don giuseppe tosi nel ricordo di allievi, collaboratori, familiari e amici a trent'anni dalla...

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Collegio Universitario “Don Nicola Mazza” Padova - Roma - Verona Signori, vi ho consegnato il mio cuore: rendetemi il vostro Don Giuseppe tosi nel ricordo di allievi, collaboratori, familiari e amici a trent’anni dalla morte 18 aprile 1975 - 18 aprile 2005 a cura di Serena Guariento

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Page 1: Don Giuseppe Tosi nel ricordo di allievi, collaboratori, familiari e amici a trent'anni dalla morte

Collegio Universitario “Don Nicola Mazza”Padova - Roma - Verona

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18 aprile 1975 - 18 aprile 2005

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Page 2: Don Giuseppe Tosi nel ricordo di allievi, collaboratori, familiari e amici a trent'anni dalla morte

© Casa Editrice Mazziana, Verona 2007Prima edizione: aprile 2007

Stampato nel mese di aprile 2007dalla CROMA, Dossobuono di Villafranca (Verona)

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Presentazione FRANCESCO MASSAGRANDE

Direttore generale del Collegio Universitario “Don Nicola Mazza”

Don Tosi, chi era costui?

Gli allievi delle Residenze di Padova del Collegio universitario donNicola Mazza conoscono il nome perché a don Tosi è intitolatala Residenza maschile e, al suo interno, la sala don Tosi è luogo

di frequenti appuntamenti formativi e culturali.Ma gli allievi di Verona e di Roma questo nome lo sentono rara-

mente. Eppure il Collegio è frutto della sua opera e della sua lungimi-ranza. La Residenza che gli è dedicata, Costagrande e l’attività diBressanone, il riconoscimento come Ente morale e la sua appartenen-za alla Conferenza dei Collegi legalmente riconosciuti nonché le dueResidenze di Verona sono frutto della sua azione e preveggenza, chehanno portato in seguito anche alle due sedi più recenti a Padova e aRoma.

Il Collegio di oggi è per diversi aspetti molto simile e molto diversoda quello voluto e realizzato da don Tosi. Lo spirito è lo stesso, le moda-lità molto differenti, come diverso è il mondo di sessant’anni fa rispettoa quello di oggi. Permangono come caratteristiche del Collegio nel suc-cedersi dei Direttori la centralità della persona dello studente, la pas-sione educativa della istituzione e delle persone che vi lavorano, il fortecoinvolgimento degli studenti.

Il 1968 segna il passaggio tra gli anni della fondazione e del primoampliamento e gli anni del consolidamento. Il 1968 può essere consi-derato il simbolo d’un stagione che si chiude e di un’altra che si apre.Questo accade anche per la figura di don Tosi. In quegli anni, ricchi difermenti e di contraddizioni, le esigenze della istituzione e le domandedel mondo giovanile hanno trovato un delicato e fecondo equilibrio

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educativo ed istituzionale nell’adozione di forme di partecipazione allagestione del Collegio che hanno superato – grazie all’intelligente eprovvidenziale fermezza del presidente Fornalé – la prova del tempo:gli studenti esprimono le loro istanze nell’assemblea e nelle commis-sioni, con voto universale esprimono due rappresentanti in Consiglio diAmministrazione con durata biennale e decidono, insieme con laDirezione, l’ammissione e la conferma degli allievi.

Il quaderno è frutto delle interviste di allievi di oggi ad allievi e col-laboratori di ieri che hanno conosciuto don Tosi: lo consegno a tutti glistudenti delle cinque Residenze del Collegio, come invito a conoscere

e riconoscere la figura e l’opera di chi ha iniziato il Collegio. Ilricordo di don G. Tosi non vuol essere una sia pur doverosaconcessione alla nostalgia, ma un atto di conoscenza e rico-noscenza per il fondatore del Collegio e un appello rivolto aicontinuatori ed allievi a rimanere nel contesto storico di oggi

creativamente fedeli al carisma degli inizi.

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AA GGiiaannnnii VVaallbbuussaa

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9Ricordi di familiari e collaboratori, sostenitori ed amici, masoprattutto ricordi di studenti mazziani: così ho voluto suddivide-re le varie testimonianze e le interviste che allievi e collaboratori

di oggi hanno sottoposto ad allievi e collaboratori di ieri. All’interno dei capitoli ho poi cercato di creare un filo conduttore

che potesse aiutare ad orientare anche il Lettore meno informato sullavita di don Giuseppe Tosi: un filo cronologico in cui si alternanomomenti lirici, drammatici o a tratti addirittura comici.

Ho voluto aggiungere anche un tocco visivo, richiedendo in parti-colare al signor Giancarlo Tosi, ai signori Bruno Guariento e Daniela, eal dott. Luciano Concheri, che ringrazio, alcune foto inedite che li ritrag-gono in compagnia del Nostro o di altri collaboratori, familiari, sosteni-tori1 .

Avverto i bravi “intervistatori” e i disponibilissimi “intervistati” che inalcuni casi ho rimaneggiato e risistemato i loro preziosi contributi, adat-tando le frasi o modificando l’ordine dei pensieri espressi dagli intervi-stati, solo nell’intento di rendere più chiari al Lettore i concetti espres-si, senza ovviamente mai stravolgere i contenuti.

Ho cercato altresì di mantenere lo stile delle varie “parlate”, per darepiù peso all’immediatezza della “risposta in diretta” al pensiero in via dicostruzione mentre veniva espresso e al carattere di chi lo ha formula-to, piuttosto che forzare e costringere i pensieri espressi in rigide rego-le grammaticali con cui il tutto sarebbe suonato ricostruito e quindi nonveritiero.

Introduzione SERENA GUARIENTO

Dottoranda in Scienze pedagogiche, dell’educazione e della formazione

1 Le foto messe gentilmente a disposizione si trovano in questo ordine all’internodel Quaderno: Giancarlo Tosi: foto 1, 2, 3, 4, 5, 15. Bruno Guariento: foto 6, 7, 8, 9,10, 11, 12, 16. Luciano Concheri: foto 13, 14.

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Le interviste ci mostrano vere e proprie immagini di don GiuseppeTosi, che toccano diversi punti di vista sul suo modo di essere: imma-gini che ho voluto esprimere sinteticamente e a volte un po’ giocosa-mente attraverso un titolo per ogni contributo.

Stili diversi e immagini diverse per raccontare un sacerdote che hasaputo portar avanti l’idea di don Nicola Mazza e lo spirito del Collegiocon la sua proverbiale forza dal carattere sanguigno. Inoltre mentre rac-coglievo le interviste e preparavo il testo per la serata in memoria didon Giuseppe Tosi prima e per questo quaderno poi, mi è sembratodoveroso riprendere in mano gli scritti di questo sacerdote per legger-

li e rileggerli. Sono scritti che, se a tratti ad una prima impres-sione possono apparire datati e figli del tempo in cui furonopensati, spesso invece hanno richiamato la mia attenzione dauna parte per l’acume dimostrato nello scandagliare il cuoreturbato di molti studenti, alla ricerca impietosa del punto

dolente, e dall’altra per l’affetto dimostrato in quest’analisi psicologicache soltanto alla fine dona tutto il sostegno possibile. Non dimentichia-mo poi la ben nota sollecitudine e l’ansia nel richiamare ai principi maz-ziani tanto a lui cari.

Ho ritrovato diversi collegamenti tra alcuni brani di don Tosi e i ricor-di di chi l’ha conosciuto: ho voluto mettere quindi in evidenza quella chemi sembra la coerenza tra scrittore e uomo di tutti i giorni, riportando inmaniera non forzata frasi estrapolate dai suoi scritti all’inizio di ogni inter-vento. L’asterisco collega il brano di don Tosi con il ricordo dell’intervi-stato. Mi è sembrato un modo per ricordarlo degnamente, senza falsaretorica né parole che a volte rischiano di lasciare il tempo che trovano,riportare ogni testimonianza alla fonte, cioè a quella che è stata la veravita e il vero pensiero dell’uomo, espresso dai suoi stessi scritti. Unmodo anche per chi non l’ha conosciuto direttamente di dare un’oc-chiata veloce ai suoi numerosi scritti, per lo più “circonferenze” ed “enci-cliche”, come gli allievi definivano scherzosamente i suoi discorsi tenutiin assemblea generale. Un mio omaggio personale ad un sacerdote cheper forza di cose non ho conosciuto, ma il cui spirito si respira ancoranel Collegio don Mazza, spirito che come spero non andrà perduto neltempo, se ci sarà sempre qualcuno a tramandarne la memoria storicacon iniziative di questo tipo.

Ho avuto l’impressione allora che i contributi così copiosamentegiunti in questa occasione fossero un modo per rispondere a quell’ac-corato appello di don Tosi, nascosto tra le pagine dell’enciclica del1964:

“ Signori, vi ho consegnato il mio cuore: rendetemi il vostro”.

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I ricordi dei familiari

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Rivide la madre che un giorno si recò dalla maestra per vederecome andavano a scuola i due figli più piccoli Guerrino eBeppino, che erano agli ultimi mesi della quinta elementare.

La maestra, una vecchia signorina rimasta zitella e tutta dedita aisuoi scolari, le disse:

”Vede signora, Guerrino è un ragazzino sveglio ed intelligente, pec-cato non abbia molta voglia di studiare… Giuseppe, invece, oltre adessere adatto allo studio, è di una intelligenza rara, intuisce le coseancora prima che io le spieghi. Secondo me, e ve lo raccomando, que-sto bambino deve proseguire gli studi perché, quando sarà laureato,riuscirà ad essere una persona importante”.

La mamma dei due gemelli la ringraziò commossa e tornò a casanon vedendo l’ora che tornasse il marito per raccontarglielo.

Quando Angelo rincasò gli raccontò dell’incontro con la maestra egli disse quello che gli aveva detto circa Beppino, tacendo, per pauradi lavate di capo, il giudizio che aveva dato sulla condotta di Guerrino.“Vedi Amelia, - commentò Angelo - Son tanto contento de quel che teme ghe’ dito, ma, benedetta dal Signor, ti e la maestra, come faremocon quel misero stipendio che gò? Fasemo fadiga a mangiar, dove vutoche trovemo i soldi per farlo studiar?”

“Beh! - esclamò Amelia, - in qualche maniera faremo, la provviden-sa la nè aiuterà”.

Il giorno dopo, Angelo era al ristorante dove lavorava: con il tempoera passato da aiuto a primo cuoco di uno dei più noti ristoranti delcentro di Verona e precisamente al “Vittorio Emanuele” ora “TreCorone” in piazza Bra, di fronte all’Arena.

Il ristorante era frequentato da persone molto influenti.Quel giorno, come quasi tutti i giorni, verso le 12,30 durante la

Dal racconto EEll ssiioo pprreetteedi Giancarlo Tosi

MATTIA TOSATO

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pausa di lavoro, venne per il pranzo l’avvocato Valente, uno dei miglio-ri penalisti di quel tempo: nonostante fosse una persona importante,era molto alla buona e gli piaceva la buona tavola.

Nutriva una speciale simpatia per Angelo e lo reputava un grandecuoco, in quanto le sue pietanze erano tradizionali della Val d’Illasi,caserecce come piacevano a lui.

“Angelo! - lo chiamò. Il capo cuoco uscì dalla cucina e rispose: -Buongiorno Avvocato, sa mangelo oggi?”.

“Siediti con me dieci minuti a fare quattro chiacchiere, poi pensere-mo al desinare”, gli rispose il Penalista, e continuò: “Come va a casa?Tua moglie ed i bambini come stanno?”.

“Stanno tutti bene grazie” gli rispose Angelo e poi, tutto d’un fiato,gli raccontò del giudizio che aveva dato di Beppino la maestra, poisconsolato gli disse che non sapeva come fare per mantenerlo aglistudi.

L’Avvocato Valente gonfiò il petto già possente e sbuffando gli disse:“Adesso ti racconto la mia storia: cosa credi, che io sia nato ricco? Nocaro, ero il quarto di dieci fratelli e mio padre faceva il fabbro, sai dove?A Cogollo, sì, proprio nel paese dopo il tuo… Figurati se poteva man-tenermi negli studi”.

“E allora come ha fatto a diventare Avvocato?” chiese Angelo mera-vigliato.

“Una fortunata coincidenza: mio padre conobbe un prete il quale gli

14“Beppino” con i fratelli maschi: dasinistra Guerrino il gemello, Antonio(Toni) il maggiore, Santo (con lapipa) il dirigente del Don Mazza aS. Carlo Verona.

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aveva commissionato una lampada di ferro battuto per un Collegio diVerona e, proprio come stai facendo tu ora, gli raccontò del suo figlio-lo tanto bravo a scuola, ma che lui non poteva mantenere agli studi.Quel prete gli raccontò di far parte della commissione di un Collegioche alloggiava ed aiutava negli studi giovani meritevoli ma bisognosicon famiglie non in grado di mantenerli.

Il fondatore di questo Istituto era stato un certo don Mazza, un san-t’uomo che viveva in povertà e che gestiva il Collegio con l’aiuto eco-nomico degli studenti più abbienti e dagli ex allievi diventati personeimportanti. Così mio padre mi accompagnò a Verona, una commissio-ne di preti presieduta dal Superiore mi esaminò per saggiare la miaintelligenza, fui ammesso ed eccomi qua! Senza quell’Istituto non sareiquello che sono”.

L’Avvocato continuò: “Se vuoi, caro Angelo, posso scrivere una let-tera di presentazione al Superiore del Collegio per il tuo figliolo!”.

“Ne sarei ben contento ed onorato, signor Avvocato”, risposeAngelo.

Allora il principe del foro prese la capiente borsa in pelle che avevasotto il tavolo, l’aprì e ne trasse un foglio bianco, rimise la borsa perterra e dal taschino della giacca sfilò la

splendida penna stilografica, levò il cappuccio e con il prezioso pennino d’oro, cominciò a scrivere:“Esimio Superiore dell’Istituto Don Nicola Mazza,

Don Tosi con il fratello Antonio e lozio di Giancarlo (il fratello dellamadre), a Costagrande

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Le presento il Signor Angelo...”Poi si fermò e guardandolo, gli chiese: “ Qual è il tuo cognome?”Angelo rispose concitato: “Tosi, signor Avvocato”.Questi continuò con la lettera, la firmò, aspettò qualche istante per lasciare asciugare l’inchiostro della stilografica, lo mise in una busta, la consegnò ad Angelo e disse:“Va al più presto con tuo figlio al Collegio che si trova nel quartiere

di Santo Stefano, chiedi del Superiore e consegna solo a Lui, personal-mente, questa lettera”.

Angelo, emozionato, lo ringraziò e l’Avvocato gli disse: “Non voglionessun ringraziamento, va piuttosto in cucina e portami letagliatelle in brodo. Per secondo cotechino con la pearà che,oltre a piacermi tanto, mi ricorda i nostri luoghi circondatidalle belle montagne con i verdi pascoli”.

Appena ritornò a casa, Angelo fece vedere la lettera allamoglie ed al figlio. Amelia tutta emozionata esclamò: “Eto visto Angelo?L’avea dito che ghe pensava la Provvidenza”.

Il pomeriggio del giorno seguente, chiesto il permesso al suo dato-re di lavoro, prese per mano Beppino e si incamminò verso l’Istituto. Ladifferenza tra il padre ed il figlio spiccava in modo quasi comico: unogrande e grosso con enormi baffoni, l’altro piccolo e magrolino con l’a-ria malaticcia, ma con due grandi occhi che sprizzavano intelligenza egrande forza di volontà.

Arrivati al Collegio, suonò il campanello, il portiere aprì la porta echiese all’uomo cosa desiderasse; Angelo gli spiegò che doveva parla-re con il Superiore a proposito del figlio che aveva appresso. L’uscieregli disse di attendere in portineria e poco dopo ritornò dicendogli cheerano attesi nell’ufficio in fondo al cortile…”

Tratto dallo scritto El sio prete

di Giancarlo Tosi

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17GGTT:: intervista2 a GGiiaannccaarrlloo TToossii, figlio del fratello piùgrande di don Tosi.GGBB:: Intervista a GGiioorrggiioo BBoocccchhiinn, figlio di una sorella di don Tosi.

Lei ha compiuto gli studi al Collegio Don Mazza?

GT: No, non ho studiato al Collegio. Ho frequentato le scuole com-merciali, poi con un integrazione ho preso il titolo di ragioniere. Anchese mio zio aveva insistito molto perché continuassi gli studi…

GB: No, non ho studiato al Collegio.

Don Tosi ha dato anima e corpo al Collegio, ma com’erano i suoi rap-porti con i fratelli? In quali occasioni tornava in famiglia?

GT: Pur donandosi al Collegio, don Tosi non ha mai trascurato i fami-liari ed appena poteva cercava sempre di tornare in famiglia, ancheperché i rapporti con i fratelli erano buonissimi.

Certamente i suoi incarichi non gli permettevano molte uscite con ifamiliari, e se volevi parlargli dovevi aspettare molto perché c’era sem-pre moltissima gente davanti alla porta del suo studio:

sia gente importante, sia gente comune. Forse anche per questo non è riuscito a battezzare il mio primo

figlio: perché troppo oberato dal lavoro. Comunque mi ha sposato e,quando non era più superiore, ha battezzato il mio secondo figlio.

El sio prete: interviste ai nipoti

MATTIA TOSATO

2 Ho scelto di fondere le due interviste di Mattia Tosato, in origine distinte, in undocumento unico, per mettere a confronto le risonanze diverse che le stesse doman-de hanno provocato nei due nipoti (nota del curatore).

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Inoltre c’è da dire che in un primo tempo era una sorella che orga-nizzava gli incontri familiari, poi invece fu lui che invitava tutti a rincon-trarsi qualche volta a Tregnago, o più spesso nella residenza diCostagrande: ricordo ancora quando era solo una piccola casetta etutto doveva essere costruito.

GB: Sono stato sposato da mio zio ma soprattutto gli sono statomolto vicino, spinto dai principi che incarnava e sapeva esprimere.

Era un uomo che ha precorso i tempi: da piccolo ricordo di averlovisto arrivare in casa di mia madre con molti musulmani e stranieri perla maggior parte studenti, che avevano bisogno d’aiuto.

Oltre a questo era un uomo che sapeva risolvere intelli-gentemente e nell’amore reciproco le questioni di famiglia.

Ricorda qualche aneddoto significativo, che ci può far capiremeglio il suo rapporto con suo zio?

GB: Avevo undici anni e noi scout ci ritrovavamo spesso aCostagrande. Egli mi vide e mi corse incontro per salutarmi e per darmiuna mancia che rifiutai, perché essendo una persona che faceva delbene a me bastava il suo esempio. Questo per dire quanto amoreaveva per il Collegio e per i ragazzi.

Le ha mai raccontato come ha avuto la sua vocazione?

GT: Non fu proprio lui a raccontarmi della sua vocazione, ma miopadre.

Egli mi disse che lo zio confidò questa sua intenzione alla nonna,anche perché mio nonno, che lavorava come cuoco a Verona, non eramolto contento di questa sua scelta. D’altronde in famiglia tra i suoisette figli solo mio padre lavorava.

GB: Ero troppo piccolo… Ricordo solo che non fu una sceltaimprovvisa come capita a molti, ma maturata con l’età.

Ma si ricorda quando ha avuto la sua vocazione?

GT: Dunque vediamo… Ha frequentato le scuole elementari, poi lescuole medie nel Collegio di Verona, il San Carlo, quindi il liceo, credoil Maffei, e subito dopo ha sentito la vocazione ed è entrato in semina-rio. Dopo ciò è rientrato in Collegio per svolgere il compito assegnato-gli dal Superiore: accogliere i reduci della guerra allievi del Collegio etrovar loro un lavoro se avevano finito gli studi, oppure far loro ripren-dere gli studi se non li avevano completati. Poi si occupò della fonda-zione del Collegio di Padova già iniziato da don Mazza nell’Ottocento.

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Riuscirebbe in pochi aggettivi a descrivere suo zio?

GT: Egli era prorompente, deciso, generoso, altruista, schietto, pro-fondamente buono.

Pur trattando con persone importanti, egli trattava le persone inmodo uguale. Usava le sue conoscenze non per fini personali, ma pergli studenti che avevano bisogno di un lavoro, per sistemarli.

GB: Era un uomo bonaccione, capace di capire i giovani, di inter-pretare i loro bisogni, forse anche un po’ burbero ed autoritario, maautorevole. Sentiva molto il don Mazza e seguiva il suo pensiero: è statauna grande sofferenza per lui quando, allontanato dalCollegio, è stato chiamato a servizio a Desenzano e nella ret-toria di San Lorenzo.

Cosa significa per lei essere il nipote di don Tosi?

GT: Per me è un grande onore, una responsabilità, è una figura chetengo nel cuore; egli mi ha insegnato ad essere generoso ed altruista.Era comunque una persona che si sapeva distinguere, semplice, a cuipiaceva scherzare ma anche senza peli sulla lingua.

Ricordo anche che scherzava molto in famiglia. Certamente da gio-vane era più una seccatura stare in famiglia, anche perché era unafamiglia tradizionalista, ma in seguito quando lui divenne rettore di SanLorenzo (ndg la chiesetta di San Lorenzo è una chiesetta lungo corsoCavour a Verona) lo andai a trovare molto spesso, forse anche per lavicinanza. Tuttavia non sono mai riuscito a capire perché si allontanò

Don Tosi celebra il matrimonio delnipote Giancarlo, nel 1968

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dal Collegio don Mazza: se fu una sua scelta o fu dettata dalla realtàstorica… D’altronde erano gli anni dei movimenti studenteschi …

GB: Sono orgoglioso, molto orgoglioso di essere suo nipote: perquello che rappresenta, per quello che ha sopportato, per come ha aiu-tato la nostra famiglia, per lo splendido rapporto che ho instaurato conquest’uomo che ha saputo creare quasi dal nulla un’istituzione cheancora oggi permette ai giovani poveri ma bravi di costruirsi un futuro.

Dal racconto EEll ssiioo pprreettee di Giancarlo Tosi

Era una di quelle domeniche in cui i fratelli si eranoriuniti con le rispettive famiglie a casa della sorellaMaria; don Bepi però non c’era.

In realtà mancava da Verona già da molto: oltre ad essere di stanzaa Padova, dove era il Direttore del nuovo Collegio universitario, la suavita era sempre più frenetica, i suoi impegni sempre più pressanti.

Naturalmente, a pranzo, il principale argomento della conversazionedei fratelli era lui; anche Guerrino, il fratello gemello di Giuseppe, che eramolto timido e schivo e solitamente stava solo ad ascoltare, ebbe qualco-sa da raccontare: “ Domenica scorsa, ho ciapà el treno e son andà aPadova per vedar come l’è Bepi ”, i fratelli lo guardano incuriositi e lui con-tinuò: “ Son stà ricevudo dopo due ore di anticamera, perché prima de mìgh’era altra gente che gavea da parlarghe; gh’era un Vescovo e anca unCardinal! Quando el m’à visto quasi el se meteva a piansar. A quel puntogò dito: “Bepi, a Verona , a casa nostra non te se vede più!”

Lu el m’ha risposto: ”Caro Guerrino, la me vita l’à preso ‘stà piega…A parte che son el Direttore de sto Collegio, gò da andar in continua-zion a Roma in cerca de finanziamenti per el novo Collegio. Me sonimpegnà con le banche con grossi prestiti e speremo che riva i scheidal Governo, senò va finir che vò in galera!”.

Ma scusa, cosa ghe guadagnito ti? A quel che vedo te ghe sempre lastessa tonega e la me par sempre più slisa!”. - Allora lu el m’ha guardàcoi oci fora dalla testa ed el m’ha risposto: “Guarda che ho fato el votode povertà: quel che fasso l’è solo per el ben dei Collegi de Don Mazza,sia de Verona che de Padova.” - Dito questo, basandome sulle guance, elm’à saludà ed el m’à accompagnà fora dalo studio. Naturalmente nelcorridoio gh’era sà diversa gente che aspetava el so turno ”.

I fratelli avevano ascoltato in silenzio il racconto. Dopo una breve

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21pausa, prese la parola Santo, il fratello che lavorava a Torino come diri-gente di un’industria. Anch’egli andava di rado a Verona e, anche senon era più giovanissimo, non si era ancora sposato; si diceva che eraun dongiovanni e si sussurrava che in quel periodo frequentasse unragazza dell’alta borghesia.

Ai fratelli con fare solenne esclamò: “ Cari miei, dovemo far un sacri-ficio. Propongo de far ‘na colletta tra noialtri fradei e sorele e comprarla stoffa par confezionar ‘na nova tonega per el nostro Bepi!”.

Salta fuori la Maria: “ Mi soldi non ghe nò, ma dato che faso la sarta,podarò farghela mi!”. Poi, quasi parlando tra sé, continuò: “Certo cheghe vorrà diversi metri de stofa, ultimamente el sa ingrassà tanto…”.

Detto questo, tutti accettarono: Maria doveva calcolare i metri distoffa necessari e la spesa sarebbe stata divisa tra i fratelli. Quindi lasorella maggiore si sarebbe messa al lavoro. Restava però un proble-ma: bisognava prendergli le misure che negli ultimi anni, come Mariaaveva constatato, erano diventate quasi imponenti. Qualcuno disse chequesto improvviso ingrassamento era dovuto ai numerosi pranzi a cuipartecipava per mantenere le relazioni sociali; altri attribuivano la colpaalle “disfunzioni ghiandolari “ delle quali soffriva fin da giovanissimo.

Santo trovò la soluzione al problema: siccome era in ferie e potevarestare a Verona per qualche giorno, si offrì di accompagnare a Padovacon la sua macchina, una Fiat Topolino, Maria, affinché prendesse lemisure al fratello…”

Per gentile concessione dell’autore3

Don Tosi con i familiari

3 Mentre scriviamo, giunge la gradita notizia che lo scritto è stato accettato dallaCasa Editrice Bonaccorso di Verona, e che verrà pubblicato con il titolo El sio prete.Don Giuseppe Tosi raccontato da un nipote.

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I ricordi dei collaboratori

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Don Tosi con la prof.ssa Cecilia Perversi e don Romeo Camponogara

Prima parte

Interviste realizzate da collaboratori di oggi

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Oggi si può anche sorridere al ricordo di quegli inizi umili e violenti, pensando a quel carretto di carbone che il Magnifico

Rettore di allora, prof. Ferrabino, ci inviava d’urgenza, saputo che 25 studenti, pressoché intirizziti, non sapevano più cosa fare fra le

mura umide e gelide del vecchio palazzo degli Oddi.

Don Tosi, relazione alla manifestazione inaugurale del XIV Anno Accademico, novembre 1962*

Un mago della comunicazione dall’anima di commerciante

intervista a Luciano Concheri, segretariodi Francesco Gaspari

Gli inizi del Collegio di Padova.

Subito dopo la guerra don Tosi aveva cominciato a celebrare lamessa grande a Santa Anastasia a Verona dove vi era anche un centroculturale; attraverso questi incontri culturali che lo portavano a incon-trare molti giovani e riprendendo i contatti con alcuni ex allievi, era natoin lui il desiderio di riprendere l’esperienza del Collegio di viaOgnissanti a Padova, interrotta dopo il 1848.

Per realizzare questo sogno, incoraggiato e sostenuto dal Superioredon Emilio Crestani e da Mons. Pietro Albrigi, don Tosi coinvolse diret-tamente quattro ex allievi (Adami, Brunelli, Cordioli e Tomezzoli), i quali,rispondendo personalmente, fondarono la società “Pietas et Scientia”che acquistò il palazzo dei conti Arrigoni degli Oddi in via Umberto 10a Padova e lo mise a disposizione per farne la sede del Collegio*.

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La società “Pietas et Scientia” era emanazione dell’Istituto San Carlodi Verona: solo in un secondo momento don Tosi, attraverso la sua retedi conoscenze anche a livello politico, soprattutto grazie all’onorevoleGuido Gonella, Ministro dell’Istruzione, riuscì a creare un nuovo enteuniversitario legalmente riconosciuto dal Ministero.

Come si giunse in Via Savonarola?

In prima istanza pareva che la sede del nuovo Collegio potesseessere in Prato della Valle nella grande caserma che si trova sul lato a

fianco di Santa Giustina. Ma poi la Regione Veneto si opposee richiese l’immobile per trasferirvi il comando regionale delleForze Armate. La scelta cadde dunque sull’immobile di viaSavonarola: la Caserma San Marco, già sede del settimo reg-gimento alpini, distrutta dai bombardamenti.

Ma non era finita, in quanto subito dopo a don Tosi si presentò ilproblema della ristrutturazione del grande complesso di San Marco checomprendeva la chiesa, l’edificio storico e tutto il terreno retrostante. Laproprietà demaniale venne divisa in due parti: una metà venne asse-gnata al Ministero dei beni culturali e divenne la sede del Collegio; ilterreno retrostante venne assegnato al Demanio militare che vi costruìalloggi per i dipendenti civili dello stato e per i militari.

Alla fine del 1953 don Tosi firmò la convenzione in base alla qualeil Ministero concedeva in uso gratuito all’Istituto Don Mazza di Verona,per realizzare un Collegio universitario, il complesso San Marco, peruna durata di 29 anni, e in seguito, in forza della Legge 1073 del 1962,in uso perpetuo e gratuito. Il 29 ottobre del 1954 il Collegio universi-tario Don Nicola Mazza veniva eretto in Ente di Cultura e Assistenzasotto la vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione.

Nel frattempo veniva predisposto il progetto di ristrutturazione del-l’immobile da parte della Soprintendenza ai Monumenti di Venezia. Laparte interna, l’attuale edificio A, fu ristrutturata a cura dellaSovrintendenza, l’edificio storico fu invece ricostruito con i finanzia-menti del Genio Civile. Gli studenti si trasferirono in questo edificio nelluglio del 1955, occupando l’immobile un po’ alla volta, e mano amano che i piani erano pronti. L’8 aprile del 1958 si tenne l’inaugura-zione ufficiale del Collegio alla presenza del Ministro della PubblicaIstruzione Luigi Gui4 e del patriarca di Venezia cardinale Urbani. IlMinistro dei Lavori Pubblici che aveva dato l’ultima trance di finanzia-menti per il completamento dell’edificio centrale, facendosi spiegare da

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4 Cfr. intervista all’on. Gui in questo testo (nota del curatore).

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don Tosi che veniva realizzato un Collegio a favore di studenti poveri,che avrebbero potuto frequentare l’università, scherzando disse: «Benecaro monsignore, sappia che assegno questo finanziamento non tantoperché sono religioso, infatti non sono praticante, ma per il semplicefatto che ho tanti figli e forse almeno uno di loro potrà studiare da lei».

Quanti erano gli studenti all’inizio, all’avvio del Collegio?

Nell’anno accademico 1954/55 gli allievi erano 182, 87 interni e95 esterni. Nel 1955/56 furono 214. Nel 1956/57 invece gli allievifurono 256.

Qual era la provenienza geografica degli studenti che arriva-vano nei primi anni?

La stragrande maggioranza degli studenti proveniva dal Veneto, e inparticolare affluivano a Padova tutti gli studenti dell’istituto San Carlo diVerona che proseguivano negli studi universitari. Successivamente donTosi, grazie ai contatti che intratteneva con i vescovi del triveneto, ini-ziò subito a diffondere le informazioni sul Collegio per farvi approdareun numero sempre maggiore di studenti anche provenienti da lontano.

Fin dall’inizio degli anni ’50, presentati da padri missionari combo-niani ex allievi dell’Istituto di Verona, arrivarono alcuni studenti eritrei,etiopi e sudamericani. Furono i primi studenti di colore a frequentarel’Università di Padova.

Essendo il numero degli studenti già alto, nonostante i contributi stata-li, si impose subito per don Tosi il problema di come finanziare il Collegio.Egli era riuscito a creare un senso di grande responsabilità tra gli allievi,tanto che vi era un impegno da parte di tutti quelli che si laureavano, acontribuire in maniera molto più sostanziosa di quello che è l’attuale con-tributo post lauream al mantenimento di uno studente il Collegio: quindise una persona era rimasta 5 anni in Collegio si impegnava a dare un con-tributo per un numero uguale di anni sufficiente per far studiare un altroallievo. Questi contributi non erano sanciti da un contratto vero e proprio,ma come affermava don Tosi, erano “liberamente obbligatori”.

Nei primi anni di vita del Collegio, c’era il concorso come lo conoscia-mo noi, o le cose erano diverse?

Il concorso c’è sempre stato ed è sempre stato come il Collegiocontinua a realizzarlo, anche se in realtà per alcuni aspetti pratici si èmodificato via via negli anni.

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Dal 1949 si tenne regolarmente il concorso e don Tosi provvedevaa coinvolgere singoli docenti universitari tra i quali ricordiamo ad esem-pio il prof. Gola, a cui è intitolata la nostra Biblioteca, oppure il prof.Trabucchi, giurista di fama internazionale. Anche a quei tempi esistevaquindi il concorso così come lo conosciamo, ma anche la revisione:ogni anno il curriculum degli studenti veniva visto da docenti universi-tari e chi non era in regola finiva esterno. Una curiosità: tra i documen-ti che venivano richiesti in quei tempi vi era obbligatoriamente una let-tera di presentazione del parroco e il certificato di battesimo.

Com’erano i contributi retta degli studenti?

Le rette venivano fissate come oggi in base a quelle cheerano le possibilità economiche familiari. Voglio ricordare aquesto proposito il caso particolare di un ex allievo veronese:

quando don Tosi chiese al padre che era venuto a chiedere ospitalitàin Collegio per il figlio in che misura potesse contribuire economica-mente, il padre rispose che non aveva soldi e che faticava a mantene-re la famiglia. Don Tosi gli disse che avrebbe dato al Collegio quello cheera nelle sue possibilità: quel padre infatti partiva due volte l’anno daun paesino sul lago di Garda in bicicletta con due sporte ai lati delmanubrio e delle bottiglie di olio, prodotto da lui, per portarle allamensa del Collegio. Era tutto quello che poteva dare al Collegio.

Per esercitare una specie di verifica del reale stato economico dellefamiglie, don Tosi cercava di far visita, soprattutto durante i mesi estivi,a tutte le famiglie degli studenti. Era un modo per essere vicino agli stu-denti, ma era anche un modo indiretto e scaltro di verificare con i pro-pri occhi la reale situazione economica delle famiglie.

Che servizi offriva il Collegio agli studenti nei primi anni di apertura?

C’era la colazione servita in mensa, il pranzo e la cena e poi le puli-zie con il cambio delle lenzuola. All’inizio i servizi erano gestiti dallesuore5: una suora responsabile della cucina, una della lavanderia e unadelle pulizie.

Successivamente, nel 1958, quando venne riconosciuta la congre-gazione delle Suore di Don Mazza, le suore furono ritirate e i servizipassarono tutti in mano all’amministrazione del Collegio che li gestivaattraverso i propri dipendenti: Giuseppe Ruin, responsabile della

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5 Cfr. interviste corrispondenti in questo testo (nota del curatore).

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mensa, Marcella Tregnaghi responsabile guardaroba e Luigi Giovedì,responsabile della manutenzione dei vari ambienti [cfr. interviste corri-spondenti in questo testo].

La mensa all’inizio, durante i primi lavori di ricostruzione, era nell’at-tuale sacrestia poi trasferita nell’ interrato sotto l’attuale sala da pranzo:i cibi salivano con un montacarichi e gli studenti, distinti fra interni edesterni, venivano serviti al tavolo da camerieri. Si mangiava tutti insiemenello stesso momento, anche perché tutti gli studenti ci tenevano adessere puntuali in quanto la pasta del Collegio, famosa in tutta Padovasoprattutto per la quantità estremamente abbondante, finiva sempreabbastanza presto e gli spaghetti e i maccheroni avevano “leali”: finché il cameriere consegnava i piatti, dai tavoli vicini qual-cuno sottraeva dal carrello qualche piatto in più.

Come si comportava don Tosi con il personale del Collegio,nello specifico con Luciano Concheri e Angelo Dal Magro, segretario eamministratore, nelle decisioni e nella divisione di incarichi?

Don Tosi era uno che sapeva delegare e lasciava fare: la mattinacelebrava la messa, poi faceva colazione nel suo studio annesso allacamera e subito dopo riceveva Concheri e Dal Magro, i quali lo infor-mavano dei lavori che stavano svolgendo e ricevevano da lui alcuniincarichi da svolgere in giornata o nei giorni successivi. Certo l’orario dilavoro non era bene definito, in quanto non terminava venerdì comeora, ma proseguiva anche il sabato e molto spesso la domenica perchébisognava accompagnare don Tosi a Verona o in qualche altro posto incui lui si recava in visita ufficiale.

Se tu dovessi riassumere quello che è stato don Tosi per il Collegio equello che è riuscito a fare cosa diresti?

Una delle grandi caratteristiche di don Tosi era la sua abilità nell’in-trattenere i contatti con le persone: bastava che incontrasse, in qualcheoccasione, personalità, imprenditori o politici, a livello nazionale oregionale, e lui sapeva trovare il modo per farseli amici e interessati allevicende del Collegio. Per questo possiamo dire che don Tosi era unmago della comunicazione e delle relazioni interpersonali: infatti era luiche si occupava di tutti i rapporti che il Collegio intratteneva con l’e-sterno, soprattutto con le autorità civili e religiose.

Tutto quello che si vede ora a Padova e a Verona è opera sua, aparte la residenza di Roma e la residenza di Padova femminile. Tuttoporta la sua impronta.

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Aveva delle idee grandiose, era un uomo che sapeva pensare ingrande e che aveva ricevuto dalla propria famiglia anche uno spirito dacommerciante: quindi era anche un uomo che sapeva fare veri e pro-pri affari.

Era un uomo dal cuore grande con una grandissima devozione perla Madonna; pur essendo preso da moltissimi impegni e, in certi perio-di, anche da tantissimi problemi, non ha mai tralasciato la celebrazionegiornaliera della Santa Messa, la recita del Breviario e del Rosario. Ognivolta che si recava a Roma andava a fare una piccola visita alla Chiesadel Divino Amore.

Don Tosi aveva dentro sé un grande rimorso, avendo a chefare quotidianamente con persone dotte, istruite e potenti:non si era mai perdonato il fatto di non essersi laureato.

Egli, essendo sempre a contatto con studenti universitari,poteva colpire anche per il suo modo di parlare, che era abba-

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A. Dal Magro con B. Guariento nel cortile del Collegio

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stanza goliardico. (Ovviamente rispetto a quello degli studenti di oggipotremmo definirlo oggi un “parlare da educanda”…)

Un altro aneddoto caratteristico è che nel corso dell’anno facevaquelle che lui chiamava le assemblee generali: in realtà erano dei dis-corsi attraverso i quali comunicava con gli studenti. Anche questeassemblee che si svolgevano in teatro erano ovviamente “liberamenteobbligatorie”: si segnava il nome degli studenti che partecipavano chia-mandoli uno ad uno; agli assenti forniva il testo scritto del discorso enei giorni a seguire provvedeva ad “interrogarli” per essere sicuro cheavessero letto il suo discorso.

Gli studenti dei primi anni protestavano per le rette o peril fatto che i servizi non fossero fatti come loro richiedevano?

No, gli studenti non hanno mai protestato, né si lamentava-no di ciò che ricevevano in Collegio, perché in molti casi eramolto di più di quanto le loro famiglie di origine avrebbero potuto dareloro.

Don Tosi già dal 1966 aveva lasciato la direzione del Collegio, per-ché per la scomparsa di mons. Albrigi era diventato Superiore della PiaSocietà di Don Mazza. Le prime contestazioni, anche alla Direzione delCollegio, sono cominciate con l’inizio degli anni ’70, contestualmentealle proteste studentesche del ’68.

Don Tosi aveva un grande affetto per gli studenti, e li seguiva comefosse un padre, difatti poi era richiestissimo per celebrare i matrimonidi gran parte degli studenti che erano passati in Collegio.

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Quante volte vorrei essere come Cristo che sa con divina percezionecosa ci sia nell’uomo, cosa c’è in ognuno di voi,

sicché la comprensione possa essere piena e inequivocabile, l’interpretazione sicura, la compassione adeguata,

la commiserazione senza debolezza, la misericordia infinita. […]La mia brama è questa […] : conoscervi!

Per aiutarvi, per comprendervi, per guidarvi, per amarvi.

Don Tosi, colloquio, Pasqua 1964

Il Battagliero e il Bacanòn

Intervista a suor Raffaella, suor Maria, suor Agostina, prime collaboratricidi Marco Mazza

SUOR RAFFAELLA, 92 anni: Sono stata collaboratrice per 3 anni, nei primi anni di vita del

Collegio, ancora prima della costruzione degli edifici: noi suore erava-mo alloggiate nelle case sotto i portici di via dei Savonarola, mentre iragazzi erano in via S. Marco. C’erano ancora pochi ragazzi e alcuniinservienti. Don Tosi per me era un prete veramente appassionato peri giovani, come fu Don Mazza, il nostro fondatore, in particolare per ipiù poveri e i più intelligenti: dava loro i mezzi e con questi la fiduciaperché potessero riuscire negli studi più alti. Li amava intensamente,l’ho constatato di persona. Era però molto esigente per la loro forma-zione. Quando un giovane si trovava nel bisogno, non badava a spesee sacrifici.

Ricordo che spesso quando c’era un ragazzo ricoverato per un inci-dente, Don Tosi veniva in cucina e mandava ogni giorno un inservien-te a portargli una porzione di pastasciutta e una bistecca in ospedale,perché mangiasse più volentieri e si rimettesse prima. Era inoltre pretedi preghiera, dinamico in tutti gli interventi, e sapeva dimostrare con lasua vita che solo l’amore è l’unica forza capace di condurre alla perfe-zione personale e sociale, l’unico dinamismo in grado di far avanzare lastoria verso il bene e la pace.

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Era molto severo nella disciplina: se qualche giovane tentava dirimanere nei giorni festivi (Natale e Pasqua) in Collegio perché aveva laragazza o per proprio agio, lo mandava via con risolutezza.

Con noi suore non era severo. Io coordinavo i servizi del Collegio econ noi suore non aveva tanto a che fare: avevo rapporti con la segre-teria e non direttamente con lui.

I giovani facevano assemblee e alzavano il tono di voce e lui discu-teva animatamente, ma li amava di immenso amore, il vero amore peril bene, e faceva di tutto perché uscissero formati. Ha saputo farsi ami-cizie con persone che lavoravano al Ministero e ha saputo far ricono-scere il Collegio come opera meritoria di aiuto. Ha realizzatouno stabile veramente agibile e comodo. I ragazzi dicevanoche don Tosi era rude, ma gli volevano bene: talvolta utilizza-va parole un po’ forti e non sempre i ragazzi mandavano giùaccettando di buon grado, ma alla fine non c’era scontro. DonTosi era forte e mite, soprattutto con i ragazzi che erano in difficoltà,dimostrando amore.

Lo chiamavamo “Il Battagliero”. Nelle lotte talvolta vincevano talvolta i ragazzi, e lui si convinceva.

SUOR MARIA, 87 anni:Fui collaboratrice in Collegio dal 1955 al 1958, lavorando in cuci-

na. Don Tosi veniva di rado da noi suore, solo per farci magari qualchecomplimento e vedere come andava... Lavoravo con 4/5 donne. Lacosa che mi è rimasta veramente scolpita nella mente è la quantità diragazzi in fila davanti alla porta del suo studio che andavano a doman-dare pareri, quasi fosse anche un po’ papà, come un figlio che vada aconsigliarsi col proprio padre. Con i ragazzi era un po’ forte, si sentivain refettorio che alzava la voce.

L’ho assistito anche durante la sua ultima settimana prima dellamorte all’ospedale di Borgo Roma. Le sue sorelle infatti avevano chie-sto un aiuto a noi suore. Io che lo conoscevo mi fermavo tutto il pome-riggio: era paralizzato, apriva gli occhi ma non parlava. Mi è rimastonella mente che la settimana prima di morire il Monsignore che loseguiva ci chiese se gli avevamo comunicato la gravità della situazione,e quando don Tosi seppe che stava morendo si fece scuro in volto erimase così per molti giorni. Io l’avevo visto grande, grosso e benmesso, nel pieno vigore delle sue forze…e mi faceva impressionevederlo dimagrito dentro quella camicia da camera che sembrava cosìlarga. L’ultima sera, prima che morisse, gli ho toccato la mano per salu-tarlo: ha aperto gli occhi e ha borbottato delle parole, quasi mi volessesalutare o ringraziare.

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SUOR AGOSTINA, 81 anni: Sono rimasta a Padova dal 1960 al 1961, per sostituire suor

Raffaella nel ruolo di coordinatrice, ma si coordinavano da soli! Avevopartecipato all’inaugurazione del Collegio, c’erano state molte perso-nalità ed era pieno di vita. I ragazzi facevano festa a don Tosi, si senti-vano le risate dal refettorio, era espansivo e voleva bene ai giovani.Anche la signorina Perversi diceva che tutti i ragazzi erano sui figlioli. Aprimavera c’era la giornata della matricola: facevano tanti scherzi,erano belle le feste anche nella loro goliardicità. I ragazzi erano moltovitali, alle matricole ne facevano un po’ di tutti i colori ma don Tosi

lasciava fare, l’era bacanon anca lu!!! I giovani lo stimavanomolto; ricordo che le famiglie (in particolare quelle del sud)mandavano doni per ringraziarlo in occasione delle feste reli-giose. Don Tosi ci voleva bene, si informava di come ci trovava-mo e se tutto andava bene tra gli inservienti. Nel nostro refetto-

rio venne una volta sola; si informava un po’ di tutto ma dall’alto. Nonsi perdeva nelle stupidaggini, ma arrivava sempre al sodo delle cose. Siprendeva a cuore i poveri. Quando si andava a S. Martino c’era unagrande preparazione: ci teneva molto. Era una di quelle persone gran-di che attirano a sé tanta gente; i poveri erano molto riconoscenti e luiaveva buoni rapporti con le famiglie povere, che erano molto affettuo-se. Il Collegio era bello perché c’era vita. Don Tosi faceva anche un po’paura, ma è normale perché era il capo e tutti lo stimavano e avevanofiducia …direi che si può dire sano timore e rispetto. Don Tosi si sede-va sempre a pranzo e cena con i suoi ragazzi. Ho passato un bell’anno.Aveva rispetto per tutti quelli che lavoravano in Collegio. Era comunqueun ambiente sano e pieno di vita, proprio come don Tosi: quando cisono i giovani si vedono sempre le cose belle, e si è positivi. I giovanierano schietti e festosi, anche nei rapporti con lui. Lo vedevano comeun papà col quale andarsi a consigliare. Don Tosi venne invece qui danoi a Verona quando fu inaugurato il Collegio per le ragazze di primamedia: abbiamo ospitato negli anni fino a sessanta ragazzine. Ci disseche avevamo avuto coraggio ed ingegno nel portare avanti quell’ope-ra, e poi che avevamo insegnato a risparmiare e a non buttar via quel-lo che non si aveva utilizzato:

“Siamo poveri e quello che si ha… bisogna tenerlo di conto. Questeragazze e queste suore faranno strada!!!”. Venne a farci visita ancheall’inaugurazione del Collegio universitario di Via Campofiore.

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Voi siete i miei compagni di viaggio.Voi siete gli amici dell’anima mia.

Voi siete le pecorelle del mio pascolo.Vi siete le anime che Iddio mi ha affidato.

Don Tosi, Colloquio, Pasqua 1964*

L’agricola Dei…un po’ duce e un po’ goliarda

Intervista a Carlo Bottaro, segretario del Direttore di Giovanni Pernigotto

Come fu il tuo inizio in Collegio?

Il mio primo giorno in Collegio fu il 23 settembre 1957. In un primotempo venni assunto come cameriere: ricordo ancora che uno deiprimi giorni servii addirittura il Rettore della Cattolica di Milano... dicia-mo subito che don Tosi combinava tantissimi affari a tavola.

All’inizio don Tosi non mi fece un’impressione particolare: era ilRettore di un grande Collegio, per ricchi, come si pensava in giro, omeglio come mi aveva detto il mio parroco mandandomi qui. Poi miaccorsi che la realtà era proprio il contrario, e questo dalle toppe e dairammendi che gli studenti avevano sui pantaloni, e dalle camicie a qua-dri scure.

E, a proposito di ricchezza... Dopo 15 giorni dal mio arrivo - erava-mo nell’ottobre del 1957 - don Tosi dovette mandare a casa gli allieviper una settimana, perché tutti i fornitori si rifiutavano di fornire i vive-ri: don Tosi infatti non aveva più denaro per pagare i debiti, e così i for-nitori si erano ribellati, eccetto uno, il sig. Bardella, quello della carne.

Don Tosi e gli studenti: come era nei confronti dei ragazzi? Qualche epi-sodio?

Nei loro confronti era di un’umanità unica. Se si vuole trovare ilcuore di don Tosi, il centro di questo suo modo di essere, basta legge-re il suo “Colloquio” *, un discorso che tenne per il Natale del ‘63 e che

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fu pubblicato per la Pasqua dell’anno dopo. Quello che c’è scritto lì, eglilo viveva: lui era il Padre, come a lui piaceva essere chiamato. E cosìtutti lo chiamavano.

Aveva una memoria unica, sia per ricordare i nomi, che fotografica.E soprattutto ricordava benissimo che cosa succedeva ai ragazzi: comestava il padre di uno, la difficoltà economica della famiglia di un altro...Ricordava tutto! Certo, dopo c’era la segreteria, c’erano le cartelle per-sonali, ma a don Tosi non sfuggiva il lato umano.

Non aveva l’abitudine di andare nelle stanze dei ragazzi, per rispet-to della loro libertà, e non è mai, che io ne sappia, dico mai andato all’e-

dificio B, non solo perché troppo occupato, ma per grandefiducia verso i suoi collaboratori, il dr. Dal Magro e il dr.Concheri7. Don Tosi riceveva questi ultimi tutte le mattine,dopo la Messa, alle 8.30 - 8.40 circa, e poi alla sera, primache andassero a casa. Questo ogni giorno, almeno quando

era a Padova, ovviamente. Poi come Superiore i suoi pensieri e le sueoccupazioni lo portavano più spesso a Verona.

La personalità di don Tosi in tre aggettivi... e in qualche racconto...

Una personalità paterna, umana, e anche autoritaria. Ma qui bisogna distinguere il don Tosi del dialogo personale, che si

spendeva per il Collegio, e il don Tosi dei momenti ufficiali, il Direttoreanche severo e con il pugno di ferro: insomma, un po’ duce e un po’goliarda. Anzi posso dire che il suo animo genuino era proprio goliar-dico. Penso a quando si andava alla partitissima contro l’Antonianum:prima avvisava dell’evento: “ Mi raccomando, oggi giochiamo control’Antonianum”, poi arrivava un quarto d’ora dopo sugli spalti, accolto dabattimani festanti.

Ricordo che una volta, durante una di queste partite, c’era un’azio-ne prolungata, e il pubblico seguiva con attenzione e con un certosilenzio. Ad un certo punto dal pubblico si sente una voce che gridaforte, rivolto ad un giocatore avversario: “Tredici, sei una schiappa!”.Non era uno studente, ma un tifoso particolare: don Tosi. E allora il donMazza si scatenava.

Don Tosi a Bressanone: come nacque l’idea? Come si sviluppò?

Il Rettore dell’Università Guido Ferro chiese nel 1952 a don Tosi un

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7 Cfr. intervista corrispondente in questo testo (nota del curatore).

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aiuto per l’assistenza logistica e spirituale a Bressanone, per i corsi esti-vi dell’Ateneo. A don Tosi non parve vero di cogliere al volo questa ini-ziativa. I corsi erano aperti a tutti gli studenti, ma “ovviamente” i prota-gonisti erano sempre i mazziani. Don Tosi teneva al fatto che i suoi allie-vi si facessero onore. E i corsi estivi erano “obbligatori”. Addirittura donTosi dava 10.000 lire dell’epoca (parliamo qui del 1962, dieci annidopo) perché gli alunni si pagassero il viaggio, poi a Bressanone eratutto gratis. A lui interessava che il Mazza fosse conosciuto: e i mazzia-ni primeggiavano dappertutto, anche in Alto Adige.

Il tuo rapporto con don Tosi, come segretario...Sono stato cameriere, e poi anche infermiere, dopo aver

fatto un corso. Ottenuto il diploma, andai a dire a don Tosi chemi aumentasse lo stipendio, perché altrimenti avevo già unposto altrove, in ospedale. Allora cominciò a rimproverarmi,ma dopo invece mi tenne, accontentandomi… ma ho fatto tutti i gradi-ni della “carriera”… ho fatto proprio la gavetta. Dall’ottobre del 1965sono diventato segretario a tutti gli effetti.

Don Tosi mi coinvolgeva in tutti gli aspetti. Facevamo insieme unprogramma per gli appuntamenti, ma non li rispettava mai. Non davatempi fissi per parlare con gli studenti: quando parlava con uno stu-dente, non c’era un limite di tempo. E guai a chi lo disturbava. Diceva:“Neanche se il Collegio va a bale par aria”. Questo era don Tosi.

Avevamo un rapporto franco, familiare. Ma per primi c’erano sem-pre i suoi universitari. Un giorno uno studente con cui aveva un parti-colare feeling venne con la sua ragazza, di famiglia benestante, e donTosi lo sapeva, per annunciare il loro matrimonio.

Egli, convinto che avrebbe celebrato lui le nozze - sarebbe stato unmomento opportuno per prendere contatti con alcune personalità, spe-rando in qualche beneficio per il Collegio - non vedeva l’ora di cono-scerla, e le chiese: “Ah, cara, ma chi ti sposa?”. Lei rispose: “Beh, il miopadre spirituale”. Ricordo con quanta velocità li congedò. Quando furo-no andati , non mancarono i suoi commenti. Io ebbi l’infelice idea didire: “Proprio i più vicini la deludono, eh, ha visto?” . Lui si infuriò e migridò: “Fora de qua”!

Guai a toccargli gli studenti. La conferma: successe che ben 13 stu-denti dovettero emigrare a Modena per un anno, per superare unesame che qui a Padova con un docente ostico nessuno riusciva a pas-sare. L’anno dopo tornavano in Collegio. Ma a don Tosi questa cosa nonandava giù. Don Tosi mi disse: chiamami Tizio. E gli disse: “Professore,ho sentito che i miei studenti devono andare lontano per questoesame...” . Poi si accalorò: “Noi siamo il Collegio Mazza, il migliore diPadova, se lei ha qualche problema non voglio che a pagare siano i miei

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allievi...”. Di lì a pochi giorni quel professore richiamò, chiedendo un col-loquio, da cui scaturì un aiuto reciproco e una bella collaborazione.

Il momento più bello per don Tosi forse fu quando lo feceroMonsignore, anche se non era più a Padova: ci teneva. Ricordo che inprecedenza prendeva in giro il suo amico Mons. Ottorino Vicentini, eper consolarsi diceva: “Sì sì va bene, lui è monsignore, tra quattro preti,ma... guarda laureati che ho io qui !!”. Poi lo nominarono Monsignore inoccasione del XXV di Messa, se non ricordo male.

E una grande delusione, verso la fine della vita: la non ele-zione a Superiore Generale della Pia Società. Alla morte dimons. Albrigi succedette come reggente dal 1965 al 1969. Enel ‘69 non fu eletto. Egli non se l’aspettava proprio. Era con-vinto di avere fatto tutto… e ha fatto tutto. Fu un colpo per

quanti lo conoscevano. Un altro Monsignore disse: forse meglio così,avrà più tempo da dedicare alle cose amministrative. Ma a lui non inte-ressavano. Egli comunque non era più direttore del Collegio da un paiod’anni. Poi cominciò a stare male, e una volta - tra le tante in cui andaia trovarlo in clinica - mi disse: “Oggi è venuto Massagrande. Gli hodetto: don Francesco, sii umano”.

Non ho più scordato queste parole.

Don Tosi uomo e prete di fede...

Era sicuramente un prete che pregava. In chiesa e molto in studio.E poi curava la sua spiritualità con grandi amicizie: aveva per padre spi-rituale il parroco di san Daniele qui a Padova. E poi conosceva bene p.Vittorio Marcozzi, gesuita e antropologo, morto poco tempo fa, unafigura importante. Certo che quando veniva da un colloquio con lui,usciva con un sorriso sornione: gli chiedeva sempre il parere su alcu-ne questioni, al buon padre gesuita, ma poi faceva quello che voleva...però avevano l’un per l’altro una stima immensa. Spesso don Tosi chia-mava Marcozzi a predicare in Avvento o in Quaresima.

Cosa dire infine? Non era un santo da altare, don Tosi, ma a mepiace chiamarlo con un detto latino, “agricola Dei”, agricoltore di Dio,che andava in cerca dei suoi potenziali studenti tra i poveri, strappan-doli alla campagna perché potessero studiare, e li coltivava poi inCollegio, ottenendone spesso buoni frutti.

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Alcuni aneddoti

• Una volta venne in visita al Collegio il superiore Albrigi, ed eracome se venisse don Mazza in persona. Don Tosi teneva molto al fattoche gli studenti partecipassero alla Messa. Allora, verso le 19, don Tosiscende dalle scale, e comincia a richiamare tutti con il suo fischietto,come fanno i vigili. A questo richiamo gli studenti spengono tutte le luciper far vedere che vanno in chiesa, e invece in chiesa non c’era quasinessuno. Don Tosi arriva in sala da pranzo, subito dopo il Superiore, econ il microfono in mano comincia a dire:

“Si alzino in piedi tutti quelli che non sono venuti in chie-sa”. E tutti si alzarono, per spirito di solidarietà. A quel puntodon Tosi: “Camerieri, domani non si mangia! Tutti in gita!”.

E gli studenti furono costretti ad uscire per mangiare.

• Alle 15, 15.30 del pomeriggio gli impiegati si ritrovavano nell’uffi-cio del segretario, proprio qui dove stiamo parlando, a giocare con idadi: chi perdeva doveva pagare il caffè a tutti. Di solito don Tosi a quel-l’ora andava a riposare (e non si accorgeva delle soste prolungate deisuoi dipendenti). Ma quel giorno evidentemente non riusciva a prendersonno. All’improvviso si sente un colpo alla porta (sbam!) e comparedon Tosi sulla soglia: “Mangiapane a tradimento!”. C’erano tutti:Concheri, Dal Magro, Raffaello, Rossi… io ero di guardia di là, ma miera sfuggito!

• Un altro giorno stava cercando Raffaello Olivieri, un altro dipen-dente. Questo arriva e rimane in piedi, don Tosi invece si siede al suoposto dietro alla scrivania: una classica, chiusa sul davanti. E il Direttorecomincia a dare vari ordini a Raffaello, e questo a dire di no, a scusar-si. Ad un certo punto don Tosi, stizzito, dà un calcio alla scrivania, cosìforte da romperla e da rimanere impigliato con il piede! E l’altro si girae gli dice : “Le sta bene!”.

• Un giorno arrivano dei parenti a trovarlo, e gli portano alcune bot-tiglie di vino bianco. “Ah, che buono ‘sto vino, che buono!” E’ così con-tento che chiama il dr. Dal Magro: “Angiolino, senti questo vino, questosì che è buono, non quello che compri tu...!”.

Dal Magro assaggia, i parenti dicono che è vino di Lugana, e luirisponde: “Il vino di Lugana? Ma è da tanto tempo che lo conosciamo,non è mica una grande novità”.

Allora don Tosi reagisce: “Sì, allora adesso ce l’hanno anche lep…?”.

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È un segno della genuinità di don Tosi, uno senza peli sulla lingua:pane al pane e vino al vino.

• Il giorno di carnevale, il martedì grasso, vi era la tradizionale gitacon gli studenti. Quell’anno, forse il 1958 o il 59, andammo a Forlì. Perpranzo ci trasferimmo in un ristorante famoso, da Fini, nelle vicinanzedi san Marino. Don Tosi ci raggiungeva da Roma, dove era stato per isuoi contatti. Quando vede l’amministratore, allora era Gaetano Rossi,tira fuori delle banconote da 10.000 lire, e gli dice: “Ciapa, Rossi,paga!”. Erano soldi che aveva portato da Roma, non so in che modo li

avesse ottenuti, grazie ai suoi amici romani.

• Un’altra volta sempre nel 1958 a Ferrara un gruppo di stu-denti si era recato in una scuola superiore per “liberare” ungruppo di ragazze... le liberavano dalla scuola, costringendole

ad uscire e a saltare le lezioni.Quando vide questa minaccia, il preside si parò davanti con le mani,

di fronte alla porta dell’istituto. Macché, non ci fu nulla da fare, e il pre-side finì addirittura steso per terra. Qualcuno chiamò allora la polizia, earrivarono un sacco di camionette, sembrava di essere come ai tempidi Mussolini - così diceva la gente - . Don Tosi nel frattempo era anda-to in chiesa a pregare. Qualcuno dovette disturbarlo : “Padre, hannoportato gli studenti in Questura!”. Lui reagì con un fragoroso “Andè inm...!”.

Comunque don Tosi corse anche lui in questura. E fece una talepaternale al questore, ai poliziotti... “Mi chiami l’onorevole Gui8, mi chia-mi il questore di Padova... e voi non capite niente di goliardia!...” .Insomma, tante ne fece che sembrò passare dalla parte del torto lapolizia, non gli studenti! Era un grande, e sempre difendeva i suoi stu-denti.

• Una volta andammo insieme a Roma, dall’on. Flaminio Piccoli,all’EUR, una delle sedi della DC. Il motivo? Il solito, non c’erano soldi eoccorreva andar a batter cassa. Insomma, dopo molte insistenze erastato ricevuto. Piccoli aveva lo studio proprio alla fine di un lungo cor-ridoio, lungo più del porticato nostro di via Savonarola.

Dopo aver salutato l’onorevole, finito il colloquio, ci avviamo di ritor-no lungo questo grande corridoio. Quando siamo ad un certo punto -eravamo don Tosi, io e Raimondo Ledro, il vicesegretario - mi volto un

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8 cfr intervista corrispondente in questo testo (nota del curatore).

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pochino e mi accorgo che l’on. Piccoli è ancora sulla porta, che guar-da fisso don Tosi e noi mentre ce ne andiamo.

Io lo dissi piano a don Tosi. A quel punto lui si girò, e con la suagrande tonaca fece una piroetta, e alzando l’indice verso l’uomo politi-co gli gridò: “Onorevole, Lei sarà il futuro De Gasperi”. Ebbene, dopouna settimana arrivarono a Padova ben 150 milioni di lire!

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Da destra: B. Guariento, R. Ferroni, G. Piccolboni, F. Massagrande, M. Manara, M. Gelmetti, S. Ferri, V. Faccioli.

Seconda parte

Interviste realizzate da allievi di oggi

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Una sera mi ha preso vera commozione guardando, dall’alto della cantoria, una folta schiera di giovani universitari

accostarsi alla Mensa Eucaristica. Era un andare composto e vivace,

quasi anelante. Non era la prima volta e spesso si ripete questoconfortante spettacolo. Non tutti i giorni, non tutte le sere.

Don Tosi, Colloquio, Pasqua 1964*

Pugnava la tola e tirava un’ostia

Intervista a Bepi Ruin, cuocodi Pierpaolo Cendron

Qual era il suo ruolo in Collegio e per quanto tempo ha lavorato a con-tatto con don Tosi?

Ho ricoperto per due anni, dal 1958 al 1960, la mansione di came-riere, quindi ho frequentato un corso per diventare cuoco e dal 1960al 2000 ho svolto questo lavoro in Collegio. Sono stato quindi a con-tatto con il Tosi fino al 1975, anno in cui è morto. Avevamo un buonrapporto, ma non eravamo troppo in confidenza. Il Tosi era moltorispettato da noi cuochi; ispirava molta soggezione e per tutti i suoimeriti era ritenuto una persona superiore alle altre.

Quali erano le caratteristiche peculiari di don Tosi, nella personalità,nel carattere e nel modo di comportarsi?

Don Tosi era una persona molto allegra; quando ci incontravamo midomandava sempre quando poteva venire a mangiare a casa mia, intono scherzoso; io gli rispondevo: “Mai, Padre!” e lui si faceva una gras-

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sa risata. Prima di andare ad abitare a Tencarola, nel 2003, ho sempreabitato in Collegio; questa struttura mi ha dato una casa e un lavoro, epertanto nutro molta riconoscenza.

Don Tosi aveva un cuore grandioso, ma sapeva anche essere moltosevero.

Ricordo un fatto particolare: a quei tempi egli pretendeva che glistudenti andassero a messa * il mercoledì sera: scendeva in cortile,prendeva il fischietto e fischiava fino a che un congruo numero di stu-denti non era sceso dalle camere. Una sera non c’era stata la parteci-pazione che lui si aspettava e allora venne in cucina e disse: “Doman

qua no se magna!”. Quindi per il giorno dopo radunò tutto ilpersonale (una trentina di persone) tra guardarobieri, cuochi,donne delle pulizie e della lavanderia, per andare a Vicenza aMonte Berico a mangiar fuori, stando via tutta la giornata. Glistudenti rimasero così senza pranzo e cena; era quindi un tipo

che si faceva rispettare.Un’altra sua caratteristica era la grande generosità; è stato lui a far

crescere questo Collegio; è arrivato da Roma qui con 15 - 2 0 studenti e

verso il 1955 il Collegio ne contava circa 300-400. Ricordo un momento particolare di crisi per il Collegio: i fornitori

non volevano più dare cibo al Collegio perché esso aveva ritardato neipagamenti. Uno di quei giorni vidi don Tosi che si apprestava a partiree gli domandai: “Dove va, padre?”. Lui mi disse: ”A Roma!”. Io: “E quan-do torna?”. “Quando troverò qualche soldo, perché altrimenti qua mitocca chiudere, non abbiamo più niente da mangiare!”.

Il suo comportamento era retto; ogni tanto però perdeva la pazien-za, pugnava la tola e tirava un’ostia. Bisogna capirlo perché il nervosi-smo era tanto: stare dietro a 400 studenti non era mica facile.

Com’erano i rapporti del Tosi con: studenti, professori, altri membridella direzione, personale del Collegio?

Egli teneva molto a conoscere personalmente tutti gli studenti: face-va frequenti colloqui per conoscere la loro situazione familiare e uni-versitaria.

Con i professori aveva buonissimi rapporti: ogni mese veniva orga-nizzata una cena nella sala che ora ospita la biblioteca, con il Vescovodi Padova, il Rettore dell’Università e una trentina di professori. Era unlavoraccio, perché bisognava trasferire a mano tutto l’armamentario dacucina fino il secondo piano.

Con noi cuochi c’era un buon rapporto, ma non di confidenza comec’è ora con don Francesco ad esempio; egli proprio si poneva su un

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gradino superiore, ispirava soggezione e rispetto a tutti. Con gli altrimembri della Direzione forse i rapporti non erano dei migliori; con lorosi dimostrava piuttosto duro, voleva essere lui a comandare. E’ statoestromesso dalla Direzione del Collegio per votazione; egli sperava diessere riconfermato e questo fatto è stato un brutto colpo per lui. Pocodopo l’ha colpito un tumore e se n’è andato in poco tempo.

baefba

Lo so, buon amico, che tu non hai né padre né madre. Lo so quando e come ti sono mancati. Ora tu sei il mio figliolo.

Lo so, figliolo, che tu non sai dove sia o chi sia tuo padre. Tu sei il mio amico.

Don Tosi, Colloquio, Pasqua 1964

Un Papa nel suo piccolo Collegio

Intervista a Luigi Giovedì, collaboratore per la manutenzione di Marco Pezzini

Un tuffo nella storia. Partiamo con la sua vita…Come ha conosciutodon Tosi?

Avevo 19 anni e lavoravo in paese , nel 1953 - 54. Mi ricordo sem-pre che sono tornato dal lavoro, a mezzogiorno - mezzogiorno e mezzo,e vedo questa 1100 con quest’uomo, grande uomo: è capitato a casamia là a Costalunga, nella vecchia casa dove vivevo con due fratelli (unoha studiato al Mazza, ndr), e con mio padre, il quale lavorava col ban-chetto da scarpolin. Era venuto a vedere le condizioni della famiglia, perrendersi conto della situazione…. Dopo quel giorno non l’ho più rivistofino al 1958, l’anno delle disgrazie: prima mio papà e poi mio fratello.

Allora don Tosi è venuto a pescarmi, capito no?Il primo impatto quando mi ha fatto venire qui… mi sembrava una

metropoli! E mi ha fatto dormire nella 34: la camera che veniva riser-

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vata agli ospiti. Mi ha cercato un po’ di lavori e alla fine mi ha sistema-to qua.

Che cosa faceva per il Collegio?

Facevi il cameriere, il falegname, il muratore (ha costruito l’odiernasala don Tosi, ndr), mille servizi… Ogni due o tre volte al mese facevi lecene con i professori universitari: bisognava preparare la cucina e lamensa per trenta - quaranta persone. La sera servivi la cena agli studentiprendendo il cibo dal montacarichi, portandolo su in tavola e poi , mi

pare ogni quindici giorni, si preparava una cena anche per idipendenti. Gli piaceva fare questi gruppi per parlare un’oraassieme, insomma.

Le prime rimembranze su don Tosi.

Un grande uomo… per quei tempi, perché ogni cosa deve esseremessa al suo tempo. Infatti se don Tosi vivesse ora, forse sarebbe ilmomento sbagliato per la mentalità che c’è oggi. Allora i giovani, tantoper dire, avevano più bisogno: la maggior parte era povera, povera,povera. Alcuni ex mazziani di Verona che conosco mi dicono sempre,quando parliamo, che si sono laureati grazie al Collegio don Mazza: ilCollegio di don Tosi a quell’epoca là. Perché ha aiutato tante, tante, tantepersone. Adesso quegli ex mazziani infatti sono un po’ più benestanti.Quando io gestivo il bar in Collegio, sai quanti venivano a chiedermi: ”Mipresti mille lire? Fino a lunedì…”. Non c’erano soldi.

Don Tosi com’era con il personale e gli studenti?

Per conto mio li ha sempre trattati tutti bene, e anche il personale èsempre stato più che soddisfatto.

Sarà perché ho avuto un aiuto particolare da lui, ma per me è statauna grande persona, è stato un grande uomo insomma, un grandeuomo…

Nel suo “piccolo” Collegio (ospitava all’epoca ben 350 studenti, ndr)è stato un Papa: anche lui ha attirato a sé tantissimi giovani, ed anchese adesso le cose sono più voluminose le proporzioni sono queste.

Una cosa mi ricordo: lui pretendeva che tutti quanti andassero inchiesa la sera. Veniva giù alle sette e andava in chiesa a fare la messa.Naturalmente non andavano tutti a messa perché qualcuno cercava discappar via. Una sera si è accorto che un certo numero di ragazzi nonera andato a messa. Il giorno dopo ha fatto chiudere il Collegio e ci ha

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portati tutti, il personale, in gita e siamo andati a monte Berico, e gli stu-denti sono rimasti senza mangiare. Questo non lo faceva con grandecattiveria, era la mentalità di allora... Chi non andava a messa la dome-nica? Tutti ci andavano, era un sacrilegio non andarci.

Come si viveva, allora, in Collegio?

Era come una famiglia. Anche le domeniche, quando c’era pocagente, c’erano ottanta-novanta ragazzi. Poi c’era chi stava qua sempreperché diceva che mangiava di più che a casa.

Le lampade da tavolo non c’erano ancora nel 1963, e sistudiava su tavolini più piccoli di quelli di adesso. Si tiravaavanti: lo stesso don Tosi mi chiese di fare i mobili diCostagrande senza usare il legno perché costava troppo.

Del suo carattere, qual era la caratteristica peculiare? La determinazio-ne, la generosità,…

Per me le aveva tutte. Era un uomo forte, anche solo nel modo di par-lare. Quando alle volte doveva partire con la macchina, mentre aspetta-va l’autista nel porticato, tu lo vedevi e cercavi magari di evitarlo facendoun giro: lui ti chiamava da lontano: ”Ohi! Picolo!”. Voleva che andassi là asalutarlo, a dirgli quelle quattro cose: bastava che andassi là vicino.

Per me era molto umano, ecco, di una umanità grandiosa.

Se tornasse indietro cambierebbe qualcosa? Magari qualcosa cheavrebbe voluto dirgli o fare e che invece non ha fatto?

Per me no. Non gli direi niente.

Cosa direbbe ai giovani in Collegio oggi?

Il pallino suo era che i ragazzi studiassero. Li controllava tutti, chis-sà come faceva, non so… era amico di tanti professori universitari.

Mi ricordo di tre o quattro giovani che dovevano fare un esamegrosso, che se non superato bloccava i successivi: insomma che ave-vano i loro momenti di crisi. Ovviamente non andavano da don Tosi adire: ”Guardi che non riesco a ...” e se lo tenevano per sé. Lui, allora,vedeva che lo studente non era più sereno gli domandava cosa nonandasse, ma non sempre riceveva la risposta esatta, e a lui restava ildubbio. Allora andava dal professore a chiedere, e veniva a sapere chelo studente non aveva fatto l’esame, e si incavolava, giustamente. Però

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poi cercava sempre di trovare la strada per aiutarlo e per portarlo sullastrada buona. Era molto diretto, era una persona meravigliosa, benvo-luta. Aiutava tutti i ragazzi e pretendeva che essi lo ripagassero con lostudio: era venerato per questo. D’estate voleva che gli studenti andas-sero a recuperare gli esami a Bressanone.

Quindi il problema principale di allora era il denaro, la base culturalec’era diciamo. No?

Si, il problema di don Tosi era solo il finanziamento: non c’erano leggifisse che dessero i finanziamenti al Collegio. Don Tosi partivaper andare a Roma e quando tornava era tutto contento peresser riuscito a racimolare qualcosa: era un’impresa.

Un altro problema, poi, era la fame. La sera, mi ricordo, siaprivano le porte della mensa e, figurati, trecento studenti

affamati entravano come falchi: c’era chi “beveva” tutto d’un fiato laminestra e finiva quindi per mangiare anche quella di don Tosi e di altri.Quando veniva dentro lui faceva finta di fare la scena: ”Come! Qua! Checavolo succede!”.

Eh eh, scene meravigliose. C’era tanta fame allora, e non c’eranoneanche tante variazioni. Anche se il Collegio è sempre stato di famaper via del cibo…

Insomma, per riassumere, i punti cardine della figura di don Tosi erano…

La cultura, a cui teneva tantissimo, il rendimento scolastico, il carisma…

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Da sinistra si riconoscono G. Baù, C. Gobbi detto “Carlino”, G. Masiero, L. Giovedì, al sesto piano del Collegio.

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…era idealista?

Sì sì, era anche un uomo ambizioso, lungimirante: uno che vedeva,che voleva sempre realizzare. Lui allora è stato grande. Io dico sempre:se riesci ad aggiornarti resti grande.

Ha comprato Costagrande, dove gli studenti del Collegio hanno tra-scorso tanti sabati e domeniche. Il suo sogno era di fare una “cittadel-la” universitaria a Padova dove farci stare gli studenti del Mazza, e nonvedeva l’ora di farla perché così avrebbe creato anche gli appartamen-ti per i dipendenti del Collegio, che a quel tempo vivevano lì vicino, eper me, che vivevo con i miei fratelli in un piccolo apparta-mento in questa via: voleva darci un posto migliore.

baefba

Parlo di voi, di ognuno di voi.Pensatevi nel mio studio, in uno di quei colloqui

da voi cordialmente desiderati e che sembra tanto difficile ottenere.[…]Se sapessi quante volte ti ho pensato, nel giorno del tuo dolore

[…] Tu sei qui anche per questo. Se ci fosse ancora tuo padre, la tua vita sarebbe trascorsa probabilmente più serena e più sicura.

Don Tosi, Colloquio, Pasqua 1964*

Un confidente…imponente

Intervista a Bruno Guariento, collaboratore per la manutenzionedi Pierpaolo Cendron

Come è arrivato al Collegio Don Mazza e che lavoro ha svolto al suointerno?

Sono arrivato in Collegio per caso, introdotto al suo interno da unodei collaboratori di don Tosi. Ero un ragazzo di dodici anni orfano dipadre: i preti e soprattutto don Tosi mi hanno accolto e tenuto in

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Collegio. Dovevo ancora finire le medie, quindi ho frequentato le scuo-le serali professionali per diventare elettricista e alla fine mi sono diplo-mato, grazie soprattutto agli stimoli positivi per lo studio che porta que-sto ambiente. Dai dodici ai ventidue anni ho lavorato qui, e svolgevo unpo’ tutti i lavori tecnici, ero il cosiddetto factotum; poi ho trovato un otti-mo impiego all’ENEL; comunque la sera venivo sempre qui per faremanutenzione e naturalmente combriccola con il personale delCollegio, con cui c’era proprio un bel rapporto. Andavo a trovare donTosi quando era in vacanza a Verona e portavo la mia fidanzata; sonostato sposato da lui, come tutti quelli che lavoravano qui dentro.

Come si ricorda don Tosi? Può delineare la figura di questoprete all’interno del Collegio del tempo?

Era una persona con una carica umana e un entusiasmofuori dalla normalità; egli aiutava tutti, veramente tutti, ed era un uomomolto spiccio e alla mano: mi prestava sempre la sua macchina adesempio quando gliela chiedevo. La sua dall’esterno era una figuraimponente, potrei paragonarla al duce quasi, ma in realtà la sua perso-nalità era tutt’altra: gli studenti andavano a confidarsi da lui, c’era sem-pre una gran coda fuori dal suo ufficio e lui voleva ascoltare tutti *. Infattiera considerato un confidente al livello di un fratello maggiore o di unpadre. E lui voleva questo; amava la compagnia e diventava cattivo enervoso se stava da solo; aveva sempre bisogno di avere qualcuno vici-no, fosse questo per rendersi utile dando consigli o, visto il suo caratte-re festoso e vitale, per farsi quattro risate chiacchierando amichevol-mente. Quello che faceva di lui una persona straordinaria è che riuscivaa capire anche dai soli atteggiamenti se qualcuno aveva problemi, edecco che lo mandava a chiamare e voleva parlare con lui per sentirecos’era che non lo faceva stare tranquillo o lo turbava. Se sapeva chec’erano delle vicissitudini nella famiglia dello studente, lui prendeva eandava a trovarlo a casa per appurare tutto e vedere se si poteva dareuna mano in qualche maniera. Lui era un duce: all’epoca c’era bisognodi un carattere forte che tenesse testa a tutti; dal primo all’ultimo lui davaretta a tutti. Era estremamente orgoglioso, infatti la mancata ri-elezioneal ruolo di direttore è stata uno smacco che lo ha fatto molto soffrire.Come persona era anche molto generosa e a noi del personale tenevaproprio tanto; basti pensare che per il mio compleanno mi faceva sem-pre un regalo, ad esempio un maglione o un paio di scarpe; è anche unfatto del genere che testimonia la concezione del Collegio come unambiente familiare.

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C’è qualche aneddoto su quest’uomo che le è rimasto impresso?

Un episodio particolare che ricordo è legato al fatto che alcunevolte prendevo alla leggera il fatto di presentarmi da lui immediata-mente quando mi mandava a chiamare. Una volta si è innervosito per-ché tardavo e quindi ha mandato all’ufficio postale Carlo Bottaro9 aspedirmi un telegramma, anche se io stavo lavorando in quel momen-to all’interno del Collegio. Quando mi è stato consegnato sono salitosubito in ufficio, ridendo, e appena mi ha visto ha gridato, con il suotono autoritario e bonario insieme:

“Quando che te ciamo mi, anca se el Collegio se drio ‘ndar cole balepar aria, te ghe’ da vegnere subito!”

Un’altra scena che è accaduta più di una volta in mensa è stata que-sta: gli studenti seduti aspettavano l’arrivo dei camerieri col cibo conimpazienza e cominciavano a battere con le posate sui bicchieri e suitavoli. Si creava così una gran confusione, ed ecco che don Tosi pren-deva il microfono ed esclamava: “Save’ dove dove’ battarve? Sulle bale!”.

1971, don Tosi celebra il matrimonio di Daniela con Bruno Guariento. Sullo sfondo, più vicino al muro, il fratello Paolo,

anch’egli collaboratore in Collegio.

9 Cfr intervista corrispondente in questo testo (nota del curatore).

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All’epoca il linguaggio in Collegio era abbastanza… diciamo… colo-rito, ma erano altri tempi, si poteva permetterselo.

Quali sono le differenze più evidenti tra il Collegio di ora e quello deltempo?

Le differenze che posso riscontrare sono notevoli, ma esse non midanno scandalo, anzi mi paiono normali perché ogni epoca ha le pro-prie caratteristiche.

La mia impressione è che i “tosi” che studiano adesso siano miglio-ri dal punto di vista dell’educazione e per come si presentano; di sicu-ro questo è frutto dell’agiatezza di questi tempi. Trent’anni fa invecec’era reale e materiale bisogno di una struttura come il Collegio Mazza,

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Alcuni camerieri della mensa,tra cui si riconosce “Carlino”al centro, tentano inutilmentedi svegliare a secchiate d’acqua e a ghiaccio BrunoGuariento, nella stanza n. 10al primo piano di fronte allacabina di regia, in Collegio.

B. Guariento nella cabina di proiezione

B. Guariento nella sala caldaia del Collegio

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e quindi si trovavano persone un po’ di tutti i tipi. Li vedo bravi e volen-terosi comunque, e nutro fiducia in loro perché mi sembrano proprioragazzi in gamba.

Con il cambiamento delle condizioni economiche medie, è cambia-ta anche la concezione del Collegio: una volta esso mi dava molto piùl’impressione di una famiglia, dove tutti si dovevano aiutare per tirareavanti, e più di tutti don Tosi che era il “padre” di tutti gli studenti. Masecondo me lo spirito del Collegio c’è ancora, al contrario di quello chedicono in tanti, soltanto che ha cambiato nella forma, come d’altrondeera inevitabile.

baefba

Dillo ai tuoi amici, ai molti che ti sono compagni in questa ascensione verso l’alto,

che io vi sono vicino e non vi dimentico neppure quando m’accapiglio con i sensali

o con gli ingegneri o i capimastri per via dei nostri edifici…

Don Tosi, Colloquio, Pasqua 1964*

Rigido ? Solo un’impressione

Intervista a Bruna Nicoli e a Gianni Valbusa, collaboratori di Costagrandedi Lorenzo Mattarolo

BBrruunnaaHo conosciuto don Tosi quando a 16 anni lavoravo a Costagrande:

veniva spesso i fine settimana o d’estate con un folto gruppo di studentie per circa 8-9 anni sono stata a contatto con lui.

Lo ricordo come una persona di grande bontà d’animo e di grandecuore, che dedicava tutte le sue energie ai rapporti con le persone e inparticolare agli studenti. Credeva molto nell’impegno di garantire lapossibilità di studiare a chi ne mostrava le capacità e non aveva le risor-se per poterlo fare.

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A volte poteva apparire un po’ rigido e scontroso *, ma in realtà erasolo un’impressione perché conoscendolo a fondo si scopriva invecela sua grande umanità e disponibilità.

Era un uomo con molte responsabilità che cercava di adempiere colmassimo impegno. A Costagrande gli è stata dedicata una piccolaopera scultorea, segno dell’attaccamento e della riconoscenza deglistudenti nei suoi confronti.

GGiiaannnniiHo accompagnato don Tosi per moltissimi anni della mia vita. Fin dai

17 anni l’ho seguito e ho lavorato per lui, sia a Verona che aPadova. Mi ricordo di lui come un uomo di grande umanità,capace di mettersi a piena disposizione dei ragazzi. Aveva uncarattere deciso e a volte sembrava un po’ rigido, ma ogni suoatteggiamento era sempre attentamente ponderato, ed era

comunque l’espressione di un uomo disponibile e di grande cuore.

baefba

Si vuol far passare per acquisita una forma di direzione che non è riconosciuta né dallo Statuto né dal Regolamento […]

Non ho mai rifiutato suggerimenti e proposte da chicchessia, tanto meno se provenienti dagli studenti […]

Ho detto suggerimenti e proposte e non imposizioni, almeno allo stato attuale delle cose.

Don Tosi, lettera al Direttore don Pretto, Costagrande 4 maggio 197010*

Le banche e l’ombrello il 15 di agosto

L’altra faccia dell’intervista a Luciano Concheri , segretariodi Federico Librino e Serena Guariento11

Quando ha conosciuto don Tosi?

Lo conobbi proprio agli inizi, nel 1945 , quando lui appena ordinatosacerdote era direttore spirituale del Collegio San Carlo di Verona. Dopo

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aver frequentato infatti la II e III media al S. Carlo, nel 1944 dovetti trasfe-rirmi per frequentare la IV ginnasio alle scuole pubbliche di Desenzano,perché il Collegio fu bombardato. Nel 1945 tornai per la V ginnasio alCollegio. Nel 1949 venni a Padova a studiare Scienze Politiche; nel 1953in luglio superai l’ultimo esame e a quel punto don Tosi mi disse: “Ora deviandare a Verona per essere segretario dell’ Opera” (il Collegio di Padovainfatti dipendeva da quello di Verona). Era il 15 luglio.

Come era il rapporto di don Tosi con i giovani?

Don Tosi era molto partecipe… come un padre. Appenapoteva andava a trovare durante le vacanze gli allievi perconoscerne la famiglia, e nei tempi successivi mandava i col-laboratori sacerdoti per rendersi conto di com’era la situazio-ne. Quando conosceva una persona non la abbandonava più.Una volta che gli studenti si laureavano, partecipava a tutte le nozze eli seguiva familiarmente. Rifiutava di star solo e appena poteva chiama-va qualcuno a fargli compagnia, magari alla sera per bere un’ombra efesteggiare con una bottiglia l’ esame superato, in due o tre nel suo stu-dio. A tutti i vescovi del Triveneto e oltre, che aveva conosciuto perso-nalmente tramite mons. Albrigi, diceva: “Se avete sacerdoti che voglio-no studiare, mandateli qua: saranno ospiti gratuiti”. E facevano da assi-stenti. Ogni fine settimana li lasciava tornare a casa, mentre invece glistudenti all’inizio potevano tornare solo ogni 15 giorni, visto che il finesettimana non essendoci obblighi accademici si organizzavano attivitàculturali e religiose. Qualcuno però riusciva a volte ad ottenere il per-messo di tornare prima, come un allievo che giocava come calciatorenel Brescia, e che quindi nel fine settimana aveva le partite...

Don Tosi aveva un’intensa spiritualità: in particolare era devoto allaMadonna. Ogni volta che andava a Roma, andata e ritorno si fermavaal Santuario della Madonna del Divino Amore, di cui c’è il quadro nellaChiesa di Costagrande. Si partiva verso le 11, ci si fermava a Bondenoper pranzo (un posto famoso per i 34 assaggini), e si arrivava a Romaalle 19.30. Durante tutto il viaggio bisognava recitare il Rosario. Equando ci si spostava in auto: “Passa di qua che ci fermiamo a saluta-re questo allievo!”.

10 Testo rinvenuto tra gli Atti Direzione Collegiale 1970-71, pag. 36 durante il lavo-ro di ricerca per la tesi di laurea (nota del curatore).

11 Federico Librino: intervista diretta. Serena Guariento: sbobinatura della regi-strazione, approfondimenti con L. Concheri, sistemazione e rielaborazione in formascritta.

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E, d’altra parte, come i giovani vedevano lui?

I primi lo vedevano come un coetaneo, perché lui era giovane e loroavevano interrotto gli studi essendo stati in guerra, spesso prigionieri.E lui li aveva raccolti, uno alla volta. Quindi c’era un rapporto molto cor-diale, ma esigente. Dopo questi primi anni, i giovani lo vedevano comeun padre. Infatti, appena fatto l’esame bisognava andarlo a riferire, e apranzo si dovevano declamare i voti. Se uno era in difficoltà, veniva aiu-tato. I primi anni, tutti gli allievi laureati in chimica hanno fatto carriera.Gli “anziani” poi avevano a cuore i più giovani. Don Tosi faceva in modo

che le stanze a più posti fossero occupate da studenti di tuttele Facoltà: in questa intuizione ha precorso i tempi, e parliamodi 50 anni fa! Lasciava la massima libertà… anche se organiz-zava le assemblee generali, e chi non aveva partecipato dove-va andare, prima di passare in refettorio, sul primo banco della

Chiesa, dove don Tosi preparava il testo del discorso, su cui poi sareb-be stato interrogato! Il suo senso della libertà era estremo: organizzavaconferenze invitando professori amici che professavano varie ideolo-gie. Aveva infatti anche cari amici non credenti, che con il suo carismariusciva a invitare a far conferenze e a partecipare a concorso e revi-sione. Ad esempio ricordo che veniva uno dei rifondatori, assieme aTogliatti, del Partito Comunista, che abitava in via Dimesse.

Quanti anni ha lavorato in Collegio?

Sono rimasto a lavorare parecchio… fino al 1998, come segretariogenerale dell’Opera di don Mazza.

Don Tosi aveva sensibilità ma anche spirito pratico: proveniva dauna famiglia di commercianti. Tutte le costruzioni a Verona e a Padovasono state realizzate da lui, certo promosse da mons. Albrigi, superio-re generale, ma se non c’era lui… e sempre senza soldi! Con l’aiutodelle banche, l’Antoniana a Padova, la Popolare a Verona: era amico ditutti i presidenti, che si fidavano di lui… I contributi arrivavano sempretardi, e c’era bisogno di avere sempre il massimo scoperto che essepotevano concedere. Le banche concedono il prestito con garanzia,ma l’unica garanzia che don Tosi poteva dare era la sua attività. Ed eroio a firmare gli assegni, sempre con il cuore sospeso, perché avevocostruito casa nel 1962…. Don Tosi diceva che il suo desiderio piùgrande era quello di riuscire a buggerarle in vita, visto che “le banchesono quelle che ti danno l’ombrello il 15 di agosto e appena è nuvolote lo tolgono”. Ma non si riesce a far le feste alle banche… Ricordoquando andammo, quel 6 settembre, giorno del mio compleanno, a

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Illasi nella villa del prof. Trabucchi, consigliere delegato della bancaAntoniana, per perorare la concessione dell’anticipo di un ulteriore pre-stito di… 50 milioni!

Quale fu la conquista più importante del Collegio in quel periodo?

Per don Tosi i rapporti personali erano alla base di tutto. Per questopartecipava a tutte le manifestazioni per farsi degli amicizie importanti. Unsegno di questo suo modo di agire è che mandava a tutti i possibili bene-fattori gli auguri di Pasqua e Natale, oltre alle sue encicliche: questo faci-litava all’inizio l’ottenimento di aiuti e contributi. Ad esempio ilSottosegretario di Stato, che conosceva personalmente, offrivacontributi. La conquista più importante forse è stata la leggepost-bellica. Quando fu redatta questa legge per aiutare i redu-ci a re-inserirsi nella società, don Tosi riuscì tramite l’OnorevoleGui, Ministro della Pubblica Istruzione, che era di Padova, a inserirvi cheuna parte delle sovvenzioni per le opere universitarie potesse esseredestinata anche ai Collegi Legalmente Riconosciuti e posti sotto la vigi-lanza del Ministero. Si tratta della Legge 73 del 1962, a cui seguì quelladel 1966 (sovvenzioni per l’ordinaria amministrazione) e quindi quella del1974 (il 5% dei fondi per le opere edili universitarie vanno ai Collegi). Eda allora le cose andarono più regolarmente. Quando stese lo Statuto delCollegio, don Tosi impose poi espressamente che il Ministero parteci-passe al Consiglio con un suo rappresentante: questo facilitò i rapporticol Ministero, nel senso che le esigenze del Collegio venivano portatecosì allo Stato. Del CdA dovevano far parte anche: un rappresentante delMagnifico Rettore, un rappresentante del Vescovo di Padova, un rappre-sentante della Pia Società. A questo proposito, ricordo che quando ilPrefetto Celona nel 1954 lesse lo Statuto, mimando con le braccia inavanti disse “Don Tosi, con questo Statuto lei si lega le mani!”. Ed eglirispose: “ Le slegheranno la Madonna del Divino Amore e Dio! SarannoEssi a vegliare…”.

Ricordo che entro gennaio bisognava stendere per il Ministero larelazione sul bilancio dell’anno precedente, su studenti, laureati, attivi-tà fatte. In base a questa relazione veniva definito il contributo. Poi all’i-nizio degli anni 70 entrò nel CdA la dott.ssa T. P. Cammarano, che fecein modo che la relazione venisse stesa non più come prima a grandilinee e in base alle diverse entrature e appoggi degli enti, ma in baseall’effettiva realizzazione delle attività assistenziali e culturali: i pasti, icorsi interni, Bressanone, l’ospitalità… il Collegio ne aveva da vendere!Così siamo stati tutelati.

Un altro aspetto importante fu Bressanone. L’università, per dare la

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possibilità di una sessione di esami in più, istituì i corsi estivi nel 1952.Don Tosi fece da supporto creando la parte logistica, con l’affitto adesempio del Seminario Maggiore e del Minore. Le lezioni si svolgeva-no in via Dante, nella scuola pubblica. Era un’occasione importante pergli studenti, perché all’epoca esistevano solo la sessione estiva e quel-la autunnale. Conservo ancora due foto risalenti a questo primo annodi Bressanone, in cui sono ritratti De Gasperi con la moglie, il MagnificoRettore G. Ferro, il prof. Trabucchi, il sindaco di Bressanone De Jaco, C.Fornalè ed io, all’epoca rappresentante di facoltà (cfr. foto nella pagina,sotto).

Qualcosa sulla contestazione?

A quel tempo, nel 1972, don Tosi era stato confermatoSuperiore e nominato Rettore del Convitto Municipale di

Desenzano dal vescovo di Verona. Io per la mia carica facevo parte

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della Direzione, e don Pretto, che era Direttore, era disposto a far sìche rappresentanti degli studenti entrassero in Direzione, mentre donTosi non era d’accordo. Ricordo la sua lettera che diceva pressappo-co così: “Tu devi resistere, perché loro hanno sempre partecipato atante cose, ma nella Direzione non possono avere valore di voto. Ioli ho sempre sentiti e ascoltati, ma è la Direzione che guida la partemorale”* . Fu fortunato che la contestazione non lo trovò presente. Fuanche criticato nella Pia Società.

C’è qualcosa che lo ha colpito, che gli è rimasto impresso su don Tosi?

Da una parte, lo spirito goliardico, soprattutto nel linguag-gio. Dall’altra, la sincerità che traspariva. E poi, il fatto cheriusciva a sistemare tutti gli allievi, almeno i primi. Con le cono-scenze che aveva, non aveva bisogno di cercare, perché chil’aveva conosciuto si rivolgeva a lui per chiedergli se avesse “qualcunobravo da mandargli”. Ricordo che veniva rimproverato per il fatto chesembrava non farsi mancare nulla, ma non lo faceva certo per se stes-so: viaggiò sempre ovunque, ma solo per ottenere contributi per lacausa del Collegio. E quello che si vede, l’ha fatto tutto lui!

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State ancora gridando, ingiungendo, occupando?Non avete infranto niente perché sapete che le cose costano

e perché siete figli di buona gente. Da noi non c’è proprio nulla da occupare:

non c’è un letto libero né un posto vuoto a tavola,anche se in chiesa se ne trovano sempre…

Qualcosa avete tentato di fare e nessuno vi rimprovera il proposito di incunearvi nella vita stessa della nostra Istituzione

per divenirvi parte viva e corresponsabile. […] Se sapessi cogliere,anche in questi conati, la sincera volontà di rendere più apprezzabile

e salda la nostra grande Casa, saprei comprendervi.

Don Tosi, chiacchierata di primavera, 6 aprile 196912*

Il padre e il direttore: due volti

Intervista a Carlo Fornalè, Presidente del CdAdi Marco Caneva

Ricorda qualche lato del carattere di don Tosi che l’ha particolarmentecolpita nel periodo in cui lei era studente?

Ritengo che la sua domanda sia volta ad evidenziare calche aspettodella personalità di don Tosi. Se mi riferisco all’esperienza di studentedevo dire che il mio rapporto non fu facile, perché dopo percorsi tran-quilli, ogni tanto, scattava qualche cortocircuito. La causa era da ricerca-re nel fatto che ritenevo fondamentale la mia libertà personale, per cui mitrovavo non infrequentemente in contrasto con le linee di don Tosi diret-tore. Non ero il solo. Perché occorre distinguere fra il don Tosi quasi liber-tario degli incontri amicali, il don Tosi “padre”, e il don Tosi direttore. E’chiaro che il rapporto studente e istituzione è necessariamente sfuocato.Don Tosi sentiva forte il senso della paternità. In questa dimensione sape-va ben rapportarsi alle singole individualità, essendo molto comprensivoe generoso. Basti pensare che, agli inizi del Collegio, andò a raccoglieregli ex allievi di Verona i quali dopo le disavventure di guerra, lager, clan-destinità, si erano dati per vinti ed erano ritornati o stavano tornando allavoro nelle famiglie o presso terzi. Si preoccupava dei suoi allievi, che lui

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12 L’intervistato cita il messaggio di don Tosi da cui ricavo questo brano come “larisposta migliore e completa” sul tema “contestazione degli studenti” proposta dal-l’intervistatore, e invita alla lettura dell’intero testo (nota del curatore.).

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“paternamente” chiamava “figli”, quando erano in difficoltà. Li seguivaanche quando, per varie ragioni, lasciavano il Collegio. In lui era preva-lente la spinta sentimentale che non riusciva sempre a soggiogare con larazionalità. Don Tosi, molto attento nel rapporto personale alle individua-lità, tendeva a semplificare quando da “padre” diventava direttore. Non lodiceva, ma pensava che un buon condottiero non può essere messo indiscussione. E tale egli si sentiva, essendo noi suo piccolo esercito nellabattaglia assai impegnativa che aveva abilmente e generosamente intra-preso, per rilanciare gli ideali del don Mazza in una società che stava rin-novando e che tra tanti compiti si era dato quello di far accedere aglistudi anche i giovani intellettualmente dotati, ma privi di mezzi.Don Mazza, questa la sua giusta tesi, aveva anticipato laCostituzione di quasi un secolo e mezzo. Questa fu la sua intui-zione: era lo stato che doveva riconoscere il Collegio universi-tario Don Mazza e fornirgli i necessari mezzi economici per ilsuo funzionamento. Noi eravamo cresciuti al S. Carlo di Verona con unavisione tradizionale della Provvidenza, e ci stupiva l’innovativa imposta-zione di don Tosi, il quale affermava che era dovere costituzionale dellostato riconoscere il Collegio Don Mazza che accoglieva studenti dotatiintellettualmente, ma privi dei mezzi necessari per affrontare il percorsouniversitario. Il riconoscimento doveva comportare anche l’erogazione dicontributi economici adeguati per il funzionamento del Collegio. Sempredi Provvidenza si trattava, perché c’è anche quella proveniente dall’edic-tum principis. In questo caso aveva operato alla fonte nel momento dellaformazione della Carta Costituzionale. Noi studenti seguivamo l’intensaattività di don Tosi sempre in movimento tra Padova, Roma e Verona,sempre presente negli incontri ufficiali per far conoscere l’iniziativa e leprospettive mazziane in modo da ampliare la cerchia degli amici ed esti-matori. Certo, se ammetteva che ci si poteva sottrarre al “padre” non pen-sava neanche lontanamente che si potesse mettere in discussione il“Direttore” . A questo livello affiorava in don Tosi la tentazione autoritariae nascevano i conflitti. Portate a giusta distanza nel tempo molte cose simisero a fuoco ed allora emerse l’opera grande che aveva intrapreso eportato a conclusione. E’ difficile comprendere come sia riuscito a darestabilità all’iniziativa mazziana in Padova in soli sei anni. Don Tosi, vale lapena ricordarlo, era stato considerato dal vescovo del tempo “pietra dascartare” per l’attività pastorale a causa delle non buone condizioni disalute. Da qui la sua destinazione all’Istituto Don Mazza nel quale entròcome padre spirituale nel 1946. Dopo due anni era a Padova, in ViaUmberto I, ove aveva ottenuto, con il determinante intervento di Mons.Albrigi, una sede per il Collegio messa a disposizione da una societàall’uopo costituita e finanziata da alcuni ex allievi. Contemporaneamente

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si impegna per la costituzione della fondazione e del riconoscimentodella stessa in Ente morale. Ottiene il decreto del Presidente dellaRepubblica nel 1954. Si era mosso attivamente per individuare ed acqui-sire una nuova sede per il Collegio, essendosi ben presto dimostratoinsufficiente il palazzo in Via Umberto I. Ottiene dallo Stato il complessoS. Marco in Via Savonarola, lo ristruttura e realizza i nuovi corpi residen-ziali. Gli studenti possono entrare nella nuova sede sempre nel 1954.Tutto in sei soli, ma intensi anni e senza alcun mezzo economico dispo-nibile in proprio.

A queste opere si aggiungono il nuovo Collegio - convitto in Via S.Carlo a Verona, oltre alla residenza universitaria. Per donTosi il Collegio non era una semplice residenza per affronta-re gli studi universitari, ma, doveva essere un centro di for-mazione spirituale e culturale per una più completa prepa-razione dei giovani studenti. Per lui doveva essere anche di

più, una famiglia. Inutile sforzo era quello di cercare di fargli com-prendere che era un’esagerazione che sconfinava nella finzione.Certo noi lo vedevamo come colui che ci aveva consentito di poteraccedere agli studi universitari in pienezza, ed a quel tempo non eracosa di poco conto.

Cosa pensava don Tosi delle contestazioni degli studenti negli anni ‘70e come reagiva di fronte a queste?*

Il rapporto don Tosi - studenti in quegli anni non lo conosco se nonper quello che emergeva nel Consiglio di Amministrazione, nel qualeentrai, chiamato da lui, nel 1971... solo per qualche mese... Questa èperò un’epoca complessa all’interno della quale non è più isolabile ildiscorso rapporto don Tosi - studenti. Tale rapporto deve essere inqua-drato nel contesto generale ed in quello più diretto della Pia Società.Bisogna tenere presente che in quel periodo, gli anni di piombo, nellastessa struttura ecclesiastica si incrina una compattezza preesistente.

Questo succede anche all’interno della Pia Società che a quell’epo-ca era ancora molto giovane. I sacerdoti erano divisi fra la posizione diapertura globale alla contestazione e quella di conservazione dell’isti-tuzione. La domanda andrebbe quindi ampliata, vista in un contesto piùvasto, almeno per la parte che ha avuto la Pia Società in questa vicen-da. Nel 1969 si tiene il Capitolo della Pia Società per l’elezione delSuperiore e dei membri della Consulta, organo di governo. Don Tosinella sua qualità di vicario era subentrato di diritto a Mons. Albrigi cheera deceduto. Inaspettatamente per l’ambiente esterno, don Tosi nonviene eletto e gli succede nella carica don Carlo Avanzi.

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Nello stesso anno, se mal non ricordo, viene nominato Direttore delCollegio universitario don Luigi Pretto, il quale asseconda la spinta peril riconoscimento dei movimenti studenteschi e delle loro istanze. DonTosi rimane solo presidente del Consiglio di Amministrazione delCollegio. Gli studenti si trovano davanti direttamente don Pretto, indi-rettamente don Tosi. Il primo come direttore e dalla massima apertura,il secondo come Presidente del C.d.A., ma poco disposto a sentir porrein discussione le tradizionali concezioni della mazzianità. Egli sentival’obbligo di rispettare e far rispettare gli statuti per fedeltà ad una idea-lità mazziana che gli apparteneva e poi per la dipendenza dal contri-buto dello stato. Questo veniva erogato per le finalità specifi-che del Mazza che dovevano essere rispettate in sé e per l’os-servanza dello stesso dettato Costituzionale. Quindi don Tosidovette prendere delle posizioni ufficiali piuttosto in contro-tendenza rispetto all’andamento del tempo. Comunque egli,non essendo più direttore ma solo presidente del C.d.A., non aveva unrapporto diretto con gli studenti. Forse il suo limite è stato quello di nonaver esaminato se in tutto quel tafferuglio di nebulosità e di violenzanon si poteva trovare un filo da cui cominciare a “fare gomitolo” perinserire qualcosa di nuovo. Forse per apportare innovazioni che noncomportassero la destrutturazione dell’istituzione. Come accade inqueste vicende, si dovette arrivare alla crisi dell’istituzione per poiriprendere, non senza difficoltà, un cammino più sereno.

Ricorda qualche aneddoto particolare su don Tosi?

La vita del Collegio era molto vivace anche per la presenza di stu-denti in età che avevano sperimentato la guerra e la prigionia acqui-sendo personalità molto forti. Ricordo che don Tosi organizzò dei “corsiinterni” di teologia e morale. Docente, naturalmente, non poteva cheessere lui. Alla fine di una delle prime lezioni un nostro compagno chie-se dei chiarimenti. Uno dei presenti espresse la sua meraviglia perchéquello che aveva detto il “padre” era “testuale” (cioè letto). Scoppiaronole risa e don Tosi ne addossò la responsabilità all’interrogante, nei con-fronti del quale adottò una pesante sanzione disciplinare. Il gruppo disoccorso si riunì ed indisse pubbliche cerimonie funebri “in morte dellelibertà”. Furono affissi avvisi, listati a lutto e concettosi, per tutto ilCollegio con indicata l’ora del funerale. Questo fu celebrato da uno deimaggiorenti ed il corteo percorse tutti i corridoi per arrivare alla suaconclusione in sala. Per tutta la casa si diffusero le melodie funebri gre-goriane, ma con parole italiane preparate per l’occasione. Il provvedi-mento disciplinare fu oscurato.

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Lo potrà prendere una tremenda tentazione: quella di gridare alle mille ingiustizie e di lasciarsi gettare

nella piazza dall’impeto dei poveri, degli scontenti, dei tribolati. Questa corsa gli riuscirebbe facile e l’ansia di cercare

subito e senza attese le bandiere può anche renderlo impaziente e farlo balzare al suo posto per metterlo sulla strada dei violenti

che vogliono travolgere ingiustizie per prepararne delle altre più gravi e nefaste.

Don Tosi, conversazione rivolta agli studenti in assemblea generale, 14 gennaio 1957

Una posizione diversa dalla mia

Intervista a don Luigi Pretto, membro della Pia Società e successore nella direzione del Collegiodi Rino Modonutti

don Tosi

Posso testimoniare la sua grandezza e la grande positività di unafigura forte, imperativa, affascinante, capace di attirare intorno a sé per-sone (studenti e non solo), energie, risorse. Senza don Tosi il Collegio,così come oggi si presenta, non esisterebbe.

Primi contatti

Ricordo di aver conosciuto don Tosi quando ero ancora studente aVerona: si trattò di una conoscenza superficiale anche a causa dellasua presenza soltanto sporadica in Collegio a Verona, della quale con-servo perciò soltanto ricordi vaghi.

I rapporti si fecero più intensi quando egli fu incaricato dal Superioredella Pia Società come responsabile della comunità di coloro che siavviavano a essere preti mazziani.

Ricordo come fin dall’inizio emergesse tra me e lui quella differenzad’indole e di pensiero che ci avrebbe più avanti portati a confrontarciin maniera franca e anche aspra su diversi aspetti, in particolare dellagestione del Collegio di Padova, alla direzione del quale io sostituii donTosi, divenuto Superiore della Pia Società.

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Le posizioni di don Tosi da un lato e le mie dall’altro si allontanaro-no proprio negli anni Sessanta, quando il dibattito e il fermento che ani-mavano tutto il mondo culturale e politico si facevano sentire ancheall’interno del Collegio.

Su questa istituzione le idee che animano il direttore e il fondatore– superiore si rivelarono molto diverse.

L’idea di don Tosi sul Collegio universitario

Il Collegio secondo don Tosi si presentava come qualcosa di estre-mamente strutturato in ogni suo momento: ne erano esempioi corsi interni obbligatori che si erano estesi anche al periodoestivo. Si trattava di un Collegio che intendeva offrire un pro-getto ben definito e, appunto, strutturato di formazione e dicrescita, al quale chiedeva di aderire: quelli erano i valori, quel-le le forme e i modi in cui si articolava la proposta del Collegio e lo stu-dente, entrando, accettava questo progetto e ad esso si uniformava.Insomma, un Collegio pensato come un blocco ben definito che si pro-poneva come presenza forte e significativa ad alto livello, come sogget-to forte di una comunità lato sensu politico – culturale, di una società.

Diversa l’idea di don Pretto

Per me la componente della formazione dell’individuo era la neces-sità prevalente. Il Collegio doveva (e deve) essere per me un luogo incui allo studente si offrisse la possibilità di esprimere al meglio la suaindividualità; nel quale lo studente potesse trovare gli strumenti e leoccasioni per poter realizzare con completezza e in totale autonomia lapropria personalità; un’istituzione che quindi prevedesse e accettassela possibilità di accogliere al suo interno posizioni ideologiche e cultu-rali diversificate, anche confliggenti tra loro e diametralmente diversedai valori che avevano animato il suo sorgere. Lo “spazio” in cui questadivergenza profonda si manifestò fu l’assemblea degli studenti e il suoruolo.

L’assemblea degli studenti secondo don Tosi e quella secondo donPretto

Fin dalla sua nascita il Collegio prevedeva un’assemblea degli stu-denti interpretata da don Tosi come occasione offerta dalla Direzione edal Direttore per comunicare agli studenti lo stato di un’opera in fieriquale allora era il Collegio; per far sapere agli studenti verso quali stra-

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de si muoveva il progetto mazziano; per far conoscere con chiarezzaagli studenti quali fossero i valori e le idee che quel progetto animava-no. Don Tosi considerava l’assemblea un luogo in cui comunicare, nonun luogo in cui discutere ed eventualmente decidere. Tutt’altre direzio-ni seguiva il mio pensiero, che vedeva nell’assemblea non solo unluogo di discussione, ma anche uno spazio, nel quale potevano venirformandosi le decisioni che avrebbero indirizzato la vita del Collegio,inteso come qualcosa di fatto e pensato dagli studenti con coloro cheerano, per così dire, depositari delle linee guida dell’istituzione.

E riguardo alle dimensioni del Collegio?

Come è noto don Tosi, anche in risposta a una domandamolto forte, aveva reso molto ampio il numero di posti dispo-nibili e aveva anche progettato una cittadella universitaria in

grado di accogliere ben cinquecento studenti: ancora un progetto inlinea con un Collegio inteso, come sopra si è detto, come istituzionestrutturata che si propone a livello alto sulla scena sociale con caratte-ri e valori ben definiti ed identificabili. Un Collegio così grande non erachiaramente compatibile con una visione come quella mia di una cre-scita personale, individuale, di coscienza, per la quale servono tempo,silenzio, profondità.

Il nucleo di fondo della divergenza resta come si può vedere sem-pre il medesimo: un Collegio capace di aggregare, raccogliere, di radu-nare, per poi proiettarsi all’esterno nella sua compattezza; o un Collegiodi coscienza, di aiuto alla crescita degli uomini nel loro se stessi, di par-tecipazione a un’idea, meditata anche attraverso, se necessario, la con-trapposizione ad essa?

Un aneddoto prima di salutarci…

Tengo a mettere in evidenza l’umanità della persona don Tosi.Faccio un esempio in qualche modo estremo: un ragazzo espulso e ilgiorno dopo contattato da don Tosi, disponibilissimo ad aiutarlo in ognimodo. Il segno di un’umanità calda a completare il quadro di una per-sonalità complessa e capace di portare una presenza molto significati-va e altamente meritoria.

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I ricordi di (due)sostenitori

1952, prima edizione dei corsi estivi a Bressanone. Si riconoscono al centro: De Gasperi con la moglie, il Magnifico Rettore G. Ferro, il prof. Trabucchi, il sindaco De Jaco, C. Fornalè, L. Concheri

(nella foto, esattamente sotto la moglie di De Gasperi).

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Preparati, devi convincerti che non ti è più oltre consentito, tanto meno nell’avvenire,

di tenerti estraneo e assente da impegni sociali e politici. Chi lo fa volutamente, per egoismo nefasto o per capricciose

manifestazioni del suo orgoglio vulnerato, si associa ad un male che non può non coinvolgere

la sua coscienza di uomo e di credente.

Don Tosi, Colloquio, Pasqua 1964

Un’autorità politica

intervista al senatore Luigi Gui, Ministro dell’Istruzione di Davide Barbieri

Come ha conosciuto don Tosi?

Ho conosciuto Don Tosi quando ero un parlamentare nelle fila dellademocrazia cristiana; ho partecipato all’apertura del Collegio nell’at-tuale sede di via dei Savonarola e ho assistito al suo sviluppo notevolecon il passare degli anni.

In quel periodo i collegi universitari erano pochi e per lo più religiosi. L’università di Padova doveva ancora svilupparsi e iniziava in quegli

anni a ingrandirsi: l’iniziativa di Don Tosi rispondeva ad una necessitàche di anno in anno diventava sempre più pressante, cioè quella didare alloggio e favorire la presenza di studenti che frequentavano l’u-niversità a Padova, ma che provenivano dalle province vicine o addirit-tura da altre regioni.

Cosa l’ha colpita di più della figura di don Tosi?

Ho stimato tantissimo la passione e l’impegno con cui si dedicavaall’assistenza e alla formazione degli studenti. Uno slancio appassiona-to per il “suo Collegio” e una grande intelligenza sono sicuramente itratti del suo carattere che più mi sono rimasti impressi.

Ha mai avuto scontri, magari ideologici, con don Tosi?

No, assolutamente no, anzi quelle volte che sono intervenuto nelvostro Collegio, sempre su tematiche riguardanti l’istruzione, tra le posi-

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zioni mie e quelle di don Tosi si è verificata molta più vicinanza che nontra le mie e quelle degli studenti!

Secondo lei, anche come padovano, come si può definire il rapportodel Collegio con la città?

Io lo ritengo un rapporto ottimo, anche perché il Collegio è un’istitu-zione formativa che offriva e offre un livello culturale e morale molto alto.

Don Tosi era un sacerdote appassionato, molto sensibile alle esi-genze di quel tempo, in cui l’Italia, uscita dalla guerra in maniera dis-

astrosa, riesce a rialzare la testa anche grazie a iniziativecome quella del Mazza, dando l’opportunità a giovani senzagrandi mezzi finanziari di raggiungere la laurea e otteneremagari posti di prestigio.

Quali erano le grandi differenze tra il Collegio Don Nicola Mazza e i varicollegi universitari che iniziavano a essere creati in quel periodo?

Il Mazza non forniva solo un alloggio, ma dava anche una ulterioreformazione prima di tutto religiosa e morale e poi anche scolastica.

Si respirava uno spirito di dedizione ai giovani che era sostenutocon tutta la forza da Don Tosi.

E l’idea di un Collegio femminile era stata prospettata da Don Tosi? Il problema era stato messo sul tappeto, anche perché con l’aper-

tura dell’università e le riforme dell’istruzione, alla quale anch’io in parteho contribuito, il numero degli studenti universitari aumentava enor-memente e di conseguenza anche il numero delle studentesse.

A Padova esistevano già collegi che fornivano alloggio a questeragazze, ma non esisteva un corrispettivo del Don Mazza, con le sueproposte formative e soprattutto con una figura di direttore così forte eappassionata.

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Di fronte alla realtà spirituale e religiosa dei giovani – primo anelito della nostra ansia apostolica e sacerdotale –

desideriamo che i nostri studenti si impongano con un’assolutacoerenza: cristiani nella mente, cristiani nel cuore!

Don Tosi, inaugurazione XIV a.a., novembre 1962

Un’autorità religiosa

intervista a Mons. Luigi Sartoridi Maurizio Carboniero

Quali sono e quali sono stati i suoi rapporti con il Collegio?

Prima dell’attuale sede, il Collegio era situato in un luogo più vicinoal seminario; presso il Collegio tenevo dei corsi di teologia e, poiché ilmetodo per parlare agli studenti del Collegio era diverso da quello concui si insegnava la teologia in seminario, i mazziani sembravano piùappassionati dei seminaristi. Attualmente vengo invitato saltuariamentea tenere conferenze in Collegio su tematiche inerenti la teologia.

Che ricordo ha di Don Tosi?

Non ho conosciuto in maniera personale Don Tosi, ma l’ho cono-sciuto come direttore del Collegio o per meglio dire come “istituzionedel Mazza”. Ho avuto contatti semplicemente per organizzare le lezionidei corsi che tenevo, e ho notato in lui un’enorme passione per i gio-vani. Era esigente con loro riuscendo a farne emergere i veri valori fon-damentali. Per questo posso affermare che Don Tosi è stato il protago-nista del dopoguerra padovano, ovvero della ricostruzione, non mate-riale ma spirituale.

Che differenza nota tra il Collegio di ieri e quello di oggi?

Il cambiamento è il riflesso del cambiamento della mentalità gene-rale. Io lo posso analizzare dal punto di vista teologico, in quanto si èpassati da una teologia “prefabbricata”, che si insegnava in tal modo damolto tempo senza innovazioni, ad una teologia che pone notevoleattenzione ai grandi interrogativi dell’uomo. Inoltre oggi la teologia e lafede non sono più un corpo estraneo, ma una voce che parla a tutti.

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Questo si riallaccia alla vita del Collegio: gli studenti partecipano per-ché ci si confronta sui grandi temi che interessano a tutti.

Cosa pensa dei giovani d’oggi?

I giovani d’oggi sono caratterizzati dalla specializzazione: ognunodiviene esperto o addirittura un genio in un piccolo campo, ma questolo porta a perdere la visione generale dei problemi e quindi all’indiffe-renza. La religiosità al contrario è un valore che “fa da collante” in quan-to dà la possibilità all’uomo di uscire dal suo piccolo e affrontare i pro-

blemi generali salvando l’uomo dallo smarrimento. La micro-specializzazione può comunque essere vista come un fattorepositivo perché l’interdipendenza, ovvero il dover rivolgersi adaltri perché più specializzati, favorisce la recettività nei con-fronti dell’altro, la comunione e l’umiltà. Inoltre, dal mio punto

di vista posso dire che Dio entra nella vita di tutti i giovani, anche diquelli che si professano atei, perché molti di questi si appassionano avalori elevati come la pace, la fraternità, la giustizia…

Di cosa hanno bisogno i giovani d’oggi?

La vita del mondo d’oggi è simile ad un supermercato: vi sono tantecose da poter scegliere ma non c’è una guida a cui ispirarsi. Così anchei giovani, non avendo una guida, sembrano confusi. Proprio per questose fossi un politico dedicherei il settanta per cento delle risorse all’e-ducazione, che comunque dovrebbe essere rivolta anche agli adultialmeno fino ai quaranta anni. Ai giovani infatti occorre far capire i veriproblemi e mostrare che vi sono delle mete da raggiungere. Per que-sto servono persone che incarnino i valori, come il Papa; ma ne servi-rebbero molte e più vicine a loro. Un modo per far conoscere ai gio-vani persone di questo tipo sono le raccolte letterarie sulla vita di gran-di uomini, come la leggenda aurea medioevale, scritta da un domini-cano che riportava anche personaggi dell’islam o orientali comeBuddha. Queste persone, infatti, non devono essere per forza santi, masemplicemente portatori di valori, figure amanti della verità o del fare ilbene. Il catechismo della chiesa riesce poco a penetrare perché è fon-dato tanto sulla filosofia scolastica e meno sulla vita di grandi uomini.Ad esempio si può citare Don Bosco che faceva leggere ai giovanidelle raccolte della vita dei santi. Il cristianesimo può ricominciare daigiovani se viene visto non come cosa data ma come un rifiorire di pas-sioni o come cammino verso la verità e risveglio della coscienza.

Interrogativo finale: Cristo è davvero vicino a noi?

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I ricordi degli allievi di ieri

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Prima parte

Interviste realizzate da allievi di oggi

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Eravamo partiti da Verona con poche migliaia di lire in tasca come se si fosse trattato

di venire in pellegrinaggio al Santo. Abbiamo passato il primo anno come

se si fosse in un accantonamento. Quando si è attendati non c’è tempo per fare i complimenti.

Il secondo anno ha visto delinearsi una situazione salda quanto la nostra tenacia e dinamica quanto i nostri desideri.

C’è stato del miracoloso, certamente.

Don Tosi, Discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico III, 19 novembre 1950*

1948

Bravi, buoni e corni bassi!

Intervista a Nicolò Grubissichdi Alberto Monese

Cosa ricorda del primo incontro con Don Tosi, in quale occasione?

La prima volta che incontrai Don Tosi ero ancora uno studente licea-le e lui venne ad un incontro di giovani della parrocchia di S. Stefano.Mi impressionò per la sua fede entusiasta, tanto che ne rimasi moltocolpito e lo ricordo ancora con ammirazione. Ne nacquero una amici-zia e un rispetto molto forti, e posso dire che con il tempo mi affezio-nai a lui come ad un padre.

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Come immaginava Don Tosi il futuro dei ragazzi e del Collegio a queltempo?

Nel ’45, finita la guerra, molti giovani che erano stati allievi delCollegio erano tornati a casa avendo interrotto gli studi universitari acausa della chiamata alle armi. Don Tosi era molto preoccupato perquesti ragazzi che non avevano la possibilità economiche per ripren-dere gli studi. In particolare molti abitavano in provincia e non avevanomodo di recarsi assiduamente nella facoltà di Padova. Don Bepi siimpegnò per offrire a molti di loro un alloggio, individuato in un’ala del-

l’edificio di San Carlo, così che potevano andare e tornare ingiornata da Padova: così nacque un piccolo Collegio universi-tario. Il suo intento però era quello di continuare l’opera diDon Mazza consentendoci di dare il meglio di noi stessi perriuscire particolarmente utili alla società ed alla chiesa. Il suo

motto era: “Bravi,buoni e… corni bassi!”.

E poi il Collegio si è spostato a Padova...

Già, perché Don Bepi non sopportava una situazione pur sempreprecaria: sognava di riaprire a Padova quello che era stato il colleginodi via Ognissanti.

Così finalmente nell’Ottobre del ‘48 inaugurava la residenza di viaUmberto: come era la vita nei primi passi dopo il “ritorno a Padova” ?

All’inizio non fu certo facile! Il Collegio di Verona non aveva lerisorse finanziarie per una tale impresa, ma Don Tosi non si scorag-giò e grazie al suo carattere tenace e alla forza delle sue convinzioniriuscì a far acquistare il Palazzo da quattro allievi facoltosi che si uni-rono appositamente in una società dal titolo “Pietas et Scientia”. Pochierano i denari di cui disponeva Don Tosi, ed egli amava ricordare cheera giunto a Padova con poche migliaia di lire *; perciò impegnava gliospiti a versare un “libero contributo mensile” a seconda delle pro-prie capacità economiche chiedendo ad alcuni di loro qualche formadi collaborazione. Già per dotare di un minimo di attrezzatura ilCollegio aveva ottenuto dalla P.O.A. Pontificia Opera di Assistenza)trenta brandine per dar da dormire ai trenta “cofondatori” che con luiavevano occupato la sede. Per il vitto, inizialmente dato che il palaz-zo disponeva solo di una piccola cucina povera di attrezzatura, avevaottenuto di ricevere il cibo per pranzo e cena dalla mensa del vicinoSeminario vescovile.

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Ma non era una semplice “residenza”, giusto?

No, infatti Don Tosi volle dimostrare subito a tutti, alla città ed alleistituzioni, che in via Umberto non c’era solo un palazzo dove gli stu-denti potevano trovare un alloggio, ma un luogo dove potevano cre-scere e maturare a livello umano, spirituale ed accademico. Per questo,oltre all’impegno allo studio, chiedeva agli ospiti come minimo ancheun impegno spirituale quale la partecipazione alla S. Messa quotidiana,scherzosamente definita “liberamente obbligatoria” e alla recita delvespro. Nel caso di… renitenza non mancava da parte del padre unrichiamo talvolta bonario e talvolta anche severo. Don Tosidimostrava un aspetto del clima familiare e del suo spiritopaterno con il suo sollecito interessamento ai successi ed agliinsuccessi dei suoi “figlioli” e alle vicende delle loro famiglie,con le quali cercava di trattenere un rapporto diretto. Per otte-nere il massimo di considerazione del Collegio, Don Tosi cercò la col-laborazione dell’università e volle che la nostra carriera accademicafosse periodicamente “revisionata” da una apposita commissione didocenti universitari. Inoltre bisogna ricordare i suoi frequenti viaggi aRoma per avviare contatti fruttuosi con il Ministero della PubblicaIstruzione, e così ottenne un riconoscimento ufficiale della sua opera.

Con tutti questi impegni, riusciva a trovare del tempo da trascorrere convoi allievi?

Certamente, Don Tosi era molto geloso dei suoi allievi, ai quali davacontinua testimonianza del suo affetto paterno contribuendo così amantenere quel clima familiare che gli era caro e per il quale noi sen-tivamo il Collegio come una seconda famiglia. Ed ecco che amavapranzare e cenare con noi nel grande salone che diventava così anchesala da pranzo, dove si sbrigliava spesso la nostra allegria.

Un aneddoto che ricorda con particolare piacere ed uno che le pareriassumere l’animo di Don Tosi.

La sua testimonianza costante era quella della sua fedeltà agli idea-li di Don Mazza, ma soprattutto del suo amore e della sua totale dedi-zione a Cristo e alla Chiesa, e questo lo faceva in ogni occasione: neicolloqui personali, nelle assemblee generali e nell’indirizzarci i suoiscritti scherzosamente qualificati come “encicliche”. Ma a queste notedi forte serietà bisogna aggiungere che valorizzava anche lo spiritogoliardico e la fraternità che si era formata tra noi manifestando spes-

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so quello che forse era uno degli aspetti più appariscenti del suo carat-tere e cioè una espansiva giovialità. Ricordo al proposito che quando atavola non capiva una barzelletta diventava pensieroso e si faceva spie-gare nell’orecchio il significato da uno di noi, per poi esplodere in unagrassa risata accompagnato in coro da tutta la tavolata!

baefba

Con un libretto mediocre non si entrerà in questa casa, dove lo studio e la cultura dovranno essere

la preoccupazione più costante. Non sarà questione d’una corsa all’ottimo

per un poco simpatico atteggiamento di superiorità. Si tratterà, piuttosto, di saper sfruttare i doni di Dio

nella maniera più decisiva.

Don Tosi, Bollettino, 21-11-1949

1952

Un galantuomo autorevole

Intervista a Luigi Masuttidi Daniele Panato

In quali anni lei ha vissuto all’interno del Mazza?

Dal 1952 fino ai primi anni di dottorato volontario.

Quanti studenti eravate all’interno del Collegio?

Circa 100 ragazzi.

Cosa si ricorda di don Tosi?

Era un galantuomo autorevole, perché ha dato anima e corpo alla

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formazione dei giovani assecondando la causa di don Mazza.Faceva delle conversazioni formative con i giovani, insegnando loro

la professionalità, la sincerità, la schiettezza: sue caratteristiche tipiche,utili per se stessi e per la società.

Era un grande lettore di testi religiosi e letterari … e quindi un uomodi grande cultura che, anche se non laureato, sapeva sostenere dialo-ghi con professori e personaggi illustri del tempo.

Che rapporto aveva don Tosi con lei e con gli altri ragazzi? Di collabo-razione, di scontro…?

Di collaborazione… difficile, perché si sentiva un super-geni-tore visto che doveva educare i ragazzi in tutti gli ambiti (lavora-tivo, familiare, religioso…)

Era molto esigente con i giovani: voleva che si vestisseroordinatamente, si comportassero educatamente, mangiassero edu-catamente … per non sfigurare nella società, perché da laureatidovevano essere persone autorevoli, persone credibili, rispettabili edignitose.

Se i giovani non erano vocati al sacerdozio, si preoccupava chedopo laureati si facessero una famiglia, per non perdere così nessunattimo della vita.

Era un uomo disposto alle occasioni di festa e, durante i festeggia-menti, era esuberante ed accettava con gusto anche gli scherzi glienefecero molti).

Non amava lasciare rapporti rotti con i ragazzi. Infatti, se aveva avutoqualche diverbio con alcuni mazziani, interni od esterni al Collegio, cer-cava sempre di ricucire ogni rapporto anche a distanza di anni (peresempio telefonando nel giorno del compleanno).

Non voleva perdere nemmeno i ragazzi che riscontrando difficoltàall’università lasciavano gli studi e di conseguenza il Collegio: pergarantire loro una certa dignità e la possibilità di farsi una famiglia, offri-va la possibilità di collaborare con il Collegio con incarico di esecutori,coadiutori, impiegati…

Che conquiste ha avuto il Collegio nel periodo in cui lei era al Mazza?

Prima di tutto è stata prodotta una schiera enorme di professionistiutili per la società e molte leve utili per l’università (si sono formati moltiprofessori mazziani di fama nazionale ed internazionale). Ad esempio alMazza si sono formati il professor Beschi (conosciuto per l’archeologiaclassica), il professor Cracco … tra i professionisti si ricorda l’avvocato

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Fornalè13 che, nel periodo durante il quale don Tosi era direttore, rico-priva la carica di presidente del consiglio d’amministrazione.

Don tosi considerava i professori persone rispettabili, utili per ilCollegio e maestri di vita per gli studenti. Per questo chiese loro aiutoper inserire il Collegio nella vita universitaria (ad esempio al professorBianchi) e per reggere le sorti accademiche del Collegio, istituendocosì le commissioni universitarie e le revisioni accademiche.

Le commissioni accademiche di quel tempo erano molto severe evincolavano pesantemente la possibilità per gli studenti di restare inCollegio. Don Tosi, sempre spinto da uno spirito paterno, chiese ai pro-

fessori di essere comprensivi durante la revisione con gli stu-denti che avevano avuto un intoppo nella carriera universita-ria, dando a questi ragazzi una seconda possibilità.

Attivò inoltre la presenza degli allievi esterni: studenti conminore difficoltà economiche, che diedero linfa vitale alla vita

del Collegio, perché partecipavano attivamente, come fanno ora, alleiniziative del Collegio.

Don Tosi per coordinare il Collegio si avvalse di un consiglio di dire-zione all’interno del quale inserì poi anche la rappresentanza degli stu-denti sia interni che esterni.

Volle la tv all’interno del Collegio, ma deteneva il monopolio deglispettacoli televisivi : per esempio faceva vedere le rassegne storiche,da lui molto amate, tenute dal professor Cutolo.

Permise ai giovani laureati che iniziavano la carriera universitaria davolontari, di vivere anche post lauream all’interno del Collegio.

Nel periodo durante il quale don Tosi era direttore, il Collegio passò deimomenti difficili: mancarono le vivande per i pasti dei ragazzi e spessoper sopperire alla mancanza di cibo, venne in aiuto del mazza ilCollegio Barbarigo. Il Collegio conobbe anche pesanti problemi finan-ziari che fecero pensare alla possibile chiusura del Collegio. Per fortu-na un giorno, durante un consiglio di direzione, don Tosi ricevette unatelefonata provvidenziale: una signora, morendo, lasciò in eredità i suoiaveri alla fondazione del Collegio don Mazza permettendo così la “vita”del Collegio.

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13 cfr intervista corrispondente in questo testo (nota del curatore).

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Come vi accolgo raggianti, ben lo sapete, quando tornate con i vostri voti trionfali

e come scopro tanta commozione nel vostro sguardo felice. Quel voto è lo stipendio che deponete sul mio tavolo

e su quello di vostro padre. E’ la busta-paga che mettete nelle mani del capofamiglia.

Don Tosi, Colloquio, Pasqua 1964*

1961

Don-tosi

Intervista a Giuliano Zosodi Giorgio Pusceddu

GP: Le porgo un semplice elenco di curiosità che mi vengono in mentepensando alla figura di don Tosi. Le cedo così la parola: mi risponda comepreferisce, anche con un discorso unico, aggiungendo pure qualsiasi con-siderazione, memoria, pensiero che crede possa essere interessante.

Cosa si ricorda di don Tosi come educatore? Quali qualità/difetti locaratterizzavano in questa sua fondamentale attività?

Don Tosi come sacerdote: cosa riusciva a trasmettere ai ragazzi dellasua vocazione? Come avvicinava gli studenti alla sfera spirituale?

Come vedeva don Tosi la partecipazione politica dei ragazzi in queglianni di vivi fermenti sociali?

C’era percezione dentro il Collegio della instancabile attività sociale didon Tosi? Veniva vissuta e incoraggiata o criticata e snobbata la fittatrama di relazioni che don Tosi creò nella sua vita e che fu fondamen-tale per la realizzazione dei suoi sogni (il Collegio)?

Don Tosi e la goliardia: cosa pensava il nostro sacerdote delle varie atti-vità “ludico/ricreative/formative” (processi, scherzi, sbrandi, feste,…)attuate in Collegio?

Si ricorda qualche situazione curiosa che vede don Tosi come protago-nista ed è degna di nota?

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Domanda alla Marzullo: don Tosi in 3 parole.

Pensandoci bene, Don-tosi neanche ce l’aveva, un nome di battesi-mo. Era Don-tosi e basta, tuttinsieme. Don-tosi di qua, Don-tosi di là…E quando lo fecero monsignore, Mons. Giuseppe Tosi, con lo zucchet-to e i bordini rossi, ah! , che bruttura, che non senso: come mettere ilvelluto alla Land Rover…

In definitiva non era neanche il signor direttore, e tanto meno unamicone, come si usa adesso. Era un padre burbero e un po’ scanzo-nato, a cui potevi cantarla senza mancargli di rispetto.

Perché sapevi che lui doveva sfangarsela da mattina a seraper darti il letto e da mangiare e te lo potevi immaginare quan-do con la sua grossa mole riempiva i corridoi e le sale d’aspet-to del Ministero… un incubo, doveva essere, lui e le sottanecolorate che aveva attirato alla sua causa. E a cui faceva i sala-

melecchi quando la invitava in Collegio.E noi giù a spettegolare che se la faceva. Perché, se fosse servito a

portar soldi in via Savonarola… eh, non è poi detto…!!! Ma ti portavaanche ministri e sottosegretari e deputati e gli faceva la riverenza, maappena avevano voltato l’angolo, non che stesse a rompere perché livotassimo. Se li votavamo, meglio, perché no? Ma se non li votavamo,chissenefregava!

E quando non era in giro per la questua, si impancava mattina e serain refettorio. E raramente ti lasciava in pace. Sul più bello o sul più brut-to, dipendeva da quel che ti aveva proposto Carlo, cominciava a batte-re il bicchiere, brandire il microfono, ostentare il vocione.

Il più delle volte si levava il coro possente: la Nina l’è malata… e poientrava in camera e poi… suspence, prima di decidere che era … ilpolso che le palpava… E lui sornione aspettava che finissimo, ridendo-sela sotto i baffi, e poi, implacabile, ci tormentava coi suoi sermoni. Oh,se è per questo, niente di dottrinale, cose pratiche, tanto a riempirci latesta ci pensavamo da soli e ci aiutavano molto anche i soloni della“Patavina Libertas”.

Ognuno doveva fare il proprio dovere. E siccome all’epoca eravamobravi e poveri, poche parole bastavano.

La spiritualità mi chiedete…? Don-tosi aveva la spiritualità del fare.Marta, non Maria, questo è sicuro. E a Maria, ci fosse stato, qualcherabbuffo l’avrebbe anche mollato, pentendosi subito dopo, visto cheNostro Signore pareva pensarla un po’ diversamente…

Con questa spiritualità tutta sua, egli ha tirato su un Collegio mirabi-le e proprio nel momento in cui massimo era il bisogno. E ha allevatouna schiera grande di persone, la stragrande maggioranza delle quali

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non si è persa e si è data da fare. E, cosa ancor più notevole, non è inDon-tosi che ha trovato la scusa per perdere la fede. Perché Don-tosi lapresupponeva, ma non te la imponeva. E per quanto lo riguarda non laostentava. E le debolezze ne facevano parte e ne venivano riscattate.

Ma lavorare sì, questo sì. Inutile baciar pile e saltare esami…Questopoi no. Meglio saltare il reticolato quando trovavi il portone chiuso, e cilasciavi magari un po’ dei pantaloni. Ma gli esami erano esami. E me loricordo sempre. Durante le sessioni, te ne era andato bene uno, quel-lo ti chiamava durante il pranzo, o la cena, e raccontava a tutti il votoche avevi preso e ti prendevi le pernacchie di tutti gli altri, che poi, ivigliacchi, facevano le ore piccole per renderti la pariglia *.

E le matricole imparavano subito che lì, quell’omone, nonaveva bisogno di farti le prediche. E chi era molle e comples-sato, andasse pure all’Antonianum…

E si imparava tutti che, nel momento del bisogno, di qual-siasi bisogno, bussavi e non ti mandava via. Il burbero ti voleva bene.

E se nel caso, ti difendeva. Così poteva succedere magari che tuavessi litigato con un illustre e temuto barone e quello te l’aveva giura-ta e minacciava fulmini, saette ed espulsioni, ed era, o almeno si cre-deva, un benefattore del Collegio, e quindi si sentiva in diritto di anda-re da Don-tosi a chiedere l’esemplare punizione o la convinta sotto-missione, e Don-tosi ti chiamava e, mille miglia lontano dal rimprove-rarti, non ti chiedeva neanche spiegazioni, resoconti, non aveva tempodi pettegolezzi, lui, ti diceva soltanto: è furioso, cerca di calmarlo.Amen.

Lo so, Don-tosi, se ha modo di guardar giù, si starà facendo la suagran risata: “ma che str. stanno facendo questi qua”, perché era untipaccio, lui, ah se era un tipaccio, mica facile prenderlo in castagna.Porti pazienza, Don-tosi. Sono passati trent’anni e non ci siamo ancoradimenticati. E’ colpa nostra? Veda lei…

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Avete mai pensato seriamente se è tutto caso, o tutto volontà dei parenti, o tutto calcolo, o tutto inclinazione,

o tutto desiderio di lucro l’esservi incamminati verso una professione invece che l’altra

o sentirvi intimamente e talvolta irresistibilmente portati verso una scienza invece che l’altra?

Don Tosi, conversazione rivolta agli studenti in assemblea generale, 14 gennaio 1957

1964

‘STO OREMUS

Intervista a Giancarlo Conselvandi Serena Guariento14

Giancarlo Conselvan, mazziano dal 1964 al 1968, ora è professore aRagioneria. Che ricordo ha di don Tosi?

Di don Tosi ho un ricordo positivo. A noi ragazzi piaceva: religio-so a tutti gli effetti, non aveva però lo stile del Monsignore e simostrava informale nel nostro contesto. Forse in fondo perché scat-tava la “complicità tra maschi”. E ai maschi erano concesse libertàintellettuali che all’epoca le ragazze non avevano. Don Tosi non face-va pesare la nostra presenza o meno alle funzioni religiose, d’altron-de sapeva benissimo che i ? degli studenti “sbandavano” a sinistra.Non aveva un aspetto mistico, ma piuttosto schietto. Aveva una vitasociale molto intensa e amava molto mangiare, anche nelle ceneimportanti ed ufficiali, e spesso tornava ubriaco. Era un tipico “pia-saroto”da “piazza”), come si dice a Verona, dove la passeggiata inpieno centro tra Piazza delle Erbe e l’Arena è costellata da bar in cuifare mille soste per l’aperitivo. Era perciò robusto nel fisico, maanche nella personalità: non aveva “peli sulla lingua” e, eternamen-te alla ricerca di finanziamenti, era capace di “mandare a quel

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14 Estratto da S. Guariento, IIll CCiinneemmaazzzzaa ccoommee pprreetteessttoo, Casa Editrice Mazziana,2004.

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paese” il benefattore che tardasse a compiere il suo dovere. Sapevasostenere le proprie idee ma accettare e rispettare anche quelledegli altri: così c’era un rispetto reciproco anche nei confronti delleidee sinistroidi di noi studenti.

Alcuni aneddoti?

Ricordo una domenica in chiesa, una commemorazione ufficiale, ilclima mistico e festoso, gli addobbi ed i chierichetti. Uno di loro, lo stu-dente Franco Gallina, aveva il compito quel giorno di preparare i segna-libri del messale per le Orazioni. Don Tosi stava con le spallerivolte a noi e pregava in latino, con il microfono (era l’epocaanteriore al Concilio). Ad un certo punto si fece silenzio ecominciammo a sentire il rumore delle pagine del Messale vol-tarsi sempre più velocemente. Era don Tosi che, non riuscendoa trovare l’orazione del momento (il segnalibro evidentemente non eraal posto giusto...), sfogliava sempre più nervosamente il Messale, finchésentimmo un “Ma ‘sto xxx.. de Oremus dove se’lo?”. Inutile dire che ilclima mistico si dissolse improvvisamente. Comunque il confine tra l’at-mosfera del “Collegio Di Intellettuali” e la “Caserma” era vago.

In una delle occasioni in cui il teatro fu dato in affitto ai ragazzi delquartiere, fu convocata addirittura la Questura. Ne avevano fatto richie-sta i ragazzi di un Liceo, per festeggiare la fine dell’anno scolastico,mentre noi mazziani eravamo in piena sessione di esami. I motorinicominciarono ad arrivare in Collegio uno dopo l’altro, disturbando einnervosendo sempre più noi che studiavamo nelle stanze.Probabilmente fummo tutti folgorati forse dalla stessa idea, perché daogni finestra e da ogni piano degli stabili cominciarono a piovere unodopo l’altro sacchetti pieni d’acqua che colpivano i liceali mentre arri-vavano. Poi caricammo i motorini sull’ascensore: minacciavamo di farliprecipitare. Ma tra i liceali c’era anche il figlio del Questore, che fu col-pito in pieno da un sacchetto e corse a telefonare al padre. Il qualechiamò subito don Tosi. Ora dalle nostre finestre vedevamo schierati ilQuestore e don Tosi, che cominciò ad urlarci di smettere. Come sem-pre egli dimostrò di saper affrontare e gestire anche le situazioni diemergenza: l’incidente fu risolto. Nei confronti del Questore ci giustifi-cò: “Forse non è stata una buona idea mettere insieme le due cose”. Ciavrebbe difeso sempre e comunque, perché eravamo “i suoi ragazzi”.Ma alla sera in mensa arrivò col microfono e ci sgridò arrabbiatissimo.L’impressione era di stare in una vera famiglia.

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Vi devo dire, però, che mi siete infinitamente più presenti quando, pressoché solo,

le stanze vuote ed i corridoi imbronciati mi rinfacciano la loro solitudine e reclamano operosità e vita.

Mi riesce più facile, allora, ripensarvi uno ad uno, nel sempre rinnovato tentativo di interpretare

senza preconcetti la vostra mente e di afferrare il vostro cuore.

Don Tosi, Colloquio, Pasqua 1964

1962

IL MONSIGNORE

Intervista a Roberto Pasinidi Serena Guariento15

Roberto Pasini, allievo dal 1962 al 1968, oggi è architetto a Verona.Interpretava don Tosi nelle commedie messe in scena in Collegio.Qualche ricordo?

In occasione della festa annuale dell’ 8 dicembre, l’inaugurazionedell’anno accademico, venivano invitati i genitori: era ammesso masche-rarsi in quel giorno, con cappelli e mantelli. Cercammo di proporre unaalternativa alla festa delle matricole attraverso la creazione di commedieda presentare come attività interna al Collegio. Era un teatro di tipogoliardico: componevamo testi che prendevano in giro don Tosi. Io inter-pretavo proprio la parte del direttore, perché ero preso per monsignoreda tutti i visitatori! Ricordo una commedia incentrata sullo scambio didue persone con lo stesso nome: Elia Pedrotti ed Elìa Pedrotti: per ungioco di equivoci la ragazza (Elia) riusciva ad intrufolarsi in Collegio. DonTosi come direttore doveva decidere se accettarla o meno nell’Istituto:si faceva finta di non capire perché tutti desideravano che rimanesse.Un’altra si apriva con l’Eremo di Costagrande (!): il personaggio preso dimira era don Tosi, con le tentazioni dei diavoli. Si prendeva in giro gene-ralmente la sua personalità un po’ forte, quel suo essere costantemen-

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15 Estratto da S. Guariento, IIll CCiinneemmaazzzzaa ccoommee pprreetteessttoo, Casa Editrice Mazziana,2004.

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te in primo piano. Improvvisavamo nella recitazione come nei costumi;se dimenticavamo le parti recitavamo in play-back.

baefba

Quanta fatica ad interessarsi a quella scienza ed a quelle verità che non reclamano, nemmeno a lungo andare, stipendi!

Dobbiamo reagire a questa pericolosissima tendenza che è rivolta ad irridere la sapienza

ed a manomettere, come merce di scambio, anche il più sublime sapere!

Don Tosi, Colloquio, Pasqua 1964*

1966

Fare squadra dopo la laurea

Intervista a Remo Gattazzodi Diego Franceschini

Presentazione

Sono Remo Gattazzo, professore associato di geometria dell’univer-sità di Padova dal 1980. La mia permanenza al Mazza si è verificatamentre ero studente di matematica, dal 1966 al 1969, con direttoredon Tosi. Appena laureato sono rimasto sempre a Padova dapprimacome ospite di casa Pio X, una residenza che il vescovo aveva messoa disposizione dei giovani laureati meritevoli a condizioni economichevantaggiose. Dopo militare mi è stato dato un posto di assistente adingegneria e dunque ho risieduto per alcuni mesi al Mazza come ospi-te, con direttore don Pretto, e poi sono tornato alla Pio X fino al 1971,quando sono diventato indipendente.

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Come ha conosciuto il Collegio?

Sono originario da Monselice ed ho conosciuto don Tosi attraverso ilmio insegnante di religione, don Mario Zanchin, che era stato nominatovescovo di Fienza quando dovevo fare l’esame di maturità. Don Tosi eramolto interessato ad avere amicizie nel settore politico ed in quello eccle-siastico… e questa sua caratteristica mi è stata favorevole, visto che allo-ra si doveva presentare insieme al curriculum una lettera di presentazio-ne. Don Mario ha scritto molto bene di me e così sono entrato da subitonel gruppo interno, cosa molto importante poiché allora gli interni erano

sostanzialmente ospiti gratuiti. Nel frattempo l’università hacominciato a dare le prime borse di studio, le quali venivanodate per la maggior parte al Mazza, che non navigava in buoneacque. Il primo periodo di permanenza è stato abbastanzabuono, c’era uno spirito cameratesco, goliardico, ma non mili-

taristico. C’erano scherzi, iniziazioni alla vita di studente, ma non pesanti.Venivano fatti con una certa benevolenza, in modo da inserire i giovaninel gruppo. Don Tosi guardava sempre, era molto attento a queste cose,concedeva che si potesse essere vivi e vitali, senza nulla transigere.

Anche ora c’è un certo cameratismo, ma le leggende dicono che untempo fosse molto più spinto…

Si distruggeva il letto a qualche matricola, d’estate si lanciavano sac-chetti d’acqua dai piani alti, ma nulla di “trascendente”…. A meno chetra le matricole non apparisse qualche personaggio particolare, comedon Ferroni, che era matricola di lettere, già sacerdote e che secondole intenzioni di don Tosi doveva controllare la situazione, ma è abba-stanza strano che una matricola controlli gli anziani… Comunque erauno che si dava molto da fare soprattutto in chiesa.

Una giornata tipo dell’epoca…

C’è da dire che allora c’erano spesso problemi economici, di cui donTosi ci rendeva partecipi. Infatti il Collegio si sosteneva su fondi prove-nienti dal ministero che qualche volta o arrivavano in ritardo o eranoinsufficienti. Questo preoccupava molto don Tosi, ma in quel periodo arri-vò la notizia di un lascito, una tenuta a Tregnago, poi venduta. E questolo tranquillizzò e gli diede motivo per insistere affinché quelli del Mazzafossero orgogliosi, avessero una marcia in più, cioè avessero le capacitàe soprattutto l’obbligo di farle valere, anche perché allora quasi tutti nonpotevamo contare sulle disponibilità economiche delle famiglie.

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Quanti studenti aveva il Collegio allora?

C’erano circa 120 studenti interni, di cui 30-40 matricole, una tren-tina di “seminterni” al “paramatti” e solo molto più tardi è stato com-prato l’edificio di fronte. Avevamo l’obbligo di andare a Messa allasera: se uno sistematicamente non ci andava veniva convocato. Edogni anno lui faceva il “colloquio”, simile alla revisione. Avendo tutte lecarte davanti, diceva che queste sono importanti poiché permettonodi andare avanti nella società, ma che lui voleva conoscere la perso-na, voleva studenti convinti da un punto di vista cristiano e sociale. Disolito veniva fatto alla sera e ricordo che esordiva guardando-ti negli occhi e dicendo: ” Tu sei questo e questo, ma tu seimio amico?…Ma ti vedo poco in Collegio, a Messa…”.

Nelle vicinanze delle votazioni, voleva poi che il Collegio sifacesse promotore di persone che poi sarebbero state vicineal Collegio… e questa era forse la cosa meno simpatica, ma non è lacosa più importante.

Quello che aveva di buono e caratterizzante era un carattereforte, estroverso, che cercava di lanciare le persone, quasi con spi-rito di sfida: per lui era quasi illogico che uno rinunciasse avendoqualche possibilità in qualsiasi settore. Quello che si chiedeva alleriunioni degli ex-allievi era come fosse possibile che studenti di altricollegi riuscissero a fare squadra anche dopo la laurea mentre quel-li del Mazza non avessero uno spirito di aggregazione tale da inci-dere di più sulla società. Questo gli dispiaceva abbastanza. Neiprimi anni ’70 molti mazziani si sono inseriti nell’università, ma neisettori produttivi privati non c’è stata la creazione di una catena diconoscenze…

Poi don Tosi aveva una fortissima, “sanguigna” vocazione religiosa.

In che senso “sanguigna”?

Nel senso che in occasione di una Pasqua, visto che era disponi-bile padre Marcozzi, che aveva fatto studi sulla Sindone, tutti i presentiin Collegio dovevano andare tre giorni in ritiro, d’ufficio. Sono statiesercizi spirituali con conferenza al mattino, funzioni al pomeriggio emeditazione alla sera. E poi ad Avesa ci ha portati col pulmino e pertornare dovevamo arrangiarci, ed a me i soldi son bastati al limite. Lameditazione era molto in discussione poiché avevamo scoperto chea 1 km c’era una “bettola” dove si poteva gustare reciotto, soppressae grana per i più fedeli…

Inoltre per Natale e Pasqua mandava lettere molto provocatorie,

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del tipo: un’immagine con scritto ’Vedi? Cristo è morto anche per te,cosa fai per esser degno di tale sacrificio?’.

E poi aveva qualche problema di salute, ma se non stava male erasempre con gli studenti. Durante i pasti chiamava vicino a sé studentisempre diversi per coltivare i rapporti.

Che attività c’erano in quel periodo in Collegio?

C’erano corsi d’inglese, I e II livello, poi un corso d’ascolto. Si pote-va suonare il pianoforte, c’era un cineforum, dove il film serviva da intro-

duzione ad un dibattito su un tema. Non c’erano solo film“seri”, ma anche “allegri”, magari per parlare dei problemi deigiovani.

Aveva dei collaboratori don Tosi?

Allora c’erano don Armando per gli esterni, don Damiano per gliinterni e don Ferroni che si preoccupava delle varie attività formative.Don Armando e don Damiano era provetti giocatori di carte e rimane-vano nel bar anche fino a mezzanotte, mentre don Ferroni era semprein giro. Cerano poi i due fratelli Giovedì che erano factotum ed aiutocuoco, e c’era Carlo Bottaro, segretario personale di don Tosi, che face-va un po’ di tutto: dall’organizzazione dei corsi estivi alla consegna deivolantini politici. Inoltre c’erano gli amministratori, il contabile rag. Rossi,portiere della squadra di calcio, e Concheri, che era plenipotenziario,dalla segreteria all’amministrazione [Vedi interviste corrispondenti inquesto testo].

Come potrebbe definire lo spirito del Collegio del tempo?

Oltre allo spirito cameratesco, c’era uno spirito competitivo, cosache non c’era negli altri collegi. Avveniva un notevole scambio di infor-mazioni tra gli studenti: si riferivano le domande degli esami e ci siinterrogava o si studiava insieme. Adesso, venendo lì per la revisione,vedo che in Collegio si continua così, forse con molta meno grinta, mavedo che ora nelle aule non c’è impegno, non c’è riflessione su quan-to viene fatto, sui propri errori, non c’è confronto nello studio, negliobiettivi *.

… Nel mio stesso periodo c’era in Collegio A. Pascolini, un tipoestremamente brillante, giovane, proveniente dal liceo classico, congrandi idee su tutto, molto propositivo… ha avuto molti scontri dialetti-ci con don Tosi, ha avuto con lui un rapporto “spumeggiante”.

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… Don tosi ha avuto tutto lottando, sgomitando: si diceva che c’e-rano simpatie e antipatie col mondo politico, ma personalmente non homai visto nulla. Con gli studenti era poi molto schietto, ma bonario.

B. Guariento con Gaetano Rossi

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Per questo il giovane mazziano poggia volentieri i suoi gomiti sul rozzo tavolo,

non disdegna il cibo parco e talvolta grossolano della mensa dei genitori e dei fratelli: […]

e non arrossisce mai all’umiltà dei suoi natali. Non vuole diventare un ricco.

Non s’affatica negli studi per raggiungere una posizione che gli garantisca qualcosa

che vada oltre ad una onesta e cristiana agiatezza.

Don Tosi, conversazione, 14 gennaio 1957*

1956

Una persona diretta

Intervista a Augusto Corsinidi Alberto Montresor

Il Collegio era…

Il Collegio era una comunità, dove si faceva vita di comunità.C’erano molti incontri che ci permettevano di stare insieme, uniti, eanche per mangiare a pranzo, ci ritrovavamo in mensa tutti nello stes-so momento.

Don Tosi era…

Un uomo responsabile dei compiti educativi e didattici assegnatigli.Autoritario, non perché lo fosse di suo, ma perché noi allievi gli rico-noscevamo questa autorità.

Poco prodigo di elogi, una persona diretta, che non le mandava adire.

Ignorava la mediocrità, voleva il meglio da ognuno, per questo nonci ha mai abbandonato nel nostro percorso universitario. Poneva imigliori come esempio e tentava di far recuperare i peggiori. In ognisituazione c’era sempre qualcuno che potevamo seguire.

Ci ha reso orgogliosi del nostro senso di identità e del nostro esse-re mazziani, prescelti in una istituzione “...fondata per raccogliere ededucare quei giovanetti poveri ....” (Don Nicola Mazza, 1844) *.

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Ha posto in noi degli ideali e dei valori che andavano oltre l’obietti-vo effimero della laurea, e ci ha dato una formazione di vita.

Alla laurea mi ha spronato a mettere a frutto quanto appreso, ilmodo migliore per onorare l’istituzione che mi aveva seguito nei 6 annidi università. Don Tosi infatti dopo la laurea non ci chiedeva niente al difuori della nostra affermazione nel lavoro. Dopo la laurea regalò a tuttiun vangelo.

baefba

“Peccato che questo ragazzo non possa studiare!”.E’ stata questa esclamazione delle nostre maestrine a metterci

la rivoluzione nel cuore. […] Noi volevamo studiare anche se il papà e la mamma tentavano di persuaderci che queste

cose non erano per noi. Perché non erano per noi?Siamo perciò convinti di lavorare per attuare

anche nel nome della cultura quella giustizia sociale che è l’assillo

di tante anime nobili e generose.

Don Tosi, Discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico III, 19 novembre 1950

1969

La ggiiggiiaa di don Tosi

Intervista a Antonio Mancinidi Armando Mancini

Per cominciare, in che anno sei entrato a far parte del Collegio DonMazza?

Sono entrato a ottobre del 1969, quando frequentavo già il secon-do anno del corso di laurea in Lettere moderne, e sono rimasto allievodel Collegio fino alla laurea, cioè fino a luglio del 1972.

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Quando sei entrato in Collegio, don Tosi era ancora Direttore o si eragià ritirato?

Io e molti altri studenti di quel tempo don Tosi lo abbiamo visto dipassaggio, ogni tanto veniva qui in visita e lo si vedeva in incontri e con-ferenze. Forse lui era più presente a Verona, perché la casa madre delCollegio gravitava a Verona. Non ho mai parlato personalmente con lui,ma ora, a trent’anni di distanza, ho ancora l’immagine di un parroco dicampagna energico, sanguigno, autorevole.

Nonostante non fosse sempre presente, durante le sue visiteavvertivi comunque il suo carisma?

Don Tosi ha sempre avuto carisma, come tutte le personeche hanno polso; e questo carisma cercava di trasmettercelo;

per noi studenti era un mito e uno spauracchio allo stesso tempo. Perlui si aveva un atteggiamento di riverenza, timore e allo stesso tempoaffetto, quest’ultimo esemplificato dall’esistenza dell’inno del Collegio,battezzato La gigia di Don Tosi, che molti della mia generazione cono-scono ancora a memoria.

In Collegio si avvertiva l’impronta, l’input, la mentalità, lo spirito dati dadon Tosi?

Credo che lo spirito di don Tosi ci sia ancora oggi, ovvero lo spiritomazziano è rimasto inalterato. Certamente dopo la laurea ho perso icontatti, comunque già da qualche anno ho ripreso a frequentare nuo-vamente il Collegio come ex-allievo, perché lo spirito mazziano impron-tato da don Tosi lo porti con te per sempre, e questo è valso per la miagenerazione ma penso che anche per la tua sarà certamente così. Ioho interpretato lo spirito mazziano cercando di stare dalla parte dei piùdeboli.

Don Tosi che rapporto aveva con gli studenti? Come era la dialettica frale due parti?

Il ricordo che ho di don Tosi è quello di un padre che qualche voltaquando bisogna rifila qualche scappellotto, dimostrando così l’affettoche ha, per cui il suo fare burbero denotava anche il suo attaccamen-to, la sua attenzione e la sua responsabilità che sentiva nei confronti deigiovani. In questo mi verrebbe da confrontarlo con altri famosi educa-tori, come don Milani. Don Tosi voleva insegnare agli studenti lo spirito

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di servizio, di altruismo che tutti noi mazziani abbiamo acquisito e por-tato avanti in questi anni.

Durante la permanenza in Collegio, hai avuto modo di parlare con allie-vi o ex-allievi che hanno vissuto in prima persona il rapporto con donTosi?

Su questo non ho ricordi, anche perché tutte le mie conoscenzeerano miei coetanei, quindi annate che non avevano conosciuto per-sonalmente don Tosi.

Si è sempre evidenziato il fatto che don Tosi seguisse i suoiallievi anche una volta usciti dall’ambiente del Collegio, chefosse loro vicino come amico nelle difficoltà della vita. So cheha celebrato le nozze di alcuni ex-allievi, per esempio. In meri-to, quali sono le tue impressioni?

Questo fa parte dello spirito del Collegio; un mazziano resta tale a vita.Per cui questo significa che per tutte le fasi importanti della vita di unapersona si fa riferimento a questa esperienza e alle sue figure cardini. Ilfatto che don Tosi celebrasse matrimoni di ex-allievi dimostra la sua atten-zione per la vita del mazziano anche dopo l’uscita dal Collegio.

Che rapporto ha avuto don Tosi con il ’68, con la contestazione stu-dentesca?

Effettivamente erano anni turbolenti, tuttavia il Collegio e don Tosinon hanno mai avuto atteggiamenti censori; potevamo liberamenteorganizzare assemblee, incontri, dibattiti; si simpatizzava per gruppu-scoli e circoli politici, si invitavano personaggi famosi, come Dario Fo,si discuteva riguardo alle comuni, tutte cose che viste ora fanno sorri-dere, ma all’epoca ci credevamo davvero, anche se poi maturando sicapisce che il mondo, che da giovani volevamo cambiare, in realtà ècambiato ben poco. Poi viene naturalmente il confronto con i ragazzi dioggi, descritti come passivi, apatici; non so, forse è la vecchiaia che cidà una certa ottica del mondo.

Come vedresti la figura di don Tosi oggi?

Se don Tosi fosse ancora vivo, le sue mani lavorerebbero a tempopieno; questa è sicuramente una battuta. Certamente un paragone frale due epoche è impossibile. I tempi cambiano; la mia generazione nonha conosciuto il benessere di adesso; allora, per esempio, non si viag-

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giava come è possibile fare oggigiorno; l’esperienza di Collegio permolti era la prima vera trasferta fuori dall’ambiente di casa.

Non saprei come don Tosi si rapporterebbe coi giovani d’oggi. Ildivario fra le due epoche è notevole.

Per concludere, anche oggi, a tuo avviso, si rende giustizia a don Tosi,si onora la sua memoria oppure c’è il rischio soprattutto per noi stu-denti che diventi solo una entità importante del passato, un “busto”?

Mi sembra che sia ricordato debitamente, anche perché c’è l’istitu-zione degli ex-allievi; poi voi allievi lo sentite nominare tutti igiorni; gli ex-allievi partecipano spesso a ricorrenza che nonsono necessariamente legate alla sua vita o al suo sacerdozio,come la festa delle famiglie che si è svolta oggi. Sono occa-sioni in cui comunque si fa il nome di don Tosi, perché il suo

carisma, il suo impegno sono sempre presenti. Quindi ogni cerimoniaè una occasione per ricordarlo. Se don Mazza ha creato questa istitu-zione, don Tosi ha dato se stesso per conservarla e per migliorarla.

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Dite, scrivete, implorate, ingiungete: non con il vostro vociare o le vostre irrisioni

o la critica spietata e superba, ma con la voce potente della carità […] Come il servo di Dio don Nicola Mazza,

uno fra i più grandi contestatori del secolo scorso. Nella fedeltà, nell’amore!

Don Tosi, chiacchierata di primavera, 6 aprile 1969*

1959

Non era una persona “facile”

Intervista a Gian Carlo Falezza di Diego Cecchet

Io ho frequentato i 6 anni della mia facoltà (Medicina) nel Collegioallora diretto da don Tosi e certamente ho molti ricordi di Lui. Don Tosinon era una persona “facile” perché la sua personalità era sempre stra-ripante e la discussione con lui era spesso soverchiata dalle sue argo-mentazioni che difficilmente si ammorbidivano. Ma era sempre stimo-lante perché costringeva ad analizzare a fondo i problemi. Ed era sem-pre generoso e pronto a capire le necessità di ciascuno di noi studen-ti, ed allora i problemi economici erano certamente più pressanti dioggi.

Fra i ricordi penso ora alla prima volta che l’ho incontrato. Era venu-to a casa mia perché conosceva mio papà in quanto suo con - parroc-chiano da giovane. Mi colpì questo prete piuttosto corpulento, congrandi occhiali ed occhi penetranti, con la lunga tonaca come allorausava. Stabilì subito un rapporto autorevole ma paterno, mise subito inchiaro che al Collegio Don Mazza bisognava essere molto bravi e stu-diare molto perché, diceva, la società e la Chiesa contavano su di noi. Era condizione indispensabile essere sempre in corso ed ottenere unabuona media.

Devo riconoscere che queste premesse, oltre al fatto di trovarmi poi sempre in compagnia di amici di Collegio molto bravi, costituì uno dei fattori che mi stimolarono ad avere un buon curriculum scolastico, cheè la base di una buona riuscita professionale.

Con gli anni era quasi inevitabile scontrarsi con lui, perché nonvedeva di buon occhio i nuovi fermenti politici e sociali degli anni ‘60*.

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Parlare con lui di aperture a sinistra era poco meno che eretico, e sifacevano discussioni calorose che a volte finivano in veri scontri.

Conservo ancora alcune delle sue “encicliche” in cui esponevaampiamente la sua dottrina che noi dovevamo leggere e studiare! DonTosi, che noi chiamavamo “Padre”, non era molto disposto a cambiarele sue idee. Ma credo che tutti gli riconoscevamo una profonda onestàe coerenza nel sostenere le sue posizioni. A distanza di tempo poi, rivdo queste diversità di opinioni come quelle che si riscontano all’inter-no di ogni famiglia dove lo scontro fra genitori e figli, se leale, è segnodi crescita.

Dopo la laurea persi un po’ di vista don Tosi, anche per imiei soggiorni a Trieste e a Londra. Lo ritrovai dopo alcunianni nell’ultimo periodo della sua vita, durante la sua malattia,al mio ritorno a Verona. Era molto provato fisicamente, ma erasempre lui, con la sua voglia di vivere e di fare. Accettava

docilmente le cure che il prof. De Sandre, il prof. Dall’Antonia ed io glisomministravamo. Considero un privilegio avergli potuto fare un po’ dicompagnia negli ultimi giorni. Era cosciente della gravità della malattiama sereno come chi ha una fede profonda.

Credo che gli studenti di oggi, che non hanno conosciuto se non difama don Tosi, debbano sapere che gran parte di quello che è attual-mente il Collegio universitario Don Mazza di Padova è opera sua, dellasua tenacia e della sua lungimiranza. E che noi vecchi studenti, che conlui abbiamo vissuto una parte decisiva della nostra vita, conserviamovivo il suo ricordo e la gratitudine per quanto ha fatto per noi e per tantialtri.

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Seconda parte Testimonianze

dei ttoossii di don Tosi

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Discorre con voi un prete che crede nella libertà perché nessuno è mai riuscito a fargli fare ciò che non doveva fare e che mai si è sentito più anziano

né più importante o saccente di voi, giovane come ancora si sente nell’anima e nel cuore…

se non proprio nella snellezza del corpo e nelle chiome folte del capo…

Don Tosi, chiacchierata di primavera, 6 aprile 1969*

1951

Eh, me racomando!

Testimonianza di Rino Grandesso

Conobbi don Tosi nel 1951. A presentarmelo fu un mio compaesa-no, allora studente di filosofia ed allievo del Collegio Don Mazza in viaUmberto I n. 10: Alberto Mario (padre della famosa ballerina, attrice ecantante Lorenza, la show girl del Bagaglino).

Una delle prime domande che don Tosi mi fece fu: “ Secondo te, ioquanti anni ho?”.

Nel vederlo completamente calvo e panciuto gli risposi: “60, 65”. Lui sorrise comprendendo la mia ingenuità: seppi poi, da uno dei

miei amici che gli faceva da segretario ed autista, che aveva da pocosuperato la trentina*!

Volle sapere poi dei miei esami universitari: in regola, nessuna boc-ciatura, ma una media non molto elevata. Un 28 però in PatologiaGenerale (lo spauracchio più terribile a quei tempi!) tirò su il morale adentrambi.

Mi invitò così a partecipare al concorso per l’ammissione al Collegio:concorso che allora consisteva in una prova scritta ed in un colloquioorale con una commissione di docenti universitari. Venni così accettato,ma per l’insufficienza dello stabile mi procurarono una stanzetta in affittoper 5000 lire al mese presso una signora sola, anziana e vedova di guer-ra, in via Sanmicheli al civico 31, che condividevo con un altro studentedi farmacia.

Furono anni sereni e proficui per me, che mi permisero di inanellareuna serie di 30 agli esami, di innalzare la media del mio curriculum uni-versitario e di laurearmi in corso nell’anno accademico 1954/55. Ad ogni

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esame riferivo a don Tosi esito e votazione. E lui, con la sua bonomiareplicava: “Eh, me racomando!”, che significava: “ Non mollare!”.

Si instaurò così un’amicizia basata su un reciproco affetto, rinnovatosempre dalle sue “encicliche”… augurali in occasione delle grandi festeliturgiche.

Ricordo che, quando ammalatosi gravemente fu ricoverato nella casadi cura in via Diaz, andai a trovarlo e gli portai due bottiglie di champa-gne Moet & Chandon. Quando gli porsi quel modesto omaggio, si com-mosse e con la sua solita arguta bonomia mi disse: “ Te me l’è tolto bon…Te sé che el me piase!”. Al che, di rimando risposi: “ Me nono me diseva

sempre: pillole de galina e sciropo de cantina manda in mone-ga medego e medesina!”. “Bravo… Bravo… Speremo che la siavera!”.

Un’altra volta, quando nominato Monsignore l’andai a salu-tare: “ Vero, don Bepo – così confidenzialmente lo chiamava-

mo noi anziani – qua no me cato miga coi conti!”. “Come sarìa a dir?”mi rispose.

“ Go sempre savù che par esser nomina’ Monsignore ghe vole qua-tro qualità: 1) Depilatio capitis*, 2) Amplitudo ventris, (e fin qua ghesemo) ma la 3) Ebetudo mentis e la 4) Benevolentia Episcopi, cioè rufia-narse el Vescovo… queste no le xe proprio robe par lu!”.

Ed egli, con quel suo riso schioccante, mi rispose: “ ’Ste regole levale par i Monsignori de Curia: mi so’ del Vaticano!”.

Tanti, tanti altri episodi del quotidiano potrei ancora raccontare…ma forse finirei per tediarvi. Certo, di lui imperitura rimane la sua affet-tuosa spontaneità, talvolta pungente ma mai graffiante, che solo animegenerose e grandi come la sua hanno saputo dare a me e a tutti quel-li che come me hanno avuto il piacere e la gioia di conoscerlo e quel-la – oggi – di affettuosamente ricordarlo.

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Io non sono il Collegio! Non sapete che questa istituzione è grande,

è magnifica, è invidiata? Non può né deve riassumersi, adunque,

nella mia impazienza, né nella mia collera,i miei difetti, le mie velleità, la mia grazia e le mie croci.

Don Tosi, Nova et vetera, dicembre 1965*

1950

Su di lui si poteva sempre contare

Testimonianza di Rino Avesani

Devo premettere che il mio primo incontro con don Tosi è avvenu-to oltre mezzo secolo fa e, per quanto il rapporto con lui sia continua-to anche dopo il mio trasferimento a Roma (soprattutto per le sue cala-te nelle stanze del potere a sostegno del Collegio universitario), da allo-ra molto tempo è passato; e devo anche dichiarare che l’incontro conlui è stato sostanzialmente determinante nel corso della mia vita: contutto ciò che a questo consegue. Certo è comunque che il ricordo didon Tosi è rimasto in me costante e vivissimo sempre.

Per come io vedevo, tutta la sua vita era impostata sui rapporti inter-personali, che la sua umana sensibilità e il calore del suo tratto facevanopresto nascere e mantenevano operanti e sui quali fece leva anche nellarifondazione e poi nell’affermazione del Collegio, che fu l’impegno supremodella sua vita. Così, da un certo punto in poi ebbe la collaborazione e talo-ra la guida di Cecilia Perversi che egli aveva portato a innamorarsi dell’ideamazziana. Probabilmente anche per questo era incline a interpretare ognicosa su un piano personale. Ed era sensibilissimo all’amicizia, nella qualeera fedele, soffrendo terribilmente quando a ragione o a torto si sentiva tra-dito. Però il suo forte rapporto con Cristo, come credo, lo portava presto aperdonare. Raccontava che all’esame di maturità aveva svolto il tema di ita-liano scrivendo in endecasillabi: forse, più che per vanità, per mostrarsi, luinon laureato, anche culturalmente vicino a studenti universitari che dove-vano essere e in gran parte erano realmente di ottimo livello. E voleva chegli studenti lo chiamassero “Padre”, inconsapevolmente ma effettivamentepeccando di paternalismo. E aveva anche altre debolezze*. Ma padre sisentiva e agiva come tale. Ricordo che a un giovane medico trovatosi ino-

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pinatamente in difficoltà per frequentare una Scuola di specializzazione aPadova disse: “Stai qui, finché ce ne sarà per me, ce ne sarà anche per te”.La sua fedeltà alla Chiesa era fuori discussione e talvolta anche presentataduramente, ma indiscusse erano anche la sua capacità di comprendereconcrete situazioni umane e la sua spontanea disponibilità a intervenire.Sicché alla fine le sue debolezze contavano poco o niente, perché si sape-va che su di lui si poteva sempre, ma proprio sempre contare.

baefba

E un giorno questi giovani cosa faranno? Quale sarà la loro parola?

Don Tosi, Discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico III, 19 novembre 1950

1956

La sua paterna benedizione

Biglietto di Luigi Beghi

Gentile Direttore,

La ringrazio di cuore per l’invito a partecipare alla commemorazio-ne di don Giuseppe Tosi, indimenticabile nostro direttore nel periododal 1956 al ‘60 (quando mi laureai in Fisica) e dal ‘60 al ‘63 (quandomi laureai una seconda volta in Ingegneria elettronica). Indimenticabilisono i suoi continui paterni interventi, sia di natura assistenziale-eco-nomica, sia di natura educativo-spirituale che egli esercitò nei miei con-fronti e nei confronti di tanti altri compagni! L’ultimo in ordine di tempoè la paterna benedizione che egli volle dare a me e alla mia (allora gio-vane) sposa “americana” nella chiesa a lui affidata a Verona, colla pro-messa di frequenti, successivi incontri (purtroppo mai avvenuti).

Mi troverò in Inghilterra il 18 aprile, ma vi seguirò con il pensiero.

Con affetto e con gratitudine, Suo Luigi Beghi e famiglia

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Noi miriamo, con i nostri corsi integrativi, ad impedire l’avvilente indifferenza che molti giovani

tutti protesi verso la esclusiva specialità del loro studio accademico – dimostrano verso i problemi più profondi dello spirito, della filosofia,

della religione: a scuoterli dall’apatia mentale, dall’ipercritica dialettica, per incamminarli

su binari sicuri di una logica sperimentata, umana e cristiana.

Don Tosi, Discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico XIV, novembre 1962

1956

Un prete che voleva contare nella tua vita

Testimonianza di Emilio Butturini

Ho conosciuto don Giuseppe Tosi nell’ottobre 1948, proprio quan-do si apprestava a lasciare l’incarico di padre spirituale degli allievi di S.Carlo (sostituito dai comboniani padri Tescaroli e Vantini), per dare il viaal nuovo Collegio universitario di Padova, erede del “colleginod’Ognissanti” dei tempi del Mazza (fin dal 1839).

Un’eredità, forse, del suo stile deciso e un po’ spiccio era la prassidel Collegio di fare aggregare noi allievi in maniera “opzionale” (“facol-tatoria” si diceva anche, nel senso di “obbligatoriamente facoltativa”) adun’associazione come azione cattolica, lega missionaria studenti,ecc…, scelta allora sostanzialmente accettata da tutti e non priva diconseguenze positive.

Nell’estate 1949 mi sono rivisto don Tosi come organizzatore e ani-matore dei “campi-scuola” mazziani in Val Gardeccia (a circa 2000 m.s/m), con gite impegnative bellissime sul Catinaccio, messe all’aperto(una fu celebrata per il primo anniversario della morte, per un inciden-te ciclistico, del grande scalatore Tita Piaz), incontri di studio, comequello con il prof. Cherubino Trabucchi, vivacemente e amichevolmen-te provocato da don Tosi. Sono poi passati alcuni anni di rari incontri(uno, ricordo, del 1951 al Collegio di via Umberto), fino all’autunno del1956, quando entrai nella nuova sede (non ancora completata) di viadei Savonarola come matricola di lettere.

Per quattro anni fino alla laurea dell’autunno 1960 (quando – spin-

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to in primo luogo proprio da don Tosi – ritornai in via S. Carlo come col-laboratore di don Ghini al Collegio liceale e come insegnante di letterein terza media) intensi – e talvolta un po’ agitati – furono i miei incon-tri con don Tosi, un prete che sapeva guardarti dritto negli occhi e chevoleva contare nella tua vita. Così regalandomi nel giorno della mia lau-rea il libro sul Tovini dell’oratoriano Antonio Cistellini mi augurava di“riprendere e perfezionare la prima vocazione (deviata) del grandeGiuseppe Tovini”, che, pure, sposo felicemente innamorato di EmiliaCorbolani, dalla quale ebbe dieci figli, sarà proclamato beato daGiovanni Paolo II il 20 settembre 1998.

In quegli anni di università dovetti spesso confrontarmi col“Capo”, come rappresentante dell’Organismo studentesco uni-versitario (OR) o come collaboratore di iniziative culturali delCollegio (stava per andare in porto – con grande soddisfazionesua e mia – una giornata di relazioni e dibattiti con don Primo

Mazzolari, impedita poi per ragioni di salute del prete mantovano) oanche come promotore di un circolo studentesco “Jacques Maritain”,che egli volle far divenire – sempre in maniera “obbligatoriamentefacoltativa” - sezione interna della Fuci, facendo intervenire l’allorasegretario regionale Luciano Vettore. Meno convinta – nonostante ilmio serio impegno a vendere casa per casa numerosi biglietti o a dis-tribuire propaganda elettorale – fu la mia partecipazione per la promo-zione di un oratorio musicale, da tenere in occasione dell’inaugurazio-ne ufficiale della sede di via dei Savonarola (4 aprile 1959) o quella peril sostegno offerto a Guido Gonella per le elezioni del 1958, che puremi fecero incontrare un uomo politico di grande valore e di alto profiloculturale, del resto già conosciuto nella mia casa paterna.

Dopo la laurea, l’anno di scuola in via s. Carlo (fra i “carlesi” comedon Tosi amava dire) e il servizio militare, si diradarono gli incontri per-sonali, anche se non mancarono mie visite sia al Collegio civico diDesenzano, sia alla rettoria di S. Lorenzo. Qui, quando era ormai in fasenettamente declinante, mi invitò una volta a restare con lui per prega-re insieme e servirgli la Messa, che avrebbe celebrato anche per me eper la mia famiglia che stava crescendo. Fu l’ultimo incontro, intenso ecommovente, che me l’ha fatto conoscere ancora una volta anchecome uomo di fede.

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Qual è dunque il loro posto? Per un mazziano far da spettatore sarà degradante:

ha faticato tanto per essere degno di portare una parola coraggiosa e sicura alla sua gente!

Un posto lo deve cercare, lo deve trovare: su una trincea o su di un’altra. Sull’altra no! Egli è uno della povera gente!

Dovrà mettersi alla testa della povera gente! Il suo posto è là. […] C’è però una parola che dobbiamo dire a tutti i nostri giovani,

a quelli di oggi e a quelli che verranno: essere coi poveri! Essere la guida della povera gente, i maestri del popolo

che sta ritrovando il suo vero posto…

Don Tosi, conversazione rivolta agli studenti in assemblea generale, 14 gennaio 1957*

1956

I pensieri forti delle cciirrccoonnffeerreennzzee

Testimonianza di Giglio Ceron

Sono Giglio Ceron, allievo del Collegio don Mazza di Padova dal1956 al 1962 e laureatomi in medicina.

La prima “circonferenza”, così infatti il direttore don Tosi chiamavascherzosamente le sue celebri riunioni collegiali con tutti gli allievi, mifece conoscere una persona dall’incedere lento e quasi maestoso, conun fisico generoso, due occhi bruni vivaci e penetranti, un naso “dan-tesco” importante; la voce franca e sonora; le sue parole scuotevano ilcuore e la mente.

Veronese purosangue, schietto nel dire e nel pensare, s’intrattene-va spesso amichevolmente con i suoi allievi, non disdegnando qualcherepentina uscita verbale del tutto “popolare”. Questo aspetto di uomovenuto da popolo e consacratosi proprio per elevare le condizioni deifigli di questo popolo, lo rendeva ancor più vero ed un tutt’uno con isuoi allievi *. La sincerità, la profonda generosità e facilità di compren-sione dell’animo umano erano i suoi tratti caratteristici. Mai fece tra-sparire a noi, suoi figli, le numerose difficoltà in cui spesso versava lavita economica del Collegio. Non posso tacere i numerosi viaggi aRoma, per sollecitare ed ottenere dal Governo il necessario per la pro-secuzione della vita del nostro Collegio; nonché alcune nostre “forzatevacanze”, senza certo farci capire il vero motivo.

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Squisita sensibilità di padre, ulteriormente confermata dal non avermai fatto sentire i suoi figli inferiori in alcunché ai figli dei ricchi.

Fraternizzare, amarci e comprenderci, presentandoci a testa altanella società, con il brillante successo negli studi e l’esempio di una vitaintegra e generosa, al servizio della persona e della chiesa di Dio.

Mi preme sottolineare la figura del sacerdote, ben incastonata in quel-la dell’uomo e del direttore del Collegio. Le sue “circonferenze” eranoquasi delle piccole “encicliche” ed esprimevano l’impellenza dell’uomo difede di educare a Cristo i suoi figli. Pensieri forti, profondi ed enunciaticon il fervore di chi li sentiva e viveva costantemente ed anche con quel

tormentato anelito che gli faceva temere di non essere suffi-cientemente e sempre più vicino alla passione di Cristo.

Finisco con quest’ultimo pensiero, anche perché mi cogliel’emozione, scendono le lacrime al suo sentito e carissimoricordo.

Cari saluti a tuttiVostro affettuosissimo Giglio Ceron

baefba

La fortuna della convivenza è prima di tutto d’unire i cuori. In un mondo divenuto deserto perché ha degradato tutto,

noi abbiamo sete di ritrovare amici: il sapore del pane diviso tra amici, tra fratelli,fa accettare le dure fatiche della vita.

Don Tosi, esortazione durante la festa della Candelora, 2 febbraio 1965

1959

Sei mio amico?

Biglietto di Giovanni Frau

Nel trentesimo anniversario della morte, Oltre che un sincero, inestinguibile sentimento di riconoscenza nei

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confronti dell’Istituto don N. Mazza e in particolare di don Tosi, conser-vo dell’antico Rettore un ricordo sempre vivo e ricorrente.

In ogni occasione di incontro don Tosi mi poneva subito una doman-da, a mo’ di saluto: “Sei mio amico?”.

Quell’amicizia io ho sempre ricambiato e mai dimenticato.

Giovanni Frau, matricola d’ingresso al Mazza a. a. 1959

baefba

Quando, per qualche ricorrenza, si fa un po’ di salotto, tu sei l’og-getto delle premure e delle attenzioni di tutti, sei il figlio che va

all’Università e che spiattella un bel libretto innanzi agli occhi delleamiche e della zia zitella, in estasi. Sei a Padova, al don Mazza.

Oh, non è che sia povero il nostro Giacinto, ma gli è che al don Mazza

c’è tanta serietà e tanta gaiezza insieme, e poi, quel don Tosi… Loconosci, Lisetta?

Bravo, bene, va avanti anche tu, sereno …Bravo e avanti!

Don Tosi, colloquio, Pasqua 1964

1960

L’ uomo del fare

Testimonianza di Luigi Valentini

Se ripercorriamo il film della nostra giovinezza, la figura di don Tosisi staglia imponente nella mente di ogni mazziano che abbia avuto l’av-ventura di conoscerlo da vicino, condividendo con lui le ansie e le gioiedel personale percorso scolastico e umano. Don Tosi non era per noigiovani solo un prete, un padre spirituale, un amico, era anche il nostroconsigliere a cui potevamo confidare le nostre difficoltà scolastiche maanche quelle familiari che spesso si intrecciavano tra loro.

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Ma don Tosi era soprattutto l’uomo del fare. Confidando nella suaferma volontà di sviluppare l’istituzione Mazziana e contando nellabenevolenza della Divina Provvidenza, Don Tosi si avventurò in iniziati-ve che ai più sembravano impossibili ed impraticabili e che invece oggisono lì a testimoniare la grandezza dell’uomo di fede. Per noi studentiuniversitari don Tosi era anche un collega anziano con cui condivideremomenti conviviali, di svago e di sport.

A tale proposito ricordo un convegno conviviale che scherzosa-mente definivamo agape fraterna avvenuto nei primi anni ‘60 in quel diBondeno presso il ristorante “DETASSIS” famoso per il menù che con-

sisteva in 12 portate. Smaltiti senza difficoltà i primi tre piatti si arrivò al quarto

costituito da un risotto agli asparagi che don Tosi definì squisi-to e meritevole di un bis.

Per non dare l’impressione di esporsi in prima personavenne incaricato Angelo Dal Magro di avanzare tale richiesta e unavolta ricevuto il bis, il risotto fu diviso a metà tra me e don Tosi.

Quella porzione mi aveva saziato a tal punto che quando il came-riere tentò di proseguire con le altre portate previste io a nome anchedella comitiva, che ritenevo sufficientemente satolla, lo invitai a passa-re direttamente al caffè.

Don Tosi in presenza del cameriere apparentemente sembrò con-cordare con il mio invito, ma come il cameriere girò le spalle mi appiop-pò un calcio negli stinchi, con una espressione quasi sorridente chenon faceva trasparire alcun disappunto.

Bevuto il caffè corretto con un bicchierino di Vecchia Romagna, donTosi si infilò la bottiglia di brandy nella tasca della tunica e saliti in mac-china mi investì con un diluvio di rimbrotti ben presto sotterrati da fra-gorose risate della allegra compagnia che intonò il canto mazziano:

“ E’ vero siam poveri ma il padre amoroso dall’alto ci guarda conocchio pietoso…”

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La vita sacerdotale è un ricamo d’amore ordito dal progetto Divino. E’ l’alternarsi di quotidiani prodigi, consacrare, assolvere, benedire.

E’ l’atmosfera di gioie e amarezze, cadute, riprese, aneliti. E’ il canto di una scelta mai rimpianta,

la riconoscenza per gli aiuti celesti e umani. Soprattutto è l’umile invocazione d’essere stato per ogni animo incontrato strumento di Grazie.

Don Tosi, biglietto autografo

1956

Uno spazio di vita breve, ma esteso

Testimonianza di Piero Rialti

E’ sempre duro scrivere di una persona scomparsa anche se la si èconosciuta tanti anni fa, di un amico che è stato tanta parte della nostraformazione umana e religiosa e che ha segnato in modo determinantela nostra vita.

La nostra condizione umana, di debolezza, di stupore davanti allamorte, di rimpianto, ci porterebbe a soffrire e a lamentarci dell’avariziadella natura, perché siamo generati per vivere un’età breve, perché glispazi del tempo che ci sono dati precipitano giù tanto velocemente, inmodo travolgente.

Ma se queste considerazioni hanno un loro fondamento e se que-sto turbamento ha chiamato fuori i lamenti di personalità illustri e di filo-sofi, credo di poter affermare con convinta certezza che per don Tosi iltempo non è stato poco, perché non ne ha perso nemmeno un minu-to: ha avuto una vita breve ma tutta ben collocata a frutto per portarea compimento le imprese più grandi. Il suo spazio di vita l’ha saputoben disporre e quindi molto si è esteso. Viviamo in un’epoca di smarri-mento della memoria e di perdita delle radici. Fare una sosta per pen-sare, rievocare, ricordare cioè “riportare al cuore” ciò che abbiamoricevuto e sperimentato, le persone care che abbiamo conosciuto eamato è non solo bello e doveroso, ma anche stimolante. “Siamo natiper ricordare” scrive il romanziere tedesco Heinrich Boll, a cui fa ecol’ammonimento dello scrittore norvegese Finn Carling “l’oblio è precur-sore della morte”.

Per esprimere un ricordo intenso e affettuoso su don Tosi, voglio

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citare una sua considerazione sulla vita che ho trovato in un bigliettoautografo nel suo libro di “apologetica” (un manuale che mi aveva datoe che conservo religiosamente, per un lavoro da farsi in comune): scri-veva che la vita sacerdotale “è un ricamo d’amore ordito dal progettoDivino. E’ l’alternarsi di quotidiani prodigi, consacrare, assolvere, bene-dire. E’ l’atmosfera di gioie e amarezze, cadute, riprese, aneliti. E’ ilcanto di una scelta mai rimpianta, la riconoscenza per gli aiuti celesti eumani. Soprattutto è l’umile invocazione d’essere stato per ogni animoincontrato strumento di Grazie…”.

Questi pensieri di don Tosi si concludono poi con una preghiera aMaria “…sicura stella del mio sacerdozio”.

Questo è il testamento spirituale di don Tosi che ho avuto lagrazia di ricevere nelle mie mani di amico addolorato e scon-volto e che è dedicato ai genitori in cielo, ai confratelli, aiparenti, agli amici. E questo è don Tosi nei miei pensieri, nei

miei ricordi, nelle mie preghiere.Riprendendo il pensiero iniziale, insieme ad altri segni mi ha lascia-

to il conforto di conoscere che la vita, se sai servirtene, è lunga.Sappiamo bene dell’avidità insaziabile di noi uomini, di quanto ci

affanniamo premurosamente in fatiche inutili; di quanto ci sfianca l’am-bizione, che è sospesa sempre ai giudizi altrui; della speranza di lucroche ci conduce a capofitto; dell’ossequio ai potenti che consuma gliuomini in volontaria schiavitù; della leggerezza instabile e incostante escontenta di sé che ci sballotta per progetti sempre nuovi: posso affer-mare con assoluta certezza che don Tosi era del tutto estraneo a que-ste condizioni di vita, di uno spazio che non sarebbe stato vita, matempo.

E questa è stata sempre la radice della nostra amicizia, una ammi-razione incondizionata da parte mia della filosofia di vita di don Tosi chemi è stato padre, amico e maestro.

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Sono passati già due anni da allora. Due anni pressoché esatti e tanta acqua è passata,

più o meno sporca, sotto i ponti del Bacchiglione. Forse hai fatto apposta a lasciarlo sul tavolo.

Un modo gentile e furbesco per rinfacciarmi quelle parole, molte diquelle parole, inserite nel bel mezzo di un discorso solenne e sacro,rivolte a criticare un orientamento, a condannare una scelta, a illumi-

nare, a mio parere, le menti. Volevi forse farmi capire che la realtàd’oggi mi da’ torto, sembra infliggermi il titolo di profeta di sciagure,

assente dalla realtà storica, incodinato al più gretto conservatorismo.Tu, che mi conosci da anni, sai che non sono tardo nella

mente e chiuso nel cuore.

Don Tosi, Colloquio, Pasqua 1964 *

L’addio

Testimonianza di Giancarlo Zizola

Racconto del mio ultimo incontro con don Tosi,in una stanza pienadi buio e di morte al Policlinico di Verona. E’ il 5 aprile 1975, un saba-to, e appena mi vede, con quegli occhi che la malattia ha reso più gran-di ed immobili nella magrezza del volto, mi fa segno di volersi levare daicuscini, mi chiede anzi di aiutarlo a uscire dal letto e a mettersi in pol-trona, per parlarmi come nel suo studio di direttore del Collegio diPadova. Così, tra parole rade e molti colpi di tosse, dopo avermi rassi-curato che ha una brutta broncopolmonite bilaterale da smaltire, eniente di più, in realtà rivela la sua coscienza della fine rievocando fram-menti degli inizi, quasi per un istinto di ricapitolazione.

La parola che ricorre spesso sulle labbra di questo prete che cre-deva caparbiamente alla missione di educare le persone, è “figli”, i “mieifigli”, quelli per i quali andava a prendere il pane alla cucina dell’assi-stenza cattolica per i disoccupati o il carbone per il riscaldamento nelvecchio palazzo aristocratico di Corso Umberto a Padova. Là, nel primodopoguerra, i figli della povera gente, portati dal don Mazza sui banchidell’Università, studiavano in saloni affrescati coi libri ammucchiati sulpavimento e le brande militari per dormire. Rievoca alcuni dei suoi“figli” di allora, e poi la giornata felice trascorsa al mio paese, aValdobbiadene, durante la gita dei laureandi, tra le prime generazionidel Collegio di Via dei Savonarola, con le bottiglie di vino stappate damio padre, l’ebbrezza di alcuni di noi, gli scherzi reciproci alla fontanadella piazza per farsi passare la sbornia.

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“ Vi ho voluto un gran bene” mormora di colpo. “E adesso sento chetutto questo bene mi sta tornando. Questa è l’unica cosa che ho: l’a-more che ho voluto a tutti i miei figli”.

In questa memoria affiorano cose liete, matrimoni da lui benedettidei suoi figli, e matrimoni andati a farsi benedire, i successi e le ama-rezze, il passaggio dall’assistenzialismo alla “politica” delle prime lotteper il diritto allo studio, per l’eguaglianza contro il privilegio, da unaparte, e il suo dramma personale dall’altro di fronte al movimento dellacontestazione del Sessantotto, nella scuola e nella Chiesa. Dice che ilfallimento del “mondo cattolico” in Italia è soprattutto “morale”, il tradi-

mento dell’ispirazione cristiana: “negli anni Cinquanta – dice -questo mondo cattolico aveva gente sostanzialmente onestache ci credeva. Ora, non è più così”.

Il linguaggio della sincerità, diceva Confucio cinque secoliprima di Cristo, è il solo sotto il cielo che possa effettuare cam-

biamenti. Anche in quella stanza di tenebra la verità irraggia la sua lucequando don Tosi, sapendo di toccare un tasto delicato, ricorda le lettereche ci siamo scambiati a proposito del referendum del 13 maggio 1974 suldivorzio in Italia. Anch’io, insieme a Pietro Scoppola, a Paolo Brezzi, aRaniero La Valle e ad altri intellettuali cattolici, mi ero associato alla posizio-ne dei “cattolici del No”.

La reazione di don Tosi era stata dura, nello stile che gli era con-sueto, uno stile che portava il timbro della sua voce tonante, della suagagliardia talora iraconda, come quella che ci aggregava in cappella oin teatro ad ascoltare le sue “encicliche”.

“Sì, sono stato duro” sussurra ora, dopo una lunga pausa. “ Ma ladurezza era un segno dell’affetto. Possibile che non ci possa incontra-re, fra cristiani? Possibile che ci siano cristiani che vogliono bene allaChiesa, e altri cristiani che la mettono in imbarazzo? Io voglio cercaredi farli intendere”.

Infine, gli pongo la domanda: cosa potrebbe uscire dalla crisi cri-stiana attuale, se il futuro della Chiesa possa essere ancora assicuratodalle strutture socio politiche della defunta cristianità.

E allora, questo prete tradizionale, ma non tradizionalista, vissutonel solco di figure supreme del cattolicesimo sociale come l’abateRosmini e don Nicola Mazza, ritrova il senso finale del suo messaggiocon un estremo lascito: “ La Chiesa vive nel presente, ma è aperta alfuturo. E chi lo prepara? Lo preparano i santi. I santi sono gente chevive per il futuro. Anche senza aureola”*.

Gli chiedo di benedirmi. Mormora la formula, mi chiede quale sia il miosanto patrono, gli dico San Carlo Borromeo, ed egli ne invoca l’interces-sione. Leva la sua mano a fatica sulla mia testa china e la benedice.

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Appendice

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I protagonisti del Quaderno

Intervistatori: allievi e collaboratori del Collegio

Davide Barbieri, Marco Caneva, Maurizio Carboniero, Diego Cecchet,Pierpaolo Cendron, Armando Mancini, Diego Franceschini, FrancescoGaspari, Serena Guariento, Federico Librino, Lorenzo Mattarolo, MarcoMazza, Rino Modonutti, Alberto Monese, Alberto Montresor, DanielePanato, Giovanni Pernigotto, Marco Pezzini, Giorgio Pusceddu, MattiaTosato.

Intervistati: allievi, collaboratori, Suore di don Mazza e parenti dellafamiglia Tosi – Bocchin - Monferdin

Rino Avesani, Luigi Beghi, Giorgio Bocchin, Carlo Bottaro, EmilioButturini, Giglio Ceron, Luciano Concheri, Giancarlo Conselvan,Augusto Corsini, Carlo Fornalè, Giovanni Frau, Remo Gattazzo, LuigiGiovedì, Nicolò Grubissich, Bruno Guariento, Luigi Gui, AntonioMancini, Rino Grandesso, Bruna Nicoli, sr. Agostina, sr. Maria, sr.Raffaella, Gian Carlo Falezza, Luigi Masutti, Roberto Pasini, Luigi Pretto,Piero Rialti, Giuseppe Ruin, Luigi Sartori, Giancarlo Tosi, Gianni Valbusa,Luigi Valentini, Giancarlo Zizola, Giuliano Zoso.

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I protagonisti nel Recital del 18 aprile 2005

musiche eseguite da

Luigi Burin, Maurizio Carboniero, Davide Fagherazzi, Giulio Furlani,Francesco Guarato, Umberto Guglielmini, Marco Jozzi, GianmarcoParpinel, Massimo Rezzadore

Video proiezione di fotoLoris Bertazza e Luca Urpi

PresentazioneLuca Martinello e Stefano Organo

Armonizzazione dei testi Serena Guariento

RegiaBeppe De Meo

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Indice

Presentazione di Francesco Massagrande . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5Introduzione di Serena Guariento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .9

I RICORDI DEI FAMILIARI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11

Dal racconto EEll ssiioo pprreettee di Giancarlo Tosi di Mattia Tosato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .13

El sio prete: interviste ai nipotidi Mattia Tosato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .17

I RICORDI DEI COLLABORATORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .23

PPrriimmaa ppaarrttee:: Interviste realizzate da collaboratori di oggi . . . . . . . . . .25

Un mago della comunicazione dall’anima di commercianteintervista a Luciano Concheri, segretariodi Francesco Gaspari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .27

Il battagliero e il bacanònintervista a suor Raffaella, suor Maria, e suor Agostina, prime collaboratrici di Marco Mazza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .34

L’Agricola Dei … un po’ duce e un po’ goliardaintervista a Carlo Bottaro, segretario personaledi Giovanni Pernigotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .37

SSeeccoonnddaa ppaarrttee:: Interviste realizzate da allievi di oggi . . . . . . . . . . . . . . . .45

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Pugnava la tola e tirava un’ostiaintervista a Bepi Ruin, cuoco di Pierpaolo Cendron . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .47

Un Papa nel suo piccolo Collegiointervista a Luigi Giovedì, collaboratore per la manutenzione di Marco Pezzini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .49

Un confidente… imponenteintervista a Bruno Guariento, collaboratore per la manutenzionedi Pierpaolo Cendron . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .53

Rigido? Solo un’impressioneintervista a Bruna Nicoli e a Gianni Valbusa, collaboratori di Costagrandedi Lorenzo Mattarolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .57

Le banche e l’ombrello il 15 di agostol’altra faccia dell’intervista a Luciano Concheridi Federico Librino e Serena Guariento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .58

Il padre e il direttore: due voltiintervista a Carlo Fornalè, Presidente del CdA di Marco Caneva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .64

Una posizione diversa dalla miaintervista a don Luigi Pretto, membro della Pia Società e successore nella direzione del Collegiodi Rino Modonutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .68

I RICORDI DI (DUE) SOSTENITORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .71

Un’autorità politicaintervista al senatore Luigi Gui, Ministro dell’Istruzionedi Davide Barbieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .73

Un’autorità religiosaintervista a Mons. Luigi Sartoridi Maurizio Carboniero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .75

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I RICORDI DEGLI ALLIEVI DI IERI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .77

PPrriimmaa ppaarrttee: Interviste realizzate da allievi di oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .79

1948 Bravi, buoni e corni bassi! Intervista a Nicolò Grubissich di Alberto Monese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .81

1952 Un galantuomo autorevoleintervista a Luigi Masuttidi Daniele Panato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .84

1961 Don-tosiintervista a Giuliano Zosdi Giorgio Pusceddu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .87

1964 ‘Sto Oremusestratto dell’intervista a Giancarlo Conselvandi Serena Guariento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .90

1962 Il Monsignoreestratto dell’intervista a Roberto Pasinidi Serena Guariento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .92

1966 Fare squadra dopo la laureaintervista a Remo Gattazzodi Diego Franceschini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .93

1956 Una persona direttaintervista a Augusto Corsinidi Alberto Montresor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .98

1969 La ggiiggiiaa di don Tosiintervista a Antonio Mancinidi Armando Mancini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .99

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1959 Non era una persona “facile”intervista a Gian Carlo Falezzadi Diego Cecchet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .103

SSeeccoonnddaa ppaarrttee: Testimonianze dei ttoossii di don Tosi . . . . . . . . . . . . . . . . . .105

1951 Eh, me racomando!testimonianza di Rino Grandesso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .107

1950 Su di lui si poteva sempre contaretestimonianza di Rino Avesani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .109

1956 La sua paterna benedizionebiglietto di Luigi Beghi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .110

1956 Un prete che voleva contare nella tua vitatestimonianza di Emilio Butturini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .111

1956 I pensieri forti delle cciirrccoonnffeerreennzzeetestimonianza di Giglio Ceron . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .113

1959 Sei mio amico? Biglietto di Giovanni Frau . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .114

1960 L’uomo del faretestimonianza di Luigi Valentini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .115

1956 Uno spazio di vita breve, ma estesotestimonianza di Piero Rialti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .117

1954 L’addiotestimonianza di Giancarlo Zizola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .119

APPENDICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .120

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Già pubblicati:

1. Celestino Corsato, Sant’Antonio Abate (251-356), 20052

2. Gianluca Dal Cin, I percorsi accademici degli studenti mazziani dal 1990 al 2000 a Padova, 2003

3. Massimo Gomiero, Lo sguardo oltre il confine.Don Angelo Vinco (1819-1853) tra missione ed esplorazione, 2004

4. Serena Guariento, Il Cinemazza come pretesto. La Sala-teatro tra cinema e vita in Collegio negli anni 1960-70, 2004

5. AA.VV., Le sfide della libertà.Atti del Ciclo di conferenze, a.a. 2003-2004, 2004

6. AA.VV., La variabile tempo.Atti del Ciclo di conferenze, a.a. 2004-2005, 2005

7. Giovanni Scanagatta, Temi di dottrina sociale della chiesa.Questioni di etica cristiana applicata, 2006

8. AA.VV., Lampo di genio.Atti del Ciclo di conferenze, a.a. 2005-2006, 2006

NUOVI QUADERNI MAZZIANI