ampie e tempestive siano le informazioni sulla stessa153.
Senza dire che la previsione di dette pattuizioni, a parere di taluni Autori154
poco coerente con il modello della public company, mette in risalto la
maggiore contendibilità delle relative società. La quale può essere
assicurata, come è noto, oltre che dalla possibilità di disporre secondo le più
diverse esigenze in momenti storici pure successivi, anche dall’induzione di
un controllo di tipo coalizionale, evidentemente e strutturalmente più debole
di quello che potrebbe essere esercitato da un socio unico.
Peraltro, ad assicurare la contendibilità non è punto sufficiente la disciplina
normativa, di cui agli artt. 2341-ter cod. civ. e 122 T.U.F., afferente alla
disclosure155, diretta a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo delle
s.p.a. aperte e peculiare dei patti parasociali.
In effetti, dalle considerazioni svolte resterebbero escluse tutte le altre
ipotesi di limitazione convenzionale del diritto di voto diverse dai patti
153 Come pure messo in evidenza da M. TONELLO, Sulla trasparenza delle operazioni di amministratori, alti dirigenti e azionisti strategici di società quotate. La questione della tempestività, in Contr. e impr., 2006, 1 s., seppure con riferimento esclusivo al mercato statunitense, questa trasparenza agevola anche i flussi informativi che consentono al mercato di incorporare nei prezzi dei titoli tutti i dati a disposizione.
154 Così P.G. JAEGER-P. MARCHETTI, Corporate governance, in Giur. comm., 1997, 636.
155 L’espressione è mutuata da E. MACRI’, Patti parasociali e attività sociale, Torino, 2007, 91.
86
parasociali e cioè non aventi scopo alcuno di quelli indicati all’art. 122
T.U.F. e all’art. 2341 cod. civ..
Comunque per tutte le fattispecie di limitazione convenzionale dovrebbe
potersi predicare l’avviso secondo il quale per esse si po’ parlare di efficacia
meramente obbligatoria156, e non anche di efficacia reale, propria del
contratto sociale. La violazione dei patti, pertanto, non incide sul contratto
sociale – al quale per oggetto o per competenza potrebbe inerire –, che
quindi gli rimane indifferente.
Essa comporta, soltanto, come già rilevato il risarcimento del danno causato
dall’inadempimento157.
La disciplina normativa dei patti parasociali, cui si è pure accennato sopra,
dedica alle società aperte alcune norme precise dirette, nell’intenzione del
legislatore, a contemperare l’esigenza di offrire più ampi spazi alla
autonomia privata dei soci con quella pure encomiabile di tutelare il mercato
e gli investitori cc. dd. istituzionali.
156 Riterrei che tale efficacia obbligatoria delle dette convenzioni non possa correttamente essere revocata in dubbio neanche con riguardo ai patti di voto cc. dd. ad efficacia reale, ove con l’espressione richiamata si intendano tutti quei patti muniti di clausole che impediscono al socio sindacato di violare il patto. Invero, se da un lato questa categoria di convenzioni di voto non permette ai soci sindacati, per la peculiare struttura che la caratterizza, di disporre in contrasto con l’obbligazione assunta, dall’altro comunque questa circostanza è e rimane estranea alla società.
157 Cfr. sul punto, fra i tanti, C. ANGELICI, La costituzione della società per azioni, cit., 232; G. SANTONI, Patti parasociali, cit., 25; F. GALGANO, La società per azioni, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, G. Galgano (diretto da), VII, Padova, 1984, 95.
87
La rilevanza delle fattispecie parasociali (soprattutto con riferimento ai
sindacati azionari di voto, che qui interessano) nella sfera sociale è stata fin
dall’origine presente alla riflessione della dottrina, seppure la molteplicità di
aspetti, non tutti funzionali alla presente analisi, ha alimentato non pochi
dubbi circa la configurabilità unitaria e omogenea della nozione158.
Infatti, al quesito, giusta la evidente eterogeneità di struttura e di funzione
delle diverse fattispecie che generalmente vengono ricomprese nell’ampio
genus, sembrerebbe doversi dare risposta negativa, ma questa è
evidentemente un’altra e diversa questione la cui soluzione esula
dall’economia della presente indagine.
Ad ogni modo, il riconoscimento normativo dell’incidenza dei patti
parasociali sulla struttura societaria159 ha confermato quanto dalla dottrina
era stato teorizzato160. Ha, cioè, tentato di risolvere la questione se sia da
estendere o meno ai patti parasociali il nucleo di normativa inderogabile
contenuto nel diritto societario. A fronte della indubbia incidenza dei patti
158 Cfr. G. SANTONI, Patti parasociali, cit., 15 e la bibliografia ivi riportata.
159 Soprattutto con riguardo alla stabilizzazione degli assetti proprietari o di controllo della stessa società.
160 Cfr. sul punto già T. ASCARELLI, La liceità dei sindacati azionari, in Riv. dir. comm., 1931, 262; Id., Limiti di validità dei sindacati azionari, in Studi in tema di società, Milano, 1952, 183, il quale, peraltro, riteneva che per essere validi i patti dovessero avere un oggetto ben determinato nella contrattazione e che quindi dovesse essere espressamente previsto per quali delibere il patto fosse stato concluso.
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parasociali nelle esperienze societarie161, si può ragionevolmente ritenere
che ai patti in discorso debbano essere applicate le norme di diritto
societario reputate inderogabili162. Ciò che costituirebbe, anzi, una
condizione generale di validità per le diverse specie di patti parasociali.
Altro avviso predicato, soprattutto dalla giurisprudenza, è quello per il quale
la validità dei patti parasociali deve essere apprezzata alla stregua della
nozione di interesse sociale dettata dall’art. 2373 cod. civ.163. Tale avviso
non è stato a ragione condiviso dalla dottrina maggioritaria164 poiché vi sono
ipotesi in cui tali patti non riguardano l’interesse della società, come nel
caso del patto concluso dai soci che stabilisca una ripartizione degli utili o
delle perdite diversa da quella prevista dal contratto di società165. Vero,
però, è che seppure la validità di non tutti i patti parasociali possa
correttamente essere commisurata all’interesse sociale, tuttavia tutti i patti
161 Sull’incidenza dei patti parasociali sulla società v. F. FERRARA-F. CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, 2006, 397.
162 Dello stesso avviso propugnato nel testo v. D. U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 51; ma già D. CORAPI, Gli statuti delle società per azioni, Milano, 1971, 186 s., in cui l’autore fonda l’estensione delle norme inderogabili del diritto societario ai patti parasociali sulla frode alla legge; G. SANTONI, Patti parasociali, cit., 9, al quale si rinvia per gli approfonditi riferimenti bibliografici e i richiami giurisprudenziali.
163 Cfr, R. PROVINCIALI, Contratti sociali e parasociali, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1962, 1334 s.; G. RAGUSA MAGGIORE, Contratto parasociale sostitutivo della procedura di scioglimento della società?, in Dir. fall., 1970, 457 ss.
164 G. SANTONI, Patti parasociali, cit., 20;
165 L’esempio riportato nel testo è stato mutuato da G. SANTONI, Patti parasociali, cit., 20.
89
parasociali, per essere validi, devono stimarsi alla luce e sotto il riflesso
della loro compatibilità con il detto interesse.
Di detto limite si apprezza l’importanza e la funzionalità sol che si pensi alla
atipicità166 della fattispecie “patti parasociali”, ricavata dalla lettura del
combinato disposto degli articoli 2341-bis cod. civ. e 122 T.U.F. ed alla
conseguente necessità di valutare ed apprezzare la validità della singola
fattispecie.
Non si può tralasciare, invero, quale sia la funzione dei patti in discorso,
cioè quella di rendere più elastica la struttura tipica delle società cui tali patti
afferiscono167, senza, ovviamente, stravolgerne la causa e senza contrapporsi
alle norme imperative relative al singolo tipo di società.
Di contro, non si potrebbe prefigurare un limite, per i sindacati azionari di
voto di società quotate, nel requisito della stabilizzazione degli assetti
proprietari e di governo della società, introdotto per le società chiuse dal
d.lgs. n. 6/2003 che ha portato l’introduzione dell’art. 2341-bis cod. civ.
L’applicabilità del limite in discorso è preclusa alle società quotate dal
disposto di cui all’art. 122, co. 5, T.U.F., come novellato dal successivo d.
166 Contra S. MAZZAMUTO, I patti parasociali: una prima tipizzazione legislativa, in Contr. impr., 2004, 1090, il quale propende per la tipizzazione dei patti in seguito alla riforma del diritto societario.
167 Nello stesso senso, v. autorevolmente, B. LIBONATI, Riflessioni critiche sui sindacati di voto, in Riv. dir. comm., 1989, 522, in cui è affermata la capacità dei sindacati azionari di personalizzare il rapporto sociale; F. GUERRERA, Abuso del voto e controllo <di correttezza> sul controllo deliberativo assembleare, in Riv. soc., 2002, 266, il quale ne sottolinea, per le ragioni messe in evidenza, l’importanza.
90
lgs. n. 37/2004, che espressamente dispone che “ai patti di cui al presente
articolo non si applicano gli articoli 2341-bis e 2341-ter del codice civile”.
Invero, aldilà del dato esegetico, che non pare dubbio, sembrerebbe far
propendere per questa ricostruzione la autonomia che il legislatore ha voluto
lasciare alle società quotate, intervenendo con norme imperative esplicite
ove ha ritenuto che vi fossero interessi meritevoli di tutela diversi rispetto
alle società chiuse168. Nell’ipotesi ora trattata, per giunta, non si può
trascurare che l’intervento “correttivo” di restilyng al testo dell’art. 122
T.U.F. è stato peraltro successivo all’introduzione di questo limite per le
società chiuse.
Ancora e sempre, con riguardo ai sindacati azionari, limitativi del diritto di
voto nelle società quotate, è stata pure formulata in dottrina169 e in
giurisprudenza170 la tesi dell’invalidità dei sindacati azionari di voto cc. dd.
a maggioranza. L’avviso si fondava sulla circostanza che gli accordi così
organizzati sarebbero stati forieri dello scollamento fra potere e rischio, che
si è da sempre cercato di rifuggire per le ragioni sopra esposte171.
168 Contra, però, E. MACRI’, Patti parasociali e attività sociale, cit., 76 s.
169 Per tutti, S. GATTI, La rappresentanza del socio in assemblea, Milano, 1975, 174 ss.; T. ASCARELLI, Limiti di validità dei sindacati azionari, cit., 183; E. VALSECCHI, Osservazioni in tema di sindacato azionario, in Riv. dir. comm., 1950, 331 ss.
170 In giurisprudenza tale tesi è stata per vero seguita da Cass. 31 luglio 1949, n. 2079, che a vero dire è stata oggetto di limitate adesioni in dottrina.
171 V. sul punto infra, cap. I.
91
L’avviso non può essere condiviso, soprattutto alla luce della riforma del
diritto societario. Ed invero, seppure con le dovute ed illustrate limitazioni,
la riforma ha opportunamente operato per dir così una modernizzazione del
diritto societario riconoscendo la facoltà alla autonomia privata di inserire
nello statuto clausole che, per un verso, escludono alcuni soci dalla suddetta
attività attraverso la creazione di azioni a voto limitato o condizionato o
addirittura senza diritto di voto e, per altro verso, fanno partecipare non soci
alla medesima attività, autorizzando l’emissione di strumenti finanziari
partecipativi diversi dalle azioni, ma forniti di diritto di voto su specifici
argomenti o addirittura del potere di nominare componenti indipendenti
degli organi amministrativi e di controllo, di cui all’art. 2351, ult. co., cod.
civ. Si è cercato, in altre parole, di garantire un maggior grado di autonomia
privata e l’avviso contrario si porrebbe, all’evidenza, in contrasto con tale
ratio.
Senza dire, ancora, che la tesi qui propugnata della ammissione dei sindacati
azionari a maggioranza sarebbe suffragata anche dalla disposizione di cui
all’art. 93, co. 1, T.U.F., che ha incluso fra le ipotesi di controllo societario
anche quella in cui un singolo socio, sulla scorta degli accordi con altri soci,
dispone da solo di tanti voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante
nell’assemblea ordinaria della società. In definitiva, la disposizione
riconosce validità ai sindacati azionari deliberanti a maggioranza.
La pratica negoziale conosce diverse fattispecie di patti deliberanti a
maggioranza fra i quali si ricordano quelli per cui la maggioranza è
92
computata per teste, quella per cui, invece, essa viene calcolata sulla base ed
in ragione del possesso azionario, quella, peraltro diffusa, per la quale si
addiviene alla nomina di un comitato direttivo che a sua volta delibererà a
maggioranza, per teste ovvero sulla scorta della partecipazione sociale.
La autonomia privata, le esigenze che di volta in volta si manifesteranno ai
soci, e la fantasia degli operatori potranno, dunque, nel caso concreto
confezionare fattispecie di patti azionari più confacenti alle singole
esigenze, che limitino, il più delle volte vincolandolo, l’esercizio del diritto
di voto.
8. segue. Il contratto di riporto e i contratti derivati.
Il diritto di voto nelle società quotate può anche essere limitato o costituire
oggetto di disposizione mediante il ricorso allo schema classico del
contratto di riporto o attraverso la negoziazione di strumenti derivati172.
Secondo l’art. 1548 cod. civ., il riporto è il contratto con il quale il riportato
trasferisce in proprietà al riportatore titoli di credito di una data specie per
un determinato prezzo. In forza del patto il riportatore assume l’obbligo di
172 Per una analisi approfondita della fattispecie, si rinvia alle due opere monografiche di F. CAPUTO NASSETTI, I contratti derivati finanziari, Milano, 2007, passim; E. GIRINO, I contratti derivati, Milano, 2010, passim.
93
trasferire al riportato, alla scadenza pattuita, la proprietà di altrettanti titoli
della stessa specie verso rimborso del prezzo, salvo aumento o diminuzione
convenuta.
Come noto, la funzione del contratto di riporto173 è essenzialmente quella di
un prestito garantito e può attuarsi in due modi: mediante la traslazione di
titoli da parte di persona che comunque non intenda privarsi definitivamente
della loro proprietà, o mediante la traslazione di titoli a persona che non
intenda acquistarli in via definitiva. In ogni caso è dato assistere al
passaggio, ancorché provvisorio, all’un tempo della titolarità del titolo e del
diritto di voto. Al fondo, la causa del contratto è nel trasferimento del diritto
di partecipazione alla assemblea e del diritto di esercitare il voto.
Altra e diversa questione è quella se al contratto di riporto vero e proprio
possono accompagnarsi delle clausole accessorie nel senso che le parti
possano predeterminare il contenuto e le modalità del voto.
Quanto ai contratti derivati, il loro ambito è volutamente amplissimo e tale
da ricomprendere al suo interno tutti i contratti finanziari che consistono
173 V. in argomento la copiosa letteratura, per la quale si rinvia a C. VIVANTE, Il contratto di riporto, in Riv. dir. comm., 1925, spec. 97, dove se ne esclude la riconducibilità ai contratti differenziali; F. MESSINEO, Il contratto di borsa per contanti, in Operazioni di borsa e di banca, Milano, 1954, 5 ss.; A. DALMARTELLO, Adempimento e inadempimento nel contratto di riporto, Milano, 1955, 91 ss.; L. BIANCHI D’ESPINOSA, Il contratto di borsa. Il riporto, in AA.VV., Cicu-Messineo (a cura di), Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 1969, 147 ss.; O. CAGNASSO, Il Riporto, in AA. VV., Trattato di dir. priv., P. Rescigno (diretto da), vol. XI, Torino, 1984, p. 373; G. COTTINO, Del riporto. Della permuta., in AA. VV., Commentario al codice civile, Scialoja-P. Branca (a cura di), Bologna-Roma, 1970,18 e ss.; A. SERRA, I contratti di borsa a premio, Milano, 1971, 79 ss.;
94
nella negoziazione a termine di una entità economica (i.e. il diritto di voto) e
nella valorizzazione della differenza economica che intercorre fra il prezzo
del voto al momento della stipulazione ed il suo valore economico alla
scadenza pattuita174 per l’esecuzione175. Invero, come noto, i derivati
possono avere ad oggetto entità suscettibili di valutazione economica di
varia natura e specie, anche grandezze economiche incorporali.
Elementi dunque centrali per la configurazione di un derivato sono il fattore
tempo, l’aspettativa speculativa e l’alea176. Fattori, questi ultimi, che spesso
hanno fatto ritenere che il derivato potesse essere fatto rientrare nella portata
applicativa dell’art. 1933 cod. civ., in quanto assimilabile alla scommessa.
Non è stato difficile individuarne, però, la vera essenza e confutare tale
tesi177.
Ovviamente, anche per i derivati che abbiano ad oggetto l’esercizio del
diritto di voto nelle delibere assembleari, in ragione della tutela e della
garanzia dell’informazione di controparte a livello microeconomico e del
buon funzionamento dei mercati finanziari a livello macroeconomico, vige
la regola per la quale essi devono essere negoziati da intermediari
174 Ne risulta, quindi, di facile lettura rinvenirne la differenza con i contratti a termine, nei quali il differenziale è l’effetto dell’accordo, non l’oggetto, come nei contratti derivati.
175 Cfr. E. GIRINO, I contratti derivati, cit., 8 s.
176 Il riferimento è ancora a E. GIRINO, I contratti derivati, cit.,
177 V. già G. VALENZANO, I contratti differenziali di borsa su divisa estera, Roma, 1929, 23; e, più di recente, E. GIRINO, I contratti derivati, cit., 38.
95
professionali. Il referente normativo è l’art. 58, co. 1, reg. Consob n.
16190/2007, il quale stabilisce che la Consob individua con regolamento “le
norme di condotta che non si applicano ai rapporti fra soggetti abilitati che
prestano i servizi di cui all’articolo 1, comma 5, lettere a), b), ed e), e
controparti qualificate, intendendosi per tali: 1) le imprese di investimento,
le banche, le imprese di assicurazioni, gli OICR, le SGR, le società di
gestione armonizzate, i fondi pensione , gli intermediari finanziari iscritti
negli elenchi dagli articoli 106, 107 e 113 del testo unico bancario, le società
di cui all’art. 18 del testo unico bancario, gli istituti di moneta elettronica, le
fondazioni bancarie, i Governi nazionali e i loro corrispondenti uffici,
compresi gli organismi pubblici incaricati di gestire il debito pubblico; 2) le
imprese la cui attività principale consiste nel negoziare per conto proprio
merci e strumenti finanziari derivati su merci; 3) le imprese la cui attività
esclusiva consista nel negoziare per conto proprio nei mercati di strumenti
finanziari derivati e, per meri fini di copertura, nei mercati a pronti, purché
esse siano garantite da membri che aderiscono all’organismo di
compensazione di tali mercati, quando la responsabilità del buon fine dei
contratti stipulati da dette imprese spetta ai membri che aderiscono
all’organismo di compensazione di tali mercati; 4) le altre categorie di
soggetti privati individuati con regolamento della Consob, sentita la Banca
d’Italia, nel rispetto dei criteri di cui alla direttiva 2004/39/CE e alle relative
misure di esecuzione (…)”. E’ pure operatore qualificato ogni società in
possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni
96
in strumenti finanziari, secondo la definizione offerta dall’art. 31, co. 2, reg.
Consob n. 11522/1998, che pure si espone a non poche critiche, anche
perché tali parametri tendono ad essere parametri variabili nel tempo178.
Anche i contratti derivati possono assolvere, dunque, alla funzione di
scomporre il diritto di voto dai diritti patrimoniali. Si ricorre in queste
ipotesi con maggiore frequenza alle figure del direct (or indirect) hedge, ai
contratti collars o ancora a equity swaps. Questi ultimi, in particolare,
consentono ad una parte (cd. long part) di detenere i diritti delle azioni che
abbiano contenuto patrimoniale e di vedersi riconosciuto un certo tasso di
interesse per la cessione appunto del diritto di voto e ad una altra parte (cd.
short part) di esercitare, a fronte del corrispettivo pagato, il diritto di voto.
Relativamente ai contratti derivati che abbiano ad oggetto la disposizione
del diritto di voto si deve però rivedere la tesi per cui lo strumento dopo la
creazione acquista autonomia perfetta ed assoluta179. Invero, non si può
tralasciare di considerare la natura di titolo di credito a causalità forte del
titolo azionario al quale il voto afferisce. Saranno, dunque, prevalenti il
contratto di società e il relativo statuto, ma nei rapporti fra le parti del
contratto, non potendosi riconoscere anche a queste fattispecie contrattuali
178 La giurisprudenza in materia di operatore qualificato (da ultimo Cass. n. 12138/2009) si occupa soprattutto della valenza giuridica da attribuirsi alla certificazione del rappresentante legale di una società attestante che essa è operatore qualificato. In argomento v. anche V. SANGIOVANNI, Conclusione di contratti derivati e responsabilità degli amministratori, in Le Società, 2010, 31 s.
179 Fra i tanti, ancora, E. GIRINO, Contratti derivati, cit., 22.
97
efficacia reale, si potrà avere diritto esclusivamente al risarcimento del
danno.
Si era anche predicata una possibile sussunzione dei contratti derivati
nell’alveo della categoria contrattuale del riporto, soprattutto con particolare
riguardo alla fattispecie del domestic currency swap ovvero alla altra
fattispecie di interest rate future su titoli di credito. Con riferimento ad
entrambe le fattispecie sembra sia da preferirsi la soluzione negativa. Ed
invero, con riguardo al d.c.s. non può non rilevarsi una differenza di
oggetto, il contratto di riporto avendo ad oggetto, per espressa disposizione
normativa, titoli di credito e il d.c.s., invece, una valuta estera180. Con
riferimento, invece, all’interest rate future, si deve considerare il fattore
tempo, ricordando che il riporto rappresenta una vendita a pronti di titoli con
contestuale assunzione dell’obbligo alla rivendita alla scadenza degli stessi
titoli al prezzo pattuito, il future non conosce questa duplicità di operazioni,
consistendo, invece, in un impegno a compravendere alla scadenza
prestabilita (solo il differenziale).
Al di là, di queste differenze peculiari con le diverse fattispecie prese in
esame, in generale i contratti derivati non possono correttamente inquadrarsi
180 La soluzione prospettata nel testo è condivisa anche da R. CAVALLO BORGIA, Nuove operazioni dirette all’eliminazione del rischio di cambio, in Contratto e impresa, 1988, 399, seppure l’autore vi perviene attraverso un diverso percorso argomentativo che si fonda sulla diversità e sulla maggiore articolazione dell’operazione di d.c.s., diretta, da un lato, a fornire moneta estera contro prezzo e, dall’altro, ad apprestare cautele contro il rischio di cambio.
98
nella fattispecie codicistica del contratto di riporto, stante la differenza della
causa. Come è stato rilevato, il derivato non implica una duplicità di
operazioni e pone ad oggetto un differenziale incerto di mercato, laddove il
riporto mira ad una differenza di prezzo, ma questa è certa e stigmatizzata
nella previsione pattizia.
Al fondo, la scomposizione del diritto di voto dalla proprietà delle azioni181,
per il tramite della vendita di detto diritto, non sembra comportare la
violazione dell’art. 2351 e sembra quindi doversi correttamente contemplare
nell’alveo delle operazioni speculative dei soci o di altri soggetti, in quanto
rientranti nell’autonomia privata.
Altra questione è poi se per il tramite di questi negozi le parti intendono
aggirare l’osservanza di norme cogenti, quale, ad esempio, il divieto di
esercizio di voto per conflitto di interessi. Si tratterà, in questi casi, di
valutare ed apprezzare la causa del singolo contratto ed all’uopo predisporre
soluzioni rimediali.
181 V. l’autorevole lavoro di P.G. JAEGER, Il voto divergente nelle società per azioni, Milano, 1982, 183; ma soprattutto, Id., Ammissibilità e limiti dell’accordo di <cessione> del voto in cambio di corrispettivo (con considerazioni in merito alla c.d. <vendita del voto>), in Giur. comm., 1997, II, 237 ss.; E. SCIMENI, La vendita del voto nelle società per azioni, Milano, 2003, spec. 33 ss.; D. PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici (in particolare caps, floors, swaps, index futures), in Riv. comm. int., 1992, 171.
99
Capitolo terzo
LE PROSPETTIVE RIMEDIALI.
SOMMARIO: 1. La tutela obbligatoria. – 2. La tutela reale: suoi limiti. –– 3. segue. Ipotesi di tutela giurisdizionale. – 4. La tutela degli azionisti senza diritto di voto. Il principio di buona fede. – 5. La legittimazione. – 6. La regola di neutralizzazione e la sua ricezione nel diritto comunitario. – 7. segue. Il rapporto con l’emissione di azioni speciali e con gli atti dispositivi del diritto di voto.
1. La tutela obbligatoria.
Si deve a questo punto affrontare la tematica delle prospettive rimediali e
delle eventuali azioni giurisdizionali da invocare a tutela dei diritti dei soci.
Come si è cercato di mettere in evidenza nelle pagine che precedono, i
soggetti che agiscono nei mercati finanziari sono soggetti privati, o
comunque soggetti che agiscono iure privatorum, e che perciò fanno i
propri interessi. Questo però non significa certo che essi siano liberi di fare
ciò che vogliono: anche le contrattazioni fra privati infatti sono sottoposte al
rispetto di regole giuridiche. Vero è comunque che il principio di fondo che
informa di sé la disciplina dei contratti, anche in questo ambito, come si è
100
pure rilevato, è e rimane quello della autonomia negoziale182, con i soli
limiti generalissimi del rispetto del canone del principio di buona fede e
della necessità di incanalare le eventuali azioni a tutela dei propri diritti nel
solco delle disposizioni che regolano il processo civile183.
Queste considerazioni, seppur banali, valgono non di meno per i mercati
finanziari. Ed invero qui, gli interessi dei singoli contraenti (così si leggano
anche i rapporti fra i diversi soci della società) dovranno confrontarsi e
coesistere con interessi per dir così di natura superindividuale, quali
l’interesse alla stabilità e quello al corretto funzionamento dei detti mercati,
che talvolta, oltre a concorrere con quelli individuali dei singoli operatori, li
assorbe in sé, tanto da rendere all’uopo necessaria una più rigorosa
regolamentazione e, conseguentemente, un regime di controlli e di
sanzioni184.
E nel quadro così delineato non può certo sfuggire che uno degli elementi
portanti ed imprescindibili delle moderne società è la cosiddetta economia
di mercato, la cui osservanza si fa dipendere, ora più che mai, da fattori
182 Il tema del rapporto fra l’autonomia privata, che si esplica essenzialmente sul piano negoziale, ed i limiti posti dall’ordinamento a tutela di interessi ritenuti generali ha da sempre attratto l’attenzione della dottrina. Per tutti si vuole qui richiamare il recente A. CATAUDELLA, I contratti – Parte generale, Torino, 2009, 8 ss.
183 Cfr. in questo senso anche R. RORDORF, Sanzioni amministrative e tutela dei diritti nei mercati finanziari, in Le società, 2010, 981.
184 Sulle esigenze di natura economica che giustificherebbero la speciale regolamentazione dei mercati finanziari e sulle diverse possibili soluzioni si rimanda a R. COSTI – L. ENRIQUES, Il mercato mobiliare, in AA. VV., Trattato di diritto commerciale, G. Cottino (diretto da), Padova, 2004, 5 ss.
101
sovranazionali, manifestando all’un tempo la volontà di svincolarsi da un
regime di interventi e di controlli unicamente imperniati sul diritto interno.
Restando, tuttavia, nell’ambito del diritto nazionale, è agevole constatare
che alle diverse e più disparate patologie che possono evincersi nel mercato
finanziario corrispondono altresì forme diverse e molteplici di reazione
dell’ordinamento. Accanto alle tradizionali forme di tutela civilistica185,
sempre attuali e sulle quali si tornerà nel prosieguo, devono affiancarsi
strumenti coniati dal diritto penale o appartenenti all’ambito del diritto
amministrativo.
La compresenza di strumenti di reazione a disposizione dei privati e di
strumenti azionati dalla pubblica autorità non deve certo sorprendere, ove si
abbia presente quanto sopra osservato in ordine all’intreccio di interessi
privati e dell’interesse pubblico nel funzionamento dei mercati finanziari e
nella loro regolamentazione. Altro e diverso discorso deve farsi, poi, con
riferimento al modo in cui essi si intersecano, talvolta sovrapponendosi, che
contribuisce a creare non pochi problemi e a fare dei mercati regolamentati
185 Alle quali, secondo taluni Autori [v. in questo senso, per tutti, C. ANGELICI, Soci e minoranze nelle società non quotate, in Attività ed organizzazione. Studi di diritto delle società, Torino, 2007, 146; già pubblicato in AA. VV., La riforma delle società per azioni non quotate, M.Porzio-M. Rispoli Farina-G. Rotondo (a cura di), Milano, 2000], potrebbero aggiungersi - limitatamente alle società che fanno appello al pubblico risparmio - le azioni collettive a disposizione del consumatore, di recente introduzione all’art. 140 bis del codice del consumo, con riferimento alla trattazione delle quali si rinvia, fra i tanti, a G. COSTANTINO, La tutela collettiva risarcitoria 2009: la tela di Penelope, in Foro it., 2009, 388 ss.; Id., Il nuovo volto della class action, ivi, 2009, 383 ss.; STELLA, L’enforcement nei mercati finanziari, Milano, 2008, 233 ss.
102
una di quelle zone grigie in cui è difficile tracciare con precisione il confine
fra tutela di diritto privato e diritto pubblico186.
Ora, per quanto interessa alla presente indagine deve rilevarsi che le
modulazioni al diritto amministrativo di voto dei soci, e la sua soppressione,
pongono problemi di non poco conto, da un lato, con riferimento al
possibile ed eventuale conflitto in ordine all’interesse sociale, e quindi al
conflitto potenzialmente configurabile fra i soci con diritto di voto e i soci
che a qualsiasi titolo hanno disposto di tale diritto, e, dall’altro lato, con
riferimento alla efficacia di tali patti limitativi del diritto in discorso. In altre
parole si pongono, all’evidenza, due diversi ordini di esigenza di tutela. Per
altro verso, si pone ancora187 la questione di che tipo di tutela possano avere
i soci che abbiano negoziato il diritto di voto con atti dispositivi, la cui
ammissibilità abbiamo pure dimostrato nel capitolo precedente, in virtù
proprio della riconosciuta ed affermata autonomia negoziale ovvero i soci
aderenti alle convenzioni di voto.
E sembra porsi, sempre, la questione se per la tutela di tutti questi interessi
non sia eccessivo un rimedio per dir così invalidante (che rischierebbe di
186 Sulla possibilità di tenere ferma la distinzione fra diritto pubblico e diritto privato, sulle oscillazioni di significato che dette espressioni hanno avuto nel tempo e sull’alterna tendenza a privilegiare ora l’uno ora l’altro, a seconda dei momenti storici, sono ancora attuali le considerazioni di S. PUGLIATTI, voce <Diritto pubblico e privato>, in Enc. dir., XII, 696 ss.
187 La questione è, infatti, nota alla dottrina dagli albori. In tal senso confronta le tuttora attuali pagine di G. OPPO, Contratti parasociali, cit., loc. cit., che lo risolve riconoscendo ai patti parasociali esclusivamente la tutela obbligatoria.
103
travolgere una intera operazione e che quindi, qualora riconosciuto anche in
base al possesso azionario di una singola azione, potrebbe dar comunque
vita ad un evidente squilibrio nel calcolo costi-benefici di chi propone
l’azione, rappresentando per questa via un incentivo per comportamenti
opportunistici) o non ci si debba direttamente volgere a quei profili
patrimoniali e, perciò, su un altro e diverso piano, latu sensu risarcitorio188.
Cioè la tutela dei soci che non abbiano (più) il potere di voice nei confronti
di coloro che, avendolo, potrebbero determinare le sorti dell’organismo
sociale volgendolo al proprio esclusivo interesse, in danno di quei soci che
tale potere non hanno.
Con riferimento alla prima questione vi è da fare preliminarmente la
distinzione fra mezzi di tutela obbligatoria o risarcitoria, e mezzi di tutela
cc. dd. reali.
A dire il vero, nelle pagine che precedono si è avuto modo di accennare alla
tutela dei diritti dei soci. A questo punto è d’uopo prendere in
considerazione specificamente il problema.
188 Ipotesi del genere sono per vero contemplate nel nostro ordinamento laddove, trattandosi di tutelare interessi del socio di natura patrimoniale, la soluzione risarcitoria risulta perfettamente in grado di assorbire quella invalidante, non costituendo per il socio stesso alcun nocumento.
104
La dottrina maggioritaria189 è dell’avviso che l’unica forma di tutela nei
casi di patti parasociali che ci riguardano sia la tutela risarcitoria. Anche se
non manca di riconoscere che, per certi aspetti, trattasi di una forma di tutela
per dir così deminuta, che potrebbe magari essere di volta in volta rinforzata
con opportuni accorgimenti.
La tutela obbligatoria è posta a protezione dei diritti dei soci e consiste nella
insorgenza, in capo all’autore del fatto lesivo, dell’obbligo, meglio della
obbligazione, di risarcire il danno.
L’affermazione merita più articolate argomentazioni. Da un lato si tratta di
individuare con la maggiore approssimazione possibile, l’ambito dei diritti,
possibili oggetto di lesione. Dall’altro lato, occorre definire quali possono
essere e in che cosa possono consistere i cc.dd. fatti lesivi.
Si è ben consapevoli che il rimedio in discorso non è né il migliore né il più
efficace. Ma la soluzione delle questioni appena poste potrebbe concorrere
ad una certamente più soddisfacente risposta.
Quando si fa riferimento ai diritti oggetto possibile di lesione si fa parola
senz’altro dei diritti nascenti per il socio da singole determinate convenzioni
o, se queste mancano, si fa riferimento ad un più generico interesse, detto
altrimenti, diritto soggettivo del socio all’ottimale funzionamento del
meccanismo sociale. Dunque diritto soggettivo del socio di natura
189 Cfr. per tutti G. OPPO, Contratti parasociali, cit., 129 s.; e più di recente L. SCHIUMA, Controllo, governo e partecipazione al capitale, cit., .
105
convenzionale o comunque diritto soggettivo del socio al corretto
funzionamento della società.
I fatti lesivi di detti diritti sono costituiti ovviamente dai comportamenti
posti in essere dai soggetti che possono esercitare, a vario titolo, il diritto di
voto. Questi soggetti possono, così, rendersi autori della violazione dei
diritti soggettivi di natura convenzionale o del diritto soggettivo al buon
funzionamento della società.
A questo punto è da soggiungere che, come si è accennato, la tutela
obbligatoria non è perfettamente esaustiva. Essa, infatti, comporta soltanto il
risarcimento del danno e risulta fortemente limitata giacché, oltre al
risarcimento del danno, non è diretta ad intaccare la validità, la integrità e la
efficacia dell’atto. L’atto si conserva e produce tutti i suoi effetti naturali:
esso siccome lesivo dei diritti del socio può portare soltanto al risarcimento
del danno da questi provocato.
All’evidenza, viene costruita una categoria affatto ibrida, che può non
trovare riscontro in altri istituti di teoria generale. Ci si potrebbe chiedere,
infatti, come e perché un atto valido ed efficace possa portare al
risarcimento del danno. E’ a tutti noto che il risarcimento per via
contrattuale e quello per via extra-contrattuale comportano sempre la
presenza e la incidenza di un illecito. In questi casi, invece, l’illecito viene
negato per definizione, a meno di non ritenere che l’atto, pur concretando un
106
illecito, resta integro, valido ed efficace e comporta soltanto il risarcimento
del danno.
La superiore considerazione si coniuga perfettamente con l’altra, secondo la
quale la tutela obbligatoria non concreterebbe una tutela piena ed esauriente.
La constatazione è dovuta all’ibridismo della costruzione di una categoria di
atti validi ed efficaci e tuttavia prodromo di risarcimento del danno.
Al riguardo, si potrebbe tentare di comporre l’apparente contrasto
assumendo che la illiceità potrebbe non riguardare l’atto in sé, ma
riguardare i suoi effetti nocivi. Il socio o il soggetto avente diritto di voto
potrebbe porre in essere, come pone in essere, un atto valido ed efficace e
comunque con detto atto arrecare pregiudizio alle ragioni del socio per cui
esercita il diritto di voto.
Al fondo si staglia un ragionevole compromesso, reso necessario ancor di
più dalla esigenza di tutela del mercato finanziario e della sua efficienza: per
questi interessi dei singoli soci si sarebbe rivelato forse eccessivo un
rimedio per dir così invalidante, con il conseguente travolgimento di una
intera operazione di delibera assembleare, ritenendo più opportuno spostare
quindi la tutela su un piano meramente risarcitorio. Si vuol dire che la tutela
risarcitoria mira a ristorare il socio dei pregiudizi da lui sofferti, ma ha
riguardo alla superiore esigenza di rispetto dell’interesse sociale, che si situa
su un piano superiore rispetto a quello sul quale si situano i singoli diritti
individuali dei soci.
107
2. La tutela reale: suoi limiti.
Simmetrica alla tutela risarcitoria è la tutela c.d. reale. Questa forma di
tutela ha lo stesso oggetto della forma di tutela risarcitoria: anch’essa può
riguardare diritti soggettivi del socio di carattere convenzionale e il diritto
del socio all’interesse sociale.
La differenza di fondo fra i due diversi tipi di tutela sta in ciò, che la tutela
reale va a cadere, diversamente dalla tutela risarcitoria, sulla validità e sulla
efficacia dell’atto. Questo non si conserva integro, valido ed efficace, ma, in
via di tutela, può addirittura travolto.
Uno dei problemi di particolare rilevanza si pone a proposito del rapporto
fra il patto parasociale o l’atto di autonomia privata con il quale si dispone
nelle misure più diverse del diritto di voto e il contratto sociale. La tutela
può riguardare le vicende del patto parasociale o dell’atto, ma non può,
secondo il tradizionale insegnamento190, giungere fino ad inficiare o in
qualunque misura a riguardare le vicende del contratto sociale191. Il diverso
190 In questo senso, ex multis, G. OPPO, Contratti parasociali, loc. cit.; G. COTTINO, Le convenzioni di voto nelle società commerciali, Milano, 1958, 263 ss.; e più di recente L. SCHIUMA, Controllo, governo e partecipazione al capitale, Padova, 1997, 96, la quale ritiene che la tutela obbligatoria, ossia da risarcimento del danno, possa in via esclusiva assistere i sindacati di voto.
191 Seppure, secondo C. ANGELICI, Le basi contrattuali della società per azioni, in Tipo – Costituzione – Nullità, nel Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Torino, 2004, 143 ss., non tutto ciò che viene inserito nello statuto può essere considerato
108
avviso, peraltro pure proposto di recente in dottrina, porterebbe alla assurda
conclusione che i soggetti che negoziano i patti parasociali potrebbero
determinare il destino del contratto e quindi le sorti della società.
Trattasi di una tutela sicuramente molto più completa perché non si limita a
disporre il risarcimento del danno, ma arriva (o può arrivare) alla
demolizione integrale dell’atto.
E’ questa la buona e sufficiente ragione perché si possano e si debbano
nutrire perplessità circa la predicabilità di detto tipo di tutela. La incidenza
che detta forma di tutela può assumere o può avere sui patti comporta lo
stravolgimento dell’assetto eventualmente voluto dalla convenzioni, perché
non si tratta di lasciare in vita l’atto e ripararne gli effetti pregiudizievoli,
quanto si tratta piuttosto di colpire l’atto nella sua essenza.
L’avviso di cui sopra non risulta essere smentito neppure da quanto
autorevolmente proposto192 nel senso che “una ripercussione reale delle
vicende del negozio accessorio sulla posizione delle parti nella società è in
principio esclusa: una tale ripercussione potrà aversi solo in qualche ipotesi
e precisamente in quanto tutti i soci siano al tempo stesso soggetti del
rapporto accessorio”.
sociale ed avere portata reale e non obbligatoria, soprattutto laddove vengano incrinate le fondamenta tipologiche della struttura societaria prescelta.
192 Il riferimento è ancora e sempre a G. OPPO, Contratti parasociali, cit., 85 s.
109
Si pone così il problema concernente la efficacia da riconoscere ai patti
conclusi fra tutti i soci193. In tal caso, poiché tutti i soci sono paciscenti e
poiché la tutela reale è quella sicuramente più efficace, si tratta di verificare
se si possa applicare detto tipo di tutela.
Né, d’altro canto, nel caso preso in esame sono avvertite le esigenze di
bilanciamento e di tutela che giustificano, se non richiedono, in tutti gli altri
casi l’applicazione della tutela obbligatoria. Se le considerazioni che
precedono sono corrette, come sembra, non rileva allora il tipo di società
alle quali risulti applicabile il tipo di tutela reale, seppure alle condizioni
illustrate. La ricostruzione che si è prospetta, invero, e che la giurisprudenza
ha espressamente omologato in talune recenti pronunce con riguardo alle
sole s.r.l., pare possa correttamente estendersi anche ai casi in cui il patto
parasociale sia stipulato fra tutti i soci di una s.p.a. In tal caso, sempreché
l’esecuzione del patto che coinvolge tutti i soci non incide su terzi non soci
è difficile sostenere che non sussistano le medesime esigenze di correttezza
nei rapporti che giustificano il riconoscimento di una efficacia del contratto
parasociale su quello sociale.
In tal caso, come è stato pure sottolineato, il collegamento fra contratto
sociale e patto parasociale sembra poter assumere veste bilaterale194.
193 Per la primigenia analisi del problema posto nel testo v. G. SANTINI, Esecuzione specifica di accordi parasociali?, in Archivio Giuridico Filippo Serafini, 1968, 487 s.
194 Cfr. nel senso espresso nel testo G. LENER, Profili del collegamento negoziale, Milano, 1999, 5; L. SAMBUCCI, Patti parasociali e fatti sociali, Milano, 2005, 34 s.; R.
110
3. Ipotesi di tutela giurisdizionale.
Di recente è stato proposta a proposito della tutela dei diritti di coloro che
partecipano ad un patto parasociale e di quei soggetti che abbiano stipulato
un contratto dispositivo del diritto di voto la possibilità di agire o per via di
tutela costitutiva o, addirittura, per via di tutela di urgenza. In particolare, è
stato ritenuto che “non si può, a priori, escludere la possibilità di una
esecuzione in forma specifica del vincolo parasociale (specie di voto)”195.
La tesi riportata giustifica il ricorso alla tutela costitutiva e quello alla tutela
di urgenza sull’assunto che, da un lato, non si tratterebbe di coartare la
volontà di un soggetto, ma soltanto di dare esecuzione ad un precedente
impegno negoziale assunto del tutto liberamente dal debitore, e, dall’altro,
considerato che l’obbligo di voto assunto parasocialmente non rappresenti
un obbligo di fare infungibile, insuscettibile pertanto di esecuzione in forma
specifica196.
CLARIZIA, I contratti nuovi, in Trattato di dir. priv., M. Bessone (diretto da), XV, Torino, 1999, 153 ss.
195 Cfr. E. MACRI’, Patti parasociali e attività sociale, cit., 225.
196 Per l’ammissibilità dei provvedimenti di urgenza per gli obblighi di fare infungibili v. A. PROTO PISANI, voce <Provvedimenti d’urgenza>, in Enc. giur., XXV, Roma, 1991, 18 s.; L. MONTESANO-G. ARIETA, Diritto processuale civile, III, Torino, 1999, 355; G. ARIETA, Le tutele sommarie, il rito cautelare, i procedimenti possessori, in Trattato di diritto processuale civile, L. Montesano-G. Arieta (a cura di), Padova, 2005, 646.
Cfr., ancora nel senso di ammettere questo tipo di tutela, A. CERRAI – A. MAZZONI, La tutela del socio e delle minoranze, in Riv. soc., 2003, 65 ss.; E. MACRI’, Patti parasociali e attività sociale, cit., 228 e specif. 229, il quale però opera delle riserve nelle ipotesi in cui il
111
Sennonché la teoria appena richiamata non pare condivisibile per tutta una
serie di ragioni197.
Intanto essa non è perfettamente coerente con il dato formale. La piana
lettura dell’art. 2932 cod. civ. comporta che si possa arrivare alla sentenza
costitutiva che tenga luogo del contratto non concluso quando lo schema del
contratto preliminare e quello del contratto definitivo vi sia una perfetta
corrispondenza. In altre parole, il contratto preliminare deve essere munito e
completo in tutti i suoi elementi, onde giustificare l’emissione della sentenza
costitutiva198. Giova allora distinguere il caso in cui le modalità
dell’effettivo esercizio del diritto costituiscano l’oggetto di una clausola
specifica dal caso in cui nel contratto non vi è riferimento alcuno alle dette
modalità.
Inoltre, proprio la denunciata non corrispondenza fra schema del
“preliminare”199 e volontà definitiva testimonia che al fondo motivo ostativo
patto “non abbia ad oggetto esclusivamente l’esercizio del diritto di voto per l’elezione di determinati soggetti alle cariche sociali, ma contenga, ad esempio, clausole in merito alla condotta futura dei membri designati dell’organo amministrativo”; R. LENER, Appunti sui patti parasociali nella riforma del diritto societario, in Riv. dir. priv., 2004, 52 s. Contra, però, G. RESCIO, I sindacati di voto, in AA.VV., Trattato delle società per azioni, Colombo-Portale (diretto da), Torino, 1994, 564 ss., il quale esprime notevoli perplessità sulla possibilità di ricorrere alla tutela apprestata dai principi desumibili dall’art. 2392 cod. civ. non potendosi “surrogare la necessaria presenza del socio in assemblea”.
197 Così G. COTTINO, Le convenzioni di voto nelle società commerciali, Milano, 1958, 263 ss.
198 Cfr. L. MONTESANO, voce <Obbligo a contrarre>, in Enc. dir.,
199 Seppure non costituisce certo un ostacolo il fatto che il patto parasociale non è un contratto preliminare, non essendo questo presupposto richiesto dal richiamato articolo.
112
di detta forma di tutela è l’interesse della società. Invero, l’ammissione di
una volontà coattiva, espressa per la via della tutela specifica, potrebbe
portare ad intaccare addirittura la portata del contratto sociale.
L’ammissibilità della tutela ex art. 2932 cod. civ. anche “in nome della
migliore tutela degli aderenti al patto di voto”200 è comunque da negare
perché i detti contratti dispositivi del diritto di voto sono accessori e in ogni
caso subordinati rispetto al contratto sociale.
D’altra parte, analoghe considerazioni potrebbero essere svolte a proposito
della tutela di urgenza.
Fermo che è assolutamente inapplicabile alle ipotesi in cui si tratti di
obbligo di fare infungibile, la tutela ex art. 700 c.p.c. potrebbe portare ad
incidere direttamente sul contratto sociale. E’ a tutti noto, infatti, che la
esecuzione in forma specifica di un obbligo ineseguibile, meglio a
prestazione infungibile, porta semmai al risarcimento del danno. In altre
parole non si può predicare la possibilità che colui che pure ha assunto con u
contratto parasociale, l’obbligo di voto, ancorché determinato nel contenuto,
sia costretto a votare da un provvedimento di urgenza. L’assunzione di un
Così anche V. DOTTI, Violazione dei patti di sindacato e strumenti di tutela: profili processuali, in Sindacati di voto e sindacati di blocco, Bonelli-Jaeger (a cura di), Milano, 1993, 161.
200 Così G. RESCIO, I sindacati di voto, in AA.VV., Trattato delle società per azioni, C. Colombo-G.B. Portale (diretto da), Torino, 1994, 564 ss.
113
obbligo parasociale non vuol certo significare la possibilità dello
stravolgimento della portata del contratto associativo.
Del resto, lo stesso tenore letterale dell’art. 700 c.p.c., laddove fa parola di
danno irreparabile ed imminente, fa espresso riferimento alla necessità che
lo schema della situazione sostanziale da tutelare corrisponda alla misura
elargita in via di urgenza. Vero è che la recente riforma del processo civile
ha portato a parlare di strumentalità attenuata201 così come è altrettanto vero
che si suole distinguere ai nostri giorni fra misura d’urgenza in via
conservativa e misure di urgenza in via anticipatoria, ma è comunque vero e
fondato che sia che si tratti di anticipazione sia che si tratti di conservazione
occorre sempre la preesistenza di uno schema di diritto sostanziale
assolutamente fungibile.
In proposito, non pare corretto ritenere che l’obbligo di voto concreti ed
esprima un obbligo di tipo fungibile, anche ove si considerasse il contenuto
assolutamente predeterminato. L’assunzione in via parasociale di un
determinato obbligo nulla ha a che vedere con il contratto sociale giacché,
pur determinandosi una certa veduta a livello parasociale, tuttavia possono
verificarsi delle non corrispondenze fra questo tipo di patto e il contratto
sociale.
201 Cfr. sul punto R. CAPONI, Provvedimenti cautelari e azioni possessorie, in Foro it., 2005, 135 s.; E. MACRI’, Patti parasociali e attività sociale, cit., 232 s.
114
Quanto sopra potrebbe essere ripetuto, in limiti e termini, per tutti i contratti
dispositivi del diritto di voto considerati.
4. La tutela degli azionisti senza diritto di voto. Il principio di buona fede.
Quanto alla seconda delle questioni poste sopra, e cioè con riferimento al
possibile ed eventuale conflitto in ordine all’interesse sociale, e quindi al
conflitto potenzialmente configurabile fra i soci con diritto di voto e i soci
che a qualsiasi titolo hanno disposto di tale diritto, si potrebbe correttamente
ritenere che il sistema giuridico vigente già consente di pervenire in via
interpretativa alla individuazione di una clausola che, seppur non espressa,
comunque prescrive che (anche) nei rapporti sociali devono essere osservate
sempre e comunque le regole della correttezza202.
Non si trascurano certo i limiti per dir interpretativi di una simile clausola di
portata generale, che lascia, come noto, il più delle volte l’arduo compito
applicativo ai giudici e all’interprete, attribuendo loro in definitiva il
compito – non sempre facile – di determinarne i contorni e i limiti
applicativi e concretizzarne di volta in volta il contenuto.
202 Per vero vi è anche stata una proposta di legge di inserire nell’art. 2247 cod. civ. un ulteriore comma del seguente tenore: “Nei rapporti sociali devono essere osservate le regole della correttezza”. Cfr. sul punto le illuminanti osservazioni di C. ANGELICI, Rapporti sociali e regole della correttezza, in Attività e organizzazione. Studi di diritto delle società, Torino, 2007, 213 s.; già pubblicato in Giur. comm., 1992, .
115
Che si possa fare riferimento, anche con riguardo alla composizione dei vari
interessi, talvolta contrastanti, che permeano i diversi rapporti sociali, ai
principi generali rinvenibili nel nostro ordinamento della buona fede203 e
della correttezza204 non sembra possa più essere revocato in dubbio .
Appare più proficuo e sicuramente più attuale affrontare in questa sede
l’alternativa applicativa, dai notevoli risvolti pratici, se si debba fare
riferimento al contratto sociale, e quindi ad ogni rapporto sociale che sia
idoneo ad essere configurato come contrattuale, ovvero si debba fare – come
si ritiene più opportuno – riferimento alla concreta posizione assunta dal
singolo soggetto all’interno della organizzazione sociale.
Il risultato diverso al quale si può pervenire a seconda che si segua l’una
piuttosto che l’altra delle scelte alternative appena illustrate è di evidente
comprensione. Invero, se si sceglie la prima alternativa si giunge
inevitabilmente a porre sullo stesso piano ogni socio, in virtù proprio di quel
contratto sociale di cui all’art. 2247 cod. civ., giungendo inevitabilmente a
considerare in maniera e misura omogenea, per non dire indifferenziata, le
pure diverse posizioni dei singoli soci. E’ ovvio che tale impostazione, per
203 Cfr. sul punto ancora, fra i molti, R. RORDORF, Sanzioni amministrative e tutela dei diritti nei mercati finanziari, cit., 981.
204 Dovuta la citazione del noto saggio di A. GAMBINO, Il principio di correttezza nell’ordinamento delle società per azioni, Milano, 1987; ma v. anche, per più recenti informazioni, M. CASSOTTANA, L’abuso di potere a danno della minoranza assembleare, Milano, 1991; e D. PREITE, L’<abuso> della regola di maggioranza nelle deliberazioni assembleari delle società per azioni, Milano, 1992.
116
quanto di primo acchito possa sembrare la più corretta, pone non pochi
problemi sul piano operativo: si arriverebbe per tale via a mettere sullo
stesso piano il socio che abbia sottoscritto anche solo una azione senza
diritto di voto, con il socio che detenga un pacchetto azionario ben più
consistente, ma soprattutto che abbia il diritto di voice e, quindi, di governo
della società. La seconda alternativa prospettata guarda, invece, alla
concreta posizione del socio all’interno della organizzazione societaria,
consentendo, in una prospettiva che ha sicuramente il pregio di essere più
realistica e confacente alla realtà, una giusta differenziazione fra le diverse
posizioni dei soci e di graduare, di conseguenza, i criteri di valutazione del
loro comportamento.
Senza dire che questa opportuna differenziazione fra le diverse posizioni dei
soci dovrebbero farsi anche con riguardo ai vari tipi societari. Appare
corretto ritenere, invero, che anche con riferimento al concreto tipo di
organizzazione societaria prescelto, e quindi anche, ad esempio, alla
quotazione o meno sul mercato dei titoli205, è giusto aspettarsi un grado di
correttezza e di buona fede diverso. In altre parole, questi valori di carattere
generale, per non ottenere il risultato opposto, e per questo da rifuggire, di
assurgere al ruolo di scatole vuote senza significato, devono essere
205 Cfr. in questo senso C. ANGELICI, Rapporti sociali e regole della correttezza, cit., 218, il quale mette in evidenza il “ruolo tipologico della distinzione tra public e close corporations”, e della distinzione “tra società quotate e non quotate in borsa”, assegnato, quest’ultimo, dalla legge in materia di O.P.A. n. 149/1992, art. 13.
117
commisurati in concreto con parametri diversi cha si riferiscono alla singola
realtà
Per esempio, e per quanto qui interessa, al di là di ogni più ampia
considerazione sistematica, appare all’evidenza diverso il compito di
apprezzare e valutare il comportamento di un socio (di maggioranza) e, di
conseguenza, di individuare gli effettivi limiti e termini della tutela da
apprestare al socio di minoranza, a seconda che egli sia provvisto o meno, a
diverso titolo, del potere di voice e di intervento nelle scelte organizzative e
di gestione della società.
Se tutte le considerazioni che precedono sono fondate, non pare possa
meravigliare, nell’esempio ora tracciato, che verosimilmente siano
rinvenibili nelle diverse ipotesi altrettanto diversi parametri utilizzabili per
la valutazione nel caso di specie dei comportamenti assunti dalla
maggioranza.
Al fondo, sembra comunque possa e debba trattarsi di un dovere
contrattuale, ovviamente da apprezzare alla stregua, come si è cercato di
dimostrare, di criteri diversi, formulabili di volta in volta e caso per caso.
Essa, dunque, e non già riconducibile, secondo schemi peraltro noti alla
teoria generale, alla tradizionale culpa in contrahendo: ipotesi classica che
118
autorizza a parlare di “rapporti da contatto sociale”206, espressione invero
ora abusata.
La discrezione del rimedio per il tramite del ricorso ai principi di buona fede
e correttezza qui prospettata si rivela necessaria soprattutto a fronte del
rischio di distorsioni che potrebbe aversi ove se ne predicasse una
applicazione senza le dovute accortezze.
I termini della questione ora posta si colgono soprattutto in una serie di
fattispecie che vengono ricomprese sotto l’etichetta dell’<abuso della
minoranza>, e coinvolge in particolare il tema se e quando può affermarsi
un obbligo di consentire a mutamenti del contratto sociale. Si tratta, in altre
parole, della questione se e quando un comportamento meramente passivo
possa e debba ritenersi contrario a quelle regole di correttezza.
E’ dato constatare, comunque, che per solito vengono attribuiti particolari
poteri e facoltà ad alcuni soci, ma non è dato concludere che la attribuzione
del detto peculio di poteri e di facoltà comporti necessariamente una
situazione poziore per il socio attributario e, dunque, una di lui posizione di
maggiore tutela.
206 Contra, però, nel senso che “per giustificare il porsi di un problema da risolvere secondo il canone della correttezza, non si tratti tanto di riferirsi formalmente al contratto di società, quanto di verificare in concreto la riconoscibilità fra le parti della specifica vicenda di quello che, riprendendo notissime formule di teoria generale, chiamerei un <contatto sociale>: un <contatto> il quale, ovviamente, può risultare dallo stesso contratto di società, ma non sempre e necessariamente in esso soltanto si risolve”, v. C. ANGELICI, Rapporti sociali e regole della correttezza, cit., 221.
119
5. La legittimazione.
La soluzione del problema di quale tutela possa essere elargita presuppone
la soluzione della questione relativa alla legittimazione ad agire.
E’ dato constatare, infatti, che oltre al soggetto munito del diritto di voto
anche il soggetto che ne sia privo sia portatore di interessi e pertanto debba
essere messo in condizioni di poterli tutelare.
Si tratta, allora, di sapere di quale tipo di legittimazione fruiscano tutti
questi soggetti.
Secondo la tradizione dottrinaria più accreditata207 di legittimazione ad agire
può parlarsi in due sensi: legittimazione ordinaria e legittimazione
straordinaria. Si ha la legittimazione ordinaria allorquando la misura di
tutela invocata la misura di tutela invocata corrisponde alla titolarità di un
diritto o di un interesse. Si ha, invece, la legittimazione straordinaria quando
ad agire può essere il soggetto che non sia portatore del diritto o
dell’interesse.
Come si è rilevato, si possono avere soggetti portatori di diritti, quali i
soggetti aventi diritti di voto, e soggetti portatori di un generico interesse al
funzionamento della società, che non sono però muniti di diritto di voto.
207 Cfr., per tutti e autorevolmente, E. FAZZALARI, Istituzioni di diritto processuale, Padova, 1996, 334 ss.; N. PICARDI, Manuale del processo civile, Milano, 2010, 148 ss.
120
Non è da revocare in dubbio che sia gli uni che gli altri possono agire in via
di tutela con la seguente precisazione: mentre i soggetti muniti di diritto di
voto chiedono la tutela di diritti propri ed individuati, i soggetti sforniti di
diritto di voto chiedono la tutela di un generico interesse208.
Sorge allora la questione se gli uni e gli altri agiscono in via di tutela
ordinaria o, invece, se i primi agiscono in via di tutela ordinaria ed i secondi
agiscono in via di tutela straordinaria, cioè in via di sostituzione
processuale209.
Se le premesse sono vere e fondate la conseguenza è una sola: tutti i
soggetti di cui sopra agiscono indiscriminatamente in via di tutela ordinaria,
giacché il soggetto legittimato all’esercizio del diritto di voto agisce per la
tutela di un diritto peculiare e proprio, ma anche il soggetto privo di diritto
di voto agisce per la tutela di un diritto proprio, seppure generico. In altre
parole, sia che si agisca per un diritto specifico sia che si agisca per un
diritto generico vi è sempre una corrispondenza fra tutela invocata e
titolarità del diritto o dell’interesse.
208 Cfr., per tutti, F.P. LUISO, Diritto processuale civile, ; G. BALENA, Diritto processuale civile, ; C. CONSOLO, Spiegazione di diritto processuale civile, ;
209 V. già V. GARBAGNATI, La sostituzione processuale, Milano, 1942; e più di recente N. PICARDI, La successione processuale, Milano, 1964; C. PUNZI, Il processo civile. Problemi e sistematiche, Torino, 2010, I, ; G. BALENA, Contributo allo studio delle azioni dirette, Bari, 1990; E. FAZZALARI, voce <Sostituzione processuale>, in Enc. dir., XLIII, 1990; G. VERDE, Diritto processuale civile, .
121
In effetti, gli estremi finiscono per toccarsi. Anche coloro210 che guardano
alla sostituzione processuale di cui all’art. 81 c.p.c. come ipotesi di
legittimazione ordinaria, cioè come ipotesi di co-legittimazione ad agire,
assumono tutto sommato che il sostituto processuale è portatore di un diritto
proprio. Allo stesso modo, coloro211 che assumono la carenza di titolarità di
diritto in capo al sostituto processuale, finiscono poi per ipotizzare in capo
ad esso una sorta di interesse generico: è il caso della legittimazione del
sindacato dell’azione ex art. 28 dello statuto dei lavoratori212.
In definitiva, coloro che sono titolari di diritto di voto e coloro che ne sono
privi godono di legittimazione ad agire ordinaria, con la conseguenza che
l’oggetto della impugnativa della delibera societaria ad opera di un soggetto
munito del diritto di voto non confligge, né può confliggere, con l’oggetto
dell’impugnativa della stessa delibera ad opera di un soggetto privo del
diritto di voto. L’uno e l’altro finiscono per agire a tutela di un diritto o di
un interesse proprio e comunque a tutela di un diritto diretto alla difesa del
buon funzionamento societario.
6. La regola di neutralizzazione e la sua ricezione nel diritto comunitario.
210 V. in questo senso, ex multis, S. SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959, I, ; C. PUNZI, Il processo civile. Problemi e sistematiche, cit.
211 Il riferimento è qui a E. GARBAGNATI, , in Riv. trim., dir. proc., ; L. LANFRANCHI, Prospettive ricostruttive, in Riv. trim. dir. proc.,
212 Così L. LANFRANCHI, Prospettive ricostruttive, cit., .
122
In realtà l’introduzione nel diritto normativo della cd. regola di
neutralizzazione era stata auspicata da più parti della dottrina213, la quale
giungeva addirittura a ritenere ammissibile, giusta l’introduzione appunto di
questa regola, anche per le società che fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio la facoltà di introdurre limiti all’esercizio del diritto di voto quali
il voto massimo e il voto a scalere, allo stato espressamente vietati.
Il recepimento della discussa direttiva comunitaria concernente le offerte
pubbliche di acquisto ha costituito l’occasione per introdurre nel nostro
ordinamento la breakthrough rule, norma considerata in grado di innalzare
il livello di contendibilità delle imprese nei mercati finanziari europei più di
ogni altra214. In virtù di tale disposizione, tutte le restrizioni al trasferimento
di titoli previste nello statuto della società emittente, nonché le restrizioni
previste in accordi contrattuali correnti fra questa e i possessori di titoli o in
accordi contrattuali fra i soci, non si applicano nei confronti dell’offerente
nel periodo in cui l’offerta deve essere accettata e, con il verificarsi di
determinate condizioni, anche quando l’offerta abbia avuto successo. La
213 Cfr. L. CALVOSA, La partecipazione, cit., 187 ss.; C. SALOMAO FILHO-M. STELLA RICHTER jr., Note in tema di offerte pubbliche di acquisto, ruolo degli amministratori e interesse sociale, in Riv. dir. comm., 1993, 142 ss.; E. DESANA, Le azioni e il diritto di voto, in AA. VV., La riforma delle società, S. Ambrosini (a cura di), Torino, 2005, 122 s.; D. U. SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 84.
214 Cfr. A. ANGELILLIS-C. MOSCA, Considerazioni sul recepimento della tredicesima direttiva in materia di offerte pubbliche di acquisto e sulla posizione espressa nel documento della commissione europea, in Riv. soc., 2007, 1106, spec. 1159.
123
disciplina prevede, inoltre, che le restrizioni al diritto di voto previste nello
statuto della società emittente rimangano prive di effetto nell’assemblea
generale che decide su eventuali misure di difesa215. E, ancora, che le
restrizioni al trasferimento dei titoli e ai diritti di voto non si applicano
quando l’offerente arrivi a detenere almeno il 75% del capitale con diritto di
voto.
Appare, dunque, subito evidente quale è la ratio sottesa all’istituto in
discorso: assicurare un grado maggiore di contendibilità alle imprese sui
mercati, esigenza nata dalla consapevolezza che le restrizioni di cui pure si è
trattato avrebbero potuto portare, come il più delle volte accadeva, ad un
forte ingessamento degli assetti proprietari, ostacolando la contendibilità del
controllo societario, anche in ambito europeo.
La fondamentale importanza di tale disposizione, o meglio di quello che era
l’intento del legislatore comunitario, prima, e nazionale, poi, risulta anche
dai lavori successivi alla approvazione della direttiva che espressamente
considerano detta regola a radical tool to facilitate takeovers a sit makes
certain restrictions (e.g. share transfer or voting restrictions) inoperabile
during the takeover period and allows a successful bidder to easily remove
the incumbent board of the target company and modify its artiche of
association. Based on the principle of proportionality between capital and
215 E nel corso di tale assemblea, negli ordinamenti in cui sono ammesse, le azioni a voto plurimo comunque conferiscano un solo voto.
124
control, this rule overrides multiple voting rights at the general meeting
authorising post-bid defensive measures as well as the firts general meeting
following a successful takeover bid 216.
Tuttavia, se sono evidenti le intenzioni del legislatore che ha proceduto al
recepimento nel nostro ordinamento della regola in discorso, rimane da
valutare, a fronte dell’ampio grado di libertà lasciata ai singoli Stati membri
dei termini e dei tempi in cui recepire la direttiva europea, se e quanto la
direttiva ha poi reso maggiormente contendibili le società europee, come si
era auspicato in sede di riforma217.
Attualmente anche nel nostro ordinamento, a seguito del d.l. n. 185/2008 e
del d. lgs. n. 146/2009, l’art. 104-bis T.U.F., che disciplina la regola di
neutralizzazione, ne prevede una applicazione facoltativa e non più
obbligatoria, garantendo allo statuto delle singole società la più ampia
facoltà di scelta.
Se da una parte, è sembrato giusto che il legislatore italiano tornasse sui
propri passi per rendere facoltativa l’applicazione della breakthrough rule,
poiché altrimenti sarebbe stata elevata la sperequazione con gli altri Stati
membri che, eccezion fatta per l’Estonia e la Lituania, avevano tutti recepito
216 Cfr. in questo senso CommissionStaffWorkingDocument, Report on the implementation of the Directive on Takeover Bids, Brussels, 21-02-2007, Sec (2007) 268, 5.
217 In tal senso v. anche M. STELLA RICHTER jr., A proposito della direttiva comunitaria sulle offerte pubbliche di acquisto e dei suoi interpreti, in Profili attuali di diritto societario europeo, G. Ferri jr.-M. Stella Richter jr. (a cura di), Milano, 2010, 6 ss.
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la regola nel senso di renderne comunque facoltativa l’applicazione,
dall’altro, non si può certo tacere che la scelta di rimandare all’autonomia
privata l’eventuale inserimento nello statuto ha forse contribuito a
legittimare l’eliminazione di questa disposizione218 .
Ed invero, la disciplina della regola di neutralizzazione, e quindi per essa la
sterilizzazione delle azioni a voto plurimo, quanto agli ordinamenti che ne
contemplano l’emissione, e l’inefficacia delle limitazioni all’esercizio del
diritto di voto, pure convenzionalmente pattuite, avrebbe dovuto, in ambito
comunitario, fare sistema con la normativa riconducibile al principio one
vote-one share 219, offrendo questo tipo di rimedio “eccezionale” ai soci che
fossero a qualsiasi titolo sprovvisti del diritto di voto, tentando di riportare
al criterio della proporzionalità esperienze societarie che in concreto
avessero scelto, con i mezzi messi a disposizione dal proprio ordinamento,
di discostarsene.
E’ vero pure che l’istituto in discorso viene guardato con un certo sospetto
poiché, al di là delle proclamate finalità, potrebbe risolversi in una clausola
in grado di aumentare effetti di ristrutturazione della catena di controllo
218 Cfr. sul punto ancora A. ANGELILLIS-C.MOSCA, Considerazioni sul recepimento della tredicesima direttiva in materia di offerte pubbliche di acquisto e sulla posizione espressa nel documento della commissione europea, cit., 1162, in cui dagli autori viene definito un caso di “race to the bottom” dell’ordinamento giuridico che riflette, appunto, un abbassamento della qualità della disciplina.
219 V. in questo senso anche R. MAGLIANO, La regola di neutralizzazione e le deviazioni dal principio di proporzionalità tra rischio e potere: ancora dubbi sulla compatibilità comunitaria della legislazione italiana sui poteri speciali, cit., 62.
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delle società, tali da rendere meno trasparenti gli assetti proprietari, in
particolare con il ricorso a strutture piramidali o a holding in funzione di
patto parasociale220, che non rientrerebbero nel campo di applicazione della
norma.
Ciò, ovviamente, nella consapevolezza che la disciplina delle società aperte
dovrebbe essere ispirata all’obiettivo di rendere le stesse società “scalabili”
e dovrebbe poter consentire un cambiamento e un avvicendamento, anche
non consensuale, del gruppo di controllo e della gestione delle stesse
società, a maggior ragione nei casi in cui si manifesti un governo
dell’impresa non efficiente.
Ciò che andrebbe scongiurato, nelle società aperte, è che il pur legittimo
obiettivo della creazione di forme coalizionali o di posizioni di controllo si
riveli tale da inibire l’esercizio della supervisione trasparente e continua da
parte degli altri proprietari, con l’evidente innegabile conseguenza di
sottrarre la coalizione di controllo alla possibilità, ove lo si ritenga, di essere
disarticolata e rimpiazzata.
Dunque la facoltà rimessa ai legislatori dei singoli Stati membri di inserire
facoltativamente tale normativa evidenzia forse che, nonostante gli sforzi
del legislatore comunitario circa l’affermazione del principio one vote-one
220 Cfr. sul punto il parere della Commissione Finanze del Senato, del 25 ottobre 2007, fruibile anche sul sito www.senatodellarepubblica.it .
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share, i singoli Stati membri non hanno ancora dimostrato un consenso,
prima ancora politico, per l’introduzione generalizzata di tale principio.
Ad un primo bilancio, si potrebbe rilevare che bene ha fatto il legislatore
italiano a rendere l’applicazione di questa norma facoltativa, demandandone
nella pratica la valutazione e la scelta ai singoli statuti. Essa all’origine era
stata, infatti, recepita in termini discriminatori rispetto agli altri Stati
membri, con la conseguenza che sarebbero venute ad essere pregiudicate le
imprese italiane.
Senza dire che la scelta attuale del legislatore, che, come accennato, ha
ricondotto l’applicazione nell’alveo della autonomia negoziale, sembra
essere maggiormente in linea con il mercato dei titoli azionari ed il suo
sistema. Invero, anche il recepimento della regola in discorso da parte del
singolo statuto può essere apprezzato come uno dei tanti indici che hanno
conseguenze sui prezzi dei titoli azionari sul mercato e sulla appetibilità
degli stessi da parte degli investitori.
7. segue. Il rapporto con l’emissione di azioni speciali e con gli atti
dispositivi del diritto di voto.
La disciplina in discorso si applica quando sia promossa un’OPA o un’OPS
avente ad oggetto titoli emessi da società quotate italiane, con esclusione
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delle società cooperative221 e consiste in una neutralizzazione in pendenza di
offerta e successivamente alla sua conclusione, di talune cd. barriere
tecniche tali da depotenziarne la funzione antiscalata. La norma distingue le
ipotesi in cui la neutralizzazione operi in pendenza di offerta o in un
momento ad essa successivo: nel primo caso, sono dichiarate inefficaci nei
confronti dell’offerente le limitazioni statutarie al trasferimento dei titoli e
dunque le clausole normalmente neutralizzabili dovrebbero essere quelle di
prelazione o quelle di gradimento222. Il regolamento di Borsa Italiana non
ammette titoli non liberamente trasferibili: dunque la neutralizzazione sarà
applicabile alle restrizioni su titoli non quotati di società quotate. Inoltre, per
quanto qui maggiormente interessa, nella assemblea eventualmente
convocata per porre in essere tecniche di difesa, sono dichiarate inefficaci
nei confronti dell’offerente le eventuali limitazioni al diritto di voto previste
nello statuto o nei patti parasociali o nei contratti dispositivi del diritto di
voto, conclusi dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 229/2007. Si vuole
tutelare, per questa via, l’interesse degli azionisti ad esercitare il diritto di
concorrere alla decisione in merito alla offerta, liberi da ogni tipo di vincolo
che possa condizionarne il voto. Poiché, come è stato messo in luce nel
capitolo precedente, soprattutto a seguito del d.lgs. n. 37/2004, numerose
221 Per ulteriori approfondimenti in tema di applicabilità della regola in discorso alle banche cooperative e di credito cooperativo si rinvia a E. ROSATI, La nuova disciplina delle tecniche di difesa nelle opa ostili, in Le Società, 2009, 567.
222 Di tutta evidenza le ragioni: la presenza di vincoli di prelazione potrebbe invero scoraggiare il lancio dell’OPA da parte di un potenziale scalatore, sussistendo il concreto rischio che un rilevante quantitativo di azioni non venga posto sul mercato.
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disposizioni del T.U.F. legittimano a ritenere la possibilità di creazione di
diversi tipi di categorie di azioni sprovviste del diritto di voto, sembra
corretto ritenere che i rimedi eccezionale previsto dall’art. 104-bis possa
applicarsi anche a tali categorie di azioni speciali, sprovviste del diritto di
voto, ovvero con diritto di voto compresso o condizionato.
L’art. 104-bis prende anche in considerazione le ipotesi in cui il diritto di
voto è limitato da sindacati di voto, pur non soffermandosi espressamente
sulle limitazioni al trasferimento dei titoli azionari che derivino dalle dette
convenzioni di voto. Con riferimento ai patti parasociali che limitino la
libera trasferibilità dei titoli è prevista l’applicazione dell’art. 123, co. 3,
T.U.F., in virtù del quale è consentito ai paciscenti che ritengano di aderire
alla offerta di recedere dal patto. La novità, nonostante le apparenze, è meno
rilevante di quanto possa sembrare. Invero, il T.U.F. già consente ai soci
della società bersaglio di recedere senza alcuna conseguenza dai patti
parasociali che li vincolano, rendendoli in questo modo inutili baluardi
contro il rischio di future scalate.
Senza dire, ancora, che il nostro ordinamento vieta le principali difese
preventive, cioè i massimali di voto, le clausole di prelazione e quelle di
gradimento, nonché l’emissione di azioni a voto plurimo. E senza contare
che ciò deve essere letto in stretto collegamento con quanto già previsto
nella recente riforma del diritto delle società di capitali, in tema di recesso.
E’ a tutti noto, infatti, che è stata in questo modo ampliata la tutela del socio
a liquidare il proprio investimento che bene si inserisce nel più generale
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ambito di una normativa volta ad evitare che costui possa restare
“prigioniero del suo titolo”223, consento gli per tale via di realizzare
quell’interesse all’agevole disinvestimento che costituisce uno dei motivi
principali della scelta della società per azioni e della sua diffusione. Anche il
recesso appare, dunque, funzionale non già alla tutela dell’interesse del
singolo socio a disfarsi della propria partecipazione per aderire ad un’OPA,
bensì alla garanzia di maggiore tutela del mercato, alla sua apertura e alla
sua contendibilità. Evidenti, al fondo, le finalità della normativa in discorso
e la sua incidenza anche sulle convenzioni limitative del diritto di voto. Per
un verso, essa mira a comprimere l’incidenza che detti accordi possono
avere rispetto alla circolazione dei titoli e, per altro verso, essa mira per
questa via, ad eliminare le eventuali barriere che dovessero di fatto
ostacolare la riuscita di un avvicendamento al vertice di comando della
società.
223 Sulla normativa del recesso dopo la riforma v. E. LOFFREDO, Recesso del socio, in AA. VV., Codice civile commentato, G. Alpa-V. Mariconda (diretto da), Milano, 2005, 1649 ss.; S. MASTURZI, Sub art. 2437, in AA. VV., La riforma delle società, M. Sandulli-V. Santoro (a cura di), Torino, 2003, 84 ss.; A. PACIELLO, Il diritto di recesso nella s.p.a.: primi rilievi, in Riv. dir. comm., 2004, 417; R. RORDORF, Il recesso del socio di società di capitali: prime osservazioni dopo la riforma, in Le società, 2003, 927 ss.