Download - Eraclito e il panta rei
SKOTEINOS. IL TEMPO INIZIATICOClemente Condello
« ... restare sempre presente a me stesso ...»(Kenji Tokitzu)
«Con faticosa leggerezza, / con paziente agilità, /con calcolata ispirazione...»(Wisława Szymborska)
«In quel fervore intriso dell'istante / che di continuo prende l'essenza del mondo»(Camillo Pennati)
Introduzione
«Ogni volta che mi ricordo di voi ringrazio il mio Dio» scrive Paolo all'inizio della prima lettera ai Filippesi.
Forse Paolo intende ringraziare il suo Dio perché lo ha fatto andare via da Filippi? Ammicca che dei Filippesi sia
meglio il ricordo piuttosto che conviverci? Oppure si tratta di un ricordo piacevole e Paolo li ama perché sono
fedeli al suo messaggio e lo mettono in pratica? O, ancora, si tratta di un ringraziamento per benefici ricevuti,
visto che i Filippesi lo sovvenzionano caldamente dopo che ha lasciato la Macedonia?
Leggere la lettera paolina non aiuta a risolvere questi dubbi. Piuttosto ne aggiunge. Paolo è certamente ben
disposto verso gli abitanti di Filippi, sia perché sono i primi che lui ha convertito fuori dal suolo palestinese, sia
perchè sono fedeli al suo messaggio anche dopo che è andato via da Filippi, sia perché lo inondano di aiuti
finanziari che egli accetta di buon grado.
Mi domando se tutti e tre i motivi siano leciti per ringraziare Dio ricordandosi dei Filippesi come fa Paolo, o se
un motivo in realtà sia più lecito degli altri o se un motivo sia invece meno lecito degli altri. Poi, però, penso che
il buon Paolo avrà i suoi buoni motivi e che alla fin fine sono fatti suoi. Quindi prendiamo tutto alla lettera e
lasciamo le cose come stanno.
Solo che questo non è propriamente un comportamento evangelico. Alcune cose che diamo per scontate possono
essere molto più oscure di quello che sembrano e, a volte, se qualcosa è oscuro, bisognerebbe fare un po' di luce.
Ma poi se la luce resta nascosta sotto un secchio o sotto il letto, allora la lampada non è servita a nulla. Lo dicono
i vangeli di Matteo (5,15), Marco (4,21) e Luca (8, 16-18).
Allora torniamo a Paolo : la cosa interessante è che ringrazia Dio ricordandosi dei Filippesi mentre è
probabilmente in carcere a Efeso. Qui mi arriva un piccolo barlume, cioè che a Efeso vive anche quell'altro, che
Paolo non conosce e non frequenta e che non è neanche illuminato. Anzi. Quell'altro si chiama Eraclito,
soprannominato il tenebroso, o l'oscuro, che in greco si dice: «skoteinos».
Appunto.
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1. Panta rei?
In un suo dialogo, Platone presenta la dottrina eraclitea per bocca di Socrate, che a un certo momento afferma:
«Eraclito, come sapete, dice che tutto scorre e nulla permane» (Cratilo, 402a). Da quel momento a oggi, molta
acqua è passata sotto i ponti, salvo che la famosa frase platonica non è acqua passata. La filosofia e la letteratura,
per non parlare delle scienze, della saggezza popolare e della semplice goliardia, ne hanno attinto e ne attingono
a piene mani. Troppo ghiotto nella sua generalità, il «panta rei» può diventare un lemma, cioè una proposizione
preliminare che si assume come certa, per introdurre una panoplia di situazioni molto diverse tra loro.
A dimostrazione di questo, vi risparmio le considerazioni sul «tutto scorre e nulla permane» applicate alla vita
umana e al suo tra-passare. Invece, pensate allo scienziato che vede un atomo disintegrarsi dopo una folle corsa
di mille chilometri nel reattore nucleare e che vi manda un laconico SMS: «Tutto scorre! nulla permane!».
Oppure, pensate per un momento all'amante che non volete più, ma che che rincuorate: «Eh sì, tra noi è proprio
finita ma tu non ti preoccupare: tutto (anche l'amore) scorre e nulla permane!». Oppure, pensate al vostro
telefonino, che l'ex-amante ha scagliato contro il muro dicendovi con un sospiro: «Hai ragione, tutto scorre e
nulla permane!». Oppure, più banalmente, applicate il «tutto scorre, nulla permane» alla corsa del bolo ingerito
pensando alla fine che esso farà. E così via.
Ignoro se queste e altre interpretazioni del suo pensiero raccolgano l'approvazione di Eraclito, che Aristotele
dall'alto della sua sistematica saggezza soprannomina skoteinós, il tenebroso (l'oscuro), per via che di lui capisce
poco o niente. So invece per certo che l'acqua del famoso fiume eracliteo – nel quale non ci si bagna due volte –
mai spegnerebbe il fuoco che il nostro bel tenebroso ritiene essere l'essenza di tutto: «Quest'ordine universale,
che è lo stesso per tutti, non lo fece alcuno tra gli dèi o tra gli uomini, ma sempre era è e sarà fuoco vivo
eternamente, che si accende e si spegne secondo giusta misura» (DK 22 B 30).
Davvero tenebroso è l'Eraclito! Non soltanto è uno che si esprime utilizzando il linguaggio enigmatico tipico
dell'oracolo delfico e innalza il fuoco a ente primo. Ma è anche un iniziato ai misteri orfici e ipotizza per le leggi
della città l'analogia con le leggi che governano il cosmo. Per questo storce il naso quando la plebaglia non
capisce le sue scelte politiche (per intenderci, quelle del genere: io capisco tutto, voi niente). Le scelte politiche
individuali hanno invero poco a che fare (sarà poi vero?) con le leggi che sempre e ancora governano il cosmo. Si
trattta dell leggi che, per Eraclito, sono davanti gli occhi di tutti e sono illustrate dagli insegnamenti iniziatici.
Tali insegnamenti, però, sono difficili da comprendere sia per lui che per i suoi concittadini, visto che: «Agli
uomini è nascosto ciò che fanno da svegli così come dimenticano ciò che fanno dormendo» (DK 22 B 1).
Solo che Eraclito, lui, fa uno sforzo: «Ho indagato me stesso» (DK 22 B 101).
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2. Gnôthi seautón?
Il contesto iniziatico in cui si muove Eraclito è ben reale, cioè esso non è né casuale né aneddotico né marginale
nella sua vita quotidiana. Ma esso «è» la sua vita e nello stesso tempo «è» il suo linguaggio così come «è» la sua
riflessione filosofica. Cosa voglio dire? Voglio dire che a Eraclito va strettissimo un «panta rei» focalizzato
unicamente sul divenire, che si contrappone alla famosa immobilità parmenidea, in maniera che poi arrivi
Platone e metta tutto a posto. Invece, il pensiero eracliteo non solo si espande oltre il flusso del divenire, ma
soprattutto si inserisce in una totalità: il suo è un mondo olistico nel quale convivono gli uomini e gli dei.
Bisogna dire, per correttezza (con gli dei), che anche gli uomini più sapienti, al confronto con gli dei «sembrano
una scimmia per sapienza, bellezza e ogni altra cosa» (DK 22 B 83).
La consapevolezza dello svantaggio non turba affatto Eraclito, convinto che, comunque, noi siamo ben capaci di
conoscerci, basta seguire il famoso detto «conosci te stesso», inciso presso l'oracolo di Delfo. Eraclito così
precede Socrate: «Ad ogni uomo è concesso conoscere se stesso ed essere saggio» (DK 22 B 116). Il motivo per
cui Eraclito ci concede (benignamente?) di conoscerci è da ritrovare nel carattere olistico della sua filosofia: per
l'efesino, noi partecipiamo del fuoco che, sotto l'egida divina, guida l'universo e inonda tutto e tutti. Grazie al
fuoco, la nostra ragione umana è collegata con quella divina che ordina le cose del mondo e che, per Eraclito, è il
«logos».
Il «logos» di Eraclito non è quello che conosciamo da Aristotele, ma è «quello che è comune agli esseri
dell'universo e che è divino» (DK 22 A 16). Nello stesso tempo, questa cosa divina resta nascosta agli uomini
perché: «la natura umana non ha il dono della sapienza, ma quella divina sì» (DK 22 B 78). Gli uomini, cioè,
dobbiamo fare uno sforzo di conoscenza. Chi non vuole fare sforzi, non merita l'attenzione di Eraclito, di questo
filosofo elitario che afferma senza timore: «uno è per me diecimila, se è il migliore». (DK 22 B 49).
3. Skoteinos?
Tenebroso (oscuro) Eraclito lo è non solo per le sue idee ma anche per il suo linguaggio, che Platone arriva a
paragonare a quello saltellante e contraddittorio dei sofisti, Eraclito viene definitivamente smontato da
Heidegger, che lo accusa, lui e tutti i greci, di non aver mai pensato l'essenza del linguaggio. Mentre Eraclito gli
ribatte: «ma sta' zitto, giovinotto peripatetico e per di più nazista», Heidegger, tutto serio, gli contrabatte: «senti
chi parla, l'antipatico e incomprensibile filopersiano traditore».
A noi che interveniamo per mettere pace tra i due contendenti (esagerati entrambi, ammettiamolo), è comunque
chiaro che l'accusa di Heidegger, intrisa del suo giovanile aristotelicismo, suona arida di fronte all'altezza e alla
profondità vertiginose del pensiero eracliteo. A differenza del professore di Friburgo, il filosofo di Efeso sa bene
che: «la natura delle cose ama nascondersi» (DK 22 B 45) e che per il sapiente: «una e la stessa è la via all'in su e
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la via all'in giù» (DK 22 B 60). Su queste parole di Eraclito si è fondata una scuola e che mira all'essenza non
solo del linguaggio ma anche delle cose, e su di esse sembra calcata la premessa di un antico e breve testo
ermetico ellenistico, arrivato a noi per via araba e considerato nel medioevo come il decalogo degli alchimisti. Si
tratta della Tabula Smaragdina: «Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è
in basso, per compiere i miracoli della cosa una».
Se nella Tabula si può leggere la sintesi del pensiero eracliteo, la ragione probabilmente è che, come scrive
Giorgio Colli: «c’è un discorso orfico antico che parla delle ''strade'', quelle da seguire e quelle da evitare, quelle
degli iniziati, e quelle dei volgari. La via, il sentiero è un’immagine, un’allusione che ritorna nell’età dei sapienti,
in Eraclito, in Parmenide, in Empedocle».
Per Eraclito, gli opposti sono la stessa cosa e la via all'in su e la via all'in giù sono intercambiabili. La
coincidenza degli opposti non è contraddittoria, ma forma la realtà: «La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo
sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli di nuovo mutando son
questi»(DK 22 B 88). E ancora: «Le cose fredde si riscaldano, le cose calde si raffreddano, le cose umide si
disseccano, le cose secche si inumidiscono» (DK 22 B 126). A un certo punto, Eraclito si veste di arancione e fa
il maestro zen facendosi prestare dal suo dio Apollo l'arco e la lira: «Non comprendono come, pur discordando in
se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell'arco e della lira» (DK 22 B 51). E, finalmente,
descrive l'uroboro poi ripreso da tutto l'esoterismo occidentale: «Comune infatti è il principio e la fine nella
circonferenza del cerchio» (DK 22 B 103).
Il platonico «panta rei» non rende affatto giustizia al divenire eracliteo. E se questo divenire fosse invece la sfera
olistica guidata dal fuoco del logos divino, nella quale tutto si muove intercambiandosi? Cosa ci sarebbe di
tenebroso in questo? Da Eraclito in poi, un'idea del genere si ritrova costantemente nella cultura occidentale. Per
esempio, innestandosi sulla dialettica tempo-eternità di Plotino, una delle poesie filosofiche del romantico
tedesco Friedrich Schiller recita: «E mentre l'umano oscilla, lassù / alto sullo spazio e sul tempo, / vive un dio, un
santo volere,/ è l'idea suprema che intreccia la vita: /anche se ogni cosa ruota nel divenire, / un quieto spirito
permane nel mutamento».
Da questo punto di vista, il «panta rei» eracliteo acquista un senso nuovo, che apre uno spiraglio olistico
nell'esistenza spezzettata di oggi. Questo senso olistico è ben illustrato, paradossalmente, nel numero di aprile
2013 della rivista Scientific American: diversi tipi di neutrino, particella teorizzata nel 1930 ma che gli scienziati
sono riusciti a vedere solo 80 anni dopo, si trasformano nel loro opposto viaggiando quasi alla velocità della luce.
Certo, Eraclito ne sarà lusingato, anche se col suo solito tono antipatico ci dirà di concentrarci sul ritmo del
movimento: molto lento il ritmo della via all'in su, il cielo, i pianeti, il macrocosmo e invece velocissimo il ritmo
della via all'in giù, il mondo fisico, le molecole gli atomi, il microcosmo. E, naturalmente, viceversa...
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Chissá se la stessa cosa vale anche per il ritmo di noi umani? Giriamo la domanda a Eraclito, che ci risponde col
suo solito stile sibillino: «sì, ma diversamente». Se gli chiediamo di specificare meglio, con fare oracolare il buon
Eraclito declama: «Acque sempre diverse scorrono per coloro che s’immergono negli stessi fiumi» (DK 22 B
12). Ed ecco che qui succede una cosa inattesa. Osservandomi bonariamente, Eraclito mi dice: «adesso basta, sto
partendo in vacanza». E se ne va.
Conclusione
Che strano. Sono al mare in Grecia e sono sicuro di conoscere i miei tre vicini d'ombrellone. Hanno tutti e tre
un'aria assorta e stanno ognuno per i fatti loro, leggendo ciascuno un libro, un tex willer e il financial times.
Quello riccio e barbuto ha una faccia piuttosto scorbutica e un arco e una cetra tatuati sul braccio: sembra un
bronzo di riace, ma molto più tarchiato e un po' in sovrappeso, è lui quello del libro. L'altro sfoggia dei baffi
vistosi, ha una camicia bavarese aperta sul petto villoso e l'aria un po' tesa: sembra Lohengrin, il cavaliere del
cigno appena scampato da un'opera di Wagner, lui invece legge tex willer. Il terzo fischietta un tango, ha dei
grandi occhiali scuri e un sigaro in bocca: sembra uno che ha sbagliato completamente fermata dell'autobus,
invece di scendere in collina, è sceso al mare, e legge anche il giornale sbagliato.
A un certo punto, quest'ultimo chiude il finacial times, si alza sulla sdraio e si rivolge agli altri due in spagnolo
strascicato, evidentemente argentino: «L'acqua si apre a infinite orme, / e su oziose canoe di faccia alle stelle /
l'uomo misura il vago tempo con il sigaro». Il baffuto chiude tex willer e, annuendo con gesto geometrico, gli
risponde stentoreo, in tedesco: «Jawhol! la vera attività metafisica dell'uomo è l'arte e non la morale ».
Il riccio e barbuto solleva un occhio dal libro italiano che sta leggendo, i Cento veli di Massimiliano Comparin, e
– quasi infastidito – risponde in greco ai suoi due accompagnatori: «Sì, sì, sempre a dire cazzate voi due, fareste
bene a conoscervi un po' di più, lo dico sempre io: 'gnôthi seautón'!... sentite cosa dice Comparin: un tale è stato
graziato dallo zar in punto di morte, lo shock gli fa scoprire l'attimo presente, cioè come trasformare ogni minuto
in un secolo intero per non perdersi nulla: questo tale scrisse le più belle pagine della letteratura russa».
Bibliografia
Il nuovo testamento in lingua corrente, Elledici, Leumann 2009.Jorge Luis Borges, Poesie, Milano, Rizzoli 2004.Giorgio Colli, La sapienza greca, 3 vv., Milano, Adelphi 1977-80.Massimiliano Comparin, I cento veli, Varese, Nuova Editrice Magenta 2010.Lambros Coulobaritis, Aux origines de la philosophie européenne, De Boeck&Larcier 1994. Martin Heidegger, Il cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1990.Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia, Milano, Adelphi 1977.Angelo Pasquinelli (a cura di), I presocratici. Frammenti e testimonianze, I, Torino, Einaudi 1958.Camillo Pennati, Paesaggi del silenzio con figura, Novara, Interlinea 2012.Kenji Tokitzu, La voie du Karaté. Pour une théorie des arts martiaux japonais, Seuil, Paris1979 Friedrich Schiller, Poesie filosofiche, Milano, SE 1990.Emanuele Severino, La filosofia antica, Milano, Rizzoli 1990.Mirko Sladek, L'étoile d'Hermès. Fragments de philosophie hermétique. Paris, Albin Michel 1993.Wisława Szymborska, La gioia di vivere. Tutte le poesie (1945-2009), Milano, Adelphi 2009.
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