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Proporzione e simmetria nell'architettura greca Nella costruzione dei tempio c'è un'armonia nelle proporzioni secondo la quale ogni parte èstrettamente relazionata all'altra e queste lo sono rispetto all'insieme; tutto è finalizzato quindi acreare un sistema "ordinato" . Secondo questa interpretazione di "ordine" i templi possono essere
classificati in dorico, ionico, e corinzio. Quello dorico è il più antico e si caratterizza per solennità eforza: la verticalità della colonna si contrappone all'orizzontalità dello stìlobate senza elementiintermedi; l'entasi è più pronunciata che negli altri ordini; le scanalature hanno spigoli vivi; icapitelli sono formati da due semplici elementi: uno di forma quadrata, l'abaco, e l'altro di formacircolare, l'echino. L'elemento orizzontale, che completa questo sistema trilitico, è anche esso moltoessenziale e si compone di un architrave liscio e di un fregio suddiviso in lastre quadrangolari lisce,metope, e in lastre aggettanti con tre scanalature, i triglifi.
Quando parliamo di civiltà greca comprendiamo storicamente quel periodo che va dalla fine dei Il
millennio a.C. alla fine dei I. Per meglio comprenderne la produzione artistica è necessario fare unariflessione storica sulle condizioni soprattutto politiche della Grecia in quel periodo. E’ infatti unanazione frazionata in un gran numero di stati–città spesso in lotta tra loro, con una propria vitaindipendente dalle altre sia politicamente che amministrativamente. Una nazione, peraltro,geograficamente dispersa in una penisola con coste molto frastagliate ed in un numeroconsiderevoli di isole. Nonostante tutto, però, aveva una propria unità: il carattere stesso dellareligione, fondamentalmente antropomorfico, e una comune idea dell’arte L’arte è sempre stataconsiderata dai greci un mezzo attraverso il quale si potesse perfezionare la bellezza e quindi
purificarsi per arrivare a Dio, e il fatto che il tempio era il tema principale dell’architettura grecaesprime appunto lo spirito religioso di questo popolo che sente la necessità di dare una vera e
propria dimora alla divinità.
Nato fra I’ VIII e il VII sec. a.C. si sostituisce al santuario domestico e ciò spiega perché la formaderivi dei megaron, la sala più grande dei palazzo riservata ai riti religiosi (atrio e sala). Il tempioera costituito, infatti, da una cella (naos) interna con la statua dei dio, davanti era c’era un atrio(pronaos) costituito o dal prolungamento delle pareti laterali dei naos racchiudenti nel lato anterioredue colonne (tempio in antis), oppure da una sede di colonne trabeate (tempio prostylos). A volte iltempio prostylos presentava un analogo colonnato anche sul lato posteriore (tempioamphiprostylos), infine tutti questi tipi potevano essere circondati su tutti e quattro i lati da una filasingola (tempio peripteros) o doppia di colonne (tempio dipteros) più raro perché troppo complessoe quindi non adatto allo spirito chiarificatore dei greci.
Nella cella poteva entrare solo il sacerdote, le cerimonie religiose collettive invece, si svolgevanoall’esterno quindi il tempio veniva osservato da fuori nei suoi valori formali che per la loro
perfezione ed armonica composizione dovevano richiamare l’idea della divinità. Così i greci, nellaricerca dell’assoluto, arriveranno a correggere anche quelle deformazioni che il nostro occhio
percepisce ma che in realtà non esistono, si tratta sostanzialmente di due tipi di errore: il primoriguarda le linee verticali, il secondo invece quelle orizzontali. La colonna se guardata a distanzasembrava strozzarsi al centro e quindi per contrastare questo effetto fu creata l’entasi, unrigonfiamento ad un terzo della sua altezza . Un’altra modifica riguardava le colonne angolari che,apparendo più sottili delle altre e divergenti in fuori, furono aumentate di diametro e inclinate versol ‘interno; conseguentemente anche le altre furono inclinate, diminuendo però sempre più la
pendenza man mano che si arrivava al centro dove ritornavano perpendicolari alla base.
Un discorso analogo va fatto per le altre linee dove una perfetta orizzontalità della trabeazione sitraduceva otticamente, a causa della doppia pendenza dei frontone, in una concavità al centro;quindi cornice, fregio, architrave, ed anche lo stilobate, furono curvati in senso contrario. Conqueste ed altre piccole correzioni l’edificio si mostra immobile, statico, quindi eterno come il dio acui è dedicato.
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Uno degli esempi migliori e meglio conservato è il Tempio di Nettuno a Paestum (metà V secoloa.C.) che esaminiamo per chiarire che quello che può sembrare uno schema apparentemente rigidoed unico non lo è affatto, tant’è vero che non esistono due soli templi perfettamente uguali. Inquesto caso, ad esempio, le colonne non sono inclinate verso l’interno ma solo le scanalature diquelle d’angolo. H diametro delle colonne delle due fronti è maggiore di quello delle colonne
laterali per dare maggiore solennità alle due parti più importanti dei tempio; conseguentemente lecolonne angolari sono di sezione ellittica perché dovevano presentarsi uguali alle altre sia da unaveduta frontale che laterale.
I templi ionici si differenziano dai primi per una maggiore eleganza e raffinatezza che si oppongonoalla forza dell’ordine dorico: la colonna è più slanciata ed ha una propria base costituita dasporgenze (tori) e rientranze (trochili); le scanalature sono arrotondate e soprattutto il capitello èformato da una coppia di volute che nel loro sviluppo circolare si oppongono alla linea retta diquello dorico. Lo stesso architrave è suddiviso in tre fasce la cui superiore è costituita da un fregiocontinuo in luogo dell’interruzione in metope e triglifi Infine c’è il tempio corinzio che sidifferenzia di poco da quello ionico :si arricchisce di un capitello ornato di foglie di acanto
Nel V sec. a.C. quella che era una caratteristica costante dell’arte greca, e cioè la ricerca della proporzionalità, si sintetizza nel Partenone: l’armonica proporzionalità con cui è stata costruita lafronte, inserita nel rettangolo aureo, è parte di quella reciprocità, dell’interdipendenza che sì creanel rapporto tra le parti e tra queste e l’insieme, che è già propria dell’architettura dorica ma cheviene poi enfatizzata nel Canone Policleteo. Fu in questo trattato, infatti, che l’artista stabili lemisure che ogni parte dei corpo doveva avere rispetto alle altre affinché si raggiungesse una perfetta
proporzionalità la testa è un ottavo dell’intera altezza; il busto, dal pube al collo, è tre ottavi; treottavi è anche la larghezza massima. C’è inoltre, nel suo Doriforo, una relazione inversa tra le parti:la gamba destra è portante come il braccio sinistro che teneva la lancia e così la gamba sinistra è inriposo come il braccio destro. Anche in questo caso si può parlare quindi di un sistema ordinatocome per i templi.
Nel secolo successivo, il IV, si sente anche l’esigenza dì costruire un luogo apposito per losvolgimento dello spettacolo, i greci infatti se ne servivano per educare il popolo ed infondere lospirito religioso, vera essenza dell’esistenza umana. Si definì quindi la forma dei teatro di cuiricordiamo quello di Epidauro perché meglio degli altri si rifà alla misura greca: il centro dellastruttura è il cerchio perfetto dell’orchestra, dal quale si espandono in maniera concentrica i gradinisuddivisi in cunei convergenti verso il centro. Questo impianto, perfettamente simmetrico rispettoall’ asse verticale, contrariamente aì templi si articola secondo una linea curva ma che comunqueesprime quella la ricerca dell’assoluto di cui abbiamo già parlato (la perfezione della formageometrica).
Saggio IILuciano Severino
Era nuova contesto nuovo
Il contesto per l'arte dei secoli XX e XXI
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Indice
Le teorie delle proporzioniCanone
Con la parola canone intendiamo un insieme di norme codificate, che permettono di
dimensionare e proporzionare una forma, sia essa figurativa o architettonica. In altr iltermine viene usato in arte per indicare un insieme di norme estetiche codificate come
esemplari. Ha un significato prossimo a quello di "codice", ma mentre quest’ultimo
viene normalmente usato per indicare norme e regole da utilizzarsi nella comunicazione
(es. "codice linguistico") il canone indica un insieme di regole di tipo squisitamente
formale. In tal modo esso diviene un modello idealmente perfetto al quale tende la
produzione artistica di chi segue quel canone. Se la connotazione moderna di canone è
soprattutto questa, è altresì da ricordare che agli inizi, nell’arte greca, con il termine
"canone" si indicava un insieme di norme tecnico-pratiche del fare artistico ben precise e
codificate. Ad esempio, il canone di Policleto dettava norme di proporzionamento dellafigura umana che uno scultore doveva obbligatoriamente seguire se voleva ottenere una
rappresentazione naturalisticamente perfetta. In questo caso il canone non è un modello
idealmente astratto, ma uno strumento attuativo preciso e concreto.
Il canone egizio
L'architettura
L’architettura egizia, nei suoi caratteri di grandiosa imponenza, fissa una delle
regole più seguite dalla progettazione futura: quella della simmetria. La simmetria è il
principio della regolarità di base delle cose artificiali. Gli edifici simmetrici hanno un
rapporto con il contesto in cui sorgono ben preciso: si pongono come elemento di
diversità rispetto all’habitat naturale. In questo modo l’edificio artificiale tende a
trasformare il territorio, portandolo ad una diversa unità morfologica in cui l’elemento
umano acquista maggiore importanza rispetto a quello naturale.
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La civiltà egiziana ci ha lasciato alcuni dei monumenti più grandiosi dell’antichità:
le piramidi. Queste gigantesche costruzioni furono l’evoluzione dei primi recinti
sepolcrali utilizzati dai faraoni: essi erano delle piattaforme quadrangolari e prendevano
il nome di «mastaba». Più mastaba sovrapposte, crearono la prima piramide a gradoni,quella di Saqqara. Successivamente la piramide prese la sua forma canonica, di perfetto
prisma a quattro facce triangolari.
Una piramide è tuttavia un edificio di natura particolare. Destinato a sepoltura, esso
si componeva di ambienti interni, quasi scavati come cunicoli in una montagna, di
impenetrabile accesso. Le piramidi, pertanto, si presentavano come degli oggetti
giganteschi, più che non architetture vere e proprie. Ma il loro innalzarsi, maestose e
grandiose, in un paesaggio uniformemente piatto, segnava il territorio della civiltà egizia
con dei segni imponenti e altamente simbolici.
Le piramidi furono edificate in un periodo compreso tra il 2.650 e il 2.350 a.C.,
successivamente caddero in disuso, ed i faraoni, per le loro sepolture edificarono templi
con colonne papiroformi (cosiddette perché le colonne avevano forma di papiri
stilizzati). Di questo periodo sono famose soprattutto i complessi monumenti di Luxor e
Karnak. Gli egiziani adottarono, quindi, il sistema trilitico, ma secondo la loro visione,con proporzioni e misure gigantesche. Sale immense, erano piene di colonne altissime a
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distanze così ravvicinate da creare spazi singolarmente misteriosi. Ricordiamo che nel
sistema trilitico, gli elementi orizzontali, se sono in pietra, non possono essere di
lunghezza eccessiva, altrimenti non potrebbero sopportare neppure il loro peso. Pertanto
una copertura orizzontale in pietra può realizzarsi solo con elementi non molto lunghi, eche necessitano pertanto di sostegni ravvicinati tra loro. Da qui, quindi, il vincolo per gli
egiziani di infittire di colonne gli ambienti dei loro templi, ottenendo ambienti di forma
decisamente singolare.
In scultura
Nel caso invece della costruzione scultorea della figura umana, i problemi da
affrontarsi erano diversi. Eliminata la tecnica di ribaltare le parti del corpo su un unico
piano, restava consistente il problema dell’equilibrio della scultura. È infatti da tener
presente che la figura umana, rappresentata in posizione eretta, richiede la costruzione di
un solido sviluppato in altezza avente una esigua base d’appoggio. Per ovviare a tale
problema gli egizi adottarono alcuni accorgimenti particolari. La figura veniva sempre
posta in posizione «stante». Con tale termine si intende che la figura ha le due gambe
leggermente divaricate. In tal modo, ponendo un piede avanti ed un indietro, le due
gambe formavano un triangolo, che, oltre ad allargare al base d’appoggio, contribuiva
alla staticità della statua nel piano perpendicolare al corpo. Per garantire la staticità
anche nel piano parallelo, il corpo veniva rappresentato in posizione perfettamente
simmetrica, così da distribuire equamente i pesi rispetto all’asse centrale della figura.
In molti casi tali problemi venivano più semplicemente risolti con la
rappresentazione delle figure in posizione seduta, nel qual caso i problemi di staticità
risultano quasi inesistenti, dato che il complesso scultoreo può usufruire di una base
d’appoggio più ampia della proiezione sulla base dell’intera figura. Da rilevare, infine,che molte sculture egizie venivano realizzate con una specie di compromesso tra il tutto
tondo e il bassorilievo. In tal modo, la modellazione della figura, specie nelle parti
retrostanti, non veniva realizzata, così che molte statue pur avendo un aspetto a tutto
tondo, conservano l’ancoraggio al blocco unico dal quale sono state scolpite. Anche in
questo caso, l’espediente favoriva una maggiore compattezza della figura ed una più
ampia base d’appoggio, utili ad un più stabile equilibrio della statua.
In pittura
La produzione figurativa degli antichi egizi, per restare costante in tutta la sua
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storia, doveva necessariamente affidarsi appunto a dei «canoni» i quali possono derivare
da considerazioni diverse, a secondo dell’intento artistico che si vuole raggiungere. Nel
caso dell’arte egizia, l’intento è di codificare in maniera costante ed immutabile la forma
di rappresentazione, così che questa risulta quasi indifferente alle situazioni particolari, presentandosi come norma assoluta.
La costruzione della figura umana aveva due canoni fondamentali: uno per la
pittura e il bassorilievo, uno per la statuaria a tutto tondo. Nell’immagine bidimensionale
l’uomo veniva sempre rappresentato con una stilizzazione fissa: alcune parti erano in
vista frontale (il busto e l’occhio) altre in vista di profilo (gli arti e il viso). Per la
costruzione dell’immagine ci si serviva di un reticolo, ovvero di una maglia di linee che
definivano un campo quadrettato. Tale reticolo ha subito un’evoluzione, passando da un
canone antico, che prevedeva 18 quadretti in altezza, ad un canone tardo, che aumentò i
quadretti a 22.
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Canone tardo egizio a 22 quadretti
Disegnato il reticolo sul campo in cui andava posta la figura, il canone fissava le
norme per realizzare l’immagine umana. Nel canone tardo, il piede aveva un’altezza pariad un quadretto, ed una lunghezza pari a 3,5. Se la figura era in stato di quiete, la
distanza tra le estremità dei due piedi era pari 4,5 quadretti, se invece era in movimento
questa distanza diveniva di 10,5 quadretti. Così, seguendo le altre linee della maglia, il
canone fissava che il busto doveva attaccarsi alle gambe in corrispondenza della linea n.
12, mentre il collo si attaccava al busto in corrispondenza della linea n. 19, e così via.
Fissate quindi tutte le regole per utilizzare la maglia del reticolo, il proporzionamento
della figura avveniva in maniera automatica, con il risultato di consegnarci immaginisempre identiche del soggetto umano.
Papiro egizio con progetto di sfinge in prospetto e in pianta con reticolo proporzionale. Etàtolemaica.
Il canone di Policleto
Policleto, indicò come ideale supremo da perseguire la simmetria anatomica della
figura umana, maschile e femminile, equilibrata nelle sue parti. Ignorando la lezione di
Fidia e l'intensa carica emotiva espressa dalla sua opera, egli scrisse addirittura un
canone in cui dava le misure perfette e assolute della figura umana: questa era concepita
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salda, atletica, armoniosa, con la testa piccola e la fronte larga, nella ricerca geometrica
strutturale per la resa delle parti del corpo, vincolate tra loro da un rapporto dimensionale
e di simmetria:
la metà del corpo deve essere nell’attacco delle gambe,il piede è un settimo della lunghezza del corpo,
la testa un’ottavo,
la faccia un decimo.
Egli, in un frammento della sua opera letteraria, dice: "dipende da una piccolezza
decisiva in mezzo ai rapporti di proporzione."
La statuaria antica risente dell'influsso di questi grandi maestri, tenendo sempre
maggiormente all'equilibrio perfetto e inalterabile di ogni composizione
In età romana
Vitruvio, nello spiegare il significato dell' eurytmia
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La composizione di un tempio esprime la ricerca della simmetria, "il cui calcolo gli
architetti debbono scrupolosamente conoscere e applicare" (Ferri, III, 1, 2, p. 95). La
simmetria nasce dalla proporzione e pertanto ogni tempio deve essere ispirato ad
entrambe e ogni suo membro dovrà essere dimensionato in modo esatto, come siconviene ad un "uomo ben formato".
La Natura, che l'architetto deve imitare, ha composto il corpo dell'uomo ideale in
modo tale che il viso, se misurato dal mento alla sommità della fronte e alla radice dei
capelli, corrisponde a un decimo dell'altezza del corpo. La stessa proporzione si presenta
nella mano aperta se viene misurata dalla sua articolazione fino alla punta del dito
medio. L'altezza del viso si divide in tre parti uguali: dal mento alla base delle narici, dal
naso fino al punto d'incontro con le sopracciglia e da queste alla radice dei capelli. Il
piede è la sesta parte dell'altezza del corpo e così via. Rispettando tali proporzioni i
pittori e gli scultori dell'antichità ottennero grandi elogi. Alla stessa maniera, le misure
delle parti di un tempio dovranno avere una stretta corrispondenza e concordanza con il
tutto.
Nel Medioevo
Lo stile dell'arte medievale, eccettuata forse la fase del Gotico maturo, è
abitualmente definito, rispetto a quello dell'antichità classica come "piatto". Tuttavia
rispetto all'arte egizia potrebbe definirsi semplicemente appiattito.
La differenza che corre infatti tra il carattere "piatto" dell'arte egizia e quello
dell'arte medievale è che nella prima gli elementi di profondità sono completamente
aboliti, mentre nella seconda sono solo svalutati.
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Faraone sul carro di guerra. Disegno egiziano su terracotta - ostrakon. Secolo XII a.c..
Le rappresentazioni egizie sono piatte perché l'arte egizia rende solo quello che de facto
può essere rappresentato sul piano; quelle medievali appaiono piatte benché l'arte del
Medioevo renda in realtà quello che de facto non può essere rappresentato sul piano.
Mentre gli egiziani escludono deliberatamente la presentazione di tre quarti e le direzioni
oblique del torso e delle membra, lo stile medievale, che presuppone il libero movimento
dell'arte antica, ammette l'una e le altre (difatti la veduta di tre quarti è la regola, mentre
il puro profilo o la veduta decisamente frontale sono l'eccezione). Comunque queste posizioni non hanno più il compito di creare un'illusione di effettiva profondità; dato che
gli effettivi mezzi ottici che servivano a modellare e definire l'ombra sono stati
abbandonati, queste posizioni sono rese, di solito, mediante un particolare trattamento
dei contorni lineari e delle superfici piatte di colore. Si incontrano così nell'arte
medievale forme d'ogni genere che, da un punto di vista puramente tecnico, potrebbero
classificarsi come "scorciate"; ma, poiché il loro effetto non è sostenuto da mezzi ottici,
esse non ci appaiono come "scorci" nel senso corrente del termine. I piedi posti in
tralice, per esempio, il più delle volte danno l'impressione di penzolare, anziché d'essere
visti di fronte e le spalle viste di tre quarti tendono, ridotte come sono, a una forma
piatta, a suggerire l'idea di una gobba. In queste condizioni la teoria delle proporzioni doveva orientarsi verso nuovi scopi.
Da un lato l'appiattimento delle forme umane era incompatibile con l'antropometria
antica che presupponeva l'idea che la figura esistesse come solido tridimensionale;
dall'altro, la mobilità illimitata di queste forme, lascito irrevocabile dell'arte classica,
rendeva impossibile di accettare un sistema analogo a quello egiziano, che
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predeterminasse le dimensioni "tecniche" non meno di quelle "oggettive". Così il
Medioevo si trovò di fronte alla stessa scelta della Grecia classica, ma dovette decidere
nel senso opposto. La teoria egizia delle proporzioni, facendo coincidere dimensioni
"tecniche" e dimensioni "oggettive", aveva potuto combinare le caratteristiche diun'antropometria con quelle di un sistema di costruzione; quella greca, abolendo tale
coincidenza, era sta costretta a rinunciare all'ambizione di determinare le dimensioni
"tecniche"; il sistema medievale rinunciò all'ambizione di determinare quelle
"oggettive": si limitò a organizzare l'aspetto bidimensionale della rappresentazione.
Laddove il metodo egizio era stato costruttivo e quello dell'antichità classica
antropometrico, quello del Medioevo può essere definito schematico. All'interno della teoria medievale delle proporzioni si possono tuttavia rilevare due
tendenze diverse. Esse hanno certamente in comune il fatto di basarsi sul principio della
schematizzazione planimetrica; differiscono però nel modo di interpretare questo
principio: si hanno così la soluzione bizantina e quella gotica. La teoria bizantina
Fig. 1 Madonna con Bambino, inizio del secolo XIII
Le dimensioni del corpo umano in quanto figuravano su un piano (tutto ciò che
cadeva fuori del piano era di solito tralasciato) erano espresse in lunghezze della testa o
più precisamente della faccia (3) (in italiano, "viso" o "faccia", spesso indicata anche
come "testa") e la lunghezza totale della figura ammontava a nove di queste unità. Così,
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secondo il Manuale del Monte Athos, un'unità è assegnata alla faccia, tre al torso, due
sia alla parte superiore che a quella inferiore della gamba, un terzo di unità
(corrispondente alla lunghezza del naso) alla parte superiore della testa, un terzo
all'altezza del piede e un terzo al collo (4); la larghezza di metà torace (compresa lacurva delle spalle) era supposta di un'unità e un terzo, mentre l'avambraccio, il braccio e
la mano erano considerati lunghi un'unità.
Queste determinazioni sono analoghe a quella tramandataci da Cennino Cennini, il
teorico dell'ultimo Trecento, le cui idee sono in gran parte ancora solidamente legate alla
concezione bizantina. Le sue prescrizioni concordano con quelle del canone del Monte
Athos nel fatto che la lunghezza del torso (tre "facce") è ulteriormente suddivisa da due
punti particolari, la bocca dello stomaco e l'ombelico, e ancora nel fatto che l'altezza
della parte superiore della testa non è espressamente determinata in un terzo di unità, per
cui, mancando questa parte, la lunghezza totale della figura risulta di otto "visi" e due
terzi. In seguito questo canone bizantino delle nove "facce" penetrò nella teoria artistica
delle epoche successive, dove ebbe una funzione importante giù giù fino ai secoli XVII e
XVIII (5); a volte senza subire modificazioni di sorta, come nel caso di Pomponio
Gaurico, altre volte con leggeri ritocchi come nel caso del Ghiberti e del Filarete.
Si può essere certi che l'origine di questo sistema, che realizza la misurazione per
così dire attraverso la numerazione, sia da ricercare in oriente. E' vero che una notizia
quanto mai discutibile del tardo Rinascimento (Filandro) attribuisce al romano Varrone
un canone in cui la lunghezza totale della figura viene divisa in nove "teste" e un terzo e
che sembra in stretta relazione con i sistemi discussi più sopra. Ma a parte il fatto che la
letteratura antica sull'arte non mostra tracce di questo canone e che le prescrizioni di
Policleto e Vitruvio si fondano su un sistema del tutto diverso (quello delle frazioniordinarie), si può dimostrare che gli antecedenti della tradizione rappresentata dal
Manuale del Monte Athos e dal trattato del Cennini esistevano in Arabia.
Nei testi dei Fratelli della Purezza, una confraternita di dotti arabi fiorita nei secoli
IX e X, troviamo un sistema di proporzioni che anticipa quelli di cui stiamo parlando, in
quanto esprime le dimensioni del corpo mediante un'unità o modulo abbastanza grande.
E anche se questo modulo può derivare da fonti ancora più antiche, non dovrebbe però
risalire oltre il tardo ellenismo, a un'epoca cioè in cui l'intera concezione del mondo si
trasformò, non senza influssi orientali, alla luce della mistica dei numeri, e in cui, con un
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generale spostamento dal concreto all'astratto, la stessa matematica antica, che culmina e
si conclude con Diofante d'Alessandria, subisce la sua aritmetizzazione.
Il canone dei Fratelli della Purezza di per sé non ha nulla a che vedere con la pratica
artistica. Facendo parte di una cosmologia "armonistica", non si pensava che esso potesse fornire un metodo per la resa pittorica della figura umana; suo scopo era invece
d'introdurre a una vasta armonia unificante tutte le parti del cosmo mediante
corrispondenze numeriche e musicali. Per cui i dati forniti da questa dottrina non si
riferiscono all'adulto ma al neonato, un essere cioè che ha un'importanza secondaria
nelle arti figurative, ma ha un ruolo fondamentale nel pensiero cosmologico e
astrologico. Non è tuttavia casuale che la pratica d'officina dei bizantini abbia indotto un
sistema di misure elaborato per tutt'altro scopo e abbia finito col dimenticarne
completamente l'origine cosmologica. Per quanto possa apparire paradossale, un sistema
di misure algebrico o numerico, che riduce le dimensioni della figura a un modulo unico,
risulta (se questo modulo non è troppo piccolo) molto più compatibile con la tendenza
medievale alla schematizzazione che non il sistema classico delle frazioni ordinarie.
Il sistema "frazionario" facilitava la valutazione obiettiva delle proporzioni umane,
ma non la loro adeguata raffigurazione in un'opera d'arte: un canone che indicava
rapporti, anziché quantità effettive, forniva all'artista un'idea vivida e simultanea
dell'organismo tridimensionale, ma non un metodo per costruire successivamente
l'immagine bidimensionale di esso. Il sistema algebrico, d'altro canto, compensava la
perdita di elasticità e animazione col fatto di essere immediatamente "costruibile".
Allorché, attraverso la tradizione, l'artista sapeva che moltiplicando una certa unità
poteva ottenere tutte le dimensioni fondamentali del corpo, era anche in grado, mediante
l'uso successivo di "moduli" del genere, di montare, per così dire, ogni figura sul pianodel dipinto "con un'apertura di compasso costante": e questo con grandissima rapidità e
quasi indipendentemente dalla struttura organica del corpo. Nell'arte bizantina questo
modo di padroneggiare schematicamente, graficamente il disegno in piano si è
conservato fino ai tempi moderni: Adolphe Didron, il primo editore del Manuale del
Monte Athos, vide i monaci pittori impiegare ancora nell'Ottocento un metodo del
genere, determinando le singole dimensioni della figura col compasso e immediatamente
riportandole sul muro.
Di conseguenza, la teoria bizantina delle proporzioni si preoccupò di definire le
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misure dei particolari della testa nei termini del sistema modulare, cioè prendendo come
unità la lunghezza del naso (un terzo della lunghezza della faccia). La lunghezza del naso coincide, nel Manuale del Monte Athos, non solo con
l'altezza della fronte e della parte inferiore del viso (concordando in questo col canone diVitruvio e con la maggior parte dei canoni rinascimentali); ma anche con l'altezza della
parte alta della testa, con la distanza dall'estremo del naso all'angolo dell'occhio, e con la
lunghezza del collo fino alla fossetta. Questa riduzione delle dimensioni verticali e
orizzontali della testa a una sola unità rese possibile un procedimento che rivela in modo
molto chiaro la tendenza medievale alla schematizzazione planimetrica: un
procedimento cioè che permetteva di definire non solo le dimensioni ma anche le forme
geometrico more. Infatti quando fu possibile esprimere le misure, sia orizzontali che verticali, della
testa come multipli di un'unità fissa, cioè la lunghezza del naso, divenne possibile anche
determinare l'intera configurazione della testa stessa mediante tre cerchi concentrici che
avevano il loro centro comune nella radice del naso. Quello più interno (con un raggio
eguale a una lunghezza di naso) delinea la fronte e le guance; il secondo (con un raggio
di due "nasi") definisce il contorno esteriore della testa (compresi i capelli) e fissa il
limite inferiore della faccia; quello più esterno (con un raggio di tre "nasi") passa per la
fossetta del collo e di solito disegna anche l'aureola. Questo metodo automaticamente
porta a quell'eccessiva altezza e ampiezza del cranio, che, nelle figure di questo stile,
così spesso crea l'impressione di una veduta dall'alto, ma che può spiegarsi con l'uso di
quello che potrebbe dirsi "lo schema bizantino dei tre cerchi": uno schema che sta a
dimostrare come la teoria medievale delle proporzioni, preoccupata solo di un'agevole
razionalizzazione delle dimensioni "tecniche", non si facesse troppi scrupoli per la pocacura "obiettiva". Il canone delle proporzioni appare qui non solo come una spia del
Kunstwollen, ma quasi come il veicolo di una particolare forza artistica.
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"Schema dei tre cerchi" dell'arte bizantina e bizantineggiante
Testa di Cristo, inizio del secolo XIII
Testa di San Floriano, secolo XII
Questo "schema dei tre cerchi" fu assai popolare nell'arte bizantina e
bizantineggiante in Germania come in Austria, in Francia come in Italia, nella pittura
monumentale come nelle arti minori, ma soprattutto in innumerevoli miniature di
manoscritti. E anche dove (soprattutto in opere di piccolo formato) non si può parlare di
una vera e propria costruzione eseguita con riga e compasso, il particolare carattere delle
forme rivela spesso la loro derivazione dallo schema tradizionale.
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Nell'arte bizantina e bizantineggiante la tendenza alla schematizzazione
planimetrica arrivò al punto che perfino le teste viste di tre quarti erano costruite con un
sistema analogo. Esattamente come nel caso del viso posto di fronte, il viso "di scorcio"
era costruito mediante uno schema bidimensionale basato su moduli costanti e cerchi; equesto schema veniva trattato in modo da produrre l'impressione di uno "scorcio"
effettivo, se pure del tutto "scorretto", sfruttando il fatto che, in un "quadro", distanze
geograficamente eguali possono "significare" distanze oggettivamente diseguali.
Rappresentando, per così dire, un supplemento al "sistema dei tre cerchi" usato per
il viso posto frontalmente, questa costruzione del viso di tre quarti poteva utilizzarsi solo
a patto che la testa, pur esendo girata, non si piegasse in avanti, ma semplicemente
ruotasse verso destra o sinistra (Figg. 5, 6).
Santa Noemisia, secolo XII
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Jacopino di Francesco (?), Madonna con Bambino
In questo caso, dato che le dimensioni verticali restavano immutate, bastava operare
uno scorcio schematico di quelle orizzontali, cosa che si poteva fare a due condizioni: primo, che l'unità solita (una lunghezza di naso) continuasse ad essere valida; secondo,
che ancora fosse possibile, nonostante il mutamento quantitativo, determinare il
contorno della testa mediante un cerchio con un raggio di due "nasi" e l'aureola (se c'era)
mediante un cerchio concentrico con un raggio di tre "nasi".
A causa della rotazione laterale il centro di questo cerchio (o cerchi) non poteva più
coincidere con la radice del naso; doveva invece cadere nella metà del viso più vicina
all'osservatore; e per poter coincidere con un punto caratteristico della fisionomiatendeva a spostarsi o all'angolo esterno dell'occhio o del sopracciglio oppure nella
pupilla. Se si suppone che questo punto, che chiameremo A, sia il centro di un cerchio
avente un raggio di due "nasi", questo cerchio viene a definire la curva del cranio e
determina (nel punto C) la larghezza di quella metà del viso che è più lontana
dall'osservatore; l'effetto di "scorcio" risulta dal fatto che la distanza AC (che è solo du
due "nasi"), la quale nella veduta frontale aveva rappresentato solo metà dell'ampiezza
della testa, rappresenta di più nella veduta di tre quarti, cioè tanto di più quanto più il
punto A è spostato dal centro del viso. Un'ulteriore suddivisione delle dimensioni
orizzontali si può allora realizzare con una schematizzazione schiettamente medievale,
cioè con la semplice bisezione e divisione in quattro della distanza AC (per cui,
naturalmente, il significato obiettivo dei punti J, D e K è diverso a seconda che il centro
del cerchio cade nell'angolo o nella pupilla dell'occhio).
Le dimensioni verticali rimangono, come abbiamo detto, immutate: il naso, la parteinferiore del viso e il collo hanno tutti la lunghezza di un "naso". Ma per la fronte e la
parte superiore della testa deve poter bastare un'altezza minore, in quanto la radice del
naso, a partire dalla quale sono fissate le dimensioni verticali, non è più (come avviene
invece nella testa vista di fronte) sulla stessa linea del centro del cerchio che determina il
contorno del cranio; non coincidendo né con l'angolo dell'occhio né con la pupilla, deve
necessariamente cadere un po' più in alto. Di conseguenza se AE è eguale a due "nasi",
BL deve essere un po' meno di due "nasi".
Il sistema gotico
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Nonostante la sua tendenza alla schematizzazione il canone bizantono si fondava,
almeno in certa misura, sulla struttura organica del corpo; e la tendenza alla
determinazione geometrica della forma era ancora bilanciata da un interesse per le
dimensioni.
Villard d'Honnecourt. Studi di rapporti proporzionali tra figure umane, animali, architetture,e figure geometriche.
Il sistema gotico (che rappresenta un ulteriore passo avanti nell'abbandono di quello
antico) serve quasi esclusivamente a determinare i contorni e le direzioni del
movimento.
Ciò che l'architetto francese Villard de Honnecourt vuole partecipare ai suoi
confrères come "art de pourtraicture" è una "méthode expéditive du dessin" che ha ben
poco a vedere con il calcolo delle proporzioni e fin dall'inzio ignora la struttura naturale
dell'organismo. Qui la figura non è più "misurata" nemmeno in "visi" e "facce"; lo
schema ha completamente rinunciato, per così dire, all'oggetto. Il sistema di linee
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(spesso guidato da un criterio puramente ornamentale e in certi casi perfettamente
corrispondente ai trafori gotici) è sovrapposto alla forma umana come una struttura
metallica a se stante. Le linee rette sono "linee di guida" anziché linee di misura; non
sempre il loro sviluppo corrisponde a quello delle dimensioni naturali del corpo, essedeterminano l'apparenza della figura solo in quanto la loro posizione indica la direzione
in cui si suppone si sviluppino le membra, e i loro punti di intersezione coincidono con
certi, caratteristici loci della figura.
Costruzione della figura vista di fronte secondo Villard de Honnecourt
Così la figura virile in piedi (Fig. 7) risulta da una costruzione che non ha alcun
rapporto con la struttura organica del corpo: la figura (tolta la testa e le braccia) è inserita
in un pentagono allungato in senso verticale, il cui vertice superiore è mozzo e il cui lato
orizzontale AB è all'incirca un terzo dei lati lunghi AH e BG. Così i punti A e B
coincidono con le attaccature delle spalle; i punti G e H con i talloni; J, punto mediodella linea AB, determina la posizione della fossetta della gola; e i punti che
corrispondono ai terzi dei lati lunghi (C, D, E e F) determinano rispettivamente la
posizione dei fianchi e delle ginocchia.
Anche le teste delle figure umane (come quelle degli animali) sono costruite non
solo sulla base di forme così "naturali" come possono esserlo dei cerchi, ma anche sulla
base di un triangolo o addirittura del pentagono già ricordato che, di per sé, è del tutto
estraneo alla natura (29). Le figure di animali (se mai si tenta un qualche genere di
articolazione) sono costruite, in modo del tutto inorganico, sulla base di triangoli,
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quadrati e archi di cerchio (Fig. 10) (30). E quando sembra prevalere un interesse per le
pure proporzioni (come nella grossa testa riprodotta a Fig. 8 che è inserita in un largo
quadrato suddiviso a sua volta in sedici quadrati eguali, aventi ognuno il lato di un
"naso" come nel canone del Monte Athos) (31), un quadrato messo per ritto, costituito didiagonali e inserito sul quadrato grande (come nel tipico piano di fondo delle chiavi di
volta gotiche), immediatamente introduce un principio planimetrico, schematizzante, che
determina la forma anziché le proporzioni. Proprio questa testa, tra l'altro, ci convince
che tutte queste cose non sono, come si sarebbe tentati di supporre, pura fantasia (per
quanto frequentemente sembrino confinare con questa): una testa di una vetrata di Reims
(Fig. 9) corrisponde esattamente alla costruzione di Villard non solo per quanto riguarda
le dimensioni (32), ma anche per il fatto che i tratti del viso sono chiaramente
determinati in base all'idea di un quadrato messo per ritto.
Villard de Honnecourt, Costruzione di testa
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Testa di Cristo, c. 1235
Villard de Honnecourt, Foglio di disegni
Villard de Honnecourt, al pari degli artisti bizantini e bizantineggianti, compì un
interessante tentativo di applicare lo schema elaborato per la costruzione della vedutafrontale alla veduta di tre quarti; però il suo tentativo si esercitò su figure intere anziché
su teste e si esplicò in modo anche meno differenziato e più schematico.
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Fig. 11 Costruzione della figura vista di tre quarti secondo Villard de Honnecourt
Egli utilizzò lo schema del pentagono già descritto senza alcuna trasformazione se
non quella di spostare la giuntura della spalla, che precedentemente cadeva nel punto B,
al punto X, approssimativamente a metà della distanza JB. Esattamente come nella
costruzione bizantina della veduta di tre quarti, l'impressione dello "scorcio" è realizzata
in modo che la stessa lunghezza venga a "significare", nel lato più lontano dallo
spettatore, metà dell'ampiezza totale del torso, ad esempio la distanza tra la fossetta della
gola e l'attaccatura della spalla (JX), mentre nel lato rivolto verso lo spettatore
rappresenta solo un quarto delle larghezza totale. Questa curiosa costruzione è forse
l'esempio più eloquente di una teoria delle proporzioni, che, "pour légièrement ouvrier",
si occupava esclusivamente di una schematizzazione geometrica delle dimensioni
"tecniche", mentre la teoria classica, che si basava su principi diametralmente opposti, si
era limitata a una determinazione antropometrica delle dimensioni "oggettive".
Nel Rinascimento
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Leonardo da Vinci. Proporzioni del volto umano
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Albrecht Durer. Studi di proporzione delle figure dell'uomo e della donna.
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Proporzione del cavalo e della figura umana. Disegni del codice Huygens.
L'uomo vitruviano rivisitato
Il corpo umano ha inoltre un centro che corrisponde all'ombelico. Se infatti "si
collocasse supino un uomo colle mani e i piedi aperti e si mettesse il centro del
compasso nell'ombelico, descrivendosi una circonferenza si toccherebbero
tangenzialmente le dita delle mani e dei piedi. Ma non basta: oltre lo schema del circolo,
nel corpo si troverà anche la figura del quadrato. Infatti se si misura dal piano di posa
dei piedi al vertice del capo, poi si trasporterà questa misura alle mani distese, si troveràuna lunghezza uguale all'altezza, come accade nel quadrato tirato a squadra" (Ferri III, 1,
4, p. 97).
Questo brano, in cui Vitruvio riconduce l'uomo ideale (microcosmo) alle figure
geometriche della circonferenza e del quadrato - simbolo dell'universo e della terra
(macrocosmo) - ha affascinato schiere di architetti che, a partire dal rinascimento, si
sono cimentati nella traduzione grafica di tale insegnamento. Fra questi, va ricordato il
famoso disegno di Leonardo da Vinci, conservato presso le Gallerie dell'Accademia diVenezia;
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quello di Fra' Giocondo, pubblicato nel suo trattato a Venezia nel 1511 e quello di
Andrea Palladio, pubblicato nel commento a Vitruvio di Daniele Barbaro, uscito
nell'edizione latina del 1567.
La quadratura del cerchio "microcosmico" per Leonardo:
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Come non pensare al celeberrimo "Uomo vitruviano" iscritto a braccia larghe nel
quadrato e nel cerchio? L’uomo non esce dal cerchio; chi esce sono solo gli angoli delquadrato della materia. L’uomo con le gambe chiuse e le braccia aperte sul quadrato
forma una croce, il cammino di croce dell’uomo nato dalla materia.
L’uomo che tocca con le mani e le gambe aperte, il cerchio dello spirito, è l’uomo
che cammina e opera per lo spirito. Quest’uomo forma una stella a cinque punte, dove il
quinto punto in alto contiene la testa. Troviamo così il numero cinque al quale Leonardo
attribuiva evidentemente molta importanza.
Storia della rappresentazioneIn tutte le civiltà l’uomo ha sempre cercato di rappresentare la realtà per esprimere
un’emozione, un sentimento, per esprimere un messaggio oppure semplicemente per
trasmettere ciò che il suo occhio percepiva.
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Il problema della rappresentazione su un piano di oggetti tridimensionali è sempre
stato sentito ed è alla base della geometria descrittiva, “la scienza degli artisti e degli
artigiani” come la chiamava all’inizio del 1800 Monge e della geometria proiettiva.
Nel corso dei secoli architetti e pittori, artisti e matematici hanno accumulato unenorme patrimonio di conoscenze geometriche e sebbene il pensiero corra subito ai
grandi pittori del Rinascimento quando si parla di tecniche prospettiche, il cammino che
ha portato a capolavori dell’arte ha avuto inizio nell’antica Grecia.
Alle radici storiche della prospettiva
La ricostruzione storica che qui verrà proposta terrà presente che
una classica visione platonistica sarebbe a nostro avviso difficilmentesostenibile: lo sviluppo di un settore della conoscenza umana, ad
esempio quello (artistico e scientifico) collegato alla prospettiva, non
può essere visto in termini di continuo progresso. Ad esempio, il
passaggio dalla perspectiva naturalis di Giotto alla perspectiva
pingendi di Piero della Francesca non deve essere obbligatoriamente
interpretato come una fase di avanzamento, bensì di cambiamento:
dalla scelta di rendere la terza dimensione mediante
un’interpretazione basata su ricerche empiriche a quella del ricorso ad
un supporto geometrico.
Prima di Euclide
La rappresentazione bidimensionale della realtà tridimensionale è
una delle questioni più approfondite e dibattute nella storia dell’arte enella storia della scienza (Emmer, 1991; Bagni & D’Amore, 1994).
Procedimenti elementari per la rappresentazione del reale furono
ideati ed utilizzati nell’ambito delle civiltà pre-elleniche. Disegni egizi
provano ad esempio che i loro autori avevano empiricamente intuito
alcuni concetti propri della similitudine e della prospettiva. Per quanto
riguarda la cultura dell’età micenea (1400- 1100 a .C.), interessanti
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sono, ad esempio, gli allineamenti di teste collocate su piani diversi
per ottenere immagini prospettiche nel palazzo cretese di Cnosso.
Anche i Cinesi si occuparono di prospettiva: nel Tcheou-Pei Suang
Ching, significativa è la parte in cui sono trattate le modalità per la
determinazione delle dimensioni delle ombre (la collocazione
cronologica è controversa: per quanto riguarda la data della
compilazione finale, si opta per il IV - III sec. a.C., ma parte del
materiale riportato nel trattato risale probabilmente al 1100 a .C.).
Tra i Greci, sono talvolta citati Democrito e Anassagora (V sec.
a.C.); ricordiamo inoltre alcuni pittori: Agatarco (460- 410 a .C. circa),
un ateniese divenuto celebre per le capacità di decoratore; Apollodoro
detto lo Schiagrafo (ovvero “il pittore delle luci e delle ombre”),
operante nel V sec. a.C.; e infine Polignoto da Taso (510-440 circa
a.C.), al cui stile è spesso riferito il “Cratere degli Argonauti”, o
“Cratere di Orvieto”, conservato al Louvre, in cui è utilizzata una
forma elementare di prospettiva nella rappresentazione di alcuni
personaggi.
L’Ottica di Euclide
Euclide, uno dei grandi legislatori della geometria greca, scrisse
un trattato fondamentale per la storia della prospettiva. Nella sua
Ottica sono proposti 14 termini (i primi 12 sono considerati autentici):
I. I raggi emessi dall’occhio procedono per via diritta.
II. La figura compresa dai raggi visivi è un cono che ha il vertice
nell’occhio e la base al margine dell’oggetto visto.
III. Si vedono quegli oggetti ai quali giungono i raggi visivi.
IV. Non si vedono quegli oggetti ai quali i raggi visivi non
giungono.
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V. Quegli oggetti che si vedono sotto angoli maggiori sono
giudicati maggiori.
VI. Quegli oggetti che si vedono sotto angoli minori sono giudicati
minori.
VII. Gli oggetti che si vedono sotto angoli uguali sono giudicati
uguali.
VIII. Gli oggetti che si vedono con raggi più alti sono giudicati più
alti.
IX. Gli oggetti che si vedono con raggi più bassi sono giudicati più
bassi.
X. Gli oggetti che si vedono con raggi diretti a destra sono
giudicati alla destra.
XI. Gli oggetti che si vedono con raggi diretti a sinistra sono
giudicati alla sinistra.
XII. Gli oggetti che si vedono con più angoli si distinguono più
chiaramente.
(XIII) Tutti i raggi hanno la stessa velocità.
(XIV) Non si possono vedere gli oggetti sotto qualsiasi angolo.
Il primo termine è significativo: Euclide seguiva la concezione di
Platone, secondo cui il raggio visivo parte dall’occhio e segue una via
rettilinea; se la prima affermazione non ha grande importanza nel
seguito dell’Ottica, la seconda è decisiva, in quanto collega
indissolubilmente la comprensione e la descrizione dei fenomeni ottici
allo studio della geometria. Con l’Ottica gli sforzi per ottenere una
rappresentazione verosimile della realtà imboccarono la strada dellostudio matematico (Ovio, 1918).
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Notevole fu l’influenza dell’Ottica nei periodi seguenti il III secolo
a.C. Alcuni risultati di Euclide, probabilmente già intuiti da studiosi
precedenti, si ritrovano in interessanti accorgimenti tecnici nella
struttura degli edifici greci (la visione scenografica della facciata deltempio).
Ancora oggi l’Ottica è di estremo interesse per i suoi legami con la storia dell’arte,
la pittura, la scenografia, l’astronomia e le varie tecnologie di rilevamento geografico.
I diversi scenari sono ‘mappabili’ con diverse geometrie: la geometria delle
similitudini, dove domina l’invarianza del rapporto, la geometria proiettiva che governa
il disegno prospettico e la geometria della sfera per rappresentare la volta celeste e imovimenti degli astri.
L’influenza dei risultati provati da Euclide è stata notevole sia nella tecnica che nel
pensiero di studiosi e artisti nel periodo successivo al 300 a.C.: si può notare infatti la
presenza di alcuni accorgimenti tecnici nella struttura degli edifici greci.
La visione scenografica della facciata del tempio greco ha una notevole rilevanza;
le ricerche sull’ottica, unitamente alla pratica, hanno permesso di superare l’impressione
di convergenza delle colonne che, altrimenti, apparirebbero appunto lievemente
deformate alla visione. Per evitare il manifestarsi di tale aberrazione, molti edifici sono
costruiti con opportune deformazioni opposte (descritte nel già citato De Architectura di
Vitruvio).
L'influenza dell'ottica di Euclide
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Molti autori nei secoli si occupano di ottica e prospettiva, ma assai diversi sono i
punti di vista dai quali questa materia è trattata.
Tra gli studiosi ricordiamo Ipparco da Nicea (180-125 circa a.C.), astronomo
operante ad Alessandria e a Rodi, considerato uno dei fondatori della trigonometria; dal punto di vista tecnico egli realizza la diottra, antenato del moderno teodolite ancora oggi
usato dai geometri.
Agatarco in Atene, per la rappresentazione di una tragedia di Eschilo, curò la scena
e Vitruvio ce ne lasciò notizia. Seguendo il suo esempio, Democrito ed Anassagora si
occuparono del medesimo argomento, e cioè in quale modo le linee debbano
corrispondere, in maniera naturale, alla visione degli occhi ed alla estensione dei raggi,
fissato un certo punto come centro, affinché immagini determinate dell’apparenza
rendano l’aspetto degli edifici nelle pitture sceniche
(Vitruvio De architectura trad. di U.Flores)
Esempi significativi compaiono nella pittura vascolare greca
Pittura vascolare greca del IV sec. a.C. Il tempietto è rappresentato in prospettiva
parallela: prospetto anteriore e posteriore sono cioè collegati da linee oblique. Si tratta di
primi tentativi dettati dalla intuizione e dalla osservazione che, comunque, portano alla
costruzione di una struttura spaziale e di una tecnica di rappresentazione che
probabilmente, in qualche misura, tiene conto delle esperienze dell’ottica scientifica del
IV secolo a.C.e negli affreschi di epoca romana dove frequentemente si trovano visioni
di tipo prospettico-intuitivo per suggerire l’effetto di profondità, ma dallo studio di
alcune rappresentazioni pare debole la padronanza della prospettiva e che il suo uso sia
ancora a livello intuitivo e limitato all’utilizzo di chiaroscuro e ombre.
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Paesaggi architettonici da affreschi di Pompei - (40-45 d.C.)
Villa dei Misteri - Pompei (affresco 90 a.C. circa)
Roma - pittura ellenistico romana (30 a.c.)
La prospettiva tra l’Età antica e il Medioevo
Sulla scia di Euclide molti autori si occuparono di prospettiva.
Nell’Età antica e nel Medioevo essa fu talvolta identificata con l’ottica
e studiata secondo criteri geometrici; altre volte fu collegata con la
fisiologia della visione. Spesso, in particolare nel tardo Medioevo, il
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problema venne affrontato sulla base di motivazioni artistiche, per
rendere più verosimile la rappresentazione pittorica della realtà.
Tra gli studiosi dell’Età antica che si occupano di ottica dopo
Euclide ricordiamo Ipparco da Nicea (180-125 circa a.C.). Un rilevante
contributo della civiltà romana alla storia della prospettiva è costituito
dagli scritti di Vitruvio, architetto e ingegnere militare dell’età
augustea.
La rappresentazione architettonica in Vitruvio (I sec. a.C.), autore
del De Architectura (opera scritta prima del 27 a .C.) è infatti suddivisa
in:
• “iconographia”, la pianta: rende le figurazioni delle forme sul
piano delle aree;
• “orthographia”, l’alzato: l’immagine frontale, disegnata
rispettando le proporzioni dell’opera;
• “scenographia”: è la rappresentazione prospettica di un oggetto
reale, costituita dallo schizzo della facciata dei lati per linee
convergenti al centro.
Claudio Tolomeo (II secolo) scrisse un trattato di ottica in cui è
analizzata la riflessione ed è tentata un’interpretazione geometrica
della rifrazione. Egli si rivelò anche magistrale cartografo e riprese ilmetodo della proiezione stereografica, forse introdotto da Ipparco: il
Planisphaerium tolemaico sarà commentato nel XVI secolo da
Federigo Commandino in un’opera che segnerà una svolta nella storia
della prospettiva. Al tramonto dell’età antica appartiene inoltre
Eliodoro di Larissa (IV secolo), autore di un rifacimento dell’Ottica
euclidea (da alcuni attribuito ad un suo discepolo).
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Importante fu il contributo di Vitruvio (ingegnere-architetto militare dell’età
augustea) che, consapevole delle possibilità offerte dalla geometria alla risoluzione di
problemi tecnico pratici ed in particolare alla rappresentazione di edifici, nel suo trattato
De architectura definisce la scenografia come lo schizzo della facciata e dei lati inscorcio con la convergenza di tutte le linee del centro... e scrive "La geometria poi offre
molti aiuti all’architettura, ed innanzitutto insegna l’uso della riga e del compasso,
mediante i quali si possono disegnare con grande facilità nel piano piante di edifici,
schizzi di livellamento e linee perpendicolari.
Gli Arabi e il “problema di Alhazen”
Il contributo della scienza araba alla storia della prospettiva èimportante: Alkindi (800-873 circa) scrisse il trattato identificato dal
titolo latino De visu o De aspectibus (talvolta ritenuto di autore
anonimo) in cui si mostrò buon conoscitore delle teorie ottiche
euclidee. Vasta notorietà ha raggiunto, nella storia delle scienze,
l’astronomo e matematico Alhazen (965-1039), autore del lavoro
diffuso in Europa col titolo Opticae Thesaurus Libris Septem nella
traduzione latina del XII secolo di Gherardo da Cremona. Alhazen
ribaltò l’antica impostazione sulla propagazione della luce, sostenendo
che i raggi visivi partono dall’oggetto osservato per giungere
all’occhio.
Il Medioevo
La diffusione delle opere arabe in Europa contribuì ad una crescitadell’interesse per l’ottica e per la prospettiva. Tra gli studiosi che si
occuparono della materia nel Medioevo ricordiamo Roberto di Lincoln,
detto Grossatesta (1175-1253), autore del De luce, lavoro di
impostazione aristotelica che rivela buone conoscenze geometriche e
ottiche. Anche Ruggero Bacone (1214-1294), discepolo di Grossatesta
ad Oxford, si occupò di prospettiva. Giovanni Peckham (1242-1292),teologo inglese ed arcivescovo di Canterbury, è l’autore di Perspectiva
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communis, opera importante e molto apprezzata verso la fine del
Medioevo (Peckham fu detto “magister perspectivae”).
Dal punto di vista artistico, spesso nel Medioevo i criteri della
rappresentazione erano collegati all’importanza dei soggetti ritratti
(analogamente a quanto si nota, ad esempio, per l’arte egiziana)
pertanto il personaggio più importante di un quadro veniva spesso
rappresentato con le maggiori dimensioni, indipendentemente da
qualsiasi visione prospettica. Nonostante ciò, accorgimenti pratici per
la resa pittorica della tridimensionalità possono già essere evidenziati
nelle opere di molti artisti del tardo Medioevo, tra i quali Duccio di
Boninsegna (1255-1319) e Giotto da Bondone (1267-1336).
Il senese Ambrogio Lorenzetti (attivo tra il 1319 e il 1348) fu
abilissimo nell’elaborazione intuitiva della terza dimensione, ovvero
della “perspectiva communis”, prima dell’introduzione di una teoria
matematica in proposito: proprio con le opere di Lorenzetti comparve,
nella storia della pittura, la convergenza ad un unico punto delle rette
perpendicolari ad una retta orizzontale di fronte. Ma queste pur
importanti ricerche empiriche non possono essere confuse con la
coerente ricerca razionale che caratterizzerà la prospettiva
rinascimentale.
l medioevo
Dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.) la teoria della prospettiva
si è evoluta in modo molto lento. Ironizzando sulle convenzioni spaziali dell'arte
medioevale, l'autore di questa vignetta fa esclamare al re, mentre il pranzo sta
precipitando a terra: "E' tutta colpa di come disegnano questi maledetti tavoli"
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Nei secoli immediatamente successivi alla caduta dell’Impero romano d’occidente(476 d.C.) la rappresentazione dello spazio si orientò verso modalità fortemente
antiprospettiche.
La veduta antiprospettica fu considerata necessaria per stabilire una sorta di
naturalità visiva, nella quale tutte le figure, ugualmente collocate in un piano, potessero
assumere lo stesso grado di importanza, rispetto ad una dimensione concettuale. La
presenza del fondo oro, oltre che avere una valenza simbolica, rivestiva un preciso ruolo
nel contribuire ad appiattire le immagini, negando così la suddivisione tra luce ed ombra.
Duccio da Boninsegna, Lorenzetti, Giotto
In seguito la rappresentazione spaziale continua ad utilizzare procedimenti empirici
di vaga impostazione assonometrica, che convivono con l’esigenza di rappresentare il
personaggio più importante in dimensioni maggiori.
Accorgimenti pratici significativi per la resa pittorica compaiono nelle opere di
molti artisti del tardo Medio Evo tra cui Duccio da Boninsegna (1255-1319), Ambrogio
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Lorenzetti e Giotto. Sono loro gli artefici della prospectiva communis, così definita nel
Rinascimento, che precede l’introduzione di una precisa teoria matematica sulla materia.
Duccio da Boninsegna-Cristo accusato dai Farisei-Siena
Pre-prospettiva? Ingrandisci la rocca.
Ambrogio Lorenzetti-le conseguenze del buongoverno-Siena
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Ambrogio Lorenzetti-Veduta di città sul mare
Giotto riuscì a far apparire abitabili scene architettoniche di ridotta ma controllata
spazialità, puntando non all’unificazione spaziale dell’intera scena ma alla coerente
organizzazione delle parti.Il controllo e la padronanza dello spazio sono un’eccezione del Trecento, secolo in
cui qualsiasi sperimentazione spaziale trova un limite simbolico nel fondo oro dei dipinti
su tavola e nel fondo blu degli affreschi.
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Pre-prospettiva? Ingrandisci la rocca.
Giotto – San Francesco che dona il mantello al povero mendicante –Assisi
Giotto - Papa Innocenzo benedice Francesco e la sua regola (1296-1300)- Assisi
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Giotto-Cappella degli Scrovegni Padova
Il Rinascimento
Due furono le linee di ricerca sull’ottica e sulla prospettiva dal
Medioevo all’Età contemporanea: da un lato, i pittori si impegnarono
nell’elaborazione di regole per una rappresentazione verosimile e
corretta della realtà (in una prima fase empiricamente; in seguito
mediante l'applicazione geometrica).
Parallelamente si sviluppò la ricerca matematica che, anche
riprendendo i capolavori dell’Antichità, porterà in tempi più vicini a noi
pensatori del calibro di Desargues, Pascal, Monge e Poncelet alla
sistemazione teorica della geometria proiettiva (Bonelli, 1978;
Menghini & Mancini Proia, 1988).
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Al Rinascimento va fatta risalire la svolta che portò artisti e
matematici a staccarsi dall’empirismo per elaborare regole precise per
la rappresentazione del reale, norme codificate in trattati sistematici.
Questo passaggio dalla “perspectiva communis” medievale alla
“perspectiva artificialis” (seguendo la distinzione di Leon Battista
Alberti) si colloca all’inizio del XV secolo, con gli studi di Filippo
Brunelleschi (1377-1446). La “regula legitima” brunelleschiana superò
definitivamente il vecchio concetto euclideo secondo il quale i raggi
visivi uscenti dall’occhio andrebbero a cogliere i corpi luminosi,
impostazione già contestata da Alhazen: non abbiamo informazioni
dirette sulle teorie di Brunelleschi (indicazioni possono essere desunte
dalle opere di Piero della Francesca e di Sebastiano Serlio); ma è
accertato che con l’architetto toscano fecero la comparsa nella storia
della prospettiva i concetti di piramide visiva e di unico punto di fuga.
Le idee di Brunelleschi si rispecchiano nell’opera di uno dei primi
maestri della pittura rinascimentale fiorentina, Masaccio (1401-1428).
Nonostante la priorità cronologica, la mancanza di un trattato di
Brunelleschi sulla prospettiva fa sì che Leon Battista Alberti (1404-
1472) sia il primo scrittore rinascimentale sull’argomento. Alberti è
autore del lavoro Della Pittura (1435-1436, stampato nel 1511) in cui
sono codificate ed ampliate le idee di Brunelleschi. L’ossatura
geometrica del lavoro albertiano appare tuttavia ancora legata ad unvago empirismo, che sarà superato soltanto con l’opera di Piero della
Francesca (1416?-1492).
Piero della Francesca Leonardo da vinci e Albrecht Dürer
Uno dei massimi pittori del XV secolo e di tutta la storia dell’arte
fu anche un profondo matematico:
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Piero della Francesca nel 1475 circa scrisse De prospectiva
pingendi, il più importante trattato sulla prospettiva rinascimentale.
Ricordiamo che egli è anche l'autore di due interessanti opere di
argomento matematico (una di esse è De quinque corporibus
regularibus, ripresa e pubblicata a Venezia nel 1509 in lingua italiana
da Luca Pacioli nella III parte della Divina proportione).
Piero, nel proprio De prospectiva pingendi, si mostrò pienamente
consapevole della necessità di riferire la rappresentazione pittorica ad
un organico sistema di procedimenti matematici: essi devono
consentire un’oggettiva “traduzione” dello spazio reale in uno spazio
della rappresentazione con opportune “degradazioni”. Piero morì il 12
ottobre 1492, il giorno dello sbarco di Cristoforo Colombo in America:
preziosa e feconda sarà l’eredità per gli artisti e per i matematici
dell’Età moderna di colui che Vasari definì “il miglior geometra che
fusse nei tempi suoi”.
Pochi anni dopo Piero, anche Leonardo da Vinci (1452-1528) si
occupò di prospettiva e scrisse un Trattato della pittura (opera
perduta nella sua versione originale, probabilmente mai completata).
L’impostazione leonardesca del problema della tridimensionalità
appare incentrata sull’attenzione al risultato artistico (con sfumature
per suggerire la distanza, colori che progressivamente sbiadiscono) ed
era quindi diversa da quella di Piero, che considerava gli oggetti comeforme geometriche da rappresentare secondo regole precise, senza
concessioni a chiaroscuri ed a sfumature.
La diffusione delle teorie sulla prospettiva nell’Europa centro-
settentrionale fu favorita dall’opera di Albrecht Dürer (1471-1528), il
grande artista di Norimberga che fu a lungo in contatto con gli
ambienti veneziano e bolognese e che pubblicò nel 1525 Le istituzioni
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geometriche in quattro libri (in latino) e nel 1528 Unterweysung der
Messung mit dem Zirkel und Richtscheyt .
Dalla prospettiva alla geometria proiettiva
Dal Medioevo fino al XVI secolo, dunque, la prospettiva rimase
prevalentemente patrimonio di pittori e architetti: lo studio
matematico della prospettiva in senso astratto non era praticato. A
due studiosi italiani del XVI secolo viene fatto risalire il superamento di
questa situazione: Federigo Commandino (1509-1575) e il suo allievo
Guidobaldo del Monte (1545-1607). Con le loro opere, la “prospettiva
degli artisti” e la “prospettiva dei matematici” imboccarono strade
diverse e complementari.
Commandino fu traduttore ed editore di molte opere greche.
Scrisse Ptolemaei Planisphærium, Jordani Planisphærium, F.
Commandini in Ptolemaei Planisphærium Commentarius (Venezia,
1558) in cui, commentando i lavori di Tolomeo e di GiordanoNemorario, gettò le basi della prospettiva lineare: l’opera fu però
accolta con scarso favore dall’ambiente artistico. Del Monte nel 1600
pubblicò il trattato Perspectivae libri sex , opera nella quale riprese in
esame tecniche ed accorgimenti già utilizzati empiricamente dagli
artisti al fine di darne una dimostrazione; egli, ad esempio, sembra
essere stato il primo a dimostrare rigorosamente che la proiezione
centrale di un fascio di rette parallele è costituita da un fascio di rette
concorrenti in un punto e che più fasci di rette parallele tra loro e
parallele allo stesso piano hanno i “punti di concorso” sulla stessa
retta.
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L'illusionismo prospettico barocco
Se da un lato Agli inizi del Seicento, il problema prospettico approdò a una definita
soluzione scientifica nell'opera di Monte, entrando definitivamente nell'orbita
dell'indagine matematica, d'altro lato lo scadere negli artisti dell'interesse teorico lasciò il
campo a prontuari di tipo pratico per la riduzione prospettica applicata a diversi campi,
come la scenografia teatrale, l'architettura, la decorazione pittorica illusionistica o
quadraturismo.
Quadraturismo
Quadraturismo genere pittorico che ebbe la sua massima fioritura nel barocco,
consistente nel rappresentare sulla superficie piana del dipinto o dell'affresco architetture
a spazi prospettici.
Le origini rinascimentali. Il quadraturismo affonda le sue radici negli studi di
prospettiva e nella pittura del Quattrocento toscano, quando a mano a mano si venne
definendo quel carattere illusorio della prospettiva architettonica dipinta che costituisce
la natura prima della "quadratura" tardocinquecentesca e barocca e che l'apparenta allascenografia (sfondato). Tra gli esempi più precoci di questo nuovo uso dell'architettura
dipinta sono le Logge di Raffaello in Vaticano, la sala dei Cavalli di Giulio romano nel
palazzo Te a Mantova e la sala delle Prospettive di Peruzzi nella Farnesina a Roma.
Il Seicento veneto e bolognese. Il quadraturismo vide la sua grande fioritura dopo la
metà del Cinquecento nelle ville palladiane affrescate da Paolo Veronese e dalla sua
scuola (Battista Zelotti Giovanni Antonio Funian
Roma, Napoli e Genova. Il quadraturismo raggiunse un vertice insuperato a Roma
nell'opera di padre Pozzo a Michelangelo Cerquozzi
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Fu proprio con l'arte barocca dunque che si verificò la scissione tra la ricerca
scientifica e l'applicazione artistica, che si servì della prospettiva solo come mezzo di
decorazione illusionistica e spettacolare, e non più come strumento d'indagine della
realtà. Johannes Kepler e Simon Stevin
Dopo gli studi di Federigo Commandino e di Guidobaldo del Monte,
mentre pittori ed architetti si impegnavano nella ricerca di sempre più
suggestivi accorgimenti prospettici, la storia della prospettiva
imboccava la strada parallela della ricerca matematica; più nessuna
motivazione artistica era alla base dell’opera di due grandi scienziatiche nei primi decenni del XVII secolo si occupano di prospettiva:
Johannes Kepler (1571-1630) e Simon Stevin (1548-1620).
Johannes Kepler pubblicò nel 1604 Paralipomena ad Vitellionem,
lavoro al quale si può far risalire la nascita dell’ottica geometrica
moderna. La trattazione unitaria delle coniche suggerita da Kepler, ed
in particolare lo studio della posizione dei fuochi, comprendevaun’intuitiva introduzione del concetto di “punto all’infinito” (anticipò
quindi l’impostazione che trent’anni più tardi sarà di Desargues).
Stevin nel 1634 a Leida pubblicò il Traité d’optique in cui espose la
teoria della rappresentazione prospettica e si occupò della soluzione
(fornita soltanto in casi particolari) della “questione inversa del
problema fondamentale della prospettiva”: date in un piano due figure
qualunque che siano la prospettiva l’una dell’altra, le si collochino
nello spazio in modo che la prospettiva abbia effettivamente luogo e si
determini la posizione dell’occhio. I lavori geometrici sulla prospettiva
da Euclide al XVII secolo resero fertile il terreno per una svolta
fondamentale: la nascita della geometria proiettiva. Artefice di questa
svolta sarà Desargues.
Desargues e Pascal
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Girard Desargues (1591-1661), ingegnere ed architetto di Lione,
pubblicò nel 1636 Methode universelle de mettre en prospective les
objects e nel 1639 il Brouillon project d’une atteinte aux evenemens
des rencontres d’un cone avec un plan. Tale opera, purtroppo scrittain uno stile assai poco efficace e quindi scarsamente apprezzata,
contiene concetti e risultati importanti e nuovissimi.
In particolare, il concetto di proiezione era un’idea fondamentale
dell’impostazione di Desargues e su di essa si basava l’elegante
trattazione delle sezioni coniche dello studioso francese (che sarà
ripresa da Pascal e, nel XIX secolo, da Poncelet). Di importanza
primaria nell’opera di Desargues è l’introduzione dei concetti di punto
e retta impropria. Desargues si occupò quindi delle coniche con un
procedimento unitario e pertanto assai moderno ed elegante.
Le idee di Girard Desargues furono riprese dal più importante dei
suoi seguaci, Blaise Pascal (1623-1662), che nel 1640 (non ancora
diciassettenne) scrisse Essay pour le Coniques. In esso è contenuto
l’enunciato della proposizione oggi nota come teorema di Pascal.
Un matematico svizzero fu tra i protagonisti delle ricerche nel XVIII
secolo sulla prospettiva e sulla geometria proiettiva: Johan Heinrich
Lambert (1728-1777), autore dell’elegante Trattato di prospettiva
(1774). Interessante è anche il saggio Photometria sive de mensura et
gradibus luminis, colorum et umbra, pubblicato da Lambert nel 1760:
in esso sono considerate questioni di teoria delle ombre ed è
enunciata la proposizione (Legge del coseno di Lambert ) secondo la
quale la quantità di luce ricevuta da una parte opaca di piano
illuminata da una sorgente puntiforme posta a distanza infinita è
direttamente proporzionale all’area della superficie illuminata ed al
coseno dell’angolo di incidenza.
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Gaspard Monge e la geometria descrittiva
Gaspard Monge (1746-1818), fu uno dei sistematori delle questioni
riguardanti la rappresentazione bidimensionale di oggetti
tridimensionali: a lui si deve la teoria che viene oggi chiamata
geometria descrittiva; nella Geometrie descriptive sono raccolte le
lezioni tenute da Monge all’École Normale nel corso di “stereotomia”
nell’anno accademico 1794-1795.
Il Traité di Jean-Victor Poncelet
Jean-Victor Poncelet (1788-1867) fu allievo di Monge e nel 1822pubblicò il Traité des proprietes projectives des figures: con tale opera
è identificata la nascita della moderna geometria proiettiva (Cassina,
1921). Un fondamentale risultato di Poncelet è l’introduzione del
“birapporto” di quattro punti A, B, C, D su di una retta.
Poncelet riuscì finalmente a risolvere l’antico problema della
prospettiva: è noto, infatti, che nel passaggio da un oggetto alla sua
rappresentazione prospettica non si mantengono le distanze né i
rapporti tra i segmenti. L’invariante rispetto alla proiezione è
individuato dal teorema seguente: dati quattro punti allineati A, B, C,
D, siano A’, B’, C’, D’ quattro punti ottenuti dai primi con una
proiezione su di un’altra retta. Allora risulta: (ABCD) = (A’B’C’D’).
Dunque il birapporto è invariante nelle proiezioni: proprietà di questotipo si dicono proiettive.
Un altro grande merito di Poncelet è di avere riproposto la nozione
di punto all’infinito, intuita da Desargues; nel XVIII secolo tale concetto
era utilizzato solo in parte. Poncelet invece utilizzò organicamente i
punti all’infinito e considerò sistematicamente i fenomeni geometrici
nello spazio proiettivo. Introdusse inoltre nella matematica il settoredella geometria proiettiva complessa (già in parte trattato da Monge),
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superando così la diffidenza con la quale i punti immaginari erano
trattati nel XVIII secolo.
Il principio di dualità
Poncelet si occupò con Joseph Diez Gergonne (1771-1859), autore
di Essai de dialectique rationelle, della proposizione che viene detta
“principio di dualità” (le cui radici, molto antiche, possono essere
ricercate addirittura in Apollonio, e più tardi in Desargues, in de la Hire
e in Monge). Il lavoro di Poncelet sarà sviluppato da Julius Plücker
(1801-1868), Michel Chasles (1793-1880, autore del Traité de
geometrie superieure del 1852) e Charles J. Brianchon (1785- 1864, a
cui si deve un risultato che, come vedremo, consente di fornire un
celebre esempio di dualità).
Il generale principio di dualità può essere enunciato nel modo
seguente: da ogni proposizione di geometria proiettiva piana può
esserne ricavata un’altra, caratterizzata dalla stessa struttura logicadella prima, mediante lo scambio dei termini duali. In particolare:
• la nozione di proiezione è duale della nozione di sezione e
viceversa;
• la nozione di punto è duale della nozione di retta e viceversa;
• la nozione di quadrangolo è duale della nozione di quadrilatero eviceversa, etc.
Interessante è la relazione di dualità intercorrente tra il teorema di
Pascal ed il “teorema di Brianchon”: ricordiamo l’enunciato della prima
proposizione: Teorema di Pascal. Condizione necessaria e sufficiente
affinché i vertici di un esagono stiano su di una conica è che i punti
comuni alle tre coppie di lati opposti appartengano alla stessa retta. Intale enunciato modifichiamo alcuni termini: sostituiamo “vertice” con
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“lato” (e viceversa) e “punto” con “retta” (e viceversa). Otteniamo
così: Teorema di Brianchon. Condizione necessaria e sufficiente
affinché i lati di un esagono stiano su di una conica (siano tangenti ad
una conica) è che le rette comuni alle tre coppie di vertici oppostiabbiano in comune lo stesso punto.
Si noti che il principio di dualità consente un’importante
semplificazione dell’opera dimostrativa: la dimostrazione di una
proposizione implica infatti la dimostrazione della proposizione duale
(Freguglia, 1982).
Il programma di Erlangen
La precisazione dei concetti di gruppo e di invariante portò alla
riunificazione dell’opera dei geometri dell’Ottocento: essa fu realizzata
da Felix Klein (1849-1925), che nell’ Antrittvorlesung (prolusione
inaugurale o Programm) del 1872 all’Università di Erlangen (il
programma di Erlangen) identificò la di trasformazioni. Scrive U.Bottazzini: “Nel Programm Klein cominciava con l’osservare che le
trasformazioni dello spazio in sé formano un gruppo. Come esempi di
gruppi Klein suggeriva quello dei movimenti nello spazio e il suo
sottogruppo dato dalle rotazioni intorno a un punto fisso. Il gruppo dei
movimenti era a sua volta un sottogruppo del gruppo delle
collineazioni. L’osservazione cruciale era che vi sono nello spazio delle
trasformazioni che non alterano affatto le proprietà geometriche dei
corpi, dove per proprietà geometriche Klein intendeva quelle
indipendenti dalla posizione della figura da studiare nello spazio, dalla
sua grandezza assoluta e dall’ordinamento delle parti. Egli chiamava
gruppo principale il gruppo di trasformazioni che lascia inalterate tali
proprietà” (Bottazzini, 1992).
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Per classificare le varie geometrie è necessario esaminare le
trasformazioni, dal momento che ogni geometria studia gli invarianti
delle figure rispetto ad un ben determinato gruppo di trasformazioni:
• se le trasformazioni considerate sono le congruenze, la
geometria che ne studia gli invarianti (le distanze) è la geometria
euclidea;
• se le trasformazioni considerate sono le più generali
trasformazioni affini, la geometria
originata è la geometria affine (che generalizza la geometriaeuclidea); gli invarianti sono, in questo caso, i rapporti (semplici: di
segmenti appartenenti alla stessa retta o a rette parallele);
• se le trasformazioni considerate sono le ancor più generali
trasformazioni proiettive, la geometria che otteniamo è la geometria
proiettiva (della quale la geometria affine e di conseguenza quella
euclidea sono pertanto dei casi particolari); gli invarianti sono i
birapporti.
Il programma di Erlangen armonizzò ogni settore di ricerca della
geometria in un’impostazione unitaria: la geometria proiettiva, sorta
dalle ricerche sulla prospettiva e sull’ottica geometrica, si fuse
definitivamente con tutte le altre interpretazioni del “fare geometria”
e, infine, con l’algebra.
ProspettivaDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.
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Il famoso Golden Gate Bridge di San Francisco. Una normale fotografia è in tuttoassimilabile ad una prospettiva[1]. Nell'apparato della macchina fotografica, il quadro è
la superficie sensibile della pellicola, il centro di proiezione il secondo punto nodaledell'obiettivo, mentre la distanza fra il centro e l'immagine è data dalla distanza focaleprincipale dell'obiettivo; le rette proiettanti sono i raggi luminosi.
La prospettiva è un insieme di proposizioni e di procedimenti di carattere geometrico-matematico che consentono di costruire l'immagine di una figura dello spazio su un piano, proiettando la stessada un centro di proiezione posto a distanza finita.
Si tratta quindi di una proiezione centrale, o conica. La specificazione è utile per distinguerla dalla prospettiva parallela, modo alternativo, anche se non di uso corrente, di chiamare le assonometrie.La parziale comunanza dei termini è dovuta al fatto che l'assonometria, per motivi strutturali legati
alla determinazione dell'immagine su un solo piano, può essere vista come un caso particolare della prospettiva, quando il centro di proiezione, anziché essere un punto proprio, è all'infinito.
Anche per la prospettiva centrale, configurandosi essa come diretta applicazione di uno dei metodidi rappresentazione appartenenti al corpo della geometria descrittiva, vale il requisito dellasostituibilità fra la figura obiettiva e la sua proiezione. Ciò significa che data la figura nello spaziodeve sempre essere possibile determinarne l'immagine su di un piano come, viceversa, datal'immagine, si deve poter risalire alla configurazione della figura nello spazio. Ma tale reciprocitànon è ottenibile in misura piena ed immediata come avviene per le proiezioni parallele, perché nella
prospettiva centrale uno stesso oggetto, proiettato da un medesimo punto di vista su piani adifferente distanza da esso, dà luogo ad immagini simili ma di dimensioni diverse. Per risalirequindi alle reali dimensioni dell'oggetto occorre l'introduzione nell'immagine di elementi metrici
ausiliari di riferimento che permettano di risolvere il problema. Nell'ambito della prospettiva ilrequisito della sostituibilità trova una significativa applicazione nella fotogrammetria, che in alcunicasi si avvale di procedimenti particolari anche di notevole complessità.
Indice[nascondi]
• 1 Etimologia
• 2 Storia della prospettiva
○ 2.1 Antichità
○ 2.2 Medioevo○ 2.3 Primo Rinascimento
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○ 2.4 Rinascimento maturo
○ 2.5 Sistemazione teorica
○ 2.6 Prospettiva "da sott'in su" (a quadro orizzontale vista dal basso)
○ 2.7 Prospettiva solida
○ 2.8 Nascita della geometria descrittiva
○ 2.9 L'epoca contemporanea
• 3 Generalità
• 4 Metodi esecutivi
○ 4.1 Metodo dei punti di distanza
○ 4.2 Metodo del taglio
○ 4.3 Metodo dei punti di fuga
○ 4.4 Metodo dei punti misuratori
○ 4.5 Casi non ortogonali al piano di terra
○ 4.6 Metodo del ribaltamento omologico (unificazione dei metodi storici)
• 5 Note
• 6 Bibliografia
• 7 Voci correlate
• 8 Altri progetti
• 9 Collegamenti esterni
Etimologia [modifica]
Perspectiva medievale, da un abaco del XV secolo
Dal punto di vista linguistico, il vocabolo "prospettiva" è la forma femminile sostantivata di"prospettivo", derivante a sua volta dal latino tardo "prospectivus", "che assicura la vista"[2]. Nelcampo degli studi ottici medievali la perspectiva indicava l'ottica stessa ( perspectiva naturalis)[3],intesa come percezione visiva. In particolare indicava la pratica per misurare le distanze e lelunghezze inaccessibili tramite un rilevamento indiretto[4].
Storia della prospettiva [modifica]
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Antichità [modifica]
Ambrogio Lorenzetti, Annunciazione (1344), Pinacoteca nazionale di Siena
La prospettiva fu il primo tra i metodi di rappresentazione ad essere, per così dire, codificato. Non sitrovano però riferimenti ad essa negli antichi trattati classici di geometria e la perdita totale dellagrande pittura parietale greca non ci permette di sapere con sicurezza se quei pittori adoperassero omeno procedimenti tecnici utili a una corretta rappresentazione prospettica del reale. Dai cospicuiresti di pittura romana pervenutaci, in gran parte derivati da soggetti ellenistici, notiamo una maturacapacità di ottenere gli scorci, ma il disegno delle linee che definiscono gli ambienti architettonici èmolto approssimativo e lascia capire che, almeno nell'ambiente romano, i sistemi operativi per ottenere gli effetti prospettici nelle immagini erano del tutto intuitivi.
Medioevo [modifica]
Nel periodo bizantino e durante l'alto Medioevo, i problemi connessi con la mimesi nellarappresentazione furono quasi completamente trascurati, in quanto il fine delle arti figurative eraevocare il trascendente, e per questo si elaborarono stilemi anche assai raffinati, tralasciando però,anche volutamente, la ricerca di effetti di un oggettivo realismo nelle immagini. Solo a partire dallafine del Duecento, e soprattutto con l'opera pittorica di Giotto, la restituzione illusionistica dellarealtà e la corposità delle figure tornò ad essere un tema di interesse primario e un obiettivo daraggiungere nelle rappresentazioni. Era perciò inevitabile che si sviluppasse la ricerca di espedientie di procedimenti atti ad ottenere delle figurazioni in qualche modo corrispondenti al tipo di
percezione visiva dell'essere umano. Già verso la metà del XIV secolo si era giunti a risultatitutt'altro che trascurabili, come dimostra l' Annunciazione di Ambrogio Lorenzetti conservata allaPinacotaca Nazionale di Siena, dipinta su tavola nel 1344.
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Primo Rinascimento [modifica]
Masaccio, Trinità (1425-1427), Santa Maria Novella, Firenze
Melozzo, Affresco della cupola del santuario di Loreto
All'inizio del Quattrocento, ad opera del grande architetto fiorentino Filippo Brunelleschi, si ebbeun primo salto di qualità, si può dire di ordine scientifico. Attraverso studi ed esperienze condottecon l'aiuto di strumenti ottici, Brunelleschi pervenne ad un procedimento metodologico per rappresentare gli edifici in prospettiva, che illustrò graficamente in due tavolette andate purtroppo
perdute, raffiguranti rispettivamente il battistero visto dalla porta di Santa Maria del fiore, la piazzadella Signoria e palazzo Vecchio, ma che sostanzialmente conosciamo grazie alla prima trattazionescritta dell'argomento, il De Pictura (1434-1436), scritto dall'umanista ed architetto Leon BattistaAlberti.
Le origini dei procedimenti utili ad ottenere una corretta rappresentazione prospettica vanno quindiricercati nell'attività e nella volontà degli artisti. Un risultato ammirevole, di certo fortementeinfluenzato dalle scoperte del Brunelleschi, e precedente agli scritti dell'Alberti, possiamo vederlonella famosa Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze.
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Ugualmente importante è l'opera di Melozzo da Forlì, studioso molto rigoroso delle prospettive edegli scorci (come riconosce il Vasari), citato ad esempio da Luca Pacioli, e soprattutto iniziatore diun nuovo tipo di sguardo prospettico: "Fu primo a dipinger le volte con l'arte del sotto in su, la piùdifficile e la più rigorosa", dice Luigi Lanza[5]. La prospettiva da sotto in su, pertanto, è detta anche" prospettiva melozziana".[6]
Il contributo dell'Alberti fu anche determinante, proprio per la sua forma scritta. Importante fusenz'altro anche la relazione di reciproca stima e di amicizia col Brunelleschi, testimoniata nel"Prologo" della versione in "lingua toscana" del De Pictura, dedicato al più anziano architetto e incui l'autore chiede all'amico di correggerlo "se cosa vi ti par di emendarla". A quest'opera divisa intre libri, di cui il primo concerne aspetti matematici, ovvero di ordine geometrico, si può far risalirel'inizio documentato della trattazione scientifica della prospettiva.
Dopo, altri grandissimi artisti del Rinascimento lasciarono scritti sul tema: Piero della Francesca nel De
perspectiva
pingendi, un trattato in lingua volgare composto nell'ottavo decennio del XV secolo,e Leonardo da Vinci con notazioni e dimostrazioni sparse nei suoi manoscritti (in particolare nelManoscritto A, datato al 1492 e conservato all'Institut de France di Parigi). È opportuno sottolineareil differente modo di riguardare il problema di Leonardo rispetto agli artisti delle generazioni
precedenti. Mentre l'Alberti, considerando le relazioni fra immagine e oggetto reale, ponel'attenzione su rapporti di proporzionalità, Leonardo più sinteticamente mette a fuoco lasimilitudine, una delle proprietà che sarà fondamentale nello stimolare i successivi sviluppi diordine teorico, e con la mentalità dello scienziato dice anche: "prospettiva non è altro che sapere
bene figurare lo ufizio dell'occhio"[7].
Rinascimento maturo [modifica]
Del resto, in mancanza di sicure basi matematiche, le ricerche sul fenomeno della percezione visivavenivano condotte con semplicissimi strumenti, premesse ai "prospettografi" usati nei secolisuccessivi, o al massimo con rudimentali camere oscure. Di questi strumenti e del loro uso, oltrealle descrizioni letterarie, abbiamo delle nitide rappresentazioni in alcune notissime incisioni sulegno di Albrecht Dürer , inserite come illustrazioni in un suo trattato indirizzato ai giovani artisti,Underweysung der Messung mit dem Zirckel und Richtscheyt ( Norimberga, 1525), con testo intedesco per la prima edizione germanica, poi tradotto in latino con il titolo InstitutionumGeometricarum libri quattuor e pubblicato postumo a Parigi nel 1532, con prefazione di Erasmo daRotterdam. L'opera è nota anche perché in essa si trovano chiare applicazioni di doppia proiezioneortogonale, fra le prime ad essere così sicuramente documentate[8]. Le xilografie a cui si è fattocenno mostrano come da una postazione fissa, mirando l'oggetto attraverso un vetro fissato a unacornice o rilevando la posizione di punti della sua proiezione su uno sportello, se ne possa disegnareil perfetto scorcio. Il Dürer, che aveva compiuto due viaggi in Italia nel 1494 e nel 1505, contribuìfortemente a divulgare le nuove teorie nell'Europa settentrionale soprattutto con la sua immensaopera grafica.
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Anonimo, Città ideale (1470-1475 circa), Galleria Nazionale delle Marche a Urbino. Ildipinto è un emblema della razionalizzazione dello spazio urbano come fu intesa nelQuattrocento.
L'interessamento appassionato dei pittori alla prospettiva non era indotto solo dal desiderio di
trovare espedienti per giungere a una corretta rappresentazione mimetica del reale. Oltre a conferireall'arte supporti di carattere scientifico, la ricerca era finalizzata a dare evidenza a una concezionefilosofica del mondo, basata su un ordine razionale distribuito a tutto il creato. Tale funzione giunsealle sue massime espressioni nel periodo compreso fra la tarda attività di Piero della Francesca e i
primi decenni del Cinquecento, prima che il Manierismo si insinuasse a rompere l'equilibrio della precedente visione. Si pensi ad esempio all'affresco di Raffaello nella stanza della Segnatura inVaticano, noto come La scuola di Atene. Quella scena, ambientata nel grandioso spazio definitodalle pilastrate e dalle avvolgenti volte a pieno centro, è un'allegoria dell'universo visibile, comel'affresco posto di fronte nella stessa stanza, la Disputa del Sacramento (o meglio il Trionfodell'Eucarestia), lo è di quello invisibile.
Nei due secoli d'oro del Rinascimento al problema della prospettiva furono quindi interessati quasi
esclusivamente gli artisti. Le personalità citate non erano però sprovviste di cognizionimatematiche, e nel caso di Piero della Francesca si ha un vero cultore della materia, tanto da poter essere definito un valente geometra. Essendo in prevalenza pittori e non potendo oltrepassareristretti limiti sul piano teorico, dato che gli strumenti matematici a disposizione erano ancorasostanzialmente quelli conosciuti nell'antica età ellenistica, l'aspetto a cui dedicarono le maggioriattenzioni fu l'effetto del digradare dei toni e dei colori in rapporto alla distanza dal punto diosservazione, fino al loro svanire all'orizzonte. Discussero e scrissero molto cioè su quella che vienechiamata la "prospettiva aerea", di origine nordica e veneziana.
Sistemazione teorica [modifica]
Nella seconda metà del XVI secolo il tema cominciò ad interessare studiosi non appartenenti al
campo dell'arte, sia in Italia che fuori di essa. E contestualmente si ebbe un secondo salto di qualità,determinato dalla volontà di dare una sistemazione teorica ai procedimenti esecutivi fino ad allorasuggeriti. Ciò si può già constatare nell'opera del pesarese Guidobaldo del Monte[9] e in quella delfiammingo Simon Stevin[10] .
Nel trattato di Guidobaldo del Monte, e più ancora in Ad Vitellionem paralipomena[11] di Keplero,nella parte dedicata alle coniche, sembra di avvertire la necessità dell'enunciazione di una
proposizione che ammetta l'incidenza delle rette parallele. A questo risultato arriverà il lioneseGirard Desargues, autore anche di un brevissimo trattatello sulla prospettiva pubblicato nel 1636.[12]
Ma l'affermazione secondo cui due rette hanno un punto d'incidenza anche se sono parallele si trovanel suo Brouillon projet d'une atteinte aux événements des rencontres d'un cône avec un plan[13], unoriginalissimo studio sulle coniche in cui, fra l'altro, si risolve proiettivamente il difficile problemadi come si possa ottenere un cerchio sezionando con un piano un cono non circolare, non soloellittico ma anche parabolico o iperbolico, dipendentemente dalla posizione del piano.
Il Desargues, per il Brouillon e per il suo teorema sui triangoli omologici, ha il diritto di essereconsiderato l'autentico iniziatore della geometria proiettiva. Per l'idea di considerare le rette
parallele intersecantisi in un punto all'infinito, egli fu lodato apertamente da Cartesio. Il concetto di punto improprio che implicitamente veniva introdotto apriva la strada alla giustificazione teorica del procedimento costruttivo della prospettiva, permettendo di dare al punto di fuga un'interpretazione puramente geometrico-matematica.
A questo compito, completamente assolto solo fra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento,diede un impulso di primaria importanza Brook Taylor con la seconda edizione del suo trattato sulla
prospettiva, dal titolo New principles of linear perspective (Londra, 1719). In esso è usata per la prima volta la denominazione "linear perspective" (prospettiva lineare) e sono formulateineccepibili proposizioni per la determinazione del "vanishing point" di una retta data non parallela
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al quadro, e della "vanishing line" di un piano dato non parallelo al quadro. Il primo definito comeintersezione col quadro di una retta parallela a quella data condotta per l'occhio dell'osservatore, laseconda individuata come intersezione col quadro di un piano parallelo a quello dato passante per lostesso occhio. Sostituendo il centro di proiezione all'occhio, si ha la descrizione esatta di comeottenere punti e rette di fuga.
Prospettiva "da sott'in su" (a quadro orizzontale vista dal basso) [modifica]
Andrea Pozzo, Gloria di Sant'Ignazio (1691-1694), affresco sulla volta della chiesa diSant'Ignazio a Roma
Le esperienze accumulatesi nell'arco di oltre tre secoli erano tali che nel Settecento non esistevano
ormai più segreti su come allestire graficamente una veduta prospettica; fra le moltepliciconnotazioni e valenze che nel corso della sua storia la prospettiva ha assunto non va certodimenticato il suo uso a scopo illusionistico. Pur essendo questo un aspetto sempre più o menoinsito nelle immagini con essa ottenute, un precipuo interesse per la simulazione è evidenziato da un
particolare filone della pittura, quando con essa si vuole annullare la solidità della muratura per aprire illusivamente verso il cielo, ma spesso anche allegoricamente, soffitti e volte. La primacompiuta e celebre realizzazione di questa tendenza la si ammira nella Camera degli sposi diAndrea Mantegna nel Palazzo Ducale di Mantova, affrescata negli anni a cavallo del 1470.
Passando poi attraverso numerose esperienze, i cui episodi più salienti sono nel Cinquecento ladecorazione della cupola e del sottostante tamburo del duomo di Parma ad opera del Correggio e nelSeicento l'affresco di Pietro da Cortona sulla volta del salone di Palazzo Barberini a Roma (Trionfodella Divina Provvidenza), si approda all'apice del percorso, nel raggiungimento di effetti chedestano meraviglia e stupore, con l'impresa dell'abate Andrea Pozzo nella navata centrale dellachiesa di Sant'Ignazio a Roma (Gloria di Sant'Ignazio). Si tenga conto che gli affreschi sono dipintisu superfici curve, e per fare in modo che guardandoli dal basso le linee architettoniche e le figurenon appaiano deformate, i pittori dovevano ricorrere ad espedienti tecnici affini all 'anamorfosi,studiati anche sviluppando la superficie curva su cartoni piani, che poi venivano curvati per controllare gli effetti visivi del disegno.
La volontà di dilatare illusivamente l'invaso architettonico verso una spazialità illimitata trovò largaadesione nell'Europa centrale, confortata dal gradimento dei monarchi e degli ordini religiosicommittenti. Nei territori tedeschi, austriaci e boemo-moravi fu ostentata da valenti pittori, come
Johann Michael Rottmayr , lo svizzero Johann Rudolf Byss, di cui si menziona la decorazione sullavolta dello scalone del castello di Pommersfelden, e Cosmas Damian, quest'ultimo attivo anchecome architetto, e spesso operante in simbiosi col fratello Egid Quirin, che si occupava coneccezionale virtuosismo della decorazione plastica a stucco. Di Cosmas Damian, che lasciò una
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serie di notevoli opere in edifici prevalentemente religiosi, si vuole qui ricordare il limpido eluminoso affresco prospettico nella chiesa abbaziale di Osterhofen (1729-1735), dove è evidente ilvivo ricordo del dipinto su tela di Andrea Pozzo rappresentante una finta cupola (1685) e collocatonella chiesa di Sant'Ignazio a Roma, grande tondo che il pittore bavarese aveva visto durante il suosoggiorno romano durato dal 1711 al 1713.
L'influenza del Pozzo nell'Europa centrale, oltre che dal prestigio di cui godeva, fu favorita dalla permanenza a Vienna durante gli ultimi sette anni della sua vita; a divulgare il suo insegnamentocontribuì di certo la fama del suo trattato Perspectivae pictorum atque architectorum, illustrato conoltre cento tavole grafiche, pubblicato a Roma nel 1693, quindi ad Augusta nel 1706 e nel 1719, contesto tedesco a fianco di quello latino[14]. Si noti la Figura 100 dell'opera rilasciata sul Web dallaUniversidad de Sevilla (pag.314), in cui sono disegnate le sezioni longitudinale e trasversale di unambiente architettonico non molto dissimile dal Sant'Ignazio, e in cui sono indicate le posizioni
percepite da un osservatore posto al centro della navata, di quanto è effettivamente dislocato sullasuperficie della volta; il tutto viene quindi proiettato su una virtuale superficie piana orizzontalesituata all'altezza dell'imposta. Proprio la presenza di questo piano nella figura è quanto maiindicativa del procedimento tecnico da seguirsi per il disegno delle composizioni, che sono
assimilabili o a prospettive a quadro obliquo dal basso, oppure appaiono come prospettive frontaliin cui il piano delle immagini abbia subito una rotazione di 90º per assumere la giacituraorizzontale[15].
La predilezione per questo tipo di realizzazioni, che avevano anche funzioni celebrative in quantosoddisfacevano l'esigenza dei monarchi di confermare con opere visibili la loro pretesa investituradivina, e parallelamente si prestavano ad offrire una sorta di epifania della verità della Chiesacattolica rispetto a quella protestante, ebbe un trionfale epilogo con l'opera di Giambattista Tiepolo,negli immensi affreschi della residenza del principe vescovo a Würzburg (1751-1753) e del PalazzoReale di Madrid (1762-1766). Accorgimenti tecnici analoghi a quelli adottati per le opere di grandidimensioni furono adoperati, benché diretti a risultati meno imponenti, da vedutisti e quadraturistinel secondo Seicento e per tutto il Settecento.
Prospettiva solida [modifica]
Fra il complesso degli espedienti messi in atto con finalità particolari vanno ricordati anche quelli per realizzare le cosiddette "prospettive solide", in cui l'effetto delle linee si compone con quello delrilievo plastico, fino anche ad ottenere spazi che appaiono più profondi di quanto in realtà nonsiano. Tecnica molto probabilmente già usata nelle scenografie teatrali in età ellenistica e romana,fu ripresa nel Rinascimento e nell'età barocca, e di essa furono dati esempi memorabili, come ilcoro della chiesa di Santa Maria presso San Satiro in Milano, di Donato Bramante, parti della scenadel Teatro Olimpico di Vicenza, realizzate da Vincenzo Scamozzi a completamento del progetto diAndrea Palladio, e la galleria di Palazzo Spada in Roma, di Francesco Borromini. Ora la tecnica èovviamente studiata nelle scuole di scenografia in quanto rimane un fattore di ricorrente uso nellescene teatrali.
Nascita della geometria descrittiva [modifica]
Seguendo l'itinerario storico fin qui percorso, si comprende come la consumata abilità pratica didecoratori ed illustratori nel Settecento non avesse ancora un pieno corrispettivo nellaconsapevolezza teorica del problema. Questa fu però raggiunta di lì a poco. Il grande salto di ordinescientifico e tecnologico maturato nel XVIII secolo richiedeva anche una sistemazione dellescoperte fatte nei secoli precedenti, inducendo ad inserirle correttamente nelle diverse branche delsapere, secondo una visione organica di coerenza e di appartenenza. Per quanto riguardava leconoscenze relative a tipi di rappresentazione riconducibili alla geometria, il processo fu senz'altrofavorito dalle esigenze che via via si presentavano nel campo della progettazione di beni materiali,
per la cui produzione il lavoro artigianale veniva sempre più sostituito dal sistema industriale.È merito soprattutto della cultura scientifica francese, giunta a un livello altissimo nel secondoSettecento, l'aver dato una risposta adeguata alle varie istanze. Fu infatti Gaspard Monge il primo a
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ordinare la materia facendone un organismo coordinato di vaste proporzioni, fissando anche inmodo preciso i requisiti che un procedimento deve soddisfare per essere considerato un "metodo dirappresentazione". A lui si deve il nome di "geometria descrittiva" e il primo trattato sul tema[16],raccolta di lezioni che ebbe successive e numerose edizioni, e che si diffuse rapidamente fuori daiconfini francesi contribuendo a promuovere le ricerche e gli sviluppi nel campo.
Il metodo noto con il suo nome, benché già usato per alcune particolari applicazioni molto tempo prima, fu da lui teorizzato e divenne il fondamento della geometria descrittiva. L'opera citata noncontiene però riferimenti alla prospettiva, che ebbe comunque parte nelle lezioni del suo autore, e fu
poi inserita nello stesso corpo della nuova scienza insieme al metodo che ne precisa ogni aspettoteorico, cioè quello della proiezione centrale, elaborato da Jean-Victor Poncelet. La fama el'importanza di quest'ultimo, già allievo del Monge all'École Polytechnique, è anche e soprattuttodovuta al Traité des propriétés projectives des figures (Parigi, 1822, I edizione), dedicato allostudio delle proprietà delle figure che si conservano inalterate nonostante le trasformazioni che lefigure stesse subiscono attraverso operazioni di proiezione e sezione.
Definendo queste come proprietà proiettive e distinguendole dalle altre proprietà geometriche chenon lo sono, egli fondò la "geometria proiettiva" come corpo separato dagli altri assetti dellageometria. Una separazione poi mantenuta anche in seguito, quando il polo direttivo degli studi,nell'Ottocento inoltrato, si spostò dalla Francia alla Germania. In questo composito contesto la
prospettiva, vista in un'ottica che ne rilevi integralmente le connotazioni, si configura come uninsieme di elementi capace di raccordare le due branche della geometria fondate dal Monge e dalPoncelet.
L'epoca contemporanea [modifica]
In tempi più recenti sono state proposte concezioni fusioniste miranti a superare le divisioni che possono essere ritenute solo apparenti, concezioni che sono parte di un dibattito di amplissime proporzioni e tendente a ricercare i fondamenti strutturali su cui è costruito l'intero edificio dellamatematica, con la sua infinita rete di connessioni ed articolazioni. Ricerche che però non hannomesso in discussione la teoria fondante ritenuta ancora la più valida, quella degli insiemi. Tutto ciòlascia comunque a margine l'operatore che si avvale tecnicamente di un determinato gruppo dielementi, seppure essi facciano parte di un'immensa costruzione, o addirittura di un universo a séstante, come è intesa la matematica secondo la concezione neoplatonica di Roger Penrose. I metodidescrittivi di rappresentazione infatti sono ancora quelli definiti nell'Ottocento, con le solemodifiche apportate alle abitudini degli operatori dalla normativa tecnica, al fine di uniformare leconvenzioni grafiche per rendere gli elaborati leggibili senza ambiguità alcuna.
Nel campo della pittura, è ovvio che la prospettiva non assolve più ad alcuna funzione da quando gliartisti, almeno quelli più rappresentativi, hanno interrotto con decisione il filo di una continuità chenel passato era durata dalla preistoria fino a quasi tutto l'Ottocento. Le avanguardie del Novecento,
dal cubismo in avanti, mirano ad espressioni e ad effetti che non hanno nulla in comune con lefinalità di una prospettiva. Questa invece rimane un validissimo strumento di indagine e di verifica per progettisti, architetti e designer , e per produrre immagini dei beni ideati o costruendi dasottoporre all'attenzione di committenti e potenziali compratori.
Per tali scopi, una risorsa che offre prestazioni sotto vari aspetti enormemente superioriall'esecuzione manuale è quella costituita dagli elaboratori elettronici. Oggi sono disponibiliapplicazioni software con cui si possono ottenere modelli tridimensionali di qualsiasi oggetto, anche
partendo dalle proiezioni ortogonali di esso, come anche si può avere la visualizzazione di ambientie spazi virtuali del tutto simili a quelli reali. È poi possibile osservare questi modelli da qualsivoglia
punto di vista, girando intorno ad essi od entrandovi, visualizzando contestualmente innumerevoli prospettive di essi.[17]
Quanto si è detto ed esposto non vanifica affatto l'importanza di conoscere la struttura geometrico-matematica della prospettiva, la cui validità rimane comunque inalterata come fattore scientifico.
Non solo, perché le molteplici possibilità offerte dai programmi informatici, lungi dal diminuirla, ne
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potenziano la validità come strumento di verifica e di indagine, al di là del fatto che una vista prospettica sia ottenuta dall'elaboratore elettronico o manualmente. Inoltre, nelle fasi di ideazione e progettazione di beni materiali riconducibili alle costruzioni, di qualunque genere esse siano, illavoro grafico manuale rimane spesso un passaggio ineludibile.
Generalità[modifica]
Nello schema sono indicati gli elementi fondamentali di riferimento di una prospettivaconica a quadro verticale. Sono anche state disegnate sul quadro le immagini di duerette (in tratto grosso), giacenti sul piano geometrale ed intersecantisi in un punto. Iraggi proiettanti sono delineati in rosso. Il disegno è costruito come un'assonometria.
Gli elementi fondamentali necessari alla costruzione della prospettiva di una figura obiettiva, che sisuppone data nello spazio, sono, come per ogni metodo di rappresentazione, il piano di proiezione,a cui si dà in genere il nome specifico di "quadro", e il centro di proiezione, chiamato normalmente
"punto di vista" o "centro di vista". Per procedere operativamente nel disegno occorre anche fissarela posizione di alcuni elementi di riferimento, di seguito elencati. Un piano orizzontale, detto "pianodi terra" o "piano geometrale", che intersecando il quadro fornisce la "linea di terra", luogo delletracce di tutte le rette appartenenti allo stesso piano geometrale. La proiezione ortogonale del puntodi vista sul piano geometrale individua il cosiddetto "punto di stazione", mentre la proiezioneortogonale dello stesso punto di vista sul quadro determina il "punto principale". L'intersezione delquadro con un piano orizzontale passante per il centro di vista è una retta denominata "linead'orizzonte", parallela alla linea di terra e luogo delle fughe di tutte le rette orizzontali, ovvero rettadi fuga di tutti i piani paralleli a quello geometrale. In alcuni casi può essere utile tracciare il"cerchio di distanza", che ha il centro nel punto principale, raggio uguale alla distanza del centro divista dal quadro, ed è il luogo geometrico delle fughe di tutte le rette inclinate di 45º rispetto alquadro. È inoltre necessario disporre delle proiezioni ortogonali della figura obiettiva, la cui vistadall'alto, o pianta, viene di solito riportata sul piano di terra.
Occorre ancora tenere presente che la sintesi teorica della prospettiva va ricercata nel "metodo della proiezione centrale", o di Poncelet. Ma mentre questo si occupa della rappresentazione degli enti e
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degli elementi geometrici considerati nella loro astrattezza, e di dare corrette soluzioni dei problemiinerenti alle relazioni fra gli enti stessi, come l'appartenenza, il parallelismo, l'ortogonalità, il finedella prospettiva è di fornire immagini realistiche delle strutture oggettuali proiettate. In essa, ladeterminazione delle immagini degli enti geometrici fondamentali è comunque basata sulle loro
proprietà, e sulla struttura tipica del metodo della proiezione centrale. Quindi per la retta, essendo
essa individuata da due punti, occorre disporre della proiezione di questi per potere tracciare la suaimmagine. I due punti più notevoli di detta immagine sono la traccia della retta, punto della suaintersezione col quadro, e la fuga della retta, proiezione sul quadro del suo punto improprio, che
perciò si ottiene come intersezione col quadro della parallela alla retta condotta per il centro divista. Ancora, l'immagine di un punto deve essere determinata come intersezione delle immagini didue rette passanti per esso. Infine, un piano è individuato dalla sua traccia, retta d'intersezione del
piano stesso col quadro, e dalla sua fuga, proiezione sul quadro della sua retta all'infinito.
Operativamente, si può procedere o con due fogli separati, o con un unico foglio. Nel primo caso unfoglio conterrà tutti gli elementi riportati sul piano di terra, e l'altro corrisponderà al quadro; nelsecondo caso normalmente si dispone nella parte inferiore del foglio la vista dall'alto del piano diterra, e nella parte superiore il quadro a partire dalla linea di terra.
Nei confronti della figura obiettiva, il quadro può assumere infinite posizioni, come anche infiniteinclinazioni rispetto al piano geometrale. Se ad esempio, fissato il centro di vista, il quadro si spostarispetto alla figura obiettiva conservando la medesima giacitura, si otterranno, in corrispondenzadelle diverse posizioni, delle immagini simili fra loro che sono casi di omotetia. Se invece siconsiderano le possibili e diverse inclinazioni del quadro, ovvero le sue variazioni di giacitura, si
perviene alla determinazione dei tipi di prospettiva classificati dalla normativa tecnica, che sono la"prospettiva frontale" e la "prospettiva accidentale" quando il quadro è verticale, e la "prospettivarazionale" quando il quadro è inclinato.
Esempio di una prospettiva frontale (o centrale)
Esempio di una prospettiva d'angolo (o accidentale)
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Esempio di una prospettiva razionale (o a quadro obliquo)
Esempio di una prospettiva d'angolo a quadro verticale di una composizione diparallelepipedi)
Per definire le caratteristiche fondamentali dei tre tipi di prospettiva sopra elencati, conviene riferirela figura obiettiva a una terna di assi cartesiani coordinati, due dei quali siano paralleli al pianogeometrale e il terzo, di conseguenza, normale ad esso. Per semplicità si pensi a un cubo o ad un
parallelepipedo con tre spigoli concorrenti in uno stesso vertice, rispettivamente giacenti suciascuno dei tre assi cartesiani, quindi con quel vertice coincidente con l'origine degli assi.
Disponendo il quadro parallelo a due degli assi cartesiani, e prescindendo dall'aggiunta di retteausiliarie necessarie alla costruzione dell'immagine, con gli elementi dello schema preso in esame è possibile individuare soltanto un punto di fuga proprio (quello delle rette con direzione normale alquadro, che è il punto principale). Si ha in questo caso la prospettiva di fronte (detta anche,tradizionalmente, "prospettiva centrale", terminologia dovuta alla posizione più frequentementeassegnata al punto principale nelle opere degli artisti rinascimentali. Tale denominazione non deveingenerare confusione con la dizione relativa alle caratteristiche generali del sistema, che si avvaledei principi delle proiezioni centrali). Se il quadro è invece parallelo a un solo asse cartesiano, e diconseguenza obliquo agli altri due, con gli elementi dello schema si individuano due punti di fuga
propri. Si configura in questo secondo caso la prospettiva accidentale (detta anche d'angolo). Seinfine il quadro è obliquo a tutti tre gli assi cartesiani, si hanno tre punti di fuga propri ed il caso più
generale della prospettiva razionale (o a quadro inclinato).Una immagine prospettica, essendo improntata a caratteri di verosimiglianza, deve essere in gradodi soddisfare esigenze di gradevolezza visiva, deve cioè corrispondere, per quanto possibile, al tipo
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di visione percepito dall'essere umano. Una perfetta corrispondenza fra immagini piane e quelle proiettate sul fondo dell'occhio non è però possibile, essendo le seconde distribuite su una superficiecurva, ma si ottiene un'accettabile limitazione delle difformità assegnando al cosiddetto "conovisivo" un angolo di apertura opportuno. Detto cono ha vertice nel centro di vista e dovrebbecontenere tutti i raggi proiettanti passanti per gli infiniti punti della figura obiettiva; la sua
intersezione col quadro è un cerchio (da non confondersi col cerchio di distanza) con centro nel punto principale, e il suo angolo di apertura non deve superare di norma i 60º. Il cerchio cosìottenuto costituisce un limite di notevole importanza, poiché all'interno di esso la rappresentazioneconserva requisiti di accettabilità, e sono evitate macroscopiche "aberrazioni" nelle immagini, cosìche queste appaiono assimilabili a quelle incluse nel campo visivo umano. La normativa tecnica è
particolarmente restrittiva, prescrive infatti per l'angolo di apertura del cono visivo un'ampiezzamassima di 35º.
Metodi esecutivi [modifica]
Una suddivisione in differenti sistemi o metodi del complesso di operazioni finalizzate allacostruzione di prospettive, è del tutto convenzionale, in quanto i criteri per ottenere le immagini
degli enti geometrici fondamentali sono sempre quelli indicati in "Generalità", qualunque sia ilmetodo seguito. La classificazione è comunque utile, ed è infatti adottata anche dalla normativatecnica, per indicare diverse modalità di procedere onde determinare la prospettiva della pianta (ovista dall'alto) della struttura oggetto dell'operazione, soprattutto in riferimento alla scelta delle retteutili alla determinazione dei punti notevoli della struttura. Tale scelta è legata a fattori di economiagrafica; inoltre, non sempre si procede utilizzando un solo metodo, ma in uno stesso disegno spessosi individuano gli elementi utili nella maniera che risulta più conveniente od immediata.
Disegno preparatorio per l'esecuzione della prospettiva riprodotta a fianco. Il quadro èstato disposto in modo che uno spigolo del primo gradino giaccia su di esso. La scaladi rappresentazione delle proiezioni ortogonali è dimezzata rispetto a quella dellaprospettiva.
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Prospettiva accidentale di una scala a tre rampe, eseguita col sistema dei puntimisuratori. Si notino i ribaltamenti sul quadro dei raggi proiettanti utili ad individuarele fughe delle due direzioni non orizzontali (esterne al campo del grafico), ciascuno
con un estremo in un punto misuratore.
Per costruire l'immagine prospettica di una struttura oggettuale, si comincia normalmente coldisegnare la prospettiva della sua vista dall'alto (o pianta), vista che è data secondo il metodo delle
proiezioni ortogonali (o del Monge). Solo in alcuni casi di prospettiva a quadro obliquo, può essereconveniente iniziare da livelli differenti.
Si consideri quindi riferita ai soli casi di quadro verticale, la descrizione di questa prima successionedi operazioni. Detta pianta viene di solito riportata direttamente sul piano geometrale. Però, qualorail punto di vista fosse molto basso, e di conseguenza l'orizzonte vicino alla linea di terra,determinando un'immagine del geometrale molto schiacciata, onde ottenere risultati precisi si puòdisegnare la prospettiva della pianta prima su un piano virtuale collocato più in basso, per poiriportare la posizione dei punti nella loro giusta collocazione al disopra della linea di terra.Completata questa prima fase, occorre determinare l'immagine dei punti della struttura nella loroeffettiva configurazione spaziale. A tale scopo è necessario conoscerne le reali quote (cioè le loroaltezze sul piano geometrale), rilevabili da prospetti e sezioni anch'esse date mediante il metodo delMonge.
Le operazioni da eseguire sono assai semplici, perché nella prospettiva frontale e in quellaaccidentale la fuga delle rette verticali è un punto improprio, e le immagini di tali rette rimangonoverticali. Basta quindi riportare sul quadro, in posizione opportuna, le quote reali nella scalaassegnata al disegno, per poi determinare, sempre attraverso le intersezioni delle immagini
prospettiche di due rette per ciascuno dei punti, le proiezioni effettive di essi nello spazio. La fuga
di una retta non orizzontale, ovviamente non sta sull'orizzonte. Qualora sia necessario individuarla,occorre disegnare sul quadro il ribaltamento del raggio proiettante parallelo alla retta, ribaltamentoche si immagina avvenire intorno al punto di fuga cercato ed è rappresentato da una linea inclinatasull'orizzonte di un angolo uguale a quello di pendenza della retta nello spazio; l'intersezione fra ilraggio ribaltato e la verticale condotta per la fuga della proiezione orizzontale della retta, fornisce il
punto cercato. I disegni riportati in questa sezione illustrano chiaramente i procedimenti fin qui e diseguito descritti.
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Metodo dei punti di distanza [modifica]
Prospettiva frontale di un solido ottenuta con il "metodo dei punti di distanza". In
questo caso il punto principale si trova in posizione laterale.Fra i vari procedimenti esecutivi dotati di caratteristiche particolari, e tali da poter essere definiti,seppur convenzionalmente, dei metodi, il primo ad essere adoperato fu quello dei punti didistanza. Esso è infatti il sistema scoperto dai maestri toscani del primo Quattrocento, ed usatocostantemente fino al Cinquecento inoltrato. Si è già definito in "Generalità" il cerchio di distanza,che può anche essere riguardato come il luogo di tutti i possibili ribaltamenti sul quadro del centrodi vista. Dai pittori venivano sfruttati i due punti della sua intersezione con l'orizzonte, fughe dellerette orizzontali inclinate di 45º rispetto al quadro. Queste due direzioni, essendo le stesse dellediagonali di quadrati giacenti sul piano geometrale e con i lati rispettivamente ortogonali e parallelial quadro, permettevano di determinare in modo facile e rapido la prospettiva dei pavimenti, da cui i
pittori partivano per poi completare l'ambientazione architettonica del dipinto. Il procedimento èconveniente ed ancora applicato per l'esecuzione manuale delle prospettive frontali.
Il disegno riportato a lato rappresenta la prospettiva di un solido ottenuto da un originario esaedro,tagliando di sguincio tutti i suoi dodici spigoli. I due punti di fuga sull'orizzonte sono il punto
principale a destra e un punto di distanza a sinistra. L'immagine prospettica è costruita secondo icriteri già descritti. Si richiama l'attenzione sulla figura disegnata al disotto della linea di terra, che èuna vista dall'alto del solido appartenente al piano geometrale e ribaltata, con una rotazione di 90º,sullo stesso quadro. Non ci si lasci quindi confondere dall'apparente direzione delle rette inclinate di45º rispetto alla linea di terra. La loro reale posizione nello spazio richiede per esse, quale punto difuga, il punto di distanza fissato a sinistra sull'orizzonte.
Metodo del taglio [modifica]
Anche il metodo chiamato del taglio si può far risalire all'originaria concezione dell'Alberti diconsiderare la "pittura non altro che intersegazione della pirramide visiva, secondo data distanza,
posto il centro e constituiti i lumi, ...." ( Della pittura , Libro I, 12; dove "pittura" è intesachiaramente in una accezione più tecnica che artistica). La sua sistemazione fu però completata neisecoli successivi al quindicesimo. Non è un procedimento molto pratico per l'esecuzione manuale,
perché i punti utili a costruire l'immagine, al fine di conservare la precisione nel disegno, debbonoessere riportati direttamente dalle intersezioni dei raggi proiettanti col quadro, individuate sullavista dall'alto e su quella di profilo, e qualora sia necessario anche su una vista dal basso. Ciòcomporta la necessità di avere molti grafici in un unico foglio, con la conseguenza di ottenere una
prospettiva relativamente piccola rispetto all'estensione del campo su cui si opera.
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Metodo dei punti di fuga [modifica]
Costruzione di una prospettiva col sistema dei punti di fuga. Si noti come le tracceindividuate sulla linea di terra occupino una estensione maggiore che nel caso
successivo.
Anche il metodo dei punti di fuga fu elaborato da artisti del passato prima di ricevere unasistemazione teorica nella visione organica del Poncelet. Lo si vede applicato in modo piuttostocorretto ad esempio in noti disegni ed incisioni del bolognese Ferdinando Galli Bibiena (1657-1743), architetto e scenografo che già in vita godette di fama europea (Vedi collegamento esterno).
Nella sua struttuta sistemica, per la rappresentazione del punto il metodo fa ricorso a due rette fraloro perpendicolari, in modo che la fuga di ciascuna sia l 'antipolare, rispetto al cerchio di distanza,della fuga del piano ad essa ortogonale e passante per l'altra. Si esprime la condizione anchedicendo che le fughe delle due rette sono punti anticoniugati rispetto al cerchio di distanza. Non cisi sofferma qui sull'illustrazione di questa proprietà, che esula dai limiti della presente trattazione, e
per la quale si rimanda allo studio del citato "metodo della proiezione centrale". Dal punto di vistaoperativo il procedimento è applicabile per strutture oggettuali in cui prevalgano spigoli orientatisecondo due direzioni ortogonali fra loro, come accade in molti edifici di tipo tradizionale. Presental'inconveniente che le tracce delle rette condotte per punti viepiù lontani dal quadro, risultanonotevolmente distanti dalla linea mediana del disegno, e molte di esse possono trovarsi all'esternodel foglio.
Metodo dei punti misuratori [modifica]
Sistema dei punti misuratori. Come nel disegno precedente la scala delle proiezioniortogonali è dimezzata rispetto a quella della prospettiva.
Per rendere più agevoli le operazioni grafiche, si ricorre frequentemente al metodo dei puntimisuratori, l'ultimo in ordine di tempo ad essere stato introdotto. In esso anziché ricorrere, per la
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rappresentazione del punto, a due rette fra loro ortogonali, si sceglie una prima retta in funzionedella direzione più conveniente ai fini dell'economia grafica, e la seconda viene individuata dallacorda dell'arco di ribaltamento del punto sul quadro, facendo ruotare la prima intorno alla suatraccia, come risulta chiaramente dal disegno sopra riprodotto. Le fughe delle rette su cui si trovanole corde dei diversi archi di ribaltamento (due per le strutture caratterizzate da profili tutti ortogonali
fra loro), si chiamano "punti misuratori" in quanto consentono di "misurare" la scansione delledistanze nell'immagine prospettica. Detto questo, si riconosce come anche i punti di distanzasull'orizzonte siano due particolari misuratori, fughe delle corde degli archi descritti da puntiappartenenti a rette normali al quadro, quando queste vengono ribaltate. È questo un ulterioreelemento per capire come la suddivisione del procedimento costruttivo della prospettiva in diversisistemi o metodi, sia un fatto puramente convenzionale, legato soprattutto all'evoluzione storicadelle applicazioni.
Casi non ortogonali al piano di terra [modifica]
Disegno preparatorio per l'esecuzione della prospettiva a quadro obliquo dall'alto delsolido rappresentato.
Prospettiva a quadro obliquo dall'alto del solido rappresentato in proiezioni mongianenella figura precedente. La costruzione dell'immagine ha avuto inizio dall'ellissesuperiore. La scala delle distanze è la medesima nei due disegni.
Fin qui si sono esposte le operazioni da eseguire col presupposto di riferirsi a prospettive a quadro
verticale. Qualora il quadro non sia ortogonale al piano di terra, si hanno i due casi di prospettiva aquadro obliquo dal basso e a quadro obliquo dall'alto. L'adozione di un piano inclinato per l'immagine, dipende dalle caratteristiche della figura obiettiva e dagli effetti che si voglionoottenere. È quindi plausibile per strutture con grande sviluppo verticale e per la rappresentazione di
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vaste aree edificate, per le quali si adotta la vista da punti elevati, detta anche "a volo d'uccello". I principi generali attinenti alla rappresentazione degli enti geometrici fondamentali non mutanorispetto a quanto si è già detto, ma le costruzioni grafiche risultano decisamente più complesse diquelle che si eseguono per la prospettiva frontale e per quella accidentale. Nel caso generale diquadro obliquo ai tre assi cartesiani coordinati ai quali può essere riferita la figura obiettiva, si
hanno, per le rette rispettivamente parallele ai tre suddetti assi, tre punti di fuga propri che sonovertici di un triangolo di cui il punto principale costituisce l'ortocentro.
Le ultime due figure sono esemplificative delle operazioni relative all'esecuzione manuale di una prospettiva a quadro obliquo. Nel disegno con la rappresentazione mongiana del solido oggettodell'esercizio, è stato necessario eseguire il ribaltamento (equivalente a una terza proiezione) per determinare la posizione di tutti gli elementi utili. Il cerchio di distanza nella prospettiva è statotracciato per metterne in evidenza la relazione con gli altri elementi, ma non è strettamentenecessario in questo particolare caso, mentre quello più piccolo concentrico ad esso è l'intersezionecol quadro del cono visivo, all'interno del quale l'immagine non subisce aberrazioni fastidiose. Ildisegno di una prospettiva richiede notevole precisione grafica, gli errori infatti si trasmettono dauna operazione all'altra anche ampliandosi. Per questo la posizione di alcuni punti è stata
determinata incrociando fra loro i risultati di almeno due operazioni; le altezze delle due ellissi,immagini prospettiche dei cerchi individuati sulle due basi del solido, sono state verificate anche colmetodo del taglio, che è possibile applicare al ribaltamento nella prima figura. Si nota come incomplesso una prospettiva a quadro obliquo sia notevolmente più laboriosa di una a quadroverticale della stessa struttura oggettuale.
In riferimento all'uso dell'elaboratore elettronico, va da sé che l'analisi della struttura dei softwareadatti a visualizzare le prospettive di una singola figura obiettiva o di un loro insieme, esulacompletamente dai limiti della presente trattazione. Ciò non solo perché i programmi sono venduti acosti elevati e la loro struttura non è resa pubblica, o almeno non è completamente leggibile, maanche perché tale analisi avrebbe significato solo se rapportata al metodo con cui l'elaboratoreesegue le informazioni ricevute dal programma, in merito al loro trattamento.
Metodo del ribaltamento omologico (unificazione dei metodi storici) [modifica]
I metodi di rappresentazione prospettica di cui sopra sono stati elaborati a volte empiricamente,anche se scientificamente corretti, prima di Poncelet, e non potevano, quindi, essere trattati conl'omologia, messa a punto dal Poncelet stesso nel suo trattato del 1822. Da allora, a seguito delladefinizione di prospettività, e di doppia prospettività in particolare, sarebbe stato logico aspettarsiche scomparissero dalla didattica della prospettiva, o vi prendessero parte solo come interessestorico. In effetti, se sul quadro (piano di proiezione) si ribalta il piano di terra (possibilmente con la
parte più lontana dall'osservatore ruotata nella parte superiore del quadro stesso) si vengono atrovate su di esso due figure, una quella ribaltata, e l'altra costituita dalla prospettiva della figura sul
piano di terra. Quella prospettica, come noto, è la sezione della piramide visiva con centro nel puntodi vista (occhio dell'osservatore), mentre quella ribaltata è la sezione di una proiezione cilindrica (o
parallela) eseguita da un centro di proiezione improprio ortogonale al piano bisettore del diedroformato dai due piani in questione, e cioè il piano di terra e il quadro. Poiché le due figure sulquadro sono state ottenute da due centri di proiezione differenti, tra loro intercorre una relazione diomologia, per cui punti omologhi sono allineati con il centro di omologia (costituitodall'intersezione della congiungente i due centri di proiezione sul quadro), e rette omologhe siincontrano sull'asse di omologia (costituito dalla retta comune ai due piani). Con questeconsiderazioni perde importanza la caratterizzazione metrica di parallelismo, ed è possibile usareun'unica metodologia esecutiva per i tre tipi di prospettiva (centrale, accidentale e razionale o aquadro inclinato).