Con la cultura
non si mangia
Giulio Tremonti
(apocrifo)
Numero
269 336
30 giugno 2018
Maschietto Editore
Il processodel cambiamento
L’ultima lettura che ho fatto... non ricordo. Se proprio ci devo pensare, ho riletto Il processo di Kafka. Quando? Mi pare tre anni fa. Perché? Perché mi piace. Certi film che mi piacciono li ho rivisti anche cinque volte. Non leggo altro da tre anni, non ho tempo per leggere per svago
Lucia Borgonzoni, sottosegretario alla Cultura e al Turismo
dall’archivio di Maurizio Berlincioni
immagine
Vinci, 1995
La prima
Siamo a Vinci nel
1995 e questo pittore,
un’artista molto
conosciuto in Cina,
che si chiama Huang
Yong Yu è stato ritratto
nella casa della figlia
Wang Hakni. Ho
scattato l’immagine
mentre sta dando
gli ultimi ritocchi a
un mio bel ritratto
realizzato su carta seta
nel solco della migliore
tradizione cinese. Era
molto simpatico ed
era venuto in Italia in
visita alla figlia ed al
genero. Anche loro
erano delle persone
davvero colte e squisite.
E’ stato un gran piacere
averli incontrati, ma
proprio in questi giorni
mi sono reso conto che
non avevo mai fatto
incorniciare la sua
opera che mi riguarda
molto da vicino. La
presento quì con il
ritratto dell’autore, una
persona colta, simpatica
e sorridente. Ho deciso
comunque che che
devo trovare subito un
artigiano che trasferisca
il dipinto su seta per
poterlo incorniciare e
finalmente appenderlo
al muro.
Direttore
Simone SilianiRedazione
Mariangela Arnavas, Gianni Biagi, Sara Chiarello, Susanna Cressati, Carlo Cuppini, Remo Fattorini, Aldo Frangioni, Francesca Merz, Michele Morrocchi, Sara Nocentini, Sandra Salvato, Barbara Setti
Progetto Grafico
Emiliano Bacci
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Editore
Maschietto Editore via del Rosso Fiorentino, 2/D - 50142
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Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012
Numero
269 336
30 giugno 2018
In questo numeroQuarto Paesaggio L’esperienza urbana della bellezza
di Virgilio Sieni
Il manifesto Calenda: troppo poco e troppo tardi
di Michele Morrocchi
I dati della cultura
di Tomaso Boyer
S.Felicita, il patrimonio invisibile
di M.Cristina François
David Douglas Duncan This is war!
di Danilo Cecchi
Victor Hugo, poeta
di Gabriella Fiori
Un’utopia realizzata
di Alessandro Michelucci
Disegnare la Toscana
di Andrea Ponsi
Notti in bianco
di Angela Rosi
La musica al Louvre
di Simone Zanuccoli
La madre di tutte le battaglie
di Paolo Marini
e Capino, Remo Fattorini Illustrazioni di Lido Contemori e Massimo Cavezzali
Tiziana senza Rivale
Le Sorelle MarxLa Saga del Promesso Assessore
I Cugini Engels
Riunione di famiglia
430 GIUGNO 2018
Il progetto Quarto Paesaggio. L’esperienza
urbana della bellezza nasce per intrapren-
dere un viaggio nei territori che compongo-
no Firenze e l’intorno ripensando il senso
dell’abitare come cura dell’individuo e
apertura verso nuovi linguaggi. Il proget-
to è fondato sulla relazione tra cittadino e
territorio, umano e natura e si articola per
tappe che hanno come obiettivo la rivitaliz-
zazione di luoghi unici grazie a un ciclo di
esperienze che vanno dalla natura al gesto,
dalla memoria del movimento alla creazio-
ne di nuove geografie urbane: una riscrittu-
ra intima del paesaggio declinata attraverso
pratiche, residenze artistiche, condivisione
e rigenerazione di spazi, presidi culturali,
camminamenti, ascolti e visioni.
Quarto Paesaggio è composto da quattro
Movimenti che formano un unico Progetto:
il Parco delle Cascine, con la riqualificazio-
ne della Palazzina dell’Indiano, attraverso il
progetto PIA/Palazzina Indiano Arte rap-
presenterà il raccordo innovativo tra i terri-
tori limitrofi partendo dal Quartiere 1 fino
ai Quartieri 2, 4 e 5 dove si svilupperanno i
progetti Nuovi Cantieri Culturali Isolotto,
Cenacoli Fiorentini e Le Piagge/Abitare la
democrazia, esperienze scaturite da lunghi
periodi di ricerca sulla natura del territorio,
sul senso delle periferie, sulla funzione del
cittadino e sulle pratiche del gesto quale
mezzo espressivo di conoscenza e di riap-
propriazione dell’ambiente che ci circonda.
Ciascun Movimento rappresenta un per-
corso di ricerca e scoperta di soluzioni per
abitare i luoghi, la natura e l’arte, a partire
dalla relazione tra gli individui. Nei terri-
di Virgilio Sieni
QuartoPaesaggio
Le pratiche artistiche e performative contro
il degrado e la solitudine urbana. È uno degli
obiettivi del progetto promosso e finanziato
da Fondazione CR Firenze con la direzione
artistica di Virgilio Sieni e la collaborazione
di Teatro del Maggio Musicale Fiorentino,
Scuola di Musica di Fiesole, Tempo Reale.
Col recupero della Palazzina dell’Indiano
si avviano oltre 130 eventi tra performan-
ce, concerti, incontri, laboratori, lezioni sul
gesto, centri estivi e installazioni distribuiti
nella città da giugno a settembre.
Fanno parte di Quarto Paesaggio: PIA/
Palazzina Indiano Arte, il Festival Nuovi
Cantieri Culturali Isolotto, Cenacoli Fio-
rentini_Grande adagio popolare, Le Piagge/
Abitare la democrazia
530 GIUGNO 2018
L’esperienza urbana della bellezza
tori saranno sviluppati progetti inediti per
creare un humus culturale dettato dalla
partecipazione dei cittadini nei processi ar-
tistici: residenze, pratiche rivolte a persone
di tutte le età, piantumazioni, rigenerazio-
ne, ristrutturazione e condivisione di luo-
ghi, cammini ed eventi, apertura di spazi e
gallerie, messa in posa di una scultura pub-
blica. Verranno sviluppati presidi culturali
nei territori durante tutto l’anno: gallerie
d’arte, spazi delle pratiche, luoghi di incon-
tri, azioni condivise, coinvolgimento delle
scuole in programmi scolastici.
Il territorio che Quarto Paesaggio abbrac-
cia è riplasmato, ossigenato, ricamato, im-
preziosito, grazie a gesti inediti condivisi,
aprendo così lo sguardo a metafore dense
di significato che trascendono la singola si-
tuazione e si riversano nel desiderio – uma-
nissimo – di cura e custodia di un prezioso
bene comune.
Rimodellare il territorio ricercandone i
dettagli e le tracce poetiche, i volti e i ge-
sti nell’incontro tra il luogo e la memoria,
diviene la pratica sostenibile per tornare ad
abitare il mondo.
630 GIUGNO 2018
Si sa, quando cambia un regime, si dà
l’assalto al carro per salirci. L’assalto alla
diligenza ognuno lo fa come può e con i
talenti che Madre Natura gli ha fornito.
Tiziana Rivale, al secolo Letizia Oliva, ne
aveva avuti in abbondanza: una voce dav-
vero bella, una certa fortuna festivaliera
(a quello di Sanremo del 1984 con “Sarà
quel che sarà”, titolo che sembra quasi una
premonizione dei suoi più recenti fasti),
collaborazioni illustri (da Gino Bramieri
a Walter Chiari, da Gianni Turco a Paolo
Limiti) e una vocazione internazionalista
(canta molto in inglese). Ma la fortuna,
si sa, va e viene e negli ultimi tempi per
la povera Tiziana soprattutto era andata:
qualche anno di inabissamento nell’ano-
nimato, dal 2011 al 2015, quando esce nel
solo formato digitale l’album “Babylon”.
E già questo doveva essere un sintomo
della confusione nella quale la cantante
era caduta. Tanto che sul finire del 2017
la Nostra esce con uno sfolgorante sin-
golo + video: “The Shadow of Elohim”,
dedicata all’uso della geoingegneria, con
effetti dannosi e mortali sulla natura e
sulla salute di tutti gli esseri viventi, e agli
antichi racconti degli Elohim biblici, extra
terrestri che avrebbero vissuto sul piane-
ta Terra e avrebbero fabbricato la specie
umana (gli Adamiti) per servirsene come
schiavi. La nostra signora si sarà detta:
“qui cambia il vento. Arrivano ‘sti strani
dei 5 Stelle che mi sa che sbaragliano tutti.
Mi sembrano un po’ kitch però... sarà
quel che sarà: piatto ricco, mi ci ficco! In
fondo “Questo mondo è una baracca” e,
sai cosa, “Io sono come il sole”, molto “Più
forte” e “Con tutto l’amore che c’è” provo
a dare l’assalto al cielo”. E così si è buttata
a capofitto nel campo delle scie chimiche
(“Guarda in alto il cielo lampeggiante/
le scie di funo spesso cambiano i nostri
giorni/distruggendo la nostra vita”), in
scenari apocalittici (“L’ombra di Elohim
è qui/non c’è tempo per coprirsi gli occhi/
scoprite la verità” - “Nubi radioattive
portano piogge che avvelenano l’aria che
respiriamo giorno e notte, ovunque noi sia-
mo”) e in appelli redentori (“Svegliatevi o
gente sciocca, la presenza di Elohim è qui,
apriamo gli occhi, vogliamo essere liberi”).
Sicuramente il nuovo potere grillino
apprezzerà lo sforzo, senza rivali, della
Rivale e la chiamerà ad inaugurare il
Festival di Elohim e delle scie chimiche di
Camogli.
Le SorelleMarx Tiziana senza Rivale
primari, quelli fisiologici, (mangiare, bere,
dormire) insopprimibili; poi ci sono i bisogni
elementari, basici: la sicurezza, il lavoro,
l’autorealizzazione, l’amore, l’appartenenza.
Non c’è quindi da stupirsi se coloro (forze
politiche e sociali) che sono interessati a far
lievitare la domanda di sicurezza soffino sul
fuoco dell’immigrazione, amplificando i fatti
di cronaca, i fenomeni di criminalità, alimen-
tando la paura e la pericolosità dei migranti.
Ormai tutti dovremmo aver capito che tra
percezione e realtà non c’è differenza: ciò che
viene percepito è reale.
È così che funziona. Ed è così che il bisogno di
sicurezza, quello a 360 gradi, diventa un biso-
gno primario, mentre tutti gli altri (solidarietà
e accoglienza) scivolano all’indietro, essendo
meno urgenti.
Morale: sono proprio i ceti popolari, quelli che
con la crisi hanno perso una fetta del proprio
benessere e vivono il futuro come una minac-
cia, a guardare con indifferenza e ostilità agli
immigrati, alimentando quella che un tempo
avremmo definito la guerra fra poveri. Sono
proprio i ceti popolari a guardare con simpatia
a Salvini e a votarlo nel segreto dell’urna. Il
perché è presto detto: lui più di altri dimostra
di saperli ascoltare.
Del resto dovremmo aver imparato che il
rispetto e la solidarietà prevalgono solo all’in-
terno di comunità unite e coese, con squilibri
contenuti e dove il livello di benessere è distri-
buito equamente, in modo che ognuno possa
avere la sua opportunità.
Condannare ed etichettare questa gente come
razzista, insensibile o peggio ancora come fa-
scista non farà altro che aumentare la doman-
da di sicurezza, l’astio verso chi sta peggio e,
soprattutto, verso chi non ascolta e non capisce.
Esemplare la vicenda del circolo Arci Benassi
di Bologna, dove alcuni soci hanno espresso su
La7 apprezzamenti per le posizioni di Salvini.
Reazioni della presidente Arci: “Fuori i razzi-
sti dai nostri circoli” e il circolo chiude le porte
ai giornalisti. Tutto sommato è andata bene:
nessuno è finito in Siberia.
Segnalidi fumo
Proviamo a capire. Partiamo dal bisogno di
sicurezza. È del tutto normale che coloro che si
sentono poco protetti, minacciati, abbandonati,
incerti sul proprio futuro o su quello dei propri
figli, siano poco sensibili e poco disponibili
verso istanze altruistiche, ostili e diffidenti
verso l’accoglienza di immigrati. Tanto più
a fronte di un’attenzione insufficiente verso i
loro disagi.
Chi ha approfondito la materia - vedi Anna
Maria Testa su https://nuovoeutile.it/pirami-
de-dei-bisogni-maslow-politica/ - ci dice che i
bisogni non sono tutti uguali. Ci sono i bisogni
di Remo Fattorini
730 GIUGNO 2018
Riassunto delle precedenti puntate: per il
posto di Presidente del Consiglio Comunale
di Firenze, lasciata libera da Caterina Biti
approdata a ben più alti scranni (quello
senatoriale che, data la performance del Pd,
è stato dedicato a Santa Caterina) concor-
rono due giganti della politica fiorentina,
Andrea Ceccarelli e Massimo Fratini. La
spunta Ceccarelli, ma con la promessa
solenne di Nardella di far entrare Fratini
in Giunta. L’astuto sindaco si rende conto
però solo dopo che ha già raggiunto il nu-
mero massimo di assessori consentito dalla
legge. Ma lui, imperterrito, proclama ad
alta voce: “Qualunque aspetto che riguardi
i tempi e le modalità sarò io a deciderli e
ve le comunicherò appena sarà presa la
decisione. E non ci sarà un rimpasto ma un
avvicendamento”.
Così, il buon Fratini, dopo quasi due mesi
di silenzio del sindaco, torna alla carica. O
almeno ci prova; ma accade questo.
“Pronto, Braghero? Senti Manuele, io ho
provato mille volte a telefonare a Dario, ma
lui non mi risponde. Come si fa? Me lo puoi
passare?”
“Aspetta, Massimo, provo a sentire”. Ma,
Nardella, casualmente presente: “No, Ma-
nuele, digli che sono molto occupato: mi sta
stressando l’anima!”
“Pronto, Massimo? No, senti, Dario non
può in questo momento è molto occupato”
“Siiii, occupato a strimpellare il suo male-
detto violino! Io voglio parlarci perché mi
ha promesso di farmi assessore e cacciare
uno qualsiasi di quegli omuncoli che si è
messo in Giunta, ma per ora non ho visto
nulla! Senti, sono qui a Palazzo Vecchio:
salgo lì da voi!”
“Dario, questo viene a Buté ël cul ant la
farina. [trad. dal piemontese: Mettere il
deretano nella farina]”
“Cheeee? Non capisco”
“Voglio dire che sta venendo qua”
“Oddio, noooo. Senti io mi nascondo su nei
Quartieri monumentali dietro la maschera
di Dante. Tu tienilo occupato.”
Ma appena voltato l’angolo della scala che
porta ai Quartieri monumentali di Palazzo
Vecchio, Fratini irrompe e lo nota con la
coda dell’occhio. Inizia un inseguimento fra
turisti, custodi, anfratti, opere d’arte, fino
a quando Nardella riesce a trovare riparo
nelle stanze della collezione Loeser, di cui
Fratini ignorava l’esistenza, pensando che
si trattasse di una sponsorizzazione di una
famosa marca di biscotti. Così Nardella
Cuor di Leone riesce a guadagnare l’uscita
e a tornare nei suoi appartamenti. Ma il
Fratini, più gorpe che lione, lo attende al
varco fuori dalla porta della Sala di Cle-
mente VII così che Nardella si trova asse-
diato in ufficio. Invia il capo di gabinetto a
trattare con l’assediante. “Senti, Massimo, il
sindaco è un uomo impegnato, ma di parola
e se ha detto una cosa, la mantiene”
“Siiii, e quando? Fra poco finisce la legisla-
tura! Quello mi piglia per il sedere, ma io
non mi faccio fregare. Chiamo il Cardinale
e vediamo chi la vince!”
“Senti, ma ti se’ proprio un piciu! [trad.
pirla] Se ti ha detto che te lo fa fare, puoi
stare sicuro. E’ uomo di parola. Guarda
come è stato bravo sulla moschea: ha detto
ai musulmani che la faceva, ma a Betori gli
ha detto che potevano schiantare prima di
fargliela, e infatti... Perché, caro Massimo,
come si dice dalle mie parti Val püsè na
bóna làpa, che na bóna sàpa [trad. Vale più
avere una buona lingua, che una buona
zappa] e a chiacchiere Dario non lo batte
nessuno”.
“Appunto, lo vedi che mi piglia per il culo?
Ma andate a quel paese”
Si affaccia il sindaco: “Oh, Manuele, è
andato via? Uff, anche questa volta l’abbia-
mo sfangata. Però son furbo, eh: se va avanti
così riesco a scavallare l’estate e poi arrivare
alle elezioni è un fiat e il buon Fratini se lo
scorda il posto”
I CuginiEngels La Saga del Promesso Assessore
(continua
di Massimo Cavezzali
Il sensodella vita
830 GIUGNO 2018
Non c’è dubbio che Carlo Calenda sia stato
capace di costruirsi un ruolo e una visibilità
da personaggio politico nazionale in un tem-
po relativamente breve, così come indubbie
sono le capacità di comunicazione e dialet-
tiche dell’ex ministro. In pochissimo tempo
Calenda è diventato, forse insieme al solo
Minniti, il volto pubblico del governo Genti-
loni: infaticabile sui social non si è risparmia-
to nel dialogo coi cittadini e nelle polemiche
molto spesso con esponenti del PD, Michele
Emiliano su tutti. Iscrittosi, direttamente alla
Direzione del Partito, al PD dopo la batosta
elettorale ne è in breve diventato uno degli
esponenti più in vista del partito in disfaci-
mento ponendosi come alternativa renziente
al renzismo diroccato (e per ciò inviso a Ren-
zi e ai suoi accoliti). Da questa posizione ha
iniziato a maturare pose da padre fondatore
e, con indubbio merito e capacità, iniziato a
proporre ricette che mercoledì scorso hanno
dato vita a una specie di manifesto program-
matico pubblicato su il Foglio.
Torneremo poi sulla scelta della testata,
partiamo invece dai contenuti. Il manifesto
dopo una non breve analisi delle colpe dei
progressisti nel tentare di governare la prima
globalizzazione e nel configurare un plausi-
bile scenario, lacrime e sangue, di fine del la-
voro tradizionale (scenario che ça va sans dire
vedrebbe l’Italia messa peggio di quasi tutti i
Paesi occidentali) ne evidenzia il rischio, da
noi passato ormai dalla potenza all’essere, di
una crisi profonda, forse irreversibile, della
democrazia liberale. Per impedire del tutto
questo scenario, ci dice Calenda, occorre an-
dare oltre la rappresentanza di classe e dun-
que al “semplice” campo progressista dando
vita ad una Alleanza repubblicana.
Tuttavia quello di Calenda non è un cartello
elettorale o un fronte di resistenza tempora-
neo ma un vero e proprio patto politico che
si fonda su una comunanza di alcuni temi,
a sua scelta verrebbe da dire. Vediamo qua-
li: in primis la sicurezza economica, intesa
come adesione all’Euro e al sistema europeo,
proseguendo con il “piano Minniti” per fer-
mare gli sbarchi e proteggendo gli sconfitti
rafforzando strumenti come il reddito di in-
clusione.
Naturalmente senza dimenticare i “vincen-
ti”, garantendo loro infrastrutture materiali
e immateriali, formazione e competitività,
passando poi dal ribadire l’Europa come
idea guida e dal combattere l’analfabetismo
funzionale.
Tutte cose buone e giuste sia chiaro, difficile
di Michele Morrocchiper chi non si dichiari oggi sovranista e popu-
lista non dirsi d’accordo; tuttavia col limite di
presentare un minimo comun denominatore
per un cartello elettorale e non certo un pro-
gramma di governo per una alleanza all’altez-
za delle premesse di difendere la democrazia
come l’abbiamo conosciuta nell’occidente da
settant’anni a questa parte.
Se la socialdemocrazia ha fallito nella sua
elaborazione degli anni ’90 del XX secolo nel
pensare di poter governare la globalizzazione
come tutti ormai tendono a dire (anche se il
dibattito forse avrebbe bisogno di altro respi-
ro, o almeno di un setaccio che non gettasse
Amartya Sen insieme a Tony Blair), pensare
di rifondare un pensiero progressista su que-
sti punti ha il fiato corto prima ancora di met-
tersi in marcia.
Certo nemmeno Marx è partito da il Capita-
le ma qui manca l’accuratezza e la pesantez-
za almeno dei grundgrisse, il terreno utopico
che è in grado di dare la dimensione del so-
gno, del riscatto se non per sé almeno per la
nostra prole. E se non ripartiamo dal riscatto
a partire dagli ultimi (ché chiamarli sconfit-
ti come li chiama Calenda non da’ proprio
un’idea di ottimismo), da una idea di speran-
za, come si può pensare di sconfiggere l’ege-
monia culturale della paura che oggi ha fatto
trovare casa agli ultimi, insegnando a questi a
odiare quelli ancora più ultimi?
Questo sui contenuti, ma che dire sulla pro-
posta politica che traspare dal manifesto di
Calenda? Che cultura politica rappresenta
l’ex ministro? Ecco a mio avviso siamo di
fronte a un riformismo elitario, espressione
ennesima della borghesia illuminata, intel-
lettuale e colta. Quella classe che di volta in
volta ha dato vita a felici famiglie politiche e
negli ultimi anni si è presentata come il volto
tecnico della politica.
Ecco su questo occorrerà forse aprire una
parentesi. E’ talmente introiettata in noi la
cultura della politica come degenerazione,
almeno dalla nefasta stagione apertasi nel
1992, che larga parte dei gruppi dirigenti del
Paese ha visto con piacere e rassicurazione
l’idea che siano dei tecnici a guidarci, senza
comprendere che la tecnica andava sì invoca-
ta e ricercata ma non nella capacità di essere
bravi direttori generali, ma nel formare tecni-
calità della politica, che non sarà un’arte for-
se ma è di certo mestiere, inteso qui nel senso
arcaico e artigiano del termine.
Siamo dunque arrivati al punto che non ci
sogneremo mai di far riparare il nostro im-
pianto elettrico di casa da un pescivendolo
ma non ci poniamo il problema che chi ci go-
verna abbia o meno il mestiere di governare
tra le sue capacità; stupendoci poi se questa
sfiducia nelle elites si trasla poi nei confronti
degli scienziati e dei medici.
Insomma il tecnico di per sé non è salvifico e
pure Calenda rischia la fine di Monti e Dini,
pur non augurandogliela. Sì perché il suo è
un liberalismo temperato da un po’ (invero
poca) di socialdemocrazia e molto paterna-
lismo: un partito d’azione senza il dirigismo,
con meno dottrina sociale e qualche riflessio-
ne utopistica in meno.
Culture politiche che in questo paese mai
hanno saputo raggiungere un popolo come
invece avrebbe bisogno la sinistra oggi dove
la sua estinzione non è tema da escludere a
priori. Invece vedo in Calenda il ripetersi di
vecchi errori, di quello che un tempo avrem-
mo chiamato il problema del rapporto con le
masse, escluso quasi a priori da queste cultu-
re politiche in virtù di una fede deterministi-
ca nella capacità del popolo di comprendere
che chi sa lo guiderà al meglio. Paternalismo
per l’appunto.
Infine, in questo solco, un’ultima riflessione
sul mezzo scelto. Come è noto il mezzo non
è mai neutro ma quasi sempre predefinisce
e determina il fine. Se il tema è ridare spe-
ranza, agibilità e voti al popolo di sinistra, far
pubblicare il proprio manifesto su il Foglio
(sia detto da affezionato lettore seppur orfa-
no della direzione di Giuliano Ferrara) quan-
to meno non rappresenta un inizio brillante.
Il rischio, riassumendo, è che si avesse l’am-
bizione di cambiare il mondo e ci si accorga
che al massimo si potrà ambire ad un patto
elettorale con Forza Italia. Il patto degli scon-
fitti peraltro; non proprio un augurio di buon
lavoro.
Il manifesto Calenda: troppo poco e troppo tardi
930 GIUGNO 2018
ci preme comunque segnalare il libro La mu-
sica salva la vita. Il “sistema” delle orchestre
giovanili dal Venezuela all’Italia (Feltrinelli,
2012), dove Ambra Radaelli racconta l’impe-
gno di Abbado nella diffusione del progetto
e nel suo adattamento alla realtà italiana.
Anche la settima arte rimane affascinata
dal progetto del musicista venezuelano. L’o-
maggio più esplicito è il documentario El
Sistema (2008), dove Paul Smaczny e Maria
Stodtmeier ne ricostruiscono la storia. Li-
beramente ispirato alla stessa esperienza è
il film La mélodie (2017) diretto da Rachid
Hami e ambientato a Parigi. Proprio per sot-
tolineare che el sistema può essere applicato
ovunque, soprattutto dove la gioventù cerca
nella musica un’alternativa al degrado e alla
delinquenza.
L’educazione musicale ha un valore cultura-
le e umano altissimo, ma nei paesi più svan-
taggiati può averne anche uno sociale, perché
può essere utilizzata per strappare i giovani
al degrado e alla delinquenza. Questa intu-
izione è merito di José Antonio Abreu, che
nel 1975 fonda il modello didattico chiamato
El Sistema. L’idea del musicista venezuelano
è semplice ma geniale: realizzare un sistema
di educazione musicale aperto ai bambini
di tutti i ceti sociali. Una struttura pubblica
diffusa capillarmente in tutto il Venezuela,
grande tre volte l’Italia e ricco di strade im-
pervie.
All’inizio sembra il classico sogno bello ma
irrealizzabile. Quando Abreu organizza il
primo giorno di prove, che si svolge in uno
scantinato di Caracas, si presentano soltanto
undici bambini.
Ma contrariamente a tanti innovatori, che
devono lottare per concretizzare le proprie
idee, Abreu trova quasi subito
il sostegno istituzionale senza il quale il suo
progetto resterebbe una bella utopia. Dopo
l’elezione di Hugo Chavez (1999) il suo siste-
ma didattico viene sostenuto in modo ancora
più deciso. I frutti non tardano ad arrivare.
Come piante che crescono, molti ragazzi dei
barrios si trasformano in prestigiosi diretto-
ri d’orchestra: da Diego Matheuz a Rafael
Payare, da Luis Alberto Castro a Gustavo
Dudamel. Quest’ultimo, oggi direttore del-
la Los Angeles Philharmonic, rimane molto
legato al maestro Abreu e si adopera per
promuovere ulteriormente il suo progetto
didattico.
All’estero Abreu può contare sul sostegno di
musicisti prestigiosi, fra i quali Claudio Ab-
bado, Daniel Barenboim e Placido Domingo.
Il primo, in particolare, fa proprio il progetto
e lo introduce in Italia con successo.
Ma Abbado non è il solo ad accogliere il si-
stema concepito dal musicista venezuelano,
che viene adottato in molte parti del mondo.
Questa meravigliosa utopia realizzata ottie-
ne vasta eco anche al di fuori dell’ambiente
strettamente musicale. Se fare un elenco
esaustivo di queste iniziative è impossibile,
di Alessandro Michelucci
MusicaMaestro Un’utopia realizzata
1030 GIUGNO 2018
che ha inserito tra le sue linee guida alcuni
aspetti fortemente innovativi: la crescita e il
consolidamento dell’impresa culturale, l’ac-
cento sulla domanda di cultura, con il lavoro
sull’audience, la sperimentazione di nuovi
processi e la creazione di reti, nazionali ed
internazionali. Questo cambio di paradigma
ha ragioni profonde che derivano da due ele-
menti storici: la progressiva e inesorabile con-
trazione dei contributi pubblici e la crescita
della domanda di partecipazione attiva alla
cultura.
Il primo elemento ha portato all’ingresso sulla
scena culturale di nuovi soggetti, provenienti
da mondi diversi (aziende private, fondazioni
di origine bancaria), spingendo gli operatori
a doversi attrezzare di strumenti nuovi. Ter-
mini prima sconosciuti sono così entrati nel
nostro lessico: sostenibilità, capacità di stare
sul mercato, pianificazione economica, pro-
grammazione a lungo termine, valutazione
del proprio lavoro, analisi della domanda, mi-
surabilità delle proprie iniziative. Sono nati
numerosissimi programmi di formazione, ac-
celerazione, incubazione e perfezionamento,
per aiutare gli operatori culturali a dotarsi del-
le skills necessarie ad affrontare le difficoltà
del mercato culturale.
Il secondo elemento ha invece portato gli
operatori a lavorare con più apertura e più at-
tenzione ai propri pubblici, ai territori e alle
comunità di riferimento, sperimentando nuo-
vi processi di coinvolgimento e partecipazio-
ne, fino a poco tempo fa sconosciuti. Anche
qui, concetti nuovi e lessici nuovi: audience
development, audience engagement, co-cre-
azione, coinvolgimento attivo del pubblico,
misurazione dell’impatto sociale delle proprie
iniziative.
La combinazione di questi due elementi ed il
modo in cui si sono reciprocamente influenza-
ti, hanno visto l’operatore culturale diventare
soggetto centrale e ibrido nel rapporto tra ca-
pitali privati e ricaduta territoriale, tra capaci-
tà aziendale e dinamiche del terzo settore, tra
valorizzazione e tutela, tra investimenti e rige-
nerazione degli spazi, tra misurazione quanti-
tativa e misurazione dell’impatto sociale.
Il mondo dell’innovazione culturale ha impa-
rato a essere sostenibile, a trovare modalità di
coinvolgimento dei privati, a diversificare le
proprie fonti di finanziamento, a professiona-
lizzarsi, ad attrarre pubblici nuovi, a trovare
l’equilibrio tra valore intrinseco e strumentale
della propria azione.
Questo valore strumentale tuttavia, non può
e non deve limitarsi al conto delle presenze,
all’aumento dei turisti o dell’indotto. Sono
questi elementi importanti, naturalmente (e
chi fa impresa culturale lo sa bene), ma non
si possono dimenticare altri dati da tenere in
considerazione e imparare a misurare: l’im-
patto sociale che le iniziative culturali gene-
rano sui territori e sulle comunità, il coinvolgi-
mento di persone fino a poco tempo fa escluse
dalla fruizione, il senso di identità e di comu-
nità, il valore civico, la restituzione di territori
depressi ai cittadini e molti altri ancora.
Esistono diverse strade, e molte ancora si stan-
no sperimentando, per misurare l’impatto
sociale delle iniziative culturali. Lo chiedono
molti investitori, lo esigono le fondazioni ban-
carie nei loro bandi, lo delinea la riforma del
terzo settore col bilancio sociale, lo certifica il
sempre più diffuso uso, in Europa e in Italia,
del termine welfare culturale.
Ognuno dei soggetti della filiera dell’industria
culturale farà la propria parte, ma è necessa-
rio che le amministrazioni, nelle loro azioni di
politiche pubbliche, conoscano, riconoscano e
sostengano il valore di questo lavoro. È essen-
ziale che partecipino a questo dibattito, per
costruire nuovi modelli e definire politiche,
che riescano sempre più a unire produzione
culturale, protezione sociale e sostenibilità
economica.
di Tomaso Boyer
Il 12 giugno Luisa Serafini, assessore al Mar-
keting territoriale e Cultura del Comune di
Genova, ha pubblicato un post con una sorta
di bilancio delle presenze primaverili a Geno-
va. Questo il testo integrale del post: “340.000
visitatori in tre mesi nei musei di Genova.
+30% rispetto allo stesso periodo dello scorso
anno, tante iniziative legate alla tecnologia e
alla promozione della città, a costo 0, che ci
hanno permesso di moltiplicare la visibilità
dei nostri tesori. Questa l’azione portata avan-
ti dal Comune a cui si aggiungeranno molti
nuovi progetti (tra questi, sistemi di pagamen-
to digitale e contenuti multimediali sostenuti
da sponsor). Il nostro Sindaco ripete spesso:
“Tutto ciò che non è misurabile è inutile”. Il
nostro approccio è esattamente questo: speri-
mentare, rinnovare, e misurare i risultati con
approccio qualitativo e quantitativo, per poter
correggere o proseguire con le nostre azioni di
politiche pubbliche. È questa la nostra #Nuo-
vaCultura”.
Pensiamo che gli argomenti presentati nel
post: cultura a costo zero, misurazione della
cultura, visibilità e incremento del pubblico,
siano temi generali delle politiche culturali
nazionali. Per questo motivo ospitiamo con
piacere un articolo di Tomaso Boyer, opera-
tore culturale che lavora tra Genova e Torino,
pubblicato su Genova.24 (che ringraziamo),
che analizza i temi dal punto di vista degli
operatori culturali e lo inserisce nel quadro
del grande cambiamento di prospettiva che i
soggetti che operano nel settore stanno affron-
tando negli ultimi anni.
Gentile assessore Serafini,
Ho letto il suo post con i dati, molto con-
fortanti, sulle presenze nei musei genovesi
nell’ultimo trimestre, con il forte accento sulla
misurabilità delle iniziative (tutto ciò che non
è misurabile è inutile). Nel mondo dell’inno-
vazione culturale si dibatte da diversi anni
intorno al grande tema della misurabilità,
cercando di definire e individuare parametri
di valutazione, non solo quantitativi, che pos-
sano essere utilizzati per valutare l’impatto di
una determinata azione.
Questo dibattito si inserisce nel contesto di
una riflessione più generale, resa necessaria
dal cambiamento epocale di prospettiva, che
sta coinvolgendo i soggetti e i processi dell’a-
zione culturale negli ultimi anni, i cui termini
mi sembra utile rapidamente delineare. Tale
mutamento ha visto la propria certificazione
nel programma Europa creativa 2014-2020,
I datidellacultura
1130 GIUGNO 2018
sua sincerità nel dolore. Spesso era solito
leggere i suoi versi “in seno all’intimità” di
pochi amici (Sainte-Beuve).
Era destinato a sconvolgere, fin dai 25
anni, quando con la Prefazione al suo
dramma Cromwell distrugge la teoria del-
le tre unità aristoteliche per serbare solo
l’unità d’azione, in un luogo e in un tempo
determinati che deve avvincere il lettore
e spiegargli il dramma dei personaggi. Il
dramma è il reale che implica sempre una
lotta per l’uomo, il cui corpo appartiene al
secolo, al mondo e l’anima al cielo, la vera
patria. Il sublime e il grottesco convivono
in contrasto nel reale: trovare la loro “ar-
monia” è compito del poeta.
Posso distinguere due aspetti principali
della sua arte che danno luogo ai due fi-
loni fondamentali: storico-drammatico-vi-
sionario; familiare, dialogico con sé stesso
e con la natura. I due si possono mischia-
re nel profondo dell’essere perché “nulla
è più intimo della poesia”. Essa parla il
linguaggio dell’anima che è espressione
dell’entusiasmo e della rêverie . Così che
il filo interiore sempre esistente passa per
L’Anima. (da Odi e Ballate, 1822-28).
“Tu, che ai dolori dell’uomo un Dio nasco-
sto invita,/Compagna sotto i cieli dell’umi-
le umanità,/Passeggera immortale, schiava
della vita/E regina dell’eternità,/Anima!-
Negli istanti felici come nelle ore luttuo-
se, /In fondo alle mie tenebre risplendi...”
(trad. di Leonello Sozzi, 2002).
Risuona questa supplica nel commento del
suo diario “Cose viste” per la morte del fi-
glio Charles, 13 marzo 1871. Alla chiusu-
ra della bara per cui il corpo sparisce “per
l’eternità” Hugo esclama : “Se non credessi
all’anima, non vivrei un’ora di più”.
Noto in tutto il mondo di allora (anche
in Italia, quanti bambini nella campagna
toscana intorno a Pescia furono chiamati
Vittorugo!) ebbe funerali di Stato, seguiti
da un milione di persone e fu sepolto al
Pantheon di Parigi.
Per noi oggi è bello ricordate che, nel
1852-1854, Hugo parlò insistentemente
della necessità di una unione europea con
una moneta unica.
Per una prima lettura di Hugo poeta, con-
siglio Victor Hugo, Poesie, Oscar classici
Mondadori, 2002; curatore il francesista
Lionello Sozzi, oggi scomparso.
Incoraggiata dalla domanda di una rivista
che amo su cosa è per me la poesia, mi sono
messa alla ricerca dei poeti che hanno con-
tato in età della mia vita.
Per primo trovo Victor Hugo (Besançon,
1802- Paris, 1885). Avevo sei anni, mia
madre per insegnarmi il francese mi face-
va imparare a memoria le poesie più facili
e più interessanti per una bambina della
sua raccolta dedicata ai nipotini Georges e
Jeanne (1868-1869), figli del figlio Char-
les (1826-1871), morto prematuramente.
Ricordo Jeanne songeait sur l’herbe assi-
se, grave et rose (Jeanne sognava-pensava
seduta sull’erba, grave e rosea). Al tenero
avo che le chiede cosa desideri, finisce per
rispondere levando il mignolo a indicare
la lune immense (la luna immensa). L’Art
d’etre grand père (L’arte di essere nonno) è
un tenero libro che Hugo scrisse a 75 anni;
egli ha una vera adorazione per l’infanzia,
dice : L’uomo è rame e piombo; il bambi-
no è oro. A Hauteville House Guernaisey
– 1856, seconda fase dell’esilio, un terzo
delle spese andava in doni, fra questi un
pranzo per 40 bambini poveri del luogo.
Evoca la propria infanzia fin dalla nasci-
ta cui, troppo delicato, “una chimera”, te-
mevano non sopravvivesse. Fu la madre
“ostinata” a salvarlo, la madre il cui amore
è “Pane meraviglioso che un dio spartisce
e moltiplica!”perché tutti e ciascuno ne
abbiano in parti uguali. Questo esclama
nel 1831 per la sua prima raccolta poetica
volutamente intima, Feuilles d’automne
(Foglie d’autunno) che vuole rivolgersi all’
“uomo tutto intero” perché “le rivoluzioni
trasformano tutto salvo l’uomo”; e c’era
stata quella del 1830.
Data la ricchezza multiforme della sua
opera di drammaturgo, romanziere, poe-
ta, saggista, libellista, oratore politico, di-
segnatore suggestivo e fotografo, non mi
resta che sfiorarlo. Per la sua capacità di
esaltare e di intenerire, per la sua vitalità
nei sentimenti (la moglie Adèle Foucher,
sposata in segreto nel 1822, dopo la mor-
te della madre, ebbero 4 figli e rimasero
amici tutta la vita; l’amante della vita dal
1833, la bellissima attrice Juliette Drouet,
più impaziente di Adèle riguardo alle altre
relazioni di Hugo), nella ricerca, nell’os-
servazione e nella lealtà politica verso la
propria evoluzione da legittimista, a bo-
napartista a liberale, egli, sempre medita-
tivo sulla morte, ma attento alla sua “vita
prossima”, non deprime mai, anche per la
di Gabriella Fiori
Victor Hugo, poeta
1230 GIUGNO 2018
Si è spento alla venerabile età di 102 anni il
fotografo americano David Douglas Duncan
(DDD) (1916-2018), noto per le immagini di
guerra scattate al seguito dell’esercito ameri-
cano durante la seconda guerra mondiale, la
guerra di Corea e la guerra del Vietnam, ma
anche per i numerosi ritratti di Picasso, scattati
nell’intimità delle sue abitazioni e dei suoi labo-
ratori. Nato a Kansas City nel Missouri, DDD
studia archeologia, zoologia e spagnolo, laure-
andosi nel 1938. Appassionato di fotografia, si
arruola dopo Pearl Harbour nel corpo dei Ma-
rines e viene inviato, con il grado di tenente e
con mansioni di fotografo, nel sud del Pacifico,
dove partecipa in prima linea a numerosi com-
battimenti, compresa la battaglia di Okinawa.
Le sue immagini di guerra vengono diffuse
dalla stampa americana, e sono talmente effica-
ci che al termine del conflitto viene contattato
e poi assunto dalla prestigiosa rivista Life, per
conto della quale fotografa all’inizio degli anni
Cinquanta la guerra di Corea, firmando molte
copertine. In seguito viene inviato in Turchia,
Europa Orientale, Africa e Medio Oriente, e
nel 1967 va a fotografare la guerra del Vietnam.
Diversamente dalle immagini della propaganda
militare, generalmente piene di retorica, truppe
e mezzi schierati ordinatamente, bandiere che
garriscono al vento, possenti navi che solcano
i mari ed aerei che solcano i cieli, le immagini
di DDD vengono scattate dal punto di vista dei
soldati in prima linea, mostrano il volto degli uo-
mini e dei commilitoni, il coraggio e la paura, la
determinazione e le esitazioni, le lunghe attese
e le azioni rapide, le avanzate e gli arretramenti.
Condividendo gomito a gomito le giornate, le
esperienze, i timori ed i disagi dei soldati ameri-
cani, DDD mostra la guerra da un punto di vi-
sta non convenzionale, non parla di eroismo e di
patriottismo, non parla di orgoglio e di vittoria,
parla di sopravvivenza e di solidarietà, di ostina-
zione e di fragilità, di forza e di umanità. Quelli
che compaiono sulle copertine e sulle pagine di
Life sono i volti e gli sguardi dei soldati, le loro
espressioni, i loro gesti, il loro essere degli uomi-
ni proiettati in una situazione paradossale, dove
si gioca in ogni istante con la vita e con la morte,
dove ogni certezza viene cancellata, dove ogni
momento può rivelarsi decisivo, ogni esitazione
può diventare fatale. Ad un anno esatto dall’i-
nizio della guerra di Corea, DDD pubblica nel
giugno del 1951 il libro “This is war!” organiz-
zato in tre parti, “Collina - Città - Ritirata/in-
ferno”, ciascuna delle quali è introdotta da un
testo scritto dallo stesso DDD ed è illustrata da
fotografie prive di didascalie. Il libro, ripubbli-
cato più volte, non vuole mostrare la guerra in
di Danilo Cecchi
David Douglas Duncan This is war!
sé, ma come la guerra cambia le persone, quello
che la guerra può fare agli uomini che ne vengo-
no coinvolti. Il suo punto di vista sulla guerra si
precisa ancora meglio quando decide di tornare
in prima linea per documentare la guerra del
Vietnam, la più lunga delle guerre che hanno
impegnato gli Stati Uniti nel Novecento, an-
cora più disastrosa della guerra di secessione di
un secolo prima. Nel 1968 pubblica il libro “I
Protest!” sui giorni dell’assedio di Khe Sanh, e
nel 1970 pubblica il libro “War without hero-
es”. “Ho voluto mostrare quello che un uomo
sopporta quando il suo paese decide di andare
in guerra, con o senza il suo accordo personale
sulla giustizia della causa. Ho voluto mostra-
re il cameratismo che lega gli uomini quando
combattono un pericolo comune, il modo in cui
vivono e muoiono, l’agonia, la sofferenza, la ter-
ribile confusione, l’eroismo che è moneta quo-
tidiana tra quegli uomini che in realtà sparano
con dei fucili puntati su altri uomini, conosciuti
solo come “il nemico”. Dopo avere documenta-
to una guerra vinta contro il Giappone ed una
guerra mai dichiarata e pareggiata contro la Co-
rea del Nord, nel documentare la guerra perdu-
ta contro il Vietnam del Nord, DDD abbando-
na la sua imparzialità e critica apertamente la
gestione della guerra da parte del governo degli
Stati Uniti. Con le sue vigorose immagini anco-
ra prima che con le sue parole.
1330 GIUGNO 2018
di Andrea Ponsi
Immagine del paesaggio nella sua massima astrazione, le Crete Senesi ci im-
mergono in un’ atmosfera surreale, metafisica. I campi coltivati a giropoggio e
a tagliapoggio in inverno diventano solchi d’aratro tracciati da un pettine gi-
gante, in primavera soffici tappeti verdi; d’estate, onde di grano.Le Crete sono
il centro simbolico della Toscana, il suo cuore, l’elemento primario, originale
e riconoscibile del suo territorio.
**************
I nastri colorati delle colture scivolano nella fluidità acquosa del declivio. I
cipressi ombreggiano la villa e fanno da palizzata ai venti. Più in là, adagiati
su cucuzzoli a controllare il territorio, altri casali, anch’essi riconoscibili dalla
presenza delle querce e dei cipressi.
Disegnare la Toscana Crete Senesi
1430 GIUGNO 2018
gerarchi dei regimi autoritari, ma anche l’on-
nipotenza concessa ai reggitori delle demo-
crazie moderne, che sono divenute subdoli,
inaspettati modelli di distruzione della mol-
teplicità e della ricchezza individuale, della
libertà e del diritto.
Filosofia è uno stile di vita, necessario a ri-
prendere/mantenere la consapevolezza e il
controllo della propria individualità, della
qualità del rapporto con gli altri.
Non ci sono autorità da compiacere o a cui
chinare la testa: non i filosofi del passato (per
quanto, evidentemente, giovi alquanto in-
dagarli, studiarli, soprattutto per l’apprezza-
mento compiuto del ‘metodo’ filosofico); né (a
maggior ragione) quelli contemporanei; non
gli intellettuali o i maître à penser, sovente
troppo paghi delle mance riscosse per non
disturbare i manovratori; tantomeno i mano-
vratori, che per diventare tali hanno abbrac-
ciato il culto del possesso, un’idea nichilista,
mortifera.
La conoscenza non è, del resto, un prodotto.
Ma un processo, una realtà in continuo dive-
nire.
C’è un punto fermo da non smarrire mai nel
cammino di buoni cercatori: la propria co-
scienza.
E, per coloro cui sta a cuore, c’è un Dio da
cercare, da scoprire, da gustare ogni giorno: il
Tesoro più importante della vita.
di Paolo Marini La filosofia è la madre di tutte le battaglie.
Governa ogni nostra scelta, anche senza che
ce ne accorgiamo.
E’ puerile affermarne l’astrattezza, la lonta-
nanza dalle questioni concrete dell’uomo:
vecchio pregiudizio, duro a morire, che non è
frutto di ignoranza ma forse di una cosa peg-
giore dell’ignoranza: la mancanza di un (qual-
sivoglia) desiderio di conoscenza.
Questa forma di indifferenza o di neghittosità
rischia di trasformare l’uomo in un vegetale.
Bisogna tuttavia sostenere, per un minimo di
coerenza, come anche tale inedia potrebbe
essere frutto di una decisione riconducibile
ad una filosofia: non certo quella del “so di
non sapere”, semmai quella del “non me ne
frega di sapere”. Più spesso, almeno in appa-
renza, è una scelta neppure riflessa. In ogni
può rivelarsi, nel breve termine, assai comoda
e/o conveniente.
Ma alla lunga non si può vivere addormentati
da forze compulsive - che spingono in recessi
oscuri, nel dominio della tecnologia, dell’ide-
ologia dell’habeo ergo sum, di un culto della
superficie che appiattisce e chiude ogni fe-
nomeno, ogni momento dell’esistenza, in un
cupo grigiore - senza finire impantanati in
uno pericoloso stagno esistenziale.
Una proattività intellettuale, il tentativo di
interpretare ciò che ci circonda, il porsi conti-
nuamente delle domande e l’elaborazione di
idee, sono il pane di un’esistenza.
La scelta del vegetale porta in un vicolo cieco.
E’ la fine della individualità, di ogni bellezza:
anche una grande disponibilità di mezzi può
risultare vana se il loro impiego avviene sen-
za la benché minima direzione, senza un pro-
getto. E non solo: con la scelta del vegetale si
finisce per accettare ciò che viene propinato
quale unica chance a disposizione. E’ il pre-
supposto della massificazione, la dismissione
sistematica di quella coscienza (critica) che
aiuta a individuare le trappole, le certezze fa-
sulle, a smascherare quei sistemi che schiac-
ciano la personalità, l’individualità. E’ quin-
di il viatico ad un potere illimitato di pochi,
che non è necessariamente o solo quello dei
La madre di tuttele battaglie
1530 GIUGNO 2018
a cura di Aldo Frangioni
Immagini di bellezza
Una sola volta abbiamo
ripetutamente riso di
fronte ad un riporto: lo
abbiamo fatto ogni vol-
ta che, in TV, appariva l’immagine seriosa
di Schifani “prima maniera”.
Ma se (come l’Italia ha fatto con colui che,
per anni, era – forse a sua stessa insaputa
- la seconda carica dello Stato), cancellia-
mo la prima sillaba della parola “riporto”,
pensiamo a tutte le immagini che ci vengo-
no alla mente ogni volta che pronunciamo
quelle due sillabe, sole o associate ad altre
espressioni.
Sono tutte immagini di sconfinata libertà,
di bontà e di bellezza:
- “porto di mare”, non si usa forse, per in-
dicare un luogo dove è bello arrivare as-
sieme a tanti altri, o veder arrivare perso-
ne diverse, lì confluite magari con le più
diverse caratterizzazioni, motivazioni e
attese?
- il Porto è un buonissimo vino liquoroso...
portoghese;
- quanta bellezza evoca il solo nome di
Portofino, uno dei più begli approdi del
Golfo del Tigullio;
- “Portobello”, non fa ricordare forse i sim-
patici sforzi prodotti da altri per farci per-
cepire gli incerti vocalizzi di un pappagal-
lo che sapevamo esser variopinto, anche se
dal monitor che osservavamo dal divano di
casa ci appariva in varie tonalità di grigio?
- e l’udire poche parole da chi hai invitato
a cena, precedute da “io porto...”, non ti dà
immediatamente la riprova che l’invito è
stato gradito e la certezza che la tavola sarà
ancora più ricca?
- “supporto” non è forse un sostegno, un
aiuto, che appare gradito, ed a volte, essen-
ziale?
Insomma, come si permette uno che ha
giurato sulla Costituzione non solo di ipo-
tizzare quel tragico ossimoro, mai udito
fino a qualche settimana fa, che risuona:
“la chiusura dei porti”?
Per quanto tempo ancora, assisteremo
disorientati ed increduli ad una violenza
lessicale che sottende, e forse ne è premo-
nitrice, tentativi sempre più “arditi” di
perpetrare, ai nostri danni, furti ben più
corposi?
E quanto tempo ancora dovrà passare pri-
ma che si oda una autorevole voce di dis-
senso?
E speriamo proprio che non sia (magari da
sola) quella della Accademia della Crusca.
Sarebbe un segnale triste se dalla Villa
Medicea di Castello si potesse solo soffer-
marsi sul dito e non sulla Luna... vistosa-
mente calante, verso cui quel dito invita
ad indirizzare un preoccupato sguardo.
I pensieri di Capino
Mikael Ohanjanyan, armeno classe ‘76, ha
vinto il Premio Enrico Marinelli Contem-
porary Art Award con un’opera dal titolo
La Soglia è la Sorgente, che sarà presentata
al pubblico il prossimo ottobre, e sarà rea-
lizzata in Toscana avvalendosi di artigiani
locali; la scultura verrà poi esposta tempo-
raneamente nel Museo dell’Opera del Duo-
mo per un periodo di sei mesi.
Agli artisti in gara era stato chiesto di pre-
sentare un rendering in 3D della loro opera,
accompagnato da una descrizione dettaglia-
ta, ispirata al tema della ‘Speranza’ che è
descritta da Timothy Verdon, direttore del
Museo dell’Opera del Duomo e membro
del comitato tecnico del premio: “La Spe-
ranza è una virtù teologica, la speranza in
Dio e nella sua salvezza. Oggi, anche quan-
do essa ha ancora un contenuto religioso, la
speranza riguarda le persone e le situazioni
concrete, e soprattutto il loro potenziale di
cambiare. Gli artisti del concorso potevano
orientarsi su problematiche e aspirazioni
del nostro tempo: l’immigrazione, la pace,
la prosperità umana”.
Le motivazioni espresse dalla giuria - com-
posta da Micol Forti, direttrice della Col-
lezione di Arte Contemporanea dei Musei
Vaticani, David Stuart Elliott, vice diret-
tore e curatore senior presso il RMCA di
Guangzhou, Antonio Natali, consigliere
dell’Opera di S. Maria del Fiore, Christian
Oxenius, scrittore e curatore indipendente
della Kunsthalle di Osnabrück, Denys Za-
charopoulos, direttore artistico della Galle-
ria Municipale, Museo e Collezione della
Città di Atene, e presieduta dalla curatrice
di fama internazionale Adelina Von Fur-
stenberg - sono le seguenti:
“La comprensione teorica, sociale e umana
di Mikayel Ohanjanyan verso la nozione
contemporanea di Speranza, è molto con-
vincente e coraggiosa. Tuttavia Ohanjanyan
offre alla Speranza una consapevolezza che,
traversando la memoria e gli elementi del-
la realtà, ci porta alla materialità della sua
trasformazione nella fusione con la pietra
vulcanica. Quest’opera si riferisce a una
linea ben precisa delle arti contemporanee,
passando dalla Land Art e dall’Arte Povera
a Joseph Beuys, considerando la memoria e
la natura dei materiali come vettori di vita e
cambiamento”.
A Ohanjanyan il Premio Enrico Marinelli
1630 GIUGNO 2018
In previsione di un ordinamento dei dipinti
di S.Felicita (tele, tavole, affreschi staccati)
di norma non visibili e al fine di razionaliz-
zare lo stato presente di queste opere nate
dalla secolare devozione di committenti e
artisti, e che sono attualmente senza un luo-
go dove risultino stabilmente depositate,
propongo qui un loro Elenco. Al 6 maggio
2016 tali dipinti si trovavano sparsi in più
ambienti del complesso ecclesiale. In que-
sto Elenco sono comprese anche le opere in
appoggio pertinenti S.Jacopo sopr’Arno
[Cu.Co. n.258, pp.28-29]. In relazione a
ognuno di questi dipinti, segnalo, dove esso
esiste, il numero di Inventario della Sovrin-
tendenza, versione cartacea, redatto nel
1980 [Inv.S.] nonché il numero dell’ultimo
Inventario della Curia, versione digitale,
redatto nel 2013 [Inv.C.]. Le opere non
sono state tutte inventariate. Le loro misure
non sempre sono a corredo delle schede. In
mancanza di documentazione e/o di attri-
buzione l’autore è da considerarsi ignoto.
Non ho preso in considerazione le stampe
anche se storiche. Al di là di un loro effetti-
vo valore artistico, queste stampe sono utili
per lo studio della devozione, del culto e
delle liturgie. L’Elenco è il seguente: 1 -
“Vecchio Profeta”, affresco staccato e ri-
montato su tela, cm 55x48, 1388 ca., attri-
buito a Niccolò di Pietro Gerini [Inv.S.
n.160 - Inv.C. n.4541]; risulta mancante
dall’agosto/settembre 2012. 2 - “Giovane
Profeta”, affresco staccato e rimontato su
tela, cm55x48, 1388 ca., attribuito a Nic-
colò di Pietro Gerini [Inv.S. n.159 - Inv.C.
n.4751]. 3 - “Assunta”, tavola centinata al-
luvionata trasferita su tela, cm285x162,
XVI secolo; proviene da S.Jacopo. 4 - “Bat-
tesimo di Gesù”, olio su tela, cm150x110,
II metà XVI secolo, con cornice; proviene
dalla Compagnia del SS.mo Sacramento di
S.Felicita [Inv.S. n.198 - Inv.C. n.4940-
41]. 5 - “Incontro di Gesù con S.Giovanni-
no”, olio su tela, cm150x110, II metà XVI
secolo, con cornice; proviene dalla Compa-
gnia del SS.mo Sacramento di S.Felicita
[Inv.S. n.197 - Inv.C. n.4946-47]. 6 - “Sa-
cra Famiglia con S.Giovannino”, tempera
su tavola, cm78x63, XVI secolo; proviene
da S.Jacopo [Inv.S. n.152]. 7 - “Adorazione
dei Magi”, olio su tela, cm.172x230, post
1590, anno di immatricolazione all’Acca-
demia delle Arti del Disegno del pittore
Francesco Curradi; proviene da S.Jacopo. 8
- “Cena in Emmaus”, olio su tela,
cm102x128, XVII secolo; scomparso dopo
il 1980 data della sua inventariazione, pro-
veniva dalla Compagnia del SS.mo Sacra-
mento di S.Felicita, [Inv.S. n.151]. 9 - “Ad-
dolorata”, olio su tela, cm100x50, I metà
del XVII secolo, maniera di Francesco Cur-
di M.Cristina François
S.Felicita
1730 GIUGNO 2018
radi [Inv.S. n.161 - Inv.C. n.4942]; risulta
mancante dall’agosto-settembre 2012. 10 -
“S.Francesco adorante il Crocefisso”, olio
su tela, cm77x64, inizi XVII secolo, da Lu-
dovico Cigoli; proviene da S.Jacopo [Inv.C.
n.4654]. 11 - “Il miracolo dell’indemoniata
guarita da un Santo Vescovo” detta anche
“l’Ossessa”, olio su tela, cm263x189, XVII
secolo; proviene da S.Jacopo. 12 - “Nostra
Signora dell’Orto”, olio su tela, XVIIs., con
sua cornice. 13 - “S.Cecilia che suona con
gli Angeli”, sipario dell’organo di G.B. Con-
tini, tempera su tela, XVIII secolo, docu-
mentato da chi scrive come opera di Pier
Dandini. 14 - “Martirio di S.Bartolomeo”,
olio su tela, cm116x87, XVII secolo; pro-
viene da S.Jacopo [Inv.C. n.4655]. 15 -
“Cristo mostra la piaga del costato”, olio su
tela, XVII secolo, con cornice, dal Volterra-
no; potrebbe provenire da S.Jacopo. 16 -
“Compianto su Cristo morto”, olio su tela,
XVII secolo, con cornice e cartiglio recante
la scritta “Sic Deus dilexit nos”; potrebbe
provenire da S.Jacopo. 17 - “Compianto”,
tavola per paliotto della Settimana Santa,
XVII secolo, con sua cornice. 18 - “Cristo
morto”, olio su tela per paliotto della Setti-
mana Santa, XVIIs. [Inv.C. n.0970]. 19 -
“San Jacopo”, olio su tela di forma ovata,
XVII-XVIII secolo; potrebbe provenire da
S.Jacopo. 20 - “Arcangelo Raffaele e Tobio-
lo”, olio su tela, cm110x98, XVII-XVIII se-
colo, con cornice, da F.Morandini detto il
Poppi; proviene da S.Jacopo [Inv.S. n.146
- Inv.C. n.5004-05]. 21 - “Sacra Famiglia
con S.Giovannino”, olio su tavola?,
cm73x63?, XVI-XVII secolo, con sua cor-
nice a cassetta [Inv.C. n.4657-58]. 22 -
“S.Francesco da Paola”, olio su tela di forma
ovata, XVII-XVIII secolo, con sua cornice
alla salvadora; potrebbe identificarsi con
opera che apparteneva a S.Jacopo sia per il
soggetto che per il formato, ma le misure
non corrispondono [Inv.C. n.4924-25]. 23
- “Preghiera nell’Orto del Getsemani”, olio
su tela, cm144x94,5, datato al 1722 come
opera di Pietro Maria Paolini grazie a un
documento d’archivio rintracciato da chi
scrive. 24 - “Albero genealogico delle Mo-
nache di S.Felicita”, tela dipinta a grisaille,
non sono conosciute le misure esatte, ma
l’ingombro è notevole (lunga oltre m.7 e
alta circa m.4), 1738, di Giovan Battista
Dei. 25 - “Madonna del Buon Consiglio”,
olio su tavola, metà XVIII secolo, con sua
cornice, a partire da documenti coevi è rife-
ribile a Violante Beatrice Siries Cerruoti
[Inv.C. dal n.4637 al n.4647]. 26 - “Tra-
sporto al sepolcro” dalla Via Crucis Stazio-
ne XIV, olio su tela, documentato da chi
scrive al 1749, con sua cornice [Inv.C.
n.4520]. 27 - “La Visitazione”, olio su tela,
XVIII secolo, con sua cornice. 28 - “Lo Spi-
rito Santo”, tempera su tela; costituiva il
‘cielo’ del pulpito del Predicatore della
Compagnia del SS.mo Sacramento di S.Fe-
licita, XVIII secolo? 29 - “S.Maria Madda-
lena de’ Pazzi”, olio su tavola, XVIII-XIX
secolo, con sua cornice, alla maniera di F.
Curradi [Inv.C. n.4951-52]; proviene da
S.Jacopo. 30 - “S.Maria Maddalena de’
Pazzi”, olio su tela, XVIII secolo, da F.Cur-
radi [Inv.C. n.4769]. 31 - “Immacolata del-
la Schola de’ Cherici”, tempera su tela, rita-
gliata e riportata a découpage su altra tela
ottocentesca, XVIII secolo, con cornice [In-
v.C. n.5261-62]. 32 - “S.Domenico”, olio su
tela, XVIII-XIX secolo, da un prototipo nel-
la Sagrestia della Chiesa di S. Marco a Fi-
renze. 33 - “Immacolata”, tempera su rame,
XIX secolo, con sua cornice [Inv.C. n.4746-
47]. 34 - “San Stanislao Khosta”, olio su
tela, XIX secolo. 35 - “Sacra Famiglia con
S.Giovannino e S.Elisabetta”, olio su tavola,
XVIII-XIX secolo, dal dipinto di Raffaello
oggi al Louvre, con sua cornice [Inv.C.
n.5621-22]. 36 - “Il Redentore con Sacro
Cuore”, tempera su tavola alla maniera del
Beato Angelico (per uno sportello di taber-
nacolo); le ‘balaustrine’ lignee del manufat-
to sono mancanti dal 2011(?); grazie a un
documento reperito da chi scrive la tempe-
ra è di Gaetano Gaglier, 1841 [Inv.C.
n.5571]. 37 - “Volto Santo”, olio su tela,
cm63,2x49,1, II metà del XIX secolo, docu-
mentato dalla scrivente come opera di An-
tonio Ciseri, con sua cornice alla salvadora
[Inv.C. n.5007-08]. 38 - “Il Giudizio fina-
le”, tempera su tavola monocroma, XIX se-
colo, proviene da uno dei pannelli della
“macchina da morti” [Inv.C. n.0965]. 39 -
“Visione di Ezechiele: la valle delle ossa
inaridite”, tempera su tavola monocroma,
XIX secolo, proviene da uno dei pannelli
della “macchina da morti” [Inv.C. n.0971].
40 - “Mater Dei con Gesù Bambino e S.
Giovannino”, sipario/arazzo dipinto a tem-
pera, di grandi dimensioni, fine XIX secolo,
alla maniera di Bouguereau. 41 - “Madon-
na della medaglia”, stendardo dipinto a
tempera su tela, 1860 termine post quem:
questa iconografia nacque con le “Figlie di
Maria e di sant’Agnese” istituite la prima
volta in Italia in quell’anno nella chiesa ro-
mana di S.Giovanni dei Fiorentini [Inv.C.
n.4649]. La quantità delle opere qui elen-
cate e l’impossibilità di verificarne ad oggi
la consistenza materiale (tavola o tela? olio o
tempera? misure) rendono necessaria una
revisione puntuale in caso di riutilizzo, da
parte degli addetti ai lavori, delle informa-
zioni consegnate in questa lista. Nella spe-
ranza che i dipinti abbiano una loro conso-
na collocazione alla quale l’odierno storico
dell’arte, lo studioso di opere e manufatti
sacri, e il devoto possano riferirsi con cer-
tezza ho qui inserito [fig.1, contrassegnati
con asterisco i locali in questione] a titolo
d’esempio una pianta del 1820 dove si con-
sidera il primo piano della Canonica e que-
gli ambienti dove un tempo erano appunto
degnamente depositati gli arredi e le opere
prive di sede fissa. Anche adesso questi spa-
zi potrebbero essere adibiti alla collocazio-
ne ordinata dei dipinti elencati. Si tratta
della “Stanza della Guardaroba del Priore”,
della “Guardaroba degli Operai dell’Ope-
ra” (detta più recentemente “Stanza del Te-
soro”), della Biblioteca/Archivio (in via di
trasferimento per una sua visibilità e fruibi-
lità) e di altri ambienti attigui che non han-
no al presente funzione specifica. Per le at-
tribuzioni di questo articolo ringrazio A. N.
che considero mio Maestro.
Il patrimonio invisibile
1830 GIUGNO 2018
Ambarabà ciccì coccò, Notti InColore 2018,
ci vestiamo di bianco per entrare in questa
notte perché il colore di oggi è il bianco e i
negozi di Certaldo l’omaggiano con per-
formance artistiche a “cielo aperto” e nelle
vetrine. Il colore bianco lascia spazio agli
abbracci temporanei perché l’abbraccio in
questo momento storico ha un significato
particolare, di accoglienza, di sostegno e
contenimento, di affetto e tanto altro. So-
pra i nostri abiti bianchi vestiamo le maglie
relazionali dell’artista Manuela Mancioppi
“Temporary relation ships second skin” e an-
diamo per le strade di Certaldo a coinvolgere
e abbracciare le persone. Le loro difese cado-
no facilmente e spesso non scappano anzi ci
accolgono con sorrisi e ringraziamenti. Non
sempre è facile abbracciare e farsi abbraccia-
re, soprattutto da estranei. L’abbraccio porta
in sé significati profondi, fiducia nell’altro,
lasciarsi andare, far cadere le nostre barrie-
re e stasera sembra che i limiti siano elastici
come lo sono le maglie di Manuela. Il nego-
zio Guardaroba ospita Manuela e le sue ma-
glie sono in vetrina, alcune persone sono en-
trate per comprarle senza rendersi conto che
le maniche della maglieria sono unite le une
alle altre perché questi abiti hanno una par-
ticolarità, devono essere indossati minimo
da due persone. La second skin, dello stesso
di Angela Rosi
colore della pelle, ci unisce in relazioni tem-
poranee che esistono nel tempo della per-
formance. Indossiamo maglie da sei, poi da
tre e infine da due persone, gli abbracci alle
persone sono brevi, il nostro intervento è cir-
coscritto ma lascia spazio al coinvolgimento
emotivo e al sorriso, a far abbracciare coppie
anziane e coppie giovani con bimbi piccoli.
Tra la folla alle volte percepiamo il bisogno
di essere abbracciati e lo facciamo così, in-
sieme, senza dirsi niente. Chissà le maglie
di Manuela hanno il potere di farci sentire
un unico essere per un tempo limitato. Qui
ognuno di noi mette in condivisione la sua
personalità in una relazione che unisce e tra-
smette il senso di accoglienza e soprattutto la
possibilità di aprire i nostri confini agli altri
in un periodo dove, purtroppo, i confini de-
gli individui e dei paesi si stanno chiudendo
sempre più con la propaganda della paura e
dell’intolleranza.
Sono grata a “Temporary relation ships se-
cond skin” perché ci insegna ad incontrare il
mondo senza paura dell’altro disponibili ad
uno scambio creativo.
L’evento Ambarabà ciccì coccò, Notti InCo-
lore 2018, è curato dall’artista Gloria Cam-
priani, la performance è di Manuela Man-
cioppi con la collaborazione di Angela Rosi
e Elisa Prati, le foto sono di Pietro Schillaci.
Notti in bianco
1930 GIUGNO 2018
L’accademico Francoise Benhamou, spe-
cialista in economia della cultura, ne è
entusiasta “è riuscito in pochissimi giorni
a raggiungere un numero di persone infi-
nitamente superiore a quelle che visitano
il museo in un anno e, attraverso un cana-
le non convenzionale, arrivare a un nuovo
pubblico più giovane. Un incredibile colpo
pubblicitario”. Parla naturalmente della
clip di 6 minuti Apeshit, con 30 milioni
di visualizzazioni nei primi 5 giorni, che i
cantanti Beyoncé e Jay-Z hanno girato nel-
le sale più famose del Louvre per lanciare
sul mercato il nuovo album Every thing
is love. Alcuni sono rimasti entusiasti
dell’iniziativa della veneranda istituzione
parigina, residenza dei re di Francia dal
XIV secolo e simbolo del potere (sfruttato
in tal senso da Emmanuel Macron la sera
della vittoria alle elezioni presidenziali).
Il New York Time ha interpretato questa
clip come una rivendicazione razziale: non
a caso i primi piani isolano personaggi di
colore come ne Le nozze di Cana del Ve-
ronese o Il ritratto di una negra di Marie
Guellemine Benoist. La coppia nera di
cantanti vuole rappresentare, secondo il
giornale americano, in un luogo simbolo,
tutti quelli esclusi dalla storia che attraver-
so il loro talento ne diventano partecipi.
Altri hanno gridato alla profanazione e ne
hanno criticato la volgarità perchè, anche
se il museo non è nuovo a queste iniziati-
ve, forse questa volta la logica commerciale
è stata spinta all’estremo. Le riprese con
cantanti e ballerini si sono svolte in grande
segreto nelle notti del 31 maggio e il pri-
mo giugno. Il Louvre si rifiuta di rivelare
quanto ha incassato ma è facile dedurre,
secondo le tariffe in vigore, che dovrebbe
trattarsi di una cifra, anche modesta per il
contesto, attorno ai 40.000 euro. L’utilizzo
di musei come set di cinema, pubblicità o
eventi commerciali non è una novità dopo
i tagli delle sovvenzioni pubbliche, ma il
Louvre è stato un precursore già dagli anni
60 con la famosa serie Belphégor con Ju-
liette Greco. Un ufficio apposito fornisce
a produttori cinematografici, fotografi di
pubblicità, sfilate di moda, feste private...
il tariffario degli affitti degli spazi esterni
(più economici) del Jardin des Tuileriers
e Carrousel, e di quelli interni offerti di
martedì, giorno di chiusura al pubblico, o
di sera, e anche del parcheggio dei veicoli
che contengono le attrezzature necessarie.
di Simonetta Zanuccoli
La musica al LouvreC’è anche la possibilità di accordi diversi
come quello con la Citroen alla quale è sta-
to permesso di girare 3 spot pubblicitari in
cambio di un investimento nelle collezioni
del museo o con il cantante Will.i.am dei
Black Eyed Peas che per una clip nelle sale
del museo ha accettato di girare un breve
documentario per promuovere, insieme al
curatore, l’apertura di una nuova sezione.
Comunque dopo il fulminante successo di
Apeshit, Jean-Luc Martinez, direttore del
Louvre dal 2013 e appena riconfermato
fino al 2021, ha già pensato di creare in
tempi brevi un percorso di visita ispirato
al videoclip che si affianca a quello già esi-
stente e di grande successo che ripercorre
i luoghi del museo dove sono state girate
alcune scene del film Codice da Vinci.
Il fattore economico è entrato in maniera
preponderante nella gestione dei musei
francesi per sanare le perdite della cadu-
ta di frequentazioni di questi ultimi anni
macchiati da diversi attentati. Il Ministe-
ro della Cultura sta pensando di sfruttare
la fama mondiale di alcuni musei come
il D’Orsay, il Beauborg e lo stesso Lou-
vre offrendone ad altri paesi, partendo da
quelli emergenti come la Cina e l’India, il
marchio e il know-how. Un’agenzia appo-
sitamente creata sarà responsabile della ri-
cerca di progetti in tutto il mondo e fornirà
oltre al nome e il prestigio di un grande
museo anche la competenza di architetti,
curatori, restauratori, allestitori... Il denaro
delle licenze dovrebbe contribuire a pagare
alcuni dei costi di manutenzione, finanzia-
re acquisizioni e sviluppare nuovi progetti.
Qualcuno, malignamente, ha scritto pa-
rafrasando la pubblicità di Master card:
prendi possesso della storia, non ha prezzo.