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IL CANTO E LA MUSICA NEL CULTO CRISTIANO ELEMENTI DI MUSICOLOGIA LITURGICA
Salerno – 15 ottobre 2016 - Mons. Vincenzo De Gregorio
Gli articoli di Giacomo Baroffio e di Franco Cardini, che qui vengono riportati, aiutano a porre
l’argomento Musica Sacra nel suo alveo naturale: la vita della Chiesa: comunità che ascolta, che
prega, che canta per pregare.
MUSICA E PARTECIPAZIONE NELLA LITURGIA
di Giacomo Baroffio
1. La Parola di Dio e il canto
Il discorso sulla musica e la partecipazione nella liturgia hanno un fondamento storico nella centralità della
Parola di Dio e dell'azione con cui si accompagna questa Parola nella storia quotidiana. Momento critico in
questa situazione è l'accoglienza da parte dell'uomo della Parola che va recepita, compresa e vissuta quale
essa è: Parola di Dio.
Ogni momento dell'esistenza è segnato dalla presenza o dall'assenza della Parola in un alternarsi
continuo di luci e di ombre, di spazi vitali e di zone in cui la morte sembra regnare sovrana. Questa precarietà
che segna il cammino glorioso della Parola nella storia non è dovuta a limiti della Parola stessa, ma alla
povertà umana: povertà che è insieme mancanza di docilità allo Spirito, incapacità di aprire il cuore, paura di
ascoltare provocazioni che mettono in crisi e che comunque esigono un'accettazione incondizionata di Dio e
del suo messaggio.
La storia della musica nella liturgia cristiana segna una tappa di un lungo cammino iniziato
nell'esperienza orante di Israele, quando si è compreso che solo il linguaggio musicale era adeguato per
trasmettere la Parola di Dio nella celebrazione liturgica.
a) un fatto puramente fisico esigito dalla necessità di far pervenire il messaggio divino a una cerchia vasta di
uditori presenti in uno spazio ampio. La semplice pronuncia parlata in casi del genere non permette a un
discorso di raggiungere lunghe distanze. Il gridare ad alta voce distorce i suoni e rende incomprensibile il
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messaggio. Di qui la scoperta di un tono di voce che canta il parlato su una corda di recita ricca di
armonici che permettono alla voce stessa di correre e raggiungere un vasto uditorio
b) un fatto di rilevanza spirituale: ogni proclamazione nel canto è sempre anche un'interpretazione di
quanto viene annunciato. Il tono della voce, il mutare del timbro, la fluidità o gravità nella pronuncia, il
tono sommesso o forte sono tutte componenti che a livello istintivo, in modo intuitivo e quasi sempre al
di là di un processo razionale voluto coscientemente, rivelano ciò che è realmente percepito quale
nucleo centrale del discorso che si pronuncia o della parola che si legge.
2. La cantillazione
Quest'ultima è forse la ragione principale per cui i nostri padri nella vita liturgica di Israele hanno elaborato
un sistema di proclamazione della Parola di Dio - la cantillazione - che è costituito da una serie di segmenti
musicali con particolari caratteristiche atte a permettere di identificare le grandi sezioni del pensiero e del
discorso con cui tale pensiero viene espresso.
Ci sono pertanto formule di intonazione che evidenziano l'inizio di ciascun periodo, formule di cadenza che
esprimono la conclusione intermedia o definitiva del discorso e altre strutture musicali tutte elaborate alfine
di rendere comprensibile la Parola nel suo dispiegarsi verbale. In tale modo essa è sottratta alla
proclamazione-interpretazione di chi la pronuncia; in tale modo essa è libera di dire se stessa a quanti
l'ascoltano nella fede senza condizionamenti dei mediatori (i lettori, i salmisti).
3. Il silenzio eterno di Dio dal quale sgorga il canto
Come hanno affermato i padri della Chiesa, il Verbo di Dio è nato dal silenzio eterno del Padre. La Parola nella
liturgia esige di essere cantata, ma il suo orizzonte vitale, il contesto che permette di risuonare e di essere un
fatto di fede è il silenzio della preghiera. Silenzio che - come diceva Madeleine Delbrel - talvolta è tacere, ma
è sempre ascoltare. La musica nella liturgia - a maggior ragione rispetto ad altre situazioni come opere
sinfoniche e corali, dove le pause hanno un significato che non sì può mai sottovalutare - vive di silenzio,
scaturisce dal silenzio che nell'adorazione scava nel cuore lo spazio adeguato ad accogliere la Parola. Parola e
silenzio, silenzio e Parola in musica sono chiamati a tessere nella liturgia un contrappunto armonico con
momenti inalienabili di un silenzio anche solo materiale che troppo spesso manca, rischiando di
banalizzare ogni aspetto della celebrazione.
4. La Comunità Cristiana delle origini e il canto nella sua liturgia
La primitiva comunità cristiana ha costruito l'edificio liturgico con riti, testi e musiche derivati in un primo
momento dalla tradizione ebraica. Con il passare dei secoli, ogni generazione nei diversi ambienti culturali si è
innestata sull'esperienza precedente compiendo però lo sforzo di vivere in prima persona, sul piano
individuale e comunitario, l'incontro con Dio. Esito tra i tanti possibili di questa epopea, radicata nell'ascolto
della Parola, è la risonanza che tale incontro provoca nel cuore umano.
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Si possono ammirare, sotto questo aspetto, i tanti e diversi monumenti dell'arte cristiana dalle
basiliche alle pitture murali, dai mosaici e dalle miniature dei codici liturgici ai poemi e agli scritti
traboccanti una infinita passione per il Dio crocifisso. Tra questo mondo di incanti, che ancora oggi lasciano
attoniti, pieni di stupore, senza parole, le melodie liturgiche sono una testimonianza privilegiata della fede
vissuta.
La storia ci insegna a discernere tutta una serie di stratificazioni complesse e affascinanti a livello di
ricerca. Ma ancora più grande è il fascino che le melodie comunicano nella preghiera, facendo trapelare, tra
le parole dei testi sacri, bagliori incandescenti: le scintille dello Spirito che mettono a fuoco i cuori ottenebrati
e paralizzati dall'abitudine, dal formalismo.
5. La Chiesa e i linguaggi dell’arte a servizio della liturgia negli sviluppi della storia
In ogni epoca, per quanto c'è dato di conoscere a partire dall'età carolingia, nel mondo della liturgia la
musica, ma non solo essa, ha trovato continuamente un fecondo equilibrio tra il patrimonio che le veniva
consegnato con rispetto e riverenza dal passato e le istanze contemporanee. In ogni Chiesa locale la vita
concreta della comunità suggeriva a poeti e musici nuove espressioni capaci di cantare la fede nel presente.
Un equilibrio estremamente fecondo perché, mentre preparava il cuore all'ascolto della Parola, dischiudeva
la mente a prospettive nuove, metteva la persona mistica della Chiesa in grado di varcare la soglia del futuro.
Passato, presente e futuro sono i tre poli che da sempre autenticano il linguaggio musicale e poetico
nella celebrazione. Omettere o limitare anche una sola di queste tre istanze significa costruire sul vuoto:
chi si abbarbica al passato chiudendosi ai presente è un archeologo nostalgico senza speranza che non
crede nel presente perché fondamentalmente non ha fiducia in se stesso. Non ha il coraggio del rischio, è
convinto di sopravvivere scimmiottando il passato, come se l'esperienza dei nostri predecessori valesse
automaticamente per noi, oggi, qui. Ogni esperienza è positiva soltanto a condizione che sia vissuta in
prima persona. Il passato senza presente è un sogno fantastico. Confortante forse, ma è un sogno alienante
che trascina fuori della realtà.
6. I linguaggi dell’arte a servizio della liturgia nel presente della Chiesa
Chi si illude di poter edificare il presente amputando il passato, di solito brutalmente con vera foga
iconoclasta, è come chi volesse costruire un edificio senza fondamenta. L'immagine è eloquente, ma
purtroppo in campo musicale, e prima ancora, nel solco della tradizione liturgica, spesso si è verificata. In
parte tale atteggiamento è dovuto semplicemente all'ignoranza delle cose, in parte perché si intuisce che
quanto si vuole costruire nel presente non regge il paragone con il passato.
Non sono certamente d'oro tutto il canto gregoriano e tutta la polifonia classica; ma di fronte ad
autentiche opere d'arte balza agli occhi in modo inequivocabile la miseria di tanta produzione musicale
odierna destinata alla liturgia perché in altre sedi non avrebbe accoglienza. E' questo anche il frutto di una
moda banale che richiama una lapidaria sentenza del cardinal Suenens: "Chi sposa la moda oggi, domani è
vedovo". Ciò spiega la sterilità di tante sperimentazioni odierne condannate a non aver futuro.
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C'è anche chi si balocca con un futuro che non ha nessun retroterra nel passato e neppure nel
presente. Siamo anche qui di fronte a un mondo di sognatori che progettano l'irreale, vittime di
programmatori abili soltanto a pubblicizzare il vuoto totale. La novità per la novità: un miraggio utopistico
che affascina e stordisce quanti non reggono l'urto con la storia reale e cercano uno spazio qualsiasi pur di
sottrarsi alla difficile concretezza del presente, spesso causa di sofferenze e smarrimento.
7. Il recupero della musica nelle celebrazioni
Un primo problema di fondo nella vita musicale all'interno della liturgia è ricuperare con rispetto e cognizione
di causa l'equilibrio tra passato, presente, futuro. Poi è assolutamente necessario ricuperare il linguaggio
musicale, dato che di fatto oggi la celebrazione nella maggior parte dei casi è amusicale.Le parti del
presidente sono totalmente recitate: si pensi alle orazioni, alla preghiera eucaristica. Anche la proclamazione
del Vangelo, che spetterebbe a un diacono, solitamente è parlata senza nessuna modulazione. Gli interventi
sporadici dell'assemblea sono anch'essi recitati, spesso in modo disordinato.
Entrando in una chiesa durante il servizio liturgico di solito non si ascolta nessun brano in canto. Nel
medioevo, al contrario, non c'era parola che non fosse cantata, compresa la preghiera eucaristica. Certo, la
struttura melodica dei brani strettamente musicali, quali un introito e un alleluia, era diversa rispetto a quella
di altri generi di testi. Ma si ricordi che sia le orazioni che le letture erano modulati in base a tutta una serie di
repertori di canti destinati appunto ai recitativi liturgici dell'eucologia e alla proclamazione delle letture
(cantillazione).
Della situazione attuale la responsabilità non ricade principalmente sulla pastorale liturgica ancorché in
tante parrocchie essa sia latitante o del tutto inesistente. La causa/colpa è da attribuirsi piuttosto alla cultura
diffusa del nostro tempo, un'epoca che vede la fruizione passiva di molta musica - perlopiù riprodotta su disco
- mentre negli ultimi decenni è sensibilmente diminuito il fare musica in modo attivo, vuoi con il canto, vuoi a
livello strumentale.
Una situazione diffusa di analfabetismo musicale - si consideri, ad esempio, la preparazione musicale
totalmente insufficiente a livello scolastico - peggiora notevolmente la condizione della musica nella liturgia
perché di fatto le assemblee, almeno in Italia, non sono capaci di cantare. L'insufficiente cultura musicale
produce inoltre un'incoscienza artistica che si esprime nella mancanza di giudizio critico sui prodotti
commercializzati. In altre parole, si canta poco o niente, e quel che si canta spesso non è consono alla dignità
della celebrazione liturgica.
8. Celebrare con dignità
Per poter programmare un repertorio liturgico-musicale appropriato, occorre tenere presente due istanze:
a) la preparazione musicale dell'assemblea sotto il profilo tecnico. A questo livello s'incontrano molte
difficoltà perché la ricordata carenza di educazione musicale non permette l'impiego di canti che superino
una soglia pur minimale di difficoltà. Ciò significa che è altamente negativo il principio caldeggiato in maniera
entusiastica da alcuni gruppi nell'immediato postconcilio, cioè di far cantare tutto da tutti.
Questo principio comporta necessariamente l'esclusione non solo delle musiche tradizionali - in primo luogo
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il canto gregoriano e la polifonia classica - ma anche di una gran parte della buona musica di recente
produzione.
b) Nella scelta dei canti non devo domandarmi per prima cosa quale pezzo l'assemblea esegua volentieri o
voglia cantare, ma piuttosto devo chiedermi quale brano, sia dal punto di vista testuale sia sotto il profilo
musicale, possa aiutare l'assemblea liturgica a pregare.
È evidente che le possibilità di scelta variano in ogni Chiesa locale e ancora diversa è la scelta del repertorio a
seconda che si tratti di piccoli gruppi omogenei per formazione culturale oppure che ci si trovi di fronte a una
comunità di vaste proporzioni. Mentre nel primo caso è possibile fare delle scelte mirate che possono
prevedere l'esecuzione di brani di una certa difficoltà tecnica, nell'ultimo caso si devono affrontare indubbi
ostacoli che tuttavia evidenziano diversi aspetti dell'esperienza spirituale legata alla musica.
Se è vero che chi canta prega due volte - ammesso che si canti la fede e, nella fede, la lode di Dio per
l'edificazione della comunità orante -, non si può negare l'incidenza di questa espressione sonora della vita
nello Spirito in quanti non sono in grado di cantare. Questi ultimi in un silenzio di adorazione si pongono
tuttavia in ascolto della Parola e l'accolgono nella semplicità del cuore: senza avere la pretesa di cantare -
perché di fatto ne sono incapaci - ma con l'ansia di non lasciarsi sfuggire nulla di quanto lo Spirito oggi detta
alla Chiesa attraverso la voce dell'angelo, cioè del cantore che proclama la parola di Dio.
L'essere-preghiera costituisce l'unico parametro valido per giudicare l'autenticità della musica nella
liturgia: un'esperienza di fede illuminata dalla gioia estetica che scuote le fibre più profonde dell'esistenza.
Non si tratta affatto di sentimentalismo e di emotività superficiale perché, di nuovo, il carattere orante della
musica - cantata o ascoltata che sia nella fede - è a sua volta autenticato unicamente da una vita che si fa
carità, che diviene nel mondo "testimonianza viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace".
9. I nostri popoli: che cantano?
Alla luce di quanto si è detto, la situazione della musica nella liturgia appare oggi relativa all’uso della musica
nella vita di ogni giorno.
a) in primo luogo l'infimo livello di cultura musicale a cui sono stati condannati alcuni Paesi nei quali non si
canta fin da bambini. A questo panorama triste si aggiunge la diffusione caotica di suoni e di rumori che
impediscono la formazione nei bambini della lingua musicale materna: la struttura fondamentale della
coscienza musicale, un chiaro rapporto tra i suoni (note) in un preciso e articolato sistema (strutture modali
e/o scale tonali).
Il risultato è evidente: la massima parte dei bambini, ragazzi e giovani nei paesi dove non si canta
abitualmente, non riesce più a cantare. Non si può dire che siano stonati perché di fatto sono amusicali:
emettono lamenti animaleschi, non suoni. Si aggiunga la popolarità di "cantanti" realmente stonati e
sgradevoli che sono presi come modello di riferimento: la catastrofe sembra inevitabile.
In realtà il risultato finale di tutta questa serie difatti negativi è che la musica in certi Paesi è qualcosa di
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estraneo, non è più il linguaggio quotidiano per esprimere le emozioni profonde. Fino a pochi decenni or
sono era possibile sentire cantare - al limite fischiare - per le strade, nelle botteghe artigianali. In riferimento
alla liturgia la domanda di fondo risulta disperata: una persona -cioè la quasi totalità di quanti costituiscono le
assemblee liturgiche - che non canta mai, che non esprime mai con il canto la propria gioia e il proprio
dramma sofferto nell'intimo del cuore, come potrà pregare cantando, come potrà esprimere la propria fede
con un linguaggio sconosciuto e totalmente estraneo, come se le fosse imposto di "recitare" le preghiere in
cinese o in arabo?
Si assiste cioè impotenti a un appiattimento barbarico della società dove si lascia che tutti i valori spirituali e
culturali siano distrutti da mille consumismi alienanti, dove la persona scompare inghiottita dal deserto del
vuoto che lascia indifferenti, senz'anima, dove ciò che riesce a fare ancora presa è soltanto il miraggio della
droga e del mondo spettrale che essa sa alimentare.
Certo, questa prospettiva è un caso limite, purtroppo relativamente diffuso specie nel mondo giovanile, ma
fiorisce e si diffonde sull'onda di una diffusa insensibilità che oscilla tra l'amoralità e l'amusicalità.
Distrutta la poesia che c'è nella persona umana, rimane solo un animale selvaggio in balia dei burattinai di
turno.
b) A questa situazione oltremodo penosa che si riflette sullo squallore di tante, troppe celebrazioni, si
aggiunge la mancanza di sensibilità dei pastori. Sembra a volte che si possa applicare a vescovi e preti ciò che
Abraham Joshua Heschel diceva di rabbini statunitensi: “si preoccupano di riempire le sinagoghe (= chiese) di
fedeli, ma non pensano a riempire il cuore delle persone con l'unico nutrimento che sostenta nella vita: la
Parola di Dio”. Se si osservano tante Messe domenicali ci si accorge che molte "intenzioni" si sovrappongono
e ipotecano la partecipazione dei fedeli; si tratta spesso di "intenzioni" nobili quali possono essere gli
interventi di solidarietà. Purtroppo non ci si accorge che si finisce per distrarre il popolo di Dio dall'ascolto
della sua Parola dimenticando che chi l'ascolta davvero diventa anche facitore della Parola e sacramento del
Verbo, mentre tante iniziative sociali e culturali possono risolversi in meri atteggiamenti di aggregazione e di
sintonia psicologica senza un reale atto di fede.
Si ha pertanto l'impressione che la Messa domenicale serva talora a tanti scopi fuorché alla costruzione della
comunità di fede. La deficitaria attenzione al problema musicale è strettamente correlata alla
sottovalutazione della centralità della Parola di Dio che, sola, fa divampare il fuoco della carità, accende la
speranza e vivifica la fede.
Nella misura in cui prevale l'efficientismo umano che tutto confida nelle strategie persuasive che si fondano
sulle scienze umane, si assiste alla corsa verso mezzi ritenuti "efficaci", di gusto "popolare", che abbiano facile
presa.
Non c'è da meravigliarsi allora di entrare in chiese rumorose ridotte a discoteche o, al contrario, in
obitori affollati da persone musone e annoiate in un silenzio glaciale. Casi estremi, che vanno da tante Messe
dei giovani e quelle frequentate da soli adulti, riflettono la mancanza di una seria pastorale che si fondi su
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un'assidua catechesi biblica e liturgica mirata a spezzare il pane della Parola per rendere i cuori accoglienti del
Pane di vita eucaristico, nella piena disponibilità a farsi carico dei fratelli e delle sorelle più poveri e sfortunati.
10. Le responsabilità dell’oggi della Chiesa che celebra
La preoccupazione primaria nei confronti della Parola renderà i pastori attenti a quei linguaggi che la
possono meglio mediare in modo tale che Dio possa far giungere la propria voce al cuore dei suoi figli e che
questi ultimi abbiano i mezzi più adeguati ad alzare al Padre dei cieli il proprio cuore. La storia della musica
liturgica di circa 4000 anni, dalle prime esperienze di Israele a oggi, mostra l'importanza della musica quale
mezzo pedagogico e strumento di comunicazione che permette di esprimere la totalità di sé in quei momenti
nei quali la semplice parola parlata ammutolisce.
A fronte di una situazione precaria che si avvicina all'abisso della disperazione, è necessario promuovere con
tutte le forze e con ogni sforzo possibile ogni iniziativa che permetta di ricuperare la dimensione poetica e
musicale della persona umana. Nella Chiesa è necessario ricostituire le scuole diocesane e zonali di musica
sacra con un serio impegno di formazione - cioè un impegno faticoso e costante, lungo nel tempo - di quanti
possono assumersi la responsabilità di aiutare la comunità orante sapendo che per cantori e strumentisti vale
ancora oggi la formula espressa dalla Chiesa molti secoli or sono: "Sforzati di cantare con le labbra ciò che nel
cuore vivi nella fede e traduci canto e fede in carità operosa".
Occorre cioè bandire soluzioni facili e immediate solleticate da una vana demagogia, mentre urge costruire
tutto dalle fondamenta, a partire da una formazione biblico-liturgica sino all'istruzione tecnica musicale a
servizio della liturgia, facendo comprendere che tutto ha senso se si svolge in un clima orante: di ascolto della
Parola per trasmetterla alle comunità, di ascolto di queste ultime per esprimere con la musica a Dio la
preghiera della Chiesa.
ANCHE LA MUSICA È SIMBOLO
di Franco Cardini
La parola greca "symbolum", con i suoi corrispondenti latini, rinvia al significato del"mettere
insieme", dell’ "unire". Il simbolo è quindi qualcosa che ne rappresenta un'altra ed è ad essa
strettamente collegata. Grazie al simbolo ci intendiamo e possiamo comunicare.
Per noi "occidentali moderni" il recupero della necessità e della "naturalità" del linguaggio
simbolico è condizione per una maggiore e migliore comprensione del nostro tempo e della nostra
identità.
La nostra epoca, non avendo una coscienza simbolica chiara, ma non potendo fare a meno
dei simboli, ne elabora di brutti e di ridicoli. La scarsa cultura e la rozza sensibilità simboliche della
nostra società hanno creato una profonda diffidenza per i simboli, considerati in sé inquietanti,
irrazionali e persino "reazionari".
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Tale atteggiamento non è estraneo alla "guerra ai simboli religiosi" che una parte del mondo
laicista di oggi è tentato di dichiarare.
Una riappropriazione del linguaggio dei simboli, una rialfabetizzazione simbolica della nostra
società sarebbe da sola un contributo straordinario di miglioramento.
La modernizzazione si è qualificata negli ultimi due secoli anche attraverso un'azione intensa di
dequalificazione e di mistificazione dei simboli: appropriandosene, modificandoli, distorcendoli,
destituendoli di significato, sostituendoli con altri.
Bisogna dire che l'incultura dei cristiani in genere, dei cattolici in particolare, ha assecondato
questo disegno di snaturamento del messaggio spirituale attraverso la distruzione del linguaggio
simbolico.
Si è per generazioni insistito sul fatto che non contavano le "forme", gli "aspetti esteriori",
tacendo che le une e gli altri erano appunto "symbola", parti qualificanti di un discorso che aveva
sul piano spirituale e concettuale i suoi corrispondenti. E' tempo di ristabilire, con un'opportuna
meditazione storica, le linee e i nodi del discorso simbolico, riguardo segni, immagini, parole,
colori, suoni. Siamo diventati analfabeti sotto il profilo della scienza sacra. Sarebbe opportuno
reimpararne i rudimenti.
GLOSSARIO MUSICALE FONDAMENTALE
E opportuno richiamare alcune parole che permettono un primo approccio, per quanto possibile
scientifico, al codice sonoro, per un primo tentativo di analisi sia a livello poietico (poiesi è un
sostantivo femminile di origine greca (poiein=fare) che significa: la facoltà creativa dell'uomo e il
momento in cui essa si realizza, soprattutto nell'attività artistica, sia a livello estesico (dal greco
aisthesis=percepire):
Glossario significa: elenco di parole che riguardano un dato argomento
(dal greco glossa=lingua, parola)
1. MELODIA - successione di suoni di varia altezza e di diversa durata avente un senso
musicale compiuto perché animata dal ritmo e da leggi strofiche, che viene percepita come
un pensiero musicale: è ascendente, discendente, possiede una curva tipica, un regime
“tonale”, un andamento (lento, veloce, legato, articolato).
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2. TEMPO – La articolazione del brano musicale in cosiddette “battute” e determina gli
accenti, quelli forti e quelli deboli. Può essere binario o ternario, semplice o composto ed
è indicato all’inizio della composizione.
3. RITMO – è la strutturazione degli accenti della frase musicale in unità “costanti”: ritmo di
tarantella, di valzer, di marcia etc. Manipolando (cambiando) il ritmo si può
completamente stravolgere il significato di un brano alterandone totalmente il senso ed il
significato.
4. AMBITO – è l’insieme dei suoni di un brano dal più alto al più basso. Più l’ambito è ampio
più la melodia ha potenzialità espressive. Più è ristretto e più è banale, al punto da essere
una non-melodia ( mono-tonia).
5. REGISTRO – è la collocazione dell’ambito su frequenze acute, basse o centrali, fa sì che si
canti o si suoni su un “registro” alto, basso, centrale che è in relazione alla voce o
strumento ed alle sue capacità espressive, quelle più consone alla sua caratteristica.
6. INTERVALLO – Differenza di altezza tra due suoni consecutivi in una melodia. Alcuni
intervalli non sono di facile esecuzione. Quelli vicini vengono definiti “per grado congiunto”
e gli altri sono disgiunti. Un intervallo è melodico se i due suoni sono in successione ed è
armonico se i due suoni sono simultanei.
7. ARMONIA – E’ la strutturazione dei suoni simultanei che si fonda sul risultato acustico
(fisico) di certe combinazioni che risultano all’orecchio gradevoli, riposanti o non. Tipico, ad
esempio, è il canto che spontaneamente in talune popolazioni si sovrappone per intervalli
di terza.
8. AGOGICA – Su ogni spartito, da una certa epoca in poi, si trova l’indicazione
dell’andamento, tipo: vivace, adagio, lento, allegro … si tratta di indicazioni che il
compositore pone per aiutare ad eseguire il brano da lui composto. E’ un parametro, però,
che è molto fluttuante e variabile.
9. DINAMICA – Dal greco: Dynamis = forza, potenza. Il nome stesso indica la
“forza”dell’esecuzione” (intensità dei suoni). Nello spartito musicale è indicato da semplici sigle
come mf, f, ff, fff, p, pp, … tutto questo comporta non solo il dominio dell’emissione canora o sonora ma
anche l’esecuzione in funzione del significato di quanto si sta eseguendo. Un’acclamazione con un filo di
voce o un canto penitenziale roboante stanno a significare che non si è compreso nulla del contenuto
musicale di quanto si sta eseguendo.
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10. CONTESTO – Può trattarsi di quello ambientale, fisico, acustico, tecnico celebrativo, il
luogo, la cornice entro la quale viene eseguita la musica. Tutto questo significa gestire il
fatto sonoro adeguandolo alle circostanze.
11. RITO – proviene dalla radice indoeuropea R’TAM = mettere in ordine. Da qui arte ritmo,
aritmetica, e, appunto, rito.
12. LITURGIA – loghia, un sapere, un discorrere ma anche érgon = opera, lavoro (come in
metallurgia, chirurgia). La LITURGIA fa ciò che dice, non dice ciò che fa.
13. MUSICA – musiké / tekné, arte del porre i suoni in relazione orizzontale (melodia) e
verticale (armonia)
Vengono, ora, indicati nei nn. 14, 15 e 16, quelli che vengono definiti i CARATTERI
FONDAMENTALI DEL SUONO:
14. ALTEZZA – di un suono: è data dal numero di vibrazioni complete che avvengono in un
secondo. Si misura in hertz (Hz).
L’intervallo di udibilità dell’orecchio umano è compreso tra i 20 e i 20000 Hz.
Ciò significa che, pur esistendo onde sonore che si propagano a frequenze più basse (infrasuoni) o più
alte (ultrasuoni), noi non possiamo percepirle.
15. INTENSITA’ – volume del suono. E’ uno dei caratteri distintivi essenziali del suono: dipende
principalmente dall’ampiezza delle vibrazioni ma anche dall’altezza e dal timbro. In
acustica è misurata in decibel (Db). Il Decibel è una convenzione, un’unità di misura relativa e non
assoluta. Se 0 dB è la soglia teorica di udibilità umana, verso i 120 dB il suono raggiunge un tale spessore
da indurre fastidio; vicino ai 140 dB inizia la sensazione di dolore. Ad esempio le nostre città, di notte,
non dovrebbero superare i 42dB.
16. TIMBRO – il particolare tipo di sonorità che permette di individuare la fonte sonora. Se la
voce umana presenta una enorme ricchezza di timbri, altrettanto l’elaborazione degli strumenti, il che
permette l’enorme varietà di repertori sia vocali sia strumentali nella combinazione dei quali si è
strutturata tutta la letteratura musicale della storia dell’umanità.
Dipende dalla materia e dalla costituzione della fonte sonora. Il timbro consente di giudicare due suoni
aventi stessa altezza e medesima intensità.
17. Il MODO: un sistema organizzato di intervalli adottato in una pratica musicale. Nella cultura greca tale
sistema si fonda su di una successione di quattro suoni discendenti, all’interno di un intervallo di quarta
giusta chiamata Tetracordo. Presso il mondo ellenico (Grecia, Hellas) era presente il convincimento che il
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comporre una melodia in un determinato modo, dovesse dare risultati completamente diversi e del tutto
particolari. Ne citiamo alcuni:
Modo dorico: mi re do si
Modo frigio: re do si la
Modo lidio: do si la sol
L’unione di più tetracordi dello stesso genere produceva le armonie (scale) distinte, a loro volta, in dorica,
frigia e lidia. Nel Canto Gregoriano i modi fondamentali sono quattro: Protus RE,mi,fa,mi,re,do,re) Deuterus
(MI,fa,sol,fa,mi,re,mi), Tritus (FA,sol,la,sol,fa,mi,fa) e Tetrardus (SOL,la,si,la,sol,fa,sol). Nella musica
occidentale i modi sono due: maggiore e minore.
“La natura dei modi è così dissimile, che ascoltandoli si è commossi in maniera diversa e non si riceve da
ciascuno la stessa impressione” ( Aristotele, Politica, VIII, 5 ).
LA MUSICA NEL CULTO CRISTIANO
Ci accostiamo alla Musica nel Culto Cristiano riferendoci alla Storia della Cristianità come si è
sviluppata ed articolata nelle diverse Chiese e nel contesto delle loro lingue e delle loro tradizioni
musicali. La prospettiva nella quale ora ci poniamo è quella della Chiesa latina e dei riti
occidentali. Ovviamente esiste una ricca storia della Musica nelle diverse famiglie liturgiche che
nel tempo si sono strutturate soprattutto in Oriente ed in Africa.
Le celebrazioni liturgiche ( spesso dette ”sacre celebrazioni”) sono al centro dell’analisi
della musica ed i suoi rapporti con la fede cristiana. Il rapporto tra Musica e Fede cristiana diventa
progressivamente più debole a mano a mano che allontaniamo dalle celebrazioni liturgiche
strettamente intese e ci avviciniamo alle celebrazioni non liturgiche che sono definite devozionali.
Alcune testimonianze del passato, sulla prassi musicale nelle chiese cristiane e cattoliche in
particolare, evidenzia la costante ambiguità nella collocazione di quest’arte nella vita delle
comunità. Prendiamo un solo esempio che è un’interessante testimonianza del sec.XVIII:
Charles Burney, inglese, anglicano, viaggia per la Francia e per l’Italia cattoliche nell’estate del 1770. Nei due anni
successivi si sposta in Germania e nei Paesi Bassi. Porta con sé un ottimo bagaglio di cultura e di conoscenza della
musica e raccoglie i risultati delle sue osservazioni frutto dei suoi viaggi e delle sue peregrinazioni, in due scritti
importanti: The present State of Music in France and Italy, London 1771 ( in italiano: Viaggio musicale in Italia,
Torino, EDT, 1979 ) e in The present State of Music in Germany, the Netherlands and United Provinces, 2 voll.,
London, 1773 ( in italiano: Viaggio Musicale in Germania e Paesi Bassi, Torino, EDT, 1986).
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I contesti di quello scorcio di fine secolo XVIII evidenziano nelle testimonianze di Burney gli
elementi che sono costanti per tutta la storia della prassi liturgica e delle arti in essa utilizzate:
1. L’ organizzazione del culto nel contesto sociale del tempo
2. L’ ecclesiologia soggiacente
3. le normative liturgiche vigenti (le rubriche)
4. i linguaggi artistici dominanti e le influenze di essi sull’arte cristiana (tutta l’arte: l’architettura, le arti
plastiche (scultura), la arti visive (la pittura), la musica, le cosiddette arti minori (tessuti, stucchi, ceramiche,
arredi, ebanisteria, intaglio …)
In realtà tutta la vita musicale/liturgica si è snodata costantemente su un sentiero che
riceve: a) il suo indirizzo dalla teologia b) le sue svolte dalle normative liturgiche c) il suo
panorama dalle prassi vigenti.
1. MUSICA: Le valenze religiose, quelle educative ed il riferimento cultuale della Musica nel
mondo antico
1.1 La musica come “ cibo degli dei “: Le divinità sono assetate di lode che le fortificano e le fanno
crescere e sono nutrite dal canto e gli uomini sono anche loro bisognosi dei canti della grazia divina
(come di una pioggia fecondatrice )
1.2 “ Gli animali non hanno percezione di ciò che costituisce l’ordine regolare o irregolare dei movimenti
ai quali noi diamo i nomi di ritmo e di successione melodica. Noi, al contrario, abbiamo ricevuto dagli
dei, che presiedono ai nostri cuoti, la facoltà ed il piacere di godere delle bellezze del ritmo e della
melodia “ ( Platone, De Legibus, II 353 )
1.3 “ In rebus humanis nulla actio est quae sine musica perficiatur. Divini certe hymni et venerationes,
musica ornantur”. Nelle attività umane, nulla esiste che non si arricchisca con la musica. Certamente le
lodi agli dei e la loro venerazione si adornano con la musica (Quintiliano, De Musica, lib. II )
1.4 “ Basterebbe, per dimostrare il valore morale della musica, provare che può modificare i nostri
sentimenti. Ora certamente essa li modifica. Bisogna vedere l’impressione prodotta sugli uditori dalle
opere di tanti musicisti, specialmente quelli di Olympos. Chi potrebbe negare che entusiasmano le
anime ? E che cosa è mai l’entusiasmo se non una modificazione del tutto morale ?” (Aristotele,
Politica, V, 5 )
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1.5 “Abbiano dato il nome di musica all’arte che, regolando la voce, giunge fino all’anima a le ispira il
gusto della virtù” ( Platone, De legibus, VII )
1.6 “L’arte educatrice per eccellenza, quella che per mezzo dei suoni si insinua nell’animo e lo forma a
virtù, ha ricevuto il nome di musica” (Platone, Repubblica,III)
1.7 “Fissiamo la regola inviolabile che, quando si saranno determinati e consacrati dall’autorità pubblica i
canti e le danze congrui alla gioventù, non sarà più lecito a nessuno cantare o danzare in un’altra
maniera, come neanche violare qualsiasi altra legge “ ( Platone, De Legibus, VII )
1.8 “E’ evidente che gli antichi Elleni hanno agito giudiziosamente dando tutte le loro cure all’educazione
musicale: essi stimavano necessario plasmare le giovani anime per mezzo della musica e dirigere le loro
inclinazioni verso il bello e l’onesto “ ( Aristosseno in Plutarco, De Musica, testo greco e francese,
Parigi 1900, 103 )
In tale contesto culturale la musica è sempre considerata come un fatto concreto e non astratto
e la parola MOUSIKE’ ha svariati significati:
parola – poetica – suono – danza
e in tal senso l’affermazione di Nietzsche risulta efficacissima:
“Mentre la musica potenziava l’effetto della poesia, la danza spiegava la musica”
a) Nel mondo occidentale il termine greco mousikè riassume diversi significati che ricevono
dal linguaggio mitico/simbolico le proprie sfumature:
Le Muse figlie di Zeus ( lo splendore divino ) e di Mnemosyne ( la profondità e la fecondità
della memoria)
Le Muse concorrono con Apollo al Parnaso. Apollo il dio del sole, della festa, della armonia
La musica come favore divino accordato all’essere umano che con il suo ingegno riesce a
ripercorrere l’opera della divinità ( è la tesi di Esiodo nella Teogonia )
Atena crea la musica per consolare le sorelle per la morte di Medusa ( Pindaro nella XII Ode
pitica )
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b) La ricerca dell’origine della musica nella tecnica e nella scienza:
* Hermes, però, è anche il dio costruttore della lira, mediante un guscio di tartaruga
* Pitagora è il pensatore/scienziato che indaga sul fenomeno sonoro nei suoi elementi
fisico/acustici
c) L’impatto della Musica sulla vita umana sociale ed individuale
effetti apollinei (dal dio Apollo il dio del sole): all’uomo che si serve della musica il donodella musica è
quello di una vita di equilibrio, armoniosa nelle sue espressioni, serena e controllata per quanto concerne
le emozioni, di piena soddisfazione nell’inserimento della persona delle dinamiche del cosmo; è l’uomo
ispirato ed elevato nella contemplazione della natura e delle cose intorno.
effetti dionisiaci: (dal dio Dioniso/Bacco). Nel mito il dio guida la sua corte di Baccanti, le invasate e
violente, pienamente assoggettate alla passionalità istintiva ed incontrollata. L’uomo che è asservito a
tale concezione della musica è soggetto alla sfrenatezza dei sentimenti, alla visione edonistica della vita
In entrambi i casi, il valore terapeutico è stato codificato nella considerazione che se ne fa nella cultura
greca; tale proprietà viene definita come ethos modale, dovuto alla espressività dei modi.
Le differenti considerazioni sulla musica, legate a sensibilità particolari, a milieu (parola
francese = contesto) storico culturali diversi, hanno fatto esprimere pareri lontanissimi
tra loro, ma significativi proprio per questo. Ne citiamo alcuni:
La musica serve ad addormentare i bambini, non a lodare Iddio ( H. Zwingli )
Se gli uomini si prendono delle simili pene per comporre della bella musica per i canti
profani, bisognerebbe dedicare almeno altrettanta cura ai canti sacri, anzi anche di
più che alle semplici questioni mondane ( G. P. da Palestrina )
Colui che possiede anima musicale potrà amare gli uomini ( Platone)
Chi fa musica ( l’interprete ) dovrebbe adempiere tre funzioni: conservatore di
museo; esecutore testamentario; ostetrico ( A. Brendel )
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La musica rock ha una sua personale forza culturale: è libidine allo stato puro
(I. Graziani )
Nietzsche dedica molta attenzione alla contrapposizione apollinea – dionisiaca ed in ogni caso è
evidente la forza misteriosa della musica dovuta alla sua
Inafferrabilità: si svolge nel tempo e solo in esso (esiste solo mentre la si esegue e poi
non più)
alla ambiguità costante dovuta alla presenza dell’esecutore /interprete, molto spesso
esecutore e interprete di se stesso (la stessa musica, lo stesso canto, con esecutori
diversi, può cambiare)
Nel permanere di visioni impregnate di spirito religioso dei fenomeni artistici, l’evoluzione
fortissima e stupefacente della musica nel 1400 provoca la domanda presente in un’opera teorica
di un grande musico, Johannes Tinctoris, “Prologo” al Liber de arte contrapuncti, del 1477;
Johannes Tinctoris si pone la seguente domanda: lo sviluppo della musica è frutto di “virtus
cujusdam celestis influxus “ (= un misterioso influsso divino, celeste – è dono di Dio?) oppure è
frutto di“ vehementia assiduae exercitationis “ (=intenso e lungo esercizio ed allenamento – frutto
della intelligenza umana)?
Non è un caso che un secolo più tardi, in pieno Rinascimento, quando la cultura occidentale esalta
l’aspetto umano più che quello divino, non si parlerà più di un influsso divino nell’arte e invece si
parlerà dell’Arte, e quindi anche della Musica, come
Ingenium et Opus (=intelligenza e sforzo, fatica, impegno, studio…)
La Poiesis ( creatività operativa dell’abilità tecnica ) è ispirata da singularis naturae impetus
(particolare impeto, forza della natura di ciascuno) e sfocia nell’opus consummatum et effectum
(l’opera d’arte completa ed efficace).
MUSICA VOCALE E MUSICA STRUMENTALE
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Si ricordano in particolare le tre caratteristiche del suono, inteso come fenomeno fisico (acustico )
e che riguardano sia la voce umana sia il suono degli strumenti già ricordate nel glossario a p. 9:
a) Altezza numero delle vibrazioni
b) Intensità ampiezza delle vibrazioni
c) Timbro caratteristiche delle vibrazioni e qualità delle vibrazioni ( materia e costituzione della
fonte sonora )
Musica vocale
E’ evidente che le prime manifestazioni di musica siano legate alla musica vocale,
quella cioè prodotta dalla voce umana. Si definisce, pertanto, come musica vocale
tutta quella prodotta con la sola voce. La voce umana, poi, è fondamentalmente
collocata su due piani: voce parlata e voce cantata, ma non bisogna dimenticare alcuni stadi
intermedi costituiti essenzialmente da:
a) declamazione ( oratori o attori di prosa )
b) recitativo
c) declamato musicale
La voce cantata comporta una tecnica di fonazione rigorosa e precisa: si suole definire il canto
che si esprime con tale tecnica come voce impostata che si contrappone alla voce naturale.
Il divario tra voce parlata e voce cantata, poi, è innanzitutto di natura intensiva: il canto richiede
maggiore energia ed elasticità per dare impulso alle vibrazioni. Inoltre nella voce cantata la
durata dei suoni è ben diversa da quella della voce parlata. La differenza più importante, infine,
tra voce parlata e voce cantata è nell’altezza dei suoni, che nella voce cantata hanno tutti una
precisa collocazione in altezza mentre, nel parlato, soltanto alcuni suoni ( altezza ) sono toccati
ed utilizzati. Nella voce umana, a causa dell’interazione delle caratteristiche del suono, in
particolare dell’altezza e del timbro, la classificazione è la seguente:
Voci femminili: soprano, mezzo soprano, contralto
Voci maschili: tenore, baritono, basso
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Aspetto particolarissimo che è stato presente nell’opera del sei/settecento e fino al primo
ottocento e nella musica nelle chiese dal tardo cinquecento fino alla fine dell’ottocento, è quello
dei cantanti evirati (castrati) detti anche cantanti in falsetto naturale.
Tale qualità ed altezza di voce era dovuta alla orchiectomia praticata nei ragazzi prima della muta
della voce: determinava un timbro cosiddetto “bianco” che accomuna i ragazzi alle donne. Un
timbro affine a quello femminile ancora oggi possono ottenere i cosiddetti falsettisti artificiali,
noti anche come controtenori; in questo caso, però, si tratta di un espediente tecnico grazie al
quale essi cantano ad un’ottava superiore rispetto a quella della voce piena virile. Spesso oggi si
ascoltano dei falsettisti in produzioni musicali che vedevano impegnati, nel passato, i cantanti
evirati.
MUSICA STRUMENTALE
L’esperienza musicale dell’essere umano è legata alla sua voce: emette suoni e questi suoni
diventano canto: è un’esperienza soggettiva. Quando si è sperimentata un’esperienza oggettiva
è cominciata la costruzione degli strumenti musicali che sono, definibili, pertanto, come oggetti
per produrre suoni.
La scienza che studia tale settore è chiamata Organologia e per essa qualsiasi oggetto utilizzato
dall’uomo per materializzare il suono è definito strumento musicale.
Gli strumenti musicali assumono manifestazioni concrete nelle diverse società ed epoche
storiche mediante tre elementi fondamentali:
1. L’acustica e le sue leggi scientificamente o empiricamente applicate
2. L’insieme dei valori simbolici e comunicativi di cui lo strumento musicale è portatore
3. La qualità ed il grado di sviluppo della cultura materiale, tecnica e scientifica da cui scaturisce la
ideazione e la costruzione dello strumento musicale
In tutti gli strumenti si fondono sia elementari meccanismi di funzionamento sia elaboratissime
tecniche di selezione dei suoni. Alcuni manufatti hanno raggiunto una perfezione dovuta
all’altissima maestria dei costruttori; ne sono esempi straordinari alcuni liutai del ‘600 e del ‘700
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che hanno raggiunto nella produzione degli strumenti ad arco, violini in particolare, dei livelli di
funzionalità musicale, estetica e comportamento acustico mirabili, tutte cose che giustificano
ampiamente i costi vertiginosi di alcuni di questi strumenti ( cfr. Antonio Stradivari famosissimo
liutaio mel sec. XVII, costruttore di strumenti ad arco, di arpe…).
E’ da tener presente, nel discorso sugli strumenti musicali, il processo di produzione sociale in
rapporto alla destinazione sociale ed alla riproduzione tecnica. Nelle origini, la costruzione degli
strumenti si presenta come un’ operazione straordinaria accompagnata da rituali complessi che
in molte società vi presiedono ( rimane ancora oggi, nella fusione delle campane, qualcosa che si
richiama ai rituali antichi con uno speciale rito contenuto nel Benedizionale). Gli stessi miti sulla
nascita di strumenti musicali nella cultura occidentale, fanno fede in tal senso.
Quanto più complesso, dal punto di vista tecnico, è divenuto il processo costruttivo, tanto più è
emersa la figura del fabbricante come depositario di abilità creative tra le più apprezzate: ciò
vale sia per il fabbricante – lo sciamano – costruttore di tamburi di molte culture dell’ Europa
antica, dell’Africa Occidentale e Centrale, in Oceania, sia per il liutaio cremonese circondato da
leggende sui segreti costruttivi e su pretese misteriose ricette. Non è un caso se altrettanto
avviene a proposito dei costruttori delle cattedrali come di tanti edifici dell’antichità che
suscitano meraviglia e stupore e per ciò stesso i loro realizzatori sono circondati di leggende e
misteri.
La classificazione degli strumenti è, sinteticamente, la seguente:
a) Idiofoni (dal greco ìdios = proprio) che suonano di per sé ( a percussione diretta o indiretta,
scuotimento, pizzico, raschiamento, frizione ): campane, tubi metallici…
b) Membranofoni ( tutte le famiglie di tamburi )
c) Cordofoni ( cetre, arpe, liuti, violini, pianoforte, clavicembalo …)
d) Aerofoni ( flauti, clarinetti, sassofoni, trombe, organo … )
e) Elettrofoni
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La documentazione che si ha attraverso la letteratura, dell’uso enorme che si aveva in tutto il
mondo antico (sia dell’Oriente sia dell’Occidente) di strumenti musicali, ci deve convincere del
fatto che il campo della pratica musicale, anche nel campo cultuale e religioso, fosse molto più
ampio di quanto si possa immaginare. Le mutazioni sociali ed economiche, poi, hanno lasciato il
segno sui processi di trasformazione della musica determinando radicali cambiamenti anche
nella prassi liturgica.
IL CONTRIBUTO DEL CRISTIANESIMO ALLO SVILUPPO DELL’ORGANOLOGIA
Il culto cristiano, che soprattutto nella liturgia latina, non opererà mai una scelta stilistica
univoca, è alla base del grande sviluppo della musica occidentale. Per l’architettura, per la pittura
e le arti plastiche, la Chiesa non fisserà mai uno stile proprio ma accoglierà di epoca in epoca e di
popolo in popolo, tutte le innovazioni e tutte le sperimentazioni; così per la musica la Chiesa
accoglierà le diverse espressioni vocali, monodiche, polifoniche e strumentali e si renderà
promotrice, per questo, dello sviluppo della musica che diventa, così, un fenomeno unico nella
storia dell’umanità: l’orchestra così come concepita nella cultura occidentale è diventata
protagonista in tutte le altre culture proprio per l’enorme sviluppo che ha ricevuto dalla libertà di
sperimentazione.
LO STRUMENTO PIÙ DIFFUSO NELLA CHIESA OCCIDENTALE DI RITO LATINO:
L’ORGANO
Impiegato nella civiltà romana e nell'area bizantina per celebrare festività pubbliche, deve
probabilmente la sua introduzione nel culto cristiano ad un evento casuale: nel 757 l'imperatore
di Bisanzio, Costantino Copronimo, fece dono di un organo a Pipino il Breve, il quale lo collocò
nella chiesa di San Cornelio a Compiègne, in Francia . Da allora iniziò la rapida diffusione dello
strumento nei luoghi di culto cristiani ed il suo utilizzo nella liturgia. L'evoluzione dell'organo fu
notevole: in pochi secoli si passò dall'elementare prototipo dell'VIII secolo, in cui la tastiera era
formata da vere e proprie leve (coulisse tirate dal suonatore) e le canne disposte secondo
"blocchi" sonori senza registri distinti, ai modelli tardo trecenteschi e quattrocenteschi dotati di
pedaliera, con una tastiera simile a quella moderna e registri distinti.
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In ambito profano era utilizzato l'organo portativo, di piccole dimensioni; l'esecutore lo portava
appeso ad una spalla, con una mano toccava i pochi e piccoli tasti e con l’altra mano azionava il
piccolo mantice che forniva l’aria. Successivamente, quando lo strumento diventò di dimensioni
maggiori tanto da essere “posato” in un luogo fisso, venne chiamato e definito organo positivo.
Alla fine del Quattrocento e nel Cinquecento si iniziano a definire vere e proprie caratteristiche
costruttive di aree geografiche/culturali se non proprio nazionali o regionali. In sintesi si possono
identificare alcune macroaree: germanico-fiamminga, francese, iberica e italiana.
Dall’evoluzione degli strumenti, dallo sviluppo delle tecnologie sempre più sofisticate, si giungerà
alla costruzione di organi cosiddetti “monumentali” di grandi dimensioni con caratteristiche sia di
volume sia di timbri, molto diversificate e con grandissime potenzialità sia di espressioni dolci sia
di sonorità potentissime. L’organo è lo strumento che può emettere la massa di suoni più potente
e forte di tutti gli altri.
La tradizione costruttiva germanico-fiamminga e francese farà evolvere tipologie organarie basate
sulla distinzione dei corpi sonori (un corpo sonoro è costituito da tante canne messe in un unico
grande mobile separato dagli altri) Ogni corpo sonoro viene suonato da una tastiera. I tasti che si
suonano con i piedi sono chiamati pedaliera.
L’organo è uno degli strumenti più antichi che ancora oggi venga utilizzato. In tutte le sue forme,
consiste essenzialmente di canne, leve o tasti, serbatoi di aria. La sua origine può risalire alla
siringa. Il più antico vero e proprio organo che si conosca è l’idraulos del III secolo a. C.
L’organaria, sviluppata dagli antichi Greci e dai Romani, si trasmise alle popolazioni medioevali,
come si è ricordato a proposito del dono dell’Imperatore d’Oriente a Pipino il Breve. Dal medioevo
in poi questa arte costruttiva di strumenti musicali fu prerogativa dell’Europa e si trasmise,
mediante le emigrazioni, negli Stati Uniti. Il periodo più importante per lo sviluppo dell’organo
moderno compre un arco di tempo di 2.000 anni e comprende come fasi fondamentali l’adozione
dei tasti, dei registri e la meccanizzazione dello strumento. L’ultima fase è costituita dall’impiego
dell’energia elettrica per potenziarne i meccanismi e per alimentare i serbatoi dell’aria.
Sinteticamente lo sviluppo dell’organo è il seguente:
1. Idraulos ( resti di un I. in Pompei simile a quello di Ctesibio di Alessandria circa 250 a.C.
2. Organo bizantino ( due uomini addetti ai mantici e due alle otto canne )
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3. Sec. XV primi organi” armati” con 16 e 32 canne; i mantici azionati con i piedi
4. Organi con grosse leve che preludono ai tasti che compaiono di piccole dimensioni alla
fine del sec. XVI
5. Organo portativo, portatili costruiti tra il XII ed il XVII sec. Manovrati da una sola persona
che con una mano azionava il manticetto e con l’altra suonava dei tasti
6. Organo positivo, non trasportabile, ideato per la chiesa e per la casa. Una seconda
persona azionava i mantici
7. Organi monumentali: due o più tastiere, pedaliera, molti registri ( voci ) con un numero
di canne che può essere anche di diecine di migliaia.
Parti costitutive di un organo:
a. Le canne
b. Le tastiere o manuali e la pedaliera (tastiera azionata con i piedi)
c. I somieri
d. Il sistema trasmissivo (dai tasti alle canne e dai comandi ai registri )
e. Il mantice con i dispositivi di produzione ed alimentazione del vento.
a. Canne: tubi nei quali la colonna d’aria vibra, messa in movimento da un mulinello provocato
dal labbro della canna ( canna ad anima . L’aria mette in movimento una linguetta che vibra (
canne ad ancia ). Le canne sono per lo più di metallo, di varie leghe: pregiatissime quelle con
molto o di solo stagno, ma anche argento, piombo, zinco, rame etc. Ma possono essere anche, di
legno, di cartone, di avorio, di bambù … Una serie di canne che producono un suono omogeneo di
uguale timbro, dal grave all’acuto, si chiama registro.
b. tastiere: piccole leve con le quali si trasmette un movimento dalle dita delle mani alle
singole canne. Possono essere molteplici, anche fino a 7. Di solito un organo di medie dimensioni
ne ha due, tre. Dalle quattro tastiere entriamo nell’ambito di strumenti di grandi dimensioni.
c. Somieri ( da soma=corpo): contenitori del vento (aria in pressione), che la distribuiscono
alle canne in conseguenza del comando ricevuto dalle leve dei testi. Sulla parte superiore sono
evidenti i fori sui quali si poggiano le canne.
d. il sistema trasmissivo, cioè il comando dal tasto alle canne:
1. meccanico: leve e catenacciature (collegamenti fatti di fili di metallo o di bacchettine di
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legno), dal tasto alla valvola sotto la canna
2. pneumatico: sistema di tubicini con aria compressa per trasmettere un
impulso
3. elettrico: su cavo telefonico, fibra ottica, che trasmette un impulso
trasformato in movimento da un elettromagnete
4. trasmissione mediante cavo seriale
5. elettronico, radiotrasmesso: mediante impulso che si serve di onde radio.
e. mantice: alimentazione del vento che si deposita in un grande contenitore dal quale
viene distribuito ai somieri e da questi alle canne distinte nei vari registri.
E’ opportuno ricordare che un organo a trasmissione meccanica ( in genere un
Positivo ), non va mai elettrificato: bisogna lasciarlo così come è.
Se un organo antico si trova in cantoria ( di solito in controfacciata ) lo si può
anche portare giù in navata, nei pressi del presbiterio, dove di solito canta il coro,
nelle vicinanze dell’assemblea.
Gli organi bastardi, poche canne vere ed il resto dei suoni prodotto
elettronicamente sono un bluff: costano un sacco di soldi e non servono a niente.
E’ saggio non spendere troppi soldi per un organo elettronico: non vale la pena.
Se proprio non si può fare diversamente, basta che abbia il minimo indispensabile:
due tastiere ed una pedaliera, se si ha un bravo organista. In fondo meglio un
bell’armonio ad ancia.
L’USO DELL’ORGANO NELLA LITURGIA
Lo strumento ha trovato ampio spazio nella liturgia cristiana della Chiesa occidentale di rito latino
per i seguenti motivi:
1. Può accompagnare il canto gregoriano (monodico=ad una sola voce) quando i cori
che cantano il gregoriano cominciano ad essere meno numerosi e le voci meno
preparate e più incerte.
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2. Si compongono canti non più derivati dal repertorio gregoriano (che di per sé
esclude l’accompagnamento strumentale) ma pensati per voce e strumento alla
stessa stregua dei repertori profani.
3. La complessità dello strumento consente di eseguire sia melodie dai suoni
dolcissimi sia solenni ed imponenti musiche di forte impatto sonoro che possano
riempire, con un solo strumento, gli spazi celebrativi a volte immensi dei luoghi di
culto: basiliche, cattedrali, chiese.
4. Più di qualsiasi altro strumento, l’organo riproduce la possibilità di “legare” i suoni
esattamente come può fare la voce umana e, per di più, non una sola voce ma
molte, a volte moltissime, tutte insieme, come un grande coro.
LE ORIGINI DELLA LITURGIA CRISTIANA IN CANTO DALLA PRASSI EBRAICA A
QUELLA CRISTIANA
Cronologia essenziale nell’ottica delle consuetudini musicali di Israele:
Patriarchi (XVIII-XVII secolo a.C.) – Periodo nomadico: canto del pozzo
Cattività ebraica in Egitto (XVII-XIII secolo a.C.)
Esodo e soggiorno nel Sinai (fine XIII secolo a.C.) ; grida collegate all’arca ed ai condottieri; canti di
vendetta e di vittoria
Conquista della Palestina (XII-XI secolo a.C.) Canti di guerra; canti celebrativi degli eroi; di
compianto funebre per l’eroe caduto; della vita agricola; della famiglia e del lavoro; canti rituali
(degli olocausti)
Monarchia (1030-933 a.C.) canti nella corte; del tempio
Regno d'Israele (933-722 a.C.)
Regno di Giuda (933-587 a.C.)
Esilio babilonese (587-538 a.C.) e diaspora, canti della nostalgia
Dominazione persiana (539-332 a.C.); ricostituzione del culto e corporazioni di musicisti
Dominazione ellenistica: i Maccabei (332-134 a.C.) la sinagoga, canto dei salmi
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Dinastia Asmonea (134-63 a.C.)
Dominazione/protettorato romano (dal 63 a.C.)
Saccheggio e distruzione del Tempio nel 70 d.C
Le istituzioni cultuali: il tempio.
Modellato sul tipo mesopotamico dove era il luogo della vita di sacerdoti, liturgisti,
matematici, astrologi che esercitavano attività cultuali e religiose ma anche culturali e
artistiche. In Gerusalemme i Cantori erano organizzati in corporazioni. Primo dei liturgisti era il
praecentor, colui che intonava la cantilena. I musicisti erano coristi e strumentisti. Le forme
musicali: salmi, litanie, responsori, antifone, lamentazioni. Gli strumenti: flauto, tamburo,
timpano, tamburello. Spesso una serie di salmi e canti veniva eseguita con una sola melodia
alternata con un solo ritornello per favorire la partecipazione. La melodia era fissa ed
immutabile, sacra, perché imitava la perfezione divina. Nel tempio la musica cerimoniale era
collegata con il sacrificio del mattino e della sera e con le festività liturgiche annuali. La musica
cerimoniale consisteva soprattutto nel canto della salmodia con accompagnamento di
strumenti a corda. Molti dei salmi appartengono al periodo pre-esilico. Canti di lode, canti di
supplica, canti penitenziali, canti di ringraziamento, canti processionali, canti di pellegrinaggio.
Alcuni salmi prevedono un interludio strumentale, il selah, tradotto in greco con diapsalma. Il
popolo interveniva spesso con acclamazioni: Amen, Alleluja, o con ritornelli come “eterna è la
sua misericordia”.
Dal Tempio alla Sinagoga
Con l’affermarsi della sinagoga e la progressiva scomparsa del tempio a causa degli eventi
bellici, avviene la trasformazione del sacrificio rituale in preghiera e si creano nuove tipologie
di canti:
tefillah (preghiera), berakhah (benedizione), hallel e shevah (lode), kedusha (dossologia)
Le ore dell’offerta del sacrificio nel tempio vengono sostituite con il solo ricordo dei sacrifici
rileggendo le prescrizioni che li regolavano e con aggiunta di preghiere, salmi, orazioni e
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benedizioni. Le forme musicali liturgiche della sinagoga si evolvono in due sensi: melodia e
lettura; il canto delle parti liriche della Scrittura e il canto delle parti in prosa.
La salmodia nel tempio e nella sinagoga poteva essere affidata a due semicori o a un cantore,
in forma antifonale o responsoriale con diversi gradi di combinazione. Dal Talmud babilonese
sappiamo che erano adottate le seguenti maniere di cantare:
a) Canto del salmo da parte del maestro di coro e ripetizione del primo emistichio da
parte dell’assemblea dopo ciascun verso in forma di responsorio fisso
b) Il maestro del coro intonava e l’assemblea ripeteva dopo di lui ogni verso; così si
insegnava nella scuola e si eseguiva la preghiera nel tempio e nella sinagoga.
c) Il maestro ed il coro cantavano a versi alternati
I Salmi, raccolti in un libro chiamato “tehillim” (libro delle lodi), poi, venivano prodotti su
diverse istanze:
a) Canti cultuali
b) Canti regali
c) Inni
d) Suppliche
e) Ringraziamento
f) Poesia sapienziale
Quando prevalse il canto solistico dei salmi si sviluppò la maggiore espansione della linea
melodica.
Le letture delle parti in prosa della Scrittura, diventarono necessariamente cantate perché pubbliche,
cioè rituali, ad alta voce ed in forma solenne. Questo sistema è utile per favorire la memoria. Il Talmud
babilonese scrive: “ non studiare la santa Scrittura senza melodia né la Mishnah senza canto”. La sobria
ornamentazione melodica mette in risalto la punteggiatura.
In Genesi 4,21 si ha una prima rudimentale classificazione degli strumenti musicali: a corda ed a fiato.
Yubal viene definito il padre di tutti i suonatori di cetra (kinnor) e di flauto (‘ugab). Vengono poi
menzionati i corni, come il sofar, corno di ariete detto anche Yovel o qeren o zachar. Ma si aggiungono
poi trombe, arpa (nebel), flauti e zufoli (halil), i piattini di bronzo (zilzal), i cimbali (selasal), le
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campanelle (pa’mon), i tamburelli (toph). I musicisti erano preparati in apposite scuole annesse al
tempio.
a. La proclamazione delle Scritture avviene mediante la CANTILLAZIONE
( elementare intonazione musicale) che nel culto cristiano è diventata TONO DI LEZIONE
con il quale il suddiacono, o lettore, ed il diacono cantavano l’epistola ed il vangelo
b. La SALMODIA. Con questo termine si intende sia l’insieme delle composizioni liriche ed
eucologiche, sia la maniera di intonarle. Insieme con i Salmi, si trovano i CANTICI,
composizioni dell’Antico Testamento redatte con la medesima tecnica del salmo.
c. La LITANIA, preghiera di supplica e di intercessione ripetuta più volte presente nelle
solennità ebraiche e trasposta nei riti cristiani con enunciazioni di solito del diacono e con
risposte brevi e sempre uguali dell’assemblea.
d. I RECITATIVI: sono di pertinenza di colui che presiede che recita orazioni, benedizioni, saluti
su moduli melodici concisi e semplici.
Dall’Ebraismo alla cultura ellenistica
La lingua ed il sistema musicale: dal sistema musicale antico e dai tre generi:
diatonico, cromatico, enarmonico, la Chiesa recepì soltanto il genere diatonico, ritenendo
gli altri poco adatti; ecco cosa scrive Clemente Alessandrino, Il Pedagogo, II, 4:
“ Bisogna accogliere le melodie gravi e decenti e ripudiare gli accordi effeminati che stordiscono i sensi, perché
il loro andamento dissonante conduce ad uno stile di vita fiacco. Si devono dunque bandire tutte quelle
melodie cromatiche e leggere che sono in uso nelle orge impudiche …”
I primi secoli:
a. E’ attestato fin da Colossesi 3,16 la prassi del canto che intona “ salmi, inni e cantici
spirituali “
b. Nel periodo patristico l’argomento riguardante la musica ed il canto nel culto è affrontato
di frequente sia per promuoverlo sia per esaminarne aspetti problematici: pratiche pagane
infiltratesi come orgie bacchiche, danze funebri, bizzarrie come l’episcopatus puerorum,
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consistente nell’intronizzazione di bambini e la loro venerazione come vescovi nel giorno
dei Santi Innocenti.
I Padri bandiscono gli strumenti compromessi con i culti pagani, in particolare il flauto, richiamo immediato
dei culti bacchici. Sono esaltate tutte le diversità che possano differenziare il canto cristiano dal canto dei
culti pagani. La Salmodia è indicata come eccellente pratica che favorisce la preghiera. In genere c’è riserva
sul canto delle donne, ma S. Ambrogio afferma che il
“ salmo è salutare in ogni età e si addice sia all’uomo sia alla donna”. In particolare con S. Agostino si
definisce il valore dello JUBILUS: un cantare senza parole, il vocalizzo che tenta di esprimere quanto,
altrimenti, non lo è. Il musico può giungere, con la sua voce, dove la riflessione, il pensiero, la speculazione,
non può arrivare. Lo Jubilus scorre come una cantilena senza testo e proprio per questo non dicendo niente
esprime tutto. Lo Jubilus ha lasciato profonda traccia nei graduali e negli alleluia. Ancora agostiniana è
l’intuizione del canto come momento di espressione della speranza sulle labbra dei credenti in pellegrinaggio
verso la Patria. Con questo viene introdotto il concetto di canto dell’escatologia cristiana: “ Ivi riposeremo e
riconosceremo, riconosceremo ed ameremo, ameremo e loderemo. Ecco ciò che avverrà nella fine senza fine “
( De Civitate Dei, liber 22, 30, 1 ). Sempre Agostino, in Enarr. In Ps: 148, 2, insiste “ Cantiano più che è
possibile l’Alleluja, di modo che meritiamo di cantarlo sempre in cielo: ivi sarà nostro cibo, nostra bevanda,
nostra quiete, gaudio pieno; sarà, cioè, la lode di Dio “
c. E’ molto oscura la prassi, però, adottata nella Chiesa dei primi secoli, per quanto riguarda
gli aspetti tecnici del canto nel culto. Il momento nel quale affiorano le numerosissime
melodie che vengono collocate nell’ambito del Canto Gregoriano, è come l’affiorare di un
fiume sotterraneo che improvvisamente si manifesta nel pieno del suo vigore attraverso i
codici che ne attestano vitalità e forza.
2. La grande epopea del Canto Gregoriano
Premessa: la regionalizzazione delle esperienze cultuali e musicali:
a. Canto romano antico, tra il sec. VIII ed il sec. XIII. Nell’incontro con il canto gallicano, in
epoca carolingia, diede origine al canto gregoriano.
b. Canto gallicano: in Francia dal sec. V fino al sec. VIII estintosi nello sforzo unificatore che
fuse il romano antico con esso nella ricerca di una liturgia omogenea nei territori di
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pertinenza franca. Alcune melodie vengono riconosciute nei manoscritti gregoriani più
antichi.
c. Canto ispanico o mozarabico – visigotico: dal repertorio molto ampio che indulge alla
melodia prolissa. Ancora oggi sono testi indecifrabili perché scritti in notazione in “ campo
aperto “, detta anche “ adiastematica “.
d. Ambrosiano, o milanese. Dal sec. II – III. E’ ancora in uso in circa 900 parrocchie della
diocesi di Milano, alcune di Bergamo, di Novara, di Lugano. Risente di stratificazioni ampie
tratte dal gallicano, dal gregoriano e bizantino, dall’aquileiese.
e. Aquileiese o patriarchino: è il più antico (dalla città patriarcale di Aquileia, nel nord-est
dell’Italia). E’ rimasto in uso fino al sec. XVI quando il patriarca Francesco Barbaro, nel
1594, stabiliva l’adozione del rito romano sia per l’ufficiatura sia per la messa. Ebbe un
ambito di influenza molto vasto da Como al Po, dalla Carinzia alla Dalmazia.
f. Beneventano – Cassinese (Diocesi di Benevento e abbazia di Montecassino e i monasteri
dipendenti ): massimo splendore nel sec. VII e breve durata nel tempo, sostituito dal canto
romano e tramandato in alcuni codici redatti tardivamente nei sec. XI – XIII.
3. Dai canti regionali al Canto Gregoriano
Canto Gregoriano: risultato della unificazione avvenuta in epoca carolingia tra canto
romano e canto gallicano. Ciò avviene in epoca nella quale è sconosciuta la notazione
scritta e, pertanto, la trasmissione del repertorio è affidata alla tradizione orale. Nel sec.
VIII troviamo solo i testi e non le melodie. Per queste si deve fare riferimento al sec. X
quando prendono forma i primi manoscritti con una notazione neumatica in campo aperto,
senza righi musicali, tale notazione è in termini tecnici definita ADIASTEMATICA. I periodi
nei quali viene fissata l’evoluzione del Canto Gregoriano ( Romano Gallicano ) sono: epoca
classica nei sec. VI - VIII
( nascita del repertorio ); epoca carolingia nei sec. IX – XII dalla intensa vitalità di
espansione e di inculturazione; epoca del decadimento nei sec. XII – XIX; epoca della
restaurazione col pontificato di Pio X.
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Il repertorio delle melodie gregoriane é suddivisibile in due grandi sezioni più una di
minore consistenza:
Il repertorio dei canti liturgici è articolato in:
a. Canti dell’Ordinarium Missae: complesso dei testi fissi e comuni a tutte le Messe:
Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei. Questo repertorio è contenuto nel Kyriale
Romanum:
b. Canti del Proprium Missae complesso dei testi variabili secondo i tempi e la natura
delle celebrazioni: Introito, Offertorio, Comunione, canti processionali e, dunque,
propri della Schola con forti accentuazioni ornate, di difficile accesso all’insieme dei
fedeli. Graduale ( Psalmus responsorius tra Epistola e Tratto), Alleluja, Tratto ( canto
interlezionale che sostituiva l’Alleluja nei tempi penitenziali e nei riti funebri ). Sono
canti del proprium anche le Prosae, le Sequentiae, i Tropi, i Versus, che sono il risultato
del grande fervore creativo che dall’epoca carolingia in poi (sec. VIII) esplose grazie allo
spazio concesso alla inventiva poetica e letteraria. Questo repertorio è contenuto nel
Graduale.
c. I canti dell’Ufficio ( Laus perennis, Ufficio divino ). Prassi, questa,
attestata dalle Costituzioni Apostoliche ( del sec. IV ma con fonti più antiche ) che fu
pratica dei monaci, dei Capitoli delle Cattedrali e imposta a tutta la Chiesa da San Pio
V nel 1568. Suddivisi in una serie di Ore che sono: Mattutino
( nelle ore notturne ), Lodi ( al sorgere del sole ), Prima ( alle 6 ), Terza ( alle 9 ), Sesta
(alle 12), Nona (alle 15) Vespri (al tramonto), Compieta (prima del riposo notturno). I
Canti che strutturano la singole Ore sono i Salmi ed i Cantici, dalla Scrittura; le
Antifone: brevi proposizioni che incorniciano il Salmo e ne riassumono il significato; gli
Inni, di struttura strofica e di carattere devozionale, illustrativo; Letture e Capitoli:
stralci di testi biblici per la meditazione; Responsori: canti con risposta che vogliono
prolungare la meditazione e la riflessione con l’aiuto di un testo lirico; Versetti ed
Orazioni. Questo repertorio è contenuto nell’Antifonale.
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d. Di minore consistenza sono i recitativi liturgici: formule melodiche semplici e
schematiche sulle quali vengono recitati ( ma in canto ) i testi dei: Saluti, Benedizioni,
Orazioni, Prefazi, Pater Noster, Embolismi, della Pace e la proclamazione delle Letture (
Epistola, Vangelo, Profezie, Capitoli ).
I Recitativi Liturgici sono per loro natura, quasi tutti di carattere solistico e, dunque,
di competenza dei ministri ( presbiteri, diaconi, salmisti ).
Struttura musicale dei Recitativi Liturgici è così fatta: Corda di recita ( tenor ) e
cadenze per cominciare, sospendere, terminare. I Recitativi Liturgici sono semplici o
solenni.
4. LEX ORANDI LEX CREDENDI
La Chiesa in ogni epoca dato grande attenzione alla musica nei riti ed ha sempre considerato
fondamentale il rapporto tra il celebrare ed il credere. Da qui l’attenzione posta all’argomento
musica e canto nella Liturgia da Papi, da Vescovi e dai Concili.
a. Papi: Damaso (366 – 383) “ constituit ut psalmi die noctuque canerentur per omnes ecclesias” (stabilì il modo
di cantare i salmi sia nel giorno sia nella notte)
Gregorio Magno (590 – 604) Avrebbe (sic!) selezionato e riunito in un unico Antifonario i canti allora
esistenti; avrebbe fondato la prima Schola Cantorum. E’ certo che non esistono documentazioni storiche che
attestino tutto ciò; è altrettanto certo, però, che egli ha organizzato una prassi già esistente dandole
precisione di compiti. La Schola Romana era costituita da sette cantori adulti ed un certo numero di ragazzi. I
cantori adulti erano così chiamati: Primicerius, Secondicerius e Tertius Scholae, e sono adulti solisti;
l’Archicantor, il direttore. La collocazione di questo gruppo di cantori era a semicerchio intorno all’altare (in
modum coronae circum aras ) poi nello spazio apposito (cfr.basilica di S. Sabina sull’Aventino in Roma ) su
due file contrapposte per l’esecuzione anti-fonica. La Schola venne soppressa il 13 giugno 1370 da Urbano V.
Ma era nata già ad Avignone la Cappella musicale pontificia.
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b. Concili ( tra il VI ed il IX secolo: Laodicea ( 343 – 381 ) condanna l’intrusione di laici nell’ufficio di cantore e
proibisce la composizione privata di salmi ed inni
(pericolo di eresie !), Toledo III ( 589 ), Magonza (813 ), Roma (853 ), Rouen (1235) condannano le danze nei
pressi di chiese e cimiteri e i canti di origine pagana. Il Concilio di Aquisgrana (816) fornisce indicazioni sia
artistiche sia spirituali ai cantori.
5. I PROTAGONISTI DEL CANTO. Gradualmente, nei riti della Chiesa occidentale di rito
latino, il popolo che partecipa non canta più.
La distanza in quei secoli tra la celebrazione dei riti ed il canto del popolo e la
partecipazione attiva dei fedeli ha diverse cause:
a. Riti e lingua che diventano incomprensibili, specialmente ai neoconvertiti
b. Fossilizzazione di cerimoniali e formule che diventano sempre più lontane dalla
cultura viva dei popoli
c. Melodie sempre più complesse, difficili, eccessivamente ornate di melismi e
quindi adatte soltanto ai cantori specialisti
Per sanare questi inconvenienti della totale assenza del popolo dal canto ci sarà l’ intervento di Carlo
Magno, 789: le due parti del Sanctus vengano cantate insieme dal celebrante e dal popolo;
intervento però inutile.
La partecipazione del popolo si sposta sulle devozioni private a lato della liturgia, nelle
confraternite, con l’idioma più accessibile ed i riti più comprensibili.
6. LO SVILUPPO SPECIALISTICO PROVOCA E GENERA LA POLIFONIA E LE CAPPELLE MUSICALI
Giovanni XXII, nel 1325, denuncia lo stato riprovevole nel quale si trova la musica
nella liturgia: “ I cantori, discepoli delle nuove mode ( si chiamerà Ars Nova il nuovo stile di canto che
a mano a mano si impone) … inebriano le orecchie e non recano guarigione; simulano con gesti esterni
quello che pronunciano; così si trascura quella devozione che si dovrebbe ricercare e si propaga quella
lascivia che si dovrebbe evitare”.
Dalle prime forme musicali polivoche si giunge alla grande epopea
Franco/fiamminga, dai meccanismi complicatissimi ed artificiosi. La reazione sarà
l’approdo alla Polifonia cinquecentesca, espressiva e comprensibile. Si consolida il
Contrappunto (punctum contra punctum – nota contro nota) e si organizza l’organico
vocale ideale: Cantus, Altus, Tenor, Bassus, con pochi elementi per ciascuna corda; le
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donne ne sono escluse e tali resteranno fino al Vaticano II. In quella concezione
liturgica e teologica, il cantore deve essere clericus, dunque maschio !!
La vecchia Schola muore e nasce la nuova istituzione: la Cappella Musicale, la cui
nascita è datata nel periodo avignonese ( 1305 – 1378 ). La corte pontifica si trova a
contatto con una cultura musicale diversa e strutturalmente più elaborata nella
polivocalità: si cantano gli Organa, i Discantus, i Mottetti e le Messe durante le
celebrazioni papali e perciò vengono chiamati a cantare degli specialisti che
costituiscono la prima cappella musicale.
Seguono altre fondazioni di Cappelle, presso i duchi di Borgogna ( 1384 ), la Sistina nel 1473; la Giulia
nel 1480, di Venezia, Milano, Napoli nel sec. XV, Mantova, Parma, Bergamo, Loreto, Padova
(Antoniana). Le Cappelle diventano laboratori di arte che si raffina sempre di più nel grandioso
repertorio liturgico con la polifonia vocale a cappella o concertata con gli strumenti. Il sistema delle
Cappelle si estenderà più modestamente, ma con uguale intensità, alle chiese minori, nei piccoli centri,
dominando tutta la scena liturgico/musicale del Settecento e dell’Ottocento. Ma la Cappella acquistò
anche il monopolio della musica nella liturgia e tolse ogni possibilità di partecipazione al popolo nel
canto. Il canto liturgico si specializza sempre di più e vengono elaborate tecniche compositive sempre
più raffinate, complicate ma anche di magnifico risultato artistico.
Lo splendore che deriva dalla specializzazione è dovuto:
- Alla tecnica perfezionata che si piega al servizio dell’espressione del testo
- La ricerca di profonda relazione tra testo e musica
- Alla forma della Messa, si aggiunge il Mottetto, forma creativa per
eccellenza: in esso si pone grande attenzione alla aderenza della musica al
testo e Orlando di Lasso e Giovanni Pierluigi da Palestrina sono i maggiori
autori; poi Responsori, Lamentazioni, Sequenze, Passioni.
Le specializzazioni provocano gruppi di èlite e questo provoca settorialismo, in tutti gli ambiti
dell’attività umana, anche nella musica e anche nella liturgia. Di conseguenza si svilupparono
maniere di cantare sempre più esclusive ma anche sempre più ricercate fino ad allontanarsi dal
vero scopo: cantare i testi della Liturgia. Spesso la Polifonia diventa così complicata da far risultare
incomprensibile il testo liturgico.
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I guasti della Musica nella liturgia furono oggetto di un breve e conciso intervento del Concilio di
Trento, nella sessione XXII, “De observandis et vitandis in celebratione Missae” ( 1562 ): “ I Vescovi
allontanino dalle chiese quelle musiche nelle quali, sia nell’organo sia nel canto, si mescoli qualcosa
di lascivo o impuro, così pure ogni azione estranea, le chiacchiere vane o quelle profane, il
muoversi, il baccano e le grida, di modo che la casa di Dio appaia e possa dirsi veramente casa di
preghiera
7. La musica a servizio dei sentimenti ispirati dalla Fede: il Canto per la liturgia
e il Canto per altri eventi religiosi
Mentre il CANTO LITURGICO è pensato per la Liturgia, i suoi riti, e, pertanto, è strutturato sia nel
testo sia, di conseguenza, nella musica, il CANTO RELIGIOSO, esprime i sentimenti che sbocciano
dalla fede: lode, adorazione, contemplazione. Il canto religioso è libero sia nei testi sui quali è
costruito, sia nelle forme musicali che non sono destinate ad un uso liturgico ma a situazioni
extraliturgiche: processioni, devozioni, pellegrinaggi, via Crucis, incontri di preghiera. Il CANTO
LITURGICO è, di conseguenza, fino alla introduzione delle lingue nazionali nella liturgia,
conseguente alla riforma liturgica che nasce dal Concilio Vaticano II, soltanto in lingua LATINA. Il
Canto Religioso, invece, per lo più è nella lingua parlata comunemente dalla gente e la sua
struttura è piuttosto semplice, facile da memorizzare ed eseguire. Questa letteratura, del CANTO
RELIGIOSO, ha una sua storia ed una sua evoluzione in Europa come in Italia. Si enunciano alcune
forme di canto religioso/devozionale:
1. La LAUDA MONODICA ( ad una sola voce ) italiana, francescana: canzone extraliturgica
fiorita in Italia tra il 1200 ed il 1700. Prima compagnia di laudesi, è a Siena nel 1267 presso
una chiesa domenicana. Regioni originarie sono la Toscana, l’Umbria, il Lazio e sboccia sulle
confraternite e terz’ordini laicali ispirati dai Francescani, Domenicani, Servi di Maria,
Flagellanti e Disciplinati. La struttura delle Laudi è di solito così fatta: il Solista che canta la
strofa e Tutti che cantano il ritornello, con accompagnamento possibile di qualche
strumento portatile.
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2. CANTIGAS DE SANTA MARIA, raccolta di oltre 400 composizioni vocali in lingua gallego-
portoghese ( Galizia e Portogallo ) attribuite ad Alfonso X il Saggio, re di Castiglia e Leon tra il
1252 ed il 1284. Hanno carattere marcatamente mariano.
3. Il NOEL, canto popolare natalizio inizialmente ispirato dai canti liturgici poi originale: usati in
chiesa, in casa, in comitive festose ma a volte anche in chiesa in contesti liturgici.
4. I GEISSLERLIEDER “ canti dei flagellanti “: dalla Polonia, si propagano in tutti i paesi di lingua
tedesca e poi raggiungono la Francia.
5. I MARIENLIEDER, canti mariani frutto del fervore devozionale mariano diffuso soprattutto dai
Benedettini e dai Cistercensi.
6. I CANTI SPIRITUALI: famosi tra questi quelli della mistica tedesca Ildegarda di Bingen ( 1098 –
1179 ) che in numero di 77 sono raccolti nella Symphonia armoniae coelestium revelationum.
7. I DRAMMI LITURGICI, paraliturgie popolari, rappresentazioni mimate e sceneggiate dei
misteri celebrati nell’anno liturgico, da Natale alla Pasqua, alla Vita Cristiana ed alle vite dei
santi. Sono in tre cicli: natalizio, pasquale e biblico/santorale. Erano redatti in lingua latina e
rappresentati, inizialmente, nelle chiese cattedrali e monastiche, dagli stessi monaci e chierici
che impersonavano tutti i ruoli, anche quelli femminili, con messe in scena e travestimenti
frutto di regie ben precise.
8. La LAUDA POLIFONICA o FILIPPINA cinquecentesca. Fiorita negli ambienti della controriforma
cattolica che privilegia la catechesi mediante la spirituale ricreazione. Gli oratori di S, Filippo
Neri ne sono la culla ovunque essi vengono creati. Il canto di queste laudi avveniva in un
contesto di preghiera ma la loro struttura era tale da facilitarne il canto anche nei momenti e
nei luoghi della vita quotidiana
9. I VILLANCICOS, in lingua castigliana, corrispettivo delle Laudi Polifoniche italiane, dal
carattere cordiale e quasi danzereccio, portati nei paesi sud americani di lingua spagnola.
10. Le MESSE TEDESCHE: sull’onda del decisivo intervento di Lutero nella liturgia riformata,
anche i Cattolici, nei paesi di lingua tedesca, adottarono la forma del Corale strofico in lingua
tedesca, addirittura sostituendo con esso le parti proprie e dell’ordinario della messa
cattolica
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8. La Musica ed il Canto nelle Chiese della Riforma
La Bibbia tradotta in tedesco e la esaltazione del canto come potente mezzo sia catechetico
sia liturgico, fanno di LUTERO un campione della intuizione profetica di far cantare il
popolo con i suoi mezzi, prassi che anticipava di alcuni secoli le analoghe iniziative della
Chiesa Cattolica. Trasformò il LIED religioso popolare nel simbolo stesso della fede
luterana: il CORALE, in tedesco Kirchenlied. Il Corale ha una precisa fisionomia: è il canto
basato su testi originali tedeschi a struttura strofica, con simmetrie ritmiche e melodiche,
capace di espressività immediata ed efficace. Il corale entrò di peso nella liturgia riformata,
amato e coltivato da tutti i fedeli, con un repertorio che si allargò a dismisura giungendo
fino a 5.000 corali nella edizione di Lipsia del 1697. Il Corale per organo, invece, è una
composizione che viene ispirata dalla melodia e dal testo del corale cantato dai fedeli e che
diventa, invece, una forma a se stante ( di solito un Preludio) di musica strumentale per
organo, appunto.
Lo schema della Deutsche Messe (la Messa tedesca) era il seguente:
Introito ( lied ) – Kyrie ( 3 volte ) – Colletta
Epistola – Lied al posto del Graduale – Vangelo
Credo parafrasato con un lied – Predicazione
Padre Nostro parafrasato in tedesco – Benedizione del pane e distribuzione – Benedizione
del vino e distribuzione con accompagnamento di canti in tedesco
Colletta – Benedicamus – Benedizione finale
Sono aboliti il Gloria, l’Offertorio, il Communio.
Quanto resta di liturgico nella Riforma è riferibile all’Ufficio ed è cantato nella domenica:
Mattutino (salmi, letture, predica ), Vespro ( corali tedeschi, salmi, Magnificat, predica ).
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A completamento del sermone veniva usata la Cantata ( detta anche Kirchenmusic ) che
completava e commentava il sermone. Solitamente la Cantata era divisa in due parti: la prima
dopo il Vangelo e la seconda dopo la predica. Era strutturata in arie, recitativi, cori, corali.
CALVINO, invece, non diede molto spazio alla musica ed alle arti in genere. Il suo motto era:“ La
sola Bibbia”! Utilizzò, di conseguenza soltanto i Salmi. Nacque il Salterio Calvinista ( o ginevrino ),
versificazione in francese dei 150 salmi biblici.
Il culto prevedeva: un Salmo all’inizio, poi prima del sermone, dopo il sermone e prima della
benedizione, e, infine, al termine del culto.
Nella Chiesa ANGLICANA, l’ordinamento liturgico prevedeva tre servizi:
1. Communion service ( ordinarium missae ): schort service nei giorni feriali e great service nei
giorni festivi.
2. Morning service, ufficiatura mattutina con Salmi, cantici ed orazioni.
3. Evening service, corrispondente al nostro Vespro/compieta.
La Chiesa Anglicana introdusse gradualmente nuove melodie nella liturgia: si continuò per lungo
tempo ad adottare melodie su testo latino nello stile polifonico cattolico classico, poi si introdusse
il corale dal luteranesimo e, dal calvinismo, i Salmi strofici (definiti metrical psalms ). La grande
musica trovò spazio ampio nella liturgia anglicana soprattutto nelle cattedrali e nei colleges (
Oxford, Cambridge … ) e sviluppò una forma musicale nata dal mottetto e diventata l’ANTHEM che
si tradusse in tutto e per tutto in una cantata per soli, coro, strumenti. Il Puritanesino di Cromwell
(viene definito Puritanesino il Calvinismo accolto in Inghilterra) diede una battuta d’arresto alla
musica accogliendo soltanto i Salmi nel culto. Il movimento di Oxford, nella metà del sec. XIX
contribuì efficacemente alla rifioritura del canto ecclesiastico in Gran Bretagna.
Il Melodramma e l’Oratorio furono due invenzioni musicali che contribuirono grandemente alla
rinascita del canto liturgico in Inghilterra.
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9. DA TRENTO AL VATICANO II: UNA PRIMA FASE TRA LUCI ED OMBRE
I problemi del canto liturgico prima del Concilio di Trento: a) uso di melodie e testi di madrigali e chansons
nei canti liturgici (definiti materiale lascivum et impurum) b) mancanza di corrispondenza tra musica e spirito
dell’azione liturgica. c) uso contemporaneo di testi profani e diversi insieme con quelli liturgici: politestualità. c)
l’organo sostituisce i cantori suonando le melodie che non vengono cantate. c) sostituzione di testi dell’Ordinarium
con altri: ad esempio in una Messa al posto dell’Et incarnatus est si canta l’antifona Oclavis David. e) uso della
tropatura, cioè inserzione di parole e di frasi a libera creazione al posto del testo liturgico f) incomprensibilità del testo
liturgico soffocato e mutilato a causa dell’uso di contrappunto complicato.
La riforma dei libri liturgici promossa dal Concilio di Trento, diede modo anche al canto liturgico di
rinnovarsi: i libri fornivano i testi da utilizzare per le musiche da cantare. Quei libri liturgici sono
stati in uso fino ai nostri giorni. Essi sono:
Missale Romanum, promulgato da San Pio V nel 1570 con la bolla Quo primum. Esso unifica le numerose liturgie
particolari di monasteri, ordini religiosi, cattedrali.
Pontificalis Ordinis Liber (Pontificale Romanum) esteso a tutta la Chiesa latina da Clemente VIII con la costituzione Ex
quo in Ecclesia Dei nel 1596: i riti e le formule riservate al vescovo.
Coeremoniale Episcoporum, promulgato da Clemente VIII nel 1600 che fornisce il quadro rituale nel quale si devono
svolgere le celebrazioni delle Cattedrali, delle Chiese abbaziali.
Rituale Sacramentorum Romanum (Rituale Romanum) che contiene i riti e le formule per i sacramenti ed i
sacramentali riservati ai presbiteri. Promulgato da Paolo V nel 1614 ma adottato lentamente per il rispetto di antiche e
venerande usanze regionali o nazionali.
Breviarium Romanum, riformato “secundum consuetudinem Romanae Curiae, promulgato da San Pio V con la bolla
Quod a nobis nel 1568.
Il tentativo di riforma dei libri liturgici di canto fallì: il Graduale (o Antifhonarium Missae) e l’Antifhonarium (o
Antifhonarium Officii) non fu mai realizzato. Il Concilio aveva stabilito che “melodia recte verbis aptetur”. Ma non fu
mai una vera e propria riedizione critica. Neanche l’Editio Medicea, limitata al solo Graduale, fu mai proposta come
editio tipica (edizione autentica).
In particolare si deve alla vigilanza ed all’accorta strategia pastorale di alcuni vescovi e alcuni
musicisti se in alcune regioni si ebbe uno sviluppo della musica per la Liturgia consono e degno.
Ricordiamo tre situazioni in particolare:
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a) SAN CARLO BORROMEO - E’ da segnalare, anche in questo campo, l’esperienza incisiva del grande vescovo
milanese. Era stato membro della commissione cardinalizia creata allo scopo da Pio IV nel 1564 per
l’attuazione della riforma della musica in chiesa. Laddove il Concilio tridentino non era entrato in dettagli, egli
lo fece con una serie di Sinodi Provinciali a partire dal 1565: si esigeva una grande severità nella scelta delle
musiche e nella composizione delle stesse, bandendo ogni bizzarria che, in particolare, rendesse il testo
cantato incomprensibile; si escludevano tutti gli strumenti dalla chiesa, tranne l’organo. Le disposizioni nate
dall’intervento di San Carlo, ebbero conseguenze durature, soprattutto nella diocesi lombarda e nelle diocesi
vicine.
b) G. P. da PALESTRINA – Composizioni per coro a cappella (senza strumenti); stile musicale sobrio con profonda
aderenza ai testi. Fu esemplare anche nei secoli successivi, fino al primo novecento, come stile
particolarmente adatto alla liturgia.
c) LO STILE VENEZIANO – E’ lo stile che ha influenzato più di tutti gli altri lo sviluppo della musica, anche di quella
sacra, per la sua raffinatezza, la sua libertà di inventiva, la sua seducente bellezza. Si ricordano: Adriano
Willaert, Gioseffo Zarlino, Giovanni Croce e, soprattutto, Andrea e Giovanni Gabrieli, tutti maestri di splendida
musica nella altrettanto sontuosa cornice di San Marco in Venezia che, è bene ricordare, non era la basilica
patriarcale ma la cappella ducale della massima autorità della Repubblica Serenissima, Il Doge. Pluralità di
cori, contrapposizione di strumenti come gli organi su due cantorie, l’uso di strumenti a volte a sostegno delle
voci ma progressivamente utilizzati autonomamente, sono le acquisizioni della musica veneziana.
Mentre la scelta milanese e lo stile romano della polifonia severa (senza artifici e,
soprattutto, con la intellegibilità del testo) rimanevano circoscritti, la lezione veneziana
introduceva ad un nuovo mondo musicale nel quale la polifonia veniva abbandonata a
favore della monodia, dunque del solismo: il cantore diventava cantante e tornava in
primo piano e, di conseguenza, assumeva le caratteristiche del solista. A ciò si aggiungeva il
gusto della monumentalità, la voglia di stupire: nasceva il concertismo con voci e
strumenti e questi ultimi si moltiplicavano fino a diventare orchestra e, di conseguenza, i
testi liturgici venivano appannati. Anche la musica in chiesa diventava teatrale.
IL VESPRO DELLA BEATA VERGINE MARIA di Claudio Monteverdi (1610) è una
composizione emblematica della distanza che si va prendendo, da parte della musica di
stile veneziano, dalle indicazioni del Concilio di Trento: il “gigantismo” vocale con salmi a
quattro e sei voci assume solennità mai viste, ma relega il canto salmodico del testo sullo
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sfondo; si introducono mottetti a una e due voci, con ampio dispiegamento di inventiva di melodie
impegnative, banco di prova per il virtuosismo dei cantanti ma non certo chiarezza del testo per gli
ascoltatori; gli strumenti cominciano a gareggiare con le voci in veri e propri concertati dando dei momenti di
insieme (voci e strumenti) di grande bellezza ma di nessuna funzionalità liturgica; si introducono dei veri e
propri arbìtri introducendo dei mottetti al posto delle antifone e testi in parte inventati insieme con quelli
liturgici e biblici; la durata di tutto questo non è più il tempo della preghiera del Vespro ma quello dell’ascolto
di un concerto.
La musica diventa una vera e propria invasione nell’aula ecclesiale che, a sua volta, si
avvicina al luogo del concerto. Tale gusto e prassi interesserà per lungo tempo l’Europa
intera e contaminerà anche l’area protestante. Il senso liturgico verrà a mano a mano perso
e consentirà degli sviluppi alla musica in chiesa che la porteranno, praticamente come fuori
dalla stessa. La funzionalità resterà un criterio dimenticato e favorirà la durata esagerata
delle composizioni. Contro tale situazione leverà la sua voce il grande Lodovico Muratori
(1627 – 1750) “… si ubbidiranno i zelanti Pastori della Chiesa di Dio, che tante volte hanno
sbandita quella musica, che da’ teatri è arditamente penetrata de’ Sacri Templi e quivi,
sotto il manto della devozione signoreggia, non ornando, ma infettando la gravità delle
divine lodi” (Della perfetta poesia, libro III, cap. V ). La situazione della musica liturgica
ricevette, in tal senso, un forte influsso, negativo per la funzionalità liturgica e pastorale, da
due forme musicali che, proprio a partire dagli inizi del 1600, come già in Inghilterra nella
Chiesa Anglicana, si imporranno in tutto il mondo occidentale: il melodramma e l’oratorio.
I Maestri di cappella rimangono condizionati dal gusto imperante nei teatri. Vi saranno
delle eccezioni che testimoniano di una tendenza opposta, semplificatrice: si comporranno
messe facili, alla portata di cantorie di piccole parrocchie; nell’area di lingua tedesca, si
compongono le Deutsche Messen, messe in lingua corrente.
Il SINFONISMO dominerà la musica di ispirazione sacra dei grandi centri, ma sarà musica
ineseguibile ed ineseguita nella maggior parte delle chiese; nei piccoli centri sopravviveva
un poco di gregoriano sbiascicato; i Tantum Ergo erano cantati sulle note delle più celebri
arie d’opera e gli organisti dovevano arrangiarsi con qualche devoto, ragazzo o adulto del
paese, per solennizzare le feste. Ma per gli eventi importanti agivano delle specie di
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agenzie che procuravano musicisti e cantori provenienti dai teatri della città, con qualche
strumento, e che riportavano all’organo mazurke e cavatine da opere, o le sinfonie di
Rossini come preludio alla messa solenne. Il gregoriano era assolutamente sconosciuto nei Seminari
come nelle Collegiate e nei Capitoli dei Canonici: agivano orchestre stonate e fragorose che coprivano le
parole con infinite ripetizioni. I fedeli erano diventati piuttosto una platea di un pubblico spettacolo. Finanche
l’organo, orgoglio e vanto delle comunità che impegnavano grandi risorse finanziare per costruirlo, diventava
l’occasione per ascoltare musica, sia sacra sia operistica: le sinfonie e le ouverture dei melodrammi che si
rappresentavano nei teatri, con le arie, i duetti, i terzetti, tutto veniva trasposto sull’organo, insieme con colpi
di tamburo e con le marce militari. Gli organi venivano costruiti anche per questo. E se ciò era ben lontano da
un autentico spirito liturgico, non bisogna dimenticare quanto sia stato, comunque, proprio l’organo, in
chiesa, mezzo di divulgazione per la gente semplice e povera delle città e dei piccoli centri, della grande
musica eseguita nei grandi teatri.
10. DA TRENTO AL VATICANO II: I PRIMI TENTATIVI DI RINASCITA
Il grande e dotto papa, Benedetto XIV dedicò addirittura un’enciclica alla Musica Sacra, la Annus
Qui, del 1749 in preparazione all’anno santo del 1750. Vi denuncia:
a. L’abbandono del gregoriano
b. La moda della musica sinfonica in chiesa
c. La trasposizione delle mode musicali teatrali nei testi liturgici
d. Il frastuono degli strumenti
e. La sciatteria delle celebrazioni liturgiche
f. La frettolosità del canto dell’Ufficio
e richiama, invece:
a. La priorità della voce umana, l’unica che può pregare ( non gli strumenti !)
b. La necessità di far comprendere i testi che si cantano
c. La ricerca di uno stile adeguato alla celebrazione liturgica
d. Il rifiuto di qualsiasi teatralità
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Per comprendere quanto è avvenuto con la riforma liturgica, anche per quanto riguarda la musica, promossa dal
Concilio Ecumenico Vaticano II, bisogna ricordare che agli inizi dell’Ottocento, gli studi di Ecclesiologia ebbero nuovo
impulso: si cominciò a studiare l’importanza del culto come anima vivificante della Chiesa, a sottolineare la Chiesa non
solo come società ma anche come comunità-popolo di Dio e si cominciò anche ad insistere per l’introduzione della
lingua corrente nella liturgia. Fu in qualche modo rifondato in Francia, dopo la distruzione avvenuta con la Rivoluzione
francese, l’Ordine Benedettino. L’Abate dom Guéranger acquistò nel 1833 l’antica abbazia di San Pietro in Solesmes
che era stata soppressa nel 1791. Da questa abbazia cominciò la rinascita degli studi e della pratica del Canto
Gregoriano. Il movimento liturgico fu vivo anche in Germania, in Belgio, in Inghilterra e da ultimo in
Italia. Nel 1870 nasce, dal basso, un movimento per il Canto Liturgico, in Germania: è
l’Associazione Ceciliana. Nel 1880 analoga Associazione Generale Italiana di Santa Cecilia nasce in
Italia ad opera di un dotto e sensibile sacerdote, don Guerrino Amelli.
Nel 1884 la Sacra Congregazione dei Riti, pubblica una “ Ordinatio quoad sacram musicam” dalla
quale si apprende che in chiesa si suonavano allegramente “ opere teatrali e pezzi ballabili di ogni
genere come: polke, valzer, mazurche, minuetti,, rondò, scottisch, varsoviennes, quadriglie, galop,
controdanze, e pezzi profani come inni nazionali, canzoni popolari, erotiche o buffe, romanze …”
11. DA TRENTO AL VATICANO II: L’INTERVENTO DECISIVO DI PIO X
Il 22 novembre 1903, festa di S. Cecilia, il Papa Pio X firma il Motu Proprio Inter Sollicitudines. Il
movimento avviato dalle associazioni tedesca ed italiana avevano maturato il frutto di un
documento, il Motu Proprio, che non stronca o elenca dei mali, ma, soprattutto, indica degli
obiettivi: il rapporto musica – liturgia è basato su tre qualità della prima: santità, bontà di forme,
universalità. Indica i modelli storici cui ispirarsi e da rinnovare, il gregoriano e la polifonia classica.
Indica delle disposizioni perché anche l’organo abbandoni le sinfonie e le arie d’opera ed assuma
uno stile più grave e severo. Il documento ha un pregio: è codice giuridico per la musica sacra e,
quindi, legge indiscutibile. Pone un obiettivo: che i fedeli prendano di nuovo parte più attiva alla
ufficiatura.
Parte da Pio X il movimento che porterà la pastorale liturgica a porre l’assemblea dei fedeli come
protagonista nella liturgia.
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Dal Motu Proprio di Pio X scaturiscono le edizioni, una dopo l’altra, dei libri di canto gregoriano riscoperto, rinnovato,
ristudiato con la collaborazione dei Benedettini di Solesmes ( Francia )
a. Kyriale, melodie dell’ordinario dell’Ordinarium Missae, nel 1905
b. Cantus Missae, istruzioni sul canto della messa, nel 1907
c. Graduale Romanum, le melodie del Proprium Missae nel 1907
d. Antiphonarium Romanum, i canti delle ore diurne dell’ufficio nel 1910
e negli anni successivi il famosissimo Liber Usualis, ampia antologia dei canti gregoriani della Messa
e dell’Officio.
Su decisione di San Pio X, animata e sostenuta dal p. Angelo De Santi S.J., fu aperta in Roma la Scuola Superiore di
Musica Sacra organizzata sul modello di quelle affermate di Ratisbona (Germania) e di Malines (Belgio), con la
collaborazione di maestri validissimi quali I.Schuster, L.Refice, D.Dobici, R.Casimiri. Questa Scuola diventerà il Pontificio
Istituto di Musica Sacra. Il movimento ceciliano, aveva dato delle indicazioni molto rigide alla musica liturgica
privilegiando in modo assoluto il Canto Gregoriano e la Polifonia. A dare una nuova anima alla musica liturgica fu il
maestro don Lorenzo Perosi (1872-1956) che riuscì a creare una nuova sintesi tra gli ideali del movimento ceciliano,
piuttosto rigidi e il bisogno di un linguaggio musicale fatto di cantabilità melodica, di vocalità facile ed accessibile
anche ai cori non specializzati, e con le sue composizioni contribuì fortemente al recupero dell’organo come
strumento liturgico per eccellenza.
Si era innescata un’attenzione per la musica sacra che avrebbe dato i suoi frutti abbondanti con l’
Istruzione della Sacra Congregazione dei Riti del 1955, Musicae Sacrae Disciplina, alla quale fece
seguito la riforma della Settimana Santa.
I limiti, in tanto fervore, furono quelli di illudersi che il gregoriano potesse essere cantato da tutto il popolo, di non
aver contribuito a creare un solido repertorio di canti liturgici in lingua corrente, di aver lasciato che le Scholae
monopolizzassero il canto liturgico riducendosi, spesso, a fare spettacolo o quasi. Era maturo il tempo del Vaticano
II.
Si tenga presente, però, il fatto che il canto e la musica della Chiesa è totalmente legato alla cultura musicale del Paese
nel quale si vive: se la scuola di quel Paese educa al canto ed alla musica e si comincia a cantare fin dalla scuola
dell’infanzia e si continua così fino all’università e se tutti gli scolari imparano a suonare, anche da dilettanti, uno
strumento, avremo un popolo cristiano che canta la sua fede con facilità e sa distinguere momenti e generi musicali. In
caso contrario possono nascere grandi difficoltà per il canto nella vita della Chiesa.
12. IL CANTO E LA MUSICA NEL CULTO DOPO IL VATICANO II
I documenti.
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Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963) Costituzione sulla sacra liturgia) dedica
all’argomento i nn.112 – 121
Musicam Sacram (Sacra Congregazione dei riti, 5 marzo 1967) Istruzione sulla musica
nella sacra liturgia: si ricollega alla Costituzione SC e considera gli sviluppi della
situazione in quegli anni del dopo concilio. Nove capitoli dedicati a tutti gli aspetti che
contemplano i soggetti ed i ministeri del canto e della musica e contengono delle
indicazioni sulla musica vocale e strumentale, sui repertori, sulla lingua.
Principi e norme per la Liturgia delle Ore (Sacra Congregazione per il culto divino, 11
aprile 1971): nn. 267 – 284, Il canto nell’ufficio divino.
Principi e norme per l’uso del Messale romano (Sacra Congregazione per il culto divino,
27 marzo 1975; terza edizione in lingua latina il 22 febbraio 2002): Il canto nella messa,
cc. II – VIII.
I concerti nelle chiese (Sacra Congregazione per il culto divino, 5 novembre 1987)
Lettera dedicata alla Musica nelle chiese al di fuori delle celebrazioni liturgiche.
Il canto delle celebrazioni liturgiche e il repertorio-base (Commissione episcopale per
la Liturgia, 20 febbraio 1979), nota introduttiva ad una prima indicazione di un
repertorio nazionale di base.
Repertorio Nazionale di canti per la liturgia, Premessa (Commissione episcopale per la
Liturgia, 6 gennaio 2000); Precisazioni (Ufficio Liturgico Nazionale, stessa data.
La Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia (nn. 34 e 21b) suggerisce
quali caratteristiche debbano avere i riti ed i segni all’interno della celebrazione: chiarezza, facilità,
nobile semplicità, opportuna brevità, comunitarietà. La musica rientra tra i segni liturgici. Eccoli ad
uno ad uno:
Facilità: si escludono quei repertori sproporzionati alla capacità di apprendimento e di esecuzione
di coro, assemblea, solisti. Ma questo non significa facilismo e appiattimento nell’abbandonare
ogni sforzo per avere qualità nel canto e nella musica.
Chiarezza: il testo deve essere sempre comprensibile, al posto giusto della celebrazione.
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Nobile semplicità: esclusione di ogni trionfalismo ed esibizionismo di abilità fine a se stessa; gli
interventi vanno dosati opportunamente sul ritmo e la natura della celebrazione e dei suoi
momenti rituali.
Opportuna brevità: esclusione di ogni eccessiva presenza di musica che alteri il ritmo dell’azione;
esclusione di ogni ripetizione inutile; brevità rapportata con l’età, con la capacità di attenzione e
concentrazione dei partecipanti.
Comunitarietà: la celebrazione non deve essere monopolio esclusivo di un gruppo di cantori, di un
solista o di uno o più strumenti. Bisogna favorire la partecipazione di tutti i componenti con una
saggia articolazione e distribuzione di ruoli e di servizi.
Dalla riforma della Liturgia avviata dal Concilio Vaticano II, scaturisce la necessità di considerare attentamente i generi
e le forme del canto liturgico. Padre Giovanni M. Rossi, camilliano, musicista, suggerisce di avvicinarsi al canto liturgico
impostando questo schema:
IN – SONANZA PER – SONANZA CON – SONANZA
IN – La Parola chiede di entrare in noi e diventare Parola IN-carnata. Perciò la Parola viene In-vocata. Invocazione :
supplica litanica; la forma musicale della supplica litanica è: Intenzione (elaborata) cantata dal solista + risposta
(semplice) cantata dalla collettività. Nella Messa il Kyrie, l’Agnus Dei, le orazioni dei fedeli L’invocazione, di supplica,
di penitenza = litania. Il grido di ammirazione, ringraziamento, giubilo = acclamazione deve avere la presenza del coro,
del solista e dell’assemblea e questa non dovrebbe mancare.
PER – La Parola che si è fatta in noi ci invita ad essere PER-sone. Persona, presso gli antichi greci era, nel teatro, la
“maschera” posta davanti al volto che faceva risuonare la voce perché fosse udibile da tutti gli spettatori, anche i più
lontani. La Parola ci chiede di essere noi stessi Voce di quella Parola che è in noi, eco della Parola che si è fatta carne.
Formule semplici limitate anche ad una sola parola (hosanna, alleluja …) oppure strutturate in forme più elaborate:
Sanctus … che hanno bisogno di essere eseguite collettivamente. Nella Messa l’acclamazione al Vangelo in quaresima,
l’alleluja, il tractus, l’amen, Deo gratias …Diventiamo servi della Parola, la proclamiamo nelle Letture PER gli altri =
recitativi.
CON – La Parola ci invita ad essere già qui nella comunione di amore della Trinità. Ci invita ad essere CON-sonanza. La
Parola viene per ciascuno e per tutti e ci abbraccia per farci essere speranza dell’armonia futura “…saremo simili a te”
e Dio sarà tutto in tutti. Affermiamo di essere già qui in comunione perché abbiamo risposto ad una chiamata che ci
ha CON-vocati = il canto corale, il canto processionale.
I diversi generi musicali sono tutti riconducibili a questi tre aspetti. Di conseguenza si comprende
come si deve eseguire il canto:
1. se è acclamazione, litania, invocazione, processione, corale, non può essere
solo canto del solista.
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2. Se è recitativo, proclamazione, non può essere del coro o dell’assemblea ma
deve essere del solista.
3. Se è corale, processionale, deve avere un carattere di comunione, di
assemblea; non può essere solo del Coro o solo del solista; non deve mai
essere assente l’assemblea.
Norme dettate dall’Ordinamento Generale del Messale Romano
riguardanti il canto e la musica nella celebrazione eucaristica
Coro e schola cantorum
103. Tra i fedeli esercita un proprio ufficio liturgico la schola cantorum o coro, il cui compito è
quello di eseguire a dovere le parti che le sono proprie, secondo i vari generi di canto, e
promuovere la partecipazione attiva dei fedeli nel canto. Quello che si dice della schola cantorum,
con gli opportuni adattamenti, vale anche per gli altri musicisti, specialmente per l’organista.
104.È opportuno che vi sia un cantore o maestro di coro per dirigere e sostenere il canto del
popolo. Anzi, mancando la schola, è compito del cantore guidare i diversi canti, facendo
partecipare il popolo per la parte che gli spetta.
105. Esercitano un servizio liturgico anche: a) Il sacrista, che prepara diligentemente i libri
liturgici, le vesti liturgiche e le altre cose che sono necessarie per la celebrazione della Messa b) Il
commentatore, che, secondo l’opportunità, rivolge brevemente ai fedeli spiegazioni ed esortazioni
per introdurli nella celebrazione e meglio disporli a comprenderla. Gli interventi del
commentatore siano preparati con cura, siano chiari e sobri. Nel compiere il suo ufficio, il
commentatore sta in un luogo adatto davanti ai fedeli, non però all’ambone c) Coloro che
raccolgono le offerte in chiesa d) Coloro che, in alcune regioni, accolgono i fedeli alla porta della
chiesa, li dispongono ai propri posti e ordinano i loro movimenti processionali.
Il posto della "schola cantorum" e degli strumenti musicali
312. La schola cantorum, tenuto conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo da
mettere chiaramente in risalto la sua natura: che essa cioè è parte della comunità dei fedeli e
svolge un suo particolare ufficio; sia agevolato perciò il compimento del suo ministero liturgico e
sia facilitata a ciascuno dei membri della schola la partecipazione sacramentale piena alla Messa.
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313. L’organo e gli altri strumenti musicali legittimamente ammessi siano collocati in luogo adatto,
in modo da poter essere di appoggio sia alla schola sia al popolo che canta e, se vengono suonati
da soli, possano essere facilmente ascoltati da tutti. È conveniente che l’organo venga benedetto
prima di esser destinato all’uso liturgico, secondo il rito descritto nel Rituale Romano.
In tempo d’Avvento l’organo e altri strumenti musicali siano usati con quella moderazione che
conviene alla natura di questo tempo, evitando di anticipare la gioia piena della Natività del
Signore.
In tempo di Quaresima è permesso il suono dell’organo e di altri strumenti musicali soltanto per
sostenere il canto. Fanno eccezione tuttavia la domenica Laetare (IV di Quaresima), le solennità e
le feste.
Importanza del canto
39. I fedeli, che si radunano nell'attesa della venuta del loro Signore, sono esortati dall'apostolo a
cantare insieme salmi, inni e cantici spirituali (Cf. Col 3,16). Infatti il canto è segno della gioia del
cuore (Cf. At 2,46). Perciò dice molto bene sant' Agostino: «Il cantare è proprio di chi ama»48, e
già dall'antichità si formò il detto: «Chi canta bene, prega due volte».
40. Nella celebrazione della Messa si dia quindi grande importanza al canto, ponendo attenzione
alla diversità culturale delle popolazioni e alle possibilità di ciascuna assemblea liturgica. Anche se
non è sempre necessario, per esempio nelle Messe feriali, cantare tutti i testi che per loro natura
sono destinati al canto, si deve comunque fare in modo che non manchi il canto dei ministri e del
popolo nelle celebrazioni domenicali e nelle feste di precetto.
Nella scelta delle parti destinate al canto, si dia la preferenza a quelle di maggior importanza, e
soprattutto a quelle che devono essere cantate dal sacerdote, dal diacono o dal lettore con la
risposta del popolo, o dal sacerdote e dal popolo insieme.
41. A parità di condizioni, si dia la preferenza al canto gregoriano, in quanto proprio della Liturgia
romana. Gli altri generi di musica sacra, specialmente la polifonia, non sono affatto da escludere,
purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica e favoriscano la partecipazione di tutti i fedeli.
Poiché sono sempre più frequenti le riunioni di fedeli di diverse nazionalità, è opportuno che
sappiano cantare insieme, in lingua latina, e nelle melodie più facili, almeno le parti dell'ordinario
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della Messa, specialmente il simbolo della fede e la preghiera del Signore.
Il silenzio
45. Si deve anche osservare, a suo tempo, il sacro silenzio, come parte della celebrazione54. La sua
natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l'atto
penitenziale e dopo l'invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o
l'omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione,
favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica.
Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia, nel luogo
dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e
nei giusti modi alla sacra celebrazione.
Canto all’inizio della messa: l’introito
47. Quando il popolo è radunato, mentre il sacerdote fa il suo ingresso con il diacono e i ministri, si
inizia il canto d'ingresso. La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla
celebrazione, favorire l'unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo
liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri.
48. Il canto viene eseguito alternativamente dalla schola e dal popolo, o dal cantore e dal popolo,
oppure tutto quanto dal popolo o dalla sola schola. Si può utilizzare sia l'antifona con il suo salmo,
quale si trova nel Graduale romanum o nel Graduale simplex, oppure un altro canto adatto
all'azione sacra, al carattere del giorno o del tempo, e il cui testo sia stato approvato dalla
Conferenza Episcopale.
Se all'introito non ha luogo il canto, l'antifona proposta dal Messale Romano viene letta o dai
fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o altrimenti dallo stesso sacerdote che può anche adattarla
a modo di monizione iniziale (Cf. n. 31).
Kyrie eleison
52. Dopo l'atto penitenziale ha sempre luogo il Kyrie eleison, a meno che non sia già stato detto
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durante l'atto penitenziale. Essendo un canto col quale i fedeli acclamano il Signore e implorano la
sua misericordia, di solito viene eseguito da tutti, in alternanza tra il popolo e la schola o un
cantore.
Ogni acclamazione viene ripetuta normalmente due volte, senza escluderne tuttavia un numero
maggiore, in considerazione dell'indole delle diverse lingue o della composizione musicale o di
circostanze particolari. Quando il Kyrie eleison viene cantato come parte dell' atto penitenziale,
alle singole acclamazioni si fa precedere un «tropo».
Gloria
53. Il Gloria è un inno antichissimo e venerabile con il quale la Chiesa, radunata nello Spirito Santo,
glorifica e supplica Dio Padre e l'Agnello. Il testo di questo inno non può essere sostituito con un
altro. Viene iniziato dal sacerdote o, secondo l'opportunità, dal cantore o dalla schola, ma viene
cantato o da tutti simultaneamente o dal popolo alternativamente con la schola, oppure dalla
stessa schola. Se non lo si canta, viene recitato da tutti, o insieme o da due cori che si alternano.
Lo si canta o si recita nelle domeniche fuori del tempo di Avvento e Quaresima; e inoltre nelle
solennità e feste, e in celebrazioni di particolare solennità.
Il Salmo responsoriale
61. Alla prima lettura segue il salmo responsoriale, che è parte integrante della Liturgia della
Parola e che ha grande valore liturgico e pastorale, perché favorisce la meditazione della parola di
Dio.
Il salmo responsoriale deve corrispondere a ciascuna lettura e deve essere preso normalmente dal
Lezionario.
Conviene che il salmo responsoriale si esegua con il canto, almeno per quanto riguarda la risposta
del popolo. Il salmista, quindi, o cantore del salmo canta o recita i versetti del salmo all'ambone o
in altro luogo adatto; tutta l'assemblea ascolta restando seduta, e partecipa di solito con il
ritornello, a meno che il salmo non sia cantato o recitato per intero senza ritornello. Ma perché il
popolo possa più facilmente ripetere il ritornello, sono stati scelti alcuni testi comuni di ritornelli e
di salmi per i diversi tempi dell'anno e per le diverse categorie di Santi. Questi testi si possono
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utilizzare al posto di quelli corrispondenti alle letture ogni volta che il salmo viene cantato. Se il
salmo non può essere cantato, venga proclamato nel modo più adatto a favorire la meditazione
della parola di Dio.
Al posto del salmo assegnato nel Lezionario si può cantare o il responsorio graduale tratto dal
Graduale romanum, oppure un salmo responsoriale o alleluiatico dal Graduale simplex, così come
sono indicati nei rispettivi libri.
L'acclamazione prima della lettura del Vangelo
62. Dopo la lettura che precede immediatamente il Vangelo, si canta l' Alleluia o un altro canto
stabilito dalle rubriche, come richiede il tempo liturgico. Tale acclamazione costituisce un rito o
atto a sé stante, con il quale l'assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare
nel Vangelo e con il canto manifesta la propria fede. Viene cantato da tutti stando in piedi, sotto la
guida della schola o del cantore, e se il caso lo richiede, si ripete; il versetto invece viene cantato
dalla schola o dal cantore.
a) L'Alleluia si canta in qualsiasi tempo, tranne in Quaresima. I versetti si scelgono dal Lezionario
oppure dal Graduale.
b) In tempo di Quaresima, al posto dell'Alleluia si canta il versetto posto nel Lezionario prima del
Vangelo. Si può anche cantare un altro salmo o tratto, come si trova nel Graduale.
63. Quando vi è una sola lettura prima del Vangelo:
a) nel tempo in cui si canta l'Alleluia, si può utilizzare o il salmo alleluiatico, oppure il salmo e
l'Alleluia con il suo versetto,
b) nel tempo in cui non si canta l'Alleluia, si può eseguire o il salmo e il versetto prima del Vangelo
o il salmo soltanto.
c) l'Alleluia e il versetto prima del Vangelo, se non si cantano, si possono tralasciare.
64. La Sequenza, che, tranne nei giorni di Pasqua e Pentecoste, è facoltativa, si canta prima
dell'Alleluia.
68. Il simbolo deve essere cantato o recitato dal sacerdote insieme con il popolo nelle domeniche
e nelle solennità; si può dire anche in particolari celebrazioni più solenni.
Se si proclama in canto, viene intonato dal sacerdote o, secondo l'opportunità, dal cantore o dalla
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schola; ma viene cantato da tutti insieme o dal popolo alternativamente con la schola. Se non si
canta, viene recitato da tutti insieme o a cori alterni.
Il Canto alla presentazione dei doni
74. Il canto all'offertorio (Cf. n. 37, b) accompagna la processione con la quale si portano i doni;
esso si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull'altare. Le norme che regolano
questo canto sono le stesse previste per il canto d'ingresso (Cf. n. 48).
È sempre possibile accompagnare con il canto i riti offertoriali, anche se non si svolge la
processione con i doni.
79. Gli elementi principali di cui consta la Preghiera eucaristica si possono distinguere come
segue:
a) L'azione di grazie (che si esprime particolarmente nel prefazio): il sacerdote, a nome di tutto il
popolo santo, glorifica Dio Padre e gli rende grazie per tutta l'opera della salvezza o per qualche
suo aspetto particolare, a seconda della diversità del giorno, della festa o del Tempo.
b) L'acclamazione: tutta l'assemblea, unendosi alle creature celesti, canta il Santo. Questa
acclamazione, che fa parte della Preghiera eucaristica, è proclamata da tutto il popolo col
sacerdote.
Il Canto alla frazione del pane
83. ( … ) Abitualmente l'invocazione Agnello di Dio viene cantata dalla schola o dal cantore, con la
risposta del popolo, oppure la si dice almeno ad alta voce. L'invocazione accompagna la frazione
del pane, perciò la si può ripetere tanto quanto è necessario fino alla conclusione del rito. L'ultima
invocazione termina con le parole dona a noi la pace
Il Canto alla comunione
86. Mentre il sacerdote assume il Sacramento, si inizia il canto di Comunione: con esso si esprime,
mediante l'accordo delle voci, l'unione spirituale di coloro che si comunicano, si manifesta la gioia
del cuore e si pone maggiormente in luce il carattere «comunitario» della processione di coloro
che si accostano a ricevere l'Eucaristia. Il canto si protrae durante la distribuzione del Sacramento
ai fedeli. Se però è previsto che dopo la Comunione si esegua un inno, il canto di Comunione
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s'interrompa al momento opportuno.
Si faccia in modo che anche i cantori possano ricevere agevolmente la Comunione.
87. Per il canto alla Comunione si può utilizzare o l'antifona del Graduale romanum, con o senza
salmo, o l'antifona col salmo del Graduale simplex, oppure un altro canto adatto, approvato dalla
Conferenza Episcopale. Può essere cantato o dalla sola schola, o dalla schola o dal cantore insieme
col popolo.
Se invece non si canta, l'antifona alla Comunione proposta dal Messale può essere recitata o dai
fedeli o da alcuni di essi o dal lettore, altrimenti dallo stesso sacerdote dopo che questi si è
comunicato, prima di distribuire la Comunione ai fedeli.
88. Terminata la distribuzione della Comunione, il sacerdote e i fedeli, secondo l'opportunità,
pregano per un po' di tempo o in silenzio. Tutta l'assemblea può anche cantare un salmo, un altro
cantico di lode o un inno.
Divieto di alterare o sostituire i testi dell’Ordinario della Messa
366. Ai canti stabiliti nell'ordinario della Messa, come ad esempio l'Agnello di Dio, non si possono
sostituire altri canti. ( si vorrebbe dire, ma è stato espresso in modo inesatto “ ai testi dei canti …”)
Alcuni stralci dell’Istruzione Musicam Sacram – 5 marzo 1967
… ma le nuove norme circa l’ordinamento dei riti e la partecipazione attiva dei fedeli hanno suscitato alcune difficoltà
riguardanti la musica sacra e il suo compito ministeriale
… non si propone di raccogliere tutta la legislazione sulla musica sacra, ma soltanto di fissare le norme principali che
sembrano più necessarie in questo momento.
Musica sacra è quella che, composta per la celebrazione del culto divino, è dotata di santità e bontà di forme.
Sotto la denominazione di Musica sacra si comprende, in questo documento: il canto gregoriano, la polifonia sacra
antica e moderna nei suoi diversi generi, la musica sacra per organo e altri strumenti legittimamente ammessi nella
Liturgia, e il canto popolare sacro, cioè liturgico e religioso.
… si rispetti il senso e la natura propria di ciascuna parte e di ciascun canto. Per questo è necessario in particolare che
le parti, che di per sé richiedono il canto, siano di fatto cantate, usando tuttavia il genere e la forma richiesti dalla loro
natura.
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... nello scegliere le parti da cantarsi si cominci da quelle che per loro natura sono di maggiore importanza: prima di
tutto quelle spettanti al sacerdote e ai ministri, cui deve rispondere il popolo, o che devono essere cantate dal
sacerdote insieme con il popolo; si aggiungano poi gradualmente quelle che sono proprie dei soli fedeli o della sola
«schola cantorum».
9. Nello scegliere il genere di musica sacra, sia per la «schola cantorum» che per i fedeli, si tenga conto delle possibilità
di coloro che devono cantare. La Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche nessun genere di musica sacra, purché
corrisponda allo spirito dell’azione liturgica e alla natura delle singole parti, e non impedisca una giusta partecipazione
dei fedeli[8]
… In esse hanno un posto particolare, per il sacro ordine ricevuto, il sacerdote e i suoi ministri; e, per l’ufficio che
svolgono, i ministranti, il lettore, il commentatore e i membri della «schola cantorum».
… (la partecipazione) deve però essere anche esterna: e con questa manifestano la partecipazione interna attraverso i
gesti e l’atteggiamento del corpo, le acclamazioni, le risposte e il canto.
Si educhino inoltre i fedeli a saper innalzare la loro mente a Dio attraverso la partecipazione interiore, mentre
ascoltano ciò che i ministri o la «schola» cantano.
Pertanto la partecipazione attiva di tutto il popolo, che si manifesta con il canto, si promuova con ogni cura, seguendo
questo ordine:
a) Comprenda prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e alle preghiere litaniche;
inoltre le antifone e i salmi, i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici.
… Si potrà tuttavia affidare alla sola «schola» alcuni canti del popolo, specialmente se i fedeli non sono ancora
sufficientemente istruiti, o quando si usano composizioni musicali a più voci, purché il popolo non sia escluso dalle
altre parti che gli spettano.
Ma non è da approvarsi l’uso di affidare per intero alla sola «schola cantorum» tutte le parti cantate del «Proprio» e
dell’« Ordinario», escludendo completamente il popolo dalla partecipazione nel canto.
È degno di particolare attenzione, per il servizio liturgico che svolge, il «coro» o «cappella musicale» o «schola
cantorum».
A seguito delle norme conciliari riguardanti la riforma liturgica, il suo compito è divenuto di ancor maggiore rilievo e
importanza: deve infatti curare l’esecuzione esatta delle parti sue proprie, secondo i vari generi di canto, e favorire la
partecipazione attiva dei fedeli nel canto.
Pertanto:
a) un « coro» o una «cappella musicale» o una « schola cantorum» si abbia e si promuova con cura, specialmente
nelle cattedrali e nelle altre chiese maggiori, nei seminari e negli studentati religiosi
b) «scholae», benché modeste, è opportuno siano istituite anche presso le chiese minori
Tuttavia i maestri di quelle «scholae» e i rettori delle chiese si curino che i fedeli possano sempre associarsi al canto,
almeno nell’esecuzione delle parti più facili che loro spettano.
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22. La «schola cantorum», secondo le legittime consuetudini dei vari paesi e le diverse situazioni concrete, può esser
composta sia di uomini e ragazzi, sia di soli uomini o di soli ragazzi, sia di uomini e donne, ed anche, dove il caso
veramente lo richieda, di sole donne.
23. La «schola cantorum», tenendo conto della disposizione di ogni chiesa, sia collocata in modo che:
a) chiaramente appaia la sua natura: che essa cioè fa parte dell’assemblea dei fedeli e svolge un suo particolare ufficio;
b) sia facilitata l’esecuzione del suo ministero liturgico
c) sia assicurata a ciascuno dei suoi membri la comodità di partecipare alla Messa nel modo più pieno, cioè attraverso
la partecipazione sacramentale.
Quando poi la «schola cantorum» comprenda anche donne, sia posta fuori del presbiterio.
È bene che il sacerdote e i ministri di ogni grado uniscano la propria voce alla voce di tutta l’assemblea nelle parti
spettanti al popolo[21].
9.Il primo grado comprende:
a) nei riti d’ingresso:
— il saluto del sacerdote celebrante con la risposta dei fedeli;
— l’orazione;
b) nella liturgia della parola:
— le acclamazioni al Vangelo;
c) nella liturgia eucaristica:
— l’orazione sulle offerte;
— il prefazio, con il dialogo e il Sanctus;
— la dossologia finale del Canone;
— il Pater noster con la precedente ammonizione e l’embolismo:
— il Pax Domini;
— l’orazione dopo la comunione;
— le formule di congedo.
30. Il secondo grado comprende:
a)il Kyrie, il Gloria e l’Agnus Dei;
b)il Credo;
c)l’orazione dei fedeli.
31. Il terzo grado comprende:
a) i canti processionali d’ingresso e di comunione;
b) il canto interlezionale dopo la lettura o l’epistola;
c) l’Alleluia prima del vangelo;
d) il canto dell’offertorio;
e) le letture della sacra Scrittura, a meno che non si reputi più opportuno proclamarle senza canto.
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33. È bene che l’assemblea partecipi, per quanto è possibile, ai canti del «Proprio»; specialmente con ritornelli facili o
forme musicali convenienti.
Fra i canti del «Proprio» riveste particolare importanza il canto interlezionale in forma di graduale o di salmo
responsoriale. Esso, per sua natura, fa parte della liturgia della parola; si deve perciò eseguire mentre tutti stanno
seduti e in ascolto e anzi, per quanto è possibile, con la partecipazione dell’assemblea.
Il Credo, essendo la formula di professione di fede, è preferibile che venga cantato da tutti, o in un modo che permetta
una adeguata partecipazione dei fedeli.
— Il Sanctus, quale acclamazione finale del prefazio, è preferibile che sia cantato, ordinariamente da tutta
l’assemblea, insieme al sacerdote.
— L’Agnus Dei può essere ripetuto quante volte è necessario, specialmente nella celebrazione, durante la frazione del
Pane. E bene che il popolo partecipi a questo canto, almeno con l’invocazione finale.
35. È conveniente che il Pater noster sia cantato dal popolo insieme al sacerdote[22]. Se è cantato in latino, si usino le
melodie approvate già esistenti; se si canta in lingua volgare, le melodie devono essere approvate dalla competente
autorità territoriale.
36. Nulla impedisce che nelle Messe lette si canti qualche parte del «Proprio» o dell’« Ordinario». Anzi ta lvolta si
possono usare anche altri canti all’inizio, all’offertorio, alla comunione e alla fine della Messa: non è però sufficiente
che siano canti «eucaristici», ma devono convenire con quel particolare momento della Messa, con la festa o con il
tempo liturgico.
È bene che essi cantino almeno qualche parte dell’Ufficio divino e in particolare le Ore principali, cioè le Lodi e i Vespri,
soprattutto la domenica e i giorni festivi.
Anche altri chierici che per ragione di studio fanno vita in comune, o vengono a trovarsi insieme in occasione di esercizi
spirituali o di altri convegni, santifichino opportunamente i loro incontri con la celebrazione in canto di alcune parti
dell’Ufficio divino.
38. Nella celebrazione in canto dell’Ufficio divino, fermi restando il diritto vigente per coloro che sono obbligati al coro
e ogni indulto particolare, può ammettersi il principio della solennizzazione progressiva: si possono cioè cantare quelle
parti che per loro natura sono più direttamente destinate al canto, come i dialoghi, gli inni, i versetti, i cantici, e
recitare le altre.
Alcune celebrazioni dei Sacramenti e dei Sacramentali che hanno particolare importanza nella vita dell’intera comunità
parrocchiale, come la Cresima, le Sacre Ordinazioni, il Matrimonio, la Consacrazione di una chiesa o di un altare, le
esequie, ecc., per quanto è possibile, si svolgano in canto, in modo che anche la solennità del rito contribuisca ad una
maggiore efficacia pastorale. Si abbia però molta cura nell’evitare che, sotto le apparenze della solennità, si introduca
nelle celebrazioni alcunché di puramente profano o di meno conveniente al culto divino: ciò si applica specialmente alla
celebrazione dei matrimoni.
Nelle sacre celebrazioni della parola di Dio[27] si prenderà come esempio la liturgia della Parola della Messa[28]; nei
pii e sacri esercizi saranno di grande utilità specialmente i salmi, le opere di musica sacra tratte dal repertorio antico e
moderno, i canti religiosi popolari e il suono dell’organo e di altri strumenti più caratteristici. Inoltre in questi pii e sacri
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esercizi e specialmente nelle sacre celebrazioni della Parola di Dio, si possono benissimo ammettere anche alcune
opere musicali le quali, benché non abbiano più posto nella liturgia, possono tuttavia nutrire lo spirito religioso e
favorire la meditazione dei misteri sacri[29].
47. A norma della Costituzione sulla sacra Liturgia, «l’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, venga conservato
nei riti latini»[30]. Dato però che «non di rado l’uso della lingua volgare può riuscire di grande utilità per il popolo»[31],
« spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, decidere circa l’adozione e la misura della lingua volgare.
Tali decisioni devono essere approvate o ratificate dalla Sede Apostolica»[32].
Perciò, nel pieno rispetto di queste norme, si sceglierà la forma di partecipazione che meglio risponde alle possibilità
di ciascuna assemblea.
Curino i pastori d’anime che, oltre che in lingua volgare, «i fedeli sappiano recitare e cantare insieme , anche in lingua
latina, le parti che loro spettano dell’Ordinario della Messa»
50. Nelle azioni liturgiche in canto celebrate in lingua latina:
a) Al canto gregoriano, come canto proprio della liturgia romana, si riservi, a parità di condizioni, il primo posto[34]. Le
melodie esistenti nelle edizioni tipiche si usino nel modo più opportuno.
b) «Conviene inoltre che si prepari un’edizione che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese minori»
c) Le composizioni musicali di altro genere, a una o più voci, appartenenti al patrimonio tradizionale, o contemporanee,
siano tenute in onore, si incrementino e si eseguano secondo la possibilità[36].
51. Inoltre, tenendo presenti le condizioni dell’ambiente, l’utilità pastorale dei fedeli e la natura di ogni lingua, vedano
i pastori di anime se — oltre che nelle azioni liturgiche celebrate in latino — parti del patrimonio di musica sacra,
composta nei secoli precedenti per testi in lingua latina, possano usarsi anche nelle celebrazioni fatte in lingua
volgare. Niente infatti impedisce che in una stessa celebrazione si cantino alcune parti in un’altra lingua.
54. Nel tradurre in volgare le parti che dovranno essere musicate, e specialmente i salmi, gli esperti abbiano cura che
nel testo volgare siano opportunamente congiunte e la fedeltà al testo latino e l’adattabilità al canto: in questo lavoro,
tengano conto della natura e delle leggi di ciascuna lingua e dell’indole e delle caratteristiche di ogni popolo. Tutto
questo complesso di dati, insieme alle leggi della musica sacra, abbiano ben presente anche i musicisti nel preparare le
nuove melodie.
58. Le Conferenze Episcopali interessate facciano in modo che ci sia un’unica traduzione per ogni lingua parlata in più
regioni. E pure conveniente che ci siano, per quanto è possibile, una o più melodie comuni per le parti che spettano al
sacerdote celebrante e ai ministri e per le risposte e le acclamazioni del popolo; e ciò per favorire la partecipazione
comune dei fedeli di una stessa lingua.
62. Gli strumenti musicali possono essere di grande utilità nelle sacre celebrazioni, sia che accompagnino il canto sia
che si suonino soli. «Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il
cui suono è in grado di aggiungere una notevole grandiosa solennità alle cerimonie della Chiesa e di elevare
potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti.
63. Nel permettere l’uso degli strumenti musicali e nella loro utilizzazione si deve tener conto dell’indole e delle
tradizioni dei singoli popoli. Tuttavia gli strumenti che, secondo il giudizio e l’uso comune, sono propri della musica
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profana, siano tenuti completamente al di fuori di ogni azione liturgica e dai pii e sacri esercizi[44]. Tutti gli strumenti
musicali, ammessi al culto divino, si usino in modo da rispondere alle esigenze dell’azione sacra e servire al decoro del
culto divino e alla edificazione dei fedeli.
64. L’uso di strumenti musicali per accompagnare il canto, può sostenere le voci, facilitare la partecipazione e rendere
più profonda dell’assemblea. Tuttavia il loro suono non deve coprire le voci, rendendo difficile la comprensione del
testo; anzi gli strumenti musicali tacciano quando il sacerdote celebrante o un ministro, nell’esercizio del loro ufficio,
proferiscono ad alta voce un testo loro proprio.
65. Nelle Messe cantate o lette si può usare l’organo, o altro strumento legittimamente permesso per accompagnare il
canto della «schola cantorum» e dei fedeli; gli stessi strumenti musicali, soli, possono suonarsi all’inizio, prima che il
sacerdote si rechi all’altare, all'offertorio, alla comunione e al termine della Messa.
Questa Istruzione è stata approvata dal Santo Padre Paolo VI, nell’udienza concessa a Sua Eminenza il Cardinale
Arcadio M. Larraona, Prefetto di questa Sacra Congregazione, il 9 febbraio 1967. Il Santo Padre l’ha pure confermata
con la sua autorità, ed ha ordinato che fosse pubblicata, fissandone l’entrata in vigore per il giorno 14 maggio 1967,
domenica di Pentecoste. Nonostante qualsiasi disposizione in contrario.
Roma, 5 marzo 1967, domenica «Laetare», quarta di Quaresima.
GIACOMO card. LERCARO
arcivescovo di Bologna,
Presidente del «Consilium» per l’attuazione
della Costituzione sulla sacra Liturgia
ARCADIO M. card. LARRAONA
Prefetto della S. C. R.
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Canto Gregoriano, Urban Saronno, 2003
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Roma 2000
Rainoldi F., Sentieri della Musica Sacra – dall’Ottocento al Concilio Vaticano II –
Documentazione su ideologie e prassi, CLV Edizioni Liturgiche Roma, 1996
Rainoldi F., Psallite sapienter – note storico liturgiche e riflessioni pastorali sui canti della
messa e della liturgia delle ore, CLV Edizioni Liturgiche Roma, 2008
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