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• LA CONSAPEVOLEZZA METALINGUISTICA.
• DEFINIZIONI E MODELLI DI SVILUPPO
Maria Antonietta Pinto
METALINGUISTICA: USI LINGUISTICI E PSICOLINGUISTICI
La metalinguistica è stata oggetto di attenzione da parte di tre tipologie di discipline linguistiche:
la linguistica, interessata alle definizioni teoriche
la psicolinguistica, in particolare la evolutiva, interessata alle questioni di sviluppo
La linguistica applicata, in particolare all’insegnamento,tipicamente la glottodidattica e la psicopedagogia del linguaggio.
La distinzione fra lingua per designare e descrivere oggetti, detta appunto “lingua-oggetto”, e “meta-lingua” è stata posta esplicitamente dal filosofo R.Carnap nell’ambito della logica formale, negli anni trenta del secolo scorso (Carnap 1934).
Il linguista R.Jakobson (1963) riprende questa distinzione in un celebre saggio intitolato: “Linguistica e poetica”, in cui delinea la “funzione” metalinguistica come una delle sei funzioni complessive che costituiscono ogni atto di comunicazione verbale.
La comunicazione mette sempre in gioco:
un mittente
che stabilisce un contatto
con un destinatario,
in un determinato contesto,
e formula un messaggio
utilizzando un codice,
Quando l’attenzione del destinatario e del mittente è rivolta alla struttura del codice in quanto tale, la funzione in quel momento dominante è quella metalinguistica.
L’interesse non è puntato né solo sul contenuto né solo sulla forma ma sulle associazioni fra forma e contenuto di quella particolare parola o espressione,
in quel particolare punto del messaggio
, che per un qualsiasi motivo può suscitare curiosità in chi parla o in chi ascolta
(parola straniera, neologismo, nuova traduzione, ecc..).
Nella sua forma più tecnica e specialistica, la funzione
metalinguistica sfocia nella creazione di una metalingua, una
terminologia specialistica sulla lingua.
Ciò avviene tipicamente ad opera di quei professionisti della
lingua che sono i linguisti.
Nella sua forma più astratta, una metalingua è teoria della lingua,
ed non ha per contenuto non un oggetto, un evento o un’azione
del mondo extralinguistico,
bensì una moltitudine di altre parole, le quali possono, loro, avere
una corrispondenza con oggetti, eventi, azioni, al di fuori della
lingua.
Ad esempio, il significante “cane” indica la parte esterna della
parola – costituita da suoni, se in forma orale, ed in lettere se in
forma scritta – cui corrisponde il significato di quel particolare tipo di
animale che, nel mondo extralinguistico, presenta le caratteristiche
distintive di un cane ( mammifero, quadrupede, ecc….).
Se io dico “cane” in un enunciato quale: “Porto a spasso il cane”,
mi colloco sul piano della lingua-oggetto,
Se invece dico: “Nella lingua italiana, la parola ‘cane’ è molto
simile alla parola ‘cine, la mia attenzione non è più rivolta
all’animale, ma alla struttura della lingua che codifica il significato
di quel tipo di animale e di quel tipo di fenomeno che è il cinema, in
determinati modi convenzionali.
Anche nel lessico di alta frequenza esistono termini di natura
metalinguistica, e cioè categorie di parole che hanno per significato
altre parole,
le quali, a loro volta, significano cose extralinguistiche di varia natura
(oggetti, eventi, azioni, idee, ecc…).
Termini comunissimi quali “nome”, “parola”, “aggettivo”, “articolo”,
“significato”, e tutti i verbi o nomi che designano l’azione del formulare
o interpretare parole soddisfano questo requisito (lo stesso verbo “dire”,
“enunciare”, “formulare”.
Tuttavia, per lavorare sul prodotto metalingua, sono indispensabili
processi cognitivi che sostengano la messa in opera della funzione o
facoltà metalinguistica, differentemente designata a seconda degli
autori ( Jakobson nel primo caso, 1963, Benveniste nel secondo, 1974).
E. Benveniste (1974):
“La facoltà metalinguistica rinvia alla possibilità che noi abbiamo
di elevarci al di sopra della lingua, di astrarcene, di contemplarla,
pur utilizzandola nei nostri ragionamenti e nelle nostre
osservazioni”.
Evidente indicazione di un’attività mentale che richiede un
distanziamento psicologico dalla lingua-oggetto.
Uno psicolinguista francese, J.E. Gombert (1990) mette a fuoco
queste diversità e complementarietà fra gli specifici approcci che
contraddistinguono il linguista e lo psicolinguista nei confronti della
metalinguistica.
Es. n.1:
un bambino o un adulto che utilizzino nel loro linguaggio termini
metalinguistici senza avere consapevolezza del fatto che siano tali.
In questo caso, il linguista registrerà tracce di metalingua, mentre lo
psicolinguista non potrà parlare né di riflessività né di competenza
né di abilità “meta”
Es,. N.2:
Lo stesso bambino o lo stesso adulto si soffermano a riascoltare le parti
finali di alcune parole che al loro orecchio siano apparse
particolarmente cariche di significato (es. morfemi di genere e di
numero, desinenze dei verbi…),
Oppure si correggono spontaneamente in quella stessa parte del
discorso, se pensano di non aver detto come volevano dire.
Al contrario del caso precedente, il linguista non troverà materia
prima per annotare esempi di metalingua, laddove lo psicolinguista
ravviserà precise tracce di riflessività, basate su:
processi di attenzione selettiva,
di percezione uditiva,
Sul recupero in memoria di forme già note e di significati distinti,
Sul feedback articolatorio, nel caso di una produzione rettificata.
Si parlerà qui di coscienza o consapevolezza metalinguistica di
livello intuitivo, non verbalizzata.
Es. n. 3:
un bambino già scolarizzato o un adolescente ancor più avanzato
nella sua scolarizzazione, che, di fronte a due frasi sinonime, formulate
con un ordine differente, dicano esplicitamente che “che vogliono
dire la stessa cosa”, ma “sono costruite” in maniera diversa.
Il linguista troverà un materiale metalinguistico rozzo, dal suo punto di
vista, mentre lo psicolinguista non potrà non registrare un’attività
riflessiva cosciente, in quanto verbalizzata ed oltretutto anche
pertinente.
Quindi, parlerà di consapevolezza ed anche di competenza di analisi
metalinguistica, sia pure elementare dal punto di vista tecnico.
Es. n.4:
l’argomentazione dei motivi della sinonimia si realizza in maniera più
tecnica, (menzionando categorie grammaticali come “soggetto”,
“oggetto”, “azione in forma passiva” o ”attiva”),
Saranno soddisfatti i requisiti metalinguistici sia del linguista che dello psicolinguista.
LE QUESTIONI EVOLUTIVE CENTRALI.
TRATTI DISTINTIVI E FATTORI DELLO SVILUPPO METALINGUISTICO
1) Un primo punto controverso:
i tratti distintivi di quel particolare livello di elaborazione del linguaggio che giustifica l’impressione di qualcosa “che va al di là” del comprendere e produrre linguaggio,
tale per cui impieghiamo il prefisso “meta” prima dell’aggettivo “linguistico”.
Dal modo in cui si risolve questa prima questione discendono
almeno tre conseguenze, formulabili come altrettanti problemi.
- a) Qual è il livello di consapevolezza richiesto per soddisfare i
requisiti di questo “al di là” ?
- Alcuni (Clark 1979; Clark, Andersen 1978) pongono dei requisiti
minimi, sotto forma di attenzione selettiva al proprio o all’altrui
enunciato, l’interruzione del discorso per autocorreggersi o
pianificare l’enunciato in altro modo.
- Altri (Donaldson 1978, Hakes 1980, Tunmer, Pratt, Herriman 1984,
Bonnet, Tamine-Gardes 1984, Titone 1989, Pinto 1999, fra altri) sono
più esigenti sia dal punto di vista dei requisiti tecnici delle condotte
verbali classificabili come metalinguistiche, sia dal punto di vista del
grado di intenzionalità necessario a metterle in atto.
- b) Le condotte che assumiamo essere di natura “meta” sono
abilità variabili a seconda del piano della lingua di volta in volta
indagato,
oppure segnalano soprattutto un processo di distanziamento
mentale dalla lingua, di natura trasversale a tutti gli aspetti della
lingua, al fine di assumerla come “oggetto di pensiero”.
Si parlerà nel primo caso di abilità o anche di competenze, ,
di volta in volta metasemantiche, metagrammaticali,
metafonologiche, metapragmatiche,
mentre nel secondo di consapevolezza, coscienza, riflessione
metalinguistica, in senso generico.
c) Quali sono le età corrispondenti alla prima comparsa di condotte degne di essere chiamate metalinguistiche, ed alle tappe successive, che presumibilmente dovranno presentarsi con caratteri più complessi ?
Quanto meno esigente è il criterio linguistico delle condotte assunte come indicatori dell’accesso al piano “meta”, tanto più precoce sarà l’età indicata come quella che ad esse tipicamente corrisponde.
- 2) L’altra grande questione evolutiva riguardante la metalinguistica è quella dei fattori di sviluppo invocati per spiegare sia l’emergere delle prime condotte che il loro dispiegamento successivo.
- Qui, si riflettono in maniera evidente le posizioni teoriche generali riguardo allo sviluppo cognitivo ed ai suoi rapporti con lo sviluppo del linguaggio. -
- La questione dei fattori di sviluppo metalinguistico è poi sempre
direttamente o indirettamente legato a come viene visto il ruolo
dei contesti in cui questi fattori sono supposti operare,
- Si va da un’influenza nulla in tutti quei modelli basati su variabili
essenzialmente endogene (Clark 1979; Clark, Andersen; Karmiloff-
Smith 1979, 1992) ad un’influenza massima, nei modelli basati su
fattori storico-sociali.
- Tratteremo di alcuni modelli di sviluppo metalinguistico in cui
saranno riconsiderate le principali questioni appena delineate
riguardanti i criteri linguistici e strategici che definiscono le
condotte metalinguistiche, i loro riferimenti cronologici e le ipotesi
esplicative formulate a proposito della loro genesi.
MODELLI BASATI SU FATTORI METACOGNITIVI
Il punto di partenza di questi modelli è la rilevazione di un netto cambiamento strategico, fra i 5 e gli 8 anni circa, nell’affrontare prove metalinguistiche di varia natura.
Lo studioso che per primo formulò un’ipotesi metacognitiva per spiegare l’emergenza di condotte metalinguistiche, D. Hakes (1980), partì proprio da una rassegna di ricerche condotte negli anni settanta su singole abilità di analisi metalinguistica nell’area semantica, sintattica, grammaticale, fonologica e pragmatica, in bambini di quella fascia di età.
Nell’andamento dei risultati in ognuno di questi studi arrivò ad evidenziare una sorta di “denominatore comune” nel tipo di processi cognitivi che caratterizzano i soggetti più evoluti e che dà quella inconfondibile impressione di “svolta” nel modo stesso di affrontare il compito.
L’essenza di questa svolta viene individuata in.
processi di controllo volontariamente attivati ed autoregolati,
di attenzione selettiva sulle parti del compito da focalizzare
come rilevanti in rapporto ad altre di minore importanza.
Il presupposto, ed insieme il risultato, di questo modo di
processare la lingua è quello per cui essa viene trattata “come
un oggetto di pensiero”, secondo una celebre formula che
Tunmer, Pratt, Herriman (1984: 12) proporranno qualche anno
dopo,
oppure, sempre in base ad un’altra formula storica, come un
oggetto “opaco”, le cui forme sono considerate “in e per se
stesse” (Cadzen 1976: 603).
Ma come si trasforma l’intuizione di affinità fra processi allopera in compiti
metalinguistici diversi, compiuti da soggetti infantili diversi, in un’ipotesi
precisa, tale per cui la metacognizione sarebbe il fattore che genera e
guida lo sviluppo metalinguistico ?
- Il primo passo è quello di riconoscere in quei processi di controllo,
attenzione selettiva ed autoregolata, il marchio distintivo della
metacognizione, nei modi in cui questa è stata formulata dal suo padre
fondatore, J.Flavell (1981),
“Ogni conoscenza che abbia per oggetto o regoli aspetti della
conoscenza”.
Nel procedimento argomentativo di Hakes entra in gioco anche un altro
accostamento teorico, con una linea evolutiva ampiamente studiata ed
accreditata nella storia della psicologia, quella dello sviluppo operatorio
secondo Piaget.
Hakes dispone in tal modo tre linee evolutive parallele:
a) le capacità operatorie, definite in base ai noti criteri
piagetiani di decentramento cognitivo e reversibilità;
b) lo sviluppo metalinguistico, come distanziamento volontario
rispetto alla lingua, attenzione selettiva autoregolata su tratti
pertinenti rispetto al compito , distinzione fra aspetti formali e di
contenuto e conseguente astrazione dal contenuto
(lingua esaminata di per sé, come “superficie opaca”)
c) lo sviluppo metacognitivo, come insieme di processi di
controllo via via più flessibili, autoregolati e consapevoli.
Su questa base, Hakes parte con uno studio sperimentale che
iesplora , su 100 bambini dai 4 agli 8 anni, le abilità che
permettono di risolvere una prova di sinonimia, di accettabilità, di
segmentazione fonemica
ed una batteria di prove di conservazione basate su quelle ideate
originariamente da Piaget.
Dalle forti correlazioni riscontrate fra tutte le prestazioni, Hakes ne
deduce che entrambi gli sviluppi, metalinguistico ed operatorio,
sono retti da un unico fattore, la cui natura è essenzialmente
metacognitiva.
Questa posizione è trasformata in un vero e proprio modello di sviluppo metalinguistico da Tunmer, Pratt e Herriman (1984).
Definizione in prima approssimazione:
“La consapevolezza metalinguistica può essere definita come l’abilità di riflettere su e di manipolare i tratti strutturali del linguaggio parlato, trattando il linguaggio stesso come oggetto di pensiero, in opposizione al semplice uso del sistema linguistico per comprendere e produrre frasi.
Essere metalinguisticamente consapevoli equivale ad iniziare ad accorgersi che il flusso del discorso, che inizia con il segnale acustico e termina con il significato inteso dal parlante, può essere osservato con gl i occhi del la mente e cons iderato separatamente” (Tunmer, Pratt e Herriman 1984: 12)
Quand’è che, nel corso dello sviluppo, vediamo qualche segno
manifesto della comparsa di questa capacità di rivolgere e
mantenere intenzionalmente attenzione su certe e non altre
proprietà strutturali di un enunciato?
La risposta degli autori è: “la middle childhood”, e cioè proprio
quella fascia di età, tra i 4-5 e gli 8 anni, indagata da Hakes e da
molti altri su vari aspetti dello sviluppo cognitivo, metacognitivo e
metalinguistico.
E qual è la spiegazione teorica che ci permette di dare ordine a
questi sviluppi,
che sono nello stesso tempo distinti per contenuto,
affini per funzionamento dei processi
e concomitanti nei tempi ?
Due passaggi logici:
- le varie abilità metalinguistiche, “benché superficialmente distinte, sono tutte
il risultato di un tipo di funzionamento linguistico….lo sviluppo di operazioni
metalinguistiche”(corsivo nostro);
- queste emergenti abilità metalinguistiche sono il riflesso di un cambiamento
s o t t o s t a n t e n e l l e c a p a c i t à c o g n i t i v e , l o s v i l u p p o d e l l a
metacognizione.” (Tunmer, Pratt e Herriman 1984: 150):
Questi due passaggi dell’argomentazione si traducono in una doppia
inclusione:
META-MEMORIA
META-APPRENDIMENTO
METACOGNIZIONE META-ATTTENZIONE
COGNIZIONE META-SOCIALE CONS. FONOLOGICA
METALINGUAGGIO CONS. DELLA PAROLA
CONS. DELLE STRUTTURE
CONS. PRAGMATICA
Due modelli posti-piagetiani della consapevolezza metalinguistica
Alcuni studiosi di scuola piagetiana, pur non utilizzando esplicitamente il
concetto di metacognizione, hanno invocato l’azione di fattori cognitivi
di ordine superiore, non specifici del linguaggio per spiegare lo sviluppo
ML.
Questi fattori cognitivi sono stati concettualizzati nei termini di due modelli
della teoria piagetiana, elaborati durante l’ultima decade della
produzione scientifica di Piaget:
L’astrazione riflettente (Piaget, 1977)
e la presa di coscienza (Piaget, 1974)
Il modello dell’astrazione riflettente è stato utilizzato per spiegare la
transizione dal piano della competenza d’uso del linguaggio a quello
della consapevolezza.
L’astrazione riflettente, secondo Piaget, è quel meccanismo
che spiega il passaggio da uno stadio operatorio a quello
superiore.
In un primo tempo, essa traspone su un piano più astratto ciò
che fino a quel momento era stato colto su un piano inferiore
Es. quando si concettualizza qualcosa che era stato capito
precedentemente sul piano dell’azione.
Ricostruisce, su questo secondo piano, gli elementi già esistenti
sul primo.
Infine, l’astrazione ‘riflessiva’ prende ad oggetto la riflessione
medesima e quindi conduce alla consapevolezza.
Trasponendo questo model lo a l lo sv i luppo metal inguis t ico, Papandropoulou et al. (1988) studiano aspetti metacomunicativi e metapragmatici in bambini di età compresa fra i 3 e gli 8 anni.
Si chiedeva ai bambini di fare da messaggero fra due personaggi immaginari, ai quali dovevano trasmettere, di volta in volta, ordini, informazioni, domande, suggerimenti.
Vi era dunque sempre un contenuto dell’enunciato e delle intenzioni comunicative variabili.
I più piccoli tendevano a confondere contenuto ed intenzioni:
rispondevano loro stessi alle domande o ai suggerimenti, invece di fare da
ambasciatori.
A partire dai sette anni, erano capaci di tenere in sospeso il contenuto del
messaggio per concentrarsi sulla specifica funzione comunicativa
sollecitata.
Si arriva, quindi, ad un punto in cui l’enunciato viene distanziato
come fosse un oggetto, ed il bambino può porgerlo al destinatario
come espressione di una voce distinta dalla propria,
Segmentarlo e ricomporlo in più sequenze conversazionali, ma
distinguendo:
il ‘cosa’
da ‘chi ha detto’, ‘
con quale fine’,
‘a chi’.
Vi è una oggettivazione progressiva dell’enunciato,
Le autrici vedono in questa il segno di quella “trasposizione su un
piano superiore” di ciò che, durante l’acquisizione del linguaggio,
ha permesso la produzione e la comprensione di quei determinati
elementi lessicali, grammaticali, fonologici, pragmatici, ecc..,
contenuti nelle frasi della situazione sperimentale.
Questa trasposizione, frutto dell’astrazione riflettente, a sua volta,
porrà le basi per una vera e propria riflessione metalinguistica ad
opera dell’astrazione riflessiva,
Assumerà quelle forme ben note di analisi intenzionale ed esplicita
delle unità linguistiche pertinenti dal punto di vista semantico,
grammaticale, morfologico, ecc…, indicate negli studi riportati da
Hakes, Tunmer et al.
Bonnet e Tamine-Gardes (1984), propongono un’interessante
trasposizione del modello della presa di coscienza, elaborato da
Piaget nel 1974 come modello generale delle attività cognitive, al
campo particolare della coscienza e consapevolezza metalinguistica.
Per Piaget, la presa di coscienza non origina né esclusivamente dal
soggetto né esclusivamente dagli oggetti esterni, bensì dall’incontro
fra la ‘periferia’ delle azioni del soggetto e la ‘periferia’ del mondo
oggettuale.
Si dirama poi nelle due polarità:
degli schemi del soggetto
delle caratteristiche strutturali degli oggetti.
Le lingue verbali presentano appunto questa peculiarità di essere un
punto di incontro:
dell’attività soggettiva, sotto forma di attività locutoria,
di determinate caratteristiche oggettive, analizzabili dai linguisti in unità
gerarchicamente ordinate: fonemi, morfemi, lessemi, sintagmi,
proposizioni, testi, ecc..
Il linguaggio può essere quindi visto come un campo elettivo di applicazione della teoria piagetiana della presa di coscienza.
Bonnet e Tamine-Gardes distinguono:
una ‘presa di coscienza’ dell’attività locutoria, sotto forma di coscienza
della sfera soggettiva del parlante (coscienza del parlare, della forza
illocutoria degli enunciati, dei parametri relazionali della comunicazione,
ecc…)
da una ‘presa di conoscenza’ delle proprietà formali dei segni.
La ricerca empirica:
Studio delle produzioni spontanee di bambini dai 2 ai 6 anni (tutti in fascia
prescolare, Svizzera francofona), in situazioni spontanee o semi-direttive,
focalizzando alcune categorie di particolare rilevanza metalinguistica:
Costruzioni ‘presentative’ (“questo è X, Y…”)
appellative’ (“X si chiama Y”, “X si chiama Y…..”),
spiegazioni e commenti aventi per oggetto la lingua medesima.
Tre gli stadi di sviluppo individuati.
Soltanto al terzo stadio, fra i 4 a., 6 mesi e i 6 anni, si manifestano esempi di
condotte chiaramente metalinguistiche, sulla base delle seguenti tre
condizioni:
-
- che il bambino sappia dissociare in un segno linguistico l’aspetto
formale dal suo aspetto di contenuto - il significante dal significato,
e analizzare i rapporti di dipendenza, somiglianza e differenza che
legano i segni gli uni agli altri sia sul piano formale che su quello
del contenuto;
- che sia capace di segmentare i segni linguistici sull’asse
sintagmatico, in sillabe e morfemi pertinenti;
- che sappia distinguere le caratteristiche dei segni, in quanto
appartenenti ad un determinato codice, dalle utilizzazioni
individuali e sociali del codice medesimo.
- Criter i -sogl ia, che def iniscono una fase in iz iale del la
consapevolezza metalinguistica, limitata a pochi segni isolati.
- Non si applica ancora alla scala più ampia e complessa della
proposizione.
MODELLI BASATI SU FATTORI INTRINSECI ALLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO
Alcuni modelli riconducono lo sviluppo metalinguistico all’emergenza
di processi che scaturiscono dallo sviluppo stesso del linguaggio.
- E.V. Clark e E.S. Andersen (1978):
Fin dalle prime tappe dell’acquisizione del linguaggio, il bambino
uti l izza spontaneamente meccanismi di autocorrezione e
ripianificazione del discorso, che sono intrinsecamente forme di
consapevolezza;
Inoltre, questi aggiustamenti interni servono proprio ad arricchire e
perfezionare la capacità di produrre frasi nuove.
Non solo lo sviluppo ML non è successivo a quello dei processi di
comprensione e produzione di base, ma ha la funzione di stimolo a
questi processi stessi.
Es.:
un bambino che vuole precisare la persona e il tempo del verbo,
riformulare un pronome nel genere o nel numero,
cambiare un nome, un verbo o un aggettivo in una frase già iniziata,
inserire un pezzo di frase in una più ampia,
Non può non avere coscienza che i significati variano al variare delle
forme.
L’esclusione, lo scarto di alcune forme è la prova evidente del fatto
che non sono riconosciute dal bambino come corrispondenti al
significato che intende trasmettere.
Ciò suppone la presenza di processi di controllo intenzionali, in un
momento della vita assai più precoce di quello ipotizzato da Hakes.
E.Bialystok (1986)
modellizza lintero sviluppo del linguaggio nei termini di due componenti di base
dell’attività locutoria, onnipresenti in tutta la gamma delle abilità linguistiche, orali o
scritte.
1) Analisi della conoscenza linguistica:
Rende possibile le rappresentazioni mentali delle unità del linguaggio, di forma
come di significato.
Rappresentazioni che divengono progressivasmente più strutturate, più esplicite e
più interconnesse.
2) Controllo del processamento linguistico
Responsabile dell’attenzione su parti di una rappresentazione ai fini di una
determinata esecuzione in uno specifico contesto di frase o di discorso.
Con il progredire delle nostre abilità linguistiche, questi processi attentivi
assicurano esecuzioni più fluide ed accurate.
Analisi e controllo variano in complessità in funzione delle sollecitazioni esercitate dalla
natura dei compiti e nel corso dello sviluppo ontogenetico.
Possono essere rappresentate tramite due assi cartesiani, ognuno dei quali
ha due estremi, basso e alto, il che definisce quattro quadranti in cui si
collocano, lungo una diagonale, gli usi orali, della letto-scrittura e
metalinguistici. Alto controllo
metaling. Bassa analisi Alta analisi
letto-scr. orali
Basso controllo
Ognuno dei tre domini d’uso, orale, letto-scrittorio e metalinguistico,
può a sua volta essere rappresentato mediante un’intersezione
ortogonale dei due assi dell’analisi e del controllo,
entro cui sono collocabili compiti ed usi linguistici di varia natura.
Usi orali:
Un disk-jockey o il conduttore di un talk-show si collocano nell’
estremo superiore del quadrante definito da:
alto livello di controllo (flusso ininterrotto del discorso)
basso livello di analisi. (superficialità dei contenuti e carattere
formulaico dell’espressione)
L’attività di un conferenziere si posiziona nel quadrante definito dalla presenza da livelli elevati tanto nel controllo quanto nell’analisi,
Gli si richiede sia di parlare in maniera fluida, con una costruzione sintattica compiuta e adattata flessibilmente al contesto (alto controllo), sia di scegliere parole appropriate concettuamente e contestualmente (attenta analisi delle unità di forma e di significato).
Esempio di compito in cui si richiede un alto livello sia di controllo che di analisi: contare il numero delle parole di una frase.
Sul versante dell’analisi, è necessaria una rappresentazione ben chiara dei limiti di ogni parola.
Sul versante del controllo l’attenzione è catturata dal significato, che quindi bisogna “tenere a bada”, calcolando le unità in maniera desemantizzata.
La prova di “Sostituzione dei segni”, ideata da S. Ben Zeev (1977) e
riproposta in forma italiana da M.A.Pinto (Pinto 1999; Pinto, Candilera
2000), in cui si chiede di sostituire una parola con un’altra in una frase,
creando anomalie di vario genere, richiede un fortissimo grado di
controllo dell’attenzione.
Es.: Sostituire “io” con “ghiaccio” in “Io ho freddo” à
“Ghiaccio ho freddo”.
Giudicare frasi grammaticalmente corrette e semanticamente
anomale (Es.: “La mela cresce sul bambino”)
Prevalente attenzione sulle forme in rapporto ai significati, e quindi un
forte dispiegamento dei processi di controllo, laddove il caso inverso,
Frasi grammaticalmente scorrette e semanticamente plausibili,
(“La mele crescono sull’albero”) attiva fortemente la componente
dell’analisi, al fine di individuare il punto preciso e la categoria
dell’errore (le unità linguistiche).
.Ma cosa ne è, allora, dei criteri che definiscono l’ambito d’uso
metalinguistico ?
Bialystok ne fornisce tre.
Innanzitutto, si parla di “compiti metalinguistici”, cioè di particolari usi
del linguaggio, stimolati dalla vita quotidiana o da situazioni
sperimentali, e non genericamente di “consapevolezza.”
- Il primo criterio è una elevata esigenza sul piano dell’analisi,
- il secondo è un’elevata esigenza sul piano del controllo,
- il terzo è il fatto che l’argomento, o l’oggetto di questa analisi e
controllo siano le strutture della lingua.
Nei confronti fra le prestazioni metalinguistiche dei bambini monolingui e bilingui, si rivela l’ultilità di queste distinzioni in base al grado di coinvolgimento dell’una e dell’altra componente.
Eventuali vantaggi o svantaggi dei due gruppi di soggetti possono risaltare in certo tipo di compiti e non in altri, proprio a causa del diverso peso delle due componenti.
Es,:
Esistono varie tipologie di sviluppo bilingue, una delle quali è basata sulla distinzione fra la pratica della letto-scrittura in entrambe le lingue o in una sola.
Questo fattore ha conseguenze metalinguistiche, poiché il diverso grado di coinvolgimento nella pratica letto-scrittoria esercita le componenti del controllo e dell’analisi in maniera differenziata.
KARMILOFF-SMITH.
K.S. propone un modello totalmente basato su processi interni di
elaborazione del linguaggio, e porta il nome di Ridescrizione
Rappresentazionale ( in sigla RR).
"II modello RR tenta di spiegare il modo in cui le rappresentazioni
dei bambini diventano progressivamente più manipolabili e
flessibili, l'emergenza dell'accesso conscio alla conoscenza, e la
costruzione di teorie da parte del bambino.
Esso comporta un processo ciclico, grazie al quale /'informazione
già presente nel funzionamento indipendente dell'organismo e le
rappresentazioni specializzate diventano progressivamente
disponibili, attraverso processi di ridescrizione ad altre parti del
sistema.
“In altri termini, la ridescrizione rappresentazionale è un processo
grazie al quale l'informazione implicita nella mente diventa
successivamente conoscenza esplicita per la mente, prima entro
un determinato dominio, e a volte, anche fra domini:"
(Karmiloff-Smith 1992: 17-18).
Il processo ciclico consiste in un funzionamento per fasi ricorrenti:
determinate sequenze si ripropongono in domini differenti:
- disegno, linguaggio, notazioni simboliche, altro,
- ad età differenti, compresa l'età adulta, in occasione di nuovi
apprendimenti.
Tre fasi fondamentali:
1° Fase:
Gli apprendimenti sono "data driven", additivi e settoriali =
dipendenti dalle informazioni esterne,
registrati separatamente al livello di singole procedure,
in singoli microsistemi. à
Rappresentazione "implicita” di livello 1.
Risultato : padronanza di livello comportamentale.
Es.: Saper riprodurre correttamente una determinata forma
linguistica, un tipo di declinazione o di coniugazione,
senza saper cogliere i nessi fra le varie realizzazioni di una medesima
regola morfologica.
Seconda fase:
Si manifesta per la prima volta l'esigenza di ridescrivere, tramite
rappresentazioni, le procedure registrate precedentemente.
à Spesso un deterioramento momentaneo della correttezza delle condotte
(vedi “curve ad U”).
Piano della rappresentazione esplicita di livello E1:
Le condotte si manifestano in maniera indiretta e non ancora accessibili alla
coscienza.
Terza fase:
livelli E2 ed E3: segnano l'accesso alla coscienza,
grazie alla ricomposizione fra processi che spingono dall'interno alla ricerca di
coerenza e le pressioni in provenienza dall'esterno.
N.B. : Differenza fra E1 e E2: solo una differenza di grado nella esplicitazione
della conoscenza.
E2: capacità di verbalizzare totalmente la comprensione delle relazioni interne
ad un determinato sistema.
Meccanismi di passaggio dall'una all'altra fase?
I feedback positivi stabilizzano i successi raggiunti in settori circoscritti di un determinato dominio.
Offrono il terreno su cui lavorano le successive ridescrizioni-rappresentazionei.
N.B. : Qui risalta il carattere endogeno della spiegazione proposta dalla Karmiloff-Smith.
La molla essenziale dello sviluppo:
spinta spontanea a creare nessi intra-dominio ed inter-dominio.
Le rappresentazioni che ne risultano divengono progressivamente più astratte, compatte e flessibili.
K.S., malgrado la sua formazione piagetiana, misconosce totalmente il ruolo dei conflitti e dei disadattamenti.
La ricerca empirica di K.S.
Studio della comprensione del sistema dell'articolo determinativo in
francese:
Nella lingua francese (anche in italiano), nella forma singolare degli
articoli indeterminativi "un", "uno", "una" sono codificati due distinti
significati:
il significato di genericità, in opposizione alla particolarità,
il significato numerale di singolarità in opposizione alla molteplicità.
La situazione sperimentale:
Vari oggetti: palle, macchinine, matite, ecc ... di fronte ad un
bambolotto e ad una bambola,
Uno dei due aveva, in alcuni casi, un solo esemplare di un oggetto
mentre l'altro ne aveva un certo numero.
Il bambino doveva indovinare a quale dei due ci si stava
rivolgendo quando si usava l'espressione:
"Prestami una macchinina",
"Prestami la macchinina".
Se il bambolotto possiede un solo esemplare di macchinina e la
bambola ne possiede tre,
Ci si dirige al bambolotto in corrispondenza con l'espressione "la
macchinina", che è ben isolata.
Ci si dirige invece alla bambola in corrispondenza con
l'espressione "una macchinina»: un esemplare fra i molti.
Le tappe:
Già a 3-4 anni, i bambini riescono facilmente a cogliere la distinzione fra
"una" e "la" a livello di padronanza comportamentale (fase 1).
A 5-6 anni compare un errore tipico riguardo all'uso dell'articolo
determinativo: l'espressione "una macchinina" è interpretata come "una
di numero", rivolgendosi al bambolotto.
Il ragionamento sottostante a questo errore si rivela in maniera
caratteristica quando si chiede ai bambini di produrre loro le frasi
appropriate.
Essi sottolineano la differenza fra:
"una macchinina" come forma che denota il significato di genericità,
"una di macchinina" come forma che denota il significato di singolarità.
Una stessa forma “spaccata” in due varianti.
Condotta interpretata come espressione della ridescrizione delle
procedure a livello di rappresentazione della fase E1:
il bambino comincerebbe infatti ad essere sensibile ai due possibili
significati del medesimo significante, e quindi a cogliere il legame
fra due procedure fino ad allora separate.
In un primo tempo, questa dualità si esprime creando una sorta di
"variante aggiuntiva" dello stesso significante, e si ha allora la
caratteristica formula "una di macchinina".
Soltanto nelle fasi E2 ed E3 il bambino accetterà il fatto che due
significati possano convergere in una sola forma,
e stabilirà nuovi legami fra le sue rappresentazioni precedenti.
D'ora in poi, per il sistema linguistico in questione, si può parlare di
processi metalinguistici.
Si distinguerà fra la fase E2, raggiungibile sui 7-8 anni per quanto
riguarda la comprensione,
e la fase E3, che non si manifesta prima dei 10 anni, quando il
bambino è in grado di giustificare verbalmente il procedimento
seguito per arrivare alla soluzione, indicando gli indizi linguistici su
cui si è basato.
SPIEGAZIONI BASATE SU FATTORI STORICO-CULTURALI
Spiegazioni che, ai fini della presa di coscienza metalinguistica,
enfatizzano il ruolo esercitato da ogni forma di mediazione culturale che
avviene per mezzo della lingua e che, per sua natura, avviene in contesti
storici ed antropologici determinati.
Fra le principali:
- l’iniziazione alle pratiche della letto-scrittura, precedenti o
contemporanee alla prima scolarizzazione elementare;
- La scolarizzazione di per sé, come processo di acquisizione di
conoscenze in maniera formale e socializzata, in luoghi istituzionalmente
deputati;
- Tutte le forme di micro-interazione verbale, in altri contesti tipicamente
educativi, come ad esempio in famiglia, e sui più disparati oggetti di
discussione e conoscenza.
Se, nei modelli esaminati fin qui, abbiamo visto, chiarissima,
l’impronta delle prospettive piagetiana e quella cognitivista -
quest’ultima anche nelle sue diramazioni metacognitive – ora
emergerà altrettanto chiaramente l’impronta delle prospettive
vygotskyana e bruneriana.
Questa influenza è visibile nel modo stesso di concepire i rapporti
causali fra pensiero e linguaggio.
Donaldson (1978):
La prima acquisizione delle abilità di lettura genera processi di
riflessione e controllo sulla lingua;
A loro volta, questi si riverberano positivamente su un insieme di altri
processi di controllo, elevando tutto il funzionamento cognitivo
dell’individuo ad un livello di autoregolazione più consapevole.
In altri termini, l’incontro con le proprietà strutturali specifiche del
sistema lingua scritta e quelle intensissime sollecitazioni che il
passaggio dall’orale allo scritto comportano, attiverebbero un
distanziamento dalla l ingua, costitutivo della r if lessione
metalinguistica.
Una volta innescato, questo distanziamento si trasformerebbe in una
modalità generalizzata di analizzare forme e significati, un approccio
generalizzato alla decodifica dei segni.
Oltre ad amplificare in maniera evidente l’accesso ai contenuti di
conoscenza, questo approccio generalizzato alla lettura affina altri
processi di elaborazione cognitiva:
percezione,
memoria
sensibilità ai segni in generale.
Questo passaggio, che si realizza tipicamente nei luoghi e nei tempi della
scolarizzazione elementare, è formulato da Donaldson come transizione
da:
una modalità di pensiero “embedded” (implicita), ad una
“disembedded” (esplicita).
In sintesi, la linea di sviluppo va:
dalle pratiche sociali e formali connesse all’uso della lingua scritta
à alla metalinguistica
à alla metacognizione.
N. B. ! Un percorso inverso a quello tracciato dai sostenitori del primato della
metacognizione sulla metalinguistica.
Lo psicolinguista canadese D.Olson (1991, 1994, 1996) batte ancor più
fortemente l’accento sulla rilevanza del codice scritto ai fini dello sviluppo
metalinguistico.
Le attività di scrittura eserciterebbero un ruolo determinante sulla messa
In opera di processi metalinguistici.
“Scrivere è intrinsecamente metalinguistico”.
4 ipotesi a sostegno della sua tesi:
2 incentrate su aspetti oggettivi
2 su aspetti soggettivi
- L’ipotesi della modalità, intesa come canale sensoriale, nella
fattispecie come passaggio da quello uditivo a quello visivo,
come già affermava McLuhan (il passaggio dall’ “orecchio” all’
“occhio”, McLuhan 1962);
- L’ ipotesi del mezzo, intesa come possibilità di accedere ad
alcuni prodotti specializzati della scrittura, quali sono i generi
letterari.
- Si apprende a distinguere fra “dire” e “citare”, che è un dire sul
dire di altri, un dire alla seconda potenza. La distinzione fra le varie
“voci” di chi scrive, a proposito di chi, di cosa.
- L’ipotesi delle abilità mentali
- L’ipotesi specificamente metalinguistica.
Le pratiche di literacy attivano processi di riconoscimento di
un’ampia gamma di forme e di significati, proprio grazie al
fatto che la lingua scritta “fissa” quella orale, la oggettiva e la
rende manipolabile a volontà.
Una linea di studi che, pur prestando grande attenzione alle potenzialità cognitive e metalinguistiche insite nella literacy, fa propri altri riferimenti teorici, è quella costruita da C.Pontecorvo in Italia fin dagli anni ottanta.
(Pontecorvo, Tonucci, Zucchermaglio 1984; Pontecorvo 1985; Pontecorvo, Zucchermaglio 1985; Formisano, Pontecorvo, Zucchermaglio 1986, Pontecorvo, Pontecorvo 1986),
Linea che ha generato un imponente numero di ricerche empiriche, ma anche un’intensa attività di progettazione educativa,
Il prodotto più consistente:
“Continuità educativa dai quattro agli otto anni” (Pontecorvo, a c. di, 1989; Pontecorvo, Tassinari, Camaioni 1990), realizzato in Italia, base del testo di riforma dei programmi della Scuola dell’Infanzia (1991).
Le linee portanti di questa impostazione attingono a concetti sia vygotskyani che neo-piagetiani, intersecati in modo originale.
- Lo specifico neo-piagetiano si individua nell’impianto teorico dei lavori sulla concettualizzazione della lingua scritta (E.Ferreiro e A. Teberosky 1979),
Le ricercatrici identificano 4 grandi fasi nell’itinerario evolutivo delle rappresentazioni del bambino:
- Indistinzione fra i grafismi del disegno e grafismi della scrittura;
- Fase “presillabica”, con le prime corrispondenze fra lettere e suono;
- Fase “sillabica”, corrispondenze biunivoche fra lettere e suoni
- (Fase “sillabico-alfabetica”, intermedia fra la sillabica e la alfabetica)
- Fase “alfabetica” (codice convenzionale).
Lo specifico vygotskyano:
L’idea-cardine: la costruzione delle conoscenze è inscindibile
dall’interazione entro cui queste si formano e dagli strumenti
semiotici, storicamente connotati, che le veicolano;
L’interazione si esplica con modalità spesso asimmetriche, fra adulto
e bambino o fra bambini di livelli di competenza diseguali;
Ciò permette di ottimizzare proprio il divario di expertise e la
diversificazione dei punti di vista.
La sequenza evolutiva delineata da Ferreiro e Teberosky fornisce la
scala dei livelli di concettualizzazione della lingua scritta entro cui
collocare le competenze raggiunte dai singoli bambini;
L’insegnante può predisporre dei lavori di piccolo, medio e grande
gruppo per far emergere proprio queste rappresentazioni individuali
e valorizzarle all’interno di un confronto fra bambini.
Il confronto crea quei conflitti socio-cognitivi, altro prodotto della
psicologia piagetiana, generatori e accelatori di presa di coscienza.
All’interno dei lavori che esplorano il legame fra metalinguistica e
cultura, si è venuto creando, dai primi anni novanta, un nuovo
filone che attinge concetti sia alla psicologia culturale di Bruner
(Bruner 1990) che alla Teoria della Mente (Astington, Harris, Olson,
eds. 1988; Astington 1993; Camaioni 1995, 2002).
La Teoria della Mente (d’ora in poi TdM) si riferisce a quella
capacità che i bambini sembrano sviluppare assai precocemente,
di comprendere che vi sono stati mentali negli esseri umani, loro pari
o adulti.
Esiste dunque una causalità psicologica sottostante ai
comportamenti, distinta dalla causalità fisica che possono osservare
e ricostruire nel mondo materiale.
La causalità psicologica si esprime linguisticamente con un
determinato lessico, detto “psicologico” o anche “mentale”.
In particolare mediante verbi che appartengono alle aree
semantiche della cognizione; come “sapere”, “credere”,
“pensare”, “capire”, ecc…,
della percezione: “vedere”, “guardare” , “sentire”, ecc…,
della volizione : “desiderare”, “volere”, “aver voglia di “, ecc…
delle emozioni: “mi piace”, “ho paura”, ecc.
Questi verbi, cosiddetti “mentali”, possono essere considerati di
natura metalinguistica:
Permettono di mediare fra fatti e fenomeni esterni, da un lato, e
loro rappresentazione e credenze, dall’altro.
Il legame fra metalinguistica e TdM è stato evidenziato da
ricerche quali quelle effettuate da Astington e Jenkins (1999),
Videoregistrarono bambini prescolari in situazioni di gioco
simbolico ed ottennero informazioni diaristiche dai genitori
sull’uso di verbi mentali da parte dei loro figli.
Gli autori rilevarono che l’uso di questi verbi consente di predire i
risultati dei bambini alla prova di TdM.
I risultati di queste ricerche evidenziano l’incidenza che questo
lessico può avere nello sviluppo di una condotta metacognitiva
rilevante:
sapersi rappresentare adeguatamente il rapporto fra stati
mentali e comportamento.
Nell’istituzione scolastica, una catena causale analoga può
ritrovarsi in determinate microculture.
Quegli insegnanti che credono nelle capacità autonome di
pensiero degli alunni, fanno un uso sistematico di un lessico
mentalistico
nel formulare domande,
nel discutere di eventi e comportamenti
nel disciplinare la condotta (Vedi le caratteristiche del “codice
elaborato” di B. Bernstein, l’appello a principi generali ed
espliciti)
Gli alunni, a loro volta, sono condotti a rispondere su questo
stesso piano mentalistico.
Le interazioni docente-alunno vengono punteggiate da
osservazioni metalinguistiche, da commenti sulle forme del
linguaggio impiegato, di osservazioni metapragmatiche, al di là
dei contenuti.
Queste microculture scolastiche sembrano essere un tratto
distintivo delle culture occidentali, come rilevano Olson e Bruner
(1996):
Riflettono una più generale concezione di ciò che debba essere
valore educativo.