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Codice ISBN: 978-88-99161-01-9 Codice ISBN-A: 10.978.8899161/019
STRADE LOCALI EXTRAURBANEE ACCESSIBILITA’ ALLA
VIABILITA’ MINORE
QUADERNI AIPCR
TEMA 2 – RETI E MOBILITA'
Quaderno a cura del Comitato Tecnico 2.5
Presidente Arch. Paola Villani
C.T. 2.5 Strade locali extraurbane e accessibilità alla viabilità minore
Composizione del Comitato Tecnico 2.5 pag. 8
Introduzione pag. 9
Capitolo 1 pag. 11
□ La rete stradale di Province e Comuni: analisi normativa ed economico-finanziaria
Antonio Cataldo, Paola Villani Introduzione 1. La classificazione della rete stradale 1.1 La spesa per la manutenzione ordinaria della rete stradale 1.2 Problemi connessi alla declassificazione della rete stradale 1.3 La rete declassificata e la viabilità minore e rurale 2 L’analisi dei dati 2.1 L’analisi dei dati su base comunale 2.2. L’analisi dei dati su base provinciale 3. Il censimento della rete stradale 3.1 La rete primaria 3.2 La rete secondaria 3.3 La rete minore 3.4 Le opere per la manutenzione della rete minore 3.5 Un censimento impossibile 4. Finalità della classificazione funzionale della rete stradale 4.1 La funzione delle strade 4.2 La classificazione amministrativa delle strade 5. Conclusioni Tabelle Bibliografia Riferimenti e siti Web
Capitolo 2 pag. 45
□ Il censimento delle strade appartenenti alla rete extraurbana: aspetti metodologici e normativi
Antonio Cataldo, Alessandro Di Graziano, Paola Villani
1. Metodologia 2. Fasce di rispetto 3. Classificazione della rete locale extraurbana 3.1 I problemi derivanti dalla classificazione 3.2 La classificazione e le categorie 4. Rappresentazione cartografica e problemi connessi 4.1 Il trasporto merci 4.2 I veicoli sulla rete minore 4.3 L’aggiornamento della segnaletica stradale 4.4 Classificazione della rete e segnaletica stradale 4.5 La sicurezza lungo la rete secondaria 4.6 Classificazione e specificità della rete stradale minore Conclusioni Bibliografia Riferimenti e siti Web
Capitolo 3 pag. 78
□ Rischio idrogeologico e rete viabilistica nazionale minore Barbara Dessì, Daniele Spizzichino
1. Quadro normativo 2. Rischio idrogeologico 3. Eventi naturali geologico idraulici e serie storiche 4. Impatti del dissesto idrogeologico in Italia e nel mondo 5. Il Progetto ReNDiS 6. Caso di studio: interruzione ed isolamento piccole comunità 6.1 Scelta del caso di studio 6.2 Metodologia di analisi 6.3 Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (Progetto IFFI) 6.4 Aree a pericolosità idraulica 6.5 Grafo stradale TeleAtlas ® 2009 6.6. Analisi ed implementazione dei dati 7. Conclusioni Bibliografia Riferimenti e siti Web
Capitolo 4 pag. 95
□ Elementi fondamentali per redigere un Piano del Traffico per la Viabilità Extraurbana Gabriella Caroti, Antonio Pratelli, Matteo Rossi Sommario 1.Introduzione 2. Un punto di vista generale 2.1 La classificazione della rete stradale 2.2 La sicurezza stradale 2.3 Il Road Safety Audit e il DL 35/2011 2.4 Gli obiettivi del PTVE 2.5 I dati necessari per lo sviluppo e la redazione del PTVE
La domanda di trasporto I dati di incidentalità I dati relativi alle infrastrutture
2.6 Strumenti informatici di supporto
2.7 Gli indicatori di prestazione 3. Gli elementi affrontati nello studio 3.1 La velocità di progetto per infrastrutture esistenti 3.2 Il passaggio alle velocità operative
I rettifili Le curve La velocità operativa di un tracciato stradale
3.3 Il livello di rischio dei dispositivi di ritenuta Il censimento dei dispositivi
3.4 Il livello di rischio connesso allo stato delle pavimentazioni 3.5 Individuazione dei punti pericolosi sulla rete stradale
Criterio 1 Criterio 2 Criterio 3
3.6 L’analisi di incidentalità Il metodo CNR Il metodo delle Norme Svizzere SN 640 009 La procedura messa a punto
3.7 Gli indici di funzionalità 3.8 La georeferenziazione 3.9 Sviluppo di un modello tassonomico per una classificazione funzionale di una rete stradale 4. Applicazione della metodologia alla viabilità extraurbana della Provincia di Pisa 4.1 La domanda di trasporto attuale 4.2 Le velocità di progetto per le strade extraurbane della Provincia di Pisa 4.3 Le velocità operative per le strade extraurbane della Provincia di Pisa 4.4 Il livello di rischio dei dispositivi di ritenuta 4.5 L’individuazione dei punti pericolosi 4.6 Gli indici di funzionalità calcolati per le strade extraurbane della Provincia di Pisa 4.7 Il modello tassonomico applicato alle strade extraurbane della Provincia di Pisa 5. Considerazioni conclusive Ringraziamenti Bibliografia
Capitolo 5 pag. 160
□ Analisi degli incidenti stradali sulle strade appartenenti alla rete secondaria: il caso studio sulla viabilità minore della rete di Salerno Mario De Luca, Gianluca Dell’Acqua
Premessa 1. Introduzione 2. Stato dell’arte 3. Rilievo ed organizzazione dei dati di base per la rete di studio 3.1 Descrizione della rete 3.2 Dati di geometria 3.3 Dati di traffico 3.3.1 Rilievi manuali 3.4. Dati di incidentalità 3.5 Elaborazione dei dati e costruzione del modello di previsione 4. Conclusioni Bibliografia
Capitolo 6 pag. 180
□ La progettazione degli interventi di riqualificazione di una rete infrastrutturale in area urbana Alfonso Annunziata, Francesco Annunziata
Introduzione Un possibile inquadramento normativo Le aree metropolitane La classificazione delle strade La rete esistente La strada in area urbana Il sistema infrastrutturale in area urbana La gestione di un’infrastruttura nel suo servizio al territorio La riqualificazione funzionale delle strade in area urbana Considerazioni conclusive Bibliografia
Capitolo 7 pag. 208
□ Sviluppo di un metodo di valutazione dell’indice di rischio per il trasporto delle merci pericolose con applicazione al territorio della Versilia Gabriella Caroti, Angelo Pardini, Antonio Pratelli
Sommario
1.1. Definizione di “rischio”
1.2. Fattore di rischio normalizzato
1.3. : bersagli esposti
1.4. : fattore di pesatura per i bersagli
1.5. : suscettibilità
1.6. : capacità di far fronte
2. Applicazione al territorio della Versilia
2.1. Determinazione del numero di passaggi di mezzi che trasportano merci
pericolose
2.2. Determinazione dei valori medi del parametro
2.3. Determinazione del parametro inc
2.4. Determinazione del parametro fattore d’aggravio
2.5. Fattore di rischio normalizzato
2.6. : bersagli esposti
2.7. : fattore di pesatura per i bersagli
2.8. : suscettibilità
2.9. : capacità di far fronte
3. Modello automatico
4. Conclusioni relative ai risultati ottenuti sul territorio della Versilia
Ringraziamenti
Bibliografia
Capitolo 8 pag. 232
□ Presidi territoriali e manutenzione della viabilità minore. Reti di mobilità lenta Roberta Laghi, Giancarlo Arlotti
1. L’importanza della rete di viabilità minore 2. Ciclovie e reti escursionistiche 3. Tipologie di strade e regimi giuridici 4. Gestione delle reti e popolazione locale 5. Un caso studio: il Progetto Conca 6. Conclusioni Riferimenti Normativi
Capitolo 9 pag. 241
□ L’adeguamento del patrimonio infrastrutturale esistente Francesco Annunziata, Paola Villani
1. Le infrastrutture viarie extraurbane 2. Le infrastrutture in area urbana 3. Strade e comportamenti di guida Bibliografia
Capitolo 10 pag. 249
□ Immagini Google Earth e Carta Tecnica Regionale per il censimento della rete viaria: analisi di qualità e applicazione ad un caso studio Gabriella Caroti, Angelo Pardini, Antonio Pratelli
Sommario 1. Introduzione 2. Metodologie per la trasformazione tra sistemi di riferimento e loro precisione 2.1.1. Trasformazione con algoritmo integrato nel software GIS 2.1.2. Trasformazione con i grigliati IGM 2.1.3. Verifica di qualità della trasformazione effettuata dall’algoritmo GIS 3. Valutazione della qualità del posizionamento planimetrico mediante immagini Google Earth 4. Integrazione cartografica e risultati ottenuti 5. Conclusioni Bibliografia
Capitolo 11 pag. 255
□ La manutenzione ordinaria delle strade urbane ed extraurbane Paola Villani
Introduzione 1. Natura giuridica, classificazione e manutenzione e della sede stradale 2. La manutenzione nella fascia di pertinenza 3. La manutenzione delle ripe 4. La manutenzione delle alberate stradali 5. Conclusioni Riferimenti e siti Web Bibliografia
Capitolo 12 pag. 262
□ Fasce di rispetto e alberate stradali: Normativa Marco Devecchi, Angelo Porta, Paola Villani
Introduzione 1. La Sentenza 1.1 Commenti 2. La Sede Stradale 2.1 Proprietà dei fondi 3. Fasce di rispetto 4. Ruolo e importanza del verde stradale per la qualità del paesaggio 5. Funzioni delle alberature stradali ed opportunità progettuali 6. Valutazioni fitostatiche 7. Conclusioni Riferimenti e siti Web Bibliografia
Allegati pag. 270
□ Tecniche di web-mapping per applicazioni GIS on-line Gabriella Caroti, Angelo Pardini, Antonio Pratelli
□ Comune di Dolo (VE) Delibera n. 82/2012 “Convenzione con imprenditori agricoli singoli o associati per la fornitura di servizi quali sistemazione e manutenzione del territorio art. 15 del D.Lgs 228/2001”
□ Scheda Progetto Conca: un progetto di valorizzazione territoriale per l’intera valle del Conca Giancarlo Arlotti, Roberta Laghi
Composizione del Comitato Tecnico 2.5
Presidente arch. Paola Villani Politecnico di Milano
Vice Presidente Ing. Antonio Cataldo ISPRA Servizio Controllo di Gestione, Monitoraggio e Valutazione
Membri Prof. Ing. Francesco Annunziata Università degli Studi di Cagliari
Ing. Giampaolo Basoli già direttore Ministero Infrastrutture
arch. Giancarlo Arlotti Provincia di Rimini e FIAB Rimini
Prof. Ing. Gabriella Caroti Università di Pisa
Prof. Ing. Mauro Coni Università degli Studi di Cagliari
Prof. Stefano Corsi Università degli Studi di Milano
Prof. Mattia Crespi Università La Sapienza - Roma
Ing. Mario De Luca Università di Napoli - Federico II
Ing. Gianluca Dell'Acqua Università di Napoli - Federico II
Ing. Barbara Dessì ISPRA Dipartimento Difesa del Suolo/Servizio Geologico d'Italia
Ing. Alessandro Di Graziano Università degli Studi di Catania
Arch. Roberta Laghi Provincia di Rimini
Ing. Gilberto Martinez Arguelles Politecnico di Milano
Claudio Pedroni FIAB Area Tecnica e EuroVelo
Ing. Silvia Portas Università degli Studi di Cagliari
Prof. Ing. Antonio Pratelli Università di Pisa
Ing. Daniele Spizzichino ISPRA Dipartimento Difesa del Suolo/Servizio Geologico d'Italia
Membri Corrispondenti
Ing. Alfonso Annunziata Università degli Studi di Cagliari
Prof. Marco Devecchi Università degli Studi di Torino
Ing. Angelo Pardini Università di Pisa
Dott. Angelo Porta Legambiente
Ing. Matteo Rossi Università di Pisa
10
INTRODUZIONE Paola Villani
Introduzione
Nel quadriennio precedente il Comitato Tecnico ha
affrontato il tema sulla base di un processo di esclusione,
focalizzando le analisi sulla rete della “viabilità minore”
riconducendola a quella caratterizzata da tratti di strada
di categoria F o minore ovvero alle “strade non altrimenti
classificate”. In questo quadriennio, mutuando l’esatta
traduzione adottata in ambito internazionale, tutti i
Membri sono stati invitati ad analizzare le problematiche
relative alle strade extraurbane ivi includendo i tracciati di
collegamento e adduzione alla viabilità principale.
Già dalle prime riunioni è emersa la necessità di
procedere distinguendo la vastissima rete italiana in due
macro classificazioni funzionali: viabilità ordinaria e
tracciati percorribili con altre finalità, ivi inclusi gli scopi
turistici, ambientali o di controllo del territorio.
L’eterogeneità del Comitato Tecnico ha permesso
proficui e continui scambi di opinioni di cui resta traccia
nei numerosi Verbali, discussioni che hanno certamente
contribuito ad arricchire il lavoro inducendo
l’allargamento delle tematiche da affrontare, ampliare gli
orizzonti temporali (dalla fase di analisi agli scenari in
atto) e dall’altro ha indotto il nutrito gruppo di lavoro a
concentrare l’attenzione verso quelle che paiono essere
al momento le problematiche più rilevanti: la redazione
del presente Quaderno rappresenta pertanto la sintesi di
uno sforzo interpretativo volto a comprendere la natura
dei problemi nel tentativo di formulare linee di indirizzo e
metodologie di lavoro.
I contributi qui riportati delineano il quadro complessivo
della viabilità extraurbana e della rete minore, rete a
totale carico delle singole Amministrazioni (Province,
Comuni, Comunità Montane, Consorzi) Enti che devono
farsi carico degli interventi di riqualificazione,
adeguamento e manutenzione ordinaria e straordinaria.
Interventi che dipendono da specifiche fonti di
finanziamento e di investimento per lo sviluppo e la
manutenzione della rete stradale, risorse però che, è
bene rammentarlo, sono decisamente esigue in rapporto
all’assoluta necessità di provvedere con opere di
ripristino e riqualificazione. Risorse scarse infatti limitano
la possibilità di investire e avere tracciati adeguati e
durevoli, tali da poter affermare di aver messo in assoluta
sicurezza le strade sui versanti collinari o montani a forte
rischio di dissesto.
Gli obiettivi e le politiche in materia sono trasversali e
sebbene queste interessino prevalentemente le aree
extraurbane e, per la rete minore, le aree di sviluppo
rurale, come ben evidenziano i differenti contributi, sono
molteplici i livelli di governo ed i Ministeri coinvolti.
La complessità, anche a livello normativo, è tale per cui si
ritiene auspicabile una piena ridefinizione delle
competenze in termini di intervento e pianificazione: il
quadro istituzionale è complesso poiché spesso, a vari
livelli, si considerano gli interventi di riqualificazione delle
strade minori, come tentativi, più o meno dichiarati, volti
ad un aumento della capacità della rete, allargamento
della sezione stradale, tentativi di urbanizzazione in
territori di notevole valenza ambientale.
Il sistema stradale in Italia viene considerato, a livello
della ripartizione economica delle risorse da assegnare,
quasi unicamente per strade di categoria “C” o superiore
ed ecco quindi il proliferare di statistiche che informano
10
quanto sia grande il deficit di strade nazionali in rapporto
alla rete degli altri Paesi europei. Considerazione
inidonea se applicata all’Italia poiché il nostro Paese si
caratterizza, per ragioni storiche, per poter disporre di
una rete stradale assai più vasta e capillare di quella ad
esempio riscontrabile in Germania o in Francia.
Estesa stradale che garantisce la perfetta fruibilità di
territori ad altissima valenza ambientale ma, estesa
stradale rilevante che presenta oneri significativi per i
Comuni e gli Enti preposti alla manutenzione del reticolo
viario.
L’immenso patrimonio delle strade italiane, si sottolinea
nuovamente, non può essere paragonato a quello degli
altri Paesi europei. L’elevata densità di popolazione in
Italia, seppure a fronte di una contrazione della
popolazione residente, così come i fenomeni di
decentramento che si sono verificati negli ultimi decenni,
sono stati anche – o soprattutto - determinati dalla
possibilità di raggiungere i principali centri urbani con
viaggi di breve durata.
I ridotti tempi di spostamento sono garantiti da una rete
stradale diversissima per tipologia e funzioni, rete minore
che presenta problemi di sicurezza (tematica sulla quale
si soffermano alcuni contributi).
Rete stradale storica, paesaggisticamente incomparabile
per la natura e la storia dei territori attraversati, rete
stradale che deve quindi essere considerata come parte
integrante del patrimonio dello Stato e sulla quale non
possono essere tollerate derive privatistiche come quelle
in atto.
Un patrimonio infrastrutturale in ambiente unico che
richiede uno sforzo istituzionale e collettivo per garantirne
l’efficienza, la salvaguardia e la tutela.
.. - + * + -...
11
LA RETE STRADALE DI PROVINCE E COMUNI: ANALISI NORMATIVA ED ECONOMICO – FINANZIARIA
Antonio Cataldo*, Paola Villani** * Direzione Generale - Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale ISPRA
**DICA – Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Politecnico di Milano
Introduzione
Come già evidenziato1 la classificazione delle strade non
dovrebbe prescindere dall’analisi delle caratteristiche
geometriche e funzionali ma sono poche le Province che
ottemperano al disposto2 normativo e il censimento della
rete viaria rimane in molti ambiti territoriali un obbligo
apparentemente inevaso.
Ma Comuni e Province effettuano annualmente una sorta
di macro-classificazione così come richiesto per la
redazione dei Certificati Consuntivi. La redazione del
presente contributo è stata possibile quindi soltanto a
seguito dell’analisi dei dati3 resi disponibili dal Ministero
dell’Interno - Dipartimento per gli Affari Interni e
Territoriali.
1. La classificazione della rete stradale
In molti Enti non sono stati svolti i provvedimenti
amministrativi di classificazione delle arterie stradali ai
sensi dell’art 2 del Codice della Strada. Vi sono
ovviamente alcune positive eccezioni e tra queste
possiamo annoverare le Province di Cuneo, Caltanissetta
1 Si veda: A. Cataldo, A. Di Graziano, P. Villani, Sviluppo e gestione della viabilità extraurbana minore e rurale in Italia: situazione attuale, criticità e prospettive, AIPCR, Roma, novembre 2010
2 Regolamento di Attuazione del Codice della Strada art. 226 - 231 CdS
3 I dati sono consultabili al seguente link http://www.finanzalocale.interno.it/apps/floc.php/in/inputin/4
e Ragusa che hanno saputo far coincidere ai necessari
rilievi geometrici quelli funzionali, provvedendo quindi a
rilevare e classificare i flussi di traffico.
Molte Amministrazioni, considerando come non sia stato
approntato alcun provvedimento per la classificazione
delle strade esistenti4, dichiarano di essere ancora in
attesa di uno specifico decreto del Ministero delle
Infrastrutture previsto ai sensi dell’art. 13 comma 4 CdS5
e appellandosi a questo disposto normativo non hanno
effettuato alcuna classificazione. Altri Enti, in assenza di
4 Come si evince dal CdS le Norme citate al comma 1 dell’art. 13 sono state emanate ma soltanto per le strade di nuova costruzione: si tratta del D.M. 6792 del 5 novembre 2001, Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade ed il D.M. 19 aprile 2006, Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle intersezioni stradali.
5 CdS art. 13 comma 4. “Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro due anni dall’entrata in vigore del presente codice, emana, con i criteri e le modalità di cui al comma 1, le norme per la classificazione delle strade esistenti in base alle caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali di cui all'articolo 2, comma 2.” CdS art. 13 comma 1 “1. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti il Consiglio superiore delle infrastrutture e dei trasporti ed il Consiglio nazionale delle ricerche, emana entro un anno dalla entrata in vigore del presente codice, sulla base della classificazione di cui all'art. 2, le norme funzionali e geometriche per la costruzione, il controllo e il collaudo delle strade, dei relativi impianti e servizi. Le norme devono essere improntate alla sicurezza della circolazione di tutti gli utenti della strada, alla riduzione dell'inquinamento acustico ed atmosferico per la salvaguardia degli occupanti gli edifici adiacenti le strade ed al rispetto dell'ambiente e di immobili di notevole pregio architettonico o storico. Le norme che riguardano la riduzione dell'inquinamento acustico ed atmosferico sono emanate nel rispetto delle direttive e degli atti di indirizzo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, che viene richiesto di specifico concerto nei casi previsti dalla legge. (4)”
12
queste Norme, hanno provveduto ad una classificazione
motu proprio, cercando di attenersi, per quanto possibile,
alle Norme del DM 6792/2001 ““Norme funzionali e
geometriche per la costruzione delle strade” che come è
noto però si applicano soltanto per la costruzione di nuovi
tronchi stradali ovvero alla bozza di norma del marzo
2006 per gli interventi di adeguamento delle strade
esistenti.
Per poter effettuare un censimento, nella duplice
accezione di censimento geometrico, ovvero relativo
all’estensione fisica, e di censimento funzionale, relativo
alla natura e al motivo degli spostamenti, risulta
opportuno definire un set di parametri volti alla corretta e
puntuale delimitazione del campo di interesse che in
questo specifico caso riguarda la rete delle strade locali
extraurbane e l’accessibilità alla viabilità principale.
Seguendo l’interpretazione assunta6 un censimento della
rete stradale dovrebbe necessariamente essere
sviluppato attraverso una classificazione che, per il
settore extraurbano, includendo i dati di traffico, punti al
miglioramento della sicurezza stradale. La mancata
classificazione della rete comporta da un lato la quasi
impossibile realizzazione dei Piani del Traffico della
Viabilità Extraurbana (PTVE) e dall’altro determina la
quasi impossibile definizione delle priorità in termini di
manutenzione e ottimizzazione delle infrastrutture
esistenti. A questi si aggiungono altri due aspetti: le
Amministrazioni sono chiamate a perseguire
l’innalzamento dei livelli di sicurezza stradale e dall’altro
lato devono assicurare la totale accessibilità dei territori, il
tutto in un contesto di totale contenimento della spesa.
La questione dell’accessibilità riveste poi un ruolo
importante: è bene far riferimento ai casi, purtroppo ormai
piuttosto frequenti, di mancato utilizzo della rete
secondaria qualora eventi estremi ne determinino
l’impossibile percorrenza (per allagamenti, frane,
cedimento delle infrastrutture, crollo di ponti7 o dissesti
6 A. Pratelli, M. Rossi, G. Caroti, Elementi fondamentali per redigere un piano del traffico per la viabilità extraurbana, Capitolo 4 di questo stesso Quaderno AIPCR, Roma, 2014
7 Ad esempio il crollo del ponte a Carasco (GE) in data 22/09/2013 e l’interruzione della S.P. 225 “della Fontanabuona”, il crollo del ponte di Monte Pino (Provincia di Olbia) e le opere svolte da ANAS per il ripristino della viabilità a seguito dei dissesti occorsi: a)
vari) o – di converso – il ruolo assunto dalle rete minore
qualora, eventi che abbiano interessato la rete di livello
superiore 8 possano trovare temporanea risoluzione
proprio dirottando i flussi di traffico sulla rete composta
dalle altre infrastrutture (rete secondaria e parte delle rete
urbana).
Il sistema infrastrutturale “locale” italiano a molti appare
per certi versi squilibrato: pur con tutte le difficoltà
economiche connesse alla manutenzione e
all’adeguamento, la rete si presenta come ben
sviluppata, permette l’accessibilità anche in territori poco
insediati laddove la rete “definita” di livello superiore è
basata su assi congestionati da più funzioni, ove sono
presenti tratti obsoleti per concezione di impianto e le
realizzazione di un raccordo provvisorio al km 16,600 della Provinciale 45 in provincia di Nuoro, in attesa della ricostruzione del ponte crollato; b) realizzazione di rampe provvisorie di accesso alla Statale 131 per il ripristino della circolazione in provincia di Olbia-Tempio sulla Provinciale 24, dopo il crollo del Ponte di Loddone; c) la realizzazione di una bretella provvisoria al km 1,050 della Provinciale 73 "Bitti-Sologo" (provincia di Nuoro), per il traffico vicino al ponte crollato, d) la bonifica e il ripristino dei fossi di guardia, drenaggi e cunette lungo la Statale 131, in provincia di Nuoro; e) il ripristino delle scarpate col posizionamento della rete paramassi sulla Statale 129 Trasversale Sarda.
8 Ad esempio la chiusura temporanea della S.S. 36. Si leggano le parole riportate nell’interpellanza “Elementi ed iniziative in ordine alla realizzazione del progetto della variante della Tremezzina lungo la strada statale n. 340 in provincia di Como” n. 2-00525 del 5 giugno 2014: “..l'interpellanza prende le mosse da una condizione di particolare emergenza determinata per la viabilità sul lago di Como nella fine di aprile [2014], a seguito di una frana che ha provocato l'interruzione della statale n. 36 che collega Milano-Lecco con la Valtellina. A seguito di questa interruzione il traffico pesante, tutto il traffico della statale n. 36, è stato dirottato sulla statale n. 340, che è quella che percorre la sponda occidentale del Lago di Como, provocando un blocco totale per più di una giornata della circolazione e di ogni possibilità di circolazione. Nel 2013, un anno fa, si era già verificato un evento analogo e, anche in quell'occasione, lo spostamento del traffico sulla statale n. 340 aveva determinato il blocco e la paralisi totale del traffico. Queste situazioni e queste condizioni di particolare urgenza e di paralisi completa sono solo l'epifenomeno di una condizione permanente di emergenza sulla statale n. 340 “Regina” sul lato occidentale del Lago di Como. Lì c’è una condizione molto particolare: è l'unica via di collegamento per quella sponda del lago, non ci sono altre strade. Negli ultimi decenni si sono avuti ripetuti franamenti, blocchi e interruzioni. Quando si interrompe la statale n. 340 “Regina” in quella parte del centro lago non c’è più possibilità di collegamento per circa 60 chilometri di strada tra Como, Sondrio, la Valtellina e la Svizzera.”
13
strutture funzionali sono carenti, una rete primaria che
risulta inadeguata a sostenere i livelli di traffico attuali e
difficilmente potrebbe sostenere eventuali incrementi di
mobilità (veicoli privati e commerciali) dovuti allo sviluppo
delle attività e dei territori.
Tutti gli aspetti connessi alla gestione delle strade
dovrebbero tendere a restituire un quadro omogeneo e
ipotizzare i futuri sviluppi della rete: non si tratta soltanto
di pianificare la manutenzione o stabilire quali siano i
provvedimenti per la tutela del patrimonio stradale quanto
valutare attentamente, quali possano essere, in uno
scenario di attenta valutazione della spesa pubblica, le
possibili scelte da perseguire. Occorre partire dai dati di
sviluppo economico, dai dati di traffico (o da quelli
connessi all’inopportuno utilizzo delle infrastrutture da
parte di alcune specifiche componenti veicolari), sia per
supportare la progettazione di nuove opere, sia per una
più attenta valutazione degli interventi di manutenzione
ordinaria e straordinaria. Se è corretto intervenire per
migliorare la sicurezza stradale e ancora più impellente
assicurare la sicurezza dei territori, contrastando il rischio
idrogeologico, individuando le cause che hanno portato
alla diffusa fragilità ambientale (frane, allagamenti) e
individuare se la mancata manutenzione della sede
stradale o la deliberata scelta di demandare ad altri le
opere di mantenimento delle fasce di pertinenza9 possa
aver accelerato i processi di dissesto. Per queste analisi
è fondamentale il continuo scambio informativo tra i vari
Ministeri (Interno, Ambiente, Infrastrutture) e le Forze
dell’Ordine, anche per includere la totale applicazione di
quanto riportato nel Codice della Strada e nel
Regolamento di Attuazione sia in termini di
9 Per la completa trattazione del tema si veda il capitolo P.Villani “La manutenzione ordinaria delle strade urbane ed extraurbane“ in questo stesso Quaderno CT 2.5 AIPCR 2014
classificazione10 funzionale e amministrativa delle strade
sia per individuare problematiche da sanare11.
Se l’ottimale classificazione12 della rete stradale, avrebbe
dovuto semplificarsi stante il proliferare di metodi e
strumenti informatici, la mancata implementazione
congiunta degli archivi informatizzati e la crescente
autonomia degli Enti preposti ne ha di fatto reso sempre
più complessa la gestione. Opere di manutenzione e
gestione che dovrebbero essere “nuovamente”
istituzionalizzate, al fine di pianificare tutte le azioni di
controllo della domanda e dell’offerta di mobilità (ancora
carente nelle aree extraurbane) e stabilire così le priorità
e responsabilità di intervento ottimizzando la spesa
pubblica.
1.1 La spesa per la manutenzione ordinaria della rete
stradale
Per quanto riguarda la viabilità secondaria si registra in
molti casi un’inadeguata programmazione degli interventi
di manutenzione ordinaria e straordinaria, mancata
programmazione che di fatto sta progressivamente
portando a un decadimento del patrimonio infrastrutturale
e ad una crescita delle cause passive d’incidentalità.
Per assicurare il riequilibrio del Bilancio molti Enti hanno
adottato manovre strutturali di riduzione delle spese
correnti, effettuando una rigorosa rivisitazione dei servizi
10 Per rendere agevole l’eventuale classificazione della rete sono state prodotte specifiche schede di sintesi* elaborate ai sensi della Normativa di riferimento e sulla base del Parere Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture (Prot. 0001080 – 01/03/2013).
* Le Schede di sintesi sono riportate nel Capitolo di Antonio Cataldo, Alessandro Di Graziano, Paola Villani “Il censimento delle strade appartenenti alla rete extraurbana: aspetti metodologici e normativi “ in questo stesso Quaderno CT 2.5 AIPCR 2014
11 Tra le principali problematiche relative alla corretta classificazione della rete vi è quella delle fasce di rispetto la cui completa trattazione è riportata nel capitolo Antonio Cataldo, Alessandro Di Graziano, Paola Villani “Il censimento delle strade appartenenti alla rete extraurbana: aspetti metodologici e normativi “ in questo stesso Quaderno CT 2.5 AIPCR, Roma, 2014
12 Classificazione basata su molteplici aspetti: caratteristiche geometriche della sede stradale, vincoli, limitazioni al transito per massa, dimensioni, gestione amministrativa, dati di traffico e incidenti stradali.
14
erogati, procedendo alla riorganizzazione degli stessi
sebbene non sempre abbiano saputo individuare i
corretti criteri di efficienza per eliminare sprechi e
diseconomie.
Per quanto attiene la rete stradale molte sono state le
Province che hanno messo in atto politiche e manovre
volte a contrarre la spesa pubblica, demandando,
laddove possibile, gli interventi di gestione e
manutenzione della rete stradale ai Comuni, ed i Comuni,
a loro volta, in un processo di passaggio delle
competenze, hanno demandato l’onere delle
manutenzioni ai privati cittadini.
Laddove poi le Province hanno avviato procedimenti di
declassificazione13 della rete stradale le problematiche
13 Regolamento di attuazione NCdS Art. 4. (Art. 2, CdS) Passaggi di proprietà fra enti proprietari delle strade. 1.) Qualora per variazioni di itinerario o per varianti alle strade esistenti, si rende necessario il trasferimento di strade, o di tronchi di esse, fra gli enti proprietari, fatto salvo quanto previsto all'articolo 3, si provvede a norma dei commi seguenti. 2.) L'assunzione e la dismissione di strade statali o di singoli tronchi avvengono con decreto del Ministro dei lavori pubblici, su proposta di uno degli enti interessati, previo parere degli altri enti competenti, sentiti il Consiglio superiore dei lavori pubblici e il Consiglio di amministrazione dell'A.N.A.S. Per le strade non statali il decreto è emanato dal Presidente della regione competente su proposta degli enti proprietari interessati, con le modalità previste dall'articolo 2, commi 4, 5, e 6. Le variazioni di classifica conseguenti all'emanazione dei decreti precedenti, da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica o sul Bollettino regionale, sono comunicate all'archivio nazionale delle strade di cui all'articolo 226 del codice. 3.) In deroga alla procedura di cui al comma 2, i tratti di strade statali dismessi a seguito di varianti, che non alterano i capisaldi del tracciato della strada, perdono di diritto la classifica di strade statali e, ove siano ancora utilizzabili, sono obbligatoriamente trasferiti alla provincia o al comune. 4.) I tratti di strade statali, regionali o provinciali, che attraversano i centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuati a seguito della delimitazione del centro abitato prevista dall'articolo 4 del codice, sono classificati quali strade comunali con la stessa deliberazione della giunta municipale con la quale si procede alla delimitazione medesima. 5.) Successivamente all'emanazione dei provvedimenti di classificazione e di declassificazione delle strade previsti agli articoli 2 e 3, all'emanazione dei decreti di passaggio di proprietà ed alle deliberazioni di cui ai commi precedenti, si provvede alla consegna delle strade o dei tronchi di strade fra gli enti proprietari. 6.) La consegna all'ente nuovo proprietario della strada è oggetto di apposito verbale da redigersi in tempo utile per il rispetto dei termini previsti dal comma 7 dell'articolo 2 ed entro sessanta giorni dalla delibera della giunta municipale per
connesse alla ridotta o inesistenze manutenzione
ordinaria si sono acuite, sia per la contrazione delle
risorse assegnate14 agli Enti Locali sia per il mancato
trasferimento delle competenze e – conseguentemente -
dei fondi necessari all’assolvimento delle stesse.
1.2 Problemi connessi alla declassificazione della
rete stradale
Inoltre si deve considerare come una eccessiva
declassificazione della rete contravviene a quanto
riportato nel Codice Civile, all’art. 822 che infatti così
recita:
Codice Civile - Dei beni appartenenti allo Stato, agli enti
pubblici e agli enti ecclesiastici – art. 822
Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio
pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i
fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche
dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa
nazionale15
. Fanno parimenti parte del demanio
i tratti di strade interni ai centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti. 7.) Qualora l'amministrazione che deve prendere in consegna la strada, o tronco di essa, non interviene nel termine fissato, l'amministrazione cedente è autorizzata a redigere il relativo verbale di consegna alla presenza di due testimoni, a notificare all'amministrazione inadempiente, mediante ufficiale giudiziario, il verbale di consegna e ad apporre agli estremi della strada dismessa, o dei tronchi di essa, appositi cartelli sui quali vengono riportati gli estremi del verbale richiamato.
14 Giancarlo Verde Lo squilibrio finanziario degli enti locali, Ministero dell’Interno, Marzo 2013
E.K. Danielli, M.G. Pittalis, Il dissesto finanziario degli Enti Locali alla luce del nuovo assetto normativo, Ministero dell’Interno, aprile 2010
Ministero dell’Interno, Relazione generale sullo stato economico del Paese. I Bilanci delle Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane, 2010 http://finanzalocale.interno.it/docum/studi/isae2010/relazione2010.pdf
15 I beni indicati in questo comma appartengono al demanio necessario (o naturale), in quanto sono dei beni che per la loro naturale attitudine a soddisfare interessi pubblici non possono che essere di proprietà dello Stato. Il demanio naturale è composto dal: a) demanio marittimo che, oltre ai beni indicati dall'art. 822, comprende anche: le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo. Il mare e il fondo del mare non sono beni demaniali ma cose fuori commercio
15
pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le
autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli
acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico,
archeologico e artistico a norma delle leggi in materia;
le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi,
delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla
legge assoggettati al regime proprio del demanio
pubblico16
.
Nel caso di declassificazione ad opera di una
Amministrazione Comunale, le strade interessate dal
provvedimento divengono automaticamente strade
agrarie interpoderali di proprietà privata, con esclusione
di qualsiasi forma di uso pubblico17. La declassificazione
di una strada vicinale di uso pubblico iscritta nello
stradario comunale può avvenire, sia d’ufficio sia per
istanza di parte, solo sulla base del fondamentale
presupposto dell’effettiva assenza di uso pubblico o della
inutilità di fatto del pubblico uso. A seguito di istanza dei
privati frontisti, sono previste eventuali variazioni dei
tracciati delle strade vicinali di uso pubblico a condizione
che queste non siano peggiorative, rispetto alla
situazione esistente, in relazione alla fruizione pubblica
della strada18.
[v. Libro III, Titolo I] (res communes omnium); b) demanio idrico; c) demanio militare, cioè le opere destinate direttamente alla difesa nazionale, ossia aeroporti e strade militari. Non appartengono al demanio invece: a) le difese naturali; b) gli armamenti, le caserme, gli aerei militari (questi beni appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato).
16 I beni indicati in questo comma appartengono al demanio accidentale dello Stato che è, quindi, composto da: a) demanio stradale che comprende tutte le strade di proprietà degli enti territoriali, destinate al pubblico transito; b) demanio ferroviario che include le strade ferrate e le loro pertinenze, e i beni occorrenti all'esercizio e conservazione della ferrovia (i fabbricati, le stazioni elettriche); c) demanio aeronautico che include gli aeroporti appartenenti agli enti territoriali, destinati al traffico civile, comprese le relative pertinenze (radar, impianti radio); d) demanio culturale, cioè i beni di particolare interesse storico, architettonico e artistico, appartenenti agli enti pubblici territoriali.
17 Comune di Alcamo (TP), Deliber. Consiglio Comunale, n. 63 del 24/05//2013
18 Per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade vicinali soggette a pubblico transito, gli Enti possono erogare contributi in misura variabile da un quinto sino alla metà dell’importo della spesa. Le opere ammesse a contributo, nei limiti delle risorse stanziate,
1.3 La rete declassificata e la viabilità minore e rurale
E’ necessario reperire l’insieme di criteri che isolino, nel
contesto della rete stradale e includendo i tratti della rete
extraurbana, la sola viabilità minore e rurale e, per quanto
concerne il panorama italiano, questa operazione di
delimitare il campo di interesse, si presta di fatto ad un
duplice approccio: il primo, che denomineremo
“normativo” prende le mosse della definizione della
viabilità, ivi inclusa quella minore e rurale, con ulteriore
riferimento alle caratteristiche geometriche del tracciato
stradale, il secondo, l’approccio “funzionale” è relativo
alla caratterizzazione funzionale della rete viaria
extraurbana.
Provando ad affrontare contemporaneamente gli
approcci proposti, si evidenziano però alcune difficoltà
nell’individuazione di quei caratteri esclusivi che
permettano un’estrazione univoca e puntuale della rete
oggetto di interesse.
Le difficoltà sono dovute :
- alla molteplicità dei gestori e alla frammentazione del
patrimonio che costituisce l’intera rete viaria minore e
rurale19. Per quanto riguarda le strade di interesse20,
occorre rammentare come la gestione di questa rete
“minore” sovente discenda dalla motivazione che ha
portato alla realizzazione dei tracciati stessi e che
conseguentemente ha determinato l’Ente proprietario
della strada: caso emblematico è quello delle strade di
sono individuate sulla base della partecipazione a bandi pubblici.
19 Nel totale delle strade extraurbane vanno infatti computate tutte le strade che attraversano i Comuni con popolazione inferiore ai diecimila abitanti. Le strade definite in ambito internazionale “rural roads” includono le classiche extraurbane (strade statali, provinciali oltre a quelle gestite dai Comuni), ma a queste si aggiungono tutte le strade che, nel contesto nazionale, assumono molteplici denominazioni: strade di Comunità Montane, strade Parco, strade di argine, strade vicinali, strade agrarie, strade agro-silvo-pastorali, strade di bonifica, trazzere, tratturi, contrade, strade bianche. In aggiunta alla problematica che sorge nel mettere a sistema, ove esistenti, i patrimoni relativi ai singoli gestori (Province e Comuni), vi sono quindi quelli degli Enti Parco, delle Comunità Montane e dei Magistrati delle Acque.
20 Comitato Tecnico 2.5 Strade locali extraurbane e viabilità minore
16
argine affidate alla tutela dei Magistrati delle Acque,
esempio lampante dell’estrema frammentazione del
patrimonio viario che presenta un carattere di difficile
riconduzione ad un unicum territoriale di riferimento,
unicum che come tale è bene sia attentamente
preservato e tutelato.
A oltre 150 anni dall’Unità di Italia si ripercuotono ancora
alcuni problemi, tra cui l’assenza “storica” di un
censimento nazionale e al tardivo obbligo di
classificazione21 introdotto soltanto con il Codice della
Strada del 1992.
Sebbene l’evoluzione della rete viaria presenti
caratteristiche di lungo periodo, e quindi le modificazioni
relative all’estesa complessiva possano essere valutate
anche su informazioni non sempre aggiornatissime,
occorre rilevare come i dati ufficiali resi disponibili dal
Ministero dell’Interno, abbiano permesso di evidenziare
un quadro delle tendenze in atto.
Se le competenze relative alla manutenzione delle strade
vicinali sino al 1992 erano sempre state affidate a
21 La legge n. 2248 del 20 marzo 1865 classificava le strade come nazionali, provinciali, comunali o vicinali. Il Regio Decreto n. 2506 (G.U. del 4 dicembre 1923 n. 284) classificava le strade in 5 classi (nazionali, provinciali (due classi), comunali, militari). La legge n. 126 del 12 febbraio 1958 (abrogata ma ancora in vigore per quanto attiene l’art. 14 “Art. 14. Consorzi per le strade vicinali di uso pubblico. La costituzione dei consorzi previsti dal decreto legislativo luogotenenziale 1 settembre 1918, n. 1446, per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali di uso pubblico, anche se rientranti nei comprensori di bonifica, è obbligatoria. In assenza di iniziativa da parte degli utenti o del Comune, alla costituzione del consorzio provvede di ufficio il Prefetto.”), manteneva la classificazione precedente così denominando le tipologie di strade “statali, provinciali, comunali, vicinali, militari” e l’onere della manutenzione delle vicinali era lasciato ad appositi Consorzi. Le strade di bonifica, ai sensi dell’art. 10, dovevano necessariamente essere riclassificate come statali, provinciali o comunali. La Legge n. 31 del 26 gennaio 1963 “Disposizioni per l'ammissione a contributo della spesa per la sistemazione delle strade classificate provinciali anteriormente all'entrata in vigore della legge 12 febbraio 1958, n. 126, o non comprese nei piani di cui all'articolo 16 della legge stessa.” (G.U. n. 35 del 7 febbraio 1963) destinava risorse economiche importanti successivamente ampliate con la la Legge n. 167 del 9 aprile 1971, che attribuiva ad ANAS il totale coordinamento dei lavori sulla rete primaria (autostrade e strade statali) erogando risorse per la sistemazione, l’ammodernamento e la costruzione di strade provinciali e comunali. Classificazione meramente amministrativa sino al 1992. Le Norme tecniche in vigore erano quelle del Bollettino Ufficiale C.N.R. n. 78 del 28 luglio 1980.
specifici Consorzi22, con il D.Lgs 30 aprile 1992, n. 285,
Codice della Strada, le spese di manutenzione sulle
strade vicinali sono passate direttamente23 ai Comuni,
gravando in modo significativo sul Bilancio.
Le strade vicinali sono state quindi ricomprese nel totale
dell’estesa dei singoli Comuni sebbene con qualche
importante eccezione. Molti Enti non hanno formalizzato
questo passaggio imposto dal CdS, non hanno potuto o
voluto accatastare queste strade, in alcuni casi queste
sono state ri-denominate “strade private ad uso pubblico”
mentre altre strade ex vicinali sono state trasferite alle
Province rendendo quindi il quadro complessivo di
difficile restituzione.
E non deve stupire quindi se alcuni Comuni24 sono corsi
soltanto in anni recenti a censire e normare questo
immenso patrimonio e declassificarne una parte
ridefinendolo “viabilità agraria interpoderale di proprietà
privata” e mantenendo ufficialmente come strade
comunali soltanto quelle ricomprese all’interno dei centri
abitati ma includendo in questi elenchi anche strade che
non sono riportate nemmeno negli stradari ufficiali. E
queste pratiche mal gestite si sono ripercosse, e si
ripercuotono costantemente, sull’attività delle
Amministrazioni stesse spesso chiamate in causa per
manutenzioni e ripristini che non spettano, altre volte
impossibilitate ad aprire al pubblico transito strade che
sono state di fatto considerate come private.
Altre volte, la non chiara definizione delle strade di
competenza comunale, determina il ricorso a Ordinanze
che impongono ai privati la manutenzione della sede
stradale, ivi compresi fossi e rivi.
Ma imporre ai privati la manutenzione della sede stradale
ha costi elevatissimi, anche in termini di vite umane:
- da un lato gli Enti proprietari delle strade (ma in alcuni
casi anche i gestori della rete su ferro) e quindi pubbliche
Amministrazioni, si sentono deresponsabilizzati dalla
22 Art. 14 della Legge n. 126 del 12 febbraio 1958
23 CdS, art 14 comma 4. “Per le strade vicinali di cui all'art. 2, comma 7, i poteri dell'ente proprietario previsti dal presente codice sono esercitati dal comune”.
24 Ad esempio il Comune di Civitavecchia (Roma), Regolamento per la gestione delle strade vicinali soggette a pubblico transito, 23 marzo 2011
17
manutenzione ritenendo di aver risparmiato sugli oneri di
manutenzione poiché la stessa è stata delegata ai
residenti
- dall’altro sono pronti a richiedere risorse allo Stato per
fronteggiare i sempre più frequenti fenomeni di dissesto
idrogeologico, senza, apparentemente, avvedersi di aver
determinato – o comunque aver giocato un ruolo nel
determinare – frane e allagamenti.
2. L’analisi dei dati
2.1 L’analisi dei dati su base comunale
L’analisi completa dei dati a livello comunale sarà
completata nel prosieguo del presente studio ma è
possibile anticipare alcune riflessioni legate
principalmente all’estesa delle strade che caratterizzano
alcuni Comuni: questi sono stati selezionati
appositamente in quanto differenti per popolazione,
dimensione e contesto territoriale. Le analisi sono state
effettuate per il periodo 2000 – 2012.
Comune di Civitavecchia
(Roma)
Lunghezza delle strade esterne25
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)
anno 2000 11 92
anno 2004 11 92
anno 2012 155 92
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Comune di Cortona (AR)
Lunghezza delle strade esterne*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)anno 2000 249 20
anno 2004 249 20
anno 2012 216 22
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Comune di Cesenatico (RN)
Lunghezza delle strade esterne*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)anno 2000 59 88
anno 2004 59 88
anno 2012 59 88
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
25 * Strade comunali e vicinali di uso pubblico, compresa l'eventuale quota di strade consortili.
Comune di Chiavari (GE)
Lunghezza delle strade esterne26*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)anno 2000 17 61
anno 2004 5 74,5
anno 2012 5 75
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Comune di Como
Lunghezza delle strade esterne*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)anno 2000 220 200
anno 2004 228 200
anno 2012 279 200
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Comune di Crosia (CS)
Lunghezza delle strade esterne*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)anno 2000 50 33
anno 2004 50 35
anno 2012 50 35
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Comune di Caltanissetta
Lunghezza delle strade esterne*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)anno 2000 153 130
anno 2004 627 15927
anno 2012 0 160
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Comune diCalvagese della
Riviera (BS)
Lunghezza delle strade esterne*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)
anno 2000 15 20
anno 2004 8 12
anno 2012 8 12
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi Ora, anche ipotizzando qualche cessione a soggetti
privati, risulta difficile comprendere come la rete stradale
urbana possa diminuire nel tempo. Tuttalpiù, potrà
incrementarsi a seguito di
- espansione del centro abitato
26 * Strade comunali e vicinali di uso pubblico, compresa l'eventuale quota di strade consortili.
27 Un refuso sui Certificati Consuntivi riporta un valore pari a 15.905 qui rettificato per renderlo compatibile http://finanzalocale.interno.it/apps/floc.php/certificati/index/codice_ente/5190180040/cod/4/anno/2004/md/0/cod_modello/CCOU/tipo_modello/U/cod_quadro/01
18
- inclusione di alcune strade vicinali nello
stradario pubblico
come nei casi di Reggiolo e Carpi.
Comune di Reggiolo (RE)
Lunghezza delle strade esterne*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)anno 2000 20 2
anno 2004 21 38
anno 2012 21 38
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Comune di Carpi (MO)
Lunghezza delle strade esterne*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)anno 2000 330 130
anno 2004 276 131
anno 2012 208 236
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi Ed allora - ancor prima delle necessarie analisi per un
censimento della rete stradale esistente, si pone il
problema della certificazione dei dati forniti dalle
amministrazioni locali, che, per il caso di per Racalmuto
(AG) si invertono oppure, nel caso del Comune di Pisticci
(MT), appaiono o scompaiono nei differenti anni mentre
le strade di ambito urbano risultano avere una densità
maggiore28 di quella presente in tutte le maggiori città
italiane.
Comune di Racalmuto (AG)
Lunghezza delle strade esterne*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)anno 2000 161 10
anno 2004 161 10
anno 2011 10 161
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
28 A Pisticci (MT) le strade urbane dichiarate sono pari a 120 km che, per un centro abitato pari a 5 ettari, corrispondo a 24 km di strade per ettaro contro, ad esempio, dati che oscillano, in tutta Italia, su valori compresi tra 0,01 e 0,1 ( 0,099 km/ha a Milano, 0,19 km/ha a Torino, 0,012 km/ha a Roma): questi valori non si possono spiegare neppure tenendo conto della complessa orografia locale e dei tornanti che caratterizzano larga parte del centro storico. Più presumibilmente alcuni Enti Locali trasmettono al Ministero dell’Interno i dati di superficie in metri quadrati (mq) o chilometri quadrati (kmq) anziché in ettari (ha) come richiesto nella compilazione dei Certificati Consuntivi.
Comune di Pisticci (MT)
Lunghezza delle strade esterne*
(km)
Lunghezza delle strade interne al
centro abitato (km)anno 1998 372 120
anno 2000 0 120
anno 2012 372 120
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Centro storico di Pisticci (MT)
19
20
2.2 L’analisi dei dati su base provinciale
Prima di analizzare i dati forniti dal Ministero dell’Interno
sono state svolte alcune analisi puntuali volte a verificare
la corrispondenza tra le banche dati pubbliche e le
informazioni trasmesse ai Ministeri (dell’Interno, delle
Infrastrutture, dell’Ambiente).
Desta perplessità il fatto che alcune strade provinciali non
siano rappresentate nel Portale Cartografico Nazionale:
si fa riferimento ad esempio alla Strada Provinciale
Pozzitello-San Basilio.
Figure: La Sp Pozzitello-San Basilio nel territorio di Pisticci (MT): infrastruttura non rappresentata nel Portale Cartografico Nazionale (in alto), correttamente riportata invece sui più diffusi portali cartografici (navigatore TomTom OpenStreetMap, Google Maps).
E con riferimento ai dati che le Province hanno
trasmesso al Ministero dell’Interno non è possibile
tracciare un adeguato quadro complessivo di sintesi
a livello nazionale: come si evidenzia dalle Tabelle
seguenti, pur considerando le normali classificazioni
e declassificazioni i chilometri di strade provinciali
dichiarati da alcune Amministrazioni risultano
cronologicamente poco attendibili.
Provincia diLivorno
Lunghezza totale delle strade provinciali* (km)
anno 2000 482
anno 2004 688
anno 2012 458
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Provincia diUdine
Lunghezza totale delle strade provinciali* (km)
anno 2000 1.263
anno 2004 1.270
anno 2012 1.321,4
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Provincia diAsti
Lunghezza totale delle strade provinciali* (km)
anno 2000 1.175
anno 2004 1.247,37
anno 2012 1.291,07
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Provincia diMessina
Lunghezza totale delle strade provinciali* (km)
anno 2000 2.658
anno 2004 2.612,11
anno 2012 2.860
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Provincia diBrescia
Lunghezza totale delle strade provinciali* (km)
anno 2000 1.077
anno 2004 1.640
anno 2012 1.581
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
21
Provincia di Agrigento
Lunghezza totale delle strade provinciali* (km)
anno 2000 955
anno 2004 934
anno 2012 1.236
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
Provincia di Pavia
Lunghezza totale delle strade provinciali* (km)
anno 2000 1.650
anno 2004 2.000
anno 2012 1.992
Fonte: Ministero dell’Interno - Finanza Locale, Certificati Consuntivi
22
3. Il censimento della rete stradale
Un censimento reale della rete non è soltanto difficile ma
quasi impossibile. Se da un lato si possono leggere i dati
a livello provinciale e comunale sul sito del Ministero
dell’Interno, le informazioni poste nei Certificati
Consuntivi29 e dichiarate per l’estensione e la tipologia
della rete stradale sono :
- per alcuni Enti poco coerenti,
- non sempre concordano con i dati trasmessi al
Ministero delle Infrastrutture,
- si discostano palesemente da quanto dichiarato nei
documenti o nei regolamenti locali,
e in estrema sintesi, non possono essere un valido
supporto per la realizzazione del lavoro di censimento
che il Comitato si era posto come obiettivo.
Inoltre il tipo ed il livello delle informazioni presenti non
risultano idonee all’individuazione dei criteri per
l’estrazione del sottoinsieme che andrebbe ad integrare
quanto variamente censito per le reti di livello
amministrativo inferiore.
Eppure la Normativa 30 è chiarissima. E l’unica
classificazione possibile è quella citata nel DM 2001
29 I dati del Ministero dell’Interno desunti dai Certificati Consuntivi e la comparazione con i dati raccolti dal Ministero Infrastrutture per quanto attiene le Province sono riportati nelle Tabelle in calce a questo documento.
30 CdS Art. 13. Norme per la costruzione e la gestione delle strade comma 6. Gli enti proprietari delle strade sono obbligati ad istituire e tenere aggiornati la cartografia, il catasto delle strade e le loro pertinenze secondo le modalità stabilite con apposito decreto che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti emana sentiti il Consiglio superiore dei lavori pubblici e il Consiglio nazionale delle ricerche. Nel catasto dovranno essere compresi anche gli impianti e i servizi permanenti connessi alle esigenze della circolazione stradale.
CdS Art. 225. Istituzione di archivi ed anagrafe nazionali 1. Ai fini della sicurezza stradale e per rendere possibile l'acquisizione dei dati inerenti allo stato delle strade, dei veicoli e degli utenti e dei relativi mutamenti, sono istituiti: a) presso il Ministero dei lavori pubblici un archivio nazionale delle strade; b) presso la Direzione generale della M.C.T.C. un archivio nazionale dei veicoli; c) presso la Direzione generale della M.C.T.C. una anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, che include anche incidenti e violazioni.
Art. 226. Organizzazione degli archivi e dell'anagrafe nazionale comma 1. Presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito l'archivio nazionale delle strade, che comprende tutte le strade distinte per
Modalità di istituzione ed aggiornamento del Catasto
delle strade :
Classifica Amministrativa
SS = Strade Statali
SR = Strade Regionali
SP = Strade Provinciali
SC = Strade Comunali
SM = Strade Militari
PR = Strade private
Classifica Tecnico-Funzionale
A = Autostrade
B = Strade extraurbane principali
C = Strade extraurbane secondarie
D = Strade urbane di scorrimento
categorie, come indicato nell'art. 2. comma 2. Nell'archivio nazionale, per ogni strada, devono essere indicati i dati relativi allo stato tecnico e giuridico della strada, al traffico veicolare, agli incidenti e allo stato di percorribilità anche da parte dei veicoli classificati mezzi d'opera ai sensi dell'art. 54, comma 1, lettera n), che eccedono i limiti di massa stabiliti nell'art. 62 e nel rispetto dei limiti di massa stabiliti nell'art. 10, comma 8. comma 3. La raccolta dei dati avviene attraverso gli enti proprietari della strada, …
D.M. Primo giugno 2001 Modalità di istituzione ed aggiornamento del Catasto delle strade ai sensi dell'art. 13, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni. (GU Serie Generale n.5 del 7-1-2002 - Suppl. Ordinario n. 6) Art. 6. Le autostrade e le strade di interesse nazionale, le strade regionali, provinciali e comunali sono accatastate, assumendo l'allegato al presente decreto come obiettivo finale da raggiungere, secondo il seguente ordine di priorità: - autostrade e strade di interesse nazionale : entro due anni dall'entrata in vigore del presente decreto; - strade regionali : entro tre anni dall'entrata in vigore del presente decreto; - strade provinciali e comunali extraurbane con larghezza pavimentata non inferiore a metri 5,50: entro quattro anni dall'entrata in vigore del presente decreto; - altre strade comunali extraurbane con larghezza pavimentata inferiore a metri 5,50 e strade urbane pavimentate: entro cinque anni dall'entrata in vigore del presente decreto. Per queste ultime, in una prima fase, il rilevamento può essere limitato agli attributi globali degli elementi stradali, alle giunzioni ed alle aree di traffico che consentono di definire il grafo della rete, come indicato nell'Allegato al presente decreto. Allegato punto 3.1 Codifica dei dati per il catasto delle strade Il codice dell'ente viene assegnato in modo univoco dal gestore dell'Archivio Nazionale delle Strade.
23
3.1 La rete primaria
Occorre anche analizzare il combinato disposto di cui agli
art. 98, 99 e 101 del D.Lgs 112/1998 che, contrariamente
a quanto asserito dalle Amministrazioni locali, non ha
imposto alcun trasferimento 31 delle strade statali alle
31 D.Lgs. n. 112 del 1998 Art. 98. Funzioni mantenute allo Stato Comma 1. Sono mantenute allo Stato le funzioni relative: a) alla pianificazione pluriennale della viabilità e alla programmazione, progettazione, realizzazione e gestione della rete autostradale e stradale nazionale, costituita dalle grandi direttrici del traffico nazionale e da quelle che congiungono la rete viabile principale dello Stato con quella degli Stati limitrofi; b) alla tenuta dell'archivio nazionale delle strade; c) alla regolamentazione della circolazione, anche ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ai fini della salvaguardia della sicurezza nazionale. d) alla determinazione dei criteri relativi alla fissazione dei canoni per le licenze e le concessioni, nonché per l'esposizione di pubblicità lungo o in vista delle strade statali costituenti la rete nazionale; e) alla relazione annuale al Parlamento sull'esito delle indagini periodiche riguardanti i profili sociali, ambientali ed economici della circolazione stradale ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 285 del 1992; f) alla informazione dell'opinione pubblica con finalità prevenzionali ed educative ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 285 del 1992; g) alla definizione di standard e prescrizioni tecniche in materia di sicurezza stradale e norme tecniche relative alle strade e loro pertinenze ed alla segnaletica stradale, ai sensi del decreto legislativo n. 285 del 1992; h) alle funzioni di indirizzo in materia di prevenzione degli incidenti, di sicurezza ed informazione stradale e di telematica applicata ai trasporti, anche mediante iniziative su scala nazionale; i) alla funzione di regolamentazione della circolazione veicolare, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 285 del 1992, per motivi di sicurezza pubblica, di sicurezza della circolazione, di tutela della salute e per esigenze di carattere militare. Comma 2. All'individuazione della rete autostradale e stradale nazionale si provvede, entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto legislativo, attraverso intese nella Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento delle intese nel termine suddetto, si provvede nei successivi sessanta giorni con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa delibera del Consiglio dei Ministri. Comma 3. Sono, in particolare, mantenute allo Stato, in materia di strade e autostrade costituenti la rete nazionale, le funzioni relative: a) alla determinazione delle tariffe autostradali e ai criteri di determinazione dei piani finanziari delle società concessionarie; b) all'adeguamento delle tariffe di pedaggio autostradale; c) all'approvazione delle concessioni di costruzione ed esercizio di autostrade; d) alla progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione delle strade e delle autostrade, sia direttamente sia in concessione; e) al controllo delle concessionarie autostradali, relativamente all'esecuzione dei lavori di costruzione, al rispetto dei piani finanziari e dell'applicazione delle tariffe, e alla stipula delle relative convenzioni; f) alla determinazione annuale delle tariffe relative alle licenze e concessioni ed alla esposizione della pubblicità.
D.Lgs. n. 112 del 1998 Art. 99. Funzioni conferite alle regioni e agli enti locali Comma 1. Sono conferite alle regioni e agli enti locali, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 15 marzo 1997, n. 59, tutte le funzioni amministrative non espressamente indicate negli articoli del presente capo e tra queste, in particolare, le funzioni di programmazione, progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione delle strade non rientranti nella rete autostradale e stradale nazionale, compresa la nuova costruzione o il miglioramento di quelle esistenti, nonché la vigilanza sulle strade conferite. Comma 2. La progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione delle strade di cui al comma 1 può essere affidata temporaneamente, dagli enti territoriali cui la funzione viene conferita, all'Ente nazionale per le strade (ANAS), sulla base di specifici accordi. Comma 3. Sono, in particolare, trasferite alle regioni le funzioni di programmazione e coordinamento della rete viaria.. Sono attribuite alle province le funzioni di progettazione, costruzione e manutenzione della rete stradale, secondo le modalità e i criteri fissati dalle leggi regionali. Comma 4. Alle funzioni di progettazione, costruzione, manutenzione di rilevanti opere di interesse interregionale si provvede mediante accordi di programma tra le regioni interessate.
D.Lgs. n. 112 del 1998, Art. 101. Trasferimento delle strade non comprese nella rete autostradale e stradale nazionale Comma 1. Le strade e autostrade, già appartenenti al demanio statale ai sensi dell'articolo 822 del codice civile e non comprese nella rete autostradale e stradale nazionale, sono trasferite, con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 98, comma 2, del presente decreto legislativo, al demanio delle regioni, ovvero, con le leggi regionali di cui all'articolo 4, comma 1, della legge 15 marzo 1997, n. 59, al demanio degli enti locali. Tali leggi attribuiscono agli enti titolari anche il compito della gestione delle strade medesime. Comma 2. In seguito al trasferimento di cui al comma 1 spetta alle regioni o agli enti locali titolari delle strade la determinazione dei criteri e la fissazione e la riscossione, come entrate proprie, delle tariffe relative alle licenze, alle concessioni e alla esposizione della pubblicità lungo o in vista delle strade trasferite, secondo i principi definiti con atto di indirizzo e di coordinamento ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59..
Art. 824. Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali. I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'articolo 822, se appartengono alle Province o ai Comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico. Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali.
Art. 825. Diritti demaniali su beni altrui. Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo Stato, alle Province e ai Comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi.
Art. 826. Patrimonio dello Stato, delle Province e dei Comuni. I beni appartenenti allo Stato, alle Province e ai Comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle Province e dei Comuni. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le
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Regioni. Non soltanto, l’art. 99 del D.Lgs 112/98 richiama
espressamente la Normativa di ordine superiore32
foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle Province e dei Comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio.
32 Legge 15 marzo 1997, n. 59 Art. 4. comma 1. Nelle materie di cui all'articolo 117 della Costituzione, le regioni, in conformità ai singoli ordinamenti regionali, conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non richiedono l'unitario esercizio a livello regionale. Al conferimento delle funzioni le regioni provvedono sentite le rappresentanze degli enti locali. Possono altresì essere ascoltati anche gli organi rappresentativi delle autonomie locali ove costituiti dalle leggi regionali.
Costituzione Art. 117 La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull'istruzione; o) previdenza sociale; p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno; s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori
escludendo di fatto dal demanio degli enti locali le reti di
trasporto, in quanto “funzioni fondamentali” di Comuni,
Province e Città metropolitane.
Lo Stato mantiene il coordinamento informativo statistico
e informatico dei dati dell'amministrazione statale,
regionale e locale ed è proprio sulla base dell’art. 117
della Costituzione che il Ministero dell’Interno analizza i
dati.
Una classificazione funzionale che deve
necessariamente essere organizzata e gestita a livello
centrale stante la situazione attuale di totale anarchia.
produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.
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3.2 La rete secondaria
In ambito internazionale le strade di specifico interesse
del nostro Comitato 33 sono definite come assi viari
interessati da traffico esiguo (dai 50 ai 400 veicoli/giorno)
ma in molti Paesi34 le strade di questa rete secondaria
registrano flussi sino a 3.000 veic/giorno.
In alcune Province italiane sono state definite “strade
agrarie” quelle con flussi di traffico inferiori a 100 veicoli /
ora, quindi pari a circa 1000-2000 veicoli/giorno. Ma
questa classificazione comporta un problema giuridico:
l'articolo 3, comma 1, n. 52, Codice della Strada definisce
la strada vicinale (o poderale o di bonifica) come strada
fuori dai centri abitati ad uso pubblico.
Così come non è quindi corretto equiparare "strade
vicinali" e "strade interpoderali" occorre fare attenzione
alla natura "demaniale", "vicinale" o "privata" delle strade.
Sono “private” le vie cosiddette “agrarie” o “vicinali
private” quelle costituite dai passaggi in comunione
incidentale tra i proprietari dei fondi latistanti serviti da
quei medesimi passaggi. Sono “vicinali pubbliche” le vie
di proprietà privata, soggette a pubblico transito. In
concreto, il sedime della vicinale, compresi accessori e
pertinenze, è privato, di proprietà dei titolari dei terreni
latistanti, mentre l'Ente pubblico è titolare di un diritto
reale di transito a norma dell'art. 825 c.c.
Con esplicito riferimento al problema della classificazione
della rete stradale l’aver adottato in un atto pubblico35
una classificazione che denomina alcune strade come
“agricole” (definizione inesistente ma del tutto
comparabile a quella di strade ”agrarie”) determina o
potrebbe determinare (magari sul lungo periodo) la
conseguente indisponibilità delle strade in questione,
sebbene alla luce della Normativa questo provvedimento
di declassificazione ad uso privatistico non sia possibile
33 Al fine di poterle comparare con le “rural roads” del corrispondente Comitato Tecnico a livello internazionale.
34 Le classificazioni funzionali mutano da Stato a Stato e nel tempo ( dai circa 400 veic./giorno utilizzati negli USA sino agli oltre 3.000 veic/giorno in Germania).
35 Provincia di Messina, Censimento Strade Provinciali 2010, Classificazione rete stradale di primo livello (strade provinciali, 1.384,26 km) o rurali (strade agricole, 1.200,55 km)
ai sensi degli articoli36 822, 824, 825 e 826 del Codice
Civile. E qualora la Provincia intenda declassificare una
infrastruttura, l'appartenenza delle strade al demanio
comunale è prevista e regolata dal combinato disposto
degli artt. 822 e 824 del Codice Civile.
L'istituto della vicinalità, nonostante una certa
imprecisione che da sempre ha connotato la nozione di
"strada vicinale", può essere inteso come la qualità della
strada di essere una proprietà privata ma soggetta a
pubblico transito, concorrendo a costituire la categoria
più importante dei beni di cui all'art. 825 del Codice Civile
"Diritti demaniali su beni altrui". La dottrina menziona le
36 Art. 822. Demanio pubblico. Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.
Art. 824. Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali. I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'articolo 822, se appartengono alle Province o ai Comuni, sono soggetti al regime del demanio pubblico. Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali.
Art. 825. Diritti demaniali su beni altrui. Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo Stato, alle Province e ai Comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi.
Art. 826. Patrimonio dello Stato, delle Province e dei Comuni. I beni appartenenti allo Stato, alle Province e ai Comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle Province e dei Comuni. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle Province e dei Comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio.
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strade vicinali private o agrarie o interpoderali e le
distingue dalle strade vicinali soggette a uso pubblico.
La strada agraria è una strada interpoderale destinata al
servizio dei fondi, dal parziale conferimento dei quali ha
tratto origine, ed è soggetta al transito dei proprietari dei
fondi serviti e del tutto sprovvista di alcun carattere di
pubblicità. Gli utenti ne godono jure domini, per diritto di
proprietà. E, con un solo provvedimento, un ente pubblico
ha ceduto milleduecento chilometri di strade a soggetti
privati.
inoltre le strade vicinali private restano estranee alla
disciplina pubblicistica risultando esclusivamente
regolate da norme di diritto privato. La Corte di
Cassazione37 ritiene che la formula "strade vicinali" in
senso proprio, valga a designare soltanto le strade
soggette a pubblico transito, cioè caratterizzate da un
diritto reale di uso pubblico a favore della collettività. Ma è
presumibile che alla base del provvedimento di cui si
discute e della relativa cessione di oltre un migliaio di
chilometri a soggetti privati ci sia la necessità di porre in
capo ai singoli gli oneri di manutenzione: infatti per le
strade private non sorge alcun obbligo a carico degli Enti
ma soltanto una facoltà: cosicché tutti i costi di
manutenzione sono necessariamente ripartiti tra i soli
proprietari, i quali possono, ma soltanto laddove lo
vogliano, costituirsi in Consorzi.
3.3 La rete minore
Molti Enti riconoscono alla viabilità minore una funzione
rilevante per il miglioramento della mobilità e garantire
l’accessibilità dei territori.
Molteplici regolamenti disciplinano le modalità attraverso
le quali gli Enti partecipano ai costi di manutenzione,
sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali sia
quando queste siano, o non siano, soggette a pubblico
transito38.
37 Corte di Cassazione, Sez. II, sentenza n. 2591 del 28 agosto 1971
38 Si veda ad esempio il Regolamento del Comune di Montecarlo (LU), Deliber. C.C. n. 11 del 18.04.2013. Il quadro normativo di riferimento per la definizione dei criteri è costituito dalle seguenti Norme: Legge 7 agosto 1990, n. 241, articolo 12, concernente l’obbligo per le
Nel caso di declassificazione ad opera di una
Amministrazione Comunale, le strade interessate dal
provvedimento divengono automaticamente strade
agrarie interpoderali di proprietà privata, con esclusione
di qualsiasi forma di uso pubblico39. La declassificazione
di una strada vicinale di uso pubblico iscritta nello
stradario comunale può avvenire, sia d’ufficio sia per
istanza di parte, solo sulla base del fondamentale
presupposto dell’effettiva assenza di uso pubblico o della
inutilità di fatto del pubblico uso. A seguito di istanza dei
privati frontisti, sono previste eventuali variazioni dei
tracciati delle strade vicinali di uso pubblico a condizione
che queste non siano peggiorative, rispetto alla
situazione esistente, in relazione alla fruizione pubblica
della strada40.
E le classificazioni proposte (ed attuate 41 ) a livello
comunale includono le seguenti tipologie di strade:
- Strade comunali - strade extraurbane e strade
urbane,
- Strade vicinali - strade private fuori dai centri abitati
ad uso pubblico (cfr. N.C.S., art.3, comma 52).
- Strade agrarie o interpoderali e strade private -
strade che risultano dalle mappe catastali quali
strade vicinali di uso pubblico e/o soggette al regime
giuridico delle strade agrarie, ed alle tutele e vincoli
previsti dal diritto privato in tema di servitù, passi e
governo del territorio.
- Strade appartenenti a privati frontistanti. La tutela del
diritto pubblico, è infatti, esercitata dal Sindaco su
tutte le strade, nei criteri e nelle forme stabiliti dalla
pubbliche amministrazioni di predeterminare i criteri per la concessione di contributi e sovvenzioni a persone ed enti pubblici e privati; D.L.Lgt 1 settembre 1918, n. 1446, e Legge 12 febbraio 1958, n. 126, (articolo 14) concernenti la costituzione di consorzi fra gli utenti delle strade vicinali per la ricostruzione, sistemazione e manutenzione di esse; D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, Codice della Strada; Legge della Regione Toscana 01.12.1998, n. 88, articolo 23 e s.m.i.;
39 Comune di Alcamo (TP), Deliber. Consiglio Comunale, n. 63 del 24/05//2013
40 Per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade vicinali soggette a pubblico transito, gli Enti possono erogare contributi in misura variabile da un quinto sino alla metà dell’importo della spesa. Le opere ammesse a contributo, nei limiti delle risorse stanziate, sono individuate sulla base della partecipazione a bandi pubblici.
41 Ibidem, Comune di Alcamo (TP), Delib.C.C. 63/2013
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vigente normativa (come previsto ad esempio,
dall'art. 15 del D. Lgs. Lgt. 1 settembre 1918, n.
1446).
- Percorsi ambientali o naturali - tutte le strade o
sentieri, privati o pubblici, il cui uso pubblico è
limitato ad un transito escursionistico con esclusione
di mezzi motorizzati.
Il recente elevato utilizzo della rete minore da parte di
veicoli a due ruote può trasformarsi in un disincentivo alla
frequentazione non motorizzata di territori collinari e
montani, determinando non tanto un ostacolo allo
sviluppo, quanto uno specifico danno ambientale poiché
i solchi determinati dai mezzi motorizzati determinano un
diverso deflusso delle acque. Eppure alcune42 Regioni
hanno recentemente approvato leggi che contemplano
norme e provvedimenti che favoriscono un uso
inappropriato della rete minore.
La Lombardia, una regione la cui superfice montana è
pari 1.032.322 ettari ha approvato una Norma43 che se
42 Si fa riferimento ad esempio al caso dell’Emilia-Romagna: il 26 luglio 2013 la Regione ha approvato la legge regionale n° 14 “Rete escursionistica dell'Emilia Romagna e valorizzazione delle attività escursionistiche”, che fornisce una definizione di escursionismo che non pone alcuna limitazione concettuale al fatto che esso venga praticato con l’utilizzo di mezzi motorizzati in quanto prevede la possibilità di percorrere i sentieri con mezzi a motore, in evidente contrasto con la finalizzazione dei percorsi escursionistici, affermata dalla legge, alla “promozione delle aree naturali … e allo sviluppo sostenibile”.
43 Regione Lombardia Legge Consiglio Regionale N. 43 del 8 luglio 2014 Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 5 dicembre 2008, n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale) Art. 4 (Modifiche all’art. 59 della l.r. 31/2008) 1. All’articolo 59 sono apportate le seguenti modifiche ed integrazioni: a) il comma 3 è sostituito dal seguente: “3. Sulle strade agro-silvo-pastorali è vietato il transito dei mezzi motorizzati, ad eccezione di quelli di servizio e di quelli autorizzati in base al regolamento comunale di cui al comma 1.”; b) il comma 4 è sostituito dal seguente: “4. E’ altresì vietato il transito dei mezzi motorizzati nei boschi, nei pascoli, sulle mulattiere e sui sentieri, ad eccezione dei mezzi di servizio e di quelli autorizzati dalla Regione per la circolazione sulle proprie aree demaniali.”; c) dopo il comma 4 è inserito il seguente: “4.bis In deroga ai divieti di cui ai commi 3 e 4, con il regolamento di cui all’articolo 50, comma 4, compatibilmente con le esigenze di tutela del patrimonio forestale, sono definite le modalità e le procedure con cui gli enti locali e forestali, per il territorio di rispettiva competenza, possono autorizzare manifestazioni con mezzi motorizzati. Nel caso in cui il territorio interessato dall’autorizzazione sia ricompreso in una area protetta regionale e/o nazionale, gli enti gestori di queste ultime sono tenute a esprimere un parere preventivo vincolante.
da un lato garantisce ai Comuni di autorizzare
manifestazioni con i veicoli a motore, ufficialmente ne
impedisce l'utilizzo su sentieri, mulattiere e boschi. Il
problema è diventato nazionale – e si estende anche
all’uso delle motoslitte nel periodo invernale. E’ evidente
l’incompatibilità fra escursionismo e motociclismo, in
controtendenza anche rispetto ai progetti di promozione e
sviluppo di turismo ecocompatibile, progetti che
richiedono investimenti modesti e sono realizzabili solo
con scelte precise e coerenti. Il nostro Paese si
caratterizza per una rete di itinerari di lunga percorrenza
di grande valore naturalistico e storico, basato in
massima parte sulla rete sentieristica. Le numerose
presenze di escursionisti su questi itinerari, oggetto di
iniziative imprenditoriali agro-turistiche con significativi
sviluppi per l'economia locale, risulta fortemente
disincentivata dalla convivenza con motociclette e quad.
E se da un lato il Club Alpino Italiano (CAI) si appella al
quadro normativo nazionale, foriero di derive
interpretative dall’altro lato appare sempre più evidente
come il Codice della strada debba trattare soltanto di
infrastrutture stradali, lasciando la sentieristica ad altri
Ministeri.
Non si tratta quindi di classificare sentieri e mulattiere per
consentirne la percorrenza esclusivamente a transiti non
motorizzati, quanto spiegare agli Amministratori Pubblici
le responsabilità alle quali possono essere chiamati a
rispondere nel caso di incidenti 44 anche mortali.
Responsabilità civili, amministrative, penali, per danni a
terzi o allo Stato, per lesioni colpose o incidenti mortali.
In ogni caso, preventivamente al rilascio della autorizzazione, i responsabili organizzativi delle predette manifestazioni dovranno prestare congrue garanzie fideiussorie bancarie o assicurative agli enti proprietari dei boschi, dei pascoli, delle mulattiere e dei sentieri, al fine di garantire la copertura dei costi necessari per l’eventuale esecuzione delle opere di conservazione e/o di rimessa in pristino stato dei luoghi, aree, mulattiere e/o sentieri utilizzati per lo svolgimento delle manifestazioni”.
44 Si fa riferimento ad esempio all’incidente mortale occorso al conducente della moto deceduto dopo essere uscito di strada mentre percorreva in discesa il sentiero numero "212" del Vajo dei Pangoni, nel territorio di Cavalo in direzione Fumane (VR).
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Ed è bene rammentare che il Codice Civile delle
Assicurazioni risponde per i soli danni verificatisi45 su
strade pubbliche.
3.4 Le opere per la manutenzione della rete minore
Le opere di manutenzione straordinaria solitamente
ammissibili a contributo riguardano alcune specifiche
tipologie d’intervento:
ripristino della viabilità anche in seguito ad eventi
calamitosi.
raccolta, convogliamento e scarico di acque piovane e
meteoriche.
ripristino di cigli e scarpate.
eventuale asfaltatura o trattamenti per strade bianche.
modificazione di tracciato o delle livellette al fine di
migliorare le caratteristiche plano-altimetriche.
Le opere di manutenzione ordinaria ammesse a
contributo riguardano, di norma le seguenti tipologie di
intervento:
riprese d’asfalti esistenti.
ripristino ed esecuzione di fossette stradali.
ripristino e consolidamento massicciata stradale.
ricarico di ghiaia e materiale stabilizzato.
I contributi vengono erogati sulla base di specifici criteri
che solitamente includono una sorta di sotto
classificazione della rete minore, ovvero considerano
prioritari gli interventi che interessino
- strade vicinali che colleghino strade di livello
superiore;
- strade vicinali a fondo cieco ma sulle quali insistano
edifici pubblici:
- ubicazione e interesse viario della strada stessa.
Altri Enti46 attribuiscono particolare importanza alla rete
minore: proprio attraverso il recupero e la riqualificazione
45 Per gli incidenti su strade private deve essere valutata l’esperibilità o meno dell’azione diretta ex art. 144 del Codice delle Assicurazioni (D.Lgs. 209/2005): le compagnie assicuratrici rispondono solamente per sinistri causati dalla circolazione di veicoli in “circolazione su strade ad uso pubblico o su aree a queste equiparate” (art. 122 Codice delle Assicurazioni).
46 Si veda il Piano di Assetto del Territorio del Comune di Caorle (VE)
dei sentieri e delle strade agrarie, anche qualora queste
siano poco utilizzate, grazie a specifiche convenzioni,
possono essere aperte all'uso pubblico, ed essere
utilizzate, oltre che per gli usi agricoli, anche per la
pedonalità, la ciclabilità e per l'equitazione; in tale caso i
percorsi devono essere sistemati con fondo stradale
naturale. Le strade interpoderali specie se a margine dei
principali canali e corsi d’acqua registrano la presenza di
siepi, filari e macchie boscate (anche discontinue) e
conferiscono ai territori un notevole valore ambientale. E
a livello nazionale un censimento di questo immenso
patrimonio infrastrutturale e ambientale è al momento di
difficile realizzazione.
29
3.5 Un censimento impossibile
Quand’anche si volessero classificare le strade sulla
base di una valutazione dei criteri adottati a livello
provinciale o regionale, e quindi confrontare i dati relativi
all’estensione della rete viaria (non sempre caratterizzata
da basso volume di traffico), dovrebbero essere
analizzati nel dettaglio quali siano stati i criteri adottati e
capire come mai vi siano tante e tali difformità tra la
situazione reale e la classificazione attuata: a titolo di
esempio si prenda il caso della Provincia di Pavia che
elenca ben 265 strade provinciali. Per la Regione
Lombardia47 le strade provinciali sono così classificate:
Strada di interesse regionale R1
Strada di interesse regionale R2
Strada di interesse provinciale P1
Strada di interesse provinciale P2
Strada di interesse locale L
Osservando la cartografia ufficiale si evidenziano
differenze.
La Sp 137 nella cartografia ufficiale della Provincia di Pavia e (di seguito) nella cartografia della Regione Lombardia ove risulta classificata come P2 (Strada di interesse provinciale)
47 Regione Lombardia, Classificazione funzionale e qualificazione della rete viaria, D.G.R. VII/19709 del 3 dicembre 2004 – Allegato “A”
Alcune immagini della Sp 137 classificata come P2 (Strada di interesse provinciale)
La rappresentazione della Sp 137 su Google Maps ove risulta avere una sezione del tutto equiparabile alle altre strade provinciali.
La rappresentazione della Sp 137 su OpenStreetMap ove risulta avere una sezione maggiore rispetto alle altre strade.
30
Come si evince dall’immagine che evidenzia la sezione di tre strade provinciali pavesi, la Sp 7 (in colore blu) , la Sp 137(in magenta) e la Sp 461 (in giallo ocra) visualizzate da Google Maps – Street View è presumibile che la classificazione ufficiale della Provincia di Pavia (in alto a sinistra), non sia stata eseguita su base geometrica ma esclusivamente dal punto di vista funzionale.
Si confronti la sezione della Sp 461
con la sezione della Sp 7
e la sezione dela Sp 137
La Sp 181 è stata recentemente declassificata sebbene :
- abbia una sede stradale assai più importante di
quelle precedentemente analizzate,
- non sia all’interno di un Comune con popolazione
superiore a diecimila abitanti.
Si potrebbe quindi ipotizzare che la mancata inclusione
nell’elenco delle strade provinciali sia ricollegabile al
ruolo assunto negli ultimi anni da questa strada e alla
possibilità che la mancata inclusione comporta dal punto
di vista degli introiti per sanzioni.
La Sp 181 a San Martino Siccomario (PV), Comune con popolazione inferiore a diecimila abitanti (6.036 abitanti nel 2013 – Fonte Demo Istat): la mancata inclusione del breve tratto stradale (figure di seguito) tra le provinciali pavesi è presumibilmente ricollegabile ad una differente ripartizione dei possibili introiti per sanzioni.
31
In estrema sintesi, se per la quantificazione delle strade
provinciali ci si dovesse attenere a quanto classificato a
livello delle Regioni si avrebbero alcuni risultati mentre, a
livello provinciale, il censimento restituirebbe un quadro
differente e questo, unitamente ai problemi evidenziati
nei paragrafi precedenti sulle informazioni trasmesse
dalle singole Amministrazioni Comunali e Provinciali al
Ministero dell’Interno, potrebbe spiegare le differenze
registrate nello studio48 condotto da ACI.
Per quanto riguarda il periodo 2011- 2012 l’analisi dei dati
desunti dai Certificati Consuntivi del Ministero dell’Interno
evidenzia come, sebbene le modificazioni relative
all’estesa delle Strade provinciali (per i dodici mesi
analizzati) a livello nazionale siano contenute (+ 117 km),
in alcune Province il trend sia stato del tutto differente.
La declassificazione e conseguente cessione ai Comuni
di chilometri di strade, non accompagnata da un
trasferimento delle risorse per la manutenzione ordinaria,
potrebbe essere una concausa del dissesto
idrogeologico a cui si assiste. La declassificazione ha
interessato in particolare le strade provinciali in ambito
montano, strade che sono state evidentemente cedute ai
Comuni o alle Comunità Montane, già in sofferenza
economico-finanziaria.
L’analisi è stata condotta a livello di dettaglio sul solo
periodo 2011-2012 e successivamente sono stati
comparati i dati relativi all’estesa delle strade provinciali
nell’anno 2012 con quelli riportati nel Conto Nazionale
Trasporti del 2007.
A fronte di scelte che potremmo definire “controcorrente”,
come nel caso della Provincia di Torino che ha
declassato ben sedici strade statali facendo registrare
per il periodo 2007 – 2012 un incremento delle strade
provinciali pari a 24.714 km, altre Province hanno operato
in senso opposto, declassificando centinaia di chilometri
di strade provinciali per affidarne la gestione ai Comuni: è
questo il caso delle Province di Brescia, Genova,
Grosseto, Lucca, Perugia, Terni, Teramo, Avellino,
Foggia, Reggio Calabria, Enna, e non ci si deve dunque
stupire se a pochi anni di distanza da queste
48 ACI, Dotazione di infrastrutture stradali sul territorio italiano, 2012
declassificazioni – presumibilmente indotte da questioni
di bilancio e contenimento della spesa – esattamente
nelle Province citate - si registrino fenomeni di dissesto o
allagamenti.
32
4. Finalità della classificazione funzionale della rete stradale
L’art. 13 del Nuovo Codice della Strada (N.C.S.) impone
agli Enti proprietari delle strade l’obbligo di classificare la
rete esistente di loro competenza con riferimento ai tipi di
cui all’art.2 dello stesso Codice ed in base ai criteri che,
allo specifico scopo, sono stati indicati nell’apposita
direttiva che il Ministro dei LL.PP. ha emanato ai sensi del
comma 4. Questi criteri sono gli stessi presi a base delle
norme funzionali e geometriche previste al comma 1
dell’art.13, e si propongono di assicurare che la
circolazione degli utenti ammessi su ciascun tipo di
strada si svolga in sicurezza.
La rilevanza della classificazione suddetta è subito
evidente se si considera che il N.C.S. fa riferimento a tale
classifica (e non a quella amministrativa, stabilita in
relazione alla proprietà della strada, come indicato al
comma 5 dell’art.2) sia nel fissare i limiti generali di
velocità, sia nello stabilire le specifiche norme di tutela
della strada, in particolare per quanto si riferisce alle
fasce di rispetto, agli accessi ed alle diramazioni ed alla
eventuale collocazione di pubblicità.
La classificazione in parola rappresenta un dato
innovativo nel nostro ordinamento, tendente ad
uniformare su tutto il territorio nazionale le caratteristiche
infrastrutturali delle diverse tipologie di strada.
Appellandosi al CdS alcuni Enti correttamente applicano
il disposto normativo:
“art. 6. c.4. L'ente proprietario della strada può,, con l'ordinanza di cui all'art. 5, comma 3: a) disporre, per il tempo strettamente necessario, la sospensione della circolazione di tutte o di alcune categorie di utenti per motivi di incolumità pubblica ovvero per urgenti e improrogabili motivi attinenti alla tutela del patrimonio stradale o ad esigenze di carattere tecnico; b) stabilire obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente per ciascuna strada o tratto di essa, o per determinate categorie di utenti, in relazione alle esigenze della circolazione o alle caratteristiche strutturali delle strade; ”
Tale obiettivo deve essere messo in relazione alle altre
disposizioni contenute nello stesso art.13
precedentemente citato. In particolare si sottolinea, per
quanto indicato dai primi due commi, che anche le strade
esistenti (ad eccezione di quelle ad esclusivo uso
militare) devono possedere i requisiti di cui alle suddette
“Norme Funzionali e Geometriche”.
Tenuto conto degli obiettivi che il legislatore intende
perseguire attraverso la classificazione delle strade
(omogeneità delle caratteristiche tecniche nell’ambito
dello stesso tipo di infrastruttura, e conseguente
eventuale individuazione delle necessità di adeguamento
per assicurare il livello di prestazione corrispondente),
l’attività che al riguardo dovranno svolgere gli Enti
proprietari non potrà essere limitata al solo
riconoscimento, per le singole strade della rete di
competenza, delle caratteristiche costruttive proprie
dell’uno o dell’altro tipo ed alla conseguente attribuzione
alle classi individuate all’art.2 comma 2.
Infatti, il momento della ricognizione dello stato di fatto,
finalizzato all’individuazione delle caratteristiche tecniche
della strada (quali derivano dalla geometria della
piattaforma e del tracciato, nonché dallo standard
generale dell’infrastruttura) deve essere preceduto ai fini
della classificazione da una valutazione potenziale
complessiva della rete che porti a definire, in ragione del
ruolo e della tipologia di traffico servito, il rapporto di
gerarchia funzionale che intercorre fra le singole strade
(funzione obiettivo).
Detta valutazione non riguarderà solamente la rete di
competenza del singolo Ente proprietario, ma dovrà
essere estesa all’intera viabilità presente nel territorio
interessato, senza trascurare gli aspetti di
complementarietà con le altre infrastrutture di trasporto.
In tale contesto, in ambito locale, la classificazione della
viabilità minore e rurale permetterebbe di gestire anche
tale rete con criteri omogenei di sviluppo, manutenzione e
gestione.
4.1 La funzione delle strade
Ai fini di una valorizzazione delle infrastrutture stradali,
dal punto di vista della funzionalità e sicurezza,
coordinata al rispetto delle risorse ambientali ed allo
sviluppo socio-economico dell’area territoriale di
inserimento, risulta fondamentale individuare un
ordinamento delle strade basato sia sull’utilizzo ad esse
associato nel territorio sia sul ruolo da esse assolto
all’interno della rete stradale di appartenenza.
33
Il sistema globale di infrastrutture stradali può essere
schematizzato come un insieme integrato di reti distinte,
ciascuna delle quali costituita da un insieme di elementi
componenti, cioè archi, che si identificano con le strade,
collegate da un sistema di interconnessioni, cioè nodi.
In considerazione di ciò e della necessità di una
classificazione funzionale delle strade, prevista dal
Nuovo Codice della Strada, risulta quindi indispensabile
eseguire una valutazione complessiva delle reti stradali a
cui le singole strade possono appartenere e definire per
tali reti un preciso rapporto gerarchico basato
sull’individuazione della funzione assolta dalla rete nel
contesto territoriale e nell’ambito territoriale e nell’ambito
del sistema globale delle infrastrutture stradali.
A tale scopo, il D.M. 5/11/2001 “Norme funzionali e
geometriche per la progettazione delle strade”, indica i
fattori fondamentali che, caratterizzando le reti stradali,
consentono di collocare la rete oggetto di studio in una
classe precisa; essi sono:
- Tipo di movimento servito (di transito, di distribuzione, di
penetrazione, di accesso); il movimento è da intendersi
pure nel senso opposto, cioè di raccolta progressiva ai
vari livelli;
- Entità dello spostamento (distanza mediamente
percorsa e flusso veicolare);
- Funzione assunta nel contesto territoriale attraversato
(collegamento nazionale, interregionale, provinciale,
locale);
- Componenti di traffico e relative categorie (veicoli
leggeri, veicoli pesanti, motocicli, pedoni, ecc).
In riferimento a quanto previsto dalla classificazione
funzionale delle strade del Codice della Strada ex art.2 ed
in considerazione dei quattro fattori fondamentali sopra
elencati, vengono individuati nel sistema globale delle
infrastrutture stradali i seguenti quattro livelli di rete, ai
quali far corrispondere le funzioni riportate nella seguente
tabella. Nella stessa tabella è presentata una
corrispondenza indicativa tra gli archi della rete e i tipi di
strade previsti dal CdS. Ai livelli funzionali di rete
sopraccitati deve essere aggiunto, inoltre, il livello
terminale, che si identifica con le strutture predisposte
alla sosta dei veicoli, limitate anche a poche unità di
superficie.
Inoltre, per assicurare il funzionamento del sistema
globale devono essere aggiunte le interconnessioni che,
se omogenee, collegano strade della stessa rete, e se
disomogenee collegano, di norma, strade appartenenti a
reti di livello funzionali adiacenti. In tal senso, si
individuano, ad esempio, interconnessioni secondarie
(nella rete secondaria e tra secondaria e rete locale) ed
interconnessioni locali (nella rete locale). Tali nodi o
interconnessioni hanno caratteristiche tecniche diverse a
seconda della classe funzionale cui appartengono.
Inoltre, sono presenti sulle reti in numero crescente al
diminuire della loro collocazione gerarchica.
Individuata la classe funzionale di ciascuna rete che
costituisce il sistema globale della rete stradale di
riferimento, è possibile individuare i componenti della
stessa, cioè le strade, definendo per essi le
caratteristiche d’uso e di collocazione più idonea.
4.2 La classificazione amministrativa delle strade
Il comma 6 dell’articolo 2 del Codice della Strada riporta
una suddivisione in funzione delle caratteristiche
amministrative che devono rappresentare un importante
elemento di analisi nella definizione delle funzionalità
associate ad ogni strada49 : accade però che alcune
49 Statali: strade extraurbane B, C o F e strade urbane (D E F) all’interno di centri abitati con popolazione = 10.000 abitanti, che abbiano le seguenti caratteristiche: costituiscono le grandi direttrici del traffico nazionale; congiungono la rete viabile principale dello Stato con quelle degli Stati limitrofi; congiungono tra loro i capoluoghi di regione, ovvero i capoluoghi di provincia situati in regioni diverse, costituiscono diretti e importanti collegamenti tra strade statali; allacciano alla rete delle strade statali i porti marittimi, gli aeroporti, i centri di particolare importanza industriale, turistica e climatica”. All’interno di un centro abitato, le strade statali urbane (D, E, F) sono considerate: effettivamente statali (tratti interni di strade statali) per centri = 10.000 ab., strade comunali per centri abitati con popolazione > 10.000 abitanti. Regionali: strade extraurbane B, C o F e strade urbane (D E F) all’interno di centri abitati con popolazione = 10.000 abitanti, che siano: collegamento tra un capoluogo di provincia e il capoluogo di regione; collegamento tra capoluoghi di provincia; collegamento tra capoluoghi di provincia o comuni e la rete delle strade statali se tali collegamenti sono particolarmente rilevanti per ragioni di carattere industriale, commerciale, agricolo, turistico e climatico. All’interno di un centro abitato, le strade regionali urbane (D, E, F) sono considerate: effettivamente regionali (tratti interni di strade regionali) per centri = 10.000 ab., strade comunali per centri abitati
34
Province50 stabiliscano criteri differenti e attribuiscano gli
oneri di manutenzione ad alcuni Comuni (come quello di
Crosia, CS), manutenzione di strade che non avrebbero
dovuto essere considerate comunali 51 : e se è chiara
l’applicazione della normativa di ordine superiore (il CdS)
rispetto ad eventuali Regolamenti degli Enti locali, non è
altrettanto evidente come mai in alcuni documenti di
piano o di progetto, le stesse strade siano considerate
statali o provinciali 52 specie qualora vi siano
con popolazione > 10.000 abitanti. Provinciali: strade extraurbane B, C o F e strade urbane (D E F) all’interno di centri abitati con popolazione = 10.000 abitanti, che siano: collegamento tra i capoluoghi di comune di una provincia e il corrispondente capoluogo di provincia; collegamento tra i capoluoghi di comune di una di provincia; collegamento tra i capoluoghi di comune di una di provincia e la rete delle strade statali o regionali se tali collegamenti sono particolarmente rilevanti per ragioni di carattere industriale, commerciale, agricolo, turistico e climatico. All’interno di un centro abitato, le strade provinciali urbane (D, E, F) sono considerate: effettivamente provinciali (tratti interni di strade provinciali) per centri = 10.000 abitanti; strade comunali per centri abitati con popolazione > 10.000 abitanti. Comunali: strade extraurbane B, C o F che siano: collegamento tra le frazioni di un comune e il corrispondente capoluogo di comune; collegamento tra le frazioni di un comune; collegamento tra il capoluogo di un comune e una località di interesse per la collettività comunale; strade vicinali (strade private fuori dai centri abitati ad uso pubblico, cfr. NCdS, art.3, comma 52).
50 Ponendo una diversa soglia di classificazione delle strade e curando quindi la manutenzione delle strade nei soli Comuni che abbiano una popolazione inferiore a 8.000 abitanti (anziché 10.000): si vedano gli art. 5 e 6 del “Regolamento per la disciplina delle concessioni, autorizzazione e nulla osta stradali e per l’applicazione del canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche (C.O.S.A.P.) e del canone di concessione sull’installazione di impianti pubblicitari”, Provincia di Cosenza, Delib.Consiliare n.12 del 19 maggio 2003. Deliberazione che interessa ad esempio il Comune di Crosia (i cui limiti amministrativi per inciso sono riportati erroneamenente in alcuni portali “open” come GoogleMaps).
51 Riferimenti per il Comune di Crosia e la Strada Provinciale 531 ma anche SP 250 (SP SS 177 Rossano – Cropalati) classificata come strada di Categoria 1 (art. 20) nel Regolamento della Provincia di Cosenza (si veda la nota precedente): nei documenti tecnici i geologi la denomina sempre “Sp 531”, strada interessata nel passato da interruzioni verificatesi durante gli eventi pluviometrici del 1976.
52 Il Comune ha competenza e responsabilità sulla strada, ( CdS, art.5, comma 3) per le strade urbane D, E e F quando siano situate nell’interno dei centri abitati, eccettuati i tratti interni di strade statali, regionali o provinciali che attraversino centri abitati con popolazione non superiore a diecimila abitanti.
problematiche connesse a specifici interventi di
manutenzione straordinaria, mentre in tutti gli altri casi le
medesime siano considerate comunali.
La Sp 177 ora Sp 250 a Rossano (CS): la ridenominazione di questa provinciale nel cosentino è presumibilmente ricollegabile ai ripetuti fenomeni franosi che hanno interessato questa strada e la Sp 531 a Crosia.
Il CdS definisce le strade comunali come ultimo livello di
classificazione, laddove la legge n.126 del 1958
distingueva ulteriormente il tessuto amministrativo
mediante la definizione di strade vicinali 53 , strade di
bonifica 54 e strade militari di uso pubblico 55 . Con
riferimento alle strade vicinali il D.Lgs. 1446/18
distingueva tra “strada vicinale pubblica” soggetta al
passaggio non solo di quanti utilizzano i fondi su cui
insiste ma di chiunque abbia interesse ad usarla e “strada
vicinale agraria” ad uso esclusivo dei fondi su cui insiste.
E proprio questa definizione di “strada agraria” è stata
recentemente adottata dalla Provincia di Messina nella
classificazione della propria rete stradale.
53 art.9 “tutte le altre strade non iscritte nelle precedenti categorie e soggette a pubblico uso”
54 art.10 “strade costruite come opere pubbliche di bonifica o a cura dello Stato, in base a leggi speciali, o dalla Cassa per il Mezzogiorno” da classificare fra le statali, provinciali o comunali in base alle loro caratteristiche, sentite le amministrazioni interessate”
55 art.11 “quelle sulle quali l’autorità militare consente il pubblico transito”
35
In tale ambito l’ordinamento è stato integrato dalle
elaborazioni dottrinali che individuano nelle strade vicinali
le strade, sia di proprietà dei Comuni sia di proprietà dei
privati, idonee a mettere in comunicazione tronchi di
strade ordinarie, borgate, singole case sulle quali si sia
costituita una servitù di uso pubblico. Sono, invece,
definite strade agrarie le strade ad uso comune ma
esclusivo dei proprietari conferenti. Per analogia possono
essere così distinte anche le strade silvo-pastorali.
All’interno delle strade agro-silvo-pastorali dovrebbero,
poi, in qualche modo essere ricondotte numerose piste
stradali presenti su tutto il territorio con differente
denominazione (strade di bonifica, trazzere, tratturi, …).
Conclusioni
L’analisi condotta sui dati del Ministero dell’Interno
consente di avanzare alcune riflessioni:
- differenze anche minime e annualmente rilevabili
circa l’estesa di competenza delle Province non
devono e non possono essere sottovalutate in
quanto espressione di significative ricadute
economico – finanziarie sugli Enti;
- l’aumento dell’estesa stradale evidenzia una
capacità finanziaria che deve trovare
corrispondenza nei Certificati Consuntivi trasmessi
al Ministero dell’Interno;
- la riduzione, spesso rilevantissima, dell’estesa delle
strade provinciali evidenzia una volontà di cessione
e conseguente trasferimento degli oneri per la
manutenzione, riduzione che da un lato comporta
minori spese per le Province, dall’altro può innescare
processi di progressivo deterioramento del
patrimonio stradale, conseguenze che si
ripercuotono sull’economia locale senza che i
Comuni possano farvi fronte;
- la tendenza in atto nelle Amministrazioni Comunali,
relativa all’emanazione di Ordinanze che delegano
ai privati la gestione e manutenzione delle fasce di
pertinenza stradale, se da un lato evidenzia le
problematiche economico finanziare citate,
Ordinanze che si configurano come l’ultima ratio
contro una incapacità di gestione del patrimonio
stradale acquisito, dall’altro possono essere
concausa dei vasti dissesti idrogeologici che hanno
progressivamente interessato il Paese;
- la declassificazione di parte importante del
patrimonio stradale sposta gli oneri di manutenzione
senza che parimenti vengano riconosciute agli Enti
Comunali le necessarie risorse per le opere di
salvaguardia e manutenzione corrente, Enti che si
trovano a dover gestire estese vieppiù significative
senza che queste comportino un aumento delle
entrate. Riflessione valida per i Comuni di area
montana ma che interessano anche i grandi Comuni
del centro e sud Italia, Comuni aventi una superficie
molto estesa e con orografia complessa;
- la mancata classificazione del patrimonio stradale e
le imprecisioni rilevabili nei dati trasmessi ai Ministeri
sono del resto un campanello di allarme per una
situazione che dovrebbe essere al più presto gestita
a scala statale;
- le Delibere di ridenominazione / riclassificazione di
parte della rete stradale provinciale, delibere che
determinano – almeno dal punto di vista giuridico - la
cessione di migliaia di chilometri a privati o consorzi
di privati, devono essere attentamente valutate e
andrebbero preventivamente concordate con il
Ministero dell’Interno per la diversa ripartizione degli
oneri che queste comportano56 e dovrebbero essere
56 Regolamento di attuazione NCdS Art. 3. (Art. 2, CdS) Declassificazione delle strade. 1.) Successivamente alla classificazione di tutte le strade statali e non statali, effettuata con le procedure previste all'articolo 2, qualora alcune di esse rientrino nei casi previsti dall'articolo 2, comma 9, del codice, si provvede alla declassificazione delle stesse, intendendosi come tale il passaggio da una all'altra delle classi previste dall'articolo 2, comma 6, del codice. 2.) Per le strade statali la declassificazione è disposta con decreto del Ministro dei lavori pubblici, su proposta dell'A.N.A.S. o della regione interessata per territorio, secondo le procedure individuate all'articolo 2, comma 2. A seguito del decreto di declassificazione, il Presidente della regione, sulla base dei pareri già espressi nella procedura di declassificazione, provvede, con decreto, ad una nuova classificazione della strada, secondo le procedure individuate all'articolo 2, commi 4, 5 e 6. La decorrenza di attuazione è la medesima per entrambi i provvedimenti. 3.) Per le strade non statali la declassificazione è disposta con decreto del Presidente della regione, su proposta dei competenti organi regionali o delle province o dei comuni interessati per territorio, secondo le procedure indicate all'articolo 2, commi 4, 5 e 6, in relazione alla classifica della strada. Con il medesimo decreto il Presidente della regione, sulla base dei pareri già espressi nella procedura di declassificazione, provvede alla nuova classificazione della strada. Il provvedimento ha effetto dall'inizio del secondo mese successivo a quello nel quale esso è pubblicato. 4.) I provvedimenti di cui ai commi precedenti
36
sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica o nel Bollettino regionale, e trasmessi entro un mese all'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale, che li registra nell'archivio nazionale delle strade di cui all'articolo 226 del codice. 5.) I provvedimenti di declassificazione hanno effetto dall'inizio del secondo mese successivo a quello nel quale essi sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica o nel Bollettino regionale. 6.) Per le strade militari si applicano le procedure di declassificazione previste per le strade statali, mediante emanazione di decreto da parte del Ministro della difesa su proposta del Comando Regione Militare territoriale, previo parere dell'organo tecnico militare competente.
Regolamento di attuazione CdS Art. 4. (Art. 2, CdS) Passaggi di proprietà fra enti proprietari delle strade. 1.) Qualora per variazioni di itinerario o per varianti alle strade esistenti, si rende necessario il trasferimento di strade, o di tronchi di esse, fra gli enti proprietari, fatto salvo quanto previsto all'articolo 3, si provvede a norma dei commi seguenti. 2.) L'assunzione e la dismissione di strade statali o di singoli tronchi avvengono con decreto del Ministro dei lavori pubblici, su proposta di uno degli enti interessati, previo parere degli altri enti competenti, sentiti il Consiglio superiore dei lavori pubblici e il Consiglio di amministrazione dell'A.N.A.S. Per le strade non statali il decreto è emanato dal Presidente della regione competente su proposta degli enti proprietari interessati, con le modalità previste dall'articolo 2, commi 4, 5, e 6. Le variazioni di classifica conseguenti all'emanazione dei decreti precedenti, da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica o sul Bollettino regionale, sono comunicate all'archivio nazionale delle strade di cui all'articolo 226 del codice. 3.) In deroga alla procedura di cui al comma 2, i tratti di strade statali dismessi a seguito di varianti, che non alterano i capisaldi del tracciato della strada, perdono di diritto la classifica di strade statali e, ove siano ancora utilizzabili, sono obbligatoriamente trasferiti alla provincia o al comune. 4.) I tratti di strade statali, regionali o provinciali, che attraversano i centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuati a seguito della delimitazione del centro abitato prevista dall'articolo 4 del codice, sono classificati quali strade comunali con la stessa deliberazione della giunta municipale con la quale si procede alla delimitazione medesima. 5.) Successivamente all'emanazione dei provvedimenti di classificazione e di declassificazione delle strade previsti agli articoli 2 e 3, all'emanazione dei decreti di passaggio di proprietà ed alle deliberazioni di cui ai commi precedenti, si provvede alla consegna delle strade o dei tronchi di strade fra gli enti proprietari. 6.) La consegna all'ente nuovo proprietario della strada è oggetto di apposito verbale da redigersi in tempo utile per il rispetto dei termini previsti dal comma 7 dell'articolo 2 ed entro sessanta giorni dalla delibera della giunta municipale per i tratti di strade interni ai centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti. 7.) Qualora l'amministrazione che deve prendere in consegna la strada, o tronco di essa, non interviene nel termine fissato, l'amministrazione cedente è autorizzata a redigere il relativo verbale di consegna alla presenza di due testimoni, a notificare all'amministrazione inadempiente, mediante ufficiale giudiziario, il verbale di consegna e ad apporre agli estremi della strada dismessa, o dei tronchi di essa, appositi cartelli sui quali vengono riportati gli estremi del verbale richiamato.
preventivamente concordate tra il Ministero delle
Infrastrutture e le Regioni così come disposto dalla
Normativa vigente. Regioni che non avrebbero
potuto57 quindi delegare alle Province o ai Comuni (o
ai soggetti previsti dagli Statuti degli Enti Locali) la
classificazione delle reti stradali;
- a tutto ciò si aggiunga il costo determinato da queste
operazioni di declassificazione della rete, costi che
incidono in quanto tutta la segnaletica stradale deve
essere mutata. Operazione di ridenominazione che
nulla apporta in termini di benefici diretti per la
sicurezza stradale e, come è del tutto evidente, nel
miglioramento della gestione del territorio e nel
contrasto ai fenomeni di rischio idrogeologico. Le
cause sono certamente molteplici ma due possono
essere annoverate:
- difficilmente i Comuni hanno al loro interno le
competenze necessarie per l’individuazione
delle problematiche che possono ingenerarsi da
una non più che corretta manutenzione dei fossi
di guardia (ricompresi nella sede stradale);
- l’attribuzione ai privati delle opere di
manutenzione non risulta efficiente e non
rispetta la Normativa vigente;
57 Ai sensi degli art. 3 e 4 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada tutte le declassificazioni avrebbero dovuto essere preventivamente concordate tra il Ministero delle Infrastrutture e le Regioni così come disposto dalla Normativa vigente: si veda invece la Legge della Regione Calabria 26/04/1995, n.32 Norme in materia di classificazione strade non statali. (BUR n. 50 del 3 maggio 1995 che così recita: Art. 1 Strade comunali 1.) Le funzioni amministrative in materia di classificazione delle strade comunali sono esercitate dall'Amministrazione Comunale competente per territorio, che provvede previo parere dell'Ufficio tecnico comunale o dell'ufficio del Genio Civile. 2.) La classificazione può essere proposta dall'Amministrazione comunale, dai soggetti espressamente previsti dallo Statuto comunale, dall'Amministrazione provinciale e dalla Regione. [omissis] Art. 2 Strade provinciali 1.) Le funzioni amministrative in materia di classificazione fra le provinciali di strade o tronchi di esse sono delegate all'Amministrazione provinciale competente per territorio, che provvede previo parere dell'Ufficio Tecnico Provinciale o del Comitato Tecnico regionale amministrativo. 2. L'iniziativa può essere assunta da uno o più Comuni, dall'Amministrazione provinciale o dalla Regione.
www.consiglioregionale.calabria.it/upload/testicoordinati/LEGGE%20REGIONALE%2032-1995.doc
37
- la sussidiarietà verticale58 messa in atto mostra tutti i
suoi limiti 59 ed ai sensi dell’art. 117 della
Costituzione è opportuno che lo Stato riaccentri tutte
le funzioni che hanno conseguenze dirette per
quanto attiene la tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali.
58 L’art. 118, della Costituzione, disciplina la sussidiarietà verticale, stabilendo come le funzioni amministrative possano essere attribuite ai Comuni, salvo qualora le stesse, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite alle Province, alle aree metropolitane, alle Regioni e allo Stato, e.
59 Sebbene l’art. 118 della Costituzione individui nelle Amministrazioni Comunali gli organismi territoriali più vicini ai cittadini e in grado di rappresentare meglio le necessità della collettività, è del tutto evidente come per quanto attiene la gestione del patrimonio stradale e ambientale questa gestione non sia stata ottimale
Dati anno 2011
Dati PROVINCE
anno 2011
Popolazione
residente (n.
abitanti)
Superficie
della
provincia
(kmq)
Lunghezza totale
delle strade
provinciali (km)
di cui: in territorio
montano (km) (2)
Percentuale estesa
stradale in territorio
montano
ALESSANDRIA 440.613 3.560 2130 722 33,90%
ASTI 221.151 1.511 1291 164 12,70%
CUNEO 594.641 6.903 3389 2247 66,30%
NOVARA 372.603 1.339 800 0 0,00%
TORINO 2.308.000 6.829 27460 9820 35,76%
VERCELLI 179.798 2.088 983 173 17,60%
BIELLA 185.768 913 727 508 69,88%
VERBANO‐CUSIO‐OSSOLA 163.247 2.275 467 420 89,94%
AOSTA * 3.263 * * *
BERGAMO 1.098.740 2.723 1313 635 48,36%
BRESCIA 1.261.895 4.784 1720 0 0,00%
COMO 594.988 1.288 553,39 185 33,43%
CREMONA 365.115 1.772 887 0 0,00%
MANTOVA 415.442 2.339 1134 0 0,00%
MILANO 3.156.694 1.579 780 0 0,00%
PAVIA 548.307 2.965 1996 0 0,00%
SONDRIO 183.169 3.212 380 380 100,00%
VARESE 883.285 1.199 647 140 21,64%
LECCO 341.354 816 403 0 0,00%
LODI 227.516 782 435 0 0,00%
MONZA E DELLA BRIANZA 849.636 405 214 0 0,00%
BOLZANO * 7.399 * * *
TRENTO * 6.121 * * *
GENOVA 882.718 1.838 1035 0 0,00%
IMPERIA 222.648 1.156 795 600 75,47%
LA SPEZIA 223.516 882 639 0 0,00%
SAVONA 286.646 1.545 752,77 750,99 99,76%
BELLUNO 213.474 3.678 911 911 100,00%
PADOVA 937.645 2.142 1053 0 0,00%
ROVIGO 248.049 1.790 518 0 0,00%
TREVISO 888.249 2.476 1092 241 22,07%
VENEZIA 865.188 2.460 823 0 0,00%
VERONA 920.158 3.121 1557 430 27,62%
VICENZA 866.398 2.722 1260 0 0,00%
GORIZIA 142.184 466 128 0 0,00%
UDINE 541.558 4.905 1295 315 24,32%
TRIESTE 236.556 212 137 0 0,00%
PORDENONE 313.870 2.178 637 120 18,84%
BOLOGNA 1.002.874 3.703 1349 832 61,68%
FERRARA 359.994 2.631 841 0 0,00%
FORLI'‐CESENA 398.277 2.377 1073 332 30,94%
MODENA 704.960 2.688 1022 367 35,91%
PARMA 442.070 3.449 1365 0 0,00%
PIACENZA 291.302 2.589 1102 653 59,26%
RAVENNA 394.464 1.859 802 144 17,96%
REGGIO NELL'EMILIA 530.343 2.292 959 390 40,67%
RIMINI 329.244 863 480 0 0,00%
AREZZO 350.552 3.235 1332 279 20,95%
FIRENZE 998.098 3.514 1450 242 16,69%
GROSSETO 228.157 4.504 1831 218 11,91%
LIVORNO 343.209 1.210 542 0 0,00%
LUCCA 394.548 1.773 546,44 450 82,35%
MASSA 203.895 1.157 665 542 81,50%
PISA 417.782 2.444 1053 0 0,00%
PISTOIA 293.400 964 472 216,72 45,92%
SIENA 272.638 3.821 1524 328 21,52%
PRATO 248.004 365 77,55 40 51,58%
PERUGIA 671.821 6.334 1973 1571 79,62%
TERNI 234.665 2.122 888 0 0,00%
ANCONA 481.028 1.940 954 0 0,00%
ASCOLI PICENO 214.068 1.228 1847 0 0,00%
MACERATA 325.896 2.774 1462 309 21,14%
PESARO E URBINO 367.898 2.564 1419 695 48,98%
* N.B. Le Province di Aosta, di Bolzano e di Trento non soo tenute alla presentazione dei Certificati Consuntivi.
Fonte: Ministero dell'Interno
Dati anno 2011
Dati PROVINCE
anno 2011
Popolazione
residente (n.
abitanti)
Superficie
della
provincia
(kmq)
Lunghezza totale
delle strade
provinciali (km)
di cui: in territorio
montano (km) (2)
Percentuale estesa
stradale in territorio
montano
FERMO 177.914 859 852 200 23,47%
FROSINONE 498.167 3.239 2086 506 24,26%
LATINA 555.692 2.250 1109 114 10,28%
RIETI 160.605 2.749 1446 1058 73,17%
ROMA 4.225.244 5.351 2262 583 25,77%
VITERBO 320.294 3.621 1292 164 12,69%
CHIETI 396.852 2.588 1455 515 35,40%
L'AQUILA 310.014 5.034 1815 1452 80,00%
PESCARA 319.209 1.234 800 0 0,00%
TERAMO 312.239 1.947 1630 0 0,00%
CAMPOBASSO 230.657 2.911 1550 891 57,48%
ISERNIA 88.694 1.529 863 558 64,66%
AVELLINO 438.673 2.792 1560 1530 98,08%
BENEVENTO 288.283 2.070 1253 646 51,56%
CASERTA 920.433 2.639 1482 229 15,45%
NAPOLI 3.074.375 1.171 1417 754 53,21%
SALERNO 1.109.705 4.923 2544 1400 55,03%
BARI 1.259.641 3.825 1682 0 0,00%
BRINDISI 403.229 1.839 917 0 0,00%
FOGGIA 639.028 6.965 2726 722 26,49%
LECCE 815.597 2.759 2232 0 0,00%
TARANTO 579.556 2.430 1400 0 0,00%
BARLETTA‐ANDRIA‐TRANI 392.863 1.543 584 273 46,75%
MATERA 203.726 3.446 1412 346 24,50%
POTENZA 382.531 6.545 2548 663 26,02%
CATANZARO 368.597 2.391 1704 675 39,61%
COSENZA 734.656 6.649 3000 2000 66,67%
REGGIO CALABRIA 566.731 3.183 1252 253 20,21%
CROTONE 174.605 1.716 814 68 8,35%
VIBO VALENTIA 163.409 1.139 724 292 40,33%
AGRIGENTO 454.593 3.041 1230 0 0,00%
CALTANISSETTA 270.890 2.124 1146 0 0,00%
CATANIA 1.090.101 3.553 2134 0 0,00%
ENNA 173.497 2.562 1054 103 9,77%
MESSINA 652.605 3.247 2860 1197 41,85%
PALERMO 1.249.567 4.992 2182 674 30,89%
RAGUSA 318.549 1.614 615 0 0,00%
SIRACUSA 402.840 2.109 1072 0 0,00%
TRAPANI 436.206 2.460 1296 328 25,31%
CAGLIARI 563.748 4.596 753 0 0,00%
NUORO 160.677 3.934 942 0 0,00%
SASSARI 337.044 4.281 1571,31 0 0,00%
ORISTANO 166.244 3.040 1000 0 0,00%
CARBONIA‐IGLESIAS 131.074 1.495 368 0 0,00%
MEDIO CAMPIDANO 102.409 1.516 300 0 0,00%
OGLIASTRA 57.965 1.854 230 0 0,00%
OLBIA‐TEMPIO 157.859 3.397 754 0 0,00%
Totale ITALIA 59.517.093 301.188 153289,46 44564,71 29,07%
* N.B. Le Province di Aosta, di Bolzano e di Trento non soo tenute alla presentazione dei Certificati Consuntivi.
Fonte: Ministero dell'Interno
Dati anno 2011
Dati PROVINCE
anno 2012
Popolazione
residente (n.
abitanti)
Superficie
della
provincia
(kmq)
Lunghezza totale
delle strade
provinciali (km)
di cui: in territorio
montano (km) (2)
Percentuale estesa
stradale in territorio
montano
ALESSANDRIA 440.943 3.560 2130 722 33,90%
ASTI 221.687 1.511 1291,07 164,38 12,73%
CUNEO 589.102 6.903 3379 2247 66,50%
NOVARA 366.246 1.339 781 0 0,00%
TORINO 2.255.000 6.829 27460 9820 35,76%
VERCELLI 176.576 2.088 983 173 17,60%
BIELLA 181.868 913 735 508,2 69,14%
VERBANO‐CUSIO‐OSSOLA 160.264 2.275 592 420 70,95%
AOSTA * 3.263 * * *
BERGAMO 1.094.062 2.723 1373 565 41,15%
BRESCIA 1.241.698 4.784 1581 0 0,00%
COMO 586.795 1.288 554 250 45,13%
CREMONA 357.623 1.772 887 0 0,00%
MANTOVA 417.469 2.339 1134 0 0,00%
MILANO 3.035.443 1.579 795 0 0,00%
PAVIA 548.307 2.965 1992 0 0,00%
SONDRIO 180.814 3.212 375 375 100,00%
VARESE 887.728 1.199 633 140 22,12%
LECCO 341.998 816 403 0 0,00%
LODI 229.170 782 429,79 0 0,00%
MONZA E DELLA BRIANZA 849.636 405 209 0 0,00%
BOLZANO * 7.399 * * *
TRENTO * 6.121 * * *
GENOVA 853.939 1.838 1035 0 0,00%
IMPERIA 214.290 1.156 795 600 75,47%
LA SPEZIA 218.702 882 639 0 0,00%
SAVONA 280.625 1.545 752,77 750,99 99,76%
BELLUNO 209.720 3.678 395 365 92,41%
PADOVA 922.867 2.142 1053 0 0,00%
ROVIGO 242.543 1.790 517,67 0 0,00%
TREVISO 876.790 2.476 1184 242 20,44%
VENEZIA 866.220 2.460 973 0 0,00%
VERONA 899.817 3.121 1557 430 27,62%
VICENZA 865.421 2.722 1260 0 0,00%
GORIZIA 140.026 466 128 0 0,00%
UDINE 540.756 4.905 1321,4 314,74 23,82%
TRIESTE 231.609 212 137,48 0 0,00%
PORDENONE 315.323 2.178 640 120 18,75%
BOLOGNA 1.000.896 3.703 1349 832 61,68%
FERRARA 352.723 2.631 838 0 0,00%
FORLI'‐CESENA 398.162 2.377 1073 332 30,94%
MODENA 706.414 2.688 1022 367 35,91%
PARMA 445.283 3.449 1355 730,55 53,92%
PIACENZA 291.309 2.589 1112 653 58,72%
RAVENNA 386.111 1.859 802 144 17,96%
REGGIO NELL'EMILIA 533.996 2.292 960 390 40,63%
RIMINI 329.244 863 480 0 0,00%
AREZZO 351.066 3.235 1338 281 21,00%
FIRENZE 973.145 3.514 1450 242 16,69%
GROSSETO 220.564 4.504 1831 218 11,91%
LIVORNO 335.631 1.210 458 0 0,00%
LUCCA 387.602 1.773 530 343 64,72%
MASSA 203.895 1.157 665 542 81,50%
PISA 411.190 2.444 1053 0 0,00%
PISTOIA 287.459 964 472 216,72 45,92%
SIENA 266.522 3.821 1524 328 21,52%
PRATO 249.775 365 77,55 40 51,58%
PERUGIA 655.844 6.334 1961 1559 79,50%
TERNI 228.209 2.122 888 0 0,00%
ANCONA 481.028 1.940 954 0 0,00%
ASCOLI PICENO 210.711 1.228 1847 0 0,00%
MACERATA 319.375 2.774 1462 309 21,14%
PESARO E URBINO 363.388 2.564 1419 695 48,98%
* N.B. Le Province di Aosta, di Bolzano e di Trento non soo tenute alla presentazione dei Certificati Consuntivi.
Fonte: Ministero dell'Interno
Dati anno 2011
Dati PROVINCE
anno 2012
Popolazione
residente (n.
abitanti)
Superficie
della
provincia
(kmq)
Lunghezza totale
delle strade
provinciali (km)
di cui: in territorio
montano (km) (2)
Percentuale estesa
stradale in territorio
montano
FERMO 177.914 859 852 200 23,47%
FROSINONE 492.302 3.239 2086 506 24,26%
LATINA 555.692 2.250 1109 114 10,28%
RIETI 156.521 2.749 1446 1058 73,17%
ROMA 4.032.990 5.351 2262 583 25,77%
VITERBO 320.294 3.621 1292 164 12,69%
CHIETI 396.852 2.588 1455 515 35,40%
L'AQUILA 298.343 5.034 1815 1452 80,00%
PESCARA 321.000 1.234 800 0 0,00%
TERAMO 306.177 1.947 1630 0 0,00%
CAMPOBASSO ‐ 2.911 1550 891 57,48%
ISERNIA 86.989 1.529 863 558 64,66%
AVELLINO 438.673 2.792 1560 1530 98,08%
BENEVENTO 287.874 2.070 1253 646 51,56%
CASERTA 908.784 2.639 1482 229 15,45%
NAPOLI 3.080.873 1.171 1417 754 53,21%
SALERNO 1.092.876 4.923 2544 1400 55,03%
BARI 1.246.247 3.825 1682 0 0,00%
BRINDISI 403.229 1.839 917 0 0,00%
FOGGIA 625.697 6.965 2592 0 0,00%
LECCE 803.554 2.759 2232 0 0,00%
TARANTO 584.229 2.430 1400 0 0,00%
BARLETTA‐ANDRIA‐TRANI 391.723 1.543 575 0 0,00%
MATERA 200.050 3.446 1377 344 24,98%
POTENZA 393.529 6.545 2548 663 26,02%
CATANZARO 368.597 2.391 1704 675 39,61%
COSENZA 734.656 6.649 3000 2000 66,67%
REGGIO CALABRIA 550.832 3.183 1252 253 20,21%
CROTONE 170.718 1.716 818 277 33,86%
VIBO VALENTIA 163.409 1.139 950 292 30,74%
AGRIGENTO 448.053 3.041 1236,5 0 0,00%
CALTANISSETTA 269.706 2.124 1146 0 0,00%
CATANIA 1.090.101 3.553 2134 0 0,00%
ENNA 172.632 2.562 1054 103 9,77%
MESSINA 649.320 3.247 2860 1197 41,85%
PALERMO 1.249.577 4.992 2182 674 30,89%
RAGUSA 318.549 1.614 615 0 0,00%
SIRACUSA 402.840 2.109 1072 0 0,00%
TRAPANI 430.478 2.460 1296 328 25,31%
CAGLIARI 549.893 4.596 793 0 0,00%
NUORO 159.103 3.934 1237 0 0,00%
SASSARI 327.459 4.281 1640,6 0 0,00%
ORISTANO 163.678 3.040 1000 0 0,00%
CARBONIA‐IGLESIAS 129.840 1.495 368 0 0,00%
MEDIO CAMPIDANO 100.654 1.516 300 0 0,00%
OGLIASTRA 57.965 1.854 230 0 0,00%
OLBIA‐TEMPIO 159.301 3.397 754 0 0,00%
Totale ITALIA 58.500.392 301.188 153406,83 43835,58 28,57%
* N.B. Le Province di Aosta, di Bolzano e di Trento non soo tenute alla presentazione dei Certificati Consuntivi.
Fonte: Ministero dell'Interno
Differenze 2012‐2011
PROVINCE ‐ Saldo periodo
2012 ‐ 2011
Popolazione residente
(n. abitanti) Saldo
periodo 2012 ‐ 2011
Superficie
della
provincia
(kmq)
Modificazione estesa
Strade provinciali
(km) nel periodo
2012 ‐ 2011
Estesa stradale in
territorio montano
(km) (2)
Percentuale estesa
stradale in territorio
montano
ALESSANDRIA 330 3.560 0 0,00 33,90%
ASTI 536 1.511 0 0,38 12,73%
CUNEO ‐5.539 6.903 ‐10 0,00 66,50%
NOVARA ‐6.357 1.339 ‐19 0,00 0,00%
TORINO ‐53.000 6.829 0 0,00 35,76%
VERCELLI ‐3.222 2.088 0 0,00 17,60%
BIELLA ‐3.900 913 8 0,20 69,14%
VERBANO‐CUSIO‐OSSOLA ‐2.983 2.275 125 0,00 70,95%
AOSTA * 3.263 * * *
BERGAMO ‐4.678 2.723 60 ‐70,00 41,15%
BRESCIA ‐20.197 4.784 ‐139 0,00 0,00%
COMO ‐8.193 1.288 1 65,00 45,13%
CREMONA ‐7.492 1.772 0 0,00 0,00%
MANTOVA 2.027 2.339 0 0,00 0,00%
MILANO ‐121.251 1.579 15 0,00 0,00%
PAVIA 0 2.965 ‐4 0,00 0,00%
SONDRIO ‐2.355 3.212 ‐5 ‐5,00 100,00%
VARESE 4.443 1.199 ‐14 0,00 22,12%
LECCO 644 816 0 0,00 0,00%
LODI 1.654 782 ‐5 0,00 0,00%
MONZA E DELLA BRIANZA 0 405 ‐5 0,00 0,00%
BOLZANO * 7.399 * * *
TRENTO * 6.121 * * *
GENOVA ‐28.779 1.838 0 0,00 0,00%
IMPERIA ‐8.358 1.156 0 0,00 75,47%
LA SPEZIA ‐4.814 882 0 0,00 0,00%
SAVONA ‐6.021 1.545 0 0,00 99,76%
BELLUNO ‐3.754 3.678 ‐516 ‐546,00 92,41%
PADOVA ‐14.778 2.142 0 0,00 0,00%
ROVIGO ‐5.506 1.790 ‐0 0,00 0,00%
TREVISO ‐11.459 2.476 92 1,00 20,44%
VENEZIA 1.032 2.460 150 0,00 0,00%
VERONA ‐20.341 3.121 0 0,00 27,62%
VICENZA ‐977 2.722 0 0,00 0,00%
GORIZIA ‐2.158 466 0 0,00 0,00%
UDINE ‐802 4.905 26 ‐0,26 23,82%
TRIESTE ‐4.947 212 0 0,00 0,00%
PORDENONE 1.453 2.178 3 0,00 18,75%
BOLOGNA ‐1.978 3.703 0 0,00 61,68%
FERRARA ‐7.271 2.631 ‐3 0,00 0,00%
FORLI'‐CESENA ‐115 2.377 0 0,00 30,94%
MODENA 1.454 2.688 0 0,00 35,91%
PARMA 3.213 3.449 ‐10 730,55 53,92%
PIACENZA 7 2.589 10 0,00 58,72%
RAVENNA ‐8.353 1.859 0 0,00 17,96%
REGGIO NELL'EMILIA 3.653 2.292 1 0,00 40,63%
RIMINI 0 863 0 0,00 0,00%
AREZZO 514 3.235 6 2,00 21,00%
FIRENZE ‐24.953 3.514 0 0,00 16,69%
GROSSETO ‐7.593 4.504 0 0,00 11,91%
LIVORNO ‐7.578 1.210 ‐84 0,00 0,00%
LUCCA ‐6.946 1.773 ‐16 ‐107,00 64,72%
MASSA 0 1.157 0 0,00 81,50%
PISA ‐6.592 2.444 0 0,00 0,00%
PISTOIA ‐5.941 964 0 0,00 45,92%
SIENA ‐6.116 3.821 0 0,00 21,52%
PRATO 1.771 365 0 0,00 51,58%
PERUGIA ‐15.977 6.334 ‐12 ‐12,00 79,50%
TERNI ‐6.456 2.122 0 0,00 0,00%
ANCONA 0 1.940 0 0,00 0,00%
ASCOLI PICENO ‐3.357 1.228 0 0,00 0,00%
MACERATA ‐6.521 2.774 0 0,00 21,14%
PESARO E URBINO ‐4.510 2.564 0 0,00 48,98%
* N.B. Le Province di Aosta, di Bolzano e di Trento non sono tenute alla presentazione dei Certificati Consuntivi.
Fonte: Ministero dell'Interno
Differenze 2012‐2011
PROVINCE ‐ Saldo periodo
2012 ‐ 2011
Popolazione residente
(n. abitanti) Saldo
periodo 2012 ‐ 2011
Superficie
della
provincia
(kmq)
Modificazione estesa
Strade provinciali
(km) nel periodo
2012 ‐ 2011
di cui: in territorio
montano (km) (2)
Percentuale estesa
stradale in territorio
montano
FERMO 0 859 0 0,00 23,47%
FROSINONE ‐5.865 3.239 0 0,00 24,26%
LATINA 0 2.250 0 0,00 10,28%
RIETI ‐4.084 2.749 0 0,00 73,17%
ROMA ‐192.254 5.351 0 0,00 25,77%
VITERBO 0 3.621 0 0,00 12,69%
CHIETI 0 2.588 0 0,00 35,40%
L'AQUILA ‐11.671 5.034 0 0,00 80,00%
PESCARA 1.791 1.234 0 0,00 0,00%
TERAMO ‐6.062 1.947 0 0,00 0,00%
CAMPOBASSO ‐230.657 2.911 0 0,00 57,48%
ISERNIA ‐1.705 1.529 0 0,00 64,66%
AVELLINO 0 2.792 0 0,00 98,08%
BENEVENTO ‐409 2.070 0 0,00 51,56%
CASERTA ‐11.649 2.639 0 0,00 15,45%
NAPOLI 6.498 1.171 0 0,00 53,21%
SALERNO ‐16.829 4.923 0 0,00 55,03%
BARI ‐13.394 3.825 0 0,00 0,00%
BRINDISI 0 1.839 0 0,00 0,00%
FOGGIA ‐13.331 6.965 ‐134 ‐722,00 0,00%
LECCE ‐12.043 2.759 0 0,00 0,00%
TARANTO 4.673 2.430 0 0,00 0,00%
BARLETTA‐ANDRIA‐TRANI ‐1.140 1.543 ‐9 ‐273,00 0,00%
MATERA ‐3.676 3.446 ‐35 ‐2,00 24,98%
POTENZA 10.998 6.545 0 0,00 26,02%
CATANZARO 0 2.391 0 0,00 39,61%
COSENZA 0 6.649 0 0,00 66,67%
REGGIO CALABRIA ‐15.899 3.183 0 0,00 20,21%
CROTONE ‐3.887 1.716 4 209,00 33,86%
VIBO VALENTIA 0 1.139 226 0,00 30,74%
AGRIGENTO ‐6.540 3.041 7 0,00 0,00%
CALTANISSETTA ‐1.184 2.124 0 0,00 0,00%
CATANIA 0 3.553 0 0,00 0,00%
ENNA ‐865 2.562 0 0,00 9,77%
MESSINA ‐3.285 3.247 0 0,00 41,85%
PALERMO 10 4.992 0 0,00 30,89%
RAGUSA 0 1.614 0 0,00 0,00%
SIRACUSA 0 2.109 0 0,00 0,00%
TRAPANI ‐5.728 2.460 0 0,00 25,31%
CAGLIARI ‐13.855 4.596 40 0,00 0,00%
NUORO ‐1.574 3.934 295 0,00 0,00%
SASSARI ‐9.585 4.281 69 0,00 0,00%
ORISTANO ‐2.566 3.040 0 0,00 0,00%
CARBONIA‐IGLESIAS ‐1.234 1.495 0 0,00 0,00%
MEDIO CAMPIDANO ‐1.755 1.516 0 0,00 0,00%
OGLIASTRA 0 1.854 0 0,00 0,00%
OLBIA‐TEMPIO 1.442 3.397 0 0,00 0,00%
Totale ITALIA ‐1.016.701 301.188 117 ‐729,13 28,57%
* N.B. Le Province di Aosta, di Bolzano e di Trento non sono tenute alla presentazione dei Certificati Consuntivi.
Fonte: Ministero dell'Interno
Saldo periodo 2012‐2007
PROVINCE ‐ Saldo periodo
2012 ‐ 2007
Superficie
della
provincia
(kmq)
Modificazione estesa
Strade provinciali
(km) nel periodo
2012 ‐ 2007
ALESSANDRIA 3.560 14
ASTI 1.511 0
CUNEO 6.903 ‐48
NOVARA 1.339 ‐19
TORINO 6.829 24.714
VERCELLI 2.088 0
BIELLA 913 20
VERBANO‐CUSIO‐OSSOLA 2.275 125
AOSTA 3.263 *
BERGAMO 2.723 70
BRESCIA 4.784 ‐208
COMO 1.288 4
CREMONA 1.772 ‐2
MANTOVA 2.339 4
MILANO 1.579 ‐251
PAVIA 2.965 ‐8
SONDRIO 3.212 ‐36
VARESE 1.199 ‐6
LECCO 816 0
LODI 782 ‐5
MONZA E DELLA BRIANZA 405 n.d.
BOLZANO 7.399 *
TRENTO 6.121 *
GENOVA 1.838 ‐444
IMPERIA 1.156 ‐30
LA SPEZIA 882 ‐83
SAVONA 1.545 ‐92
BELLUNO 3.678 0
PADOVA 2.142 ‐108
ROVIGO 1.790 2
TREVISO 2.476 ‐12
VENEZIA 2.460 134
VERONA 3.121 170
VICENZA 2.722 0
GORIZIA 466 0
UDINE 4.905 31
TRIESTE 212 1
PORDENONE 2.178 ‐1
BOLOGNA 3.703 0
FERRARA 2.631 ‐16
FORLI'‐CESENA 2.377 n.d.
MODENA 2.688 9
PARMA 3.449 ‐10
PIACENZA 2.589 10
RAVENNA 1.859 0
REGGIO NELL'EMILIA 2.292 ‐80
RIMINI 863 180
AREZZO 3.235 124
FIRENZE 3.514 0
GROSSETO 4.504 ‐439
LIVORNO 1.210 ‐83
LUCCA 1.773 ‐120
MASSA 1.157 n.d.
PISA 2.444 ‐7
PISTOIA 964 10
SIENA 3.821 0
PRATO 365 ‐2
PERUGIA 6.334 ‐669
TERNI 2.122 ‐1.224
ANCONA 1.940 ‐2
ASCOLI PICENO 1.228 6
MACERATA 2.774 0
PESARO E URBINO 2.564 n.d.
* N.B. Le Province di Aosta, Bolzano e Trento non sono tenute all'inoltro dei Certificati Consuntivi.
Fonte: Ministero dell'Interno
Saldo periodo 2012‐2007
PROVINCE ‐ Saldo periodo
2012 ‐ 2007
Superficie
della
provincia
(kmq)
Modificazione estesa
Strade provinciali
(km) nel periodo
2012 ‐ 2007
SIENA 3.821 0
PRATO 365 ‐2
PERUGIA 6.334 ‐669
TERNI 2.122 ‐1.224
ANCONA 1.940 ‐2
ASCOLI PICENO 1.228 6
MACERATA 2.774 0
PESARO E URBINO 2.564 n.d.
FERMO 859 n.d.
FROSINONE 3.239 0
LATINA 2.250 0
RIETI 2.749 0
ROMA 5.351 0
VITERBO 3.621 0
CHIETI 2.588 0
L'AQUILA 5.034 0
PESCARA 1.234 0
TERAMO 1.947 ‐186
CAMPOBASSO 2.911 46
ISERNIA 1.529 7
AVELLINO 2.792 ‐368
BENEVENTO 2.070 48
CASERTA 2.639 ‐64
NAPOLI 1.171 783
SALERNO 4.923 2.290
BARI 3.825 ‐491
BRINDISI 1.839 0
FOGGIA 6.965 ‐242
LECCE 2.759 0
TARANTO 2.430 0
BARLETTA‐ANDRIA‐TRANI 1.543 n.d.
MATERA 3.446 ‐47
POTENZA 6.545 0
CATANZARO 2.391 0
COSENZA 6.649 0
REGGIO CALABRIA 3.183 ‐537
CROTONE 1.716 254
VIBO VALENTIA 1.139 226
AGRIGENTO 3.041 ‐33
CALTANISSETTA 2.124 10
CATANIA 3.553 624
ENNA 2.562 ‐2.490
MESSINA 3.247 0
PALERMO 4.992 0
RAGUSA 1.614 0
SIRACUSA 2.109 0
TRAPANI 2.460 ‐33
CAGLIARI 4.596 40
NUORO 3.934 355
SASSARI 4.281 121
ORISTANO 3.040 n.d.
CARBONIA‐IGLESIAS 1.495 n.d.
MEDIO CAMPIDANO 1.516 n.d.
OGLIASTRA 1.854 n.d.
OLBIA‐TEMPIO 3.397 n.d.
Totale ITALIA 301.188 29.381
Fonte: Ministero dell'Interno
45
Bibliografia
A.Cataldo, A. Di Graziano, P.Villlani in AA.VV, Sviluppo e gestione della viabilità extraurbana minore e rurale in Italia: situazione attuale, criticità e prospettive AIPCR, Roma, novembre 2010 E.K. Danielli, M.G. Pittalis, Il dissesto finanziario degli Enti Locali alla luce del nuovo assetto normativo, Ministero dell’Interno, aprile 2010 Ministero dell’Interno, Relazione generale sullo stato economico del Paese. I Bilanci delle Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane, 2010 http://finanzalocale.interno.it/docum/studi/isae2010/relazione2010.pdf Giancarlo Verde Lo squilibrio finanziario degli enti locali, Ministero dell’Interno, Marzo 2013
Riferimenti e siti Web
Camera dei Deputati, Elementi ed iniziative in ordine alla realizzazione del progetto della variante della Tremezzina lungo la strada statale n. 340 in provincia di Como – n. 2-00525, 5 giugno 2014 http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=18053&stile=7
Parere della Direzione Generale Infrastrutture Stradali – Ministero Infrastrutture (Prot. 0001080 – 01/03/2013) Provincia di Lecco, Piano di emergenza e procedure di gestione della mobilità Sponda Orientale del Lario, novembre 2012 http://www.provincia.lecco.it/wp-content/uploads/2012/10/PIANO-SS36_novembre-2012.pdf
Catasto Strade Comune di Bergamo http://territorio.comune.bergamo.it/gfmaplet/?token=NULLNULLNULLNULL&htmlstyle=combg&map=CatStrade
Catasto strade Comune di La Spezia http://sit.spezianet.it/gisclient/template/spezianet/?mapset=catasto_strade&
Sentieri nel Comune di La Spezia http://sit.spezianet.it/gisclient/template/spezianet/?mapset=sentieri&
Catasto Strade Provincia di La Spezia http://siti.provincia.sp.it/repertorio/repertorio-cartografico-di-base/view
Catasto strade Provincia di Bologna http://cst.provincia.bologna.it/website/stradeprov/viewer.htm
Classificazione funzionale e qualificazione della rete viaria, Regione Lombardia, D.G.R. VII/19709 del 3 dicembre 2004 – Allegato “A” http://www.regione.lombardia.it/shared/ccurl/894/443/BURL%20classificazione%20funzionale%20strade.pdf
Classificazione strade Provincia di Ancona http://www.provincia.ancona.it/viabilita/Engine/RAServePG.php/P/250710100303/T/Catasto-stradale-provinciale
Classificazione srade Provincia di Varese http://www.provincia.va.it/ProxyVFS.axd/null/r13032/Elenco-Rete-Viaria-Provinciale-aggiornata-2014-pdf?ext=.pdf
PCN Trasporti (solo Infrastrutture Ferroviarie) http://www.pcn.minambiente.it/geoportal/catalog/search/resource/details.page?uuid=%7B222EACCB-2479-4E20-9357-091F59DDAB8A%7D
PCN (strade provinciali)
http://www.pcn.minambiente.it/geoportal/catalog/main/home.page
Popolazione Residente al 31/12/2013 - Demo Istat http://demo.istat.it/bil2013/
Provincia di Asti – Rilievi di Traffico http://www.provincia.asti.gov.it/archivio-delle-iniziative/cat_view/938-rilevamento-del-traffico
Regolamento per la gestione delle strade vicinali soggette a pubblico transito, Comune di Civitavecchia 23 marzo 2011 http://www.comune.civitavecchia.rm.it/portaldata/UserFiles/File/regolamento/Regolamento%20per%20la%20gestione%20delle%20strade%20vicinali%20soggette%20a%20transito%20pubblico.pdf
.. - + * + -.
45
IL CENSIMENTO DELLE STRADE APPARTENENTI ALLA RETE
EXTRAURBANA: ASPETTI METODOLOGICI E NORMATIVI
Antonio Cataldo*, Alessandro Di Graziano**, Paola Villani*** * Direzione Generale - Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale ISPRA
** DICAR – Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura, Università di Catania
***DICA – Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, Politecnico di Milano
1. Metodologia
Per poter effettuare un censimento, nella duplice
accezione di censimento geometrico, ovvero relativo
all’estensione fisica, e di censimento funzionale, relativo
alla natura e al motivo degli spostamenti, risulta
opportuno definire un set di parametri volti alla corretta e
puntuale delimitazione del campo di interesse che in
questo specifico caso riguarda la rete delle strade locali
extraurbane e l’accessibilità alla viabilità principale.
Seguendo l’interpretazione assunta1 un censimento della
rete stradale dovrebbe necessariamente essere
sviluppato attraverso una classificazione che, per il
settore extraurbano, includendo i dati di traffico, punti al
miglioramento della sicurezza stradale. La mancata
classificazione della rete comporta da un lato la quasi
impossibile realizzazione dei Piani del Traffico della
Viabilità Extraurbana (PTVE) e dall’altro determina la
quasi impossibile definizione delle priorità in termini di
manutenzione e ottimizzazione delle infrastrutture
esistenti. A questi si aggiungono altri due aspetti: le
Amministrazioni sono chiamate a perseguire
l’innalzamento dei livelli di sicurezza stradale e dall’altro
lato devono assicurare la totale accessibilità dei territori, il
tutto in un contesto di totale contenimento della spesa.
La questione dell’accessibilità riveste poi un ruolo
importante: è bene far riferimento ai casi, purtroppo ormai
piuttosto frequenti, di mancato utilizzo della rete
secondaria qualora eventi estremi ne determinino
l’impossibile percorrenza (per allagamenti, frane,
1 A. Pratelli, M. Rossi, G. Caroti, Elementi fondamentali
per redigere un piano del traffico per la viabilità extraurbana, Capitolo 4 di questo stesso Quaderno AIPCR, Roma, 2014
cedimento delle infrastrutture, crollo di ponti2 o dissesti
vari) o – di converso – il ruolo assunto dalle rete minore
qualora, eventi che abbiano interessato la rete di livello
superiore3
possano trovare temporanea risoluzione
2 Ad esempio il crollo del ponte a Carasco (GE) in data
22/09/2013 e l’interruzione della S.P. 225 “della Fontanabuona”, il crollo del ponte di Monte Pino (Provincia di Olbia) e le opere svolte da ANAS per il ripristino della viabilità a seguito dei dissesti occorsi: a) realizzazione di un raccordo provvisorio al km 16,600 della Provinciale 45 in provincia di Nuoro, in attesa della ricostruzione del ponte crollato; b) realizzazione di rampe provvisorie di accesso alla Statale 131 per il ripristino della circolazione in provincia di Olbia-Tempio sulla Provinciale 24, dopo il crollo del Ponte di Loddone; c) la realizzazione di una bretella provvisoria al km 1,050 della Provinciale 73 "Bitti-Sologo" (provincia di Nuoro), per il traffico vicino al ponte crollato, d) la bonifica e il ripristino dei fossi di guardia, drenaggi e cunette lungo la Statale 131, in provincia di Nuoro; e) il ripristino delle scarpate col posizionamento della rete paramassi sulla Statale 129 Trasversale Sarda.
3 Ad esempio la chiusura temporanea della S.S. 36. Si
leggano le parole riportate nell’interpellanza “Elementi ed iniziative in ordine alla realizzazione del progetto della variante della Tremezzina lungo la strada statale n. 340 in provincia di Como” n. 2-00525 del 5 giugno 2014: “..l'interpellanza prende le mosse da una condizione di particolare emergenza determinata per la viabilità sul lago di Como nella fine di aprile [2014], a seguito di una frana che ha provocato l'interruzione della statale n. 36 che collega Milano-Lecco con la Valtellina. A seguito di questa interruzione il traffico pesante, tutto il traffico della statale n. 36, è stato dirottato sulla statale n. 340, che è quella che percorre la sponda occidentale del Lago di Como, provocando un blocco totale per più di una giornata della circolazione e di ogni possibilità di circolazione. Nel 2013, un anno fa, si era già verificato un evento analogo e, anche in quell'occasione, lo spostamento del traffico sulla statale n. 340 aveva determinato il blocco e la paralisi totale del traffico. Queste situazioni e queste condizioni di particolare urgenza e di paralisi completa sono solo l'epifenomeno di una condizione permanente di emergenza sulla statale n. 340 “Regina” sul lato occidentale del Lago di Como. Lì c’è
46
proprio dirottando i flussi di traffico sulla rete composta
dalle altre infrastrutture (rete secondaria e parte delle rete
urbana).
Quella della sicurezza, che potremmo definire a 360
gradi, è pertanto la finalità che deve essere perseguita
nell’affrontare tutte le questioni che devono far parte della
programmazione sia nell’ambito dai PTVE sia nei piani di
governo del territorio senza dimenticare il ruolo assolto
nei ripetuti interventi di Protezione Civile
Il sistema infrastrutturale “locale” italiano a molti appare
per certi versi squilibrato: pur con tutte le difficoltà
economiche connesse alla manutenzione e
all’adeguamento, la rete si presenta come ben
sviluppata, permette l’accessibilità anche in territori poco
insediati laddove la rete “definita” di livello superiore è
basata su assi congestionati da più funzioni, presenta
tratti obsoleti per concezione di impianto e strutture
funzionali, e risulta quindi inadeguata a sostenere i
carichi di esercizio attuale e eventuali incrementi della
mobilità dovuti allo sviluppo delle attività.
Tutti gli aspetti connessi alla gestione delle strade
dovrebbero tendere a restituire un quadro omogeneo e
ipotizzare i futuri sviluppi della rete: non si tratta soltanto
di pianificare la manutenzione o stabilire quali siano i
provvedimenti per la tutela del patrimonio stradale quanto
valutare attentamente, quali possano essere, in uno
scenario di attenta valutazione della spesa pubblica, le
possibili scelte da perseguire. Occorre partire dai dati di
sviluppo economico, dai dati di traffico (o da quelli
connessi all’inopportuno utilizzo delle infrastrutture da
parte di alcune specifiche componenti veicolari), sia per
supportare la progettazione di nuove opere, sia per una
più attenta valutazione degli interventi volti al
miglioramento della sicurezza stradale. Per queste
analisi è fondamentale il continuo scambio informativo
con le Forze dell’Ordine, anche per includere la totale
applicazione di quanto riportato nel Codice della Strada e
una condizione molto particolare: è l'unica via di collegamento per quella sponda del lago, non ci sono altre strade. Negli ultimi decenni si sono avuti ripetuti franamenti, blocchi e interruzioni. Quando si interrompe la statale n. 340 “Regina” in quella parte del centro lago non c’è più possibilità di collegamento per circa 60 chilometri di strada tra Como, Sondrio, la Valtellina e la Svizzera.”
nel Regolamento sia in termini di classificazione
funzionale e amministrativa delle strade sia per
individuare problematiche da sanare (ad esempio
l’assenza delle fasce di rispetto come segnalato nel
Parere4 del Ministero Infrastrutture 2013).
2. Fasce di rispetto
Proprio per quanto attiene le fasce di rispetto, anche nei
casi in cui gli Enti Locali abbiano proceduto con una
classificazione ai sensi del D.M. 6792/2001, non è chiaro
come mai non siano stati rispettati gli articoli del
Regolamento di attuazione del NCdS 26, 27 e 28 citati.
Infatti il D.M. 6792 così riporta
“FASCIA DI RISPETTO: striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte del proprietario del terreno, di scavi, costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili. Per la larghezza vedere gli articoli 26, 27 e 28 del DPR 495/92.”
La fascia di rispetto non rappresenta quindi, come alcune
Amministrazioni5
riportano, un’area “all'interno della
quale le indicazioni viarie degli strumenti urbanistici
possono essere modificate in sede di progettazione
esecutiva” ma un’area sulla quale esistono precisi vincoli
per la realizzazione di opere. E ridurre6 le fasce di rispetto
per le strade di nuova realizzazione non aiuta la messa in
sicurezza della rete viabilistica.
Al fine di garantire la sicurezza il Regolamento di
esecuzione e di attuazione del codice della strada
(D.P.R. 495/1992), non esplicita chi debba o possa
essere il soggetto che intende procedere con la
realizzazione delle opere, formulando un esplicito
richiamo all’obbligo di osservanza delle distanze.
4 Parere della Direzione Generale Infrastrutture Stradali –
Ministero Infrastrutture(Prot. 0001080 – 01/03/2013)
5 Provincia di Trento, DETERMINAZIONI IN ORDINE
ALLE DIMENSIONI DELLE STRADE ED ALLE DISTANZE DI RISPETTO STRADALI E DEI TRACCIATI FERROVIARI DI PROGETTO (articolo 70 della legge provinciale 5 settembre 1991, n. 22 articolo 64 della legge provinciale 4 marzo 2008, n. 1) (Testo coordinato alla DGP n. 909 di data 3 febbraio 1995 e ss.mm., di cui l’ultima, n. 2088, di data 4 ottobre 2013)
6 Ibidem, Tabelle B e C
47
In base all’art.28 comma 5 del Regol. CdS la
classificazione di una strada comporta sia
l’individuazione delle caratteristiche geometriche dell’
infrastruttura sia l’attenta analisi della fascia di rispetto
esistente. Come ben segnalato nel già citato Parere (MIT
Prot. 0001080 – 01/03/2013) anche il Ministero delle
Infrastrutture ha voluto rimarcare la cogenza Normativa
relativa alle fasce di rispetto evidenziando l’assoluta
responsabilità dell’Ente proprietario della strada qualora
proceda nella realizzazione di infrastrutture classificate in
una tipologia superiore a quella effettivamente presente
e/o realizzabile. Infatti nel Parere si sottolinea questo
aspetto “Come noto, le Norme per la classificazione
tecnico-funzionale delle strade esistenti, previste dal
comma 4 dell'art. 13 del C.d.S. non sono state ad oggi
emanate da parte di questo Ministero e pertanto si ritiene
opportuno fornire le seguenti osservazioni . Affinché una
strada esistente possa essere classificata nel tipo
corrispondente, ovvero possa essere attribuita ad essa la
funzione ad esso associata, in linea di principio, è
necessario che siano rispettati tutti i requisiti tecnici e
costruttivi previsti dall'art. 2, comma 3 del CdS. Nella
realtà la maggior parte delle strade esistenti presenta
alcune difformità geometriche o costruttive rispetto ai
requisiti richiesti per una determinata tipologia di strada,
che possono essere sia di tipo diffuso (ad es. mancanza
costante di banchina per l'intera tratta) sia di tipo puntuale
(ad es. restringimento della carreggiata, tipologia di
intersezione non ammessa, ecc.). Si ritiene che tali
difformità tecniche non debbano, di norma, costituire un
vincolo ai fini della classificazione tecnico-funzionale in
quel tipo, intendendo che non possa essere effettuata
una classificazione per brevi "tratti alternati", in funzione
della completa o solo parziale presenza di tutti i requisiti
minimi previsti dal CdS, poiché ciò costituirebbe una
contraddizione con le finalità che si prefigge la
classificazione stessa, tra le quali anche le norme di
tutela e salvaguardia dell'infrastruttura (ad esempio le
fasce di rispetto, gli accessi privati ecc.).” [..omissis..]
“Le considerazioni fin qui esposte sono riferite alla
classificazione „definitiva‟ operata7 ai sensi dell'art. 13, c.
7 CdS art. 13 comma 5. Gli enti proprietari delle strade
devono classificare la loro rete entro un anno dalla emanazione delle norme di cui al comma 4. Gli stessi enti proprietari provvedono alla declassificazione delle strade di loro competenza, quando le stesse non possiedono più le caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali di cui all'articolo 2, comma 2.
5 del CdS. Come già accennato in premessa, la
mancanza delle norme prevista dal c. 4 dell'art. 13 del
CdS, obbliga attualmente l'ente proprietario/gestore
della strada, ai sensi della disposizione del c. 8
dell'art. 2 del Regolamento del CdS, a classificare le
strade esistenti di propria competenza,
provvisoriamente e fino all'emanazione di dette
norme, ai fini della loro gestione, soltanto in base ai
requisiti minimi indicati nel più volte citato c. 3
dell'art. 2. Ciò comporta che l'ente proprietario, nel caso
in cui la strada difetti anche di un requisito soltanto, si
debba assumere la responsabilità di classificarla "in
deroga", ma comunque nel tipo corrispondente dal punto
di vista funzionale, ferma restando la necessità
dell'adozione delle adeguate norme di gestione e di
comportamento nei tratti non pienamente rispondenti a
tutti i requisiti o di declassificarla nel tipo inferiore, qualora
ne ravvisi la necessità, nella consapevolezza delle
conseguenze in termini di riduzione della tutela della
strada, talvolta irreversibili .”
Quindi per il Ministero l’unica classificazione possibile è
quella riportata al comma 3 dell’art. 2 del CdS8.
8 CdS Art. 2 comma 3. Le strade di cui al comma 2
devono avere le seguenti caratteristiche minime:
A - Autostrada: strada extraurbana o urbana a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia, eventuale banchina pavimentata a sinistra e corsia di emergenza o banchina pavimentata a destra, priva di intersezioni a raso e di accessi privati, dotata di recinzione e di sistemi di assistenza all'utente lungo l'intero tracciato, riservata alla circolazione di talune categorie di veicoli a motore e contraddistinta da appositi segnali di inizio e fine. Deve essere attrezzata con apposite aree di servizio ed aree di parcheggio, entrambe con accessi dotati di corsie di decelerazione e di accelerazione.
B - Strada extraurbana principale: strada a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia e banchina pavimentata a destra, priva di intersezioni a raso, con accessi alle proprietà laterali coordinati, contraddistinta dagli appositi segnali di inizio e fine, riservata alla circolazione di talune categorie di veicoli a motore; per eventuali altre categorie di utenti devono essere previsti opportuni spazi. Deve essere attrezzata con apposite aree di servizio, che comprendano spazi per la sosta, con accessi dotati di corsie di decelerazione e di accelerazione.
C - Strada extraurbana secondaria: strada ad unica carreggiata con almeno una corsia per senso di marcia e banchine.
48
Ed il Ministero così prosegue [..omissis..] “Inoltre poiché
il quesito di codesto Ufficio è finalizzato ad un chiarimento
sulla classificazione ma indirettamente all'applicazione
delle disposizioni sulle fasce di rispetto si ritiene utile
rappresentare anche le seguenti considerazioni in merito.
Le norme che disciplinano le fasce di rispetto sono
contenute negli articoli 16, 17 e 18 del Codice della
Strada e negli articoli 26, 27 e 28 del Regolamento di
attuazione; in base alla disposizione transitoria contenuta
nel comma 5 dell'art. 234 del Codice, tali norme però non
sono mai state pienamente attuate. Infatti, la norma
transitoria dell'art. 234, comma 5, del Codice della Strada
prevede che "le norme di cui agli articoli 16, 17 e 18 si
applichino successivamente alla delimitazione dei centri
abitati prevista dall'art. 4 ed alla classificazione delle
strade prevista dall'articolo 2, comma 2. Fino
all'attuazione di tali adempimenti si applicano le
previgenti disposizioni in materia. Poiché, come detto
sopra, le norme per la classificazione tecnico funzionale
delle strade non sono mai state emanate, ne discende
che la materia delle fasce di rispetto stradali è ancora
disciplinata dalle norme previgenti il Codice della Strada.
Tali norme previgenti sono, o erano:
- L. n. 729/61 [[ndr: la Legge 729/61 è stata abrogata9 dal
D.L. n. 112/2008 ma gli art.19, 21 e 22 erano già stati
D - Strada urbana di scorrimento: strada a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia, ed una eventuale corsia riservata ai mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e marciapiedi, con le eventuali intersezioni a raso semaforizzate; per la sosta sono previste apposite aree o fasce laterali esterne alla carreggiata, entrambe con immissioni ed uscite concentrate.
E - Strada urbana di quartiere: strada ad unica
carreggiata con almeno due corsie, banchine pavimentate e marciapiedi; per la sosta sono previste aree attrezzate con apposita corsia di manovra, esterna alla carreggiata.
F - Strada locale: strada urbana od extraurbana opportunamente sistemata ai fini di cui al comma 1 non facente parte degli altri tipi di strade.
F-bis - Itinerario ciclopedonale: strada locale, urbana, extraurbana o vicinale, destinata prevalentemente alla percorrenza pedonale e ciclabile e caratterizzata da una sicurezza intrinseca a tutela dell'utenza debole della strada.
9 Il DECRETO-LEGGE 25 giugno 2008, n. 112 (in SO
n.152, relativo alla G.U. 25/06/2008, n.147) , convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133 (in S.O.
abrogati dall‟art. 2 della LEGGE 28 marzo 1968, n. 385
“Modifiche ed integrazioni alla legge 24 luglio 1961, n.
729”, concernente il piano di nuove costruzioni stradali e
autostradali. (GU Serie Generale n.96 del 13-4-1968)]]
''Piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali", con
particolare riguardo all'art. 9, che disciplina le distanze da
rispettare per le nuove costruzioni in prossimità delle
autostrade sia all'interno sia all'esterno dei centri abitati.
- L. n. 765/67 "Modifiche ed integrazioni alla legge
urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150", che prevede10
l'emanazione di un decreto ministeriale che stabilisca le
distanze minime, a protezione del nastro stradale, per
tutte le tipologie stradali all‟esterno dei centri abitati e
l‟applicazione transitoria fino alla emanazione di tale
Decreto (D.M. 1.04.68), della legge n. 729/61 per la
disciplina delle fasce di rispetto delle autostrade fuori dai
centri abitati” [[ndr: provvedimento abrogato dal
Decreto Legge n. 112 del 25 giugno 2008, Allegato A
parte 6]].
“- D.M. 1404 dell‟1.04.6811
“Distanze minime a
protezione del nastro stradale da osservarsi nella
n. 196/L relativo alla G.U. 21/08/2008, n. 195) ha disposto (con l'art. 24) l'abrogazione dell'intero provvedimento.
10 Legge n. 765/1967 art. 19 Alla legge 17 agosto 1942,
n. 1150, dopo l'articolo 41, è aggiunto il seguente articolo 41-septies: "Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nella edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l'interno, entro sei mesi dalla entrata in vigore della presente legge [[ndr. pubblicata sulla G.U. n.218 del 31-8-1967 ]], in rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica. Fino alla emanazione del
decreto di cui al precedente comma, si applicano a tutte le autostrade le disposizioni di cui all'articolo 9 della legge 24 luglio 1961, n. 729 [[ndr: ma il Decreto Legge n. 112 del 25 giugno 2008, ha disposto (con l'art. 24 e l’Allegato A parte 6) l'abrogazione dell'intero provvedimento 729/1961.]]. Lungo le rimanenti strade, fuori del perimetro dei centri abitati è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore alla metà della larghezza stradale misurata dal ciglio della strada con un minimo di metri cinque".
11 D.M. 1404 del 1 aprile 1968, contrariamente
all’opinione comune non è mai stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 aprile 1968, n. 96. Su questa Gazzetta (GU Serie Generale n.96 del 13-4-1968) è stata pubblicata la Legge 28 marzo 1968, n. 385 Modifiche ed integrazioni alla legge 24 luglio 1961, n. 729,
49
edificazione fuori dal perimetro dei centri abitati, di cui
all‟art. 19 della legge 6 agosto 1967, n-765”, che
disciplina le fasce di rispetto per tutti i tipi di strada,
comprese le autostrade, ma soltanto al di fuori del
perimetro dei centri abitati. Tale decreto, infatti, risulta
complementare alla disciplina prevista dagli strumenti
urbanistici all‟interno dei centri abitati. Si fa presente che i
tipi di strada previsti12
nel D.M. 1.04.68 – ad eccezione
concernente il piano di nuove costruzioni stradali e autostradali.
12 D.M. 1 aprile 1968, n. 1404. Distanze minime a
protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge 6 agosto 1967, n. 765 (a) (b) (c). [[(a) a tutta evidenza il D.M. 1 aprile 1968, n. 1404, non risulta mai essere stato pubblicato sulla Gazz. Uff. 13 aprile 1968, n. 96 ma è stato trasmesso alle P.A. con nota 532 in data 22 aprile 1968. (2) Emanato dal Ministero dei lavori pubblici. (3) la presente bozza di decreto di seguito riportata è stata citata come se fosse già stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale e quindi emanata e come tale riportata in alcuni testi di normativa urbanistica [ad esempio nel Codice dell'urbanistica e dell'edilizia, CEDAM, Padova, 2009] assumendo quindi (!) il ruolo di vero Decreto Ministeriale quantunque, sebbene riportato come DM 1404/1968, si asserisca (altrove) che sia stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale privo di numero. 1. Campo di applicazione delle presenti disposizioni. Le disposizioni che seguono, relative alle distanze minime a protezione del nastro stradale, vanno osservate nell’edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione. 2. Definizione del ciglio della strada. Si definisce ciglio della strada la linea di
limite della sede o piattaforma stradale comprendente tutte le sedi viabili, sia veicolari che pedonali, ivi incluse le banchine od altre strutture laterali alle predette sedi quando queste siano transitabili, nonché le strutture di delimitazione non transitabili (parapetti, arginelle e simili). 3. Distinzione delle strade. Le strade, in rapporto alla loro natura ed alle loro caratteristiche, vengono così distinte agli effetti della applicazione delle disposizioni di cui ai successivi articoli: A) Autostrade: autostrade di qualunque tipo (legge 7 febbraio 1961, n. 59 , art. 4); raccordi autostradali riconosciuti quali autostrade ed aste di accesso fra le autostrade e la rete viaria della zona (legge 19 ottobre 1965, n. 1197 (4) e legge 24 luglio 1961, n. 729 , art. 9); B) Strade di grande comunicazione o di traffico elevato: strade statali comprendenti itinerari internazionali (legge 16 marzo 1956, n. 371 (5), allegato 1); strade statali di grande comunicazione (legge 24 luglio 1961, n. 729, art. 14); raccordi autostradali non riconosciuti; strade a scorrimento veloce (in applicazione della legge 26 giugno 1965, n. 717 , art. 7); C) Strade di media importanza: strade statali non comprese tra quelle
della categoria precedente; strade provinciali aventi larghezza della sede superiore o eguale a m. 10,50; strade comunali aventi larghezza della sede superiore o eguale a m. 10,50; D) Strade di interesse locale: strade provinciali e comunali non comprese tra quelle della categoria precedente. [ (4) Reca modifiche all'art. 13, L. 24 luglio 1961, n. 729. (5) Recante norme per l'adozione agli accordi internazionali in materia di circolazione stradale, conclusi a Ginevra il 16 settembre 1950, e loro
delle autostrade – non corrispondono ai tipi di strada
introdotti successivamente dal Codice della Strada nel
1992; ciò ha comportato evidenti difficoltà di
applicazione.
- Circolare della D.G. Circolazione e Traffico del Ministero
LL.PP. n. 5980 del 30.12.70, finalizzata all‟applicazione
del D.M. 1404/68, chiarisce in particolare la definizione di
“non edificazione”, individuando la possibilità di collocare
i manufatti che non costituiscono edificazione e la
canalizzazione dei vari servizi all‟interno delle fasce di
rispetto.
- La mancata entrata in vigore delle disposizioni dettate al
riguardo dal Codice e dal relativo Regolamento di
attuazione ha protratto l‟applicazione delle disposizioni
previgenti. ”
Dunque secondo il Ministero un’importante discriminante
per la classificazione delle strade e l’estensione delle
fasce di rispetto13
che determinano tale classificazione è
esecuzione. 4. Norme per le distanze. Le distanze da osservarsi nella edificazione a partire dal ciglio della strada e da misurarsi in proiezione orizzontale, sono così da stabilire: strade di tipo A) - m. 60,00; strade di tipo B) - m. 40,00; strade di tipo C) - m. 30,00; strade di tipo D) - m. 20,00. A tali distanze minime va aggiunta la larghezza dovuta alla proiezione di eventuali scarpate o fossi e di fasce di espropriazione risultanti da progetti approvati. 5. Distanze in corrispondenza di incroci. In corrispondenza di incroci e biforcazioni le fasce di rispetto determinate dalle distanze minime sopraindicate sono incrementate dall'area determinata dal triangolo avente due lati sugli allineamenti di distacco, la cui lunghezza, a partire dal punto di intersezione degli allineamenti stessi sia eguale al doppio delle distanze stabilite nel primo comma del precedente art. 4), afferenti alle rispettive strade, e il terzo lato costituito dalla retta congiungente i due punti estremi. Resta fermo quanto prescritto per gli incroci relativi alle strade costituenti itinerari internazionali (legge 16 marzo 1956, n. 371) 6. Pubblicazione del presente decreto. Il presente decreto sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
13 La Normativa di riferimento è data dal Regolamento di
Attuazione del Nuovo Codice della Strada di seguito riportato: Reg. attuaz. NCdS Art. 26. (Art. 16 Cod. Str.) Fasce di rispetto fuori dai centri abitati. 1. La distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare nell'aprire canali, fossi o nell'eseguire qualsiasi escavazione lateralmente alle strade, non può essere inferiore alla profondità dei canali, fossi od escavazioni, ed in ogni caso non può essere inferiore a 3 m. 2. Fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'articolo 4 del codice, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: a) 60 m per le strade di tipo A; b) 40 m per le strade di tipo B; c) 30 m per le strade di tipo C; d) 20 m per le strade di tipo F, ad eccezione delle “strade vicinali” come definite dall'articolo
50
connessa alla disciplina urbanistica e – in particolare -
alla delimitazione dei centri abitati.
Per rendere agevole l’eventuale classificazione della rete
si riportano di seguito le schede di sintesi elaborate ai
sensi della Normativa di riferimento e sulla base del
Parere ministeriale14
(Prot. 0001080 – 01/03/2013).
3, comma 1, n. 52 del codice; e) 10 m per le “strade vicinali” di tipo F. 3. Fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'articolo 4 del codice, ma all'interno delle zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico generale, nel caso che detto strumento sia suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone siano già esecutivi gli strumenti urbanistici attuativi, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: a) 30 m per le strade di tipo A; b) 20 m per le strade di tipo B; c) 10 m per le strade di tipo C.
Reg. attuaz. NCdS Art. 27. (Art. 17, CdS) Fasce di rispetto nelle curve fuori dai centri abitati. 1. La fascia di
rispetto nelle curve fuori dai centri abitati, da determinarsi in relazione all'ampiezza della curvatura, è soggetta alle seguenti norme: a) nei tratti di strada con curvatura di raggio superiore a 250 m si osservano le fasce di rispetto con i criteri indicati all'articolo 26; b) nei tratti di strada con curvatura di raggio inferiore o uguale a 250 m, la fascia di rispetto è delimitata verso le proprietà latistanti, dalla corda congiungente i punti di tangenza, ovvero dalla linea, tracciata alla distanza dal confine stradale indicata dall'articolo 26 in base al tipo di strada, ove tale linea dovesse risultare esterna alla predetta corda. Ai sensi dell’art.28, per questioni di sicurezza, la categoria “C” è esclusa nei centri abitati
Reg. attuaz. NCdS Art. 28. (Art. 18, CdS) Fasce di rispetto per l‟edificazione nei centri abitati. 1. Le distanze
dal confine stradale all'interno dei centri abitati, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni integrali e conseguenti ricostruzioni o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: a) 30 m per le strade di tipo A; b) 20 m per le strade di tipo D. 2. Per le strade di tipo E ed F, nei casi di cui al comma 1, non sono stabilite distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della circolazione. 3. In assenza di strumento urbanistico vigente, le distanze dal confine stradale da rispettare nei centri abitati non possono essere inferiori a: a) 30 m per le strade di tipo A; b) 20 m per le strade di tipo D ed E; c) 10 m per le strade di tipo F. 4. Le distanze dal confine stradale, all'interno dei centri abitati, da rispettare nella costruzione o ricostruzione dei muri di cinta, di qualsiasi natura o consistenza, lateralmente alle strade, non possono essere inferiori a: a) m 3 per le strade di tipo A; b) m 2 per le strade di tipo D. 5. Per le altre strade, nei casi di cui al comma 4, non sono stabilite distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della circolazione.
14 Si dissente quindi dall’interpretazione data da
Giuseppe Carmagnini nell’articolo “Importante parere del MIT - i Comuni possono classificare le strade nella categoria superiore anche se manca un elemento previsto dall'articolo 2 del Codice della Strada” in quanto
l’autore così asserisce: “In sostanza il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel parere che si propone, prendendo atto che la maggior parte delle strade esistenti spesso non hanno tutte le caratteristiche previste dall‟articolo 2 del codice della strada, ma che, di fatto, esse sono funzionalmente destinate a scopi propri delle categorie superiori, ammette la possibilità che i comuni si assumano la responsabilità della classificazione temporanea dando prevalenza alle caratteristiche funzionali rispetto a quelle costruttive e geometriche. Diversamente verrebbero meno anche le norme a tutela delle strade che prevedono le fasce di rispetto, con il risultato di consentire l‟edificazione a distanze ridotte su strade di collegamento ad alta intensità di traffico. La classificazione in deroga può avvenire, ove adottata, disponendo eventuali limitazioni e divieti per adeguare la non piena rispondenza ai criteri in vigore dal 1° gennaio 1993, per cui su una strada urbana di scorrimento la mancanza del marciapiede, elemento peraltro ritenuto da chi scrive eventuale e non caratteristica minima, potrà essere contemperato dalla presenza di un divieto di circolazione ai pedoni. Sotto questo profilo si evidenzia come le caratteristiche di molte strade siano perfettamente conformi alla definizione di strada di scorrimento di cui alla Direttiva del Ministero dei Lavori Pubblici del 12.4.1995 recante “Direttive per la redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del traffico. (Art. 36 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Nuovo codice della strada)”: “…strade di scorrimento, la cui funzione, oltre a quella precedentemente indicata per le autostrade nei riguardi del traffico di attraversamento e del traffico di scambio, da assolvere completamente o parzialmente nei casi rispettivamente di assenza o di contemporanea presenza delle autostrade medesime, é quella di garantire un elevato livello di servizio per gli spostamenti a più lunga distanza propri dell'ambito urbano (traffico interno al centro abitato). Per l'applicazione delle presenti direttive vengono individuati gli itinerari di scorrimento costituiti da serie di strade, le quali – nel caso di presenza di corsie o sedi riservate ai mezzi pubblici di superficie devono comunque disporre di ulteriori due corsie per senso di marcia. Su tali strade di scorrimento sono ammesse tutte le componenti di traffico, escluse la circolazione dei veicoli a trazione animale, dei velocipedi e dei ciclomotori, qualora la velocità ammessa sia superiore a 50km/h, ed esclusa altresì la sosta dei veicoli, salvo che quest'ultima risulti separata con idonei spartitraffico” (Direttiva del Ministero dei Lavori Pubblici del 12.4.1995, vds. estratto, doc. 9)
Giuseppe Carmagnini, Vigilare sulla strada, 20 ottobre 2014 http://www.vigilaresullastrada.it/pf/sendDoc/49fcae7c32c2403fd9220fd7db36f521
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57
Per quanto attiene la distanza minima della fascia di
rispetto il D.M. n. 1404 del 01-04-1968 stabiliva che per i
raccordi autostradali fosse pari a 60 metri, per le strade a
scorrimento veloce 40 metri, distanza che scendeva a 30
metri per altre strade equiparabili a quelle che la
Normativa successivamente introdotta classificherà
come strade di Categoria “C” e fosse pari a 20 metri per
tutte le altre strade (vicinali incluse15
). Facile
comprendere quindi come questo Decreto non sia mai
stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Proprio la perimetrazione di “centro abitato” esclude che
in molti Comuni possano essere realizzate – a ridosso
delle aree urbane - strade di Categoria “C”. Sarebbe
sufficiente quindi rimandare ai documenti di Piano vigenti
per escludere la realizzazione di alcune opere Categoria
“C” escluse anche ai sensi della Tabella 3.2.d del D.M.
6792 del 5/11/2001.
Le fasce di rispetto identificate dal Regolamento di
Attuazione NCdS non hanno un carattere meramente
prescrittivo ma discendono dalle analisi di sicurezza e dai
fattori di rischio connessi al transito in velocità dei veicoli.
Pertanto, il vincolo di legge determinato dalle fasce di
rispetto, esclude violazioni dell’una o dell’altra parte. Ed
anche se la Giurisprudenza ha concluso come i vincoli di
inedificabilità nelle "fasce di rispetto stradale" non
abbiano natura espropriativa, ma unicamente
conformativa, poiché hanno il solo effetto di imporre alle
proprietà l’obbligo di conformarsi alle destinazioni
impresse in funzione di salvaguardia della
programmazione urbanistica, indipendentemente
dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative16
,
è anche vero che – in molteplici casi, non soltanto si
determinano riferimenti di non effettualità edificatoria “di
fatto” ai fini del ristoro dei latistanti (che in futuro non
potrebbero né potranno più modificare le volumetrie
all’interno delle loro proprietà), ma si impongono di fatto
ai proprietari vincoli specifici, poiché, qualora alcune
opere fossero realizzate, si passerebbe dalla condizione
15
D.M. 1404/68 art. 3 Strade di categoria D “Strade di interesse locale: strade provinciali e comunali non comprese tra quelle della categoria precedente”
16 Consiglio Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095
di area edificabile “di diritto” ad area “giuridicamente non
edificabile" 17
.
3. Classificazione della rete locale extraurbana
Pertanto, una ottimale classificazione della rete stradale,
dovrebbe essere basata su molteplici aspetti:
caratteristiche geometriche, vincoli, limitazioni al transito
per massa, dimensioni, gestione amministrativa, dati di
traffico e incidenti stradali, gestione certamente
complessa ma ora semplificata stante il proliferare di
metodi e strumenti informatici disponibili anche
gratuitamente. Invece pare non sia stata attuata alcuna
l’implementazione congiunta degli archivi informatizzati
che, laddove esistono, non includono dati salienti e
fondamentali (catasto strade) e rendono sempre più
complessa la gestione della rete stradale in un’ottica che
non deve essere partecipata ma istituzionalizzata, al fine
di pianificare tutte le azioni di controllo della domanda e
dell’offerta di mobilità (ancora carente nelle aree
extraurbane) e stabilire così gli interventi ottimizzando la
spesa pubblica.
Diventa di conseguenza necessario reperire l’insieme di
criteri che isolino, nel contesto della rete stradale e
includendo i tratti extraurbana, la sola viabilità minore e
rurale e, per quanto concerne il panorama italiano,
questa operazione di delimitare il campo di interesse, si
presta di fatto ad un duplice approccio: il primo, che
denomineremo “normativo” prende le mosse della
definizione della viabilità, ivi inclusa quella minore e
rurale, con ulteriore riferimento alle caratteristiche
geometriche del tracciato stradale, il secondo, l’approccio
“funzionale” è relativo alla caratterizzazione funzionale
della rete viaria extraurbana.
3.1 I problemi derivanti dalla classificazione
Provando ad affrontare contemporaneamente gli
approcci proposti, si evidenziano però alcune difficoltà
nell’individuazione di quei caratteri esclusivi che
permettano un’estrazione univoca e puntuale della rete
oggetto di interesse.
17
(Cassazione civile, sez. I, 13.04.2006, n. 8707; Cassazione civile, sez. I, 28.10.2005, n. 21092) (Consiglio di Stato, Sez IV - Sentenza 27 settembre 2012, n.5113).
58
Le difficoltà sono dovute :
- alla molteplicità dei gestori e alla frammentazione del
patrimonio che costituisce l’intera rete viaria minore e
rurale18
. Per quanto riguarda le strade di interesse del
nostro Comitato19
, occorre rammentare come
l’amministrazione di questa rete discenda dalla
motivazione che ha portato alla realizzazione dei tracciati
stessi e che conseguentemente ha determinato l’Ente
proprietario della strada: caso emblematico è quello delle
strade di argine affidate alla tutela dei Magistrati delle
Acque, esempio lampante della estrema frammentazione
del patrimonio viario che presenta un carattere di difficile
riconduzione ad un unicum territoriale di riferimento,
unicum che come tale è bene sia attentamente
preservato e tutelato.
- all’assenza “storica” di un censimento nazionale e
all’obbligo di classificazione20
introdotto con il CdS del
1992.
18
Nel totale delle strade extraurbane vanno infatti computate tutte le strade che attraversano i Comuni con popolazione inferiore ai diecimila abitanti.Le strade definite in ambito internazionale “rural roads” includono le classiche extraurbane (strade statali, provinciali oltre a quelle gestite dai Comuni), ma a queste si aggiungono tutte le strade che, nel contesto nazionale, assumono molteplici denominazioni: strade di Comunità Montane, strade Parco, strade di argine, strade vicinali, strade agrarie, strade agro-silvo-pastorali, strade di bonifica, trazzere, tratturi, contrade, strade bianche. In aggiunta alla problematica che sorge nel mettere a sistema, ove esistenti, i patrimoni relativi ai singoli gestori (Province e Comuni), vi sono quindi quelli degli Enti Parco, delle Comunità Montane e dei Magistrati delle Acque.
19 Strade locali extraurbane e viabilità minore
20 La legge n. 2248 del 20 marzo 1865 classificava le
strade come nazionali, provinciali, comunali o vicinali. Il Regio Decreto n. 2506 (G.U. del 4 dicembre 1923 n. 284) classificava le strade in 5 classi (nazionali, provinciali (due classi), comunali, militari). La legge n. 126 del 12 febbraio 1958 (abrogata ma ancora in vigore per quanto attiene l’art. 14 “Art. 14. Consorzi per le strade vicinali di uso pubblico. La costituzione dei consorzi previsti dal decreto legislativo luogotenenziale 1 settembre 1918, n. 1446, per la manutenzione, sistemazione e ricostruzione delle strade vicinali di uso pubblico, anche se rientranti nei comprensori di bonifica, è obbligatoria. In assenza di iniziativa da parte degli utenti o del Comune, alla costituzione del consorzio provvede di ufficio il Prefetto.”), manteneva la classificazione precedente così denominando le tipologie di strade “statali, provinciali, comunali, vicinali, militari” e l’onere della manutenzione delle vicinali era lasciato ad appositi Consorzi. Le strade di bonifica, ai sensi dell’art. 10, dovevano necessariamente essere riclassificate come statali, provinciali o comunali. La Legge n. 31 del 26 gennaio 1963 “Disposizioni per l'ammissione a contributo della spesa per la sistemazione delle strade classificate provinciali anteriormente all'entrata in vigore della legge
Sebbene l’evoluzione della rete viaria presenti
caratteristiche di lungo periodo e quindi le modificazioni
relative all’estesa complessiva possano essere valutate
anche sulla base di dati non sempre aggiornatissimi,
occorre rilevare come i dati di base attualmente a
disposizione (si vedano nel successivo Capitolo le
Tabelle elaborate sui dati ufficiali al Ministero dell’Interno)
abbiano permesso di formulare alcune considerazioni21
.
Analisi di dettaglio e su serie storica non sono purtroppo
state possibili stante la difficoltà di reperimento dati ed il
complesso excursus normativo (già illustrato in una
precedente nota). L’estensione della rete delle strade
extraurbane è stata oggetto di completa indagine22
soltanto sino al 1977.
Con il D.Lgs 30 aprile 1992, n. 285, Codice della Strada,
la competenza sulle strade vicinali sino ad allora affidate
a specifici Consorzi23
passa direttamente24
ai Comuni.
12 febbraio 1958, n. 126, o non comprese nei piani di cui all'articolo 16 della legge stessa.” (G.U. n. 35 del 7 febbraio 1963) destinava risorse economiche importanti successivamente ampliate con la la Legge n. 167 del 9 aprile 1971, che attribuiva ad ANAS il totale coordinamento dei lavori sulla rete primaria (autostrade e strade statali) erogando risorse per la sistemazione, l’ammodernamento e la costruzione di strade provinciali e comunali. Classificazione meramente amministrativa sino al 1992. Le Norme tecniche in vigore erano quelle del Bollettino Ufficiale C.N.R. n. 78 del 28 luglio 1980.
21 Considerazioni riportate nel Capitolo di Antonio
Cataldo, Paola Villani, La rete stradale di Province e Comuni: analisi normativa ed economico-finanziaria, in questo stesso Quaderno AIPCR 2014
22 Censimento sulle strade vicinali a cura prima del
Ministero dei Trasporti e della Navigazione (oggi Ministero delle Infrastrutture e Trasporti), i cui dati sull’estesa chilometrica sono sempre stati pubblicati nei periodici denominati “Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti”. Dal 1977 la rilevazione si è arrestata,
sebbene siano reperibili valori regionali per i chilometri di rete extraurbana riferiti all’anno 1993. L’indagine sulle strade comunali, che inizialmente era presente per tutti i Comuni italiani, è stata poi sostituita da quella per i soli Comuni Capoluogo di Provincia, comportando la mancanza di informazioni necessarie alla stima della lunghezza delle strade comunali per gli anni successivi. Per questo motivo nelle analisi si fa sovente riferimento all’anno 1999 (dati riportati nel Conto Nazionale Trasporti 2002 e riferiti al 31 dicembre 1999).
23 Art. 14 della Legge n. 126 del 12 febbraio 1958
24 CdS, art 14 comma 4. “Per le strade vicinali di cui
all'art. 2, comma 7, i poteri dell'ente proprietario previsti dal presente codice sono esercitati dal comune”.
59
La classificazione introdotta dall’articolo 2 del Nuovo
Codice della Strada e dal Regolamento di esecuzione e
di attuazione del Nuovo Codice della Strada e dal DM
2001 , potrebbe permettere il riconoscimento, attraverso
le caratteristiche geometriche25
e Normative, della rete
viaria locale extraurbana pavimentata. Non vi sono
Norme riferite alle strade non pavimentate che ai sensi
del DM 2001 dovrebbero comunque essere censite,
come Strade Private e andrebbero ad incrementare
significativamente la quota parte della rete extraurbana
classificabile in categoria F o assimilabile alla categoria F
in quanto strade che, in assenza di classificazione, sono
considerate a tutti gli effetti viabilità minore, “strade che
non risultano possedere le caratteristiche delle strade
censite nelle categorie immediatamente superiori”.
3.2 La classificazione e le categorie
Attualmente le strade extraurbane secondarie (strade di
tipo C o F) sono caratterizzate anche dalla presenza di
alcuni tratti viari classificati come extraurbane principali
(strada di tipo B). Ma a chi spetta il compito della
classificazione delle strade non statali? La risposta è
riportata nell’art. 2 del DM 2001 che così recita:
Art. 2. Ai fini della formazione e conservazione del
Catasto delle Strade gli Enti proprietari devono dotarsi di
strutture specifiche. I Comuni della stessa Regione , le
Province e le Regioni possono consorziarsi in entità
territoriali più ampie, istituendo un unico organo di
supporto tecnico, ma lasciando comunque distinti i loro
catasti [[ndr: ogni Ente deve quindi averne uno]]. Alle
Regioni spetta anche il coordinamento di tutte le fasi, ed
in particolare della raccolta e trasmissione dei dati
all'Archivio Nazionale delle strade, presso il Ministero
dei Lavori Pubblici, fatta eccezione per i dati relativi alle
strade ed autostrade statali in concessione ed alle
strade ed autostrade statali in gestione all'ANAS, che
sono raccolti e trasmessi all'Archivio direttamente dagli
Enti concessionari o gestori.
25
Si veda l’art. 6 del DM 2001 già riportato: “- strade provinciali e comunali extraurbane con larghezza pavimentata non inferiore a metri 5,50; - altre strade comunali extraurbane con larghezza pavimentata inferiore a metri 5,50 e strade urbane pavimentate.”
La classificazione dovrebbe quindi essere gestita su base
regionale o attraverso opportuno decreto degli organi
competenti e mediante la declassificazione prevista già
nella Legge n.126/1958, declassificazione normalmente
proposta alle Regioni dalle amministrazioni competenti,
Comuni o Province, Regioni che parimenti ne decretano
la ri-classificazione o la de-classificazione, con la
conseguente clusterizzazione di una situazione di
partenza con specifici criteri in un mix tipologie
costruttive, tecniche e funzionali derivanti dalla storia e
dallo sviluppo del territorio di competenza.
La classificazione geometrica e il rispetto della Normativa
riportano quindi al problema della frammentazione della
rete e della molteplicità dei gestori, sia perché tra le
molteplici strade non classificate sono comprese anche le
strade vicinali (pubbliche e private ad uso pubblico)
equiparate alle comunali, strade vicinali per le quali ai
Comuni è imposto l’obbligo di istituire e tenerne
aggiornata la cartografia, il catasto e le loro pertinenze
secondo le modalità stabilite con Decreto del Ministero
dei Lavori Pubblici 1 giugno 2001, decreto ampiamente
disatteso.
“Alle Regioni spetta anche il coordinamento di tutte le
fasi, ed in particolare della raccolta e trasmissione dei dati
all'Archivio Nazionale delle strade...” ma che fare se le
Regioni non coordinano ma soprattutto non verificano? I
portali cartografici esistenti hanno valore legale ? Se una
strada è stata classificata come urbana (ed invece si
tratta di una strada statale26
) ? E se la Regione non
soltanto non verifica ma recepisce ed utilizza, anche alla
luce di un potenziale risparmio considerato che questa
cartografia è “open” ? Ed è talmente “open” che può
accadere di tutto.
Ma il principale problema è in realtà duplice: informazioni
non certificate e dettagli informativi assenti. Oppure
presenti per alcune tematismi27
ma quasi del tutto assenti
per altre.
26
Riferimento alla ex Ss 566 ora Sp 566 “di Val di Vara”, classificata come “urbana” sul portale cartografico della Provincia di La Spezia, che ha parimenti classificato l’Autostrada A12 come “strada extraurbana” ma sono evidentemente problemi che possono capitare se si ricorre a portali cartografici “open” e non ufficiali.
27 A titolo di esempio si possono annoverare i passi carrai
(si veda il dettaglio nel Portale cartografico del Comune di
60
Eppure la classificazione dei tronchi e dei nodi della rete
stradale rappresenta un punto cardine del Road Safety
Audit (RSA) e della Road Safety Inspection (RSI):
procedura utilizzata per le strade esistenti ed in esercizio
e che ha lo scopo di individuare le problematiche
generatrici di incidenti stradali legate all’infrastruttura (ma
con una visione scenariale si applica ai progetti in fase di
realizzazione). Se su un determinato asse stradale non
sono stati registrati eventi (incidenti, dissesti o frane)
occorre valutare cosa accadrebbe qualora mutassimo
qualcosa (senso di marcia, geometria, nuovi accessi,
nuovi edifici con diversa ripartizione dei carichi sui
versanti, ecc.). Tale analisi di sicurezza per le strade
esistenti non ha lo scopo di sostituire il tradizionale
metodo di analisi sull’incidentalità e la determinazione dei
punti neri, ma costituisce un elemento cardine per
stabilire quanto sia sicura una certa strada e correggere
possibili situazioni che, sebbene non abbiano ancora
prodotto incidenti, potrebbero costituire un possibile
pericolo. Per questo i procedimenti attuati all’interno del
metodo RSI individuano tutti i fattori di pericolo che
possono accrescere la probabilità che un evento
qualsiasi si verifichi e mirano a ridurne le conseguenze in
modo da attuare “preventivamente” azioni correttive.
Ai sensi della Normativa esistente28
il controllo dei dati
incidentali suddivisi per tipologia di strada e periodi
temporali deve essere eseguito: su strada urbana
(periodo 3-5 anni), su strada extraurbana (periodo 5-7
anni).
4. Rappresentazione cartografica e problemi
connessi
Il Portale Cartografico Nazionale riporta metadati relativi
alle sole infrastrutture ferroviarie (datati anno 2007). Se si
ricerca la rete stradale il sistema restituisce i dati di
alcune Regioni29
ma tra queste vi sono soltanto quelli di
alcune Province.
La Spezia) o gli incidenti stradali (si veda il dettaglio nel Portale cartografico del Comune di Bergamo).
28 Ministero dei Lavori Pubblici “Linee guida per le analisi
di sicurezza delle strade”. Circolare n. 3699, 8 giugno 2001
29 Cataloghi CSW AdB Basilicata e Marche e Cataloghi
CSW Emilia Romagna, Regione Liguria, Regione Piemonte, Regione Sicilia (assente la Provincia di Caltanissetta...ed il sistema propone quindi Enna)
Si veda l’esempio di quella che è stata classificata come
Strada Regionale30
siciliana n. 13.
Provincia di Caltanissetta, SP 133 Serradifalco – Delia
(S.R. n. 13): cartografia e immagine dell’infrastruttura
La proliferazione di mappe che non riportano una corretta
classificazione (nel senso di gerarchia della rete)
determina anche incidenti (mezzi inidonei per peso,
lunghezza o sagoma tenderanno a percorrerla). Ma di
converso un’inidonea classificazione può anche
determinare una minore attrattività per le attività
economiche e soprattutto per il turismo: alcuni portali
indicano limiti di velocità che sono circa31
la metà di quelli
realmente presenti. E se le isocrone di percorrenza sono
basate su dati errati, l’economia di un’intera zona può
risentirne.
30
Provincia di Caltanissetta, SP 133 Serradifalco - Delia (S.R. n. 13) km 11,650
31 http://strade-italia.openalfa.com/vie/strada-statale-640-di-porto-empedocle-racalmuto
61
La ex strada statale 566 di Val di Vara (SS 566), ora strada provinciale 566 di Val di Vara (SP 566), classificata come “urbana” sul portale cartografico della Provincia di La Spezia, che ha parimenti classificato l’Autostrada A12 come “strada extraurbana” ma sono evidentemente problemi che possono capitare se si ricorre a portali cartografici “open” e non ufficiali.
4.1 Il trasporto merci
In tema di sicurezza, per quanto riguarda i tracciati
planimetrici, con curve aventi raggio 120 metri, la velocità
massima dovrebbe essere 60 km/h (e non 70 km/h). Gli
incidenti verificatisi negli ultimi anni in Italia e che hanno
interessato veicoli pesanti lungo le Strade Regionali e
Provinciali, evidenziano come le possibili cause siano
imputabili all’eccessiva lunghezza dei veicoli e/o al
mancato o errato ancoraggio dei carichi. Stante le
modificazioni apportate al Codice della Strada in Francia
e altri Paesi europei non è purtroppo infrequente
registrare il transito di veicoli di categoria N3 (veicoli
destinati al trasporto di merci, aventi massa massima
superiore a 12 t) sulle strade della rete nazionale, strade
che “non” sono state concepite32
per veicoli con questa
massa e queste lunghezze. E se l’instradamento di
veicoli pesanti è imputabile al fatto che in molti portali con
mappe e cartografia33
“open” non sia presente una
chiara34
classificazione della rete stradale, si determina
anche la possibilità che veicoli pesanti che trasportino
merci pericolose possano istradarsi lungo tutte le
infrastrutture della Versilia, problema che ha portato allo
studio35
qui presentato dal nostro Comitato Tecnico.
La quasi totalità delle Province ha provveduto a stilare
appositi elenchi delle strade ove vigono particolari divieti
per il transito di veicoli commerciali36
(limitazioni di massa
a pieno carico, limitazioni di altezza, larghezza o
lunghezza) e hanno provveduto a porre la relativa
segnaletica ma queste limitazioni al transito non sono
riportate nelle mappe cartografiche “open”.
Spesso le limitazioni al transito sono determinate da
specifici vincoli strutturali ma altre volte, in un territorio di
pregio come quello nazionale, i vincoli sono stati posti per
ridurre i fenomeni di dissesto che possono acuirsi a
seguito del continuo transito di veicoli pesanti.
32
P.Villani, Analisi dei fattori di incidentalità della Strada Regionale 70 “della Consuma” http://www.orientepress.it/?p=4770
33 Si veda ad esempio OpenStreetMap
http://www.openstreetmap.org/relation/42622#map=11/43.8266/11.4347
34 Differente classificazione, ben leggibile nell’Atlante De
Agostini riportato nel Portale Cartografico Nazionale.
35 G. Caroti, A.Pardini, A.Pratelli, Capitolo 5 di questo
Quaderno CT 2.5 “Sviluppo di un metodo di valutazione dell’indice di rischio per il trasporto merci pericolose con applicazione al territorio della Versilia”, AIPCR Roma 2014
36 Si veda ad esempio la Provincia di Varese
http://www.provincia.va.it/ProxyVFS.axd/null/r43553/Elenco-Generale-Limiti-di-peso-e-sagoma-lungo-le-SsPp-pdf?ext=.pdf
62
La Sp9 a Viggiù (VA), correttamente rappresentata nel Portale Cartografico Nazionale (Atlante stradale Italia e Catalogo Frane) e come risulta invece rappresentata su OpenStreetMap
La segnaletica lungo la Sp 9 a Viggiù (VA) e lavori in corso
Il divieto di transito agli autoarticolati e autotreni lungo la Sp 9 a Viggiù (VA)
Uno dei tratti a senso unico alternato lungo la Sp 9 a Viggiù (VA)
La sezione della Sp 9 nel centro storico di Viggiù (VA)
Incidenti per ribaltamento lungo la SR 70 “della Consuma” (FI)
63
La Strada Regionale 70 “della Consuma”, correttamente rappresentata nel Portale Cartografico Nazionale (Atlante stradale Italia 1:250.000 della De Agostini) e come risulta rappresentata su OpenStreetMap
Un veicolo commerciale a Diacceto, SR 70 “della Consuma”
Incidente a Botta di Sedrina (BG)
4.2 I veicoli sulla rete minore
Il traffico motorizzato sui sentieri produce un alto impatto
ambientale sul fondo di mulattiere e sentieri, tracciati
oggetto di manutenzione ad opera quasi esclusiva di
volontari o frontisti che operano faticosamente e senza
oneri pubblici un patrimonio pari ad oltre 60.000 km di
sentieri. Moto e quad rappresentano un pericolo per gli
escursionisti ponendo in primis problematiche legate alla
sicurezza di quanti percorrono questi tracciati, veri utenti
deboli anche sui sentieri.
Il recente elevato utilizzo della rete minore da parte di
veicoli a due ruote può trasformarsi in un disincentivo alla
frequentazione non motorizzata di territori collinari e
montani, determinando non tanto un ostacolo allo
sviluppo, quanto uno specifico danno ambientale poiché
i solchi determinati dai mezzi motorizzati determinano un
diverso deflusso delle acque. Eppure alcune37
Regioni
hanno recentemente approvato leggi che contemplano
norme e provvedimenti che favoriscono un uso
inappropriato della rete minore.
37
Si fa riferimento ad esempio al caso dell’Emilia-Romagna: il 26 luglio 2013 la Regione ha approvato la legge regionale n° 14 “Rete escursionistica dell'Emilia Romagna e valorizzazione delle attività escursionistiche”, che fornisce una definizione di escursionismo che non pone alcuna limitazione concettuale al fatto che esso venga praticato con l’utilizzo di mezzi motorizzati in quanto prevede la possibilità di percorrere i sentieri con mezzi a motore, in evidente contrasto con la finalizzazione dei percorsi escursionistici, affermata dalla legge, alla “promozione delle aree naturali … e allo sviluppo sostenibile”.
64
La Lombardia, una regione la cui superfice montana è
pari 1.032.322 ettari ha approvato una Norma38
che da
un lato garantisce ai Comuni di autorizzare
manifestazioni con i veicoli a motore sebbene
ufficialmente39
ne vieti il transito su sentieri, mulattiere e
boschi.
Il problema è diventato nazionale – e si estende anche
all’uso delle motoslitte nel periodo invernale. E’ evidente
l’incompatibilità fra escursionismo e motociclismo, in
controtendenza anche rispetto ai progetti di promozione e
sviluppo di turismo ecocompatibile, progetti che
richiedono investimenti modesti e sono realizzabili solo
con scelte precise e coerenti. Il nostro Paese si
caratterizza per una rete di itinerari di lunga percorrenza
di grande valore naturalistico e storico, basato in
massima parte sulla rete sentieristica.
Le numerose presenze di escursionisti su questi itinerari,
oggetto di iniziative imprenditoriali agro-turistiche con
38
Regione Lombardia Legge Consiglio Regionale N. 43 del 8 luglio 2014 Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 5 dicembre 2008, n. 31 (Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foreste, pesca e sviluppo rurale) Art. 4 (Modifiche all’art. 59 della l.r. 31/2008) 1. All’articolo 59 sono apportate le seguenti modifiche ed integrazioni: a) il comma 3 è sostituito dal seguente: “3. Sulle strade agro-silvo-pastorali è vietato il transito dei mezzi motorizzati, ad eccezione di quelli di servizio e di quelli autorizzati in base al regolamento comunale di cui al comma 1.”; b) il comma 4 è sostituito dal seguente: “4. E’ altresì vietato il transito dei mezzi motorizzati nei boschi, nei pascoli, sulle mulattiere e sui sentieri, ad eccezione dei mezzi di servizio e di quelli autorizzati dalla Regione per la circolazione sulle proprie aree demaniali.”; c) dopo il comma 4 è inserito il seguente: “4.bis In deroga ai divieti di cui ai commi 3 e 4, con il regolamento di cui all’articolo 50, comma 4, compatibilmente con le esigenze di tutela del patrimonio forestale, sono definite le modalità e le procedure con cui gli enti locali e forestali, per il territorio di rispettiva competenza, possono autorizzare manifestazioni con mezzi motorizzati. Nel caso in cui il territorio interessato dall’autorizzazione sia ricompreso in una area protetta regionale e/o nazionale, gli enti gestori di queste ultime sono tenute a esprimere un parere preventivo vincolante. In ogni caso, preventivamente al rilascio della autorizzazione, i responsabili organizzativi delle predette manifestazioni dovranno prestare congrue garanzie fideiussorie bancarie o assicurative agli enti proprietari dei boschi, dei pascoli, delle mulattiere e dei sentieri, al fine di garantire la copertura dei costi necessari per l’eventuale esecuzione delle opere di conservazione e/o di rimessa in pristino stato dei luoghi, aree, mulattiere e/o sentieri utilizzati per lo svolgimento delle manifestazioni”.
39 Si veda l’ultimo paragrafo di questo Capitolo.
significativi sviluppi per l'economia locale, risulta
fortemente disincentivata dalla convivenza con
motociclette e quad.
65
4.3 L’aggiornamento della segnaletica stradale
Per cessioni da parte di Stato e Regione dal 2009 sono
divenute provinciali le ex Strade Statali (SS...) e si pone
quindi anche il problema della segnaletica verticale che
gli enti provinciali devono ancora aggiornare oppure
hanno immediatamente aggiornato come negli esempi di
seguito riportati e relativi al territorio di Asti.
La ex SS 10 "Padana inferiore" ora SR 10
La ex SS 29/A "Raccordo" (alla SS del Colle di Cadibona)
Alla ridenominazione si è aggiunta la completa
ridefinizione delle progressive chilometriche40
(strade di
seguito rappresentate)
40
Ogni strada provinciale è caratterizzata da un nome ed un numero (es. SP 16 "Casalborgone - Pralormo") anche qualora la segnaletica verticale riporti il solo numero (es. SP 16) e se il numero è seguito da "/ lettera" denota come la strada sia una diramazione della principale (es. SP 16/B "Diramazione per Villanova d’Asti"). Ogni strada ha un solo inizio e la numerazione chilometrica procede in un sola direzione e si avrà quindi chilometrica in senso crescente o decrescente.
La ex SS 457 "di Moncalvo" attuale SR 457 all’innesto con la Sp 93 avente progressiva chilometrica con inizio a Calliano (AT) sebbene questo non sia il primo Comune dell’astigiano lungo la ex 457: a sud infatti vi sono Portacomaro e Casotto. Di seguito l’inizio della progressiva chilometrica della Sp 84 a Cocconato d’Asti.
La SS 458 "di Casalborgone"
La ex SS 590 "di Val Cerrina" a Pirenta: la ridenominazione comporta problemi connessi ai riferimenti ufficiali nella documentazione turistica e storica. Singolare poi che tra Province contermini la denominazione muti (anche se soltanto a
66
livello di preposizioni articolate, “della Val Cerrina” per la Provincia di Alessandria, “di Val Cerrina” nel torinese e nell’astigiano). Come è evidente nell’immagine riportata il trasferimento di competenze dallo Stato alle Province non sempre ha contribuito all’eliminazione dei punti neri
La ex Ss 592 a Castino (CN) . In questo caso la denominazione tra Province contermini muta sensibilmente e immaginiamo quali possano essere i problemi per i turisti stranieri: la ex Ss 592 di Canelli (SS 592), è la Sp 592 “di Canelli” in provincia di Asti e la Sp 592 “di Valle Belbo” nel cuneese.
Ma anche nelle altre Province il problema della
segnaletica si pone ed occorre considerare, oltre al
mancato rispetto della Normativa, l’indispensabile
informazione agli utenti che, qualora non dotati di sistemi
di navigazione, hanno comunque necessità di sapere
quale strada stiano percorrendo. In un’ottica di
contenimento della spesa pubblica ogni ridenominazione
non sufficientemente motivata dovrebbe essere
attentamente valutata.
La ex SS 456 "del Turchino" in Provincia di Alessandria. Dal 2001, la gestione del tratto piemontese è passata dall'ANAS alle Regioni Piemonte e Liguria che hanno provveduto al trasferimento dell'infrastruttura al demanio delle Province di Asti, Alessandria e Genova.
4.4 Classificazione della rete e segnaletica stradale
Molte Province hanno proceduto con una classificazione
ma sovente si presentano alcuni problemi: ad esempio la
definizione adottata nella cartografia dalla Provincia di
Milano (C/B- Strada extraurbana secondaria “Sp415
Paullese” in colore viola e la B/C in colore azzurro Strada
extraurbana secondaria “Sp 412 Val Tidone”) non ha
senso se non si evidenziano le differenze in termini di
larghezza della carreggiata e la rappresentazione
cartografica di ogni singola strada provinciale su tavole
CRT datate non soltanto non rispecchia la realtà ma non
aiuta a leggere il quadro complessivo della rete.
67
La Classificazione Tecnico – Funzionale della Strada Provinciale “60 – Monzese” [R.G. 373/2009] e di seguito la stessa area nelle immagini satellitari anno 2011 – Ministero dell’Ambiente – Geoportale Nazionale]
Una rappresentazione di confronto tra le due immagini sopra riportate per la Strada Provinciale “60 – Monzese”: in colore giallo ocra le modificazioni intercorse.
L’ente proprietario delle strade è riportato nei segnali di
progressiva distanziometrica aventi dimensioni correlate
alla categoria della strada, segnaletica verticale prescritta
dal CdS e nel Regolamento di Attuazione41
con cartelli
quadrati bianchi (50x50 cm) [Fig. II 261
CdS Art. 129] con indicazione della
progressiva chilometrica in colore nero ed
un segnale inferiore di colore blu (50x25
cm) con il nome della strada in colore
bianco (SP ...).
Fig. II 259 e fig. II 261 CdS Art. 129
41
Art. 129. Regolamento di Attuazione - Segnali di identificazione strade e progressive distanziometriche 1. I simboli di identificazione delle strade sono composti da lettere e cifre in combinazione, le cui caratteristiche sono: a) per itinerari internazionali a fondo verde (fig. II.256); b) per autostrade e trafori a fondo verde (fig. II.257); c) per strade statali a fondo blu (fig. II.258); d) per strade provinciali a fondo blu (fig. II 259); e) per strade comunali extraurbane a fondo bianco (fig. II.260). 2. I segnali di progressiva distanziometrica riportano le distanze espresse in chilometri o eventualmente in ettometri e chilometri (figg. II.261, II.262, II.263, II.264, II.265, II.266, II.267, II.268). Sulle strade già aperte al traffico è consentito mantenere in opera segnali distanziometrici lapidei.
Ma, come evidenziano le immagini seguenti, in alcune
Province pare che si adotti una diversa segnaletica.
La Sp 60 ad Arcore (MB)
La SP 60 Monzese è stata classificata “strada di
categoria B – Strada extraurbana principale ” ma ai sensi
del DM 6792/2001 Fig. 3.6.c le banchine non hanno
larghezza pari a 1.75 e non sono presenti (in direzione
sud) le piazzole di sosta previste al punto 4.3.6 del
medesimo decreto.
Le classificazioni delle strade provinciali (per la casistica
analizzata) comprendono la totalità delle categorie
stradali, non esiste alcuna uniformità di rappresentazione
neppure nella cartografia realizzata da uno stesso Ente
(questo il caso della Provincia di Milano) e la metodologia
utilizzata – in assenza di riferimenti normativi – è
variabile.
68
La Sp 46 “Rho-Monza”: nella classificazione tecnico-funzionale questo tratto è indicato di Categoria B ma lo spartitraffico non ha le dimensioni previste (pari a 2,50 mt) e la banchina è assente o comunque inferiore a 1,75 mt previsto in Normativa.
La Sp 46 “Rho-Monza”: nella classificazione tecnico-funzionale
questo tratto è indicato di Categoria C.
La Sp 412 “della Val Tidone”: nella classificazione tecnico-funzionale questo tratto è indicato di Categoria B ma valgone le considerazioni già espresse per la Sp 46.
La classificazione della Sp 2 “Monza – Trezzo”
La Sp 2 “Monza – Trezzo” nel tratto classificato di Categoria C
La Sp 2 “Monza – Trezzo” nel tratto classificato come Cat. E. Le due immagini non sono invertite: in questo tratto di “strada urbana di quartiere” non sono presenti marciapiedi e nemmeno il percorso pedonale e ciclabile realizzato nel tratto classificato come Cat. C.
Ancora la Sp 2 “Monza – Trezzo” nel tratto classificato di Cat. E.
69
4.5 La sicurezza lungo la rete secondaria
Una caratteristica significativa della viabilità minore è
rappresentata dai margini della strada (le già citate fasce
di rispetto) che costituiscono uno dei fattori determinanti
per la sicurezza: le analisi relative agli incidenti per
fuoriuscita (senza impatto finale) indicano una minima
frequenza di eventi lesivi o mortali.
Per tali ragioni, laddove siano possibili interventi,
dovrebbero essere previste zone libere da ostacoli.
Altrimenti sarà scelta dell’Ente proprietario della strada
individuare i siti in cui specifici problemi di sicurezza
consigliano, a prescindere dai vincoli economici e
ambientali, la realizzazione delle fasce di rispetto.
Sono molteplici i casi di positivo intervento lungo le strade
provinciali e a titolo di esempio si riportano alcune
immagini unitamente ai volumi di traffico della Sp 20 in
Provincia di Asti.
La Sp 20 in Provincia di Asti, i flussi di traffico rilevati in questo tratto nel luglio 2014 e alcuni accorgimenti per la messa in sicurezza.
La Sp 20 in Provincia di Asti: il medesimo tratto nei due sensi di marcia
La Sp 18 in Provincia di Asti
L’utilizzo delle barriere, oltre ad avere un ridotto rapporto
benefici/costi, può divenire esso stesso un ostacolo ai
margini. Tutto ciò, insieme al costo di manutenzione,
rende generalmente poco efficace l’uso delle barriere
nella viabilità minore, ad eccezione dei siti nei quali si
riconosce che le conseguenze della fuoriuscita possono
essere estremamente severe.
70
4.6 Classificazione e specificità della rete stradale
minore42
In altro capitolo è stato trattato il tema delle reti di mobilità
lenta43
. In questo paragrafo si riassumono le principali
problematiche relative alla classificazione e alle
specificità della rete minore.
Molte sono le Regioni che hanno regolamentato le
tipologie dei percorsi afferenti alla rete di viabilità minore,
attraverso la redazione di piani per la costituzione della
rete escursionistica44
o ciclabile.
Tutte le Leggi regionali trattano e regolamentano obiettivi
riguardanti le azioni politico-amministrative preposte alla
salvaguardia e alla valorizzazione dei territori montani45
o
pedecollinari, per il sostegno all’agricoltura, la pesca e la
tutela della flora. Alcuni documenti46
segnalano le
positive ricadute in termini di sviluppo sociale, economico
e culturale delle popolazioni insediate in queste aree.
42
Il presente paragrafo è stato in larga parte redatto da Claudio Pedroni
43 Il Capitolo 6 redatto da Arlotti e Laghi tratta svariati
aspetti: - la manutenzione dal punto di vista gestionale, i contributi economici previsti all’interno dei nuovi PSR (Piani di Sviluppo Rurale 2014 – 2021), le modalità per accedere a questi contributi per le Associazioni di Promozione Sociale (Italia Nostra, Touring Club, Trekking Italia,..) e le positive ricadute occupazionali; - la percorribilità, in termini di diritto di accesso (percorsi ciclabili o pedonali, presenza di eventuali interruzioni che impediscono da un lato la percorribilità del tratto e dall’altro – determinano l’impossibile manutenzione, segnalazione di eventuali problemi lungo il tracciato). - Le Reti di uso pubblico come la RER (Rete Escursionistica dell’Emilia Romagna) e gli accordi con i proprietari dei fondi per incentivare microprogetti a rete (una volta resi nuovamente percorribili i tracciati la regolamentazione adottata prevede l’immediata iscrizione di essi tra le servitù ad uso pubblico ).
44 Si veda il piano per la Rete Escursionistica della
Regione Basilicata che include anche un prezziario delle opere per la realizzazione o la manutenzione dei tracciati http://www.regione.basilicata.it/giunta/files/docs/DOCUMENT_FILE_2979249.pdf
45 Si veda la Direttiva relativa alla viabilità locale a
servizio dell’attività agro-silvo-pastorale (Allegato alla DGR Regione Lombardia n. VII/14016 del 8 agosto 2003)
http://ita.arpalombardia.it/ITA/console/files/download/8/Curti.pdf
46 Delibere, Piani di Sviluppo Rurale, ecc.
La limitata disponibilità finanziaria che è in genere
destinata a questo tipo di viabilità comporta la necessità
di contenere i costi di costruzione, ed ha come
conseguenza quella di ridurre al minimo lo sviluppo
lineare dei tracciati, aumentando in modo eccessivo le
pendenze longitudinali e limitando la realizzazione delle
opere di mitigazione.
Il contenimento dei costi comporta in particolare il
sacrificio delle opere di regimazione delle acque
superficiali, cui non viene data la necessaria attenzione.
E’, infatti, ancor oggi frequente il caso di progetti che
prevedono l’allargamento e l’adeguamento di carrarecce
e mulattiere, destinate nel passato al transito pedonale e
del bestiame, aventi pendenze superiori al 20%. Tutto ciò
ha come conseguenza la necessità di realizzare frequenti
manutenzioni straordinarie.
Nel considerare la viabilità minore/rurale ancor prima
della classificazione e del censimento la questione si
pone ogni giorno di più in termini di tutela considerate da
una parte l’abbandono e dall’altra l’aggressione delle
pianificazioni territoriali al paesaggio e ai relativi corridoi
di attraversamento sedimentati nei secoli.
Ottimisticamente si può prevedere una catena virtuosa
che incentivi la tutela di questo patrimonio, inteso sia
come risorsa per attività escursionistiche sia modalità di
lettura del territorio. La tutela peraltro passa attraverso la
classificazione del sistema dei tracciati e la possibilità di
garantirne il transito ai pedoni e ai ciclisti. In molti piani
viene indicata la necessità di presidiare questi percorsi
evitandone il degrado e garantendone la sopravvivenza.
Con esplicito riferimento alla vasta rete di tracciati ad uso
specifico (strade di argine, strade di bonifica, strade in
capo a specifici Enti) si evidenzia la necessità di porre
sotto tutela la transitabilità dei territori ovvero la possibilità
che si possa liberamente percorrere il nostro Paese nel
rispetto di antichi usi e diritti.
Questo schema di rete lenta (mutuando una definizione
in uso nella vicina Svizzera) non considera soltanto la
viabilità riservata (ovvero libera da traffico motorizzato
piste ciclabili, greenway, sentieristica), ma include tutta la
viabilità aperta al traffico, opportunamente moderato,
71
poiché non si può escludere che la promiscuità dell’uso
della strada sia in realtà l’unica garanzia di sopravvivenza
della stessa. Le strade abbandonate sono evidentemente
più vulnerabili assieme al territorio cui sono al servizio.
In altre parole si tratta di recuperare e valorizzare una
viabilità minore “sommersa” dimenticata o soffocata da
incuria o ancor peggio da arbitrarie chiusure, per stabilire
o ristabilire principi di usi pubblici di percorsi sovente
antichissimi e – specie nel nostro Paese - di indubbio
valore storico sebbene questa “rete minore” non risulti
ricompresa nel censimento previsto dalla Normativa47
vigente.
Dal punto di vista normativo la questione è piuttosto
complicata poiché gioca intorno a equilibri delicati fra
proprietà private e usi pubblici, dove quest’ultimi per il
mutare delle condizioni della campagna e dei suoi
abitanti sono oggi molto meno evidenti.
Da sottolineare inoltre che l’incertezza di attribuzione
dell’uso pubblico è tanto maggiore quanto minore è lo
standard del sedime e d’altra parte questi sedimi minori
sono le risorse migliori, più diffuse, disponibili e spesso
ricche di storia, e costituiscono larga parte della rete della
viabilità minore. Tutto questo porta di fatto ad una zona
grigia dove lo status della strada minore è meno definito.
Questa zona d’ombra si colloca fra il regime delle strade
sicuramente pubbliche che sono anche per definizione
del CdS le strade statali, le ex statali (ora regionali) , le
provinciali e le comunali e il regime delle strade private o
comunque a regime pubblico – privato48
come le strade
47
Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici del Primo giugno 2001 Modalità di istituzione ed aggiornamento del Catasto delle strade ai sensi dell'art. 13, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni (G.U. n. 5 del 7 gennaio 2002- s.o. n.6)
48 A volte sorgono infatti dubbi interpretativi sulla reale
consistenza del patrimonio pubblico e sull’effettiva transitabilità. Se i frontisti hanno acquistato tutte le proprietà che costituivano il precedente consorzio di gestione della strada e ne determina la chiusura con il pretesto di esserne il solo utente, il transito risulta impedito. Se nessuno fa valere il diritto di uso pubblico è possibile che dopo un certo tempo questo uso pubblico sia irrilevante ovvero indimostrabile. Non si può nascondere come spesso l’uso pubblico delle strade minori non venga neppure rivendicato dai Comuni ( per i conseguenti oneri di manutenzione che ne derivano), che optano per lasciare ai frontisti latistanti tutti gli oneri. Le successive chiusure rappresentano quindi atti se non giustificati ampiamente tollerati.
private propriamente dette ovvero strade che
appartengono a qualcuno e questo qualcuno dispone
della strada come crede e le strade non di uso pubblico
come strade forestali, strade della bonifica, strade
dell’ENEL, strade militari, strade d’argine o strade alzaie,
tratturi/trazzere ecc.
Per mantenere o implementare queste reti lente devono
essere attivate procedure di controllo del patrimonio dei
percorsi esistenti: si tratta di procedere con sistemi
informativi certificati che riportino tutta la viabilità
pubblica, operazione che deve essere a cura delle
Amministrazioni preposte e finalizzata alla chiara
restituzione dei risultati di censimento ovvero con
palesamento delle strade “sommerse” attraverso
cartografia, toponomastica.
Per il recupero dei tratti di rete non più transitabili o
semplicemente occultati occorre procedere con ricerche
storiche sulla viabilità che caratterizzava quel territorio e
individuare per quali motivi è cessata la funzione
pubblica. Questo recupero potrebbe anche passare
attraverso opere più onerose, come ad esempio il
ripristino di ponti, di passerelle, di tratti franati che
abbiano interrotto corridoi strategici per la rete lenta.
L’ammodernamento della rete stradale costituisce una
importante e costante attività delle amministrazioni locali
e dell’ANAS e, in genere, si realizza attraverso la
costruzione di gallerie e viadotti con l’obiettivo di rendere
più breve ed efficiente l’infrastruttura.
Questo ammodernamento tuttavia spesso comporta la
creazione di ostacoli alla percorrenza da parte di queste
nuove infrastrutture per l’utenza debole. Il legislatore
aveva già previsto il problema introducendo nel CdS
all’art 14 il punto 2 bis che recita: ”gli enti proprietari delle
strade provvedono altresì, in caso di manutenzione
straordinaria della sede stradale, a realizzare percorsi
ciclabili adiacenti purché realizzati in conformità ai
programmi pluriennali degli enti locali, salvo comprovati
problemi di sicurezza.”
Poiché a volte la costruzione della pista ciclabile a lato
dell’infrastruttura potrebbe non essere utile od opportuna
si ritiene, nel rispetto dello spirito del citato articolo,
72
avanzare le seguenti proposte al fine di garantire la
continuità territoriale per l’utente debole.
Recupero dei percorsi dismessi: attraverso il riutilizzo dei
vecchi sedimi inutilizzati a seguito di introduzione di
viadotti e gallerie con la necessaria dotazione di raccordi,
scivoli e ponticelli per rendere possibile il transito del
pedone e ciclista. Ove la vecchia viabilità risultasse
impraticabile prevedere soluzione ad hoc per il
superamento della interruzione ciclabile a lato del
viadotto oppure marciapiede adeguato per gallerie
(brevi). Evidentemente quanto sopra comporta anche
l’individuazione di un ente che si deve fare carico della
manutenzione e sicurezza di questi tratti recuperati. Per il
vecchio sedime deve anche essere prevista l’idonea
attribuzione di proprietà ovvero il vecchio sedime è
ceduto alla Provincia, al Comune ecc.
Nuovi sottopassi: la costruzione di nuove importanti
infrastrutture (TAV, Tangenziali ecc.) comporta spesso
l’introduzione di nuovi ampi lunghi e profondi sottopassi
che risultano in situazione di grosso pericolo per l’utenza
debole quando non un ostacolo vero e proprio ad
esempio per bambini o anziani. Si ritiene di estrema
importanza che sia sempre prevista in sede di
approvazione del progetto la dotazione di un percorso
ciclopedonale a lato di corsia ad altezza differenziata
rispetto alla sede principale
Continuità territoriale su viabilità minore: Nello stesso
caso precedente spesso le nuove infrastrutture risultano
in segmentazioni territoriali insostenibili con la brutale
cancellazione di continuità sulla viabilità minore a volte
anche di valore storico e paesaggistico. Di nuovo si
chiede, per quanto possibile, di mantenere la viabilità
vecchia con scatolari, sottopassi, piccoli viadotti
ciclopedonali attraverso ad esempio la richiesta,
avanzata in sede progettuale, di attenta analisi di questa
viabilità minore, rurale, vicinale e di salvaguardarla per
farla diventare un risorsa per le reti ciclabili e/o di
greenways altrettanto utile al territorio come le altre reti di
rango superiore. Questo di nuovo in ossequio al
richiamato CdS all’art 14 il punto 2 bis.
La rete lenta può altresì avvalersi di altre opere che
opportunamente sistemate possano generare un sedime
ciclopedonale: ex ferrovie, condotte fognarie o dorsali
acquedottistiche, posa di cavi ottici, sono esempi in tal
senso.
Come già detto la rete lenta può avvalersi di viabilità
minore a traffico promiscuo con carichi bassi o
trascurabili di veicoli a motore. Nel codice della strada
attraverso la definizione di Itinerario Ciclopedonale: all’Art
2 C.d.S lettera F bis può essere utilizzato per definire una
particolare infrastruttura dove l’utente debole è tutelato in
misura maggiore rispetto alla viabilità generale49
.
La disciplina del traffico sulle strade di montagna non
soggette al pubblico transito motorizzato, viene definita
dalla Giunta regionale con regolamento-tipo che viene
adottato dai singoli Comuni con le specificazioni del caso.
Le strade agro-silvo-pastorali sono infrastrutture
finalizzate a un utilizzo prevalente di tipo
agro-silvo-pastorale, non adibite al pubblico transito. Il
transito è disciplinato da un regolamento comunale,
49
Interessante a questo proposito l’esempio della Provincia di Torino e l’esperienza delle “ciclostrade” http://www.fiab-areatecnica.it/formazione/convegni/345-piano-provinciale-delle-piste-ciclabili-provincia-di-torino.html
Si veda anche http://www.arpnet.it/becana/cicloturismo/itinerari/cicl_stupinigi_pinerolo.htm
73
approvato sulla base dei criteri stabiliti dalla Giunta
regionale.
Per il territorio di rispettiva competenza, le Province, le
Comunità Montane e gli Enti gestori dei parchi,
compatibilmente con i regimi di tutela ambientale e i
relativi strumenti di pianificazione, predispongono piani di
viabilità agro-silvo-pastorale, nell'ambito dei piani di
indirizzo forestale, allo scopo di razionalizzare le nuove
infrastrutture e di valorizzare la interconnessione della
viabilità esistente50
.
50
La “Direttiva relativa alla viabilità locale di servizio all’attività agro-silvo-pastorale” dell’8/8/2003 costituisce il documento legislativo della Regione Lombardia inerente al campo della viabilità e dei trasporti. Questo elaborato, dopo aver classificato e regolamentato le tipologie di strada, sviluppa i temi fondamentali della pianificazione degli interventi, dettando in primis le linee guida per la formulazione del Piano della “Viabilità Agro Silvo Pastorale” (Piano della Viabilità ASP o VASP), e in secondo luogo indicando le linee guida riguardo alla costruzione di nuove infrastrutture, evidenziando gli aspetti progettuali principali e le procedure amministrative che regolamentano i metodi d’intervento. La Direttiva 8/8/2003 definisce: - le strade agro-silvo-pastorali; - la viabilità minore di tipo pedonale; - le classi stradali in base alle caratteristiche costruttive, al fine di definire i mezzi che le possano percorrere con i relativi carichi massimi ammissibili. - la metodologia per la redazione del Piano della viabilità agro-silvo-pastorale su due livelli di complessità, censimento e catasto, per definire il quale si richiedono specifici rilievi di campagna; - linee d’indirizzo tecnico per la realizzazione di nuove strade e manutenzioni; - un manuale tecnico per una corretta progettazione “Linee guida per la progettazione della viabilità agro-silvo-pastorale in Lombardia”; - il Regolamento tipo per disciplinare l’accesso e il transito sulla viabilità agro-silvo-pastorale; - la convenzione con soggetti privati e la dichiarazione d’assenso fra privati per disciplinare l’accesso e il transito sulla viabilità agro-silvo-pastorale di proprietà privata. Scopo del documento, non è quello di fornire disposizioni vincolanti,
La classificazione della rete Agro Silvo Pastorale in
Lombardia51
Attualmente risultano essere definite le seguenti tipologie
di strade:
- Strade agro-silvo-pastorali: infrastrutture polifunzionali,
finalizzate ad utilizzo prevalente di tipo
agro-silvo-pastorale (di seguito ASP), non adibite al
pubblico transito, non soggette alle norme del Codice
della Strada, nelle quali il transito è sottoposto
all’applicazione di uno specifico regolamento.
Consentono il collegamento tra le strutture
agro-silvo-pastorali o le aree forestali o adibite a pascolo
e le strade locali o interpoderali del Comune.
Queste strade sono tracciati permanenti che presentano
particolari caratteristiche costruttive (larghezza,
pendenza, ecc.) soggette a periodiche manutenzioni e
con specifiche tipologie per le opere d’arte da collocarsi,
opere che devono essere di ridotto impatto ambientale.
Le strade agro-silvo-pastorali sono oggetto dello
specifico Piano della VASP.
- Piste forestali: infrastrutture temporanee, a funzionalità
limitata, realizzate solo per l’esecuzione di specifici lavori
forestali, sistemazioni di tipo idraulico-agrario-forestale e
opere di difesa del suolo. Hanno un utilizzo limitato nel
tempo proprio in funzione degli interventi da realizzarsi
nell’area servita dalla pista, per cui il tracciato dovrà in
ogni caso essere ripristinato al termine dei lavori. Le
caratteristiche delle piste forestali, non prevedono la
realizzazione di opere d’arte, necessitano della sola
risagomatura del terreno. Non rientrano nel Piano della
Viabilità ASP e possono fare parte dei progetti di taglio
boschivo o per l’avvio di opere di cantiere o per progetti di
sistemazione o difesa del suolo.
- Tracciati minori costituiti dall’insieme di percorsi, distinti
in mulattiere, sentieri e itinerari alpini, che per le loro
caratteristiche tecniche siano a prevalente uso pedonale.
Nonostante la funzione principale sia di tipo ricreativo,
storico o culturale (si pensi ad esempio ai tracciati delle
quanto favorire maggiori conoscenze tecniche e incentivare la sensibilità ambientale. La classificazione delle strade si adegua alla situazione infrastrutturale nelle zone montane o collinari, ove la maggioranza delle strade risulta essere polifunzionale poiché, sebbene sia prevalente l’uso agricolo e forestale, risulta interessata da un rilevante utilizzo turistico o ricreativo.
51 Questo paragrafo è stato redatto grazie al contributo di
Stefano Corsi
74
strade militari della prima guerra mondiale), possono
ricoprire un ruolo significativo nella gestione attiva del
territorio montano, in quanto spesso risultano essere le
uniche vie d'accesso in ambienti difficili.
La Direttiva Regione Lombardia 8/8/2003 inoltre
definisce gli enti proprietari e quindi responsabili della
rete, in particolare indica come parte della rete stradale
minore possa essere di proprietà pubblica (Comuni ecc.)
o privata, oppure possa essere dichiarata di pubblica
utilità. Nel primo caso i Comuni possono classificare le
infrastrutture di proprietà pubblica. Le strade e la viabilità
minore di proprietà pubblica sono da intendersi quelle
infrastrutture permanenti realizzate, o oggetto di
interventi di manutenzione straordinaria da parte di enti
pubblici e che interessano il demanio o terreni privati
espropriati. Inoltre sono da intendersi strade pubbliche
tutte quelle di cui non risulta con precisione la proprietà o
risultino di privati non rintracciabili ovvero che non ne
rivendichino il diritto di proprietà. Su tutte le strade
pubbliche, che sono classificate come
agro-silvo-pastorali, il transito deve essere disciplinato
secondo una specifica regolamentazione.
Qualora invece la proprietà della strada sia di un privato il
Comune può comunque classificarla se risultano essere:
- realizzate o mantenute da privati (anche con eventuali
contributi pubblici);
- costruite per il taglio dei boschi o in zone sottoposte a
vincolo idrogeologico;
- oggetto di richiesta di classificazione e conseguente
inserimento nella “Viabilità agro silvo pastorale” (VASP)
da parte del proprietario.
La classificazione proposta dalla Direttiva 8/8/2003
Regione Lombardia si basa su alcuni aspetti considerati
rilevanti ai fini della transitabilità, in termini di sicurezza e
di sostenibilità: larghezza della carreggiata, pendenza
longitudinale, raggio di curvatura dei tornanti, carico
ammissibile. La necessità di conoscere e classificare la
rete viaria locale è determinata dall’esigenza di codificare
la percorribilità e quindi migliorare la sicurezza su queste
strade. La conoscenza della rete viaria esistente e del
suo stato di conservazione, specie se messa in relazione
con le caratteristiche e l’importanza dell’area servita,
pone le basi per la programmazione delle nuove
infrastrutture e la manutenzione di quelle esistenti.
Per quanto riguarda i carichi, sono consentite deroghe
(solitamente indicate nei Regolamenti Comunali) e sono
possibili carichi superiori a quelli indicati per tutte le
strade, con particolare riferimento a quelle di nuova
costruzione, qualora esplicitamente valutati con prove di
carico.
Per quanto riguarda le caratteristiche di larghezza, raggio
di curvatura e carico ammissibile, viene fatto riferimento
alle caratteristiche commerciali dei mezzi ai quali si
riferisce la relativa classe.
Per quanto concerne le strade di nuova realizzazione si
precisa che la larghezza massima non deve comunque
superare i 4,5 metri comprensivi di banchina.
Per quanto riguarda, invece, la pendenza, viene fatto
riferimento a due aspetti correlati tra loro: sicurezza di
transito dei mezzi (slittamento) ed erosione
(degradazione del piano viabile in termini di transitabilità
e stabilità).
Dal punto di vista della sicurezza, occorre considerare
che questa non è garantita per mezzi a pieno carico su
pendenze superiori a 8-10 % per autocarri pesanti, 10-12
% per mezzi forestali con rimorchio, 14-15 % per trattori
senza rimorchio; tali limiti possono non essere validi per
mezzi speciali.
Date le condizioni orografiche e generalmente complesse
nelle quali si sviluppano queste strade, ed in particolare
quelle a uso prevalentemente forestale, sono ammissibili
brevi tratti in cui le condizioni sopracitate non siano
rispettate, senza per questo declassare l’intera strada.
Per questo motivo è stato introdotto il concetto di
pendenza prevalente, cioè quella pendenza che si
riscontra più frequentemente lungo il percorso e che non
viene superata per almeno il 70-80 % dello sviluppo del
tracciato.
Dal punto di vista dell’erosione, deve essere considerata
la pendenza massima sui singoli tratti, che include i
seguenti aspetti:
- le pendenze elevate innescano processi erosivi
significativi;
- il degrado del piano viario riduce la stabilità della
struttura e peggiora le condizioni di transito;
- su strade di classe inferiore si possono anche accettare
condizioni di transito non ottimali.
75
Sulla base di tali considerazioni sono previsti limiti
massimi, differenti per le diverse classi di transitabilità,
distinguendo tra fondo naturale e fondo stabilizzato.
La classe deve essere indicata mediante apposita
segnaletica di riconoscimento e deve essere definita con
un successivo provvedimento in modo da renderla
omogenea ed univoca su tutto il territorio regionale,
sentite anche le Regioni confinanti.
L’attribuzione della classe avviene nell’ambito di un
censimento di tutte strade locali di tipo
agro-silvo-pastorali esistenti, censimento da effettuarsi a
cura delle Comunità Montane attingendo a tutte le
possibili fonti, ma senza l’obbligo di rilievo in campo.
Il censimento costituisce il primo livello per la stesura del
Piano della Viabilità Agro-Silvo-Pastorale (VASP),
demandandone la stesura alle singole amministrazioni
provinciali e comunità montane, al fine di poter:
- incentivare e promuovere le attività agro-silvo-pastorali;
- favorire la gestione forestale;
- incrementare la fruizione turistico-ricreativa nelle zone
di rilevante interesse paesistico-ambientale;
- facilitare gli studi di carattere territoriale (impatto
ambientale, stabilità idraulica delle soluzioni tecniche
adottate, analisi estimative, studio della valenze del
tracciato, ecc.);
- facilitare la conseguente realizzazione di interventi di
manutenzione diffusa del territorio ed interventi di difesa
del suolo e sistemazione idraulico-agraria-forestale;
- favorire l’analisi delle relazioni che intercorrono tra la
rete viabile forestale e le diverse tipologie di utenza che la
possono utilizzare;
- realizzare gli interventi di manutenzione e di estensione
della rete esistente basandosi su precise scale di priorità.
Regione Lombardia - Classi di transitabilità
Densità comunale delle strade di Viabilità Agro Silvo Pastorale esistenti, metri lineari su ettaro di bosco Fonte: Rapporto sullo Stato delle Foreste in Lombardia, 2012
Ma in realtà le Comunità Montane della Lombardia,
prescrivendo l’inclusione di una strada nell’elenco della
viabilità agro-silvo-pastorale (VASP) possono, di
conseguenza, imporre la chiusura al transito ordinario
motorizzato e qualora vi siano contributi per la
realizzazione e/o manutenzione straordinaria o ordinaria
di strade silvo-pastorali, il Comune gestore è tenuto a
mantenere le strade nel piano VASP52
per un periodo di
almeno 5 anni dall’ultimazione degli interventi.
52
La situazione della viabilità agro-silvo-pastorale (VASP) in Lombardia evidenzia la presenza di 4.302 strade, per un’estensione lineare di circa 5.955 km, e di 1.375 strade di VASP progettate o in costruzione per un’estensione complessiva pari a oltre 1.788 Km. In Lombardia molti Comuni non avevano ancora adottato il Regolamento e richiesto l’inserimento nel Piano della Viabilità Agro Silvo Pastorale (VASP) di tutte le strade poste sul loro territorio, rientranti come caratteristiche e finalità nella viabilità agro-silvo-pastorale: la Direzione Generale Sistemi Verdi e Paesaggio ha autorizzato le Comunità Montane, le Province e gli Enti Gestori dei Parchi Regionali ad implementare il proprio piano. L’inserimento delle strade nei Piani della Viabilità Agro Silvo Pastorale consente di richiedere i contributi sui Bandi della Regione Lombardia, bandi che finanziano tutti gli interventi di manutenzione straordinaria delle strade esistenti o la costruzione delle nuove strade progettate. Con un’estesa di oltre 1.788 Km, le nuove strade agro-silvo-pastorali sono state supportate da specifiche analisi territoriali a dimostrazione dell'effettiva utilità per la loro realizzazione.
76
Ripartizione per classi di transitabilità delle strade di Viabilità Agro Silvo Pastorale esistenti Fonte: Rapporto sullo Stato delle Foreste in Lombardia, 2012
Il Piano VASP consente di classificare la rete secondo un
criterio basato sulla funzionalità della strada,
distinguendo fra tre categorie funzionali:
- strada nodale - strada di importanza strategica per lo
sviluppo multifunzionale di un ambito territoriale definito
e/o di collegamento a zone di rilevante interesse
socio-economico. La buona condizione di questi tracciati
è condizione indispensabile per lo sviluppo del settore
agro silvo pastorale;
- strada primaria - strada di importanza primaria o di
interesse strettamente locale o settoriale;
- strada secondaria - strada di interesse secondario non
funzionale alle strategie di sviluppo d’area o di settore.
Il piano, che ha la durata minima di trentasei mesi, si
compone di tre parti principali:
1) analisi dello stato di fatto;
2) scelta degli interventi progettuali (manutenzione o
nuova costruzione);
3) programmazione e pianificazione degli interventi.
Con l’aggiornamento del Piano VASP è stato richiesto
l’inserimento di quasi 500 strade , portando a 4.302 le
strade agro-silvo-pastorali esistenti dotate di
regolamento di chiusura. L’estesa complessiva delle
strade Agro Silvo Pastoriali in Lombardia è pari circa
7.764 Km. Per quanto attiene le tipologie: quasi la metà
dei tracciati esistenti (1908 tratti) sono di Classe IV,
quindi transitabili solo con piccoli automezzi aventi peso
complessivo inferiore a 50 quintali. La larghezza minima
di questi tracciati è pari a 1,8 metri e i tornanti possono
avere un raggio di 6m.
1.509 tracciati sono di Classe III, transitabili da trattori di
piccole dimensioni (90 CV) con peso complessivo fino a
100 quintali.
805 risultano essere le strade di Classe II, transitabili da
trattori con rimorchio con peso complessivo fino a 200
quintali.
Sono solo 80 invece le strade agro-silvo-pastorali di
Classe I , destinate quindi al transito di autocarri con un
peso complessivo inferiore a 250 quintali. La larghezza di
questi tracciati non può essere inferiore a 3,5 metri e se
presenti , i tornati hanno un raggio di curvatura di almeno
9 m. Con l'ultimo aggiornamento tutte le Comunità
Montane e un Parco Regionale hanno ottenuto la
validazione, parziale o totale, dei Piani VASP da parte
della D.G. Sistemi Verdi e Paesaggio.
Classificazione delle strade di Viabilità Agro Silvo Pastorale esistenti Fonte: Rapporto sullo Stato delle Foreste in Lombardia, 2012
L'aggiornamento dei Piani ha permesso l'individuazione
di 204 nuovi tracciati in progetto o in costruzione,
portando a 1375 le strade individuate come “necessarie”.
Sulle strade agro-silvo-pastorali è vietato il transito ai
mezzi motorizzati ad esclusione di quelli di servizio e di
quelli autorizzati in base ai Regolamenti Comunali.
Conclusioni
Occorre migliorare le caratteristiche della rete viaria
esistente cercando di ridurre i costi di manutenzione
ordinaria; tutte le criticità relative alla cattiva realizzazione
della viabilità minore devono essere superate poiché da
questa rete “minore” dipende lo sviluppo dei territori.
77
Bibliografia
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Symposium on Mobile Mapping Technology, Padova, maggio 2007 A.Cataldo, A. Di Graziano, P.Villlani in AA.VV, Sviluppo e gestione della viabilità extraurbana minore e rurale in Italia: situazione attuale, criticità e prospettive AIPCR, Roma, novembre 2010 M.Vella, Il catasto stradale e i dati di traffico: limiti attuali e proposte di adeguamento, Atti del XVIII Convegno Tecnico ACI “Rete stradale: incidentalità e governo della mobilità” Roma , giugno 2008
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Catasto Strade Comune di Bergamo http://territorio.comune.bergamo.it/gfmaplet/?token=NULLNULLNULLNULL&htmlstyle=combg&map=CatStrade
Catasto strade Comune di La Spezia http://sit.spezianet.it/gisclient/template/spezianet/?mapset=catasto_strade&
Sentieri nel Comune di La Spezia
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Catasto Strade Provincia di La Spezia
http://siti.provincia.sp.it/repertorio/repertorio-cartografico-di-base/view
Catasto strade Provincia di Bologna
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Classificazione strade Provincia di Ancona
http://www.provincia.ancona.it/viabilita/Engine/RAServePG.php/P/250710100303/T/Catasto-stradale-provinciale
Classificazione srade Provincia di Varese
http://www.provincia.va.it/ProxyVFS.axd/null/r13032/Elenco-Rete-Viaria-Provinciale-aggiornata-2014-pdf?ext=.pdf
Direttiva relativa alla viabilità locale a servizio dell‟attività agro-silvo-pastorale (Allegato alla DGR Regione
Lombardia n. VII/14016 del 8 agosto 2003)
http://ita.arpalombardia.it/ITA/console/files/download/8/Curti.pdf
PCN Trasporti (solo Infrastrutture Ferroviarie) http://www.pcn.minambiente.it/geoportal/catalog/search/resource/details.page?uuid=%7B222EACCB-2479-4E20-9357-091F59DDAB8A%7D
PCN (strade provinciali)
http://www.pcn.minambiente.it/geoportal/catalog/main/home.page
Popolazione Residente al 31/12/2013 - Demo Istat http://demo.istat.it/bil2013/
Provincia di Asti – Rilievi di Traffico
http://www.provincia.asti.gov.it/archivio-delle-iniziative/cat_view/938-rilevamento-del-traffico
Rapporto sullo Stato delle Foreste in Lombardia, 2012
http://www.agricoltura.regione.lombardia.it/shared/ccurl/304/669/RAPPORTO_STATO_FORESTE_20
12.pdf
Regolamento per la gestione delle strade vicinali soggette a pubblico transito, Comune di Civitavecchia 23 marzo 2011 http://www.comune.civitavecchia.rm.it/portaldata/UserFiles/File/regolamento/Regolamento%20per%20la%20gestione%20delle%20strade%20vicinali%20soggette%20a%20transito%20pubblico.pdf
Rete escursionistica della Regione Basilicata
http://www.regione.basilicata.it/giunta/files/docs/DOCUMENT_FILE_2979249.pdf
.. - + * + -.
78
RISCHIO IDROGEOLOGICO E RETE VIABILISTICA NAZIONALE MINORE Barbara Dessì, Daniele Spizzichino
ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Dipartimento Difesa del Suolo - Roma 1. Quadro normativo La Legge n. 2359 del 25 giugno 1865 prevedeva che
Prefetti e Sindaci potessero disporre della proprietà
privata in caso rottura degli argini, frane, crollo di ponti e
in tutti i casi di emergenza. Nel 1906 furono emanate
Norme particolari per la difesa degli abitanti e delle
strade da frane, alluvioni ed erosione costiera
determinata da forti mareggiate. Il Regio Decreto n. 193
del 1909 escludeva l’edificabilità su siti inadatti (es.
paludosi, franosi).
Soltanto nel 1989, Legge n.183, l’Italia ha una specifica
risposta organica in termini normativi sulla “Difesa del
suolo” con l’istituzione delle Autorità di Bacino e la
predisposizione di specifici Piani. Con la Legge n. 225
del 1992, fu istituito poi il Servizio Nazionale di
Protezione Civile, per le operazioni di soccorso
nell’emergenza post-evento e per la prevenzione del
rischio. Da oltre venti anni quindi il sistema italiano
struttura gli eventi potenziali a scala di bacino e
determina il quadro conoscitivo di riferimento (periodi di
ritorno, entità dei danni attesi). Infine con il D.L. 180/98
convertito con modificazioni nella L. 267/98 sono stati
avviati una serie di programmi di intervento sia per il
potenziamento delle reti di monitoraggio che per il
finanziamento di interventi urgenti per la mitigazione del
dissesto idrogeologico.
Il D.lgs 152 del 2006, per quanto riguarda la Parte III
(Difesa del suolo, tutela delle acque dall’inquinamento e
servizi idrici), ha inteso riscrivere la L. 183/1989 (Difesa
del suolo), il D.lgs 152/1999 (tutela delle acque
dall’inquinamento), la L. 36/1994 (Servizio idrico
integrato), oltre ad alcuni articoli del TU 1775/1933, e
delle disposizioni settoriali sulla concessione dei servizi
pubblici. Nell’artt. 55, 56 (CAPO I), si fa espresso
riferimento al ruolo del Servizio Geologico d’Italia -
Dipartimento difesa del suolo dell’Agenzia per la
protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici - APAT
(oggi ISPRA), in materia di attività conoscitiva,
pianificazione, programmazione e monitoraggio per
quanto attiene alla materia specifica della Difesa del
Suolo, mentre negli articoli 58 59 e 60 (CAPO II),
vengono definite le competenze in tema di uso del suolo
e dissesto idrogeologico tra il Ministero dell’Ambiente e
le amministrazioni locali, avvalendosi sempre del
Servizio Geologico d’Italia - Dipartimento difesa del suolo
dell’Agenzia per la protezione dell’Ambiente e per i
Servizi Tecnici - APAT (oggi ISPRA). In particolare
vengono abrogate le Autorità di Bacino dal 30 Aprile
2006 ed emanati i distretti idrografici art. 64 (TITOLO II,
CAPO I), per i quali vengono definiti gli strumenti e le
modalità di adozione e approvazione. Nell’ultima parte
(CAPO III) sono definiti i criteri 2007/60 di intervento
(art. 69) le modalità di adozione dei programmi, di
attuazione e di finanziamento degli interventi (artt. 70, 71
e 72).
Da ricordare infine come normativa specifica di settore
anche il recepimento della direttiva comunitaria 2007/60
con la legge 49 del 2010 relativa alle attività di
valutazione e di gestione dei rischi di alluvioni al fine di
ridurre le conseguenze negative per la salute umana, per
il territorio, per i beni, per l'ambiente, per il patrimonio
culturale e per le attività economiche e sociali derivanti
dalle stesse alluvioni.
2. Rischio idrogeologico
Il rischio definisce la possibilità che un fenomeno
naturale o antropico possa causare effetti dannosi sulla
popolazione, sugli insediamenti, sulle infrastrutture o in
generale su quelli che vengono definiti elementi esposti.
Il concetto di rischio è legato non solo alla capacità di
calcolare la probabilità che un evento pericoloso accada,
ma anche alla capacità di definire e quantificarne il
danno provocato. Rischio e pericolosità non sono la
stessa cosa: la pericolosità rappresenta la probabilità di
accadimento dell’evento calamitoso che può colpire una
certa area (la causa), il rischio è rappresentato dalle sue
79
possibili conseguenze, cioè dal danno atteso
(l’effetto/conseguenze).
Per valutare concretamente il rischio, quindi, non è
sufficiente conoscere la pericolosità (probabilità di
accadimento di un determinato evento), ma occorre
anche stimare attentamente il valore esposto, cioè dei
beni presenti sul territorio che possono essere coinvolti
da un evento.
Il rischio è generalmente definito tramite la seguente
espressione:
R = P x V x E
P = Pericolosità: la probabilità che un fenomeno di una
determinata intensità si verifichi in un certo periodo di
tempo, in una data area.
V = Vulnerabilità: la vulnerabilità connessa ai danni
potenziali per persone, edifici, infrastrutture, attività
economiche. Possibilità di subire danni a seguito di
sollecitazioni indotte da eventi di una certa intensità (di
solito è espressa da una scala che va da 0 = nessuna
perdita a 10 perdita totale).
E = Esposizione o Valore esposto: è il numero di unità (o
"valore") di ognuno degli elementi a rischio presenti in
una data area, infrastrutture o insediamenti.
3. Eventi naturali geologico idraulici e serie
storiche
La serie storica degli eventi franosi che hanno
interessato il territorio nazionale è segnata da eventi
particolarmente rilevanti e tra i quali si possono citare:
- inondazione di Pieve Santo Stefano (Arezzo)
causata dall’occlusione del fiume Tevere verificatasi
dopo l’evento franoso di Belmonte il 14 febbraio
1855; dopo un mese di precipitazioni incessanti, una
frana si stacca dal colle e scivola a sud del paese.
La diga naturale formatasi fa scomparire sotto le
acque Pieve Santo Stefano. Il Granduca Leopoldo II
giunge per un sopralluogo e naviga incredulo sul
paese (la parete esterna del Santuario della
Madonna dei Lumi, riporta una lastra in marmo
indicante il livello raggiunto dalle acque in questo
punto sopraelevato del territorio).
- L'alluvione del Polesine del novembre 1951 fu un
evento catastrofico che colpì gran parte del territorio
della provincia di Rovigo e parte di quello della
provincia di Venezia (Cavarzerano), causando 84
vittime e più di 180.000 senzatetto, con molte
conseguenze sociali ed economiche.
- Il 25-26 ottobre 1954, colate di fango e detriti
prodotte da piogge particolarmente intense
inondarono alcuni quartieri di Salerno e cinque
Comuni limitrofi (Cava dei Tirreni, Maiori, Minori,
Tramonti e Vietri) causando danni ingenti e vittime:
318 morti o dispersi, 157 perone infortunati e circa
5.500 sfollati. Le strade e la rete ferroviaria tra
Napoli e Sud d'Italia furono distrutte in più punti.
- Il 9 ottobre 1963, circa 300 milioni di metri cubi di
roccia si staccarono dalle pendici del Monte Toc, ai
confini delle province di Belluno e Pordenone, e
scivolarono nel lago artificiale del Vajont. L'enorme
frana in roccia, una delle più ampie nelle Alpi in
epoca storica, spinse l'acqua dell'invaso contro
Casso ed Erto, due villaggi posti sul versante
opposto a quello dal quale si staccò la frana, ed oltre
la diga artificiale. Un'onda di alcune decine di metri
d'altezza superò la diga, quasi senza rovinarla, e
raggiunse in pochi minuti l'abitato di Longarone, che
venne inondato e distrutto alle 20:46, 7 minuti dopo
il distacco della frana. La disastrosa frana del Vajont
provocò la morte di circa duemila persone.
- Il 3 e il 4 novembre 1966, in quella che poi sarà nota
come “l’alluvione di Firenze” le piogge in Italia furono
talmente forti che nella sola provincia di Belluno
determinarono frane e crolli: furono distrutti o
danneggiati oltre 4300 edifici, 528 ponti e 1346
strade, alcune delle quali in più punti.
- Il 7 ed 8 ottobre 1970 le piogge localizzate ma molto
intense, tipiche della costa ligure, fecero cadere 900
mm d'acqua in 24 ore, corrispondenti al 90% della
pioggia media annua e determinarono danni a
Genova e in venti Comuni limitrofi. furono interrotte
in più punti dalle inondazioni e dalle frane sia le
strade sia le due linee ferroviarie tra Genova e
Alessandria.
- Il 13 dicembre 1982, una grande frana profonda si
mise in movimento immediatamente a nord del porto
di Ancona e coinvolse 342 ettari di territorio.
L'esteso movimento franoso danneggiò la strada
costiera e la ferrovia lungo un fronte di circa 2,5
80
chilometri e distrusse oltre 280 edifici tra cui due
ospedali e la Facoltà di Medicina dell'Università di
Ancona.
- Il 17-19 luglio 1987, in Valtellina (Lombardia), piogge
intense e prolungate causarono centinaia di frane e
colate di detrito ma pochi giorni dopo, il 28 luglio,
una valanga di roccia di 35 milioni di metri cubi si
staccò dal Monte Zandilla, circa 7 km a sud di
Bormio, e precipitò nella valle dell'Adda,
ostruendola. In totale si contarono 49 morti, 12
dispersi e 31 feriti. La sola valanga di roccia causò
27 morti e 9 feriti. A valle della grande frana vennero
evacuate oltre 20.000 persone per diverse
settimane. Danni vennero rilevati in 162 comuni, in 5
province (Sondrio, Como, Lecco, Bergamo e
Brescia), per un danno economico totale valutato fra
1000 e 2000 miliardi di lire (1987).
- Fra il 2 ed il 6 novembre 1994, l'Italia nord-
occidentale fu interessata da un evento
meteorologico particolarmente intenso e la regione
più colpita fu il Piemonte, dove migliaia di frane
causarono 78 morti, un disperso e 93 feriti. Gli
evacuati furono 9500. I danni interessarono 496
Comuni, e furono particolarmente gravi per la rete
stradale. I ponti completamente distrutti furono 10 e
quelli danneggiati circa 100. Nel Piemonte
meridionale alcuni centri abitati rimasero isolati per
diversi giorni a causa dei danni prodotti dalle frane in
molti punti. I danni maggiori si verificarono nella
valle del fiume Tanaro, ad Alba, Asti ed Alessandria.
- Il 19 giugno 1996, quella che poi sarà nota come
l’alluvione della Versilia, cadono 474 mm di pioggia
in 12 ore, causando centinaia di frane di versante in
un bacino idrografico molto ristretto, con esiti
devastanti per il fondovalle e l'allagamento di ampie
zone della pianura, 13 morti e 1500 senzatetto.
- Il 5 maggio 1998, in quella che sarà poi nota come
la “frana di Sarno”, la pioggia insistente innescò
numerose colate di detriti sul massiccio del Pizzo
d'Alvano, ad est di Napoli. Le frane interessarono
suoli vulcanici non consolidati e furono
particolarmente distruttive. Gli abitati di Episcopio,
Siano, Bracigliano e Quindici vennero inondati da
ripetute ondate di fango e detriti. Si contarono 157
morti, 5 dispersi e 70 feriti, in almeno 13 diverse
località. Gli sfollati ed i senzatetto furono centinaia.
L'evento produsse un notevole impatto in tutta l'Itala
ed all'estero, e determinò la stesura di una nuova
legislazione sulle procedure per la valutazione del
rischio da frana.
- Nei giorni dell’ 8,9 e 10 settembre 2000 una
alluvione a Soverato. Cadono 561 mm di pioggia in
tre giorni con 13 morti.
- Fra il 13 ed il 16 ottobre 2000, l'Italia nord-
occidentale venne interessata da un evento
meteorologico particolarmente intenso. Nelle Alpi
occidentali caddero fino a 600 mm di pioggia in 48
ore. Le piogge intense produssero numerose frane,
colate di detrito e determinarono inondazioni in Valle
d'Aosta, Piemonte e Liguria. I danni maggiori si
ebbero in Valle d'Aosta. Le frane causarono danni
ingentissimi e 37 morti o dispersi (18 in Valle
d'Aosta, 5 in Piemonte, 3 in Liguria, 1 in Trentino-
Altro Adige e 10 in Canton Ticino in Svizzera), oltre
40.000 persone evacuate.
- Il 29 agosto 2003 in Val Canale e Canal del
Ferro (Udine) piogge violente concentrate nel tempo
e nello spazio (oltre 300 mm di pioggia in circa 6
ore) determinarono una frana sull’autostrada A23.
- Nell’ottobre 2009 nelle frazioni di Giampilieri
Superiore, Altolia e Briga Superiore (Messina) e nel
Comune di Scaletta Zanclea le forti piogge
innescarono il dissesto idrogeologico: una serie di
frane e colate detritiche travolgono numerose strade
tra Giampilieri Superiore e Scaletta Zanclea.
- Tra il 13 ed il 17 febbraio a San Fratello (ME) la
riattivazione di un enorme movimento franoso causa
circa 2000 sfollati.
- 25 e 26 ottobre 2011 Alluvione in Lunigiana e cinque
terre, sei ore 542 mm di pioggia, 13 vittime
- Il 04 Novembre 2001 un flash flood colpisce la città
di Genova causando 6 vittime.
- L’11 novembre 2012 nella Provincia di Massa e
Carrara un nubifragio investe tutto il territorio con
precipitazioni superiori ai 200 mm in due ore. Si
conteranno accumuli prossimi ai 300 mm nelle
colline. Le forti piogge innescano numerose frane:
5000 abitazioni colpite e 300 sfollati.
- Il 28 novembre 2012 tra Carrara e Ortonovo al
confine tra Liguria e Toscana, a distanza di due
settimane dall'alluvione dell'11 novembre, un nuovo
forte temporale si abbatte sulle medesime zone e
determina nuove frane e ingenti danni alle zone già
interessate precedentemente. Viene chiusa per
81
frana la Statale Aurelia tra Massa e Sarzana. Elevati
gli accumuli pluviometrici: 40 mm in 15 minuti,109
mm in 45 minuti, 134 mm in 60 minuti, fino ad un
complessivo accumulo di 200mm in quasi due ore.
- Tra il 18 ed il 20 Novembre del 2013 nella zona di
Olbia in Sardegna, sono piovuti più di 400 mm di
pioggia causando 16 vittime ed un disperso.
4. Impatti del dissesto idrogeologico in Italia e nel
mondo
Le catastrofi naturali ed in particolare quelle geologiche
ed idrauliche, sia a scala europea che mondiale,
sembrano registrare un forte incremento a livello globale
(da CRED EM-DAT, 2011). Lo stesso trend sembrerebbe
essere riscontrabile nelle serie storiche italiane dove, ad
esempio, si registrano 4 eventi ultrasecolari in Piemonte
negli ultimi 10 anni (annuario ISPRA, 2013).
Figura 1. Disastri naturali 1900 – 2011 (EM-DAT)
Figura 2. Numero di morti a seguito di disastri naturali 1900-2011
Figura 3. Numero di feriti a seguito di disastri naturali 1900-2011
82
Figura 4. Stima dei Danni (in milioni di dollari) causati da disastri naturali 1900-2011
Il territorio nazionale italiano, data la sua conformazione
orografica, geologica e geomorfologica caratterizzata da
un’orografia giovane e da rilievi in sollevamento, è
sempre stato interessato da fenomeni idraulici e
geologici (fenomeno impropriamente chiamato, anche se
ormai d’uso corrente, “dissesto idrogeologico”) di
notevole intensità. Tra il 1279 ed il 2002, in Italia, il
catalogo AVI Aree Vulnerate Italiane, realizzato dal CNR-
IRPI (Guzzetti & Tonelli, 2004) riporta 4.521 eventi con
danni di cui 2.366 relativi a frane (52,3%), 2.070 ad
inondazioni (45,8%) e 85 a valanghe (1,9%). Nello
stesso periodo sono state registrate 13,8 vittime l’anno in
occasione di fenomeni franosi e 49,6 vittime per
fenomeni alluvionali (fonte AVI CNR-IRPI). Negli ultimi 50
anni tali stime riportano una diminuzione delle vittime
causate da fenomeni idraulici (31 vittime l’anno), con un
aumento esponenziale dei costi economici a questi
associati (fonte: annuario ISPRA, 2011).
Figura 5. Danni provocati dalla frana nel comune di Montescaglioso (MT), 3 Dicembre 2013
Solo nel XX secolo sono stati registrati in Italia oltre
10.000 tra morti, feriti e dispersi, 350.000 persone tra
senza tetto e sfollati, migliaia di case, decine di migliaia
di ponti e centinaia di chilometri di strade e ferrovie
distrutte o danneggiate.
83
Anno N. frane N. alluvioni 1991 705 * 112 * 1992 780 * 125 * 1993 557 * 95 * 1994 692 * 84 * 1995 744 * 81 * 1996 2272 * 152 * 1997 2455 * 103 * 1998 1671 * 84 * 1999 700 * 73 * 2000 1177 * 72 * 2001 322 * 22 * 2002 2003 2004 11 ** 2005 12 ** 2006 17 ** 2007 15 ** 2008 13 ** 2009 >100 ** 7 ** 2010 88 ** 14 ** 2011 70 ** 8 ** 2012 85 ** 10 ** 2013 112** 20** * Fonte AVI - ** Fonte Annuario Dati Ambientali ISPRA 2013
Tabella 1. Numero di frane e alluvioni catalogate in Italia per anno (Fonte AVI o ADA ISPRA)
Eventi quali quelli della Val Pola, nella regione
Lombardia (28 luglio, 1987) con 28 vittime, l’alluvione del
Piemonte (settembre 1994) con 69 vittime, l’alluvione e
le frane in Versilia (giugno 1996) con 16 vittime, le frane
in Campania (maggio 1998) con 160 vittime, l’alluvione di
Soverato (settembre 2000) con 13 vittime, quella in Val
d’Aosta e Piemonte (novembre 2000), i fenomeni del
2003 in varie aree del Paese, le colate di detrito a
Giampilieri e Scaletta Zanclea nel comune di Messina
nell’ottobre del 2009 con 31 vittime, 6 dispersi e 1054
sfollati, l’alluvione in Lunigiana e nelle Cinque terre il 25
e 26 ottobre 2011, l’alluvione a Genova del 04 novembre
2011 e l’alluvione del 28 novembre 2012 tra Carrara e
Ortonovo al confine tra Liguria e Toscana rappresentano
soltanto gli episodi più recenti di una situazione generale
di incompatibilità tra le politiche di sviluppo socio-
economico fino ad oggi adottate e le dinamiche proprie
dell’ambiente naturale. Il rapporto Ecosistema a Rischio
(Legambiente & Protezione Civile, 2011), stima che nel
solo decennio 1991- 2001 in Italia, si siano verificate 12
mila frane e oltre mille piene, causando 340 vittime e
danni economici calcolati in oltre 10 miliardi di euro. Solo
nel 2003 i principali eventi alluvionali hanno coinvolto più
di 300 mila persone e le risorse economiche necessarie
al ripristino delle aree colpite, sono state pari a 2.184
milioni di euro. Tantissimi sono gli episodi di piena e gli
allagamenti minori che ogni anno provocano alluvioni di
aree agricole oppure interessano piccoli o grandi centri
urbani, causando danni notevoli anche senza vittime.
84
Figura 6: Vittime delle principali alluvioni in Italia (annuario ISPRA 2013)
Uno studio del MATTM, a seguito delle indagini
effettuate dalle Autorità di Bacino, in attuazione al D.L.
180/98 e sue successive modificazioni ed integrazioni
(“Decreto Sarno”) ha evidenziato la presenza in Italia di
circa 13.000 aree a rischio elevato e molto elevato per
alluvioni, frane e valanghe. Queste aree sono estese
29.517 Km2, pari al 9.8% del territorio nazionale (4.1%
alluvioni, 5.2%frane, 0.5% valanghe) riguardano 6.633
comuni italiani (81.9%), centri urbani, infrastrutture e
aree produttive, tutti strettamente connessi con lo
sviluppo sociale ed economico del Paese (Fonte
MATTM, 2008).
Figura 7. Sintesi studio MATTM 2008
Nel periodo 1993-2003 sono state stanziate risorse
economiche per oltre 1 Mld di €/anno per i danni
determinati dai soli eventi alluvionali e si dovrà indagare
su quale sia stato il costo sostenuto negli anni successivi
al 2003. I costi medi annuali per interventi statali sono
stati pari a circa 600 Mln di €/anno (dati aggiornati al
2009), il 25% riguarda interventi ex D.L. 180/98 (circa 4.5
MLD in 11 anni), su fondi 8x1000 sono stati spesi circa
50 Mln €/anno. Sono a oggi 44 i miliardi di euro stimati e
necessari per mettere in sicurezza il territorio italiano (27
85
al centro Nord, 13 al Sud, 4 per gli interventi di recupero
delle coste) 10.000 il numero di vittime feriti o dispersi in
Italia tra il 1900 e il 2013 a causa del dissesto
idrogeologico. Per quanto riguarda i fondi stanziati in
base alle ordinanze di protezione civile post evento il
dato più aggiornato fa riferimento a 353 ordinanze dal
2003 al 2013 per un totale di 3.546.635.769 di euro.
Figura 8. Stima del danno complessivo rispetto al PIL 1951-2011 (Annuario ISPRA 2013)
Il progetto IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia)
dell’ISPRA ha realizzato un quadro completo ed
omogeneo sulla distribuzione delle frane sul territorio
nazionale, anche quando non pericolose per le
infrastrutture urbane e territoriali in genere. Tale
progetto, censisce e mappa i fenomeni franosi verificatisi
sul territorio nazionale. Ad oggi sono state censite
499.511 frane che interessano un’area di 21.182 km2,
pari al 7.0% del territorio nazionale (Trigila, 2013). Per
ciascuna frana è disponibile online una cartografia
informatizzata di dettaglio (scala 1:10.000) e una scheda
contenente i principali parametri descrittivi del fenomeno
(es. ubicazione, tipologia del movimento, stato di attività,
litologia, uso del suolo, cause, data di attivazione, danni
e interventi di sistemazione). L’inventario IFFI è
attualmente uno strumento importante per la definizione
della pericolosità e del rischio da frana alla scala
nazionale E’ infatti un utile strumento di programmazione
per la pianificazione alla scala nazionale, regionale e
provinciale (www.progettoiffi.isprambiente.it). Le analisi
di rischio a scala nazionale hanno evidenziato che:
il 70.5% dei comuni italiani sono interessate da
fenomeni franosi;
che 995.484 abitanti sono esposti al rischio
frana;
e che sono 43.691 i punti critici lungo le
principali infrastrutture di trasporto (vedi fig. 9)
86
Figura 9. Franosità in Italia dal progetto IFFI e criticità lungo le
principali strade e autostrade italiane
Figura 10. Franosità in Italia IFFI Project, ISPRA 2013
87
5. Il Progetto ReNDiS Il progetto ReNDiS (Repertorio Nazionale degli interventi
per la Difesa del Suolo), sviluppato e gestito da ISPRA,
ha come scopo principale la raccolta, l’aggiornamento e
l’implementazione di un database nazionale relativo al
monitoraggio dell’attuazione degli interventi urgenti
finanziati dal MATTM per la riduzione del rischio
idrogeologico (D.L.180 e s.m.i). Il progetto (avviato nel
1999) consiste in una piattaforma web-GIS realizzata
interamente con tecnologie Open Source, e si compone
di un Geodatabase (archivio principale) e di due
applicazioni secondarie, la prima (ReNDiS-ist) per la
gestione del dato e la seconda (ReNDiS-web) di
interfaccia on line per l’accesso pubblico e la
visualizzazione e consultazione dei dati in rete.
All’interno del database ogni informazione è organizzata
come singolo lotto di intervento la cui attuazione (atto di
finanziamento, fase progettuale e fase esecutiva) è
costantemente monitorata a scala nazionale. Nella
tabella 2 sono riportati i fondi totali allocati per singola
Regione. Allo stato attuale, 4872 interventi in tutta Italia
sono stati finanziati dal MATTM per un importo totale
superiore ai 4 Miliardi di euro.
REGIONE n. interventi Finanziamento
(MLD €) Abruzzo 144 118 Basilicata 235 111 Calabria 450 393 Campania 287 384 Emilia-Romagna 317 269 Friuli Venezia Giulia 72 84 Lazio 275 304 Liguria 115 113 Lombardia 481 415 Marche 262 164 Molise 161 80 Piemonte 458 236 Puglia 212 315 Sardegna 98 138 Sicilia 424 629 Toscana 528 403 Trentino - Alto Adige 61 39 Umbria 90 97 Valle d’Aosta 29 30 Veneto 173 151 TOTALE 4.872 4.473
Tabella 2. Distribuzione degli interventi e dei relativi importi su base regionale (Fonte ReNDiS-ISPRA)
Il progetto ReNDiS è attualmente il principale strumento
operativo per la gestione delle informazioni del
monitoraggio sull’attuazione degli interventi finanziati dal
MATTM. L’obiettivo è quello di costruire
progressivamente un quadro unitario e completo
dell’intervento pubblico per la difesa del suolo e per
questo è progettato per essere facilmente implementato
(anche mediante servizi wms) con banche dati gestite da
altri Enti. Il database consente di condividere dati ed
informazioni tra le diverse amministrazioni e, quindi, di
migliorare il quadro conoscitivo a supporto delle attività di
pianificazione per la difesa dai rischi idrogeologici. In
ultimo favorisce la trasparenza della pubblica
amministrazione, mediante la pubblicazione e la
diffusione sul web dei dati sugli interventi finanziati. Il
coinvolgimento dell’ISPRA recentemente sta riguardando
anche i pareri di congruità per il riutilizzo delle economie.
Un gruppo di esperti ISPRA MATTM è stato creato per le
istruttorie tecniche di assegnazione del finanziamento
(interventi urgenti 2014). L’obbiettivo principale a breve
termine è l’allineamento MATTM e Ministero Sviluppo
Economico tramite CUP (Codice Unico Progetto),
trasformando il ReNDiS come portale unico per il
monitoraggio della spesa e dei costi pubblici nella difesa
88
del suolo (AVCP; 8X1000Presidenza Consiglio dei
Ministri; Ordinanze protezione Civile).
6. Caso di studio: interruzione ed isolamento
piccole comunità
6.1 Scelta del caso di studio
Il caso di studio adottato fa riferimento alla
Provincia di Lucca, data la particolare rilevanza di
fenomeni di dissesto idrogeologico in questa area.
L’analisi storica (Delmonaco et al. 2003) evidenzia
come il territorio della lucchesia sia particolarmente
esposto ed interessato da frane superficiali e
inondazioni associate ad eventi di precipitazioni
intense. Si sono verificate grandi inondazioni nel
1774, 1885, 1902, mentre eventi minori hanno un
tempo di ritorno piuttosto breve e pari a soli 25-30
anni. L'alluvione del 1996 è per entità e danni
rilevati, del tutto paragonabile a quella del 25
settembre 1885.
In particolare negli ultimi 10 anni (2003 -2012),
nella provincia di Lucca gli eventi spesso definiti
eccezionali sono divenuti quasi annuali, con quattro
alluvioni gravissime in termini di impatti
rispettivamente nel novembre 2009, ottobre 2010,
novembre 2011 e ottobre 2012 (AdB Serchio
rapporto d’evento).
6.2 Metodologia di analisi
La metodologia adottata per lo studio
dell’interazione dissesto-rete stradale prevede una
stima dei tratti di rete stradale minore esposti a
rischio idraulico e da frana secondo lo schema
metodologico in figura 11 (WP/WLI, 1993),
attraverso l’analisi spaziale su piattaforma GIS
degli strati informativi riportati di seguito.
I vari tratti stradali codificati nel TeleAtlas®, nel loro
complesso, costituiscono gli elementi esposti, la cui
caratterizzazione è un passo fondamentale
nell’analisi del rischio.
Per quanto riguarda il parametro vulnerabilità, va
detto che in assenza di curve di vulnerabilità
specifiche per l’assetto infrastrutturale, tale
parametro è stato cautelativamente considerato
costante e pari ad 1, ipotizzando che, nello
specifico contesto, la sola presenza del bene in
aree ad elevata pericolosità ne determini
automaticamente la massima vulnerabilità.
Vengono di seguito descritti dettagliatamente i
database utilizzati per l’implementazione dell’analisi
GIS.
Figura 11 Diagramma di flusso adottato per il calcolo del rischio semplificato per la
rete stradale nella Provincia di Lucca
Pericolosità (spaziale o relativa) da frana. FonteProgetto IFFI
Fasce di pericolositàIdraulica. Fonte PAI AdBSerchio
R* = P x E x V
Grafo stradale esposto e sua vulnerabilità. Fonte TeleAtlas®2009
R*= rischio relativo o semplificato
Pericolosità (spaziale o relativa) da frana. FonteProgetto IFFI
Fasce di pericolositàIdraulica. Fonte PAI AdBSerchio
R* = P x E x V
Grafo stradale esposto e sua vulnerabilità. Fonte TeleAtlas®2009
R*= rischio relativo o semplificato
89
6.3 Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia
(Progetto IFFI)
I dati sulle frane derivano da una estrazione su base
provinciale direttamente dall’Inventario dei Fenomeni
Franosi in Italia (Progetto IFFI), realizzato a partire dal
1997 dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la
Ricerca Ambientale) e dalle Regioni e Province
Autonome d'Italia.
6.4 Aree a pericolosità idraulica
Per quanto attiene alle aree a pericolosità idraulica
considerate nel presente studio, esse derivano dalle
fasce di pericolosità idraulica (aree di pertinenza
idraulica) prodotte dalla Autorità di Bacino del fiume
Serchio.
6.5 Grafo stradale TeleAtlas ® 2009
Per gli elementi esposti della Provincia di Lucca, sono
stati utilizzati i codici FRC 6 (local roads), 7 (local roads
of minor importance), 8 (other minor roads) del grafo
stradale TeleAtlas® aggiornato al 2009. Di seguito sono
sintetizzati sotto forma tabellare i dati generali del caso di
studio nella provincia di Lucca.
Provincia Lucca Superficie totale [kmq] 1772 Frane IFFI Superficie aree in frana [kmq] 102.8 TeleAtlas® Lunghezza totale [km] 5563
Lunghezza FRC 6 [km] 556 Lunghezza FRC 7 [km] 3282 Lunghezza FRC 8 [km] 37 totale 6+7+8 [km] 3875
Fasce di Pericolosità Idraulica
P1 [kmq] 7.3 P2 [kmq] 15.7 P2a [kmq] 9 P3 [kmq] 11.7 Totale P1+P2+P3 [kmq] 43.7
Tabella 3. Superficie dei layers dei dati di base utilizzati per lo studio nella provincia di Lucca.
6.6 Analisi ed implementazione dei dati
I tratti stradali minori (codici 6, 7 e 8) del grafo stradale di
TeleAtlas® della Provincia di Lucca, sono stati sottoposti
a buffer analysis (si è stimato un buffer di 3 metri) allo
scopo di dare realtà fisica agli elementi esposti ovvero
quantificare la larghezza della carreggiata.
Figura 12. Dettaglio del grafo stradale utilizzato nelle Provincia di Lucca
90
Figura 13. Dettaglio del grafo stradale utilizzato nelle Provincia di Lucca e bufferizzato
Non è stato ritenuto necessario, in questo primo caso di
studio, differenziare le categorie di strade minori adottate
con valori di buffer diversi. Gli elementi stradali così
ottenuti sono stati quindi spazialmente intersecati con i
poligoni delle frane ottenuti dal Progetto IFFI, intorno ai
quali è stato creato un buffer di 20 m per tenere in
considerazione possibili evoluzioni del fenomeno di
dissesto sia in avanzamento che in retrogressione.
Figura 14. Dettaglio del grafo stradale e delle frane IFFI utilizzati per l’analisi
91
Figura 15. Dettaglio dei tratti stradali in aree in frana a seguito dell’analisi
E’ stato così possibile ottenere una prima stima dei tratti
esposti al rischio frana su base comunale. Sono stati
individuati 290 km di strade esposti al rischio frana pari al
5.2% dell’intero grafo stradale della provincia e al 7.5%
della rete stradale minore (codici 6, 7 e 8).
Per quanto riguarda il rischio idraulico, mediante lo
stesso procedimento precedentemente descritto
(sovrapposizione del grafo stradale alle aree di
pericolosità idraulica dell’Autorità di Bacino del Serchio in
ambiente GIS) è stato possibile individuare, con
riferimento all’ambito provinciale, 162 km stradali esposti
al rischio idraulico pari al 3% dell’intero grafo provinciale
e al 4.2% della rete stradale minore (codici 6, 7 e 8).
I risultati di tale analisi spaziale sono riportati nella
Tabella 4 e in forma grafica nella Figura 18.
Figura 16. Dettaglio del grafo stradale e delle fasce di pericolosità idraulica utilizzati per l’analisi
92
Figura 17. Dettaglio dei tratti stradali in aree a pericolosità idraulica elevata e molto elevata
Codice TeleAtlas®
Lunghezza [km]
L. rischio frana [km]
L. rischio idraulico [km]
6 555.75 35.70 27.15 7 3282.24 254.28 128.19 8 37.27 0.15 7.13 TOT 3875.26 290.13 162.46 Tabella 4. Risultati della sovrapposizione del grafo stradale alle aree di pericolosità
idraulica dell’Autorità di Bacino del Serchio in ambiente GIS
Figura 18. Sintesi di tutti i tratti stradali interessati da aree in frana o a pericolosità idraulica per l’intera provincia di Lucca.
93
7. Conclusioni
Impatti economici delle interruzioni stradali
Il territorio nazionale italiano, data la sua conformazione
orografica, geologica e geomorfologica è storicamente
esposto ai fenomeni naturali di dissesto geologico ed
idraulico intensi. L’attuale impianto normativo nazionale e
regionale, così come l’attività di pianificazione e
programmazione ai vari livelli, è da tempo indirizzata alla
riduzione di questa vulnerabilità sistemica (potendo solo
limitatamente agire sulla riduzione della pericolosità) e
all’aumento generale della resilienza delle comunità e del
territorio. La rete infrastrutturale italiana risente di questo
elevato livello di esposizione, tanto da risultare molto
spesso uno degli elementi più critici e a rischio in
concomitanza al verificarsi di fenomeni naturali estremi
quali alluvioni e franosità diffusa. In termini di impatto il
danno è infatti duplice, da un lato va considerato
l’elevato costo diretto di ripristino e messa in sicurezza
mentre dall’altro lato va comunque considerato il costo
indiretto di interruzione di collegamento ed isolamento ad
esso associato. Queste tipologie di costi di difficile
valutazione hanno però effetti economici e sociali
pesantissimi, distruggendo spesso il tessuto produttivo e
sociale delle comunità investite da fenomeni di questo
tipo. E’ per queste ragioni che una corretta pianificazione
della rete stradale, infrastrutturale e di collegamento è di
fondamentale importanza sia in fase emergenziale che in
periodo di assenza di fenomeni naturali.
Il caso di studio presentato ha voluto tracciare un
semplice schema metodologico per valutare ex ante il
livello di esposizione e quindi di fragilità infrastrutturale di
un dato territorio nazionale ai fenomeni di dissesto
geologico ed idraulico. Naturalmente ad analisi di questo
tipo, che aumentano il livello conoscitivo di pericolosità e
rischio di una data area devono poi far seguito politiche
di pianificazione e programmazione di interventi mirati
alla mitigazione di tale rischio e all’aumento della
resilienza territoriale anche attraverso piani di
adattamento, monitoraggio e controllo.
Lo sviluppo di tali studi deve prevedere una stima e
quantificazione dei costi a fronte dei danni attesi per
effettuare delle scelte a fronte di scenari costi/benefici.
Gli investimenti che riguardano le infrastrutture stradali e
la difesa del suolo, sono strategici per tutta la regione e
non solo per le aree rurali anche per il conseguente
sostegno all’economia (industria, artigianato, turismo,
agricoltura) e ai servizi (socio sanitari, educativi). Le aree
rurali, minori e isolate devono essere salvaguardate con
una manutenzione costante e specifica e con seri piani di
mitigazione, adattamento e convivenza con i rischi
idraulici e idrogeologici che possono interessare questi
territori.
Bibliografia
Borga M., Boscolo P., Zanon F., Sangati M. (2007). Hydrometeorological analysis of the August 29, 2003 flash flood in the eastern Italian Alps. Journal of Hydrometeorology, 8(5), 1049-1067. Cellerino R. (2006) La difesa del suolo in Italia: aspetti economici ed amministrativi, Scuola superiore della pubblica amministrazione Cruden D.M., Varnes D.J. (1996). Landslide types and processes. In: A.K. Turner, R.L. Schuster (eds) Landslides investigation and mitigation (Special report 247, pp. 36-75). Transportation Research Board, Washington, D.C. Delmonaco G., Leoni G., Margottini C., Puglisi C., Spizzichino D., Large scale debris-flow hazard assessment: a geotechnical approach and GIS modelling. Natural hazards and Earth System Sciences (2003) 3: 1-13 EEA (2003) Europe’s environment: the third assessment report (Environmental assessment report No 10). Copenhagen: European Environment Agency. IPCC (2007) Fourth Assessment Report: Climate Change 2007 (AR4). Legambiente & Protezione Civile, 2007 - Ecosistema a Rischio, rapporto annuale ISPRA - Annuario dei dati Ambientali 2013 Guzzetti F., Tonelli G. Information system on hydrological and geomorphological catastrophes in Italy, SICI, 2004 Margottini C., Spizzichino D., Onorati G. (2007) Cambiamenti climatici, dissesto idrogeologico e politiche di adattamento in Italia: un percorso tra passato presente e futuro. Atti della Conferenza nazionale sui Cambiamenti Climatici 2007. Roma 12-13 settembre 2007 Palazzo della Fao. MATTM - Direzione Generale per la difesa del suolo - Il rischio idrogeologico in Italia. Ottobre 2008 Pianificazione territoriale provinciale e rischio idrogeologico previsione e tutela (2003) - Ministero dell’Ambiente e UPI Regione Toscana, “Relazione sull’attuazione delle politiche per la montagna” 2013 Schuster R.L. (1996). Socioeconomic significance of landslides. in: A.K. Turner, R.L. Schuster (eds)
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.. - + * + -...
95
ELEMENTI FONDAMENTALI PER REDIGERE UN PIANO DEL TRAFFICO
PER LA VIABILITA’ EXTRAURBANA
Antonio PRATELLI, Matteo ROSSI, Gabriella CAROTI
DICI – Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale, Università di Pisa
Sommario - Oggi più che mai è necessario affrontare il problema delle reti stradali di rilevanza nazionale attraverso il
miglioramento dell’efficienza e della sicurezza di circolazione delle infrastrutture già esistenti. Già il Nuovo Codice della
Strada, emanato nell’ormai lontano 1992, conteneva (art. 36) indicazioni in merito all’adozione di strumenti pianificatori
dedicati a questi ambiti, quali i Piani Urbani del Traffico (PUT) e i Piani del Traffico per la Viabilità Extraurbana (PTVE). Nel
rispetto dei fini di tali strumenti, così come indicati dallo stesso NCdS, (il miglioramento delle condizioni di circolazione e
della sicurezza stradale, la riduzione degli inquinamenti acustico ed atmosferico ed il risparmio energetico), con il presente
lavoro si è inteso affrontare alcuni degli elementi ritenuti imprescindibili per la redazione di Piani per la Viabilità Extraurbana
(la classificazione delle strade esistenti, la stima delle velocità sia operative che assimilabili a quelle di progetto, analisi e
valutazione del rischio connesso a vari aspetti inerenti la sicurezza stradale e altro). Ciascuno di essi è stato trattato
separatamente ed approfonditamente per giungere alla messa a punto di strumenti originali per il calcolo e l’applicazione,
intendendo in questo modo rendere disponibili veri e propri strumenti applicativi che fungano da guida per la stesura degli
stessi PTVE, oltre che per la pianificazione delle azioni da includere al loro interno.
1. INTRODUZIONE
Negli ultimi anni le città hanno assunto una connotazione
di tipo diffuso, con la perdita di residenti nelle aree più
centrali. Allo stesso tempo, però, l’utilizzo delle città è in
continua crescita, con la conseguente maggior attrattività
per gli utenti e, quindi, maggior domanda di servizi. Il
risultato della combinazione di questi processi è la
crescente esigenza di spostamenti rapidi ed efficienti fra
vaste zone di territorio collegate da relazioni che si
intersecano a diversi livelli, esigenza che, a causa di una
pressoché completa assenza di una strategia comune
ispirata alla coerenza fra pianificazione urbana e politiche
dei trasporti, ha portato allo sviluppo di una mobilità
prevalentemente individuale, legata ad un utilizzo delle
autovetture che ormai ha raggiunto livelli al limite del
congestionamento: infatti basti pensare che negli ultimi
20 anni lo sviluppo della rete stradale è stato inferiore
all’11%, mentre il parco veicoli circolanti ha fatto
registrare un incremento di oltre il 45% (fonte: Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti).
L’inevitabile conseguenza di un tale mancato sviluppo
della rete infrastrutturale è il forte congestionamento del
traffico: l’Italia si trova oggi ad essere il secondo paese in
Europa per densità di veicoli: 1347 veic/km sulla viabilità
principale (fonte: Autostrade per l’Italia), 286 veic/km
sull’intera rete comprensiva di autostrade, strade di
rilevanza nazionale, strade regionali e strade provinciali
(fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti). In
linea generale, la causa di questo mancato sviluppo è la
carenza di risorse economiche destinate non solo alla
creazione di nuove infrastrutture, ma anche alla
manutenzione di quelle esistenti: negli anni dal 1990 al
2009 gli investimenti in opere pubbliche hanno infatti
fatto registrare un calo di oltre il 30%, con un trend
attuale tuttora al ribasso e con il risultato che la rete
stradale italiana, che all’inizio degli anni ’70 era tra le più
moderne e sviluppate in Europa, mostra i segni di 40
anni di mancati investimenti e si trova a rincorrere
nazioni il cui sviluppo infrastrutturale è andato di pari
passo con la crescita dello sviluppo della nazione.
È pertanto necessario, oggi più che mai, dare priorità alle
reti di rilevanza nazionale attraverso la realizzazione
delle direttrici peninsulari fondamentali e il miglioramento
dell’efficienza e della sicurezza di circolazione delle
96
infrastrutture già esistenti. Questo processo è
perseguibile solo attraverso opportune politiche di
pianificazione del territorio, fatta non solo di “grandi
opere”, ma anche di piccoli e medi interventi. Già il
Nuovo Codice della Strada, emanato nell’ormai lontano
1992, conteneva (art. 36) indicazioni in merito
all’adozione di strumenti pianificatori dedicati a questi
ambiti, quali i Piani Urbani del Traffico (PUT) e i Piani del
Traffico per la Viabilità Extraurbana (PTVE).
Tuttavia, mentre per i PUT sono state emanate le
“Direttive per la redazione, adozione, ed attuazione dei
Piani Urbani del Traffico” (dir. Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti del 12/04/1995), niente è
stato fatto né previsto per quanto riguarda i PTVE.
Nel rispetto dei fini di tali strumenti, così come indicati
dallo stesso NCdS, (il miglioramento delle condizioni di
circolazione e della sicurezza stradale, la riduzione degli
inquinamenti acustico ed atmosferico ed il risparmio
energetico), con il presente lavoro si è inteso affrontare
alcuni degli elementi da cui ciascun PTVE non può
prescindere (la classificazione delle strade esistenti, la
stima delle velocità sia operative che assimilabili a quelle
di progetto, analisi e valutazione del rischio connesso a
vari aspetti inerenti la sicurezza stradale, ecc.), e
ciascuno di essi è trattato qui separatamente ed
approfonditamente per giungere alla messa a punto di
strumenti originali per il calcolo e l’applicazione,
intendendo in questo modo rendere disponibili veri e
propri strumenti applicativi che fungano da guida per la
stesura degli stessi PTVE, oltre che per la pianificazione
delle azioni da includere al loro interno.
2. UN PUNTO DI VISTA GENERALE
È opinione comune che esista la necessità di un
coordinamento tra i Piani Urbani del Traffico e la
pianificazione di ordine superiore (ivi compresi anche i
PTVE) per evitare quella tendenza, diffusasi negli ultimi
anni, a curare le problematiche locali attraverso interventi
che possono spostare i problemi da un’area ad un’altra
senza trovarne però una soluzione definitiva, ossia
traslando semplicemente le criticità della circolazione
stradale da un punto all’altro del territorio.
Per raggiungere gli obiettivi in maniera soddisfacente è
perciò necessario assumere una visione d’insieme delle
problematiche, dei contenuti e delle metodologie che
devono essere adottate nella redazione dei Piani del
Traffico ai diversi livelli possibili.
Il PTVE deve pertanto essere costituito da un insieme di
interventi, coordinati con quelli degli altri strumenti di
pianificazione, volti al miglioramento delle condizioni di
circolazione stradale, oltre che contenere linee generali
di indirizzo per l’incentivazione all’uso dei sistemi di
trasporto collettivi e/o alternativi. Tutti gli interventi
contenuti in questo piano devono altresì essere
realizzabili nel breve termine, e deve collocarsi in un
quadro di dotazioni infrastrutturali e mezzi di trasporto
sostanzialmente invariato: deve cioè ottimizzare le
risorse esistenti.
Va pertanto inteso come un piano di immediata
realizzabilità, di contenuto onere economico, e che si
pone come obiettivo principale quello di contenere le
criticità della circolazione: ciò significa che il PTVE è un
piano in cui si da peso alla manutenzione ed
all’ottimizzazione della funzionalità della rete esistente
più che alla pianificazione di nuove infrastrutture.
L’elaborazione dei PTVE è prevista dall’Art. 36, comma
3, del Codice della Strada (D. Lgs. n. 285/1992 e s.m.i.):
“le Province provvedono all’adozione di piani del traffico
per la viabilità extraurbana”. Il comma 4 dello stesso
articolo individua poi gli obiettivi dei PTVE: non si fa
distinzione alcuna fra gli obiettivi dei diversi piani del
traffico (urbani e per la viabilità extraurbana), per cui è
verosimile ritenere gli obiettivi dei PTVE del tutto similari
a quelli previsti per i Piani Urbani del Traffico (di seguito
PUT). Tali finalità sono quelle di “ottenere il
miglioramento di circolazione e della sicurezza stradale,
la riduzione degli inquinamenti acustico ed atmosferico
ed il risparmio energetico, in accordo con gli strumenti
urbanistici vigenti e con i Piani di Trasporto e nel rispetto
dei valori ambientali”.
Le finalità dei PTVE sopra descritte spaziano in campi
molto diversi fra di loro, pertanto all’interno di un PTVE
trovano spazio diversi ambiti di indagine e di
pianificazione, alcuni dei quali sono regolati da norme e
leggi dedicate.
2.1 La classificazione della rete stradale
L’applicazione di uno strumento di piano per la viabilità,
quale che esso sia, non può prescindere da una
preventiva classificazione della rete stradale: in ultima
analisi, infatti, deve rendersi possibile una scelta sulla
destinazione delle risorse economiche disponibili per
l’attuazione degli interventi previsti dal piano, e tale
scelta non può essere compiuta senza disporre di uno
97
strumento che individui ed attribuisca il ruolo preminente
e l’uso più opportuno che ciascun elemento viario deve o
dovrà svolgere all’interno della rete stradale. Il NCdS,
all’art.2, provvede ad individuare le diverse categorie di
strade sulla base delle loro caratteristiche costruttive,
tecniche e funzionali: ognuna delle 6 categorie
individuate deve possedere determinate caratteristiche
minime. Tuttavia, poiché tali caratteristiche minime
possono non riscontrarsi affatto sulle strade esistenti, per
quest’ultime la categoria F funge di fatto da
classificazione universale.
Ancora l’art. 2 (comma 6) provvede inoltre ad individuare
anche una classificazione di tipo amministrativo.
Infine, il DM 6792/2001 “Norme funzionali e geometriche
per la costruzione delle strade” al cap. 2 provvede a
fornire un criterio per la classificazione funzionale delle
strade sulla base di alcuni elementi fondamentali: questi
sono il tipo di movimento servito (di transito, di
penetrazione, di distribuzione, di accesso), l’entità dello
spostamento (distanza media percorsa dai veicoli o
tempo medio di percorrenza), la funzione assunta nel
contesto territoriale attraversato (collegamento
nazionale, provinciale, comunale), le componenti di
traffico e le relative categorie (veicoli leggeri, pesanti,
motoveicoli, pedoni, cicli, ecc.).
I valori degli standard normativi e strutturali prescritti
sono da considerarsi cogenti per le strade di nuova
realizzazione, e da considerarsi come obiettivo da
raggiungere per le strade esistenti. Infatti, una
classificazione delle strade esistenti è conseguente ad
una serie di condizioni assai varie fra di loro, che sono il
frutto di scelte, comportamenti e abitudini degli utenti,
condizioni ambientali al contorno e caratteristiche
territoriali in continuo mutamento, oltre che di scelte ed
attività poste in essere dai vari enti, e che molto spesso
non rispecchiano condizioni direttamente ed
obiettivamente osservabili come, ad esempio, le
caratteristiche geometriche.
Il legislatore aveva già individuato l’esistenza di una
simile problematica relativa alla classificazione delle
strade esistenti: infatti, all’art. 13, comma 4, del NCdS si
riporta che “Il Ministero dei lavori pubblici, entro due anni
dalla entrata in vigore del presente codice, emana, con i
criteri e le modalità di cui al comma 1, le norme per la
classificazione funzionale delle strade esistenti in base
alle caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali di cui
all'articolo 2, comma 2”. Un’apposita Commissione di
Studio, costituita presso il CNR nel 1995, approvava nel
1998 il Rapporto finale sui criteri per la classificazione
delle strade esistenti ai sensi dell’art. 13, comma 4 e 5
del NCdS: tale rapporto, che aveva carattere pre-
normativo, individuava un criterio per la classificazione
delle strade esistenti articolato secondo un complesso
procedimento. Tuttavia, a causa sia della difficoltà
applicativa, oltreché di quella relativa alla raccolta di tutti i
dati necessari per la creazione dei database, sia dei
risultati che possono ottenersi da una classificazione
condotta secondo questo metodo, quanto previsto dal
documento CNR non ha, ad oggi, ancora avuto seguito.
2.2 La sicurezza stradale
Il comma 4 dell’art. 36 del NCdS, come già
precedentemente ricordato, pone come obiettivo
principale del PTVE quello di ottenere miglioramenti per
la circolazione e la sicurezza stradale. Per il
conseguimento di queste finalità è necessario indagare
approfonditamente diversi ambiti, fra i quali ad esempio
la funzionalità dei dispositivi di ritenuta e la
manutenzione delle pavimentazioni.
Fra questi, l’argomento dei dispositivi di ritenuta è stato
trattato in maniera approfondita, giungendo alla messa a
punto di uno strumento applicativo utile per la
determinazione del livello di rischio connesso a ciascun
dispositivo installato o da installare su una rete stradale,
col fine ultimo di veicolare in maniera più intelligente
possibile le risorse economiche disponibili per la loro
manutenzione.
Relativamente alla normativa vigente in tema di
dispositivi di ritenuta e della loro installazione, con il
DM 2367/2004 (pubblicato sulla G.U. n. 182 del 5 agosto
2004) è stata recepita la normativa europea EN1317, la
quale nelle sue diverse parti individua un criterio comune
per l’installazione e la manutenzione delle barriere
stradali, e stabilisce i criteri per la costruzione e
l’omologazione di tali dispositivi. Successivamente,
anche in seguito agli aggiornamenti delle stesse norme
EN1317, sono state redatte alcune circolari esplicative
per la corretta applicazione del DM 2367/2004: tali
circolari sono la n. 3065/2004 e la n. 0062032/2010.
Infine con il DM del 28/06/2011 (pubblicato sulla G.U.
233/2011) sono state emanate ulteriori disposizioni
sull'uso e l'installazione dei dispositivi di ritenuta stradale,
recependo quando riportato nella normativa europea
EN1317-5:2007+A1:2008 in merito alla marcatura CE.
98
All’art. 2, comma 5, quest’ultimo decreto stabiliva che “la
direzione generale per la sicurezza stradale, sentito il
Consiglio superiore dei lavori pubblici, provvede
all'emanazione dell'aggiornamento delle istruzioni
tecniche per l'uso e l'installazione dei dispositivi di
ritenuta stradale, concernente anche i controlli in fase di
accettazione e di installazione dei dispositivi medesimi”.
Ad oggi, non essendo ancora avvenuta l’emanazione di
tale aggiornamento, rimane in vigore quanto stabilito dal
DM 2367/2004, come riporta anche l’art. 2, comma 6:
“Nelle more dell'attuazione di quanto disposto al comma
5, restano in vigore le istruzioni tecniche di installazione
di cui all'allegato al citato decreto ministeriale 21 giugno
2004 non in contrasto con le disposizioni del presente
decreto”.
Di fondamentale importanza quanto riportato all’art. 3
della succitata circolare 62032/2010, ove viene chiarito
che il campo di applicazione della normativa vigente è
tuttora quello previsto dall’art. 2 comma 1 del DM 223/92,
ossia “i progetti esecutivi relativi alle strade ad uso
pubblico urbane ed extraurbane che hanno velocità di
progetto maggiore od uguale a 70km/h”. Sono pertanto
espressamente escluse le progettazioni, sia in campo
urbano che extraurbano, inerenti strade con velocità di
progetto inferiore a 70km/h. Tale articolo fa insorgere un
nuovo problema da risolvere: la velocità di progetto è un
dato noto per quanto riguarda le strade di nuova o
recente costruzione, in quanto stabilita in sede di
progetto in relazione alla sua classe funzionale (secondo
quanto riportato dall’art. 2 comma 2 del DL 285/92) ed
alle sue caratteristiche planimetriche, mentre non è noto
per strade esistenti, per le quali non esistono molto
spesso documenti di progetto. In questo caso, ancora
l’art. 3 della circolare 62032 del 21/07/2010 fornisce una
indicazione di massima per la stima del parametro di
velocità: “la velocità di progetto dovrà essere calcolata
per assimilazione, sulla base di quanto previsto dal DM
del 05/11/2001 e s.m.i.[…] per la medesima classe
funzionale e raggio planimetrico della tratta”. Proprio a
partire da questo suggerimento, si è cercata una
soluzione alla problematica inerente la velocità di
progetto per strade esistenti, giungendo anche in questo
caso alla messa a punto di un procedimento di calcolo e
del relativo foglio di calcolo applicativo.
2.3 Il Road Safety Audit e il DL 35/2011
Dall’analisi delle statistiche di incidentalità stradale nei
paesi industrializzati è possibile dedurre che la maggior
parte degli incidenti sono imputabili ad un utilizzo
improprio delle infrastrutture, le cui caratteristiche
tecniche non sempre rispondono in maniera adeguata
alle esigenze degli utenti. In Italia, nonostante siano stati
predisposti importanti interventi di carattere istituzionale
(Piano della Sicurezza Stradale, revisioni del Codice
della Strada, ecc.) ancora molte problematiche
rimangono insolute.
L’utilizzo di un sistema di controllo preventivo della
sicurezza stradale (procedura nota come Road Safety
Audit) rappresenta senz’altro uno strumento adeguato,
sia per i nuovi interventi strutturali che, soprattutto, per le
strade già in esercizio, per le quali risultano più evidenti
le necessità di azioni tese a ridurre le conseguenze degli
incidenti.
Poiché i PTVE devono sostanzialmente gestire il
patrimonio stradale esistente, si rivela qui utile descrivere
i principali obiettivi della procedura di RSA applicata a
strade esistenti. Gli obiettivi possono essere riassunti
essenzialmente in due punti:
- individuare e valutare quelle situazioni alle quali
è imputabile un rischio o che possono
esasperare l’esposizione al rischio degli utenti
della strada: ciò significa identificare le
caratteristiche tecniche, costruttive e funzionali
che non sono rispondenti alle effettive
condizioni di fruizione, prima che le statistiche di
incidentalità denuncino la presenza di situazioni
pericolose;
- suggerire misure correttive volte a contenere o
eliminare le situazioni di potenziale pericolo dal
punto di vista dell’utenza stradale.
I criteri fondamentali su cui si basa tutta la procedura di
RSA devono perciò permettere di evidenziare tutte le
situazioni di potenziale pericolo per le utenze stradali.
Tali criteri devono pertanto prendere in considerazione
quelle proprietà dell’infrastruttura che hanno rilievo sulla
sua sicurezza durante l’esercizio.
È in questo contesto che si collocano le “Linee guida per
le analisi di sicurezza delle strade” emanate ai sensi
dell’art.8 del DL 35/2011 di attuazione della direttiva
europea 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle
infrastrutture stradali. Le Linee Guida stabiliscono infatti i
criteri e le modalità per l’effettuazione dei controlli della
99
sicurezza stradale sui progetti e delle ispezioni di
sicurezza sulle infrastrutture esistenti, e per l’attuazione
del processo per la classificazione della sicurezza della
rete stradale.
Ad oggi, le prescrizioni contenute nel DL 35/2011 sono
cogenti per le infrastrutture comprese nella rete stradale
transeuropea (TEN, TransEuropean Network) individuata
secondo la Decisione 1692/96/CE e successivi
aggiornamenti, mentre per tutte le altre strade i contenuti
del decreto costituiscono norme di principio fino a che
non diventeranno cogenti in base all’evoluzione
temporale del campo di applicazione. Dal 1° gennaio
2016 (con possibilità di proroga di ulteriori 5 anni) infatti i
contenuti del DL 35/2011 dovranno essere applicati
anche alla rete di interesse nazionale non ricadente
all’interno della TEN, individuata dal DL 461/99. Per le
rimanenti strade di competenza delle regioni, delle
province autonome e degli enti locali le disposizioni del
DL 35/2011 costituiranno ancora linee di principio, da
seguire nella redazione della propria disciplina
riguardante la gestione della sicurezza delle infrastrutture
stradali di competenza.
Quest’ultima attività consiste nel mantenimento
dell’efficienza delle infrastrutture, finalizzata al
raggiungimento di un idoneo livello di sicurezza,
attraverso una corretta manutenzione ordinaria e
straordinaria, effettuata in base ad una precisa e rigorosa
programmazione in funzione dell’ordine di priorità degli
interventi, individuati dagli esiti delle ispezioni.
2.4 Gli obiettivi del PTVE
Come già riportato in precedenza, gli obiettivi dei Piani
del Traffico, sia urbani che extraurbani, sono individuati
dall’art. 36 del NCdS. Nonostante questi siano obiettivi
comuni per tutti i piani del traffico, non si devono
trascurare le sostanziali differenze nelle problematiche
che questi piani si trovano ad affrontare, dovute
essenzialmente ai diversi ambiti applicativi.
Nello specifico il PTVE, occupandosi della gestione delle
risorse esistenti in campo extraurbano, persegue
l’obiettivo del miglioramento della circolazione attraverso
il miglioramento della sicurezza stradale (obiettivo
esplicitamente indicato dal NCdS), essendo le
problematiche di congestione ed inquinamento
acustico/ambientale più marginali rispetto alla situazione
urbana. Ne consegue quindi che tutte le scelte che
vengono fatte all’interno di un PTVE, principalmente nel
campo delle manutenzioni e dell’ottimizzazione delle
infrastrutture esistenti, debbano sempre avere come
obiettivo primario quello dell’innalzamento del livello di
sicurezza stradale.
Dell’innalzamento del livello di sicurezza stradale si
occupa anche il precedentemente citato DL 35/2011: è
pertanto auspicabile che un PTVE sia profondamente
integrato con i criteri lì descritti per le analisi della
sicurezza stradale, sia per le infrastrutture facenti parte
delle reti TEN (Decisione 1692/96/CE), sia per quelle
facenti parte della rete di interesse nazionale (DL
461/99), sia infine per tutta la viabilità extraurbana non
facente parte di nessuna delle due suddette categorie e
per la quale le disposizioni contenute nel decreto
assumono il carattere di linee di principio da seguire nella
redazione della disciplina inerente la sicurezza stradale
che le Regioni, le province autonome e gli enti locali
dovranno predisporre con scadenza l’anno 2020.
Quella della sicurezza è pertanto la finalità che deve
essere perseguita nell’affrontare tutte le tematiche che
devono e/o possono far parte del PTVE. In generale
queste riguardano lo sviluppo di tutti gli aspetti legati alla
gestione delle strade: dalla manutenzione e tutela delle
strade, che si basa sull’esistente, alle analisi
sull’incidentalità e sul traffico a supporto della
progettazione di nuove opere o di interventi di
miglioramento della sicurezza stradale; dall’applicazione
nello specifico degli articoli del Codice della Strada
relativi alla classificazione funzionale ed amministrativa
delle strade all’individuazione di procedure conseguenti
alla sua applicazione.
Il conseguimento di tali obiettivi sarà reso più facile
dall’implementazione di archivi informatizzati contenenti
tutti i dati necessari per gestire al meglio l’intera rete
viaria, per pianificare le opere di manutenzione, per
controllare la domanda e l’offerta di mobilità. La
creazione dei database può seguire metodologie diverse:
riguardo al database inerente il livello di sicurezza della
rete esistente, può senza dubbio seguirsi, almeno in
linea di principio, quanto disposto dal DL 35/2011 e
schematizzato nella Figura 1.
Un PTVE può pertanto essere strutturalmente suddiviso
in due parti: una prima parte che contenga il quadro
conoscitivo della situazione attuale, nella quale viene di
fatto fotografato lo stato di fatto dell’offerta infrastrutturale
su cui il PTVE dovrà essere applicato, sia in termini di
caratteristiche che di stato manutentivo; una seconda
100
parte che contenga tutte le azioni di progetto conseguenti
all’analisi dello stato di fatto, nella quale sviluppare i
modelli di simulazione dei diversi scenari futuri supposti
per la rete stradale provinciale, i sistemi informativi a
supporto delle attività di gestione, manutenzione e
progettazione delle strade, la classificazione delle strade
sia amministrativa che funzionale, ecc.
In entrambe le parti possono essere seguiti in linea di
principio i contenuti delle Linee Guida del DL 35/2011.
Figura 1
2.5 I dati necessari per lo sviluppo e la
redazione del PTVE
Per la stesura di un PTVE è necessario disporre di alcuni
dati inerenti ai temi affrontati: la domanda di trasporto, i
dati di incidentalità e tutti i dati relativi alle infrastrutture.
La domanda di trasporto
Un PTVE tratta pressoché esclusivamente temi inerenti
reti di trasporto extraurbane aventi come delimitazione il
confine provinciale, come suggerisce il NCdS
individuando l’Ente che è tenuto alla sua redazione,
pertanto la domanda di trasporto da prendere in esame,
anche in base al carattere distribuivo che assume la rete
di strade extraurbane provinciali all’interno della più
ampia rete stradale comprensiva di tutte le strade
presenti sul territorio, è una domanda di trasporto
caratterizzata essenzialmente da tipologie di spostamenti
di media/lunga percorrenza, generata soprattutto per
motivi di lavoro e studio. Entro determinate distanze,
infatti, è possibile che gli utenti si servano ancora di
strade a carattere locale per i loro spostamenti, mentre al
crescere delle distanze essi facciano ricorso a strade di
categoria superiore, caratterizzate da tempi di
percorrenza per chilometro inferiori al crescere
dell’importanza della strada e delle sue caratteristiche
geometriche e funzionali.
Esistono numerosi metodi per individuare le distanze e le
origini/destinazioni degli spostamenti. Il più tradizionale
approccio al trattamento del territorio consiste nel
suddividere l’area in esame in zone e ricostruire la
domanda di trasporto sulla base di un campionamento
della popolazione.
Tuttavia, è possibile anche operare su informazioni
complete relative all’intera popolazione: in questo caso,
ovviamente, i problemi e le approssimazioni derivanti
dalle procedure di campionamento, quali che esse siano,
vengono annullati. La conoscenza esatta della domanda
richiede informazioni sulle caratteristiche degli
spostamenti effettuati da tutti gli utenti nel periodo di
riferimento, inoltre deve essere misurata per più periodi
allo scopo di calcolarne un valore medio. Si tratterebbe
cioè di giungere ad una conoscenza della domanda di
tipo censuario.
Una possibile soluzione è quella di suddividere il territorio
secondo i confini comunali ed assegnare a ciascun
comune il relativo centroide, in modo che questo sia
baricentrico rispetto alla popolazione residente nei diversi
centri abitati esistenti all’interno del comune stesso.
Questo tipo di zonizzazione presenta un indubbio
vantaggio: rende infatti possibile l’impiego dei dati
censuari ISTAT (ovvero relativi all’intera popolazione
anziché ad un suo campione) sugli spostamenti per
motivi di studio e lavoro fra un comune e l’altro.
Ciò consente quindi di ottenere una matrice O/D con
tante righe e colonne per quanti sono i comuni della
provincia in esame.
La domanda può essere inoltre attualizzata al periodo
dello studio attraverso procedure ormai di largo impiego
che prevedono il ricorso a modelli matematici basati su
misure di traffico in un certo numero di sezioni stradali
(ad es. l’algoritmo di Le Blanc, 1973). I conteggi di
traffico possono essere visti come il risultato della
combinazione di una matrice di viaggi e di uno schema di
scelta del percorso: essi pertanto forniscono informazioni
dirette circa la somma degli spostamenti fra tutte le
coppie O/D che utilizzano gli archi sottoposti a conteggio.
Inoltre, i conteggi di traffico sono una fonte di dati molto
allettante, in quanto generalmente disponibili, poco
costosi (rispetto soprattutto ad metodi di indagine, quale
ad es. il metodo delle interviste) ed attuabili in maniera
101
del tutto automatica facendo ricorso ad apparecchiature
elettroniche ormai ampiamente collaudate.
I dati di incidentalità
Tali dati, oltre che necessari per la maggior parte delle
procedure che possono essere introdotte in un PTVE,
possono inoltre essere impiegati anche per la stima
dell’efficienza degli interventi previsti dal PTVE attraverso
il calcolo di opportuni indicatori di prestazione (ad es.
nella valutazione della riduzione del numero di incidenti).
L’analisi dell’incidentalità rientra infatti nella
caratterizzazione degli itinerari sotto il profilo della
sicurezza stradale, che permette di evidenziare, in
rapporto ad una soglia di confronto statisticamente
significativa, il livello di incidentalità che interessa l’intero
itinerario.
Una delle possibili procedure impiegabili per l’analisi di
incidentalità è quella descritta nel documento pre-
normativo del CNR già citato in precedenza, per la quale
sono richieste le seguenti informazioni:
- dati georeferenziati degli incidenti, comprensivi
di data, numero e tipo di veicoli coinvolti,
conseguenze dell’incidente sulle persone
coinvolte;
- suddivisione in sezioni omogenee dell’itinerario
in esame ed estensione di ciascun tronco;
- TGM del tronco in esame per l’anno di
riferimento.
Anche le altre possibili procedure per le analisi di
incidentalità (fra tutte, la Normativa Svizzera SN640009
ed il metodo proposto da R. Lamm) necessitano dei dati
georeferenziati sugli incidenti.
Infine, anche gli indicatori di prestazione possono essere
riferiti ai dati degli incidenti: fermo restando l’obiettivo
primario di un PTVE quello della sicurezza stradale, per
poterne valutare l’efficienza nel medio periodo è possibile
infatti assumere un dato sulla diminuzione degli incidenti,
o sulla riduzione della gravità dei loro esiti, come
possibile metro di valutazione.
I dati relativi alle infrastrutture
Infine, i dati sulle infrastrutture rappresentato il corpus dei
dati di base di un PTVE: rientra qui infatti tutto ciò che
riguarda l’aspetto conoscitivo delle infrastrutture oggetto
di applicazione del PTVE, dalle pavimentazioni ai
dispositivi di ritenuta, dalla segnaletica agli ostacoli
presenti lungo le strade, e più in generale tutti quegli
aspetti strettamente relati alla sicurezza della
circolazione.
Tutti questi dati possono essere raccolti solo mediante
censimento, anche simultaneo, da pianificare e condurre
sull’intera rete stradale di competenza. Inoltre, i dati così
censiti devono essere necessariamente mantenuti
aggiornati: disporre di dati obsoleti, in caso contrario,
significherebbe operare con uno strumento inadeguato e
che difficilmente rispecchierebbe le reali necessità della
rete.
Un discorso a parte merita la questione dei dati
geometrici quali larghezza della carreggiata, raggi di
curvatura, lunghezza dei rettifili, pendenze trasversali, e
quant’altro possa ritenersi necessario. Questi possono
ottenersi secondo due differenti modi: pianificando e
conducendo rilievi topografici, metodo sicuramente più
preciso ma estremamente costoso e pertanto
realisticamente applicabile solo puntualmente in tutti quei
casi in cui si richiede una precisione elevata; oppure
ricorrendo alla cartografia CTR (in scala 1:10000 o
1:2000) e successivamente estraendo i dati geometrici
da questa, metodo certamente più veloce ed economico.
Con il secondo metodo, tuttavia, non è possibile risalire
alle pendenze trasversali, che devono comunque essere
rilevate in sito oppure essere stimate secondo un valore
medio ritenibile rappresentativo delle condizioni reali.
La scelta di quali dati raccogliere è funzione delle stesse
procedure adottate per l’analisi dei dati, procedure che
saranno poi approfondite nei capitoli successivi
Il risultato della combinazione dei risultati conseguenti
alle analisi dei dati così raccolti è la suddivisione dei
tracciati in seziono omogenee: queste devono
necessariamente essere caratterizzate da una lunghezza
operativa, nel senso che sezioni di estensione troppo
ridotta non possono essere ritenute funzionali ai fini
dell’attuazione dei possibili interventi manutentivi: è infatti
fondamentale mantenere sempre ben chiara la natura
operativa del PTVE, per la quale sono necessarie
pertanto procedure che possano essere a loro volta
impiegate sul campo. Risulterebbe infatti probabilmente
antieconomico, sia in fase di pianificazione e
programmazione degli interventi, sia in fase di attuazione
degli stessi, inserire in un PTVE un’ipotesi di intervento
su tratti di strada relativamente brevi. Vale anche la
considerazione opposta, ossia sezioni eccessivamente
estese possono risultare di difficile trattazione da un
punto di vista della pianificazione degli interventi.
102
2.6 Strumenti informatici di supporto
La mole dei dati raccolti, così come descritto nel
paragrafo precedente, è enorme e tale da necessitare di
adeguati strumenti informatici che ne consentano una
corretta gestione.
L’organizzazione dei dati in database georeferenziati
costituisce indubbiamente un notevole vantaggio, in
quanto permette di avere una vista immediata ed efficace
dei dati stessi.
Esistono essenzialmente due possibilità: l’organizzazione
dei dati in database utilizzabili con software GIS, dei
quali esistono oggi numerosi versioni di tipo open-source
(quale ad es. QGis – si veda l’allegato Caroti, Pardini,
Pratelli Tecniche di web-mapping per applicazioni GIS
on-line ) e ormai all’altezza dei software più blasonati, e
l’organizzazione in database in linguaggio KML utilizzabili
ad esempio con il software Google Earth (acronimo di
Keyhole Markup Language, il KML è un formato file e
una grammatica XML per la creazione di modelli e la
memorizzazione di caratteristiche geografiche quali
punti, linee, immagini, poligoni e modelli da visualizzare
in Google Earth, Google Maps e altre applicazioni; come
l'HTML, il linguaggio KML ha una struttura basata su tag
con nomi e attributi che consentono di definire
caratteristiche di visualizzazione specifiche).
2.7 Gli indicatori di prestazione
Tutti gli obiettivi che vengono inseriti in un PTVE devono
sempre mantenere la finalità ultima del miglioramento
delle condizioni di circolazione sotto il profilo della
sicurezza stradale, come è stato più volte affermato in
precedenza. Questo implica che, a fianco della
previsione degli interventi, vengano previste all’interno
del PTVE stesso alcune procedure per la valutazione
dell’efficacia degli interventi stessi. Queste procedure
devono necessariamente essere basate su indicatori di
prestazione del tipo before-after, ovvero in grado di
valutare le differenze fra la situazione di partenza
(verosimilmente lo stato attuale, fotografato con la
raccolta di tutti i dati necessari) e quella a posteriori
dell’attuazione dell’intervento.
Per ciascun ambito di intervento possono essere previsti
specifici indicatori di prestazione, al fine di rendere
possibile anche una valutazione di dettaglio dell’ efficacia
di un intervento (ad es., per quanto riguarda l’ambito dei
dispositivi di ritenuta può essere utile valutare il livello di
rischio e l’indice di efficienza globale prima e dopo gli
interventi).
Poiché però il PTVE ha come finalità generale quella
dell’incremento del livello di sicurezza stradale, è utile
alla fine disporre anche di un indicatore di prestazione
globale, che fornisca una misura dell’efficacia dell’intero
corpus di interventi previsti dal piano. A tal proposito è
possibile introdurre all’interno del PTVE procedure
similari a quelle previste dal DL 35/2011 riguardo agli
indicatori di incidentalità. Gli indicatori da privilegiare
sono i tassi di incidentalità, in quanto in grado di fornire
adeguate indicazioni sulla pericolosità di ogni singola
sezione omogenea in funzione del suo effettivo utilizzo
(ossia in base al flusso in essa realmente transitato): un
confronto fra il valore di questo indicatore prima e dopo
l’attuazione degli interventi previsti fornisce una chiara
indicazione circa l’efficacia dell’intervento stesso. Oltre al
tasso di incidentalità, si rivela utile prevedere il calcolo
della frequenza degli incidenti (espressa in funzione della
sola estensione della sezione omogenea) e del numero
di incidenti. Tutti e tre questi indicatori di prestazione
devono essere valutati sul numero di incidenti con morti
e/o feriti: il calcolo con riferimento ai soli incidenti mortali
presenta infatti la difficoltà di risalire ai decessi
conseguenti ai sinistri a distanza di tempo (ossia ai
decessi dovuti alle conseguenze del sinistro ma avvenuti
a distanza di tempo dal sinistro stesso).
3. GLI ELEMENTI AFFRONTATI NELLO STUDIO
Il presente capitolo di fatto costituisce il cuore del lavoro
di ricerca: sono infatti presentate le analisi approfondite
di alcuni degli elementi da inserire in un PTVE, elementi
considerati imprescindibili.
Fra quanto descritto al capitolo precedente, vengono
quindi presentate le procedure per:
- calcolo della velocità di progetto di infrastrutture
esistenti (in accordo a quanto richiesto dalla
normativa vigente in tema di dispositivi di
ritenuta);
- stima delle velocità operative (al momento per i
soli rettifili);
- valutazione del livello di rischio connesso allo
stato delle pavimentazioni;
- valutazione del livello di rischio connesso ai
dispositivi di ritenuta, esistenti e da installare
(per i quali è stata prevista anche una
103
procedura per la stima di un indice di efficienza
globale);
- analisi di incidentalità;
- individuazione dei punti neri;
- classificazione funzionale delle infrastrutture
mediante il ricorso a modelli tassonomici.
Viene inoltre presentata, da un punto di vista teorico, una
trattazione analitica dei principali indicatori di
prestazione, alcuni dei quali poi effettivamente impiegati
nei calcoli.
3.1 La velocità di progetto per infrastrutture
esistenti
Riprendendo la definizione riportata al cap.1 del DM
6792/2001 (Norme funzionali e geometriche per la
costruzione delle strade), con il termine intervallo di
velocità di progetto si intende il campo dei valori in base
ai quali devono essere definite le caratteristiche dei vari
elementi componenti un tracciato stradale (rettifili, curve
circolari e curve a raggio variabile). Detti valori variano
da elemento ad elemento: il limite superiore costituisce il
riferimento per la progettazione degli elementi vincolanti
del tracciato, ed è pari almeno alla velocità massima
consentita dal NCdS per i diversi tipi di strada; il limite
inferiore è invece la velocità di riferimento per la
progettazione degli elementi plano-altimetrici più
vincolanti.
Da questa definizione risulta chiaro che il parametro
velocità di progetto VP è un parametro noto per le strade
di nuova o recente progettazione, mentre risulta un
parametro del tutto ignoto per le infrastrutture più datate,
di tipica derivazione da antiche strade costruite nei secoli
scorsi e nel tempo adeguate o, il più delle volte,
semplicemente pavimentate.
Tale parametro deve quindi essere ricavato per
assimilazione alle categorie previste dalle vigenti dal DM
6792/2001 per quanto riguarda i diversi tipi di strada. Il
suggerimento di procedere per assimilazione è contenuto
nella circolare 62032/2010 in tema di dispositivi di
ritenuta, che all’art.3 recita: “si rammenta che sotto il
profilo regolamentare la velocità di progetto di un arco
stradale deve essere determinata in relazione alla classe
funzionale, riportata all’art. 2 comma 2 del D.Lgs.
285/1992 “Nuovo Codice della Strada” e dalle sue
caratteristiche planimetriche (raggio di curvatura),
indipendentemente dalla eventuale imposizione di un
limite di velocità sul tratto stradale oggetto di intervento.
Nel caso di interventi da realizzare su strade esistenti, la
velocità di progetto dovrà essere calcolata per
assimilazione, sulla base di quanto previsto dal D.M.
5.11.2001 “Norme funzionali e geometriche per la
costruzione delle strade” e s.m.i. per la medesima classe
funzionale e raggio planimetrico della tratta”.
Poiché il problema del calcolo della velocità di progetto
sussiste solamente per le infrastrutture esistenti (per le
nuove infrastrutture è un dato stabilito in sede
progettuale), è stata predisposta una procedura che
renda possibile risalire ad un valore di tale parametro sia
come dato univoco che sotto forma di intervallo,
ottenibile dai soli dati geometrici di un tracciato esistente.
Sulla base di questa considerazione, si è fatto ricorso
alla formulazione proposta al paragrafo 5.2.4 del DM
6792/2001 per la valutazione della pendenza
longitudinale da realizzarsi per una curva circolare in
funzione del suo raggio:
∙ 127
1
dove:
q pendenza trasversale di una curva
fT quota del coefficiente trasversale di aderenza
impiegabile su quella curva, inversamente
proporzionale alla velocità di progetto
R raggio della curva
VP velocità di progetto
Per l’applicazione di questa procedura è innanzitutto
necessario disporre dei dati geometrici descritti al
capitolo precedente: per situazioni puntuali di particolare
importanza è possibile (e preferibile) raccogliere tali dati
ricorrendo a rilievi topografici, mentre in tutte le altre
situazioni è accettabile il ricorso alla semplice cartografia
CTR in scala 1:10,000.
Per quanto riguarda i due parametri a secondo membro
della (1), la pendenza trasversale deve essere misurata
per ciascun tratto di curva individuato dalla cartografia;
alternativamente, può essere impiegato un valore medio
di riferimento, che nel caso di strade esistenti tenga
necessariamente conto dell’effettivo stato dei luoghi.
Questo valore di riferimento può e deve essere assunto
sulla base dell’esperienza e di misure condotte su un
campione di strade in differenti condizioni e
rappresentative di tutte le possibili condizioni rilevabili
sulle infrastrutture in gestione all’Ente.
104
Per la valutazione del parametro fT, la normativa ne
stabilisce i valori sulla base della VP, assegnando valori
più bassi a velocità di progetto più elevate.
Per la procedura qui proposta, non avendo a
disposizione il valori di VP (in quanto dato incognito da
ricavare), sussiste la necessità di correlare fT ad un
qualche altro parametro noto delle strade in modo che il
suo significato non muti.
Ancora il DM 6792/2001 propone di adottare i seguenti
valori in funzione della velocità di progetto (che
ricordiamo è un parametro noto per le sole strade di
nuova progettazione):
Figura 2
e suggerisce inoltre di procedere ad interpolazione per
valori compresi fra quelli indicati.
Riportando quindi i valori (relativamente alle sole strade
extraurbane) su un grafico e procedendo ad
interpolazione, è possibile individuare quella che è
l’equazione che meglio approssima l’andamento del
parametro fT proprio in funzione della velocità di progetto.
Sostituendo l’equazione così ottenuta nella (1) si ottiene
una nuova equazione ancora di forma parabolica:
∙ 127 ∙ ′ 1 ∙ ∙ 127 ∙ ′ ∙ ′
∙ ∙ 127 0
2
dove:
0.000012054
0.003355357
′ 0.325285714
Detto quindi Δ il relativo discriminante, si ha infine che la
velocità di progetto per l’i-esima curva individuata è data
da:
,
∙ 127 ∙ √∆
2 ∙ ∙ 127 ∙ ′ 1
3
Calcolata pertanto la velocità per ciascuna curva
presente sul tracciato, è necessario fare un’ulteriore
importante considerazione: infatti si rivela necessario
imporre un limite inferiore e un limite superiore ai valori di
VP,i calcolati, in modo che non vi siano valori troppo bassi
né, soprattutto, troppo alti che potrebbero portare ad una
errata stima della velocità di progetto VP,strada del
tracciato in esame. Certamente devono essere esclusi
dall’applicazione di tale limite i tornanti, in quanto questi
devono essere necessariamente percorsi a velocità
molto basse e per i quali il DM 6792/2001 al cap.1
prescrive che “Le norme [...] si riferiscono alla
costruzione di tutti i tipi di strada previste dal Codice, con
esclusione di quelle di montagna […] per le quali non è
generalmente possibile il rispetto dei criteri di
progettazione di seguito previsti”. Conseguentemente,
identificando come tornanti quelle curve che hanno
raggio al centro maggiore di 90°, è necessario stimare la
velocità di progetto , per l’i-esima curva tenendo conto
anche dell’angolo al centro della curva, secondo quanto
riportato nella seguente tabella:
Tabella 1
, 30 / 90° , /
90° , ,
30 , 100 / ∀ , ,
, 100 / ∀ , /
I limiti di 30km/h e di 100km/h si sono ritenuti ben
rappresentativi di condizioni reali per strade extraurbane,
anche sulla base degli intervalli per le velocità di progetto
individuati dal DM 6792/2001 per ciascuna categoria di
strada.
Note le velocità di progetto , per ciascuna curva
presente sul tracciato, è possibile calcolare due ulteriori
parametri: la velocità di progetto media VP,media e la
velocità di progetto media pesata VP,pesata, quest’ultima
valutata utilizzando come pesi le lunghezze Li delle i
curve:
,
1∙ ,
4
,
∑ , ∙
∑
5
La scelta di ricorrere al calcolo anche della VP,pesata oltre
che della semplice VP,media è dettata dalla necessità di
superare il limite conseguente al fatto che la VP,strada deve
essere valutata in relazione alle caratteristiche
105
geometriche delle sole curve. Ricorrendo alla VP,pesata è
possibile tener conto di quanto incide ognuna delle i
curve sulla VP,strada, cosa che il semplice calcolo della
VP,media non consente.
Inoltre disporre sia della VP,pesata che della VP,media
permette un’ulteriore importante analisi sull’omogeneità
del tracciato e sulla possibile suddivisione di questo in
più sezioni, omogenee per quanto riguarda proprio la VP.
Infatti, in linea teorica, se il tracciato presentasse
caratteristiche geometriche omogenee, la VP,pesata e la
VP,media risulterebbero avere valori molto vicini. Può però
verificarsi anche la condizione per cui la VP,pesata e la
VP,media abbiano due valori significativamente diversi fra
di loro. Questa possibilità si concretizza se:
- gli assi sono composti da pochi tratti di curve
caratterizzati da una lunghezza Li elevata (e che
quindi incidono maggiormente sul calcolo della
VP,strada);
- all’interno del tracciato stradale sia possibile
individuare due o più zone con caratteristiche
planimetriche molto diverse fra di loro.
Calcolate quindi la VP,pesata e la VP,media, l’analisi di questa
possibile discordanza fra le due per la valutazione
dell’omogeneità di un tracciato può essere eseguita
secondo la seguente procedura: si calcola innanzitutto la
varianza delle , :
,
1∙ , ,
6
e si costruisce poi per punti la curva
∗1∙ ,
7
con C costante che varia nel campo delle velocità
[30; 100] precedentemente introdotto e che, per la
proprietà della varianza, assume il suo valore minimo per
C = VP,media.
La curva che ne deriva è una parabola di equazione
generale e coefficienti noti:
1
2 ∙ ,
∗ 0
Costruita la curva della funzione Var*, attraverso misure
sperimentali si è individuata una soglia di tolleranza del
5% come accettabile per il valore della varianza rispetto
al valore minimo di Var*, tolleranza per la quale è
possibile ritenere omogeneo un tracciato (o parte di
esso).
Tale soglia deve soddisfare due importanti requisiti:
rendere possibile l’individuazione di effettive situazioni di
disomogeneità in un tracciato, ed essere
sufficientemente ampia in maniera tale da rendere
possibile la suddivisione di un tracciato in sezioni
omogenee caratterizzate da estensioni operative
adeguate. La soglia di tolleranza così individuata è
rappresentabile sul grafico come una retta orizzontale.
Figura 3
Tale retta interseca la parabola in due punti, a cui
corrispondono due distinti valori di velocità, e ,
corrispondenti ad altrettanti valori distinti assunti dalla
funzione Var* all’interno del suo dominio. Pertanto è
possibile individuare un intervallo ; , definito
come intervallo di omogeneità, tale che se VP,pesata vi
appartiene il tracciato può essere ritenuto senz’altro
omogeneo.
Possono aversi quindi due condizioni: il valore di VP,pesata
calcolato ricade all’interno di detto intervallo oppure no.
Nel primo caso i due valori di VP,pesata e VP,media risultano
effettivamente molto vicini ed è possibile assumere come
VP,strada indistintamente il valore di VP,pesata o di VP,media.
Convenzionalmente, si ritiene di assumere come VP,strada
il valore di VP,pesata, vista la maggior rappresentatività
rispetto al valore di VP,media. Il tracciato può essere
ritenuto omogeneo sotto il profilo della velocità di
progetto.
Nel secondo caso i due valori di VP,pesata e VP,media sono
significativamente diversi fra di loro. Il tracciato non può
più essere ritenuto omogeneo e quindi non è più
possibile ritenere accettabile un valore unico di VP,strada:
sarà ossia necessario ricorrere alla suddivisione del
106
tracciato in j sezioni omogenee, ciascuna caratterizzata
da una sua VP,sezione. Le sezioni omogenee possono
essere facilmente individuate con l’ausilio di un grafico su
cui riportare le stesse , in ordinata e le progressive
chilometriche in ascissa: nell’esempio della figura
seguente, è possibile distinguere chiaramente due
sezioni omogenee, una dalla pk 0+000 alla pk 12+600 e
l’altra dalla pk 12+600 alla pk 17+700.
Figura 4
Dall’analisi del grafico è possibile inoltre stabilire se le
disomogeneità siano diffuse lungo tutto il tracciato
oppure se siano concentrate in determinate zone. Nel
primo caso, si assumerà che:
- se , ⇒ ,
- se , ⇒ ,
imponendo quindi delle limitazioni a tutto il tracciato
stradale. Nel secondo caso, ossia quando le
disomogeneità sono concentrate in determinate zone del
tracciato (come nell’esempio della figura precedente), si
procederà a suddividere il tracciato in più sezioni
omogenee distinte ed a ripetere la procedura fin qui
descritta per tutte le j sezioni individuate, ottenendo così
più velocità di progetto VP,sezione.
3.2 Il passaggio alle velocità operative
Quanto finora esposto permette di risalire ad un valore di
velocità assimilabile a quella di progetto per interi
tracciati (o parti di essi) assumendo come parametro di
riferimento esclusivamente le velocità di progetto delle
curve, secondo quanto suggerito dalla Circ. 62032/2010.
Tuttavia si ritiene necessario sollevare alcune riserve
sulla scelta della velocità di progetto come parametro di
riferimento per le normative vigenti: questo infatti è un
parametro puramente teorico, che non necessariamente
trova riscontro con le reali condizioni di circolazione sulle
strade, per cui possono sussistere differenze anche
sostanziali fra la velocità di progetto e quella invece
effettivamente tenuta dagli utenti, con la conseguenza
che alcune scelte effettuate basandosi esclusivamente
sulla VP potrebbero rivelarsi inadeguate per le reali
condizioni di esercizio; inoltre, la metodologia proposta
potrebbe risultare di modesta affidabilità nel caso in cui il
tracciato (o la singola sezione omogenea) presenti
caratteristiche singolari, quali ad es. rettilinei molto lunghi
e un ridotto numero di curve.
Poiché gli interventi su infrastrutture esistenti vanno
necessariamente ad incidere su una situazione
preesistente, anziché ad una velocità puramente teorica
come quella di progetto, potrebbe allora rivelarsi più
significativo riferirsi ad una velocità ambientale (o
operativa), che rispecchi le reali condizioni di esercizio
dell’infrastruttura.
Numerosi studi precedenti mostrano infatti le differenza
sostanziale fra le velocità di progetto, come quella
proposta dal DM 6792/2001, e le velocità effettivamente
tenute dagli utenti. In letteratura è possibile rinvenire
numerosi studi volti proprio a tentare di dare una
spiegazione al legame esistente fra caratteristiche
geometriche della strada e le velocità tenutevi dagli
utenti. Tuttavia le singole formulazioni ottenute dai diversi
gruppi di ricerca non possono ritenersi universalmente
valide: il motivo è da ricercarsi nelle differenze, a volte
sostanziali, tra una realtà nazionale e l’altra (e talvolta
anche tra diverse realtà locali all’interno dello stesso
paese) in termini di orografia del territorio attraversato, di
condizioni climatiche, di parco veicolare e, soprattutto, di
abitudini degli utenti. Anche in Italia è stato di recente
introdotto il concetto di velocità operativa. Questa infatti
compare per la prima volta all’interno del documento pre-
normativo CNR precedentemente citato, laddove
vengono definiti i criteri di progettazione degli interventi
per il miglioramento della funzionalità e della sicurezza
107
lungo sezioni omogenee di tracciato. Anche in Italia
pertanto si è iniziato a riconoscere la necessità di basare
tutti gli interventi sulle strade su un parametro che sia
rappresentativo del comportamento degli utenti anziché
delle sole caratteristiche geometriche.
La velocità operativa viene definita, in genere, come “la
velocità mantenuta dai veicoli in condizioni di flusso
libero, superata solo dal 15% degli utenti”, ossia
corrisponde all’85% delle velocità tenute effettivamente
dagli utenti in condizioni di flusso libero.
La procedura di seguito illustrata getta le basi per il
passaggio dalle velocità di progetto, parametro
esclusivamente teorico, alle velocità operative.
Uno dei punti di forza della metodologia qui proposta
risiede in una relativamente semplice adattabilità a
qualsiasi contesto territoriale in seguito alla raccolta di
semplici dati sulle caratteristiche della circolazione.
Prima di descrivere la procedura messa a punto, è
necessario altresì osservare che gli assi stradali (rilevati
in sito mediante le diverse tecnologie disponibili oppure
semplicemente ricostruiti su base cartografica) risultano
composti da un’alternanza di tratti curvi e tratti rettilinei,
che può risultare sia di tipo perfetto (successione curva-
rettilineo-curva estesa a tutto l’asse) sia di tipo imperfetto
(qualora siano presenti k elementi in successione di
un’unica tipologia).
Nel caso dei rettifili è senz’altro necessario considerare
un unico elemento con estensione pari alla somma di
tutti i segmenti di rettilineo che lo compongono. Perciò la
lunghezza complessiva dell’l-esimo rettilineo Ll sarà
quindi:
8
In questo caso il rettifilo l risulterà caratterizzato da
un’unica velocità V85,l.
Nel caso delle curve, invece, si hanno due possibilità. La
prima consiste nel considerare ciascuna curva
separatamente, ossia senza considerare l’eventuale
susseguirsi di più curve senza l’interposizione di un
rettifilo fra di esse: questa è certamente la possibilità di
analisi più semplice, tuttavia si ritiene che ciò porti a non
valutare correttamente il comportamento degli utenti in
considerazione del fatto che, in un tratto di strada con
simili caratteristiche, la distribuzione delle velocità tenute
dagli stessi è certamente influenzata dalle caratteristiche
delle curve e da come queste si susseguono in serie.
Tuttavia è necessario osservare però che esisterà
certamente una distanza oltre la quale una curva non
esplica più alcuna influenza all’interno della successione
delle curve, aspetto questo che sarà oggetto di futuri
sviluppi e approfondimenti.
I rettifili
Una delle carenze dell’impiego di un modello teorico è
quella di non considerare affatto l’influenza dei rettifili
nella valutazione di una velocità assimilabile a quella di
progetto per tracciati o per sezioni omogenee.
Si è pertanto ricercato un modello che al tempo stesso
permettesse di superare questa lacuna e che spiegasse
il legame fra alcune caratteristiche geometriche dei
rettifili e le velocità tenute dagli utenti, che fosse
applicabile anche in più condizioni diverse fra loro
semplicemente eseguendo una calibrazione e
rivalutando pertanto i parametri del modello stesso, e che
fosse aggiornabile qualora fosse disponibile anche un
modello per le velocità operative delle curve.
Il primo step di ricerca in questo campo è consistito nel
gettare alcune ipotesi generali di base da rispettare sia
nelle fasi di rilievi in sito che nelle successive fasi di
calcolo, e su cui fondare il modello:
‐ è stato imposto il limite superiore di 800m
all’estensione Ll dei rettifili: si è ritenuta infatti
questa lunghezza come sufficiente perché gli
utenti raggiungano la velocità desiderata e la
mantengano costante fino al punto in cui
dovranno iniziare la manovra di decelerazione
in vista della curva successiva;
‐ possono essere utilizzate anche postazioni di
misura localizzate su rettifili aventi agli estremi
(uno od entrambi) intersezioni a raso o a
rotatoria: in questo caso deve essere assunta
come velocità di attraversamento
dell’intersezione una VC(P,S)=30 km/h,
indipendentemente dal raggio della traiettoria, in
quanto ritenuta rappresentativa della reale
velocità di percorrenza nell’area
dell’intersezione;
‐ devono essere individuate sezioni di rilievo in
cui lo stato della pavimentazione sia ottimale, in
modo sia da svincolare dal modello stesso
l’eventuale influenza che può avere l’aspetto
manutentivo sulla valutazione delle velocità
operative, sia da permettere in una successiva
108
fase l’introduzione di un coefficiente correttivo
atto all’uopo;
‐ devono essere individuate postazioni di misura
posizionate grossomodo a metà del rettifilo e in
condizioni grossomodo pianeggianti;
‐ devono essere inclusi nelle analisi solamente
quei veicoli che in quella sezione viaggiano in
condizioni di flusso libero, intendendo come tale
una condizione per cui il gap fra due veicoli
successivi risulti maggiore o uguale a 5s;
‐ in prima analisi, per motivi legati alla
strumentazione impiegata per i rilievi (rilevatori
con tecnologia tecnologia radar), sono stati
esclusi i veicoli pesanti.
Le fasi di costruzione, di calibrazione e di validazione di
un siffatto modello necessitano di una cospicua mole di
dati da rilevare in sito. Innanzitutto si è quindi proceduto
ad una campagna di rilievo, condotta su strade
extraurbane della Provincia di Pisa con apparecchiature
di rilievo automatiche con tecnologia radar.
I dati possono essere registrati sia in forma aggregata
che disaggregata. Nel caso in esame si è fatto ricorso
alla registrazione in forma disaggregata, ossia
registrando per ciascun veicolo ora di transito, direzione,
corsia, velocità, lunghezza, gap ed headway con il
veicolo precedente.
Mediante metodi di regressione lineare e non lineare,
impiegando tutti i dati registrati durante la campagna di
misura nel rispetto delle ipotesi di cui sopra, si è
proceduto all’individuazione di quelle caratteristiche
geometriche che meglio spiegassero la relazione con le
velocità tenute dagli utenti stessi, facendo ricorso al
software opensource per la modellazione matematica
Gretl 1.9.12. Il successivo passo della ricerca è pertanto
consistito nella scelta della forma del modello che meglio
spiegasse i dati raccolti e previamente analizzati,
riepilogati nella seguente tabella:
Tabella 2
Dimensione campione (n. veic.)
V85 (km/h)
VCP (km/h)
VCS (km/h)
Lrett (m)
SP2 - dir.0 27848 59 38 55 227 SP2 - dir.1 28274 61 55 38 227 SP43 - dir. 0 4757 91 77 60 556 SP43 - dir. 1 5230 89 60 77 556 SP35 - dir. 0 2802 82 71 99 232 SP35 - dir. 1 4192 78 99 71 232 SP13 - dir. 0 17656 80 72 50 541 SP13 - dir. 1 21155 78 50 72 541 SP66 - dir. 0 16321 80 38 39 778 SP66 - dir. 1 15133 76 39 38 778 SP69 - dir. 0 19368 84 43 30(1) 792
Dimensione campione (n. veic.)
V85 (km/h)
VCP (km/h)
VCS (km/h)
Lrett (m)
SP69 - dir. 1 18685 89 30(1) 43 792 SP10 - dir. 0 16141 73 75 56 404 SP10 - dir. 1 16551 75 56 75 404 SP31 - dir. 0 11573 99 90 89 423 SP31 - dir. 1 14043 91 89 90 423 SP11 - dir. 1 21992 78 30(1) 91 444 SP12 - dir. 0 15818 82 76 82 445 SP12 - dir. 1 16098 89 82 76 445 SR68 - dir. 0 6944 86 83 52 435 SR68 - dir. 1 9260 84 52 83 435 SR439 - dir. 0 26324 67 30(1) 62 628 SP1 - dir. 0 3095 63 55 51 249 SP1 - dir. 1 2896 66 51 55 249 SP5 - dir. 0 6002 80 86 72 263 SP5 - dir. 1 6112 76 72 86 263
dove:
V85 85° percentile delle velocità registrate nella
sezione indagata ed opportunamente depurate
secondo le ipotesi descritte in precedenza
VCP velocità di progetto della curva precedente al
rettilineo di indagine, in direzione di marcia dei
veicoli
VCS velocità di progetto della curva successiva al
rettilineo di indagine, in direzione di marcia dei
veicoli
Lrett estensione del rettilineo indagato
Nella fase di scelta della forma matematica del modello
si è proceduto con il confronto fra diversi modelli
secondo due metodi: l’analisi del coefficiente di
determinazione R2 corretto (indicato con ) e il criterio
di informazione di Akaike (indicato con AIC).
In ambito di analisi di regressione, il coefficiente R2
semplice (di seguito indicato semplicemente con R2) è
utilizzato come principale indice di bontà della curva di
regressione: per l'analisi di regressione lineare semplice,
esso serve a misurare la frazione di devianza spiegata,
cioè la proporzione di variabilità di Y spiegata dalla
variabile esplicativa X. In ambito di regressione lineare
multipla deve essere invece impiegato il coefficiente di
determinazione corretto , in quanto all'aumentare del
numero di variabili esplicative (o predittori), aumenta
anche il valore di R2, ma contemporaneamente può
ottenersi un peggioramento della precisione delle stime.
In questo caso è il coefficiente che meglio misura la
frazione di varianza spiegata dal modello, in quanto
riesce a considerare anche il numero di regressori del
modello.
Pertanto, se il coefficiente R2 oppure sono prossimi
all’unità significa che i regressori predicono bene il valore
della variabile dipendente in campione, mentre se
109
assumono valori vicini allo zero significa che non lo
fanno. Inoltre, mentre il coefficiente R2 assume valori
compresi nell’intervallo [0; 1], il coefficiente può
assumere anche valori negativi.
Poiché quindi maggiormente il valore di si avvicina
all’unità e maggiore è la frazione di varianza spiegata dal
modello, maggiore è la capacità di quest’ultimo di
descrivere i dati reali: la regola da seguire è pertanto
quella di preferire modelli con più elevato.
È qui necessario osservare che i coefficienti R2 ed
però non riescono a fornire utili indicazioni relativamente
alla corretta scelta del gruppo di regressori: quello della
corretta selezione dei regressori è un problema ricorrente
nel campo dell’analisi di regressione multipla (lineare e
non), in quanto la scelta di un certo gruppo di questi è
correlato all’aumento della varianza spiegata dal modello
(nel caso dell’impiego di un eccessivo numero di
regressori) ed alla diminuzione della precisione delle
stime (nel caso dell’impiego di un ridotto numero di
regressori). Inoltre, diversamente da quanto accade nel
caso della regressione lineare, non esiste invece un
metodo generale per determinare i valori dei parametri
che garantiscono la migliore interpolazione dei dati nel
caso di regressione non lineare. Per questi due motivi, è
utile far ricorso a classi di algoritmi numerici di
ottimizzazione, che a partire da valori iniziali, scelti a
caso o tramite un'analisi preliminare (ad esempio con
modello di regressione lineare), giungono a punti ritenuti
ottimali. Si potrebbero avere dei massimi locali della
bontà del fitting, in contrasto ancora con il caso della
regressione lineare, in cui il massimo è di natura globale.
Il software Gretl impiegato per l’analisi del modello
permette il calcolo in automatico di diversi criteri di
valutazione, fra i quali quello noto come Criterio di
Informazione di Akaike (o AIC).
Il criterio AIC fornisce un’importante indicazione
relativamente alla stima dell’adattamento del modello
costituito con il set I di regressori al dataset di dati
iniziale riuscendo a ben bilanciare entrambi gli aspetti
derivanti dalla scelta dei regressori, ossia la precisione
delle stime e la spiegazione della varianza.
Rimandando a quanto indicato in bibliografia per un
approfondimento sulla teoria del criterio AIC, è utile qui
riportare che la regola da seguire nella scelta fra più
modelli sviluppati con un diverso numero di regressori ed
a partire dallo stesso dataset di dati iniziale è quella di
preferire modelli con il valore di AIC più basso.
Una stima poi della significatività del valore calcolato per
ciascun coefficiente del modello viene fornita dal
software stesso attraverso il relativo calcolo del p-value:
per un qualsiasi test di verifica d'ipotesi, questo
parametro rappresenta la probabilità di ottenere un
risultato pari o più estremo di quello osservato, supposta
vera l'ipotesi nulla (cioè l'ipotesi che si vuole verificare
nel test). Il valore calcolato per un coefficiente può
essere ritenuto significativo quando il suo p-value risulti
inferiore al 5%, ovvero quando è significativo per il 95%
dei casi.
Come detto in precedenza, si sono confrontati attraverso
apposito codice di calcolo da inserire nel software Gretl
numerosi modelli, fra i quali è risultato maggiormente
rappresentativo dei dati reali un modello lineare avente la
seguente forma:
∙ ∙ 9
e per il quale lo stesso Gretl ha fornito in output i
seguenti risultati:
Tabella 3
Modello 4: NLS, usando le osservazioni 1-25 rilevata_85 = a + (Vcp+Vcs) * d + c * (Lrett)
Stima Errore Std. rapporto t p-value
a 22.1991 5.03095 4.4125 0.00022 ***
c 0.0501237 0.0049045 10.2199 <0.00001 ***
d 0.273819 0.027141 10.0888 <0.00001 ***
Media var. dipendente 79.56000 SQM var. dipendente 9.836497
Somma quadr. residui 323.9700 E.S. della regressione 3.837435
R-quadro 0.860488 R-quadro corretto 0.847805
Log-verosimiglianza -67.49565 Criterio di Akaike 140.9913
Criterio di Schwarz 144.6479 Hannan-Quinn 142.0055
110
Pertanto, il modello cercato per le velocità operative e
calibrato sui dati raccolti assume la forma esplicita
seguente:
, 22.1991 0.27382 ∙ 0.05012
∙
10
dove:
V85,l 85° percentile delle velocità sul tratto rettilineo l-
esimo, assunta come velocità operativa dello
stesso
VCP velocità di progetto della curva precedente al
rettilineo in esame nel senso delle progressive
crescenti
VCS velocità di progetto della curva successiva al
rettilineo in esame nel senso delle progressive
crescenti
Ll lunghezza del l-esimo tratto rettilineo in esame
Inoltre, i valori stimati per i tre coefficienti a, c e d
risultano tutti sensibilmente inferiori al valore limite del
5% (ossia 0.05) e pertanto perfettamente significativi:
con questi valori dei coefficienti, dal modello si ottengono
i valori per ed AIC pari a:
0.85
140.99
In particolare, il valore di risulta del tutto accettabile
ed in linea con i valori dello stesso coefficiente ottenuto
dai modelli esistenti in letteratura.
Terminata la fase di calibrazione del modello, si è
proceduto con la fase di validazione dello stesso. Con le
stesse ipotesi assunte in precedenza, si è condotta una
seconda campagna di misure, in nuove sezioni
ovviamente differenti da quelle individuate nella fase di
calibrazione.
I dati relativi alle nuove sezioni sono riassunti nella
seguente tabella.
Tabella 4
VCP
(km/h) VCS
(km/h) Lrett (m)
SP9 - dir 0 40 100 216 SP9 - dir 1 100 40 216 SR436 - dir 0 30(1) 65 382 SR436 - dir 1 65 30 382 SP65 - dir 0 99 30(1) 216 SP66 - dir 0 30(1) 100 800(2) SP66 - dir 1 100 30(1) 800(2) SP26 - dir 0 30(1) 62 609 SP26 - dir 1 62 30(1) 609 SP21 - dir 0 60 89 219
VCP
(km/h) VCS
(km/h) Lrett (m)
SP21 - dir 1 89 60 219 SR439 - dir. 0 96 78 151 SR439 - dir. 1 78 96 151 SP3 pos.1 - dir 0 35 73 725 SP3 pos.1 - dir 1 73 35 725 SP3 pos.2 - dir 0 73 66 96 SP3 pos.2 - dir 1 66 73 96
(1) velocità imposta pari a 30km/h secondo le ipotesi assunte (2) estensione imposta pari a 800m secondo le ipotesi assunte
Per la procedura di validazione si è proceduto con
l’applicazione del modello sopra ottenuto alle nuove
sezioni riportate in Tabella 4 ed al successivo confronto
fra la V85 così calcolata con quella effettivamente
misurata. Si è ottenuto quanto riportato nella seguente
Tabella 5 dove si riportano anche le differenze ∆V85 fra
velocità misurate e velocità calcolate.
Come si può osservare sussiste una buona
corrispondenza fra valori osservati di V85 e valori calcolati
con il modello. Questa buona corrispondenza risulta
ancor più evidente se analizziamo il successivo grafico.
Tabella 5
Dimensione campione (n. veic.)
V85,ril (km/h)
V85,mod (km/h)
∆V85 (km/h)
SP9 - dir 0 2106 80 71.36 -8.64 SP9 - dir 1 2002 80 71.36 -8.64 SR436 - dir 0 19524 70 67.36 -2.64 SR436 - dir 1 19767 70 67.36 -2.64 SP65 - dir 0 2532 76 68.35 -7.65 SP66 - dir 0 8591 102 97.89 -4.11 SP66 - dir 1 11077 102 97.89 -4.11 SP26 - dir 0 6675 82 77.92 -4.08 SP26 - dir 1 7350 78 77.92 -0.08 SP21 - dir 0 7361 76 73.98 -2.02 SP21 - dir 1 7286 82 73.98 -8.02 SR439 - dir. 0 653 84 77.41 -6.59 SR439 - dir. 1 625 89 77.41 -11.59 SP3 pos.1 - dir 0 2118 89 88.11 -0.89 SP3 pos.1 - dir 1 2246 86 88.11 2.11 SP3 pos.2 - dir 0 1734 69 65.07 -3.93 SP3 pos.2 - dir 1 1732 72 65.07 -6.93
111
Figura 5
Una stima della bontà del modello, trattandosi di
correlazione lineare fra due valori, può essere eseguita
mediante il calcolo del coefficiente di determinazione
semplice R2, che in questo caso risulta pari a 0.8821:
questo valore conferma effettivamente la buona
corrispondenza fra valori misurati e calcolati, e pertanto
anche la bontà del modello.
Il modello ottenuto e riportato in (10) risulta pertanto
affidabile. Allo stato attuale, questo può essere impiegato
con le velocità Vcp e Vcs calcolate secondo la procedura
riportata al paragrafo precedente. Tuttavia, al momento
che sarà disponibile il modello per le velocità operative
anche per le curve (la cui procedura di sviluppo
ricalcherà quanto qui presentato per i rettilinei, salvo
scegliere differenti parametri rappresentativi) si potrà (e
si dovrà) procedere a rivalutare i valori dei coefficienti
appena stimati.
Il modello così ottenuto non tiene conto, per precisa
scelta, della condizione ambientale relativa allo stato di
manutenzione delle pavimentazioni. Inoltre, poiché è
stato sviluppato solamente per strade in zona
extraurbana, non risulta applicabile a quei tratti di
tracciato che attraversano zone urbane. Per questi
motivi, alle V85 calcolate con la (10) devono essere
applicati due coefficienti correttivi per tenere conto
dell’influenza sulle velocità tenute dagli utenti sia dello
stato di conservazione e manutenzione delle
pavimentazioni (espresso mediante il parametro STDj,
per la cui descrizione di rimanda al successivo par. 3.4),
sia del fatto che il tratto di strada per il quale si esegue il
calcolo ricada o meno all’interno di un’area urbana. Non
si tiene conto, in questa sede, di coefficienti inerenti lo
spettro di traffico: in caso contrario, significherebbe
assumere implicitamente di considerare nei calcoli delle
V85 tutti i veicoli e non in condizioni di libero deflusso,
contrariamente alle ipotesi assunte. Anche i valori di tali
coefficienti, riportati in Tabella 6 ed inizialmente dedotti
dai valori omologhi del manuale Highway Capacity
Manuale – ed. 2010, sono stati ricalibrati sulla base di
osservazioni su strade extraurbane ed urbane.
Il modello finale per le velocità operative sui rettifili risulta
pertanto il seguente:
,∗
, ∙ ∙ 11
Tabella 6
Coefficiente correttivo per stato di manutenzione della pavimentazione
Categoria A (STDj ≤ 0.15) Categoria B (0.15 < STDj ≤ 0.30) Categoria C (0.30 < STDj ≤ 0.50) Categoria D (STDj > 0.50)
.
.
.
.
Coefficiente correttivo per zona urbana
Area extraurbana Area urbana
.
. .
Le curve
Riprendendo quanto già esposto in precedenza, in attesa
di calibrare e validare un modello matematico così come
è stato fatto per i rettilinei, è possibile seguire la
seguente procedura, con la quale di fatto si giunge ad un
modello “ibrido” semi-empirico per la stima delle velocità
su interi tracciati o sezioni di essi.
Nel caso delle curve non si impiegano le , bensì le ,
calcolate in precedenza: infatti, trattandosi di ricercare un
valore di velocità operativa a partire da un dato teorico, è
necessario includere nel calcolo le velocità che possono
essere tenute dagli utenti su ciascun elemento di curva
anche quando ve ne siano più di uno in successione e
senza interposizione del rettilineo. Si tratta pertanto di
applicare alle velocità , precedentemente valutate
alcuni coefficienti correttivi per tenere conto di alcuni
aspetti influenti sulle velocità tenute dagli utenti: la
larghezza della carreggiata (e quindi delle corsie), lo
stato di conservazione e manutenzione della
pavimentazione (espresso mediante il parametro STDj,
per la cui descrizione di rimanda al successivo par. 3.4),
il fatto che si sia o meno all’interno di un’area urbana.
112
Non si tiene conto, in questa sede, di coefficienti inerenti
lo spettro di traffico: in caso contrario, significherebbe
ancora assumere implicitamente di considerare nei
calcoli delle V85 tutti i veicoli e non in condizioni di libero
deflusso, contrariamente alle ipotesi assunte. I valori di
tali coefficienti, riportati in Tabella 7 ed inizialmente
dedotti dai valori omologhi del manuale Highway
Capacity Manuale – ed. 2010, sono stati ricalibrati sulla
base di osservazioni su strade extraurbane ed urbane.
Alla fine si ottiene pertanto la velocità operativa ,∗
relativa a ciascuna curva:
,∗ , ∙ ∙ ∙ 12
Tabella 7
Coefficiente correttivo per larghezza della strada
7.50 6.00 7.50
6.00
.
.
.
Coefficiente correttivo per stato di manutenzione della pavimentazione
Categoria A (STDj ≤ 0.15) Categoria B (0.15 < STDj ≤ 0.30) Categoria C (0.30 < STDj ≤ 0.50) Categoria D (STDj > 0.50)
.
.
.
.
Coefficiente correttivo per zona urbana
Area extraurbana Area urbana
.
. .
Si ritiene di dover sottolineare che la (12) costituisce di
fatto un modello semi-empirico per la stima di velocità
operative a partire da un dato calcolato per via teorica.
La velocità operativa di un tracciato stradale
È necessario ora combinare le due velocità col fine di
ottenere un valore unico relativo ad un intero tracciato o
parte di esso: infatti, mentre per alcune applicazioni (ad
es. la valutazione del livello di rischio dei dispositivi di
ritenuta, come descritto nel seguito) è maggiormente
utile disporre di stime puntuali delle velocità operative,
sotto altri profili è richiesto invece un valore che possa
essere assegnato ad intere sezioni stradali (ad es. come
possibile criterio di individuazione delle sezioni
omogenee).
Riprendendo la procedura descritta al par. 3.1, si
valutano allora la velocità operativa media VOP,media e la
velocità operativa media pesata VOP,pesata, valutata in
questo caso utilizzando come pesi sia le lunghezze degli
r elementi curvi che degli s tratti di rettilineo sopra
individuati:
,
1∙ ,
∗,
∗ 13
,
∑ ,∗ ∙ ∑ ,
∗ ∙
∑ ∑
14
Anche in questo caso, ricorrendo alla VOP,pesata si riesce a
tener conto di quanto ognuno degli i elementi curvi e
ognuno degli l tratti rettilinei incide sul calcolo della
VOP,strada dell’intero tracciato, cosa che con il semplice
calcolo della VOP,media non si riesce a fare.
Vale ancora l’osservazione sull’omogeneità del tracciato:
infatti in linea teorica, se il tracciato presentasse
caratteristiche omogenee (con distribuzione omogenea
delle velocità operative lungo l’intero tracciato), la
VOP,pesata e la VOP,media risulterebbero avere valori molto
vicini. Può però succedere che la VOP,pesata e la VOP,media
abbiano due valori significativamente diversi fra di loro.
Questa possibilità si realizza solamente qualora
all’interno del tracciato stradale sia possibile individuare
due o più zone con caratteristiche planimetriche molto
diverse fra di loro.
Valutate la VOP,pesata e la VOP,media si procede perciò con
l’analisi di questa possibile discordanza fra le due
calcolando innanzitutto la varianza delle velocità
operative degli n diversi tratti (somma degli r tratti
composti da curve e degli s tratti composti da rettilinei)
che si susseguono lungo il tracciato:
,∗
1∙ ,
∗,
15
con oppure a seconda che si sia
optato per considerare gli elementi curvi separatamente
o in forma aggregata.
Come nel caso precedente, si costruisce poi per punti la
curva
∗1∙ ,
∗ 16
con C costante che varia nel campo delle velocità
[30; 100] e che, per la proprietà della varianza, assume il
suo valore minimo per C = VOP,media. Da osservare che in
questo caso il campo [30; 100] assume un significato
diverso rispetto al precedente caso, non presentando le
velocità operative alcuna limitazione: in questo caso, il
113
campo [30; 100] è utile come dominio entro il quale
costruire la curva Var*, assumendo perciò solo un
significato operativo per il calcolo.
La curva che ne deriva ancora una volta una parabola di
equazione con coefficienti noti:
1
2 ∙ ,
∗ 0
Analogamente al caso del calcolo della velocità di
progetto di un tracciato stradale, si è individuata mediate
misure sperimentali una soglia di tolleranza del 18%,
ritenuta accettabile per il valore della varianza rispetto al
valore minimo di Var*, e per la quale è possibile ritenere
omogeneo un tracciato (o parte di esso). Il valore
individuato, sensibilmente superiore a quello relativo alla
procedura per le velocità di progetto, è giustificato dal
maggior contenuto di informazioni che risultano
disponibili con la presente procedura. La soglia di
tolleranza è ancora una volta rappresentata da una retta,
che interseca la parabola in due punti: infatti il valore
della varianza ottenuto con l’applicazione della tolleranza
non è più il minimo possibile. Pertanto è possibile
individuare un intervallo ; , definito come
intervallo di omogeneità, tale che se VOP,pesata vi
appartiene il tracciato può essere ritenuto senz’altro
omogeneo.
Possono aversi quindi due condizioni: il valore di
VOP,pesata calcolato ricade all’interno di detto intervallo
oppure no.
Nel primo caso i due valori di VOP,pesata e VOP,media
risultano effettivamente molto vicini ed è possibile
assumere come VOP,strada indistintamente il valore di
VOP,pesata o di VOP,media. Convenzionalmente ed in
analogia al caso precedente, si ritiene di assumere come
VOP,strada il valore di VOP,pesata, vista la maggior
rappresentatività rispetto al valore di VOP,media. Il tracciato
può essere ritenuto omogeneo sotto il profilo della
velocità operative.
Nel secondo caso i due valori di VOP,pesata e VOP,media sono
significativamente diversi fra di loro. Il tracciato non può
più essere ritenuto omogeneo e quindi non è più
possibile ritenere accettabile un valore unico di VOP,strada:
sarà ossia necessario ricorrere alla suddivisione del
tracciato in j sezioni omogenee, ciascuna caratterizzata
da una sua VOP,sezione. Le sezioni omogenee possono
essere facilmente individuate con l’ausilio di un grafico
(del tutto simile a quello riportato in Figura 4) su cui
riportare in ordinata sia le ,∗ (oppure le ,
∗ nel caso di
aggregazione di curve successive) che le ,∗ ed in
ascissa le progressive chilometriche.
Dall’analisi del grafico è possibile inoltre stabilire se le
disomogeneità siano diffuse lungo tutto il tracciato
oppure se siano concentrate in determinate zone. Nel
primo caso, si assumerà che:
‐ se , ⇒ ,
‐ se , ⇒ ,
imponendo quindi delle limitazioni a tutto il tracciato
stradale. Nel secondo caso, ossia quando le
disomogeneità sono concentrate in determinate zone del
tracciato (come nell’esempio della Figura 4), si procederà
a suddividere il tracciato in più sezioni omogenee distinte
ed a ripetere la procedura fin qui descritta per tutte le j
sezioni individuate, ottenendo così più velocità di
progetto VOP,sezione.
3.3 Il livello di rischio dei dispositivi di ritenuta
Il livello di funzionalità dei dispositivi di ritenuta,
dipendente dalle caratteristiche tecniche e dallo stato
manutentivo degli stessi, incide direttamente sulle
conseguenze di un eventuale urto di un veicolo in caso di
sinistro. In questa sede quindi si propone una
metodologia che, disponendo di dati relativi alle
caratteristiche tecniche e di manutenzione, permetta di
arrivare a valutare la funzionalità di ciascun dispositivo di
ritenuta, giungendo infine ad associare a questa il livello
di rischio in funzione di più parametri (quali la velocità
operativa e l’incidentalità del punto di installazione, le
caratteristiche del punto protetto e altro). Una
metodologia del tutto simile è stata messa a punto anche
per quei punti in cui non sono già presenti dispositivi di
ritenuta ma per i quali potrebbe essere opportuno
prevederne l’installazione. Ovviamente tale procedura
può essere applicata solamente dopo la raccolta di
precise ed idonee informazioni: è ossia necessario
condurre un’apposita campagna di rilievo che, in maniera
precisa e puntuale, individui tutte le caratteristiche e lo
stato di manutenzione del singolo dispositivo.
Inoltre, per facilitare la stima del livello di rischio di
ciascun dispositivo, tutte le informazioni raccolte durante
vengono elaborate secondo tre indicatori di funzionalità,
114
ciascuno relativo ad una delle tre famiglie descritte di
seguito:
- famiglia a.1: raggruppa le informazioni relative
agli aspetti strutturali e che influiscono in
maniera preponderante sulla funzionalità del
singolo dispositivo, ossia quelle relative agli
elementi strutturali (fasce, montanti, supporti
elastici, travi superiori) e all’altezza del
dispositivo rispetto al piano viario; vi vengono
inseriti inoltre i dati inerenti lo stato manutentivo
degli eventuali attenuatori d’urto installati lungo
le strade;
- famiglia a.2: raggruppa le informazioni inerenti
gli elementi terminali delle parti strutturali dei
dispositivi (ossia delle fasce e delle travi
superiori) e quelle inerenti l’estensione del
dispositivo in relazione alla conformazione dei
luoghi ed ai pericoli/ostacoli da proteggere;
Tabella 8
Classe N2 Classe H1
Classe H2 Classe M100
115
- famiglia a.3: raggruppa le informazioni inerenti
gli elementi accessori dei dispositivi, ossia i
catadiottri, gli eventuali corrimano e correnti
inferiori e gli elementi terminali di questi.
Tale procedura si rivela utile anche in un’ottica di
individuazione delle priorità di intervento sui dispositivi
stessi e, se disponibili dati relativi agli altri aspetti relati
alla sicurezza stradale (stato delle pavimentazioni, della
segnaletica, ecc.), sull’intera infrastruttura in esame.
Oltre al livello di rischio connesso a ciascun dispositivo,
tale procedura permette il calcolo di un coefficiente, detto
indice di efficienza dei dispositivi, utile per una
valutazione della prestazione globale dell’infrastruttura in
esame sotto il profilo dei dispositivi di ritenuta.
Il censimento dei dispositivi
Il censimento dei dispositivi di ritenuta deve essere
condotto in maniera precisa e puntuale, analizzando
ossia da vicino ciascun dispositivo installato, anche con
l’ausilio di strumenti elettronici ed informatici dotati fra gli
altri di sensore GPS, questi ultimi utili per la successiva
fase di georeferenziazione dei singoli dispositivi. Di
ciascun dispositivo deve essere esaminato e rilevato
quanto riportato nel seguito.
Progressiva iniziale: misurata con odometro assumendo
come riferimento le progressive chilometriche installate a
bordo strada, oppure misurata con dispositivo GPS in
grado di registrare tracce e percorsi.
Classe: in caso di dispositivo omologato provvisto di
marcatura CE, questa è indicata sulla targhetta applicata
sul dispositivo stesso e recante le relative caratteristiche.
L’obbligo dell’installazione di dispositivi omologati è
sancito dall’art. 172 del NCdS, tuttavia per dispositivi
installati precedentemente alla sua entrata in vigore può
rivelarsi oggettivamente difficoltoso, soprattutto in sede di
indagine, risalire alla documentazione riportante la classe
(si veda ad esempio il dispositivo di Figura 6): solo in
questo caso e solo per questi dispositivi, stante la
necessità di assegnare comunque una classe ad un
dispositivo, ai fini della metodologia messa a punto è
possibile procedere ad una classificazione ipotizzando
l’appartenenza alla classe N1 in caso di fasce a singola
onda, N2 in caso di fasce a doppia onda e interasse
montanti superiore ai 3.50m, alla classe H1 in caso di
fasce a doppia onda e interasse montanti inferiori ai
3.50m e alla classe H2 a doppia fascia e doppia onda.
Alla classe H2 sono stati ipotizzati appartenenti anche i
dispositivi di tipo New Jersey in calcestruzzo quando non
disponibile la documentazione relativa o la targhetta
recante marcatura CE (
Tabella 8).
Figura 6
Interasse montanti: misurato con odometro digitale.
Materiale: acciaio, misto acciaio/legno oppure
calcestruzzo.
Posizione: il dispositivo deve essere classificato con le
sigla BL (bordo laterale) o BP (bordo ponte) secondo
quanto riportato sulla targhetta recante le relative
caratteristiche se omologato oppure provvisto di
marcatura CE, con l’aggiunta della lettera C qualora
installato su cordolo in calcestruzzo; altrimenti, per il solo
caso descritto a proposito della Classe, a ciascun
dispositivo potrà essere assegnato un codice sulla base
116
delle modalità di installazione osservabili direttamente in
sito, ossia come BL (bordo laterale, con montanti infissi
nel terreno), BLC (con montanti infissi in un cordolo di
calcestruzzo), BP (bordo ponte, con montanti fissati
mediante bulloni e tirafondi ad un cordolo in
calcestruzzo), BPC (bordo ponte su cordolo, con
montanti infissi in un cordolo in calcestruzzo e
posizionato su un’opera d’arte), come riportato in Tabella
9.
Onde: il dispositivo deve essere classificato a seconda
della tipologia di fascia: a 2 onde, a 3 onde, a doppia
fascia a 2 onde.
Terminali: questi sono gli elementi iniziale e finale di
ciascun dispositivo, e devono essere classificati come
NA (a nastro d’avvio), TT (terminale a terra), M (a
manina), T (a tubo), GD (giunzione con altro dispositivo
di ritenuta), GM (giunzione con muro mediante raccordo
speciale), A (elemento terminale assente), come riportato
in
Tabella 10.
Sicurezza motociclista: del dispositivo deve essere
rilevato se dotato o meno di protezione inferiore
appositamente studiata per i motociclisti.
Spazio di lavoro: questo dato è riportato sulla targhetta
applicata sul dispositivo stesso e recante le relative
caratteristiche; per il solo caso descritto a proposito della
classe, in prima analisi questa può essere
cautelativamente assegnata pari a W5 per i dispositivi di
tipo New Jersey in calcestruzzo e pari a W8 a tutti gli
altri.
Dislivello Δh: la motivazione principale per cui si è
proceduto all’installazione del dispositivo risiede nella
presenza di un dislivello elevato esistente fra piano viario
e terreno a fianco della strada; il dislivello deve essere
stimato come differenza di quota fra il piano stradale e il
piano di campagna adiacente alla strada.
Pendenza i della scarpata: la motivazione principale per
cui si è proceduto all’installazione del dispositivo risiede
nella presenza di una scarpata, a lato della strada,
caratterizzata da una pendenza del ciglio elevata; la
pendenza deve essere stimata o misurata direttamente
sul ciglio della scarpata.
Distanza D: la motivazione principale per cui si è
proceduto all’installazione del dispositivo risiede nella
presenza di un ridotto spazio libero a tergo del
dispositivo, misurata come distanza fra la parte
posteriore più sporgente del dispositivo stesso e
l’ostacolo più vicino.
Tabella 9
Posizione BL Posizione BP
Posizione BLC Posizione BPC
117
Lunghezza del dispositivo: un dispositivo deve fornire
adeguata protezione all’ostacolo di cui si prefigge la
protezione; deve possedere inoltre idonea estensione
minima, che per i dispositivi omologati/marcati CE è
riportata sul certificato di omologazione stesso. Viene
definita sufficiente se risponde a quanto indicato nel
certificato di omologazione oppure se ritenuta tale da
proteggere adeguatamente il punto pericoloso (ossia che
si estenda opportunamente prima e dopo il punto da
proteggere) oppure ancora qualora non ci siano spazi
disponibili per eventuali prolungamenti (come ad
esempio in caso di interclusione fra due muri), mentre è
giudicata insufficiente in tutti gli altri casi.
Altezza del dispositivo: l’altezza del dispositivo è un
parametro essenziale perché questo assicuri adeguata
protezione e non si trasformi a sua volta in un ostacolo.
Per i dispositivi omologati/marcati CE l’altezza di
installazione è riportata sul certificato di omologazione
stesso. Viene definita sufficiente in caso di dispositivo
omologato o provvisto di marcatura CE ed installato
secondo quanto previsto dal manuale di installazione del
dispositivo in esame; per il solo caso descritto a
proposito della Classe, in prima analisi questa può
essere ritenuta sufficiente nel caso di altezza misurata
fra piano viario e bordo superiore della fascia maggiore
di 65cm. Viene giudicata insufficiente in tutti gli altri casi.
Tabella 10
Terminale NA Terminale TT
Terminale M Terminale T
Terminale GD Terminale GM
118
Terminale A
Danneggiamenti a carico di fasce, travi superiori,
corrimano e correnti inferiori: il danno viene valutato
come estensione lineare, espressa in metri.
Danneggiamenti a carico di montanti, supporti elastici,
distanziatori e catadiottri: il danno viene valutato come
numero di elementi danneggiati.
Danneggiamenti/inadeguatezze a carico degli elementi
terminali del dispositivo e degli elementi terminali di travi
superiori, corrimano e correnti inferiori: gli elementi
terminali assumono importanza essenziale per la
sicurezza fornita da un dispositivo, in quanto alcune
tipologie presentano comportamenti in caso d’urto
certamente pericolosi, come dimostrato più volte dai fatti.
Gli elementi terminali sono stati considerati come
inadeguati nel caso di conformazione a manina ed a
tubo, oltre che ovviamente nei casi in cui risulta del tutto
assente l’elemento terminale stesso; sono stati inoltre
indicati come inadeguati i terminali di travi superiori
(compresa la fascia superiore in caso di dispositivo a
doppia fascia a 2 onde), corrimano e correnti inferiori
qualora questi non siano adeguatamente posizionati a
tergo delle fasce e/o portati a terra.
Un cenno a parte merita la questione di elementi
particolari quali muretti, parapetti, ringhiere ed affini: tutte
questi elementi, presenti in gran numero a bordo strada,
devono essere oggetto di apposite indagini (ad es. i
parapetti di ponte possono rientrare in un’indagine
appositamente condotta sullo stato di manutenzione dei
ponti) o comunque trattati come veri e propri ostacoli e
pertanto da rimuovere o sostituire (qualora ciò risulti
possibile e/o economicamente sostenibile) oppure da
unire o proteggere con idonei dispositivi secondo quanto
riportato nel seguito a proposito dei dispositivi di ritenuta
da installare.
I dispositivi da installare secondo la normativa vigente
Contemporaneamente al censimento dei dispositivi di
ritenuta, è necessario procedere ad un primo censimento
di massima dei punti pericolosi dove deve essere
prevista l’installazione dei dispositivi secondo quanto
indicato e prescritto dal DM 2367/2004 e dalla circolare
62032/2010. Anche in questo caso è possibile giungere
alla valutazione di un indice, detto indice di pericolosità
residua, utile al fine della classificazione di una strada
sotto il profilo della pericolosità derivante dalla mancanza
di adeguati dispositivi di ritenuta.
Il concetto di rischio e la sua applicazione ai dispositivi di
ritenuta
Mutuando la definizione del concetto di rischio dall’art. 2
del DL 81/08, questo può essere definito come
“probabilità di raggiungimento del livello potenziale di
danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un
determinato fattore o agente oppure alla loro
combinazione”. Il rischio è pertanto un concetto
probabilistico, è la probabilità che accada un certo
evento capace di causare un danno alle persone. La
nozione di rischio implica quindi l’esistenza di una
sorgente di pericolo e delle possibilità che essa si
trasformi in un danno.
Da un punto di vista matematico, il rischio può essere
definito, nello spazio degli attributi misurabili, come la
combinazione dei danni o delle conseguenze negative e
delle probabilità ad esse associate. Convenzionalmente,
il rischio viene quantificato mediante un’espressione del
tipo
, , 17
ossia come funzione di:
119
P pericolosità, che rappresenta la probabilità che
un certo fenomeno si verifichi entro un certo
tempo di ritorno e con una certa intensità;
V vulnerabilità, che rappresenta la capacità del
sistema di reagire al verificarsi di un determinato
evento;
E esposizione, che rappresenta i beni e le persone
esposte al rischio.
La determinazione della funzione f presuppone di definire
un modello dell'esposizione dei soggetti a quel dato
pericolo, che consenta di porre in relazione l'entità del
danno atteso con la probabilità del suo verificarsi, e
questo per ogni condizione operativa all'interno di certe
ipotesi al contorno.
Questi tre parametri possono essere combinati in una
espressione matematica che assume una forma del tipo
∙ 18
dove Pr è la probabilità dell’evento dannoso ed Ma è la
magnitudo delle conseguenze dell’evento dannoso,
combinazione di vulnerabilità ed esposizione. Il rischio
così definito è esprimibile adottando la cosiddetta matrice
del rischio.
Alternativamente, il rischio può essere valutato
ricorrendo ad una valutazione ad indice numerico, che
presenta alcuni vantaggi, fra i quali quello di fornire un
metodo razionale per il confronto tra i livelli di rischio che
le diverse situazioni analizzate comportano.
Per la valutazione del rischio connesso ai dispositivi di
ritenuta si propone una metodologia derivata da quanto
proposto precedentemente da Canale S. et al. [10] a
proposito della valutazione del livello di rischio connesso
alle pavimentazioni stradali. Questa procedura può
essere tradotta, essenzialmente, in quattro fasi
fondamentali:
- individuazione dei dispositivi danneggiati;
- identificazione dei pericoli connessi;
- valutazione dei corrispondenti livelli di rischio e
formulazione del giudizio di accettabilità o
meno;
- adozione delle contromisure necessarie per la
mitigazione dei rischi non eliminabili.
Da un punto di vista generale, le tre variabili
fondamentali sopra introdotte sono state così individuate:
- pericolosità P: probabilità che in una data
zona si verifichi un incidente con conseguenze
alle persone, proporzionale al numero di
incidenti verificatisi sulla sezione omogenea ove
la barriera risulta installata in un determinato
intervallo temporale (non inferiore comunque a
3 anni);
- vulnerabilità V: funzione delle caratteristiche
proprie e di manutenzione del singolo
dispositivo;
- esposizione E: variabile dipendente
essenzialmente dal flusso veicolare,
rappresentativo della quantità di utenti
effettivamente esposti al rischio.
Il livello di rischio è stato valutato, in questo caso, con la
definizione a cascata di una serie di indici, di seguito
descritti.
Il primo di questi indici è il grado di danneggiamento GD.
Questo è un coefficiente, rappresentato da un numero
puro, che fornisce informazioni sullo stato di salute del
singolo dispositivo. Per ciascun dispositivo e per
ciascuna delle tre famiglie precedentemente descritte,
nel caso degli elementi analizzati in relazione alla loro
estensione (ad es. le fasce metalliche) questo indice è
valutato sulla base dell’estensione degli elementi
danneggiati/inadeguati rispetto all’estensione totale della
barriera:
,
,
∙ 10019
dove:
i i-esimo dispositivo di ritenuta in esame
r r-esima famiglia
s s-esimo elemento compreso nella r-esima
famiglia e per il quale si calcola il grado di
danneggiamento
grado di danneggiamento dell’i-esimo
dispositivo calcolato per l’elemento s della
famiglia r (ad es., il grado di danneggiamento
delle fasce metalliche facenti parte della famiglia
a.1)
, estensione del danno rilevato sull’i-esimo
dispositivo a carico dell’elemento s parte della
famiglia r
, estensione totale, per l’i-esimo dispositivo,
dell’elemento s parte della famiglia r
Per gli elementi analizzati per quantità questo indice è
invece valutato sulla base del numero di elementi
120
danneggiati/inadeguati rispetto al numero totale di
elementi installati:
,
,
∙ 10020
dove:
i i-esimo dispositivo di ritenuta in esame
r r-esima famiglia
s s-esimo elemento compreso nella r-esima
famiglia e per il quale si calcola il grado di
danneggiamento
grado di danneggiamento dell’i-esimo
dispositivo calcolato per elemento s della
famiglia r (ad es., il grado di danneggiamento
dei catadiottri facenti parte della famiglia a.3)
, numero di elementi danneggiati rilevati sull’i-
esimo dispositivo a carico dell’elemento s parte
della famiglia r
, numero di elementi totali, per l’i-esimo
dispositivo, dell’elemento s parte della famiglia r
Il grado di danneggiamento di ciascuna famiglia, per l’i-
esimo dispositivo, sarà poi assunto pari al massimo
posseduto dagli elementi parte della famiglia stessa,
ossia:
max∈
21
in modo tale che possa essere sempre considerata la
condizione più cautelativa a carico del singolo
dispositivo.
Alla fine si disporrà quindi di tre indici GD, ciascuno
relativo ad una famiglia: (GDi)a.1, (GDi)a.2 e (GDi)a.3,
ciascuno con un valore compreso fra 0 e 100, dove a
100 corrisponde il massimo grado di danneggiamento.
Il secondo indice è l’indice di danneggiamento globale
IDG. È questo un parametro utile per sintetizzare
l’influenza, dal punto di vista del rischio, di ciascuno dei
tre (GDi)r sopra descritti. L’indice GD fornisce indicazioni
precise in merito allo stato manutentivo e di efficienza del
dispositivo, tuttavia è necessario avere un unico indice
che tenga conto del livello di manutenzione globale del
singolo dispositivo. In questo passaggio (dai GD ad un
unico indice globale) è fondamentale tener conto anche
dell’influenza che hanno sull’analisi del rischio le
differenti tipologie di danneggiamento, perciò è
necessario assegnare a ciascuna famiglia un peso
funzione della sua importanza, rispettando il criterio che
la somma dei singoli pesi sia pari a 100. Si ritiene quindi
di dover assegnare un’importanza maggiore in assoluto
al GD della famiglia a.1, e successivamente
un’importanza maggiore al GD della famiglia a.2 rispetto
a quella della famiglia a.3. I pesi da assegnare a
ciascuna delle famiglie sono stati ottenuti dopo
opportune osservazioni e calibrazioni condotte sui dati
registrati su alcuni dispositivi impiegati come test. Tali
pesi sono riportati nella seguente tabella:
Tabella 11
famiglia peso a.1 52 a.2 37 a.3 11
Relativamente a ciascun dispositivo, l’indice IDG si
calcola come:
. ∙ . . ∙ . . ∙ .
100 ∙ . . .
22
dove:
i i-esimo dispositivo di ritenuta in esame
grado di danneggiamento dell’i-esimo
dispositivo relativo alla famiglia r
Wr peso assegnato alla famiglia r secondo la
Tabella 11
IDGi indice di danneggiamento globale per il
dispositivo i-esimo
L’indice IDG di ciascun dispositivo, compreso
nell’intervallo [0; 1], è pertanto dato dalla somma dei
singoli (GDi)r per i relativi pesi, rapportata alle peggiori
condizioni possibili.
Il terzo indice è l’indice di pericolosità globale IPG.
Poiché anche da un punto di vista degli interventi
manutentivi da adottare è necessario stabilire una priorità
per i diversi dispositivi censiti, una volta valutato l’indice
IDGi di ciascun dispositivo risulta necessario
differenziare quei dispositivi che, a parità di IDG, sono
caratterizzati da una certa combinazione di
caratteristiche relative al tronco stradale su cui il
dispositivo risulta installato e tali da rendere un
dispositivo potenzialmente più pericoloso di un altro, e
sul quale quindi è auspicabile concentrare
prioritariamente gli interventi di manutenzione. Le
caratteristiche che si sono individuate per il calcolo
121
dell’indice IPG sono a loro volta espresse mediante
ulteriori indici, descritti di seguito.
a) L’indice di traffico IT, rappresentato da un
numero intero compreso fra 1 e 5, è stimato a
partire dal valore di TGM della singola sezione
omogenea (Tabella 12). Tale indice permette la
quantificazione numerica dell'influenza del
traffico sul rischio del singolo dispositivo. A tal
proposito, si ricorda infatti che il TGM può
essere assunto, nell’espressione generale del
rischio (17), come espressione dell’esposizione,
ossia rappresenta la quantità di utenti
effettivamente esposti al rischio.
Tabella 12
TGM (veic/g) Indice IT TGM ≤1000 1 1000 < TGM ≤ 3500 2 3500 < TGM ≤ 7000 3 7000 < TGM ≤ 12000 4 TGM > 12000 5
b) L’indice di incidentalità IIN, rappresentato da un
numero intero compreso fra 1 e 3, è stimato
sulla base del tasso di incidentalità calcolabile
secondo quanto descritto nel successivo par.
3.6 relativo all’analisi di incidentalità. L’indice IIN
permette la quantificazione numerica
dell’influenza dell’incidentalità della sezione
omogenea sul rischio del singolo dispositivo:
infatti, a parità di indice IDG, devono ricevere
priorità di intervento quei dispositivi installati
lungo sezioni omogenee ad alto tasso di
incidentalità.
Tabella 13
Tasso di incidentalità
∙ ∙
Indice IIN
1
2
3
dove:
Tj tasso di incidentalità della sezione
omogenea j-esima
soglia inferiore del tasso di incidentalità
critico
soglia superiore del tasso di
incidentalità critico
c) L’indice di pericolo IP, rappresentato da un
numero decimale compreso fra 1 e 5, è stimato
assegnando un valore a ciascuna tipologia di
pericolo, e permette la quantificazione numerica
della pericolosità intrinseca del punto ove è
installato il dispositivo sul livello di rischio del
dispositivo stesso.
Tabella 14
Descrizione Indice IP D > W (1) 0.5 D > 3.5m 1.0 Δh < 1.0m 1.0 Δh ≥ 2.0m 2.0
1.0m ≤ D ≤ 3.5m 3.5 2.0m < Δh ≤ 4.0m 3.5
Δh > 4.0m 5.0 D < 1.0m 5.0 D ≤ W (1) 5.0
(1) Condizioni valevoli solamente per
dispositivi omologati e con parametro W
certificato
con stesso significato dei simboli introdotti in precedenza
in questo Capitolo.
d) L’indice di velocità IV, rappresentato da un
numero intero compreso fra 1 e 4, stimato sulla
base dei risultati ottenibili dall’applicazione di un
modello ibrido per la valutazione della velocità
di progetto delle curve e delle velocità operative
sui rettilinei (descritto al par. 3.2), permette la
quantificazione dell’influenza che assume la
velocità, operativa o di progetto, del punto ove è
installato il dispositivo sul rischio del dispositivo
stesso. Le velocità secondo cui stimare l’indice
IV ed indicate nella Tabella 15 possono far
riferimento sia alla velocità assegnata all’intera
sezione omogenea entro cui è installato il
dispositivo di ritenuta, sia a quella puntuale
(ovvero della curva o del rettifilo) ove questo è
installato.
Tabella 15
Velocità (km/h)
Indice IV
Vj ≤ 50 1 50 < Vj ≤ 70 2 70 < Vj ≤ 90 3
Vj > 90 4
Similmente a quanto descritto in merito al calcolo
dell’indice IDG, si sono poi assegnati dei pesi ad ognuno
122
degli indici appena introdotti, in modo tale da tener conto
della relativa importanza ai fini della valutazione del
rischio. Tali pesi sono riportati nella seguente dove:
IPGi indice di pericolosità globale per il punto di
installazione dell’i-esimo dispositivo
Ik indice k-esimo fra quelli precedentemente
descritti e relativo all’i-esimo dispositivo di
ritenuta
WIk peso assegnato al k-esimo indice
Tabella 16.
L’indice di pericolosità globale IPGi per il punto di
installazione dell’i-esimo dispositivo può quindi essere
calcolato come segue:
∑ ∙
∑ max ∙
23
dove:
IPGi indice di pericolosità globale per il punto di
installazione dell’i-esimo dispositivo
Ik indice k-esimo fra quelli precedentemente
descritti e relativo all’i-esimo dispositivo di
ritenuta
WIk peso assegnato al k-esimo indice
Tabella 16
Indice Peso IT 22 IIN 14 IP 30 IV 34
L’indice IPGi risulta così compreso nell’intervallo [0; 1]. A
valori più elevati corrisponde una pericolosità globale più
elevata, derivante dalle caratteristiche ambientali e di
funzionalità in cui un dispositivo si trova ad operare.
Se usati separatamente, gli indici IDGi e IPGi permettono
l’individuazione di due tipologie di criticità profondamente
diverse: infatti, potrebbe accadere che per un certo
dispositivo si riscontri un elevato livello di
danneggiamento ma un basso indice di pericolosità
poiché installato ad esempio su una strada con basso
TGM e caratterizzata da basse velocità di percorrenza,
oppure viceversa. Nell’ottica di stabilire una priorità per
gli interventi manutentivi, al fine di ottenere una
valutazione univoca delle criticità di un dispositivo è
necessario combinare i due indici: tale combinazione è
possibile ricorrendo alla stima dell’indice di non
funzionalità INF per ciascun dispositivo, inteso come
prodotto fra gli indici IDG e IPG rapportato alle condizioni
peggiori:
∙
max ∙ max
24
e poiché sia IDG che IPG assumono valore massimo pari
ad 1, si ha:
∙ 25
Anche l’indice INF assume valori compresi nell’intervallo
[0; 1]: a valori più elevati corrispondono condizioni del
dispositivo di ritenuta più critiche e pertanto una
maggiore priorità di intervento.
Una volta calcolato l’indice INFi, sulla base dei valori
assunti da questo è possibile assegnare un livello di
rischio al dispositivo i-esimo secondo quanto riportato
nella seguente Tabella 17.
Tabella 17
Indice INFi Livello di rischioINFi ≤ 0.05 MOLTO BASSO
0.05 < INFi ≤ 0.15 BASSO 0.15 < INFi ≤ 0.30 MEDIO 0.30 < INFi ≤ 0.50 ALTO
INFi > 0.50 NON ACCETTABILE
Quanto finora visto può essere applicato esclusivamente
ai dispositivi di ritenuta installati: infatti appare errato
applicare una simile procedura ai dispositivi da installare,
in quanto per questi non può certamente essere
calcolato l’indice di non funzionalità.
Conseguentemente, per la valutazione del livello di
rischio per i dispositivi da installare si è messa a punto
una procedura concettualmente simile a quella appena
vista, ma con la differenza che in questo caso il livello di
rischio è quello relativo solamente al punto pericoloso da
proteggere, valutato sulla base dell’indice IPG di questo
secondo quanto riportato in precedenza e certamente
calcolabile anche nel caso di assenza di dispositivi. Il
calcolo dell’indice IPG è ancora lo stesso riportato in
(23). Per individuare però i valori critici di IPG secondo
quali classificare il livello di rischio, si è proceduto
innanzitutto ad assegnare a ciascun livello i valori dei
singoli indici (IT, IIN, IP ed IV) secondo la seguente
Tabella 18.
Tabella 18
LIVELLO DI RISCHIO
123
non accettabile
alto medio basso molto basso
IT 4 4 3 2 1
IIN 3 3 2 1 1
IP 5 3.5 2 1 1
IV 3 3 2 2 1
Assumendo ancora validi i pesi di ciascuno di questi
indici riportati in dove:
IPGi indice di pericolosità globale per il punto di
installazione dell’i-esimo dispositivo
Ik indice k-esimo fra quelli precedentemente
descritti e relativo all’i-esimo dispositivo di
ritenuta
WIk peso assegnato al k-esimo indice
Tabella 16 si sono poi calcolati sia il punteggio relativo ai
valori minimi assunti in Tabella 18, costituente il
numeratore della (23), sia il punteggio massimo
possibile, costituente il denominatore della (23), ed infine
il valore di IPG relativo al punto ove è necessario
prevedere l’installazione di un dispositivo di ritenuta
secondo quanto indicato nel DM2367/2004 (vedi Tabella
19).
Tabella 19
non accettabile
alto medio basso molto basso
Totale 382 337 222 156 100
IPG max 438
IPG 0.87 0.77 0.51 0.36 0.23
L’indice IPG assume ancora valori compresi in [0; 1], e
sulla base dei valori minimi così calcolati si sono
individuati i seguenti livelli di rischio.
Tabella 20
Indice IPGi Livello di rischio IPGi ≤ 0.36 MOLTO BASSO
0.36 < IPGi ≤ 0.51 BASSO 0.51 < IPGi ≤ 0.77 MEDIO 0.77 < IPGi ≤ 0.87 ALTO
IPGi > 0.87 NON ACCETTABILE
3.4 Il livello di rischio connesso allo stato delle
pavimentazioni
Altro aspetto fondamentale per la sicurezza della
circolazione è quello relativo allo stato manutentivo delle
pavimentazioni stradali, soprattutto in relazione alle
condizioni superficiali: per la valutazione del relativo
livello di rischio connesso si propone una procedura
basata sulla matrice del rischio, diversamente da quanto
previsto per i dispositivi di ritenuta.
Anche in questo caso è necessario pianificare e condurre
un’apposita campagna di indagine. Qualora questa non
fosse condotta in concomitanza con quella sui dispositivi
di ritenuta, è anche possibile impiegare apparecchiature
automatiche installate su appositi veicoli che, registrando
delle immagini della pavimentazione ad altissima
risoluzione, rendono possibile un’analisi più precisa e
dettagliata anche successivamente, rendendo perciò
molto speditiva la fase censuaria.
Delle pavimentazioni sarà necessario registrare i dati
avendo cura di distinguere le carenze di tipo funzionale
da quelle di tipo strutturale: le prime saranno riferite ad
ammaloramenti solitamente di tipo superficiale, che
interessano per lo più lo strato d’usura e riguardano
problematiche come la riduzione delle caratteristiche di
aderenza e regolarità del piano viabile con conseguente
abbassamento dei livelli di sicurezza della circolazione;
le seconde, invece, interessano gli strati profondi della
sovrastruttura, che generalmente sono indice di
decadimento delle proprietà di portanza e che
determinano conseguenze gravi ed evidenti se non
affrontate in tempi brevi, con limitazioni anche pesanti
alla libera circolazione. Pertanto durante la fase
censuaria devono essere raccolte le seguenti
informazioni sugli ammaloramenti, procedendo già in
questa fase ad una suddivisione a seconda che questi
siano riconducibili alla regolarità, all’aderenza e alla
portanza:
- tipologia/e di degrado presenti;
- estensione del degrado per ciascuna tipologia;
- porzione della sezione di carreggiata
interessata.
La registrazione di questi dati permette di suddividere le
strade in sezioni omogenee, diverse certamente da
quelle individuabili ad esempio con il calcolo delle
velocità di progetto e/o operative.
Le possibili problematiche da rilevare, con i relativi codici,
sono descritti nella seguente Tabella 21.
Tabella 21
CRITICITA’ CODICE DESCRIZIONE
FUNZIONALI Aderenza A1
Levigatura degli inerti
A2 Refluimenti di
124
bitume
A3
Disgregamenti di inerti
Distacco strato di usura
Buche superficiali h > 3cm
Regolarità
R1 Ormaie senza fessurazioni
h ≤ 3cm
R2 Ormaie con fessurazioni
h > 3cm
R3 Ondulazioni longitudinali
R4
Sconfigurazioni del piano viario
Rappezzi e rattoppi Chiusini e tombini
R5 Depressioni o rigonfiamenti
localizzati
R6 Fessurazioni a
blocchi
STRUTTURALI Portanza
P1 Fessurazioni
ramificate a pelle di coccodrillo
P2
Cedimenti Avvallamenti Fessurazioni
profonde
P3 Buche profonde
h > 3cm
È poi opportuno introdurre il valore di estensione del
degrado, così da attribuire un parametro certo alla
diffusione del fenomeno sulla porzione di carreggiata che
andrà a costituire una sezione omogenea. Il valore della
ricorrenza (poco esteso, esteso, molto esteso, diffuso)
può corrispondere agli intervalli riportati in Tabella 22.
Similmente a quanto già previsto dalla procedura relativa
ai dispositivi di ritenuta, a ciascuna delle tipologie di
degrado è stato assegnato un peso, indicativo della
riduzione del livello di sicurezza della circolazione
riconducibile a quel tipo di degrado. I pesi Pi sono
riportati nella seguente Tabella 23.
Tabella 22
DENSITÀ DEL DEGRADO
ESTENSIONE DEL DEGRADO(sulla lunghezza della sezione
omogenea) Poco Esteso X < 5%
Esteso 5% ≤ X < 25%
Molto Esteso 25% ≤ X < 50%
Diffuso X ≥ 50% Tabella 23
CRITICITA’ CODICE PESO Pi
Aderenza A1 2 A2 4 A3 8
Regolarità R1 4 R2 10 R3 8
CRITICITA’ CODICE PESO Pi
R4 8 R5 6 R6 6
Portanza P1 8 P2 6 P3 10
Assegnato il peso a ciascuna tipologia di degrado, è
stato poi assegnato un fattore moltiplicativo che fosse
caratteristico di ciascuno dei livelli di estensione del
degrado sopra individuati; tali coefficienti moltiplicativi
sono riportati nella seguente Tabella 24.
Tabella 24
DENSITÀ DEL
DEGRADO
ESTENSIONE DEL DEGRADO (sulla lunghezza
della sezione omogenea)
FATTORE MOLTIPLICATIVO
di
Poco Esteso X < 5% 0.05
Esteso 5% ≤ X < 25% 0.25
Molto Esteso 25% ≤ X < 50% 0.50
Diffuso X ≥ 50% 0.75
È a questo punto necessario arrivare ad un parametro
che stimi le condizioni di manutenzione della
pavimentazione per ciascuna delle j sezioni omogenee e
che tenga conto dei k tipi di ammaloramento presenti e
della loro estensione. Per giungere a questo parametro si
combinano i valori riportati nella Tabella 23 e nella
Tabella 24 calcolando il parametro severità del degrado
SD sulla j-esima sezione omogenea come
∙ 26
e riferendolo alla condizione peggiore possibile
calcolando il parametro severità totale del degrado STD,
che per la j-esima sezione omogenea assume la
seguente forma:
∑ ∙
∑ ∙
27
dove:
k ammaloramenti rilevati
i possibili ammaloramenti rilevabili con
estensione massima possibile dmax.
In particolare, il valore del denominatore risulta fisso e
pari a 60.
È possibile pertanto esprimere una valutazione obiettiva
sulle condizioni di ciascuna sezione omogenea, che
125
risulterà dipendere dalla tipologia dei degradi presenti e
dalla densità degli stessi.
Il valore assunto da STDj, incrociato con la velocità
operativa della j-esima sezione omogenea fornisce una
stima della magnitudo Mj, ossia una valutazione della
gravità delle conseguenze di un possibile evento
dannoso che avvenga sulla sezione j-esima e collegato
direttamente allo stato manutentivo della
pavimentazione, espressa in ordine crescente da una
lettera da A ad E.
Tabella 25
V85 (km/h)
STDj ≤ 0.15
0.15 < STDj ≤ 0.30
0.30 < STDj ≤ 0.50
STDj > 0.50
Vj ≤ 50 A A B C 50 < Vj ≤
70 A B C D
70 < Vj ≤ 90 A C D E
Vj > 90 B D E E
L’ultimo passo di questa procedura è l’individuazione del
livello di rischio della j-esima sezione omogenea, per la
cui valutazione è necessario combinare la magnitudo
appena individuata con il TGM del tronco stesso, indice
del numero di utenti effettivamente esposti al possibile
evento dannoso, come riportato in Tabella 26 dove:
1 livello di rischio MOLTO BASSO
2 livello di rischio BASSO
3 livello di rischio MEDIO
4 livello di rischio ALTO
5 livello di rischio NON ACCETTABILE
Tabella 26
TGM (veic/g)
Mj = A
Mj = B
Mj = C
Mj = D
Mj = E
TGM ≤1000 1 1 2 3 3 1000 < TGM ≤ 3500
1 1 2 3 4
3500 < TGM ≤ 7000
2 2 3 4 5
7000 < TGM ≤ 12000
2 3 4 4 5
TGM > 12000 3 4 5 5 5
3.5 Individuazione dei punti pericolosi sulla rete
stradale
Un ulteriore aspetto da approfondire per l’analisi di
sicurezza è quello relativo ai punti ritenibili più pericolosi.
È generalmente difficoltoso imputare la pericolosità di un
preciso punto ad una determinata causa: più in generale
infatti questa è diretta conseguenza della combinazione
di più aspetti, che se presi singolarmente potrebbero non
risultare così incidenti sulla sicurezza della circolazione.
Un esempio può aiutare a comprendere meglio questo
concetto: si pensi ad una pavimentazione con modesti
problemi di aderenza, posizionata su un tratto in rettilineo
su una carreggiata con larghezza superiore a 6.00m: la
pericolosità è evidentemente bassa. Si pensi adesso alla
stessa pavimentazione ma alla fine di un tratto rettilineo,
con una curva percorribile a velocità mediamente
sostenuta e sul cui bordo esterno sia posizionato un
dispositivo di sicurezza il cui stato di manutenzione non
sia ottimale: ebbene, la combinazione di tutti questi
aspetti può far insorgere condizioni tali che da far
ritenere a tutti gli effetti quel punto come pericoloso.
Pertanto, appare chiara l’importanza di introdurre adesso
una metodologia per valutare la congruità o meno della
differenza di velocità fra due elementi successivi.
In letteratura esistono numerosi esempi: in How to make
two-lane rural roads safer – R.Lamm et al., WIT Press,
2007, ad esempio, vengono individuati tre intervalli per
cui la differenza di velocità fra due elementi successivi
del tracciato stradale possa essere ritenuta congrua o
meno. Tuttavia questa procedura (così come altre) si
basa su una differenza di velocità assoluta, mentre
appare più corretto disporre di una procedura basata su
una differenza di velocità relativa: si è quindi messa a
punto una procedura che permetta di valutare la
pericolosità di ciascun punto di transizione fra due
elementi successivi basata sulla differenza di velocità fra
i due in relazione alla velocità del primo dei due (ovvero
la velocità propria di quello che può essere considerato
come l’elemento di “provenienza” nella direzione di
marcia dei veicoli). Riprendendo la suddivisione già
impiegata per il calcolo del livello di rischio dei dispositivi
di ritenuta e delle pavimentazioni, si possono individuare
i seguenti intervalli per le velocità:
1) 90
2) 70 90
3) 50 70
4) 50
mentre possono ritenersi validi gli intervalli per le
differenze di velocità fra due elementi successivi
individuati ancora in How to make two-lane rural roads
safer – R.Lamm et al.:
1) ∆ 20
2) 20 ∆ 10
126
3) 10 ∆ 0
4) ∆ 0
Dalla combinazione di velocità Vi del primo elemento e
differenza di velocità fra questo e l’elemento successivo
si ottiene la pericolosità del punto in esame, secondo la
matrice riportata in
Tabella 27.
Sussistono certamente ulteriori ed importanti aspetti da
introdurre nella valutazione della pericolosità di un punto,
come ad es. il campo di visuale libera, la distanza di
visibilità e la presenza di ostacoli o meno a ridosso della
carreggiata: tuttavia lo studio di questi aspetti sarà
oggetto di futuri approfondimenti e sviluppi della
metodologia qui presentata.
Per il calcolo della differenza di velocità ΔV possono
seguirsi diversi metodi, di seguito descritti.
Tabella 27
PERICOLOSITA’
ΔV (km/h)
ΔV > 0 0 ≤ ΔV < -10
-10 ≤ ΔV < -
20 ΔV ≤ -20
Vi (km/h)
Vi > 90 BASSA MEDIA ALTA ELEVATA 70 < Vi
≤ 90 BASSA MEDIA ALTA ALTA
50 < Vi ≤ 70
MOLTO BASSA
BASSA MEDIA MEDIA
Vi ≤ 50 MOLTO BASSA
MOLTO BASSA
BASSA MEDIA
Criterio 1
Questo criterio permette il calcolo della differenza di
velocità ΔV fra due elementi qualsiasi (rettilineo-curva,
curva-curva e curva-rettilineo), pertanto risulta applicabile
indistintamente a tutti i tracciati. Si suggerisce di
impiegare questo metodo qualora non si disponga del
modello per la stima delle velocità operative o quando
questo sia giudicato non idoneo e pertanto necessita di
ricalibrazione per un miglior adattamento alle condizioni
locali.
Questo criterio si fonda sulle velocità ,∗ delle singole
curve, mentre per i rettilinei la velocità viene valutata
secondo la procedura descritta di seguito e avente le
seguenti ipotesi di base:
- l’utente percorre la curva a velocità costante e
pari alla ,∗ calcolata;
- l’utente accelera all’uscita della curva con un
valore di accelerazione costante e pari ad
1 ;
- se il rettilineo presenta lunghezza sufficiente,
l’utente accelera fino a raggiungere una velocità
massima ideale assunta, per strade extraurbane
a due corsie, pari a
, ∙ 1.33 ∙ ∙ 28
dove VP,strada è quella calcolata al par. 3.1 ed i
coefficienti fLW ed fPM sono quelli riportati in
precedenza.
- l’utente percorre la restante parte di rettilineo a
velocità costante Vrett fino a quando si trova alla
distanza di 150m dalla curva successiva;
- a 150m dalla curva successiva l’utente inizia a
decelerare con un valore di decelerazione
costante e pari ad 1.2 fino al punto
finale del rettilineo, coincidente con il punto
inziale della curva successiva.
La velocità raggiunta a 150m dalla curva successiva,
quindi un istante prima dell’inizio della manovra di
decelerazione, è pari a:
, ,∗ 2 ∙ ∙ , 150
29
con ,∗ velocità della curva precedente il rettilineo i-
esimo avente lunghezza Lrett,i.
La velocità alla fine del rettilineo i-esimo, al termine della
decelerazione, è invece pari a:
, , 2 ∙ ∙ 150 30
A questo punto si valuta il ΔV per i tre casi possibili
come:
- transizione rettifilo - curva
∆V , ,∗ 31
- transizione curva - curva
∆ ,∗
,∗ 32
- transizione curva - rettifilo
∆ ,∗
, 0 33
dove i curva precedente il rettilineo (o la prima di due
curve in successione) ed i+1 curva successiva al rettifilo
(o seconda di due curve in successione).
Il caso della transizione fra curva e rettifilo non ha in
realtà interesse pratico: infatti, per le ipotesi assunte, la
velocità di uscita dalla curva (i-1)-esima e la velocità
iniziale del rettifilo i-esimo coincidono e pertanto la
127
differenza di velocità risulta sempre nulla.
Sussiste certamente la possibilità che la lunghezza di un
rettilineo non sia sufficiente a raggiungere la Vrett: in tal
caso, la fase di accelerazione termina prima che si sia
raggiunta tale velocità, a 150m dalla curva successiva.
Ciò spiega il segno di “minore od uguale” inserito
nell’equazione (29).
Inoltre è possibile che un rettilineo risulti con lunghezza
inferiore ai 150m individuati come soglia per l’inizio della
manovra di frenatura: in questo caso si considera
semplicemente l’inizio della manovra di frenatura
immediatamente all’uscita della curva i-esima e con una
durata spaziale pari all’estensione effettiva del rettilineo.
Il ΔV così calcolato viene poi impiegato nella procedura
descritta in precedenza.
Criterio 2
Questo criterio permette l’individuazione dei punti
pericolosi di qualunque tipo (rettilineo-curva, curva-curva
e curva-rettilineo), pertanto risulta applicabile
indistintamente a tutti i tracciati.
In questo criterio si fa ricorso alla V85 di ciascun rettilineo,
calcolabile secondo il modello introdotto in precedenza
od uno derivante direttamente da questo e ricalibrato per
le condizioni locali, pertanto questo criterio può essere
impiegato esclusivamente qualora si disponga di un tale
modello.
Si considerano perciò le velocità operative ,∗ dei
rettilinei, mentre per le curve si considerano le velocità
operative ottenute mediante apposito modello se
disponibile oppure le ,∗ ottenute secondo quanto
esposto in precedenza.
In questo caso, detto l il rettilineo in esame, i la curva
precedente il rettilineo (o la prima di due curve in
successione) ed i+1 la curva successiva al rettilineo (o la
seconda di due curve in successione), si calcola il ΔV
semplicemente per i tre casi come:
- transizione rettifilo - curva
∆ ,∗
,∗ 34
- transizione curva - curva
∆ ,∗
,∗ 35
- transizione curva - rettifilo
∆ ,∗
,∗ 36
In questo caso, più che del punto di transizione, è
preferibile parlare di differenza di velocità caratteristiche
di due elementi successivi.
La procedura deve ovviamente essere applicata a
entrambi i sensi di marcia.
Criterio 3
Questo criterio permette l’individuazione dei punti
pericolosi del tipo rettilineo-curva e curva-rettilineo. Non
vengono pertanto presi in esame eventuali punti
pericolosi del tipo curva-curva. Questo approccio, anche
se di più semplice applicazione, risulta difficilmente
applicabile soprattutto al caso di tracciati tortuosi, a
causa della presenza di più curve in serie, di cui però al
momento non è nota la reciproca influenza.
Si considerano perciò le velocità operative ,∗ dei
rettilinei, mentre per le curve si considerano le velocità
,∗ ottenute secondo quanto esposto in precedenza.
In questo caso, detto l il rettilineo in esame, j il tratto di
curve precedente e j+1 il tratto di curve successivo, si
calcola il ΔV semplicemente per i due casi come:
- transizione rettifilo - curva
∆ ,∗
,∗ 37
- transizione curva - rettifilo
∆ ,∗
,∗ 38
Anche in questo caso, più che del punto di transizione, è
preferibile parlare di differenza di velocità caratteristiche
di due elementi (o gruppo di elementi) successivi. La
procedura deve ovviamente essere applicata a entrambi i
sensi di marcia.
3.6 L’analisi di incidentalità
L’analisi dell’incidentalità rientra nella caratterizzazione
degli itinerari sotto il profilo della sicurezza stradale, che
permette di evidenziare, in rapporto ad una soglia di
confronto statisticamente significativa, il livello di
incidentalità che interessa l’intero itinerario.
In letteratura esistono già alcune possibili procedure per
l’analisi di incidentalità, non esenti però da possibili difetti
soprattutto nel calcolo dei valori di soglia e
dell’estensione delle sezioni omogenee: la procedura qui
proposta tenta quindi di essere la più chiara possibile
soprattutto in merito a questi aspetti.
Il metodo CNR
128
Il documento Criteri per la classificazione della rete delle
strade esistenti, redatto ed approvato dal CNR con D.P.
CNR n. 13465 del 11/09/1995 e pubblicato in data
13/03/1998, contiene una procedura per la
classificazione degli itinerari sotto il profilo
dell’incidentalità, come parte integrante di una più ampia
procedura per la classificazione delle strade esistenti.
Tale procedura richiede le seguenti informazioni:
- dati georeferenziati degli incidenti, comprensivi
di data, numero e tipo di veicoli coinvolti,
conseguenze dell’incidente sulle persone
coinvolte;
- suddivisione in sezioni omogenee dell’itinerario
in esame ed estensione di ciascuna di queste;
- TGM della sezione in esame, possibilmente
attualizzato all’anno di riferimento per il quale si
esegue l’analisi di incidentalità.
Disponendo di queste informazioni, la procedura propone
il calcolo del tasso di incidentalità, per un periodo
composto da t anni antecedenti lo studio e per la j-esima
sezione omogenea, come numero di incidenti in rapporto
ad un milione di veicoli per chilometro:
10 ∙
365 ∙ ∙ ∑ ,
39
dove:
Nj numero di incidenti con danni alle persone
verificatisi nel periodo di osservazione di t anni
sulla sezione j-esima
lj estensione in km della sezione j-esima
TGMj,t traffico giornaliero medio sulla sezione j-esima
all’anno t-esimo
Successivamente viene calcolato il tasso di incidentalità
medio sull’intero itinerario come:
10 ∙ ∑
365 ∙ ∑ ∑ ∙ ,
40
Infine il Rapporto CNR prevede di procedere ad un
confronto del Tm con una soglia di riferimento
statisticamente significativa, col fine di classificare le
sezioni omogenee in sezioni a debole, media e forte
incidentalità.
I valori di soglia per la sezione j-esima sono calcolati
come:
∗ ∙1
2 ∙ 41
∗ ∙1
2 ∙ 42
dove:
k costante di probabilità della distribuzione di
Poisson, pari a 1.645 per una probabilità di
errore del 10%
Mj momento di traffico relativo alla sezione j-esima
nell’intero periodo di osservazione, dato da:
365 ∙ ∙ , 43
In base a questi parametri, una sezione omogenea viene
classificata a debole, media o forte incidentalità se: ∗ Sezione a debole incidentalità
∗ ∗ Sezione a media incidentalità
∗ Sezione a forte incidentalità
Il Rapporto CNR suggerisce poi di eliminare dall’analisi
gli incidenti registrati in prossimità delle intersezioni più
importanti, per le quali viene proposta una differente
metodologia (vd. Criteri per la classificazione della rete
delle strade esistenti, CNR, 1998).
Sono doverose però due osservazioni in merito alla
procedura appena descritta. Innanzitutto non viene data
indicazione alcuna relativamente all’estensione di una
sezione omogenea (salvo indicare un’estensione minima
pari a 1 km in area extraurbana e 100 m in area urbana),
con la conseguenza che per sezioni molto estese la
dispersione dei dati risulta non accettabile; inoltre
sussiste la possibilità di classificare sezioni molto estese
a forte incidentalità come conseguenza della presenza di
punti neri singolari, oppure di sottostimare la pericolosità
nel caso opposto (ad es. una curva pericolosa su una
sezione estesa porta a classificare tutta la sezione
magari ad alta incidentalità quando invece questa
certamente non lo è). La seconda osservazione riguarda
il calcolo dei valori di soglia: il range fra ∗ e ∗ risulta
molto ridotto, con la conseguenza che risulta pressoché
impossibile classificare una sezione omogenea come a
media incidentalità.
Il metodo delle Norme Svizzere SN 640 009
L’analisi proposta dalle Norme Svizzere si basa invece
sull’individuazione dei punti neri, che vengono definiti
come “zone delimitate della rete stradale dove il numero
di incidenti è manifestamente più elevato rispetto ad altre
zone comparabili”. Questi vengono individuati in tre fasi:
129
1) la prima fase prevede la suddivisione in sezioni della
strada in esame;
2) la seconda consiste nell’individuazione dei potenziali
punti neri attraverso il confronto dei valori critici con
alcuni parametri, detti indicatori caratteristici di
incidentalità;
3) l'ultima fase consente solitamente di ridurre il
numero di punti neri individuati tramite il confronto
con dei valori soglia, variabili a seconda del tipo di
strada.
Alla fine del procedimento è possibile assegnare un
punteggio a ciascun punto nero e compilare così due
classifiche: una è basata direttamente sui dati dei sinistri,
raggruppati in un indice di pericolosità, l'altra si fonda sui
costi sociali generati dagli incidenti.
Gli indicatori caratteristici di incidentalità che la
Normativa Svizzera assume alla base della procedura
sono:
- numero di incidenti (N);
- densità degli incidenti (D);
- tasso di incidentalità (T).
Il punto di partenza della procedura è costituito da una
rete stradale delimitata e dai dati relativi agli incidenti
avvenuti durante un periodo di osservazione di almeno 2
anni, cosicché non siano percepibili le influenze
stagionali. In ogni caso il rilevamento dei dati non deve
estendersi ad un periodo maggiore di 5 anni, in modo
che il miglioramento tecnico dei veicoli ed eventuali
interventi migliorativi o correttivi sulla rete stessa
rimangano trascurabili.
I dati da raccogliere sono i seguenti:
- tipo di strada;
- numero di incidenti per progressiva ettometrica,
distinti per incidenti con solo danni materiali,
incidenti con feriti o morti ed incidenti con morti;
- dati di traffico sull’infrastruttura.
Inoltre si devono ottenere tutte le informazioni necessarie
per avere una descrizione dettagliata di ciascun incidente
(dinamica, persone coinvolte, conseguenze, condizioni
ambientali,…) ed i dati di geometria dell’infrastruttura. È
possibile qui fare già una prima osservazione: la norma
infatti non fornisce indicazioni precise in merito
all’elaborazione di queste ultime informazioni, che
potrebbero comunque rivelarsi utili per la comprensione
delle problematiche dell’infrastruttura associate a ciascun
punto nero.
Successivamente il tratto in esame deve essere
suddiviso in sezioni omogenee di lunghezza costante:
questa operazione consente di superare il problema
dell’estensione delle sezioni omogenee che invece
sussisteva per la procedura proposta dal CNR.
L’estensione di una sezione omogenea risulta funzione
del tipo di strada e deve essere assunta pari al tipo di
strada così come definito dalle Norme Svizzere
SN 640 041 e SN 640 042. Per una eventuale
applicazione alla realtà italiana si ritiene senz’altro
possibile riferirsi alla Normativa Vigente (DM 6792/2001)
e a quanto prescritto dal NCdS.
Analogamente a quanto prescritto dalla procedura CNR,
qualora si disponesse dei dati dettagliati di traffico e di
incidentalità relativi alle intersezioni presenti lungo il
tracciato, i tratti in prossimità di queste ultime dovrebbero
venire trattati separatamente. La norma definisce in
questo caso delle lunghezze apposite per la suddivisione
in tratti nell'intorno dell'intersezione.
Tabella 28
Autostrade Rampe di accesso
ed uscita
Strade extraurbane principali e secondarie
Strade locali con funzione
principale di circolazione
Strade locali con funzione
principale di servizio
L = 500m (eventualmente
L = 200m)
Lunghezza dell’intera rampa
L = 200m (eventualmente
L = 100m) a seconda della posizione delle
intersezioni
L = 100m (max L = 200m) a seconda della posizione delle
intersezioni
La delimitazione è data dalle strade con funzione principale di
circolazione
La Norma introduce poi i valori critici, che consentono di
effettuare una valutazione in termini relativi dei potenziali
punti neri: infatti essi vengono individuati solamente in
base ai dati di incidentalità del tracciato in esame. Una
130
valutazione in termini assoluti sarà fornita dai valori
soglia.
Per il calcolo dei valori critici la Norma prevede due
diversi metodi di calcolo a seconda dei dati a
disposizione, uno approssimato per il caso in cui non si
disponga dei dati di traffico e l’altro per il caso in cui si
abbiano a disposizione tali dati. Tralasciando per la
presente disamina il primo caso, per ciascuna sezione
omogenea, posto che:
Nj numero di incidenti registrati lungo la sezione j-
esima durante il periodo t;
lj estensione della sezione j-esima espressa in
km;
TGMj traffico giornaliero medio sulla sezione j-esima;
t periodo espresso in anni;
si definisce densità degli incidenti sulla sezione j-esima
come:
∙
∙
44
e il tasso di incidentalità per la sezione j-esima come
∙ 10
∙ 365 ∙ ∙
10 ∙ ∙
45
I valori critici dei parametri appena presentati si calcolano
con le seguenti formule. Per la densità critica si ha:
∙∙
1
2 ∙ ∙
∙
46
dove k è il coefficiente statistico già visto e Dm è la
densità media degli incidenti calcolata come segue:
∑
∙ ∑
∙
47
Per il tasso critico di incidentalità si ha:
∙∙ 10
∙ 365 ∙ ∙
10
2 ∙ ∙ 365 ∙ ∙
10 ∙ ∙
48
dove k è ancora il coefficiente statistico già visto e Tm è il
tasso medio di incidentalità calcolato come segue:
∑ ∙ 10
∙ 365 ∙ ∙ ∑
10 ∙ ∙
49
La procedura così descritta individua un potenziale punto
nero quando il tasso di incidentalità oppure la densità
media superano il rispettivo valore critico.
Differentemente dalla procedura CNR, quindi, viene
superata la classificazione delle sezioni in tre classi che,
come si era osservato, presentava la problematica della
classe centrale: la Norma Svizzera prevede quindi una
classificazione semplificata, con la quale una sezione
può essere classificata ad alta o a bassa incidentalità.
L’individuazione finale dei punti neri viene invece
eseguita sulla base di determinati valori soglia: la Norma
prevede di procedere al confronto dei risultati fin qui
ottenibili alcuni valori ritenuti indicativi, in termini assoluti
e per ciascun tipo di strada, di una situazione di
incidentalità particolarmente grave. Gli indicatori
caratteristici di incidentalità che intervengono in questa
fase sono il numero totale di incidenti, il numero di
incidenti con danni alle persone (feriti e morti) ed il
numero di incidenti con morti.
I valori soglia fissati dalla norma sono stati ricavati in
base a valutazioni statistiche sulla rete stradale svizzera.
In riferimento alla j-esima sezione omogenea, questi
sono:
Tabella 29
Tipo di strada
Numero totale
di incidenti
Numero di incidenti
con danni a persone
(feriti e morti)
Numero di
incidenti con morti
Autostrade 10 / 2 anni
4 / 2 anni 2 / 2 anni
Rampe di accesso ed uscita
10 / 2 anni
4 / 2 anni 2 / 2 anni
Strade extraurbane principali e secondarie
8 / 2 anni 4 / 2 anni 2 / 2 anni
Strade locali con funzione principale
di circolazione
8 / 2 anni 5 / 2 anni 2 / 2 anni
La Norma stessa consiglia comunque di rivedere ed
eventualmente di correggere i valori soglia per ogni
strada esaminata, in quanto potrebbero sussistere alcuni
condizioni particolari e peculiari della zona o della
regione da considerare, tuttavia non indica alcun
procedimento atto all’uopo.
131
Infine la classificazione dei punti neri viene effettuata
applicando dei coefficienti di ponderazione agli incidenti
avvenuti a seconda della gravità delle conseguenze:
Tabella 30
Conseguenze dell’incidente Peso CodiceIncidenti con danni materiali (NDM) 1 P1 Incidenti con feriti leggeri (NFL) 4 P2 Incidenti con feriti gravi (NFG) 20 P3 Incidenti con morti (NM) 25 P4
A ciascun punto nero pertanto può essere assegnato un
punteggio Sp a cui corrisponde il livello di pericolosità del
punto stesso:
∙ ∙ ∙ ∙ 50
Ovviamente, ad un punteggio maggiore corrisponde una
pericolosità maggiore del punto nero. Sulla base dei
valori assunti da Sp è possibile stilare una classifica di
pericolosità dei punti neri così individuati.
La Norma prevede infine la possibilità di ricorrere anche
ad una classificazione basata sui costi sociali
dell’incidente, che può essere utile per valutare da un
punto di vista economico la convenienza di un intervento
sull'infrastruttura.
La procedura svizzera quindi risolve in parte i problemi
che erano stati sollevati a riguardo di quella predisposta
dal CNR. Tuttavia presenta ancora alcune
problematiche: la classificazione delle sezioni omogenee
in due sole classi appare troppo semplificativa, inoltre
alcuni parametri come i valori soglia devono essere
valutati attentamente per stabilire la loro validità anche
sul territorio italiano. Infine, anche la classificazione sulla
base dei costi sociali degli incidenti solleva la questione
di quali costi assegnare agli incidenti.
La procedura messa a punto
Nonostante le problematiche ancora presenti, la
procedura svizzera appare comunque migliore. Si è
cercato pertanto di superare le ultime perplessità,
innanzitutto reintroducendo nella procedura una
classificazione a tre classi di incidentalità. Inoltre,
ciascuna strada dovrebbe essere suddivisa in sezioni
con estensione pari a 200m, indipendentemente dalla
presenza o meno di intersezioni: infatti, l’estensione
suggerita è tale da consentire comunque l’individuazione
di punti neri dovuti ad intersezioni a forte incidentalità.
Tuttavia nella procedura messa a punto è possibile
impiegare anche estensioni differenti, valutate sulla base
di necessità operative. La procedura pertanto ricalca in
parte quella svizzera, in quanto impiega gli stessi
parametri di densità degli incidenti e tasso di incidentalità
e gli stessi valori critici, salvo poi procedere alla
suddivisione in sezioni omogenee in maniera recursiva
ed alla classificazione delle sezioni omogenee secondo
le seguenti tre classi di incidentalità:
- Sezione a debole incidentalità
0.1 ∙
- Sezione a media incidentalità
0.1 ∙ 0.1 ∙
- Sezione a forte incidentalità
0.1 ∙
3.7 Gli indici di funzionalità
L’ultimo passo di quanto finora esposto consiste nel
ricercare alcuni parametri globali che siano indicativi
dell’efficienza di un’infrastruttura sotto più punti di vista,
che possano poi anche essere impiegati come previsione
e/o misura dell’efficienza degli interventi previsti o attuati
dal PTVE.
Da sottolineare che i valori e le classi individuate per tutti
gli indici descritti nel seguito sono state messe a punto
sulla base di osservazioni e applicazioni delle procedure
a casi reali impiegati come test.
Il primo degli indici è relativo all’analisi dell’efficienza dei
dispositivi di ritenuta: sempre in un’ottica di
ottimizzazione e razionalizzazione delle risorse e della
priorità di intervento, poiché le possibilità di disporre di
risorse tali da permettere di intervenire sulla totalità dei
dispositivi è pressoché nulla, è indispensabile introdurre
un indice che permetta di valutare l’efficienza del sistema
dei dispositivi di ritenuta nella sua totalità, e di assegnare
delle priorità di intervento strettamente correlate con la
sicurezza della circolazione. L’indice di efficienza per i
dispositivi di ritenuta IED permette di valutare l’efficienza
globale di un certo numero di dispositivi (ad es. tutti quelli
installati in una determinata sezione omogenea, o ancora
tutti quelli installati su una certa strada, oppure la totalità
dei dispositivi installati su tutte le strade in gestione ad un
determinato Ente).
L’utilità di un tale indice appare più chiara in sede di
pianificazione degli interventi manutentivi attuabili con un
budget limitato: assunti adeguati ed idonei vincoli, la
massimizzazione della funzione alla base della stima
132
dell’indice IEG permette infatti di scegliere quali interventi
attuare per ottenere il massimo beneficio possibile.
L’indice IED può essere valutato secondo la seguente
espressione per i dispositivi esistenti:
∑ ∙
51
dove:
LDtot estensione totale dei dispositivi per cui valutare
l’indice IED
N numero di dispositivi
INFi valore dell’indice INF dell’i-esimo dispositivo
LDi estensione dell’i-esimo dispositivo
Il campo di esistenza dell’indice IED è quello compreso
fra 0 e 1. La sua stima permette infine una valutazione
qualitativa dell’efficienza di tutto il gruppo di dispositivi
sotto indagine, secondo le seguenti classi:
Tabella 31
Livello di efficienza Indice IED Nulla IED = 0 Bassa 0 < IED ≤ 0.50 Media 0.50 < IED ≤ 0.75
Elevata 0.75 < IED ≤ 0.90 Massima IED > 0.90
Intervenendo sulle criticità del singolo dispositivo, se ne
migliorano le prestazioni e pertanto l’efficienza.
A carico invece dei dispositivi di ritenuta da installare
appare non corretto introdurre un indice di efficienza,
quanto piuttosto un indice di pericolosità residua del
punto da proteggere e dove è prevista l’installazione del
dispositivo stesso (infatti, non esistendo ancora tale
dispositivo, non ha senso pratico valutarne l’efficienza).
L’indice di pericolosità residua IPRS per la strada in
esame pertanto si valuta come:
∑ ∙
52
dove:
LPtot estensione totale dei dispositivi da installare
H numero di dispositivi da installare
IPTi valore dell’indice IPT dell’i-esimo dispositivo da
installare
LPi estensione dell’i-esimo dispositivo da installare
Il campo di esistenza dell’indice IPRS è quello compreso
fra 0 e 1. La pericolosità residua risiede nel fatto che,
installando alcuni dispositivi, si eliminano in via teorica i
pericoli per i quali si è giudicato necessario il dispositivo
di ritenuta stesso. Ciò significa che procedendo
all’installazione dei dispositivi necessari per i punti più
pericolosi, la pericolosità residua sulla strada in esame
diminuisce drasticamente. È da quest’ultimo punto di
vista che l’indice IPRS può assumere carattere di misura
di efficienza, in quanto se con alcuni interventi si abbatte
la pericolosità, conseguentemente si innalza l’efficienza
dell’infrastruttura e la sicurezza della circolazione.
Si individuano pertanto i seguenti intervalli:
Tabella 32
Livello di pericolosità residua Indice IPRS
Nulla IPRS = 0 Bassa 0 < IPRS ≤ 0.50 Media 0.50 < IPRS ≤ 0.75
Elevata 0.75 < IPRS ≤ 0.90 Massima IPRS > 0.90
Un ulteriore indice di efficienza è calcolabile
relativamente allo stato di manutenzione delle
pavimentazioni: calcolati gli indici STDj per le singole
sezioni omogenee, è infatti necessario anche in questo
caso disporre di un indice che permetta di valutare
l’efficienza globale delle pavimentazioni dell’intero
tracciato. Si introduce pertanto l’indice di efficienza delle
pavimentazione IEP, calcolabile come:
∑ ∙
53
dove:
LStot estensione totale della strada in esame
M numero delle sezioni omogenee individuate
STDj severità totale del degrado calcolata per la j-
esima sezione
LSj estensione della j-esima sezione omogenea
Il campo di esistenza dell’indice IEP è ancora compreso
fra 0 e 1. La sua stima permette infine una valutazione
qualitativa dell’efficienza della pavimentazione della
strada in esame, secondo le seguenti classi:
Tabella 33
Livello di efficienza Indice IEP
Nulla IEP = 0 Bassa 0 < IEP ≤ 0.50 Media 0.50 < IEP ≤ 0.75
Elevata 0.75 < IEP ≤ 0.90 Massima IEP > 0.90
Infine, anche a carico dell’incidentalità può essere
introdotto un indice di efficienza che permetta di giungere
ad una classificazione delle sezioni omogenee basata sui
133
costi sociali degli incidenti, che esplica la sua utilità
soprattutto in un’ottica di scelta degli interventi (e
pertanto di razionalizzazione delle risorse) sulle
infrastrutture. L’efficienza di questi interventi può essere
valutata non solo sulla base della riduzione del numero di
incidenti, ma anche (e soprattutto) sulla riduzione dei
costi sociali di questi: infatti non è sufficiente ridurre il
numero di incidenti se quelli residui hanno costi sociali
molto elevati.
Si propone perciò di impiegare il potenziale di sicurezza
SAPO così come descritto dalle linee guida allegate al
DL35/2011: questo è un indice che può essere impiegato
sia come criterio di scelta fra interventi differenti,
valutando il risparmio in termini economici derivante dalla
riduzione attesa del numero di incidenti conseguente
all’attuazione di alcuni interventi, sia come criterio di
valutazione dell’efficienza degli interventi attuati,
valutando la variazione della spesa economica derivante
dalla variazione del numero di incidenti verificatisi
successivamente all’attuazione degli interventi stessi.
L’indice SAPO è strutturato in maniera da non tenere in
considerazione il costo di realizzazione dell’intervento
stesso, cosicché risulta possibile valutarne un’efficienza
strettamente tecnica. L’indice SAPO è rappresentato
dalla differenza tra il costo sociale annuo che caratterizza
la singola sezione omogenea ed il valore atteso del costo
sociale annuo per un’equivalente sezione omogenea di
un’infrastruttura correttamente progettata e manutenuta
appartenente alla medesima categoria.
In forma analitica, può essere espresso come:
∑ ∙ ∙ ∙
∙ 365 ∙
10
54
dove:
SAPOj indice SAPO per la sezione j-esima, in
k€/km∙anno
DMj costi dei danni materiali conseguenti agli
incidenti sulla sezione j-esima
FLj numero di feriti leggeri per incidenti stradali sulla
sezione j-esima
cFL costo sociale per feriti leggeri
FGj numero di feriti gravi per incidenti stradali sulla
sezione j-esima
cFG costo sociale per feriti gravi
Mj numero di morti per incidenti stradali sulla
sezione j-esima
cM costo sociale per morti
LSj estensione in km della sezione j-esima
BTCI tasso base del costo degli incidenti
TGMj TGM della j-esima sezione
La maggior difficoltà nell’applicazione di questa
procedura risiede nella stima dei costi e del tasso BTCI:
per una prima stima si può far riferimento a quanto
riportato in Studio di valutazione dei costi sociali
dell’incidentalità stradale – Anno 2010, previsto dall’art.
7, comma 2, del DL 35/2011. Tuttavia può essere
opportuna una stima di tali costi a livello locale, al fine di
adattare meglio questa procedura a condizioni territoriali
particolari.
Infine, il calcolo della differenza fra l’indice SAPO
calcolato nella situazione ante-intervento e in quella post-
intervento può costituire una misura dell’efficienza
dell’intervento. Tuttavia quest’ultima parte e la sua
calibrazione saranno approfonditi in studi futuri, col fine
di giungere alla valutazione di un indice di efficienza per
la riduzione dell’incidentalità IEIN.
Si ritiene infine molto utile giungere ad un’ulteriore indice
di sintesi: si potrebbe infatti procedere alla combinazione
degli indici di efficienza e dell’indice di pericolosità
residua in un unico indice, ad esempio assegnando un
peso a ciascun indice che sia indicativo della sua
importanza nella sicurezza globale dell’infrastruttura.
Disporre di un siffatto indice di sicurezza globale ISG si
rivelerebbe molto utile in un’ottica di scelta degli
interventi, qualunque essi siano: infatti, si potrebbe in
questo modo avere a disposizione uno strumento
contenente tutte le necessità di una rete sotto tutti i
possibili punti di vista, il che consentirebbe al decisore di
allocare più opportunamente le risorse in suo possesso
su quegli interventi che, se affrontati per primi,
porterebbero ad un evidente incremento del livello di
sicurezza della circolazione su quella strada. Sarebbe
ossia possibile pianificare gli interventi manutentori in
modo da massimizzare l’efficienza globale
dell’infrastruttura o dell’intera rete ottimizzando al
contempo le risorse economiche disponibili, ossia stabiliti
i costi dei singoli interventi si disporrebbe di un vero e
proprio Piano di Manutenzione della Rete Stradale
completo ed efficiente.
Una possibile forma dell’indice ISG può essere la
seguente:
134
∙ ∙ ∙ ∙ ⋯
⋯
55
dove i Wx sono i pesi da assegnare a ciascun indice ed
IEIN è l’indice in fase di studio relativo all’incidentalità. La
messa a punto dell’indice ISG richiede innanzitutto di
calibrare in maniera adeguata i valori da assegnare ai
pesi; inoltre deve essere valutato attentamente l’indice
relativo all’incidentalità e la possibilità di inserire
all’interno dell’indice ISG ulteriori indici di efficienza (ad
es. relativamente alla segnaletica, all’illuminazione, ecc.).
Per tutti questi motivi lo studio dell’indice ISG è ancora in
fase di sviluppo e sarà pertanto oggetto di future
elaborazioni e pubblicazioni, congiuntamente alla
possibilità di procedere alla conversione di tutti gli indici
in termini economici.
3.8 La georeferenziazione
Tutti gli indici calcolati, i dati raccolti ed in generale i
risultati raggiunti possono essere facilmente riportati su
software GIS o, più genericamente, di geolocalizzazione
(ad es. Google Earth).
In questo modo si riesce a disporre di uno strumento
effettivamente di immediata consultazione, che permette
la visualizzazione diretta del dato e soprattutto della zona
cui esso è riferito.
Figura 7
Nella Figura 7 è presentato il risultato della
georeferenziazione visualizzata sul software Google
Earth dei dati inerenti i dispositivi di ritenuta esistenti,
ottenuta mediante apposito codice KML.
3.9 Sviluppo di un modello tassonomico per
una classificazione funzionale di una rete
stradale
Nel capitolo precedente si è evidenziata l’importanza di
giungere ad una classificazione anche sotto il profilo
funzionale della rete stradale in gestione ad un
determinato Ente.
Un territorio può essere descritto come un insieme di
elementi e di relazioni che si realizzano fra di essi, siano
queste flussi di beni, flussi di persone, ecc. Ognuna di
queste relazioni viene esplicata attraverso “canali”
dedicati: uno di questi è certamente costituito dalle reti
infrastrutturali, fra cui quella viaria. In letteratura esistono
numerosi studi che dimostrano che all’interno di un
determinato territorio, tra la struttura gerarchica dei vari
centri abitati e quella della rete di comunicazione e
trasporti, esistono strette relazioni isomorfiche, ossia che
la gerarchizzazione della rete dei collegamenti è
strettamente correlata alla gerarchizzazione dei centri.
Tali relazioni risultano ben descrivibili attraverso modelli
tassonomici, che forniscono classificazioni funzionali dei
centri che sono anche in grado di conservare quei legami
di dipendenza o di influenza tra gli elementi aggregati del
nuovo sistema gerarchizzato. L’impiego di tali modelli,
inoltre, consente sia di individuare le strutture
gerarchiche già presenti nel territorio, sia di individuare le
possibili strutture gerarchiche realizzabili al fine di
perseguire un obiettivo di riequilibrio territoriale.
Secondo la teoria tassonomica, si definisce sistema di
classificazione ogni serie di sottoinsiemi in cui può
essere suddiviso un insieme di oggetti, tenendo conto in
qualche modo delle informazioni che li riguardano.
L’obiettivo quindi di un sistema di classificazione è quello
di raggruppare elementi simili, pertanto il primo passo
obbligato è quello della definizione di una qualche misura
di similarità (o di dissimilarità) tra i vari oggetti, in genere
espressa mediante coefficienti di dissimilarità DC e/o
l’associata matrice di dissimilarità.
Qualsivoglia misura di dissimilarità si adotti, dati due
elementi A e B dell’insieme P in esame, e dato d(A,B) il
loro coefficiente di dissimilarità, valgono comunque le
seguenti proprietà:
,
,
, ,
56
135
dove d0 è un numero reale. La prima e la seconda
relazione indicano che nessun oggetto può essere più
simile ad un altro che a se stesso, mentre la terza
relazione esprime la fondamentale proprietà di
simmetria.
La matrice dei DC così ottenuta risulta quadrata e
simmetrica, ad elementi tutti positivi fuorché tutti e soli gli
elementi della diagonale principale, che risultano nulli.
Nel caso di classificazione funzionale di una rete
stradale, è possibile giungere ad una misura di
dissimilarità a partire da una matrice di dati, a sua volta
costituita ad esempio dalla distanza fra i centri, oppure
dai tempi di percorrenza fra questi. La costruzione del
sistema di classificazione gerarchica è quindi effettuata
assumendo la misura di dissimilarità prescelta ed
utilizzando una strategia agglomerativa, ossia una
strategia basata su algoritmi iterativi che ad ogni passo
associano coppie di elementi, scelte secondo prefissati
criteri (ad es. possono essere associate quelle coppie
per le quali ad ogni passo risulta minimo il coefficiente di
dissimilarità DC), in modo da costituire nuove unità
singole e quindi diminuire il numero complessivo per le
successive agglomerazioni. Il procedimento termina
teoricamente quando tutti gli n elementi dell’insieme
iniziale P sono stati agglomerati, dopo n-1 passi, in un
unico elemento. Tuttavia nella pratica si arresta la
procedura quando si raggiunge un determinato e
prefissato valore del coefficiente DC, oppure dopo un
determinato numero di passi, oppure ancora quando il
numero degli elementi residui risulta inferiore od uguale
ad un certo numero fissato in partenza, ossia ci si arresta
quando sarà raggiunto il prefissato grado di
semplificazione nella massa dei dati di partenza, tale che
si avrà la massima perdita di informazione accettabile
per il particolare problema in esame.
Operativamente, per il modello sviluppato si è in primo
luogo calcolata la dissimilarità per ogni coppia di centri a
partire dai tempi di percorrenza fra i diversi centri
comunali, ottenendo così una matrice quadrata delle
dissimilarità, simmetrica e con gli elementi della
diagonale principale nulli. Assunta pertanto la
dissimilarità quale grandezza da minimizzare con la
funzione obiettivo del modello, nella seconda fase della
procedura viene ricercata la coppia di centri (I,J) a cui
corrisponde il valore minimo del coefficiente DCij: i due
centri I e J vengono eliminati ed al loro posto viene
considerato un nuovo centro che presenta caratteristiche
pari alla somma delle grandezze relative ai due centri
soppressi e generalmente posizionato nel loro baricentro.
Si sono poi determinate le dissimilarità fra il nuovo centro
e tutti gli altri centri considerati, tornando all’inizio della
seconda fase. L’intero ciclo del procedimento consiste
nell’eliminazione dalla matrice dei DC delle righe e delle
colonne relative ai due centri da trascurare e nella
sostituzione a queste di un’unica riga e un’unica colonna
che riportano i nuovi valori calcolati, fino al termine del
procedimento stabilito secondo quanto sopra descritto.
Per il modello sviluppato, si è fatto ricorso ai tempi di
percorrenza necessari per gli spostamenti da un centro
all’altro come misura delle impedenza dij esistente fra
due centri I e J, espressione delle difficoltà di relazione
fra questi; inoltre per ciascun centro si sono considerate
due serie di variabili, con carattere di complementarietà,
rappresentative sia di un potere di attrazione che di
repulsione del centro stesso: queste due serie di variabili
sono ben rappresentate rispettivamente dal numero di
persone che si spostano verso il centro per motivi di
lavoro e/o studio e dal numero di persone che si
spostano dal centro stesso per gli stessi motivi, così
come risultanti dai dati disponibili del censimento ISTAT
del 2001. In input pertanto si hanno: una matrice delle
impedenze dij; una matrice rettangolare n∙m di m variabili
di attrazione ai(k), dove i=1,2,…,n indica il centro a cui è
attribuita la variabile a(k) e k=1,2,…,m indica il numero
d’ordine di tale variabile; una matrice rettangolare n∙m di
repulsione ri(k), con analogo significato degli indici e tale
che r(k) costituisca una grandezza omogenea e con
carattere di complementarietà alla variabile a(k). Poiché è
stata impiegata una sola variabile di
attrazione/repulsione, le matrici ai(k) ed ri
(k) sono in realtà
matrici quadrate. Considerando poi la matrice delle
eccedenze, individuata come ei(k) = (ai
(k) - ri(k)), per
ciascuna variabile si costruisce la matrice dei DCij:
57
ognuna delle quali è simmetrica e con gli elementi della
diagonale nulli. Inoltre, avendo impiegato una sola
variabile di attrazione/repulsione, si costruirà una sola
matrice dei DCij. Le dissimilarità così valutate riflettono
sia l’indipendenza fra i centri, giacché maggiori sono i
valori dei DCij e minori sono le interazioni fra questi, sia
del carattere di complementarietà dei centri stessi,
espresso dalle differenze algebriche delle eccedenze: i
136
coefficienti DCij così calcolati possono pertanto essere
assunti come una misura sufficientemente precisa e
raffinata delle relazioni fra i centri stessi.
Si potrà poi calcolare il coefficiente globale di
dissimilarità mediante la seguente espressione:
∑
58
La funzione obiettivo del modello è data dalla seguente
espressione:
⇒ ∪ 59
In corrispondenza di tale minimo, l’algoritmo aggrega i
nodi I e J per i quali l’interdipendenza è massima
individuando un nuovo nodo G:
60
collocato alla nuova distanza dal generico nodo R pari a:
∙ ∑ ∙ ∑
∑ ∑
61
Nella procedura impiegata, a scopo semplificativo, si è
fatto ricorso ad una strategia che aggrega i centri in base
a valori crescenti dei DC a partire da:
∑
62
ed incrementando ad ogni p-esima fase di aggregazione
tale valore di una costante ΔDC(p) scelta
convenientemente piccola. Ad ogni p-esima fase
pertanto si aggregano tutti i centri per i quali vale la
condizione
∑∆
63
Può accadere che un generico nodo I, nella p-esima
fase, possa essere aggregato sia al nodo J che al nodo
R: se si verifica che
∑ ∑⇒ ∪
64
altrimenti ∪ . Una tale condizione si verifica
aggregando, all’interno della generica p-esima fase, per
primi i centri con valore del DC minore: se durante tale
fase di aggregazione viene individuata come prossima
da aggregare una coppia (I,J) in cui il nodo I è già stato
aggregato nella fase in corso ad un altro nodo R,
l’algoritmo conclude la fase p-esima assumendo come
limite di aggregazione superiore DC(p) il DC dell’ultima
coppia aggregata.
Pertanto l’aggregazione eseguita nella p-esima fase
attribuisce ad ogni coppia (I,J) da aggregare il valore del
DC dato o da DC(p) o anche semplicemente da p stesso,
in modo che risulti:
∑
65
e si attribuisce tale valore anche alla coppia (R,S) con R
nodo generico già aggregato ad I ed S già aggregato a J
prima della p-esima fase. Al passo successivo, se I e J
vengono aggregati nel nuovo nodo G, valgono le (60) e
(61), e si incrementa il limite DC(p) in modo che
∆ 66
iniziando così la nuova fase.
L’impiego di un modello così costruito permette di
determinare la dipendenza gerarchica fra i vari centri
urbani compresi in un prefissato ambito territoriale,
mediante la determinazione dei vari clusters ai rispettivi
livelli gerarchici, pertanto l’isomorfismo tra il livello
gerarchico dei centri e la struttura gerarchica dei rami
della corrispondente rete viaria può essere determinato
mediante due passaggi:
1) assunzione di un certo numero di livelli
gerarchici corrispondenti alle diverse
caratteristiche funzionali di rete che si desidera
analizzare;
2) formulazione dei criteri tassonomici riflettenti la
struttura o delle esistenti interazioni tra i centri
stessi (modelli descrittivi) o di quelle che si
desiderano avvengano (modelli di
pianificazione).
L’assunzione del numero di livelli gerarchici è
generalmente facilitata dal numero molto ridotto delle
classi funzionali che definiscono la gerarchia di una rete
viaria: secondo quanto prescritto dal DM 6792/2001, si
individuano 4 classi funzionali per gli elementi di una rete
stradale, pertanto potrebbero assumersi 4 livelli
gerarchici corrispondenti. Il numero dei criteri
tassonomici possibili deriva invece dal numero delle
combinazioni delle interazioni che si ritiene esistano fra i
137
vari centri sia all’interno che tra i vari livelli dei clusters in
esame.
Figura 8
Il risultato dell’applicazione di un simile modello ad un
determinato territorio viene efficacemente messo in
risalto dalle mappe a curve di isodissimilarità e dalle
mappe di aggregazione: le prime rappresentano il luogo
dei punti sul territorio aventi la stessa dissimilarità dal
centro considerato e possono essere interpretate come
risultato della sezione di “coni di influenza” con dei piani
orizzontali (con significato analogo, ad es., alle curve
isobatimetriche di un bacino acquifero); le seconde
rappresentano, attraverso archi orientati, i collegamenti
fra un centro e il centro con il quale esso viene
aggregato, con verso dal primo al secondo.
Ulteriore rappresentazione del risultato è costituito infine
dal dendrogramma, rappresentazione grafica del
coefficiente di dissimilarità e dove, sull'asse delle
ascisse, si rappresenta la distanza logica dei clusters
secondo la metrica definita, mentre sull’ asse delle
ordinate, il livello gerarchico di aggregazione (valori interi
positivi).
Il ricorso alla rappresentazione mediante dendrogramma
è possibile solo qualora sia rispettata la proprietà
ultrametrica, ossia che per ogni nodo A, B e C
appartenenti all’insieme P sia
, max , ; , 67
ottenibile imponendo DCij = p, con p numero d’ordine
della fase in cui i nodi I e J vengono aggregati. Infatti
come misura del livello di aggregazione non può essere
impiegato il valore della dissimilarità dell’ultima coppia
aggregata, in quanto cambiando i valori delle eccedenze
ad ogni aggregazione cambiano anche i valori della
dissimilarità fra centri.
4. APPLICAZIONE ALLA VIABILITA’
EXTRAURBANA DELLA PROVINCIA DI PISA
La rete considerata per lo sviluppo dell’applicazione e la
verifica sperimentale di quanto fin qui esposto è quella
della provincia di Pisa, situata nella zona occidentale
della regione Toscana.
Allo stato attuale, la rete stradale in gestione alla
Provincia di Pisa risulta composta da 70 strade
provinciali e 7 strade fra ex statali ed ex regionali, per
un’estensione totale di circa 965km.
Nella Figura 9 è rappresentata l’attuale rete stradale
provinciale. Come è ben evidente, la maggior densità di
infrastrutture viarie è concentrata nella zona
settentrionale del territorio provinciale, dove è altresì
concentrata la quota maggiore della popolazione e delle
attività produttive: i soli comuni ricadenti nella Valdarno e
nella Valdera rappresentano infatti oltre l’85% della
popolazione totale residente nell’intera provincia.
Questa particolare distribuzione territoriale dei residenti e
delle attività produttive si ripercuote anche sulla rete
viaria: nella zona nord, infatti, ricadono infrastrutture che
assurgono a funzioni anche extra provinciali e di
collegamento con le provincie limitrofe, e soprattutto
caratterizzate da flussi veicolari elevati o molto elevati,
mentre nella zona sud la maggior parte delle strade
provinciali riveste un ruolo riconducibile ai collegamenti
intracomunali ed a servizio di ridotti volumi di traffico.
Ulteriore differenza fra le due zone discende
direttamente dalle caratteristiche orografiche del
territorio: mentre nella zona nord la maggior parte delle
infrastrutture presenta caratteristiche tipiche delle
infrastrutture di pianura, ossia lunghi rettilinei, curve ad
ampio raggio, carreggiate con larghezze generalmente
superiori ai 7.00m e ridotti tratti non pianeggianti (per lo
più collinari), nella zona sud siamo di fronte ad
infrastrutture che in determinati casi hanno caratteristiche
tipiche delle strade di montagna, con presenza di
tornanti, carreggiate a larghezza ridotta e forti dislivelli da
superare.
Questo squilibrio risulta essere un aspetto cruciale nella
gestione dell’intera rete: la rete stradale facente parte
della zona nord, infatti, risulta percorsa quotidianamente
138
da elevati flussi di traffico (anche pesante, vista la
presenza di numerosi poli di produzione in tutta la piana
del fiume Arno), pertanto richiede interventi assai più
frequenti per il mantenimento dell’efficienza al fine di
assicurare adeguate caratteristiche che possano
soddisfare la domanda di trasporto, pena un forte
decadimento delle condizioni di circolazione e della
sicurezza; la stessa situazione invece non si riscontra
con la stessa frequenza nella zona sud, ove il traffico, di
volume assai ridotto, è per lo più composto da veicoli
leggeri e ove la rete provinciale soddisfa adeguatamente
la domanda di trasporto fra comuni con numero ridotto di
abitanti.
4.1 La domanda di trasporto attuale
Attività propedeutica all’applicazione delle procedure
sviluppate, la ricostruzione della domanda di trasporto è
stata eseguita a partire dai dati disponibili relativi ai
censimenti ISTAT degli anni 1991, 2001 e, per quanto
disponibile, 2011.
Ai fini della pianificazione, è necessario caratterizzare la
domanda individuando:
- i soggetti che si spostano;
- i motivi dello spostamento;
- i punti tra i quali avvengono gli spostamenti;
- il modo di trasporto utilizzato;
- il periodo temporale a cui si fa riferimento.
Nel caso della Provincia di Pisa si è fatto riferimento agli
spostamenti per motivi di studio e lavoro espletati
solamente fra i comuni della provincia stessa,
indipendentemente dal modo di trasporto impiegato.
Si è pertanto ricostruita la matrice O/D riferita agli
spostamenti per motivi di studio/lavoro fra centri
comunali all’interno della Provincia di Pisa.
139
Figura 9
4.2 Le velocità di progetto per le strade
extraurbane della Provincia di Pisa
La procedura descritta al par. 3.1 è stata applicata alle
strade in gestione o di proprietà della Provincia di Pisa,
comprese le relative diramazioni e varianti.
L’applicazione di tale procedura ha richiesto alcune fasi
preparatorie: innanzitutto è stato necessario ricostruire gli
assi strada da cui poi estrapolare tutti i dati necessari e
richiesti dalla procedura stessa; successivamente è stato
messo a punto un foglio di calcolo automatizzato che,
ricevuti in input i dati estrapolati dagli assi strada, ha reso
possibile il calcolo in maniera automatica delle velocità di
progetto.
Gli assi strada sono stati ricostruiti sulla base della
cartografia CTR in scala 1:10,000 disponibile sul portale
GIS “Cartoteca” della regione Toscana; in alcuni casi,
ossia per gli assi delle strade provinciali la cui
progettazione e costruzione è avvenuta in tempi molto
recenti, si è invece fatto ricorso ai progetti esistenti
disponibili. Gli assi si sono ricostruiti assumendo, in via
semplificativa, che questi siano costituiti da tratti rettilinei
e da curve in successione fra di loro. Nella Figura 10 si
140
riporta un esempio di un tratto asse strada ricostruito e,
in questo caso, anche quotato.
Figura 10
Operativamente, ricorrendo al software AutoCAD si è
disegnato l’asse come una polilinea costituita da linee ed
archi, dalla quale poi si sono estratte le coordinate dei
punti iniziali di ciascun elemento in maniera ordinata.
Estratte le coordinate, si è poi proceduto ad estrarre i
seguenti dati da ciascun elemento:
- per gli archi: angolo della tangente nel punto
iniziale, angolo al centro, area, coordinata X del
centro, coordinata Y del centro, lunghezza e
raggio;
- per le linee: lunghezza, angolo di orientamento,
ΔX, ΔY, coordinata X del punto iniziale,
coordinata Y del punto iniziale, coordinata X del
punto finale e coordinata Y del punto finale.
Tutti questi elementi si sono poi ordinati, secondo la loro
reale successione e in maniera del tutto automatica,
all’interno del foglio di calcolo predisposto, sulla base
delle coordinate del punto iniziale estratte dalla polilinea
relativa a ciascun asse.
Il foglio di calcolo può essere impiegato per ottenere più
risultati: una velocità di progetto VP,strada rappresentativa
dell’intero tracciato (o della sezione omogenea in
esame), oppure una velocità di progetto puntuale , di
ciascuna curva presente all’interno del tracciato stesso (o
della sezione omogenea in esame).
L’applicazione di questa procedura a tutte le strade della
Provincia di Pisa ha portato ad ottenere i risultati
visualizzabili nella successiva Tabella 34, in cui si sono
riportate le sezioni omogenee individuate sulla base della
VP,strada e il valore calcolato per quest’ultima.
È necessario osservare che le progressive a cui fa
riferimento la Tabella 34 sono quelle quotate sugli assi
strada ricostruiti su base CTR e non quelle indicate a
bordo strada con appositi segnali ettometrici: fra i due
sistemi di coordinate possono infatti sussistere differenze
anche sostanziali, motivo per cui ci si è sempre riferiti
alle coordinate effettive e misurate da cartografia.
È infine necessario osservare che la divisione in sezioni
omogenee risultava già a disposizione del Servizio
Viabilità della Provincia di Pisa: l’applicazione della
procedura per il calcolo della VP ha tuttavia permesso un
approfondimento e, in alcuni casi, l’individuazione di
ulteriori sezioni omogenee.
Tabella 34
STRADA TRATTO VP,strada
(km/h) dal km al kmSP1 “della Botte” 0+000 2+300 67 SP2 “Vicarese” 0+000 19+850 85 SP3 “Bientina – Altopascio” 0+000 12+000 84 SP3 “Bientina – Altopascio - dir. Via Pacini”
0+000 1+300 92
SP4 “Orentanese” 0+000 5+100 81 SP5 “Francesca” 0+000 11+300 77 SP6 “di Giuncheto” 0+000 4+650 69 SP7 “di S. Miniato” 0+000 2+350 63 SP8 “della Valdinievole” 0+000 13+850 72 SP9 “di S. Jacopo” 0+575 5+300 93 SP10 “Vecchianese” 0+000 6+350 82 SP11 “delle Colline per Legoli” 0+325 25+350 76 SP11 “delle Colline per Legoli – var. del Romito”
0+000 1+500 80
SP11 “delle Colline per Legoli – var. dei Fabbri”
0+000 1+100 72
SP12 “delle Colline per Livorno” 1+150 12+300 68 SP13 “del Commercio” 0+000 11+300 74 SP13 “del Commercio” 11+300 51+100 57 SP14 “di Miemo” 0+000 11+500 72 SP14 “di Miemo” 11+500 25+450 56 SP15 “Volterrana” 0+000 9+150 60 SP15 “Volterrana” 9+150 13+100 71 SP16 “del Monte Volterrano” 0+000 6+850 53 SP17 “delle valli di Pavone e Cecina”
0+000 4+650 73
SP17 “delle valli di Pavone e Cecina – dir. Ricavolo”
0+350 4+500 48
SP18 “dei Quattro Comuni” 0+000 12+600 85 SP18 “dei Quattro Comuni” 12+600 17+680 49
141
STRADA TRATTO VP,strada
(km/h) dal km al km SP19 “della Camminata” 0+000 15+700 63 SP20 “del Lodano” 0+000 4+700 49 SP20 “del Lodano” 4+700 10+000 74 SP20 “del Lodano – dir. Sassetta”
6+115 10+050 78
SP21 “del Pian della Tora” 0+000 5+500 72 SP21 “del Pian della Tora” 5+500 8+900 66 SP22 “del Mare” 0+000 5+600 80 SP23 “di Gello” 0+000 7+050 92 SP24 “Arnaccio – Calci” 0+000 5+700 86 SP24 “Arnaccio – Calci” 5+700 10+900 77 SP25 “Vicopisano – S. Maria a Monte”
0+000 9+600 80
SP25 “Vicopisano – S. Maria a Monte”
9+600 11+350 68
SP25 “Vicopisano – S. Maria a Monte – dir.”
0+000 0+700 79
SP26 “di Santo Pietro Belvedere”
0+000 5+400 69
SP26 “di Santo Pietro Belvedere”
5+400 9+550 85
SP27 “di Montecastelli” 0+000 11+600 56 SP27 “di Montecastelli – dir. nord”
0+000 5+900 52
SP28 “dei Tre Comuni” 0+000 10+500 65 SP28 “dei Tre Comuni” 10+500 15+250 81 SP28 “dei Tre Comuni – dir. Quadri”
0+000 2+000 57
SP28 “dei Tre Comuni – dir. Pozzatelli”
0+000 1+800 54
SP29 “della Val di Cecina” 0+000 4+380 98 SP30 “del Lungomonte Pisano” 0+000 3+000 90 SP30 “del Lungomonte Pisano” 3+000 16+600 77 SP30 “del Lungomonte Pisano” 16+600 18+350 67 SP31 “Cucigliana – Lorenzana” 0+000 13+600 82 SP31 “Cucigliana – Lorenzana” 13+600 17+450 69 SP31 “Cucigliana – Lorenzana” 17+450 18+950 70 SP32 “di Montecatini Val di Cecina”
0+000 12+950 52
SP33 “Castellina Marittima – Le Badie”
0+000 2+600 53
SP33 “Castellina Marittima – Le Badie”
2+600 7+850 76
SP34 “Castelfranco – Staffoli” 0+000 2+500 96 SP34 “Castelfranco – Staffoli” 2+500 4+200 59 SP34 “Castelfranco – Staffoli” 4+200 7+500 93 SP35 “delle Colline per Lari” 0+000 17+300 55 SP36 “Palaiese” 0+000 3+000 63 SP36 “Palaiese” 3+000 10+000 79 SP36 “Palaiese” 10+000 19+000 56 SP37 “delle Colline per S. Luce”
0+000 9+650 75
SP38 “di Buti” 0+000 5+700 61 SP38 “di Buti” 5+700 7+550 85 SP39 “S. Miniato – S. Lorenzo” 0+000 1+700 49 SP39 “S. Miniato – S. Lorenzo” 1+700 9+800 75 SP40 “Isola di S. Miniato” 0+000 3+000 81 SP40 “Isola di S. Miniato” 3+000 4+225 63 SP41 “di Peccioli” 0+000 1+200 90 SP41 “di Peccioli” 1+200 3+300 54 SP41 “di Peccioli” 3+300 5+150 70 SP42 “di Terricciola” 0+000 9+400 65 SP43 “di Orciano” 0+000 5+780 74 SP43 “di Orciano” 5+780 8+800 72 SP43 “di Orciano – dir. Greppioli”
0+000 1+500 72
SP44 “S. Croce – Ponte a Egola”
0+000 2+200 81
SP45 “di Lajatico” 0+000 6+300 52 SP45 “di Lajatico” 6+300 8+250 68 SP45 “di Lajatico – dir. Orciatico”
0+000 7+400 50
SP46 “Perignano – Lari” 0+000 4+100 86
STRADA TRATTO VP,strada
(km/h) dal km al kmSP46 “Perignano – Lari” 4+100 4+750 46 SP46 “Perignano – Lari” 4+750 9+550 66 SP47 “di Micciano” 0+000 13+500 52 SP47 “di Micciano” 13+500 20+150 65 SP48 “di Montevaso” 0+000 23+325 47 SP49 “della Leccia e Lustignano”
0+000 10+400 54
SP49 “della Leccia e Lustignano – dir. Lustignano”
0+000 1+900 57
SP50 “di Montaione” 0+000 2+700 73 SP50 “di Montaione” 2+700 7+325 91 SP51 “Rosignanina” 0+000 7+350 79 SP52 “di Casole d’Elsa” 0+000 4+350 56 SP53 “del Cornocchio” 0+000 6+750 59 SP54 “della Bonifica del Tiglio” 0+000 1+125 90 SP55 “di Pian del Pruno” 0+000 12+525 53 SP55 “di Pian del Pruno” 12+525 16+400 67 SP56 “del Monteserra” 0+000 10+575 61 SP56 “del Monteserra – dir. Buti”
0+000 8+250 64
SP57 “del Poggetto” 0+400 4+200 79 SP57 “del Poggetto” 4+200 8+050 68 SP57 “del Poggetto” 8+050 12+050 68 SP58 “del Biscottino” 0+000 3+200 84 SP58 “del Biscottino” 3+200 6+825 71 SP59 “delle Palanche” 0+000 1+500 93 SP60 “Poggiberna” 0+000 3+000 62 SP60 “Poggiberna” 3+000 7+200 75 SP61 “di Molina di Quosa” 0+000 7+150 53 SP62 “di Vecchienne” 0+000 2+800 49 SP62 “di Vecchienne” 2+800 4+650 66 SP63 “di Collemontanino” 0+000 1+700 59 SP63 “di Collemontanino” 1+700 6+200 66 SP64 “della Fila” 0+000 7+700 94 SP65 “Romanina” 0+000 2+950 80 SP66 “Francesca bis” 0+000 9+600 96 SP69 “Variante di Ponsacco” 0+000 5+150 91 SP70 “Bretella del Cuoio” 0+000 4+200 98 SP224 “di Marina di Pisa” 4+000 24+200 95 SP329 “del Passo di Bocca di Valle”
13+450 41+925 51
SR12 “dell’Abetone e del Brennero”
6+800 11+000 66
SR12 “dell’Abetone e del Brennero”
11+000 16+400 79
SR68 “della Val di Cecina” 2+100 7+000 76 SR68 “della Val di Cecina” 7+000 28+900 85 SR68 “della Val di Cecina” 28+900 46+100 52 SR68 “della Val di Cecina” 46+100 47+500 69 SR68 “della Val di Cecina” 47+500 52+350 49 SR206 “Pisana – Livornese” 37+300 44+850 92 SR436 “Francesca” 26+400 28+200 83 SR439 “Sarzanese Valdera” 46+850 58+425 73 SR439 “Sarzanese Valdera” 60+390 62+200 91 SR439 “Sarzanese Valdera” 65+500 85+200 73 SR439 “Sarzanese Valdera” 85+200 134+850 56 SR439 “Sarzanese Valdera – diramazione”
0+000 12+500 71
SR439 “Sarzanese Valdera – diramazione”
12+500 16+950 57
SR439 “Sarzanese Valdera – var. del Ponte alla Navetta”
0+000 2+950 79
4.3 Le velocità operative per le strade
extraurbane della Provincia di Pisa
Il passaggio alle velocità operative, così come descritto
al par. 3.2, si è rivelato di fondamentale importanza in
ottica dell’applicazione delle procedure relative al livello
di rischio connesso ai dispositivi di ritenuta e allo stato
142
delle pavimentazioni, e di quella relativa
all’individuazione dei punti pericolosi. Infatti, disponendo
delle sole velocità di progetto si hanno a disposizione o
le velocità puntuali delle sole curve, oppure le velocità di
intere sezioni omogenee: in entrambi i casi si ha a
disposizione un’informazione “incompleta”, in quanto se
volessimo impiegare le velocità puntuali non ne
disporremmo per i rettifili, mentre se impiegassimo le
velocità di progetto delle sezioni omogenee (così come
determinate al paragrafo precedente) rischieremmo di
sottovalutare (o sopravalutare) il rischio in alcuni punti
particolari (le velocità di progetto derivano, in ultima
analisi, da modelli di natura statistica).
Disporre quindi delle velocità operative permette di
superare questa criticità: le velocità operative infatti
consentono di fondare le procedure del rischio sopra
citate su velocità calcolabili per ciascun elemento, ossia
sulle reali condizioni di circolazione, con la conseguenza
di ottenere risultati con approssimazioni decisamente
ridotte (derivanti, quest’ultime, da quelle intrinseche nei
modelli impiegati).
Si ritiene non possibile, per ovvi motivi di spazio,
presentare qui i risultati dell’applicazione di questa
procedura a tutti i tracciati. A titolo di esempio, però, si
riportano nella seguente Tabella 35 i risultati ottenuti per
la SP7 “di San Miniato” con entrambe le procedure.
Tabella 35
ID
L (m)
Pk (m)
R (m)
α (gradi)
fT calcolato
V85 (km/h)
VP (km/h)
1 173 173 65
2 86 259 385 13 0.123 88 88
3 117 376 77
4 85 461 403 12 0.122 90 90
5 567
6 161 622 73
7 54 676 184 17 0.155 67 67
8 116 792 58
9 64 856 54 68 0.208 41 41
10 56 911 46 69 0.210 38 38
11 93 1004 57
12 66 1070 210 18 0.149 70 70
13 27 1097 10 149 0.210 20 20
14 71 1168 39
15 33 1200 24 79 0.210 30 30
16 37 1237 41
17 34 1271 28 68 0.210 31 31
18 33 1304 623 3 0.106 100 100
19 42 1345 215 11 0.148 71 71
ID
L(m)
Pk(m)
R (m)
α (gradi)
fT calcolato
V85 (km/h)
VP (km/h)
20 80 1426 68
21 52 1477 323 9 0.131 82 82
22 47 1524 62
23 45 1569 113 23 0.177 55 55
24 91 1661 69
25 94 1754 1024 5 0.093 100 100
26 64 1818 66 55 0.200 44 44
27 50 1868 153 19 0.163 62 62
28 64 1932 48
29 27 1959 9 164 0.210 19 19
30 31 1991 39
31 30 2020 44 39 0.210 37 37
32 18 2038 42
33 27 2066 26 61 0.210 30 30
34 15 2081 13 69 0.210 30 30
35 22 2103 16 76 0.210 30 30
36 102 2204 59
37 57 2261 346 9 0.128 85 85
38 46 2307 64
39 30 2337 133 13 0.170 59 59
dove:
L lunghezza dell’elemento
Pk progressiva chilometrica iniziale dell’elemento
R raggio della curva
α angolo al centro della curva
fT coefficiente di aderenza trasverale
V85 velocità operativa dell’elemento
VP velocità di progetto dell’elemento
Da un confronto (Figura 11 e Figura 12), appare evidente
come, in seguito all’applicazione della procedura per le
velocità operative, siano disponibili maggiori e più
dettagliate informazioni relativamente all’intero tracciato:
ciò ha consentito sia di ricalcolare le velocità delle
sezioni omogenee tenendo conto delle reali condizioni di
circolazione su queste, sia di individuare con maggior
precisione le sezioni omogenee, che possono quindi
risultare sensibilmente diverse da quelle individuate con
la procedura precedente. Inoltre disporre di maggiori
informazioni ha consentito anche di giungere al calcolo di
un parametro di velocità che possa essere ritenuto
rappresentativo anche per quelle strade caratterizzate da
poche curve e rettilinei molto lunghi, situazione in cui la
precedente procedura mostrava marcate difficoltà.
Nella Tabella 36 si riportano i risultati della procedura per
il calcolo delle velocità operative applicata alle sezioni
omogenee precedentemente individuate, in quanto
143
queste sono state oggetto di delibera ed approvazione
da parte della Provincia di Pisa. Rimane tuttavia da
osservare che una suddivisione in sezioni basata sulla
procedura presente può presentare differenze che
possono, in alcuni casi, risultare sostanziali.
Figura 11
Figura 12
Tabella 36
STRADA TRATTO VOP,strada
(km/h) dal km al km SP1 “della Botte” (1) 0+000 2+300 72 SP2 “Vicarese” 0+000 19+850 84 SP3 “Bientina – Altopascio” (1)
0+000 12+000 91
SP3 “Bientina – Altopascio - dir. Via Pacini” (1)
0+000 1+300 92
SP4 “Orentanese” 0+000 5+100 77 SP5 “Francesca” (1) 0+000 11+300 79 SP6 “di Giuncheto” 0+000 4+650 73 SP7 “di S. Miniato” 0+000 2+350 62 SP8 “della Valdinievole”
0+000 13+850 71
SP9 “di S. Jacopo” (1) 0+575 5+300 91 SP10 “Vecchianese” 0+000 6+350 76 SP11 “delle Colline per Legoli” (1) 0+325 25+350 79
SP11 “delle Colline per Legoli – var. del Romito”
0+000 1+500 78
SP11 “delle Colline per Legoli – var. dei Fabbri” (1)
0+000 1+100 79
SP12 “delle Colline per Livorno” (1)
1+150 12+300 71
SP13 “del Commercio” (1)
0+000 11+300 76
SP13 “del Commercio”
11+300 51+100 57
SP14 “di Miemo” (1) 0+000 11+500 75 SP14 “di Miemo” 11+500 25+450 57 SP15 “Volterrana” 0+000 9+150 58 SP15 “Volterrana” 9+150 13+100 71 SP16 “del Monte Volterrano”
0+000 6+850 53
SP17 “delle valli di 0+000 4+650 74
STRADA TRATTO VOP,strada
(km/h) dal km al km Pavone e Cecina” SP17 “delle valli di Pavone e Cecina – dir. Ricavolo”
0+350 4+500 48
SP18 “dei Quattro Comuni”
0+000 12+600 88
SP18 “dei Quattro Comuni”
12+600 17+680 51
SP19 “della Camminata” (1)
0+000 15+700 65
SP20 “del Lodano” 0+000 4+700 51 SP20 “del Lodano” 4+700 10+000 75 SP20 “del Lodano – dir. Sassetta”
6+115 10+050 82
SP21 “del Pian della Tora”
0+000 5+500 70
SP21 “del Pian della Tora” (1)
5+500 8+900 67
SP22 “del Mare” (1) 0+000 5+600 83 SP23 “di Gello” 0+000 7+050 93 SP24 “Arnaccio – Calci” (1)
0+000 5+700 87
SP24 “Arnaccio – Calci”
5+700 10+900 75
SP25 “Vicopisano – S. Maria a Monte” (1)
0+000 9+600 82
SP25 “Vicopisano – S. Maria a Monte”
9+600 11+350 66
SP25 “Vicopisano – S. Maria a Monte – dir.”
0+000 0+700 69
SP26 “di Santo Pietro Belvedere”
0+000 5+400 69
SP26 “di Santo Pietro Belvedere” (1)
5+400 9+550 94
SP27 “di Montecastelli”
0+000 11+600 56
SP27 “di 0+000 5+900 53
0
20
40
60
80
100
120
0 500 1000 1500 2000 2500
Velocità (km
/h)
Progressiva (m)
SP7 "di S. Miniato"
Vp,i(a)
Vp,strada ‐ 10
Vp,strada ‐ 20
Vp,strada
0.00
20.00
40.00
60.00
80.00
100.00
120.00
0 500 1000 1500 2000 2500
Velocità (km
/h)
Progressiva (m)
SP7 "di S. Miniato"
V85
Vop,strada ‐ 10
Vop,strada ‐ 20
Vop,strada
144
STRADA TRATTO VOP,strada
(km/h) dal km al km Montecastelli – dir. nord” SP28 “dei Tre Comuni”
0+000 10+500 67
SP28 “dei Tre Comuni”
10+500 15+250 79
SP28 “dei Tre Comuni – dir. Quadri”
0+000 2+000 55
SP28 “dei Tre Comuni – dir. Pozzatelli”
0+000 1+800 57
SP29 “della Val di Cecina”
0+000 4+380 98
SP30 “del Lungomonte Pisano”
0+000 3+000 86
SP30 “del Lungomonte Pisano”
3+000 16+600 79
SP30 “del Lungomonte Pisano”
16+600 18+350 63
SP31 “Cucigliana – Lorenzana” (1)
0+000 13+600 87
SP31 “Cucigliana – Lorenzana”
13+600 17+450 69
SP31 “Cucigliana – Lorenzana”
17+450 18+950 68
SP32 “di Montecatini Val di Cecina”
0+000 12+950 53
SP33 “Castellina Marittima – Le Badie”
0+000 2+600 52
SP33 “Castellina Marittima – Le Badie” (1)
2+600 7+850 76
SP34 “Castelfranco – Staffoli”
0+000 2+500 96
SP34 “Castelfranco – Staffoli”
2+500 4+200 59
SP34 “Castelfranco – Staffoli”
4+200 7+500 86
SP35 “delle Colline per Lari”
0+000 17+300 57
SP36 “Palaiese” 0+000 3+000 62 SP36 “Palaiese” 3+000 10+000 77 SP36 “Palaiese” 10+000 19+000 56 SP37 “delle Colline per S. Luce”
0+000 9+650 77
SP38 “di Buti” (1) 0+000 5+700 64 SP38 “di Buti” 5+700 7+550 79 SP39 “S. Miniato – S. Lorenzo”
0+000 1+700 51
SP39 “S. Miniato – S. Lorenzo” (1)
1+700 9+800 77
SP40 “Isola di S. Miniato” (1)
0+000 3+000 83
SP40 “Isola di S. Miniato”
3+000 4+225 60
SP41 “di Peccioli” (1) 0+000 1+200 67 SP41 “di Peccioli” 1+200 3+300 50 SP41 “di Peccioli” (1) 3+300 5+150 76 SP42 “di Terricciola” 0+000 9+400 64 SP43 “di Orciano” 0+000 5+780 72 SP43 “di Orciano” 5+780 8+800 74 SP43 “di Orciano – dir. Greppioli”
0+000 1+500 73
SP44 “S. Croce – Ponte a Egola” (1)
0+000 2+200 82
SP45 “di Lajatico” 0+000 6+300 55 SP45 “di Lajatico” 6+300 8+250 73 SP45 “di Lajatico – dir. Orciatico” (1)
0+000 7+400 54
SP46 “Perignano – Lari”
0+000 4+100 86
SP46 “Perignano – Lari”
4+100 4+750 48
SP46 “Perignano – 4+750 9+550 65
STRADA TRATTO VOP,strada
(km/h) dal km al km Lari” SP47 “di Micciano” 0+000 13+500 53 SP47 “di Micciano” 13+500 20+150 65 SP48 “di Montevaso” 0+000 23+325 49 SP49 “della Leccia e Lustignano”
0+000 10+400 52
SP49 “della Leccia e Lustignano – dir. Lustignano”
0+000 1+900 56
SP50 “di Montaione” 0+000 2+700 68 SP50 “di Montaione” (1)
2+700 7+325 91
SP51 “Rosignanina” 0+000 7+350 75 SP52 “di Casole d’Elsa”
0+000 4+350 55
SP53 “del Cornocchio”
0+000 6+750 59
SP54 “della Bonifica del Tiglio”
0+000 1+125 95
SP55 “di Pian del Pruno”
0+000 12+525 51
SP55 “di Pian del Pruno”
12+525 16+400 66
SP56 “del Monteserra”
0+000 10+575 60
SP56 “del Monteserra – dir. Buti”
0+000 8+250 61
SP57 “del Poggetto” 0+400 4+200 77 SP57 “del Poggetto” 4+200 8+050 65 SP57 “del Poggetto” 8+050 12+050 68 SP58 “del Biscottino” (1)
0+000 3+200 93
SP58 “del Biscottino” (1)
3+200 6+825 78
SP59 “delle Palanche”
0+000 1+500 83
SP60 “Poggiberna” (1) 0+000 3+000 65 SP60 “Poggiberna” 3+000 7+200 72 SP61 “di Molina di Quosa”
0+000 7+150 53
SP62 “di Vecchienne” 0+000 2+800 49 SP62 “di Vecchienne” 2+800 4+650 63 SP63 “di Collemontanino”
0+000 1+700 58
SP63 “di Collemontanino”
1+700 6+200 65
SP64 “della Fila” (1) 0+000 7+700 94 SP65 “Romanina” 0+000 2+950 80 SP66 “Francesca bis” 0+000 9+600 103 SP69 “Variante di Ponsacco” (1)
0+000 5+150 96
SP70 “Bretella del Cuoio”
0+000 4+200 101
SP224 “di Marina di Pisa” (1)
4+000 24+200 99
SP329 “del Passo di Bocca di Valle”
13+450 41+925 51
SR12 “dell’Abetone e del Brennero”
6+800 11+000 61
SR12 “dell’Abetone e del Brennero”
11+000 16+400 77
SR68 “della Val di Cecina”
2+100 7+000 73
SR68 “della Val di Cecina”
7+000 28+900 80
SR68 “della Val di Cecina”
28+900 46+100 54
SR68 “della Val di Cecina” (1)
46+100 47+500 71
SR68 “della Val di Cecina”
47+500 52+350 48
SR206 “Pisana – Livornese” (1)
37+300 44+850 89
SR436 “Francesca” (1) 26+400 28+200 87
145
STRADA TRATTO VOP,strada
(km/h) dal km al km SR439 “Sarzanese Valdera” (1)
46+850 58+425 78
SR439 “Sarzanese Valdera” (1)
60+390 62+200 94
SR439 “Sarzanese Valdera” (1)
65+500 85+200 73
SR439 “Sarzanese Valdera” (1)
85+200 134+850 59
SR439 “Sarzanese Valdera – diramazione”
0+000 12+500 73
SR439 “Sarzanese Valdera – diramazione” (1)
12+500 16+950 59
SR439 “Sarzanese Valdera – var. del Ponte alla Navetta”
0+000 2+950 77
(1) Per queste strade la procedura per il calcolo delle velocità operative suggerisce di procedere con ulteriori suddivisioni in quanto il tracciato evidenzia alcune ulteriori disomogeneità
4.4 Il livello di rischio dei dispositivi di ritenuta
lungo le strade extraurbane della Provincia
di Pisa
La valutazione del livello di rischio connesso ai dispositivi
di ritenuta può essere eseguita solo in un momento
successivo al censimento, ossia dopo aver costruito il
database contenente le caratteristiche e le eventuali
problematiche riscontrate per ciascun dispositivo.
Il censimento dei dispostivi, parte integrante del più
ampio progetto Ro.Sa.Ma.S. (Road Safety Management
System), ha costituito una fase importante del presente
lavoro, certamente la più impegnativa dal punto di vista
operativo: la prima fase è stata impiegata per la messa a
punto e la calibrazione dell’intera procedura, per la
corretta scelta dei dati da registrare e per la validazione
delle procedure stesse. Nella seconda fase, in accordo
con le necessità e la disponibilità del personale della
Provincia di Pisa (direttamente coinvolta nello sviluppo
del progetto Ro.Sa.Ma.S.) è stato sviluppato un
programma di lavoro che ha consentito di censire la
totalità dei dispositivi di ritenuta esistenti sull’intera rete.
Nel periodo compreso fra luglio 2012 e luglio 2013 sono
stati censiti, su tutte le strade in gestione alla Provincia di
Pisa, un totale di 2481 dispositivi di ritenuta, per
complessivi 186,700m, suddivisi come riassunto nella
Tabella 37 e in Figura 13.
Tabella 37
Classe Estensione (m) N1 749 N2 75,265 H1 57,799 H2 33,982 H3 6,685 H4 2,547
M100 8,815 altro 859
Totale 186,700
Figura 13
L’applicazione della proceduta a tutti i dispositivi censiti
ha richiesto la programmazione in un complesso foglio di
calcolo automatico, mediante il quale si sono ottenuti i
risultati riassunti nel seguito.
Tabella 38
CLASSE SVILUPPO (m)
TOTALE NON ACCETTABILE ALTO MEDIO BASSO MOLTO BASSO
N1 749 244 345 159 0 0
N2 75,265 3,742 19,141 43,674 6,470 2,238
H1 57,799 1,172 10,952 23,510 12,635 9,530
H2 33,982 463 2,930 13,875 4,101 12,613
146
H3 6,685 49 567 3,284 899 1,885
H4 2,547 0 0 149 984 1,415
M100 8,815 557 3,220 3,407 1,505 125
altro 859 0 0 0 0 859
TOTALE 186,700 6,228 37,155 88,059 26,593 28,665
Figura 14
Per le caratteristiche del territorio provinciale (sia
orografiche che demografiche) descritte all’inizio del
presente capitolo, si è ritenuto utile suddividere l’analisi
del livello di rischio (qui dei dispositivi di ritenuta, ma
senz’altro estendibile a tutti gli altri campi) fra zona Nord
e zona Sud della provincia stessa. Nella seguente
Tabella 39 sono riportate le strade che sono risultate
appartenenti alle due zone.
Tabella 39
Strade zona NORD Strade zona SUD
SP1 SP13 (dalla sezione omogenea 13.14)
SP2 SP14 SP3 SP15 SP4 SP16 SP5 SP17 SP6 SP18 SP7 SP19 SP8 SP20 SP9 SP21
SP10 SP26 SP11 SP27 SP12 SP28 SP13 SP29
Strade zona NORD Strade zona SUD
(fino alla sezione omogenea 13.13 inclusa)
SP22 SP31 SP23 SP32 SP24 SP33 SP25 SP35 SP26 SP37 SP30 SP41 SP31 SP42 SP34 SP43 SP35 SP45 SP36 SP46 SP38 SP47
SP39 SP48 (dalla sezione omogenea 48.09)
SP40 SP49 SP44 SP51 SP48
(fino alla sezione omogenea 48.08 inclusa)
SP52
SP50 SP53 SP54 SP55 SP56 SP57 SP58 SP60 SP59 SP62 SP61 SP63 SP64 SP64 SP65 SP329 SP66 SRT68
SP69 SRT439
(dalla sezione omogenea SR439.29)
SP224 SRT439 dir SRT12
SRT206 SRT436 SRT439
(fino alla sezione omogenea SR439.28 inclusa)
Sulla base di una tale suddivisione si sono quindi ottenuti
i seguenti risultati, ancora relativamente ai soli dispositivi
di ritenuta esistenti.
Tabella 40
CLASSE ZONA NORD – SVILUPPO (m)
TOTALE NON ACCETTABILE ALTO MEDIO BASSO MOLTO BASSO
N1 602 244 345 12 0 0
N2 29,096 2,161 10,386 14,668 1,393 488
H1 43,756 1,172 9,307 14,211 10,534 8,531
H2 14,187 103 1,832 6,307 823 5,123
147
H3 4,906 49 567 2,556 862 871
H4 2,390 0 0 0 984 1,407
M100 5,261 504 1,950 1,515 1,202 90
altro 859 0 0 0 0 859
TOTALE 101,057 4,234 24,387 39,268 15,798 17,370
Figura 15
Tabella 41
CLASSE ZONA SUD – SVILUPPO (m)
TOTALE NON ACCETTABILE ALTO MEDIO BASSO MOLTO BASSO
N1 147 0 0 147 0 0
N2 46,168 1,581 8,754 29,007 5,077 1,749
H1 14,044 0 1,645 9,300 2,100 999
H2 19,795 360 1,098 7,568 3,278 7,490
H3 1,779 0 0 728 37 1,014
H4 157 0 0 149 0 8
M100 3,554 53 1,270 1,892 303 35
altro 0 0 0 0 0 0
TOTALE 85,643 1,994 12,768 48,791 10,795 11,296
Figura 16
Con i dati raccolti così elaborati è possibile pertanto
ottenere risultati che forniscono un quadro molto
esaustivo sulla situazione dei dispositivi di ritenuta
presenti sulle strade di proprietà e in gestione alla
Provincia di Pisa. Una prima osservazione riguarda le
differenze che possono essere riscontrate fra zona Nord
e Sud relativamente ai livelli di rischio: tali differenze,
seppur non marcate, non possono essere considerate
trascurabili e possono essere essenzialmente imputate a
due motivi principali, ossia agli elevati livelli di TGM,
conseguenti al maggior sviluppo demografico della zona
Nord rispetto a quella Sud, ed alle velocità di progetto più
elevate che si riscontrano per la maggior parte delle
strade ancora della zona Nord, conseguenza delle più
favorevoli caratteristiche orografiche del territorio ed alla
necessità di dotare questa zona di infrastrutture in grado
di soddisfare la più elevata domanda di trasporto, a sua
volta dovuta al maggior sviluppo demografico della zona
stessa.
148
A tutti i dispositivi che, dopo l’applicazione della
procedura, sono risultati classificabili con un livello di
rischio NON ACCETTABILE è stata assegnata una
elevata priorità di intervento al fine di ripristinarne un
adeguato livello di efficienza.
Inoltre, sulla base di quanto previsto dalla Normativa
Vigente in tema di dispositivi di ritenuta, è stata portata a
termine la prima fase della campagna di rilievo per le
barriere di sicurezza assenti. Ad oggi sono state
analizzate tutte le sezioni omogenee con velocità di
progetto superiore ai 70 km/h. Per tali sezioni omogenee
risultano da installare un totale di 200,280m di dispositivi,
suddivisi in:
- Zona Nord: 138,979m
- Zona Sud: 61,301m
Rimangono da esaminare tutte le altre sezioni omogenee
che non rientrano espressamente nel campo di
applicazione della normativa vigente, ma per le quali la
normativa stessa prevede di valutare eventuali punti e
tratti in cui è comunque necessario prevedere
l’installazione di un dispositivo.
4.5 L’individuazione dei punti pericolosi lungo
le strade extraurbane della Provincia di Pisa
La procedura descritta al paragrafo 3.5 è stata applicata
a tutte le strade in gestione alla Provincia di Pisa. La sua
applicazione, condotta mediante il criterio n. 2 per il
calcolo delle differenze di velocità fra due elementi
consecutivi ed implementata su foglio di calcolo, ha
permesso di ottenere risultati come quello riportato nella
Tabella 42: per ovvii motivi di spazio, si presenta qui solo
un esempio, riferito ancora alla SP7 “di S. Miniato”.
Tabella 42
PK iniziale (m)
Tipologia elemento
Lelem cumulata
(m)
Velem1 (km/h)
Velem2 (km/h)
ΔV dir ->crescente
(km/h)
ΔV dir <- decrescente
(km/h)
Pericolosità rett -> Cs (direz. pk crescenti)
Pericolosità rett -> Cp (direz. pk
decrescenti)
0 rettilineo 173 65 88 23 -23 ALTA
173 curva 86 88 77 -11 11 MEDIA
259 rettilineo 117 77 90 13 -13 MEDIA
376 curva 85 90 73 -16 16 MEDIA
461 rettilineo
567 rettilineo 161 73 67 -6 6 BASSA
622 curva 54 67 58 -9 9 BASSA
676 rettilineo 116 58 41 -16 16 BASSA
792 curva 64 41 38 -3 3 MOLTO BASSA
856 curva 56 38 57 18 -18 BASSA
911 rettilineo 93 57 70 14 -14 MEDIA
1004 curva 66 70 20 -50 50 ALTA
1070 curva 27 20 39 19 -19 BASSA
1097 rettilineo 71 39 30 -9 9 MOLTO BASSA
1168 curva 33 30 41 11 -11 BASSA
1200 rettilineo 37 41 31 -10 10 MOLTO BASSA
1237 curva 34 31 100 69 -69 ELEVATA
1271 curva 33 100 71 -29 29 ELEVATA
1304 curva 42 71 68 -3 3 BASSA
1345 rettilineo 80 68 82 14 -14 MEDIA
1426 curva 52 82 62 -20 20 ALTA
1477 rettilineo 47 62 55 -7 7 BASSA
1524 curva 45 55 69 14 -14 BASSA
1569 rettilineo 91 69 100 31 -31 ELEVATA
1661 curva 94 100 44 -56 56 ELEVATA
1754 curva 64 44 62 18 -18 BASSA
1818 curva 50 62 48 -15 15 BASSA
1868 rettilineo 64 48 19 -29 29 MEDIA
1932 curva 27 19 39 20 -20 MEDIA
1959 rettilineo 31 39 37 -2 2 MOLTO BASSA
149
PK iniziale (m)
Tipologia elemento
Lelem cumulata
(m)
Velem1 (km/h)
Velem2 (km/h)
ΔV dir ->crescente
(km/h)
ΔV dir <- decrescente
(km/h)
Pericolosità rett -> Cs (direz. pk crescenti)
Pericolosità rett -> Cp (direz. pk
decrescenti)
1991 curva 30 37 42 4 -4 MOLTO BASSA
2020 rettilineo 18 42 30 -12 12 BASSA
2038 curva 27 30 30 0 0 MOLTO BASSA MOLTO BASSA
2066 curva 15 30 30 0 0 MOLTO BASSA MOLTO BASSA
2081 curva 22 30 59 29 -29 ALTA
2103 rettilineo 102 59 85 26 -26 ALTA
2204 curva 57 85 64 -21 21 ALTA
2261 rettilineo 46 64 59 -5 5 BASSA
2307 curva 30 59 35 -24 24 ALTA
dove:
- PK iniziale: progressiva iniziale dell’elemento i-
esimo;
- Tipologia elemento
- Lelem cumulata: estensione, in m, del singolo
elemento, che nel caso di più rettilinei
consecutivi è pari alla somma dei singoli
rettilinei;
- Velem1: velocità, in km/h, dell’elemento
precedente fra i due considerati per il calcolo
della differenza di velocità ΔV. È la velocità
dell’elemento riportato sulla riga corrispondente;
- Velem2: velocità, in km/h, dell’elemento
successivo fra i due considerati per il calcolo
della differenza di velocità ΔV. È la velocità
dell’elemento riportato sulla prima riga non
vuota successiva;
- ΔV dir. crescente: differenza di velocità fra
l’elemento 1 e l’elemento 2, ossia differenza di
velocità a cui va incontro un guidatore che
proceda sulla corsia il cui senso di percorrenza
sia quello delle progressive chilometriche
crescenti;
- ΔV dir. decrescente: differenza di velocità fra
l’elemento 2 e l’elemento 1, ossia differenza di
velocità a cui va incontro un guidatore che
proceda sulla corsia il cui senso di percorrenza
sia quello delle progressive chilometriche
decrescenti;
- Pericolosità rett – Cs: pericolosità del punto di
transizione fra elemento 1 ed elemento 2, per la
corsia il cui senso di percorrenza è quello delle
progressive chilometriche crescenti;
- Pericolosità rett – Cp: pericolosità del punto di
transizione fra elemento 2 ed elemento 1, per la
corsia il cui senso di percorrenza è quello delle
progressive chilometriche decrescenti.
Il foglio di calcolo consente di indicare, in maniera del
tutto automatica, l’attività più idonea da seguire per quel
particolare punto di transizione (ad ed. l’installazione di
segnaletica, il rifacimento della pavimentazione, ecc.),
attività che ciascun Ente può stabilire in completa
autonomia e sempre in accordo con quanto previsto e
prescritto dalle normative vigenti.
4.6 Gli indici di funzionalità calcolati per le
strade extraurbane della Provincia di Pisa
La procedura descritta al par. 3.7 è stata applicata, in
questo caso limitatamente all’indice IED valutato secondo
la (51), a tutti i dispositivi di ritenuta esistenti, suddivisi
strada per strada. La procedura ha permesso così di
classificare l’intera rete stradale sotto il profilo
dell’efficienza dei dispositivi di ritenuta esistenti: i risultati
sono riportati, unitamente alla classifica, nelle seguenti
Tabella 43 e Tabella 44; inoltre, applicata alla rete in
gestione alla Provincia di Pisa nella sua totalità, ha
fornito una chiara visione dello stato di manutenzione dei
dispositivi di ritenuta.
Tabella 43
STRADA Estensione dispositivi LDTOT (m)
Indice IED
Classe di efficienza
SP1 “della Botte” 426 0.777 ELEVATA SP2 “Vicarese” 5701 0.848 ELEVATA SP3 “Bientina – Altopascio”
1281 0.678 MEDIA
SP3 “Bientina – Altopascio - dir. Via Pacini”
0 - -
SP4 “Orentanese” 511 0.677 MEDIA SP5 “Francesca” 910 0.578 BASSA SP6 “di Giuncheto” 1659 0.670 MEDIA SP7 “di S. Miniato” 479 0.697 MEDIA SP8 “della Valdinievole”
1487 0.637 MEDIA
150
STRADA Estensione dispositivi LDTOT (m)
Indice IED
Classe di efficienza
SP9 “di S. Jacopo” 104 0.704 MEDIA SP10 “Vecchianese”
1134 0.797 ELEVATA
SP11 “delle Colline per Legoli” 6641 0.782 ELEVATA
SP11 “delle Colline per Legoli – var. del Romito”
859 0.565 BASSA
SP11 “delle Colline per Legoli – var. dei Fabbri”
25 0.739 MEDIA
SP12 “delle Colline per Livorno”
1920 0.693 MEDIA
SP13 “del Commercio”
7247 0.731 MEDIA
SP14 “di Miemo” 480 0.786 ELEVATA SP15 “Volterrana” 6747 0.801 ELEVATA SP16 “del Monte Volterrano”
1326 0.729 MEDIA
SP17 “delle valli di Pavone e Cecina”
742 0.843 ELEVATA
SP17 “delle valli di Pavone e Cecina – dir. Ricavolo”
363 0.805 ELEVATA
SP18 “dei Quattro Comuni”
1074 0.762 ELEVATA
SP19 “della Camminata”
699 0.841 ELEVATA
SP20 “del Lodano” 81 0.645 MEDIA SP20 “del Lodano – dir. Sassetta”
23 0.633 MEDIA
SP21 “del Pian della Tora”
1353 0.669 MEDIA
SP22 “del Mare” 487 0.771 ELEVATA SP23 “di Gello” 4231 0.688 MEDIA SP24 “Arnaccio – Calci”
4694 0.747 MEDIA
SP25 “Vicopisano – S. Maria a Monte”
1087 0.628 MEDIA
SP25 “Vicopisano – S. Maria a Monte – dir.”
136 0.636 MEDIA
SP26 “di Santo Pietro Belvedere”
563 0.693 MEDIA
SP27 “di Montecastelli”
1388 0.827 ELEVATA
SP27 “di Montecastelli – dir. nord”
1094 0.808 ELEVATA
SP28 “dei Tre Comuni”
863 0.915 MASSIMA
SP28 “dei Tre Comuni – dir. Quadri”
245 0.669 MEDIA
SP28 “dei Tre Comuni – dir. Pozzatelli”
274 0.758 ELEVATA
SP29 “della Val di Cecina”
1535 0.817 ELEVATA
SP30 “del Lungomonte Pisano”
3503 0.848 ELEVATA
SP31 “Cucigliana – Lorenzana”
6475 0.733 MEDIA
SP32 “di Montecatini Val di Cecina”
1792 0.785 ELEVATA
SP33 “Castellina Marittima – Le Badie”
462 0.695 MEDIA
SP34 “Castelfranco – Staffoli”
2119 0.700 MEDIA
STRADA Estensione dispositivi LDTOT (m)
Indice IED
Classe di efficienza
SP35 “delle Colline per Lari”
1645 0.745 MEDIA
SP36 “Palaiese” 2482 0.735 MEDIA SP37 “delle Colline per S. Luce”
796 0.665 MEDIA
SP38 “di Buti” 279 0.754 ELEVATA SP39 “S. Miniato – S. Lorenzo”
629 0.739 MEDIA
SP40 “Isola di S. Miniato”
205 0.593 BASSA
SP40 “Isola di S. Miniato”
1127 0.641 MEDIA
SP41 “di Peccioli” 1067 0.793 ELEVATA SP42 “di Terricciola”
462 0.695 MEDIA
SP43 “di Orciano” 751 0.742 MEDIA SP43 “di Orciano – dir. Greppioli”
0 - -
SP44 “S. Croce – Ponte a Egola”
2401 0.835 ELEVATA
SP45 “di Lajatico” 438 0.637 MEDIA SP45 “di Lajatico – dir. Orciatico”
628 0.783 ELEVATA
SP46 “Perignano – Lari”
592 0.751 ELEVATA
SP47 “di Micciano” 722 0.859 ELEVATA SP48 “di Montevaso”
1079 0.693 MEDIA
SP49 “della Leccia e Lustignano”
1365 0.828 ELEVATA
SP49 “della Leccia e Lustignano – dir. Lustignano”
52 0.800 ELEVATA
SP50 “di Montaione”
384 0.653 MEDIA
SP51 “Rosignanina”
754 0.606 MEDIA
SP52 “di Casole d’Elsa”
161 0.813 ELEVATA
SP53 “del Cornocchio”
166 0.800 ELEVATA
SP54 “della Bonifica del Tiglio”
111 0.595 BASSA
SP55 “di Pian del Pruno”
171 0.664 MEDIA
SP56 “del Monteserra”
4232 0.780 ELEVATA
SP56 “del Monteserra – dir. Buti”
1489 0.693 MEDIA
SP57 “del Poggetto”
615 0.729 MEDIA
SP58 “del Biscottino”
229 0.612 MEDIA
SP59 “delle Palanche”
6 0.739 MEDIA
SP60 “Poggiberna” 861 0.704 MEDIA SP61 “di Molina di Quosa”
1369 0.812 ELEVATA
SP62 “di Vecchienne”
162 0.829 ELEVATA
SP63 “di Collemontanino”
206 0.706 MEDIA
SP64 “della Fila” 1855 0.822 ELEVATA SP65 “Romanina” 768 0.725 MEDIA SP66 “Francesca bis”
5114 0.815 ELEVATA
SP69 “Variante di Ponsacco”
2483 0.693 MEDIA
SP70 “Bretella del Cuoio”
8593 0.936 MASSIMA
SP224 “di Marina di Pisa”
2563 0.718 MEDIA
151
STRADA Estensione dispositivi LDTOT (m)
Indice IED
Classe di efficienza
SP329 “del Passo di Bocca di Valle”
6916 0.828 ELEVATA
SR12 “dell’Abetone e del Brennero”
1436 0.779 ELEVATA
SR68 “della Val di Cecina”
22115 0.861 ELEVATA
SR206 “Pisana – Livornese” (1)
621 0.676 MEDIA
SR436 “Francesca”
2437 0.698 MEDIA
SR439 “Sarzanese Valdera”
24550 0.738 MEDIA
SR439 “Sarzanese Valdera – diramazione”
1571 0.754 ELEVATA
SR439 “Sarzanese Valdera – var. del Ponte alla Navetta”
5771 0.938 MASSIMA
Tabella 44
STRADA Estensione dispositivi LDTOT (m)
∙
Indice IED
Classe di efficienza
Provincia di Pisa
186700 43100.131 0.779 ELEVATA
Provincia di Pisa – zona Nord
101057 23281.130 0.770 ELEVATA
Provincia di Pisa – zona Sud
85643 18019.001 0.790 ELEVATA
Come è possibile osservare, sono presenti 4 strade che
presentano un indice IED corrispondente alla classe di
efficienza BASSA: queste sono la SP40, la SP54, la
SP11-variante del Romito e la SP5. Su queste strade,
pertanto, dovrebbero essere concentrati gli sforzi per
incrementare l’efficienza dei dispositivi di ritenuta ivi
installati, in quanto sono presenti numerosi dispositivi
con livelli di rischio ALTO e NON ACCETTABILE che
hanno elevata influenza sulla funzionalità dell’intera
strada.
Disporre pertanto dei risultati così ottenuti costituisce già
un primo valido aiuto per la pianificazione e l’allocazione
delle risorse economiche disponibili.
L’indice SAPO, e conseguentemente anche l’indice IEIN,
necessitano altresì di approfondimenti inerenti i parametri
economici e, soprattutto, di dati statistici di incidentalità
costantemente aggiornati, al momento in fase di
elaborazione. Il calcolo dell’indice SAPO, in particolare,
può rivestire un senso pratico solo in sede di confronto
e/o valutazione di interventi da realizzare o già realizzati:
il mero calcolo del valore di riferimento basato sui dati
attuali può rivestire invece solo un’indicazione di
massima su quali sezioni omogenee risultino più critiche
dal punto di vista dei costi sociali.
4.7 Il modello tassonomico applicato alle strade
extraurbane della Provincia di Pisa
La procedura descritta al par. 3.9 è stata applicata ai dati
statistici di fonte ISTAT inerenti agli spostamenti registrati
fra i comuni all’interno della sola Provincia (ossia
trascurando i collegamenti con le provincie limitrofe) per
motivi di lavoro e studio. Si è ritenuto, infatti, che questo
valore sia fortemente rappresentativo delle relazioni
intercorrenti fra i diversi comuni della Provincia stessa.
L’origine e la destinazione degli spostamenti è stata
assegnata interamente al capoluogo di ciascun comune,
senza quindi considerare in questa prima applicazione gli
altri centri abitati presenti sui territori comunali.
Come componenti della matrice delle variabili di
attrazione si sono considerati gli spostamenti che, da tutti
i comuni della provincia di Pisa, sono diretti verso il
comune in esame; analogamente, come componenti
della matrice delle variabili di repulsione si sono assunti
gli spostamenti che si generano dal comune in esame e
si dirigono verso tutti gli altri comuni della Provincia di
Pisa; infine, come componenti della matrice delle
impedenze si sono considerati i quadrati dei tempi di
percorrenza in minuti, dedotti dai risultati
dell’assegnazione della matrice O/D al modello di rete a
disposizione dell’Ente e ricalibrato sulla base dei dati
derivanti dalle misure di traffico condotte nel periodo
2012÷2013.
Assegnato a ciascun comune un codice identificativo
numerico, l’applicazione della procedura descritta al par.
3.9 ha pertanto permesso di rappresentare il
dendrogramma di cui, alla seguente Figura 17, si riporta
un estratto.
Figura 17
152
Nella seguente Tabella 45 invece si riportano i passi di
aggregazione eseguiti dal modello.
Tabella 45
Passo n. Centro I Centro J Centro G Coeff. DC1 Pisa San Giuliano Terme Pisa 0.002 2 Pontedera Calcinaia Pontedera 0.011
3 Pontedera Ponsacco Pontedera 0.016
Pisa Calci Pisa 0.016 4 Cascina Vicopisano Cascina 0.018
5
Santa Croce sull’Arno Castelfranco di Sotto Santa Croce sull’Arno 0.028 Pisa Cascina Pisa 0.029
Pontedera Montopoli Pontedera 0.038 Bientina Buti Bientina 0.052
6
Pontedera Santa Maria a Monte Pontedera 0.066 Lari Crespina Lari 0.097
Santa Croce sull’Arno San Miniato Santa Croce sull’Arno 0.102 Pisa Vecchiano Pisa 0.102
7 Capannoli Terricciola Capannoli 0.173 Pontedera Palaia Pontedera 0.177 Capannoli Lajatico Capannoli 0.242
8 Pisa Bientina Pisa 0.278
9 Pontedera Lari Pontedera 0.280 Capannoli Chianni Capannoli 0.285
10 Pontedera Casciana Terme Pontedera 0.315 11 Pontedera Capannoli Pontedera 0.502
12
Santa Croce sull’Arno Peccioli Santa Croce sull’Arno 0.643 Pisa Pontedera Pisa 0.702
Orciano Pisano Lorenzana Orciano Pisano 0.750 Pomarance Castelnuovo val di Cecina Pomarance 0.769 Guardistallo Casale Marittimo Guardistallo 0.862
Volterra Montecatini val di Cecina Volterra 0.919 13 Pisa Fauglia Pisa 1.501 14 Santa Luce Orciano Pisano Santa Luce 1.872 15 Guardistallo Montescudaio Guardistallo 2.847 16 Pisa Santa Luce Pisa 3.396 17 Volterra Guardistallo Volterra 5.452 18 Castellina Marittima Riparbella Castellina Marittima 5.765 19 Santa Croce sull’Arno Volterra Santa Croce sull’Arno 7.092 20 Santa Croce sull’Arno Pomarance Santa Croce sull’Arno 10.336 21 Santa Croce sull’Arno Castellina Marittima Santa Croce sull’Arno 14.240
22 Santa Croce sull’Arno Monteverdi Marittimo Santa Croce sull’Arno 45.592
Pisa Santa Croce sull’Arno Pisa 69.149
Dall’analisi del dendrogramma, unitamente ai risultati
riassunti nella precedente Tabella 45, possono essere
derivate importanti osservazioni in merito ad una
possibile struttura gerarchica dei centri comunali della
Provincia di Pisa. Innanzitutto è possibile osservare che
la città di Pisa esercita un forte potere egemonico,
attraendo i centri vicini sin dai primi passi del modello ed
esercitando la sua influenza sui centri del Valdarno e
della zona collinare del territorio provinciale. Un altro
centro attrattore risulta essere Santa Croce sull’Arno,
conseguentemente alla propria forza industriale: si
rammenta infatti che all’interno del relativo territorio
comunale è ubicata la stragrande maggioranza delle
industrie del settore calzaturiero e delle attività
dell’indotto. Esistono poi molti piccoli centri aggregati,
soprattutto nella zona a sud del territorio provinciale;
questi piccoli centri, inoltre, vengono generati dal modello
di aggregazione di piccoli comuni solo nelle fasi più
avanzate e presentano valori del coefficiente di
dissimilarità DC (per la cui descrizione si rimanda al par.
3.9) piuttosto elevati, a dimostrazione che molto spesso i
singoli centri costituiscono realtà piuttosto autonome dal
punto di vista delle relazioni intercomunali. Fra questi, ad
153
esempio, si segnalano comuni quali Castellina Marittima,
Riparbella, Montescudaio, ecc.
Nella zona sud del territorio provinciale si individuano
due centri più importanti, ossia Volterra e Pomarance,
che sono in grado di attrarre i centri vicini
(rispettivamente Montecatini val di Cecina e Castelnuovo
Val di Cecina): questi due centri sembrano poi dotati di
una non trascurabile autonomia, dal momento che da
modello non possono essere aggregati in un unico
centro. Infine, deve essere osservata la permanenza dei
centri di Castellina Marittima, Riparbella e Monteverdi
Marittimo in un proprio cluster fino al termine della
procedura, a dimostrazione che questi comuni non
possiedono importanti relazioni con il resto della
provincia, in conseguenza della particolare posizione
all’interno del territorio provinciale e delle distanze non
trascurabili anche dai centri comunali confinanti; per tali
comuni è possibile sia ipotizzare relazioni con i comuni
confinanti delle provincie limitrofe, sia ritenere che
possiedano una certa autonomia e che pertanto gli
spostamenti per studio/lavoro avvengano all’interno del
comune stesso.
I risultati ottenuti possono essere impiegati come
parametro per la classificazione funzionale delle strade
provinciali che collegano i singoli centri: stabiliti come
sufficienti 3 livelli di importanza, e fissato un limite
inferiore ai valori ottenuti per i coefficienti di dissimilarità
DC e definiti in base a esso i centri di primo livello, è
stato possibile definire una rete stradale principale
secondo certe direttrici che collegano tali centri. Sono
stati definiti centri principali quelli che presentano un
valore del coefficiente di dissimilarità DC ≥ 5, ossia quelli
che si individuano sezionando il dendrogramma
all’ordinata di valore pari a 5 e per i quali, proprio in virtù
dell’elevato valore del coefficiente DC possono
ragionevolmente ritenersi indipendenti e quindi
considerabili come singoli poli attrattori (così come
descritto al par. 3.9): tali centri sono Castellina Marittima,
Guardistallo, Monteverdi Marittimo, Pisa, Pomarance,
Riparbella, Santa Croce sull’Arno e Volterra. Per questi è
possibile classificare la rete stradale, secondo
determinate direttrici di accesso, come rete stradale
principale: ad esempio, le strade di accesso a Volterra
quali la SR439, la SR68 , la SP15 e la SR439dir possono
senza dubbio essere considerate strade di accesso
principali. Per i centri per cui i valori del coefficiente di
dissimilarità rientrano nell’intervalllo 0.75 ≤ DC < 5, in
virtù del significato del coefficienti di dissimilarità steso è
possibile definire ancora una rete stradale principale, ma
di livello di importanza inferiore a quella precedente: in
questo caso si individuano i centri di Casale Marittimo,
Castelnuovo Val di Cecina, Fauglia, Montecatini Val di
Cecina, Montescudaio, Orciano Pisano e Santa Luce: ad
esempio, esaminando il caso di Montecatini Val di
Cecina è possibile definire la SP32 come strada di
secondo livello, così come la SP16 che si presume
possa essere percorsa per il collegamento con Volterra
(centro a cui Montecatini risulta aggregato al passo 12).
Infine i collegamenti fra centri con DC < 0.75 si ritiene
sussistano numerose relazioni di interscambio, pertanto
per questi può essere definita una rete di terzo livello, o
locale.
L’applicazione del modello tassonomico, quindi, permette
di assegnare un livello gerarchico alla maggior parte dei
rami della rete, in particolare vengono classificati i rami
che collegano tra di loro, secondo percorsi di minimo
tempo (coerentemente all’impiego della matrice delle
impedenze), i centri considerati. Un valido aiuto per la
classificazione dei rami è dato dalla mappa di
aggregazione riportata nella seguente Figura 18.
Tuttavia, è possibile che alcuni di essi non siano
classificati, principalmente a causa dei seguenti motivi:
- il ramo collega centri appartenenti a cluster
diversi e per i quali è improbabile che si
sviluppino relazioni;
- il ramo è al servizio di un centro secondario
all’interno di un comune, ma al momento questa
possibilità risulta esclusa come conseguenza
delle ipotesi assunte per la costruzione del
modello;
- il ramo non ha funzione di collegamento fra
centri considerati e sedi di attività.
Una possibile classificazione della rete, pertanto,
derivante dall’analisi del dendrogramma e dei risultati del
modello tassonomico, può essere quella proposta nella
seguente Tabella 46.
Tabella 46
Livello di classificazione
Strade
I SP11 SP13 SP14 SP15 SP18 SP26
154
Livello di classificazione
Strade
SP28 SP29 SP33 SP44 SP48 SP57 SP64
SP329 SR68 SR206 SR439
II
SP12 SP19 SP21 SP31 SP32 SP35 SP37 SP43
Livello di classificazione
Strade
SP51
III Le restanti strade, ivi comprese quelle non classificabili (come descritto in precedenza)
Si osserva che sussiste la possibilità che alcune delle
strade riportate nella precedente tabella possano essere
classificate in parte ad un Livello ed in parte ad un altro
(ad es., la SP14 può essere classificata di Livello I
dall’inizio all’intersezione con la SP48, e di Livello III da
qui fino alla fine).
155
Figura 18
5. Considerazioni conclusive
Il lavoro fin qui svolto ha permesso di affrontare e
soprattutto sviluppare alcuni elementi che costituiscono
una solida base per lo sviluppo e la redazione di un
PTVE, e che devono essere ritenuti imprescindibili per
qualunque Ente si voglia dotare di uno strumento quale
appunto il PTVE. Ciascuno di questi aspetti è stato quindi
trattato separatamente ed approfonditamente, giungendo
allo sviluppo di veri e propri strumenti informatici originali
per l’applicazione a casi reali. I risultati che ne derivano
confermano l’utilità di tali strumenti al fine di una corretta
156
pianificazione e di una migliore allocazione delle risorse
economiche disponibili.
Come è stato più volte sottolineato, il PTVE ha, come
obiettivo principale, quello di incrementare il livello di
sicurezza della circolazione stradale sulla viabilità
extraurbana. Fra tutti gli aspetti correlati alla sicurezza
stradale, grande importanza è stata data all’analisi del
rischio connesso ai dispositivi di ritenuta, decisione
supportata dai risultati derivanti da uno studio
comparativo sui benefici/costi dei diversi interventi
possibili su strade statali ed autostrade condotto
dall’Ispettorato Generale per la Circolazione e la
Sicurezza Stradale del Ministero dei Lavori Pubblici,
riassunti nella seguente tabella:
Tabella 47
Intervento Riduzione %
dei morti Riduzione % dei
feriti Benefici (mld di
lire/anno) Costi (mld di
lire/anno) Rapporto
B/C Dispositivi di ritenuta 13.0 11.0 567 278 2.0
Manutenzione stradale 8.8 8.5 417 237 1.8 Illuminazione incroci 1.1 1.1 50 37 1.4 Illuminazione tratti 8.9 8.9 436 1787 0.2
Adeguamento geometria (extraurbane second.)
6.9 5.0 294 3150 0.1
Adeguamento geometria (extraurbane princip.)
2.5 1.1 95 1400 0.1
È evidente quindi come, in un’ottica di ottimizzazione
delle risorse economiche, sia più che lecito per le
amministrazioni dotarsi di strumenti che consentano la
pianificazione degli interventi relativi ai dispositivi di
ritenuta: questi infatti consentono di ottenere importanti
benefici in rapporto ai costi da sostenere.
Per ciascuno degli aspetti affrontati si sono messi a
punto strumenti informatici originali che, ricevuti in input i
dati, ne permettono l’analisi con il successivo calcolo di
alcuni indici che, alla fine, consentono la ricercata
classificazione della rete stradale nonché la
pianificazione degli interventi.
L’applicazione della procedura per il calcolo di velocità
assimilabili a quelle di progetto ha consentito di
classificare l’intera rete stradale anche sotto il profilo
della velocità di progetto e delle caratteristiche
geometriche, essendo le prime diretta conseguenza delle
caratteristiche geometriche delle sole curve.
I risultati della procedura messa a punto per le velocità di
progetto, però, hanno permesso di osservare che, poiché
gli interventi da pianificare su infrastrutture esistenti
andranno necessariamente ad incidere su una situazione
preesistente, anziché ad una velocità puramente teorica
come quella di progetto, poteva rivelarsi più significativo
riferirsi ad una velocità operativa, che rispecchiasse le
reali condizioni di esercizio dell’infrastruttura. Per questo
motivo si è sviluppato, calibrato, validato ed infine
applicato il modello descritto al par. 3.2.
Per il caso particolare della Provincia di Pisa, è possibile
quindi osservare che, soprattutto a causa delle
caratteristiche orografiche del territorio attraversato, le
strade della zona Sud sono caratterizzate da velocità
prevalentemente inferiori a quelle della zona Nord, ove si
trovano altresì importanti arterie di comunicazioni fra
zone ad alta densità abitativa ed industriale.
Le velocità (di progetto ed operative) così stimate, oltre a
rappresentare un importante parametro per una prima
classificazione della rete (anche da un punto di vista
funzionale), possono anche essere considerate come
dato di input per le successive applicazioni sviluppate nel
presente lavoro.
Come osservato in precedenza, sempre per il caso
pratico della Provincia di Pisa, così come previsto dal
progetto europeo Ro.Sa.Ma.S. (Road Safety
Management System), è stato eseguito il censimento dei
dispositivi di ritenuta esistenti, sia per portare a termine
gli obiettivi dettati dal progetto Ro.Sa.Ma.S. stesso che
per pianificare interventi mirati al ripristino della
funzionalità dei dispositivi che, qualora non ottimale, può
portare il singolo dispositivo ad essere fonte di possibili
gravi danni in caso di urto di un veicolo. L’applicazione
della relativa procedura per la stima del livello di rischio
connesso ai dispositivi di ritenuta esistenti ha quindi
permesso di assegnare a ciascun dispositivo il proprio
livello di rischio, in funzione della velocità di progetto, del
TGM e dell’incidentalità del tratto di strada e delle
condizioni di manutenzione del dispositivo stesso.
Con tutti i risultati così ottenuti si è quindi potuta ottenere
una prima classificazione dell’intera rete stradale della
Provincia di Pisa sotto il profilo dell’efficienza dei
157
dispositivi di ritenuta mediante la stima dell’indice di
efficienza IED. Questo, congiuntamente alle previsioni di
spesa economica per il ripristino della funzionalità di
ciascuno dei dispositivi indagati (possibile grazie al foglio
di calcolo predisposto per il livello di rischio, che fra le
altre elaborazioni contiene anche quella economica), ha
messo l’Ente in condizione di poter pianificare interventi
manutentivi ottimizzando al contempo le risorse
economiche disponibili, ottenendo così un abbattimento
del livello di rischio corrispondente al massimo beneficio
possibile.
Per il caso pratico della Provincia di Pisa, il calcolo
dell’indice di efficienza globale IEG, con i dati
attualmente a disposizione, non fornisce indicazioni
aggiuntive oltre a quanto già ottenibile con il solo indice
IED: tuttavia, è necessario incrementare gli sforzi per
giungere al calcolo dell’indice IEG, in quanto questo
permetterà di allocare le risorse economiche disponibili
verso quegli interventi che, agendo su più livelli
(dispositivi di ritenuta, stato di manutenzione delle
pavimentazioni, segnaletica verticale ed orizzontale, ed
altro), consentiranno un più efficace innalzamento del
livello di sicurezza globale della circolazione stradale. Ad
ogni modo, allo stato attuale risulta possibile pianificare i
primi interventi per quei dispositivi di ritenuta che
presentano un livello di rischio non accettabile, per i quali
quindi non può essere rimandata la necessaria
manutenzione.
Infine, dall’applicazione della procedura per
l’individuazione dei punti pericolosi è stato possibile
ottenere importanti informazioni, in questo caso di natura
necessariamente puntuale, relativamente a quelle zone
dei singoli tracciati su cui, in quanto giudicati di
particolare pericolosità, è auspicabile concentrare
ulteriori indagini ed approfondimenti, nonché valutare la
necessità di adeguate misure per l’incremento del livello
di sicurezza. Le misure da prendere possono essere
decise autonomamente da ciascun Ente: fra queste
possono evidenziarsi quelle relative alla segnaletica di
pericolo da apporre in determinati punti, l’installazione di
dispositivi per il controllo della velocità aventi funzione
deterrente, o infine in tema di dispositivi di ritenuta,
l’installazione di questi per i punti giudicati pericolosi,
individuati ad esempio con l’impiego della metodologia
descritta al par. 3.5. Fra questi possibili interventi,
sempre in un’ottica di ottimizzazione delle risorse
economiche disponibili, i provvedimenti per il controllo
delle velocità risultano di fondamentale importanza:
sempre secondo lo studio condotto dall’Ispettorato
Generale per la Circolazione e la Sicurezza Stradale del
Ministero dei Lavori Pubblici citato in precedenza, tali
provvedimenti attuati con scopo preventivo e deterrente
presentano un rapporto benefici/costi compreso fra 3.5 e
6.2.
Si ritiene infine rilevante sottolineare l’importanza di
esser giunti a stabilire un indice di sicurezza globale:
questo, individuato nell’indice di sicurezza globale ISG,
esplica la sua utilità in un’ottica di scelta degli interventi,
qualunque essi siano, in quanto riassuntivo di tutte le
necessità di una rete sotto tutti i possibili punti di vista.
Come conseguenza, questo consentirà al decisore di
allocare più opportunamente le risorse in suo possesso
su quegli interventi che, se affrontati per primi,
porterebbero ad un evidente incremento del livello di
sicurezza della circolazione su quella strada. Questo
indice consente, in altre parole, di pianificare gli interventi
manutentori in modo da massimizzare l’efficienza globale
dell’infrastruttura o dell’intera rete ottimizzando al
contempo le risorse economiche disponibili, ossia stabiliti
i costi dei singoli interventi rende possibile la stesura di
un vero e proprio Piano di Manutenzione della Rete
Stradale completo ed efficiente.
Una considerazione a parte merita infine di essere fatta
relativamente ai risultati derivanti dall’applicazione del
modello tassonomico: questa infatti ha consentito di
assegnare un livello gerarchico alla maggior parte dei
rami della rete, ossia di procedere ad una possibile
classificazione funzionale della rete stradale. In
particolare sono stati classificati i rami che collegano tra
di loro, secondo percorsi di minimo tempo
(coerentemente all’impiego della matrice delle
impedenze), i centri considerati. Il livello gerarchico
assegnato a ciascun ramo può quindi essere poi
impiegato, oltre che come parametro su cui basare la
classificazione funzionale, anche come parte di un più
cospicuo gruppo di parametri utili per giungere ad una
classificazione delle strade secondo una delle 6
categorie previste dalla NCdS e dal DM 6792/2001 (ad
es. possono essere impiegati anche parametri quali la
larghezza della carreggiata, il tipo di tracciato, le velocità
di progetto e/o operative, ecc.).
Si ritiene fondamentale sottolineare che il massimo
beneficio da tutte le procedure messe a punto e da tutti
gli strumenti informatici predisposti si otterrà mantenendo
158
aggiornati in tempo reale i dati del censimento condotto:
è perciò necessario che l’Ente istruisca appositamente il
proprio personale affinché sia in grado di raccogliere i
dati necessari ad intervallo di tempo regolari (ad es. per il
caso dello stato delle pavimentazioni) o ogniqualvolta se
ne ravveda la necessità (dopo un sinistro, come nel caso
dei dispositivi di ritenuta) o infine dopo ogni intervento di
manutenzione.
Le procedure fin qui sviluppate sono state poi applicate
anche ad altri casi, il che ha fornito ulteriori conferme di
quanto sviluppato: nel corso del periodo compreso fra
dicembre 2013 e giugno 2014 l’intera procedura per la
valutazione del livello di rischio connesso ai dispositivi di
ritenuta, sia esistenti che da installare, è stata applicata
con successo ai tratti di 4 strade statali ricadenti sotto la
diretta gestione di ANAS S.p.A. – Compartimento della
Viabilità della Toscana (SS1, SS12, SS64, SS67) per un
totale di circa 237 km di strada: in questi casi è stato
condotto anche il censimento di tutti i dispositivi di
ritenuta da installare, pertanto si è potuto risalire al
calcolo di un primo indice IEG rappresentativo della
sicurezza della circolazione e, soprattutto, degli effetti dei
possibili sinistri. Al Committente, in questo caso, sono
stati consegnati i database georeferenziati completi di
tutti i dati raccolti e dei risultati ottenuti dalle rispettive
elaborazioni.
Inoltre questo lavoro lascia aperte numerose possibilità
di ricerca e sviluppo, alcune di queste già in corso. Per
quanto riguarda le procedure per la stima delle velocità
operative è attualmente in esecuzione una campagna di
misure col fine di sviluppare il modello per le V85 delle
curve. Relativamente agli indici di efficienza, invece,
dovrà essere condotto un approfondito studio sui costi
dell’incidentalità, mediante i quali poter procedere al
calcolo dell’indice SAPO, che può di fatto costituire a tutti
gli effetti un parametro di scelta e di confronto fra
interventi diversi. Sempre relativamente agli indici di
efficienza, dovranno essere valutati e calibrati i diversi
coefficienti WX per il calcolo dell’indice ISG. Infine
dovranno essere affrontate le questioni inerenti i
parametri che possono influenzare la pericolosità di un
punto, quali il campo di visibilità, la distanza di visibilità
libera, ecc.
Ringraziamenti
Per il supporto offerto e la disponibilità dimostrata si
ringrazia l’ing. Maria Carmela Iaconis del “Servizio
Viabilità della Provincia di Pisa” e l’ing. Dario Bellini,
dirigente della Provincia di Pisa.
Si ringrazia inoltre il geom. Nicola Cenci di ANAS –
Compartimento della Viabilità della Toscana.
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161
ANALISI DEGLI INCIDENTI STRADALI SULLE STRADE APPARTENENTI ALLA RETE SECONDARIA: IL CASO DI STUDIO SULLA VIABILITÀ MINORE DELLA RETE DELLA PROVINCIA DI SALERNO
Mario De Luca, Gianluca Dell’Acqua
Dipartimento di Ingegneria Edile Civile e Ambientale, Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Premessa
Nel presente contributo vengono illustrati i risultati
di uno studio sull'incidentalità condotto sulla rete
secondaria della provincia di Salerno nel triennio
2003-2005. In particolare sono stati analizzati i
tronchi della rete caratterizzati da un TGM inferiore
a 1000 veicoli/giorno. I dati di base adoperati nello
studio, oltre che gli incidenti occorsi nei tronchi
analizzati, riguardano la geometria, il traffico e le
condizioni ambientali. In buona parte questi dati
sono stati forniti dalla Provincia di Salerno; per le
parti, ove sono risultate necessarie integrazioni alle
informazioni disponibili negli archivi della Provincia,
sono stati effettuati opportuni e specifici rilievi.
Dall'analisi dei dati, effettuata attraverso una
regressione multivariata, è stato ricavato un modello
che consente di stimare l'incidentalità in funzione
del traffico (TGM). Inoltre per rendere più semplice
l'applicazione del modello sono stati costruiti una
serie di abachi che consentono, in modo semplice e
veloce, di stimare l'incidentalità per un prefissato
valore del TGM, per i diversi livelli di tortuosità, di
pendenza e di larghezza della carreggiata.
1. Introduzione
Gli incidenti stradali costituiscono una delle
principali cause di morte, specie nella popolazione
con età inferiore ai 25 anni. Secondo L ’O.M.S.
(Organizzazione Mondiale della Sanità) e l’U.E.
(Unione Europea) ogni anno nel mondo si verificano
oltre un milione di decessi provocati da incidenti
stradali.
In Italia, nonostante le modifiche introdotte dal
legislatore, la media degli incidenti su base annua
si attesta intorno a 180.000 sinistri di cui circa
3.000 mortali e circa 250.000 con lesioni di
diversa gravità.
C'è da osservare, in generale, che qualora
l’incidente fosse dovuto esclusivamente al cattivo
funzionamento del mezzo o all’imprudenza del
guidatore, e fosse indipendente dalla caratteristiche
della strada e dalle circostanze ambientali, lo
stesso si manifesterebbe con assoluta casualità.
Tuttavia non è così, in molti casi gli incidenti si
verificano sistematicamente nelle stesse
circostanze ambientali in tratti di strade aventi
caratteristiche simili.
Se l’incidente è l’espressione del cattivo
funzionamento del sistema "uomo-veicolo-strada",
è lecito pensare che tutti gli incidenti che si
verificano sistematicamente nelle stesse condizioni
di geometria e circostanze ambientali abbiano
un’alta probabilità di essersi verificati per la
concomitanza di anomalie dovute alla strada,
spesso accentuate da particolari condizioni
ambientali.
Ne consegue che affinché il problema risulti
ingegneristicamente gestibile, è necessario,
indipendentemente dai provvedimenti di natura
giuridica e di miglioramento dei veicoli, conoscere
le situazioni e le condizioni nelle quali tale
fenomeno si manifesta.
Quindi per questi tipi di incidenti, che costituiscono
una buona percentuale dei totali, se si riescono ad
individuare le situazioni geometriche ed ambientali
in cui sistematicamente si verificano è possibile
stabilire una strategia di intervento che permette di
controllare questo tipo di incidentalità.
162
Talvolta non è possibile condurre analisi
significative per la mancanza di queste informazioni
ed in particolare per informazioni riguardanti il
traffico veicolare.
Questa condizione diviene ancora più critica nelle
viabilità minore (strade a basso volume di traffico)
nelle quali il problema oltre che il traffico riguarda
anche gli altri dati. Per questa categoria di strade
per condurre significative analisi sull'incidentalità è
necessario organizzare specifiche campagne di
rilievo poiché difficilmente l'ente gestore/proprietario
della strada possiede una archivio che possa
significativamente supportare lo studio .
Nello studio in questione vengono illustrati i risultati
di uno studio sull'incidentalità, sulla viabilità minore,
delle rete provinciale di Salerno. In particolare i dati
necessari allo studio, oltre che attraverso specifici
rilievi, sono stati acquisiti dagli archivi della
Provincia di Salerno la quale per il triennio 2003-
2005 ha avviato una campagna di raccolta ed
organizzazioni di dati per analisi sull'incidentalità
sulla rete provinciale.
2. Stato dell’arte
Molti ricercatori negli ultimi anni hanno studiato il
fenomeno dell'incidentalità proponendo modelli per
la gestione ed il controllo di questo complesso
fenomeno.
Uno dei primi modelli di previsione degli incidenti è
stato definito da Persaud e Dzbik. Il modello
consente di stimare gli incidenti in funzione del
traffico (TGM) e del volume orario. L'analisi è stata
basata sui modelli lineari generalizzati. I risultati
hanno evidenziato che il tasso di incidentalità
aumenta con il flusso di traffico espresso sia come
traffico medio giornaliero che come volume orario.
Fridstrøm et al, hanno correlato gli incidenti
stradali con quattro variabili: flusso di traffico, limite
di velocità, condizioni meteorologiche e condizione
della luce. L’analisi di incidentalità è stata ottenuta
attraverso l'utilizzo di una regressione binomiale
negativa.
Persaud et al, hanno presentato per la prima volta
uno studio sull’incidentalità diversificato per curve e
rettilinei, per strade a due corsie. Nel modello la
variabile dipendente è rappresentata dalla
frequenza degli incidenti, mentre le variabili
indipendenti sono rappresentate dal flusso di traffico
e dalla geometria stradale. I risultati hanno messo in
evidenza che nelle curve la frequenza degli
incidenti aumenta con il TGM, con la larghezza
della sezione stradale e con la curvatura. Mentre
per i rettilinei la frequenza degli incidenti aumenta
con il TGM e con la larghezza della sezione.
Inoltre, è stato mostrato che il numero degli incidenti
sui tratti a bassa pendenza è maggiore rispetto ai
tratti con pendenza più accentuata.
Abdel-Atype e Essam Radwan hanno utilizzato la
distribuzione binomiale negativa per la previsione
della frequenza degli incidenti come funzione di
TGM, curvatura orizzontale, larghezza della
sezione, numero di corsie, larghezza delle
banchine e degli spartitraffico, disegno urbano o
extra-urbano. I risultati hanno mostrato che la
frequenza degli incidenti aumenta con il TGM, con il
grado di curvatura orizzontale e con la larghezza
della sezione stradale. La frequenza degli incidenti
diminuisce, al contrario, con l'aumentare del numero
le corsie, con la larghezza delle banchine.
Golob e Recker hanno utilizzato analisi statistiche
multi-variate lineari e non lineari per correlare il
flusso di traffico, con le condizioni di illuminazione e
meteorologiche. L'approccio dello studio è sttao
basato sull'Analisi della componente principale
(PCA) allo scopo di identificare le variabili più
significative da un set di variabili originarie relative
al flusso di traffico. Una Analisi di correlazione
canonica (CCA, Canonical correlation analysis) è
stata inoltre utilizzata per correlare le componenti
principali identificate alle condizioni di luce e
meteorologiche.
Hauer E., ha trattato diffusamente modelli statistico-
matematici capaci di prevedere il numero medio di
incidenti al variare delle caratteristiche geometriche
del tracciato e del flusso di traffico. Tutto ciò è stato
ottenuto con l’impiego di una funzione di
distribuzione di tipo binomiale negativa.
Memon, ha sviluppato un modello di previsione
degli incidenti basato su una regressione di tipo
lineare. I dati degli incidenti, dal 1999 al 2002, sono
163
stati rilevati dall’autore dai registri ufficiali di STATS
19 (statistiche inglesi). Sono state coinvolte diverse
variabili nella costruzione dei modelli predittivi tra
cui il flusso veicolare, la lunghezza della strada, la
classe della strada, la classe del veicolo e
l’interazione tra flusso veicolare, classe della strada
e classe del veicolo. I risultati hanno evidenziato
che un aumento del flusso veicolare e della
lunghezza della strada implica un incremento degli
incidenti. E’ stato poi evidenziato dall’analisi che le
auto sono coinvolte in un maggior numero di
incidenti rispetto alle altre tipologie di veicolo in
marcia. Le motociclette costituiscono, invece, il
mezzo di locomozione più a rischio sulla viabilità
principale, mentre sulle viabilità minore le biciclette
rappresentano il mezzo più a rischio.
De Luca et al, hanno proposto un modello di stima
dell'incidentalità ottenuto di attraverso l'impiego
della Cluster Analysis. Il modello ottenuto da una
vasta indagine sperimentale su una rete di studio
del sud dell'Italia consente di stimare, note le
caratteristiche geometriche e di traffico della strada,
un indice di incidentalità che permette di
individuare e classificare i black-Spot più pericolosi.
3. Rilievo ed organizzazione dei dati di base per
la rete di studio
3.1 Descrizione della rete
Nello studio sono state condotte analisi sulle strade
della rete caratterizzate da un un TGM inferiore a
1000 veic/giorno.
La rete dalla quale sono sati estratti i dati per lo
studio in questione è schematicamente riportata
nella figura 1.
In particolare sulla rete, estratta dal un sistema
cartografico GIS della provincia di Salerno (Destino
et al, 2010), sono stati evidenziati in rosso gli
incidenti avvenuti nel triennio 2003 - 2005; in
particolare lo spessore della campitura indica un
minore o maggiore numero di incidenti lesivi.
Figura 1 - Incidenti lesivi - triennio 2003/2005 -Rete stradale della Provincia di Salerno
164
3.2 Dati di geometria
Sulla rete sono stati individuati tutti i tronchi
caratterizzati da un TGM inferiore a 1000
veic./giorno. Per tutti questi tronchi sono stati rilevati
dalla cartografia ufficiale IGM 1/5000, messa a
disposizione dalla provincia di Salerno, tutte le
necessarie informazioni per lo studio in questione.
Inoltre si è fatto riferimento anche ad un sistema
GIS, di proprietà della Provincia, contenente
importanti informazioni sulla geometria dei tratti
analizzati. Nella figura 1 è schematicamente
riportata una immagine estratta dal Sistema
GIS/Provincia_SA per la gestione del territorio.
Complessivamente lo sviluppo totale, di strade con
TGM<1000veic/giorno analizzate nello studio, è
risultato pari a 380 chilometri.
Figura 2 - Estratto sistema GIS - Provincia di Salerno
3.3 Dati di traffico
Per l'individuazione del traffico sui tronchi con TGM
inferiore a 1000 veic./giorno, si è fatto riferimento
agli studi condotti dalla Provincia di Salerno nel
triennio 2003-2005.
In particolare i dati di traffico sono stati acquisiti
dalla Provincia attraverso le seguenti modalità:
Rilievi diretti con strumentazione in continuo;
Rilievi manuali;
Rilievi diretti con strumentazione in continuo
Questi rilievi sono stati condotti attraverso la
strumentazione "Radar della EIS Electronic
Integrated System Inc. (Ontario, Canada). Questo
sistema di rilievo automatico in continuo (figura 3) è
costituita dai seguenti elementi principali:
Analizzatore di traffico RTMS (Remote Traffic
Microwawe Sensor) modello K3;
Unità di memorizzazione dati RTC (Remote Traffic
Counter);
Modulo Terminale GSM MC35T.
165
Figura 3. Schema della rete delle antenne RTMS del CPMSS-SA
Ogni antenna è alimentata in continuo dalla rete
elettrica esistente e protetta con interruttore
differenziale, per gli sbalzi di tensione, e con
gruppo di continuità in caso di temporanea
interruzione dell’alimentazione elettrica.
Il principio di funzionamento di tali apparecchiature
è basato sulla emissione e la successiva ricezione
di microonde, cioè di radiazioni elettromagnetiche
ad alta frequenza con lunghezza d’onda compresa
fra le onde radio e la radiazione infrarossa. Le onde
sono a bassa potenza emessa (conformi ai limiti
imposti ai dispositivi digitali di classe A, ai sensi
della parte 15 delle normative FCC) e, quindi,
innocue per gli occupanti dei veicoli. I dati di traffico
sono raccolti in continuo, in qualunque condizione
meteorologica (sereno, pioggia o nebbia) e
registrano il numero di passaggi veicolari, la
percentuale di occupazione, la tipologia di veicoli
suddivisi in sei classi (in funzione della lunghezza) e
la velocità media. I dati rilevati nelle sezioni di
rilevamento, impostate in corrispondenza delle due
corsie di marcia, sono immagazzinati con frequenza
temporale di un minuto nel disco fisso e trasmessi
quotidianamente al server del CPMSS-SA grazie
alla rete di moduli di connessioni GSM.
Le antenne sono installate su pali dell’illuminazione
pubblica (figura 4) ed opportunamente segnalate ai
conducenti per scongiurare modifiche delle velocità
attuate dai veicoli, indotte dal fraintendimento
dell’apparecchiatura conta-traffico con strumenti di
tipo autovelox.
Figura 4. Antenna RTMS SP175
166
3.3.1 Rilievi manuali
Nei rami/tronchi ove non sono stati inseriti i
dispositivi automatici in continui sono sati condotti
una serie di rilievi manuali, appositamente progettati
per integrare le informazioni mancanti non ottenibili
attraverso il sistema continuo di cui al punto
precedente.
3.4 Dati di incidentalità
I dati riguardanti gli incidenti sono stati forniti dalla
provincia di Salerno ed integrati, ove necessario,
con appositi rilievi effettuati presso gli organi di
polizia preposti al rilievo degli incidenti su questi
tronchi. Per l'acquisizione e l'organizzazione dei
dati è stata adoperata la scheda riportata in figura 5.
In particolare nei tre anni sono stati rilevati 230
incidenti di cui il 6 mortali e 253 con feriti.
Protocollo del rilevatore Incidente n. Serie n.
Rilevato da: Strada Tempo Sup. stradale Visibilità
Poliz. Strad. X Km Sereno Asciutta Buona
Carabinieri Loc. Pioggia x Bagnata x Scarsa x
Data Ora Nuvoloso Ghiacciata
Nebbia
Tipo di strada Tronco Sezione (m) Intersezione Cond. traff.
2 cors bidirez Rettifilo x Largh.
carreg
.
Rotatoria Scarso x
2 cor bidirez+ Curva Dx Largh.
Cors arrampic Sx corsia Incrocio Normale
2 corsie Pend. Sal. Largh. Immissione
Dis banch. uscita Intenso
2 corsie Dosso Largh. Passaggio
Con spartitraf. Galleria spartitr
.
Livello
Natura Incidente Veicoli
coinvolti
A B C D Pers
coinvolte
Residenza
Scontro frontale Autovettura x x 1 ferito
Scontro laterale Autocarro 1 ferito
Tamponamento Autoarticolato
Urto contro ostac. Autotreno+rim.
Fuoriuscita/sband Autobus
Urto con veic fer Motociclo
Schizzo planimetrico del campo del sinistro
Note: A causa dell’alta velocità e della strada bagnata, l’autoveicolo A sbandava e l
tamponava violentemente l’autoveicolo B il quale procedeva lentamente.
A B
Figura 5 - Schema della tabella adoperata per il rilievo degli incidenti
167
3.5 Elaborazione dei dati e costruzione del
modello di previsione
Il Data Base da cui è stato ottenuto il modello è
stato costruito associando ad ogni incidente la
geometria del tratto omogeneo nonché il traffico e
le condizioni ambientali (si veda tabella 1).
E' stato ottenuto un database costituito da 76
tronchi omogenei per complessivi 380 chilometri
di strada.
I tronchi omogenei sono stati determinati mediante
il seguente algoritmo.
Si è considerato un primo tratto pari ad un
chilometro e si è calcolata la curvatura media del
tratto. Si è considerato un secondo tratto ottenuto
con un incremento di 0,1Km, rispetto al precedente,
e si è ricalcolata la curvatura media attuale; si è
confrontata la curvatura attuale (cioè quella relativa
ad L=1,1km) con quella precedente (cioè quella
pari a 1,0 km).
Se la differenza, presa in valore assoluto, fra la
curvatura media attuale e quella media precedente
è risultata inferiore al 5% allora si è considerato
tratto omogeneo il tratto attuale (cioè quello pari ad
1,1km). Questa operazione è stata ripetuta n-volte
(con incremento di 0,1 km per volta). Il processo si
è arrestato quando il confronto fra le curvature è
risultato superiore al 5%.
I valore della lunghezza del tronco in
corrispondenza del quale si è ottenuto una
differenza maggiore del 5% è stata assunta come
lunghezza del tronco omogeneo.
Successivamente i dati riportati in tabella 1,
opportunamente organizzati in classi di traffico
(TGM) di uguale ampiezza, sono stati elaborati
attraverso la tecnica della regressione multivariata.
In particolare nell'elaborazione sono state
adoperate le seguenti variabili:
Ni*Sev : Dove Ni è il numero di incidenti/anno e
Sev è la gravità dell'incidente. Per la variabile
Sev, sono stati assunti convenzionalmente i
seguenti valori :
incidente con soli danni a coseseverità 1;
incidente con feritiseverità 2,0;
incidenti con lesiviseverità 2,5;
incidenti con mortiseverità 3,0;
T.G.M. : Traffico Giornaliero Medio
espresso in veicoli al giorno (riferito ad entrambi
le direzioni di marcia);
L_tratto: lunghezza del tronco omogeneo
espresso in Km;
LARGH: larghezza della carreggiata
espressa in metri;
TORT: Tortuosità valore adimensionale
PEND: pendenza del tronco omogeneo
espresso in %.
Il modello attenuto è riportato di seguito:
∗ . . . (1)
²=0,67
inoltre nella tabella 2 sono riportati le verifiche
statistiche del modello. Per facilitare l'applicazione
del modello (1) sono stati costruiti una serie di
abachi di facile utilizzo ed applicazione.
In particolare per la costruzione degli abachi
riportati di seguito (da abaco 1 ad abaco 18) sono
stati adoperati i valori delle variabili dipendenti
riportati in tabella 3.
168
DE
NO
MIN
AZ
ION
E C
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UN
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N.
ST
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nei 3
an
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riti
y =
Ni *
sev
.
…….. ……. ……. ……. ……. ……. ……. …… ……. …….
Furore SS366 6,0 3,0 8,0 18 2,0 0 1 13
San Mauro Cilento COM_123 6,7 3,0 6,0 55 1,0 0 1 5
Celle di Bulgheria SP17 7,8 2,6 8,0 408 8,0 0 6 344
Capaccio SP_315 5,4 1,3 5,0 154 2,0 0 2 26
Centola SP_17 4,5 3,0 8,0 112 1,0 0 1 5
Positano SS163 7,8 3,0 7,5 740 11,0 0 9 490
Tramonti SP141 4,7 3,0 10,0 919 8,0 0 5 196
Ricigliano SP_34 6,2 3,0 5,0 127 1,0 0 0 1
Casalbuono A3 8,0 1,3 3,6 336 3,0 0 0 9
Eboli SP_262 7,1 1,0 5,5 260 2,0 0 2 34
Stella Cilento SP_15 4,8 3,0 7,0 243 1,0 0 1 7
Sassano SP51 3,8 2,0 7,3 998 4,0 0 4 88
San Rufo SS166 8,7 3,0 7,0 997 6,0 0 2 54
Trentinara SP13 8,7 3,0 7,0 951 6,0 0 5 171
…….. ……. ……. ……. ……. ……. ……. …… ……. …….
…….. ……. ……. ……. ……. ……. ……. …… ……. …….
…….. ……. ……. ……. ……. ……. ……. …… ……. …….
Tabella 1 - Estratto della matrice dei dati
Parametro Stima Errore standard
Intervallo di confidenza 95%
Limite inferiore Limite superiore
b1 ,008 ,019 -,033 ,049
b2 ,241 ,292 -,402 ,885
b3 -1,584 1,038 -3,869 ,702
b4 1,730 1,333 -1,204 4,664
Tabella 2 - Parametri del modello (1)
Complessivamente, per caratterizzare tutte le
combinazioni derivanti dai livelli delle variabili
indicati in figura 4 (ad eccezione della variabile
L_tratto assunta pari al valore medio, 5m), sono
stati costruiti 18 abachi che consentono, per ogni
livello di traffico (TGM) di determinare il
corrispondente livello di pericolosità del tronco.
169
Variabile Acronimo variabile livello variabile
Larghezza LARGH
Alta da 7 a 8;
Media, da 6 a7;
Bassa, da 5 a 6;
Tortuosità T
Alta, maggiore di 2,7;
Media, da 2,4 a 2,7;
Bassa da 2,1 a 2,4;
Pendenza P
Alta da 1,8 a 2,7
Media da 1,4 a 1,8;
Bassa, da 1,2 a 1,4;
Tabella 3 - Livello variabili indipendenti
Abaco 1
170
Abaco 2
Abaco 3
171
Abaco 4
Abaco 5
172
Abaco 6
Abaco 7
173
Abaco 8
Abaco 9
174
Abaco 10
Abaco 11
0
20
40
60
80
100
120
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600
Ni * severità
T.G.M.
LARGH bassa ‐ P alta
T bassa
T media
T alta
0
20
40
60
80
100
120
140
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600
Ni * severità
T.G.M.
LARGH media ‐ P alta
T bassa
T media
T alta
175
Abaco 12
Abaco 13
0
20
40
60
80
100
120
140
160
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600
Ni * severità
T.G.M.
LARGH alta ‐ P alta
T bassa
T media
T alta
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600
Ni * severità
T.G.M.
LARGH bassa ‐ P media
T bassa
T media
T alta
176
Abaco 14
Abaco 15
0
50
100
150
200
250
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600
Ni * severità
T.G.M.
LARGH media ‐ P media
T bassa
T media
T alta
0
50
100
150
200
250
300
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600
Ni * severità
T.G.M.
LARGH alta ‐ P media
T bassa
T media
T alta
177
Abaco 16
Abaco 17
0
50
100
150
200
250
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600
Ni * severità
T.G.M.
LARGH bassa ‐ P bassa
T bassa
T media
T alta
0
50
100
150
200
250
300
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600
Ni * severità
T.G.M.
LARGH media ‐ P bassa
T bassa
T media
T alta
178
Abaco 18
4. Conclusioni
Nel lavoro in questione è stato condotto uno studio
riguardante l'incidentalità sulla viabilità minore della
rete di Salerno nel triennio 2003-2005.
Sono stati analizzati circa 400 km di rete (con TGM
<1000veic/giorno) sui quali nei tre anni di
osservazione si sono verificati 230 incidenti di cui 6
mortali e 159 con feriti con lesioni.
Dalle analisi condotte è stato ricavato un modello
(modello 1) attraverso il quale è possibile stimare
l'incidentalità per diversi valori del traffico (TGM).
Inoltre per rendere più semplice l'applicazione del
modello sono stati costruiti una serie di abachi che
consentono, in modo veloce, di stimare
l'incidentalità per un prefissato valore del TGM,
per i diversi livelli di tortuosità, di pendenza e di
larghezza della carreggiata ( tabella 4).
Dall'analisi degli abachi ricavati è emerso che la
situazione più critica si ha in corrispondenza
dell'abaco 2 (Larghezza pari a 6m, Tortuosità
bassa e pendenza bassa); la situazione meno
critica invece si ha in corrispondenza dell'abaco 10
(Larghezza pari a 6m, Tortuosità alta e pendenza
alta).
Bibliografia
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0
50
100
150
200
250
300
350
400
0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600
Ni * severità
T.G.M.
LARGH alta ‐ P bassa
T bassa
T media
T alta
179
Cluster algorithms (2011) PROCEDIA - Social and Behavioral Sciences 20 PP. 723. doi: 10.1016/j.sbspro.2011.08.080 8. Destino G., Lamberti R., Dell'Acqua G., 2010 - Calibrazione e validazione di modelli previsionali
dell’incidentalità stradale - Tesi di laurea - Università di Napoli Federico II
.. - + * + -...
180
LA PROGETTAZIONE DEGLI INTERVENTI DI RIQUALIFICAZIONE DI UNA RETE INFRASTRUTTURALE IN AREA URBANA
Alfonso Annunziata Francesco Annunziata
Università Cagliari
Introduzione La progettazione viaria, di norma, si inserisce tra gli
strumenti per la ristrutturazione/riorganizzazione di un
territorio. A questo scopo viene redatto un Piano di
assetto e da esso viene derivato il relativo Piano dei
trasporti: sarebbe opportuno che essi fossero
strettamente coordinati sino ad intenderne la redazione
derivante da un processo iterativo. Il Piano dei trasporti,
relativamente al sistema infrastrutturale, si riassume
sostanzialmente ne:
- la conoscenza delle destinazioni d’uso delle varie parti
del territorio, che permette la quantificazione della
domanda di trasporto che ne risulta;
- la definizione delle caratteristiche delle infrastrutture
che debbono soddisfare la domanda prevista;
- l’analisi preliminare della sensibilità ambientale del
territorio interessato.
La domanda di trasporto, individuata dal volume orario di
traffico, dalla sua composizione e dalla velocità media di
deflusso, determina la sezione stradale e l’intervallo delle
velocità di progetto.
Il progetto delle infrastrutture viarie si colloca nell’ambito
del predetto piano di ristrutturazione/riorganizzazione del
contesto interessato, per il miglioramento delle condizioni
di accessibilità, in una logica di riequilibrio territoriale;
conseguentemente, la progettazione di un determinato
corridoio infrastrutturale va condotta con attenzione a
quegli elementi della rete che ne assicurano
l’interconnessione con altri itinerari, nell’ambito di una
rete intermodale.
Il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
– 5 novembre 2001 – “Norme funzionali e geometriche
per la costruzione delle strade” - contiene precisazioni
concettuali ed indicazioni progettuali che si riferiscono
alle nuove costruzioni di tutti i tipi previsti dal Nuovo
Codice, con esclusione delle strade di montagna,
collocate su terreni morfologicamente difficili, per le quali
non è generalmente possibile il rispetto dei criteri di
progettazione previsti.
Le Norme regolano gli elementi relativi alle
caratteristiche geometriche e di progetto delle strade, in
rapporto alle funzioni che esse sono chiamate a svolgere
in attuazione della pianificazione territoriale. Interventi su
strade esistenti vanno eseguiti adeguando alle Norme,
per quanto possibile, le caratteristiche geometriche, in
modo da soddisfare nella maniera migliore le esigenze
della circolazione. Per quanto riguarda le distanze
minime (in parallelo alla strada) a protezione della
piattaforma e delle pertinenze, occorre far riferimento al
Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice
(Appendice n° 1 – D.P.R. 16/12/1992 n° 495 – artt. 26,
27 e 28). Peraltro si raccomanda alla sensibilità del
progettista la previsione progettuale vincolante di idonei
distanziamenti, rispetto alla strada, di recinzioni,
alberature, esercizi di vendita, etc., in modo tale da non
pregiudicare la sicurezza di tutti gli utenti e la
scorrevolezza del traffico. Rimane inoltre ai progettisti la
possibilità di proporre soluzioni innovative, rispetto alle
Norme, con l’obbligo che esse debbano comunque
essere approvate secondo le modalità precisate all’art.
13 del Codice.
I predetti sono alcuni riferimenti normativi ed i limiti di
impiego delle nuove Norme, che si ritiene debbano
ancora contenere alcune precisazioni, perché diventino
un testo normativo più completo, ma anche
maggiormente riferito alla riqualificazione funzionale dei
sistemi viari esistenti. Per riqualificazione funzionale di
una strada deve intendersi la ricostruzione di un sistema
a rete, che distingua le funzioni territoriali, e le funzioni
assolte, nell’ambito della rete di appartenenza, dai
collegamenti viari, assicurando un’omogeneità d’offerta e
di livello di servizio per le infrastrutture d’interesse locale,
provinciale, regionale ed interregionale.
Secondo quest’impostazione, la riqualificazione deve
preliminarmente prendere l’avvio dall’attribuzione di
funzioni specifiche ai singoli elementi viari: si impone la
definizione di una metodologia di classificazione delle
strade esistenti, che presupponga una pianificazione
generale o di settore. L’evidente obiettivo della
classificazione è di uniformare, su tutto il territorio
nazionale, le caratteristiche infrastrutturali delle diverse
tipologie di strada. Essa si configura come verifica di
validità della gerarchizzazione funzionale delle strade,
individuata dai suddetti strumenti di pianificazione; in
assenza di questi, il procedimento di classificazione
richiede preliminarmente l’individuazione provvisoria
della funzione attesa per le singole infrastrutture.
Un possibile inquadramento normativo Viene definita “strada” l’area ad uso pubblico destinata
alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali. Il
D.M. 5/11/2001 definisce i criteri per la progettazione
degli aspetti funzionali e geometrici delle strade, in
relazione alla loro classificazione secondo il nuovo
Codice, basata sui tipi di utenti e di attività ammesse, e
tenuto conto delle situazioni ambientali nelle quali le
strade stesse sono inserite. Quest’affermazione lascia
intendere che le scelte della progettazione sono
fortemente condizionate dalle caratteristiche fisiche ed
antropiche dei luoghi, oltre che dalla qualità
dell’ambiente ove l’infrastruttura è collocata. Ne deriva la
necessità che le diverse fasi progettuali siano sviluppate
alla luce di un’analisi ambientale di volta in volta
adeguata a specifiche finalità, e siano il risultato di un
procedimento iterativo che subordini le scelte tecniche
alla verifica degli effetti indotti, al fine di perseguire il
miglior compromesso tra esigenze funzionali,
economiche ed ambientali, atto a garantire la
compatibilità degli interventi.
Il sistema globale delle infrastrutture viarie può essere
schematizzato come un grafo, un insieme integrato di reti
distinte, ciascuna delle quali costituita da un insieme di
elementi componenti che si identificano in parte con le
strade (archi), collegate da un sistema di
interconnessioni (nodi): quindi reti distinte di differente
livello gerarchico.
Valgono a tal proposito le seguenti definizioni:
a) nodo = centro del territorio ove si originano o
terminano gli spostamenti, ovvero intersezione tra due o
più vie; in quest’ultimo sono le integrazioni tra le reti di
differente gerarchia e ne deriva che le reti di gerarchia
inferiore sono interne a quelle di livello superiore;
b) arco = collegamento tra due nodi.
In considerazione della necessità di una classificazione
funzionale delle strade, prevista dal Codice, risulta quindi
indispensabile eseguire una valutazione complessiva
delle reti, alle quali le singole strade possono
appartenere, e definire per tali reti un preciso rapporto
gerarchico basato sull’individuazione della funzione
assolta nel contesto territoriale e nell’ambito del sistema
globale delle infrastrutture viarie.
Le strade di nuova costruzione non presentano sempre i
requisiti previsti dalle “Norme funzionali e geometriche
per la costruzione delle strade” (D.M. 5/11/2001)1 e, in
caso contrario, per ottenere la classificazione dovrebbero
essere adeguate. La possibilità di deroga è consentita
per le strade esistenti, allorquando particolari condizioni
locali, ambientali, paesaggistiche, archeologiche ed
economiche non ne consentano l’adeguamento, sempre
che sia assicurata la sicurezza stradale e siano
comunque evitati gli inquinamenti. Questa possibilità
deve essere consentita sia in caso di difformità
solamente localizzate, sia in caso di difformità
generalizzate e non rimovibili per ragioni di carattere
ambientale ed economico, giustificate però dalla
rispondenza a quanto riportato per le strade extraurbane
e per quelle urbane rispettivamente nei Bollettini Ufficiali
C.N.R. n° 78/1980 e n° 60/1978. Dai predetti Bollettini
C.N.R. si ricavava che “…..la classificazione potrà essere
1 Si veda il capitolo di Antonio Cataldo, Alessandro Di Graziano, Paola Villani “Il censimento delle strade appartenenti alla rete extraurbana: aspetti metodologici e normativi “ in questo stesso Quaderno CT 2.5 AIPCR 2014
182
condotta per assimilazione, tenendo conto delle
dimensioni della piattaforma e delle caratteristiche
dell’asse. Gli interventi migliorativi sulle strade esistenti
dovranno in ogni caso essere tali da attuare le
caratteristiche delle classi di assimilazione. Soltanto
quando le limitazioni di cui sopra abbiano carattere
chiaramente locale di singolarità e di eccezionalità,
potranno adottarsi provvedimenti diversi, purché
l’opportuna segnaletica fornisca idonee condizioni di
sicurezza della circolazione.”
L’adeguamento delle reti stradali urbane esistenti si
compendia:
a) nell’idonea attribuzione di funzioni specifiche ai singoli
elementi viari;
b) nella conseguente sistemazione delle intersezioni, con
eventuale limitazione del numero delle medesime e degli
accessi;
c) nella regolamentazione dei sensi di marcia per le varie
componenti di traffico veicolare (pubblico e privato);
d) nell’organizzazione delle opportune discipline per la
sosta veicolare e per il traffico dei pedoni.
In particolare, la strada urbana viene definita quale
elemento di una rete viaria, oggetto della progettazione
in un quadro organico di rapporti funzionali, così da
soddisfare contemporaneamente i vari tipi di domanda di
spostamenti sia con mezzi collettivi che con mezzi
individuali. Le Norme regolano gli elementi relativi alle
caratteristiche di progetto delle strade urbane, in
rapporto alle funzioni individuate nella pianificazione
urbanistica e nella più specifica pianificazione dei
trasporti. La denominazione fondamentale dei tipi di
strada va stabilita con riferimento all’area urbana vasta
(conurbata o metropolitana), così che la progettazione
del sistema dei trasporti deve necessariamente fondarsi
sull’assunto che esso non può normalmente essere
studiato in ambiti territoriali ristretti: deve corrispondere
all’obiettivo di integrare la città ed il suo intorno
diffusamente abitato.
Secondo l’impostazione predetta, in particolare nelle
aree urbane, l’adeguamento deve preliminarmente
prendere l’avvio dell’attribuzione di funzioni specifiche ai
singoli elementi della rete, limitata alla sola rete stradale.
Va considerato invece il complessivo sistema
infrastrutturale, costituito dalle strade, dalle infrastrutture
di trasporto collettivo in sede propria, dal sistema delle
aree/strutture di sosta e di parcheggio, nella logica di
assegnare funzioni al singolo elemento quale
componente di una rete integrata ed intermodale.
Devono quindi essere esaminati i piani di inquadramento
e di programmazione e vanno individuate le funzioni
assolte o assegnate, come obiettivo di medio-lungo
periodo, alle infrastrutture esistenti in detta rete.
Sembra opportuno, nell’affermazione che la predetta
impostazione sia di carattere generale, richiamare
l’attenzione sulle aree urbane, che non appaiono
opportunamente considerate. Per esse, l’esame della
domanda di trasporto deve condurre alla stesura di Piani
applicativi:
- un Piano dei trasporti per l’area urbana, strumento di
pianificazione strategico che, in funzione dello sviluppo
previsto degli insediamenti e delle attività, coordini la
funzione delle infrastrutture e dei servizi di trasporto,
individui i nuovi interventi necessari a medio e lungo
termine, e ne fornisca i tempi di entrata in esercizio
secondo un’analisi dei vantaggi conseguibili e le
disponibilità di spesa nel settore;
- un Piano di interventi di interesse immediato (Piano
Urbano della Mobilità), che comprenda una serie di
provvedimenti settoriali ed attuabili a breve termine, atti a
migliorare la situazione circolatoria, nei limiti imposti dalla
struttura della rete viaria e dei servizi di trasporto
collettivo esistenti, secondo le disponibilità di spesa nel
settore.
In proposito, si ritiene che sia importante la preliminare
redazione del Piano dei Trasporti, contenente le
indicazioni per la soluzione dei problemi, e che
successivamente avvenga la stesura del Piano Urbano
della Mobilità (PUM) e di altri Piani settoriali affinchè
questi ne rappresentino l’attuazione nel tempo.
Nel percorso di pianificazione e governo del sistema dei
trasporti a scala urbana, il PUM costituisce lo strumento
tecnico-amministrativo che, mediante successivi
aggiornamenti, rappresenta le fasi attuative di un
disegno strategico, di lungo periodo, espresso dal Piano
dei Trasporti, da elaborare a scala comprensoriale. Esso
è costituito da un insieme articolato di interventi relativi
allo sviluppo dell’offerta di infrastrutture e servizi di
trasporto, congiunti a politiche di controllo delle modalità
di soddisfacimento della domanda di mobilità e ad
indirizzi per la pianificazione territoriale ed urbanistica.
Le aree metropolitane
La denominazione fondamentale delle strade urbane
viene prevalentemente stabilita con riferimento all’ambito
territoriale interessato ed in rapporto alle funzioni ad
esse affidate dalla pianificazione territoriale e,
conseguentemente, alle caratteristiche del traffico che le
interessa. L’ ambito territoriale comune ai differenti tipi di
strada è l’area urbana: essa non rimane definita dal
limite di perimetrazione urbana, centro edificato
delimitato dal perimetro continuo che comprende tutte le
aree edificate con continuità ed i lotti interclusi (art.18 –
Legge n° 865 – 22/10/1971). Questa definizione può
meglio riferirsi all’aggregato urbano: raggruppamento, in
un’area circoscritta, di uno o più abitati capoluoghi e non,
con i relativi nuclei residenziali e case sparse,
comprensivo dei pertinenti insediamenti in territorio
extraurbano. Per area urbana va intesa l’area conurbata
e/o l’area metropolitana.
L’area conurbata è data da un’agglomerazione urbana in
fase di consolidamento, un raggruppamento, in un’area
vasta, di più aggregati urbani, dei quali almeno uno di
grandi dimensioni e con funzioni di capoluogo
amministrativo di rango superiore al comune. Nell’area
dell’agglomerazione risultano evidentemente compresi
gli insediamenti, in territorio extraurbano, pertinenti ai
vari aggregati urbani.
L’area metropolitana si differenzia da un’area conurbata
in quanto costituita da insediamenti urbani di ordine
superiore, fra loro in stretta connessione di vicinanza
geografica e di rapporti socio- economici. L’area
metropolitana può essere intesa come un’evoluzione
dell’area conurbata, caratterizzata da una minore
dipendenza rispetto all’aggregato di maggiori dimensioni
e da un maggiore equilibrio nella dotazione degli
attrattori di interessi.
Queste definizioni corrispondono alla consapevolezza
del fatto che i problemi di assetto, di controllo e di
gestione territoriale sono di una dimensione diversa e di
tutt’altra natura rispetto a quelli tradizionali, spesso
ristretti alla semplice considerazione dei rapporti tra città
e campagna. La forma statica della città, con la quale nel
passato si è identificata la cultura urbana, e gli stessi
modelli operativi, riferiti ad una concezione formale
statica dell’intervento, sono di conseguenza superati da
una nuova visione dinamica della città-regione o della
città-territorio, intesa quest’ultima come insieme di
relazioni dinamiche, nell’ambito di un processo generale
di crescita demografica e di avanzamento sociale.
La progettazione del sistema dei trasporti deve
corrispondere alla necessità ed all’obiettivo di integrare
la città ed il suo intorno diffusamente abitato. Da tempo,
le tendenze ravvisabili nella letteratura relativa alla
pianificazione territoriale associano all’area centrale il
suo intorno diffusamente abitato. In quest’ultimo vengono
individuati requisiti ambientali e linee strutturali che
pongono in discussione i contenuti tradizionali di
centralità della città e fanno avanzare l’esigenza di
comprensione e di rielaborazione delle relazioni urbane e
territoriali. Ne discende che nella pianificazione del
territorio urbano vanno preliminarmente analizzati i
rapporti che si intrecciano tra l’area centrale e quella più
esterna: a tali rapporti si correlano funzioni di riequilibrio
territoriale. Vanno maturando i tempi perché un’area
urbana non sia più intesa in quanto costituita da un
centro di qualità e da periferie marginali, ma da centri,
anche di differente peso, interagenti: il disegno di una
rete infrastrutturale che non sia più solo di trasporto, ma
soprattutto relazionale, potrebbe favorire questa
evoluzione.
Alla luce di queste considerazioni, per il sistema dei
servizi, e quindi per il sistema dei trasporti di un’area
urbana si impone la necessità di adeguare le
caratteristiche ad una gerarchia di funzioni esistenti e
future. Pertanto, la definizione del contesto territoriale
urbano è preliminare alla classificazione funzionale delle
strade, che potrà essere differente a seconda della
tipologia del territorio urbano considerato.
Occorre pertanto superare il modello di sviluppo
centripeto, influenzato dal capoluogo, senza tuttavia
ricadere in un modello fortemente disperso nel territorio,
prefigurante una pluralità di realtà urbane che,
nonostante la contiguità territoriale e la comunanza di
interessi, siano nel disordine protese alla ricerca di una
connotazione specifica. Occorre costruire un sistema
insediativo ed organizzativo di tipo policentrico a rete,
anche aperto verso l’esterno, nel senso che sia
riconosciuta ai nodi “di frontiera” la funzione di interfaccia
territoriale e relazionale con i territori esterni all’area
vasta (l’area conurbata che si va trasformando
assumendo la connotazione di area metropolitana), ed
anche parzialmente ridondante nel senso che sia
riconosciuta la necessità di replicare, sia pure
184
parzialmente, alcune funzioni, al fine di contrastare gli
effetti polarizzatori e gerarchizzanti.
Il Lungomare Poetto a Cagliari, è esempio di riconversione di una arteria di trasporto in un più vasto sistema di media, tesi a servire diversi modi di trasporto e diversi movimenti, a creare spazi condivisi, a ospitare nuove funzioni urbane. Occorre riflettere sulla visione dell’interconnessione
residenze - servizi, mobilità e ambiente, unica strategia
per organizzare e distribuire i servizi sul territorio, in
coerenza con la dislocazione della domanda. Occorre
conseguentemente elaborare piani cornice degli
interventi infrastrutturali, finalizzati alla soluzione delle
criticità della mobilità d’area vasta. I contenuti di tali piani
sono:
a) la concentrazione di nuovi insediamenti in prossimità
dei tracciati dei sistemi di TPL, con il potenziamento del
trasporto collettivo in sede propria;
b) la creazione di una piattaforma logistica derivante
dalla messa a sistema dei poli trasportistici presenti sul
territorio;
c) l’integrazione tra i differenti sistemi di trasporto
collettivo in sede propria che, utilizzando anche tracciati
esistenti in connessione con i servizi di trasporto
pubblico di superficie e le aree/strutture per la sosta ed il
parcheggio, si configuri come una una piattaforma
intermodale diffusa in previsione di un alleggerimento del
traffico veicolare sulle attuali reti stradali.
In sintesi, il piano cornice nel tempo deve raggiungere i
seguenti risultati:
- riorganizzare la distribuzione modale della domanda di
trasporto, realizzando un sistema di trasporto collettivo in
sede propria che sia la struttura portante della rete
infrastrutturale al servizio della mobilità;
- contenere i flussi pendolari verso l’area centrale
urbana, evitandovi la localizzazione di nuovi attrattori di
interessi o l’implementazione di quelli esistenti;
- ridurre i flussi pendolari verso l’area centrale urbana,
ponendo i servizi d’area vasta all’esterno dei quartieri
centrali di carente accessibilità e localizzandoli, in
prossimità delle linee di trasporto collettivo in sede
propria, in posizioni più prossime all’origine della
domanda, e quindi più accessibili.
Risolvere i problemi della mobilità in un’area
metropolitana significa assumere iniziative inquadrabili in
una politica di largo respiro, che a sua volta sia frutto di
una meditata concezione strategica: applicazione alla
politica dei trasporti di una visione pragmatica, e tuttavia
colta, onesta e preveggente dei fatti sociali. Progettare il
sistema infrastrutturale richiede preliminarmente la
conoscenza e l’analisi della città, delle dinamiche in atto
e gli scenari potenziali riflettendo sulla storia della stessa
area urbana. Progettare il sistema infrastrutturale
richiede che se ne consideri la sostenibilità ambientale,
anche propedeuticamente alla redazione dello stesso
progetto preliminare: devono essere individuate le aree
che non si prestano ad essere attraversate da nuove
infrastrutture, o da interventi di adeguamento di quelle
esistenti.
La mobilità, derivata dall’accelerazione del fenomeno di
ingrandimento delle città europee, verificatosi negli ultimi
cento anni, ed in particolare nei trent’anni successivi
all’ultimo dopoguerra, e dalla libertà lasciata alla
circolazione dei mezzi di trasporto individuali, sta
provocando la paralisi della circolazione in molte città.
Nella parte storica, costruita in gran parte per
spostamenti solo pedonali, il semplicistico adeguamento
all’autovettura ne sta comportando la distruzione o lo
stravolgimento. Il tasso di motorizzazione è certamente
cresciuto in termini patologici, ma specialmente è
patologico l’uso che i cittadini fanno del mezzo
individuale, in assenza di valide alternative.
La radiocentricità di un’area urbana non è solo un
problema di sistemi e di reti di strade, ma è anche un
segno che quasi tutti gli interessi e molte attività
gravitano sul centro storico e creano movimenti verso di
esso. La città è un organismo talmente complesso che
un singolo provvedimento, anche il migliore, potrebbe
non corrispondere alle sue esigenze. Una rete
metropolitana ha bisogno di un servizio di autobus per
accedere alle stazione periferiche; altrettanto, la stazione
metropolitana ha bisogno del parcheggio di scambio per
coloro che non hanno la possibilità di utilizzare l’autobus
per arrivarvi. Man mano che si entra in centro sono
importanti, nelle stazioni, le possibilità di interscambio tra
le diverse linee metropolitane e le linee di superficie. La
sosta dei veicoli individuali intorno al centro va vista in
relazione alle distanze di questi parcheggi dal luogo di
destinazione, come percorso pedonale che non deve
superare una lunghezza adeguata alla dimensione della
città, al tipo di servizio cui si deve accedere, alla
motivazione ed allo stesso protagonista dello
spostamento .
I modi d’uso dello spazio pubblico, i mezzi di trasporto
devono corrispondere alla struttura delle diverse zone
della città. In questo senso, il centro storico è la parte più
delicata per il suo valore storico ed architettonico, per la
sua densità sia di residenze che di attività culturali ed
economiche. L’identificazione del cittadino con questa
parte della città richiede una cura notevole dei valori,
come per esempio il diritto di uso degli spazi comuni.
Questi sono da considerare, prima di tutto, come luoghi
di incontro e di attività di vita cittadina, serviti bene dal
mezzo pubblico senza escludere un traffico di accesso
necessario e misurato. La destinazione di aree e
strutture di parcheggio per la residenza, l’aumento della
sicurezza del pedone, la riduzione drastica
dell’inquinamento sono metodi di incoraggiamento per la
residenza nel centro storico che occorre conservare
come elemento di equilibrio e di vita cittadina.
Purtroppo, dichiaratamente, le Norme escludono la
considerazione delle strade urbane al servizio delle zone
residenziali centrali e periferiche, e questa disattenzione
è testimoniata dal perdurare dell’assenza di qualsiasi tipo
di normativa. Non vengono quindi considerati gli aspetti
relativi alle esigenze degli utenti deboli della strada, non
esiste un metodo di progettazione studiato
appositamente per le persone coinvolte, che tenga conto
delle loro esigenze. Se si accetta la definizione di qualità
intesa come “grado di rispondenza delle prestazioni ai
requisiti che ne hanno prodotto la realizzazione” e si
riconosce che tutti gli utenti della strada hanno l’esigenza
di una circolazione non solo sicura ma anche piacevole,
appare evidente che le Norme non consentono di
progettare strade di qualità in maniera completa. Benchè
il controllo e la misura della qualità debbano trovare nella
Normativa il più pertinente campo applicativo, la Norma
non entra nel merito della progettazione delle sequenze
visive, della cura dell’arredo stradale e di quegli aspetti
che possono rendere la circolazione non solo sicura ma
anche piacevole, soddisfacendo integralmente le
esigenze di tutti gli utenti della strada. Le strade
residenziali sono spazi pubblici per molte attività e
funzioni e, in quanto tali, necessitano di particolari arredi,
quali i dispositivi per la limitazione della velocità dei
veicoli, per contribuire a migliorare la qualità della vita dei
residenti. Esse permettono la diffusione della luce e la
circolazione dell’aria, offrendo l’opportunità di creare
paesaggi con alberi ed arbusti, itinerari per passeggiate,
luoghi di conversazione, corsie riservate per i servizi
pubblici e strutture per il movimento, per la sosta ed il
rifornimento dei veicoli a motore. Alcune strade si aprono
sulle piazze, altre si stringono in vicoli, alcune
186
raggiungono fama e notorietà, ma la maggior parte sono
conosciute solo ai residenti ed a coloro che vi transitano
regolarmente. Le strade residenziali costituiscono uno
degli aspetti principali del tessuto urbano ed il loro buon
funzionamento può determinare la qualità stessa della
vita della città, la sicurezza, il comfort, il benessere dei
suoi cittadini. La funzione primaria delle strade
residenziali è quella di servire il territorio che vi si
affaccia, fornendo l’accesso alle abitazioni per tutti quelli
che entrano ed escono e per tutti coloro che consegnano
e ritirano merci; la loro progettazione deve perciò essere
finalizzata a questi obiettivi, rivestendo quindi un rilievo
peculiare nel governo della città, attento alle esigenze ed
al benessere dei suoi abitanti.
La classificazione delle strade
Tenuto conto degli obiettivi che il legislatore intende
perseguire attraverso la classificazione delle strade
(omogeneità delle caratteristiche tecniche nell’ambito
dello stesso tipo di infrastrutture, e conseguente
eventuale individuazione delle necessità di adeguamento
per assicurare il livello di prestazione corrispondente),
l’attività che devono svolgere gli Enti proprietari non può
che essere limitata al riconoscimento, per le singole
strade della rete di competenza, delle caratteristiche
costruttive proprie dell’uno o dell’altro tipo ed alla
conseguente attribuzione alle classi individuate dal
Nuovo Codice della Strada. Il momento della
ricognizione dello stato di fatto, finalizzato
all’individuazione delle caratteristiche tecniche della
strada (quali derivano dalla geometria della piattaforma e
del tracciato, nonché dagli standard generali
dell’infrastruttura) deve essere contestuale, ai fini della
classificazione, ad una valutazione complessiva della
rete che porti a definire, in ragione del ruolo e del traffico
servito, il rapporto di gerarchia funzionale che intercorre
tra le singole strade. Detta valutazione non riguarda
solamente la rete di competenza del singolo Ente
proprietario, ma deve essere estesa all’intero sistema
infrastrutturale presente nel territorio interessato, così da
non trascurare gli aspetti di complementarietà con le
altre infrastrutture di trasporto.
Le Norme individuano alcuni fattori fondamentali che,
caratterizzando le reti stradali dal punto di vista
funzionale, consentono di collocare la rete oggetto di
studio in una classe precisa. Essi sono:
a) tipo di movimento servito (transito, distribuzione,
penetrazione, accessibilità);
b) entità dello spostamento (distanza mediamente
percorsa dai veicoli);
c) funzione assolta nel contesto territoriale attraversato
(collegamento nazionale, interregionale, provinciale,
locale);
d) componenti di traffico e relative categorie (veicoli
leggeri, veicoli pesanti, motoveicoli, pedoni, etc.).
La rete esistente
In una corretta prospettiva di valorizzazione delle risorse
infrastrutturali esistenti, non si può prescindere dalla
valutazione del ruolo e della funzione che la strada
assolve all’interno della rete. Devono essere esaminati
quindi i Piani di inquadramento e di programmazione
dello sviluppo della rete considerata (Piano Nazionale
dei Trasporti, Piani Regionali dei Trasporti, Piani
Urbanistici Comunali o altri strumenti di Piano) e vanno
individuate le funzioni assolte o assegnate come
obiettivo. Piani quali quelli suddetti prefigurano la
razionalizzazione della rete esistente, o il suo
adeguamento oppure potenziamento, in una previsione
di sviluppo territoriale di medio-lungo termine. La loro
finalità si pone quindi con un obiettivo diverso rispetto a
quello dei Piani Urbani del Traffico o dei Piani di Traffico
per la Viabilità Extraurbana che, attraverso misure
soprattutto di immediata realizzabilità, sono finalizzati a
contenere le più evidenti criticità della circolazione. In
caso di carenza degli strumenti di Piano sopra definiti,
sarà cura dell’Ente proprietario, con il coordinamento di
un Ente di governo regionale, sovra-regionale e/o di area
urbana, individuare la funzione provvisoria assegnata
all’infrastruttura, in attesa della definizione di un Piano.
Una valutazione orientativa può essere fatta in base agli
elementi indicati in precedenza, che precisa le funzioni
assegnate con riferimento al livello gerarchico ed al tipo
di traffico servito; per ciascun livello gerarchico è
possibile individuare il tipo corrispondente, a partire dalle
prestazioni richieste e dai necessari requisiti di
sicurezza.
Con riferimento a quanto previsto dalla classificazione
funzionale delle strade ed in considerazione dei quattro
fattori fondamentali suddetti, la Normativa individua nel
sistema globale delle infrastrutture stradali, a servizio di
un determinato territorio, quattro livelli di rete, ai quali
assegna determinate funzioni e corrispondenze con i tipi
di strade previsti:
- rete primaria;
- rete principale,
- rete secondaria;
- rete locale.
La rete primaria individua il livello più importante:
a) movimento servito = transito, scorrimento;
b) entità dello spostamento = lunghe distanze;
c) funzione nel territorio = nazionale ed interregionale in
ambito extraurbano; disimpegna il traffico di transito
rispetto all’area urbana;
d) componenti di traffico = limitate (autoveicoli, motocicli,
etc.).
La rete principale rappresenta il secondo livello:
a) movimento servito = distribuzione dalla rete primaria
alla secondaria;
b) entità dello spostamento = medie distanze;
c) funzione nel territorio = interregionale e regionale in
ambito extraurbano; compresa completamente in area
urbana, distribuisce il traffico delle strade primarie e
raccoglie quello delle strade di quartiere;
d) componenti di traffico = limitate (autoveicoli, motocicli,
etc.).
La rete secondaria rappresenta il terzo livello:
a) movimento servito = penetrazione verso la rete locale;
b) entità dello spostamento = distanza ridotta;
c) funzione nel territorio = provinciale ed interlocale in
ambito extraurbano; compresa in un settore dell’area
urbana, serve di collegamento tra quartieri dell’area
urbana, distribuisce il traffico delle strade principali e
raccoglie quello delle strade locali;
d) componenti di traffico = tutte le componenti.
La rete locale rappresenta il quarto ed ultimo livello:
a) movimento servito = accesso;
b) entità dello spostamento = breve distanza;
c) funzione nel territorio = interlocale e comunale in
ambito extraurbano; interamente compresa all’interno di
un quartiere, a servizio diretto degli insediamenti,
raccoglie il traffico per immetterlo sulle strade
secondarie;
d) componenti di traffico = tutte le componenti, con
limitazioni per gli autoveicoli commerciali destinati al
trasporto delle merci e per gli autoveicoli in servizio di
trasporto pubblico di linea.
Una volta collocate le reti stradali nelle rispettive classi
funzionali, la Normativa si sofferma sugli elementi che le
costituiscono (le strade) definendone le caratteristiche di
uso e di collocazione più idonee. L’idea base è quella di
omogeneizzare la funzione principale assegnata alle
singole strade con quella propria della rete di
appartenenza. Tale obiettivo non può essere
completamente raggiunto: al massimo si può ottenere
una coerenza funzionale tra rete ed elemento stradale.
Per tale motivo nella Normativa la singola strada, posta a
servizio di un determinato ambito territoriale è
caratterizzata non solo da una funzione principale,
propria della classe cui appartiene, ma anche da
eventuali funzioni secondarie, corrispondenti alle funzioni
principali delle classi attigue a quella propria cui
appartiene la strada considerata.
Pertanto, le strade vengono classificate in modo analogo
alle reti, sicchè si parla di :
- strada primaria;
- strada principale;
- strada secondaria;
- strada locale.
Ognuna di queste strade ha quindi una funzione
principale ed una (o due) funzioni secondarie,
corrispondenti alle funzioni principali delle classi
contigue. Ciò può anche dipendere dalla dimensione
dell’area urbana: potrebbe essere che un itinerario,
nell’ambito della stessa area urbana, assolva
progressivamente differenti funzioni sempre individuate
in classi contigue.
Come detto, occorre contestualmente riconoscere per
ciascuna strada la sussistenza dei requisiti tecnici
previsti dal Codice e delle altre caratteristiche costruttive
capaci di garantire un adeguato grado di sicurezza della
circolazione. Non è raro che le caratteristiche rilevate
non consentano la classificazione nell’uno o nell’altro tipo
di strada. Pertanto occorre esaminare:
a) il tipo di interventi da realizzare per la classificazione
attesa;
b) la necessità o meno dei suddetti interventi per
assicurare la rete di data gerarchia territoriale;
c) le conseguenze sull’organizzazione delle rete viaria
dell’assimilazione ad una classe inferiore;
d) l’eventuale ordine di priorità degli interventi allo scopo
di assicurare l’esistenza delle differenti reti viarie, anche
188
con la classificazione in deroga, unita a norme di
salvaguardia.
Se viene riscontrata la non sussistenza di tutti i requisiti
richiesti, occorre distinguere se le difformità rilevate sono
localizzate oppure generalizzate. Nel primo caso deve
trattarsi di difformità dai requisiti tecnici e funzionali della
classe attesa, localizzate su una breve estensione della
strada in esame ed assolutamente non generalizzate
lungo tutto il percorso, nonché in presenza di condizioni
vincolanti locali che non consentono l’adeguamento di
tale tratto difforme alla classe di tutta la rimanente estesa
della strada. Accertato che le difformità siano localizzate,
si può procedere alla classificazione in deroga, sempre
che sia assicurata la sicurezza stradale e siano evitati gli
inquinamenti. Vale anche in questo caso l’eventuale
ricorso a norme di salvaguardia.
Nell’altro caso, quando le difformità sono generalizzate si
procede a verificare se le caratteristiche tecniche e
funzionali della strada corrispondono a quanto contenuto
nei B.U. n° 60/78 e 78/80 del C.N.R. In caso di verifica
non soddisfatta può essere considerata una classe
inferiore oppure la strada deve essere ritenuta “non
classificabile”. In tale ultimo caso nasce un periodo di
gestione transitoria dell’infrastruttura, con l’esigenza di
assicurare la sicurezza della circolazione attraverso uno
studio specifico e con la contemporanea progettazione
del suo adeguamento.
Mentre per il controllo degli inquinamenti si rimanda alla
legislazione specifica vigente, l’analisi delle condizioni di
sicurezza stradale deve essere effettuata attraverso
l’esame dell’incidentalità. Nel caso in cui si sia giunti ad
una definizione di “non classificabile”, sarà compito
dell’Ente proprietario esaminare anzitutto quali
provvedimenti di regolamentazione della circolazione
debbano essere assunti per garantire la sicurezza. Ciò
deve venir attuato attraverso uno studio specifico, basato
sulla geometria effettiva rilevata e sui dati di incidentalità
osservati con particolare attenzione agli accessi ed alle
intersezioni con la rete viaria connessa. Di pari passo
deve procedere il progetto per il recupero funzionale
della strada, in modo da poterla classificare nella
tipologia desiderata. In questa fase, in cui la strada
rimane non classificabile, per non compromettere la
funzione di rete individuata nel corso della procedura di
classificazione, l’Ente proprietario può ricorrere
all’adozione di misure di salvaguardia. Il progetto di
recupero funzionale, unito all’adozione di misure di
salvaguardia può pertanto essere tale da rendere la
strada esistente assimilabile alla classe inferiore, sempre
che lo schema organizzativo della rete viaria consenta
una tale decisione.
Sulla strada possono circolare, a norma del Codice, tre
componenti di traffico:
- pedoni;
- veicoli;
- animali.
I veicoli sono classificati nel Codice della Strada.
Le funzioni di traffico ammesse per la circolazione sulla
sede stradale sono:
- movimento;
- sosta di emergenza;
- sosta;
- accesso privato diretto.
Al fine di pervenire all’identificazione degli spazi stradali
necessari alle diverse componenti di traffico per
assolvere le funzioni previste, nel rispetto dei criteri di
sicurezza e regolarità della circolazione esposti in
precedenza, le componenti di traffico, le classi veicolari e
le funzioni ammesse sono state raggruppate in
quattordici categorie di traffico, omogenee per
caratteristiche ed esigenze funzionali. Ad ogni categoria
corrisponde uno spazio stradale che, nella composizione
finale della sezione corrente, può essere autonomo o
comune a più categorie compatibili. L’assegnazione delle
categorie di traffico ai diversi tipi di strada prevede
l’ulteriore distinzione tra strada principale e strada di
servizio per poter consentire, sulla stessa piattaforma,
funzioni di traffico per veicoli appartenenti a categorie
non compatibili tra loro.
La strada in area urbana
Nel caso delle strade in area urbana occorre partire dalla
considerazione di due realtà che le differenziano dalle
strade extraurbane:
- le componenti di traffico;
- le fasce di pertinenza.
Le componenti di traffico sono quattro:
- movimento degli autoveicoli privati;
- movimento degli autoveicoli in servizio pubblico di linea;
- sosta degli autoveicoli privati;
- correnti pedonali.
Questa individuazione invita il progettista a tener conto
delle esigenze specifiche e quindi degli spazi necessari
per ciascuna delle componenti anzidette, al fine di
evitare, nell’ambito dell’area urbana (conurbata e/o
metropolitana), che perdurino le attuali deleterie
situazioni di promiscuità di funzioni svolte dalle
carreggiate o dalle singole corsie stradali: questa
rappresenta la principale causa di congestione del
traffico urbano.
La riconversione e l’adeguamento di un’opera viaria può
contribuire a ridurre l’effetto di cesura del tessuto urbano
La separazione sostanziale tra le componenti di traffico
riguarda la normalizzazione delle fasce di pertinenza,
collocate ai due lati della carreggiata. Queste fasce, che
pur concorrono a ridurre gli effetti negativi conseguenti
all’inquinamento atmosferico ed acustico generato dal
traffico veicolare, tuttavia si distinguono dalle “distanze di
rispetto” proprie della normativa urbanistica, cui
direttamente compete la completa riduzione degli effetti
dannosi, e comprendono tutti gli accessori rivolti al
soddisfacimento delle esigenze delle componenti
aggiuntive rispetto agli autoveicoli privati, indispensabili
affinché le strade urbane adempiano esaurientemente
alle funzioni per le quali vengono progettate. Sono
destinate al mantenimento dei livelli di fluidità della
circolazione veicolare previsti per ciascun tipo di strada:
sorprende quest’affermazione di contenuto generale,
propria delle Istruzioni C.N.R., che pare individuare nella
componente “movimento degli autoveicoli privati” la
principale utenza delle strade urbane. In disaccordo con
la suddetta impostazione, si ritiene che le quattro
componenti di traffico, in una logica di riorganizzazione e
di governo della mobilità, che veda il riferimento
principale nell’ uomo-pedone, debbano essere riordinate
come segue:
- flussi pedonali;
- movimento degli autoveicoli in servizio di trasporto
pubblico di linea;
- sosta degli autoveicoli privati (il sistema delle aree di
sosta e di parcheggio in rapporto alle infrastrutture ed
alle linee di trasporto collettivo);
- movimento degli autoveicoli privati.
La denominazione fondamentale dei tipi di strada in area
urbana viene stabilita prevalentemente con riferimento
all’ambito territoriale interessato; la loro definizione viene
ulteriormente specificata in rapporto alle funzioni ad essi
affidate dalla pianificazione territoriale e,
conseguentemente, alle caratteristiche del traffico che le
interessa. Ne deriva che la stessa classificazione, in
quanto in rapporto alle differenti funzioni in una
determinata area, è il risultato del Piano dei Trasporti: la
singola strada va classificata e quindi adeguata alla
nuova funzione, nell’ambito di un sistema integrato ed
intermodale.
Occorre anche considerare che nella classificazione di
un singolo elemento di una rete viaria esistente si deve
tener conto delle disponibilità di aree per la
progettazione/costruzione dei margini: se questi non
esistono, va considerata la rete viaria per esaminare se,
con il supporto di altri itinerari, il singolo elemento può
svolgere la funzione che richiede determinate fasce di
pertinenza. Per esempio, è importante esaminare se
esistono aree o strutture per la realizzazione di
parcheggi per assicurare l’intermodalità e la fluidità delle
correnti veicolari. Nella classificazione di una rete viaria è
altrettanto importante, relativamente alla rete
interconnessa, localizzare e scegliere il tipo delle
intersezioni, per assicurare il funzionamento della rete e
del singolo itinerario.
Le Norme2 riguardano la progettazione delle nuove
strade urbane, compresi gli itinerari di circonvallazione,
2 Il complesso normativo considera i seguenti tipi di strada: - strade primarie, denominate nel Decreto del 2001, autostrade urbane; - strade di scorrimento; - strade di quartiere; - strade locali. Sono strade primarie i tronchi terminali o passanti di strade extraurbane; raccolgono e distribuiscono prevalentemente il traffico di scambio tra i territori urbano ed extraurbano; possono disimpegnare il traffico di transito rispetto all’area urbana (strade di circonvallazione); si connettono solo con le strade di scorrimento. Le strade di questo tipo possono comprendere sia autostrade chiuse, sia altre strade extraurbane nei relativi attraversamenti dei centri abitati. Esiste una sostanziale differenza fra le due; mentre le autostrade, le cui funzioni e caratteristiche rimangono sostanzialmente invariate lungo tutto il percorso ed appartengono sempre alla classe delle strade primarie,
190
le altre strade invece, in generale fortemente condizionate dalle zone urbane attraversate, possono avere singoli tronchi appartenenti anche alle classi di strade successivamente elencate, purchè strettamente contigue, in quanto spesso sono chiamate a svolgere anche tutte le funzioni inferiori. Si impone, in proposito, la considerazione che i sistemi viari esistenti, al servizio delle aree urbane, vadano adeguati, prevedendo la realizzazione di nuove strade di circonvallazione, al fine di evitare situazioni nelle quali si abbia il decadimento della sicurezza nelle aree attraversate. Relativamente a queste strade, tra le quattordici categorie di traffico, sono ammessi: - autovetture; - autobus; - autocarri; - autotreni, è ammessa la sosta di emergenza in spazio (piattaforma) esterno alla carreggiata. Nelle strade di servizio alle autostrade urbane sono ammessi i pedoni su marciapiedi di servizio. Sono ammessi in spazi esterni alla carreggiata: - animali; - veicoli su rotaia; - velocipedi; - sosta di emergenza; - sosta. Vi è ammesso l’accesso privato diretto. Sono strade di scorrimento le strade comprese completamente in area urbana; garantiscono la fluidità degli spostamenti veicolari di scambio o interni all’ambito urbano; distribuiscono il traffico delle strade primarie e raccolgono quello delle strade interquartieri. Per le aree medio-grandi, le strade di questo tipo possono anche essere al servizio di singoli settori urbani ed assicurare collegamenti veloci tra punti lontani di quartieri limitrofi di grandi dimensioni: in un’area urbana ne possono essere intesi quartieri gli insediamenti urbanizzati di comuni autonomi. Esse inoltre possono servire, attraverso apposite carreggiate di servizio, insediamenti e spazi stradali di particolare interesse. Le carreggiate di servizio hanno in questo caso le caratteristiche delle strade di classe inferiore (strade interquartieri), in quanto la loro funzione è quella di concentrare in luoghi opportuni le manovre di svolta e le entrate e le uscite per le aree di sosta ed i passi carrabili. Nelle strade di scorrimento non sono ammessi: - pedoni, se non su marciapiedi di servizio; - animali; - veicoli a braccia e a trazione animale; - veicoli su rotaia; - sosta. Sono ammessi in spazi esterni alla carreggiata i velocipedi; è ammessa parzialmente in carreggiata la sosta di emergenza. Nelle strade di servizio alle strade di scorrimento sono ammessi i pedoni su marciapiedi di servizio. Sono ammessi parzialmente in carreggiata: - animali; - sosta di emergenza. Sono ammessi su spazi esterni alla carreggiata: - veicoli su rotaia; - velocipedi; - sosta. Vi è ammesso l’accesso privato diretto. Sono strade interquartiere quelle interamente comprese solo in un settore dell’area urbana; servono di collegamento tra quartieri (della stessa area urbana); distribuiscono il traffico proveniente dalle strade di scorrimento e raccolgono quello delle strade locali. A questo tipo appartengono anche quelle strade, interne ad un quartiere, destinate a servire, attraverso elementi viari complementari o sussidiari, gli insediamenti principali del quartiere (servizi, attrezzature, etc.) e ad assicurare facili collegamenti tra punti estremi del quartiere medesimo. Le strade di questo tipo possono anche avere una qualificazione di tipo industriale, qualora, attraversando comprensori utilizzati o destinati ad insediamenti industriali, la corrente veicolare sia costituita prevalentemente da automezzi pesanti, destinati al trasporto delle merci, oltre che dai veicoli per gli addetti. Nelle strade interquartiere non sono ammessi, se non su spazi riservati (marciapiedi), i pedoni. E’ ammessa parzialmente in carreggiata la sosta di emergenza. Sono ammessi in spazi esterni alla carreggiata: - velocipedi; -
qualunque sia l’Amministrazione competente, e le strade
private interne agli abitati, comunque aperte all’uso
pubblico (zone industriali, aree portuali ed aeroportuali,
lottizzazioni, etc.): esse comunque forniscono anche
elementi di indirizzo per l’adeguamento delle reti viarie
urbane esistenti, come più sopra richiamato.
Per le aree urbane di più modeste dimensioni, dove in
pratica esiste solamente una strada principale ed un
numero limitato di strade trasversali, si possono adottare
rispettivamente gli ultimi due tipi di strade, con
assegnazione alla strada principale di tutte le funzioni
indicate per i primi tre tipi; alle strade trasversali
rimangono invece solo le funzioni di strada locale.
Sembra opportuno prevedere strade di circonvallazione
con caratteristiche geometriche e di progetto
quantomeno di strade di scorrimento nel caso in cui tali
aree possano essere attraversate dal trasporto di merci
pericolose ed inquinanti.
Procedendo in ordine decrescente, sia in ambito
extraurbano che in quello urbano, nella gerarchia
prefissata per le reti, si verifica che la velocità media di
percorrenza decresce e la qualità del servizio offerto
diminuisce rapidamente all’aumentare dell’entità della
corrente veicolare. Ciò è determinato dalle inferiori
caratteristiche geometriche e di progetto, e tuttavia in
ogni elemento della rete il risultato della progettazione è
che devono essere assicurate le condizioni di flusso
stabile fino al termine della vita utile.
Inoltre non deve essere sottovalutata nell’ambito del
fattore “componenti di traffico” la variabile “veicoli
veicoli su rotaia; - sosta. Sono ammessi gli accessi privati diretti. Sono strade locali (di quartiere) quelle interamente comprese all’interno di un quartiere, a servizio diretto degli insediamenti; raccolgono il traffico per immetterlo sulle strade interquartieri. Per queste, e solo per queste, il riferimento è all’area urbana, come intesa nella Legge 865/1971 e successive modifiche ed integrazioni (l’aggregato urbano). In proposito, non si ritiene che vi possano essere ammesse indiscriminatamente tutte le componenti di traffico. Pertanto è necessario introdurre limitazioni per gli automezzi pesanti destinati al trasporto delle merci e per gli autoveicoli in servizio pubblico di linea. Inoltre le strade locali devono servire il tessuto in cui si snodano e sono da evitare: - il traffico che usa le strade come scorciatoie e come deviazioni da arterie congestionate; - il traffico eccessivamente veloce; - il traffico parassita, con le manovre inerenti la ricerca e l’uscita dai parcheggi, e con l’uso dello spazio dei marciapiedi per la sosta dei veicoli. Sono ammessi su spazi esterni alla carreggiata: - sosta di emergenza; - sosta. Sono ammessi gli accessi privati diretti.
pesanti” che, oltre a dare implicitamente indicazioni sulla
tipologia di movimento servito, pone l’accento
sull’eventuale necessità di istituire “canali di traffico
preferenziali” da introdurre come elementi fondamentali
delle reti stradali a destinazione specifica.
Pertanto, dal complesso normativo deriva, in particolare
che:
- nelle strade di scorrimento:
a) la regolazione dei mezzi pubblici è con corsie
riservate e/o fermate organizzate;
b) la sosta è ammessa su spazi separati con immissioni
ed uscite concentrate;
- nelle strade interquartieri:
a) la regolazione dei mezzi pubblici è con piazzole di
fermata o eventuale corsia riservata;
b) la regolazione della sosta è ammessa con immissioni
ed uscite libere (corsia di manovra);
- nelle strade locali possono essere ammessi i mezzi
pubblici, ma le dimensioni delle corsie e la
geometria dell’asse vanno commisurate con le
esigenze dei veicoli che realizzano i servizi
pubblici di linea.
Ne segue che una linea di trasporto collettivo in sede
propria, di norma, è ammessa solo su strade di
scorrimento e su strade interquartieri, e che queste
devono essere progettate con particolare attenzione al
trasporto collettivo, qualora si intenda fondare su esso il
governo della mobilità urbana. La progettazione delle
strade locali, al servizio delle zone residenziali centrali e
periferiche deve dare particolare attenzione ai flussi
pedonali, ed individuare in essi l’utenza principale.
Il complesso normativo non tratta la novità dell’asse
urbano attrezzato. Esso si differenzia dagli altri sistemi
viari per avere solitamente un limitato numero di scambi
con la viabilità urbana ed extraurbana, risolti mediante
svincoli attrezzati, e per essere in genere complesso.
L’asse attrezzato può risultare costituito da più sedi viarie
a diversa funzione e consistenza tecnica, che possono
assumere varie configurazioni (anche sovrapposte) ed
essere di tipo disomogeneo (strade automobilistiche,
ferroviarie, metropolitane, monorotaie, condotte per il
trasporto dell’energia elettrica, etc.): questa definizione
lascia pensare ad una variante delle strada di
scorrimento. In passato, l’asse attrezzato fu inteso
generalmente come sistema viario complesso con
funzioni di organizzazione dell’intera rete dei trasporti
urbani e di drenaggio per quelli di attraversamento e
penetrazione nella città, costituendo inoltre, data la
prevista concentrazione, lungo il suo sviluppo, di
attrezzature direzionali, residenziali e terziarie, l’ossatura
funzionale e figurativa della nuova città.
L’ opera viaria può divenire evento generatore di nuovi scenari
urbani, spazio da vivere, aperto a diversi usi ed episodi
In particolare, relativamente alle fasce di pertinenza, in
esse possono trovare collocazione banchine e piazzole o
corsie per la sosta di emergenza, stalli di sosta e relative
corsie di manovra, fermate dei mezzi pubblici e relative
pensiline, isole spartitraffico e separatori fisici tra
movimenti e soste veicolari, fasce a verde, anche
alberate, piste ciclabili, carreggiate di servizio,
marciapiedi e passaggi pedonali di servizio. Le fasce di
pertinenza non possono essere riservate a futuri
ampliamenti delle carreggiate: per questi ultimi debbono
essere eventualmente previste le necessarie larghezze
aggiuntive già in sede di progetto.
Le profondità delle fasce laterali consentono,
rispettivamente, i seguenti usi-tipo delle fasce di
pertinenza:
a) per le strade locali, una corsia di sosta parallela ed un
marciapiede;
b) per le strade interquartieri, una corsia di sosta a 45°
con regolamentazione a tempo e/o a tariffa, la relativa
corsia di manovra ed un marciapiede;
c) per le strade di scorrimento, una banchina, uno
spartitraffico laterale di separazione dalla carreggiata di
servizio, una carreggiata di servizio, con funzione di
concentrazione delle manovre di svolta e delle entrate ed
uscite dai passi carrabili, di eventuali inversioni di marcia,
controllate con regolamentazione semaforica, e di sosta
con relative corsie di marcia ed un marciapiede;
d) per le strade primarie, una corsia per la sosta di
emergenza, uno spartitraffico laterale, eventualmente
organizzato con piste di accelerazione e decelerazione
192
per i movimenti da e per le carreggiate di servizio, ed
una serie di possibili apprestamenti anche non al limite
minimo di dimensionamento (come scarpate di rilevati e
di trincee non acclivi, etc.);
Per le strade a sezione composita (carreggiate affiancate
da strade di categoria contigua), considerato che le
funzioni di servizio passano alle carreggiate laterali, le
fasce di pertinenza possono essere commisurate alla
carreggiata di categoria inferiore, ad eccezione del caso
di concomitanza sulla stessa sede di strade interquartieri
e locali, nella cui evenienza le fasce di pertinenza sono
quelle delle strade interquartieri.
Ai quattro livelli funzionali di rete sopracitati deve essere
aggiunto il livello terminale, che si identifica con le
aree/strutture predisposte per la sosta dei veicoli, limitate
anche a poche unità di superficie, e che risulta
caratterizzato nel modo che segue:
a) movimento servito = sosta;
b) entità dello spostamento = nulla;
c) funzione nel territorio = locale;
d) componenti di traffico = tutte le componenti.
In particolare per le strade urbane, la sicurezza e la
fluidità del traffico sulle strade di scorrimento si
ottengono attraverso la separazione fisica del movimento
dei veicoli dalla sosta, evitando la sovrapposizione delle
funzioni, su una stessa carreggiata, di marcia normale
dei veicoli e di manovre di entrata e di uscita dalla sosta.
La coesistenza delle funzioni è ammessa sulle strade di
categoria inferiore e precisamente:
1) su quelle interquartiere, a condizione che sullo stesso
lato ove è consentita la sosta risulti disponibile una
corsia ad esclusivo servizio delle manovre di sosta ed
opportunamente differenziata per aspetto o struttura
della pavimentazione;
2) su quelle locali senza particolari limitazioni.
Le carreggiate-parcheggio, costituite da corsie di sosta e
relative corsia di manovra, vanno adottate a fianco delle
carreggiate di movimento, ovvero a sé stanti (delimitate
da marciapiedi) a costituire le strade-parcheggio.
Occorre tuttavia notare che le dotazioni di sosta indicate
in Normativa sono riferite alla sosta di breve durata, con
avvicendamento frequente dei veicoli.
Per quanto riguarda la regolazione dei mezzi pubblici,
vengono indicate le condizioni che regolano la possibilità
di fermata dei mezzi pubblici e viene specificato in quali
casi sia necessaria la presenza di una corsia riservata.
La fermata va comunque organizzata all’esterno della
carreggiata.
E’ evidente che efficaci interventi sulla rete viaria
esistente, volti ad aumentare le aree/strutture per la
sosta dei veicoli, possono portare (anche a breve
termine) ad un generale miglioramento della capacità del
sistema di trasporto collettivo soprattutto in ambito
urbano. La realizzazione di aree e strutture di parcheggio
può essere rivolta a realizzare un sistema finalizzato a
ridurre la presenza parassita di autoveicoli parcheggiati
nelle strade, così da recuperare spazi per le linee di
superficie, le piste ciclabili, le stesse aree destinate ai
flussi pedonali.
In linea teorica, la funzione principale assegnata alla
singola strada deve coincidere con quella propria della
rete di appartenenza. In realtà, si può raggiungere solo
una coerenza funzionale tra rete ed elemento stradale; a
tal proposito può essere utile definire per il singolo tronco
stradale una funzione principale ed eventuali funzioni
secondarie le quali però, per garantire il buon
funzionamento della rete, devono corrispondere alle
funzioni principali delle classi contigue a quella propria
dell’elemento oggetto di studio. Da ciò emerge che, per il
buon funzionamento del sistema globale, è necessaria
una chiara attribuzione di funzioni alle singole reti ed una
precisa individuazione delle funzioni principali e
secondarie per gli archi di esse; in questo modo è
possibile evitare che i singoli elementi stradali
appartengano contemporaneamente a diverse classi di
reti. Per assicurare il funzionamento del sistema globale
devono essere aggiunte le interconnessioni (le
intersezioni) che, se omogenee, collegano strade della
stessa rete e, se disomogenee, collegano di norma
strade appartenenti a reti di livello funzionale adiacente.
Si individuano le seguenti classi:
- interconnessione primaria, nella rete primaria e tra rete
primaria e rete principale;
- interconnessione principale, nella rete principale e tra
rete principale e rete secondaria;
- interconnessione secondaria, nella rete secondaria e
tra rete secondaria e rete locale;
- interconnessione locale, nella rete locale.
Tali nodi o interconnessioni hanno caratteristiche
tecniche diverse a seconda della classe funzionale alla
quale appartengono. Inoltre essi sono presenti in numero
crescente al diminuire della collocazione gerarchica delle
strade, e tale situazione può tradursi in una crescente
diminuzione della sicurezza delle intersezioni.
Le normative vigenti non danno indicazioni esplicite per
la progettazione/adeguamento delle strade in area
urbana, così come per le strade extraurbane. Pertanto si
ritiene che le Norme, sempre e solo riferite alle strade
extraurbane, prevalentemente rivolte alla progettazione
dei tracciati plano-altimetrici, possano essere utilizzate
per le autostrade urbane e per le strade di scorrimento,
così come più sopra definite ed in quanto
prevalentemente interessate dalla presenza di una
componente prevalente: il movimento degli autoveicoli.
Per le strade interquartiere e quelle locali si ritiene che il
loro adeguamento debba essere soprattutto rivolto alla
progettazione delle fasce di pertinenza, così da
assicurare il soddisfacimento equilibrato delle esigenze
delle componenti alle quali tali strade sono dedicate.
Infine, per tutte si impone l’attenzione alla gestione delle
fasce laterali e delle aree intercluse, nell’obiettivo di un
più corretto inserimento ambientale finalizzato alla
salvaguardia, al recupero ed alla valorizzazione dei
contesti attraversati.
Il sistema infrastrutturale in area urbana
Usualmente, la progettazione di un’infrastruttura viaria è
redatta attraverso tre progressivi livelli di
approfondimento: progetto preliminare, progetto
definitivo e progetto esecutivo. La progettazione si ispira
a principi di minimizzazione dell’impegno di risorse non
rinnovabili e di massimo riutilizzo delle risorse impegnate
dall’intervento, oltre che di massima manutenibilità,
durabilità dei materiali e dei componenti, sostituibilità
degli elementi, compatibilità dei materiali ed agevole
controllabilità delle prestazioni dell’intervento nel tempo.
Nella redazione/valutazione di un progetto è ormai
assodata l’attenzione all’impatto ambientale; per esso si
intende l’alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta
ed indiretta, a breve e lungo termine, permanente o
temporanea, singola o cumulativa, positiva e negativa
dell’ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori
antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici,
paesaggistici, architettonici, culturali, economici, in
conseguenza dell’attuazione sul territorio di piani,
programmi, progetti nelle diverse fasi della loro
realizzazione, gestione e dismissione, nonché di
eventuali malfunzionamenti.
Il problema della sostenibilità ambientale dell’opera viene
affrontato sin dall’avvio della progettazione nel
documento preliminare; esso definisce le caratteristiche
qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze
da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire.
Consiste in elaborati che illustrano le ragioni della scelta
della soluzione prospettata, in un confronto con altre
soluzioni possibili, con riferimento ai profili ambientali ed
all’utilizzo dei materiali provenienti dalle attività di riuso e
di riciclaggio, nonché la sua fattibilità amministrativa e
tecnica, accertata attraverso la valutazione, di prima
approssimazione, dei costi, da determinare in relazione
ai benefici previsti. Il progetto definitivo individua
compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle
esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle
indicazioni definiti nel progetto preliminare; contiene tutti
gli elementi necessari ai fini del rilascio delle prescritte
autorizzazioni ed approvazioni. Il progetto esecutivo,
redatto in conformità al progetto definitivo, determina, in
ogni dettaglio, i lavori da realizzare e deve essere
sviluppato ad un livello di definizione tale da consentire
che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia,
qualità, dimensione e prezzo.
Attraverso la redazione dello Studio di impatto
ambientale, nell’ambito dei progetti preliminare e
definitivo, ci si pone preventivamente il problema del
complessivo rapporto di un intervento con la regione
attraversata, stimando i rischi connessi alla costruzione
dell’infrastruttura, considerando i vincoli della
progettazione, dati da condizioni-obiettivo, da soddisfare
per realizzare un dato schema organizzativo del
territorio. Pertanto, i vincoli fisici, naturalistici, anche
dipendenti dal mantenimento degli equilibri preesistenti,
vanno esaminati nell’assegnazione dell’itinerario in
esame e valutandone esattamente le funzioni che sarà
chiamato ad assolvere. La redazione di uno Studio di
impatto ambientale, così inteso è una parte importante
della progettazione, significa non solo limitare le
alterazioni degli equilibri preesistenti, bensì ripristinarli
nel corso della progettazione e dell’esecuzione
dell’opera.
In particolare, dal Piano dei trasporti e dal progetto
preliminare derivano indicazioni sulle differenti criticità
della regione attraversata, sui differenti interventi
necessari, sulle caratteristiche dell’opera viaria, in
194
particolare delle sue opere d’arte e dello stesso tracciato
plano-altimetrico, e sullo stesso ordine di priorità nella
progettazione e nella realizzazione dei differenti lotti
funzionali della rete viaria. Può essere la priorità degli
interventi infrastrutturali a determinare la priorità delle
attività volte a sanare le criticità ambientali del contesto
attraversato; può essere la necessità/volontà di risolvere
un problema infrastrutturale, rispondente ad un disegno
di assetto territoriale, a trascinare la necessità di
intervenire sull’ambiente per sanarne le criticità. Ne
risulta che la progettazione dell’itinerario concorre ad
evidenziare le criticità ambientali e la necessità di
risolverle: il complessivo progetto dell’opera, rispondente
a criteri di sostenibilità della stessa, conduce a
progettare l’infrastruttura come parte del territorio,
conosciuto e riconosciuto nelle sue caratteristiche e nelle
sue criticità, nella scelta culturale di trovare le ragioni ed i
modi per incrementare i benefici positivi derivanti dalla
progettazione dell’opera.
Secondo questa impostazione va posta particolare
attenzione ad un tema strategico per lo sviluppo socio-
economico di un dato territorio: l’adeguamento del
patrimonio strutturale ed infrastrutturale esistenti, nella
convinzione che argomento di studio, di ricerca e di
progettazione è il recupero e la riqualificazione
dell’esistente. Si pensi ai centri storici delle nostre città,
alle periferie prive di identità urbana e quindi da
recuperare, alle linee ferroviarie, da riutilizzare, in parte,
quali metropolitane di differente livello territoriale, ed alle
stesse strade. In quest’ottica, il tema della
progettazione/adeguamento di un sistema viario deve
essere ricondotto nell’ambito più complessivo della
gestione del patrimonio infrastrutturale, comprensiva
delle attività di pianificazione, progettazione,
manutenzione ed adeguamento, finalizzate al
mantenimento/miglioramento del servizio reso dalla rete
nel suo insieme.
In una corretta prospettiva di valorizzazione della
globalità delle risorse (ambientali, economiche, ecc.) non
si può prescindere dalla valutazione del ruolo che un
singolo itinerario assolve all’interno della rete
complessiva. La gestione di un itinerario fondamentale
(rete primaria) o di interesse regionale di primo livello
(rete principale) deve fondarsi sullo studio di tutte le
componenti la rete che concorrono a sostenere la
funzionalità dell’itinerario stesso: devono essere
individuate le caratteristiche geometriche e di progetto
dell’itinerario principale e di quelli complementari, la
localizzazione e la scelta del tipo delle interconnessioni,
e devono essere attribuite funzioni specifiche ai singoli
elementi viari, e di conseguenza caratteristiche
geometriche e di progetto adeguate. Le reti esistenti
possono essere implementate con la costruzione di
nuovi segmenti infrastrutturali, soprattutto nel caso in cui
il patrimonio non abbia decisivi margini di miglioramento
o quando la sua funzionalità complessiva richieda nuovi
archi, ovvero quando l’adeguamento di quelli esistenti
richieda un costo ambientale eccessivo ed
economicamente non più conveniente. L’adeguamento
può essere inteso a dare un supporto alla rete
fondamentale, a livello nazionale, interregionale,
regionale e di area urbana, a migliorare le condizioni di
sicurezza e la stessa offerta, ad assicurare migliori
condizioni di accessibilità a quella gran parte delle aree
periferiche in un’area urbana vasta (conurbata o
metropolitana), confinate in condizioni di marginalità, e
dalle quali si continua ad assistere a consistenti flussi
pendolari, verso aree ove sono localizzati attrattori di
interessi ed importanti nodi di trasporto.
L’attenzione, quando si tratti del riavvio delle costruzioni
viarie, non deve essere limitata alla realizzazione di
importanti opere innovative da tempo annunziate: deve
essere considerata la rete infrastrutturale nel suo
complesso perché diventi quel sistema che oggi non è.
Intervenire sul complessivo patrimonio non è solo
un’esigenza ed un’emergenza rilevanti: è soprattutto una
scelta di civiltà per il Paese. Occorre infatti porre
attenzione a che gli esodi delle popolazioni, con
conseguente accentuata marginalizzazione delle aree
periferiche, gli stessi fenomeni di pendolarità si
traducono in perdita di identità delle popolazioni, sempre
legate ai luoghi, ed in un progressivo degrado delle
culture locali, parte importante della ricchezza del Paese.
Il quadro normativo in merito all’adeguamento delle
infrastrutture esistenti persiste in condizioni di grave
carenza: la riqualificazione deve essere rivolta a
considerare il rapporto tra la VIA e le caratteristiche
ambientali, geologiche, idrogeologiche e territoriali, il
rapporto, in particolare, con gli equilibri preesistenti. Il
motivo conduttore di un complessivo progetto di
adeguamento deve essere la sostenibilità ambientale e
la sicurezza intrinseca della via, sia che si tratti di nuova
costruzione che di riqualifica: la progettazione di un
tracciato nuovo/rinnovato deve produrre una
infrastruttura facilmente leggibile, specie se stradale, che
offra di sé un’immagine corretta, che non produca
interpretazioni contraddittorie e quindi insicurezza della
circolazione. La normativa di progettazione, la stessa
impostazione culturale della disciplina connessa alla
progettazione delle infrastrutture viarie, appaiono
prevalentemente orientate al disegno delle nuove
infrastrutture e difficilmente riferibili alla progettazione
degli interventi di adeguamento dell’esistente.
Ancora, la definizione di patrimonio viario, dato dal
sistema costituito dalle infrastrutture direttamente
necessarie a consentire la percorrenza dei veicoli, ivi
comprese le pertinenze funzionali alle stesse
infrastrutture che ricadono nelle competenze dell’Ente
proprietario, appare limitare la valutazione delle rete
viaria globale. Quest’ultima è quasi sempre costituita da
più vie, gestite da Enti diversi, che si interconnettono tra
loro, e con reti di natura diversa, e che richiedono
pertanto una gestione di ambito territoriale, ad un livello
superiore rispetto alle prerogative dell’Ente proprietario.
Pertanto, si ritiene che questo concetto, e la
conseguente impostazione di lavoro, debbano essere
ripensati nel senso che i differenti Enti gestori,
reciprocamente, inquadrino le necessità di interventi sul
patrimonio di loro competenza, intendendolo come parte
di un sistema infrastrutturale più complesso. Dei singoli
interventi vanno viste le interconnessioni e le ricadute
sugli archi infrastrutturali di altri Enti gestori, nella logica
di intendere il sistema al servizio di un dato territorio visto
nella sua unitarietà, anche se soggetto alle decisioni di
più Enti. La regia di questa gestione coordinata non può
che essere di Organi di Governo regionali, sovra-
regionali, e di area urbana vasta (conurbata o
metropolitana), con il vantaggio che la programmazione
degli interventi, e la stessa assegnazione di risorse
finanziarie, siano fondate sulla concertata verifica
preventiva delle esigenze e quindi sull’individuazione
degli interventi necessari.
In particolare, la progettazione/adeguamento delle strade
urbane deve essere impostata su una preliminare
classificazione delle stesse nell’ambito del complessivo
sistema plurimodale delle infrastrutture viarie. Essa non
può che essere riferita all’area urbana vasta,
nell’obiettivo prevalente di intendere la rete
infrastrutturale finalizzata alla riorganizzazione del
territorio, nel conseguimento del riequilibrio del
complessivo sistema degli insediamenti e dei servizi. La
denominazione fondamentale dei tipi di strada va
stabilita prevalentemente con riferimento alla suddetta
area urbana, così che la progettazione del sistema dei
trasporti deve necessariamente fondarsi sull’assunto che
esso non può essere studiato in ambiti territoriali ristretti:
deve corrispondere all’obiettivo di integrare la città con il
suo intorno diffusamente abitato. Questa impostazione
riguarda la gestione del patrimonio infrastrutturale
esistente, anche quando si intenda precisare le funzioni
di una rete viaria in presenza di un’importante alternativa
rivolta al miglior soddisfacimento della mobilità che
percorre strade da tempo inadeguate.
E’ infatti indubbia l’opportunità che si offre perché
l’esistente assolva meglio ad alcune funzioni già
presenti, e tuttavia compromesse da altri tipi di traffico
che da tempo rendono insicura ed insoddisfacente la
circolazione. E’altrettanto indubbia l’opportunità perché
una strada passi dalla mancanza di una precisa identità
al ruolo di via rivolta al soddisfacimento delle esigenze
degli abitanti di un’area urbana, e financo al ruolo di
itinerario turistico-ambientale, quando attraversi contesti
di particolare rilevanza. In particolare, gli itinerari
pedonali vanno riconosciuti nella funzione di assicurare
non solo che lo spostamento pedonale sia uno dei modi
per portarsi da una località ad un’altra, bensì di fruire di
contesti ambientali piacevoli, confortevoli e sicuri, ove
l’uomo possa spostarsi e sostare anche quando non
debba necessariamente portarsi da un luogo ad un altro.
Le aree urbane devono essere riorganizzate e meglio
servite nel riconoscimento di quartieri che talvolta
possono coincidere con Comuni autonomi, parte
indistinta di un’area urbana vasta: le strade esistenti
devono essere riqualificate nell’obiettivo di costituire una
tessitura riconosciuta di un territorio indistinto per il quale
progettare una nuova identità unitaria.
La normativa di progettazione delle strade in area urbana
va profondamente rinnovata ponendo al centro
dell’attenzione tutte le componenti di traffico che vi sono
presenti, riconoscendo anche una forte presenza delle
une rispetto alle altre. Non si deve limitare a considerare
il “nuovo”: spesso l’area vasta è costituita da consolidate
realtà urbane all’interno delle quali è irrealistico, per
mancanza di spazi laterali e quindi di fasce di pertinenza,
assegnare alla singola strada una determinata funzione.
Occorre invece porsi in una logica progettuale di reti
viarie, costituite da strade esistenti che, con le loro
stesse dimensioni, talvolta inadeguate alle indicazioni di
196
normativa, possano svolgere contestualmente una
determinata funzione al servizio di un quartiere e/o di un
settore urbano o della stessa area vasta.
Se la gestione del patrimonio infrastrutturale consiste
nell’applicazione di principi economici e di metodi di
buona pratica tecnica all’interno di un sistema fortemente
strutturato di supporto alle decisioni, finalizzato
all’allocazione ed all’impiego ottimale delle risorse, va
riaffermato che essa deve comprendere la pianificazione,
la progettazione, l’esercizio, la manutenzione e
l’adeguamento, in quanto fasi successive, finalizzate a
garantire la vita utile dell’opera e/o del sistema
infrastrutturale, prevista nella fase iniziale di progetto. La
prevalente finalità della gestione di un patrimonio
infrastrutturale consiste nel mantenerlo adeguato alle
funzioni assegnate a ciascuno degli elementi
componenti, nell’ambito di una determinata vita utile;
essa deve comprendere le attività finalizzate al
mantenimento/miglioramento del servizio reso da una
rete infrastrutturale.
Il progetto preliminare ed il progetto definitivo devono
curare che i differenti interventi rispettino il contesto
attraversato, nei suoi differenti valori, le condizioni di
equilibrio preesistenti, evitando che le conseguenze dei
suddetti interventi enfatizzino gli effetti di eventi naturali
particolarmente critici ed aggravino le condizioni di
dissesto del territorio attraversato. Quando
un’infrastruttura non soddisfa tutti o parte dei requisiti
richiesti, in particolare quelli connessi agli aspetti
strutturali, alla qualità ed alla sicurezza della
circolazione, si rende necessario adeguarla
funzionalmente così da sanare le situazioni anomale. Gli
interventi di adeguamento, in alcuni casi, si rendono
necessari a seguito di un’imprevista variazione delle
funzioni assegnate, che determina una riduzione della
vita utile e/o l’inadeguatezza della stessa a soddisfare le
nuove esigenze generate dalle variate condizioni di
circolazione.
Per quanto detto, il progetto preliminare, fase essenziale
dell’iter progettuale, evidenzia le aree impegnate, le
relative fasce di rispetto3 e le occorrenti misure di
3 Si vedano in questo stesso Quaderno CT 2.5 AIPCR 2014 le schede sulle fasce di rispetto riportate nel capitolo “Il censimento delle strade appartenenti alla rete extraurbana: aspetti metodologici e normativi “ in questo stesso Quaderno CT 2.5 AIPCR 2014.
salvaguardia, nonché le caratteristiche prestazionali, le
specifiche funzionali ed i limiti di spesa dell’infrastruttura
da realizzare, ivi compreso quello per l’eventuale
esecuzione del monitoraggio ambientale, per le eventuali
opere e misure compensative dell’impatto territoriale e
per le infrastrutture ed opere connesse, necessarie alla
realizzazione. Le infrastrutture sono sempre soggette a
valutazione d’impatto ambientale, e quindi il progetto
preliminare deve essere corredato anche da studio
d’impatto ambientale. I risultati di questa fase
progettuale, con attenzione alla condizione-obiettivo
della sostenibilità ambientale, sono:
- la determinazione dell’entità della corrente veicolare da
soddisfare;
- la definizione dell’itinerario, in quanto parte di una rete
viaria;
- la definizione delle caratteristiche geometriche e di
progetto, così da assicurare un dato livello di
servizio.
Nella progettazione di un’ infrastruttura, intesa parte di
una rete, assume una particolare importanza
l’inadeguatezza delle intersezioni; in proposito, si ritiene
che:
- l’adeguamento di un tracciato, per il miglioramento della
sicurezza della circolazione, deve preliminarmente
considerare, in sede di progetti preliminare e definitivo, la
risoluzione dei nodi;
- nel progetto preliminare del tracciato, inquadrato nella
rete viaria, devono essere localizzate le soluzioni dei
nodi ed individuate queste ultime nelle loro
caratteristiche; queste soluzioni, in considerazione della
consueta criticità dei nodi di una rete, possono essere
intese quali vincoli nella successiva progettazione del
tracciato;
- nel progetto definitivo, lo studio del tracciato deve
partire dalla progettazione delle intersezioni, così da
vincolare le scelte plano-altimetriche ed assicurare
precipuamente la visibilità delle stesse; in particolare, la
scelta delle caratteristiche di progetto delle curve
planimetriche ed altimetriche, la stessa definizione del
profilo longitudinale, devono assicurare le predette
condizioni di visibilità.
Al di là di quelli che sono gli obblighi dettati dai differenti
riferimenti legislativi, un’infrastruttura viaria,
indipendentemente dalla tipologia alla quale appartiene,
costituisce sempre un elemento nuovo che viene inserito
in un contesto ambientale caratterizzato da un proprio
equilibrio. Il progetto preliminare stabilisce i profili e le
caratteristiche più significative delle opere e degli
elaborati dei successivi livelli di progettazione, in
funzione delle dimensioni economiche e della tipologia e
categoria dell’intervento, ed è composto da elaborati tra i
quali:
- la relazione illustrativa;
- la relazione tecnica,
- lo studio di impatto ambientale ovvero la relazione di
compatibilità ambientale;
- gli studi necessari per un’adeguata conoscenza del
contesto nel quale andrà a inserirsi l’opera, corredati da
dati bibliografici e/o indagini in sito ed in laboratorio, ed
elaborati grafici atti a pervenire ad una completa
caratterizzazione del territorio e dell’ambiente;
- per tutte le infrastrutture, opere sempre soggette a VIA,
e comunque ove richiesto, devono essere inclusi i
sistemi di monitoraggio previsti per le singole componenti
ambientali coinvolte.
Ne consegue, anche considerando gli obiettivi dello
stesso progetto preliminare, che esso, negli elaborati che
lo compongono, debba considerare la singola
infrastruttura come parte di un sistema viario al servizio
del contesto attraversato, e debba individuare le criticità
ambientali della stessa regione, da sanare nell’ interesse
dell’opera viaria. Nello studio di impatto ambientale
potrebbero allora essere iscritti quali benefici
dell’intervento le soluzioni delle criticità ambientali: non
più interventi di salvaguardia, bensì interventi di recupero
e di valorizzazione.
La relazione illustrativa, secondo la tipologia, la categoria
e l’entità dell’intervento si articola nei seguenti punti:
- finalità dell’intervento e scelta delle alternative
progettuali;
- progetto della soluzione selezionata;
- aspetti economici e finanziari.
Vi vengono descritte le motivazioni della necessità
dell’intervento e delle finalità che si prefigge di
conseguire. Viene data una descrizione generale delle
soluzioni progettuali analizzate, caratterizzate sotto il
profilo funzionale, tecnico (aspetti geologici, geotecnici,
idrologici, idrogeologici, strutturali, impiantistici, etc.) e
sotto il profilo dell’inserimento ambientale (aspetti
urbanistici, archeologici, vincolistici, etc.). Vengono
illustrate le motivazioni a supporto della soluzione
prescelta sotto il profilo localizzativo, funzionale ed
economico, nonché delle problematiche connesse
all’inserimento ambientale, alle eventuali preesistenze
archeologiche ed alla situazione complessiva della zona,
con riferimento alle altre possibili soluzioni.
Successivamente, la relazione dà una descrizione
dettagliata della soluzione selezionata; espone la
fattibilità dell’intervento, documentata attraverso i risultati
dello studio di impatto ambientale, e in particolare
vengono esposti:
- l’esito delle indagini idrologico-idrauliche, geologiche,
idrogeologiche, geotecniche, sismiche ed archeologiche;
- l’esito degli accertamenti in ordine agli eventuali vincoli
di natura storica, artistica, archeologica, paesaggistica o
di qualsiasi altra natura interferenti sulle aree interessate;
- l’esito delle valutazioni preliminari sullo stato della
qualità dell’ambiente interessato dall’intervento, in
assenza/presenza ed in corso di realizzazione dello
stesso.
Ancora, vengono esposti gli aspetti funzionali ed
interrelazionali dei diversi elementi del progetto con la
loro illustrazione anche sotto il profilo architettonico.
Viene dato conto dell’accertamento in ordine alla
disponibilità delle aree e degli immobili, eventualmente
da utilizzare, alle modalità di acquisizione, ai prevedibili
oneri. Vengono esposti gli indirizzi per la redazione del
progetto definitivo; il cronoprogramma delle fasi attuative,
con l’indicazione dei tempi massimi di svolgimento delle
varie attività di progettazione, approvazione, affidamento,
realizzazione e collaudo. Vengono date indicazioni su
accessibilità, utilizzo e manutenzione delle opere, degli
impianti e dei servizi esistenti.
Tuttavia, si ritiene che, in sede di progetto preliminare, le
motivazioni giustificative delle necessità dell’intervento e
delle finalità prefisse non debbano più essere
prevalentemente riferite all’itinerario singolarmente
inteso: può essere necessario ed opportuno
l’adeguamento di altre strade comprese nella rete di cui
è parte l’itinerario in oggetto, finalizzato ad una più
funzionale interconnessione della rete al servizio del
territorio, tale da implementare i benefici derivanti dagli
interventi sullo stesso itinerario in progetto. Questa
impostazione progettuale deve diventare la caratteristica
peculiare del progetto preliminare; oggetto della
progettazione definitiva potrà essere la singola
infrastruttura, ma la soluzione selezionata, l’articolazione
in lotti funzionali dovrà essere il risultato del progetto
198
preliminare così inteso e definito nel contesto territoriale
interessato dal complessivo sistema viario di servizio.
La relazione tecnica riporta lo sviluppo degli studi tecnici
specialistici del progetto ed indica requisiti e prestazioni
che devono essere riscontrati nel singolo intervento,
tuttavia riferito al territorio ed alla rete interconnessa
della quale è parte. Descrive nel dettaglio le indagini
effettuate e la caratterizzazione del progetto dal punto di
vista dell’inserimento nel territorio e nell’ambiente,
descrive e motiva le scelte tecniche del progetto anche
con riferimento ai profili ambientali ed all’utilizzo dei
materiali provenienti dalle attività di riuso e riciclaggio.
Lo studio di impatto ambientale e lo studio di fattibilità
ambientale, ove previsti, sono predisposti
contestualmente al progetto preliminare, sulla base dei
dati e delle informazioni raccolti nell’ambito del progetto
stesso anche con riferimento ai siti di recupero ed alle
discariche.
La relazione di compatibilità ambientale, sulla base delle
analisi sviluppate durante la redazione del progetto
preliminare, analizza e determina le misure atte a
mitigare e compensare gli effetti degli interventi
sull’ambiente e sulla salute, ed a riqualificare e migliorare
la qualità ambientale del contesto territoriale, avuto
riguardo agli esiti delle indagini tecniche, alle
caratteristiche dell’ambiente interessato dall’intervento
complessivo in fase di cantiere e di esercizio, alla natura
delle attività e delle lavorazioni necessarie all’esecuzione
degli interventi, ed all’esistenza di vincoli sulle aree
interessate. I sistemi ambientali vengono descritti
ponendo in evidenza eventuali criticità degli equilibri
esistenti; quindi vengono individuate quelle aree, quelle
componenti, i fattori ambientali e le relazioni tra essi che
le manifestano in modo tale che vengano approfondite
le indagini necessarie al caso specifico. Il quadro di
riferimento ambientale documenta gli usi plurimi delle
risorse, la priorità negli usi delle medesime e gli ulteriori
usi potenziali coinvolti dalla realizzazione del progetto ed
i livelli di qualità preesistenti all’intervento per ciascuna
componente ambientale interessata e gli eventuali
fenomeni in atto di degrado delle risorse.
Gli elaborati grafici devono includere le misure e gli
interventi di mitigazione e compensazione ambientale e
degli eventuali interventi di ripristino, riqualificazione e
miglioramento ambientale e paesaggistico.
Gli elaborati, relativi a opere e lavori puntuali, ed a lavori
a rete, nonostante includano:
- lo stralcio dello strumento di pianificazione
paesaggistico-territoriale e del piano urbanistico generale
o attuativo, sul quale sono indicate la localizzazione
dell’intervento da realizzare e le eventuali altre
localizzazioni esaminate;
- l’area di riferimento ai fini urbanistici;
- la corografia generale di inquadramento dell’opera;
- la corografia contenente l’indicazione dell’andamento
planimetrico dei tracciati esaminati con riferimento
all’orografia dell’area, al sistema dei trasporti e degli altri
servizi esistenti, al reticolo idrografico;
- le planimetrie con le indicazioni delle curve di livello,
sulle quali sono riportati separatamente le opere ed i
lavori da realizzare e le altre eventuali ipotesi progettuali
esaminate, sono, nell’impostazione progettuale
prevalente, orientati a considerare, singolarmente nel
contesto interessato, l’infrastruttura in oggetto. Se ne può
dedurre che il progetto preliminare, usualmente, è riferito
ad uno specifico itinerario, tutt’al più esteso alla viabilità
di servizio, e non considera le interrelazioni tra questo ed
altri elementi della rete viaria della quale è parte. Come
tale, non viene confermata un’affermazione di principio
che vede il corridoio considerato parte di un sistema
infrastrutturale di trasporto rispondente ad obiettivi di
progettazione della regione attraversata.
L’itinerario appare inteso come un’opera di ingegneria
calata in un territorio nel quale determini il minor impatto
possibile, trascurando, apparentemente, che essa sia
occasione di salvaguardia e di valorizzazione della
regione attraversata. Coerentemente con questa usuale
impostazione, il progetto definitivo, redatto sulla base
delle indicazioni del progetto preliminare approvato,
sviluppa gli elaborati grafici e descrittivi, nonchè i calcoli,
ad un livello di definizione tale che nella successiva
progettazione esecutiva non si abbiano apprezzabili
differenze tecniche e di costo. Il progetto definitivo, è
quindi corrispondente alle prescrizioni dettate in sede di
approvazione del progetto preliminare, con particolare
riferimento alla compatibilità ambientale, ed alla
localizzazione dell’opera.
In sintesi, quale correzione di questa impostazione, si
propone che:
- l’itinerario, oggetto delle definizioni progettuali, sia
considerato, nel progetto preliminare, come parte di un
territorio, conosciuto e riconosciuto nelle sue
caratteristiche e nelle sue criticità, rispondente ad una
scelta culturale volta a trovare le ragioni ed i modi per
incrementare i benefici positivi derivanti dalla scelta di
assumere gli obiettivi posti alla base di questo livello di
progettazione;
- di seguito, nel progetto definitivo, l’oggetto sia,
prevalentemente, il singolo itinerario, disegnato ed
articolato in lotti funzionali, pensati non in quanto parti
elementari del complessivo corridoio, bensì rispondenti a
dare, con il resto della rete viaria coinvolta, il miglior
servizio al territorio considerato, corrispondentemente ad
obiettivi che si ritiene debbano essere meglio precisati
con riferimento alla rete della quale è parte.
La gestione di un’infrastruttura nel suo servizio al
territorio
Solitamente, quando si tratta della necessità di
progettare/adeguare una strada per rimuovere condizioni
di degrado della stessa, vengono considerati ed
analizzati:
- le sovrastrutture, nelle loro caratteristiche funzionali
(rugosità, regolarità, rumorosità) e strutturali (resistenza
strutturale del multistrato);
- le opere di drenaggio superficiali e profonde, ed in
particolare l’eventuale alterazione della curva
granulometrica, il degrado della permeabilità,
l’intasamento/dissesto dei tubi di drenaggio;
- le opere d’arte maggiori e minori (cedimenti, perdita di
funzionalità, etc.);
- i cedimenti del corpo stradale, ovvero i cedimenti dei
terreni di fondazione, i difetti di regimazione delle acque
del territorio interessato, etc.;
- i cedimenti del solido stradale: terre inidonee, tecniche
costruttive carenti, pendenze delle scarpate inadeguate
alle caratteristiche geotecniche delle terre, etc.
- i dispositivi di ritenuta laterali e centrali, che potrebbe
essere necessario sostituire, perché non a norma o
inadeguati, essendo variate le caratteristiche della
corrente veicolare, o semplicemente perché danneggiati,
etc.;
- l’inadeguatezza delle intersezioni, in termini di
localizzazione, di disegno, di distanze di visibilità, etc.;
- il venir meno delle condizioni di sicurezza della
circolazione.
In termini di importanza, si assegna alle sovrastrutture ed
alle opere d’arte la quota di gran lunga maggiore tra le
varie componenti di una via, tanto che spesso si
identifica la manutenzione con le attività che si
riferiscono a queste due componenti sia in termini di
costi che di risultati. Si propone una differente chiave di
lettura: considerare l’opera quale parte di un patrimonio
infrastrutturale e quindi la relativa gestione,
comprensiva delle attività di pianificazione,
progettazione, manutenzione ed adeguamento,
finalizzata al mantenimento/miglioramento del servizio
reso da una rete infrastrutturale, anche costituita da
quegli elementi che nel tempo vengono aggiunti perché
richiesti da esigenze di maggiore funzionalità derivanti,
ad esempio, da variazioni del contesto territoriale, ove
l’infrastruttura è inserita. In quest’ottica, la gestione di un
dato itinerario deve fondarsi su uno studio che consideri
anche tutte le componenti la rete che risultano
fondamentali, per esempio, per sostenere la stessa
funzionalità dell’itinerario suddetto. Sia per gli itinerari
principali che per quelli di raccordo l’approccio da
seguire nella progettazione anche di singoli interventi è
quello preventivo, che consenta una gestione della rete
tale da garantirne il funzionamento anche in presenza di
avverse condizioni meteorologiche, di traffico e/o in
presenza di interventi di manutenzione, sia pure con una
riduzione dei livelli di servizio, e tale da produrre una
strada intrinsecamente sicura.
Il concetto di vita utile è generalmente legato alle
condizioni delle sovrastrutture e delle opere d’arte, ma
deve essere più propriamente riferito all’infrastruttura
nella sua complessità; occorre far riferimento al suo
funzionamento ordinario, in assenza di decadimenti
strutturali delle opere d’arte, ed in particolare al servizio
reso dalla strada. Conseguentemente, se la finalità della
gestione stradale è quella di assicurarne il servizio reso,
per un certo numero di anni, con riferimento al flusso di
progetto, occorrerà intervenirvi per assicurare il
prosieguo della vita utile a fronte di condizioni territoriali
mutate.
Se si considera esclusivamente l’infrastruttura stradale
questa può essere considerata intrinsecamente insicura
quando degradata, intendendo il degrado quale
ammaloramento, cedimento, deficienza funzionale e/o
strutturale, con particolare riferimento agli elementi fisici
che la caratterizzano. Peraltro, tra gli elementi
caratterizzanti la sicurezza intrinseca di una strada non è
considerato se essa sia corrispondente alle funzioni
assegnate, alla sua identità funzionale. Eppure, la
200
strategia di adeguamento della quale si è detto è
finalizzata a far sì che il conducente sia guidato dalle
caratteristiche della strada, così che adotti
comportamenti derivanti dal riconoscimento della
funzione assegnata.
Se, invece, si considerasse un’infrastruttura come parte
di una rete e/o di un contesto territoriale ovvero se si
facesse riferimento ai fattori sociali, urbanistici ed
ecologici, appare evidente che, nella valutazione delle
condizioni di degrado, vanno considerati, a seconda
delle differenti necessità:
- il contesto territoriale;
- la rete viaria e gli itinerari.
Come già accennato, il degrado di un’infrastruttura e/o di
una rete viaria può essere inteso nel senso che questa
non è più in grado di assolvere alla funzione assegnata
ad un dato livello di servizio, perché, per esempio:
- è mutata la domanda di trasporto che la
interessa a seguito di una diversa organizzazione
territoriale o del sistema dei trasporti;
- sono mutate le condizioni ambientali, sociali e/o
economiche del contesto attraversato;
e quindi le caratteristiche geometriche e di progetto
assegnate ai differenti archi della rete si dimostrano
inadeguate al soddisfacimento delle prevedibili nuove
caratteristiche delle correnti veicolari. Pertanto, la
programmazione degli interventi di
progettazione/adeguamento deve tenere in
considerazione le indicazioni degli strumenti di
pianificazione ed essere eseguita nel rispetto delle
valenze ambientali del contesto interessato. Questo
approccio globale nella gestione della rete può
comportare la necessità di una riqualificazione della
stessa, ovvero l’attribuzione ad elementi della rete viaria
esistente di funzioni che ne richiedono l’adeguamento
e/o la progettazione parziale di alcuni tratti. In questo
caso devono essere previsti:
- la VAS (Valutazione Ambientale Strategica), quando si
ragiona in termini di progetto complessivo dell’assetto
viario, al fine di assicurare che quest’ultimo sia
ambientalmente sostenibile;
- uno studio di impatto ambientale, quando si affronta la
progettazione dell’adeguamento di un singolo itinerario,
ove sia richiesto dalle sue nuove caratteristiche,
nell’ambito di una rete, e/o dalle peculiarità del contesto
attraversato.
La VAS è prevista dalla Direttiva 2001/42/CE del
Parlamento e del Consiglio europeo, concernente la
valutazione di piani e programmi sull’ambiente; in Italia,
la VAS è stata recepita con D.L. 16/1/2008, n° 4 “Ulteriori
disposizioni correttive ed integrative del D.L. 3 aprile
2006, n° 152, recante norme in materia ambientale”. Se
ne desume che la fase di valutazione è effettuata durante
la preparazione del piano o del programma ed
anteriormente alla sua approvazione o all’avvio della
relativa procedura espropriativa.
La VAS si propone di assicurare che le attività antropiche
siano compatibili con le condizioni per uno sviluppo
sostenibile, e quindi nel rispetto della capacità
rigenerativa degli ecosistemi e delle risorse, della
salvaguardia della biodiversità e di un’equa distribuzione
dei vantaggi connessi alle attività economiche. In tale
ambito:
a) la valutazione ambientale di piani e programmi, che
possono avere un impatto significativo sull’ambiente, ha
la finalità di garantire un elevato livello di protezione dello
stesso e contribuire all’integrazione di considerazioni
ambientali all’atto dell’elaborazione, dell’adozione ed
approvazione di detti piani e programmi, assicurando che
siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno
sviluppo sostenibile;
b) la valutazione ambientale dei progetti ha la finalità di
proteggere la salute umana, contribuire alla qualità della
vita, provvedere al mantenimento delle specie e
conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema in
quanto risorsa essenziale per la vita.
La VAS è il processo che comprende lo svolgimento di
una verifica di assoggettabilità, l’elaborazione del
rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la
valutazione del piano e del programma, del rapporto e
degli esiti delle consultazioni, l’espressione di un parere
motivato, l’informazione sulla decisione ed il
monitoraggio. Considerando i piani ed i programmi che
possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul
patrimonio culturale, viene eseguita una valutazione per
tutti i piani ed i programmi che sono elaborati per la
valutazione e la gestione della qualità dello ambiente,
per i settori agricoli, forestale, della pesca, energetico,
industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle
acque, delle telecomunicazioni, della stessa
pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e
che definiscono il quadro di riferimento per
l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o
comunque la realizzazione dei progetti considerati.
La VAS si propone il duplice obiettivo di garantire un
elevato livello di protezione dell’ambiente negli atti di
programmazione e di pianificazione delle trasformazioni
del territorio e di contribuire all’integrazione di
considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e
dell’adozione di piani e programmi al fine di promuovere
lo sviluppo sostenibile. Essa così costituisce una
simulazione ed una previsione di quello che accadrebbe
all’ambiente coinvolto, una volta attuate tutte le
prefigurazioni di trasformazione previste dal piano e dal
programma. Ha, infatti, la finalità principale di mettere in
evidenza la compatibilità degli obiettivi e delle strategie
operative di un piano o di un programma con gli obiettivi
e gli standard di mantenimento e valorizzazione della
qualità ambientale complessiva del territorio interessato
dalla pianificazione e dalla programmazione previste,
relativamente a quelli che possono essere i livelli di
sensibilità e di vulnerabilità precedentemente individuati.
Successivamente, gli interventi della complessiva
riqualificazione funzionale di una rete viaria esistente non
possono non essere definiti anche mediante studi di
impatto ambientale. La legislazione di riferimento degli
studi di impatto ambientale e della stessa procedura di
valutazione ambientale stabilisce le categorie di opere
che devono essere sottoposte alla suddetta procedura.
Al giudizio di compatibilità sono altresì soggetti:
- gli interventi su opere già esistenti, non rientranti nelle
categorie previste, qualora da tali interventi derivi
un’opera che rientra nelle categorie stesse;
- gli interventi su opere già esistenti, rientranti nelle
categorie previste, qualora da tali interventi derivi
un’opera con caratteristiche sostanzialmente diverse
dalla precedente, con esclusione dei ripristini e delle
terze corsie autostradali aggiuntive, che siano richieste
da esigenze relative alla sicurezza del traffico ed al
mantenimento del livello di servizio.
Ancora, con riferimento agli strumenti di pianificazione
che si ritiene debbano essere tenuti in considerazione
nella pianificazione degli interventi di adeguamento, un
cenno particolare meritano i piani di protezione civile. In
questi devono essere classificati itinerari che abbiano la
funzione di essere di supporto a quelli principali, al fine di
garantire l’attraversamento di una data area e/o
l’accessibilità alla stessa. In quest’ottica il piano di
protezione civile deve contenere anche un’ipotesi di
riassetto della rete viaria, a servizio di un dato territorio,
che derivi dalla valutazione dell’inaffidabilità della singola
via, e quindi del decadimento della capacità di svolgere,
in determinate occasioni, la sua funzione. Tra gli
elementi di valutazione degli interventi si terrà conto della
convenienza di individuare, nell’ambito della rete viaria
che serve una data area, quelle infrastrutture che
possano/debbano essere adeguate, così da
corrispondere ad esigenze di protezione civile, sulle quali
indirizzare, sia pure con livelli di servizio inferiori, la
mobilità che risulterebbe penalizzata dalle condizioni
critiche verificatesi nella regione e/o su taluni itinerari
strategici della stessa.
Nella definizione e progettazione degli interventi che si
renderanno necessari, nell’ambito di un determinato
sistema infrastrutturale, varranno quindi i seguenti criteri
generali:
- analisi degli interventi in rapporto agli strumenti
programmatici esistenti e valutazione degli stessi nella
loro coerenza e nel genere di rapporto;
- analisi degli interventi contestualmente alla rete nella
quale si collocano;
- inquadramento degli interventi in una visione di itinerari;
- valutazione di come gli interventi possano realizzare
soluzioni uniformi e, laddove siano presenti situazioni di
disomogeneità, definizione funzionale dei tratti di
transizione;
- valutazione degli interventi affinché non determinino un
impatto ambientale tale da non essere più ritenuto
accettabile.
La riqualificazione funzionale delle strade in area
urbana
Secondo l’impostazione predetta, la riqualificazione
funzionale deve preliminarmente prendere l’avvio
dall’attribuzione di funzioni specifiche ai singoli elementi
viari: si impone la definizione di una metodologia di
classificazione dell’esistente, che presupponga una
pianificazione generale o di settore, con specificazioni
infrastrutturali, ed altri strumenti di Piano. In una corretta
prospettiva di valorizzazione delle risorse ambientali
esistenti, non si può prescindere dalla valutazione del
ruolo e della funzione che il singolo itinerario assolve
all’interno della rete (d’area urbana, regionale,
nazionale).
202
L’evidente obiettivo della classificazione è di uniformare
le caratteristiche geometriche e di progetto delle diverse
tipologie; essa si configura come verifica di validità della
gerarchizzazione funzionale, individuata dagli strumenti
di pianificazione. Devono quindi essere esaminati i piani
di inquadramento e di programmazione della rete
considerata e vanno individuate le funzioni assolte o
assegnate, come obiettivo, alle infrastrutture esistenti
(funzione primaria, principale, secondaria, locale). Detti
Piani prefigurano la razionalizzazione della rete esistente
con interventi di adeguamento e/o di potenziamento, in
una previsione di sviluppo di medio/lungo termine. La
classificazione funzionale – avente lo stesso periodo
temporale di validità degli strumenti di pianificazione
territoriale e dei trasporti dai quali proviene - si pone alla
base dell’organizzazione della mobilità, mettendo in
evidenza usi e caratteristiche improprie delle
infrastrutture viarie, permettendo di individuare i principali
fattori di insicurezza della circolazione ed orientando le
attività di progettazione all’adeguamento delle
infrastrutture. Gli obiettivi prestazionali pertanto vengono
precisati nell’ambito della definizione della classe
funzionale attesa dopo l’intervento di adeguamento e gli
stessi obiettivi devono essere congruenti con quelli
specifici della classe funzionale attesa.
Si possono considerare quali obiettivi di un piano di
riqualificazione funzionale di una rete viaria,
comprendenti quelli usualmente considerati per il
progetto preliminare di un nuovo intervento:
- la realizzazione delle condizioni di sicurezza della
circolazione ed il miglioramento dei livelli di servizio;
- il miglioramento delle condizioni di accessibilità
territoriale;
- il conferimento alla rete stessa delle caratteristiche di
connettività nell’ambito del sistema dei trasporti del quale
è parte;
- il concorrere ad una riorganizzazione territoriale
finalizzata ad obiettivi di riequilibrio del complessivo
sistema degli insediamenti e dei servizi;
- la sostenibilità ambientale (condizione obiettivo);
- l’adeguamento delle reti viarie nelle finalità proprie della
protezione civile, di modo che siano sempre garantiti i
collegamenti per una data area e/o che attraversino la
stessa.
Come detto, la riqualificazione di una rete viaria può
essere finalizzata alla realizzazione di un sistema
integrato ed intermodale, all’interno del quale ciascuna
componente svolga un ruolo corrispondente alle proprie
peculiarità tecniche ed economiche e sia complementare
con altre. Va pertanto promosso un processo di
riqualificazione funzionale degli archi costituenti la rete,
poiché la definizione del predetto sistema integrato deve
essere raggiunta perseguendo l’obiettivo
dell’ottimizzazione delle risorse disponibili, con la
massima attenzione all’uso ed al riuso di quelle già
esistenti sul territorio.
Ancora, dovrà essere considerato con sempre maggior
attenzione che il sistema delle infrastrutture viarie va
utilizzato per governare la localizzazione delle attività sul
territorio: l’aumento di connettività delle reti di trasporto è
la condizione fondamentale per assecondare la
formazione di una struttura territorialmente più reticolare,
ed una migliore diffusione dello sviluppo. Un sistema
infrastrutturale di trasporto non più solamente finalizzato
a velocizzare i collegamenti tra “periferie” e “centri”, ma
anche rivolto a porre le premesse per una diversa
organizzazione di una data regione, rispondente ad
obiettivi di riequilibrio territoriale, può essere valutato
ancora di maggiore convenienza nel complesso delle
differenti alternative progettuali.
La riqualificazione funzionale di una rete, come parte
integrante di un contesto, può essere ottenuta attraverso
interventi di:
- manutenzione ordinaria;
- manutenzione straordinaria;
- adeguamento.
Per tutto quanto detto più sopra si ritiene che una
particolare attenzione vada posta in merito al rapporto
che deve intercorrere tra progettazione/adeguamento di
un’opera viaria e le cause del dissesto. Una prima
elencazione di queste può essere:
- assenza del governo del territorio, in quanto mancanza
di una cultura attenta al rispetto degli equilibri naturali,
alla necessità che gli interventi infrastrutturali devono
rispettare gli equilibri preesistenti, mantenerli e
ripristinarli;
- mancanza di interventi di regimazione delle acque e dei
corsi d’acqua;
- compromissione delle risorse naturali.
E’ più che evidente che per ogni area interessata da
interventi strutturali ed infrastrutturali è necessario
perfezionarne la conoscenza nella finalità di porre in
sicurezza il territorio con interventi di
manutenzione/progettazione preventive nell’obiettivo di:
- contenere/ridurre gli effetti delle cause di dissesto;
- ridurre/eliminare le cause del dissesto.
Superando l’idea del percorso viario come mero spazio
servente, teso a favorire il movimento di persone e risorse, si
deve promuovere l’idea di strada come generatore di estese
positive ricadute sul contesto sociale ed economico e, insieme,
capace di preservare e sostenere i processi ecologici nei siti in
cui si snoda.
Sembra di poter affermare che questa impostazione
progettuale debba essere preliminare alla realizzazione
di qualsiasi ipotesi di sviluppo socio-economico di un
territorio. Un piano pluriennale di interventi, al di là della
sistematicità e dell’urgenza della manutenzione
ordinaria, va considerato articolato in interventi di
differenti priorità/incidenza sulle cause/effetti di dissesto,
che possano essere attuati mediante attività di
manutenzione straordinaria e di adeguamento.
I differenti tipi di intervento, considerati nel suddetto
piano pluriennale, non devono essere riferiti alla
singola/rete infrastrutturale, bensì estesi a porre rimedio
alle criticità del contesto attraversato. Secondo questa
impostazione per manutenzione ordinaria, da
considerare prioritaria e da assicurare nel tempo, si
intende il complesso delle attività e degli interventi
necessari a garantire il mantenimento delle
caratteristiche e delle prestazioni funzionali del
patrimonio viario, conformemente al progetto originario
ed alla normativa vigente all’epoca dello stesso.
Pertanto, ad esempio, si possono considerare
manutenzione ordinaria:
- attività di custodia e vigilanza;
- attività di verifica e controllo delle caratteristiche
funzionali delle varie componenti del patrimonio;
- interventi di manutenzione del verde e delle pertinenze;
- pulizia e mantenimento di tutti gli elementi marginali
della piattaforma (banchine pavimentate, arginelli, reti di
smaltimento delle acque);
- ripristino dei canali scolmatori di piena e delle opere
d’arte;
- ripristino dell’efficienza della rete dei drenaggi;
- interventi di ripristino della sovrastruttura, che possono
essere parziali – sarcitura fessure, riempimento buche,
etc., oppure completi – rifacimento delle pavimentazioni
con le stesse caratteristiche di quelle originarie;
- gestione e manutenzione degli impianti (illuminazione,
ventilazione in galleria, etc.);
- manutenzione e sostituzione dei giunti e degli
apparecchi di appoggio di ponti e viadotti;
- ripristino del calcestruzzo ammalorato di muri ed opere
d’arte;
- etc.
Per manutenzione straordinaria si intendono le attività
necessarie a garantire la funzionalità del patrimonio
mediante modifiche delle caratteristiche funzionali e
geometriche, nell’ambito del tipo e della categoria della
via, tali da conseguire, attraverso un adeguamento
localizzato di tipo funzionale o normativo, un
miglioramento delle opere costituenti il patrimonio
stesso, rispetto al progetto originario. Queste attività si
traducono in un miglioramento delle condizioni di
sicurezza e delle condizioni di deflusso, a parità di vita
utile prevista.
L’adeguamento dei livelli di servizio e delle condizioni di
sicurezza, per esempio nel caso delle strade, sarà
finalizzato a realizzare condizioni di sicurezza intrinseca.
Diversamente dalla manutenzione ordinaria gli interventi
di manutenzione straordinaria deriveranno da un
confronto economico tra differenti alternative. Potranno
essere interventi relativi a singoli settori e/o ad
infrastrutture di differente modalità: strade, linee di
trasporto collettivo, aree/strutture di sosta. Essi avranno
una ricaduta positiva sull’innalzamento delle prestazioni
del sistema plurimodale nell’ambito della vita utile di
Piano dei Trasporti.
L’esigenza di tali interventi può nascere da:
- necessità di adeguamento dell’infrastruttura alla
funzione assegnata;
- nuove normative in materia di sicurezza;
- opportunità di utilizzo di nuovi materiali,
tecniche/metodologie per il miglioramento della sicurezza
della circolazione;
204
ecc.
Gli interventi di manutenzione straordinaria possono
essere suddivisi in:
- adeguamento funzionale localizzato:
1. rifacimento della pavimentazione con caratteristiche
migliori di quelle originarie;
2. rifacimento di parte o di tutta la sovrastruttura con
caratteristiche superiori e/o nuove tecniche esecutive
(es. riciclaggio in sito) per far fronte a mutate
caratteristiche di traffico che pregiudicano la struttura
originaria;
3. adeguamento della rete di smaltimento delle acque, ivi
compresi eventuali impianti di trattamento esistenti, in
base a mutate esigenze idrogeologiche e comunque
entro i limiti della proprietà; realizzazione della rete dei
drenaggi; regimazione dei corsi d’acqua, finalizzata alla
diminuzione della velocità di ruscellamento e dei
fenomeni di erosione;
4. ripristino e recupero di parti strutturali delle opere
d’arte esistenti;
5. adeguamento alle norme:
1. sostituzione delle barriere di protezione con nuove
barriere adeguate alle norme vigenti;
2. allargamento della carreggiata entro i limiti della
proprietà dell’Ente gestore per raggiungere le dimensioni
previste da nuove norme tecniche;
3. adeguamento delle caratteristiche geometriche e di
progetto delle aree incidenti sull’infrastruttura;
4. ecc.
Ne consegue pertanto che, ove si vogliano migliorare le
condizioni di sicurezza della circolazione in un itinerario
esistente, e/o adeguare una rete viaria esistente a finalità
proprie della protezione civile si dovranno realizzare,
quantomeno, interventi di manutenzione straordinaria. Il
riferimento degli interventi è alla normativa vigente al
momento della progettazione dell’intervento manutentivo.
Si ritiene allora che gli interventi di adeguamento,
ottenuti mediante realizzazione e/o completamenti di
nuove opere e/o di reti elementari, corrispondano,
prevalentemente, agli obiettivi di:
- risolvere criticità particolari e/o localizzate, al fine di
ottenere un miglioramento delle condizioni di deflusso,
corrispondentemente alla mutata entità e composizione
della corrente veicolare, e di accessibilità territoriale;
- assicurare, in particolare nelle strade interquartieri,
l’esistenza di idonee fasce di pertinenza a garanzia del
trasporto collettivo e della sosta, adeguando non tanto la
singola strada quanto quegli itinerari che congiuntamente
possano adempiere alla funzione di strade interquartiere:
- realizzare un sistema integrato ed intermodale,
assicurando le connessioni tra i differenti modi di
trasporto;
- concorrere a determinare un differente assetto
territoriale.
Nella definizione degli obiettivi di progettazione ed anche
di quelli di eventuali interventi di adeguamento, un
quadro di oggettive priorità deve tener conto:
- del ruolo attribuito a ciascun itinerario nel contesto della
rete e della sua efficienza, sotto il profilo del servizio
reso, della sicurezza d’esercizio e delle criticità
ambientali che lo caratterizzano;
- della tipologia degli interventi di adeguamento
necessari, al fine di valutare i programmi nel loro
complesso, gestendo quindi azioni organiche che
possano consentire significative economie di scala nel
rispetto di omogenei standard prestazionali;
- della dinamica dei processi in atto, dai quali dipendono
le leggi di obsolescenza funzionale, per individuare
l’orizzonte temporale d’intervento che garantisca il
contenimento dei costi tramite il recupero delle
infrastrutture esistenti.
Per quanto considerato più sopra si ritiene che gli
interventi prioritari possano essere, quantomeno, di
manutenzione ordinaria e straordinaria, per il
mantenimento ed il miglioramento delle condizioni di
sicurezza della circolazione, per l’adeguamento dei livelli
di servizio e per assicurare che una rete viaria esistente
garantisca le comunicazioni, così da corrispondere
anche a finalità proprie della protezione civile.
Relativamente ad essi, la priorità tra i differenti tronchi
stradali dipenderà dai criteri predetti; sempre da questi
dipenderà l’ordine di priorità relativamente agli interventi
di completamento e/o di nuove realizzazioni di singoli
tratti stradali e/o di reti elementari, quando si intendano
perseguire prevalentemente obiettivi di riorganizzazione
territoriale e/o di costruire un sistema integrato ed
intermodale, che realizzi le interconnessioni e le
complementarietà funzionali tra i differenti
modi/infrastrutture di trasporto. Se gli interventi di
manutenzione ordinaria sono urgenti, e da assicurare
sistematicamente nel tempo, il piano di interventi può
essere realizzato progressivamente, differenziando le
priorità delle differenti attività, in considerazione delle
peculiarità del contesto e delle cause prevalenti che
hanno determinato effetti dannosi, ed individuando
interventi che siano anche contestualmente di
manutenzione straordinaria e di adeguamento.
Gli interventi di adeguamento funzionale possono
riguardare tutti gli elementi che compongono
l’infrastruttura o parte di essi. Le principali strategie di
adeguamento possono essere definite di:
- miglioramento del livello di sicurezza intrinseca
dell’infrastruttura – riguardano gli interventi necessari per
ridurre la frequenza e la gravità degli incidenti,
- potenziamento funzionale – riguardano gli interventi
necessari per adeguare l’infrastruttura ad un aumento
della domanda di trasporto ed alle variate caratteristiche
della corrente veicolare;
- risanamento ambientale – riguardano gli interventi
necessari a migliorare la qualità dell’ambiente nelle aree
attraversate dall’infrastruttura.
Interventi di adeguamento che interessano le tre
suddette strategie sono rivolti a ridurre/eliminare le cause
di dissesto, agendo sul contesto ambientale interessato
dal singolo itinerario e/o dalla rete. La
progettazione/adeguamento infrastrutturale deve,
preventivamente, estendersi a considerare le criticità del
contesto, ponendovi rimedio e facendo sì che l’intervento
viario non accentui gli effetti delle cause di dissesto, fino
anche a ridurre ed eliminare le stesse cause. Pertanto,
potranno essere contestualmente considerati:
- adeguamento delle opere d’arte e delle infrastrutture
con correzione di errori progettuali;
- realizzazione di nuovi canali scolmatori di piena;
- adeguamento delle sponde dei corsi d’acqua, per
rallentare le velocità e diminuire i fenomeni erosivi;
- adeguamento dei corsi d’acqua quando attraversino
abitati;
- ecc.
In tal caso gli interventi di riqualificazione funzionale del
patrimonio infrastrutturale esistente potranno
comprendere l’adeguamento delle caratteristiche
geometriche e di progetto di tracciati esistenti, anche con
importanti varianti di tracciato. Per quanto riguarda le
opere d’arte, si ritiene che si possa rimanere nel campo
degli interventi di manutenzione straordinaria quando
non sia necessario adeguare la struttura a mutate
condizioni di sollecitazione.
Un caso particolare riguarda la trasformazione di una
strada esistente, perché essa corrisponda pienamente
alle mutate esigenze della domanda di trasporto, e
quindi:
- l’adeguamento strutturale delle opere d’arte;
- l’adozione di un differente tipo e categoria di strada,
modificando significativamente le caratteristiche
funzionali e di sicurezza dell’infrastruttura, vanno
considerati nuova costruzione.
La progettazione degli interventi di adeguamento
funzionale segue la stessa procedura prevista per le
opere di nuova costruzione. Nella progettazione
preliminare, in particolare, vengono attuate le scelte
funzionali dell’intervento di adeguamento, anche in
relazione al contesto della rete di appartenenza del tratto
in oggetto. Deve essere valutato il grado di uniformità
delle soluzioni progettuali previste con le caratteristiche
dei tratti adiacenti ai quali l’infrastruttura è
funzionalmente collegata. In presenza di situazioni di
disomogeneità, il progetto dell’intervento di adeguamento
deve comprendere anche la definizione funzionale dei
tratti di transizione con i tratti non ancora adeguati e
definire i provvedimenti progettuali da adottare per le
suddette transizioni. In tale fase deve ovviamente essere
verificata la congruenza tra le previsioni progettuali e tutti
gli strumenti di pianificazione vigenti.
Ciascuna strategia di adeguamento viene attuata
mediante una serie di interventi, classificabili in due
tipologie:
- strutturali – apportano modifiche alle caratteristiche
geometriche e di progetto degli elementi viari e
consentono di attuare la strategia di potenziamento
funzionale dell’infrastruttura. Tali interventi tendono a
precostituire nella rete esistente gli standard geometrici e
funzionali previsti per le infrastrutture di nuova
costruzione. Nella fase di progettazione preliminare
viene individuata l’alternativa progettuale migliore in
relazione agli obiettivi prestazionali che si desidera
conseguire, includendo anche il miglioramento della
sicurezza e della qualità dell’ambiente;
- gestionali – tendono a conseguire una modifica del
modo d’uso dell’infrastruttura esistente, in modo da
renderlo congruente con le sue caratteristiche fisiche,
eventualmente migliorate parzialmente mediante
interventi di tipo strutturale, nonché con le caratteristiche
dell’ambiente attraversato dall’infrastruttura, e con la
tipologia d’utenza ammessa ad utilizzarla. A questo tipo
206
di interventi è ascrivibile la realizzazione di zone a traffico
limitato, in modo da inibire l’accesso ad alcune tipologie
di veicoli alle aree ove si desidera privilegiare gli utenti
deboli o caratterizzate dalla presenza di ricettori sensibili,
dirottandoli su strade a percorrenza più elevata o
quantomeno lontane da zone fortemente antropizzate.
Nella fase di progettazione preliminare saranno
individuate alternative progettuali, ciascuna composta da
un bilanciato insieme di interventi strutturali e gestionali
che, nel loro insieme, contribuiscano all’attuazione della
strategia di adeguamento definita in fase di
pianificazione. Essi possono anche essere intesi come
interventi di predisposizione verso l’adozione delle
caratteristiche geometriche e di progetto di un’opera di
tipo differente.
Considerazioni conclusive
Si è ripetutamente affermato che le strade urbane vanno
finalmente intese quali strade al servizio di un’area
urbana vasta (conurbata o metropolitana).
Come tale essa deve essere intesa articolata in differenti
quartieri, anche coincidenti con comuni autonomi
attualmente caratterizzati da situazioni di dipendenza, e
quindi da pendolarità nei confronti della città/aggregato
urbano maggiore, ove sono prevalentemente localizzati
gli attrattori di interessi.
Di fronte a questo stato di fatto la necessaria
riqualificazione di un’area urbana impone
preliminarmente intenderla come un territorio che deve
essere concepito unitario e governato come tale.
Conseguentemente, il problema che si impone è quello
delle periferie, spesso luoghi di bassa qualità e
disorganizzati, privi di servizi e ricchi di flussi pendolari
verso la città maggiore. Eppure viene affermato che la
periferia è il luogo dove avverrà lo sviluppo e la
trasformazione della città che conosciamo.
L’abitante di questa area urbana così disarticolata
diventerà il cittadino della nuova area urbana che
risulterà da un progetto di riqualificazione del contesto
esistente, in termini di politica dei servizi e di governo
della mobilità, affinchè i fruitori dell’area acquisiscano un
sentimento identitario di appartenenza alla nuova città:
essa deve risultare dalla ricucitura degli aggregati urbani
periferici, reciprocamente e con il maggiore
insediamento.
Da tutto ciò emerge che quanto fin qui espresso consiste
in un iniziale superamento delle attuali
visioni/classificazioni delle strade urbane, in possibili
linee di adeguamento delle normative e delle
impostazioni progettuali attuali: ma ciò non è sufficiente.
Occorre considerare con attenzione le periferie, chiedersi
quali siano le aspettative dei suoi abitanti, in termini di
qualità della complessiva area urbana, di servizi, di
accessibilità e di sistema dei trasporti.
L’intenzione dichiarata è di costruire la nuova città
partendo dalle sue attuali criticità per ritrovare alla fine
anche la nuova funzione che dovrà essere assolta dal
centro storico della città attuale.
Bibliografia
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SVILUPPO DI UN METODO DI VALUTAZIONE DELL'INDICE DI RISCHIO PER IL TRASPORTO DELLE MERCI PERICOLOSE CON APPLICAZIONE
AL TERRITORIO DELLA VERSILIA
Gabriella CAROTI, Angelo PARDINI, Antonio PRATELLI DICI – Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale, Università di Pisa
Sommario - Mediante strumenti di analisi di rete (network analysis) è stata eseguita un’analisi logistica per l’individuazione dei rischi generati dal passaggio nell’area della Versilia (Toscana) dei veicoli che trasportano merci pericolose (carburanti, colle, vernici e altri prodotti chimici). In questo modo si sono potuti individuare quali archi della rete fossero soggetti a maggiori rischi. E’ stato analizzato tutto il territorio della Versilia e più in dettaglio le zone produttive dedicate alla cantieristica nautica. I risultati di quest’analisi sono stati utilizzati per individuare la posizione migliore per l’installazione dei rilevatori di mezzi che trasportano merci pericolose previsti nel progetto “L.O.S.E.” sviluppato dalla Provincia di Lucca. Risulta infine evidente che l’analisi sul territorio della Versilia potrebbe essere ampliata e completata mediante delle simulazioni che prevedano delle variazioni della circolazione dei mezzi che trasportano merci pericolose, in modo da verificare se vi è la possibilità di diminuire i rischi per l’ambiente e l’uomo mediante una ridistribuzione dei flussi. Nota esplicativa: Per determinare un valore di “fattore di rischio” di ogni singola sostanza pericolosa, è stata utilizzata una tabella proposta dalla normativa tedesca TRGS 600. Questa tabella fornisce un valore di “fattore di rischio” in funzione della “frase di rischio R” caratteristica della sostanza. Per questo motivo sono state dunque considerate le “frasi di rischio R” nonostante siano state sostituite dal 2008 dalle “frasi di rischio H”, in quanto permettevano più comodamente di inserirsi in modo diretto all’interno della tabella e determinare il valore di “fattore di rischio” che è quello che in effetti serviva per lo sviluppo di questo metodo di valutazione dell’indice di rischio. 1. Definizione di “rischio”
In letteratura si possono trovare innumerevoli
definizioni del parametro “rischio”: una di queste è quella
che intende il rischio come “la possibilità che un evento
critico determini una perdita o degli effetti dannosi”. La
formula che definisce il rischio è la seguente:
R = P x V x E
Dove:
P = Probabilità. Esprime la frequenza con la
quale un evento critico di una certa intensità si può
verificare su una certa area.
V = Vulnerabilità. indica l’attitudine di un
determinata “componente ambientale” (popolazione,
edifici, servizi, infrastrutture, etc.) a sopportare gli effetti
in funzione dell’intensità dell’evento. La vulnerabilità
esprime il grado di perdite di un dato elemento o di una
serie di elementi risultante dal verificarsi di un fenomeno
di una data “magnitudo”, espressa in una scala da zero
(nessun danno) a uno (distruzione totale).
Il valore esposto o esposizione indica
l’elemento che deve sopportare l’evento e può essere
espresso o dal numero di residenti o dal valore delle
risorse naturali ed economiche presenti, esposte ad un
determinato pericolo.
E = Esposizione. Indica la quantità di elementi
potenzialmente sottoposti alla possibilità di venire
danneggiati dall’evento indesiderato.
Il prodotto V x E rappresenta le conseguenze
determinate sugli esseri umani e sulle attività antropiche,
sia in termini di infortunati o deceduti, sia di danni
materiali agli edifici, alle infrastrutture ed al sistema
produttivo.
Sulla base di queste considerazioni è stata
ricercata una formula che tenesse conto di questi
parametri per individuare un indice che definisse un
valore di rischio sulla rete stradale:
1
Dove:
indici: i = arco, j = tipologia di sostanza
pericolosa trasportata, k = tipologia di scenario
incidentale, m = tipologia di bersaglio
: fattore di rischio normalizzato,
dipende dall’arco considerato. Nella formula del rischio
questo parametro rappresenta la probabilità P.
209
: bersagli esposti, dipende dall’arco e dal
tipo di bersagli considerati. Fornisce un valore
quantitativo dei bersagli esposti.
: fattore di pesatura per i bersagli, dipende
dal tipo di bersaglio considerato e permette di
considerare l’effettiva presenza di bersagli umani.
: suscettibilità, dipende dal tipo di scenario
incidentale ipotizzato e dal tipo di bersaglio considerato.
Indica l’effettivo grado di distruzione generato dall’evento
indesiderato
: capacità di far fronte, dipende dall’arco
considerato ed indica il grado di resilienza del territorio
analizzato.
: questo prodotto rappresenta, nella
formula del rischio, la vulnerabilità V
1 : questo prodotto rappresenta,
nella formula del rischio, l’esposizione E
1.1. Fattore di rischio normalizzato
E’ dato dal rapporto:
Dove:
°
°
I valori max dei vari parametri sono i massimi ottenuti su
tutto il territorio analizzato.
° :
E’ il valore del numero di mezzi che trasportano
merci pericolose che transitano sull’iesimo arco, ottenuto
mediante la Network analyst eseguita con ARCGIS sul
modello di rete stradale del territorio analizzato,
considerando come destinazioni i distributori di
carburante e le aree produttive e scegliendo le origini a
seconda dei casi. In questo modo possono essere
ricavati i vari percorsi sul territorio analizzato, ad ognuno
dei quali viene assegnato un certo numero di passaggi,
sulla base di un’analisi sull’attrazione di merci generata,
in un certo arco di tempo, dalle aree produttive e dai
distributori di carburante.
:
Questo parametro definisce il grado di
pericolosità della sostanza trasportata, basandosi sulle
fasi di rischio che caratterizzano ogni sostanza e sulla
normativa tedesca TRGS600. Per prima cosa devono
essere individuati i settori produttivi principali del
territorio analizzato, per poi individuare, mediante una
ricerca sui processi produttivi di ogni singola tipologia di
attività, le sostanze pericolose che entrano all’interno del
territorio. Una volta individuate quest’ultime devono
essere ricavate le fasi di rischio di ognuna ricercando la
scheda del prodotto anche on-line.
Si riporta in seguito la classificazione delle
possibili fasi di rischio:
Classificazione etichettatura ed imballaggio delle
sostanze
Per ogni sostanza presente in DESC è presente
una duplice classificazione; la prima secondo i criteri
della Direttiva 67/548/EEC e la seconda secondo i
criteri del Regolamento CLP (Regolamento CE N.
1272/2008) che ha l’intento di uniformarsi al sistema
mondiale armonizzato GHS (Globally Harmonized
System).
Il Regolamento CLP, entrato in vigore dal
20.1.2009, prevede un periodo transitorio per la
classificazione delle sostanze: dal 20.1.2009 sino al
1.12.2010 è obbligatorio adottare il vecchio sistema della
Direttiva 67/548/CEE ed è facoltativo adottare il nuovo
sistema CLP; dal 1.12.2010 al 1.6.2015 sarà obbligatorio
utilizzare contestualmente sia il vecchio sistema sia il
nuovo sistema CLP; infine, a partire dal 1.6.2015 sarà
obbligatorio adottare esclusivamente il nuovo sistema
CLP.
Direttiva 67/548/CEE: classificazione definita dalla
normativa europee in materia di classificazione,
imballaggio ed etichettatura per le sostanze
Le abbreviazioni, i simboli e le indicazioni di
pericolo di ciascuna categoria di pericolo adottati sono i
seguenti:
210
Esplosivo: una bomba che esplode ( E)
Comburente: una fiamma sopra un
cerchio ( O )
Estremamente infiammabile: una
fiamma (F+)
Facilmente infiammabile: una fiamma
(F)
Molto tossico: un teschio su tibie
incrociate ( T )
Tossico: un teschio su tibie incrociate
(T )
Nocivo: una croce di Sant'Andrea ( Xn)
Corrosivo: la raffigurazione dell'azione
di un acido (C)
Irritante: una croce di Sant'Andrea ( Xi)
Pericoloso per l'ambiente
Elenco delle frasi di rischio “R” e dei consigli di
prudenza “S” e delle loro relative combinazioni
Elenco delle frasi di rischio R
Le frasi di rischio, rappresentate da una serie di
cifre precedute dalla lettera R, indicano la natura dei
rischi particolari che si corrono nel maneggiare una
sostanza pericolosa. Le cifre sono separate da:
un trattino orizzontale (-) per indicare
enunciazioni separate dei rischi particolari (R),
o
una barra inclinata (/) per indicare
l’enunciazione combinata, in una sola frase, dei
rischi.
Di seguito la tabella riporta le frasi di Rischio
R1 Esplosivo allo stato secco.
R2 Rischio di esplosione per urto, sfregamento, fuoco o altre sorgenti d'ignizione.
R3 Elevato rischio di esplosione per urto, sfregamento, fuoco o altre sorgenti d'ignizione
R4 Forma composti metallici esplosivi molto sensibili.
R5 Pericolo di esplosione per riscaldamento.
R6 Esplosivo a contatto o senza contatto con l'aria.
R7 Può provocare un incendio.
R8 Può provocare l'accensione di materie combustibili.
R9 Esplosivo in miscela con materie combustibili.
R10 Infiammabile.
R11 Facilmente infiammabile.
R12 Estremamente infiammabile.
R14 Reagisce violentemente con l'acqua.
R15 A contatto con l'acqua libera gas estremamente infiammabili.
R16 Pericolo di esplosione se mescolato con sostanze comburenti.
R17 Spontaneamente infiammabile all'aria.
R18 Durante l'uso può formare con aria miscele esplosive/infiammabili.
R19 Può formare perossidi esplosivi.
R20 Nocivo per inalazione.
R21 Nocivo a contatto con la pelle.
R22 Nocivo per ingestione.
R23 Tossico per inalazione.
R24 Tossico a contatto con la pelle.
R25 Tossico per ingestione.
R26 Molto tossico per inalazione.
R27 Molto tossico a contatto con la pelle.
R28 Molto tossico per ingestione.
211
R29 A contatto con l'acqua libera gas tossici.
R30 Può divenire facilmente infiammabile durante l'uso.
R31 A contatto con acidi libera gas tossico.
R32 A contatto con acidi libera gas molto tossico.
R33 Pericolo di effetti cumulativi.
R34 Provoca ustioni.
R35 Provoca gravi ustioni.
R36 Irritante per gli occhi.
R37 Irritante per le vie respiratorie.
R38 Irritante per la pelle.
R39 Pericolo di effetti irreversibili molto gravi.
R40 Possibilità di effetti cancerogeni - prove insufficienti.
R41 Rischio di gravi lesioni oculari.
R42 Può provocare sensibilizzazione per inalazione.
R43 Può provocare sensibilizzazione per contatto con la pelle.
R44 Rischio di esplosione per riscaldamento in ambiente confinato.
R45 Può provocare il cancro.
R46 Può provocare alterazioni genetiche ereditarie.
R48 Pericolo di gravi danni per la salute in caso di esposizione prolungata.
R49 Può provocare il cancro per inalazione.
R50 Altamente tossico per gli organismi acquatici.
R51 Tossico per gli organismi acquatici.
R52 Nocivo per gli organismi acquatici.
R53 Può provocare a lungo termine effetti negativi per l'ambiente acquatico.
R54 Tossico per la flora.
R55 Tossico per la fauna.
R56 Tossico per gli organismi del terreno.
R57 Tossico per le api.
R58 Può provocare a lungo termine effetti negativi
per l'ambiente.
R59 Pericoloso per lo strato di ozono.
R60 Può ridurre la fertilità.
R61 Può danneggiare i bambini non ancora nati.
R62 Possibile rischio di ridotta fertilità.
R63 Possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati.
R64 Possibile rischio per i bambini allattati al seno.
R65 Nocivo: può causare danni ai polmoni in caso di ingestione.
R66 L'esposizione ripetuta può provocare secchezza e screpolature della pelle.
R67 L'inalazione dei vapori può provocare sonnolenza e vertigini.
R68 Possibilità di effetti irreversibili.
Combinazioni delle frasi R
R14/15 Reagisce violentemente con l'acqua liberando gas estremamente infiammabili
R15/29 A contatto con l'acqua libera gas tossici estremamente infiammabili.
R20/21 Nocivo per inalazione e contatto con la pelle.
R20/22 Nocivo per inalazione e ingestione.
R20/21/22 Nocivo per inalazione, contatto con la pelle e per ingestione.
R21/22 Nocivo a contatto con la pelle e per ingestione.
R23/24 Tossico per inalazione e contatto con la pelle.
R23/25 Tossico per inalazione e ingestione.
R23/24/25 Tossico per inalazione, contatto con la pelle e per ingestione.
R24/25 Tossico a contatto con la pelle e per ingestione.
R26/27 Molto tossico per inalazione e contatto con la pelle.
R26/28 Molto tossico per inalazione e per ingestione.
R26/27/28 Molto tossico per inalazione, contatto con la pelle e per ingestione
212
R27/28 Molto tossico a contatto con la pelle e per ingestione.
R36/37 Irritante per gli occhi e le vie respiratorie.
R36/38 Irritante per gli occhi e la pelle.
R36/37/38 Irritante per gli occhi, le vie respiratorie e la pelle.
R37/38 Irritante per le vie respiratorie e la pelle.
R39/23 Tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi per inalazione.
R39/24 Tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi a contatto con la pelle.
R39/25 Tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi per ingestione.
R39/23/24 Tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi per inalazione e a contatto con la pelle
R39/23/25 Tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi per inalazione ed ingestione.
R39/24/25 Tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi a contatto con la pelle e per ingestione.
R39/23/24/25 Tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi per inalazione, contatto con la pelle e per ingestione.
R39/26 Molto tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi per inalazione.
R39/27 Molto tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi a contatto con la pelle.
R39/28 Molto tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi per ingestione.
R39/26/27 Molto tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi per inalazione e a contatto con la pelle.
R39/26/28 Molto tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi per inalazione ed ingestione.
R39/27/28 Molto tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi a contatto con la pelle e per ingestione.
R39/26/27/28 Molto tossico: pericolo di effetti irreversibili molto gravi per inalazione, contatto con la pelle e per ingestione.
R42/43 Può provocare sensibilizzazione per inalazione e contatto con la pelle.
R48/20 Nocivo: pericolo di gravi danni per la salute in caso di esposizione prolungata per inalazione.
R48/21 Nocivo: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata a contatto con la
pelle.
R48/22 Nocivo: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata per ingestione.
R48/20/21 Nocivo: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata per inalazione e a contatto con la pelle.
R48/20/22 Nocivo: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata per inalazione e ingestione.
R48/21/22 Nocivo: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata a contatto con la pelle e per ingestione.
R48/20/21/22 Nocivo: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata per inalazione, a contatto con la pelle e per ingestione.
R48/23 Tossico: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata per inalazione.
R48/24 Tossico: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata a contatto con la pelle.
R48/25 Tossico: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata per ingestione.
R48/23/24 Tossico: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata per inalazione e a contatto con la pelle.
R48/23/25 Tossico: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata per inalazione ed ingestione.
R48/24/25 Tossico: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata a
contatto con la pelle e per ingestione.
R48/23/24/25 Tossico: pericolo di gravi danni alla salute in caso di esposizione prolungata per inalazione, a contatto con la pelle e per ingestione.
R50/53 Altamente tossico per gli organismi acquatici, può provocare a lungo termine effetti negativi per l'ambiente acquatico.
R51/53 Tossico per gli organismi acquatici, può provocare a lungo termine effetti negativi per l'ambiente acquatico.
R52/53 Nocivo per gli organismi acquatici, può provocare a lungo termine effetti negativi per l'ambiente acquatico.
R68/20 Nocivo: possibilità di effetti irreversibili per inalazione.
R68/21 Nocivo: possibilità di effetti irreversibili a
213
contatto con la pelle.
R68/22 Nocivo: possibilità di effetti irreversibili per ingestione.
R68/20/21 Nocivo: possibilità di effetti irreversibili per inalazione e a contatto con la pelle.
R68/20/22 Nocivo: possibilità di effetti irreversibili per inalazione ed ingestione.
R68/21/22 Nocivo: possibilità di effetti irreversibili a contatto con la pelle e per ingestione.
R68/20/21/22 Nocivo: possibilità di effetti irreversibili per inalazione, a contatto con la pelle e per ingestione.
http://www.dsa.minambiente.it/SITODESC/Links/Classifi
cazioneEtichettatura.htm
Una volta individuate le frasi per ogni sostanza
si può andare ad assegnare ad ogni sostanza un fattore
K sulla base di quanto espresso dalla normativa tedesca
TRGS600, riportata seguentemente, ed in particolare
alla tabella dei fattori di rischio:
Valutazione secondo la legge tedesca TRGS 600
Secondo il Gefahrstoffverordnung (German Toxic
Substances Act - Atto tedesco sulle sostanze tossiche),
ciascun operatore ha la responsabilità di verificare se le
sostanze, le preparazioni o i prodotti normalmente
utilizzati possano essere sostituiti con analoghi che
presentino un rischio inferiore. Nel caso non vi siano
particolari controindicazioni, è necessario optare per le
specie con il pericolo più basso, così da salvare la vita e
la salute di chi lavora con tali composti. Da un punto di
vista pratico, il rispetto di questa normativa passa
attraverso i seguenti punti:
Ottenere informazioni circa le sostanze normalmente
impiegate
Individuare le sostanze con proprietà pericolose
sconosciute o non adeguatamente conosciute
Compilare un catalogo delle sostanze pericolose
Verificare la disponibilità di sostanze o procedure
alternative che consentano un rischio inferiore
Questo schema è stato applicato agli esperimenti del
corso di laboratorio NOP per valutarne il pericolo
potenziale nei confronti della salute umana; a questo
scopo, sono state reperite tutte le informazioni
necessarie sulle diverse sostanze impiegate: tali dati
possono (eventualmente) essere consultati all’interno
della banca dati di NOP. Qualora si volesse valutare una
nuova esperienza come appena descritto, bisognerebbe
annotare in forma tabulare i composti usati o prodotti
durante il procedimento, in maniera tale da comporre un
catalogo delle sostanze (pericolose); per verificare la
disponibilità di procedure e composti meno pericolosi,
sarebbe quindi necessario valutare le alternative
possibili sotto il profilo della sicurezza sul luogo di
lavoro.
Per ottenere le informazioni richieste, è stato utilizzato il
modello del Fattore di rischio (Wirkfaktor) contenuto
nella normativa TRGS 600, che rappresenta a tutti gli
effetti uno schema di stima delle sostanze chimiche
consolidato e, soprattutto, ufficiale. In generale, questa
procedura richiede dati circa i limiti di tossicità, la
tossicità acuta, l’irritazione causata a pelle e mucose, il
potenziale mutageno, la tossicità in funzione
dell’esposizione e la sensibilizzazione nei confronti della
pelle: nel caso in cui alcuni di questi valori dovessero
mancare, è possibile approssimarli ricorrendo ad un
fattore di rischio speciale.
Qualora non ci fosse alcun dato circa tossicità acuta,
irritazione causata a pelle e mucose o sul potenziale
mutageno, e nel caso in cui non fosse stata assegnata
alcuna concentrazione permessa in aria, allora il fattore
di rischio dovrebbe essere fissato a 100.
Anche nel caso in cui non fosse disponibile alcun valore
di tossicità in funzione dell’esposizione prolungata e
(come prima) non fosse stata assegnata alcuna
concentrazione permessa in aria, allora il fattore di
rischio dovrebbe essere fissato a 100.
Qualora mancassero i dati circa la sensibilizzazione e
(come prima) non fosse stata assegnata alcuna
concentrazione permessa in aria, allora il fattore di
rischio dovrebbe essere fissato a 500.
In tutte le altre situazioni, il fattore di rischio viene
determinato a partire dalle Frasi di rischio (Frasi R) e
dagli altri pericoli potenziali nei confronti della salute
umana, non espressi tramite Frasi R specifiche, come
(ad esempio) la proprietà di una sostanza di essere
permeabile alla pelle, il valore di pH, il sospetto potere
cancerogeno, ecc …
Nel caso in cui le Frasi R e la concentrazione permessa
in aria siano note, il fattore di rischio di una sostanza può
essere trovato direttamente nella seguente tabella;
214
qualora un composto appartenga a più di una categoria,
è necessario considerare il fattore di rischio più alto.
Frasi R o altro pericolo per la salute umana
Fattore di rischio
R45, R46, R49, M1, M2, K1, K2
50000
R26, R27, R28, concentrazione permessa in
aria <0,1 mg/m3 1000
R32, R60, R61, RE1, RE2, RF1, RF2
1000
R35, R48/23, R48/24, R48/25, R42, R43
500
R23, R24, R25, R29, R31, R34, R41, permeabilità
rispetto alla pellea 100
R33, R40, R68, K3, M3, pH<2 o pH>11,5
100
R48/20, R48/21, R48/22, R62, R63, RE3, RF3
50
R20, R21, R22 10 R36, R37, R38, R65, R67 5
R66, altre Frasi R o concentrazione permessa in
aria >100 mg/m3 1
Sostanze di cui è noto il basso pericolo per la salute umana
1
Concentrazione permessa in aria (PAC) compresa tra 0,1 e
100 mg/m3 100/PAC
a: Nel caso in cui non siano indicate le frasi R20, R21, o
R22.
Tabella 1: Valore del fattore di rischio
In conclusione può essere calcolato un fattore
K medio per ogni tipologia di attività produttiva. Tale
fattore medio sarà assegnato separatamente a tutti i
mezzi che hanno come destinazione il tipo di attività
relativa ad esso.
Il fattore K rimane un valore adimensionale.
Incidentalità :
E’ un indicatore della pericolosità di ogni arco,
sulla base dei dati di incidentalità. Per ogni arco
dev’essere individuato il numero di incidenti al Km
all’anno [ ° ⁄ . Ovviamente più è
elevato questo valore, più pericolosa è la strada e, di
conseguenza, maggiore è la possibilità che si verifichi un
evento indesiderato (in questo caso un incidente). Dagli
incidenti considerati vanno esclusi quelli nei quali non si
sono riscontrate vittime e/o feriti.
Fattore di aggravio territoriale p_(terr ):
Questo fattore adimensionale permette di
tener conto dei pericoli naturali presenti nella zona
analizzata, quali frane, valanghe ed esondazioni, che
potrebbero, seppur in casi rari, causare incidenti sulla
rete stradale. Essendo appunto dei casi molto rari il
valore di questo parametro è di solito abbastanza
modesto; varia infatti tra i valori di 3 – 20 % ed è
ricavabile dalla seguente tabella in funzione del tipo di
pericolo naturale, della sua frequenza e della sua
intersezione con il tracciato stradale:
Tipologia della sorgente e frequenza/caratteristica
dell’evento
Valore da assegnare al
parametro pterr
Dissesti PAI – Esondazioni pericolo molto elevato
(Ee) pericolo elevato (Eb) pericolo medio (Em)
1,10 1,05 1,03
Dissesti PAI – Valanghe pericolo elevato (Va)
1,10
Dissesti PAI – Conoidi area non protetta (Ca) area parzialmente
protetta (Cp) area protetta (Cn)
1,10 1,05 1,03
Dissesti PAI – Frane frana attiva (Fa) frana quiescente (Fq) frana stabilizzata (Fs)
1,10 1,05 1,03
Dissesti PAI – Aree RME (a rischio molto elevato) 1,15
Dissesti PAI – Aree in dissesto
1,20
Fasce PAI – Fasce fluviali fascia A (naturale
deflusso piena) fascia B (T=200 anni) fascia C (T=500 anni)
1,10 1,05 1,03
Tabella 2: Valore del parametro p terr
Il prodotto di questi quattro parametri fornisce
il valore di fattore di rischio per ogni arco. Ricavando
il valore massimo presente sul territorio analizzato di
ognuno dei quattro parametri e facendo il prodotto di
quest’ultimi si ottiene il fattore di rischio massimo .
Il rapporto tra e fornisce il valore del fattore di
rischio normalizzato su ogni arco che sarà un
parametro adimensionale variabile tra 0 – 1.
1.2. : bersagli esposti
Questo parametro consente di quantificare i
bersagli esposti alle conseguenze di un eventuale
215
evento indesiderato. Una prima classificazione dei
possibili bersagli è tra bersagli umani e bersagli non
umani:
Bersagli umani:
La quantificazione dei bersagli umani può
essere effettuata andando a considerare diverse
sottoclassi; tra queste abbiamo:
- popolazione residente
- addetti dell’industria e dei servizi
- addetti al primario
- utenti delle strutture sanitarie
- utenti delle strutture scolastiche
Popolazione residente:
Per individuare un parametro che quantifichi la
popolazione residente si può fare riferimento ai dati di
popolazione dell’ISTAT, grazie ai quali è possibile
individuare il numero di residenti in ogni comune del
territorio analizzato. Individuando poi le zone residenziali
in ogni comune, mediante informazioni territoriali, si può
ricavare la densità di abitanti per ogni comune, che sarà
pari al rapporto tra numero di residenti ed area totale
residenziale; rasterizzando poi le aree residenziali in
celle quadrate di un certo lato, si assegna ad ognuna il
valore di densità moltiplicato per il valore dell’area di una
cella.
Addetti dell’industria e dei servizi:
Dai dati ATECO sull’industria è possibile
ricavare il numero di addetti per ogni comune e per ogni
singola categoria di attività. La prima cosa da fare è
suddividere gli addetti all’industria dagli addetti ai servizi;
quest’ultimi infatti si andranno a sommare alla densità
abitativa delle zone residenziali, in quanto si può
facilmente ipotizzare che le attività di servizi si
troveranno proprio in queste zone. Per gli addetti
all’industria l’operazione è identica alla precedente,
andando ad individuare le aree produttive sul territorio,
rasterizzandole ed assegnando il valore di densità di
addetti ad ognuna moltiplicato per l’area di una cella.
Addetti al primario:
Anche in questo caso l’operazione è analoga
alle precedenti, andando ad individuare il numero di
addetti al settore primario mediante i dati ATECO, le
aree destinate alle coltivazioni ed assegnando a
quest’ultimo dato rasterizzato il valore di densità di
addetti moltiplicato per l’area di una cella
Utenti delle strutture sanitarie:
Devono essere individuate le strutture sanitarie
presenti sul territorio (ospedali, cliniche) e
georeferenziarle sulla mappa mediante poligoni. Tali
poligoni possono essere poi “bufferizzati” per
considerare una certa area di influenza (es. 50 m). I
poligoni vengono poi rasterizzati in celle di un certo lato
alle quali viene assegnato un valore pari al numero di
posti letto presenti nell’ospedale diviso l’area totale del
poligono e moltiplicato per l’area della cella, in modo da
ricavare un’ipotetica densità di utenti all’interno della
struttura sanitaria. Il numero di posti letto di ogni
struttura è facilmente ricavabile da vari siti internet.
Utenti delle strutture scolastiche
L’operazione è identica alla precedente ma
applicata alle strutture scolastiche (scuole dell’infanzia,
primarie, medie, superiori, pubbliche e paritarie), e
considerando come valore di riferimento il numero di
alunni presenti nella struttura. Quest’ultimo dato è
accessibile, nella maggior parte dei casi, sul sito della
pubblica istruzione (www.istruzione.it).
Ognuno di questi parametri ha unità di misura
pari a [ n° persone/area ]
Bersagli non umani:
Anche in questo caso si considerano diverse
sottoclassi per quantificare i possibili bersagli:
- Aree urbanizzate
- Aree protette
- Aree agricole
- Aree boscate
- Acque sotterranee
- Acque superficiali
Mediante i dati relativi all’uso del suolo è
possibile individuare le varie zone sul territorio
analizzato e, una volta rasterizzati, assegnare ad
ognuna un valore economico [ € / area anno ], mediante
apposite tabelle che forniscono un valore ad ogni
tipologia di suolo in € ed un periodo stimato di
216
ammortamento per ognuno, che consente di ottenere il valore in €
.
Categoria territoriale Valori economici
Urbanizzato (escluse strade)
Valore commerciale medio: 1.200 €/m2 Periodo ammortamento: 50 anni Tasso di ammortamento: 0% Valore economico annuo: 1.200/50 = 24,00 €/m2/anno
Strade
Valore commerciale medio (lineare): 2.000 €/m Larghezza media: 10 m Valore commerciale (areale): 2.000/10 = 200 €/m2
Periodo ammortamento: 50 anni Tasso di ammortamento: 0% Valore economico annuo: 200/50 = 4,00 €/m2/anno
Beni culturali Valore utilità: 10 volte quello di una struttura priva di valore culturale Valore economico annuo: 24×10 = 240,00 €/m2/anno
Aree agricole
Valore commerciale medio: 7,00 €/m2 Periodo ammortamento: 1 anno Tasso di ammortamento: 0% Valore economico annuo: 7/1 = 7,00 €/m2/anno
Aree agricole (classificate “area protetta”)
Valore economico base: 7,00 €/m2/anno Valore servizio ecosistemico “habitat”: 1.548 €/ha/anno = 0,16 €/m2/anno Valore economico annuo: 7,00+0,16 = 7,16 €/m2/anno
Aree boschive Valore servizio ecosistemico medio: 300 €/ha/anno = 0,03 €/m2/anno Valore economico annuo: 0,03 €/m2/anno
Aree boschive (classificate “area protetta”)
Valore economico base: 0,03 €/m2/anno Valore servizio ecosistemico “habitat”: 629 €/ha/anno = 0,06 €/m2/anno Valore economico annuo: 0,03+0,06 = 0,09 €/m2/anno
Acque dolci superficiali Valore servizio ecosistemico medio: 600 €/ha/anno = 0,06 €/m2/anno Valore economico annuo: 0,06 €/m2/anno
Acque dolci superficiali (classificate “area protetta”)
Valore economico base: 0,06 €/m2/anno Valore servizio ecosistemico medio “habitat”+”ricreazione”+”valore estetico”: 950 €/ha/anno = 0,10 €/m2/anno Valore economico annuo: 0,06+0,10 = 0,16 €/m2/anno
Acque dolci sotterranee (valore integrativo)
Valore servizio ecosistemico integrativo “riserva idrica”: 621 €/ha/anno = 0,06 €/m2/anno Valore economico annuo integrativo: 0,06 €/m2/anno [da applicarsi solo in caso di aree agricole, aree boschive e acque superficiali]
Tabella 3: Valori economici del suolo
1.3. : fattore di pesatura per i bersagli
Come visto precedentemente il parametro
viene calcolato ponendoci nella condizione più
sfavorevole; ad esempio per la popolazione residente
viene calcolato considerando che tutti i residenti siano
nelle zone residenziali al momento dell’evento
indesiderato, si considera che tutti gli addetti
dell’industria e dei servizi e del settore primario siano sul
luogo di lavoro al momento dell’evento, che gli ospedali
abbiano occupati tutti i posti letto e che le scuole
abbiano tutti gli alunni presenti al momento dell’evento. Il
fattore adimensionale viene moltiplicato a questi
valori in quanto permette di trasformare il numero
potenziale massimo di bersagli umani esposti nel
numero di bersagli umani presenti. Questo fattore è
funzione del tipo di bersaglio considerato (indice m) e
varia inoltre a seconda dello scenario ipotizzato. I valori
sono riportati nella seguente tabella:
Tipologia di bersagli umani Scenariocentrale
Scenarioferiale diurno
Scenario notturno
Scenariofestivo diurno
popolazione residente 1,00 0,50 1,00 0,90 addetti industria e servizi 0,24 0,70 0,25 0,40
addetti/utenti strutture sanitarie 1,00 1,50 1,00 1,20 addetti/utenti strutture scolastiche 0,21 1,00 0,00 0,00
Tabella 4: Valore del parametro F
217
Risulta quindi necessario eseguire
separatamente un’analisi completa per ogni scenario
considerato.
1.4. : suscettibilità
Questo fattore consente di tener conto
dell’effettiva esposizione dei bersagli alle conseguenze
di un evento indesiderato. Si può infatti ipotizzare che
alcuni di questi, in particolare quelli umani, potrebbero
trovarsi in una condizione protetta, come nel caso in cui
si trovassero all’interno di un edificio; in questo caso il
fattore ha un valore < 1 e va a ridurre il rischio
generato dall’evento.
E’ anche questo un fattore adimensionale ed il
suo valore è funzione del tipo di bersaglio considerato
(indice m) e dello scenario incidentale ipotizzato (indice
k).
I suoi valori sono riportati separatamente per i
bersagli umani e non umani nelle due tabelle seguenti:
ID scenario e scenario incidentale tipo
Elevata letalità
Inizio letalità
Lesioni irreversibili
Lesioni reversibili
A Pool Fire da liquido infiammabile 0,89×0,25×
×1,000 = 0,2225
0,38×0,25×
×1,000 = 0,0950
0,014×0,25× ×1,000 = 0,0035
C
Pool Fire da liquido estremamente infiammabile
B Flash Fire da vapori liquido infiammabile 1,00×0,25×
×1,000 = 0,2500
0,63×0,25×
×1,000 = 0,1575
D
Flash Fire da vapori liquido estremamente infiammabile
E Jet Fire di gas estremamente infiammabile
0,89×0,25× ×0,125 = 0,0278
0,38×0,25×
×0,125 = 0,0119
0,014×0,25× ×0,125 = 0,0004
F Fire Ball 1,00×1,00×
×1,000 = 1,0000
0,63×1,00×
×1,000 = 0,6300
0,015×1,00× ×1,000 = 0,0150
G Dispersione comburente
HOLD HOLD HOLD
H Rilascio sul suolo e nelle acque
I Dispersione vapori da liquido tossico
0,90×0,25× ×0,125 = 0,0281
0,12×0,25×
×0,125 = 0,0038
0,003×0,25× ×0,125 = 0,0001
L Dispersione vapori da liquido refrigerato tossico
M Dispersione gas da gas liquefatto tossico
Tabella 5: Valore del parametro S per l’uomo
ID scenario e scenario incidentale tipo
Str
utt
ure
Are
e
bo
sc
ate
Are
e
pro
tett
e
Are
e
ag
ric
ole
Ac
qu
e
sott
erra
nee
Ac
qu
e
su
pe
rfic
iali
A Pool Fire da liquido infiammabile 0,25×1,000 = 0,2500
C Pool Fire da liquido estremamente infiammabile
B Flash Fire da vapori liquido infiammabile 1,00×1,000 =
1,0000
D Flash Fire da vapori liquido estremamente
218
infiammabile
E Jet Fire di gas estremamente infiammabile 0,25×0,125 = 0,0313
F Fire Ball 1,00×1,000 = 1,0000
G Dispersione comburente HOLD HOLD HOLD
H Rilascio sul suolo e nelle acque 0,25×0,500 = 0,1250
I Dispersione vapori da liquido tossico 0,25×0,125 =
0,0313
L Dispersione vapori da liquido refrigerato tossico
M Dispersione gas da gas liquefatto tossico
Tabella 6: Valore del parametro S per l’ambiente
Anche in questo caso un’analisi completa
dovrebbe prevedere una singola mappatura del rischio
per ogni scenario incidentale k considerato.
1.5. : capacità di far fronte
Il parametro “capacità di far fronte” definisce un
valore di resilienza del territorio analizzato. Se ne tiene
conto nella formula del rischio in modo da considerare
nell’analisi una diminuzione del rischio nelle zone dove
la resilienza è elevata. Per valutare la resilienza del
territorio si possono utilizzare diversi metodi, tra questi, il
“metodo regione Lombardia” è un modello molto valido,
utilizzato proprio in tale regione per eseguire questi tipi
di analisi.
Esso prevede di individuare sul territorio le seguenti
risorse:
- Comandi e distaccamenti dei vigili del fuoco e tempo
di arrivo in tutti i punti del territorio analizzato
- Punti 118 (118, misericordia, croce rossa, croce
verde ecc) e tempo di arrivo e n ° massimo di
ambulanze che possono arrivare in 10 minuti in tutti i
punti del territorio analizzato
- Ospedali e pronto soccorso e tempo di arrivo da ogni
punto del territorio analizzato a quest’ultimi
- Stazioni e caserme delle forze dell’ordine e tempo di
arrivo da ogni punto del territorio a quest’ultime
- Centri operativi della Protezione civile e tempo di
arrivo
- Dipartimenti e laboratori ARPA e tempo di arrivo in
tutti i punti del territorio analizzato
- Presenza di eventuali piani di emergenza comunali
Per ognuna delle precedenti singolarmente si
può, mediante il grafo della rete e lo strumento network
analyst, costituire una matrice O/D dove, una volta
indicate le origini e le destinazioni, si possono ricavare
tutti i percorsi ed il tempo di percorrenza di ognuno.
Rasterizzando poi il territorio in celle quadrate, ad
esempio di lato 500 m, si possono assegnare ad
ognuna, sempre mediante il software, i valori del tempo
necessario per raggiungerla dall’origine considerata.
Questi valori, una volta normalizzati rispetto al valore
massimo, rappresenteranno il valore IR (indice di
resilienza). Il risultato finale sarà una mappa ottenuta da
un’analisi multi-criteria che considera tutte le singole
precedenti ipotesi, ad ognuna delle quali viene
assegnato un peso mediante il metodo di Saaty
(confronto a coppie). Ogni cella di questo risultato finale
avrà un valore pari a:
Dove è il valore del peso ricavato con il metodo di
Saaty
Da quest’ultimo valore si ricava infine per ogni
cella il valore del parametro capacità di far fronte
mediante la seguente formula:
1
Dove k è il grado di mitigazione massimo che la
resilienza può determinare su un rischio e varia tra 0,10
– 0,20.
In questo modo il valore di varia tra 0 – k.
2. Applicazione al territorio della Versilia
219
In seguito vengono descritti i vari passaggi
eseguiti per ottenere l’indice di rischio arco per arco sul
territorio della Versilia (comuni di Camaiore, Forte dei
Marmi, Massarosa, Pietrasanta, Seravezza, Stazzema,
Viareggio), applicando il procedimento descritto nei
paragrafi precedenti.
2.1. Determinazione del numero di passaggi di
mezzi che trasportano merci pericolose
E’ stato per prima cosa calibrato il modello della
rete viaria della Versilia a partire dal grafo stradale. E’
stata fatta particolare attenzione alla correzione della
topologia del grafo e sono stati poi assegnati, arco per
arco, le indicazioni relative ai sensi unici, alla quota di
ogni singolo elemento del grafo (FT_ELEV, TF_ELEV). I
valori di impedenza ad ogni arco sono stati assegnati
secondo la formula L x Coeff, dove il coefficiente ha
valore che dipende dalla proprietà della strada (avrà
valore minimo per le autostrade e massimo per le strade
comunali).
Sono stati poi georeferenziati sulla mappa i vari
distributori di carburante e le aree industriali presenti sul
territorio. Le aree industriali sono poi state semplificate
ognuna in un punto centrale, trasformando
un’informazione areale in una puntuale;tali punti
andranno infatti poi a costituire le destinazioni dei mezzi.
Per quanto riguarda i percorsi verso i
distributori di carburante, si sono considerate come
origini Livorno e Genova (considerata la presenza del
porto nelle due città), mentre per le aree produttive oltre
a queste due origini è stata considerata anche Firenze.
Fissate quindi le origini e le destinazioni, mediante lo
strumento network analyst, è stato possibile ricavare tutti
i percorsi O/D.
Per definire poi la quantità di mezzi circolante
su ognuno di questi percorsi è stato individuato il
numero di aziende presenti in ogni area produttiva, per
ogni settore industriale principale, che sono, nel caso
della Versilia, il settore nautico, quello conciario e quello
lapideo. Fatto questo è stata eseguita una ricerca on-line
per individuare i cicli produttivi di ogni settore e quindi
quali e quante sostanze pericolose sono necessarie e
dunque dovranno giungere nelle varie aree produttive. I
risultati di tale ricerca sono riportati in seguito:
- Processo produttivo settore nautico
Costruzione scafo e coperta: alcool polivinilico, cera,
resina, fibra di vetro
Incollaggio: colle
Verniciatura: vernici
Falegnameria: colle
https://osha.europa.eu/fop/italy/it/research/news/nuove_t
ecnologie/processi%20produttivi2.htm
- Processo produttivo conciario
Rinverdimento: prodotti chimici (tensioattivi, sali basici,
enzimi)
Calcinazione-depilazione: calce, solfuro di sodio
Sgrassaggio: tensioattivi
Concia minerale: acido solforico, acido formico, formiato
di sodio
Tintura: vernici
http://www.unic.it/it/processo_produttivo.php
- Processo produttivo lapideo
Estrazione: esplosivi
Movimentazione: oli motore
Resinatura: resine
Retinatura: resine
http://www.cogemar.net/ita/activenews.asp?idcat=&idart
=1136&azione=list&layout=
220
In questo modo il prodotto tra il numero di
attività presenti nell’area produttiva ed il numero di
sostanze pericolose necessarie per il processo
produttivo, fornirà il numero di mezzi attratti da ogni area
produttiva, nell’ipotesi che per ogni sostanza sia
necessario un rifornimento a settimana
[n°passaggi/settimana].
Per definire invece la provenienza di questi
mezzi, il numero totale attratto da ogni area produttiva è
stato suddiviso in percentuale tra le 3 possibili origini.
Tale valore percentuale è stato ricavato indicativamente,
stimando la quantità di aziende, dello stesso settore,
presenti nelle zone d’origine. I risultati di tutta questa
procedura sono riportati nella seguente tabella:
ID area produtti
va
mezzi attratti settore nautica
mezzi attratti settore lapideo
mezzi attratti settore
conciario 1 0 12 0
2 0 34 6
3 12 0 42
4 4 2 12
5 24 2 6
6 4 0 12
7 136 0 0
8 0 0 6
9 0 20 6
10 0 14 0
11 0 60 0
12 0 40 0
13 0 4 0
14 0 4 0
15 0 28 0
16 0 6 0
17 0 2 0
Tabella 7: Attrazione mezzi dei vari settori
Nella prima colonna si trovano le varie aree
produttive identificate mediante una numerazione
progressiva, mentre le tre successive indicano i mezzi
attratti settore per settore, riportando quindi, per ogni
area produttiva il prodotto tra numero di attività presenti
e numero di sostanze necessarie per il relativo processo
produttivo.
ID area produttiva Massa
nautica lapideo conciario
1 0.0 8.0 0.0
2 0.0 24.0 0.0
3 5.0 0.0 2.0
4 2.0 1.0 1.0
5 11.0 1.0 0.0
6 2.0 0.0 1.0
7 61.0 0.0 0.0
8 0.0 0.0 0.0
9 0.0 14.0 0.0
10 0.0 10.0 0.0
11 0.0 42.0 0.0
12 0.0 28.0 0.0
13 0.0 3.0 0.0
14 0.0 3.0 0.0
15 0.0 20.0 0.0
16 0.0 4.0 0.0
17 0.0 1.0 0.0
Tabella 8: Attrazione mezzi con origine Massa
ID area produttivaLivorno
nautica lapideo conciario
1 0.0 1.0 0.0
2 0.0 4.0 1.0
3 6.0 0.0 8.0
4 2.0 0.0 2.0
5 11.0 0.0 1.0
6 2.0 0.0 2.0
7 61.0 0.0 0.0
8 0.0 0.0 1.0
9 0.0 2.0 1.0
10 0.0 1.0 0.0
11 0.0 6.0 0.0
12 0.0 4.0 0.0
13 0.0 0.0 0.0
14 0.0 0.0 0.0
15 0.0 2.0 0.0
16 0.0 1.0 0.0
17 0.0 0.0 0.0
Tabella 8b: Attrazione mezzi con origine Livorno
ID area produttivaFirenze
nautica lapideo conciario
1 0.0 3.0 0.0
221
2 0.0 7.0 5.0
3 1.0 0.0 32.0
4 0.0 1.0 9.0
5 2.0 1.0 5.0
6 0.0 0.0 9.0
7 14.0 0.0 0.0
8 0.0 0.0 5.0
9 0.0 4.0 5.0
10 0.0 3.0 0.0
11 0.0 12.0 0.0
12 0.0 8.0 0.0
13 0.0 1.0 0.0
14 0.0 1.0 0.0
15 0.0 6.0 0.0
16 0.0 1.0 0.0
17 0.0 1.0 0.0
Tabella 9: Attrazione mezzi con origine Firenze
Nelle precedenti tre tabelle, il valore di mezzi
attratti da ogni area produttiva è stato suddiviso tra le tre
possibili origini; i valori percentuali utilizzati per la
suddivisione sono i seguenti:
Settore produttivo Origini
Massa Firenze Livorno
Nautico 45% 5% 45%
Lapideo 70% 20% 10%
Conciario 5% 75% 20%
Tabella 10: Suddivisione origini
Per quanto riguarda i distributori di carburante,
il procedimento risulta più semplice in quanto si ipotizza,
anche in questo caso, un rifornimento a settimana e,
considerando le 2 origini Genova e Livorno, è stata fatta
l’ipotesi che il rifornimento avvenga una settimana da
Genova ed una settimana da Livorno.
Definiti dunque tutti i passaggi per le varie
destinazioni, i dati vettoriali sono stati rasterizzati per
poterli sovrapporre e sommare mediante strumenti di
map algebra. Il risultato finale rappresenta il numero
totale di passaggi di mezzi che trasportano merci
pericolose arco per arco.
2.2. Determinazione dei valori medi del
parametro
Per ognuna delle sostanze pericolose che
entrano a far parte del processo produttivo dei vari
settori considerati, è stata ricercata on-line la scheda
tecnica, riportante, tra le varie informazioni, le varie frasi
di rischio caratteristiche. Applicando le indicazioni della
normativa tedesca TRGS600 è stato possibile associare
ad ogni sostanza un fattore di rischio K variabile tra 1 e
50000, il risultato è il seguente:
SETTORE NAUTICO
Alcool polivinilico: R10 R36 R43 R67 Fattore di rischio
500
Cera: da considerarsi non pericolosa
Resina epossidica: R36/38 R43 R51/53 Fattore di rischio
500
Colla vinilica: da considerarsi non pericolosa
Fibra di vetro: R40 (cat. 3) R38 Fattore di rischio 100
Vernice poliuretanica bi componente: R 11 R 20/21
Fattore di rischio 10
SETTORE CONCIARIO
222
Tensioattivi (base cromo): R36 R41 R36/38 R10 R67
Fattore di rischio 100
Calce idrata: R37 R38 R41 Fattore di rischio 100
Solfuro di sodio: R22 R31 R34 R50 Fattore di rischio
100
Acido solforico: R35 R26 R30 R45 Fattore di rischio
50000
Acido formico: R34 Fattore di rischio 100
Formiato di sodio: da considerarsi non pericoloso
Vernice poliuretanica bi componente: R 11 R 20/21
Fattore di rischio 10
SETTORE LAPIDEO
Esplosivi: Fattore di rischio 50000
Oli motore: da considerare non pericoloso
Resina epossidica: R36/38 R43 R51/53 Fattore di rischio
500
Settore per settore è stato infine calcolato un
fattore di rischio medio, che sarà poi quello applicato
nella formula del rischio:
Settore produttivo
Nautico 278
Lapideo 12250
Conciario 8402
Tabella 11: Valore medio K
2.3. Determinazione del parametro inc
A partire dal dato puntuale degli incidenti sul
territorio della Versilia nel triennio 2008 – 2011, sono
stati eliminati i dati relativi ad incidenti che non hanno
prodotto feriti e/o morti. Per i vari archi comprendenti il
grafo stradale del territorio sono stati individuati il
numero di incidenti avvenuti su essi e tale valore è stato
poi suddiviso per la lunghezza in km dell’arco. Il risultato
è stato poi diviso per 3, per riportarci ad un’unità di
misura in [ incidenti / km anno ]. Il risultato ottenuto è
riportato nella successiva figura:
2.4. Determinazione del parametro fattore
d’aggravio
In questo caso sono stati considerati i dati
relativi alle frane ed alle esondazioni. Tali dati vettoriali
sono stati rasterizzati ed alle varie celle sono stati
assegnati i valori ricavati dall’apposita tabella. A tutti gli
eventi di frana è stato assegnato un valore pari ad 1,10,
mentre per le esondazioni è stato assegnato un valore
pari a 1.03 per gli eventi occasionali, 1,05 per gli eventi
ricorrenti ed 1,10 per gli eventi frequenti, facendo
riferimento alle informazioni presenti nella tabella degli
attributi del dato.
2.5. Fattore di rischio normalizzato
Per ogni singolo arco il fattore , dato dal
prodotto tra n ° passaggi, , inc, , è stato diviso per
il prodotto del valore massimo ottenuto sul territorio degli
stessi parametri. Questi valori massimi sono risultati
essere:
n ° passaggi max = 353
= 50000
= 19,58 inc / km anno
= 1,21
223
Di conseguenza si ha un valore di = 418160270
passaggi inc / km anno.
Per ogni arco si ottiene un valore di =
.
2.6. : bersagli esposti
Bersagli umani:
Per la valutazione della presenza dei bersagli
umani si sono presi in considerazione i residenti, gli
addetti dell’industria, dei servizi e dell’agricoltura, gli
utenti delle strutture sanitarie e gli utenti delle strutture
scolastiche:
- Residenti: Facendo riferimento ai dati ISTAT è stato
possibile ricavare il numero di residenti per ogni
comune:
reside
nti
superfici
e totale
[kmq]
densità abitanti su 50
mq [abitanti / mq]
Viareggio 64564 20.28 7.96
Stazzema 3301 1.84 4.48
Seravezza 13238 1.81 18.25
Pietrasanta 24931 20.81 2.99
Massarosa 22330 8.97 6.22
Forte dei
Marmi 7587 7.62 2.49
Camaiore 32774 9.87 8.3
Tabella 12:Densità di abitanti - La densità di abitanti così ottenuta è stata riportata nelle aree residenziali
rasterizzate secondo celle di lato 50 m
- Addetti ai servizi:
Anche questi ricavati dai dati ISTAT:
addetti superficie densità addetti su
servizi totale
[kmq]
50 mq [abitanti /
mq]
Viareggio 13429 20.28 1.655448718
Stazzema 212 1.84 0.288043478
Seravezza 2021 1.81 2.791436464
Pietrasanta 5576 20.81 0.669870255
Massarosa 2671 8.97 0.744425864
Forte dei
Marmi 5875 7.62 1.927493438
Camaiore 6080 9.87 1.540020263
- Tabella 13: Densità addetti ai servizi - Anche in questo caso la densità ottenuta è stata assegnata alle
zone residenziali rasterizzate secondo celle di lato 50 m, ipotizzando che i servizi siano distribuiti nelle stesse
zone residenziali
- Addetti Industria
addet
ti
indust
superficie
totale [kmq]
densità addetti su 50
mq [abitanti / mq]
224
ria
Viareggio 5412 1 13.53
Stazzema 252 0.2 3.15
Seravezza 1261 1.14 2.765350877
Pietrasanta 2741 1.35 5.075925926
Massarosa 2092 1.1 4.754545455
Forte dei
Marmi 387 0.018 53.75
Camaiore 2895 0.59 12.26694915
Tabella 14: Densità addetti all’industria - La densità di addetti ottenuta è stata assegnata alle aree produttive
rasterizzate secondo celle di lato 50 m
- Addetti all’agricoltura
addetti
agricoltura
superficie
totale
[kmq]
densità addetti su
50 mq [abitanti /
mq]
Viareggio 191 7.55 0.063245033
Stazzema 1 2.01 0.001243781
Seravezza 1 3.99 0.000626566
Pietrasanta 9 13.49 0.001667902
Massarosa 10 26.27 0.000951656
Forte dei 4 0.79 0.012658228
Marmi
Camaiore 21 21.88 0.002399452
Tabella 15: Densità addetti all’agricoltura - La densità di addetti è stata assegnata alle aree agricole rasterizzate
in celle di lato 50 m.
- Utenti delle strutture sanitarie
posti
letto
superficie
totale
[kmq]
densità utenti su
50 mq [abitanti /
mq]
ospedale
Versilia 393 0.12 8.1875
casa di cura
San Camillo 160 0.0071 56.33802817
ospedale civile
Tabarracci 60 0.012 12.5
casa di cura
Barbantini 36 0.012 7.5
distaccamento
ospedale
Versilia 49 0.0029 42.24137931
Tabella 16: Densità utenti strutture sanitarie - La densità di utenti è stata assegnata alle aree delle varie strutture
sanitarie rasterizzate secondo celle di lato 50 m.
Bersagli non umani:
Mediante i dati relativi all’uso del suolo è stato
possibile individuare, sul territorio analizzato, le seguenti
sottoclassi:
- Aree urbanizzate
- Aree protette
- Aree agricole
- Aree boscate
- Acque sotterranee
- Acque superficiali
Mediante la tabella (Tab. 3) riportata nei paragrafi
precedenti, è stato assegnato un valore ad ognuna di
queste:
aree urbanizzate: 24 € / mq anno
aree protette: 240 € / mq anno
aree agricole: 7 € / mq anno
aree boscate: 0.03 € / mq anno
acque sotterranee: 0.06 € / mq anno
acque superficiali: 0.06 € / mq anno
Il territorio è stato rasterizzato in celle di lato 30 m, alle
quali è stato assegnato il valore relativo alla classe di
uso del suolo.
2.7. : fattore di pesatura per i bersagli
I dati di densità ricavati per i bersagli umani
sono stati poi moltiplicati per questo fattore che permette
di passare da un valore di n ° di bersagli umani
potenzialmente esposti massimo ad un valore di n ° di
bersagli umani presenti. La tabella (Tab. 4) permette di
ricavare il valore di Fpm a seconda dello scenario
ipotizzato; in questo caso è stato deciso di considerare il
solo scenario feriale diurno del quale si riportano i valori:
Tipologia di bersagli umani Scenario
feriale diurno
popolazione residente 0,50 addetti industria e servizi 0,70 addetti/utenti strutture sanitarie 1,50 addetti/utenti strutture scolastiche 1,00
Tabella 17: Valore Fpm
225
2.8. : suscettibilità
Per entrambe le tipologie di bersaglio è stato
ricavato il valore di questo parametro dalle tabelle (Tab.
5 e Tab. 6), per tener conto di una possibile condizione
di protezione dei bersagli. I valori variano a seconda
della tipologia di scenario considerato e dunque, se si
vogliono considerare tutti i possibili scenari, si dovrebbe
eseguire un’intera distinta analisi per ognuno. In prima
analisi, in questo caso, è stato considerato, per i bersagli
umani, il solo scenario incidentale F (fire ball) ad elevata
letalità per mettersi nella peggiore delle possibili
situazioni; difatti in questo caso abbiamo = 1, che
sta ad indicare che non esiste nessuna possibilità di
protezione per i bersagli. Per i bersagli non umani è
stato considerato lo stesso scenario F (quindi un valore
= 1) per le aree protette, aree urbanizzate ed aree
boscate, mentre per le acque sotterranee e superficiali e
per le aree agricole è stato considerato il peggiore degli
scenari possibile ovvero l’ H (rilascio sul suole e nelle
acque) con un valore = 0.125
2.9. : capacità di far fronte
Sono state considerate le seguenti risorse del territorio:
- Comandi e distaccamenti dei vigili del fuoco e
tempo di arrivo in tutti i punti del territorio
analizzato
- Punti 118 (118, misericordia, croce rossa, croce
verde ecc) e tempo di arrivo e n ° massimo di
ambulanze che possono arrivare in 10 minuti in
tutti i punti del territorio analizzato
- Stazioni e caserme delle forze dell’ordine e tempo
di arrivo da ogni punto del territorio a quest’ultime
- Dipartimenti e laboratori ARPA e tempo di arrivo in
tutti i punti del territorio analizzato
Per ognuna di queste è stata redatta una matrice O/D
dove le origini sono le risorse considerate, mentre le
destinazioni sono il centro delle celle di lato 500 m
ottenute rasterizzando l’intero territorio della Versilia. E’
stato poi utilizzato il modello di rete dove ad ogni arco è
stato assegnato un valore di velocità di percorrenza
funzione della proprietà della strada:
Autostrade 110 km/h
Strade Statali 70 km/h
Strade Regionali 60 km/h
Strade Provinciali 60 km/h
226
Strade Comunali 40 km/h
Dividendo poi la lunghezza di ogni arco per la relativa
velocità si ottiene il tempo di percorrenza di ogni arco,
utilizzato nella network analyst per individuare il tempo di
percorrenza di tutti i percorsi origine – destinazione. Per
ogni risorsa è stato così possibile assegnare, ad ogni
punto del territorio diviso in porzioni quadrate di 500 m di
lato, un valore di tempo di arrivo. Questi valori, una volta
normalizzati rispetto al valore massimo, rappresentano
l’indice IR per ogni risorsa; si riportano i risultati ottenuti:
227
Si ottiene infine una mappa globale
dell’indice IR, mediante un’analisi multi – criteria
eseguita tenendo conto di tutte le risorse. Ad ognuna è
stato assegnato un peso di importanza mediante il
metodo di Saaty, di cui si riportano i risultati:
1 3 6 7 9
0.3333333 1 3 4 6
0.1666667 0.333333 1 1 2
0.1428571 0.25 1 1 2
0.1111111 0.166667 0.5 0.5 1
Tabella 18: matrice confronto a coppie
Pesi assegnati
Centri Arpa: 1
Stazioni/caserme forze dell’ordine: 3
Stazioni VVF: 6
N ° ambulanze in 10 min: 7
118: 9
vettore dei pesi normalizzato
1.00
0.47
0.16
0.15
0.09
Tabella 19: Vettore dei pesi normalizzato
CR = 0.013 < 0.10
Si riporta il risultato ottenuto:
Le celle hanno un valore pari al parametro
∑ dove rappresenta il valore del peso
ottenuto con il metodo di Saaty.
L’ultima operazione consiste nel passare dal parametro
ICR a Cff, mediante la formula:
1
Il parametro k , variabile tra 0,10 e 0,20, è stato assunto,
in assenza di dati più specifici, pari a 0,15. Si riportano i
risultati ottenuti.
228
2.10. Calcolo di per ogni arco:
Una volta definiti tutti i parametri visti in precedenza è
possibile applicare la formula del rischio per calcolare :
1
Si riporta il risultato ottenuto:
Sono stati considerati separatamente i risultati
relativi al rischio per l’ambiente ed il rischio per l’uomo.
Si potrebbe in effetti considerare un rischio complessivo
andando a considerare un valore in € per ogni morto, ma
tale valore sarebbe talmente elevato che andrebbe a
“coprire” i valori di rischio ambientale.
Per entrambe le mappe è stata usata una
classificazione di 4 classi ognuna separata da un ordine
di grandezza. Si può assegnare ad ognuna una
definizione di rischio:
Rischio per l’uomo:
RU 0 0 – 15 E-8 [morti/mq]
RISCHIO TRASCURABILE
229
RU 1 15 E-8 – 15 E-7
[morti/mq] RISCHIO
MODESTO
RU 2 15 E-7 – 15 E-6
[morti/mq] RISCHIO ELEVATO
RU 3 15 E-6 – 15 E-5
[morti/mq] RISCHIO
INACCETTABILE
Rischio ambientale:
RA 0 0.0035 – 0.035
[€/mq anno] RISCHIO
TRASCURABILE
RA 1 0.0035 – 0.035
[€/mq anno] RISCHIO
MODESTO
RA 2 0.035 – 0.35 [€/mq anno]
RISCHIO ELEVATO
RA 3 0.35 – 3.5
[€/mq anno] RISCHIO
INACCETTABILE
Per poter considerare qualitativamente
entrambi i rischi contemporaneamente si può adottare
un metodo, proposto anche nel “progetto Destination”,
che prevede di considerare una doppia scala cromatica;
in seguito sono riportati i risultati ottenuti ed una legenda
della scala cromatica utilizzata.
RU 0 RU 1 RU 2 RU 3
RA 0
RA 1
RA 2
RA 3
Tabella 20: Legenda
3. Modello automatico
Mediante lo strumento “Model Builder” di
ArcGis è stato costruito un modello che considera tutti i
processi utilizzati a partire dai dati di input fino ai risultati
finali di rischio per l’uomo e per l’ambiente. Da tale
modello è stato quindi possibile creare un comando,
salvato all’interno di una nuova “Toolbox”, che consente
di ripetere tutto il procedimento inserendo i seguenti dati
di input:
- Modello di rete.
- Localizzazione puntuale di: CO Arpa, Comandi
VVF, Comandi Forze dell’ordine, CO 118, dati
relativi all’analisi del n ° di ambulanze che possono
raggiungere le destinazioni in 10 minuti.
- Le destinazioni considerate (1 ogni 500 mq)
- I pesi “w” ricavati con il metodo di Saaty per
l’analisi multicriteria per la valutazione della
resilienza del territorio.
- Il valore del coefficiente “k” per la valutazione del
parametro .
- I dati relativi all’esposizione e la vulnerabilità
dell’uomo (o dell’ambiente a seconda dei casi).
- FRImax.
- N ° di passaggi x K.
- I dati relativi all’incidentalità (parametro “inc”).
- I dati relativi al rischio frane.
- I dati relativi al rischio idraulico.
Come output si ottiene il valore del parametro
Ri per l’uomo o per l’ambiente ed eventualmente tutti gli
altri parametri utili come E x S x F, , FRI ecc.
Si riporta, nella figura seguente, come si
presenta il comando precedentemente descritto, per
quanto riguarda il processo relativo alla determinazione
del rischio per l’uomo:
230
4. Conclusioni relative ai risultati ottenuti sul
territorio della Versilia
Dal punto di vista del numero di passaggi di
mezzi che trasportano merci pericolose si può osservare
che, oltre all’autostrada, le zone maggiormente
interessate dal fenomeno sono in particolare l’uscita
dalla SS Aurelia nella zona di Cotone, la zona del porto
di Viareggio a causa dell’elevata presenza di attività
legate al settore nautico, l’uscita dell’autostrada di
Viareggio e quella di Versilia e la S.P. 70 Emilia.
Andando invece a considerare tutti i parametri
all’interno della formula del rischio come esposizione,
vulnerabilità, incidentalità ecc. si può osservare che le
zone a maggior rischio sono:
per il rischio ambientale: S.P. 70 Emilia, S.P 68 Via di
Marina Variante di Querceta, S.P. 9 di Marina.
Quest’ultima in particolare risulta avere un elevato
rischio per l’ambiente in quanto attraversa il parco delle
Alpi Apuane per il rischio per l’uomo: uscita autostrada
Viareggio e Versilia, uscita S.S. Aurelia di Cotone, S.P.
70 Emilia, S.P 68 Via di Marina Variante di Querceta,
S.P. 9 di Marina. L’elevato rischio per l’uomo in queste
zone è dovuto soprattutto ad un elevato numero di
passaggi di mezzi, ma per la zona di Pietrasanta è in
particolare dovuto anche all’elevato numero di attività del
settore lapideo ed anche ad un’elevata densità abitativa.
I risultati di quest’analisi sono stati utilizzati per
individuare la posizione migliore per l’installazione dei
rilevatori di mezzi che trasportano merci pericolose
previsti nel progetto L.O.S.E.
L’analisi sul territorio della Versilia potrebbe
essere sviluppata e completata mediante delle
simulazioni che prevedano delle variazioni della
circolazione dei mezzi che trasportano merci pericolose,
in modo da verificare se vi è la possibilità di diminuire i
rischi per l’ambiente e l’uomo mediante una
ridistribuzione dei flussi. L’analisi potrebbe essere inoltre
estesa a tutto il territorio provinciale. Inoltre,
considerando la formula proposta nel progetto
Destination, potrebbe essere eseguita una suddivisione
più dettagliata dei bersagli umani che in questo caso non
è stata fatta per semplicità o per mancanza di dati:
potrebbe essere considerata infatti anche la presenza di
altre zone di attrazione di bersagli umani come centri
commerciali e scuole, oltre a considerare la presenza
degli utenti della strada. Anche il parametro
potrebbe essere sviluppato più in dettaglio, visto che in
questa applicazione sono stati considerati
cautelativamente i valori massimi possibili sia per i
bersagli umani che per quelli ambientali; potrebbero
quindi essere considerati tutti i diversi scenari incidentali
proposti dalle tabelle 5 e 6 per i due tipi di bersaglio.
Nella formula utilizzata in quest’analisi non è stato preso
in considerazione il parametro indicato nel
progetto Destination come “probabilità che si determini
uno scenario incidentale con area e soglia di danno
note”. Per determinare tale valore si può fare riferimento
ad alcune tabelle che definiscono un certo numero di
scenari incidentali possibili ed alcune sostanze
pericolose che possono essere coinvolte nell’incidente;
questi vengono combinati fino a definire un certo numero
di combinazioni scenario/sostanza. Altre tabelle
definiscono per ogni combinazione un valore di
probabilità di accadimento, di soglia di danno per l’uomo
e per l’ambiente ed un raggio di danno, considerando il
caso di perdita lieve e di perdita grave. Queste
considerazioni potrebbero essere fatte anche per
l’analisi sul territorio della Versilia per differenziare i
danni generati dalle diverse sostanze che circolano sulla
rete viaria ed individuare inoltre i raggi di danno e quindi
le zone che effettivamente potrebbero essere
danneggiate da un eventuale incidente che coinvolge un
mezzo che trasporta merci pericolose. Un ulteriore
sviluppo interessante potrebbe essere quello di
considerare nell’analisi i dati che risulteranno dai
rilevatori che verranno installati nell’ambito del progetto
L.O.S.E., in modo da usare dei dati di traffico di merci
pericolose reali, che permettano di non doversi basare,
come è stato fatto in quest’analisi, su delle ipotesi di
traffico che potrebbero allontanarsi dalla realtà. Tutte
231
queste implementazioni possono inoltre essere rese
automatiche mediante operazioni di “Model Builder”
come visto nel paragrafo precedente, cercando anche di
ottenere una più completa automatizzazione che
consenta di partire da dati di input molto più semplici da
ottenere.
Ringraziamenti
Per il supporto offerto e la disponibilità dimostrata si ringrazia l’arch. Ilaria Tabarrani del “Servizio Pianificazione Territoriale e della Mobilità, Patrimonio, Risorse Naturali e Politiche Energetiche” e l’arch. Francesca Lazzari, dirigente della Provincia di Lucca.
Bibliografia
“Development and analysis of a GIS-based statewide freight data flow network”, WSDOT RESEARCH REPORT, Washington DC 2009 Sheffy J. and Rice Jr., “A supply chain view of the resilient enterprise”, MIT Sloan Management Review 47(1), 45-47. MIT Sloan management review. 2005
Langewiesche W., “American Ground: Unbuilding the World Trade Center”, Atlantic Monthly, July–August 2002. Di Gangi M. (a cura di), “Modelli e metodi per l’analisi delle reti di trasporto in condizioni di emergenza: contribute metodologici ed applicative”, Editrice Ermes, Potenza 2005. WWW.PROVINCIA.LUCCA.IT
. . . # @ # . . .
232
PRESIDI TERRITORIALI E MANUTENZIONE DELLA VIABILITÀ MINORE: RETI DI MOBILITA’ LENTA Giancarlo Arlotti**, Roberta Laghi*
* Ufficio Pianificazione Territoriale - Provincia di Rimini
** Consulente Provincia di Rimini e Vicepresidente FIAB Rimini "Pedalando e Camminando"
1. L’importanza della rete di viabilità minore
Nel mondo post globalizzato, e in balia dei cambiamenti
climatici e relative conseguenze (città infuocate e bombe
d'acqua), troveranno posto e successo processi di
rilocalizzazione del sistema dei servizi e della produzione
locale già a partire dal settore primario e dalla
organizzazione dei territorio agricoli ed extraurbani. Nelle
società resilienti la sopravvivenza sarà garantita dal
rafforzarsi della multiformità interna e da un sistema
plurale e adattogeno di relazioni, la mobilità locale
ritornerà a giocare un ruolo fondamentale per il
mantenimento stesso delle comunità. Diventerà sempre
più strategico investire nella preservazione delle reti locali
sia in termini progettuali sia in termini manutentivi in
particolare nei territori fragili montani e alto collinari dove
la difesa della rete stradale implica la lotta al rischio
idrogeologico favorendo in tal modo anche i processi
reinsediativi. A fronte della scarsità di risorse è
necessario assegnare al recupero e alla
rifunzionalizzazione della rete locale, comprensiva anche
dei tratti capillari costituiti dagli itinerari vicinali, un ruolo
sia sociale, in termini di attrattività e mantenimento della
popolazione sui luoghi, sia economico in termini di
capacità di investimento e di volano per nuovi settori
economici, ancora residuali benché in forte crescita, quali
il cicloturismo e l’escursionismo pedestre.
La strategicità della rete delle strade minori è ben
descritta nell’articolo pubblicato1 su Le Strade intitolato
“Viabilità minore motore di sviluppo” del quale si propone
un breve stralcio a proposito delle “piccole” strade
indispensabili:
1 Domenico Crocco, Paola Villani, Viabilità minore motore di sviluppo, pagg. 74 – 77, Le Strade, n. 5, 2014 http://issuu.com/rivistefiaccola/docs/ls_05_maggio_2014
Nel mondo, molte strade extraurbane (viabilità minore
locale) si caratterizzano per il ridotto transito giornaliero
dei veicoli, transito che assume un valore estremamente
variabile in relazione ai diversi contesti. È soltanto questa
rete secondaria che assicura collegamenti indispensabili
per la popolazione insediata lontana dai grandi centri
urbani. Ma le risorse assegnate per la manutenzione di
queste arterie sono molto scarse: quando si tratta di
pianificare e investire sulla rete locale, si fa ricorso ai
modelli tradizionali di investimento, modelli utilizzati per le
reti di traffico di una certa rilevanza del tutto inappropriati
se applicati a contesti locali. Nel caso delle strade rurali le
cause di ammaloramento e dissesto sono scarsamente
prevedibili e spesso il traffico che vi insiste è talmente
ridotto da non poter in alcun modo, applicando una
tradizionale analisi costi benefici, giustificare gli
investimenti per la manutenzione. Ecco allora come
molte Amministrazioni, ovunque nel mondo, procedano di
fatto con interventi volti alla restrizione del traffico. In tutti
i paesi, qualora si intendano sviluppare strategie di
investimento in favore della viabilità minore, i processi per
la pianificazione degli interventi fanno ricorso a modelli
basati su analisi multicriteri, con esplicito riferimento ai
benefici di tipo sociale che potranno essere conseguiti
specie laddove non siano immediatamente evidenziabili
benefici economici. In Italia non esiste un modello per la
viabilità minore. E come nella maggior parte dei paesi in
via di sviluppo, sono le singole Amministrazioni
(Province, Comunità Montane, consorzi,…) che devono
farsi carico degli interventi di riqualificazione,
adeguamento, manutenzione dei tracciati. Interventi che
dipendono da specifiche fonti di finanziamento e
investimento per lo sviluppo e la manutenzione della rete
stradali, risorse però che, è bene rammentarlo, sono
decisamente esigue in rapporto alla assoluta necessità di
provvedere con opere di ripristino e di riqualificazione.
233
Recuperare itinerari di mobilità lenta e ciclabile in grado di
attrarre visitatori, e quindi valorizzarne le mete
(paesaggistiche e storico culturali), nonché di assorbire
quote di mobilità quotidiana urbana e periurbana (dove,
va ricordato, la maggior parte degli spostamenti non
supera i 5 km di lunghezza) con destinazione i luoghi di
lavoro o i servizi primari (scuola, sanità e
amministrazione pubblica) significa dotare il territorio di
vere e proprie infrastrutture verdi i cui vantaggi rispetto
alle così dette infrastrutture grigie (o tradizionali) sono
ampiamente riconosciuti dalla Unione Europea che le
menziona espressamente quale priorità di investimento
per il Fondo di Coesione e per il Fondo Europeo di
Sviluppo Regionale (nel POR FRSR della Regione Emilia
Romagna la priorità di investimento “sostenere la
transizione verso un’economia a bassa emissione di
carbonio in tutti i settori” con obiettivo specifico “Aumento
della mobilità sostenibile nelle aree urbane” si integra con
l’obiettivo tematico del Fondo Sviluppo e Coesione
“Mobilità sostenibile di persone e merci”).
Realizzare piste ciclabili comporta la riduzione di
emissioni inquinanti, il miglioramento della viabilità e la
riduzione del traffico, la diffusione di uno stile di vita più
sano con notevoli benefici individuali e la riduzione della
spesa sanitaria collettiva. In contesto rurale, il recupero di
itinerari compatibili con la percorrenza ciclabile, se
realizzato con il coinvolgimento delle popolazioni locali a
favore di processi insediativi e di custodia attiva del
territorio, migliora la resilienza contro fenomeni di
dissesto e opera la riqualificazione del paesaggio e
dell'ambiente generando anche occasioni di occupazione
sostenibile.
La realizzazione di nuove infrastrutture ciclabili, a
maggior ragione a fronte della normativa tecnica italiana
ancora ferma al DM 577/1999, può essere superata
favorendo la compatibilità degli usi e la pluralità degli
utenti della rete minore esistente. Tale obiettivo si traduce
sia nell’estensione delle Zone 30 e del traffic calming in
tutto l’ambito urbano, auspicando la differenziazione dei
regimi normativi del Codice della Strada fra ambiti urbani
ed extraurbani (sull’esempio delle normative di Francia e
Belgio) sia nel concetto di “parco ciclistico” e “itinerari
ciclopedonali” in ambito extraurbano, basato sul recupero
a rete delle strade locali esistenti.
A maggior ragione la compatibilità va garantita anche alla
mobilità pedonale in ambito urbano (non più
limitatamente alle zone pedonalizzate) ed extraurbano
favorendo gli spostamenti a piedi sia di tipo
escursionistico che funzionale su brevi percorrenze.
Sull’esempio delle città di Zurigo e San Gallo, sarebbe
importante affermare il primato di “mobilità naturale” alla
mobilità pedonale (non a caso in queste città si parla più
correttamente di traffico pedonale) assegnando al
pedone sempre la precedenza su qualunque altra
modalità di spostamenti e riconoscendogli, in caso di
incidente, il principio dell’inversione dell’onere della
prova.
Recuperare la mobilità a piedi, oltre agli effetti positivi sul
risparmio energetico, le emissioni inquinanti e la salute,
permette di riscoprire il rapporto percettivo e la
riconoscibilità visiva dei luoghi, nonché di acquisire la
consapevolezza delle distanze e dei tempi di
spostamento. Al camminare si associano processi di
riappropriazione dei luoghi, non solo urbani, e
meccanismi di orientamento su mappe individuali fatti di
segni, memorie e punti di riferimento personali, ciò che
spiega la grande diffusione negli ultimi anni
dell’escursionismo, delle camminate urbane e delle
passeggiate naturalistiche a testimonianza di un
riavvicinamento alla natura e al territorio, della ricerca dei
tempi lenti e con essi di nuove relazioni.
2. Ciclovie e reti escursionistiche
Sarà per effetto della perdurante crisi economica ma
negli ultimi anni l’uso della bicicletta nella vita di tutti i
giorni è più che triplicato. Secondo lo studio “European
Cycle Route Network EuroVelo”, condotto dalla Direzione
Generale per le Politiche Interne del Parlamento Europeo
nel 2012, l’impatto economico del cicloturismo è
significativo: la stima è di 2.295 milioni di viaggi, per un
giro d’affari di 44 miliardi di euro all’anno. Il numero di
pernottamenti ammonta attualmente a 20,4 milioni, con 9
miliardi di euro spesi annualmente.
Questi dati sono riferibili sostanzialmente al centro nord
Europa, molto meno in Italia. Nel nostro paese infatti è
evidente la mancanza di una rete di trasporto integrata
sul territorio, che oltre alla complementarietà modale
sviluppi anche una rete attrezzata di attrazioni
234
(emergenze naturali e culturali, borghi storici…), di servizi
(informativi, ricettivi e di ristorazione) e di strutture
tecniche necessarie per chi si muove in bicicletta (dalla
manutenzione al ricovero oppure al noleggio). Mentre a
Berlino è possibile portare la bicicletta su ogni convoglio
della metropolitana e su tutti i treni locali, a Milano la
bicicletta può essere portata su alcune carrozze solo in
limitate fasce orarie e in base alle condizioni di traffico. In
tutta Italia il trasporto della bicicletta sui treni è limitato al
servizio locale su un unico vagone (non chiaramente
identificato) per ciascun convoglio, il trasporto resta a
discrezione del capo treno nelle ore di punta, ed è
precluso a tutti i servizi di media e alta velocità2 (a meno
di non dotarsi delle più costose biciclette pieghevoli o
smontando la ruota anteriore nelle bici tradizionali).
Insomma l’Italia non è, ancora3 , un Paese per ciclisti, ciò
nonostante molte Amministrazioni e Regioni si stanno
dotando di strumenti a sostegno della mobilità lenta. Vale
la pena di richiamare i contenuti del recente protocollo di
intesa promosso dalla Regione Emilia Romagna per
l’attuazione della rete delle ciclovie regionali. Nelle
premesse si legge che:
La mobilità ciclistica rappresenta una forma di mobilità
“completa”, ossia in grado di soddisfare tutte o quasi le
esigenze di spostamento, da quelle sistematiche a quelle
occasionali, da quelle per ragioni di lavoro o studio a
quelle ludiche o ricreazionali. E’ inoltre una mobilità di tipo
altamente sostenibile, che non crea inquinamento, non
impatta sul territorio e non genera sprawl urbano;
Tale mobilità su distanze medie-lunghe tende a
caratterizzarsi come mobilità di tipo turistica o sportiva e
necessita di tempi e servizi particolari;
Da diversi anni questa particolare forma di turismo in
bicicletta, o cicloturismo, ha assunto dimensioni
significative e si caratterizza con viaggi in bicicletta verso
luoghi “interessanti”, su itinerari di uno o più giorni, lungo
percorsi relativamente facili, riservati alle biciclette o su
strade a scarso traffico.
A livello europeo, da tempo ormai il cicloturismo rientra
nelle politiche di promozione della mobilità ciclistica, ed
ha guadagnato molti spazi e consensi. Ad esempio, in
2 Il trasporto della bicicletta montata non è mai consentito sui treni di media e lunga percorrenza ovvero sui treni Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca, Intercity ed Intercity Notte. http://www.trenitalia.com/cms/v/index.jsp?vgnextoid=185e3dc3df75f310VgnVCM1000008916f90aRCRD#2
3 Si attendono modifiche Normative organiche (sia al Codice della Strada sia nei vari Regolamenti Comunali) in materia di mobilità lenta (Zone 30, case avanzate, parcheggi condominiali, sensi unici escluso biciclette...).
Germania è l’attività estiva più praticata dalla
popolazione, superando anche il calcio, ed è stata
inserita come importante parte del “National Cycling
Plan”. Analogamente il piano nazionale francese sulla
ciclabilità punta a rendere la Francia “la prima
destinazione per il cicloturismo in Europa”.
Sulla base di molte esperienze fatte è ormai riconosciuto
che per promuovere il cicloturismo, c’è necessità di una
serie di fattori, ed in particolare della presenza sul
territorio di una rete di percorsi cicloturistici adeguati,
riconoscibili e valutabili.
Per le dimensioni territoriali che copre, una rete di ciclovie
regionali è quindi naturalmente rivolta a questo tipo di
mobilità turistica, costituendo comunque anche un
quadro di riferimento per le reti ciclabili locali e di fatto
integrandosi poi nella rete urbana nel momento in cui
entra nelle città. Da questo punto di vista il cicloturismo
può aiutare anche alla crescita dello share modale della
bici per tutte le motivazioni di mobilità;
- il Piano Territoriale Regionale, che costituisce il
riferimento necessario per l'integrazione sul territorio
delle politiche e dell'azione della Regione Emilia
Romagna e degli Enti locali, nell’ambito delle strategie
per lo sviluppo sostenibile del sistema regionale
riconosce come il turismo rappresenti un punto di forza
per l’insieme del sistema regionale, e che la fruizione di
tale patrimonio richieda che siano ottimizzate le
interconnessioni operative fra eccellenze artistiche,
sistema dell’ospitalità, sistema dei servizi, sistema dei
trasporti;
- lo stesso Piano ritiene necessario, tra le altre cose,
puntare sulla qualificazione urbana e il miglioramento
dell’accessibilità e la riconoscibilità dei percorsi
(segnaletica, rete piste ciclabili, efficienza intermodale,
abbattimento barriere architettoniche...) anche
nell’ottica di valorizzarli quali potenziali destinazioni
turistiche;
- il Piano Regionale Integrato dei Trasporti (PRIT)
prevede di assicurare lo sviluppo sostenibile del
trasporto riducendo il consumo energetico, le emissioni
inquinanti, gli impatti sul territorio, promuovendo anche
un approccio integrato alla pianificazione e alla
realizzazione della rete ciclabile, sia in termini di
infrastruttura e di poli collegati, sia di servizi,
235
segnaletica e dotazioni, per un servizio all’utenza
integrato4.
Anche la mobilità pedonale sia pure legata al tempo
libero e non agli spostamenti funzionali, anche in ambito
urbano (è in uso andare in ufficio in macchina e poi la
sera fare la passeggiata in centro …), ha conosciuto negli
ultimi decenni un notevole incremento legato
all’affermarsi del turismo verde, che pesa sul totale del
turismo in Italia dal 4,2% del 2008 al 7,2% del 2012 , e al
diffondersi si nuove pratiche (come quella del nordic
walking a partire dagli anni 2000). Oltre 2.700.000
persone sono iscritte alla Federazione Europea degli
Escursionisti (ERA) a piedi che riunisce associazioni che
praticano camminate di prossimità, camminate sulle
lunghe distanze, vacanze a piedi, trekking per espetti e
nordic walking.
In Italia l’associazione Trekking Italia porta a camminare
oltre 30.000 persone ogni anno.
Scoperta di nuove mete, conoscenza delle tradizioni
locali, buon cibo, eventi culturali anche minori, slow life si
consolidano come obiettivi di vacanze motivazionali
sempre più diffuse che pongono al centro le peculiarità
dei territori attraversati.
Non da ultimo si affermano sempre più vacanze brevi non
solo in termini temporali ma anche spaziali tanto da poter
parlare di vacanze a chilometro zero e di turismo locale.
Un turismo che interessa non soltanto visitatori da mete
lontane ma anche gli abitanti che si riappropriano e si
prendono cura dei luoghi d’origine con azioni di riscoperta
e riqualificazione in grado di sviluppare micro economie
sostenibili e solidali. È il caso ad esempio dei Percorsi
Occitani dove il recupero della rete sentieristica ha
determinato la nascita di nuove strutture ricettive e il
recupero di molte case private mettendo in tal modo un
freno allo spopolamento e creando nuovi posti di lavoro
con una frequentazione annua di oltre 4.000 presenze.
Anche la Provincia di Rimini ha promosso dal 2007 ad
oggi un progetto di valorizzazione ambientale e
paesaggistica nella valle del Torrente Conca incentrata
sulla messa a sistema di una complessa rete di percorsi
ciclabili e pedonali (si veda l’Allegato “Scheda Progetto
Conca. un progetto di valorizzazione territoriale per
l’intera valle del Conca”).
4 Protocollo di intesa approvato con delibera regionale n. 1157 del 21.07.2014 e con delibera della Provincia di Rimini n. 165 del 1.08.2014.
Alcune Regioni, a fronte di questo rinnovato interesse per
la mobilità lenta, hanno predisposto o recentemente
rinnovato le disposizioni in merito alle reti
escursionistiche a partire dalla definizione non sempre
univoca. Fra le prime, la Legge della Regione Toscana n.
17/98 fornisce la definizione di escursionismo: attività
turistica, ricreativa e sportiva che, al di fuori dei centri
urbani, si realizza nella visita o nella esplorazione degli
ambienti naturali anche antropizzati, senza l’ausilio di
mezzi a motore. In tal modo pone chiaramente il primato
della mobilità ciclabile e pedonale. Altre Regioni, come le
Marche (Lr n.2/2010) e il Piemonte (Lr n 12/2010) ma non
la Regione Emilia Romagna (come si vedrà nel seguito),
assumeranno la stessa definizione ponendosi anche il
tema del rapporto fra regime proprietario e pubblico
passaggio nelle reti sentieristiche. Tema, quest’ultimo, di
particolare rilevanza considerata l’intreccio normativo
nella materia quasi inestricabile.
3. Tipologie di strade e regimi giuridici
L’utilizzo delle strade locali extraurbane per gli
spostamenti in bicicletta e a piedi è auspicabile sia a fini
escursionistici (per quegli spostamenti che in primis
promuovono la conoscenza del territorio) sia a fini
funzionali soprattutto laddove l’urbanizzato si
caratterizza per la presenza di piccoli centri e frazioni fra
loro vicini e quindi facilmente raggiungibili (situazione
assai diffusa soprattutto in ambito periurbano).
A tal fine può essere valutato sia l’utilizzo estensivo della
viabilità minore ordinaria di pubblica proprietà sia l’utilizzo
della fitta e variegata rete di strade rurali variamente
denominate (strade vicinali, interpoderali, forestali,
arginali, …) e irreggimentate (pubbliche, private o
soggette a pubblico passaggio) che possono entrare a far
parte a pieno titolo negli itinerari ciclopedonali
contemplando le valutazioni per la messa in sicurezza,
tramite adeguati interventi sulle caratteristiche tecniche
dei sedimi anche con ricorso alle migliori pratiche oggetto
di approfondimenti di altra attività nell’ambito del
Comitato Tecnico Nazionale 2.5.
Gli itinerari ciclopedonali definiti dall’art. 2 del Codice
della strada si attestano infatti su strade locali, urbane,
extraurbane o vicinali destinate prevalentemente alla
percorrenza pedonale e ciclabile e caratterizzate da una
236
sicurezza intrinseca a tutela dell’utenza debole della
strada.
Già la semplice definizione del Codice implica il concetto
di prevalenza dell’utenza debole (che difetta nella pratica)
nonché il principio di azione da parte del soggetto
pubblico (che accerta le condizioni di sicurezza) con
connessi livelli di responsabilità gestionale e
amministrativa.
Come efficacemente sintetizza Claudio Linzola5 per la
individuazione e la dichiarazione di “itinerario
ciclopedonale” è necessario che si sia in presenza di una
strada di campagna:
- che sia aperta al pubblico
- non necessariamente di proprietà pubblica ma
aperte al transito pubblico;
- che sia caratterizzata da sicurezza intrinseca a
tutela di ciclisti e pedoni.
Proprio il riconoscimento dell’uso pubblico delle strade
vicinali e interpoderali costituisce il collo di bottiglia per gli
itinerari ciclo pedonali essendo spesso consentito il
pubblico transito non per efficacia di formali atti di
assoggettamento ma in via consuetudinaria o storica
come spesso accade anche in molti itinerari CAI in
ambito collinare o di valle.
La seguente sentenza attesta per se stessa e in modo
emblematico la complessità della materia non priva di
contenziosi:
Poiché nella disciplina del D.Lgs 30 aprile 1992, n. 285,
costituisce strada l'area ad uso pubblico destinata al
transito di veicoli, pedoni e animali, e quindi il suolo
concretamente utilizzato quale componente del sistema
viario, non essendo indispensabile la sua inclusione nel
demanio stradale ovvero il suo assoggettamento a diritto
di passaggio della collettività, allorquando manchi un
assetto giuridico in sé idoneo a determinare la
destinazione al transito pubblico, come nel caso di un
terreno di proprietà privata, perché possa configurarsi
una strada e possano trovare applicazione le disposizioni
del codice della strada che regolamentano la circolazione
e la sosta, è necessario che venga accertata una
situazione di fatto divergente da quella normalmente
propria del bene privato, con effettivo godimento di esso
da parte della generalità degli utenti del sistema viario. Ai
fini di tale accertamento, l'assenza di impedimenti
all'ingresso di terzi non è sufficiente a trasformare il fondo
5 Claudio Linzola, “Il regime giuridico delle strade campestri alla luce della loro vocazione ciclabile” – Convegno Fiab, Lodi 2006
di proprietà privata in una parte del complesso sistema
viario pubblico6.
Al fine di eliminare all’origine eventuali dispute con i
proprietari e i frontisti delle strade vicinali è quindi
necessario un atto esplicito da parte della pubblica
amministrazione che, a seguito dell’attività di
pianificazione e accertamento delle idonee condizioni
tecniche delle strade campestri per la mobilità lenta,
attribuisca la servitù di pubblico passaggio. Tale azione
comporta una assunzione di volontà da parte della
pubblica amministrazione sia per le condizioni
presupposte consistenti nell'atto di pianificazione, di
coperture finanziarie e di realizzazione sia per le
condizioni conseguenti consistenti nelle fasi di gestione,
manutenzione, vigilanza e applicazione di regimi
sanzionatori (va da sé che proprio le condizioni
conseguenti sono spesso freno dell'azione pubblica
endemicamente in Italia refrattaria all'azione continuativa
e ripetitiva della buona amministrazione ordinaria rispetto
alla realizzazione di nuove opere, ben più riconoscibili dal
punto di vista elettorale).
E' fuor di dubbio la necessità di un duplice cambio di
direzione dell'agire pubblico: da una parte nella gestione
delle opere, o più genericamente dei beni e non solo
comuni, che di necessità deve volgersi più alla
riqualificazione dell'esistente piuttosto che alla nuova
costruzione (ben noto è il tema, più dibattuto che
praticato, della rigenerazione urbana basata
sull'efficientamento energetico e il miglioramento della
sicurezza sismica del patrimonio edilizio esistente che
così poco spazio trova ancora oggi nelle nostre città,
nonostante sia diventato tema legislativo l'obiettivo
dell'azzeramento del consumo di nuovo suolo per gli usi
urbani); dall'altra sulla volontà esplicita e non residuale di
favorire con azioni continuate e coerenti (quindi finanziate
con carattere di priorità) la mobilità lenta ciclo pedonale
sia come vera e propria modalità di spostamento (la più
naturale, salutare, economica e a impatto zero, con
importanti ricadute7 sui PIL dei singoli Paesi della UE) sia
come mezzo di svago e di conoscenza del territorio nella
6 Sez. I, sent. n. 1694 del 27-01-2005 (ud. del 6-11-2004), Autonuova Srl c. Prefettura di Belluno (rv. 579915) 7 Secondo lo studio realizzato dalla European Cyclists’ Federation l’utilizzo della bicicletta genererebbe ogni anno 200 miliardi di euro, una cifra pari all’intero PIL della Danimarca. http://www.ecf.com/wp-content/uploads/ECF_Economic-benefits-of-cycling-in-EU-27.pdf
237
sua accezione escursionistica. Su questo ultimo tema,
l'abisso che separa i proclami dall'azione è ben palesato,
come già accennato, dal perdurare di una normativa
tecnica per le piste ciclabili ferma al 1999, e già dalla
nascita difficilmente praticabile, nonché dalla difficoltà di
trasformare gli itinerari ciclabili previsti dal Codice, al solo
livello definitorio, in veri itinerari a prevalenza ciclabile. Da
tempo la Federazione Italiana per la Bicicletta (FIAB),
chiede che al pari di altri paesi europei la priorità alla
biciclette negli itinerari ciclabili sia riconoscibile a livello di
regole di circolazione, di segnaletica e di regimi
sanzionatori.
Oltre alla non più derogabile presa di posizione netta a
favore della ciclabilità diffusa, altro nodo fondamentale
risiede nella difficoltà di mettere a sistema con ottica
progettuale, concorsuale e non in contrapposizione,
risorse pubbliche e private a reciproco vantaggio. Ancora
nel nuovo Programma di Sviluppo Rurale della Regione
Emilia Romagna ritroviamo che la condizione per
ottenere finanziamenti per le strade rurali non ha nulla a
che vedere con la progettualità, la coerenza con la
pianificazione pubblica del territorio o il valore “pubblico”
dell'intervento, ancora una volta (e fino al 2020) la
condizione è la costituzione del consorzio stradale ai
sensi della Legge n. 126/1958 dimenticando che, a parte
forse i territori delle bonifiche, nella maggior parte dei
casi, e sicuramente in ambito collinare, le strade rurali
sono lunghe pochi chilometri e interessano ben pochi
frontisti che si vedono costretti a fondare un nuovo ente a
garanzia di una buona gestione che potrebbe essere
assolta in ben altri modi (non da ultimo il ricorso a enti di
gestione già esistenti quali i consorzi di bonifica
stabilendo apposito canone).
Forse un criterio utile per l'assegnazione di finanziamenti
pubblici potrebbe risiedere, oltre che nella coerenza con i
progetti pubblici di riqualificazione territoriale, anche nel
recupero di quell'uso o passaggio pubblico che di natura
dovrebbe caratterizzare i luoghi di transito, di passaggio o
di scambio.
Se da una parte infatti, per creare una via d'uscita nel
pasticcio normativo che caratterizza il tema delle strade
minori, si rileva come già anticipato, la necessità di
riconoscere esplicitamente i tratti di viabilità rurale
soggetta al pubblico passaggio riconoscendone la
pubblica utilità, dall'altro, con ulteriore cambio di
direzione ancora più epocale, sarebbe auspicabile un
recupero estensivo, non basato sul contenzioso giuridico
ma sul diritto naturale, della res in publicu usu. Come
bene argomentato da Paolo Maddalena, tutto il territorio
appartiene alla comunità che si dota delle regole per
gestirlo a meno delle parte concessa, e non dovuta,
all'uso privato: “Occorre partire dall’idea che l’intero
territorio appartiene al popolo, a titolo di sovranità, e che
la proprietà privata è una cessione di parti del territorio
che il popolo sovrano fa a singoli soggetti” . Una sovranità
che recupera, se non in senso giuridico, il valore
condiviso di un bene ritrovato e posto a vantaggio della
collettività secondo un processo di valorizzazione che
interessa anche il recupero dei territori soggetti agli usi
civici e che più genericamente si rifà alla sfera della
economia solidale. Una sfera oggi più consolidata che
conta molte iniziative, a livello sia statale sia locale, che
pone al centro un rinnovato patto sociale dalla cui priorità
potranno scaturire nel lungo periodo processi di
riappropriazione collettiva del territorio.
Ma poiché il territorio non è della Regina, e nemmeno del
popolo sovrano, al momento resta percorribile solo la
strada del riconoscimento dell’uso pubblico, per non dire
dell’esproprio subìto ancora oggi come un ingiusto
ladrocinio piuttosto che il legittimo esercizio della
“superprioprietà” del popolo .
Il riconoscimento esplicito dell'uso pubblico, inoltre,
ponendo la necessità di una selezione dei tratti di
viabilità da assoggettare e comportando un esplicito
onere di gestione a carico della amministrazioni locali può
determinare un conseguente “abbandono” di quei
percorsi che, sebbene conservino intrinsecamente una
valenza pubblica, non rientrano giuridicamente nella
pubblica cura. Ciò a discapito di piccoli interventi diffusi
magari a favore di quegli itinerari consuetudinari che
spesso gli enti sostenevano senza averne esplicitamente
la competenza.
La nuova Legge Regionale dell’Emilia Romagna n.
14/2013 sulla rete escursionistica (REER) affronta il tema
dei regimi proprietari esplicitando la dichiarazione
dell’interesse pubblico per i percorsi escursionistici inclusi
nella rete “in relazione alle funzioni e ai valori sociali,
culturali, storici, architettonici, ambientali, didattici e di
tutela del territorio nonché ai valori naturalistici, paesistici,
sportivi e di promozione della salute peculiari dell’attività
escursionistica” (art. 6) con conseguente
assoggettamento a servitù di passaggio dei tratti di
viabilità di uso privato. La legge disciplina anche le
modalità di coinvolgimento dei soggetti privati titolari di
238
diritti reali indicando prioritariamente una strada
“pattizzia” con ricorso ad accordi ex art. 11 della L 241/90
che definiscano modalità d’uso, norme comportamentali,
limitazioni o divieti connessi alle condizioni del percorso
nonché l’eventuale partecipazione imprenditoriale degli
stessi soggetti proprietari. Solo il fallimento dell’accordo
avvia da parte della Regione (e non delle amministrazioni
locali territorialmente interessate) il procedimento di
assoggettamento a servitù di passaggio.
L’obbligo di “presa in carico” e di gestione diretta della
rete (già insita nella servitù) è dalla legge esplicitata
all’art. 8 che prevede per i Comuni l’obbligo di predisporre
annualmente un programma di gestione e manutenzione
ordinaria dei percorsi escursionistici ricadenti nel territorio
di loro competenza. Per gli interventi straordinari però, la
Regione attiva e finanzia un programma triennale degli
interventi. Benché si riscontri il merito di aver aperto un
nuovo canale di finanziamento sulla viabilità minore
(ampiamente intesa dato che la Legge Regionale non
esclude agli art. 2 e 4 il traffico motorizzato) tenendo
conto delle eventuali sinergie con altre programmazioni
regionali (art. 11 comma 2), tuttavia il vecchio e rodato,
nel bene e nel male, meccanismo a bando previsto per
l’erogazione dei contributi (art. 11 comma 2 e 3) ancora
una volta non annovera tra i criteri di ammissione a
finanziamento la tanto vitale ed essenziale coerenza con
gli strumenti di pianificazione urbanistica che restano la
sede prioritaria ed indiscussa per la definizione, territorio
per territorio, di tutte le reti (da quelle principali a quelle
locali e capillari) e di tutte le funzioni.
La Legge Regionale offre spunti significativi anche sul
tema delle modalità di gestione e mantenimento della
rete, posta sì a capo delle amministrazione locali che
tuttavia si possono avvalere prioritariamente, tramite
convenzioni, delle associazioni di promozione sociale e di
volontariato presenti sul territorio e degli operatori agricoli
operanti sul territorio (art. 8). In particolare il richiamo agli
strumenti finanziari attinenti al settore agricolo (Lr 12/85
sul patrimonio alpinistico; D.Lgs 228/01;
programmazione comunitaria destinata ad aziende
agricole – con probabile e auspicabile riferimento al PSR)
rappresenta una importante istituzionalizzazione della
necessità ed opportunità di coinvolgere stabilmente la
popolazione locale sul mantenimento del territorio a
vantaggio delle popolazioni locali (che come si è visto
praticano sempre di più un escursionismo di prossimità
alla riscoperta dei propri luoghi di origine) e dei visitatori
esterni. Questa operazione, di custodia attiva dei luoghi,
oltre a generare piccoli redditi integrativi a sostegno delle
attività agricole, produce significativi risparmi sulle
finanze pubbliche garantendo il presidio costante, la
continuità e periodicità dei piccoli lavori di manutenzione
che scongiurano la necessità di interventi di ripristino
straordinari ed onerosi.
L'inserimento dei percorsi nella rete regionale garantisce
quindi gli accordi con la popolazione locale (sia
preliminari in fase di definizione sia definitivi per la
gestione), l’assunzione certa della gestione da parte della
pubblica amministrazione, la disponibilità di strumenti
finanziari per interventi ordinari e straordinari e
percorribilità, sussistendo il divieto (con relative sanzioni)
di danneggiare, alterare o impedire il libero accesso ai
percorsi inseriti nella REER (art. 12), niente più tronchi o
filo spinato che possano ostacolare il transito.
Nell'Emilia Romagna terra di motori, però, rientrano a
pieno titolo tra le escursioni anche le attività motorizzate
(dobbiamo pensare a motocross o addirittura rally
fuoripista?). Non ci sono esclusioni di sorta, anzi
l'apposizione di un divieto al transito motorizzato è
procedura eccezionale (quasi si negasse, ora sì, un diritto
naturale alla motorizzazione...) che va motivata e
approvata da vari livelli di controllo (il Comune, l'Unione
dei comuni, gli enti gestori dei parchi e non da meno la
Consulta territoriale della REER istituita dalla normativa).
E' questa forse la principale ombra della L.R.,
un'occasione persa per stabilire quel primato della
mobilità a piedi e in bicicletta che invece sarebbe tanto
urgente ed essenziale affermare. Per contro su altre
tematiche, quale soprattutto quella relativa alla
contestualizzazione della gestione della rete, la legge ha
invece il merito di sistematizzare compiutamente intenti e
procedure che, benché non nuovi, difficilmente trovano
applicazione coerente e diffusa.
Non mancano però su questo fronte altri esempi virtuosi.
4. Gestione delle reti e popolazione locale
Come già accennato un requisito fondamentale per
favorire la mobilità a piedi e in bicicletta, anche su
percorsi escursionistici, è la presenza di una rete di
percorsi continua, motivata, segnalata e adeguata in
termini di caratteristiche tecniche e compatibilità di
utenza (si sono citate a tale proposito la rete delle ciclovie
239
regionali e la rete sentieristica della Regione Emilia
Romagna).
Spesso il mantenimento della rete è ostacolato dalla
conflittualità tra i fruitori e gli abitanti con particolare
riferimento ai conduttori agricoli (senza contare i
cacciatori, ma qui si aprirebbe un altro capitolo assai
annoso che nasce alla radice stessa del “diritto” alla
caccia per cui tutto il territorio rurale è “naturalmente”
aperto alla caccia …) oltre che dalla scarsità di risorse
pubbliche. Avviare processi di coinvolgimento e di
accordo (come prefigurato dalla citata Lr della RER n.
14/2013) con la popolazione locale può essere lo
strumento efficace sia per favorire meccanismi di
accettazione e appropriazione della rete sentieristica sia
per indurre significativi risparmi nelle casse comunali.
Il Decreto legislativo 228/2001 “Orientamento e
modernizzazione del settore agricolo” stabilisce all'art. 15
comma 1 che al fine di favorire lo svolgimento di attività
funzionali alla sistemazione ed alla manutenzione del
territorio, alla salvaguardia del paesaggio agrario e
forestale, alla cura ed la mantenimento dell'assetto
idrogeologico e di promuovere prestazione a favore della
tutela delle vocazioni produttive del territorio, le Pubbliche
Amministrazioni possono stipulare convenzioni con gli
imprenditori agricoli stipulando contratti d'appalto diretti,
in deroga alle norme vigenti (comma 2), nel rispetto degli
importi massimi stabiliti dalla legge e dai regolamenti
comunali per l'acquisizione di beni e servizi in economia.
Sulla base di tali disposizioni il Comune di Dolo in
Provincia di Venezia ha deliberato8 , anche al fine di
superare la carenza di risorse economiche che di fatto
ostacola una costante manutenzione del territorio (dalle
premesse della delb. Di GC n. 82/2012), l'approvazione
di uno schema tipo di convenzione da utilizzare
estensivamente per l'affidamento agli operatori agricoli di
numerosi servizi di manutenzione ambientale, fra i quali:
opere di difesa dalle inondazioni; riparazione delle strade
comunali e loro pertinenze dovute per lo più a fenomeni di
dissesto; manutenzione di giardini e parchi, viali e piazze
pubbliche, arredo urbano.
L'esperienza del Comune di Dolo è un buon esempio di
come si possa perseguire l'interesse pubblico
risparmiando risorse e facendo della custodia del
8 Comune di Dolo (VE) Delibera n. 82/2012 “Convenzione con imprenditori agricoli singoli o associati per la fornitura di servizi quali sistemazione e manutenzione del territorio” art. 15 del D.Lgs 228/2001”
territorio, un nuova leva di sviluppo economico locale. Il
testo integrale della delibera è riportato in allegato
(Allegato 3).
Anche la Provincia di Rimini ha perseguito, nell'ambito
del progetto di valorizzazione territoriale di seguito
descritto, la costituzione di un presidio territoriale attivo in
grado di sostenere insieme alle istituzione politiche
pubbliche iniziative di custodia e promozione del
territorio.
5. Un caso studio: il Progetto Conca
Il progetto attuativo del Piano Territoriale di
Coordinamento della Provincia di Rimini, “Progetto
Conca”, ha rappresentato la prima sperimentazione di
pianificazione e progettazione partecipata attivata in
Emilia Romagna ai sensi della Convenzione europea del
paesaggio (Firenze 200 - art. 6).
Finanziato da Regione Emilia Romagna, Ministero dei
Beni Culturali ed Enti locali con capofila la Provincia di
Rimini, ha interessato il tratto della bassa e media valle
del torrente Conca ricadente nel territorio di undici
Comuni.
Il progetto ha valutato tutti i paesaggi attraversati dal
corso d’acqua da quelli di pregio a quelli degradati e da
riqualificare ed ha fornito i contenuti progettuali
fondamentali per l’istituzione del Paesaggio Naturale e
Seminaturale Protetto del Torrente Conca ai sensi della
Lr n. 6/2005 (delibera di CP n. 33 del 28.06.2011). Il
processo di pianificazione integrata sul piano
istituzionale, tecnico e partecipativo ha portato ad un
programma territoriale di valorizzazione paesaggistica (il
progetto territoriale) dotato di un sistema di regole comuni
d’intervento diffuso (le linee guida), e di un sistema di
azione locale (i progetti pilota).
Grazie all’impegno di tutti i soggetti coinvolti e al circuito
virtuoso fra pianificazione territoriale, programmazione di
settore, progettazione d’area vasta e implementazione
locale, oggi la valle del Conca dispone di un ampio
programma di azioni, fra le quali un sistema integrato di
percorsi da attuare e mantenere nel tempo.
Oltre a fornire un quadro d'azione condiviso il progetto ha
avviato sul territorio un evento di promozione territoriale
(il festival “A passo d'uomo”) e la formazione di un
240
“presidio attivo” con il coinvolgimento di numerosi attori
locali che oggi è diventato il soggetto promotore di
numerose iniziative di valorizzazione del territorio.
I percorsi della valle del Conca
In attuazione del Progetto Conca, si sono ripristinati i
sentieri di lungo fiume (Percorso naturalistico del torrente
Conca), e i circuiti collinari (Grande Anello Verde, di
seguito soltanto GAV) coerenti con la pianificazione
regionale, precedentemente richiamata, delle ciclovie e
della rete escursionistica REER – ai sensi della Lr
n.14/13). Con l'ausilio del CAI è in corso la mappatura e
la schedatura dei percorsi finalizzata alla definizione della
rete e alla programmazione degli interventi di ripristino.
Il festival di promozione territoriale
Il festival “A passo d'uomo” è un evento originale basato
sul binomio arte e natura durante il quale i percorsi
naturali e culturali della valle del Conca divengono
scenario e palcoscenico di mostre, performance teatrali,
escursioni di scoperta e conoscenza dei tesori e delle
memorie dei luoghi. Si tratta di progetto sperimentale di
sviluppo locale che incentiva e valorizza la creatività
giovanile, le arti contemporanee e il patrimonio storico
culturale della valle del torrente Conca.
Nato nel 2012 grazie all’Unione Valconca (capofila) e alla
Provincia di Rimini, al Dipartimento della Gioventù –
Presidenza del Consiglio dei Ministri e all’Anci –
Associazione Nazionale Comuni Italiani, il progetto ‘A
passo d’uomo’ è giunto aggi alla terza edizione grazie
all'iniziativa locale e alla collaborazione fra le istituzioni.
L’implementazione e la gestione dei percorsi
Il Progetto Conca definisce a livello territoriale il sistema
dei percorsi e la metodologia di intervento da attuare sul
recupero e la valorizzazione di ciascun tratto o circuito
orientando le azioni delle amministrazioni locali al fine di
restituire nel tempo un sistema integrato e manutenuto
costantemente fruibile.
Al fine di monitorare e manutenere i percorsi la Provincia
di Rimini promuove l'individuazione, per ciascun
percorso, di un soggetto “custode” che abbia anche il
compito di favorire la frequentazione e, a richiesta, si
svolgere attività di guida e informazione predisponendo la
percorribilità dei percorsi in occasione degli eventi
annuali.
Già in fase sperimentale con apposite convezioni sono
state coinvolte associazioni agricole locali per la
manutenzione e predisposizione dei sentieri e della
segnaletica di orientamento.
Recentemente inoltre si è formata, sulle esperienze dei
precedenti anni, un’associazione di promozione sociale
(APS A Passo d'Uomo) che ha assunto il compito di
soggetto promotore di iniziative di valorizzazione della
valle in modo continuato e non solo in occasione del
festival stagionale contribuendo così a formare una
iniziativa dal basso, costruttiva e coerente con le politiche
pubbliche sin qui adottate, che il Progetto Conca mirava a
costituire
Il progetto conca è descritto nella scheda di sintesi
allegata (Allegato 2)
6. Conclusioni
Le considerazioni sin qui condotte e gli esempi portati a
riferimento, consentono di tentare di enucleare alcuni
nodi problematici che è necessario tenere presente per
poter efficacemente affrontare il tema dell'utilizzo della
rete di strade minori, anche e principalmente rurali, ai fini
della mobilità lenta ciclo pedonale escursionistica e
funzionale.
Innanzitutto occorre rilevare che per garantire la fruizione
delle strade rurali e vicinali di varia natura è necessario
accertare o riconoscerne l'interesse pubblico, in quanto
parte di una rete quanto meno di rilevanza locale, e
apporre quindi il vincolo di servitù di passaggio. Tale
vincolo può essere tramutato in una opportunità per i
soggetti che ne sono destinatari sia nella costruzione
della rete di percorsi, e ancor più nel suo mantenimento o
promozione, ricorrendo all'accordo e al coinvolgimento,
anche in termini di prestazione di servizi, delle
popolazioni locali con particolare riferimento agli
operatori agricoli e alle associazioni attive nella difesa del
territorio e dell'ambiente e delle identità locali. Tali
accordi diventano vere e proprie leve di sviluppo socio
economico e possono attivare circuiti virtuosi fra pubblica
amministrazione e cittadinanza.
Coniugare interesse privato e interesse pubblico genera
responsabilità diffusa, cura del territorio e nuova
coesione sociale permettendo inoltre di risparmiare
preziose risorse pubbliche. L'integrazione dei
241
finanziamenti, o delle prestazioni d'opera, deve però
attuarsi anche a livello di gestione di finanziamenti ancora
troppe volte concessi con criteri settoriali difficilmente
integrabili, anche perché assegnati con meccanismi a
bando i cui criteri rischiano di diventare una paravento
per la distribuzione “a pioggia” per anni utilizzata dalla
pubblica amministrazione che così poco ottiene in termini
di massa critica e di efficacia degli interventi.
Fra i criteri di assegnazione emerge la necessità di
premiare la progettualità e la coerenza dell'intervento, sia
di iniziativa privata sia di iniziativa pubblica, con la
pianificazione del territorio e delle reti (e qui ritorna il
problema dei contenuti minimi obbligatori dei piani
urbanistici) e soprattutto sul ripristino dell'ancestrale ruolo
pubblico della strada come luogo di transito, accesso e
collegamento fra le genti.
E’ auspicabile che proprio questo criterio divenga
prioritario nella selezione degli interventi da ammettere a
finanziamento pubblico soprattutto in tema stradale.
In sintesi si individuano i seguenti passi che tracciano il
quadro complessivo e consentono di fornire linee guida
utili per il governo del territorio a livello locale con
specifico riferimento all'adeguamento delle normative,
per lo più regionali, che lo regolamentano:
- quale contenuto essenziale degli strumenti urbanistici
a livello normativo dovrebbe essere prevista la
definizione della rete di viabilità locale e rurale in
relazione alle esigenze/opportunità di mobilità lenta
(localizzazione di servizi, di residenze rurali sparse, di
borghi storici, di emergenze culturali e naturalistiche),
realizzando quindi un vero e proprio progetto per il
territorio;
- a livello di contenuti di piano (o per dettato normativo)
dovrebbe essere inserito il riconoscimento
dell'interesse pubblico dei tratti viari inseriti nello
schema di rete territoriale provvedendo per essi a
istituire l'obbligo di pubblico passaggio con
conseguente presa in carico da parte delle
amministrazioni degli oneri di gestione e
mantenimento da attuare con ricorso alle migliori
pratiche tecniche;
- a livello gestionale deve essere promosso il ricorso ad
accordi con soggetti privati attivi sul territorio con
particolare riferimento agli operatori agricoli e alle
associazioni locali istituendo soggetti “custodi “ di un
determinato bene o più genericamente selezionando
soggetti accreditati (da inserire in pubblici albi) in
grado di svolgere per conto dei soggetti proprietari
delle strade (siano essi pubblici o privati) opere di
manutenzione e ripristino anche con interventi di
difesa attiva e diffusa a contrasto del rischio
idrogeologico (come la manutenzione dei fossi o la
regimazione delle acque superficiali);
- a livello autorizzatorio dove essere previsto l'obbligo
di manutenzione delle strade di accesso nell'ambito
del rilascio di titoli abilitativi in contesti rurali;
- a livello di concessione di pubblici finanziamenti
devono essere assunti quali criteri di accesso
l'apposizione del diritto di pubblico passaggio e la
coerenza con la rete territoriale stabilita dagli
strumenti di pianificazione urbanistica.
Ovviamente si tratta di un primo quadro d'azione tutt'altro
che a-problematico che evidenzia la necessità di agire su
molti fronti (pianificatori, progettuali, gestionali e
finanziari) al fine di garantire nel tempo la definizione e
soprattutto il mantenimento di una rete efficiente di
percorsi in grado di connettere le mete funzionali, culturali
e storico-naturalistiche del territorio.
Riferimenti Normativi
LEGGE REGIONALE 26 luglio 2013, n. 14 Rete escursionistica dell’Emilia-Romagna e valorizzazione delle attività escursionistiche - Bollettino Ufficiale n. 213 del 26 luglio 2013
Allegati
Allegato 2 – Scheda Progetto Conca: un progetto di valorizzazione territoriale per l’intera valle del Conca Allegato 3 – Comune di Dolo (VE) Delibera n. 82/2012 “Convenzione con imprenditori agricoli singoli o associati per la fornitura di servizi quali sistemazione e manutenzione del territorio art. 15 del D.Lgs 228/2001”
.. - + * + -...
242
L’ADEGUAMENTO DEL PATRIMONIO INFRASTRUTTURALE ESISTENTE Francesco Annunziata*, Paola Villani **
* Università Cagliari, ** Politecnico di Milano
1. Le infrastrutture viarie extraurbane
Il nostro Paese ha un’orografia prevalentemente
collinare ed è caratterizzato da un sistema insediativo
composto per lo più da città di medie dimensioni, da
paesi e da borghi, formatosi in un territorio prealpino,
appenninico, e comunque collinare come nelle Isole
maggiori, tutti accomunati dalla presenza di emergenze
storico-ambientali, testimonianza di una storia
plurisecolare. A questo dato territoriale, corrisponde un
patrimonio stradale costituito, solo nella misura del 4%
(circa 7.000 km), da strade a carreggiate separate,
assimilabili al tipo autostradale, e quindi
prevalentemente composto da strade a carreggiata
unica, appartenenti a differenti Enti ed Amministrazioni,
spesso inadeguate in termini di sicurezza della
circolazione.
Di contro, le progettazioni infrastrutturali hanno
prevalentemente considerato assi e corridoi rispondenti
ad alte velocità di progetto, volti ad assicurare
collegamenti rapidi tra le città maggiori ed i nodi di
trasporto: questa scelta di politica dei trasporti ha inteso
completare la rete infrastrutturale fondamentale anche
nell’ambito della realizzazione di reti europee. E’
certamente condivisibile la realizzazione di linee
ferroviarie ad alta velocità, di corridoi autostradali, di
strutture portuali ed aeroportuali di livello nazionale e
sovranazionale. E tuttavia si ritiene che lo stesso livello
di attenzione non sia stato rivolto all’adeguamento del
patrimonio infrastrutturale esistente, all’adeguamento
del tessuto connettivo che, accanto ad una differente
politica delle strutture di servizio, deve concorrere alla
realizzazione di un sistema insediativo fondato sulla
salvaguardia, la valorizzazione ed il rafforzamento
dell’esistente.
E’ un problema di equilibri: le culture locali, lo stesso
tessuto economico fondato sulle piccole-medie imprese,
legato all’agricoltura, all’allevamento, all’artigianato, alla
produzione di beni di qualità riconosciute nel mondo,
sono riferiti alla popolazione insediata, il cui sentire
identitario è legato ai luoghi. Continuare a rendere
marginali vaste aree del nostro Paese, rafforzando
prevalentemente gli attrattori di interessi delle città
maggiori, e trascurando invece il livello regionale e/o
sub-regionale, avrà la conseguenza di perdurare nello
spostamento delle popolazioni verso le maggiori aree
urbane, aggravandone peraltro i problemi.
Le scelte adottate non hanno risolto le criticità del
comparto infrastrutturale italiano, del complessivo
sistema dei trasporti e si traducono in un pesante fattore
di crisi dell’attuale modello macroeconomico italiano. Se
la riflessione si limita al comparto viario, la diffusa
saturazione dei nodi e delle reti viarie, l’inadeguatezza
della complessiva rete viaria, in particolare nel Centro-
Sud e nelle Isole, costituiscono il limite principale di
un’ipotesi di affidamento alle strade degli incrementi di
traffico – in particolare mercantile – non assorbibili dagli
altri modi di trasporto. Questi ultimi sono infatti
pesantemente condizionati da carenze progettuali ed
organizzative, e dall’assenza di una politica dei trasporti
finalizzata a realizzare quel sistema integrato ed
intermodale più volte indicato come obiettivo della
programmazione, e mai realizzato.
Alcune stime conducono a supporre che nel corrente
decennio (2014/2024) la mobilità dei passeggeri e delle
merci richiederà nuovi investimenti infrastrutturali
soprattutto nei nodi di interscambio. La pianificazione
non dovrà più essere settoriale; dovrà avere una visione
ben coordinata nel settore delle infrastrutture, favorendo
logiche di coerenza programmatica a livello di sistema
dei trasporti, anche attraverso interventi tesi al
243
miglioramento della rete esistente. L’approccio alla
pianificazione delle infrastrutture dei trasporti del futuro
dovrà essere caratterizzata anche dalla valorizzazione
dell’esistente, intervenendo soprattutto sui piccoli “colli
di bottiglia” e sugli aspetti tecnologici dei differenti settori
del comparto infrastrutturale.
Nell’immediato e nel futuro che ci attende un tema
strategico per lo sviluppo socio-economico è
l’adeguamento del patrimonio infrastrutturale esistente,
che richiede interventi di manutenzione straordinaria o
migliorativa. Argomento di studio, di ricerca e di
progettazione saranno sempre più l’adeguamento ed il
recupero, anche per nuove funzioni, dell’esistente.
Si viene determinando l’esigenza di riflettere sulla
necessità di decidere quale funzione assegnare ai
diversi elementi dei patrimoni esistenti quando si pensi
alla progettazione di nuove opere. Si rende necessario
intervenire con attività di manutenzione ordinaria,
straordinaria e con interventi di adeguamento
dell’esistente, considerando la realizzazione di nuovi
interventi quando essi possano esaltare la funzionalità
complessiva e quando essi abbiano costi ambientali ed
economici che li rendano convenienti, in quanto
elementi innovativi dell’esistente,
Un’attenzione particolare meritano le aree urbane: esse
si sono venute determinando nel tempo come
aggregazioni a città esistenti di periferie residenziali,
prevalentemente prive di servizi, ove si è venuta
concentrando una popolazione che è andata
progressivamente abbandonando aree periferiche e
marginalizzate del nostro Paese, prevalentemente
prealpine, appenniniche e collinari/montuose nelle Isole
maggiori. Quando si pensa ai molteplici disordinati
aggregati urbani la domanda è se l’adeguamento dei
patrimoni esistenti non riguardi anche questi
trasformandoli in nuove aree che abbiano riferimento al
cittadino – non più soltanto pedone, alle sue esigenze,
costruendo parti di città nelle quali i flussi veicolari non
siano più il solo elemento sul quale e per il quale
organizzare la rete e la stessa città. Per il futuro,
un’altra esigenza che si pone è quella di individuare
insiemi di Comuni, di realtà urbane, riferiti a centri di
servizio di livello “provinciale”, ben interconnessi al loro
interno, così da costituire sistemi urbani diffusi, e verso
l’esterno tramite efficienti relazioni con i corridoi stradali
e ferroviari di livello regionale ed interregionale. La
stessa politica dei trasporti dovrebbe essere rivolta a
questo obiettivo, la complessiva integrazione del
territorio nazionale, adeguando e trasformando
l’esistente.
Nel caso delle strade, l’adeguamento va inteso a dare
un supporto alla rete autostradale ed a quella
fondamentale, al livello nazionale, interregionale e
regionale, a migliorare le condizioni di sicurezza,
particolarmente precarie nella viabilità ordinaria
extraurbana, e ad assicurare migliori condizioni di
accessibilità a quella gran parte delle aree regionali,
dalle quali si continua ad assistere a esodi delle
popolazioni verso aree meglio attrezzate di servizi e di
adeguati collegamenti viari
Il quadro normativo in merito all’adeguamento delle
strade esistenti persiste in condizioni di grave carenza.
Questa situazione deve essere sanata partendo dal
presupposto di base che la riqualificazione funzionale ed
il conseguente adeguamento devono essere rivolti a
considerare il rapporto tra la strada, le caratteristiche
ambientali e gli equilibri preesistenti. Il motivo conduttore
di un complessivo progetto di adeguamento deve essere
la sostenibilità ambientale e la sicurezza intrinseca della
strada, sia che si tratti di nuova costruzione che di
adeguamento.
La finalità che ci si prefigge, in attesa di Norme
specifiche per l’adeguamento di infrastrutture viarie
esistenti, è formulare proposte per l’adattamento della
Normativa vigente al tema progettuale suddetto. In Italia
i due Decreti (D.M. 5 novembre 2001 “Norme funzionali
e geometriche per la costruzione delle strade” ed il D.M.
19 aprile 2006 “Norme funzionali e geometriche per la
costruzione delle intersezioni stradali”) sono cogenti
soltanto per la progettazione delle nuove infrastrutture e
costituiscono un mero riferimento per la progettazione di
interventi di riqualificazione funzionale e di
adeguamento di infrastrutture esistenti, adeguamento
sovente di difficile realizzazione.
La riqualificazione funzionale va intesa in termini di
ricostruzione di un sistema a rete, che distingua le
funzioni territoriali e le funzioni assolte, nell’ambito della
rete infrastrutturale della totalità dei collegamenti viari,
assicurando un’omogeneità di offerta e di livello di
servizio per le infrastrutture d’interesse locale,
provinciale, regionale o interregionale. In una corretta
prospettiva di valorizzazione della globalità delle risorse
244
(ambientali, economiche, etc.) non si può prescindere
dalla valutazione del ruolo che un singolo itinerario o
una singola strada assolve all’interno della rete
complessiva (nazionale, regionale, locale). La gestione
di un itinerario fondamentale (rete primaria) o di
interesse regionale di primo livello (rete principale) deve
fondarsi sullo studio di tutte le componenti la rete che
concorrono a sostenere la funzionalità dell’itinerario
stesso: devono essere individuate le caratteristiche
geometriche e di progetto dell’itinerario principale e di
quelli complementari, la localizzazione e la scelta del
tipo delle intersezioni, e devono essere attribuite
funzioni specifiche ai singoli elementi viari, e di
conseguenza le corrispondenti caratteristiche
geometriche e di progetto. Si rende necessaria quindi la
definizione di una metodologia di classificazione delle
strade esistenti, che presupponga una pianificazione
generale e di settore dalla quale far derivare progetti di
riqualificazione.
La Normativa di progettazione, la stessa impostazione
culturale della disciplina connessa alla progettazione
delle infrastrutture viarie, prevalentemente orientata al
disegno di nuove infrastrutture, è difficilmente riferibile
alla progettazione degli interventi di adeguamento
dell’esistente.
Appare proponibile inserire, nell’eventuale revisione
della Normativa, specifiche linee-guida interpretative,
almeno fintanto che non esista una Normativa più
precisamentee riferita alla progettazione degli interventi
di adeguamento dell’esistente. E si ritiene si debba
andare ad una rivisitazione delle Norme rivolta in primis
a proporre indicazioni interpretative che veda ogni
infrastruttura in termini di elemento inserito in un
contesto vincolante ed al quale si deve rapportare.
Il concetto di progetto preliminare deve essere rivisto,
evitando di intendere un itinerario come elemento
isolato. A quest’impostazione complessiva possono
essere riferite le specifiche attività di ricerca e di
progettazione, finalizzate alla sicurezza della
circolazione, in modo da ottenere un attento ridisegno
delle intersezioni, a definire e garantire l’affidabilità delle
reti infrastrutturali, a disegnare le nuove infrastrutture nel
rispetto delle molteplici caratteristiche ambientali. Il
confronto delle differenti alternative progettuali non deve
pertanto essere limitato ad un singolo tracciato: esso
deve essere inteso parte di una rete di collegamenti, di
differenti funzioni, al servizio di un dato territorio. Ne
deriva che il confronto deve avvenire tra più alternative
di rete.
2. Le infrastrutture in area urbana
Nell’ambito del patrimonio infrastrutturale esistente,
aspetti specifici riguardano le infrastrutture viarie in area
urbana; per esse si va consolidando la cultura che la
loro progettazione, quella delle infrastrutture e dei servizi
di trasporto collettivo, nonché delle interconnesse
aree/strutture per la sosta ed il parcheggio, non vanno
limitate al singolo aggregato urbano sia pure prevalente
nell’ambito di un’area quale si è venuta determinando
nel tempo. La gestione delle infrastrutture di trasporto,
riconducendone la visione dell’ambito di un sistema da
pianificare e governare secondo logiche di integrazione
e di intermodalità, non deve essere intesa come un
complesso di attività tese esclusivamente a risolvere le
problematiche di fluidificazione dei flussi veicolari.
Questa concezione infatti, ampiamente diffusa nella
pratica della pianificazione dei trasporti e nelle linee
guida e norme settoriali del recente passato, ha
determinato una progressiva perdita di identità delle
strade e dei luoghi, con progressiva compromissione
della funzione di aggregazione sociale e di valore
economico che gli spazi all’aria aperta hanno sempre
avuto nel passato. Le strade e le piazze, che
costituiscono la più grande proprietà di una comunità,
sono state trasformate da quelle opere che intendevano
collegarle tra loro, ma che hanno finito per determinarne
una degradazione, un deprezzamento, una perdita di
identità.
Attualmente disponiamo di Normative e di impostazioni
progettuali orientate a risolvere problemi di
fluidificazione del traffico, senza minimamente tenere in
considerazione l’interrelazione tra urbanistica e trasporti,
tra accessibilità e valore dei luoghi: i trasporti hanno
dovuto sempre risolvere scelte urbanistiche non sempre
fondate sull’analisi del conseguente fenomeno della
mobilità.
I flussi sono il più delle volte visti come flussi di veicoli
anziché di persone se non quando queste sono intese
245
come pedoni – modo di trasporto al quale vengono
lasciati spazi residuali, derivanti dal preliminare
soddisfacimento delle esigenze dei flussi veicolari,
sempre comunque dimensionati per il deflusso e non
per vivere la strada.
Usualmente, quando si progetta, per esempio,
un’infrastruttura di trasporto collettivo in sede propria, gli
obiettivi, ai quali si richiama un progettista, sono riferiti
alla realizzazione di un sistema dei trasporti integrato ed
intermodale, da raggiungere perseguendo anche
l’obiettivo dell’ottimizzazione delle risorse infrastrutturali
disponibili, con la massima attenzione all’uso ed al riuso
di quelle già esistenti sul territorio. Da questo deriva:
- un miglioramento delle condizioni di sicurezza e
dei livelli di servizio delle rete viaria;
- un miglioramento delle condizioni di
accessibilità territoriale, attraverso una riduzione dei
tempi di viaggio e dei costi di trasporto, nei riguardi dei
servizi puntuali di uso collettivo localizzati nell’aggregato
urbano di maggiori dimensioni.
Certamente l’area urbana trae vantaggio dalla
realizzazione dell’infrastruttura suddetta, in quanto
diminuisce la pressione veicolare sulla rete viaria e la
stessa esigenza di realizzare aree e strutture di
parcheggio, e quindi aumenta indubbiamente la qualità
della vita nell’area urbana. E tuttavia si ritiene che debba
essere considerato con sempre maggiore attenzione
come il sistema delle infrastrutture viarie, e tra queste
un’infrastruttura di trasporto collettivo in sede propria,
debba essere inserita per governare la localizzazione
delle attività sul territorio. Un sistema infrastrutturale di
trasporto non più solamente finalizzato a velocizzare i
collegamenti tra periferia e centro, dando un’alternativa
all’uso dell’autovettura privata, bensì rivolto a porre le
premesse per una diversa organizzazione di un’area
urbana, può essere stimato ancora di maggiore
convenienza nella valutazione delle differenti alternative
progettuali.
Dopo decenni di impostazione poco oculata nella
pianificazione delle strade urbane è maturata la
consapevolezza che occorra riqualificare le vie e gli
spazi urbani; è giunto il momento di adattare le
Normative e le impostazioni progettuali al fine di
razionalizzare ed adeguare i patrimoni strutturali ed
infrastrutturali esistenti in una logica ove la rete
relazionale sia un importante elemento di
riqualificazione del contesto del quale è parte.
Il sistema di trasporto va inteso rivolto a porre le
condizioni per una diversa organizzazione di un’area
urbana, considerata quale sistema da concepire e
progettare unitariamente attraverso una contestuale
politica di pianificazione territoriale e dei trasporti. In
questa nuova concezione una particolare attenzione
dovrà essere data a trasformare gli attuali rapporti di
dipendenza in relazioni di integrazione. Le periferie sono
destinate a svolgere un ruolo non secondario nello
sviluppo equilibrato della nuova città: devono essere
reciprocamente integrate, comprendendo in questo
disegno di riassetto il concetto di area urbana. La
riorganizzazione della stessa e del sistema dei servizi
deve essere orientata a determinare legami che
simbolizzino e concretizzino un avvenire comune, un
senso identitario di appartenenza ad un nuovo territorio
unitario.
Appare opportuno porsi una domanda in merito al peso
da attribuire al ruolo delle infrastrutture, di significato
soprattutto di riorganizzazione territoriale, rispetto alle
finalità tradizionali precedentemente citate. La qualità
della vita di un’area urbana può essere assicurata, e le
sue condizioni di degrado recuperate, da un’offerta di
trasporto, che assecondi una differente e più equilibrata
distribuzione dei servizi, distribuzione correttiva dei
tradizionali rapporti di dipendenza tra centro e periferia.
Vanno maturando i tempi perché un’area urbana o le
nuove aree metropolitane non siano più intese in quanto
costituite da centri di qualità e periferie marginali, ma da
contesti, anche di differente peso, interagenti: il disegno
di una rete infrastrutturale che sia soprattutto
relazionale, potrebbe favorire questa evoluzione.
Da tempo ci si va interrogando se tra gli obiettivi della
progettazione di una strada possa essere considerata la
sua qualità formale, se la strada debba essere
considerata un oggetto architettonico, oppure se gli
obiettivi siano prevalentemente di tipo prestazionale, e
quindi la sua sostenibilità ambientale, la sua qualità
formale debbano essere condizioni da rispettare nel
corso della progettazione: lo studio di impatto
ambientale di una infrastruttura in area urbana
comprende la valutazione formale dell’opera: ovvero
come questa sarà percepita dagli utenti, distinguendo
comunque le infrastrutture di nuova realizzazione da
quelle esistenti.
246
3. Strade e comportamenti di guida
In riferimento alle relazioni tra strada ed utente è nota
l’importanza del comportamento del conducente in
relazione alle caratteristiche geometriche e di progetto:
nell’ultimo decennio si sono intensificati gli studi circa le
variazioni del comportamento di guida in relazione
all’ambiente stradale. La letteratura è ricca di studi e di
modelli che forniscono ottimi spunti di riflessione
sull’importanza del ruolo assunto dall’ambiente stradale
e che include tutto ciò che è percepibile dal conducente
e ne influenza non soltanto la guida, ma interviene a
monte nella stessa scelta di un itinerario rispetto ad un
altro, a seconda delle motivazioni dello spostamento.
A seconda delle proprie esigenze, l’utenza, a fronte di
archi colleganti gli stessi nodi, esprime preferenze che
condurranno a prediligere un itinerario rispetto ad un
altro in funzione del tempo di percorrenza, del comfort,
della piacevolezza del percorso, ecc. In presenza di
contesti caratterizzati da accentuati pregi ambientali e
sui quali si intenda richiamare l’attenzione e gli
investimenti connessi al turismo culturale, deve essere
posta una particolare attenzione agli interventi di
recupero/adeguamento di infrastrutture già realizzate e
per le quali non sia stata posta adeguata cura in merito
alla loro sostenibilità ambientale. La scelta dell’itinerario
ha ripercussioni più o meno importanti sul territorio
attraversato, sia in ambito extraurbano che urbano:
possono essere sviluppati molteplici spunti di riflessione,
in riferimento alle differenti tipologie di utenti, alla
complessità dell’ambiente interessato, alle peculiarità
urbanistiche, architettoniche e, non meno importanti,
socio-economiche e culturali.
In ambiente urbano ogni infrastruttura è percepita
dall’utenza in modo differente e in modo massimamente
contrastante lo è una strada in relazione alla modalità di
spostamento. La percezione varia in relazione alla
fascia d’età di appartenenza, al livello culturale, alle
motivazioni.
I conducenti probabilmente valutano la strada in
relazione ai materiali utilizzati nelle pavimentazioni ed
allo stato di degrado di queste ultime, al livello di
congestione, alla sicurezza intrinseca, al livello di
illuminazione, al complessivo comfort di guida e quindi
al carico di lavoro mentale necessario per percorrerla.
Ma per i conducenti dei mezzi a due ruote (moto e
biciclette) la stessa strada si connota differentemente. E
una strada con pavimentazione sconnessa rappresenta
una sorta di aggravio alla concentrazione necessaria per
lo spostamento. Questo aspetto è particolarmente
rilevante anche quando l’ambiente circostante sia
gradevole ed armonicamente vario, poiché lo sguardo
del conducente potrà spostarsi verso l’esterno, in
sicurezza, soltanto se le condizioni del traffico, le
caratteristiche della sezione stradale, lo stato di
manutenzione della pavimentazione lo consente.
Gli utenti deboli, i ciclisti ed i pedoni, hanno una diversa
percezione della strada, in relazione alle diverse
esigenze, alle inferiori velocità di percorrenza ed al
livello di rischio percepito. Il ciclista ha minori possibilità
di distrarsi sull’ambiente esterno, viaggia in una
condizione di equilibrio che richiede maggiore
attenzione. Avverte in maniera più importante il degrado
delle pavimentazioni, i coni d’ombra, le intersezioni
gestite in maniera poco funzionale o non studiate anche
con riferimento alle sue esigenze, ecc. Il pedone,
invece, segue la strada percorrendone le estremità
laterali o le zone centrali, è più sensibile ai particolari ed
è anch’egli profondamente disturbato dalle situazioni di
degrado, anche perché le vive con maggior disagio, più
a lungo. Per il pedone, il degrado delle pavimentazioni
dei percorsi dedicati determina disagi più o meno gravi,
spesso inversamente proporzionali alle capacità motorie
dell’interessato. Questi percepisce diversamente anche
gli elementi di arredo della strada, che spesso
determinano la predilezione di una passeggiata rispetto
ad un altro percorso, perché più piacevole, più
rilassante, più sicura.
Infine, l’osservatore statico, se in posizione privilegiata
rispetto allo sviluppo di un’arteria urbana, avverte in
maniera diversa l’armonia tra ambiente stradale ed
abitato, spesso in maniera più o meno distaccata e
meno coinvolta: percepisce gli elementi di arredo,
magari quelli fisicamente più importanti, come il verde,
gli impianti di illuminazione, ecc.
Lungo la viabilità minore il pedone non può essere
considerato alla stregua di un veicolo, di un altro modo
di trasporto. Gli spazi riservati all’utenza pedonale o
lenta (ciclisti) non possono essere considerati residuali,
sottratti alle altre modalità di trasporto. Le stesse
dimensioni dei marciapiedi non possono essere
commisurate soltanto all’entità dei flussi pedonali.
247
Occorre ritrovare il senso ed il significato che avevano le
strade: luoghi pubblici riservati ai cittadini, studiati e
realizzati perché vi fosse piacevole passeggiare e
sostare, infine luoghi di socialità.
Rispettare l’ambiente significa vivere in armonia con
esso, anche se spesso ciò può significare dover
affrontare, per l’esecuzione di determinate opere,
relativamente elevati impegni economici, al fine di
tutelare il mantenimento della risorsa. Un tracciato
stradale, sia esso extraurbano che in area urbana, è un
unicum che va studiato in quanto tale in relazione
all’ambiente nel quale si sviluppa, seguendo criteri
connessi alla funzione dell’arteria, alla composizione
della corrente veicolare, alla rete di appartenenza, alla
scelta dei materiali, alla qualità dell’ambiente naturale
attraversato, alla presenza o meno di vincoli storico-
archeologici, urbanistici, alle esigenze socio-culturali del
territorio attraversato.
La progettazione è un procedimento iterativo: si arriva
alla soluzione attraverso tentativi e studi via via più
approfonditi, escludendo che il risultato del progetto sia
un prodotto da verificare alla conclusione dell’iter che ha
condotto alla definizione dell’opera e quindi alla stima
del suo costo. La valutazione ambientale e quella
formale sono parte del progetto e possono quindi
intendersi quali verifiche intermedie, di livello sempre più
approfondito nella stesura delle tre fasi di progettazione.
L’obiettivo della progettazione non può essere
distintamente la valenza ambientale e/o formale. Può
essere invece un complesso di obiettivi di tipo
prestazionale, parte anche di un eventuale progetto di
riorganizzazione territoriale, che sia raggiunto da un
tracciato sostenibile dal territorio attraversato e
formalmente congruente con il contesto.
Per tornare alle strade urbane è necessario chiedersi se
le normative disponibili possano seriamente essere
utilizzate per progettarle. Sì, se si pensa ad autostrade
urbane, a strade di scorrimento, meno se si considerano
le strade interquartiere o le strade locali. Non è solo un
problema di corretto inserimento ambientale o di valori
formali, e di disegno degli stessi elementi geometrici che
la compongono: per queste ultime il tracciato, nel tempo,
si è venuto determinando soltanto dalla disponibilità dei
“vuoti”. L’adeguamento e la progettazione delle strade
interquartiere e delle strade locali richiede attenzione ai
pedoni, ai ciclisti ed ai servizi di trasporto pubblico di
linea, in particolare, e alle esigenze connesse alla
funzione svolta.
Riferimenti Bibliografici
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Paola Villani, “Le indagini relative alla responsabilità degli enti proprietari della strada” in “Indagini e rilievi nei sinistri stradali“ Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2014
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249
Immagini Google Earth e Carta Tecnica Regionale per il censimento della rete viaria: analisi di qualità e applicazione ad un caso studio
Gabriella CAROTI, Angelo PARDINI, Antonio PRATELLI DICI – Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale, Università di Pisa
Sommario – Il presente lavoro si inquadra nello studio ad oggi in atto a livello ministeriale per valutare il ruolo che la viabilità minore può avere nella pianificazione delle reti di trasporto come approccio sostenibile al problema degli spostamenti. In Italia il recupero funzionale della viabilità minore come strumento di accessibilità si colloca nell'orientamento di pensiero di rivalorizzazione della dimensione locale, che riduce gli spostamenti di cose e persone (strategia del “chilometro zero”), ricostruisce il rapporto di relazione, appartenenza e cura tra uomo e territorio (visione della Convenzione europea sul paesaggio) e riduce la dispersione della presenza sul territorio a favore del rafforzamento dell'assetto insediativo storico (modello della città compatta). La valorizzazione delle reti minori, come ritorno o come motore di sviluppo, è condizione fondamentale per la promozione di stili di vita sostenibili e durevoli rifondati su un sistema di relazioni di prossimità generato dalla comune appartenenza a territori identitari (Arlotti, Laghi 2010). 1. Introduzione
Tra le tematiche affrontate dal Comitato Tecnico
Nazionale 2.5 “Strade locali extraurbane e accessibilità
alla viabilità minore”, si è evidenziata l’importanza del
ruolo svolto dalla viabilità minore e si è segnalato che
una rete di mobilità lenta possa avere piena dignità nella
pianificazione delle reti di trasporto, come garanzia di un
approccio sostenibile al problema degli spostamenti.
Dalle indagini eseguite da Comitato Tecnico risulta che,
ad oggi, non è disponibile per l’Italia il dato relativo
all’estensione complessiva della rete di viabilità minore.
In questo contesto, uno degli aspetti affrontati dal
Comitato è stato quello di stilare delle linee guida, utili ai
decisori politici e alle pubbliche amministrazioni per
elaborare il censimento della rete viaria secondaria,
basandosi sulle banche dati già disponibili a livello
territoriale e nazionale.
Stabilito che, per la rilevazione dello stato di fatto della
rete viaria secondaria è sufficiente, in questa fase, il
dettaglio e la precisione di una cartografia, aggiornata, a
scala non inferiore al 1:10000, lo scopo della presente
nota è quello di analizzare l’accuratezza geometrica
delle coordinate planimetriche fornite da Google Earth,
al fine di verificarne la possibilità di utilizzo per acquisire
quei dati utili al censimento in oggetto, ma non presenti
o non aggiornati nella cartografia ufficiale.
Come area test si è scelta la piana di Lucca, ovvero
l’insieme dei comuni di Lucca, Capannori, Porcari,
Montecarlo, Altopascio per una estensione totale pari a
circa 400 kmq.
Fig. 1: area test
In particolare:
Lucca: superficie 185,79 kmq
Capannori: superficie 155.96 kmq
Porcari: superficie 18.05 kmq
Montecarlo: superficie 15.67 kmq
Altopascio: superficie 28.58 kmq
Come base cartografica si è adottata quella prodotta, in
formato vettoriale, dalla Regine Toscana (CTRT) e
inquadrata nel sistema geodetico-cartografico Gauss-
Boaga Roma40.
250
L’area test è coperta completamente da CTRT a scala
1:10000 e solo parzialmente da quella a scala 1:2000
(limitata alle sole aree urbane).
Lo studio è stato condotto su entrambe le scale di
rappresentazione, anche se in questa nota si riportano i
risultati relativi alla sola cartografia in scala 1:10000 dato
che solo questa, abbracciando l’intera area test, fornisce
un dataset con caratteristiche metriche omogenee per il
territorio in esame.
Le immagini Google Earth che coprono l’intera area di
interesse risultano acquisite nel 2013, salvo una piccola
porzione a nord (zona più scura in fig. 2) la cui data di
acquisizione risale al 2011. Per quanto riguarda la
georeferenziazione, Google Earth adotta il sistema
geodetico globale WGS84 e visualizza le coordinate dei
punti sia in coordinate geografiche WGS84 sia piane
UTM.
Fig. 2: Copertura area test con immagini Google Earth
Lo studio è stato condotto secondo i seguenti punti che
verranno descritti nei paragrafi successivi:
- Metodologie per la trasformazione tra sistemi di
riferimento planimetrici e loro precisione.
- Valutazione della qualità del posizionamento
planimetrico mediante immagini Google Earth.
- Applicazione ad un caso studio.
2. Metodologie per la trasformazione tra sistemi di
riferimento e loro precisione
La Carta Tecnica Regionale e le immagini Google Earth
adottano sistemi di riferimento diversi e quindi per
renderle sovrapponibili è necessaria una trasformazione
di datum planimetrico.
Questa trasformazione, per sua natura, introduce degli
errori nelle coordinate trasformate la cui entità dipende
dalla metodologia e dai parametri utilizzati.
Sono state messe a confronto due metodologie: la prima
sfrutta l’algoritmo di calcolo implementato in un software
GIS diffuso e noto nelle pubbliche amministrazioni e in
campo tecnico, l’altra si basa sui dati ufficiali forniti
dall’Istituto Geografico Militare (IGM).
2.1. Trasformazione con algoritmo integrato nel
software GIS
Il software ArcGIS della ESRI, implementa una
procedura di trasformazione basata sul metodo detto
“position vector” che effettua una rototraslazione con
fattore di scala, ovvero una trasformazione di Helmert a
sette parametri. Utilizza come parametri quelli forniti
dall’European Petroleum Survey Group (EPSG) che per
l’Italia peninsulare sono codificati nell’ EPSG 1660,
Monte_Mario_To_WGS_1984_4, i cui valori sono
riportati in tabella 1.
TX [m] TY [m] TZ [m] RX [“] RY [“] RZ [“] K
-104.1 -49.1 -9.9 0.971 -2.917 0.714 -11.68
Tab. 1 – Parametri EPSG 1660.
Questi parametri hanno validità per tutto il territorio
nazionale isole escluse, ed essendo mediati su un’area
così vasta, le coordinate che ne risultano sono
caratterizzate da una precisione media e variabile da
zona a zona.
2.2. Trasformazione con i grigliati IGM
L’IGM ha reso disponibile una metodologia ufficiale da
adottare per la trasformazione fra sistemi di riferimento
sia planimetrici che altimetrici. Per quanto riguarda i
riferimenti planimetrici, questa metodica supera i
procedimenti utilizzati nel passato, affetti da varie
ambiguità e consente la conversione di coordinate in
maniera univoca.
Questo metodo si basa sulla definizione di “grigliati di
trasformazione” che riportano le variazioni di latitudine e
longitudine tra sistemi di riferimento in funzione delle
coordinate geografiche del punto considerato.
Le “correzioni di trasformazione” da applicare alle
coordinate di un generico punto, devono essere
calcolate mediante una interpolazione bilineare della
griglia. Quest’ultima procedura può essere realizzata
251
mediante il software Verto dell’IGM o mediante altri
software (ad esempio ConveRgo realizzato dal Centro
Interregionale per i Sistemi informatici, geografici e
statistici - CISIS).
2.3. Verifica di qualità della trasformazione
effettuata dall’algoritmo GIS
Dato che i parametri EPSG 1660 hanno validità per
quasi tutto il territorio nazionale è opportuno verificare la
qualità della trasformazione per il territorio interessato
dai rilievi e oggetto della ricerca per stabilirne i limiti di
utilizzo.
Sono state rilevate, con metodologia GPS in modalità
RTK, le coordinate geografiche ellissoidiche WGS84 di
21 punti di controllo distribuiti uniformemente nell’area
test e ben riconoscibili anche in CTRT.
Le coordinate geografiche WGS84 sono state
trasformate in Gauss-Boaga Roma40 sia con una
trasformazione a sette parametri rispetto ai valori
EPSG1660 sia con gli algoritmi ed i grigliati ufficiali
dell’IGM e sono state calcolate le differenze.
In tabella 2 si riportano le statistiche delle differenze tra
le coordinate ottenute con le due metodologie di cambio
di datum planimetrico (media, standard deviation=Std e
radice quadrata dell’errore quadratico medio=RMSE
Root Mean Square Error).
E N
Media (m) -0.33 0.41
Std (m) 0.03 0.04
RMSE (m) 0.33 0.42
Tab. 2: Statistiche delle differenze delle coordinate ottenute con le due metodologie di cambio di datum.
I risultati riportati in tabella 2 mostrano un sistematismo
per entrambe le componenti pari a -33 cm in Est e 41 cm
in Nord, un errore accidentale basso, pari a pochi
centimetri e un valore di RMSE complessivo pari a circa
50 cm.
Questi valori portano a considerare la trasformazione
tramite algoritmi e parametri integrati nel software
ArcGIS, soddisfacente per un uso cartografico per scale
uguali o più piccole di 1:10000. In alternativa, è
necessario provvedere a trasformazioni di datum
rigorose, che utilizzino gli algoritmi ed i grigliati distribuiti
dall’IGM.
Per ulteriore verifica, sono state acquisite le coordinate
dei 21 punti di controllo da Carta Tecnica 1:10000 e
trasformate in UTM-WGS84 secondo le due
metodologie. Sono state valutare le differenze rispetto a
quelle rilevate con metodologia GPS. Nelle tabelle 3 e 4
si riportano i valori delle statistiche.
E N
Media (m) -0.09 0.76
Std (m) 0.69 0.69
RMSE (m) 0.70 1.03
Tab. 3: Statistiche delle differenze tra coordinate dei punti di controllo da carta tecnica 1:10000 trasformate in
UTM-WGS84 con algoritmo GIS e da rilievi GPS
La tabella 3 mette in evidenza che mediamente la
trasformazione GIS sottostima la coordinata Est di circa
10 cm e sovrastima la Nord di 80cm.
E N
Media (m) 0.19 0.37
Std (m) 0.69 0.69
RMSE (m) 0.72 0.78
Tab. 4: Statistiche delle differenze tra coordinate dei punti di controllo da carta tecnica 1:10000 trasformate in
UTM-WGS84 con grigliati IGM e da rilievi GPS
La trasformazione con i grigliati IGM (tabella 4) mediamente sovrastima sia la coordinata Est sia quella Nord rispettivamente di 20 cm e 40 cm.
Fig. 3: Confronto tra rilievo GPS e carta Tecnica
trasformata con le due differenti metodologie
252
La Fig.3 permette di cogliere visivamente i risultati
riportati nelle precedenti tabelle 3 e 4.
Infatti l’analisi del valore della media degli scarti
evidenzia la presenza di un errore sistematico
significativo al 95% solo per la sola coordinata Nord
della tabella 3.
Complessivamente i risultati ottenuti confortano quanto
prima determinato.
3. Valutazione della qualità del posizionamento
planimetrico mediante immagini Google Earth
Per valutare la qualità del posizionamento planimetrico
mediante immagini Google Earth sono state realizzate
due verifiche.
Una prima verifica è stata condotta mettendo a confronto
il posizionamento da immagini Google Earth con quello
eseguito con GPS.
Sono state valutate le differenze tra le coordinate di 42
punti di controllo acquisite sulle immagini satellitari e le
loro omologhe rilevate sul campo con metodologia GPS-
RTK (tabella 5).
I risultati mettono in evidenza un sistematismo (non
statisticamente significativo) ed un errore accidentale
pari a circa 1 metro prossimo al valore della risoluzione
a terra delle immagini. L’RMSE complessivo è pari a
circa 1.5 m.
E N
Media (m) -0.18 -0.18
Std (m) 1.09 0.77
RMSE (m) 1.11 0.79
Tab. 5: Statistiche delle differenze tra coordinate UTM-WGS84 dei punti di controllo collimati sulle immagini e
rilevate con GPS.
Per il confronto con i dati cartografici, la Carta Tecnica a
scala 1:10000 dell’area test è stata trasformata in UTM-
WGS84 sia mediante l’algoritmo implementato nel
software ArcGIS sia mediante i grigliati IGM.
Nell’area test sono stati individuati 100 punti
uniformemente distribuiti e ben visibili sia sulla
cartografia sia sulle immagini Google Earth e sono state
valutate anche in questi casi le statistiche delle
differenze riportate nelle tabelle 6 e 7.
E N
Media (m) 0.29 -0.70
Std (m) 0.81 0.75
RMSE (m) 0.87 1.03
Tab. 6: Statistiche delle differenze tra coordinate UTM-WGS84 da immagini satellitari e da CTRT a scala
1:10000 trasformata con parametri EPSG
E N
Media (m) -0.01 -0.36
Std (m) 0.76 0.71
RMSE (m) 0.76 0.79
Tab. 7: Statistiche delle differenze tra coordinate UTM-WGS84 da immagini satellitari e da CTRT a scala
1:10000 trasformata con grigliati IGM
A parità di standard deviation, la trasformazione con
algoritmo ArcGIS comporta un sistematismo e un RMSE
complessivo maggiore rispetto a quella effettuata con la
procedura IGM ma in ogni caso compatibile con
l’accuratezza di una cartografia a scala 1:10000.
Fig. 4: Confronto tra immagine satellitare e cartografia trasformata sia con procedura ArcGis sia con grigliati
IGM.
La figura 4 mostra un esempio di confronto tra immagine
satellitare CTRT trasformata sia con i parametri EPSG
sia con i grigliati IGM.
4. Integrazione cartografica e risultati ottenuti
In ambiente ArcGIS 10.1, a partire dai dati della Carta
Tecnica Regionale trasformati in WGS84, si è andati ad
eseguire un’integrazione del suo contenuto utilizzando le
253
immagini satellitari. In particolare l’attenzione è stata
rivolta alla determinazione della viabilità sia primaria che
secondaria presente sul territorio analizzato.
Queste immagini, nelle versioni precedenti del software,
dovevano essere scaricate dal sito della ESRI e
successivamente caricate sul software. Con la nuova
versione, è il software stesso a collegarsi direttamente al
web ed in particolare al sito della ESRI, consentendo di
caricare direttamente le mappe sull’interfaccia del
programma.
Il sistema mette a disposizione immagini a quattro
differenti livelli, a partire dalle “world imagery”, che sono
le classiche immagini satellitari, fino a livelli di maggiore
dettaglio, in genere disponibili solo per le grandi città,
che sono “low resolution 15 m imagery”, “high resolution
60 cm imagery”, e quella a maggiore risoluzione “high
resolution 30 cm imagery”.
Dalla sovrapposizione della CTRT alle immagini
satellitari per l’intero territorio della piana di Lucca è
stato possibile osservare gli elementi di viabilità che
risultavano presenti su quest’ultime, ma non risultavano
rappresentate sulla cartografia e completare la
cartografia, aggiungendo le parti mancanti, restituendole
dalle immagini satellitari ed eliminando quelle non più
presenti nella realtà.
Complessivamente sono stati eliminati dalla CTRT
originale circa 40 km di viabilità non più presenti nella
realtà, ed aggiunti circa 260 km.
Questa integrazione cartografica è stata utilizzata
successivamente come base per uno studio di analisi
infrastrutturale. A questo proposito si mette in evidenza
l’importanza della revisione cartografica attuata che ha
dato la possibilità di riferirsi allo stato attuale della
viabilità della piana di Lucca. Se ciò non fosse stato
possibile, tutti i risultati sarebbero stati riferiti a dati di
viabilità non reali, rendendo una qualunque analisi di tipo
logistico inaffidabile.
In seguito si riportano alcune immagini che mostrano nel
dettaglio, alcune zone del territorio dove si è eseguita la
revisione della viabilità ai fini dell’analisi logistica.
Fig.5: CTR originale all’uscita dal casello di Lucca Est
In figura 5 è riportata la CTR originale all’uscita dal
casello di Lucca Est, oltre al nuovo raccordo che va dal
casello alla statale del Brennero in direzione Pisa.
Fig. 6: Elementi rimossi dalla CTR originale all’uscita dal
casello di Lucca Est.
In figura 6 si mostrano gli elementi della viabilità eliminati
dalla CTR originale perché non più esistenti nella zona
dell’uscita dal casello di Lucca Est.
Fig. 7: Integrazioni e modifiche apportate alla CTR nella
zona del casello di Lucca Est.
254
La figura 7 mostra tutte le integrazioni e le modifiche
apportate alla CTR nella zona del casello di Lucca Est.
Fig. 8: revisione della CTR riguardante la nuova viabilità
nella zona di San Vito (Lucca).
In quest’ultima immagine (fig.8) è invece riportata la
revisione della CTRT nella zona di San Vito a Lucca,
dove oggi risulta presente una nuova viabilità legata alla
costruzione di nuovi centri commerciali; si nota in
particolare la presenza di due nuovi incroci regolati da
rotatoria.
5. Conclusioni
Dall’analisi degli errori connessi alla trasformazione della
CTRT da ROMA40 a WGS84 con algoritmi e parametri
integrati nel software ArcGIS, si può concludere che
questi possono essere utilizzati per un uso cartografico
per scale uguali o più piccole di 1:10000. In alternativa, è
necessario provvedere a trasformazioni di datum
rigorose, che utilizzino gli algoritmi ed i grigliati distribuiti
dall’IGM.
L’analisi qualità del posizionamento planimetrico
mediante immagini Google Earth ha evidenziato che per
l’area test questa è compatibile con l’accuratezza di una
cartografia a scala 1:10000.
I risultati di queste analisi hanno indotto ad utilizzare le
immagini Google Earth per integrare il contenuto della
cartografia a scala 1:10000 della Regione Toscana per
la viabilità.
La revisione dei dati relativi alla viabilità della piana di
Lucca è risultata relativamente semplice e fondamentale
per uno studio di analisi di tipo logistico affidabile.
Si è notata una differenza tra le cartografie dei diversi
comuni, infatti, sul comune di Lucca, si sono sempre
ottenute precisioni inferiori rispetto alla piana in generale
e rispetto agli altri comuni singolarmente; questo può
essere imputabile a particolari deformazioni localizzate
che dovranno essere di volta in volta valutate.
Bibliografia
G. Arlotti, R. Laghi, “Criteri per la pianificazione e la gestione delle reti di viabilità minore e rurale” Atti del XXVI Convegno Nazionale Stradale AIPCR - Comitato Tecnico A.4 - “Strade locali extraurbane e accessibilità alla viabilità maggiore”, Roma, 27 - 30 ottobre 2010 V. Casella, M. Franzini, B. Padova, “L'accuratezza delle immagini Google-Earth: un caso-studio sulla città di Pavia” in GeoMEDIA, n. 1, 2011, pp. 28-30 V. Casella, M. Franzini, B. Padova, A. Spalla, M. G. Bruneo, “L'accuratezza della georeferenziazione delle immagini Google Earth: un caso studio sul Comune di Pavia”. Atti 14a Conferenza Nazionale ASITA. Brescia, 2010 G. Borruso, “Nuovi strumenti di diffusione e comunicazione geografica, cartografia e gis. Utilizzabilità e confronti”. Atti 11a Conferenza Nazionale ASITA. Torino. 2007
255
LA MANUTENZIONE ORDINARIA DELLE STRADE URBANE ED EXTRAURBANE
Paola Villani Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale - Politecnico di Milano
Introduzione
Negli ultimi anni molti Enti hanno emanato Ordinanze
volte ad assegnare ai privati la responsabilità della
manutenzione delle specie arboree lungo le strade
urbane ed extraurbane. Non si può disgiungere questa
deregulation dal dissesto idrogeologico che interessa
ormai l’intero territorio italiano.
1. Natura giuridica, classificazione e manutenzione e
della sede stradale
In primis occorre valutare quale sia la natura giuridica
della strada: per tutte le strade pubbliche (ed il nostro
ordinamento non prevede la definizione “parzialmente
pubbliche”) tutte le opere di urbanizzazione (manto
stradale, illuminazione ecc.), e quelle inerenti alla
circolazione (segnaletica orizzontale e verticale)
riguardano la competenza degli Enti proprietari o gestori
delle strade, e tutte le controversie instaurate dovute
dall'inerzia del Comune ad effettuare la manutenzione
della strada, potrebbero essere sollevate innanzi al
Giudice Ordinario (Cassazione, Sezioni unite,
28500/2005). Dello stesso parere il Ministero delle
Infrastrutture che con nota del 2 febbraio 2012 evidenzia
come una strada è ad uso pubblico quando può essere
usata direttamente e legittimamente da chiunque,
indipendentemente dal fatto che sia di proprietà pubblica
o privata. Ai sensi dell’art.2, c.1. del Codice della Strada,
infatti, ai fini dell’applicazione delle norme dello stesso
Codice, si definisce “strada” l’area ad uso pubblico
destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli
animali. A tal riguardo non rileva la “proprietà” del
manufatto, ma unicamente il suo “uso”; pertanto se esso
è aperto al pubblico passaggio è anche soggetto alla
disciplina del Codice. Vero è che se l’area in cui in cui si
svolge la circolazione è privata e non soggetta a pubblico
passaggio non possono esservi applicate le norme del
Codice della Strada, si deve trattare, però, di un’area non
solo di proprietà privata ma anche dalla quale sia del tutto
escluso il pubblico passaggio di veicoli, animali e pedoni.
L’elemento di differenziazione consiste nella presenza o
meno di transito indiscriminato di persone: qualora
l’accesso all’area sia precluso alla generalità dei cittadini
o sia limitato solo a determinati soggetti, non si è in
presenza di un’area soggetta a pubblico passaggio. Sul
piano pratico di solito l’accesso a strade private è
regolato da sistemi di sbarramento ed evidenziato da
cartelli o pannelli indicatori.
Nel caso in cui la strada usufruisca di servizi pubblici quali
illuminazione e segnaletica orizzontale e verticale
quest’ultima compete all’Ente proprietario della strada e
quindi ai Comuni per tutte le strade private aperte all’uso
pubblico (ai sensi del CdS, art.37, comma 1, lett. “c”).
Molti Comuni però non hanno provveduto alla
classificazione 1 e, laddove lo ritengano conveniente,
procedono accollando ai singoli le opere di manutenzione
ordinaria: su tale argomento si è pronunciata la
Cassazione Civile (Sezione III, 4 gennaio 2010 n.7): “se
un Comune consente alla collettività l’utilizzazione, per
pubblico transito, di un’area di proprietà privata assume
1 Si veda il Capitolo di Antonio Cataldo, Alessandro Di
Graziano, Paola Villani “Il censimento delle strade appartenenti alla rete extraurbana: aspetti metodologici e normativi “ in questo stesso Quaderno CT 2.5 AIPCR 2014
256
l’obbligo di accertarsi che la manutenzione dell’area e dei
relativi manufatti non sia trascurata; e l’inosservanza di
tale dovere di sorveglianza, che costituisce un obbligo
primario della P.A., per il principio del neminem laedere,
integra gli estremi della colpa e determina la
responsabilità per il danno cagionato all’utente dell’area,
nulla rilevando che l’obbligo della manutenzione incomba
sul proprietario dell’area.”
Ai Comuni compete quindi la sorveglianza sul
mantenimento in buone condizioni delle strade private ad
uso pubblico la cui manutenzione e pulizia sono d’obbligo
del privato nonché proprietario della strada come previsto
dall’art.14 del Codice della Strada. Occorre però
rammentare come, qualora lungo la sede stradale o il
marciapiede, un ammaloramento comunque
determinatosi possa essere causa di infortunio ai danni di
un qualsiasi soggetto ivi transitante e quindi tale
infortunio possa essere considerato insidia (ad esempio,
determinata dall’assenza di idonea illuminazione oppure
per la presenza di ghiaccio) vi sarà la necessità di capire
in capo a chi debba gravare la responsabilità risarcitoria.
Qualora il tratto stradale, sia aperto al pubblico transito
(veicolare o pedonale), quindi non inibito al passaggio,
devono necessariamente subentrare diverse ed ulteriori
riflessioni. Intanto, la norma civilistica sulla quale
incardinare il ragionamento iniziale è l’art. 2051 del
Codice, che prevede come ciascuno sia “responsabile
del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo
che provi il caso fortuito”. Il significato della Norma in
questione va interpretato nel senso che grava in capo al
danneggiato la dimostrazione del nesso eziologico tra la
situazione di fatto ed il verificarsi del danno-evento,
mentre l’onere probatorio di esclusione dalla
responsabilità (caso fortuito) resta un adempimento
essenziale di stretta competenza del custode del bene.
La Suprema Corte di Cassazione ha riconfermato2 tale
assunto, affermando che il soggetto che intenda essere
risarcito deve dimostrare le anomale condizioni della
sede stradale unitamente all’idoneità della stessa ad aver
provocato il sinistro, mentre contrariamente il custode
convenuto deve provare l’inidoneità, in concreto, della
situazione occorsa ad aver provocato l’incidente, o la
colpa del danneggiato, od ancora ulteriori fatti idonei ad
2 Suprema Corte di Cassazione, Sentenza 18.12.2009, n.
26571
“interrompere il nesso causale fra le condizioni del bene
ed il danno”. Prima facie ne conseguirà come l’ente
pubblico sia responsabile per danni3, in qualità di custode
del bene, anche nel caso in cui il tratto (sede stradale o
marciapiede) non sia di natura demaniale.
Analizzando quindi il caso non infrequente della
sussistenza di una servitù di pubblico transito gravante su
una porzione di proprietà privata, è dato evincere che per
tale fattispecie la separazione netta già analizzata non
potrà più essere tale, ed i pronunciamenti
giurisprudenziali, orientatisi nel tempo verso decisioni più
favorevoli al danneggiato, lo hanno apprezzabilmente
dimostrato; infatti, se il potere di inibizione al transito
(veicolare o pedonale) di cui dispone il privato, già
consente allo stesso di porsi in condizioni di riduzione del
rischio risarcitorio derivanti da infortuni, risulta pacifico
che tale potere mai potrà essere legittimamente
esercitato in presenza di una servitù di pubblico transito.
Allora, la ricerca della responsabilità oggettiva così come
statuita dall’anzidetto art. 2051, andrà attagliata a
delimitazioni di rischio connotate da principi non sempre
coincidenti dal momento in cui la giurisprudenza di merito
ha ritenuto estensibili gli obblighi di manutenzione
dell’Ente Pubblico anche per la sede stradale (ivi
comprese le pertinenze ovvero fossi di guardia,
banchine, marciapiedi laterali), per il solo presupposto di
far parte della struttura di una strada aperta al pubblico
transito. La giurisprudenza 4 , ritiene che debbano
rientrare nella proprietà pubblica dell’ente proprietario
della strada e in particolare dell’Ente comunale tutte le
strade con le relative pertinenze e, fra queste, banchine,
fossi di guardia e marciapiedi.
Infatti così recita il Codice della Strada, art. 3 comma 1:
21) Fascia di pertinenza: striscia di terreno compresa
tra la carreggiata ed il confine stradale. È parte della
proprietà stradale e può essere utilizzata solo per la
realizzazione di altre parti della strada.
e per i danni cagionati dalle buche presenti sulla sede
stradale, ivi compresi gli eventuali marciapiedi, ne
3 Cassazione Civile , Sez. III, Sentenza 06.06.2008 n.
15042 4 Suprema Corte di Cassazione, Sezione III. Sentenza n.
16226 del 03.08.2005, e Sentenza n. 16770 del 21.07.2006
257
risponde l'ente pubblico territoriale, tenuto conto della
definizione di strada e marciapiede di cui agli artt. 2 e 3
del Codice della Strada.
La Giurisprudenza è concorde nel ricondurre all’ente
pubblico, oltre la responsabilità per i danni cagionati agli
infortunati, anche gli obblighi manutentivi dei manufatti
qualora ricadenti nelle fasce di pertinenza poiché,
essendo aree destinate al transito di un numero indefinito
di veicoli o persone, sono sempre e comunque di uso
pubblico con conseguente configurabilità dei
poteri-doveri di cui agli artt. 823 ed 825 del Codice
Civile(5).
Le recenti Ordinanze emesse6 non giustificano condotte
omissive da parte della Pubblica Amministrazione, che
5 Art. 823. Condizione giuridica del demanio pubblico. I beni che fanno parte del demanio pubblico, sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano. Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice. Art. 825. Diritti demaniali su beni altrui. Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi. 6 Si vedano a titolo di esempio le seguenti Ordinanze: Comune di Marentino (TO) - Ordinanza di manutenzione vegetazione lungo le strade provinciali comunali e vicinali aperte al pubblico transito http://www.comune.marentino.to.it/upload/doc_pubblicazioni/362_ORDINANZA%2015%202013.pdf ; Comune di Cercemaggiore (CB) - Ordinanza di manutenzione vegetazione lungo le strade comunali interpoderali e vicinali aperte al pubblico http://www.comune.cercemaggiore.cb.it/cercemaggiore/images/Ordinanza_12.pdf
Comune di Belluno – Manutenzione vegetazione lungo le strade comunali – Ordinanza n. 67 del 05/04/2012 http://cdn1.regione.veneto.it/alfstreaming-servlet/streamer/resourceId/9d183c7e-fccb-4fd9-a755-10bd49bd97e1/manutenzioneverde
Comune di Potenza – Obbligo di corretta manutenzione della vegetazione lungo strade, ferrovie e percorsi pedonali di uso pubblico. Ordinanza n. 69 del 22 maggio 2012 http://www.comune.potenza.it/index.php/ambiente142/5902-obbligo-di-corretta-manutenzione-della-vegetazione-lungo-strade
Comune di Campomorone (GE) – Avviso alla cittadinanza per manutenzione vegetazione lungo le strade pubbliche e di uso pubblico - Ordinanza n. 8 del 27/1/2009 http://www.comune.campomorone.ge.it/pdf/urbanistica/Taglio%20alberi.pdf
pur di evitare la manutenzione ordinaria ha ritenuto
opportuno non ritenersi responsabile della stessa ed
accollare ai privati dei fondi latistanti gli oneri di
manutenzione che non avrebbero mai dovuto essere loro
imputati.
A nulla può valere infatti – come si legge ad esempio
nelle Ordinanze dei Comuni di Erice, Collegno e Belluno
- obbligare i privati alla “rimozione da fossi di guardia7 e
cunette di ogni ostacolo che impedisca il normale
deflusso delle acque o che possa modificarne il livello”,
“di eseguire o far eseguire la pulizia dei fossi laterali alle
strade, rivi, cunette e ripe invasi dal terreno” “Considerato
che: la vegetazione che invade la sede viaria e/o i
marciapiedi ed i passaggi pedonali; i rami di piante poste
a dimora in giardini, terreni agricoli ovvero in aree incolte
o boscate, che invadono la sede stradale, ostacolando il
normale transito; le piante, poste lungo il ciglio delle
strade, con evidente pendenza del tronco e proiezione
della chioma sulla sede viaria; le piante, con seccumi,
marcescenza e rami spezzati, a seguito di passati eventi
meteorologici avversi, siano suscettibili di caduta sulla
sede viaria prospiciente; le piantagioni (alberi, arbusti,
rampicanti) collocate in posizione tale da avere il fogliame
che, staccatosi da esse, cada in fossi e cunette a lato
delle strade, con conseguente minore efficienza del
sistema di raccolte delle acque meteoriche in caso di
precipitazioni atmosferiche; costituiscono grave
Comune di Fiano Romano - Eliminazione sterpaglie e pulitura terreni - Prevenzione rischio incendi - Ordinanza n. 88 del 25.06.2012 http://www.comune.fianoromano.rm.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2311:eliminazione-sterpaglie-e-pulitura-terreni-prevenzione-rischio-incendi&catid=34&Itemid=144
Comune di Collegno (TO) – Pulizia e manutenzione dei terreni e delle aree limitrofe alle strade provinciali e comunali per la salvaguardia della circolazione stradale, per il decoro e la salvaguardia dell’igiene e della salute pubblica. Comune di La Loggia (TO) - Manutenzione aree verdi confinanti con strade provinciali comunali e private di uso pubblico ai fini della sicurezza http://www.comune.laloggia.to.it/upload/laloggia_ecm8/notizie/ordinanza_19128_2028.pdf
Comune di Erice (TP) http://www.comune.erice.tp.it/notizie/3686-ordinanza-sindacale-n-146-2014-regimentazione-acque-superficiali-suoli-pubblici-e-privati
Comune di Montegiorgio (AP) - Ordinanza relativa alla manutenzione di aree private, fossi, rivi e scolatori - Ordinanza n. 55 del 4/06/2012 http://comune.montegiorgio.fm.it/index.php?action=index&p=1348
7 Fossi di guardia e cunette definiti “alveo del corso d’acqua” nell’Ordinanza del Comune di Erice (TP)
258
limitazione alla fruizione in sicurezza delle strade
pubbliche e di uso pubblico, sia veicolare che pedonale;”,
- obbligare i privati ad una gestione delle specie arboree
che insistono sulla sede stradale.
Infatti, neppure considerando una eventuale ripartizione
degli oneri di manutenzione, l’Ente pubblico può sottrarsi
o “ordinare” ai privati opere manutentive lungo le strade
provinciali, comunali (e anche lungo infrastrutture
ferroviarie); opere che non competono e non possono
competere ai privati, sebbene gli Enti locali ritengano di
ottemperare tramite Ordinanze alle opportune
segnalazioni effettuate dalle Forze dell’Ordine 8 che
indicano la necessità di eseguire opere manutentive
poste principalmente a salvaguardia dell’incolumità delle
persone.
In difetto, ogni accadimento andrà valutato attentamente
al fine di accertare, specificatamente, se vi possa essere,
o meno, inferenza con i casi giurisprudenziali innanzi
esplicati od ancora, diversamente, la corresponsabilità di
più parti.
Per la definizione di “strada”, assume rilievo, ai sensi
dell’art. 2, comma primo, del Codice della Strada, la
destinazione di una determinata superficie ad uso
pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della
proprietà. L’art. 14 del Codice della Strada assegna agli
Enti proprietari della strada il compito di provvedere alla
manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, e
tale obbligo si estende sino ai marciapiedi e non si
estende alle aree estranee circostanti, in particolare alle
ripe site nei fondi laterali alle strade che, ai sensi
dell’art.31 del Codice della Strada, devono essere
mantenute dai proprietari delle medesime in modo da
impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a
franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di
sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede
stradale, nonché la caduta di massi o altro materiale,
qualora siano immediatamente sovrastanti o sottostanti,
in taglio o in riporto nel terreno preesistente alla strada, la
scarpata del corpo stradale.
8 Stazione dei Carabinieri di Fulgatore (TP), Nota sulle criticità
verificatesi in data 10 e 11 marzo 2014 http://www.comune.erice.tp.it/attachments/article/3686/Nota%20Stazione%20Carabinieri%20di%20Fulgatore.pdf
2. La manutenzione nella fascia di pertinenza
Deve quindi essere analizzato a chi competano gli
obblighi manutentivi, ordinari e straordinari, previsti ai fini
della sicurezza, che incombono sui proprietari e gli aventi
titolo dei terreni confinanti con il “corpo stradale”.
Occorre analizzare in primis l’art. 3, comma 10, del
Codice della Strada
“ 10) Confine stradale: limite della proprietà stradale
quale risulta dagli atti di acquisizione o dalle fasce di
esproprio del progetto approvato; in mancanza, il
confine è costituito dal ciglio esterno del fosso di
guardia o della cunetta, ove esistenti, o dal piede
della scarpata se la strada è in rilevato o dal ciglio
superiore della scarpata se la strada è in trincea.”.
Il D.lgs n. 285 del 1992 stabilisce quindi come, qualora
non vi siano stati atti di acquisizione o fasce di
esproprio, il “confine stradale” è identificato “ nel ciglio
esterno del fosso di guardia o della cunetta ”, e quindi
tutta la sede stradale ricompresa sino a questi punti9
determini come gli obblighi manutentivi (ivi compresi gli
sfalci della vegetazione, il taglio dei polloni, la rettifica dei
rami eventualmente insistenti sulla strada e che non
siano legittimamente addossabili ai privati) siano onere e
responsabilità dell’Ente proprietario della strada.
Molte Ordinanze, appellandosi ai Regolamenti
Comunali10 obbligano i privati alla manutenzione di parte
della sede stradale, spesso dimenticando come dal punto
di vista tecnico la definizione di corpo stradale includa
banchine e marciapiedi.
Le Pubbliche Amministrazioni provvedono quindi a
comminare sanzioni laddove, ai sensi del
summenzionato art. 3 comma 10, banchine e fossi di
guardia sono certamente inclusi nel confine stradale e
pertanto non possano essere applicate sanzioni ai privati
proprietari dei fondi latistanti. Infatti, sebbene i
Regolamento di Polizia recitino correttamente la Norma,
9 Art. 3, comma 19, del Codice della Strada “19) Cunetta:
manufatto destinato allo smaltimento delle acque meteoriche o di drenaggio, realizzato longitudinalmente od anche trasversalmente all'andamento della strada.” 10 Si veda ad esempio il Regolamento di Polizia del Comune di Vigevano “ Articolo 76 VERDE PRIVATO Il verde condominiale e gli spazi privati prospettanti la pubblica via debbono essere mantenuti in condizioni decorose da parte dei proprietari o locatari. I rami degli alberi e/o le siepi che si protendono sulla pubblica via, fermo restando le prescrizioni del vigente codice della strada, devono essere costantemente regolarizzati in modo da evitare che fuoriescano dal confine di proprietà.”
259
tutto dipende da due fattori (acquisizione nel pubblico
demanio e precedente esproprio):
- se si tratta di strada pubblica ovvero anche la fascia di
pertinenza è stata acquisita dal demanio e quindi
precedentemente espropriata e sono stati corrisposti ai
privati gli oneri di esproprio, i Regolamenti Comunali che
obbligano alla manutenzione sono corretti;
- se si tratta di strada pubblica ma la fascia di pertinenza
non è mai stata acquisita e precedentemente espropriata
dall’ente pubblico, gli oneri della manutenzione, sino al
limite del confine stradale (ciglio esterno del fosso di
guardia o della cunetta) competono all’ente proprietario
della strada.
Infatti qualora decada per parte della sede stradale (sia
questa parte della sede stessa, una banchina o un
marciapiede) il concetto di strada pubblica, considerati i
sopracitati motivi, subentra quanto riportato nel disposto
normativo di cui all’art. 14 Codice della Strada che così
recita “ Art. 14. Poteri e compiti degli enti proprietari
delle strade 1. Gli enti proprietari delle strade, allo
scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della
circolazione, provvedono: a) alla manutenzione,
gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e
arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al
controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative
pertinenze; c) alla apposizione e manutenzione della
segnaletica prescritta. ...” .
E se decade il concetto di strada pubblica correttamente
possono essere applicati11 gli art. 895 e 896 del Codice
Civile rammentando però due importanti fattori :
- il divieto di reimpiantare alberi a distanza non legale,
sia che si tratti anche di un solo albero morto o
abbattuto, non si applica quando gli alberi fanno parte
di un filare;
- i proprietari dei fondi latistanti possono sempre
essere costretti a tagliare i rami che si protendano
11 Codice Civile, art. 895 Divieto di ripiantare alberi a
distanza non legale. Se si è acquistato il diritto di tenere alberi a distanza minore di quelle sopra indicate, e l'albero muore o viene reciso o abbattuto, il vicino non può sostituirlo, se non osservando la distanza legale. La disposizione non si applica quando gli alberi fanno parte di un filare situato lungo il confine. Art. 896 Recisione di rami protesi e di radici. Quegli sul cui fondo si protendono i rami degli alberi del vicino può in qualunque tempo costringerlo a tagliarli, e può egli stesso tagliare le radici che si addentrano nel suo fondo, salvi però in ambedue i casi i regolamenti e gli usi locali.
sulla sede stradale soltanto qualora la stessa sede sia
stata acquisita / espropriata dall’Ente proprietario
della strada altrimenti si entra nelle more dell’art. 3
comma 10 e la manutenzione della sede stradale sino
al confine (ciglio esterno del fosso di guardia)
compete all’Ente pubblico.
Qualora vengano elevate sanzioni ai sensi dell’art. 29 del
Codice della Strada12 occorre rimarcare come, sino al
confine stradale, la manutenzione sia in capo all’Ente
proprietario della strada13. E il confine stradale include
totalmente la pulizia di fossi di guardia e cunette e per
questo motivo molte Ordinanze disattendono la
Normativa vigente.
3. La manutenzione delle ripe
Per quanto attiene invece la manutenzione dei terreni
scoscesi (ripe14) lungo le strade, sia a valle sia a monte, i
proprietari dei fondi latistanti sono obbligati 15 a
provvedere, in modo tale da impedire franamenti o
cedimenti del corpo stradale. La manutenzione include
tutti i fabbricati e le opere di contenimento di qualunque
genere ed è volta sia ad evitare qualsiasi
scoscendimento del terreno sia il potenziale ingombro
delle pertinenze della sede stradale prevenendo
12 Codice della Strada, articolo 29: Piantagioni e siepi. 1. I
proprietari confinanti hanno l’obbligo di mantenere le siepi in modo da non restringere o danneggiare la strada o l’autostrada e di tagliare i rami delle piante che si protendono oltre il confine stradale e che nascondono la segnaletica o che ne compromettono comunque la leggibilità dalla distanza e dalla angolazione necessarie. 2.Qualora per effetto di intemperie o per qualsiasi altra causa vengano a cadere sul piano stradale alberi piantati in terreni laterali o ramaglie di qualsiasi specie e dimensioni, il proprietario di essi è tenuto a rimuoverli nel più breve tempo possibile. 3.Chiunque viola le disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da €159,00 a €639,00. 4.Alla violazione delle precedenti disposizioni consegue la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo, per l’autore della stessa, del ripristino a sue spese dei luoghi o della rimozione delle opere abusive secondo le norme del capo I, sezione II, del titolo VI. 13 Di questo stesso avviso anche il Parere del Ministero
dei Trasporti e delle Infrastrutture – Divisione Generale per la Sicurezza Stradale – Prot. 0007281 del 19/12/2012 14 Questo termine non agevola la comprensione del
disposto normativo in quanto in molte regioni italiane con il termine “ripe” si intendono le sponde di fiumi e corsi d’acqua. 15 Art. 30 e 31- del Codice della Strada (D.Lgs. 285 del
30.04.1992 e ssm)
260
l’eventuale caduta di massi o di altro materiale sulla
strada.
4. La manutenzione delle alberate stradali
L’errata Sentenza della Cassazione analizzata nel
precedente capitolo 16 ha determinato per molti Enti
pubblici una preoccupazione, infondata, relativa alla
presenza di alberi o filari di alberi all’interno delle fasce di
pertinenza e di rispetto. Preoccupazione infondata in
quanto17 una precedente Sentenza si era già espressa
sul tema, precisando come per quanto attiene la
pericolosità delle cose inerti (le specie arboree) non si
possa prescindere dal contesto dato: in un modello
relazionale standard (contesto extraurbano ad esempio)
l’ipotesi che dietro una curva vi possano essere filari di
alberi prossimi alla sede stradale rappresenta la norma.
Quindi, un’essenza arborea (cosa inerte per eccellenza)
deve essere percepita nel suo normale interagire col
contesto dato e tale cosa inerte non può definirsi
pericolosa a prescindere ma soltanto qualora sia del tutto
avulsa dal contesto. Con questa Sentenza 18 è stato
rigettato un ricorso di risarcimento danni contro un
Comune, citato in causa a seguito di un impatto contro
un ramo di un albero lungo la sede stradale (strada
urbana). I Giudici della Suprema Corte hanno stabilito
come il tronco ed i rami dell'albero in questione fossero
perfettamente visibili.
5. Conclusioni
Nel caso di specie arboree ubicate all’interno della fascia
di pertinenza la manutenzione delle stesse è un obbligo
dell’Ente proprietario della strada.
Per quanto attiene la presenza di specie arboree
all’interno delle fasce di rispetto tutto dipende dalla
classificazione della strada. In assenza di classificazione
stradale e in assenza degli strumenti urbanistici vigenti la
larghezza stessa della fascia di rispetto muta in modo
sensibile. Ora, se il Codice della Strada vieta le nuove
piantumazioni, nulla può essere addotto a livello
16 Angelo Porta, Paola Villani “Fasce di rispetto e alberate stradali: normativa “ in questo stesso Quaderno CT 2.5 AIPCR 2014. 17 Cassazione, Sez. III civile, Sentenza 04.11.2003 n°
16527 18 ibidem
normativo (oltre ai già esaminati articoli) per quanto
attiene il patrimonio arboreo esistente che deve essere
tutelato in quanto paesaggisticamente rilevante19 se non
fondamentale.
A tutto questo si aggiunga il ruolo svolto dalle specie
arboree sul microclima, sul drenaggio dell'acqua, sullo
spessore dello strato utile di terreno, sulla tenuta dei
versanti.
Castagnole Monferrato (AT)
Riferimenti e siti web
www.osservatoriodelpaesaggio.org, www.legambientevaltriversa.it
19
Per ogni abbattimento o capitozzatura si può procedere soltanto nei casi in cui le singole specie arboree o i filari di alberi non siano oggetto di vincolo paesaggistico o possano esservi ricomprese ai sensi dell’articolo 10 del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 "Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137" pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2004 - Supplemento Ordinario n. 28, che così recita: “art. 10 comma 1 1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonche' ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.; art. 10 comma 3 punto a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; ; art. 10, comma 4 punto g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico; comma 3 punto d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;”
261
Regolamento di tutela del patrimonio arboreo – Comune di Olgiate Comasco (CO) http://www.comune.olgiate-comasco.co.it/upload/File/Regolamento_tutela_Patrimonio_Arboreo.pdf
Regolamento per l’abbattimento del patrimonio arboreo – Comune di Firenze http://centroservizi.lineacomune.it/ssproxy/comune_di_firenze/ambiente/verde_pubblico/abbattimento_alberi/tutela_patrimonio_arboreo.html
Castell’Alfero (AT)
Cassinasco (AT)
Bibliografia
Paola Villani, “Le indagini relative alla responsabilità degli enti proprietari della strada” in “Indagini e rilievi nei sinistri stradali“ Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2014 Paola Villani, “Le possibili responsabilità tecniche per l'ente proprietario della strada nei casi di sinistro mortale o con feriti gravi ” Atti del Seminario organizzato da Il Circolo dei Tredici “La fase indagine nell’ambito del sinistro stradale”, Salone del Parlamento, Castello di Udine, 30 maggio 2014
.. - + * + -...
262
FASCE DI RISPETTO E ALBERATE STRADALI: NORMATIVA Marco Devecchi*, Angelo Porta**, Paola Villani***
* Università degli Studi di Torino
** Legambiente
*** Politecnico di Milano
Introduzione
“E’ possibile conciliare la sicurezza dei conducenti e la
presenza delle piante?”
Il presente Capitolo entra nel merito di una problematica
che non è annoverata come vexata quaestio. Difficile
reperire documentazione sul tema, pochissime le
pubblicazioni tecniche o giuridiche. Il tema è divenuto di
attualità a seguito di una Sentenza della Corte di
Cassazione1 che si è espressa in merito ad un incidente
stradale mortale causato dalla fuoriuscita del veicolo e
successivo impatto contro un albero “che si trovava a
meno di sei metri dal confine stradale, e quindi in
posizione non consentita”.
Il punto è quindi il seguente: è consentita la presenza di
alberi all’interno delle fasce di pertinenza e delle fasce di
rispetto?
1. La Sentenza
L’albero in questione si trovava all’interno di un’area
ANAS e la Sentenza ha respinto il ricorso in quanto “ai
sensi dell'art. 3 C.d.S., p. 10, il confine stradale si
identifica con il limite della sede stradale che, come
correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, non
può ritenersi identificarsi con la striscia bianca continua,
bensì deve ritenersi individuabile quanto meno dalla fine
del manto di asfalto, manto comprensivo anche della
cosiddetta banchina.”
1 Cassazione, Sez. IV, Sentenza n. 17601 del 15/04/2010
La Sentenza della Cassazione2 viene ora citata come
principio giuridico per la sicurezza stradale e la posa in
2 Ibidem: “Ai sensi dell'art. 40 C.d.S., "i margini della
carreggiata sono segnalati con strisce di colore bianco" e, pertanto, la striscia bianca in questione rappresenta il limite della carreggiata (esclusa la banchina) e non invece di tutta la strada (banchina compresa). Tanto premesso si osserva che assolutamente incongrue sono le argomentazioni del ricorrente secondo cui, premesso che l'albero contro cui l'autovettura con a bordo la signora C. ha impattato si trovava su di un'area di proprietà ed uso esclusivo dell'Anas, unica valida fonte giuridica di riferimento sarebbe il D.M. Lavori Pubblici 18 febbraio 1992, n. 223, art. 3 dell'allegato 1 e non già l'art. 26 reg. C.d.S., il quale costituisce applicazione dell'art. 16 stesso Codice. Le due norme in questione, invece, ad avviso del ricorrente, non potrebbero trovare applicazione perché si riferiscono esclusivamente ai proprietari dei fondi confinanti con la proprietà stradale. Il ricorrente, peraltro, si sofferma soltanto sull'art. 16 C.d.S., comma 1, che si riferisce ai proprietari dei fondi confinanti e non già sul predetto articolo, comma 2 che invece fa riferimento all'art. 26 reg. att. C.d.S.. Invece, come correttamente rilevato dai giudici di merito, è pacifico che l'albero si trovasse a meno di sei metri dal confine stradale, e quindi in posizione non consentita, e pertanto è appunto l'art. 26 sopra indicato che trova applicazione nella fattispecie che ci occupa, il quale, al n. 6, prevede che gli alberi non possano trovarsi a meno di sei metri dal confine stradale, norma all'evidenza finalizzata alla tutela della sicurezza degli utenti della strada, mentre non può trovare applicazione la disposizione di cui all'all. 1 D.M. Lavori pubblici (D.M. 18 febbraio 1992, n. 223), che prevede che detta distanza non possa essere inferiore a metri 5, atteso che il regolamento al Codice della Strada è entrato in vigore nel dicembre 1992, successivamente quindi al D.M. di cui sopra.” Da qui dunque la condanna a un anno e sei mesi poiché l’ANAS non ha provveduto alla messa in sicurezza, della strada statale 75 “Centrale Umbra”, cinta di alberi secolari “predisponendo un idoneo guardrail nel tratto di strada dove si trovava la pianta”. E con questa (incredibile) Sentenza la Suprema Corte ha condannato per omicidio colposo il capo cantoniere dell’Anas di Foligno, reo di aver determinato il decesso di
263
opera di guardrail lungo le strade secolari. La Sentenza
ha stabilito come gli alberi collocati nella fascia di rispetto
di 6 metri (per le strade extraurbane) siano quindi
fuorilegge. Molti quotidiani hanno poi riportato la notizia
corredandola di significati che non trovano, come
vedremo a breve, alcuna applicazione, mettendo però in
allarme le associazioni ambientaliste e quanti amano le
alberature stradali.
La questione verte principalmente sul fatto che l’articolo
26 del Regolamento stabilisce come la distanza “non può
essere inferiore alla massima altezza raggiungibile per
ciascun tipo di essenza a completamento del ciclo
vegetativo e comunque non inferiore a 6 metri”.
E la Norma è sempre stata considerata – come tutte le
Norme - non retroattiva3 e, come è noto le Sentenze,
anche quelle della Cassazione non hanno valenza dal
punto di vista giuridico4 e ha sentenziato come il divieto
debba valere per tutto il patrimonio arboreo che
caratterizza le strade extraurbane italiane, è doveroso
analizzare la questione.
1.1 Commenti
Non si comprende perché la Cassazione abbia
sottolineato il vincolo dei sei metri ai sensi dell’art. 26
comma 6 (5) del Regolamento di Attuazione del Codice
della Strada laddove è assolutamente evidente come
trattandosi di “un'area di proprietà ed uso esclusivo
dell'Anas” è scontato come l’albero fosse preesistente e
quindi non possa trovare applicazione il disposto
normativo citato che recita “da rispettare per impiantare
alberi”.
M.C., morta a seguito dello schianto della sua vettura contro uno dei platani della SS 75. 3 La non-retroattività delle Norme è un principio generale
dell'ordinamento italiano che ammette però la possibile retroattività per alcune Leggi amministrative, tributarie e previdenziali, quantunque queste incidano su diritti di natura economica e situazioni cristallizzate nel tempo. 4 “La Sentenza emessa non costituisce (mai) [nel nostro
ordinamento] una regola vincolante almeno in punto di diritto – al di fuori dello specifico caso trattato”. Raimonda Tomasino, Il valore del precedente, Magistratura, Organo dell’Associazione Nazionale Magistrati, 2008 5 Reg. CdS. Art. 26 comma 6. La distanza dal confine
stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare per impiantare alberi lateralmente alla strada, non può essere inferiore alla massima altezza raggiungibile per ciascun tipo di essenza a completamento del ciclo vegetativo e comunque non inferiore a 6 m.
Quindi la questione potrebbe anche chiudersi in queste
poche righe essendo evidente come la Norma si applichi
soltanto alle specie arboree da impiantare.
Ma la Sentenza tocca anche altri punti importanti. Così
come risulta dalla lettura degli atti “Per quanto attiene al
primo motivo si osserva che, ai sensi dell'art. 3 C.d.S., p.
10, il confine stradale si identifica con il limite della sede
stradale che, come correttamente ritenuto dal giudice di
primo grado, non può ritenersi identificarsi con la striscia
bianca continua, bensì deve ritenersi individuabile quanto
meno dalla fine del manto di asfalto, manto comprensivo
anche della cosiddetta banchina. Ai sensi dell'art. 40
C.d.S., "i margini della carreggiata sono segnalati con
strisce di colore bianco" e, pertanto, la striscia bianca in
questione rappresenta il limite della carreggiata (esclusa
la banchina) e non invece di tutta la strada (banchina
compresa). Tanto premesso si osserva che
assolutamente incongrue sono le argomentazioni del
ricorrente secondo cui, premesso che l'albero contro cui
l'autovettura con a bordo la signora C. ha impattato si
trovava su di un'area di proprietà ed uso esclusivo
dell'Anas, unica valida fonte giuridica di riferimento
sarebbe il D.M. Lavori Pubblici 18 febbraio 1992, n. 223,
art. 3 dell'allegato 1 e non già l'art. 26 reg. C.d.S., il quale
costituisce applicazione dell'art. 16 stesso Codice. Le
due norme in questione, invece, ad avviso del ricorrente,
non potrebbero trovare applicazione perché si riferiscono
esclusivamente ai proprietari dei fondi confinanti con la
proprietà stradale” .
Ai sensi del combinato disposto dagli art. 2 e Allegato 1
art. 3 del D.M. 223/1992 è obbligatoria6 la collocazione di
6 D.M. 223/1992 Art. 2 1 I progetti esecutivi relativi alle
strade pubbliche extraurbane ed a quelle urbane con velocità di progetto maggiore o uguale a 70 km/h devono comprendere un apposito allegato progettuale, completo di relazione motivata sulle scelte, redatto da un ingegnere, riguardante i tipi delle barriere di sicurezza da adottare, la loro ubicazione e le opere complementari connesse (fondazione, supporti, dispositivi di smaltimento delle acque, ecc.), nell’ambito della sicurezza stradale. 2. I progetti relativi alla costruzione di nuovi tronchi stradali dovranno prevedere la protezione delle zone precisate nelle istruzioni tecniche di cui al successivo art. 8. Si veda anche quanto riportato nel Capitolo di Gabriella Caroti, Antonio Pratelli, Matteo Rossi “Elementi fondamentali per redigere un Piano del Traffico per la Viabilità Extraurbana” in questo stesso Quaderno AIPCR 2014.
264
idonee barriere di sicurezza “per tutti le gli ostacoli fissi,
laterali o centrali isolati, quali pile di ponti, fabbricati;
tralicci di elettrodotti, portali della segnaletica, ovvero
alberature ecc, entro una fascia di 5,00 m dal ciglio
esterno della carreggiata.” per i soli tratti di strada di
nuova realizzazione aventi velocità di progetto
maggiore o uguale a 70 km/h. Quindi sono escluse le
collocazioni delle barriere di sicurezza per le alberature
lungo le strade preesistenti.
E per quanto attiene la SS 75 occorreva stabilire
precisamente se il punto in questione7
potesse
annoverarsi tra “i tratti di strada di nuova
realizzazione” poiché il tracciato della strada statale 75
"Centrale Umbra" è antico8 essendo stato istituito nel
1928 .
Ma vi sono altri due punti importanti menzionati nella
Sentenza, relativi alla definizione di sede stradale e alla
proprietà dei fondi. Questioni come vedremo
fondamentali poiché da qui discendono tutti gli oneri della
manutenzione.
Prima di affrontare la questione sede stradale è bene
sottolineare come per la SS 75 Centrale Umbra – a tutta
evidenza una strada extraurbana di Categoria B – e per
queste categorie di strade la fascia di rispetto sia pari a
40 metri, che possono essere ridotti a soli 20 nei tratti che
7
L’incidente è avvenuto nel 2005 prima della riqualificazione della SS 75 così come identificata nella scheda su TRAIL Umbria – UnionCamere - Osservatorio Regionale delle Infrastrutture di Trasporto e della Logistica riferita ai lavori di adeguamento del 2009 http://www.umbria.portale-infrastrutture.it/intervento_scheda.asp?id=529 8 Il percorso della Strada Statale 75 si snoda totalmente
nella provincia di Perugia, precisamente a sud - est del capoluogo umbro, nella cosiddetta Valle Umbra. L'infrastruttura ha una lunghezza complessiva di 25,480 km, con origine nella frazione di Collestrada, comune di Perugia, attraverso uno svincolo che la distacca dalla SS 3 bis Tiberina, per proseguire fino al nodo di Foligno, dove si innesta sulla SS 3 Via Flaminia. Il tracciato si presenta a carreggiate separate con spartitraffico e due corsie per senso di marcia. L'itinerario serve alcuni centri urbani della provincia di Perugia, importanti dal punto di vista turistico e commerciale, ai quali funge come tangenziale e come raccordo alla SS 3 bis Tiberina e alla SS 3 Via Flaminia. La SS 75 risulta, pertanto, attraversata principalmente da un traffico di tipo urbano, extraurbano e di attraversamento.
interessano Comuni non dotati di strumento urbanistico9
vigente.
2. La sede stradale
L’art. 14 del Codice della Strada assegna all’Ente
proprietario della strada il compito di provvedere alla
manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, e
tale obbligo si estende in ambito urbano sino ai
marciapiedi e non si estende alle aree estranee
circostanti, in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle
strade che, ai sensi dell’art. 31 del Codice della Strada,
devono essere mantenute dai proprietari delle medesime
in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo
connesse a franamenti e cedimenti del corpo stradale o
delle opere di sostegno, l’ingombro delle pertinenze e
della sede stradale, nonché la caduta di massi o altro
materiale, qualora siano immediatamente sovrastanti o
sottostanti, in taglio o in riporto nel terreno preesistente
alla strada, la scarpata del corpo stradale.
A seguito della Sentenza della Cassazione molti Enti
proprietari della strada hanno imposto il taglio delle
specie arboree, sovente accollandone gli oneri ai
proprietari dei fondi latistanti ma occorre analizzare a chi
competano gli obblighi manutentivi, ordinari e
straordinari, previsti ai fini della sicurezza, che
incombono sui proprietari e gli aventi titolo dei terreni
confinanti con il “corpo stradale”.
2.1 Proprietà dei fondi
L’articolo citato nella Sentenza (CdS art. 3, comma 10),
così recita “art. 3. 10) Confine stradale: limite della
proprietà stradale quale risulta dagli atti di acquisizione o
dalle fasce di esproprio del progetto approvato; in
mancanza, il confine è costituito dal ciglio esterno del
fosso di guardia o della cunetta, ove esistenti, o dal piede
della scarpata se la strada è in rilevato o dal ciglio
superiore della scarpata se la strada è in trincea.”
9 Si vedano le Schede di sintesi elaborate ai sensi della
Normativa di riferimento e riportate nel Capitolo di Antonio Cataldo, Alessandro Di Graziano, Paola Villani “Il censimento delle strade appartenenti alla rete extraurbana: aspetti metodologici e normativi “ in questo
stesso Quaderno CT 2.5 AIPCR 2014
265
Il D.lgs n. 285 del 1992 stabilisce come, qualora non vi
siano stati atti di acquisizione o fasce di esproprio, il
“confine stradale” è identificato “ dal ciglio esterno del
fosso di guardia o della cunetta ”, e gli obblighi
manutentivi siano a carico dell’Ente proprietario della
strada.
Nella Sentenza analizzata la definizione data dai
ricorrenti e relativa alla sede stradale, identificata con la
striscia di margine, è errata. E anche per questo motivo la
Corte di Cassazione ha respinto il ricorso.
Dunque, sebbene le norme relative alle fasce di rispetto,
alla definizione di sede stradale, agli obblighi di
manutenzione siano Norme chiarissime ed inequivocabili
è evidente come non siano state correttamente recepite
da alcuni Enti che
- in alcuni casi hanno proceduto con il taglio
indiscriminato delle specie arboree (forse per limitare
in futuro le opere di manutenzione o più
probabilmente per eliminare definitivamente una
possibile causa di contenzioso in caso di incidente)
- in altri casi hanno imposto ai proprietari dei fondi
latistanti opere di manutenzione che non dovevano
essere assegnate / imposte, senza inoltre
considerare la preesistenza o le esigenze di difesa
del suolo.
Alcune amministrazioni locali (Province, Comuni) paiono
essere particolarmente attive nell’errata interpretazione
delle Norme, e determinano danni paesaggistici gravi e
permanenti.
L’inserimento di regole precise sulle alberate, i necessari
limiti di velocità e dispositivi di protezione porterebbero ad
un aumento della sicurezza stradale e vantaggi per
l’ambiente ed il paesaggio, eliminando quindi il rischio
che Enti gestori troppo solerti procedano all’eliminazione
definitiva di pregevoli specie arboree e – in ambito urbano
– dei viali alberati, che caratterizzano i centri abitati e
molte strade secondarie.
Le Associazioni ambientaliste hanno formulato alcune
ipotesi per integrare le Norme nella stesura del Nuovo
Codice della Strada relative:
- alla definizione / legittimazione delle alberate stradali
nelle fasce di pertinenza e di rispetto.
- all’impianto e alla conservazione degli alberi e delle
siepi nelle fasce di pertinenza10
e di rispetto delle
strade modulandone le distanze minime in relazione
alla categoria delle stesse.
- alle deroghe previste per le distanze minime da
rispettare per realizzare opere di ingegneria
naturalistica.
- alla possibile piantumazione di alberi e siepi nelle
aree di servizio e sosta.
- alla riduzione dei limiti di velocità sulle strade ove
siano presenti alberate.
- alla definizione di regole per la corretta gestione e
protezione delle alberate esistenti, anche in relazione
alle manutenzioni ordinarie e straordinarie delle
strade.
3. Fasce di rispetto
Per quanto attiene la presenza di specie arboree
all’interno delle fasce di rispetto giova rammentare come
anche nei casi in cui gli Enti Locali abbiano proceduto con
una classificazione della rete stradale ai sensi del D.M.
6792/2001, l’obbligo vigente attiene soltanto i manufatti e
non sia relativo alle specie arboree.
Confrontando gli articoli del Regolamento di attuazione
del CdS e la definizione nel D.M. 6792 che così riporta:
“FASCIA DI RISPETTO: striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte del proprietario del terreno, di scavi, costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili. Per la larghezza vedere gli articoli 26, 27 e 28 del DPR 495/92.”
risulta immediato constatare come nel D.M 6792 vi sia il
riferimento a “piantagioni” che, nell’articolo 26 del
Regolamento di Attuazione CdS – come già analizzato –
è riferita soltanto alle “nuove piantumazioni”.
10
È da rimarcare l’assenza nel Codice della Strada e nel
relativo Regolamento di Attuazione di qualsiasi definizione di “preesistente” alberata stradale nella fascia di pertinenza, assenza che può determinare contenziosi anche relativamente alla manutenzione delle specie arboree presenti. Ed è evidente come il riferimento alle “nuove piantumazioni” non comprenda i boschi, che non vengono piantumati ma proprio per la mancanza di cure rappresentano sovente un rischio maggiore per la circolazione rispetto a quanto non siano le piantumazioni arboree vietate.
266
Ed è evidente come il riferimento alle “nuove
piantumazioni” non comprenda i boschi, che non
vengono piantumati ma proprio per la mancanza di cure
rappresentano spesso un rischio maggiore per la
circolazione rispetto alle coltivazioni arboree vietate.
La fascia di rispetto non rappresenta quindi, come alcune
Amministrazioni11
riportano, un’area “all'interno della
quale le indicazioni viarie degli strumenti urbanistici
possono essere modificate in sede di progettazione
esecutiva” ma un’area sulla quale esistono precisi vincoli
per la realizzazione di opere siano esse manufatti o
nuove piantumazioni.
Ma ridurre12
le fasce di rispetto per le strade di nuova
realizzazione non aiuta la messa in sicurezza della rete
viabilistica.
Baldichieri d’Asti al confine con Bramairate. Il medesimo tratto della SS 10 in differenti momenti della giornata: le alberature stradali contrastano efficacemente l’abbagliamento visivo.
11
Provincia di Trento, Determinazioni in ordine alle
dimensioni delle strade ed alle distanze di rispetto stradali e dei tracciati ferroviari di progetto (articolo 70 della legge provinciale 5 settembre 1991, n. 22 articolo 64 della legge provinciale 4 marzo 2008, n. 1) (Testo coordinato alla DGP n. 909 di data 3 febbraio 1995 e ss.mm., di cui l’ultima, n. 2088, di data 4 ottobre 2013) 12
Ibidem, Tabelle B e C
4. Ruolo e importanza del verde stradale per la
qualità del paesaggio
ll tema della qualità del paesaggio sta riscuotendo a
livello nazionale ed internazionale una crescente
attenzione ed interesse. Ne è una chiara testimonianza
l’approvazione da parte del Consiglio d’Europa a Firenze
nell’anno 2000 della Convenzione Europea del
Paesaggio13
nella quale è chiaramente sottolineato il
principio per cui “Il paesaggio coopera all'elaborazione
delle culture locali e rappresenta una componente
fondamentale del patrimonio culturale e naturale
dell'Europa, contribuendo così al benessere e alla
soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento
dell'identità europea”. Il paesaggio è infatti un bene
culturale, ma anche un bisogno sociale, costituendo un
preciso elemento identificativo per chi lo vive. Un
paesaggio equilibrato e ordinato produce un naturale
senso di godimento estetico, all’opposto, un paesaggio
13
Convenzione Europea del Paesaggio, Preambolo. Firenze, 20 ottobre 2000
267
disordinato o con elementi casuali di dissonanza
ingenera sensazioni di profondo disagio. In questa
prospettiva anche il patrimonio arboreo - da intendersi
tanto come singoli esemplari di interesse
storico-monumentale che, soprattutto, come filari ed
alberature stradali - rappresenta senza dubbio una
componente di fondamentale e imprescindibile
importanza nella connotazione dei paesaggi europei. Il
Parlamento italiano con un recente provvedimento
normativo14
ha voluto fornire un ulteriore e prezioso
strumento di salvaguardia degli alberi monumentali15
e -
in modo innovativo - dei filari e delle alberate di
particolare “pregio paesaggistico”, naturalistico,
monumentale, storico e culturale. Questa lungimirante
opportunità di tutela si inserisce purtroppo in un quadro di
crescente preoccupazione per la potenziale scomparsa
delle alberate stradali extraurbane in ragione dell’errata
interpretazione del Codice della Strada e della Sentenza
precedentemente analizzata, Normativa fraintesa e
inadeguata rispetto alle attuali sensibilità ed aspettative
della società sui temi della qualità ambientale e
paesaggistica.
5. Funzioni delle alberature stradali ed opportunità
progettuali
Le alberature possano svolgere importanti funzioni di tipo
ecologico ed ambientale ma è soprattutto sul piano
estetico-percettivo che le alberate possono fornire i
contributi più utili al miglioramento della qualità del
paesaggio lungo la rete stradale extraurbana. E’ noto da
molteplici studi come tra i fattori maggiormente
disturbanti la percezione visiva del paesaggio da parte
dei fruitori della rete stradale vi sia senza dubbio il
disordine architettonico caratterizzante purtroppo molte
aree periferiche di comuni grandi e piccoli del nostro
Paese. Le peculiarità storico-artistiche dei centri storici
possono essere percepite solo dopo percorsi più o meno
14
Legge 10 del 14 gennaio 2013, Norme per lo sviluppo
degli spazi verdi urbani (G.U. n.27 del 1-2-2013 ) 15
Legge 10/2013 Art. 7. Disposizioni per la tutela e la
salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale. 1. Agli effetti della presente legge e di ogni altra normativa in vigore nel territorio della Repubblica, per «alberi monumentali» si intendono: (…) b) i filari e le alberate di particolare pregio paesaggistico, monumentale, storico e culturale, ivi compresi quelli inseriti nei centri urbani;
lunghi attraverso aree di recente edificazione, non
sempre di qualità, connotate sia da edifici ad uso
abitativo, sia soprattutto da insediamenti commerciali,
artigianali ed industriali di forme, dimensioni, materiali
costruttivi e colori differenti e del tutto dissonanti ed
incoerenti rispetto alle tipologie edilizie tradizionali
presenti in loco. Un prezioso contributo, certamente non
risolutivo, ma indubbiamente proficuo al contrasto del
disordine paesaggistico, è rappresentato proprio dai viali
alberati. La ripetizione modulare degli esemplari arborei
lungo le strade rimedia in modo straordinariamente
efficace alla caotica gestione dell’intorno. L’occhio del
fruitore dell’infrastruttura viaria riposa nella percezione in
successione degli alberi che conferiscono armonia
all’insieme prima dell’arrivo alle realtà di maggior pregio
architettonico dei centri storici. Non si tratta tanto di una
schermatura o di una quinta verde pensata per occultare
la vista di oggetti confusamente collocati a bordo strada,
quanto di un elemento avente una propria identità e forza
espressiva, utile per attrarre la vista e per riconciliare la
stessa con il bello e l’armonia della chioma degli alberi.
Non meno importante appare anche l’effetto psicologico
del colore della vegetazione: il verde, infatti, di per sé
rilassa ed ristora, mentre eventuali fioriture o colorazioni
del fogliame nel periodo autunnale possono concorrere
piacevolmente ad incuriosire ed attrarre l’attenzione e
l’interesse del viaggiatore. In questa logica, il ruolo degli
alberi può anche essere speso come fattore di richiamo
ed attenzione verso la bellezza della natura, capace di
contrastare fattori psicologici di noia e stanchezza
mentale, connessi con la guida per lunghi tratti stradali.
Quali specie vegetali impiegare? Appare fondamentale
l’utilizzo nella realizzazione degli ingressi alberati ai centri
abitati - per lo meno laddove permangano ancora
elementi peculiari del paesaggio agrario tradizionale - di
specie arboree facenti parte della flora locale16
. L'impiego
di specie autoctone rafforza, infatti, l'appartenenza della
strada al paesaggio locale che può ulteriormente
arricchirsi della presenza di innumerevoli specie
arbustive per realizzare, ove gli spazi lo consentano,
quinte verdi o vere e proprie fasce boscate con
larghezze tra i 10 ed i 25 metri misurati sulla base della
proiezione della chioma degli alberi. In questi casi si tratta
16
Marco Devecchi, La progettazione del verde in ambito
urbano: vegetazione spontanea, ruderale, invasiva ed infestante, in “Paesaggio urbano, Tra residui e risorse”,
Franco Angeli Editore, Milano, 2014
268
di vere e proprie infrastrutture paesaggistiche ed
ecologiche che possono svolgere un importante ruolo
nella gestione sostenibile del territorio e del paesaggio,
funzionando in alcuni casi, come veri e propri corridoi
ecologici ed habitat per molte specie di insetti, uccelli e
piccoli mammiferi. Con questo tipo di approccio
ecologico-paesaggistico grande interesse rivestono,
anche, soluzioni progettuali connesse alla realizzazione
di ampi anelli verdi periurbani, utilizzando le aree
marginali residuali in corrispondenza degli svincoli e dei
raccordi stradali, spesso inutilizzati o scarsamente
valorizzati.
6. Valutazioni fitostatiche
Lo schianto di alberi e/o la caduta di rami rappresentano
un pericolo non trascurabile per l’incolumità delle
persone, soprattutto in riferimento agli ambiti stradali. La
valutazione della stabilità degli alberi è un campo
specialistico della Fitoiatria, affermatosi negli ultimi
decenni mediante la definizione di specifici protocolli
diagnostici finalizzati all’individuazione delle
problematiche di ordine sanitario e fitostatico. Particolare
importanza riveste anche nel nostro Paese la
metodologia di indagine denominata V.T.A. (Visual Tree
Assessment), i cui requisiti sono stati esplicitati nel
“Protocollo ISA sulla valutazione di stabilità degli alberi”,
elaborato dal gruppo di lavoro sulla stabilità degli alberi
della Società Italiana di Arboricoltura (SIA). Tale
metodica permette di evidenziare criticità che possono
essere oggetto di ulteriori valutazioni di tipo strumentale
allo scopo di descrivere a livello quantitativo i danni o le
lesioni presenti a carico degli alberi. E’ importante
ribadire come tali valutazioni diagnostiche possano
essere effettuate solo ed esclusivamente da personale
tecnico altamente qualificato, competente ed abilitato
professionalmente. Tra le problematiche più ricorrenti
nella compromissione della stabilità degli alberi possono
essere ricordate le carie legnose dovute alla
degradazione del legno da parte di microrganismi fungini,
in grado di determinare, nei casi più gravi, la formazione
di estese cavità. A tali situazioni di grave alterazione delle
strutture portanti dell’albero hanno spesso contribuito
drastiche e mal eseguite potature, come le deleterie
pratiche di “capitozzatura”, in grado di ridurre
significativamente la longevità degli alberi, trasformandoli
in fonti di perenne rischio. La capitozzatura rende
pericoloso l'albero favorendo l'invasione dei
microrganismi cariogeni, a partire dagli estesi tagli sulle
ramificazioni principali. Non meno seria appare la
debolezza del punto di inserzione dei nuovi rami formatisi
dopo gli interventi di capitozzatura che li espone con
facilità a rotture in presenza di sollecitazioni esterne
come il vento o la neve. Un’ulteriore importante
riflessione merita la problematica relativa agli interventi di
posizionamento dei sottoservizi in prossimità dell’albero
per il rischio di gravi compromissioni dell’apparato
radicale e futuri schianti.
7. Conclusioni
Il valore ambientale e paesaggistico delle alberate
stradali suggerisce un ripensamento degli articoli del
Codice della Strada e di quelli del suo Regolamento
attuativo, essendo necessario poter prevedere anche al
di fuori dei centri urbani deroghe alle distanze di
piantagione, ove le condizioni di sicurezza lo consentano,
da verificarsi in modo congiunto tra competenze di ordine
viabilistico e competenze agronomico-forestali per la
scelta delle specie arboree di volta in volta più opportune.
Tali competenze appaiono altrettanto fondamentali per
una corretta gestione del patrimonio arboreo esistente, al
fine di preservare in modo scrupoloso gli alberi da
danneggiamenti legati a tecniche di potatura improprie o
da scavi in prossimità dell’apparato radicale.
Gli alberi sono spesso indicati come causa di incidenti
stradali ma si evidenziano molteplici casi in cui questi
hanno svolto un’ottima funzione di ritenuta. Infatti,
sebbene siano molteplici le analisi sul tema
dell’incidentalità sono relativamente scarse le indagini di
correlazione dei fattori concomitanti: comportamento del
conducente, prestazioni del veicolo, infrastruttura
stradale, ambiente. La ricerca delle cause che hanno
determinato un incidente comporta studi e ricerche
spesso complesse, in quanto ogni singolo evento
rappresenta sempre un caso a sé stante.
Il comportamento dei conducenti è però fortemente
determinato dalle caratteristiche dell’infrastruttura, dal
veicolo e dallo stato dell’ambiente. Ambiente che non può
essere inteso genericamente come “intorno della strada”
ma soltanto in relazione alle modificazioni delle usuali
caratteristiche di visibilità.
269
Riferimenti e siti web
www.legambientevaltriversa.it www.muscandia.it www.osservatoriodelpaesaggio.org, Raimonda Tomasino, Il valore del precedente, Magistratura, Organo dell’Associazione Nazionale Magistrati, 2008 http://www.associazionemagistrati.it/rivista-la-magistratura
Società italiana di arboricoltura http://www.isaitalia.org
Bibliografia
Marco Devecchi, La progettazione del verde in ambito urbano: vegetazione spontanea, ruderale, invasiva ed infestante, in “Paesaggio urbano, Tra residui e risorse”, Franco Angeli Editore, Milano, 2014 M. Devecchi, F. Larcher, Gli schermi vegetali, in “Sistemi di schermatura per il controllo solare”.Edicom Edizioni, Milano, 2014 F. Larcher, M. Devecchi, P. Gullino, Dalla valutazione di impatto ambientale alla relazione paesaggistica: il ruolo dell’ecologia del paesaggio nella valutazione di progetti di trasformazione del territorio. Atti del X Congresso Nazionale della Società Italiana di Ecologia del Paesaggio. 22-23 maggio 2008 Bari. Università degli Studi di Bari, Politecnico di Bari, SIEP-IALE ISBN 978-88-900865-3-3 http://www.biologia.uniba.it/evo-amb/PhD_programs/publication/pdf/mairota/3.pdf
Paola Villani, “Le indagini relative alla responsabilità degli enti proprietari della strada” in “Indagini e rilievi nei sinistri stradali“ Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna,
2014 Paola Villani, “Le possibili responsabilità tecniche per l'ente proprietario della strada nei casi di sinistro mortale o con feriti gravi ” Atti del Seminario organizzato da Il Circolo dei Tredici “La fase indagine nell’ambito del sinistro stradale”, Salone del Parlamento, Castello di Udine, 30 maggio 2014
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270
TECNICHE DI WEB MAPPING PER APPLICAZIONI GIS ON-LINE
Gabriella CAROTI, Angelo PARDINI, Antonio PRATELLI DICI – Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale, Università di Pisa
Sommario – Negli ultimi tempi si è potuto assistere ad un enorme sviluppo di sistemi di web mapping ed applicazioni on-line
e per sistemi mobili, basati su tecnologie GIS: dalla più semplice condivisione di mappe e dati spaziali on-line, ad applicazioni che consentono un’interazione diretta, fino ad applicativi interamente dedicati, programmati in base alle esigenze del committente (pubblico o privato). Alcuni esempi di servizi di questo genere vengono riportati in seguito, per mostrare le potenzialità ed i possibili utilizzi di queste soluzioni.
Introduzione
I sistemi di web mapping per applicazioni on-line e per
sistemi mobili sono basati su tecnologie GIS. Mediante
questi sistemi si può passare dalla più semplice
condivisione di mappe e dati spaziali ad applicazioni
on-line che consentono un’interazione diretta, sino ad
applicativi interamente dedicati, programmati in base alle
esigenze del committente (pubblico o privato). Nel
seguito sono riportati alcuni esempi di servizi di web
mapping allo scopo di mostrare le potenzialità ed i
possibili utilizzi di queste soluzioni.
1. California Roundabouts
(http://gis.FehrandPeers.com/Apps/californiaRoundabouts/)
Applicazione on-line che consente di avere informazioni
di dettaglio sulle rotatorie presenti nel territorio della
California.
251658240
Fig. 1 – Schermata dell’applicazione California roundabouts (Fehr and Peers, 2013).
2. Atlante delle segnalazioni paesaggistiche
(http://Provincia di Lucca - paesaggio.provincia.lucca.it – gis3w)
Questo esempio di applicazione on-line è stato adottato
dalla Provincia di Lucca e sfrutta tecnologie GIS.
2516592641125165824011251658240
Fig. 2 – Atlante delle segnalazioni paesaggistiche della Provincia di Lucca
Basato su immagini satellitari (ma potrebbero essere
scelte anche altre immagini cartografiche) i residenti –
previo accesso controllato – possono georeferenziare
informazioni o elementi (puntuali, lineari o areali),
indicando se questi rappresentano un potenziale
pericolo, un danno oppure sono valori territoriali da porre
sotto attenta tutela. Gli utenti possono anche corredare le
segnalazioni con commenti e/o foto. Questo sistema
permette di mantenere sempre aggiornato il database
territoriale avvalendosi proprio della collaborazione di
quanti, attraverso giudizi e segnalazioni, lo implementano
271
e ovviamente possono consultare on-line le informazioni
riportate.
3. Sistema informativo Comune di Capannori
(http://www.comune.capannori.lu.it/node/4829)
Il Comune di Capannori (LU) mette a disposizione sul
proprio sito una pagina dedicata ai Sistemi Informativi
Territoriali (SIT) per visualizzare informazioni
cartografiche che l’ente vuole condividere con cittadini e
professionisti (toponomastica, piani urbanistici,
regolamenti, ecc.).
251658240
Fig. 3 – S.I.T. Comune di Capannori (LU).
4. Costruzione di un’applicazione on-line basata su sistemi GIS
Vi sono diversi metodi per programmare queste tipologie
di applicazioni e si possono innanzitutto dividere in due
macrocategorie: quelle open source e quelle a
pagamento. Si riportano alcuni esempi
4.1. QGIS Cloud
Si tratta di un servizio opensource, messo a disposizione
on-line nell’ambito del progetto Quantum Gis, che si
propone di condividere strumenti e risorse gratuite per lo
sviluppo dei S.I.T. a livello internazionale. Questo
particolare strumento è un plug-in da installare
sull’interfaccia del software QGIS (scaricabile
gratuitamente dal sito www.qgis.org); una volta creato un
account di accesso, si possono andare a caricare i dati
territoriali che vogliamo pubblicare on-line. Lo strumento
riconosce solo alcuni limitati tipi di formato, quindi può
risultare necessario convertire i propri dati per poterli
caricare.
251658240
Fig. 4 – Interfaccia pubblicazione mappe su web tramite QGIS Cloud (nel cerchio sono evidenziate le informazioni territoriali).
I sistemi cloud sono in rapido sviluppo ultimamente,
anche da parte di colossi web quali Google; consistono
sostanzialmente in spazi limitati, messi a disposizione di
tutti gli utenti, su server locali, che consentono agli
interessati di usufruire di un relativo spazio sul web. Oltre
a questa risorsa viene in genere utilizzato un ulteriore
servizio gratuito (offerto anche da Google) per
l’acquisizione e la pubblicazione sul proprio spazio web di
mappe.
Ad esempio, esiste lo strumento Google API’s che
permette, tramite un account Google, di ottenere una key
(chiave di accesso) alle mappe a disposizione. Questa
chiave, in formato alfanumerico, va inserita in fase di
programmazione, in modo da essere riconosciuta da
Google, il quale provvederà a garantire l’accesso alle
proprie mappe on-line.
Lo strumento QGIS Cloud è molto semplice e consente di
ottenere sostanzialmente la pubblicazione dei propri dati
on-line (web mapping), senza mettere a disposizione
particolari funzioni.
Sulla pagina web vi sono alcuni strumenti minimali di
visualizzazione e zoom, oltre ad uno strumento di misura
(righello) e di stampa per poter esportare in pdf la mappa
visualizzata. Inoltre, cliccando sui dati territoriali
pubblicati, vengono visualizzate le loro informazioni su
una barra laterale.
5.2. ArcGis Publisher
Questo è un servizio a pagamento offerto dalla ESRI,
utilizzato nell’esempio precedente relativo alle “California
roundabouts”. La ESRI mette a disposizione spazio su un
suo server, spazio di dimensioni maggiori rispetto a quelli
offerti nei servizi cloud descritti in precedenza. Su questo
272
spazio possono essere caricati i dati territoriali che
vogliamo pubblicare. La pubblicazione avviene mediante
il software ArcReader dove i dati non sono esternamente
modificabili e dove questo servizio ESRI mantiene protetti
i dati che pubblichiamo (si può quindi modificare a proprio
piacimento la possibilità di condividere o meno i dati
pubblicati).
Un aspetto molto interessante è legato al fatto che
ArcReader consente di creare, mediante operazioni di
programmazione, degli add in ovvero specifiche
applicazioni da aggiungere alla mappa che intendiamo
pubblicare; in questo modo possono essere offerte agli
utenti diverse possibilità di interazione con la mappa a
seconda delle esigenze (particolari strumenti di
visualizzazione, editing, stampa o download…). Inoltre
questi add in vengono spesso creati e messi a
disposizione dai creatori on-line tramite vere e proprie
librerie, dove ognuno può trovare le add in che gli
interessano per il proprio progetto ed inserirle nella
propria applicazione on-line. I creatori degli add in
possono, a loro discrezione, decidere se condividere a
pagamento o gratuitamente.
0000251658240
Fig. 5 – Esempio di mappa pubblicata tramite il servizio ArcGis Publisher offerto da ESRI
La ESRI mette a disposizione una versione di demo
gratuita ma valida per 60 giorni; la versione a pagamento,
per avere un’idea delle cifre richieste, costa 2500$ per
una versione singola, utilizzabile cioè da un singolo
computer. Per versioni ad uso multiplo la ESRI si riserva
di fare diverse proposte a seconda dei casi.
Nella figura precedente è riportato un esempio di utilizzo
del sistema offerto da ESRI per la pubblicazione di
mappe e dati territoriali on-line. In questo caso sono stati
pubblicati i dati relativi al censimento degli edifici e dei
relativi numeri civici. La mappa può essere visualizzata
on-line tramite ArcReader e sono presenti alcuni add in
che consentono le seguenti operazioni: zoom, ricerca di
località, cambio di mappa di sfondo, selezione dei layer
da visualizzare sulla mappa, passaggio a schermo intero
e viceversa, strumento di localizzazione sulla mappa
tramite i dati del computer (indirizzo IP).
5.3. ArcGis API for JavaScript
Questo è un ulteriore servizio messo a disposizione da
ESRI e in questo caso gratuito. Viene condivisa una
libreria di script in formato Java, che possono essere
scaricati e riutilizzati da chi ha interesse a programmare
un servizio di web mapping. Chiunque può accedervi e
scaricare uno script che permette di creare particolari
applicazioni sulla propria mappa; basta quindi trovare
uno script che permetta di eseguire quelle particolari
funzioni che ci interessano, scaricarlo ed utilizzarlo per la
propria mappa on-line.
Come detto il servizio è gratuito, ma per utilizzare gli
script nella propria pagina web bisogna
obbligatoriamente aggiungere nella parte superiore
(header) il simbolo della ESRI; questo è “il prezzo da
pagare” per il servizio in quanto, in questo modo, la ESRI
si referenzia tramite il nostro sito e si fa pubblicità.
Si può accedere a questo servizio attraverso la pagina
https://developers.arcgis.com/en/javascript/ nella quale
si possono consultare gli esempi di script, scegliere
quello che ci interessa e scaricarlo. Nel seguito si
riportano alcuni esempi degli script messi a disposizione.
Lo script di Fig. 6 ci permette di mettere nella parte
superiore della pagina un pannello dal quale scegliere
diversi tipi di strumenti per modificare la mappa mediante
l’inserimento di linee, punti, superfici, ecc.
0000251658240
Fig. 6 – Esempio di ESRI API per JavaScript.
273
Con lo script di Fig. 7 si può inserire nella nostra mappa
on-line la possibilità di far comparire un riquadro che
contenga le informazioni dell’elemento territoriale sul
quale andiamo a cliccare con il mouse.
0000251658240
Fig. 7 – Esempio di ESRI API per JavaScript.
Di quest’ultimo script si riporta qui subito di seguito,
sempre a titolo d’esempio, anche il codice messo a
disposizione dalla ESRI da inserire in ase di
programmazione della pagina web:
<!DOCTYPE html>
<html>
<head>
<meta http-equiv="Content-Type"
content="text/html; charset=utf-8">
<!--The viewport meta tag is used to
improve the presentation and behavior of
the samples
on iOS devices-->
<meta name="viewport"
content="initial-scale=1,
maximum-scale=1,user-scalable=no">
<title>Mobile Popup</title>
<link rel="stylesheet"
href="http://js.arcgis.com/3.8/js/esri/
css/esri.css">
<style>
html, body, #mapDiv { height: 100%;
width: 100%; margin: 0; padding: 0; }
.esriScalebar{
padding: 20px 20px;
}
</style>
<script
src="http://js.arcgis.com/3.8compact/">
</script>
<script>
var map;
require([
"esri/map",
"esri/arcgis/utils",
"esri/dijit/PopupMobile",
"dojo/dom-construct",
"dojo/domReady!"
], function(
Map,
arcgisUtils,
PopupMobile,
domConstruct
) {
var popup = new PopupMobile(null,
domConstruct.create("div"));
arcgisUtils.createMap("661826
977c5948eca3c55276fa1b0960", "mapDiv",{
mapOptions: {
center: [-59.48,44.066],
zoom: 4,
infoWindow: popup
}
});
});
</script>
</head>
<body>
<div id="mapDiv"></div>
</body>
</html>
6. Creazione di apposito sito web
Si può in ogni caso procedere con una programmazione
ad hoc dell’applicazione GIS che vogliamo pubblicare sul
web. In questo caso si entra nel campo specifico della
programmazione web e servono dunque nozioni molto
approfondite di programmazione html, o php e nel caso di
animazioni anche di programmazione Java.
L’enorme mole di dati messi a disposizione gratuitamente
on-line facilita questo genere di operazioni, in quanto si
può partire da template html già esistenti e scaricabili
on-line, che possono essere personalizzati mediante
piccole modifiche attuabili mediante software quali Adobe
DreamWeaver. Anche per quanto riguarda eventuali
animazioni o strumenti da aggiungere sulle mappe, si può
far ricorso, come visto ad esempio nel caso delle ESRI
API for Javascript, a codici di programmazione Java già
pronti e condivisi, in alcuni casi anche gratuitamente,
on-line, i quali possono a loro volta essere utilizzati così
come sono o personalizzati mediante piccole modifiche
(anche per questo genere di operazioni uno dei software
più utilizzati è Adobe DreamWeaver).
Per quanto riguarda le mappe di sfondo da pubblicare
abbiamo già visto che vi sono a disposizione un gran
numero di servizi di condivisione di mappe, uno su tutti
quello di Google che ci consente di accedere alle proprie
mappe mediante un codice da aggiungere in fase di
programmazione detto API key.
274
In questi casi non si possono invece utilizzare servizi
cloud per l’accesso al web. Infatti questo tipo di servizio
mette a disposizione uno spazio molto limitato sul server,
che non può essere sufficiente nel caso in cui si vuole
pubblicare un intero sito. Bisogna quindi in questi casi
acquistare uno spazio su uno dei tanti server a
pagamento. I costi si aggirano intorno a 15-20 €/anno.
Se si decide di creare un nostro sito dove fare un servizio
di web mapping si presuppone comunque che si voglia
mettere a disposizione di una certa categoria di utenti un
servizio il più possibile innovativo e non uno al quale si
può già accedere; per questo motivo vi sarà sicuramente
la necessità di eseguire un lavoro di programmazione
Java e/o html a partire da zero e senza utilizzare risorse
provenienti dal web e già esistenti. Per fare questo
servono conoscenze molto avanzate di programmazione
per cui si deve di solito ricorrere all’ausilio di qualche
professionista del settore.
Ringraziamenti
Per il supporto offerto e la disponibilità dimostrata si ringrazia l’arch. Ilaria Tabarrani del “Servizio Pianificazione Territoriale e della Mobilità, Patrimonio, Risorse Naturali e Politiche Energetiche” e l’arch. Francesca Lazzari, Dirigente della Provincia di Lucca.
Bibliografia
Development and analysis of a GIS-based statewide freight data flow network, WSDOT RESEARCH REPORT, Washington DC 2009 WWW.PROVINCIA.LUCCA.IT WWW.ESRIITALIA.IT
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SCHEDA PROGETTO CONCA: un progetto di valorizzazione territoriale per l’intera valle del Conca
Il “Progetto Conca”, progetto attuativo del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Rimini, è la prima sperimentazione di pianificazione e progettazione partecipata attivata in Emilia Romagna ai sensi della Convenzione europea del paesaggio (Firenze 200 - art. 6).Il progetto, finanziato da Regione Emilia Romagna, Ministero dei Beni Culturali ed Enti locali con capofila la Provincia di Rimini, ha interessato il tratto della bassa e media valle del torrente Conca ricadente nei Comuni di Cattolica, Misano Adriatico, San Giovanni in Marignano, San Clemente, Morciano di Romagna, Mondaino, Montegridolfo, Montescudo, Montecolombo, Montefiore Conca, Saludecio, Gemmano. Il progetto ha valutato tutti i paesaggi attraversati dal corso d’acqua da quelli di pregio a quelli degradati e da riqualificare e ha fornito i contenuti progettuali fondamentali per l’istituzione del Paesaggio Protetto del Torrente Conca.Il Progetto Conca si è sviluppavo attraverso un processo di pianificazione integrata sul piano istituzionale, tecnico e partecipativo che ha portato ad un programma territoriale di valorizzazione paesaggistica (il progetto territoriale) dotato di un sistema di regole comuni d’intervento diffuso (le linee guida), e di un sistema di azione locale (i progetti pilota).Grazie all’impegno di tutti i soggetti convolti e al circuito virtuoso fra pianificazione territoriale, programmazione di settore, progettazione d’area vasta e implementazione locale, oggi la valle del Conca dispone di un ampio programma di azioni di progetto, fra le quali un sistema integrato di percorsi da attuare e mantenere nel tempo.
Emilia Romagna
Rimini
Valle del Conca
PROGETTO CONCA: un sistema integrato di percorsi da attuare e implementare a livello locale
RIPRISTINO AMBITO DI FOCE: Percorsi e ambiti fluviali della foce (opere realizzate nell’ambito del progetto regionale Gestione Integrata delle Zone Costiere - GIZC)
PERCORSI VERDI DELL’ENTROTERRA:Percorso naturalistico di lungo fiume (opere cofinanziate dal programma POR - FESR )
PERCORSI DEL PAESAGGIO PROTETTO DEL CONCA: Sentiero di lungo fiume (interventi di manutenzione straordinaria cofinanziati nell’ambito del programma regionale per le aree protette)
ATTUAZIONE DEL SISTEMA DEI PERCORSI PREVISTI DAL PROGETTO CONCA: La predisposizione del progetto territoriale ha permesso di mettere a sistema finanziamenti settoriali per interventi diffusi sul territorio riferiti sia a itinerari pubblici sia a itinerari “misti” che intercettano (nella media valle) anche tratti di viabilità rurale e vicinale alla quale potrà essere riconosciuto l’interesse e il pubblico passaggio ai sensi della Lr 14/2013 relativa alla rete escursionistica regionale.
GRANDE ANELLO VERDE DEL CONCA: Sistema di percorsi integrati (interventi diffusi di sistemazione, ripristino e tabellazione)
RETE ESCURSIONISTA DELL’EMILIA ROMAGNA E RETE DELLE CICLOVIE REGIONALIIl sistema principale dei percorsi previsti dal Progetto Conca è candidato a far parte della rete escursionistica regionale, a tal fine la verifica dello stato di manutenzione e percorribilità dei percorsi è affidata al CAI con apposita convenzione con particolare attenzione ai percorsi collinari prevalentemente dedicati all’escursionismo a piedi. Il percorso di lungo fiume dalla foce fino al confine regionale è invece inserito nella rete delle ciclovie regionali approvata dalla Regione
PROGETTO CONCA: particolare del sistema dei percorsi per la media valle (il Grande Anello Verde del Conca)
PROGETTI PILOTA
ATTUAZIONE DEL GRANDE ANELLO VERDE DEL CONCASi tratta di un circuito sentieristico intercomunale, che si sviluppa sul territorio della media valle, principalmente sulla rete sentieristica tabellata dal C.A.I. e che attraversa tutti i comuni coinvolti nel progetto. Il circuito connette tutti i centri storici malatestiani maggiori e minori, insieme alle aree protette, i boschi, i calanchi, i geositi e le strutture agrituristiche e ricettive, e privilegia l’attraversamento di punti e strade panoramiche e di aree a forte vocazione naturalistica. Si compone di 42 sottocircuiti di lunghezza e difficoltà variabile tra i 2 e i 10 km, tutti dotati di almeno un punto di sosta accessibile ai diversamente abili.I PROGETTI PILOTANei comuni di Gemmano e di Mondaino sono stati avviati due progetti pilota volti a individuare due percorsi “campione” sui quali sviluppare: la segnaletica tipo; la mappa escursionistica tipo; la definizione di un modello di gestione e manutenzione con il coinvolgimento della comunità locale.LE ATTIVITÀ DI PROMOZIONE TERRITORIALE COORDINATEIl GAV è il “teatro” privilegiato per lo svolgimento del festival annuale di promozione territoriale A PASSO D’UOMO (anch’esso parte del Progetto Conca) che organizza laboratori artistici, passeggiate naturalistiche e performance teatrali lungo i percorsi selezionati e manutenuti. GLI OBIETTIVI PER LA MEDIA VALLE Sono quelli di definire strumenti e metodi di intervento da estendere a tutto il territorio del GAV sulla base dei progetti pilota e di rendere i sentieri fruibili e percorribili in autonomia e in occasione delle attività di promozione territoriale.
PAESAGGI ATTRAVERSATI
PROGETTO CONCA: i progetti pilota del Grande Anello Verde
I PERCORSI PILOTAPer ciascun percorso Pilota sono state predisposte la cartellonistica, le mappe escursionistiche e la segnaletica.La cartellonistica comprende una cartello generale, da apporre al centro del paese, con riportati i percorsi comunali e la collocazione all’interno del Grande Anello Verde del Conca e il cartello di inizio del percorso da apporre nell’area di sosta che dà inizio alla passeggiata.La mappa riporta un lato uguale per tutti i percorsi del GAV con le indicazioni generali e un lato contenente la descrizione del singolo percorso con evidenziata l’anima del sentiero (la antica miniera, nel caso del percorso di Mondaino a cui si riferiscono i materiali riportati) e punti notevoli.La segnaletica comprende sia la segnatura del percorso, coordinata con i simboli CAI, da attuare con l’ausilio di dime facilmente riproducibili secondo il manuale d’uso, sia la collocazione delle targhette coi codici qrcode per chi desidera avere più informazioni.La gestione è prevista con l’individuazione di una Associazione Custode deputata alla manutenzione del percorso e della segnaletica e alla organizzazione di visite guidate.I percorsi pilota, insieme al percorso principale di lungo fiume, sono teatro delle camminate naturalistiche e sceniche che si svolgono durante il Festival annuale A passo d’uomo.
La cartellonistica
Le mappe
PROGETTO CONCA: il festival A passo d’uomo
Il G.A.V. è teatro delle escursioni e delle attività organizzate del Festival A passo d'uomo. Il progetto “A PASSO D'UOMO. Sentieri naturali e culturali in Valconca.” promuove attività di formazione, di ricerca e di rappresentazione dei linguaggi contemporanei sviluppate nella natura. Il programma delle attività sviluppa produzioni artistiche site-specific, tra arte e natura, in Valconca attraverso laboratori di conoscenza diretta degli ambienti naturali e culturali del territorio finalizzati alla progettazione e alla messa in scena di opere originali prodotte e suggerite dai paesaggi del luogo. I prodotti dei laboratori vengono messi in scena durante cammini che propongono agli spettatori la scoperta dei paesaggi e dei prodotti artistici. Nato nel 2012 grazie all’Unione Valconca (capofila) e alla Provincia di Rimini, al Dipartimento della Gioventù – Presidenza del Consiglio dei Ministri e all’Anci – Associazione Nazionale Comuni Italiani, il progetto ‘A passo d’uomo’ prosegue oggi grazie all’istituzione dell’APS Associazione di Promozione Sociale A passo d’uomo che propone di sviluppare il progetto in continuità alla prima edizione (www.apassoduomo.org).Nei mesi che precedono il festival vengono organizzati i laboratori artistici e culturali (teatro, danza, fotografia, video, scenografia,...) e numerose passeggiate e sopralluoghi per definire gli allestimenti del festival che di norma si svolge su tre giornate nel mese di settembre. Con i sopralluoghi vengono selezionati i percorsi più adatti alle attività e vengono predisposte le opere di manutenzione e di allestimento dei ristori. Ogni passeggiata tematica è condotta da guide esperte del territorio e al termine del cammino una merenda viene offerta ai viandanti da aziende e agriturismi locali dove è possibile anche soggiornare nei giorni del festival per poter frequentare tutti gli eventi. Fra questi in particolare le passeggiate tematiche (sceniche o naturalistiche), le cene/convivio e gli eventi /spettacoli.