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L'autore fu molto applaudito insieme col direttore Angelo Questa.
Nella stessa sede s'è ascoltato per la prima volta dal valente violinista Max Strub e dal direttore Alberto Erede il Concerto per violino e orchestra in si minore che Hans Pfitzner compose nel 1924 e che nella recente produzione concertistica è stimato uno dei migliori. La notorietà dello Pfitzner in Germania è divenuta in questi ultimi anni assai vasta. Per riflesso, si ha in Italia qualche saggio di lui, ora che ha passato i settant'anni . . (Perchè finora nessun direttore d'orchestra, nessun concertista, nessun teatro s'è occupato delle sue sonate, dei suoi Lieder, del suo Palestrina? La risposta è la stessa, ancora una volta: la gran pigrizia degli esecutori e degli impresari nell'uscire dal proprio repertorio). In questo Concerto lo Pfitzner annuncia il proposito di conciliare ciò che del concerto solistico può oggi sopravvivere con l'andamento proprio delle variazioni e con l'ampiezza di svolgimento necessario a una sonata, anzi a una sinfonia. Il solista reca quattro temi ben distinti, il primo e il quarto segnatamente ritmici, uno vivace e l'altro brioso, il secondo e il terzo invece melodici, l'uno grave, su un agitato basso, l'altro lento, cromatico, doloroso. L'orchestra ora nel suo complesso, ora con gruppi isolati, partecipa allo svolgimento sinfonico e raggiunge sovente notevoli espressioni drammatiche. Nella composizione, elaboratissima, si sente la corrente della generazione di Reger, di Bruckner, di Mahler, complessità, pienezza, polifonia, ridondanza, e, come in
, Strauss, volubilità fra il patetico, il tragico, e il faceto, lo scherzoso. Ma Strauss è geniale e ha una sua impronta. In questo Concerto c'è la maniera regeriana, mentre la discontinuità del carattere è tale da escludere il riconoscimento d'uno stile proprio.
A. DELLA CORTE.
MUSICHE NUOVE A FIRENZE.
La stagione sinfonica del Teatro Comunale non ha solo importanza per la successione di direttori acclamati, ma per la presentazione in ?gni concerto di lavori nuovi, alcuni dei quali l~ ~rima esecuzione assoluta. Primo degli italIam ad inaugurare la serie delle novità è stato Ettore Desderi, direttore del Liceo musicale di Alessandria, autore di una bella cantata biblica Job per soli, coro e orchestra, eseguita con successo a Francoforte, Dusseldorf, Milano, di
una Fantasia- Variazioni su tema di Beethoven, trasmessa più volte per Radio, di un Salmo 87 per baritono e orchestra, applaudito alla Fiera Internazionale di Venezia nel 1938 e della Missa dona pacem, apparsa nei programmi di Aquisgrana, Vienna e altre città della Germania. Il lavoro eseguito a Firenze era costituito da Tre intermezzi all' « Antigone» di Sofocle. Essi hanno la intenzione di tradurre musicalmente lo svolgersi dei vari stati d'animo dell'Antigone sofoclea: il martirio e la morte del padre (IO intermezzo)' il dolore e la rinuncia al sogno amoroso (20 intermezzo), la lotta fratricida fra Eteocle e Polinice (30 intermezzo). La musica di Desderi si ferma in nuclei tematici chiusi in se stessi, Senza abbandonarsi a svolgimenti discorsivi, ne intensifica il valore espressivo a mezzo di colori e di impasti strumentali, e, se non ricerca novità assolute di timbri e di amalgame, si raccoglie per altro in un ordine architettonico ben definito.
In altro concerto è apparso il Ditirambo di Gabriele Bianchi, tolto dal Balletto delle Stagioni che fu ammesso al Concorso internazionale di Vienna del 1936. Bianchi - che è titolare di composizione nel R. Conservatorio di Venezia - proviene dalla scuola di Malipiero, dal quale ha appreso il gusto dell'istrumentale fondato sulla purezza dei timbri dissociati, e la libertà dello svolgimento tematico, non chiuso in formali progressioni, care al sinfonismo romantico. Una sua personalità si palesa nella sobriet~ della dialettica sonora, e nella finezza della selezione ritmica ed armonica. Questo Ditirambo si parte e si chiude in una vivacità quasi orgiastica di ritmo vario e concitato, e solo si placa nel mezzo in una canora linearità. Lavoro nobile, non sempre originale, ma condotto con sicura padronanza. [r.',('( Pietro Ferro, direttore del Liceo musicale « Luisa d'Annunzio» di Pescara, si è presentato con la prima parte di un suo balletto Persefone tratto dai Fasti di Ovidio. Esso è indirizzato al momento in cui Persefone, la bellissima figlia di Cerere, aspira alla conoscenza dell'amore, mentre Ninfe e Amorini intrecciano, nella ebbrezza dei profumi salienti dalla terra sicula, la folle danza della « Sicinnite l). Ferro segue l'azione con intima aderenza alla poesia della favola ora con ferme atmosfere armoniche, or con motivi di danza leggera, or con cantabilità vibrante di sensuale abbandono. Qualche frammentarismo di elementi successivi, qualche sonorità di chiara derivazione, non infirmano sensibilmente il lavoro, volto ad una rapsodica maniera di comporre, che gli viene dall'esempio di
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Giuseppe Mulè, e che si palesa specialmente nei melismi della voce cantante sulla fine del brano.
Nell'ultimo concerto di questo primo periodo concertistico abbiamo ascoltato la recentissima composizione di Guido Guerrini, scritta da lui dietro invito di Fabien Servitzky direttore dell'orchestra sinfonica di Indianapolis per celebrare il cinquantenario di quel celebre organismo. Si tratta di Sette Variazioni sopra una Sarabanda di Corelli (Sonata 8a, Op. V) . È un lavoro di particolare importanza, per l'impegno con cui è stato concepito e per la originale realizzazione in orchestra d'archi, con pianoforte, trattata a modo di Concerto grosso. Specialmente nella terza e nella sesta variazione Guerrini è giunto alla conquista più piena e personale del mondo suggerito dal tema corelliano, trasportandolo nel mondo del proprio spirito senza più alcun residuo estraneo. Nella terza, infatti, sulla linea tematica sostenuta « a corale» dal violino e dal violoncello soli, si distende un movimento delicatissimo degli altri archi che ne compie la trasfigurazione in un processo di intensità lirica fino al suo esaurimento. N ella sesta, che più che variazione è una amplificazione tematica, il centro della conquista trova il suo completo sfogo mercè una libertà lineare più lontana dalla lettera corelliana, sebbene sempre illuminata dallo spirito, e
una complessità contrappuntistica nel gioco del « concertino » e del « ripieno ». Il brano, dopo una breve ma fantasiosa cadenza del violino solo, si chiude con un ricordo più determinato del tema, sposato con gli altri elementi già svolti in principio.
Uno straniero, ma che vive ormai da tempo in Italia, e che ha scelto a sua dimora fissa Firenze, è il russo Igor Markevitch, che in un concerto, da lui diretto, ha presentato una sua nuovissima Sinfonia concertante per voce e orchestra ispirata ad alcune canzoni amorose di Lorenzo il Magnifico . Siamo grati a questo giovane e già celebre musicista dell'omaggio che gli ha voluto offrire alla nostra terra e alla nostra civiltà toscana. Artista coltivato, musicista agguerrito, egli è uno dei più convinti della nenecessità di indirizzare la musica verso una sua vita superpersonale ed oggettiva, di contro ad una concezione di essa rivolta a sopravalutare l'individuo e la sua espressione intima e personale. Vecchia ' quistione che ci sembra abbia da tempo esaurito la sua funzione re attiva alle infatuazioni e superfetazioni romanticheggianti di cinquant'anni fa. Giustificata posizione, ancor oggi, a patto di giungere, come talora vi giunge Markevitch, alla creazione di bellezza, che trovi eco nell'anima contemporanea.
ADELMO DAMERINI.
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