INDICE DEI CAPITOLI E SITOGRAFIA
1. Che cos'è il clima
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2. Che cos'è un ambiente naturale
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3. Bioma mediterraneo e macchia mediterranea
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4. Savana
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5. Deserto
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6. Desertificazione
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7. Steppa
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8. Foresta pluviale
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9. Foresta temperata - i boschi di latifoglie
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10.Bioma polare e tundra
mateliber.it/
11. Oasi e biodiversità in Italia
wwf.it
1. Che cos'è il clima
Il clima è l'insieme delle condizioni meteorologiche di una zona della terra che si ripetono per
un lungo periodo di tempo e sono il risultato della combinazione fra tre elementi essenziali
(temperatura, pressione e umidità) a cui vanno variamente sommati fattori climatici locali
quali:
1. l'altitudine: più l'altitudine aumenta più la temperatura tende ad abbassarsi. Infatti
nelle zone più in quota il calore solare giunge attenuato perché una parte di esso viene
assorbito dagli strati atmosferici più bassi;
2. la latitudine: più ci si avvicina ai tropici e all'equatore più perpendicolarmente i raggi
solari colpiscono la superficie terrestre, riscaldandola in misura maggiore;
3. la distanza dal mare: le masse d'acqua hanno la proprietà di assorbire lentamente il
calore solare durante le ore di illuminazione durante la stagione estiva e di irradiarlo in
modo altrettanto lento durante le ore di buio e nella stagione invernale;
4. la presenza di correnti marine: irradiano caldo o freddo a seconda del tipo di
corrente;
5. la presenza di rilievi: condiziona l'andamento dei venti, la formazione di nubi, le
precipitazioni;
6. la presenza di grandi foreste: agiscono sul clima in quanto proteggono il suolo da
eccessivi sbalzi termici e fanno aumentare l'umidità locale;
7. le grandi agglomerazioni urbane: agiscono localmente formando piccole regioni
climatiche (microclima).
2. Che cos'è un ambiente naturale
Un ambiente naturale è una grande regione della terra dotata di caratteristiche omogenee
relativamente a vari elementi: clima, morfologia della superficie, natura dei suoli, forme di vita animale
e vegetale.
Il concetto di ambiente naturale tende a coincidere con quello di bioma, o quantomeno ad includerlo: il
bioma è infatti individuato in base al tipo di vegetazione dominante, ma questa dipende dalle
condizioni climatiche, dalla morfologia della superficie e dalla natura del suolo.
L'equilibrio dell'ambiente naturale è influenzato da diversi fattori, che generalmente vengono distinti in
abiotici ("senza vita"), biotici ("vitali") e limitanti (quelli senza cui un organismo non può vivere). La
complessa interazione fra questi fattori ambientali e gli esseri viventi si definiscono un ecosistema. È
quindi fondamentale che il sistema venga mantenuto in equilibrio per preservare gli ecosistemi e la
vita. La natura spesso usa i fattori limitanti per impedire che una determinata popolazione si sviluppi a
tal punto da raggiungere livelli non sostenibili (resistenza ambientale).
Le caratteristiche dell'ambiente sono cambiate fortemente nel corso della storia geologica della terra,
ma nell'attuale epoca questi cambiamenti non sono stati significativi, se si esclude la pressione
ambientale esercitata dall'uomo negli ultimi secoli.
L'attività umana ha profondamente modificato nei secoli l'ambiente, creando città, utilizzando risorse,
modificando il paesaggio, inserendo nuove specie in regioni in cui prima erano assenti.
www.tuttiabordodislessia.wordpress.com
3. Bioma mediterraneo e macchia mediterranea
Il bioma mediterraneo è una zona di transizione compresa tra la fascia temperata e quella tropicale
che si sviluppa in alcune regioni comprese tra i 20° e i 40° di latitudine nord e sud. La regione di
biosfera più estesa con queste caratteristiche e che dà il nome al bioma è quella del bacino del
Mediterraneo, ma sono presenti altre regioni di dimensioni inferiori con queste caratteristiche in Cile,
in California, nella costa occidentale dell'Africa meridionale e nella regione sudoccidentale
dell'Australia.
Il bioma mediterraneo è caratterizzato da temperature medie annue comprese tra gli 0 e i 20 gradi
centigradi. Le masse d'aria a queste latitudini sono tendenzialmente povere di umidità, condizione che
favorisce la desertificazione; in questo bioma la presenza di mari o oceani adiacenti relativamente
freddi compensa tale tendenza. Le precipitazioni sono concentrate nei mesi invernali e le estati sono
calde e secche.
Il bioma mediterraneo costituisce meno del 5% della biosfera ma ospita il 20% delle piante vascolari, la
maggior parte delle quali sono endemiche e rare.
La garriga è una formazione vegetale tipica delle regioni mediterranee, che si sviluppa nelle zone più
asciutte, su terreni calcarei; il paesaggio è costituito da formazioni cespugliose di bassa statura che al
massimo raggiungono 1-1,5 metri, ma in genere inferiori ai 50 cm (rosmarino, timo, cisti, quercia
spinosa). Più che un vero e proprio bioma è da considerarsi uno stadio involutivo derivato dalla
degradazione della macchia mediterranea, dovuto a svariate cause quali incendi, aridità,
disboscamento, sfruttamento eccessivo del territorio, erosione.
Flora Nelle regioni mediterranee la vegetazione ha dovuto adattarsi a un regime di scarse
precipitazioni annue e lunghe siccità estive. Così alcune specie hanno sviluppato radici profonde,
capaci di attingere alle falde acquifere sotterranee. Altre, come le piante bulbose e molte erbe
aromatiche, raggiungono la massima crescita all'inizio dell'estate, quando il suolo è ancora abbastanza
umido. La vegetazione si stratifica in due livelli: uno superiore con chiome a portamento arboreo, che
possono raggiungere i 4 metri d'altezza. Le formazioni più caratteristiche sono i boschi di querce,
sugheri e pini marittimi o quelle coltivate quali agrumi, ulivi, viti, fichi, palme. La vegetazione dello
strato inferiore presenta specie a basso fusto che raggiungono al massimo i 2-3 metri d'altezza, come il
lentisco, l'erica, il corbezzolo [S1][F1], il mirto, le ginestre e altre cespugliose come il rosmarino.
Fauna La vita animale è rappresentata, fra gli invertebrati, soprattutto dagli insetti, tra cui cicale,
locuste, mantidi, lepidotteri, scorpioni e millepiedi. Tra i rettili abbiamo la biscia, le lucertole, la vipera
e la testuggine comune che predilige zone aride e cespugliose. Numerose sono le specie di uccelli che
trovano rifugio e nidificano nella macchia: tordi, capinere, cinciallegre, cardellini, verdoni, pernici,
picchi e ghiandaie. Ridotti sono i mammiferi: cinghiali, istrici, linci.
diariodeclasedesociales.wordpress.c
4. Savana
La savana è tipica dei climi caldo umidi tropicali meno piovosi, cioè di ambienti di transizione tra le
foreste della fascia equatoriale e i deserti delle zone tropicali. Le aree a savana più estese sono situate
in Africa (Sudan, Nigeria, Angola, Zimbabwe, ecc), in Asia (parte della penisola indiana, Birmania,
Thailandia), in America meridionale (Venezuela, Brasile), in Australia (Queensland). Nell'America
meridionale le estensioni di savana sono definite nei paesi di lingua spagnola llanos o pampas, sertão
in Brasile.
La savana è un bioma terrestre soprattutto subtropicale e tropicale, caratterizzato da una vegetazione a
prevalenza erbosa, con arbusti e alberi abbastanza distanziati da non dar luogo a una volta chiusa. Le
savane possono formarsi in seguito alla presenza di specifiche condizioni climatiche, oppure a causa di
incendi stagionali (anche indotti dall'uomo) o particolari caratteristiche del suolo.[1] Si trova nelle zone
calde dell'Africa, dell'America centrale e meridionale e dell'Australia.
Gli ambienti di savana vengono classificati secondo le caratteristiche della vegetazione, il clima,
l'altitudine o altri criteri. Si possono per esempio distinguere:
1. la savana aperta o savana chiara, dove prevale l'erba e gli alberi sono rari;
2. la savana boscosa o savana scura, dove gli alberi sono più fitti, fino al caso estremo della
foresta aperta;
3. la savana tropicale e subtropicale (spesso indicata semplicemente come "savana"), situata
nelle regioni in prossimità dei tropici;
4. la savana temperata, ambiente analogo a quello della savana tropicale, ma situata a più alte
latitudini, dove le estati sono più umide e gli inverni più secchi;
5. la savana mediterranea o prateria mediterranea;
6. la savana alluvionale è quella che riceve stagionalmente precipitazioni tali da allagarsi;
7. la savana montana, situata in alta quota.
Le savane tropicali e subtropicali sono determinate principalmente dalla scarsità e mancata
stagionalità delle precipitazioni. Precipitazioni inferiori ai 1000–2000 mm all'anno sono infatti
insufficienti allo sviluppo di alberi e arbusti, e determinano regioni di sola prateria erbosa, quali si
trovano tipicamente ai margini dei deserti subtropicali. Spostandosi gradualmente verso latitudini più
piovose (ovvero verso l'equatore) si osserva prima la comparsa di vegetazione arbustiva e poi di alberi
isolati. Oltre i 4000 mm annui, a meno che non intervengano altri fattori ambientali, gli alberi sono
sufficientemente vicini e ricchi da formare una volta, che blocca la luce del sole e riduce la presenza
erbosa: la savana cede quindi gradualmente il posto alla foresta. Regioni di savana determinata
esclusivamente o principalmente da fattori climatici si trovano per esempio in Africa occidentale e
centrale.
Durante i periodi di siccità, il manto erboso secco e continuo crea le condizioni ideali per lo sviluppo di
grandi incendi, innescati per esempio dai fulmini. Il fuoco ha l'effetto di arricchire di sali minerali il
suolo, stimolando la crescita di un nuovo manto erboso, e impedisce l'infittirsi di alberi e arbusti
distruggendone i germogli. Nelle savane che devono la loro esistenza soprattutto agli incendi
stagionali, predominano tipicamente le specie vegetali che sono più resistenti al fuoco o che possono
trarre vantaggio dal fuoco nella competizione con le altre specie.
La pratica di appiccare stagionalmente incendi in prati e praterie è diffusa nelle comunità umane fin
dall'antichità, e di conseguenza molti ambienti di savana in diverse parti del mondo si possono
attribuire del tutto o in parte all'influenza dell'uomo. Esempi in questo senso sono le savane presenti nel
Nord America precolombiano, di cui restano tracce in alcune località della macchia mediterranea. Il
fuoco è stato usato storicamente dall'uomo, tra l'altro, per rinnovare i pascoli per il bestiame, preparare
il terreno per l'agricoltura, o scacciare gli animali selvatici. Incendi antropogeni sono oggi
determinanti anche per la sopravvivenza di importanti aree di savana protetta; per esempio, in alcuni
parchi faunistici africani gli incendi periodici sono esplicitamente previsti dai programmi di
conservazione ambientale.
In alcuni casi specifici, un ambiente di savana può essere determinato o favorito da caratteristiche
peculiari del suolo. Per esempio, i campos cerrados del Brasile sono aree di prateria in cui il suolo
presenta una crosta dura ferrosa coperta da uno strato di humus sufficiente alla crescita dell'erba ma
non allo sviluppo delle radici degli alberi.
Fauna: La fauna si presenta ricchissima, accumunata dalla stessa necessità: il bisogno di procurarsi
acqua nella lunga stagione arida. Predominano i mammiferi erbivori pascolatori e brucatori: in
particolare rinoceronti, elefanti, antilopi, gazzelle, zebre, giraffe, facoceri. Nonostante la
concentrazione di animali, non c'è mai un'aspra contesa per il cibo, ogni specie si nutre attingendo a
livelli diversi di vegetazione, così per esempio le giraffe brucano i rami superiori degli alberi, mentre le
antilopi le altezze intermedie, le zebre l'erba a livello del suolo e ancora i facoceri frugano il terreno
alla ricerca di radici sotterranee. Numerosi sono anche i carnivori (come leoni, ghepardi, leopardi) o
spazzini come i sciacalli e le iene. Come succede per le erbe e le piante, la ripartizione del cibo avviene
razionalmente. L'animale che è abbattuto viene divorato da chi l'ha ucciso, i suoi resti ripuliti dagli
spazzini, infine le parti ossee vengono divorate dalle larve. Svariati sono anche gli uccelli che vivono
nella savana, fra essi lo struzzo, il nandù, l'emù. Altri sono migratori, che arrivano in queste regioni per
svernare e sfuggire ai freddi dell'emisfero boreale.
Flora. A dominare questo paesaggio naturale sono le grandi estensioni di terreno, generalmente
ricoperte da erbe alte. Essendo le precipitazioni scarse, solo le erbe possono sopportare la stagione
arida, e, in taluni casi, queste graminacee possono superare i 6 metri di altezza. A seconda della
maggiore o minore abbondanza di precipitazioni vi sono due tipi di savana. Vicino alle grandi foreste
tropicali, dove l'umidità è ancora relativamente abbondante, la savana (savana alberata) si presenta
con una boscaglia rada e ricca di alberi, i quali possono presentarsi isolati o a gruppi; tra questi
spiccano la palma dum, le acacie e soprattutto il gigantesco baobab, tipico albero della savana africana.
Questo tipo di bioma si sviluppa nelle regioni più a ridosso dell'Equatore, nelle zone interne invece
troviamo erbe dominanti e alberi molto radi, mentre la savana si inaridisce ulteriormente mano a mano
che si avvicina alle fasce desertiche (savana spinosa, chiamata in Africa sahel e in Brasile caatinga).
oceanworld.tamu.edu
5. Deserto
In geografia, il deserto è definito un'area della superficie terrestre quasi o del tutto disabitata, nella
quale le precipitazioni difficilmente superano i 250 millimetri l'anno e il terreno è prevalentemente
arido, con scarsa o nulla vegetazione. Tra i deserti, in base a questa definizione, vanno annoverate
anche le Regioni polari, oltre alle più familiari zone aride che si incontrano alle medie e basse
latitudini.
Alternativamente la parola deserto viene utilizzata per indicare un luogo non abitato da esseri umani e
scarsamente abitato da altre specie viventi: anche in base a questa definizione, i deserti comprendono i
luoghi dal clima rigido, come l'Antartide e la tundra o più in generale le Regioni polari.
Un deserto è un ecosistema che riceve pochissima pioggia e di solito si pensa che possegga poca vita,
ma questo dipende dal tipo di deserto; in molti la vita è abbondante, la vegetazione si è adattata al basso
tasso di umidità e la fauna solitamente si nasconde durante il giorno, il che significa che un deserto è un
ecosistema solitamente arido e che quindi rende difficoltoso, se non talvolta impossibile, l'instaurazione
permanente di gruppi sociali.
I deserti costituiscono una delle aree emerse più grandi del pianeta: la sua superficie totale è di 50
milioni di chilometri quadrati, circa un terzo della superficie della Terra. Rappresenta il 30% delle terre
emerse, (il 16% è costituito da deserti caldi, il 14% da deserti freddi).
Gran parte dei deserti del mondo si trovano in zone caratterizzate da alta pressione costante
(anticiclone), cioè una condizione che non favorisce la pioggia. Tra i deserti di queste aree vi sono: il
deserto del Sahara (il più grande deserto del pianeta Terra), il Kalahari, e il deserto del Namib
nell'Africa meridionale; il Gran Deserto Sabbioso, in Australia, il deserto del Gobi (o Chamō), il
Karakum, il deserto di Taklamakan in Cina, il Rub' al-Khali in Arabia, il deserto del Negev, il deserto
del Mojave, e il deserto di Atacama nelle Americhe solo per citarne alcuni dei più vasti.
Gran parte di deserti sono localizzati all'interno dei continenti, vale a dire distanti dal mare: come ad
esempio, il deserto del Gobi e altri deserti dell'Asia centrale, che difficilmente vengono raggiunti dai
venti umidi degli oceani. Un esempio del contrario, tuttavia, si riscontra in piccole zone desertiche del
Mediterraneo occidentale in Europa: in Spagna, Francia ed Italia.
I paesaggi nel deserto si presentano in modo abbastanza vario, a seconda se siano rocciosi o sabbiosi.
In un deserto di tipo sabbioso l’elemento più ricorrente è la duna, un accumulo di sabbia portata dal
vento, che può modificarsi frequentemente, oppure essere fissa, nel caso che la sabbia abbia trovato un
ostacolo (un arbusto, una roccia). Le dune più frequenti sono le barkana, a forma di mezzaluna che si
formano quando il vento spira sempre nello stesso senso. Altri termini indicano dune dalla forma
diversa; per esempio quelle a forma di sciabola si chiamano "sif". La duna può essere anche irregolare,
costituita dal vento che cambia direzione, avremo quindi una accumulo disordinato di sabbia.
Il deserto stesso può essere di diversi tipi: l'erg o deserto sabbioso; nell'immaginario è il tipico deserto,
in realtà è l'ultimo in ordine di diffusione (10% di tutte le terre aride) e rappresenta solo un decimo
della superficie complessiva del deserto più famoso: il Sahara. Qui la sabbia generata dallo
sgretolamento delle rocce per effetto delle forti differenze di temperatura tra il giorno e la notte è a sua
volta sospinta dal vento creando un'azione abrasiva sulle rocce che incontra sul suo cammino.
Il reg o serir è il deserto pietroso, nato dallo sfaldamento delle rocce, formato da ciottoli o veri e propri
macigni.
L'hamada è il deserto montuoso, spoglio di vegetazione, con grandi rilievi alti e stretti.
La nebka è una formazione mista di vegetazione e sabbia.
L'uadi è il letto secco di un fiume nel quale scorre l'acqua solo in caso di piogge eccezionalmente
abbondanti.
L'unico bioma nel quale la pioggia può mancare per anni è il deserto. Se ne possono distinguere tre
tipologie principali:
1. Deserto caldo, deserto roccioso dove il suolo è costituito da pietre o ciottoli chiamati con la
parola araba di Hamada; può essere anche ghiaioso, chiamato Reg, oppure sabbioso a dune,
chiamato Erg, presenti nelle regioni tropicali, caratterizzate da accentuata aridità, vegetazione
ridotta o assente, mancanza di corsi d'acqua perenni, tendenza alla siccità; il clima a cui si
associa tale ambiente è il clima desertico caldo (secondo la classificazione dei climi di Köppen);
2. Deserto freddo, presente nelle regioni temperate più continentali, caratterizzate da fortissima
aridità e da notevolissime escursioni termiche annue di temperatura, con estati caldissime e
inverni freddissimi; il clima a cui si associa tale ambiente è il clima desertico freddo (secondo la
classificazione dei climi di Köppen);
3. Deserto polare (deserto bianco), presenti nelle regioni settentrionali e meridionali a margine
dei continenti boreali e australi (Groenlandia, Artide e Antartide), caratterizzate da freddo
intenso e perenni distese di neve e ghiaccio; il clima a cui si associa tale ambiente è il clima
glaciale.
Deserti caldi e freddi sono accomunati comunque da un fattore preponderante: il vento.
Esistono popolazioni nomadi come i Tuareg, che vivono nel deserto in tribù formate da poche
persone, all'incirca 30 o 40 membri. Essi si dedicano soprattutto alla pastorizia e all'agricoltura,
sviluppata nelle oasi (formatesi quando l'acqua sotterranea affiora solo in zone ristrette). Per
proteggersi dagli intensi raggi del sole, i Tuareg devono coprirsi completamente lasciando liberi solo
occhi e bocca. Usano indossare il caffettano, una lunga veste coperta a sua volta da numerosi teli.
Inoltre nel deserto vi sono presenti anche tribù di boscimani.
Flora. La tipica vegetazione del deserto è costituita da piante xerofile, piante che prediligono un
ambiente arido e sono in grado di sopportare lunghi periodi di siccità. Le loro foglie sono prive di
clorofilla e in presenza di umidità trattengono l'acqua.
Nella lotta contro l'aridità, le differenti forme vegetali hanno sviluppato particolari adattamenti,
crescendo solo nei luoghi maggiormente favorevoli alla loro sopravvivenza. Alcune specie hanno
sviluppato il sistema radicale in modo da formare, per una superficie considerevole attorno alla base
della pianta, una vera e propria rete di radici decorrenti nei primi strati del suolo e capaci quindi di
sfruttare al massimo l'acqua penetratavi a poca profondità.
Numerose altre specie spingono l'apparato radicale a notevole profondità, attraverso strati del
sottosuolo più aridi, alla ricerca di livelli umidi, dove si ramificano abbondantemente. Altra tipica
vegetazione è costituita da piante grasse, come il cactus, capace di immagazzinare grandi quantità
d'acqua nel fusto o negli organi ipogei e per eliminare una eccessiva traspirazione ha tessuti duri e
impermeabili. Spesso le piante del deserto hanno foglie con cuticole particolarmente ispessite, oppure
esse diminuiscono la superficie fogliare, sostituendovi a volte delle formazioni spinose.
In alcune specie il ciclo vegetativo completo è spesso abbreviato (da circa 3 mesi fino a un minimo di
8-15 giorni); si parla allora di piante effimere [S1][E1], che germinano subito dopo le piogge, si
sviluppano quasi in modo istantaneo, fioriscono e fruttificano prima ancora che il suolo sia inaridito di
nuovo.
L'ambiente delle oasi è invece caratterizzato da una vegetazione permanente.
Fauna. Ad una rada flora fa riscontro una fauna relativamente scarsa di specie e la cui vita è limitata
attorno alle piccole aree di vegetazione o nei ripari offerti dal suolo roccioso.
In generale, accanto ad animali esclusivamente deserticoli (alcuni roditori, carnivori, serpenti, scorpioni
oltre al dromedario e al cammello), se ne notano pure altri caratteristici della savana corridori e saltatori
(come lo struzzo e il canguro), dotati di notevole resistenza. Per la maggior parte gli animali del deserto
sono piccoli in modo che possano trovare riparo dall'intenso calore delle ore diurne e dal gelo notturno
sotto pietre o in piccole tane. Per esempio trovano rifugio nelle zone sabbiose numerosi animali
scavatori, tra i quali roditori e insetti notturni nonché diversi rettili. Altri sopravvivono alle condizioni
avverse migrando o uscendo dal letargo solo durante le rare piogge.
La fauna tipica del deserto presenta interessanti adattamenti fisiologici intesi a sopportare bene le
elevate variazioni di temperature e a resistere a lungo alla mancanza d'acqua; ciò viene reso possibile,
per esempio negli insetti, mediante tegumenti ispessiti e superfici respiratorie ridotte al minimo. Nei
rettili, poi, le escrezioni sono praticamente prive d'acqua, oppure le zampe sono lunghe per mantenere
il più possibile il corpo lontano dal terreno.
Caratteristiche di molte specie di uccelli, mammiferi e insetti è la produzione (e relativa conservazione)
di acqua, ottenuta in seguito a processi metabolici per ossidazione di lipidi immagazzinati dall'
organismo (come avviene per i cammelli e i dromedari), la quale spesso e la sola disponibile. Tra i
mammiferi, alcuni roditori (per esempio il ratto canguro vivono esclusivamente di semi secchi di
vegetali senza praticamente mai bere, essendo capaci di produrre acqua metabolica in sufficienza. A ciò
si aggiungono il loro ritmo di attività tipicamente notturno e la possibilità di concentrare al massimo le
escrezioni, espellendo solo minime quantità d' acqua. Altri roditori dipendono invece in buona parte
dall'acqua di accumulo dei fusti delle cactacee e di altre piante succulente che vengono assunte come
cibo.
www.thisfabtrek.com (hamada)
6. Desertificazione
La desertificazione indica un processo, per lo più causato dalle attività umane, che indica la
degradazione dei suoli portando alla scomparsa della biosfera (flora e fauna); di solito è un processo
irreversibile che interessa tutti i continenti con intensità ed effetti diversi.
La UNCCD (1994) definisce la desertificazione come:
“[…] il degrado del territorio nelle zone aride, semi aride e sub umide secche
attribuibile a varie cause fra le quali variazioni climatiche e le attività umane" .
La desertificazione spesso ha origine dallo sfruttamento intensivo della popolazione che si stabilisce
nel territorio per coltivarlo oppure dalle necessità industriali e di utilizzo per il pascolo.
La desertificazione costituisce un pericolo per le regioni aride e secche del pianeta, che costituiscono
quasi il 50% delle terre emerse, quindi costituisce un rischio per più di 100 paesi contati un miliardo di
abitanti. Il continente più colpito è l’Africa dove oltre i due terzi delle terre coltivate sono a rischio, ma
ciò non toglie che esistano larghe aree degradate anche in Asia, Oceania e America meridionale e, in
misura minore, in Europa e America settentrionale.
Storicamente non si era dato molto peso al problema della desertificazione. Recentemente il
fenomeno è diventato tristemente famoso a causa di alcune siccità che hanno colpito alcune zone sul
confine meridionale del Sahara intorno agli anni 70 e il corno d’Africa intorno agli anni 90 causando la
morte di più di 100mila persone.
La comunità internazionale ha da tempo riconosciuto la desertificazione come uno dei maggiori
problemi economici, sociali e ambientali in vari paesi del mondo. La desertificazione infatti riduce
drammaticamente la fertilità dei suoli e, di conseguenza, la capacità di un ecosistema, seppure in
origine desertico o semi-desertico, di produrre servizi. Infatti in alcuni paesi si pratica il
rimboschimento di aree desertificate.
Secondo la Convenzione sulla Diversità Biologica i servizi degli ecosistemi sono da considerarsi
elementi essenziali per la vita di una comunità sia in paesi industrialmente avanzati sia, e forse in
maniera anche maggiore, in paesi in via di sviluppo.
I servizi degli ecosistemi sono generalmente descritti in:
1. Servizi di fornitura: ad es. cibo, acqua, legno e fibre;
2.Servizi di regolazione: ad es. stabilizzazione del clima, assetto idrogeologico, barriera alla
diffusione di malattie, riciclaggio dei rifiuti, qualità dell'acqua;
3. Servizi culturali: ad es. i valori estetici, ricreativi e spirituali;
4. Servizi di supporto: ad es. formazione di suolo, fotosintesi, riciclo dei nutrienti.
Nel 1977 la Conferenza delle Nazioni Unite sulla Desertificazione (UNCOD, dall'inglese United
Nations Conference on Desertification) adottò il «Piano d'Azione per Combattere la
Desertificazione» (PACD, dall'inglese Plan of Action to Combat Desertification).
Nonostante gli sforzi compiuti per la realizzazione di questo piano, uno studio dell'UNEP del 1991
concluse che, malgrado si possano registrare alcuni esempi localizzati di successo, il processo di
degrado della terra in zone aride, semi-aride e subumide si era generalmente intensificato. Le attività
specifiche di questo piano prevedevano, fra le altre, la creazione di filari di alberi, spesso eucalipti o
altre specie aliene alla flora del paese, per frenare l'avanzata del deserto.
Il concetto di desertificazione si è quindi progressivamente evoluto nel corso degli anni nel
tentativo di definire un processo che, seppur caratterizzato da cause locali, sta sempre più assumendo la
connotazione di un problema globale.
Al «Summit di Rio» si decise inoltre di istituire un "Comitato di Negoziazione
Intergovernativo" per preparare, entro il giugno del 1994, una convenzione per combattere la
desertificazione in quei paesi che soffrono di gravi siccità, particolarmente in Africa. Il 17 giugno 1994,
a Parigi, la UNCCD fu adottata.
La Convenzione è entrata in vigore nel dicembre del 1996, 90 giorni dopo la ratifica del cinquantesimo
paese. Ad oggi, la Convenzione conta 191 Paesi e la prima Conferenza delle Parti si tenne nell'ottobre
del 1997 a Roma.
La definizione attualmente accettata dalla comunità internazionale è quella proposta dalla UNCCD che
definisce la desertificazione come:
"degrado delle terre nelle aree aride, semi-aride e sub-umide secche, attribuibile a
varie cause, fra le quali variazioni climatiche ed attività umane. L'espressione
"degrado delle terre" designa la diminuzione o la scomparsa, nelle zone aride,
semi-aride e subumide secche, della produttività biologica o economica e della
complessità delle terre coltivate non irrigate, delle terre coltivate irrigate, dei
percorsi, dei pascoli, delle foreste o delle superfici boschive in seguito
all'utilizzazione delle terre o di uno o più fenomeni, segnatamente di fenomeni
dovuti all'attività dell'uomo e ai suoi modi d'insediamento."
Il termine desertificazione si configura quindi come un generico degrado delle terre in particolari
ambiti climatici, e non necessariamente come l'espansione dei deserti (desertizzazione).
Le cause che maggiormente contribuiscono al processo di desertificazione sono molte e complesse e
comprendono in generale fattori antropici e fattori ambientali, spesso tra loro combinati:
1. Ecosistemi delicati
2. Litologia
3. Idrologia
4. Morfologia
5. Scarsa copertura vegetale
Tra i fattori antropici abbiamo la:
1. Deforestazione
2. Agricoltura e zootecnica
3. Urbanizzazione
4. Discariche ed attività estrattive
5. Inquinamento
6. Incendi
7. Sfruttamento non sostenibile delle risorse
8. Eccessivo uso di sostanze chimiche
9. Alcuni complessi meccanismi relativi al commercio internazionale
10. Cattive pratiche di irrigazione e salinizzazione dei suoli
11. La progressiva sparizione della striscia di cespugli e arbusti ai margini dei deserti a causa
dei pascoli, che grazie alle loro feci che fungono da fertilizzante soprattutto se sono molto
liquide ha permesso la preoccupante espansione di questi ultimi.
L’introduzione di nuove tecniche di irrigazione ha consentito la trasformazione di molte zone inadatte
all’agricoltura in zone adatte alle coltivazioni; d’altro canto nelle regioni aride soggette a pratiche
irrigue è frequente un fenomeno di salinizzazione, questo fenomeno è causato dall’evaporazione
dell’umidità dei terreni che per risalita capillare porta in superficie sali tossici per le colture quali i
cloruri. Si contano circa 6 milioni di chilometri quadrati di terre colpite dalla salinizzazione.
Tra i fattori ambientali figurano quelli strettamente climatici legati cioè ad anomalie climatiche o a
veri e propri mutamenti climatici e quelli geologici tra i quali si ricordano:
1. Variazioni climatiche (variazione delle temperatura)
2. siccità prolungate
3. fenomeni di erosione del terreno legati ad eventi atmosferici violenti (es. alluvioni);
L’espansione delle zone desertiche terrestri, intensificatasi soprattutto negli ultimi anni trova uno delle
sue maggiori cause, a scala planetaria, nei recenti mutamenti climatici che hanno investito il nostro
pianeta; molte tra le emissioni gassose nell’atmosfera contribuiscono al riscaldamento globale attuando
l’effetto serra. Anche piccole variazioni delle condizioni ambientali possono a lungo termine mettere
in crisi ecosistemi portando alla perdita di biodiversità e in casi peggiori all’inaridimento di vaste zone.
L’ONU è da tempo scesa in campo per fronteggiare i problemi legati alla desertificazione in tutto il
pianeta. L’assemblea delle nazioni unite ha proclamato il 2011 Anno Internazionale delle Foreste, e
dal 1994 il 17 giugno è stato dichiarato giornata mondiale della lotta alla desertificazione. Dal
2000, 191 stati membri delle nazioni unite hanno sottoscritto il Millennium Development Goals
(Obiettivi di Sviluppo del Millennio) o MDG, che consiste in una lista di propositi in cui gli stati
sottoscriventi si impegnano a raggiungere entro il 2015, fra le quali appaiono nel settimo punto:
7.A) Integrare i principi di sviluppo sostenibile nelle politiche e nei programmi dei paesi;
invertire la tendenza attuale nella perdita di risorse ambientali.
7.B) Ridurre il processo di annullamento della biodiversità raggiungendo, entro il 2010, una
riduzione significativa del fenomeno.
A livello mondiale richiamiamo la già citata UNCCD, la Convenzione sulla Lotta alla Siccità e alla
Desertificazione delle Nazioni Unite, che rappresenta uno strumento giuridico per oltre 190 paesi
impegnati nella lotta alla desertificazione.
La desertificazione colpisce soprattutto i continenti centro meridionali del globo. La gran parte delle
popolazioni più povere vive nelle suddette zone e la loro sopravvivenza è direttamente dipendente dal
sovra sfruttamento delle esigue risorse naturali di tali zone.
È interessante notare che anche la UNCCD ammette che anche alcuni parametri sociali e politici
contribuiscono significativamente al processo di desertificazione delle terre, fra questi il livello di
povertà e l'instabilità politica. La convenzione cerca quindi di promuovere azioni locali, possibilmente
con idee nuove ed approcci innovativi, e che beneficino di partenariato internazionale. Questo perché i
cambiamenti da effettuare sono sia a livello locale che internazionale.
Il recente rapporto sulla situazione ambientale in Italia stilato dall’INEA sottolinea come più del 50%
del territorio è stato considerato potenzialmente a rischio. Intere regioni come la Sicilia, Sardegna,
Calabria, Basilicata, Puglia e Campania, e parte di altre regioni: Lazio,Toscana, Molise, Marche e
Abruzzo. Inoltre è importante sottolineare che già il 4,3% dell’intero territorio italiano (1,2 milioni di
ettari) è già sterile mentre il 4,7% (1,4 mln di ettari) ha già subito fenomeni di desertificazione. Il
principale motivo di questo avanzante deterioramento ambientale si può addebitare anche a fattori
ambientali, quali la diminuzione di apporti meteorici, che ha causato minor apporto idrico nella rete
idrica superficiale, quali fiumi e laghi.
7. Steppa
Il bioma della steppa si trova nelle aree influenzate da un clima semiarido e secco, con forti escursioni
termiche tra il giorno e la notte, con inverni freddi e estati calde. In queste aree le precipitazioni non
superano i 350 mm e in genere cadono solo in alcuni mesi dell'anno, permettendo lo sviluppo
stagionale di prati e steppe, costituite da vegetazione erbosa capace di sopravvivere anche con
pochissima acqua. Troviamo questo tipo di formazione vegetale aperta, costituita da piante isolate, da
erbacee, e, solo in casi particolari, arboree nelle steppe-praterie dell'Europa orientale, nell'Asia centrale,
nelle steppe predesertiche dell'Australia, nelle zone limitrofe alle aree desertiche della California,
dell'Arizona, e in Africa.
Flora. E' composta da piante xerofile e graminacee. In prevalenza crescono arbusti e radi cespugli.
Fauna. La fauna della steppa include animali in grado di adattarsi alle difficili condizioni climatiche e
di utilizzare a proprio vantaggio le caratteristiche dei terreni steppici. Tra gli animali della steppa si
trovano numerosi bovidi ed equini, piccoli roditori, carnivori (sciacalli e iene), uccelli. Il tipico
abitante della steppa australiana è il canguro, ma esistono numerose altre specie di marsupiali, come
l'opossum e il wombato, simile a un piccolo orso.
8. Foresta pluviale
Il nome di questa foresta deriva dal latino pluvia: pioggia ( è chiamata anche foresta vergine, cioè
impenetrabile). Questo bioma è tipico delle regioni con clima caldo-umido con temperature medie
annue costanti (25° e i 30°), scarse escursioni termiche, ma soprattutto con precipitazioni annuali
abbondanti (tra 1500 e 4000 mm).
Le foreste pluviali si estendono in varie zone intorno all'equatore, tra le quali: la foresta Amazzonica
in Brasile e le isole dell'arcipelago indonesiano.
Flora. Numerosi sono gli aspetti fondamentali del paesaggio naturale. In particolare la foresta è fitta,
compatta e continua. Sono presenti molte varietà di piante, tra cui varie specie di epifite (quali orchidee
e bromeliacee). Le liane rendono ancora più impenetrabile la foresta: esse sono piante dal fusto molto
allungato, il cui diametro può superare i 20 cm, che crescono appoggiandosi alle altre piante. Queste
possono ostacolare persino il passaggio della luce del sole. Nelle foreste pluviali la vegetazione è
dominata dalle angiosperme. La maggior parte delle piante ha struttura legnosa: in un ettaro di terreno
occupato da una foresta pluviale giunta al suo grado massimo di sviluppo possono trovarsi da 80 a 200
specie diverse. Spesso in un ettaro non si trovano che una o due piante di una stessa specie: solo in
alcuni ambienti particolari, si può trovare una specie o un numero limitato di specie sulle altre. Questo
ambiente presenta alberi di vario tipo, di cui prevalgono le palme e le felci erboree.
In questo tipo di foresta la flora si presenta stratificata:
lo strato emergente è formato dalle cime degli alberi più
alti, che possono raggiungere anche i 50 m. di altezza (1);
sotto questi si apre la volta, con alberi la cui altezza
raggiunge i 20 m (2).
Lo strato medio è formato da alberi la cui altezza varia
dai 5 ai 20 m (3).
A livello degli arbusti crescono invece liane e radici
pendenti (4).
A terra abbiamo invece piante basse, felci, muschi (5).
Il sottobosco non si presenta fitto, in quanto i raggi del sole non riescono a penetrare e quindi a fornire
ossigeno a queste piante.
Fauna. Come le flora, anche la vita animale si diversifica all'interno della foresta pluviale e si presenta
a "strati". La fauna è rappresentata soprattutto da animali arboricoli, pipistrelli, insetti, scimmie, rettili e
anfibi. Tra gli uccelli predominano i pappagalli, le ara, i tucani dalle ali e zampe corte adatte per
arrampicarsi agilmente sui rami, e dal becco corto e curvo, impiegato per spezzare bacche e frutti.
Persino alcuni mammiferi (leopardi e giaguari) che di solito vivono al suolo riescono ad a arrampicarsi
tra gli alberi per trovare riparo. Gli stagni sono invece abitati da coccodrilli, serpenti e pesci carnivori.
Negli strati inferiori vivono l'ippopotamo, tremiti, formiche. Notevoli sono pure i mezzi di difesa e
protezione a cui ricorrono i vari animali, tra cui il mimetismo, di cui si servono uccelli e rettili, per
confondersi con i colori della vegetazione.
9. La foresta temperata - I boschi di latifoglie
Questo tipo di bioma si trova nelle zone temperate calde e fredde, in particolare nell'Europa centrale,
negli Stati Uniti, nel sud del Canada, nella parte centro orientale della Cina e in Giappone. Le foreste
un tempo occupavano spazi assai più vasti, ma l'uomo ne ha distrutto una buona parte sia per ricavarne
terreni per l'agricoltura o per gli insediamenti abitativi, sia per ottenere quantità di legname da
utilizzare come combustibile e come materiale di costruzione.
La foresta decidua è tipica di un regime climatico continentale, ricco di precipitazioni in tutti i mesi.
Vi è un deciso ciclo annuale della temperatura, con una stagione invernale fredda, ed un'estate calda
(con temperature medie superiori ai 10°). Le precipitazioni sono nettamente più abbondanti nei mesi
estivi e cioè nel periodo dell'anno in cui l'evaporazione e la traspirazione sono maggiori e le esigenze di
umidità sono più alte. D'estate si incorre in un ridotto deficit idrico, mentre in primavera si verifica
normalmente una grande eccedenza d'acqua. Nell'Asia orientale l'inverno è eccezionalmente asciutto,
ma questo fattore viene compensato dalle basse temperature.
Flora. Nel bosco di latifoglie la maggior parte di queste piante ha foglie caduche, cioè foglie che
cadono in autunno, per poi rispuntare in primavera, questo per limitare il proprio bisogno d'acqua e
ridurre allo stesso tempo la traspirazione. La foresta temperata comprende un consistente numero di
alberi a foglia decidua, tra cui querce, betulle, faggi, pioppi, acacie e, nei suoli più adatti, castagni. Il
sottobosco ha moltissimi tipi di piante erbacee dai muschi alle felci.
Fauna. È estinta una gran parte delle specie animali che un tempo popolavano questi boschi quali i
leoni di montagna, bovini selvatici, l'alce; altre specie sono minacciate dall'uomo, come l'orso e il lupo
ridotti a pochi esemplari, perlopiù protetti da parchi nazionali. I boschi di latifoglie sono abitati
prevalentemente una enorme varietà di uccelli (cince, picchi, poiane, nibbi, gufi); le specie di
mammiferi sono meno numerose: opossum, caprioli, cinghiali, volpi, gatti selvatici, piccoli roditori
(scoiattoli, topi, marmotte). Gli insetti presenti in gran numero e varietà hanno un ruolo importante per
il mantenimento dell'equilibrio naturale.
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10. Bioma polare
Le regioni situate alle latitudini più elevate, dove la temperatura dei mesi più caldi non supera i 10°C
mentre la temperatura media annua è addirittura sotto 0°C, hanno climi estremamente rigidi detti
polari. L'inverno si protrae per la maggior parte dell'anno e per alcuni mesi il Sole non compare nel
cielo oppure rimane estremamente basso sull'orizzonte, mentre il suolo resta permanentemente gelato;
nel corso della breve estate il Sole non tramonta ma è spesso oscurato da nuvolosità, dato che le
precipitazioni (fino a 250 mm di pioggia annui) interessano specialmente questo periodo; il suolo si
scongela solo in superficie mentre la porzione profonda, detta permafrost, è sempre ghiacciata e
quindi non può essere colonizzata dalle radici delle piante.
Nelle regioni a clima seminivale, situate al confine settentrionale della fascia a climi microtermici
dell'Eurasia e del Canada, si sviluppa un bioma caratteristico detto tundra: si tratta di una bassa
vegetazione di muschi e licheni, con cuscinetti di erbe a fiori di colori vivaci e radi arbusti (mirtilli,
salici nani, betulle); mancano gli alberi mentre gli animali sono rappresentati, oltre che da mammiferi
di piccola taglia e da uccelli, anche da grandi erbivori come renne, alci e buoi muschiati, e da predatori
come i lupi e gli orsi. Lungo le zone costiere ci sono animali che si nutrono in mare, come le foche, i
trichechi e grandi cetacei. Per quanto riguarda l'uomo, la tundra è scarsamente abitata. Popolazioni
nomadi (lapponi, ceppi mongolici siberiani, eschimesi) dediti o alla pastorizia delle renne o alla caccia
dei mammiferi marini, rappresentano i rari insediamenti umani.
Nell'emisfero australe hanno clima seminivale alcune parti della Patagonia meridionale e le isole
subantartiche, popolate da uccelli e mammiferi marini solo nelle aree costiere.
Alle latitudini estreme, sulle calotte polari e in Groenlandia, si ha clima nivale caratterizzato da gelo
permanente dato che la temperatura ambientale solo di rado supera gli 0°C. Il suolo è coperto da
ghiaccio che si estende alla superficie marina lungo le coste; nel lungo e buio inverno polare, la
banchisa riveste enormi estensioni oceaniche spingendosi, in Antartide, a oltre 2000 Km dalla costa. Si
tratta di ambienti inospitali per la vita vegetale e capaci di consentire la vita anima-le solo lungo le aree
costiere. Qui la breve estate polare vede lo sviluppo di grandi quantità di plancton perché le acque
marine sono ossigenate e ricche di sali; il plancton nutre schiere di pesci e questi sono a loro volta
preda di uccelli (albatros, gabbiani, sterne, cormorani), mammiferi semiterrestri (foche e otarie) e
mammiferi marini (cetacei a denti conici). Vari cetacei, come le balene e le balenottere, si nutrono
direttamente di plancton, in particolare di minuscoli gamberetti (krill = sono animali del plancton)
abbondanti nelle acque antartiche; qui vive anche il più atipico fra gli uccelli, il pinguino, le cui ali si
sono trasformate in una sorta di pinne che consentono rapide immersioni e nuoto veloce. L'uomo non
ha basi stabili nell'ambiente nivale, di solito accessibile solo nella stagione calda, tuttavia, sia a scopo
militare che scientifico, sono state costruite stazioni permanenti anche nelle regioni più ostili del
continente antartico; al loro interno, pochi individui svernano in totale isolamento, dato che intorno
dell'oceano, naturalmente, l'influenza della sua enorme massa d'acqua sul clima si fa ancora più
evidente.
Le aree costiere lungo l'oceano sono le più umide del Pianeta, a meno che la presenza di catene
montuose parallele, oppure l'esistenza di correnti marine fredde, non provochino la deviazione delle
masse d'aria umida verso il mare aperto, determinando condizioni di aridità, e talora deserti, lungo la
fascia costiera. Deserti costieri si trovano nel Cile settentrionale e lungo la costa atlantica dell'Africa
meridionale. e regioni situate alle latitudini più elevate, dove la temperatura dei mesi più caldi non
supera i 10°C mentre la temperatura media annua è addirittura sotto 0°C, hanno climi estremamente
rigidi detti polari. L'inverno si protrae per la maggior parte dell'anno e per alcuni mesi il Sole non
compare nel cielo oppure rimane estremamente basso sull'orizzonte, mentre il suolo resta
permanentemente gelato; nel corso della breve estate il Sole non tramonta ma è spesso oscurato da
nuvolosità, dato che le precipitazioni (fino a 250 mm di pioggia annui) interessano specialmente questo
periodo; il suolo si scongela solo in superficie mentre la porzione profonda, detta permafrost, è sempre
ghiacciata e quindi non può essere colonizzata dalle radici delle piante.
11. Oasi e biodiversità in Italia
"Ciascuna Parte contraente, nella misura del possibile e come
appropriato, istituisce un sistema di zone protette o di zone dove
misure speciali devono essere adottate per conservare la diversità
biologica."
Recita così il primo comma dell'Articolo 8 della Convenzione Internazionale sulla Biodiversità,
sottoscritta ad oggi da 193 paesi del mondo.
Si tratta della Convenzione internazionale considerata più completa: i suoi obiettivi si applicano
praticamente a tutti gli organismi viventi della terra, sia selvatici che selezionati dall'uomo. E
l'istituzione e la difesa di zone protette costituiscono passi fondamentali per la tutela della biodiversità
naturale.
Nelle Oasi sono rappresentati quasi tutti gli ambienti naturali del nostro paese: si va dalle praterie
alpine alle coste di gesso, dall'insieme di aree umide, ai canyon selvaggi, dalle cascate alle grotte, dai
boschi planiziali alle foreste mediterranee.
Ci sono aree che senza il WWF oggi non esisterebbero, perché l'intervento del WWF le ha salvate da
mire speculative; mentre altre che dopo essere state abbandonate al degrado e sottoposte a caccia e
sfruttamento sono tornate a vivere. Ci sono animali e piante in diminuzione ovunque che grazie alle
Oasi hanno trovato un rifugio sicuro. Così le tante piante, spesso endemiche, o i complessi vegetali
sempre meno diffusi come le abetine, i boschi igrofili, le foreste sempreverdi.
Un sistema distribuito in tutta le penisola e nelle isole, custodito direttamente o in collaborazione,
costituito da aree prese in gestione da privati o affidate al WWF dalle amministrazioni nazionali,
regionali e locali. Ci sono anche aree acquistate grazie a campagne di sottoscrizione popolare, altre
donate o lasciate in eredità. Questo straordinario patrimonio è a disposizione di tutti.
La biodiversità italiana: un sogno in pericolo
DISTRUZIONE DELL'HABITAT. Non basta che un'area sia protetta per scongiurarne i pericoli:
costruzione di strade, sbancamenti o cave sono pericoli costanti.
BRACCONAGGIO. Nonostante vigilanza e controlli, il bracconaggio non smette di minacciare la
nostra fauna, anche nelle Oasi. La caccia e il bracconaggio sono pericoli quotidiani che vanno
fronteggiati con risorse supplementari, azioni legali e tanta sorveglianza.
INCENDI. Ogni estate gli incendi bruciano in Italia migliaia di ettari di bosco, in special modo nelle
aree protette. E' necessario rafforzare la presenza sul territorio.
CAMBIAMENTI CLIMATICI. Aumento delle temperature ed eventi meteorologici estremi stanno
mettendo in grande difficoltà molte Oasi, in particolare habitat come i boschi costieri e le aree umide.
La rarefazione degli anfibi – rane, salamandre, raganelle – è uno dei campanelli d’allarme che il WWF
registra da qualche anno con “Osservatorio Oasi”, progetto grazie al quale in molte aree strategiche si
stanno monitorando alcuni indicatori biologici (specie animali sensibili, oltre gli anfibi, come le farfalle
notturne e dal 2013 anche le rondini) e fisici (con apposite centraline meteo).
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BIBLIOGRAFIA
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John Cloudsley-Thompson, I deserti, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1977. (ISBN non
esistente).
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T. Flannery (1994), The Future Eaters. Reed Books, Melbourne.
Gashaka Project, The Savannah Woodlands. Dipartimento di antropologia dello University College di
Londra
Oleg Polunin, Martin Walters, Guida alle vegetazioni d'Europa. Zanichelli, Bologna, 1992, ISBN
88-08-03740-1
Stephen J. Pyne (1997) Vestal Fire: An Environmental History, Told through Fire, of Europe and
Europe's Encounter with the World. University of Washington Press, Londra e Seattle. ISBN
0-295-97596-2
Folco Quilici, I grandi deserti, Milano, Rizzoli, 1969. (ISBN non esistente).
S. Saha (2003), Patterns in Woody Species Diversity. «Ecography» 26, pp. 80–86.
John Stanturf, The Use of Fire by Native Americans. Southern Forest Resource Assessment, USA.
United States Department of Fish and Agriculture (USDA) Forest Service, Federal Wildland Fire
Management Policy and Program Review (FWFMP).
University of California Museum of Paleontology (UCMP), The Grassland Biome
SITOGRAFIA
www. archive.forumcommunity.net (immagini)
www.calabriaonweb.it
www. diariodeclasedesociales.wordpress.com
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www.greenews.info
www.it.wikipedia.org
www.mateliber.it/
www.oceanworld.tamu.edu
www.reteintercultura.it/attachments/article/107/20b_Guida.doc
www.tuttiabordodislessia.wordpress.com
www. wwf.it