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San Giovanni nel deserto, Tanzio da Varallo, 1629 circa. Tulsa, Oklahoma, The Philbrook Museum of Art. Seconda domenica Is 49,3.5-6; Sal 39[40]; ICor 1,1-3; Gv 1,29-34 ECCO L'AGNELLO DI DIO La prima domenica del tempo ordinario è la festa del Battesimo del Signore, celebrata la domenica dopo l'Epifania e considerata ancora parte del tempo di Natale: pienezza adulta della «manifestazione» di Cristo al mondo inaugurata quando, guidati da una stella, i magi vennero per adorarlo bambino. Tra l'uno e l'altro evento vi è però un evidente sviluppo, perché nel battesimo non una stella ma la voce del Padre rivela Gesù, chiamandolo «mio Figlio prediletto». Oggi, facendo seguito a tale processo di riconoscimento divino, il vangelo riporta la prima testimonianza umana sull'identità di Gesù, quella di Giovanni che l'aveva appena battezzato e che ora lo indica con le parole: «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,29). Anche l'odierna prima lettura serve a rendere nota l'identità del salvatore: è tratta dalla stessa parte del libro d'Isaia come l'analoga lettura nella festa del Battesimo del Signore, e parla ancora di

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Page 1: donorazio.b-cdn.net · Web view«Non pensate che io sia venuto per abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17), insiste, rafforzando

San Giovanni nel deserto, Tanzio da Varallo,

1629 circa. Tulsa, Oklahoma, The Philbrook Museum of Art.

Seconda domenicaIs 49,3.5-6; Sal 39[40]; ICor 1,1-3; Gv 1,29-34

ECCO L'AGNELLO DI DIO

La prima domenica del tempo ordinario è la festa del Battesimo del Signore, celebrata la domenica dopo l'Epifania e considerata ancora parte del tempo di Natale: pienezza adulta della «manifestazione» di Cristo al mondo inaugurata quando, guidati da una stella, i magi vennero per adorarlo bambino. Tra l'uno e l'altro evento vi è però un evidente sviluppo, perché nel battesimo non una stella ma la voce del Padre rivela Gesù, chiamandolo «mio Figlio prediletto».

Oggi, facendo seguito a tale processo di riconoscimento divino, il vangelo riporta la prima testimonianza umana sull'identità di Gesù, quella di Giovanni che l'aveva appena battezzato e che ora lo indica con le parole: «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,29). Anche l'odierna prima lettura serve a rendere nota l'identità del salvatore: è tratta dalla stessa parte del libro d'Isaia come l'analoga lettura nella festa del Battesimo del Signore, e parla ancora di un «servo» in cui Jahvè intende manifestare la sua gloria, rendendolo «luce delle nazioni» per portare la salvezza «fino all'estremità della terra» (Is 49,3.6). La seconda lettura chiarisce infine lo scopo di tale purificazione ed illuminazione — del «togliere i peccati» e dell'essere «luce delle nazioni» cioè —, augurando grazia e pace «a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo» (1Cor 1,2-3).

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Così all'inizio del percorso liturgico annuale la Chiesa ci indica subito la meta: liberazione dai peccati, luce e salvezza universali, santificazione collettiva. O, meglio, attraverso Giovanni il Battista ci indica Cristo, meta personale di ogni nostro percorso, e fa capire con quali mezzi egli opera. Come la figura del Precursore nel dipinto riprodotto qui, la Chiesa brandisce la croce e mostra l'animale del sacrificio ma nel contempo guarda oltre, al di là dell'immolazione e della morte, verso la gloria del suo Signore risorto. Giovanni nell'odierno brano evangelico insiste infatti su questa gloria, ricordando che «l'agnello» è «colui del quale io dissi: "Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me"» (Gv 1,30), e testimoniando: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: "L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo"» (Gv 1,32-33).

Quando dice che Gesù gli è passato avanti «perché era prima di me», Giovanni Battista allude all'eternità del Verbo presso il Padre di cui già il prologo del quarto vangelo fa menzione; e quando, parlando da profeta, dice che Gesù è il vero battezzatore che lava non solo il corpo ma l'anima, non con un lavacro qualsiasi ma con lo Spirito di Dio che posa su di lui, allude alla missione di purificazione universale affidata dall'Altissimo al suo Cristo, cioè al Messia. Dal momento però che il quarto vangelo non descrive il battesimo di Gesù, offrendo solo l'affermazione del Precursore: «Sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele», Cristo appare soprattutto nel ruolo di «purificatore», «battezzatore nello Spirito Santo» — non colui che viene lavato, ma che lava gli altri. Così all'inizio del cammino che, a partire dalla terza domenica, fa ripercorrere gli eventi e gli insegnamenti del ministero del Signore secondo il vangelo di Matteo, questo brano giovanneo getta una luce anticipata sul personaggio che emergerà dal testo matteano. Prima ancora d'incominciare la lectio continua, sappiamo cioè che Gesù è «prima» di Giovanni; che purifica l'anima umana in modo definitivo; e che su di lui posa lo Spirito Santo di Dio.

Questo brano evangelico all'inizio del tempo ordinario ha anche una funzione mistagogica. Le parole chiave, «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo», sono quelle pronunciate durante la messa, quando il celebrante mostra l'ostia consacrata ai fedeli prima della comunione sacramentale. Rammentare la fonte neotestamentaria di questa frase è come invitare chi l'ascolterà moltevolte durante l'anno a situare ciò che rischia di diventare una «formula liturgica» nel suo contesto di senso originario. Giovanni diceva «agnello» perché quest'animale — il cui sangue sparso era servito alla pasqua di liberazione dall'Egitto — prefigura il sangue

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sparso di Cristo. Citare la frase mentre nel pane si mostra il corpo di Cristo immolato per salvarci è come insistere sull'efficacia salvifica del sacrificio di Gesù sul Golgotha e nella stessa messa. Quanto meno insiste sulla concretezza di questo sacrificio in cui, al posto del corpo di un animale; viene offerto il corpo del Figlio di Dio. Anche l'enfasi data dal pittore Tanzio da Varallo alla corporeità. del Battista, nell'opera qui illustrata, sembra intesa a sottolineare il rapporto tra «sacrificio» e «corpo umano», ed è utile ricordare che la frase dell'odierno salmo riguardante l'offerta a Dio della propria persona al posto di un animale — «Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto» (Sal 39[40],7) — nel Nuovo Testamento viene citata nell'antica traduzione greca: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato» (Eb 10,5). Così all'inizio dell'anno, nel contesto della messa, la Chiesa ci insegna non solo a collegare «l'agnello» biblico con Cristo che si è offerto sulla croce ed è presente nell'eucaristia, ma ad adorarlo nella sua parola come l'adoriamo nel sacramento — ambedue infatti fonti di vita eterna.

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Vocazione dei primi apostoli, Marco Basaiti, 1490 circa. Venezia, Gallerie

dell'Accademia.

Terza domenica del tempo ordinario A

Is 8,23b-9,3; Sal 21271; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23

E DISSE LORO: «SEGUITEMI»Oggi ha inizio la lettura semicontinua del vangelo secondo Matteo, che enfatizza il radicamento di Cristo nelle tradizioni del popolo eletto ma anche l'universalità della salvezza che egli è venuto ad offrire. Il brano evangelico narra infatti come dopo l'arresto di Giovanni il Battista Gesù si fosse trasferito «a Cafarnao, presso il mare, nel territorio di Zabulon e Neftali» — in una zona di confine cioè, aperta ad altre culture —, spiegando però che l'aveva fatto «perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: "Il paese di Zabulon e il paese di Neftali sulla via del mare, al di là del Giordano, Galilea delle genti; il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata"» (Mt 4,12-16; Is 9,1). Va subito notato che questa citazione isaiana, oggi riportata anche nella prima lettura, rimanda alla messa della notte di Natale dove (fuorché l'allusione introduttiva a Zabulon e Neftali) l'accento era sempre posto sul «popolo che camminava nelle tenebre» su cui «una luce rifulse». Vengono così connesse la nascita del salvatore e l'inaugurazione del suo ministero, l'una e l'altra intrise di luce: la stella che guidò al bambino e l'insegnamento che guiderà a Dio.

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È dunque in un luogo che Isaia chiama «il territorio dei Gentili» (Is 8,23b), che Gesù, «avendo saputo che Giovanni era stato arrestato» (Mt 4,12), cominciò a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Si tratta di un «cambio della guardia» in cui, venuto meno il Precursore, colui che il Battista era stato mandato ad annunziare, Cristo, imbocca la «via del mare, oltre il Giordano», dando così senso concreto all'apostrofe che Isaia rivolge all'Altissimo: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (Is 9,2). A differenza di Giovanni, poi, Cristo crea subito un gruppo di seguaci per «aumentare» e «moltiplicare» l'efficacia del suo messaggio, una comunità di discepoli la cui chiamata è raccontata nell'odierno vangelo. Così il suo invito alla conversione e l'asserto di un regno imminente s'incarnano nella parola rivolta ad alcuni pescatori di quella terra di confine: «Seguitemi».

il momento raffigurato nell'opera qui riprodotta, una splendida pala d'altare di Marco Basaiti raffigurante Cristo che chiama i primi discepoli. Come racconta il vangelo: «Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone chiamato Pietro e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: «"Seguitemi, vi farò pescatori di uomini". Ed essi, subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono» (Mt 4,18-22).

«Lo seguirono». Nel dipinto come nel vangelo, l'assoluta autorevolezza di Cristo che chiama, nonché la risposta solerte di Giacomo e Giovanni che obbediscono «subito», ricordano l'affermazione di Giovanni il Battista a proposito di Gesù nel vangelo di domenica scorsa: «Ho visto lo Spirito Santo scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui» (Gv 1,32). Infatti l'unica spiegazione per l'attrazione trasfigurante che il Signore esercitava sulle persone è che, almeno intuitivamente, «vedevano» lo Spirito di Dio in lui; nel dipinto del Basaiti poi, alla destra e sinistra di Cristo stanno Pietro e Andrea che hanno anch'essi accolto l'invito a seguirlo ed ora, insieme a lui, ricevono i nuovi arrivati: si tratta quindi di una presenza dello Spirito diffusiva, che crea intorno a Gesù una comunità, il primo nucleo della Chiesa. È questo il vero inizio del ministero pubblico: è stato solo dopo la chiamata dei primi discepoli, infatti, che «Gesù andava per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando la buona novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23). L'insegnamento, la predicazione, le guarigioni, benché personali — attribuibili cioè solo a Cristo —, tuttavia coinvolgevano altri, una comunità di fratelli che avevano lasciato tutto per seguire quest'uomo su cui lo Spirito del Signore si era posato.

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La pala del Basaiti fu eseguita per un altare della scomparsa chiesa di una comunità monastica, la certosa di Sant'Andrea a Venezia, e l'aura di profonda calma in cui si svolge la scena, nonché lo sguardo affascinato che Giacomo e Giovanni rivolgono a Cristo, infatti, evocano la sequela di Cristo nella vita contemplativa. La certosa si trovava su una piccola isola nella laguna veneziana, e così anche l'ambientazione lacustre e l'inconsueto primo piano con l'attracco delle barche servivano ad attualizzare l'evento; in maniera analoga, la trasformazione di un mestiere terreno — quello del pescatore — nell'attività celeste di «pescatori di uomini», vista in rapporto al pane che sotto questa pala diventava corpo di Cristo, suggeriva l'azione trasformatrice dello Spirito nella vita dei monaci.

Così, ancora all'inizio dell'anno, la Chiesa invita i fedeli a rispondere alla chiamata di Cristo e a seguirlo perché in lui opera lo Spirito Santo. Inoltre la Chiesa insegna che, come dei meri pescatori potevano diventare «pescatori di uomini», così ogni attività autenticamente umana è chiamata (insieme a chi la pratica) a servire il regno di Dio che «è vicino».

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Presentazione di Cristo al tempio, Stefan Lochner, 1447 circa. Darmstadt, Hessisches Landesmuseum.

2 febbraio, Presentazione del Signore

M13,1-4; Sal 23[24]; Eb 2,14-18;Lc 2,22-40

LUCE PER ILLUMINARE LE GENTI

Sin dal VI-VII secolo la Chiesa celebra questa festa quaranta giorni dopo Natale, a chiusura definitiva di un «tempo natalizio» prolungato in senso affettivo per includere la «presentazione» di Gesù a Dio: il momento in cui, obbedendo alla legge mosaica, Maria (come ogni donna ebraica) doveva portare il nato maschio al tempio per offrirlo all'Altissimo. Tale offerta avveniva contestualmente alla purificazione rituale della donna dal sangue del parto, come suggerisce l'introduzione dell'odierna pericope evangelica: «Quando venne il tempo della purificazione secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella legge del Signore: "Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore"; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la legge del Signore» (Lc 2,22-24).

Ora il «tempo della purificazione» delle madri veniva trentatré giorni dopo la circoncisione del figlio, e coinvolgeva sempre il sangue: la donna era purificata dal proprio flusso sanguino al momento del parto, ma fluiva anche il sangue di animali sacrificali — di un agnello e di un colombo o di due tortore — offerti in olocausto per espiare il peccato della donna (Lv 12,4-8). Nella vicenda di Gesù perciò, questo evento, insieme alla circoncisione,

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realizza il senso dell'affermazione paolina secondo cui il salvatore era «nato da donna, nato sotto la legge» (Gal 4,4): lo spargimento del primo sangue nella circoncisione corrisponde alla «legge», mentre qui la purificazione della madre riguarda la nascita di Cristo da una «donna».

L'opera riprodotta qui, un delizioso dipinto di Stefan Lochner, descrive il rito precisamente in questi termini, ambientando l'arrivo della madre davanti a un altare recante un rilievo che raffigura Mosè con le tavole di pietra, così che ambedue le parti di Galati 4,4 sono illustrate e vediamo il Figlio di Dio letteralmente «nato da donna, nato sotto la legge». Maria porge due tortore, l'opzione della gente troppo povera per poter offrire un agnello, e il bambino è tra le braccia di un personaggio parato da sacerdote, che lo tiene sull'altare davanti al rilievo allusivo alla legge. Questo personaggio è quell'«uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele» menzionato nel vangelo, Simeone, cui lo Spirito Santo aveva promesso che non sarebbe morto senza vedere il Messia del Signore (Lc 2,25-26). Mosso dallo Spirito, era andato al Tempio mentre Maria e Giuseppe vi entravano col bambino e, presolo tra le braccia, s'era rivolto a Dio dichiarando: «Ora [...] i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,30-32). Nel cielo sopra l'altare vediamo infatti Dio Padre che benedice ed emana luce, mentre bambini e donne con ceri accesi suggeriscono l'illuminazione data alle «genti».

Il tema della luce, così centrale nella liturgia natalizia, oggi infatti riemerge dominante: il nome popolare di questa festa, Candelora, si riferisce alla tradizionale processione con candele che introduce la celebrazione — processione a cui Stefan Lochner allude nel dipinto, dipingendo bambini ed adulti che accompagnano Maria e Giuseppe con dei ceri accesi. Le tante fiammelle intorno al bambino Gesù ricordano poi la profezia dell'odierna prima lettura, secondo cui la venuta di Dio sarebbe come un fuoco purificatore. Dice Malachia: «Subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; l'angelo dell'alleanza che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un'oblazione secondo giustizia» (M13,1-3).

Il Dio atteso come un «fuoco del fonditore» è venuto invece come bambino, e così all'artista bastano le fiamme di candele per evocare l'antica promessa. Ma lo scopo della sua venuta, la purificazione del popolo eletto, rimane, e nel dipinto - come nel Nuovo Testamento - essa viene anticipata nella purificazione della madre in obbedienza

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alla legge. La purificazione vera e definitiva avverrá tuttavia solo quando, adulto, Gesù entrerà nel tempio celeste, inaugurando per i credenti una nuova via attraverso il velo nella propria carne (cfr. Eb 10,19-20): essa presuppone cioè l'offerta del figlio di Maria non in maniera rituale, sostituibile con tortore o colombi, ma sulla croce. Le letture dell'odierna festa in effetti obbligano a collegare l'offerta rituale del bambino e la purificazione della madre con la futura morte del salvatore: Simeone dice che Gesù «è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori», e informa Maria che «anche a te una spada trafiggerà l'anima» (Lc 2,3435). Nello stesso spirito, la seconda lettura parla dell'umana mortalità assunta dal Figlio di Dio nell'incarnazione come finalizzata a «ridurre all'impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo», e insiste che «proprio per essere stato messo alla prova ed aver sofferto personalmente» Cristo «è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2, 14.18).

È questa infatti la salvezza vista da Simeone, la «luce per illuminare le genti» di cui parla e per cui anche la profetessa Anna si mette a lodare Dio: Cristo morto e risorto che, dal tempio del cielo, purifica non solo i figli di Levi ma tutti i popoli del mondo.

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San Matteo e l'angelo, particolare, Giovan Girolamo Savoldo, 1530 circa.New York, Metropolitan Museum of Art.

Quinta domenica

Is 58,7-10; Sal 111[112]; 1Cor 2,1-5; Mt 5,13-16

VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO

I1 vangelo di questa quinta domenica tira le conclusioni delle beatitudini proclamate domenica scorsa, affermando che coloro che vivono nel modo descritto da Cristo sono «sale della terra» e «luce del mondo» (Mt 5,13-14). Essere cioè poveri in spirito, afflitti, miti, assetati di giustizia, misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace, perseguitati, insultati e calunniati per la causa di Cristo darebbe sapore all'esperienza terrena ed illuminerebbe il mondo]. In termini umani, poi, l'improbabilità di questo asserto rispecchia lo stile d'insegnamento usato dagli apostoli e che san Paolo spiega ai Corinzi nella seconda lettura, ricordando che «quando venni tra voi, non mi presentai ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2,1-2) — vale a dire di non avere altra «buona novella» se non il paradosso della croce che sfocia in gloria. Nel contempo, l'asserto evangelico di un beneficio recato alla «terra» e al «mondo» dalla sofferenza dei credenti espande un filone teologico veterotestamentario ricordato nella prima lettura dove, a chi avrà spezzato il pane con l'affamato e introdotto in casa i miseri, Dio

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promette: «Allora la tua luce sorgerà come l'aurora... brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua oscurità sal-à come il meriggio» (Is 58, 7-8.10).

Così, poche settimane dopo Natale, si torna all'immagine della luce, ma ciò che nella notte della nascita di Cristo era una luce esterna — vista dal «popolo che camminava nelle tenebre», e che rifulse su «coloro che abitavano in terra tenebrosa» (Is 9,1) —, oggi viene presentata come luce interna, anzi consustanziale: «Voi siete la luce del mondo... risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,14.16). Significa che Cristo, «luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), diventa realtà interiore della vita dei suoi discepoli, come afferma san Paolo dicendo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). A loro volta i discepoli hanno l'obbligo di illuminare altri — «il mondo» — con la luminosità delle loro azioni: «Non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,14-16).

Proprio questi sono i messaggi del dipinto qui riprodotto, un capolavoro di Girolamo Savoldo raffigurante l'evangelista Matteo che stende la «buona novella» di Gesù Cristo. La scena notturna è ambientata in un interno buio, ma la fiammella di una piccola lucerna sul tavolo in primo piano getta tanta luce su Matteo che egli stesso diventa la fonte luminosa principale dell'immagine; nemmeno il focarello nella stanza attigua (in secondo piano a destra) è altrettanto luminoso e le persone raggruppate intorno ad esso infatti rimangono al buio. Matteo è assistito dall'angelo che la tradizione iconografica gli assegna come simbolo, e tra l'evangelista e il messo celeste vi è un rapporto di straordinaria intesa; Matteo si gira per cercare il volto dell'ispiratore soprannaturale, e questi si china con evidente amore sull'uomo che scrive.

Il chiarore che Matteo irradia, e lo sguardo che lo unisce all'angelo sono in effetti manifestazioni di un'unica realtà, e mentre percepiamo l'evangelista come «luce» riconosciamo che la sua luce è costituita dall'amore. Ma se la luce in Matteo è Cristo, così anche l'amore, perché — come afferma un testo giovanneo — «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è stato lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10). Ecco, «Dio... ha amato noi e ha mandato suo Figlio»: nel dipinto Matteo ha scritto appena tre righe del suo vangelo, e perciò l'ispirazione che gli viene dall'angelo serve precisamente a narrare l'inizio della vicenda di Cristo: come, amandoci, Dio abbia mandato suo Figlio nel mondo. Se l'evangelista parlasse, userebbe forse le parole che il prefazio di Natale rivolge al

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Padre: «Nel mistero del Verbo incarnato è apparso alla nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all'amore delle realtà invisibili». Luce, amore e rapimento spirituale in effetti sono i temi del dipinto, e — anche se la terminologia «Verbo incarnato» è giovannea, non matteana — l'immagine fa vedere un evangelista nell'atto di scrivere parole relative alla genealogia umana del Figlio di Dio.

O per dirla diversamente: la luce, l'amore e il rapimento visibili nel dipinto suggeriscono i premi promessi da Cristo ai poveri di spirito, agli afflitti, ai miti e puri di cuore nel discorso della montagna: possedere il regno dei cieli, ereditare la terra, vedere Dio e trovare misericordia, sazietà, consolazione e grande ricompensa, essendo chiamati infine figli di Dio (cfr. Mt 5,3-12).

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Cristo ammonisce un uomo e una donna riguardo al divorzio, Attavante degli Attavanti, inizio XVI secolo. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana corale 4, fol. 138

Sesta domenica dell’anno ordinario A

Sir 15,15-20; Sal 118[119]; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37

NON SONO VENUTO PER ABOLIRE, MA PER DARE COMPIMENTO

II discorso della montagna presenta Gesù nella veste di legislatore, invitando al confronto con Mosè e col codice ebraico che l'odierno vangelo sviluppa in modo sistematico. Si tratta della continuazione del discorso stesso, ed è chiaro che nel momento in cui il Signore assume i ruoli mosaici di legislatore e liberatore vuole anche definire il rapporto del nuovo statuto da lui istituito con la precedente tradizione. «Non pensate che io sia venuto per abolire la Legge e i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17), insiste, rafforzando questo asserto con ben tre sottolineature: non passerà uno iota o segno della Legge senza che tutto sia compiuto; chi trasgredisce o insegna ad altri a farlo sarà considerato minimo nel regno dei cieli; e chi invece osserva la Legge sarà considerato grande (Mt 5,18-19). È un esordio, questo, in linea con quell'amore per la Legge tipico dell'ebreo osservante che la prima lettura e il salmo ci ricordano: «Se vuoi, osserverai i comandamenti; l'essere fedele dipenderà dal tuo ben volere» (Sir 15,15); «Beato l'uomo di integra condotta, che cammina nella legge del Signore; beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con tutto il cuore» (Sal 11811191,1-2).

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Ma il Signore chiede qualcosa di più ai suoi discepoli, affermando che «se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5, 20) e offrendo alcuni esempi d'osservanza non letterale ma spirituale. Con una formula tipica del vangelo di Matteo, «Avete inteso... ma io vi dico», Cristo insiste su un'integrità assoluta sia nei rapporti fraterni e tra marito e moglie, nonché nel rapporto con la verità e perfino col proprio corpo, suggerendo così il contenuto morale dell'affermazione della seconda lettura: «Noi parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria» (1Cor 2,7). In Israele, infatti, l'obbedienza al senso spirituale dei comandamenti era ritenuta la forma più alta di «sapienza», e a ragione il salmista chiede al Signore: «Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge e la custodisca fino alla fine» (Sal 118[119],34).

L'immagine qui riprodotta, una miniatura fiorentina del primo XVI secolo, visualizza uno degli esempi di osservanza spirituale della Legge che Gesù offre: «Fu pure detto: "Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio"; ma io vi dico: chiunque ripudia la moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio» (Mt 5,31-32). La miniatura evoca la soluzione cristiana a simili situazioni, situando la figura di Cristo fra la donna e l'uomo non più giovanissimi, su uno sfondo di particolare bellezza naturale, un paesaggio variegato con alberi, monti e un grande lago. L'artista cioè evoca il libro della Genesi e situa il rapporto tra l'uomo e la donna all'inizio della creazione, facendone una questione di lex naturalis - dell'ordine della stessa natura e della natura umana. Cristo benedice la donna, a cui sta fisicamente più vicino, mentre sembra ammonire l'uomo; il suo insegnamento era infatti, almeno originalmente, una difesa dei diritti della donna. Per questo, l'artista include qui un particolare sorprendente: la donna tiene nella mano destra l'orlo del manto di Cristo; un'allusione al miracolo dell'emorroissa, in cui la fede coraggiosa della donna sofferente le aveva ottenuto una guarigione profonda (cfr. Mt 9,18-22).

Questa miniatura, che traduce in termini visivi l'ingiunzione agli sposi cristiani di essere «sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (Ef 5,21), presenta Cristo come legislatore ma anche come figura ideale del marito e modello di condotta, secondo il parallelismo suggerito nella lettera agli Efesini: «Le mogli siano sottomesse al marito come al Signore [...] e voi mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,22-25); la nuova legge istituita dal Figlio di Dio è infatti una lex amoris. Nello stesso passo di Efesini poi viene ricordata la frase della Genesi che riguarda il rapporto tra marito e moglie — «per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla

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sua donna e i due formeranno una carne sola» —, ma l'autore situa l'adesione dell'uomo alla donna all'interno del rapporto tra Cristo e la comunità, affermando che «questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5,31-32).Ecco dunque un esempio della «sapienza» di cui parla Paolo, la quale «non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla» (1 Cor 2,6). Paolo afferma poi che chi è forte solo in termini materiali non possiede la sapienza spirituale: «Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d'uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano» (1Cor 2,8-9). Collegando questi concetti all'odierno vangelo, possiamo dire che la giustizia umana, per andare oltre un vuoto legalismo, deve attingere al mistero rivelato nella croce del salvatore; e che i nostri rapporti (tra cui quello matrimoniale) hanno bisogno di colui che, crocifisso, è «potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,24). Come l'uomo e la donna nella miniatura fiorentina, dobbiamo chiedere a Cristo, presente tra noi, di guarire le nostre divisioni ed insegnarci ad amare.

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San Giovanni Gualberto mostra il crocifisso all'uccisore del fratello, Marco Palmezzano primi anni del XVI secolo. Forlì San Mercuriale.

Settima domenica del TEMPO ORDINARIO A

Lv 19,1-2.17-18; Sal 102[1031; 1Cor 3,16-23; Mt 5,38-48

AMATE I VOSTRI NEMICI

Proseguendo nell'articolazione della nuova ed esigente lex amoris, Gesù oggi penetra nel cuore stesso dei rapporti interpersonali, sconvolgendo due presupposti basilari del legalismo antico. «Avete inteso che fu detto: "Occhio per occhio e dente per dente"; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra...»; e «Avete inteso che fu detto: "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico"; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Mt 5,3839.43-44). Il Signore motiva poi questi comandamenti umanamente impossibili con l'invito, ripetuto due volte, di assumere l'atteggiamento di Dio: «Siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti», e «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,45.48), collegandosi così alla legge mosaica, dove l'Altissimo introduceva il divieto di odiare il fratello o serbare rancore contro il connazionale con l'ordine: «Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo» (Lv 19,2). Alle domande che sorgono poi spontanee in chiunque ascolti simili parole — come superare l'odio? come amare

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i nemici? —, la seconda lettura risponde, chiedendo ai cristiani: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?... Santo è il tempio di Dio, che siete voi» (1Cor 3,16.17b). La stessa lettura contrappone categoricamente la logica umana al modo di agire divino: «Se qualcuno tra voi si crede sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza, davanti a Dio» (1Cor 3,18-19).

Questi temi hanno suggerito l'iconografia della pala d'altare riprodotta qui, San Giovanni Gualberto mostra il crocifisso all'uccisore del fratello, un'opera di Marco Palmezzano databile ai primi anni del XVI secolo. Al centro dell'immagine l'artista colloca un crocifisso posto sopra un piedistallo poligonale con decorazioni a grottesche e davanti ad una nicchia addobbata con un drappo d'onore. Insiste sull'impatto emotivo del legno, giustapponendo le forme planari e la venatura naturale della croce alle elaborate modanature classicheggianti, ai marmi mischi policromi e alle dorature dello sfondo architettonico. In maniera analoga, giustappone la luminosa nudità della figura di Cristo all'armatura d'acciaio scuro indossata dai due cavalieri: san Giovanni Gualberto, in piedi, e l'uomo inginocchiato a cui mostra il crocifisso. Il gesto di mostrare il crocifisso è poi profondamente significativo, perché il personaggio in ginocchio è l'uccisore del fratello di Giovanni Gualberto; Giovanni stava per ucciderlo per vendicare l'onore della famiglia, quando — riconoscendo nell'elsa della propria spada la forma della croce —, si convertì e perdonò il nemico — anzi, gli mostrò Cristo, cercando di convertire pure l'assassino.

A questo gruppo «narrativo», costituito dal santo col nemico perdonato davanti al crocifisso, Palmezzano aggiunge un'altra figura: santa Maria Maddalena col vaso d'unguento nella mano destra e un libro nella sinistra. Totalmente estranea all'episodio del perdono dell'uccisore del fratello, la Maddalena dà un carattere iconico all'immagine, che grazie a lei si dilata per diventare, oltre ad «istoria», anche «sacra conversazione», con santi di epoche diverse uniti intorno al centro a-temporale, Cristo. La Maddalena ha l'importante funzione, suggerita dallo sguardo aperto e sereno che rivolge allo spettatore, di enunciare il tema di fondo di questa pala: il perdono che Cristo con la sua morte in croce ha ottenuto per i peccatori e che i cristiani a loro volta sono tenuti ad offrire a chiunque li offenda.

La Maddalena, infatti, è una figura del perdono collegata alla passione di Cristo. La Scrittura la identifica con la donna liberata da Cristo da sette demoni e venuta a piangere all'ingresso della tomba la mattina di Pasqua (Gv 20,1; 20,11-18), nonché con quella che, prima della passione, aveva versato un vaso d'olio prezioso sul capo

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del Signore, anticipando la sua sepoltura (Mt 26,6-13; Mc 14,3-9; Gv 12,1-8). La tradizione l'ha poi identificata anche nella peccatrice menzionata nel vangelo, che bagnò i piedi del Signore con le sue lacrime, asciugandoli con i cappelli sciolti in segno di penitenza, a cui Cristo disse: «Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato» (Lc 7,36-50). Maria di Magdala è inoltre nominata tra le pie donne presenti ai piedi della croce sul Calvario (Mt 27,55-56; Mc 15,40; Gv 19,25), e di nuovo la mattina di Pasqua (Mt 28,1; Mc 16,1; Gv 20,1).Posta di fronte al santo che perdona l'uccisore del proprio fratello nel dipinto del Palmezzano, la Maddalena esplicita un rapporto teologico di fondamentale importanza: quello tra la passione di Cristo, il perdono che Dio offre al peccatore e il perdono che a sua volta il singolo credente è tenuto ad offrire ai nemici. Trattandosi poi di una pala d'altare, e quindi di un messaggio visivo inteso per comunicazione durante la messa, dobbiamo «completare» la composizione di Marco Palmezzano, immaginando l'elevazione prima dell'ostia e poi del calice davanti al crocifisso sul piedistallo al centro del dipinto, e l'impressione così creata di una communio basata sul perdono. Infatti, nel discorso della montagna, Gesù ricorda a chi crede in lui: «Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).