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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PERUGIA
FACOLTÁ DI FARMACIA
Corso di Laurea Specialistica in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche
Dipartimento di Chimica e Tecnologia del Farmaco e
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche
TESI DI LAUREA SPERIMENTALE
MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI UN METODO DI SCREENING IMMUNOENZIMATICO PER LA
DETERMINAZIONE DI RESIDUI DI CHINOLONICI IN TESSUTI ANIMALI
OPTIMIZATION AND VALIDATION OF AN
IMMUNOENZYMATIC SCREENING METHOD FOR THE RESIDUES DETERMINATION OF QUINOLONES IN
ANIMAL TISSUES
Laureanda: Relatori: Valeria Di Girolamo Prof.ssa Luana Perioli Dott.ssa Roberta G alarini
Anno Accademico 2007-2008
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I-PARTE GENERALE
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1. I CHINOLONI
1.1. Introduzione
I chinoloni sono una classe di farmaci antimicrobici di origine sintetica nati in
seguito alla scoperta casuale di un prodotto secondario della sintesi della
clorochina (antimalarico) che possedeva una modesta attività nei confronti dei
batteri Gram negativi. Il primo ad essere sintetizzato fu l’acido nalidissico che
nel 1963 fu introdotto in terapia come chemioterapico delle vie urinarie. Il suo
uso, tuttavia, è andato via via declinando a causa del limitato spettro d’azione e
dei problemi di resistenza batterica [I].
L’acido nalidissico, oggi, non è più utilizzato in terapia ma alcune sue modifiche
strutturali hanno determinato la sintesi di composti che presentano un notevole
incremento dell’attività antimicrobica, un ampliamento dello spettro di azione e
una riduzione dei fenomeni di resistenza acquisita, parallelamente ai minori
effetti collaterali indesiderati. Si è quindi assistito alla sintesi di ben tre
generazioni di chinoloni [II].
Dal punto di vista chimico, la struttura base dei chinoloni è quella di un
eterociclico aromatico con anelli condensati e un gruppo chetonico in posizione
4. La maggior parte dei chinoloni presenta un solo atomo di azoto in posizione 1
(chinoline), ma alcuni possiedono due atomi di azoto in posizione 1 e 8
(naftiridine) o, ancora, tre atomi di azoto in posizione 1, 3 e 8 (piridopirimidine),
come riportato in Figura 1. Inoltre va sottolineato che in posizione 3 è sempre
presente il gruppo carbossilico che ha un ruolo fondamentale per le proprietà
farmacologiche dei chinoloni [I, II].
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Figura 1- Nomenclatura dei chinoloni
(da Corelli F. e Pasquini S. “Antibatterici chinolonici” http://www.farm.unisi.it/~corelli/Antibatterici _chinolonici.pdf)
Tutti i chinoloni hanno in comune un identico meccanismo d’azione,
caratterizzato dall’inibizione della subunità A della DNA-girasi batterica, nonché
una resistenza batterica esclusivamente di tipo cromosomico e alcuni effetti
indesiderati simili (fototossicità, neuro tossicità e tossicità cartilaginea) [I].
Siccome alcuni di questi farmaci sono impiegati nel settore zootecnico [I], la
presenza di loro residui negli alimenti di origine animale è stata regolamentata a
livello comunitario e sono stati fissati dei limiti massimi di residui (LMR) nel
Regolamento 2377/90(1). Per questo motivo, infatti, la loro ricerca nei tessuti di
alcune specie animali, nelle uova e nel latte è contemplata nei Piani di
monitoraggio dei residui effettuati in conformità alle normative dell’Unione
Europea (UE) [III].
1 Regolamento 2377/90 del 26 giugno 1990 che definisce una procedura comunitaria per la definizione dei limiti massimi di residui di medicinali veterinari negli alimenti di origine animale (GUCE L 224/1 del 18.08.1990).
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1.1.1. Chinoloni di prima generazione
Nella maggior parte dei casi i chinoloni presentano una struttura biciclica, a
eccezione della flumechina, dell’acido ossolinico e della cinossacina con
struttura triciclica. L’acido nalidissico ha una struttura 1,8-naftiridinica, mentre gli
altri sono derivati di naftiridine, pirido-pirimidine o cinoline (cinossacina). Oltre
alla funzione chetonica in posizione 4, è sempre presente un gruppo
carbossilico in 3. Sull’atomo di azoto N1 si ha molto spesso una sostituzione
etilica. Sull’atomo di carbonio in posizione 7 le sostituzioni sono molteplici
(metile, piperidina etc.). In Figura 2 sono riportate le strutture dei principali
chinoloni appartenenti alla prima generazione. Dal punto di vista chimico, il
passaggio strutturale che porta alla sintesi dei chinoloni di seconda
generazione, si nota nella flumequina (sostituzione di un atomo di fluoro in
posizione C6) e nell’acido pipemidico (sostituzione di un nucleo piperazinico in
posizione 7) [II].
Figura 2- Chinoloni di prima generazione
(da Corelli F. e Pasquini S. “Antibatterici chinolonici” http://www.farm.unisi.it/~corelli/Antibatterici _chinolonici.pdf)
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1.1.2. Chinoloni di seconda generazione
L’introduzione in posizione 6 di un atomo di fluoro e in posizione 7 di un anello
piperazinico ha comportato le modifiche più significative per i chinoloni di
seconda generazione, aumentandone l’attività antimicrobica, nonché lo spettro
d’azione rispetto alle caratteristiche della molecola precursore, ovvero l’acido
nalidissico. I principali composti appartenenti a questo gruppo sono riportati in
Figura 3. Si può affermare che la norflossacina è stato il primo fluorochinolone
propriamente detto, in quanto presenta non solo il fluoro in posizione 6, ma
anche l’altro elemento strutturale fondamentale che è la piperazina in posizione
7. Le modifiche strutturali, inoltre, hanno contribuito a migliorare le
caratteristiche farmacocinetiche, in particolare la biodisponibilità che permette,
in molti casi, la somministrazione per via orale dei chinoloni di seconda
generazione, nonché un aumento della capacità di diffusione tissutale
complessiva. Il fluoro, infatti, potenzia l’attività contro i Gram positivi patogeni
(Clostridium, Staphilococcus, Streptococcus), mentre l’anello piperazinico
aumenta l’efficenza contro gli organismi Gram negativi (Escherichia coli,
Pseudomonas aeruginosa, Salmonella enteritidis) [I, II].
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Figura 3- Chinoloni di seconda generazione
(da Corelli F. e Pasquini S. “Antibatterici chinolonici” http://www.farm.unisi.it/~corelli/Antibatterici _chinolonici.pdf)
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1.1.3. Chinoloni di terza generazione
I nuovi composti di terza generazione, presentati in Figura 4, sono caratterizzati
da un’aumentata complessità strutturale, che ha introdotto interessanti
proprietà, quali l’attività contro i cocchi Gram positivi (in particolare S.
pneumoniae) e, per alcuni, contro anaerobi e patogeni atipici. In alcuni casi la
maggior potenza di azione e l’ampiezza dello spettro si coniugano con proprietà
farmacocinetiche migliorate che permettono di somministrare questi farmaci
una sola volta al giorno. Va sottolineato che non c’è comune accordo sulla
classificazione dei chinoloni e alcuni autori suddividono le molecole in quattro
generazioni [II].
Figura 4- Chinoloni di terza generazione
(da Corelli F. e Pasquini S. “Antibatterici chinolonici” http://www.farm.unisi.it/~corelli/Antibatterici _chinolonici.pdf)
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1.2. Proprietà acido-base
Il gruppo carbossilico in posizione 3 conferisce ai chinoloni caratteristiche acide.
I 7-piperazinilchinoloni possiedono gruppi amminici basici e quindi, in soluzione
acquosa, questi mostrano tre differenti forme: cationica, zwitterionica e
anionica. In Figura 5 è riportato lo schema di protonazione/deprotonazione della
ciproflossacina, che si trova nella sua forma protonata in ambiente acido e in
quella deprotonata in ambiente basico, mentre a pH neutro è in equilibrio con la
sua forma zwitterionica dalla quale dipende la sua scarsa solubilità in acqua a
pH fisiologico [II].
Figura 5- Schema di protonazione/deprotonazione del la ciproflossacina
(da Corelli F. e Pasquini S. “Antibatterici chinolonici” http://www.farm.unisi.it/~corelli/Antibatterici _chinolonici.pdf)
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Diversamente, chinoloni come l’acido ossolinico, la flumechina e l’acido
nalidissico possono avere solo due forme: neutra e anionica. Questi ultimi sono
detti chinoloni acidi, mentre i chinoloni come la ciproflossacina, che possiedono
l’anello piperazinico, sono detti anfoteri. I valori di pKa per i chinoloni acidi sono
compresi nel range 6.0-6.9 mentre gli anfoteri hanno valori di pKa1 5.5-6.6 e di
pKa2 7.2-8.9 [II].
1.3. Relazione struttura-attività
Lo studio delle relazioni tra struttura e attività farmacologica ha permesso di
mettere in evidenza che la caratteristica indispensabile dei chinoloni, affinché si
manifesti l’attività antibatterica, è la presenza del gruppo 1,4-diidro-4-piridon-3-
carbossilico, comune a tutti i chinoloni e, solo eccezionalmente, può essere
sostituito da quello isosterico 1,4-diidro-4-piridazinon-3-carbossilico
(sostituzione del CH= con –N=) [I].
Le proprietà antibatteriche dei chinoloni dipendono strettamente dalla funzione
carbossilica libera in posizione 3, tanto che la sua sostituzione con un gruppo
estereo, ammidico o con gruppi affini (CN, COCH3, SO2CH3) ne annulla
l’attività. La presenza del gruppo chetonico in posizione 4, allo stesso modo, è
indispensabile per l’inibizione della DNA-girasi.
Tutti i fluorochinoloni sono caratterizzati dalla presenza di un atomo di fluoro in
posizione 6 che ha portato ai miglioramenti di cui sopra.
Anche i gruppi in posizione 7 influenzano significativamente l’inibizione della
DNA-girasi e l’attività antibatterica. Piccoli radicali lineari, come -CH3, -Cl, -NH2,
-NHCH3, hanno permesso di ottenere composti con spettro d’attività ristretto,
benché più ampio di quello dell’acido nalidissico. Le sostituzioni con gruppi di
maggiori dimensioni, come ad esempio gruppi piperazinici, 3-amino-pirrolidinici
e 3-metilaminometil-pirrolidinici, hanno portato a composti caratterizzati da una
minore potenza in vitro, ma con il vantaggio di garantire livelli plasmatici più
elevati dopo somministrazione orale [I].
Il radicale piperazinico migliora, tra l’altro, l’attività anti-Pseudomonas dei
fluorochinoloni. Infine l’aggiunta di atomi di Cl o F in posizione 8 non influenza
negativamente l’inibizione della DNA-girasi, ma migliora la capacità del farmaco
di penetrare nella cellula ed il suo assorbimento gastrointestinale [I].
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1.4. Meccanismo d’azione
All’interno della cellula batterica si trova una grande quantità di DNA (circa 1
metro) contenuta in uno spazio ridotto (circa 1-2 micron). Per permettere che
l’intero DNA sia compreso in una cellula di pochi micron di lunghezza, è
necessario che il doppio filamento di DNA batterico subisca una forte
compattazione, che può avvenire grazie ad un “superavvolgimento” del DNA.
La formazione di un DNA tridimensionale superavvolto avviene grazie a
numerose transizioni momentanee nella sua struttura, che lo portano a
comprimersi e a ricostituirsi nella giusta configurazione. Sia le cellule procariote
che eucariote sono dotate di due enzimi, la topoisomerasi I e la topoisomerasi
II, in grado di promuovere le interruzioni nei filamenti di DNA e di cooperare,
quindi, nel processo di superavvolgimento. La topoisomerasi I altera
transitoriamente la topologia del DNA provocando interruzioni ed unioni su di un
singolo filamento di DNA, mentre la topoisomerasi II determina interruzioni ed
unioni su entrambi i filamenti della struttura a doppia elica del DNA.
I batteri sono dotati di un particolare tipo di topoisomerasi II, la DNA-girasi, che
introduce un superavvolgimento negativo nella molecola a doppio filamento del
DNA batterico. Questo spiega la selettiva tossicità dei chinoloni nei confronti dei
batteri, piuttosto che nei confronti dei mammiferi, che non possiedono questo
particolare enzima.
La DNA-girasi è costituita da due subunità, la A e la B, che devono agire
contemporaneamente perché si realizzi il superavvolgimento. La subunità A
contiene il sito di legame del DNA e sovrintende alla capacità di ricongiungere
le interruzioni della doppia catena del DNA, mentre la subunità B sovrintende
alla trasformazione di energia necessaria ed alla idrolisi dell’ATP tanto da
essere ritenuta la reale responsabile dell’introduzione del superavvolgimento
negativo nel doppio filamento di DNA.
I chinoloni, e in particolare i fluorochinoloni, esercitano, quindi, la loro azione
tramite il meccanismo di inibizione selettiva della DNA-giarasi, soprattutto a
livello delle sue subunità. Si ritiene infatti che l’inibizione della DNA-girasi
batterica sia il fondamentale meccanismo con il quale questi farmaci esercitano
i loro effetti battericidi. I meccanismi molecolari che bloccano la replicazione del
DNA del microrganismo non sono però ancora completamente noti.
L’interruzione della sintesi di proteine batteriche e di RNA sembra essere il
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fenomeno intracellulare indispensabile per il definitivo espletamento dell’attività
battericida [I].
1.5. Spettro antimicrobico
I fluorochinoloni sono farmaci molto attivi a concentrazioni estremamente
basse, rispetto ai più tradizionali antibatterici come le penicilline, le
cefalosporine, le tetracicline, i macrolidi e gli inibitori dell’acido folico. La
suscettibilità di un certo microrganismo ai singoli composti del gruppo può
tuttavia variare in misura considerevole, pur essendo questi strutturalmente e
chimicamente simili. In linea generale, i fluorochinoloni sono attivi nei confronti
di bacilli e cocchi Gram negativi intestinali (E. Coli , Kelbsiella spp., Shigella
spp., ecc.) e di altri Gram negativi come Salmonella spp.,Yersinia spp.,
Aeromonas spp., Proteus spp. e Pseudomonas aeruginosa. Sono attivi però
anche nei confronti di Gram positivi come Staphilococcus aureus e
Staphilococcus epidermidis, Haemophilus spp., Neisseria spp. e Campylobacter
spp. e rivelano attività variabile nei confronti della maggior parte dei ceppi di
streptococco, tra cui Streptococcus pyogenes, streptococchi emolitici dei gruppi
B, C, F e G, Streptococcus pneumonite ed Enterococcus faecalis. Molti cocchi
anaerobi, come Clostridia e Bacteroides, sono invece insensibili a questo tipo di
farmaci. Nei confronti di alcuni batteri si è riscontrato anche un prolungato
effetto post-antibiotico, come nel caso della norflossacina nei confronti dello
Staphilococcus aureus, E. Coli, ecc [I].
1.6. Usi terapeutici in medicina veterinaria
In medicina umana i chinoloni sono impiegati principalmente per curare
numerose infezioni microbiche a carico delle vie genito-urinarie e respiratorie e,
grazie alle loro interessanti proprietà, il loro uso è stato largamente esteso
anche alla medicina veterinaria. Trattandosi, infatti, di composti notevolmente
meno tossici, ma con spettro antimicrobico simile, degli aminoglicosidi, i
chinoloni stanno assumendo il ruolo di farmaci di elezione per il trattamento
delle infezioni gravi da Gram negativi negli animali da allevamento, domestici e
in acquacoltura. In particolare alcuni di loro come norflossacina, enroflossacina
e ciproflossacina, vengono utilizzati per curare infezioni (complicate e non) delle
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vie urinarie nel cane e nel gatto. Inoltre, i fluorochinoloni (in particolare
l’enroflossacina) sembrano raggiungere anche nel tessuto prostatico
concentrazioni sufficienti a curare le prostatiti batteriche [I].
Le principali applicazioni dei fluorochinoloni riguardano comunque il trattamento
delle infezioni delle vie respiratorie e del tratto gastrointestinale, principalmente
in animali d’allevamento. Questi infatti, in particolare la norflossacina,
raggiungono, nel tessuto polmonare di molti animali, concentrazioni superiori a
quelle sieriche, tali da risultare superiori alle MIC (concentrazione inibente
minima) per molti patogeni. D’altra parte, la decolonizzazione selettiva
dell’apparato gastrointestinale, che si verifica dopo somministrazione di
chinoloni, risulta vantaggiosa per trattare le infezioni da microrganismi sensibili
che qui si instaurano.
L’enroflossacina è il fluorochinolone più usato nell’UE per il trattamento delle
infezioni, soprattutto nell’allevamento avicolo e suinicolo [IV].
La flumechina , sembra essere il fluorochinolone principalmente utilizzato,
sottoforma di pellets commestibili, nella produzione di alimenti medicati ad uso
zootecnico per l’acquacoltura e per il pollame, grazie alla sua efficacia sia nella
terapia che nella prevenzione di molte infezioni batteriche [IV]. Studi effettuati
somministrando flumechina a galline ovaiole in una dose pari a 200 mg/L
d’acqua per 5 giorni consecutivi, mostrano la presenza di residui nelle uova a
partire dal secondo giorno di trattamento fino all’undicesimo giorno dopo il
termine dello stesso. I residui si distribuiscono principalmente nell’albume [I].
L’acido ossolinico è stato autorizzato per il trattamento delle infezioni in pesci,
bovini, suini e pollame per via orale [IV]. Può essere somministrato tramite
alimenti, acqua o come compressa. Esso è velocemente assorbito in seguito a
somministrazione orale, ma tale assorbimento è variabile e può dipendere dalla
specie animale, dalla formulazione del farmaco, dalla dieta dell’animale e dallo
stadio della malattia. Quando ai polli viene somministrato acido ossolinico per
un certo periodo di tempo, alla fine del trattamento è possibile evidenziare
residui di tale farmaco nel fegato, nei reni e nel muscolo. Per questo motivo le
uova, insieme al tessuto muscolare e ai mangimi, sono alcune delle matrici
previste per la ricerca di residui di chinolonici nei piani di monitoraggio degli
alimenti di origine animale [I].
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1.7. Resistenza e tossicità
L’unico meccanismo noto tramite il quale i batteri possono manifestare
resistenza nei confronti dei chinoloni è quello di una modificazione
cromosomiale, la quale può comportare alterazioni dell’enzima bersaglio (DNA-
girasi), principalmente a carico della subunità A, o provocare ridotta capacità
del farmaco di penetrare all’interno della cellula microbica [I]. I chinoloni
penetrano nelle cellule microbiche per diffusione attraverso il doppio strato
fosfolipidico e tramite le porosità dello strato più esterno dei batteri Gram
negativi. Un aumento della lipofilia della membrana cellulare e della porosità
può ridurre la capacità del farmaco a penetrare nella cellula e pertanto rendere
la cellula stessa resistente ad esso [I].
I principali effetti tossici si manifestano quando i farmaci vengono somministrati
a dosi terapeutiche in animali ancora immaturi. Tutti gli appartenenti al gruppo
dei chinoloni sono in grado di provocare lesioni articolari nei giovani animali con
evidenti zoppie e forti dolori dovuti alle alterazioni a carico delle cartilagini di
accrescimento. Pertanto questi farmaci non possono essere somministrati a
giovani animali ancora in fase di sviluppo osseo, ossia nella maggior parte dei
cani sotto gli otto mesi di età, nei cavalli giovani e negli animali gravidi in genere
[I].
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2. IL CONTROLLO DEI RESIDUI NEGLI ALIMENTI DI ORIGI NE
ANIMALE
2.1. Il Piano Nazionale Residui
I prodotti di origine animale, come carne, latte, uova costituiscono la parte
preponderante dell’alimentazione nei paesi industrializzati e la sempre
crescente domanda di alimenti proteici ha stimolato e condizionato lo sviluppo
della zootecnia sia attraverso la selezione genetica ed il miglioramento delle
tecniche di produzione, trasformazione e conservazione di mangimi e foraggi,
sia attraverso il ricorso alla somministrazione di sostanze diverse da quelle
alimentari, quali farmaci, additivi, ormoni, ecc. Tra queste molecole, quelle
maggiormente utilizzate per incrementare il rendimento delle produzioni
zootecniche, sono state e sono i prodotti ad azione ormonale ed antiormonale,
gli antibiotici, i β-agonisti, il cui impiego, purtroppo, non è esente da rischi
igienico-sanitari, sia sugli alimenti che sulla salute del consumatore. Una vasta
serie di molecole autorizzate (antibiotici, antielmintici, anticoccidici, etc.) sono,
inoltre, impiegate in allevamento come medicinali veterinari nella prevenzione
e nella cura delle malattie [V].
Il problema del controllo dei residui nelle derrate alimentari di origine animale
si è così intensificato con il passare del tempo, anche per l’attenzione e
l’interesse sempre maggiori che il consumatore ha rivolto a questa tematica.
D’altra parte, la preoccupazione è giustificata dal fatto che un numero
crescente di farmaci viene impiegato nelle produzioni animali e ciò,
potenzialmente, espone il consumatore all’assunzione di residui di xenobiotici,
se pur in piccole quantità, per la durata di tutta una vita. Di conseguenza negli
ultimi decenni il legislatore, sia in ambito comunitario che nazionale, si è
fortemente impegnato a emanare una serie di normative atte a migliorare gli
aspetti inerenti alla sicurezza alimentare.
Il tema dell’igiene e della sicurezza degli alimenti di origine animale, infatti, è
una fase complessa ed articolata che fa parte di un processo che inizia in
allevamento con la lotta alle malattie infettive trasmissibili tra animali, e di cui
fanno parte la lotta alle zoonosi, il controllo degli alimenti destinati agli animali,
la vigilanza sull’inquinamento ambientale di derivazione animale, la
sorveglianza sul benessere e sulla sanità animale.
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Se certe sostanze possono essere assunte dagli animali in modo del tutto
involontario o accidentale (contaminanti ambientali), esistono invece, come
sopra accennato, molecole che vengono loro somministrate volontariamente.
Si tratta sia di farmaci veterinari autorizzati utilizzati a scopi terapeutici, sia di
promotori di crescita (sostanze ad azione ormonale) somministrati in modo del
tutto illecito per aumentare le rese delle produzioni di carne. Il legislatore, da
oltre quarant’anni, sta richiamando l’attenzione degli operatori sanitari su
queste problematiche legate sostanzialmente alla presenza di residui, i cui
effetti biologici sono strettamente correlati alle caratteristiche tossicologiche
del farmaco progenitore, alla sua metabolizzazione nell’organismo animale, ai
legami che i diversi metaboliti formano con le molecole biologiche e che ne
condizionano la biodisponibilità, oltre che la loro degradazione.
Nella Comunità Europea (CE) il problema dei residui delle sostanze ad azione
anabolizzante utilizzate in zootecnica venne alla ribalta nel 1981 con la
Direttiva 81/602/CEE (2,3).
A causa del problema dei residui di anabolizzanti nelle carni, con questa
Direttiva gli Stati membri decidevano di vietare la somministrazione agli
animali in allevamento di sostanze ad azione tireostatica, estrogena,
androgena e gestagena e l’immissione sul mercato di animali ai quali fossero
state somministrate dette sostanze. A seguito di questo provvedimento, la CE,
con la Direttiva 86/469/CEE(4), decise di istituire dei piani annuali di controllo
degli animali e delle carni fresche per la presenza di residui di medicinali
veterinari e di altri contaminanti, ritenuti un rischio per la salute del
consumatore, oltre che un danno per la qualità delle carni.
Fino ad allora, infatti, le modalità di controllo, la frequenza dei campionamenti e
le concentrazioni massime consentite di residui di farmaci e contaminanti
ambientali erano disciplinate in maniera profondamente eterogenea nei vari Stati
2 Per dare attuazione alle politiche in materia di sicurezza e qualità degli alimenti, la Comunità ha adottato principalmente due tipi di strumenti normativi: i Regolamenti e le Direttive. I primi non necessitano di normative particolari di recepimento da parte degli Stati membri, mentre le Direttive possono contenere solo principi generali della disciplina delle materie che vanno a regolare e sono rivolte ai singoli Stati membri, che devono attuarle con proprie leggi ordinarie. 3 Direttiva 81/602/CEE del Consiglio, del 31 luglio 1981, concernente il divieto di talune sostanze ad azione ormonica e delle sostanze ad azione tireostatica. Recepita in Italia con il Decreto: Decreto Ministeriale 3 novembre 1981: " Divieto di vendita di medicinali (specialità di medicinali o galenici) per uso veterinario contenenti stilbenici o tireostatici". 4 Direttiva 86/469/CEE del 16 settembre 1986 concernente il controllo degli animali e delle carni fresche per la presenza di residui.
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membri. Ciò comportava, fra l’altro, notevoli ostacoli agli scambi intracomunitari
ed una distorsione delle condizioni di concorrenza tra produzioni.
Pertanto, fu necessario trovare una soluzione globale e uniforme per
l’effettuazione dei controlli all’interno della Comunità per la ricerca di residui negli
animali di allevamento, nelle carni e nei prodotti a base di carne, sia che questi
prodotti fossero destinati al mercato nazionale degli Stati membri oppure agli
scambi intracomunitari. Venne, quindi, stabilito che gli Stati membri avrebbero
dovuto elaborare un piano annuale di controllo tenendo conto della propria
specifica situazione: tale piano è effettuato ancora oggi e va sotto il nome di
Piano Nazionale Residui (PNR) [VI].
La Direttiva 86/469/CEE sanciva che i campionamenti fossero eseguiti in modo
ufficiale secondo criteri comuni per le diverse categorie di sostanze interessate e
che i campioni venissero analizzati in laboratori ufficialmente autorizzati. Ed
infine, qualora una determinazione analitica avesse rilevato la presenza di
residui di sostanze non consentite o di sostanze consentite in concentrazione
superiore al limite ammesso (campione non conforme), si imponeva l’adozione
di misure comuni intese ad accertare la causa della non conformità, a eliminare
il problema ed atte ad assicurare che i prodotti coinvolti fossero effettivamente
esclusi dal consumo.
Ciascun Paese Membro doveva quindi provvedere affinché la ricerca dei residui
negli animali, nei loro escrementi e liquidi biologici, nonché nei tessuti e nelle
carni fresche venisse eseguita conformemente alle prescrizioni dettate dalla
Direttiva 86/469/CEE. Inoltre, i singoli paesi della CE affidavano a un servizio o
organismo centrale il compito di coordinare l’esecuzione dei controlli previsti
dalla Direttiva. Tale organismo doveva coordinare le attività dei servizi regionali
effettivamente incaricati di effettuare i controlli, raccogliere i risultati e le
informazioni da trasmettere alla Commissione e infine, di primaria importanza,
elaborare annualmente i piani stessi. Per quanto riguarda l’esecuzione delle
analisi, nel nostro paese furono affidate alla rete dei Laboratori degli Istituti
Zooprofilattici Sperimentali.
L’elenco completo e la classificazione delle sostanze da ricercare era riportato
nell’Allegato I della stessa Direttiva e prevedeva categorie comuni a tutti gli stati
membri (A) e categorie specifiche (B).
L’approvazione dei singoli piani nazionali veniva decisa dalla Commissione
Europea previa verifica della loro conformità ai requisisti della Direttiva CEE
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86/469; in caso di mancata approvazione lo Stato Membro avrebbe dovuto
modificare e/o completare il piano proposto.
A partire dal 1988, quindi, l’Italia attua il proprio PNR che ha subito nel tempo
molte modifiche derivanti dalla necessità di adeguamento alle nuove
problematiche, nell’ambito dei residui, che via via si presentavano. Nel tempo
l’enorme progresso delle tecniche analitiche e i vari allarmi a livello mondiale,
nell’ambito della sicurezza alimentare, hanno portato, ad esempio,
all’introduzione della ricerca di diossine, di metaboliti di nitrofuranici o di alcuni
gestageni [V]. Inoltre, nuovi settori produttivi sono stati via via coinvolti nei
campionamenti programmati tanto che i controlli che, inizialmente, riguardavano
prevalentemente il settore bovino (1988), attualmente prevedono il
campionamento nei settori bovino, suino, ovi-caprino, equino, avicolo, cuniculo,
selvaggina allevata ed acquacoltura. Inoltre sono effettuati anche prelievi di
latte, miele e uova.
Nel 1997 l’Italia dovette tener conto di due fondamentali Direttive promulgate
proprio dal Consiglio d’Europa durante il 1996(5). Le due Direttive furono recepite
nell’ordinamento nazionale solo qualche anno più tardi con il Decreto Legislativo
n. 336 del 4 agosto 1999(6) e sono alla base del PNR attuale.
Tra le novità, la Direttiva 96/23/CE comportava una riclassificazione delle
sostanze da ricercare come riportato in Tabella 1. Come si può osservare, nella
Categoria A sono incluse le sostanze considerate fonte di gravi rischi per la
salute pubblica e per le quali non è, quindi, possibile fissare un LMR, mentre
nella Categoria B si collocano i farmaci veterinari con LMR (ad esempio i
chinoloni che appartengono, nello specifico, alla categoria B1) ed i contaminanti
ambientali (metalli pesanti, micotossine, pesticidi etc.).
5 Direttiva 96/22/CE del 29 aprile 1996: "concernente il divieto di utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze beta-agoniste nelle produzioni animali e che abroga le direttive 81/602/CEE, 88/146/CEE e 88/299/CEE". Direttiva 96/23/CE del 29 aprile 1996: "concernente le misure di controllo su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei loro prodotti". 6 Decreto Legislativo n. 336 del 4 agosto 1999: "Attuazione delle direttive 96/22/CE e 96/23/CE concernenti il divieto di utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze β-agoniste nelle produzioni di animali e le misure di controllo su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei loro prodotti"
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Tabella 1- Classificazione delle sostanze da ricerc are come indicato nell’Allegato I della Direttiva 96/23/CEE [VI]
Categoria A - Sostanze ad effetto anabolizzante e s ostanze non autorizzate categoria A, 1
stibeni, loro derivati e loro sali ed esteri
categoria A, 2
agenti antitiroidei
categoria A, 3
steroidi
categoria A, 4
lattoni dell'acido resorcilico (compreso lo zeranolo)
categoria A, 5
beta-agonisti
categoria A, 6
sostanze incluse nell'allegato VI del regolamento (CEE) n. 2377/90 del Consiglio, del 26 giugno 1990
Categoria B - Farmaci veterinari ((((7)))) e contaminanti ambientali
categoria B, 1 sostanze antibatteriche, compresi sulfamidici e chinoloni
altri prodotti medicinali veterinari: B, 2a antielmintici
B, 2b coccidiostatici, compresi i nitroimidazoli
B, 2c carbammati e piretroidi
B, 2d tranquillanti
B, 2e antinfiammatori non steroidei (AINS)
categoria B, 2
B, 2f altre sostanze esercitanti un'attività farmacologia
altre sostanze e agenti contaminanti per l'ambiente: B, 3a composti organoclorurati, compresi i PCB
B, 3b composti organofosforati
B, 3c elementi chimici
B, 3d micotossine
B, 3e coloranti
categoria B, 3
B, 3f altri
7 Comprese le sostanze non registrate utilizzabili a fini veterinari.
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20
2.2. I controlli analitici
Parallelamente all’istituzione dei Piani Nazionali, un nodo fondamentale era
quello di avere un sistema di controlli efficace. Infatti garantire l’affidabilità dei
dati non era un problema banale, data la numerosità e la disomogeneità dei
laboratori coinvolti nei vari paesi membri e la difficoltà intrinseca del settore
analitico che si occupa di determinare tracce di sostanze in matrici complesse,
quali gli alimenti di origine animale. L’UE si apprestò quindi a un’intensa
attività legislativa riguardante i criteri di qualità che dovevano adottare i
laboratori incaricati dello svolgimento delle analisi dei residui a livello
comunitario. Attraverso la Direttiva 89/397/CEE(8) si introdussero importanti
disposizioni riguardo alla necessità di un controllo pubblico dei prodotti
alimentari. La Direttiva prevedeva:
• ampliamento del campo di azione dei controlli a tutte le fasi della
produzione, della fabbricazione, del magazzinaggio, del trasporto, della
distribuzione, dell'importazione e del commercio;
• controllo sui prodotti alimentari anche all’esame dei sistemi di verifica
della qualità eventualmente installati dall'impresa e dei relativi risultati;
• pubblicazione di un elenco delle autorità competenti nel settore del
controllo dei prodotti alimentari di ciascuno stato membro, in cui siano
indicati i territori di rispettiva competenza ed i laboratori abilitati ad
effetuare le analisi;
• nomina, da parte delle suddette autorità competenti, di laboratori ufficiali
incaricati di effettuare le analisi.
Per garantire la qualità del dato analitico era necessario introdurre un sistema
di norme per i laboratori ufficiali dei vari Stati membri. Tale sistema doveva
essere basato su norme approvate e standardizzate, ed i laboratori incaricati
dovevano lavorare secondo metodi di analisi convalidati. Perciò venne
8 Direttiva 89/397/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1989, relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. Recepita con il D.Lgs. 03/03/1993 n. 123. Attuazione della Direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari.
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21
successivamente emanata la Direttiva 93/99/CE(9) con la quale si
completavano in sostanza le disposizioni già riportate nella 89/397/CEE. Nelle
sue premesse essa ribadisce, quale preoccupazione prioritaria del Consiglio,
la necessità di introdurre un sistema di norme di qualità per i laboratori
incaricati dagli Stati membri di effettuare il controllo ufficiale delle derrate
alimentari; tale sistema doveva essere basato su norme generalmente
approvate e standardizzate. Inoltre i laboratori erano tenuti, ove possibile, a
impiegare metodi analitici convalidati. In particolare nella Direttiva si fissavano:
• il personale delle strutture cui compete il controllo ufficiale;
• i requisiti necessari per il funzionamento dei laboratori(10);
• gli organismi responsabili della verifica dei laboratori;
• i requisiti e le modalità dei sistemi di verifica dei laboratori;
• le procedure relative al sistema di mutua assistenza amministrativa e di
scambio di informazioni nonché alle ispezioni congiunte con gli agenti
dell'UE.
Ogni Stato membro, dal 1° novembre 1998, era in sos tanza obbligato a
prendere i provvedimenti necessari affinché:
• i laboratori fossero conformi ai criteri generali stabiliti dalla norma
europea UNI CEI EN 45001, ovvero fossero accreditati;
• fossero designati gli organismi responsabili della valutazione e del
riconoscimento dei laboratori preposti al controllo ufficiale. Tali
organismi dovevano soddisfare i criteri generali stabiliti dalla norma
europea UNI CEI EN 45003;
9 Direttiva 93/99/CE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, riguardante misure supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. Recepita con il D.Lgs.26/05/1997, n.156. Attuazione della Direttiva 93/99/CE concernente misure supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. Sia la Direttiva 89/397/CEE che la 93/99/CE sono state abrogate con effetto dal 1° gennaio 2006 dall’articolo 61 del Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali (GU L 165 del 30.4.2004). 10 I laboratori adibiti al controllo ufficiale sono quelli precisati all’articolo 7 della 89/397/CEE.
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22
• la valutazione dei laboratori di prova doveva avvenire applicando i
requisiti stabiliti dalla norma UNI CEI EN 45002.
In Italia, nel novembre 1998, solo alcune strutture operavano in conformità alla
norma EN 45001 o erano in attesa di ricevere gli audit (verifiche ispettive) da
parte dell’unico organismo operante sul territorio nazionale in conformità alla
UNI CEI EN 45003: il SINAL (Sistema Nazionale per l’Accreditamento dei
Laboratori di prova).
Nel frattempo la Direttiva 96/23/CE cercò di migliorare l'efficacia dei piani di
sorveglianza messi in opera ogni anno degli Stati membri, assicurare la
comparabilità dei risultati ottenuti ed armonizzare le modalità di applicazione
per il campionamento.
A tal fine, venne emanata la Decisione 98/179/CE(11) la quale, all’articolo 1,
stabiliva che le analisi dei campioni dovevano essere effettuate
esclusivamente presso laboratori per il controllo ufficiale dei residui riconosciuti
dall'autorità competente, ribadendo la necessità di assicurare la qualità e la
comparabilità dei risultati analitici. I laboratori autorizzati erano, quindi, tenuti a
partecipare a un programma esterno, riconosciuto sul piano internazionale, di
valutazione qualitativa e di accreditamento. Tale obiettivo doveva essere
conseguito attraverso l’accreditamento (da ottenersi prima del 1° gennaio
2002) e la partecipazione degli stessi a circuiti interlaboratorio (proficiency
testing schemes), organizzati dai Laboratori Nazionali di Riferimento (LNR) o
dai Laboratori Comunitari di Riferimento (LCR) [VII].
Con la Decisione 98/179/CE si richiedeva dunque che, a partire dal 2002, i
laboratori per il controllo ufficiale dovessero essere accreditati secondo la UNI
CEI EN ISO/IEC 17025 [VIII] che, dal 2000, ha sostituito la EN 45001.
Parallelamente allo svilupparsi dei Sistemi di Qualità, la UE emanava
provvedimenti più specifici atti a garantire il rispetto di alcuni requisiti minimi.
Infatti, la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 è di tipo orizzontale e, quindi
piuttosto generica, non essendo indirizzata ad un settore analitico in
particolare. Da questa considerazione, si sviluppa dunque un punto
fondamentale della strategia dell’UE, che richiede ai propri laboratori ufficiali
11 98/179/CE: Decisione della Commissione del 23 febbraio 1998 recante modalità d'applicazione per il prelievo ufficiale di campioni al fine della sorveglianza su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei prodotti di origine animale.
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ulteriori requisiti di qualità, considerando l’ambito analitico nei quali questi
operano, ovvero la ricerca di sostanze in tracce (residui).
Prima del 1993, i criteri analitici da applicare ai metodi di riferimento erano
riportati nella Decisione 89/610/CEE(12).
Dal 1993 entrarono poi in vigore la Decisione 93/256/CE(13) e la Decisione
93/257/CE(13).
Nelle previsioni, queste due Decisioni avrebbero dovuto essere riviste entro il
1996. Quindi, nel 1995, la Commissione Europea, in collaborazione con i
quattro laboratori di riferimento comunitari, dava inizio a un lavoro di revisione
tecnico-legislativo delle Decisioni 93/256/CE e 93/257/CE, proprio con il
compito di superare i limiti evidenziati dalla normativa vigente, soprattutto alla
luce dei progressi più recenti della chimica analitica. A causa della natura
complessa dell’opera di revisione e delle istanze di partecipazione dei
laboratori nazionali di riferimento, nel 1998 la Commissione designava un
gruppo di lavoro ad hoc con il compito di delineare e revisionare i criteri relativi
alla validazione dei metodi e all’interpretazione dei risultati. Questa attività
portò finalmente alla pubblicazione nel 2002 della Decisione 2002/657/CE(14).
La 2002/657/CE abroga sia la Decisione 93/256/CEE che la 93/257/CEE e,
all’articolo 5, ribadisce che: “Gli Stati membri garantiscono la qualità dei
risultati delle analisi dei campioni prelevati a norma della Direttiva 96/23/CE, in
particolare attraverso la sorveglianza delle analisi e/o la calibrazione dei
risultati in ossequio al capitolo 5.9 della ISO 17025” [VIII].
La 2002/657/CE [VI,IX] si configura come un provvedimento completo e
complesso, che ha dato adito ad alcune critiche e a diverse interpretazioni, ma
che, comunque, rappresenta ormai un punto di riferimento sia per i laboratori
ufficiali che non, all’interno dell’UE e anche al di fuori dei suoi confini. Infatti,
12 89/610/CEE: Decisione della Commissione, del 14 novembre 1989, che stabilisce i metodi di riferimento e la lista dei laboratori nazionali da impiegare per la ricerca dei residui. 13 93/256/CE: Decisione della Commissione, del 14 aprile 1993, che stabilisce i metodi da impiegare per la ricerca dei residui di sostanze ad azione ormonica e di sostanze ad azione tireostatica. 93/257/CE: Decisione della Commissione, del 15 aprile 1993, che stabilisce i metodi di riferimento e l'elenco dei laboratori di riferimento nazionali per la ricerca dei residui. 14 2002/657/CE: Decisione della Commissione, del 12 agosto 2002, che attua la Direttiva 96/23/CE del Consiglio relativa al rendimento dei metodi analitici e all'interpretazione dei risultati (GUCE L221/8 del 17.08.2002). Precedentemente, con il nome di SANCO/1085/2000, era stata diffusa una bozza di revisione della Decisione 93/256/CE.
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oltre a indicare i parametri di prestazione che devono essere determinati e i
loro limiti di accettabilità, essa descrive anche il piano sperimentale per
ottenerli. Indica, inoltre, i criteri da seguire nell’interpretazione dei risultati,
modulando le prescrizioni anche in funzione della categoria delle sostanze
analizzate (sostanze vietate appartenenti alla categoria A o permesse della
categoria B).
La Decisione supera, inoltre, la precedente distinzione tra i metodi di routine e
di riferimento, distinzione riportata nella stessa Direttiva 96/23/CE (art. 15),
lasciando solo la differenziazione tra metodi di screening e di conferma [X].
In particolare, i metodi di screening sono usati per determinare la presenza di
un analita o di una classe di analiti al di sopra o al di sotto del livello di
interesse (LMR, presenza, etc..). Sono caratterizzati dalla capacità di
analizzare un gran numero di campioni allo scopo di individuare quelli sospetti
da processare, successivamente, con un metodo di conferma. Sono, quindi,
sostanzialmente concepiti per evitare campioni falsi negativi (falsi conformi).
I metodi di conferma , invece, devono fornire informazioni definitive per
l’identificazione, e, se necessario, per il dosaggio dell’analita al livello
d’interesse. Proprio per garantire questo, al contrario dello screening per cui
non esistono prescrizioni particolari, la Decisione stabilisce che, per un esame
di conferma, possano essere utilizzate solo tecniche strumentali con requisiti
ben precisi.
Con il provvedimento di cui sopra, l’obiettivo della Commissione è stato quello
di garantire l’adozione di procedure analitiche con performances prestabilite.
La filosofia perseguita dall’UE si configura, quindi, come molto flessibile dal
punto di vista delle scelte di ciascun laboratorio, ma estremamente rigida sui
criteri minimi di qualità da rispettare affinché un metodo di prova sia da
considerarsi adeguato allo scopo. Tutto ciò si è reso necessario poiché, d’altra
parte, l’utilizzo di metodi standardizzati ufficialmente riconosciuti (di
riferimento), che costituirebbe già di per sé una garanzia di confrontabilità del
dato analitico, si era dimostrata una strada inadatta proprio in virtù del
continuo progresso tecnico-scientifico di questo particolare settore della
chimica analitica. Inoltre questa strategia permette una maggiore flessibilità
rispetto alle varie allerte, che via via possono presentarsi anche su
analiti/matrici inusuali. Anche se molta strada rimane ancora da percorrere,
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anche nell’armonizzazione e semplificazione delle norme che fissano requisiti
tecnici riguardanti gli obblighi dei laboratori, l’impegnativa strategia comunitaria
ha comunque fatto registrare imponenti miglioramenti. A dimostrazione di ciò,
un esempio per tutti è rappresentato dall’abbassamento dei livelli medi di
controllo per le sostanze vietate di oltre un ordine di grandezza dall’istituzione
dei piani nazionali dal 1988 a oggi.
3. I METODI ANALITICI DI SCREENING
3.1. Introduzione
La normativa europea vigente, riguardo alle performances dei metodi analitici
per la ricerca di residui negli animali vivi e nei loro prodotti (Decisione
2002/657/CE), prevede espressamente l’utilizzo di metodi di screening. Tale
eventualità non è obbligatoria, ma riguarda una scelta del laboratorio.
Tecnicamente i metodi di conferma, generalmente più sofisticati e costosi,
possono essere utilizzati anche come primo approccio analitico e, nel caso in
cui non siano disponibili adeguati metodi di screening, questo avviene
sistematicamente. Tuttavia, quando è possibile, per il laboratorio e anche per il
cliente, è estremamente conveniente avere a disposizione screening che
permettano di ottenere una maggiore produttività, costi più contenuti e, non
ultimo, tempi di risposta brevi.
Sostanzialmente il flusso dei campioni può essere riassunto come in Figura 6,
dove per conventional analytical process si intende il metodo di conferma
attuato prevalentemente con tecniche cromatografiche (HPLC o GC). Il ruolo
del metodo di screening è quindi quello di selezionare, tra la massa dei
campioni in arrivo, quelli sospetti, che poi verranno rianalizzati con una idonea
procedura di conferma.
-
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Figura 6- Flusso dei campioni in laboratorio: metod i di screening e di conferma
Per i metodi di conferma, la Decisione 657 prevede l’utilizzo solo di certe
tecniche analitiche strumentali elencate nella Tabella 1 della stessa Decisione:
tali tecniche sono in grado di fornire adeguate garanzie di riconoscimento
strutturale delle molecole da determinare. Per lo screening, invece, non è
prevista alcuna restrizione da questo punto di vista, ma sono altresì richieste
determinate performances metodologiche che, come è ovvio, per lo screening
sono meno severe che per la conferma, come si evince dalla Tabella 2
seguente (Tabella 9 della Decisione 2002/657/CE) [VI, IX].
Tabella 2- Classificazione di metodi analitici in b ase alle caratteristiche di rendimento che devono essere determinate
Limite di
rilevazione CCβ
Limite di decisione
CCα
Esattezza/ Recupero
Preci- sione
Selettività/ Specificità
Applicabilità/ Robustezza/
Stabilità
S + − − − + +
Metodi
qualitativi C + + − − + +
S + − − + + +
Metodi
quantitativi C + + + + + +
S = metodi di screening; C = metodi di conferma; + = la determinazione è obbligatoria
-
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Infatti generalmente lo screening è un test a risposta binaria (negativo/sospetto)
che, quindi, non presenta le problematiche legate ad un esito quantitativo, quale
quello ottenuto con i metodi di conferma.
Riguardo ai parametri riportati in Tabella 2, essi devono essere determinati
durante lo studio di validazione. La validazione di un metodo è la “conferma
attraverso l’esame e l’apporto di evidenza oggettiva che i requisiti particolari per
l’utilizzazione prevista siano soddisfatti”. Le definizioni dei parametri di
performances importanti per un metodo di screening qualitativo sono riportati di
seguito [VI].
.
• Limite di decisione (CC α = Critical Concentration α): il limite al quale
e oltre il quale è possibile concludere con una probabilità di errore pari
ad α che un campione è non conforme. L’errore α rappresenta la
probabilità che il campione sottoposto ad analisi sia conforme, sebbene
sia stata ottenuta una misura non conforme (decisione di falsa non
conformità o falsa positiva).
• Capacità di rilevazione (CC β = Critical Concentration β): il CCβ è il
contenuto più piccolo della sostanza che è possibile rilevare, identificare
e/o quantificare in un campione con la probabilità di un errore β. L’errore
β rappresenta la probabilità che il campione sottoposto ad analisi sia
effettivamente non conforme, sebbene sia stata ottenuta una misura
conforme (decisione di falsa conformità o falsa negativa). Questo
parametro è fondamentale per i metodi di screening in quanto, se una
decisione falsa positiva comporta un’analisi “inutile” di un campione con
metodo di conferma, diversamente una decisione falsa negativa ha come
ripercussione la commercializzazione di prodotti contaminati. La
massima percentuale di errore beta che viene ammessa dalla Decisione
2002/657/CE è il 5%. Per metodi qualitativi, la verifica di tale percentuale
può essere effettuata sulla base dei risultati ottenuti dall’analisi di almeno
venti bianchi-campione fortificati ad un livello pari o superiore al limite di
decisione.
• Robustezza : è la capacità posseduta da un metodo di non essere
influenzato significativamente, in termini di risultati finali, da variazioni
deliberate introdotte nelle sue fasi di effettuazione. Questo parametro
-
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serve a qualificare l’affidabilità di una procedura durante il suo utilizzo
routinario o la possibilità di riprodurre il metodo analitico in differenti
laboratori e in tempi diversi, senza una differenza significativa nei
risultati. Sperimentalmente la valutazione della robustezza può essere
ottimizzata mediante l’utilizzo di tecniche di disegno sperimentale, come
suggerito dalla stessa Decisione 2002/657/CE (schema di Youden).
• Specificità : è l’abilità di un metodo di rilevare solo quello che intende
rilevare, ovvero la sua capacità di non risentire della presenza di
interferenti o di altri componenti diversi dagli analiti in esame. Per lo
screening è importante nel determinare la percentuale di campioni falsi
positivi, che, se presenti in misura elevata, vanificano l’utilità dello
screening stesso, costringendo a rianalizzare i campioni sospetti con il
metodo di conferma.
E’ importante sottolineare che, rispetto ai tradizionali parametri “limite di
rilevazione” (LOD) e “limite di quantificazione” (LOQ), la Decisione 657
introduce il CCα e il CCβ, limiti definiti in funzione, rispettivamente, della
probabilità di decisione falsa positiva e negativa. Ciò comporta che, allorquando
si trattino sostanze con un LMR fissato, tali concentrazioni sono determinate a
partire dal LMR e non sulla presenza/assenza dell’analita e quindi non hanno
niente a che vedere con la sensibilità del metodo.
Tra le tecniche di screening più utilizzate, soprattutto nel settore della ricerca di
sostanze ad azione anabolizzante (estrogeni, androgeni, beta-agonisti etc..) ci
sono i metodi immunoenzimatici e, in particolare, l’ELISA.
Scopo di questo lavoro di tesi è stato lo sviluppo della procedura di
preparazione del campione e la validazione, secondo i criteri prescritti dalla
2002/657/CE, di un metodo di screening ELISA per la determinazione di residui
di chinolonici nel tessuto muscolare. Fino ad oggi la ricerca di questa
importante classe di antibiotici prevista dal PNR è stata prevalentemente
effettuata mediante l’utilizzo diretto dello stesso metodo di conferma in HPLC
con rilevazione in fluorescenza. La disponibilità di una procedura di screening
adatta allo scopo offre, quindi, interessanti prospettive nella riduzione dei tempi
di risposta e dei costi analitici.
-
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3.2. I test immunoenzimatici ELISA
ELISA è l’acronimo dell’espressione Enzyme Linked Immunosorbent Assay, un
metodo di analisi immunologica usato per rilevare l’eventuale presenza di un
dato antigene in un campione, oppure per misurare la concentrazione di
anticorpi nel plasma sanguigno, come ad esempio nei test per l’AIDS. Il termine
ELISA sta a significare che il dosaggio unisce la specificità della reazione
antigene-anticorpo (reazione immunologica) con la sensibilità di un semplice
dosaggio spettrofotometrico di un enzima. Nell’ambito dei vari metodi
immunoenzimatici, la denominazione ELISA si riferisce esclusivamente ai
sistemi in fase eterogenea, sistemi in cui anticorpi o antigeni sono adsorbiti o
legati ad un substrato solido [XI].
L’Antigene è una molecola che può legarsi ad una specifica immunoglobulina,
grazie ad una struttura specifica detta epitopo . Una singola molecola di
antigene può contenere diversi epitopi riconosciuti da anticorpi differenti.
L’anticorpo (o immunoglobulina ) è una glicoproteina del siero con una
peculiare struttura quaternaria che le conferisce una forma a “Y”. Sono costituiti
da una regione costante, comune a tutte le immunoglobuline appartenenti allo
stesso isotipo e una regione variabile che contiene invece il sito di
combinazione con l’antigene e che è quindi variabile a seconda della specificità
dell’anticorpo per un dato antigene. Nell’ambito del sistema immunitario gli
anticorpi hanno la funzione di neutralizzare corpi estranei come virus e batteri,
riconoscendo ogni antigene legato al corpo come un estraneo [XII].
L’ELISA ha una elevata selettività nei confronti degli analiti da determinare.
L’anticorpo, infatti, è in grado di riconoscere specificamente l’antigene che ha
portato alla sua formazione. La costante di affinità per la formazione dei
complessi antigene-anticorpo è estremamente elevata e, benché la reazione sia
di tipo reversibile, l’equilibrio è di gran lunga spostato verso la formazione dei
complessi antigene-anticorpo. La tecnica si basa sul fatto che, con adatti
procedimenti, è possibile coniugare gli anticorpi di un siero con alcuni enzimi
(perossidasi, fosfatasi alcalina, beta-galattosidasi) senza alterarne la capacità di
combinazione con gli antigeni corrispondenti. Gli enzimi utilizzati sono in grado
di catalizzare una reazione su un idoneo substrato (ad esempio la
tetrametilbenzidina) con la formazione di un prodotto terminale colorato che
permette così di evidenziare la quantità di antigene presente.
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Nei formati commerciali le reazioni vengono, di norma, eseguite all’interno di
pozzetti di polivinile o polistirene (micropiastre da 12 strip da 8 pozzetti
ciascuna per un totale di 96 pozzetti) su cui sono adesi, a seconda dei casi, gli
anticorpi specifici per l’antigene di interesse o l’antigene stesso. All’interno dei
pozzetti vengono incubati i campioni da analizzare (plasma, siero, omogenati
tissutali, latte etc.) e gli opportuni reagenti intervallati da lavaggi atti a rimuovere
i reagenti in eccesso. Per ultimo si aggiunge il substrato che dà origine al
prodotto colorato. La positività è valutata analizzando la comparsa o meno del
colore, in seguito alla reazione catalizzata dall’enzima sul substrato. La tecnica
immunoenzimatica può essere impiegata per la ricerca sia di antigeni che
anticorpi e si presta a numerose variazioni per altrettante applicazioni diverse. I
test ELISA possono essere, infatti, di tipo competitivo o non competitivo
(sandwich) (Figura 7).
-
31
Figura 7- Rappresentazione schematica di un saggio ELISA tipo sandwich (non competitivo) e competitivo diretto
I saggi tipo sandwich sono generalmente utilizzati per la ricerca di molecole ad
alto peso molecolare, come ad esempio, le proteine. Quando invece gli antigeni
sono molecole a basso peso molecolare, come nel caso della ricerca di residui
di farmaci o ormoni, i saggi sono sempre di tipo competitivo e possono essere a
loro volta ulteriormente classificati in diretti e indiretti. Per i test competitivi,
maggiore è la concentrazione di antigene, minore sarà il numero di
immunocomplessi rilevabili per cui, contrariamente a quanto avviene
generalmente in chimica analitica, esiste una proporzionalità inversa tra il
segnale registrato (assorbanza) e concentrazione.
ELISA competitivo di tipo diretto [XI]
L’anticorpo specifico per l’analita è adsorbito sulla superficie dei pozzetti della
micropiastra. Il campione in esame, nel quale si deve determinare la presenza
dell’analita (antigene libero), e una quantità prefissata di coniugato (antigene
legato all’enzima) vengono depositati nei vari pozzetti. Durante la fase di
incubazione, l’antigene coniugato compete con l’antigene libero,
eventualmente presente nel campione, per i siti di legame degli anticorpi adesi
nei pozzetti. Quindi, il materiale non reagito viene rimosso grazie ad opportuni
lavaggi e la quantità di analita coniugato, legata dagli anticorpi immobilizzati, è
quantificata mediante l’aggiunta di un substrato che forma un prodotto
colorato. La reazione viene arrestata mediante l’aggiunta di una soluzione
acida (stop solution) e la lettura spettrofotometrica è effettuata a 450 nm
(giallo).
ELISA competitivo di tipo indiretto [XX]
In questo caso è l’analita (antigene, X), generalmente legato ad una proteina
carrier come l’albumina di siero bovino, ad essere adsorbito sulla superficie dei
pozzetti. Il campione viene addizionato nei pozzetti e successivamente si
aggiunge una quantità prefissata di anticorpo specifico per l’analita. Durante la
fase di incubazione, gli anticorpi in soluzione si ripartiscono tra l’analita libero
(X), eventualmente presente nel campione in analisi, e l’analita immobilizzato
sulla superficie solida del pozzetto. Tutto ciò che non ha reagito durante
l’incubazione viene successivamente rimosso mediante lavaggi e la quantità di
anticorpo legato all’analita specifico nel pozzetto viene quantificata mediante
aggiunta di un secondo anticorpo enzima-coniugato che si lega al primo. In
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32
seguito ad una seconda fase di incubazione e ai lavaggi, si aggiunge il
substrato, si arresta la reazione e si procede alla lettura. Anche in questo caso,
la quantità di colore sviluppatosi risulterà inversamente proporzionale alla
quantità di analita libero nel campione.
Sempre nei saggi competitivi di tipo indiretto, in alcuni casi, nella superficie dei
pozzetti sono adesi, invece che gli antigeni, degli anticorpi in grado di legare
anticorpi anti-antigene (X). Durante l’esecuzione del test, si aggiunge la
soluzione contenente gli anticorpi anti-antigene che si legano agli anticorpi
adesi. Con l’aggiunta simultanea del coniugato e del campione (in cui può
essere eventualmente presente l’analita libero (X) si origina la reazione di
competizione per i siti anticorpali già vista sopra. Lo schema di questo tipo di
saggio è riportato in Figura 8. Si procede infine ai lavaggi e all’aggiunta del
substrato. La reazione viene arrestata mediante una soluzione acida (stop
solution), che muta il colore da blu a giallo e la lettura spettrofotometrica è
effettuata a 450 nm.
Figura 9- Schema di un saggio competitivo indiretto
-
33
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[XI]. O’Keeffe M. Residue analysis in food. Principles and applications. 1a ed.,
Harwood Academic Publishers, O’Keeffe M., Amsterdam (The
Netherlands), 2000.
[XII]. Kelner R., Mermet J.-M., Otto M., Widmer H.M. Analytical Chemistry. 1a
ed., WILEY- VCH, Kelner R., Mermet J.-M., Otto M., Weinheim
(Germany), 1998.
-
35
II - PARTE SPERIMENTALE
-
36
1. Introduzione
Durante le prove di validazione del metodo si sono effettuati esperimenti
utilizzando due differenti procedure di trattamento del campione, di seguito
denominate con A e B. Quindi, nella prima parte dello studio di
ottimizzazione/validazione, sono state eseguite prove ripetute in parallelo su
bianchi-campione e fortificati appartenenti a varie specie animali per verificare
le performances ottenute con i due diversi protocolli. Il metodo A è più semplice
e veloce ed è, tranne per alcune piccole modifiche, sostanzialmente quello
suggerito dal produttore dei test ELISA adottati [I, II], mentre il metodo B è più
lungo e complesso, ma ha il vantaggio di portare a estratti più concentrati e con
meno interferenti [III, IV]. Questo primo gruppo di esperimenti è stato pianificato
per decidere quale fosse il trattamento più adeguato da adottare.
Nella seconda parte dello studio di validazione, si è invece utilizzato il solo
protocollo B ritenuto, in base all’analisi dei dati ottenuti nella prima parte, più
efficace; quindi, si è completata l’indagine sulle caratteristiche di performances
del metodo, utilizzando la procedura più complessa. Tale procedura prevede
un’estrazione, una successiva purificazione in fase liquida (sgrassaggio) e una
in fase solida. Le due parti dello studio di validazione sono schematizzate in
Figura 1 della pagina seguente.
Gli esperimenti sono stati effettuati presso il Laboratorio Residui dell’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, ad eccezione delle
prove eseguite con la procedura di preparazione del campione A, effettuate
presso il Laboratorio di Chimica dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale
dell’Abruzzo e del Molise.
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I PARTE(SPECIFICITA'/ERRORE BETA)
FLUOROCHINOLONI (EIA)(Generic test)
50 µL in doppio
FLUMECHINA (EIA)
50 µL in doppio
TEST ELISA
ESTRATTO PURIFICATOCON
METODO A
-BIANCHI-CAMPIONE-FORTIFICATI
(acido ossolinico/flumechina)
FLUOROCHINOLONI (EIA)(Generic test)
50 µL in doppio
FLUMECHINA (EIA)
50 µL in doppio
TEST ELISA
ESTRATTO PURIFICATOCON
METODO B
-BIANCHI-CAMPIONE-FORTIFICATI
(acido ossolinico/flumechina)
STUDIO DI VALIDAZIONE/OTTIMIZZAZIONE
ESTRATTO PURIFICATOCON
METODO B
II PARTE
FLUOROCHINOLONI (EIA)(Generic test)
50 µL in doppio
FLUMECHINA (EIA)
50 µL in doppio
TEST ELISA
-FORTIFICATI(farmaci non chinoloni)
SPECIFICITA'
FLUOROCHINOLONI (EIA)(Generic test)
50 µL in doppio
TEST ELISA
-FORTIFICATI(diflossacina-saraflossacina)
ERRORE BETA
FLUOROCHINOLONI (EIA)(Generic test)
50 µL in doppio
FLUMECHINA (EIA)
50 µL in doppio
TEST ELISA
FORTIFICATI(acido ossolinico/flumechina)
ROBUSTEZZA
STUDIO DI VALIDAZIONE
Figura 1- Schema del piano di validazione/ottimizza zione
Di seguito sono riportrati entrambi i metodi di trattamento del campione, nonché
le istruzioni per l’esecuzione dei due saggi ELISA.
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2. Metodo A: preparazione del campione secondo le indicazioni riportate dal produttore dei kit ELISA con piccole modifiche
2.1. Reagenti :
• Acqua ultrapura per HPLC
• Metanolo per HPLC
• Normal esano
• Sample dilution buffer: Pesare 0.97 g di Na2HPO4 · H2O, 0.18 g di KH2PO4,
8.94 g di NaCl in un matraccio da 1 L e portare a volume con H2O
ultrapura per HPLC. Portare a pH=7.4 (7.3-7.5)
2.2. Materiali di riferimento ( standard analitici)
• Standard di acido ossolinico (OXO): Sigma-Aldrich, cod. 00877
• Standard di flumechina (FLU): Sigma-Aldrich, cod. 45735
• Standard di diflossacina (DIF): Sigma-Aldrich, cod. 33984
• Standard di marboflossacina (MAR): Sigma-Aldrich, cod. 34039
2.2.1. Soluzioni Madre dei Materiali di Riferimento
Le soluzioni madre sono conservate a +4°C per tre m esi
• Soluzione Madre di acido ossolinico 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio
idrossido
• Soluzione Madre di flumechina 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio idrossido
• Soluzione Madre di diflossacina 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio idrossido
• Soluzione Madre di marboflossacina 0.1 mg/mL in 0.01 M di acido nitrico
Per ciascuna soluzione pesare circa 10 mg di standard in un matraccio tarato
da 100 mL e portare a volume.
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39
2.2.2. Soluzione Intermedia dei Materiali di Riferi mento
Soluzione intermedia dei Materiali di Riferimento ( analiti) a 10 µg/mL
La soluzione intermedia è conservata a +4°C per una settimana
Introdurre, mediante pipetta in vetro in un matraccio tarato da 10 mL 1 mL di
ciascuna soluzione madre a 100 µg/mL e portare a volume con Metanolo per
HPLC.
2.2.3. Soluzione di Lavoro dei Materiali di Riferim ento
Soluzione di Lavoro dei Materiali di Riferimento a 1 µg/mL
Con una pipetta da 2 mL prelevare 1 mL della soluzione intermedia a 10 µg/mL
(2.2.2.) degli analiti (flumechina e acido ossolinico) e portare a volume con
Metanolo per HPLC in matraccio tarato da 10 mL.
NB: Le soluzioni di lavoro è preparata di fresco al momento dell’uso.
2.3. Materiali
• Cilindri in vetro
• Imbuti di vetro
• Matracci in vetro
• Pipette tarate in vetro
• Provette in plastica da centrifuga tipo Falcon da 15 e 50 mL
• Puntali per micropipette
• Siringhe tipo Hamilton
• Kit immunoenzimatico: Fluoroquinolones EIA (Euro-Diagnostica cod. ED
21) e Flumequine EIA (Euro-Diagnostica cod. ED 22)
2.4. Apparecchiatura
• Agitatore meccanico: (IKA, KS 501 digital)
• Bilancia analitica 0.00001 g: (Mettler Toledo, XS 105 DU)
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40
• Bilancia tecnica, sensibilità 0.01 g: (Ohaus Corporation, Ohaus Explorer)
• Centrifuga: (Hettich Rotina, 46 R)
• Evaporatore a flusso d’azoto: (BUCHI, 461 Buchi)
• Frigorifero (4°C ± 2°C): (Angelantoni Industrie Spa, FCL 400/2 TS)
• Lettore di micropiastre ELISA: (Bio-Rad, 550)
• Ultraturrax: (Janke & Kunkel IKA-LABORTECHNIK, T 25)
• Vortex: (Barloworld Scientific, Vortex Stuart SAS)
2.5. Estrazione
• Pesare circa 1 g (± 0.1 g) di tessuto muscolare precedentemente
omogenato con ultraturrax in falcon di plastica da 50 mL
• Aggiungere 3 mL di soluzione di estrazione (MeOH/Sample dilution buffer
80/20 v/v)
• Vortexare per alcuni secondi
• Porre su agitatore meccanico per 15 minuti
• Centrifugare per 10 minuti a 4000 rpm
• Prelevare 2 mL di surnatante
• Portare a secco sotto flusso d’azoto a 50°C
• Riprendere il residuo con 1 mL di MeOH/sample dilution buffer 8/92 v/v
• Sgrassare con 1 mL di normal esano
• Centrifugare brevemente e scartare lo strato superiore
• Prelevare 50 µL e diluire con 250 µL di MeOH/sample dilution buffer 8/92
v/v e dispensare sul kit della Flumechina (par. 4. Reazione
immunoenzimatica (analisi ELISA)
• Prelevare altri 50 µL e diluire con 450 µL di MeOH/sample dilution buffer
8/92 v/v e dispensare sul kit dei Fluorochinoloni (par. 4. Reazione
immunoenzimatica (analisi ELISA)
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3. Metodo B: preparazione del campione con estrazi one e purificazione SPE
3.1. Reagenti
• Acido fosforico 0.025 M a pH=3: Prelevare con pipetta di vetro da 2 mL 1.7
mL di acido ortofosforico 85%, porlo in un matraccio tarato da 1 L, portare
a volume con acqua per HPLC. Miscelare accuratamente e portare a pH 3
con NaOH 10 M.
• Acqua ultrapura per HPLC
• Ammoniaca concentrata al 30%
• Normal esano
• Idrossido di sodio 0.01 M
• Metanolo per HPLC
• Miscela di estrazione: Pesare 1 g di di acido metafosforico e introdurlo in
matraccio tarato da 100 mL. Solubilizzare e quindi portare a volume con
acqua. Prelevare 60 mL della precedente soluzione di MPA 1% (p/v) e
portare a volume con metanolo in matraccio tarato da 100 mL
• Sample dilution buffer: Pesare 0.97 g di Na2HPO4 · H2O, 0.18 g di KH2PO4,
8.94 g di NaCl in un matraccio da 1 L e portare a volume con H2O
ultrapura per HPLC. Portare a pH=7.4 (7.3-7.5).
3.2. Materiali di riferimento ( standard analitici)
• Standard di acido ossolinico (OXO): Sigma-Aldrich, cod. 00877
• Standard di flumechina (FLU): Sigma-Aldrich, cod. 45735
• Standard di diflossacina (DIF): Sigma-Aldrich, cod. 33984
• Standard di marboflossacina (MAR): Sigma-Aldrich, cod. 34039
• Standard di saraflossacina (SAR): Sigma-Aldrich, cod. 33497
3.2.1. Soluzioni Madre dei Materiali di Riferimento
Le soluzioni madre sono conservate a +4°C per tre m esi
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42
• Soluzione Madre di acido ossolinico 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio
idrossido
• Soluzione Madre di flumechina 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio idrossido
• Soluzione Madre di diflossacina 0.1 mg/mL in 0.01 M di sodio idrossido
• Soluzione Madre di marboflossacina 0.1 mg/mL in 0.01 M di acido nitrico
• Soluzione Madre di saraflossacina 0.1 mg/mL in 0.01 M di acido nitrico
Per ciascuna soluzione pesare circa 10 mg di standard in un matraccio tarato
da 100 mL e portare a volume.
3.2.2. Soluzione Intermedia dei Materiali di Riferi mento
Soluzione intermedia dei Materiali di Riferimento ( analiti) a 10 µg/mL
La soluzione intermedia è conservata a +4°C per una settimana
Introdurre, mediante pipetta in vetro in un matraccio tarato da 10mL 1 mL di
ciascuna soluzione madre a 100 µg/mL e portare a volume con Metanolo per
HPLC.
3.2.3. Soluzione di Lavoro dei Materiali di Riferim ento
Soluzione di Lavoro dei Materiali di Riferimento a 0.1 µg/mL
Con una siringa tipo Hamilton prelevare 100 µL della soluzione intermedia a 10
µg/mL (3.2.2.) degli analiti (flumechina e acido ossolinico) e portare a volume
con Metanolo per HPLC in matraccio tarato da 10 mL.
NB: Le soluzioni di lavoro è preparata di fresco al momento dell’uso.
3.3. Materiali
• Colonnine SPE OASIS HLB Waters (30 mg/1 mL)
• Cilindri in vetro
• Filtri idrofili per siringa da 17 mm 0.45 µm
• Imbuti di vetro
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• Matracci in vetro
• Pipette tarate in vetro
• Provette in plastica da centrifuga tipo Falcon da 15 e 50 mL
• Puntali per micropipette
• Reservoir, adattatore e rubinetti per SPE
• Siringhe tipo Hamilton
• Kit immunoenzimatico: Fluoroquinolones EIA (Euro-Diagnostica cod. ED
21) e Flumequine EIA (Euro-Diagnostica cod. ED 22)
3.4. Apparecchiatura
• Agitatore meccanico: (IKA, KS 501 digital)
• Bagnomaria termostatato: (Heto, HMT 200)
• Bilancia analitica 0.00001 g: (Mettler Toledo, XS 105 DU)
• Bilancia tecnica, sensibilità 0.01 g: (Ohaus Corporation, Ohaus Explorer)
• Centrifuga: (Hettich Rotina, 46 R)
• Evaporatore a flusso d’azoto: (BUCHI, 461 Buchi)
• Frigorifero (4°C ± 2°C): (Angelantoni Industrie Spa, FCL 400/2 TS)
• Lettore di micropiastre ELISA: (Bio-Rad, 550)
• Ultraturrax: (Janke & Kunkel IKA-LABORTECHNIK, T 25)
• Vortex: (Barloworld Scientific, Vortex Stuart SAS)
3.5. Estrazione
• Pesare circa 1 g (± 0.1 g) di tessuto muscolare precedentemente
omogenato con ultraturrax in falcon di plastica da 50 mL
• Aggiungere 4 mL di soluzione di estrazione (soluzione di MPA allo 0.6% in
MeOH/acqua 40/60)
• Vortexare per circa 30 secondi
• Porre su agitatore meccanico per 10 minuti
• Immergere le provette in bagnomaria per 30 minuti a 45°-50°C per favorire
la precipitazione proteica
• Lasciare raffreddare e centrifugare per 10 minuti a 4000 rpm
• Filtrare il surnatante mediante filtri per siringa da 17 mm 0.45 µm
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44
• Ripetere l’estrazione, come sopra, con ulteriori 4 mL di soluzione di
estrazione (soluzione di MPA allo 0.6% in MeOH/acqua 40/60)
• Unire gli estratti
• Vortexare per rimescolare gli estratti
• Prelevare la metà dell’estratto complessivo (circa 4 mL)
• Ridurre sotto flusso d’azoto a 40-50°C il volume de ll’estratto fino a circa 2
mL per garantire la completa eliminazione del metanolo. La fase di
evaporazione del metanolo è critica, poiché la sua incompleta eliminazione
porta ad una perdita degli analiti durante la purificazione SPE
• Alla fine del processo di evaporazione diluire gli estratti con 4 mL di
soluzione acquosa di MPA all’1%
• E’ possibile lasciare i campioni in frigo a +4°C pe r una notte prima di
procedere allo sgrassaggio
• Sgrassare con 3 mL di normal esano
• Vortexare per qualche secondo, centrifugare brevemente, prelevare e
buttare lo strato superiore
• E’ possibile lasciare i campioni in frigo a +4°C pe r una notte prima di
procedere alla purificazione.
3.6. Purificazione SPE
• Posizionare la colonnina OASIS in stazione da vuoto
• Attivare la colonnina con 1 mL di metanolo e seccare, con 1 mL di acqua e
seccare
• Caricare quantitativamente l’estratto diluito
• Scartare l’eluato avendo cura di non far seccare la colonnina
• Lavare la colonnina con 2 mL di acido fosforico 0.025 M (pH=3)/Metanolo
95:5 v/v
• Lavare con 2 mL di acqua
• Far asciugare la colonnina sotto flusso d’aria per circa 15 minuti
• Eluire i chinolonici con 2 mL di Metanolo/NH3 95:5 v/v in provetta di
plastica da 15 mL
• E’ possibile lasciare i campioni in frigo per una notte a +4°C prima di
procedere all’analisi ELISA
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45
• Portare a secco sotto flusso di azoto a 50°C
• Riprendere il residuo con 2 mL di Sample diluition buffer diluito
• Vortexare per alcuni minuti
• Seminare 50 µL dei campioni in doppio su ciascuno dei due kit (par. 4.
Reazione immunoenzimatica o analisi ELISA)
4. Reazione immunoenzimatica (analisi ELISA)
4.1. Operazioni preliminari
• Estrarre i kit dal frigorifero almeno un’ora prima dell’esecuzione dei saggi
e porli a temperatura ambiente
All’apertura dei kit effettuare le seguenti operazioni valide per entrambe i kit:
• Ricostituire il coniugato liofilizzato (CAP-HRPO) con 4 mL di tampone di
ricostituzione (dilution buffer). Agitare bene e conservare al buio
• Ricostituire l’anticorpo liofilizzato (antibody) con 4 mL di tampone di
ricostituzione (dilution buffer). Agitare bene e conservare al buio
• Diluire il tampone di lavaggio (rinsing buffer) con acqua secondo le
indicazioni riportate nel libretto di istruzioni allegato al kit in uso (2 mL di
rinsing buffer concentrato con 38 mL d’acqua). Per ogni strip sono
necessari circa 40 mL di tampone di lavaggio diluito. Conservarlo in una
spruzzetta
• Prelevare il numero di pozzetti necessari alla esecuzione del saggio
considerando una semina in doppio sia degli standard che dei campioni, e
riporre immediatamente la piastra in frigorifero.
4.2. Esecuzione del saggio
• Seminare in doppio 100 µL di standard di Flumechina o Norflossacina a 0
ng/mL (bianco)
• Seminare in doppio 50 µL di standard di Flumechina o Norflossacina a 0
ng/mL (segnale massimo B0)
-
46
• Seminare in doppio 50 µL di standard di Flumechina a 1 ng/mL o
Norflossacina a 1.25 ng/mL forniti dai kit (standard obbligatori)
• Qualora si voglia controllare l’intera curva di taratura, seminare in doppio
50 µL anche degli altri standard di Flumechina o Norflossacina forniti dai
kit, rispettivamente nel range tra 0.1 e 50 ng/mL e nel range tra 0.313 e 10
ng/mL (standard facoltativi)
• Seminare in doppio 50 µL di ciascun campione
• Aggiungere 25 µL del coniugato (CAP-HPRO) a tutti i pozzetti, tranne a
quelli del bianco
• Aggiungere 25 µL dell’anticorpo diluito (Anti-CAP), a tutti i pozzetti, tranne
quelli del bianco
• Agitare leggermente la micropiastra con un movimento rotatorio per alcuni
secondi
• Incubare per 1 ora a temperatura di refrigerazione (4 ± 2°C), al buio
• Scaricare il contenuto dei pozzetti e lavare per 3 volte con il tampone di
lavaggio, eliminando ogni volta i residui capovolgendo energicamente la
piastra su carta assorbente e avendo cura di eliminare completamente il
tampone
• Procedere immediatamente con l’aggiunta di 100 µL di substrato, a tutti i
pozzetti e agitare
• Incubare per 30 minuti a temperatura ambiente (25 ± 2°C)
• Aggiungere 100 µL di soluzione d’arresto (stop solution), a tutte le cuvette
• Leggere immediatamente i valori di assorbanza (OD) a 450 nm.
5. Elaborazione dei dati
Alla media delle assorbanze (optical density, OD) registrate o per un campione
o per uno standard è sottratta la media delle assorbanze del bianco: si ottiene
così una quantità indicata con “B”. Analogamente, alla media delle assorbanze
registrate per il segnale massimo (standard zero) è sottratta la media delle
assorbanze del bianco: si ottiene così una quantità indicata con “B0”.
Quindi si procede ad effettuare il rapporto tra B e B0 moltiplicando per 100:
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100
ODOD
ODOD%
BB
biancomassimosegnale
biancocampione/dardtans
0
⋅−−
=
6. Studio di validazione
Il piano sperimentale dello studio di validazione è stato approntato in conformità
ai criteri della Decisione della Commissione 2002/657/CE per metodi di
screening qualitativi. Lo schema completo utilizzato durante lo studio è riportato
in Tabella 1.
Tabella 1- Livelli di fortificazione utilizzati nel lo studio di validazione del muscolo in funzione dei parametri determinati
FLUMEQUINE
ELISA GENERIC
FLUOROQUINOLONES ELISA
Parametro N° di
esperi-menti
Tratta-mento FLU
(µg/kg) OXO
(µg/kg) DIF
(µg/kg) SARA (µg/kg)
I PARTE
specificitàa 20 A 0 0 0 0
specificitàa 21 B 0 0 0 0
CCß 20 A 200 50 0 0
CCß 21 B 10 10 0 0
II PARTE
FLUMEQUINE ELISA
GENERIC FLUOROQUINOLONES ELISA
Parametro
N° di esperi-menti
Tratta-mento FLU
(µg/kg) OXO
(µg/kg) DIF
(µg/kg) SARA (µg/kg)
specificitàb 6 B 0 0 0 0
CCß 20 B 10 0 25 0
robustezza 8 B 10 10 0 0
Errore βc 10 B 0 0 0 10 aProve di specificità effettuate su bianchi-campione per la verifica dell’influenza delle sostanze endogene; bProve di specificità effettuate fortificando sei bianchi-campione con sei farmaci veterinari diversi dai chinolonici (sulfadimetossina, ossitetraciclina, nicarbazina, robenidina, dimetridazolo e cloramfenicolo); cProve aggiuntive effettuate su un numero limitato di campioni inferiore a quello minimo richiesto (20).
-
48
6.1. Curve in tampone
Come ogni sistema di rilevazione strumentale, anche la tecnica ELISA prevede
l’allestimento di curve di taratura. Preliminarmente sono quindi stati seminati,
per entrambi i kit, i sei standard forniti dal produttore, al fine di verificare le
performances dei due prodotti. Per quanto riguarda il kit Generic
fluoroquinolones, gli standard forniti sono di norflossacina alle concentrazioni
progressive di 0.313, 0.625, 1.25, 2.5, 5 e 10 ng/mL, mentre per il kit
Flumequine gli standard sono di flumechina alle concentrazioni 0.1, 0.5, 1.5, 10
e 50 ng/mL.
6.2. Prima parte dello studio di validazione
La prima parte dello studio di validazione/ottimizzazione, come
precedentemente accennato, è stata condotta in parallelo testando entrambe le
procedure di preparazione del campione (A e B), al fine di valutare quale
trattamento del campione sia adatto allo scopo di utilizzo del metodo.
6.2.1. Specificità (bianchi-campione)
Sono stati analizzati almeno venti bianchi-campione di tessuto muscolare
rappresentativi delle specie prelevate durante il controllo ufficiale (polli, suini,
bovini, ovi-caprini, pesci). Lo scopo è quello di valutare l’influenza di possibili
interferenze endogene naturalmente presenti in matrice (falsi positivi).
6.2.2. Verifica della percentuale di errore beta (a cido ossolinico e
flumechina)
Almeno venti bianchi-campione sono stati fortificati a livelli di concentrazione
appropriati simultaneamente con flumechina e acido ossolinico. La fortificazione
è avvenuta in parallelo all’esperimento di specificità (6.2.1.). Durante le prove
preliminari, per il kit Generic fluoroquinolones, la scelta della molecola di
chinolone da utilizzare per la verifica delle performances e il relativo livello di
fortificazione sono stati individuati considerando la cross-reattività dell’anticorpo
(Tabella 2), l’LMR fissato a livello comunitario e, non ultima, la procedura di
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preparazione del campione (A o B).
Tabella 2- Cross- reattività Kit Generic fluoroquinolones (Eurodiagnostica)
Molecola Cross -reattività
Acido ossolinic