trib. palermo ex direttiva cee 93-13

26
il Corriere giuridico 3/2011 402 Giurisprudenza Obbligazioni e contratti ....Omissis... Fatto e motivi della decisione …Omissis… Orbene, esaminando adesso il merito delle domande di parte attrice e per quanto innanzitutto concerne le que- stioni relative alla determinazione del tasso di interesse ed alla capitalizzazione trimestrale, va osservato che la valenza probatoria ricollegabile all’approvazione tacita degli estratti conto periodicamente trasmessi dalla banca deve ritenersi rigorosamente circoscritta alle risultanze numeriche degli addebiti di conto, senza quindi che tale preclusione possa incidere sulla facoltà - per l’opponente - di contestare, anche oltre i termini contrattuali, l’esi- stenza, la validità e l’efficacia, totale o parziale, dei rap- porti giuridici che costituiscono il fondamento delle sin- gole rimesse riportate nell’estratto conto (cfr., in tal sen- so, Cass. 3845/99; 4846/98; 1978/96). In sostanza, l’approvazione, anche tacita, dell’estratto conto esonera la banca dalla necessità di documentare Conto corrente di corrispondenza TRIBUNALE DI PALERMO, sez. dist. Bagheria, 31 dicembre 2009 - Giud. Ruvolo - Mater Dei s.r.l. (avv. Blando) c. Bipielle s.p.a. (avv. Trapani) In tema di conto corrente di corrispondenza, devono considerarsi ammissibili, alla luce del disposto dell’art. 1832 c.c., le lagnanze di parte attrice relative all’applicazione di interessi a tasso ultralegale ed alla capitaliz- zazione trimestrale in quanto non si limitano ad una contestazione relativa alle risultanze numeriche degli addebiti di conto, bensì investono la validità del rapporto giuridico (clausola che prevede la determinazione del tasso d’interesse o clausola che prevede l’applicazione della capitalizzazione trimestrale) che costituisce il fondamento delle singole rimesse. Posto che lo scopo perseguito dalla direttiva 93/13 è quello di tutelare il consumatore in situazione di inferio- rità rispetto al professionista e visto che una delle possibili clausole abusive secondo la direttiva comunitaria è quella volta ad “autorizzare il professionista a modificare unilateralmente le condizioni del contratto senza valido motivo specificato nel contratto stesso”, l’art. 118 d.lgs. 395/1993, nella sua formulazione letterale ante- riore alle modifiche del 2006 va interpretato conformemente alla direttiva comunitaria, ritenendo che nei con- tratti tra una banca ed un consumatore lo ius variandi è legittimamente previsto solo se collegato ad un moti- vo espressamente indicato in contratto. Posto che la commissione di massimo scoperto (nella specie espressamente concordata) è una voce di capita- le avente natura di corrispettivo delle somme messe a disposizione del cliente (e non di quelle utilizzate dal cor- rentista, aspetto remunerato dagli interessi), tale corrispettivo va tenuto concettualmente distinto dagli inte- ressi, che vengono disciplinati diversamente dal nostro ordinamento salvo il caso della nuova normativa sul- l’usura, in cui le due voci sono eccezionalmente assimilate data la loro vicinanza, nel senso che si tratta in ambo i casi di corrispettivo periodico attinente al godimento (effettivo, in caso di interessi, o soltanto potenziale, in caso di commissione di massimo scoperto) di denaro messo a disposizione del cliente dalla banca; ne conse- guono: a) l’inapplicabilità a quest’ultima voce del disposto dell’art. 1284 c.c., con riferimento alla necessità della forma scritta ad substantiam; b) la validità dell’applicazione trimestrale della commissione di massimo scoper- to, quand’anche dovesse ritenersi nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi; c) la non debenza di detta commissione per il periodo successivo al recesso della banca dall’apertura di credito. È illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi in favore della banca, mentre l’effettivo saldo del rap- porto di dare ed avere tra istituto di credito e cliente deve determinarsi in base ad un ricalcolo che non tenga conto della capitalizzazione degli interessi, sempre fatta salva, con riferimento al periodo successivo al 30 giu- gno 2000, l’applicazione della delibera CICR del 9 febbraio 2000 in esecuzione dell’art. 25, comma 2, del d. lgs. 342/99, in ordine alla medesima periodicità nel conteggio degli interessi. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conforme Capitalizzazione semplice in assenza di usi: Cass. S.U. 17 luglio 2001 n. 9653 Difforme Capitalizzazione trimestrale della Commissione sul massimo scoperto: Cass. 6 agosto 2002 n. 11772. Violazione dell’art. 81 e 82 Trattato CE: Cause riunite da T-259/02 a T-264/02 e T-271/02 Raiffeisen Zentralbank Österreich AG e altri; Causa C-85_76, Hoffmann-La Roche; Cause riunite T- 68/89, T-77/89 E T-78/89, SIV. Validità del saldo iniziale a debito in assenza di estratto conto Cass. S.U. 18 luglio 1994 n. 6707 Usura: Cass. penale 17 giugno 1986 n. 1207, Cass. pen. 26 marzo 2010 n. 12028

Upload: independent

Post on 06-Feb-2023

1 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

il Corriere giuridico 3/2011402

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

....Omissis...

Fatto e motivi della decisione…Omissis…Orbene, esaminando adesso il merito delle domande diparte attrice e per quanto innanzitutto concerne le que-stioni relative alla determinazione del tasso di interesseed alla capitalizzazione trimestrale, va osservato che lavalenza probatoria ricollegabile all’approvazione tacitadegli estratti conto periodicamente trasmessi dalla banca

deve ritenersi rigorosamente circoscritta alle risultanzenumeriche degli addebiti di conto, senza quindi che talepreclusione possa incidere sulla facoltà - per l’opponente- di contestare, anche oltre i termini contrattuali, l’esi-stenza, la validità e l’efficacia, totale o parziale, dei rap-porti giuridici che costituiscono il fondamento delle sin-gole rimesse riportate nell’estratto conto (cfr., in tal sen-so, Cass. 3845/99; 4846/98; 1978/96).In sostanza, l’approvazione, anche tacita, dell’estrattoconto esonera la banca dalla necessità di documentare

Conto corrente di corrispondenza

TRIBUNALE DI PALERMO, sez. dist. Bagheria, 31 dicembre 2009 - Giud. Ruvolo - Mater Dei s.r.l.(avv. Blando) c. Bipielle s.p.a. (avv. Trapani)

In tema di conto corrente di corrispondenza, devono considerarsi ammissibili, alla luce del disposto dell’art.

1832 c.c., le lagnanze di parte attrice relative all’applicazione di interessi a tasso ultralegale ed alla capitaliz-

zazione trimestrale in quanto non si limitano ad una contestazione relativa alle risultanze numeriche degli

addebiti di conto, bensì investono la validità del rapporto giuridico (clausola che prevede la determinazione

del tasso d’interesse o clausola che prevede l’applicazione della capitalizzazione trimestrale) che costituisce il

fondamento delle singole rimesse.

Posto che lo scopo perseguito dalla direttiva 93/13 è quello di tutelare il consumatore in situazione di inferio-

rità rispetto al professionista e visto che una delle possibili clausole abusive secondo la direttiva comunitaria

è quella volta ad “autorizzare il professionista a modificare unilateralmente le condizioni del contratto senza

valido motivo specificato nel contratto stesso”, l’art. 118 d.lgs. 395/1993, nella sua formulazione letterale ante-

riore alle modifiche del 2006 va interpretato conformemente alla direttiva comunitaria, ritenendo che nei con-

tratti tra una banca ed un consumatore lo ius variandi è legittimamente previsto solo se collegato ad un moti-

vo espressamente indicato in contratto.

Posto che la commissione di massimo scoperto (nella specie espressamente concordata) è una voce di capita-

le avente natura di corrispettivo delle somme messe a disposizione del cliente (e non di quelle utilizzate dal cor-

rentista, aspetto remunerato dagli interessi), tale corrispettivo va tenuto concettualmente distinto dagli inte-

ressi, che vengono disciplinati diversamente dal nostro ordinamento salvo il caso della nuova normativa sul-

l’usura, in cui le due voci sono eccezionalmente assimilate data la loro vicinanza, nel senso che si tratta in ambo

i casi di corrispettivo periodico attinente al godimento (effettivo, in caso di interessi, o soltanto potenziale, in

caso di commissione di massimo scoperto) di denaro messo a disposizione del cliente dalla banca; ne conse-

guono: a) l’inapplicabilità a quest’ultima voce del disposto dell’art. 1284 c.c., con riferimento alla necessità della

forma scritta ad substantiam; b) la validità dell’applicazione trimestrale della commissione di massimo scoper-

to, quand’anche dovesse ritenersi nulla la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi; c) la non

debenza di detta commissione per il periodo successivo al recesso della banca dall’apertura di credito.

È illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi in favore della banca, mentre l’effettivo saldo del rap-

porto di dare ed avere tra istituto di credito e cliente deve determinarsi in base ad un ricalcolo che non tenga

conto della capitalizzazione degli interessi, sempre fatta salva, con riferimento al periodo successivo al 30 giu-

gno 2000, l’applicazione della delibera CICR del 9 febbraio 2000 in esecuzione dell’art. 25, comma 2, del d. lgs.

342/99, in ordine alla medesima periodicità nel conteggio degli interessi.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme Capitalizzazione semplice in assenza di usi: Cass. S.U. 17 luglio 2001 n. 9653

Difforme Capitalizzazione trimestrale della Commissione sul massimo scoperto: Cass. 6 agosto 2002 n. 11772.Violazione dell’art. 81 e 82 Trattato CE: Cause riunite da T-259/02 a T-264/02 e T-271/02Raiffeisen Zentralbank Österreich AG e altri; Causa C-85_76, Hoffmann-La Roche; Cause riunite T-68/89, T-77/89 E T-78/89, SIV.Validità del saldo iniziale a debito in assenza di estratto conto Cass. S.U. 18 luglio 1994 n. 6707Usura: Cass. penale 17 giugno 1986 n. 1207, Cass. pen. 26 marzo 2010 n. 12028

il Corriere giuridico 3/2011 403

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

l’effettiva esistenza e correttezza delle singole partite, re-siduando al correntista esclusivamente la possibilità dicontestare la sussistenza del titolo in base al quale la sin-gola partita è stata iscritta.In tema di contratti bancari di conto corrente vige, infat-ti, la presunzione di veridicità delle scritturazioni delconto, quando il cliente, ricevuto l’estratto, non sollevispecifiche contestazioni (art. 1832 c.c., richiamato dal-l’art. 1857 c.c.).L’accettazione del conto in linea generale non esclude, in-vero, che possa essere oggetto di contestazione la validità el’efficacia, totale o parziale, dei rapporti giuridici che costi-tuiscono il fondamento delle singole rimesse riportate nel-l’estratto conto. È necessaria tuttavia una specifica conte-stazione da parte del cliente. Peraltro si deve osservare co-me le risultanze del conto costituiscono prova del creditoanche nei confronti dei fideiussori (cfr. Cass. n. 10808/98).Orbene, alla luce di tale principi, va innanzitutto dichia-rata l’ammissibilità - alla luce del disposto dell’art. 1832c.c. - delle lagnanze di parte attrice in quanto con le con-testazioni relative all’applicazione di interessi a tasso ul-tralegale ed alla capitalizzazione trimestrale non ci si li-mita ad una contestazione relativa alle risultanze numeri-che degli addebiti di conto, bensì si contesta la validitàdel rapporto giuridico (clausola che prevede la determi-nazione del tasso d’interesse o clausola che prevede l’ap-plicazione della capitalizzazione trimestrale) che costitui-sce il fondamento delle singole rimesse.Sempre alla luce di quanto appena osservato, deve co-munque anche ritenersi che sono infondate le doglianzedi parte attrice relative a talune risultanze numeriche de-gli addebiti di conto che avrebbero prodotto una erroneadeterminazione del debito.Per quanto ora concerne la questione relativa all’asseritaillegittimità degli interessi applicati dalla banca conve-nuta in misura extralegale, in violazione della formascritta ad substantiam imposta dall’art. 1284 c.c., si osser-va che nei contratti relativi ai tre conti correnti oggettodel giudizio è espressamente indicato il tasso applicatocon riferimento a tali conti correnti (v. gli originali deitre contratti prodotti da parte convenuta, nonché gli al-legati A/4, A/5 e A/6 alla CTU del dott. L. depositata indata 26 novembre 2008 relativi proprio ai tre conti og-getto del giudizio n. 2657, 2657.17 e 2657.34). Al CTUè stato quindi posto come quesito quello di applicare gliinteressi ultralegali pattuiti per iscritto.Va ora aggiunto, con riferimento alla questione dello iusvariandi, che l’art. 117 del T.U. in materia bancaria e cre-ditizia prevede la possibilità di variare in senso sfavorevo-le al cliente il tasso d’interesse ed ogni altro prezzo e con-dizione praticati, a patto che tale potere sia espressamen-te indicato nel contratto e la relativa clausola sia appro-vata specificamente dal cliente.L’art. 118 (nella versione antecedente alle modifiche ap-portate nel 2006, applicabile al caso di specie ratione tem-poris) specifica, in questa ipotesi, che le variazioni sfavo-revoli devono essere comunicate al cliente nei modi e neitermini stabiliti dal CICR a pena di inefficacia delle stes-se, per dare la possibilità al cliente, entro quindici giorni

dal ricevimento della comunicazione scritta ovvero dal-l’effettuazione di altre forme di comunicazione, di rece-dere dal contratto senza penalità e di ottenere, in sede diliquidazione del rapporto, l’applicazione delle condizioniprecedentemente praticate. Disposizioni analoghe preve-deva, prima dell’entrata in vigore del T.U. bancario, l’art.6 L. 154/92. Sono poi da ritenere nulle, anche se relativeai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore dellalegge 154/92 (come comunque non è nel caso di specie),le clausole legittimanti l’esercizio da parte della banca diuno ius variandi in peius, rispetto al correntista, senza cri-teri di sufficiente, oggettiva e certa determinabilità dellecondizioni applicate poi al rapporto.Nel caso di specie lo ius variandi era previsto nei contrat-ti oggetto del giudizio, ma le relative clausole non rispet-tavano i detti criteri di sufficiente, oggettiva e certa de-terminabilità delle condizioni applicate al rapporto. Sitrattava di clausole sullo ius variandi dal contenuto deltutto generico, che prevedevano una facoltà di modificada parte della banca non agganciata ad alcun parametro(v. sul punto Cass. 2103/96, in tema di determinabilitàdell’oggetto della clausola relativa allo ius variandi dellabanca, pronuncia che si pone, in un certo modo, in lineacon l’orientamento giurisprudenziale che qualifica ora,dopo le citate modifiche apportate nel 2006 all’art. 118,come vessatoria la clausola, contenuta nelle condizionigenerali di contratto, che riconosce unilateralmente alprofessionista la facoltà di modificare le disposizioni eco-nomiche del rapporto contrattuale anche in mancanza diun giustificato motivo; così Cass. 13051/08).Mette ora conto osservare che una interpretazione del

citato art. 118 nel senso di richiedere, per la determina-bilità dell’oggetto della clausola e la validità di quest’ulti-ma, l’indicazione sia di un motivo in presenza del qualeoperare la modifica unilaterale sia di parametri operativi(anche di massima) di tale modifica si impone pure se siconsidera quanto aveva stabilito, qualche mese primadella stipulazione dei contratti oggetto del giudizio, la di-rettiva comunitaria 93/13 sulle clausole abusive.Anzi, addirittura, si deve ritenere - nonostante il riferi-mento al giustificato motivo sia contenuto solo nella for-mulazione dell’art. 118 successiva alla modifica del 2006(“nei contratti di durata può essere convenuta la facoltà dimodificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condi-zioni di contratto qualora sussista un giustificato motivonel rispetto di quanto previsto dall’articolo 1341, secondocomma, del codice civile”) e sia assente nella formulazio-ne anteriore al 2006, formulazione rilevante ratione tem-poris nel presente giudizio (“se nei contratti di durata èconvenuta la facoltà di modificare unilateralmente i tassi,i prezzi e le altre condizioni, le variazioni sfavorevoli sonocomunicate al cliente nei modi e nei termini stabiliti dalCICR”) - che anche per i contratti stipulati prima dellenovità introdotte nel 2006 (come quelli di cui al presentegiudizio, risalenti al 1993-1994) l’art. 118 vecchia formu-lazione debba essere interpretato nel senso che la previ-sione negoziale dello ius variandi della banca deve anchecontenere l’espressa indicazione di un motivo legittiman-te l’attivazione del potere di modifica.

il Corriere giuridico 3/2011404

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Ed infatti, nelle ipotesi in cui non debba fare applicazio-ne diretta del diritto comunitario (come nel caso di spe-cie, visto che la direttiva comunitaria non produce effet-ti diretti nei rapporti orizzontali interprivati, quali sonoquelli di cui alla presente controversia), il giudice nazio-nale è infatti pacificamente tenuto (secondo la copiosa egranitica giurisprudenza della Corte di giustizia dai casiHarz, Von Colson, Johnston, Kolpinghuis, Nijman, Marlea-sing, Wagner Miret e Faccini Dori fino ai più recenti Pfeif-fer e Pupino e, da ultimo, al caso Schulte di cui a Corte giu-st. 25 ottobre 2005, n. C-350/03) ad interpretare il dirit-to interno conformemente “alla lettera ed allo scopo del-la direttiva al fine di conseguire il risultato perseguito daquest’ultima” (principio sempre così enunciato nelle sen-tenze della Corte di giustizia). Ora, dal 5° “considerando” della direttiva 93/13 e dallalettera b) dell’art. 2 della medesima direttiva si ricava chelo scopo del testo comunitario in questione è quello diconcedere protezione ai soggetti che non sono in grado diconoscere i principi applicabili alle contrattazioni che in-tendono concludere.Nella sentenza sul caso Océano Grupo Editorial (27 giugno2000, procedimenti riuniti C-240/98-C-244/98) la Cortedi Giustizia aveva poi ricordato che il sistema di tutelaistituito dalla direttiva 93/13 «è fondato sull’idea che ilconsumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispet-to al professionista per quanto riguarda sia il potere nelletrattative sia il grado di informazione, situazione che lo in-duce ad aderire alle condizioni predisposte dal professioni-sta, senza poter incidere sul contenuto delle stesse». Tale posizione di inferiorità ed il riferito deficit conoscitivoporta quindi a ritenere - insieme all’importante circostan-za per cui una delle possibile clausole abusive secondo ladirettiva comunitaria è quella volta ad “autorizzare il pro-fessionista a modificare unilateralmente le condizioni delcontratto senza valido motivo specificato nel contrattostesso” - che anche nella sua vecchia formulazione l’art.118 d.lgs. 395/1993 vada interpretato nel senso di ritenerenecessaria (certo nel solo caso in cui la controparte dellabanca sia un consumatore) la previsione negoziale di unmotivo che renda possibile la modifica unilaterale.Consiste nella tutela del consumatore, nell’eliminazione diun’asimmetria informativa e nel ripristino di una tenden-ziale situazione di equilibrio negoziale lo scopo sotteso alladirettiva 93/13, scopo che il giudice nazionale deve sempreperseguire nella sua opera di interpretazione conforme deldiritto interno rispetto al diritto comunitario.Anche il giudice, infatti, è destinatario, per pacificoorientamento della Corte di giustizia, dell’obbligo di lea-le cooperazione previsto dall’art. 10 (ex art. 5) del Tratta-to - e quindi del dovere per gli Stati di adottare tutte lemisure, di carattere generale e particolare (e quindi purei provvedimenti giurisdizionali), atte ad assicurare l’ese-cuzione degli obblighi derivanti dal Trattato o determi-nati dagli atti delle Istituzioni comunitarie (v., per tutte,le sentenze della Corte di giustizia sui casi Von Colson,Johnston, Gebroeders Beentjes BV, Nijman, Marleasing,Wagner Miret e Faccini Dori). Posto che lo scopo perseguito dalla direttiva 93/13 è quel-

lo di tutelare il consumatore in situazione di inferiorità ri-spetto al professionista e visto che una delle possibileclausole abusive secondo la direttiva comunitaria è quel-la volta ad “autorizzare il professionista a modificare uni-lateralmente le condizioni del contratto senza valido mo-tivo specificato nel contratto stesso”, allora l’art. 118d.lgs. 395/1993 nella sua formulazione letterale anteriorealle modifiche del 2006 va interpretato conformementealla direttiva comunitaria ritenendo che nei contratti trauna banca ed un consumatore lo ius variandi è legittima-mente previsto solo se collegato ad un motivo espressa-mente indicato in contratto. Un tale motivo è invecemancante nelle (generiche) clausole sullo ius variandicontenute nei tre contratti oggetto del giudizio, clausoleche non risultano quindi rispettose del citato art. 118.Sempre sul tema si ricordi che il principio dell’interpre-tazione conforme ha portata generale, valendo per il tem-po sia successivo che antecedente alla scadenza del ter-mine per il recepimento della direttiva (1) (riguardandotale termine il legislatore ma non l’organo giurisdizionaleo comunque l’interprete del diritto interno (2)) ed es-

Note:

(1) V. Corte giust. 8 ottobre 1987 C-80/86, Kolpinghuis, Racc.3969. V. anche la sentenza della nostra Corte costituzionale7.2.2000 n. 41, in questa Rivista, 2000, 909, con nota di Ricco-bene. Per Cafari Panico, Per un’interpretazione conforme cit.,392 e 395, in caso di applicazione anticipata dell’interpretazioneconforme (prima cioè della scadenza del termine di attuazione) ipoteri ermeneutici del giudice sono comunque più ridotti rispet-to a quelli esercitabili dopo la scadenza del termine per il recepi-mento. Sull’esistenza di un obbligo di interpretazione conformeindipendentemente da se e quando venga data attuazione alladirettiva v. le complete argomentazioni contenute nelle seguen-ti conclusioni: Avvocato Generale Kokott, 27 ottobre 2005, n. C-212/04, Konstantinos Adeneler e altri, pp. 42 e ss.; Avvocato ge-nerale Kokott, 18 maggio 2004, n. C-313/02, Wippel, Racc. I-9483, pp 58-63; Avvocato generale Tizzano, 30 giugno 2005, n.C-144/04, Mangold, paragrafi 115 e 120; Avvocato generale Dar-mon, 14 novembre 1989, cause riunite C-177/88 e C-179/88,Dekker e a., Racc. I-3941, paragrafo 11; 29 maggio 1991, causeriunite da C-87/90 a C-89/90, Verholen e a, Racc. I-3757, para-grafo 15 ss.; Avvocato generale Jacobs, 24 aprile 1997, n. C-129/96, Inter-Environnement Wallonie, cit., paragrafi 29 e ss.; 25giugno 1992, n. C-156/91, Hansa Fleisch, Racc. I-5567, paragra-fi 23 e 24. V. pure la sentenza Corte giust. 8 ottobre 1987 C-80/86, Kolpinghuis, cit., pp 15.

(2) Si legge nel punto 53 delle citate conclusioni dell’AvvocatoGenerale Juliane Kokott presentate il 27 ottobre 2005 nella cau-sa C-212/04, Konstantinos Adeneler e altri, che «è ancor menoconcreto il pericolo che il giudice nazionale possa prevenire il le-gislatore nazionale o porsi addirittura in contrasto con quest’ulti-mo nell’interpretare il diritto nazionale vigente in modo confor-me ad una direttiva già prima della scadenza del termine di at-tuazione, poiché, come già indicato, lo scopo della direttiva è vin-colante anche per i giudici nell’ambito delle loro competenze, elo è dal momento dell’entrata in vigore della direttiva. Pertanto, ilgiudice nazionale, se attraverso l’interpretazione della normativavigente può contribuire alla realizzazione dello scopo della diret-tiva già prima della scadenza del termine di attuazione, non pre-viene il legislatore nazionale, ma si limita ad applicare la normati-va da questo stesso creata. In tal modo quest’ultimo assolve ilsuo più peculiare dovere e apporta contemporaneamente il pro-prio contributo all’adempimento degli obblighi comunitari delloStato membro interessato. Ciò lascia naturalmente intatto il do-

(segue)

sendo relativo a tutte le norme comunitarie ed indipen-dentemente dal loro eventuale effetto diretto (imponen-dosi detto obbligo con riguardo a tutte le fonti, primarie(3) o no, produttive di effetti giuridici vincolanti - cheprima di portare alla disapplicazione della norma internarichiedono quindi la verifica in ordine alla possibile in-terpretazione conforme della stessa - o no (4)) e “dal sog-getto contro il quale si fanno valere le norme nazionali” (5).È poi opportuno rilevare che la responsabilità statale perviolazione del diritto comunitario dovuta ad attività giu-risdizionale è stata di recente affermata, con la sentenzasul caso Traghetti del Mediterraneo del 13 giugno 2006(6), anche per la violazione manifesta del diritto comu-nitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionaledi ultimo grado risultante dall’interpretazione delle nor-me di diritto (7).E tale violazione manifesta nell’esercizio dell’attività in-terpretativa si può verificare, secondo la Corte, «se, peresempio, il giudice dà a una norma di diritto sostanziale oprocedurale comunitario una portata manifestamente er-ronea, in particolare alla luce della pertinente giurispru-denza della Corte in tale materia (v., a questo riguardo, lasummenzionata sentenza Köbler, p. 56), o se interpreta ildiritto nazionale in modo da condurre, in pratica, allaviolazione del diritto comunitario vigente» (8).Infine, sempre sul punto dello ius variandi, mette contoosservare che dalle prove testimoniali espletate non èemersa, con riferimento allo specifico caso dei conti cor-renti della Mater Dei s.r.l., un’idonea comunicazione daparte dell’Istituto di credito in questione del mutamentodi tutte le condizioni. Va ora osservato che nello sviluppo dei conteggi il CTUha tenuto conto delle variazioni favorevoli al cliente enon ha tenuto in considerazione delle variazioni in sensosfavorevole al cliente. Parte convenuta non ha condivisoquesto modus operandi.In realtà, deve condividersi l’impostazione seguita dalCTU visto che questi non poteva tenere conto, alla lucedi quanto sopra esposto, delle variazioni sfavorevoli ap-portate unilateralmente dalla banca in forza delle dispo-sizioni negoziali sullo ius variandi sopra censurate. Né po-teva omettere di applicare le variazioni favorevoli consi-derato che parte attrice ha formulato la domanda di ripe-tizione dell’indebito sulla base, tra le altre cose, dell’o “er-roneo addebito su C/C di spese, commissioni ed interessi pre-tesi e percepiti dall’istituto”, senza censurare l’applicazionedi condizioni favorevoli, non contestate neppure da par-te convenuta. A questo punto, pure considerato che non è emerso il su-peramento (anch’esso lamentato da parte attrice) del tas-so soglia, deve valutarsi l’ulteriore contestazione relativaalla commissione di massimo scoperto.Al riguardo, bisogna innanzitutto osservare che tale com-missione costituisce, nella prassi bancaria, il compensoche la banca richiede a titolo di rimborso del costo dellaliquidità che essa sopporta per il sostenuto rischio del to-tale utilizzo del credito accordato al cliente medesimo.La commissione di massimo scoperto è una voce di capi-tale avente natura di corrispettivo non delle somme uti-

lizzate dal correntista (tale aspetto viene, infatti, remune-rato dagli interessi) ma di quelle messe a disposizione delcliente. In base a questa differenza tale corrispettivo vatenuto concettualmente distinto dagli interessi, tant’èche vengono disciplinati diversamente dal nostro ordina-mento salvo il caso della nuova normativa sull’usura, incui le due voci sono eccezionalmente assimilate data laloro comunque indubbia vicinanza, nel senso che si trat-ta in ambo i casi di corrispettivo periodico attinente algodimento (effettivo, in caso di interessi, o soltanto po-tenziale, in caso di commissione di massimo scoperto) didenaro messo a disposizione del cliente dalla banca.Da questa diversità sostanziale tra interessi e commissio-ne di massimo scoperto deriva l’inapplicabilità a quest’ul-tima voce del disposto dell’art. 1284 c.c., con riferimentoalla necessità della forma scritta ad substantiam, in quan-to norma eccezionale (poiché costituisce deroga al prin-cipio della libertà di forma) e, quindi, insuscettibile di ap-plicazione analogica ad ipotesi simili.Ciò vale per i contratti antecedenti alla legge 154/92 edal d.lgs. 385/93, il cui art. 117 prevede la forma scritta perla validità delle pattuizioni o la prova della loro pubbli-cità (commi 4 e 7 lett b).Ed invero, l’art. 117 d.lgs. 385/93 prevede che i contrattirelativi ai rapporti bancari devono essere redatti periscritto e che devono indicare il tasso d’interesse e ognialtro prezzo e condizione praticati. In caso di inosservan-za di tali disposizioni, il comma 7 dello stesso articolo pre-vede che si applicano gli altri prezzi e condizioni pubbli-cizzati nel corso della durata del rapporto per le corri-spondenti categorie di operazioni e servizi; in mancanzadi pubblicità nulla è dovutoUlteriore corollario della distinzione tra interessi e com-missione di massimo scoperto è la validità dell’applicazio-ne trimestrale della commissione di massimo scoperto,quand’anche dovesse ritenersi nulla la clausola di capita-lizzazione trimestrale degli interessi, in quanto la nullità

il Corriere giuridico 3/2011 405

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(segue nota 2)vere del legislatore nazionale di realizzare l’obiettivo della diretti-va, se necessario, attraverso la tempestiva emanazione di nuo-ve disposizioni».

(3) V. Corte giust. 4 febbraio 1988 C-157/86, Murphy Racc. 673,p. 11

(4) Anche per le raccomandazioni la Corte di giustizia ha affer-mato che “i giudici nazionali sono tenuti a prender[le] in consi-derazione ai fini della soluzione delle controversie sottoposte alloro giudizio”. V. Corte giust. 13 dicembre 1989 n. C-322/88, Gri-maldi, Racc. 4407, p. 18.

(5) V. le conclusioni dell’Avv. gen. Tesauro nella causa Brasseriedu Pecheur, sent. 5 marzo 1996 nn. C-46/93 e C-48/93, Racc.1996, I-1029 s., punto 29. V. anche Corte giust. 16.12.1993 C-334/92, Wagner Miret, Racc., 1993, I-691 s. per l’interpretazioneconforme di direttiva priva di effetto diretto e Corte giust. 14 lu-glio 1994 C-91/92, Faccini Dori, cit., per l’interpretazione confor-me di direttiva con effetto diretto. Cfr. anche la citata sentenzadel 10 aprile 1984 C-14/83 sul caso Von Colson e Kamann.

(6) Corte eur. giust. 13 giugno 2006 n. C-173/03.

(7) Oltre che dalla valutazione dei fatti e delle prove.

(8) V. Corte giust. 13 giugno 2006 n. C-173/03, p. 35.

di tale ultima clausola troverebbe il suo fondamento nel-l’art. 1283 c.c., riferibile esclusivamente all’anatocismo(cioè al fenomeno in base al quale gli interessi produco-no a loro volta interessi).Inoltre, proprio perché la commissione di massimo sco-perto è voce distinta dagli interessi non dovrà essere cor-risposta per il periodo successivo al recesso della bancadall’apertura di credito. Se, infatti, si tratta di un corri-spettivo per il semplice fatto che sono state messe a di-sposizione delle somme, esso non ha più ragion d’esserequando tale disponibilità viene a cessare perché la bancarecede dal rapporto di conto corrente e da quello di prov-vista (solitamente costituito da un’apertura di credito).Ora, in relazione ai conti correnti oggetto del giudiziospetta la commissione di massimo scoperto perché essa ri-sulta espressamente concordata (v. documentazione inatti, compresi gli originali dei tre contratti prodotti daparte convenuta).A questo punto deve valutarsi l’ulteriore contestazionerelativa all’illegittima applicazione della capitalizzazionetrimestrale degli interessi.La validità della clausola di capitalizzazione trimestrale de-gli interessi debitori dev’essere oggetto di valutazione allaluce del disposto di cui all’art. 1283 c.c., che sancisce undivieto generale di anatocismo in mancanza di “usi contra-ri” - anatocismo ammesso solo in caso di domanda giudi-ziale ovvero in caso di convenzione posteriore alla scaden-za, con il limite degli interessi dovuti da almeno sei mesi.Gli usi a cui fa pacificamente riferimento tale disposizionesono quelli normativi, quali elementi d’integrazione dellalegge e che operano con riferimento al contratto sul pianodegli effetti, dettando una disciplina a cui la legge rinvia;altra cosa rispetto agli usi negoziali attinenti invece al mo-mento formativo del negozio, integrandone il contenuto.Secondo consolidata nozione gli usi normativi consisto-no nella ripetizione generale, uniforme, costante, fre-quente e pubblica di un determinato comportamento(elemento oggettivo) accompagnato dall’elemento sog-gettivo della convinzione che si tratti di comportamentonon dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma giuri-dicamente obbligatorio in quanto conforme ad una nor-ma già esistente o che si ritiene debba far parte dell’ordi-namento (c.d. opinio iuris ac necessitatis).Orbene, fino al 1999 la giurisprudenza aveva costante-mente sostenuto la legittimità della clausola generalmen-te contenuta nei contratti di conto corrente bancario cheprevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessipassivi dovuti dal correntista (a fronte di una capitalizza-zione annuale degli interessi attivi spettanti al medesi-mo). Tale orientamento si fondava sull’assunto del carat-tere normativo dell’uso in questione.La giurisprudenza formatasi negli anni 70’e ‘80 considera-va legittima la previsione della capitalizzazione trimestra-le degli interessi nei contratti di conto corrente bancarioper periodi inferiori al semestre in presenza di usi norma-tivi, intendendosi riferito ad essi il richiamo contenutonell’art. 1283 c.c. e considerandosi tali quelli che preve-devano l’anatocismo nei contratti di conto corrente ban-cario. Questi, infatti, potevano qualificarsi alla stregua di

comportamenti tenuti dalla generalità degli interessaticon il convincimento di adempiere ad un precetto di di-ritto, poiché sia le banche sia i clienti chiedevano e rico-noscevano come legittima la pretesa di calcolo di nuoviinteressi sugli interessi scaduti (v. Cass. 1724/77,3479/71, 6631/1981). Era invece isolata la giurisprudenza che faceva leva sulcarattere negoziale degli usi richiamati nell’art. 1283 c.c.(cfr. Trib. Napoli, 24 aprile 1997).La giurisprudenza di merito aveva già progressivamenteposto in discussione la legittimità della capitalizzazionetrimestrale degli interessi passivi - facendo leva alternati-vamente sull’inesistenza dell’uso normativo, sul dispostodell’art. 117, comma 6, del T.U. bancario (che prevede lanullità delle clausole contrattuale di rinvio agli usi per ladeterminazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzoe condizione praticati), ovvero sulla natura vessatoria del-la clausola - quando è intervenuto un revirement nella giu-risprudenza di legittimità con le note pronunce del 1999.In tale anno la Corte di Cassazione, con tre pronunceravvicinate nel tempo, la n. 2374/99, la n. 3096/99 e la n.3845/99 (ma anche la giurisprudenza successiva del Su-premo Collegio si è attestata su questa posizione - cfr.Cass. n. 13739/03; 12222/03; 2593/03; 17338/02;11772/02; 8442/02; 4490/02; 1281/02; 6263/01;12507/99 - e ciò in una linea di continuità che è arrivatafino all’intervento, trattandosi di questione di massimache sebbene non più controversa era di particolare rile-vanza, delle sezioni unite che, con la sentenza n. 21095del 2004, hanno addirittura escluso la legittimità dellacapitalizzazione trimestrale a debito del correntista ban-cario pure con riferimento al periodo anteriore alle inno-vative pronunzie della Cassazione e ciò anche considera-to che la giurisprudenza assolve una funzione meramenteermeneutico-ricognitiva e di conseguenza la riforma giu-risprudenziale non può non travolgere l’indirizzo oppostoche non si sia formato correttamente; cfr. anche Cass.3589/05; 4095/05; 10127/05; 10599/05; 19882/05;21101/05; 10376/06) affermava il carattere negoziale enon normativo dell’uso in questione e dichiarava la nul-lità della relativa clausola di capitalizzazione trimestraledegli interessi per contrarietà all’art. 1283 c.c. (Cass.3096/99 e 2374/99 facevano riferimento, come ulteriorecausa di nullità, all’art. 4 L. 154/92 nella parte in cui vie-ta nelle clausole contrattuali il rinvio agli usi).Di lì a poco, per correggere lo scompenso che si stavacreando nel mondo giurisprudenziale interveniva il Legi-slatore, che introduceva, con l’art. 25 comma 3 d. lgs.342/99, una sorta di “sanatoria” ex tunc delle clausole cheprevedevano l’anatocismo nei rapporti bancari.Con sentenza n. 425 del 2000, la Corte costituzionale di-chiarava però incostituzionale la suddetta norma.A seguito di tale sentenza, il quadro della giurisprudenzadi merito appariva diviso tra pronunzie che si rifacevanoall’orientamento sancito dalle tre citate sentenze dellaCassazione del 1999 (negando l’esistenza di un uso nor-mativo relativo alla capitalizzazione trimestrale e dellarelativa opinio iuris ac necessitatis), con conseguente de-claratoria di nullità della clausola in questione, ed altre

il Corriere giuridico 3/2011406

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

pronunzie che si rifacevano all’orientamento più risalen-te della Cassazione, sostenendo la validità della clausoladi capitalizzazione trimestrale degli interessi.Allo stato attuale, comunque, la nullità della clausolache prevede la capitalizzazione trimestrale delle poste de-bitorie per violazione del divieto di anatocismo impostodall’art. 1283 c.c. è ormai pacifica in giurisprudenza ed èappena il caso di fare rinvio alle argomentazioni che sileggono nelle sentenze della Cassazione (v. Cass. sez. un.21095/04; 3589/05; 4095/05; 10127/05; 10599/05;19882/05; 21101/05; 10376/06; 6514/07; 15218/07).Deve ora osservarsi che non c’è invece uniformità di ve-dute, in giurisprudenza, sugli effetti della declaratoria dinullità della detta clausola di capitalizzazione trimestrale.Pertanto, è necessario stabilire se, nella riliquidazione delsaldo di conto corrente, l’interesse debba essere capitaliz-zato con diversa scadenza (semestrale o annuale), ovverodebba computarsi sul capitale puro.Secondo un’opinione più severa “in conseguenza dellanullità della clausola, contenuta in un contratto di contocorrente bancario, con cui si prevede la capitalizzazionetrimestrale degli interessi dovuti dal cliente, non sussisteun diritto della banca all’anatocismo semestrale o annuale,non sussistendo alcuna possibilità di sostituzione legale oinserzione automatica di clausole che dispongano una ca-pitalizzazione degli interessi passivi con una diversa perio-dicità” (9). Altra parte della giurisprudenza di merito ritie-ne, invece, che “il vuoto normativo conseguente alla de-claratoria di nullità delle clausole di capitalizzazione trime-strale degli interessi passivi, deve essere affrontato facendorichiamo al parametro dell’equità di cui all’art. 1374 c.c.intesa come esigenza di bilanciamento tra i contrappostiinteressi delle parti e tale parametro porta alla soluzione diuna clausola di capitalizzazione con cadenza annuale, inmodo da assicurare lo stesso termine previsto a favore deicorrentisti in caso di interessi a loro debito” (10).A sostegno della cadenza semestrale della capitalizzazionesi invoca un passaggio della motivazione di una sentenzadella Cassazione nel quale, tuttavia, la Suprema corte silimita - al fine di escludere l’esistenza di un uso normati-vo nella capitalizzazione trimestrale degli interessi - a ci-tare un orientamento formatosi in epoca precedente al-l’entrata in vigore del nuovo codice civile (11). Nessunargomento, inoltre, si ricava dall’art. 1283 c.c., nella par-te in cui tale norma consente gli interessi anatocistici«sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per seimesi», trattandosi di una disposizione “di sbarramento” enon di una condizione sufficiente, da sola, a legittimare lacapitalizzazione semestrale degli interessi.A sostegno della capitalizzazione annuale, parte della giu-risprudenza di merito sostiene che tale cadenza di capita-lizzazione sarebbe più conforme alla cadenza temporaledegli interessi ex art. 1284, 1° comma, c.c. («il saggio de-gli interessi legali è determinato [...] in ragione di anno»),che sarebbe applicata dalle banche a favore della cliente-la ed anche contemplata dalla delibera del Cicr emanatail 9 febbraio 2000 sulla base del d.lgs. 342/99 (12).La soluzione preferibile è nel senso dell’inapplicabilitàdell’art. 1831 c.c. al conto corrente bancario, sia per l’in-

superabilità del dato testuale dell’art. 1857 c.c. (che nonrichiama tale norma per il conto corrente bancario), sia inquanto l’interpretazione analogica non può essere richia-mata in ragione della profonda diversità di ratio tra il con-to corrente bancario - che prevede l’esigibilità a vista delsaldo ex art. 1852 c.c. - e il conto corrente ordinario, cheprevede l’inesigibilità delle prestazioni ex art. 1823 c.c..Per cui, se il saldo del conto corrente bancario è esigibilein ogni momento, non ha senso applicare l’art. 1831 c.c.,che presuppone l’inesigibilità delle partite creditorie sinoalla chiusura del conto. Esaminando le differenze struttu-rali sotto il profilo di validità temporale del contratto, sivede che il conto corrente ordinario è un contratto condurata limitata alla periodicità stabilita convenzional-mente fra le parti; scaduto il termine, il contratto ha esau-rito la sua normale operatività e si conclude con la richie-sta di pagamento da parte di colui che alla chiusura delconto risulta avere una posizione a credito. Solo eccezio-nalmente, qualora non venga esatto il credito, il contrat-to viene rinnovato tacitamente e il saldo precedente co-stituisce la prima rimessa del nuovo rapporto.Il conto corrente bancario, invece, è un contratto di du-rata, in cui il rapporto non si rinnova ad ogni chiusura diconto. La chiusura, cioè, non è prodromica al saldo ed al-la conclusione del contratto, ma è una mera operazionecontabile che non è richiesta dal tipo negoziale (tanto danon essere prevista nelle norme che regolano i conti cor-

il Corriere giuridico 3/2011 407

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(9) Cfr. Trib. Roma, 12 gennaio 2007 e Trib. Patti 10 giugno 2006,n. 155; v. anche App. Brescia 23 maggio 2007, secondo cui “lanullità della clausola anatocistica che prevede la capitalizzazionetrimestrale degli interessi comporta l’impossibilità di riconosce-re interessi anatocistici, seppure con cadenze temporali diverseda quelle trimestrali”. Questo orientamento è seguito da App.Torino del 21 gennaio 2002, n. 64, inedita (pronunciata in sede dirinvio nella controversia in cui era stata resa Cass. 3096/99), Trib.Pescara 18 novembre 2005, Trib. Pescara 6 maggio 2005, ForoIt., 2005, I, 2177; Trib. Patti 23 giugno 2003, Foro It., Rep. 2004,voce Contratti bancari, n. 53; Trib. Brindisi 13 maggio 2002, Fo-ro it., 2002, I, 1887.

(10) Trib. Monza 12 dicembre 2005, n. 3393; Trib. Benevento 13febbraio 2007.

(11) Cassazione civile, sez. I, 16 marzo 1999, n. 2374: «anzi, la dot-trina formatasi nel vigore della disciplina anteriore all’entrata in vi-gore del nuovo codice, anche sulla base della giurisprudenza del-l’epoca, affermava che gli usi normativi in materia commerciale,fatti salvi dall’art. 1232 del c.c. del 1865, erano nel senso che iconti correnti venivano chiusi ad ogni semestre e che al momen-to della chiusura potevano essere capitalizzati gli interessi scadu-ti. Inoltre, anche tra i primi e più autorevoli commentatori dell’art.1283 del codice vigente, si affermava che l’uso contrario richia-mato da detta disposizione prevedeva che divenisse produttivo diinteressi solo il saldo annuale o semestrale del conto corrente.Non v’è alcun elemento, quindi, che autorizzi a ritenere esistente,prima del 1942, un uso normativo che autorizzava la capitalizza-zione trimestrale degli interessi a carico del cliente di un istituto dicredito. 2. 6. È, comunque, decisivo un ulteriore rilievo, puntual-mente messo in evidenza da una parte della dottrina.»

(12) Che, come è noto, era finalizzato a «tamponare» gli effettidel nuovo orientamento della Suprema Corte, utilizzando la de-lega contenuta nell’art. 1, 5° comma, della legge comunitaria128/98 (avente ad oggetto l’emanazione entro il termine di unanno di disposizioni integrative e correttive del t.u. bancario).

renti bancari). Poiché il contratto prosegue naturalmen-te dopo la chiusura periodica (che, lo si ripete, non è ne-cessaria ed ha una funzione meramente contabile/riepilo-gativa), il considerare la risultanza (non si può, tecnica-mente, parlare di saldo) della chiusura come rimessa delperiodo successivo è una mera finzione e comporta indu-bitabilmente la violazione del divieto di anatocismo, inquanto si fanno produrre interessi agli interessi maturatifino a quel momento.Non è, dunque, nella disciplina del conto corrente ordi-nario che si possono trovare argomenti a favore dell’ana-tocismo bancario, sia per le non marginali differenze tra idue contratti (v. anche Cass. 3637/68), sia perché non ècerto che la fattispecie regolata dal secondo comma del-l’art. 1823 integri un caso di anatocismo.Sotto il primo profilo - lo si ribadisce - è da escludersil’applicazione analogica delle norme in tema di contocorrente ordinario al conto corrente bancario. Sono diostacolo ad un tale processo ermeneutico non solo le dif-ferenze strutturali tra i due istituti (13), ma anche l’esi-stenza di un esplicito richiamo contenuto nell’art. 1857,che rende più ardua l’opzione interpretativa analogica aldi fuori della previsione legislativa (14).Quanto all’art. 1823, comma due, anche la dottrina haevidenziato che nel conto corrente ordinario si verificauna sorta di anatocismo improprio, strettamente legatoalla struttura del conto stesso, dato che alla scadenza con-venuta il saldo del conto, costituito dalla somma algebri-ca delle rispettive rimesse e degli interessi in dare ed ave-re, a norma dell’art. 1835 c.c., costituisce un credito cer-to, liquido ed esigibile, che deve essere pagato (e, se nonpagato, produce interessi moratori a norma dell’art. 1224c.c.), ma che può anche divenire nella sua interezza (e,quindi, con una eventuale quota di interessi capitalizza-ta) la prima posta di un conto successivo. Qui non si ha,dunque, anatocismo (cioè, in parole semplici, interessiche producono interessi), bensì una somma (il saldo dichiusura del conto, che costituisce l’oggetto dell’obbliga-zione contrattuale di pagamento) che produce interessimoratori o compensativi e che solo eventualmente puòcontenere una quota di interessi.È, dunque, impossibile trasferire questa disciplina al con-to corrente di corrispondenza, dove non esiste l’accordodi inesigibilità dei rispettivi crediti, ma, anzi, esiste la re-gola opposta della continua disponibilità del saldo daparte del cliente (art. 1852 c.c.); regola, come osserva at-tenta dottrina, essenziale affinché il conto assolva allasua funzione tipica di cassa del cliente e base della crea-zione di moneta bancaria.In relazione alla pretesa legittimità di una capitalizzazio-ne annuale (15), si replica normalmente che la nullitàdella clausola di capitalizzazione trimestrale degli interes-si deriva non già dal tipo di cadenza temporale della ca-pitalizzazione, ma dalla mancanza delle condizioni impe-rative di cui all’art. 1283 (16). L’art. 1284 c.c., che (co-me risulta dalla rubrica) riguarda invece il saggio degli in-teressi, cioè l’entità del tasso e la decorrenza degli inte-ressi legali, non deroga in alcun modo alla norma di cuiall’art. 1283 c.c., che è l’unica che stabilisce le condizio-

ni per la produzione degli interessi sugli interessi (anato-cistici) e della quale indubbia è la natura imperativa(contrariamente all’art. 1284 c.c., la cui natura dispositi-va giustifica la derogabilità con la pattuizione di interessiconvenzionali (17)).

il Corriere giuridico 3/2011408

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(13) Del resto, la giurisprudenza consolidata avvicina il conto cor-rente bancario più al mandato che al conto corrente ordinario.

(14) Non è possibile l’assimilazione del conto corrente bancarioal conto corrente ordinario in quanto l’art. 1857 c.c., nel richia-mare le norme applicabili al conto corrente bancario, non men-ziona gli artt. 1823, 1825 c.c. e soprattutto l’art. 1831 c.c. chepresuppone l’inesigibilità del saldo prima della chiusura, men-tre l’art. 1852 c.c., con riferimento al conto corrente bancario,prevede la disponibilità del saldo in qualsiasi momento. La Cas-sazione ha avuto più volte modo di precisare: «la disposizionedettata dall’art. 1831 c.c. con riguardo al conto corrente ordi-nario (e secondo cui la chiusura del conto con la liquidazionedel saldo è fatto alle scadenze stabilite dal contratto o dagli usie, in mancanza, al termine di ogni semestre computabile dalladata del contratto, sì che è ammissibile una pattuizione anato-cistica degli interessi in deroga al principio generale di cui al-l’art. 1283 c.c., della posteriorità di questa pattuizione rispettoal tempo di maturazione degli interessi e senza vincolo alcunodi frequenza della capitalizzazione) non trova applicazione conriguardo al conto corrente bancario». E ancora: «in tema di ca-pitalizzazione degli interessi, il rapporto di conto corrente ban-cario è soggetto ai principi generali di cui all’art. 1283 c.c. e adesso non è applicabile l’art. 1831 c.c. che disciplina la chiusuradel conto corrente ordinario. Il contratto di conto corrente ban-cario è, infatti, diverso per struttura e funzione dal contratto diconto corrente ordinario, e l’art. 1867 c.c. non richiama l’art.1831 c.c. tra le norme applicabili alle operazioni bancarie rego-late in conto corrente» (Cass. civ., sez. I, n. 6187/05).

(15) Ma non solo di legittimità si dovrebbe parlare, bensì anchedi sostituzione automatica di clausole nulle

(16) Cfr. Trib. Patti, 10 giugno 2006: «altra autorevole dottrina -seguita da una parte della giurisprudenza di merito, tra cui il Tri-bunale di Milano - propugna invece la capitalizzazione annualesui conti debitori, ravvisandone il supporto normativo nel riferi-mento all’anno operato dall’art. 1284 c.c. per la scadenza del-l’obbligazione di interessi. Si osserva, infatti, che, in mancanza dicapitalizzazione annuale, verrebbe meno la responsabilità da ina-dempimento dell’obbligazione di interessi. Tale impostazione,tuttavia, non può condividersi; pare al giudicante come altro siala periodicità temporale fissata dalla legge per il computo degliinteressi, altro sia, invece, la previsione del termine perché que-sti siano portati a capitale. La tesi, poi, sfugge ad un semplicissi-mo rilievo: resterebbe infatti da comprendere per quale motivola soluzione prospettata, in assenza di apposita domanda giudi-ziale o convenzione, ex art. 1283 c.c., non potrebbe applicarsi (ilche è pacifico) ad un credito di valuta ordinario non pagato allascadenza, e ciò pur essendo identica la natura dei due crediticonsiderati. Non senza dire che è proprio il dettato dell’art. 1283c.c. a prevedere le ristrette modalità attraverso cui giungere alla“sanzione” da inadempimento dell’obbligazione da interessi».

(17) Cfr. Trib. Roma 12 gennaio 2007, che così continua: «a di-mostrazione che il debito per interessi non si configura come unaqualsiasi obbligazione pecuniaria dalla quale derivi la produzionedei frutti civili costituiti dagli interessi del capitale (art. 820, 3°comma, c.c.), sotto forma di interessi corrispettivi (art. 1282 c.c.)o moratori (art. 1224 c.c.), si osserva che l’obbligazione pecunia-ria che originariamente abbia ad oggetto il pagamento di interes-si rimane tale sempre (persino dopo l’estinzione dell’obbligazionedi pagamento del capitale: v. Cass., sez. un., 9653/01, id., Rep.2001, voce Opere pubbliche, n. 739), con la conseguenza inelut-

(segue)

Neppure è condivisibile il diverso argomento secondo cuila capitalizzazione annuale degli interessi sarebbe previstadalla delibera del Cicr emanata in attuazione dell’art. 25,comma 2, d.lgs. 342/99.Tale delibera, infatti, lungi dallo stabilire una generalizza-ta capitalizzazione annuale, si limita a prevedere che «neicasi in cui è prevista una capitalizzazione infrannuale vie-ne inoltre indicato il valore del tasso, rapportato su baseannua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazio-ne». In secondo luogo, soprattutto, l’art. 7, 1° comma,della predetta delibera prevede per i contratti stipulatiprima della data di entrata in vigore della medesima deli-bera (il 22 aprile 2000) la necessità di adeguamento «alledisposizioni in questa contenute entro il 30 giugno 2000» pre-via informazione scritta o approvazione della clientela (v.art. 7, commi 2 e 3 ), con l’implicita conseguenza che, incaso di avvenuto adeguamento, le clausole di capitalizza-zione degli interessi diverranno valide limitatamente aglieffetti prodotti successivamente, mentre per il passato re-steranno soggette esclusivamente alle condizioni previstedalla norma imperativa dell’art. 1283 c.c. (18)In conclusione, deve ritenersi che alla nullità della clau-sola di capitalizzazione trimestrale degli interessi e dellecommissioni di massimo scoperto non consegua alcunacapitalizzazione. Ciò anche perché non è rinvenibile nelsistema alcun parametro normativo atto a conferire alcredito bancario derivante dal conto corrente di corri-spondenza natura diversa rispetto a qualsiasi altro creditodi valuta. Deve ribadirsi, in particolare, che il ricorso al-l’applicazione analogica di altre disposizioni, previste inmateria di chiusura di conto o di saggio di interessi, nonè invocabile nel caso di specie. Lungi dal trovarci in un’i-potesi di vuoto normativo - che giustifica l’applicazioneanalogica - l’anatocismo risulta disciplinato dall’art. 1283c.c. Tale ultima norma consente la capitalizzazione degliinteressi solo dal giorno della domanda giudiziale o pereffetto di convenzione posteriore alla loro scadenza (sem-pre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi).Dichiarata nulla la clausola che prevede la capitalizzazio-ne trimestrale, non esiste più tra le parti alcun accordo inrelazione all’anatocismo, né risulta validamente stipulatoun nuovo accordo ai sensi della delibera CICR del 9 feb-braio 2000.La disciplina relativa alle clausole di capitalizzazione tri-mestrale, conseguente all’excursus della giurisprudenzasopra brevemente rassegnato, è la seguente: per i contrat-ti stipulati in epoca successiva al 22.4.2000, nonché perquelli stipulati anteriormente ma con riferimento al pe-riodo successivo al 30.6.2000, si applica la delibera CICRdel 9.2.2000 in esecuzione dell’art. 25, comma 2, del d.lgs. 342/99, per cui i saldi debitori e creditori debbonoprevedere la stessa periodicità nel conteggio degli inte-ressi; per i contratti stipulati anteriormente al 22 aprile2000, con riferimento al periodo anteriore al 1° luglio2000, siffatte clausole devono considerarsi disciplinatedalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, nullein quanto stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c., poi-ché la sanatoria prevista dall’art. 25 cit. è stata rimossa afar data dalla pubblicazione della sentenza della Corte co-

stituzionale n. 425/2000 e l’intera materia deve essere re-golata dai principi che regolano la successione delle legginel tempo.Poiché le odierne parti hanno stipulato il contratto diconto corrente per cui è causa in data anteriore al 22aprile 2000, in applicazione dei principi su esposti, ed inpiena adesione all’orientamento della giurisprudenza dilegittimità, deve dichiararsi nulla la clausola determina-tiva della capitalizzazione trimestrale degli interessi passi-vi, fatta salva, con riferimento al periodo successivo al 30giugno 2000, l’applicazione della citata delibera CICRdel 9 febbraio 2000 sulla medesima periodicità nel con-teggio degli interessi. Per le ragioni sopra esposte e considerato che la Corte diappello di Palermo si è orientata da tempo nel senso del-l’assenza di capitalizzazione di seguito alla declaratoriadell’illegittimità della capitalizzazione trimestrale e chepare opportuno adeguarsi a tale orientamento, è da rite-nere che la nullità sopra indicata colpisca la clausola delcontratto relativa alla capitalizzazione trimestrale degliinteressi in favore della banca e che alla declaratoria dinullità consegue che devono considerarsi indebite lesomme percepite dalla banca convenuta in dipendenzadell’applicazione di siffatte clausole, per cui deve proce-dersi alla rideterminazione dell’ammontare degli interes-si passivi maturati nel corso del rapporto senza applica-zione agli stessi di alcuna capitalizzazione.Alla luce del complesso di queste considerazioni, quindi,deve affermarsi che è illegittima la capitalizzazione trime-strale degli interessi in favore della banca, mentre l’effet-tivo saldo del rapporto di dare ed avere tra istituto di cre-dito e cliente deve determinarsi in base ad un ricalcoloche non tenga conto della capitalizzazione degli interessi,sempre fatta salva, con riferimento al periodo successivoal 30 giugno 2000, l’applicazione della delibera CICR del9 febbraio 2000 in esecuzione dell’art. 25, comma 2, deld. lgs. 342/99, in ordine alla medesima periodicità nelconteggio degli interessi.In base a tutti gli elementi di cui sopra si è proceduto adeffettuare C.T.U. contabile (delle due espletate viene dalTribunale preferita, per metodo e rigore, quella a firmadella dott.ssa T., peraltro condotta in maniera analoga,salvo che per il conteggio con gli interessi semplici nondemandato al primo CTU, a quella già espletata dal dott.L.), all’esito della quale è risultato che il saldo contabile

il Corriere giuridico 3/2011 409

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(segue nota 17)tabile che ulteriori interessi (anatocistici) potranno decorrere (su-gli interessi originari) sempre alle condizioni e nei limiti di cui al-l’art. 1283 c.c. Ciò rende irrilevante anche la circostanza che la ca-pitalizzazione annuale sarebbe comunemente prevista per gli in-teressi riconosciuti dalle banche in favore dei clienti».

(18) Infatti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale425 del 2000, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del-l’art. 25, comma 3, d.lgs. 342/99, che sanciva la validità ed effi-cacia delle clausole anatocistiche contenute nei contratti stipula-ti anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera Cicr,quelle clausole, quanto meno per gli effetti già prodotti, restanodisciplinate dalla normativa anteriormente in vigore, in virtù dellaquale esse sono nulle.

dei conti correnti intrattenuti da parte attrice era di €60.887,01 a favore della medesima parte attrice.In forza delle conclusioni cui è giunto il secondo C.T.U.(che è pervenuto alle dette conclusioni tramite la reda-zione di una relazione coerente e lineare, logicamentesviluppata e pienamente esaustiva rispetto ai quesiti pro-posti, i cui risultati, peraltro ben motivati anche in rela-zione alle osservazioni avanzate dalle parti alla consulen-za, vanno pertanto in questa sede condivisi e come dettopreferiti rispetto a quelli, comunque non molto dissimili,cui è pervenuto il dott. L. al quale, come detto, comun-que non era stato chiesto, in relazione all’anatocismo, dieffettuare un calcolo alla luce degli interessi semplici) de-ve quindi condannarsi parte convenuta al pagamento, infavore di parte attrice, della somma di € 60.887,01.Questo importo, indebitamente percepito dalla convenu-ta, va poi maggiorato degli interessi legali decorrenti dalgiorno della domanda giudiziale ai sensi dell’art. 2033, se-condo periodo, c.c. (la banca era infatti chiaramente inbuona fede).Trattandosi di una azione di ripetizione d’indebito ogget-tivo, ex art. 2033 c.c., il debito della banca accipiens pro-duce interessi solo a seguito della proposizione della do-manda giudiziale, non essendo sufficiente un qualsiasi at-to di costituzione in mora del debitore perché all’indebi-to si applica la tutela prevista per il possessore in buonafede (in senso soggettivo) dall’art. 1148 c.c., a norma delquale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalladomanda giudiziale, in ossequio peraltro al principio peril quale gli effetti della sentenza retroagiscono al momen-to della proposizione della domanda (Cass. 4745/05,5330/05). Ciò salva l’ipotesi in cui la società attrice aves-se fornito la prova della mala fede della banca, intesa co-me consapevolezza della insussistenza di un suo diritto aricevere il pagamento degli interessi anatocistici, avutoriguardo all’elemento psicologico esistente alla data dellaloro riscossione e considerato inoltre che, pure in questoambito, la buona fede deve presumersi (cfr. Cass.2857/98, 1293/98).In difetto di tale prova, alla società attrice dovranno es-sere corrisposti, sulla somma sopra indicata, gli interessi

legali dalla data della notificazione dell’atto introduttivodel giudizio (17.10.2006) sino al giorno dell’effettiva cor-responsione.Mette appena conto rilevare che il credito di valuta nonpuò formare oggetto di rivalutazione, non avendo peral-tro il creditore provato di aver subito dalla mancata di-sponibilità del danaro un danno di ammontare superiorealla misura degli interessi legali (art. 1224, secondo com-ma, c.c.). Alla luce di quanto appena esposto, va rigettata la do-manda di parte attrice volta alla condanna della conve-nuta al risarcimento dei danni patrimoniali per la mino-re redditività dipendente dalla mancata disponibilità del-le somme, nonché al risarcimento dei danni non patri-moniali nella misura liquidata equitativamente dal giudi-ce. Peraltro, nel caso di specie non sussiste un atto illeci-to doloso o colposo dell’istituto di credito. Sul punto va-le solo la pena di osservare che fino alle sentenze del 1999della Cassazione la capitalizzazione trimestrale degli inte-ressi dovuti alle banche non era neppure ritenuta illegit-tima.Per difetto di idoneo supporto probatorio, deve anche ri-gettarsi la domanda di parte attrice volta ad ottenere lacancellazione di tutte le segnalazioni “a sofferenza” ille-gittimamente effettuate dalla convenuta a carico di parteattrice presso la centrale rischi della Banca d’ItaliaQuanto alle spese di giudizio, si osservi che queste vannocompensate in considerazione del rigetto delle domandedi parte attrice diverse da quella ex art. 2033 c.c., del-l’l’infondatezza di alcune delle doglianze da questa formu-late con riferimento a quest’ultima domanda, del muta-mento di orientamento di questo Tribunale con riferi-mento alle condizioni applicabili (capitalizzazione an-nuale o interessi semplici) di seguito alla declaratoria dinullità della clausola relativa alla capitalizzazione trime-strale degli interessi spettanti alla banca e del riconosci-mento a parte attrice di una somma nettamente inferiorerispetto a quella (di € 184.063,05, oltre interessi e riva-lutazione) chiesta in citazione.

...Omissis....

il Corriere giuridico 3/2011410

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

GUARDANDO TROPPO L’ALBERO SI PERDE LA FORESTA:CONTO CORRENTE DI CORRISPONDENZA, TRASPARENZA,

CONCORRENZA E CLAUSOLE VESSATORIEdi Gianni Colangelo

Il contratto e la pratica del conto corrente di corrispondenza, collegato a svariate forme di rapporti costituti-vi di disponibilità quali l’apertura di credito in conto corrente ed il deposito, sono invariate sin dal secolo XIX,nonostante le numerose innovazioni legislative come le norme antitrust, la legge sulla trasparenza, le di-sposizioni sull’usura. Ci chiediamo se le vetuste prassi rispettino il corpus consolidato di tali norme impera-tive. Il Tribunale di Palermo affronta queste tematiche alquanto frammentariamente mentre è necessario unapproccio sistematico e comparatistico tra scienze giuridiche e matematiche.

1. Questioni generali

1.1 La natura giuridica del conto correntebancario, l’evoluzione normativa

Il contratto e la pratica del conto corrente bancario,tecnicamente definito di corrispondenza, sono natinella seconda metà del secolo XIX e sono giunti si-no a noi pressoché inalterati. Le norme regolatrici,invece, hanno subìto numerose innovazioni, qualiquelle apportate dal nuovo codice civile del 1942,dalle leggi sulla trasparenza - come la legge 17 feb-braio 1992, n. 154, il d.lgs. 1° settembre 1993, n.385, l’art. 25 del d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, il d.lgs.29 dicembre 2006, n. 303-, dalle norme specifichesul credito al consumo e sui contratti con il consu-matore in generale e, last but not least dalla legge n.108/96 contenente disposizioni sull’usura. Anche lanormativa antitrust di emanazione europea e nazio-nale gioca il suo ruolo.La fattispecie del conto corrente bancario è discipli-nata dalle esigue norme elencate nel Capo XVII, Ti-tolo I, Libro IV “Delle obbligazioni” del Codice ci-vile: più precisamente dagli articoli che vanno dal1852 al 1857. Per ciò che riguarda la natura giuridi-ca del contratto di conto corrente di corrisponden-za, la dottrina ha formulato diverse prospettazioni:mandato, contratto atipico misto, contratto atipicofunzionalmente collegato ad altro contratto banca-rio (1). Più recentemente prevale la tesi del contrat-to tipico. Vale la pena di osservare che tali disquisizioni dot-trinali hanno un contenuto meramente descrittivoin quanto non può negarsi il fatto che il conto cor-rente di corrispondenza, con il quale la banca si ob-bliga ad effettuare operazioni per conto del cliente,non può funzionare senza «il rapporto costitutivo didisponibilità (deposito o apertura di credito) ed uncontratto di mandato» (2). Quest’ultimo rilievo è incoerenza con l’art. 1856 c.c.: «La banca risponde se-condo le regole del mandato, per l’esecuzione d’in-carichi ricevuti dal correntista o da altro cliente». In definitiva possiamo concludere che si tratta dicontratti collegati (3), in cui l’apertura di credito sicombina con il deposito bancario ed il mandato (4)per dar luogo ad un unico contratto tipico (5): l’a-pertura di credito in conto corrente. Evidenziamo,in merito alle varie specie dei rapporti che costitui-scono la disponibilità, quanto statuito dalla Supre-ma Corte di Cassazione: «A differenza del contocorrente ordinario, quello bancario o di corrispon-denza si distingue per un elemento essenziale ma ca-ratterizzante: la disponibilità della somma di danaroche può essere l’effetto di un deposito bancario, di

un’apertura di credito, di un’anticipazione bancariao altra» (6), incluso lo sconto ed il mutuo, che in talcaso assumono un’unitarietà causale.

1.2 Il Cartello bancario ed i meccanismimoltiplicativi delle remunerazioni

Dal punto di vista storico, inoltre, la pratica del con-to corrente bancario è stata dal 1918 governata e de-finita da due generi di accordi di cartello (7): l’ac-cordo sulle condizioni delle principali categorie dioperazioni bancarie, che in modo puntuale fissa i li-miti comuni più favorevoli per il cliente; e l’accordosulle norme contrattuali, che ha dato origine alle Nor-me Bancarie Uniformi, come descritto e statuito innumerose sentenze di Cassazione (8). In estremasintesi, l’Accordo sulle norme contrattuali del 1952introduce la capitalizzazione trimestrale per gli inte-ressi attivi per la Banca e passivi per il cliente ed an-nuale per gli interessi attivi per la clientela. L’Ac-cordo sulle condizioni del dicembre 1953 introducela commissione sul massimo scoperto ed il gioco del-le valute. Dal giugno del 2000, mercé l’art. 25, com-ma 2 d. lgs. 4 agosto 1999, n. 342, la capitalizzazionedelle competenze sui conti debitori è uniformemen-te trimestrale sia per gli interessi attivi che per quel-li passivi. Secondo la Banca d’Italia, infatti, non si conosconoBanche che pratichino una capitalizzazione degli in-

il Corriere giuridico 3/2011 411

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(1) AA.VV., Contratti Bancari, Le operazioni bancarie in conto cor-rente, Milano, 1991, 3 ss.

(2) Idem, 8.

(3) F. Galgano, Diritto Privato, Padova, 2001, 244 ss.: «Diversodal contratto a causa mista è il fenomeno dei contratti collegati:qui non c’è un unico contratto, ma una pluralità coordinata dicontratti, che conservano ciascuno una autonoma causa, anchese nel loro insieme mirano ad attuare, fra le stesse parti, una uni-taria e complessa operazione economica. Il criterio distintivo nonè quello formale, della unità o pluralità dei documenti contrattua-li: un unico contratto può risultare da più testi e, per contro, ununico testo può riunire più contratti (…) deposito bancario emandato si combinano, nel conto corrente bancario per dar vitaad un unico contratto tipico».

(4) Recita l’art. 1856 comma 1:«La banca risponde secondo leregole del mandato per l’esecuzione di incarichi ricevuti dal cor-rentista o da altro cliente»

(5) V. Santoro, Il conto corrente bancario in Il Codice civile com-mentato, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, 52 ss.

(6) Cass. 26 ottobre 1987, n. 7856. Analogamente, Cass. 23 gen-naio 1984, n. 548, in Banca, borsa tit. cred., 1985, II, 135.

(7) M. Biscaini Cotula, Il cartello bancario in Italia. Condizioni enorme per le operazioni e i servizi di banca, Bollettino della Ban-ca d’Italia, luglio-dic.1980, Anno 35°, n. 3-4, p. 375 ss.

(8) Cassazione, sez. I, 15 giugno 1994, n. 5815; Cass. S.U. 4 no-vembre 2004, n. 21095, in Foro it., 2004, p 3294; Cass. 21 mag-gio 2008, n. 13051; Trib. Roma 17 gennaio 2000, G.U. Lamorge-se, in Foro it., 2000, 2082.

teressi passivi diversa da quella trimestrale (9). Ab-biamo più volte rilevato che le remunerazioni dell’a-pertura di credito in conto corrente stabilite dalcontratto, tuttora uniformemente imposto allaclientela, sono: gli interessi, la commissione sul massi-mo scoperto, il gioco delle valute e le spese per servizivari; i meccanismi moltiplicativi delle competenzedeterminati dal contratto sono: il sistema delle valuteche dilata artificialmente lo scoperto (10), l’anatocismodegli interessi, l’anatocismo della commissione sul massi-mo scoperto e l’imputazione degli accreditamenti e degliaddebitamenti fatta al capitale. Grazie al doppio mec-canismo anatocistico, gli interessi moltiplicano sestessi e la commissione sul massimo scoperto e que-st’ultima moltiplica se stessa e gli interessi. L’impu-tazione degli accrediti e degli addebiti al capitale fasì che gli interessi, globalmente intesi, siano semprecapitalizzati e mai estinti dal conto corrente sino al-la sua chiusura. Si realizza così il metodo della dop-pia progressione geometrica - qui con cadenza tri-mestrale - nella produzione degli interessi.

1.3 L’interesse, la progressione aritmetica e la progressione geometrica

L’incendio suo seguiva ogne scintilla;/ed eran tante, che‘1 numero loro/più che ‘1 doppiar de li scacchi s’immilla(11). Sin dai tempi più remoti ci si rende conto del-le potenzialità iperboliche del calcolo degli interessia progressione geometrica (1, 2, 4, 8, 16…ecc., inte-resse composto) in luogo della progressione aritme-tica (1, 2, 3, 4…ecc., interesse semplice). «Il numeroloro/ più s’immilla, contiene in sé il mille più volteche no ‘1 contenga il numero che nasce dal doppiardegli scacchi; dal contar cioè uno nel primo scacco,o sia casella dello scacchiere, due nel secondo, quat-tro nel terzo, otto nel quarto, e colla medesima pro-gressione fino al sessantesimoquarto ultimo scacco»(12). Chiaro in Dante il riferimento alla leggenda diSessa Ebu Dahir, che, avendo presentato il nuovogiuoco ad un Re della Persia che, entusiasta, si eraofferto di dargli in premio quanto chiesto avesse, glidomandò un granello di riso duplicato e riduplicatotante volte quante erano le caselle della scacchiera.Il Re rise di ta1 richiesta, come di cosa di nessunconto. Fatto poi fare il calcolo, trovò di non avereabbastanza riso da soddisfarlo. Infatti, i chicchi di ri-so sono 264-1 pari a 18.446.744.073.709.600.000. Ilpeso di un chicco di riso è apparentemente trascura-bile, circa 0,033 grammi, ma l’equivalente in peso di264-1 chicchi di riso è pari a 608.742.554.432,42tonnellate. La richiesta, così come quella dell’inte-resse anatocistico, è solo apparentemente modesta,in realtà è sproporzionata (13).

Similmente, antichi giuristi considerano: «La con-versione del debito degli interessi in debito di capi-tale allo scopo di provocare la decorrenza di nuoviinteressi sulla somma per tale titolo dovuta (anatoci-smo), fu sempre guardata con avversione dai legisla-tori, che a ragione vi scorsero uno degli espedientipiù raffinati ed efficaci dell’usura, di tanto maggiorpericolo per i debitori incauti, quanto minore è lafacilità di farsi a priori l’idea de’suoi risultati disastro-si» (14). E la Suprema Corte di Cassazione, nellastorica sentenza del 16 marzo 1999 n. 2374 (15), sta-tuisce sulle potenzialità usurarie dell’anatocismo edil contenuto dell’art. 1283 c.c. che lo vieta: «Le fi-nalità della norma sono state identificate, da unaparte, nella esigenza di prevenire il pericolo di feno-meni usurari, e, dall’altra, nell’intento di consentireal debitore di rendersi conto del rischio dei maggio-ri costi che comporta il protrarsi dell’inadempimen-to (onere della domanda giudiziale) e, comunque, dicalcolare, al momento di sottoscrivere l’appositaconvenzione, l’esatto ammontare del suo debito». In sintesi possiamo affermare che, per chi utilizza in-tensivamente l’apertura di credito in conto corren-te, il complesso meccanismo di moltiplicazione de-gli oneri descritto fa sì che medio tempore il debito siacostituito dai soli interessi che riproducono se stessicon tendenza all’infinito. Gli esiti contabili dellaCTU, che esamineremo più avanti nel dettaglio, nesono la matematica dimostrazione. Data l’invarianzadella pratica bancaria in materia di conto corrente

il Corriere giuridico 3/2011412

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(9) fr. nota della Banca d’Italia prot. N. 2507, datata 30 maggio2001 e pubblicata su Gia. Colangelo, Trasparenza, Concorrenza eSoglie usurarie, Napoli, 2004, 125.

(10) Le Banche non sopportano costi di valuta. La sentenza 22giugno 1987 del Tribunale di Roma (in Foro it., 1988, 1720) ripor-ta: «…come ha riferito la Banca d’Italia nelle sue informazioni,(…)le aziende di credito intrattengono tra loro conti di corrispon-denza (…) attraverso i quali le partite di debito e credito si consi-derano pressoché immediatamente liquide. La diversa e più sfa-vorevole valuta applicata al cliente è fonte perciò di un lucro perla banca». Ciò vale a maggior ragione nell’era del tempo reale.

(11) Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, C. XXVII, v. 91-93.

(12) B. Lombardi, nota a Paradiso, Canto XVIII, 93-94, Roma,1822. similmente anche N. Sapegno, nota a medesimo verso,Firenze, 1955.

(13) Le potenzialità incrementali dell’interesse composto sono il-lustrate da R. Price, An Appeal To The Public, On The NationalDebt, London, 1772; R. Price, Observations on ReversionaryPayments, London, 1773; E. F. Fama e M. H. Miller, The Theoryof Finance, 1972, Holt, Rinehart and Winston, Inc., p. 53 ss.

(14) Messa, L’obbligazione degli interessi e le sue fonti, Milano,1914, 102.

(15) In Foro it., 1999, 1158 ss e in questa Rivista, 1999, 5, 562con nota di V. Carbone.

in relazione alle numerose innovazioni legislative, lasentenza del Tribunale di Palermo ci offre l’occasio-ne di raffrontare, in maniera sinteticamente siste-matica, la congruenza di tale pratica con le normesuccedutesi nel tempo. In pratica, si tratta di rispon-dere alla domanda se il conto corrente di corrispon-denza, collegato ai vari contratti in uso nella attualepratica bancaria, risponde pienamente ai requisiti dilegge o è un vecchio arnese da abbondare in favoredi più moderne pratiche che siano rispettose delprincipio della trasparenza, della buona fede e dell’e-quilibrio contrattuale tra i contraenti.

1.4 Il capitale e l’interesse. L’approcciocomparatistico con la matematica

Il caso che ci occupa - attenendo ad alcuni contrat-ti di credito collegati al conto corrente di corrispon-denza in cui l’oggetto del contratto è la prestazionedel danaro in cambio di un corrispettivo costituitodall’interesse (da intendersi come interesse, ai sensidell’art. 820 C.c., tutte le remunerazioni che hannocausa nella prestazione di denaro) - impone un ap-proccio comparatistico tra scienze giuridiche e ma-tematiche. Tale approccio, contestato da una partedella dottrina (16) mentre è vivacemente sostenutoda altri (17), ci pare indispensabile dal momentoche la nozione giuridica degli interessi sembra deri-vare da quella economica di questi. Scriveva Böhm-Bawerk nel 1892: «Si chiama interesse, in generale,la remunerazione che il proprietario di un bene rice-ve in cambio della sua utilizzazione temporanea. Seoggetto dell’utilizzazione è un bene durevole, si par-la di canone d’affitto o di locazione; se invece ogget-to dell’utilizzazione è una somma di beni consuma-bili oppure fungibili, e specialmente di capitale mo-netario, si parla di interessi» (18). È così stabilitonel comma 2 dell’art. 820 c.c.: «Sono frutti civiliquelli che si ritraggono dalla cosa come corrispetti-vo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli in-teressi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vi-talizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle lo-cazioni». In precedenza Leibniz si esprimeva in termini piùmatematici, che non mutano la sostanza della defi-nizione di interesse: «Interusurium sive resegmen-tum anticipationis, vulgo Rabat, est differentia interpecuniam in diem certum debitam, et praesentemejus valorem» (19). Così concordava la dottrina fi-losofico-matematica successiva: «Interest of Moneyis the Sum payable by the Borrower to the Lenderfor the Use thereof, and is sometimes called Use, so-metime Interest of Money» (20). Ciò che ci riportaal concetto, già citato, che tutte le remunerazioni

che hanno causa nella prestazione di denaro e ne co-stituiscono sostanzialmente un corrispettivo, sonoda considerarsi interessi. Non basta cambiar nome e forma a tali oneri richie-sti al debitore perché ne sia mutata la natura giuridi-ca economica. È questo un concetto antico che tro-va esplicite definizioni: «CASE I. The principal, ti-me and ratio given, to find the interest, and amount.RULE. Multiply the principal, time and ratio to-gether, the last product will be the interest, commis-sion, brokage, etc. to which add the principal, andthe sum will be the amount» (21). Mutatis mutandis,tornando alla definizione di Leibniz, gli interessi, so-no dati dalla somma complessivamente pagata daldebitore alla fine del periodo del finanziamento, de-finita montante, meno il capitale inizialmente pre-stato. Ed, infatti, troviamo: «CASE 3. The amount,principal, and time given, to find the rate of intere-st. RULE. Subtract the principal from the amount;divide the remainder by the product of the time andprincipal, and the quotient will be the ratio» (22). Storicamente si delineano due aspetti fondamentaliriguardanti l’obbligazione degli interessi: le modalitàdi calcolo e la base di calcolo, vale a dire ciò che dob-biamo, o non, considerare come interesse. Tale ulti-ma esigenza nasce dall’espediente di mascherare(23) gli interessi richiesti dall’intermediario me-diante la capitalizzazione, ovvero il confondere l’in-teresse con il capitale; o celandolo sotto altre voci

il Corriere giuridico 3/2011 413

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(16) Ascarelli, Obbligazioni pecuniarie, in Commentario del codi-ce civile a cura di Scialoja e Branca, Libro quarto. Delle obbliga-zioni (art. 1277-1284), Bologna-Roma, 576, sub art. 1284. M. Li-bertini, voce Interessi, in Enc. Dir., XXII, Milano, 1972, 95. Dellastessa opinione O.T. Scozzafava, Gli interessi monetari, p.4, Na-poli, 1984, ora in Gli interessi dei capitali, Milano, 2001.

(17) Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass.dir. civ., 4, 1991, 757. Nello stesso senso: Mazzoni, Studi suifrutti civili, Siena, 1979, 18.

(18) E. Von Boehm-Bawerk, la voce enciclopedica Zins delHandwörtenrbuch der Staatswisseenschaften, Leipzig, 1892, latroviamo tradotta in Capitale Valore Interesse, Archivio Guido Iz-zi, 1998, p. 161.

(19) G. Leibniz, Meditatio Juridico-Mathematica de InterusurioSimplice, Acta Eruditurum, Leipzich, 1683, così anche AA.VV.,The American Tutor’s Assisitant, Philadelphia, 1803, 158; D. Jo-nes, Values of Annuities, London, 1843, 3; T. Lund, The Ele-ments of Algebra, London, 1857, 269; S. Homer - R. Sylla, Sto-ria dei tassi d’interesse, Cariplo - Laterza, Milano, 1995, p. VI; F.Cacciafesta, Matematica finanziaria, Torino, 2006, 2.

(20) E. Hatton, revised by W. Hume, Comes Commercii, Sup-plement, London, 1759, p. 3.

(21) AA.VV., The American Tutor’s Assisitant, Philadelphia, 1803,157.

(22) Idem, 158.

(23) D. Sinesio, Interessi pecuniari tra autonomia e controlli, Mi-lano, 1989, 4; 33.

quali commissioni e oneri a vario titolo imputati equant’altro scaturisce dall’inesausta fantasia dell’im-prenditore creditizio: «Although there be no parti-cular theorem for discovering the compound intere-st of a sum of money distinct from the amount, yet itmay easily be found, being the difference betwixtthe principal and the amount» (24).L’impostazione che consiste nel mettere in relazionele remunerazioni che hanno causa nella prestazionedi denaro con il capitale prestato è ripresa dalla Co-munità europea quando emana la prima Direttivasul credito al consumo la 87/102/CEE. Qui si stabili-sce che per costo totale del credito al consumatore si in-tendono tutti i costi del credito compresi gli interes-si e gli altri oneri direttamente connessi con il con-tratto di credito e per tasso annuo effettivo globale, ilcosto globale del credito al consumatore, espresso inpercentuale annua dell’ammontare del credito con-cesso. Tali concetti sono trasfusi nell’art. 122 del d.lgs. n.385/93: «Il tasso annuo effettivo globale (TAEG) èil costo totale del credito a carico del consumatoreespresso in percentuale annua del credito concesso.Il TAEG comprende gli interessi e tutti gli oneri dasostenere per utilizzare il credito».Infine, la legge n. 108/96 stabilisce all’art. 1: «Per ladeterminazione del tasso di interesse usurario si tie-ne conto delle commissioni, remunerazioni a qual-siasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte etasse, collegate alla erogazione del credito».

2. La sentenza del Tribunale di Palermo

Sub iudice è un contratto di conto corrente di corri-spondenza cui sono collegati diversi contratti di cre-dito, quali tre conti anticipazioni su fatture, finan-ziamenti e mutuo, al fine di costituire la disponibi-lità delle somme di danaro sul conto, secondo la di-zione della Suprema Corte. La parte attrice contestala nullità della clausola degli interessi rinviante agliusi su piazza, la nullità delle clausole anatocistiche,la nullità delle commissioni sul massimo scoperto.Chiede il corretto computo del saldo del conto cor-rente interpretando il contratto secondo la legge e larestituzione delle maggiori somme versate. Chiede,inoltre, di accertare l’eventuale superamento deltasso soglia e di essere risarcita per il danno patrimo-niale e non patrimoniale subito. La parte convenutaproduce i contratti concernenti il conto corrente dicorrispondenza ed i conti anticipi sottoscritti dal-l’attrice nel 1993 e nel 1994, recanti la pattuizionedei tassi e delle commissioni nonché la clausola chedà diritto alla Banca di variare tassi e condizioni insenso peggiorativo per la cliente.

Dopo due CTU ed una integrazione dell’ultima con-sulenza, il Tribunale di Palermo decide che i tassid’interesse e le commissioni sono validamente pat-tuiti, che la clausola contenente lo jus variandi è daritenersi nulla per contrarietà alla Direttiva93/13/CEE, che la commissione sul massimo scoper-to non è un interesse ma, appunto, una commissio-ne, che gli interessi convenzionali devono esserecalcolati ad interesse semplice sino al 30 giugno2000 e, da quella data, con capitalizzazione a caden-za trimestrale in virtù dell’adeguamento della Bancaalla condizione di pari periodicità di capitalizzazioneche sarebbe prevista dall’art. 7, comma 2 della Deli-bera CICR del 9 febbraio 2000. Il Tribunale decidealtresì che il contratto non produce esiti usurari inquanto il tasso soglia non è mai superato, ugualmen-te respinge la richiesta dei danni in quanto non pro-vati e stabilisce che alla correntista debbano essererestituiti € 60.887,02 in luogo degli € 184.062,05richiesti.

2.1 La questione della validità dei contrattidi apertura di credito e di anticipazioni

Alla luce della normativa sulla trasparenza occorrechiedersi se la produzione dei soli contratti di credi-to recanti la pattuizione delle condizioni, dei tassi edelle commissioni sia sufficiente a considerare vali-de tali convenzioni. La risposta ci appare negativa. Già in dottrina troviamo: «La disciplina della tra-sparenza delle condizioni economiche è comunquediretta a garantire una informazione circostanziatamediante una tecnica giuridica che coinvolge ilcliente in prima persona. Preliminarmente va peròosservato che la pubblicità delle condizioni econo-miche non costituisce più espressione di una facoltà,bensì di un onere (di gran lunga più incisivo di quan-to previsto dall’art. 1341, comma I, c.c.), la cui os-servanza è garantita dall’obbligo posto a carico deglioperatori bancari e finanziari a non praticare, ai sin-goli clienti, condizioni più svantaggiose rispetto aquelle pubblicizzate: obbligo la cui inosservanza com-porta a sua volta le sanzioni previste dai commi 6 e 7dell’art. 117 [corsivo aggiunto]» (25)Non v’è dubbio che la normativa in materia di tra-sparenza miri a tutelare un interesse pubblicistico e,pertanto, concerna l’ordine pubblico economico.L’esercizio dell’attività creditizia è contraddistinto

il Corriere giuridico 3/2011414

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(24) D. Wilkie, Theory of Interest, Simple and Compound, Edim-burg, 1794, p. 65.

(25) U. Maiello in AA.VV., Testo Unico delle leggi in materia ban-caria e creditizia, Bologna, 2003, 1915-1916.

da un fondamentale aspetto di interesse pubblico.Esso è necessario a soddisfare basilari esigenze di ca-rattere pubblico. La normativa pertinente è dettataper tutelare l’interesse pubblico alla crescita econo-mica, alla stabilità dei mercati, allo sviluppo dellaconcorrenza ed al corretto funzionamento del siste-ma del credito, oltre che alla salvaguardia del rispar-mio. Si consideri in proposito che le norme (legge 17 feb-braio 1992, n. 154, d.lgs. n. 385/93, legge n. 108/96,Delibera CICR 9 febbraio 2000 e Delibera CICR 4marzo 2003) hanno non solo la funzione di rendereconsapevole la parte più debole degli impegni, one-ri e rischi da assumere in occasione dell’assunzionedi un’obbligazione finanziaria in modo che vi sia co-sciente formazione della volontà a contrarre, ma an-che la funzione di rendere immediatamente con-frontabili prodotti diversi nella stessa categoria dicontratti di credito di modo che l’utente possa di-scernere l’offerta più consona alle sue esigenze. Di conseguenza, come si inferisce dalla dottrina ap-pena sopra citata e dal combinato disposto dellenorme che qui sotto illustreremo, perché una pattui-zione scritta di interessi e condizioni contenuta inun contratto di credito sia ritenuta valida ai sensidegli artt. 2 e 4 comma 4 della legge 17 febbraio1992, n. 154 e degli art. 116 e 117 comma 6 deld.lgs. 1º settembre 1993, n. 385, occorre che la Ban-ca che rivendica la validità del contratto fornisca laprova che i tassi e le condizioni convenute non sia-no più sfavorevoli per il cliente di quelli pubblicizza-ti nei suoi locali. A tal fine dovrà allegare i fogli ana-litici oggetto di pubblicità recanti una data certa.Esaminiamo partitamente il complesso delle normesulla trasparenza cui stiamo accennando.L’art. 116 d.lgs. n. 385/93 recita al comma I: «In cia-scun locale aperto al pubblico sono pubblicizzati itassi di interesse, i prezzi, le spese per le comunica-zioni alla clientela e ogni altra condizione economi-ca relativa alle operazioni e ai servizi offerti, ivi com-presigli interessi di mora e le valute applicate perl’imputazione degli interessi. Non può essere fattorinvio agli usi». Al comma 3 troviamo: «Il CICR: a)individua le operazioni e i servizi da sottoporre apubblicità; b) detta disposizioni relative alla forma,al contenuto, alle modalità della pubblicità e allaconservazione agli atti dei documenti comprovantile informazioni pubblicizzate; c) stabilisce criteriuniformi per l’indicazione dei tassi d’interesse e peril calcolo degli interessi e degli altri elementi che in-cidono sul contenuto economico dei rapporti; d) in-dividua gli elementi essenziali, fra quelli previsti dalcomma 1, che devono essere indicati negli annunci

pubblicitari e nelle offerte, con qualsiasi mezzo effet-tuati, con cui i soggetti indicati nell’articolo 115rendono nota la disponibilità delle operazioni e deiservizi». È da precisare che, fino alla delibera CICRdel 4 marzo 2003, in materia continuano a trovareapplicazione - ai sensi dell’art. 161, commi 2 e 5d.lgs. n. 385/1993 - l’art. 2, comma 7 legge n.154/1992 ed il Decreto del Ministro del tesoro 24aprile 1992. Prima di dar conto del contenuto del comma 7 del-l’art. 2, legge n. 154/1992, è bene riferire quanto im-perativamente si dispone in materia di trasparenza epubblicità nel medesimo articolo 2 al comma I: «Glienti e i soggetti di cui all’articolo 1 devono renderepubblici in ciascun locale aperto al pubblico: a) i tas-si di interesse effettivamente praticati per le operazionidi credito (…)» ed al comma IV: «La pubblicità de-ve essere attuata con l’esposizione nei locali aperti alpubblico del testo della presente legge nonché di av-visi sintetici datati e la diffusione in detti locali difogli informativi analitici e datati da mettere a di-sposizione del pubblico. Gli avvisi e i fogli informa-tivi devono essere datati e costantemente aggiorna-ti con le modifiche apportate ai tassi, ai prezzi, allecondizioni e alle spese sopra indicati. Copia degliavvisi e dei fogli informativi deve essere conservataper cinque anni agli atti presso la sede legale e le fi-liali degli enti e dei soggetti di cui all’articolo 1».Il citato art. 2, comma 7 legge n. 154/1992 altresì di-spone: «Conformemente alle deliberazioni del Co-mitato interministeriale per il credito ed il risparmio(CICR), la Banca d’Italia impartisce istruzioni rela-tive alla forma, al contenuto e alle modalità dellepubblicazioni; stabilisce criteri uniformi per il calco-lo dei tassi d’interesse, degli interessi e degli altri ele-menti che incidono sul contenuto economico deirapporti; individua altre operazioni e servizi che sirenda opportuno assoggettare agli obblighi di pub-blicità di cui al presente articolo». Il Decreto del Ministro del tesoro 24 aprile 1992 al-l’art. 1 comma I recita: «La disciplina prevista dallalegge n. 154 sia in tema di pubblicità sia in tema diforma e contenuto dei contratti riveste carattere dinormativa generale, integrativa di eventuali previsio-ni speciali vigenti in materia; nei casi in cui disposi-zioni normative speciali già contemplano obblighidella specie a carico di particolari categorie di inter-mediari tra quelli indicati nel comma precedente,l’applicazione delle norme in tema di trasparenza ri-veste carattere residuale [corsivo aggiunto]». All’art.2, comma I reca: «Gli intermediari di cui all’artico-lo precedente sono tenuti a esporre locali aperti alpubblico il testo della legge n. 154 e gli avvisi sinte-

il Corriere giuridico 3/2011 415

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

il Corriere giuridico 3/2011416

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

tici, nonché a mettere a disposizione della clientelai fogli informativi analitici». Al comma 3 specifica:«Gli avvisi sintetici devono fornire a tutti coloroche entrano in contatto diretto con gli intermediariuna prima essenziale informativa sulle condizionipraticate per le principali operazioni e per i servizidell’elenco allegato alla legge n. 154 in modo da fa-vorire il confronto tra gli intermediari [corsivo aggiun-to]». All’art. 3 detta: «Al fine di consentire l’effetti-va comparazione delle informazioni pubblicizzate, laBanca d’Italia emana istruzioni per determinare la me-todologia di calcolo degli interessi e degli altri elementiche incidono sul contenuto economico dei rapporti [cor-sivo aggiunto]». Sino alla Deliberazione CICR del 4 marzo 2003, inmateria di pubblicità ed in esecuzione di quanto di-sposto dall’appena citato Decreto del Ministro deltesoro 24 aprile 1992, la Banca d’Italia ha emanatoapposite disposizioni in materia di pubblicità dellecondizioni economiche praticate dagli istituti dicredito e delle modalità di determinazione dellestesse, tutte classificate come aggiornamento allaCircolare n. 4 del 29 marzo 1988. Tali sono: – l’89º Aggiornamento delle disposizioni di Vigilan-za Creditizia e Finanziaria emanato dalla Banca d’I-talia il 29 maggio 1992: Trasparenza delle operazioni edei servizi bancari. (Parte riservata agli enti creditizi:Cap. LIV, pagg. da 1 a 6. Parte riservata alle Filiali:Cap. LVI, pag. 1): «La nuova normativa persegue invia preminente obiettivi di tutela dei “contraenti de-boli”(…) tesa a promuovere e salvaguardare il liberoesplicarsi della concorrenza nei mercati bancari e fi-nanziari. (…) La tutela dei “contraenti deboli” èpresidiata da strumenti sanzionatori di natura ammi-nistrativa volti a punire le violazioni degli obblighidi pubblicità». – il 127° Aggiornamento delle medesime disposizio-ni in materia di Vigilanza del 20 maggio 1996: Tra-sparenza delle operazioni e dei servizi bancari. (Parte ri-servata agli enti creditizi: Cap. LIV, pagg. da 1 a 11):«Con le presenti disposizioni viene aggiornato il ca-pitolo LIV delle Istruzioni di vigilanza in materia ditrasparenza delle operazioni e dei servizi bancari, inrelazione alle innovazioni introdotte dal Testo Uni-co con norme di immediata applicazione. (…) sonostate effettuate alcune modifiche (…) in materia dipubblicità: (…) la conservazione accentrata degli avvi-si sintetici e dei fogli informativi analitici, che viene resapossibile purché sia assicurata la tempestiva disponibilitàdella documentazione presso ciascuna succursale, ancheattraverso l’utilizzo di procedure informatiche [corsivoaggiunto]».L’art. 4 della legge n. 154/92 impone al comma IV:

«Le clausole che prevedono tassi, prezzi e condizionipiù sfavorevoli per i clienti di quelli resi pubblici so-no nulle». Ed all’art. 5 comma I prevede: «Nelle ipo-tesi di nullità di cui all’articolo 4, comma 4, nonchénei casi di mancanza di specifiche indicazioni, si ap-plicano: a) il tasso nominale minimo e quello massi-mo dei buoni ordinari del Tesoro annuali o di altrititoli similari eventualmente indicati dal Ministrodel tesoro, emessi nei dodici mesi precedenti la con-clusione del contratto, rispettivamente per le opera-zioni attive e per quelle passive; b) gli altri prezzi econdizioni resi pubblici nel corso della durata delrapporto per le corrispondenti categorie di operazio-ni e servizi; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto[corsivo aggiunto]».Parimenti, l’art. 117, comma VI del d.lgs. n. 385/93recita: «Sono nulle e si considerano non apposte leclausole contrattuali di rinvio agli usi per la deter-minazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzoe condizione praticati nonché quelle che prevedonotassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clientidi quelli pubblicizzati» ed al comma 7 dello stessoarticolo dispone: «In caso di inosservanza del com-ma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6,si applicano: a) il tasso nominale minimo e quellomassimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o dialtri titoli similari eventualmente indicati dal Mini-stro del tesoro, emessi nei dodici mesi precedenti laconclusione del contratto, rispettivamente per leoperazioni attive e per quelle passive; b) gli altriprezzi e condizioni pubblicizzati nel corso della dura-ta del rapporto per le corrispondenti categorie dioperazioni e servizi; in mancanza di pubblicità nulla èdovuto [corsivo aggiunto]».Possiamo, dunque, pianamente concludere che l’o-nere pubblicistico imposto dalla legge sulla traspa-renza agli intermediari finanziari ha due valenze. La prima riguarda il rapporto con il singolo cliente.Infatti, si afferma che condizione per la validità del-la convenzione degli interessi ultra legali, delle valu-te, delle commissioni e delle spese è che l’informa-zione precontrattuale sia stata correttamente fornitae non vi sia stata sorpresa negoziale, nel senso del-l’inserzione nel contratto, al momento della sotto-scrizione, di condizioni peggiori di quelle pubbliciz-zate (26). Per la dottrina, tale aspetto assume il ca-

Nota:

(26) Il criterio di correttezza e buona fede teso ad evitare sorpre-se nei rapporti obbligatori non è principio nuovo. In materia di im-putazione dei pagamenti, ad esempio, l’art. 1194 C.c. è seguitodall’art. 1195 C.c. ove si stabilisce che il creditore deve esercita-re il suo diritto d’imputazione lealmente: «L’obbligo di correttez-

(segue)

rattere di cruciale innovazione. Scrive il Maiello:«Nel sistema introdotto dalla nuova legislazione,l’informazione preventiva viene garantita contro lesorprese negoziali, in maniera tale che l’autonomianegoziale, al di là di ogni altro limite imposto dallalegge (art. 1322 c.c.), è subordinata e condizionatadall’informazione preventiva, fino al punto che sequest’ultima è carente, il contenuto economico delcontratto non è più liberamente determinato dallavolontà delle parti, ma è specificato da norme ulte-riori che si inseriscono automaticamente nel con-tratto in maniera analoga (ma non identica) a quan-to previsto con norma generale dall’art. 1339 C.c.»(27). L’Autore qui si riferisce al citato comma I del-l’art. 5 legge n. 154/92 ed al comma 7 dell’art. 117d.lgs. n. 185/93. Sia detto per inciso, l’importanzadell’informazione precontrattuale è elevato al massi-mo livello nella nuova Direttiva 2008/48/CE sulCredito al consumo che dedica molto spazio alla suaregolamentazione.La seconda valenza è il carattere di norme di ordinepubblico economico che assume l’insieme delle leg-gi sulla pubblicità e delle relative sanzioni. Il citato89º Aggiornamento delle norme di Vigilanza dellaBanca d’Italia del 29 maggio 1992 evidenzia con for-za le finalità della nuova normativa che, oltre a per-seguire obiettivi di tutela dei contraenti deboli, ha loscopo non secondario di sviluppare il progresso eco-nomico attraverso la libera concorrenza nei mercatibancari e finanziari, in ottemperanza a quanto di-sposto dal Trattato CE.Infine, per far meglio comprendere la preminenzagerarchica delle norme sulla pubblicità, convienemetter mano all’esame dell’art. 5 comma I lett. b)della legge n. 154/92, trasposto nell’art. 117 comma7 lett. b) del d.lgs. n. 385/93. Entrambi gli indicinormativi prevedono che, in mancanza di pattuizio-ne scritta sui prezzi diversi dagli interessi, si applica-no quelli pubblicizzati e che in mancanza di pubbli-cità nulla è dovuto. Ne consegue che la pubblicità go-verna anche l’integrazione del contratto, ai sensi del-l’art. 1374 c.c. In estrema sintesi, possiamo così riassumere quantosinora esposto: a) gli intermediari finanziari devonopubblicare nei locali aperti al pubblico gli avvisi sin-tetici recanti i prezzi e le condizioni massimi pratica-ti alla clientela; b) i contratti sottoscritti da ciascunsingolo cliente non debbono prevedere tassi, prezzi econdizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pub-blicizzati. In parole semplici, possiamo dire che il le-gislatore disegna una legge imperativa inderogabile dal-le parti. Infatti, il combinato disposto degli art. 2 edart. 4 comma IV e 5 comma I della legge n. 154/92;

e degli art. 116 e 117 commi 6 e 7 d.lgs. n. 385/93,corredati dal Decreto del Ministro del tesoro 24aprile 1992 e dalle citate circolari della Banca d’Ita-lia, stabilisce imperativamente che il requisito dellapubblicità dei prezzi e delle condizioni e del divietodi peggiorarli più gravosi nei contratti ha la medesi-ma valenza, ad esempio, dell’obbligo di indicare periscritto nei contratti i medesimi elementi. La viola-zione di tali disposizioni comporta la nullità delleclausole contrattuali sui prezzi e condizioni. Nullitàche, ai sensi dell’art. 1421 C.c., è rilevabile d’ufficio.Nella causa in esame, l’attrice ha contestato la nul-lità della clausola di determinazione degli interessiallegando la fotocopia dei contratti di conto corren-te recanti le parti riguardanti l’indicazione del tassod’interesse e le altre condizioni lasciate in bianco.Residuava, in tal guisa, l’art. 7 delle Norme BancarieUniformi, trascritte nei moduli di adesione che rin-viano agli usi su piazza. La banca ha a sua volta pro-dotto l’originale che, fatto piuttosto singolare, mo-strava determinati i tassi e le condizioni che eranoinvisibili nella fotocopia. Ma, senza l’allegazionedella copia delle pubblicazioni recanti data certa, ta-le produzione non soddisfa tutti i requisiti richiestidalla legge affinché siano ritenute valide le clausoleconvenzionali degli interessi, delle valute, dellecommissioni e delle spese. Oltre alla forma scrittadei contratti, tali requisiti sono, lo ripetiamo, l’avve-nuta pubblicità sui fogli informativi da affiggersi neilocali aperti al pubblico ed il miglioramento o l’e-quivalenza delle condizioni economiche rispetto aquelle pubblicate. Questa mancanza si traduce inuna violazione delle norme imperative sulla traspa-renza e sulla pubblicità sin qui tratteggiate. Violazio-ne, che a nostro sommesso avviso, doveva essere ri-levata d’ufficio dal giudice (Ex multis: Cass. n.18374/2006; Cass. n. 4853/2007; Cass. n.16621/2008; Cass. S.U. n. 21095/2004), che avreb-be dovuto disporre l’applicazione dei tassi BOT so-stitutivi.

2.2 La validità della convenzione dello jus variandi

Il Tribunale riconosce che sia l’art. 118 del d.lgs. n.

il Corriere giuridico 3/2011 417

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(segue nota 26)za è qui sancito dalla regola che non consente al debitore di pro-cedere ad una diversa imputazione quando il creditore abbia agi-to senza dolo o sorpresa (…) Quindi, se il creditore ha agito condolo o sorpresa, il debitore può disattendere la sua imputazionee imputare diversamente il pagamento secondo la propria scel-ta». M. Bianca, L’Obbligazione, IV, Milano, 1993, p. 341.

(27) U. Maiello, op. cit., 1916.

385/93 che il precedente art. 6 della legge n. 154/92prevedono la liceità della convenzione che concedealla banca il diritto di variare unilateralmente, an-che in senso sfavorevole al cliente, i prezzi e le altrecondizioni stabilite dal contratto. In sentenza si sta-bilisce che la clausola, così come configurata nellepattuizioni oggetto di causa, non soddisfa i requisitidi «sufficiente, oggettiva e certa determinabilità del-le condizioni poi applicate nel rapporto». La pro-nuncia asserisce anche che, dopo le modifiche ap-portate nel 2006 all’art. 118 d.lgs. n. 385/93, unaparte della giurisprudenza valuta detta clausola co-me vessatoria e, dunque, contraria alla Direttiva93/13/CEE. Il Tribunale ritiene di dover intervenire d’ufficio adichiarare la nullità della convenzione dello jus va-riandi, rappresentando una panoplia di pronuncedella Corte di Giustizia delle Comunità europee as-serenti il dovere del giudice nazionale di disapplica-re ex officio le norme interne contrarie al Diritto co-munitario. Tale sforzo appare degno di miglior causa. L’art. 2della citata direttiva recita: «Ai fini della presentedirettiva si intende per: (…) b)” consumatore “:qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggettodella presente direttiva, agisce per fini che non rien-trano nel quadro della sua attività professionale».L’allegato alla citata Direttiva, secondo l’art. 3 § 1,«contiene un elenco indicativo e non esauriente diclausole che possono essere dichiarate abusive». Ta-le elenco prevede alcune eccezioni, elencate al pun-to 2. Tra queste vi sono: «Portata delle lettere g), j)e I): (…) la lettera j) non si oppone a clausole concui il fornitore di servizi finanziari si riserva il dirittodi modificare senza preavviso, qualora vi sia un vali-do motivo, il tasso di interesse di un prestito o di uncredito da lui concesso o l’importo di tutti gli altrioneri relativi a servizi finanziari, a condizione chesia fatto obbligo al professionista di informare l’altrao le altre parti contraenti con la massima rapidità eche queste ultime siano libere di recedere immedia-tamente dal contratto; la lettera j) non si opponeneppure a clausole con cui il professionista si riservail diritto di modificare unilateralmente le condizionidi un contratto di durata indeterminata, a condizio-ne che gli sia fatto obbligo di informare con un ra-gionevole preavviso il consumatore e che questi sialibero di recedere dal contratto».Il riferimento alla Direttiva 93/13/CE al fine di di-chiarare la nullità della clausola dello jus viiarndinon risulta pertinente, innanzitutto perché tale di-rettiva si applica solo ai contratti stipulati tra un pro-fessionista ed un consumatore. Oggetto della sen-

tenza, invece, sono contratti di credito stipulati tradue società di capitali. Di qui discende una prima ra-gione di assoluta inapplicabilità della direttiva sullaclausole abusive (28). Nell’ipotesi che si fosse trattato di contratti stipula-ti con un consumatore, lo jus variandi, come si evin-ce dal dettato della norma, avrebbe potuto essereapplicato. La richiesta condizione è che il professio-nista del credito dimostri la sussistenza di un validomotivo al peggioramento del trattamento economi-co sfavorevole al cliente e che attui una tempestivainformazione per consentire al consumatore unaconcreta possibilità di recesso. In forza di tali rilievi, riteniamo la motivazione del-la nullità della clausola contenete lo jus variandi er-rata. In realtà altri sono i motivi che rendono validala clausola dello jus variandi, ma contraria alla leggela sua esecuzione o, in parole semplici, il suo concre-to esercizio da parte della Banca. I motivi di tale il-legalità nell’esecuzione della menzionata convezio-ne si annidano nella violazione delle norme impera-tive sulla pubblicità e sulla trasparenza previste dal-la legge n. 154/92 e dal d.lgs. n. 385/93.Una volta rimarcato che la nullità delle clausole dipattuizione degli interessi - per i motivi qui sopra il-lustrati - travolge anche la convenzione dello jus va-riandi, esaminiamo le norme che regolano l’eserciziodi questo diritto da parte della banca e le violazioniche ne rendono illecita la pratica. Fino alla delibera CICR del 4 marzo 2003, anchenel caso del comma I dell’art. 118 d.lgs. n. 385/93, aisensi dell’art. 161, commi 2 e 5 della medesima leg-ge, in materia continuano a trovare applicazionel’art. 6, comma 3, legge n. 154/1992 e il decreto delMinistro del tesoro 24 aprile 1992. L’art. 6, comma 3legge n. 154/1992 recita: «Nelle ipotesi in cui si pro-ceda a variazioni generalizzate della struttura dei tas-si, la comunicazione di cui al comma I potrà avveni-re in modo impersonale tramite inserzione di appo-siti avvisi nella Gazzetta Ufficiale». Ciò vale a direche l’approvazione da parte della cliente della clau-sola che autorizza la Banca a variare i tassi a suo sfa-vore è condizione necessaria ma non sufficiente af-

il Corriere giuridico 3/2011418

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Nota:

(28) A proposito delle vicende che hanno condotto alla adozionedella 93/13/CEE, è ben noto che «fino ad un certo punto dell’iterdella Direttiva» è compresa l’operatività della protezione per leimprese deboli che «nei rapporti contrattuali con imprese “forti”subiscano clausole abusive imposte da queste ultime (…) maun’efficace azione di lobbying delle imprese di maggiori dimen-sioni e di superiore forza ha condotto a circoscrive l’area di ap-plicazione della Direttiva» al solo consumatore Cfr. V. Roppo, Lanuova disciplina delle clausole abusive nei contratti tra impresee consumatori, Riv. Dir. Civ., 1994, I, p. 282.

finché la Banca possa esercitare lo jus variandi. Inrealtà si devono soddisfare tre requisiti perché essopossa essere praticato.Il primo è che non costituisca un esercizio unilatera-le ed abusivo, ma che le variazioni riguardino l’inte-ra clientela e, di conseguenza, ai sensi dell’art. 117,comma VI, la nuova condizione proposta con la co-municazione personale, a pena di nullità, non siapeggiorativa rispetto a quelle pubblicate (29). Il secondo è che la data della comunicazione sia cer-ta, visto che il termine perentorio, in vigore sino al-la modifica legislativa successiva del D. Lgs n.385/93, è di quindici giorni dal ricevimento dellacomunicazione scritta ovvero dall’effettuazione dialtre forme di comunicazione attuate ai sensi delcomma 1 dell’art. 118. Secondo il 127° Aggiorna-mento del 20 maggio 1996 del Circolare n. 4 del 29marzo 1988, Sez. III, n. 2, il termine per il recessodecorre dalla data di pubblicazione delle comunica-zioni impersonali operate dalle Banche medianteavvisi pubblicati sulla G.U.Il terzo è che tale facoltà non sia esercitata ex post.Ciò si rileva dal dettato del comma 3 dell’art. 116D.Lgs n. 385/93: «Entro quindici giorni dal ricevi-mento della comunicazione scritta, ovvero dall’ef-fettuazione di altre forme di comunicazione attuateai sensi del comma 1, il cliente ha diritto di recede-re dal contratto senza penalità e di ottenere, in sededi liquidazione del rapporto, l’applicazione dellecondizioni precedentemente praticate». Ove la co-municazione scritta di certo non è quella costituitadall’invio dell’estratto conto che, ai sensi dell’art.119 comma I d.lgs. n. 385/93, può essere inviato an-che una sola volta all’anno. Infatti, non bisognaignorare che tutta la normativa sulla trasparenza èinformata sull’imperativo requisito della conoscenzaex ante delle condizioni contrattuali. Le comunica-zioni destinate a contenere proposte contrattuali,capaci di assumere dignità di patto in difetto diespresso dissenso, in deroga alla disposizione dell’art.117 comma I, che prevede la forma scritta dei con-tratti, devono giocoforza precedere la loro applica-zione, da effettuarsi in seguito al tacito assenso delcliente.Poiché i già citati aggiornamenti alla Circolare del-la Banca d’Italia n. 4 del 29 marzo 1988 [vale a direl’89º Aggiornamento del 29 maggio 1992, Trasparenzadelle operazioni e dei servizi bancari. (Parte riserva-ta agli enti creditizi: Cap. LIV, pagg. da 1 a 6. Parteriservata alle Filiali: Cap. LVI, pag. 1). ed il suo 127°Aggiornamento del 20 maggio 1996, Trasparenza delleoperazioni e dei servizi bancari. (Parte riservata aglienti creditizi: Cap. LIV, pagg. da 1 a 11] dispongono

entrambi che le comunicazioni scritte personalizzateper l’esercizio dello jus variandi, ai sensi dell’art. 118d.lgs. n. 385/93 possono essere sostituite dagli an-nunci pubblicati dalle Banche sulle Gazzette Uffi-ciali. Poiché gli estratti conto, ai sensi dell’art. 119comma I («Nei contratti di durata i soggetti indica-ti nell’articolo 115 forniscono per iscritto al cliente,alla scadenza del contratto e comunque almeno unavolta all’anno, una comunicazione completa e chia-ra in merito allo svolgimento del rapporto. Il CICRindica il contenuto e le modalità della comunicazio-ne») non rivestono le caratteristiche della comuni-cazione personalizzata né, per le modalità ed i tempidi invio, sono di regola inviati per posta semplice,garantiscono la certezza della data. E poiché, infine,non vi è traccia che la convenuta abbia mai prodot-to agli atti le pubblicazioni sulla G.U. o abbia maiinviato nei tempi e nei modi di legge le “comunica-zioni personalizzate”, né abbia provato che i tassi ap-plicati in variazione sfavorevole rispetto a quantopattuito per iscritto (art. 117, comma VI d.lgs. n.385/93) non siano peggiorativi in confronto conquelli pubblicati, l’esercizio dello jus variandi nonpuò ammettersi. Di tali fondamentali questioni lasentenza in esame dà finalmente un positivo quantostriminzito riscontro quando conclude che «dalleprove testimoniali espletate non è emersa un’idoneacomunicazione del mutamento di tutte le condizio-ni».

2.3 La CTU determina l’esito della causa. I quesiti posti e le risposte fornite:inadeguatezze ed incoerenze

Seguendo i principi di diritto sinora illustrati, il giu-dice incarica, in successione tra loro, due CTU pereseguire la consulenza contabile al fine di stabilire ilsaldo dei rapporti di credito contestati. È interessan-te esaminare il quesito posto al secondo CTU e lesue risposte, poiché essi determinano l’esito econo-mico della causa e pongono anche in evidenza ilcruciale ruolo di supervisione del giudice peritum pe-ritorum. Il giudice dispone che il CTU debba atte-nersi ai seguenti criteri: Spettano gli interessi al tasso convenzionale con ca-pitalizzazione semplice sino al 30 giugno 2000 e conpari capitalizzazione - ove prevista - da quest’ultimadata. Spetta la commissione di massimo scoperto.

il Corriere giuridico 3/2011 419

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Nota:

(29) Cfr. sul punto un’attenta disamina in D. Sarti, Osservazionisu norme bancarie uniformi, diritto antitrust e clausole di modifi-ca unilaterale del rapporto, in Banca borsa e tit. cred., 1998, 117ss.

Ai sensi della legge n. 108/9 deve essere calcolato ilTEG ed in caso di superamento del tasso soglia neltrimestre si devono ridurre gli interessi alla misuradel tasso soglia o del tasso legale o eliminandoli deltutto. La commissione sul massimo scoperto è esclu-sa dal computo del TEG.

2.3.1 La questione del saldo riportato sul primo estratto conto disponibile

Preliminarmente osserviamo che, per ciò che con-cerne il conto corrente di corrispondenza, agli attinon sono presenti tutti gli estratti conto dall’iniziodel rapporto. Di conseguenza non vi è data certa del-l’inizio di quest’ultimo. Infatti, gli estratti conto delconto corrente di corrispondenza prodotti riguarda-no il periodo che intercorre tra il 3 gennaio 1994,data posteriore a quella del contratto allegato in at-ti, ed il 31 dicembre 2002. Si pone, pertanto, unaprima questione riguardante il saldo debitore ripor-tato sul primo estratto conto disponibile, pari a £153.696.558 che è considerato dal CTU come unaannotazione a debito.Richiamiamo, innanzitutto, la sentenza a SezioniUnite del 18 luglio 1994 n. 6707 (30), la quale sta-tuisce che l’estratto conto «riproduce integralmentei dati annotati nella scheda del conto e relativi a tut-te le operazioni affluite sullo stesso nel periodo alquale l’estratto si riferisce (addebiti, accrediti, ri-messe di terzi, interessi attivi e passivi, etc.), con ilsaldo alla data di chiusura, ed è trasmesso al corren-tista per consentirgli di controllare l’esattezza delleannotazioni e renderne definitive le risultanze, giac-ché, se non impugnato, l’estratto si intende appro-vato e acquista per certi aspetti piena efficacia pro-batoria». Tale sentenza stabilisce che altra cosa è ilsaldo conto o saldaconto «nel quale viene indicatosoltanto il saldo debitore del conto, senza che sia ri-portata l’evoluzione delle operazioni attive e passiveche l’hanno determinato».La statuizione di tali principi comporta tre conse-guenze. La prima è che il saldo riportato sull’estratto contonon è un’annotazione, ma è la risultante della som-ma algebrica degli addebitamenti e degli accredita-menti “relativi a tutte le operazioni affluite sullo stessonel periodo al quale l’estratto si riferisce”. Da questopunto di vista il saldo non può essere assoggettatoalla disciplina dell’impugnazione o della tacita ap-provazione contenuta nell’art. 1832 c.c. come, inve-ce, lo sono le annotazioni riportate sull’estratto con-to. Ed infatti sono i saldi riportati ad essere qui l’og-getto della contestazione. La seconda è che il saldo di ripresa iniziale di ciascun

estratto conto ha la stessa natura caratteristica diquello presente sul saldaconto, e deve essere prova-to dall’estratto conto da cui scaturisce; da questopunto di vista, si tratta dello stesso elemento che hala sola differenza di essere riportato su un documen-to con denominazione diversa. La terza è che, in mancanza dell’estratto conto chelo dimostra, il saldo iniziale riportante un creditoper la Banca sull’estratto conto, in coerenza con lestatuizioni dell’appena citata sentenza Cass. S.U.6707/1994, deve essere azzerato.Per unanime dottrina e giurisprudenza, rimarchia-mo, è indubbio che nel contratto di conto correntesulla banca incombono gli obblighi tipici del man-datario e, in particolare, quelli stabiliti dagli art.1710 e 1713 c.c. (Cass. n. 2262 del 9 aprile 1984).Né si potrebbe invocare, una volta che si immagi-nasse presumibilmente assolto da parte della bancal’obbligo di rendiconto mediante l’invio degli estrat-ti conto, che questo atto esaurisca tale obbligo, con-siderando irripetibile la produzione degli stessi daparte della mandataria. Tale ipotesi pare del tuttoinfondata se solo si consideri il dettato dell’art. 119d.lgs. n. 385/93, ove al primo comma si impone al-l’intermediario di fornire «almeno una volta all’an-no, una comunicazione completa e chiara in meritoallo svolgimento del rapporto»; e al comma IV sistabilisce che «il cliente» ha diritto di ottenere aproprie spese «copia della documentazione inerentea singole operazioni poste in essere negli ultimi die-ci anni». Ove per documentazione inerente ciascu-na singola operazione si intendono le pezze di ap-poggio giustificative di queste (31). Vale a dire di-stinte di versamenti, assegni etc. Non è posto nessunlimite al numero di volte per ripetere siffatta richie-sta. Non si vede per quale ragione o motivo giuridi-co, poiché è giudizialmente domandato l’accerta-mento del saldo finale, contestata la nullità dei rap-porti obbligatori sottostanti, e considerata la naturaunitaria del rapporto (32), la banca mandataria sipossa sottrarre all’obbligo di comprovare il primosaldo a suo credito mediante la produzione degliestratti conto giustificativi di questo. In realtà, è palese l’interesse della banca a non pro-durre tale documentazione, posto che anche quelprimo saldo è inattendibile e viziato in quanto frut-

il Corriere giuridico 3/2011420

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(30) In questa Rivista, 1994, 9, 1098, con nota di V. Carbone, Deprofundis per il saldaconto bancario.

(31) Cass. 13 luglio 2007, n. 15669.

(32) Cfr.. sul punto la recentissima Cass. S. U. 2 dicembre 2010n. 24418.

to dell’applicazione di clausole nulle e di addebiti il-legittimi che la stessa sentenza che qui commentia-mo in parte riconosce. Ciò è in violazione del prin-cipio del neminem laedere e della buona fede contrat-tuale «che impone a ciascuna parte di tenere queicomportamenti che (…) siano idonei a preservaregli interessi dell’altra parte, senza rappresentare unapprezzabile sacrificio a suo carico» (Cass. 27 set-tembre 2001 n. 12093). Ove si rammenti che leBanche hanno l’obbligo di conservare i dati ai fini diVigilanza ed ordine pubblico si apprezzerà lo scarsosacrificio richiesto.

2.3.2 La capitalizzazione semplice a corrente alternata e la questionedell’adeguamento post delibera CICR del 9 febbraio 2000

Per ciò che attiene al computo degli interessi in sen-tenza è disposto, come abbiamo visto, che questi de-vono essere computati al tasso convenzionale, a ca-pitalizzazione semplice sino al 30 giugno 2000. Daquella data, se si verifica l’adeguamento della bancaall’attuazione di una pari capitalizzazione tra interes-si attivi e passivi, si dispone di calcolare gli interessicreditori e debitori con la medesima, pari cadenzaindicata dalla banca.Esaminando il quesito e l’esecuzione della CTUemerge una rimarchevole serie di rilievi.Innanzitutto, come innanzi riferito, sul conto cor-rente di corrispondenza confluiscono non solo gliinteressi legati all’apertura di credito in bianco di-rettamente ad esso collegata ma anche i frutti gene-rati dalle anticipazioni. Non solo, al conto correntedi corrispondenza sono addebitate anche le rate,comprensive di capitale ed interessi, di rimborso dimutui e di finanziamenti accesi con la convenuta. Ildivieto di anatocismo, evidentemente, riguarda tut-ti gli interessi confluenti sul conto corrente di corri-spondenza, non solo quelli prodotti dal debito che sicrea dall’utilizzo dell’apertura di credito in bianco. Invece, non si sa per quale oscuro motivo, il CTUha calcolato ad interesse semplice sino al 30 giugno2000 i frutti generati dall’apertura di credito, rap-porto costitutivo di disponibilità del conto corrente.Ma ha, alla stessa data e non al termine del rappor-to, capitalizzato gli intessi prodotti e provenienti datutti gli altri contratti di credito in vario modo col-legati al conto corrente di corrispondenza. Il CTUha applicato il criterio del divieto di anatocismo inmaniera inspiegabilmente incoerente.Tornando al quesito, per ciò che riguarda l’adegua-mento alla pari periodicità di capitalizzazione degliinteressi, rileviamo quanto segue. Il d.lgs. n. 4 agosto

1999 n. 342 al comma 3 dell’art. 25 disponeva che«le clausole relative alla produzione di interessi sugliinteressi maturati, contenute nei contratti stipulatianteriormente alla data di entrata in vigore della de-libera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci finoa tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguateal disposto della menzionata delibera, che stabiliràaltresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In di-fetto di adeguamento, le clausole divengono ineffi-caci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dalcliente». Questo comma è stato dichiarato costitu-zionalmente illegittimo con sentenza della CorteCostituzionale n. 425 del 9-17 ottobre 2000. La de-libera CICR del 9 febbraio 2000, presa prima dellapronunzia e della censura della Corte Costituziona-le, regola tutti i commi dell’art. 25 del citato D. Lgs.342/1999, incluso quello abrogato dalla Consulta. Èdoveroso rilevare che l’art. 7 “Disposizioni transito-rie”, si riferisce inequivocabilmente all’abrogatocomma 3 della citata norma. Infatti, al comma I del-l’art. 7 si reperisce: «Le condizioni applicate sullabase dei contratti stipulati anteriormente alla datadi entrata in vigore della presente delibera devonoessere adeguate alle disposizioni in questa contenuteentro il 30 giugno 2000 e i relativi effetti si produ-cono a decorrere dal successivo 10 luglio». È evi-dente che, quando ivi menziona condizioni contrat-tuali stipulate prima dell’entrata in vigore della deli-bera, il CICR considera tali pattuizioni come validein forza di quanto retroattivamente disposto dalcomma abrogato. Ma, una volta impedita la valida-zione delle clausole anatocistiche, le forbici dellanullità asportano le «condizioni (anatocistche,N.d.A.) applicate sulla base dei contratti stipulatianteriormente alla data di entrata in vigore dellapresente delibera». Cosa adeguare, dunque, se non il nulla? La realtà la-palissiana è che la sentenza della Corte Costituzio-nale, oltre ad abrogare il comma 3 dell’art. 25 d.lgs.n. 342/1999, travolge tutte le “Disposizioni transito-rie” contenute nell’art. 7 della delibera CICR del 9febbraio 2000.Perché si possa passare da un regime di divieto del-l’anatocismo ad un regime in cui questo è consenti-to occorre stipulare una apposita convenzione scrit-ta, rispettosa dei dettami contenuti nel comma 2dell’art. 25 d.lgs. n. 4 agosto 1999 n. 342 trasfusonell’art. 120 comma 2 d.lgs. n. 385/93 e gli art. 2 e 6della più volte citata delibera CICR del 9 febbraio2000: «Nei casi in cui è prevista una capitalizzazioneinfrannuale viene inoltre indicato il valore del tasso,rapportato su base annua, tenendo conto degli effet-ti della capitalizzazione. Le clausole relative alla ca-

il Corriere giuridico 3/2011 421

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

pitalizzazione degli interessi non hanno effetto senon sono specificamente approvate per iscritto».Esaurite le critiche a questa parte del quesito postoal CTU, esaminiamo ulteriormente l’operato diquest’ultimo. È noto in matematica finanziaria, edin giurisprudenza, che il regime della capitalizzazio-ne semplice o degli interessi semplici non significache i frutti non siano mai capitalizzati. Significa,piuttosto, che essi sono capitalizzati una sola voltaalla fine del rapporto. Nel caso del conto correntequesto momento coincide con la chiusura definitivadel conto, quando il saldo comprensivo delle suedue componenti, saldo capitale e saldo interessi, di-venta liquido ed esigibile.Sorprendentemente il CTU effettua una chiusuradel conto, anticipata quanto immotivata, al 30 giu-gno 2000, capitalizzando a quella data gli intessi pas-sivi sia relativi all’apertura di credito in bianco, rap-porto costitutivo di disponibilità del conto correntedi corrispondenza, che relativi ai conti anticipi perun totale di L. 145.372.616. In tal modo un attivo inlinea capitale di L. 120.587.731 si trasforma in unsaldo passivo al 1° luglio 2000 di L. 24.943.285. Daquella data sul conto corrente il CTU, in confor-mità a quanto disposto dal quesito, opera la capita-lizzazione trimestrale degli interessi, che si esercita,evidentemente, anche sul saldo degli intessi passiviprodottisi giorno per giorno dall’inizio del rapportodocumentato e complessivamente capitalizzati al 1°luglio 2000. Tale modo di operare è contrario al di-vieto di anatocismo, ovvero al divieto di capitalizza-re, prima della chiusura definitiva del conto, l’am-montare degli interessi maturati dall’epoca della pri-ma operazione reperibile sugli estratti conto sino al-la estinzione del conto corrente. Ciò varrebbe anchese si volesse per ipotesi ammettere - ma non conce-dere - la liceità dello “adeguamento” al regime di ca-pitalizzazione a partire dal 1° luglio 2000. Anche inquesto caso gli interessi di competenza 1994-2000non possono in alcun modo essere capitalizzati pri-ma della chiusura definitiva del conto.Tali sono le palesi e gravi anomalie della consulenzache, configurando un calcolo operato in contrastocon le norme imperative di legge e le indicazioni delquesito, avrebbero dovuto trovare il riscontro e lacensura del magistrato, anche in assenza di osserva-zioni critiche di parte attrice. A nostro sommessoavviso, il giudice non dovrebbe limitarsi a prendereatto del mero risultato numerico esposto sulla rela-zione del consulente. È, al contrario, indispensabileche egli eserciti un approfondito controllo e super-visione anche delle modalità di calcolo messe in at-to dal CTU. Tale esigenza appare maggiormente

evidente in questo caso, ove la capitalizzazione degliinteressi, operata in contrasto con il quesito, balzaagli occhi abbagliante dalle allegate tabelle di calco-lo il cui esame non richiede particolari cognizionitecniche.

2.3.3. La commissione sul massimoscoperto. Interesse o commissione di conto?

Il giudice in sentenza decide che alla convenutaspetta la commissione sul massimo scoperto e, con-temporaneamente, aderisce alla definizione ad essadata dalla Banca d’Italia nell’emanare, nel 1997, leprime Istruzioni per la rilevazione del Tasso EffettivoGlobale Medio ai sensi della legge n. 108/96. Secon-do tale accezione la commissione sul massimo sco-perto è il corrispettivo di una prestazione effettuatadalla banca erogatrice del credito. Siffatta prestazio-ne consisterebbe nel tenere a disposizione del clien-te una certa giacenza liquida per potergli permetterein qualsiasi momento l’intero utilizzo del fido. Que-sto impegno si tradurrebbe in maggiori costi nellagestione della tesoreria, a compenso dei quali lebanche richiedono la corresponsione della commis-sione sul massimo scoperto. Così come definita, la commissione sul massimoscoperto non pare corrispondere alla realtà attuale. Alcuni Autori sostengono da tempo che la naturadella commissione sul massimo scoperto si sia perdu-ta nella pratica degli affari, divenendo col tempo unaccessorio degli interessi, visto che essa è costante-mente calcolata e corrisposta sulle somme utilizzatee non già su quelle messe a disposizione: «sembra(…) più corretto ritenere che la commissione (…)sia un accessorio dell’interesse, legato non alla di-sponibilità, ma alla utilizzazione» (33). In sintesi, di tale prezzo è possibile fornire una valu-tazione oggettiva e rilevare delle definizioni sogget-tive. Una è quella data dalla Banca d’Italia. Un’altrala reperiamo proprio nell’art. 7 delle NBU, elabora-te dall’ABI, ove si stabilisce che gli interessi produ-cono, a loro volta, interessi nella stessa misura. Contale definizione le banche intendono per interesse«ciò che produce frutti in una data misura». Ed èproprio ciò che la commissione sul massimo scoper-to realizza, moltiplicando se stessa ed il capitale inuguale quantità. È questa la definizione dell’interes-se e non di una commissione, ché se fosse tale giace-rebbe inerte nel conto corrente.Scrivendo della definizione soggettiva della com-

il Corriere giuridico 3/2011422

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Nota:

(33) S. Maccarone, Giurisprudenza bancaria, 1985 - 87, 194.

missione sul massimo scoperto, contenuta nelleNBU, abbiamo accennato alla sua definizione og-gettiva. In origine, alla fine del XIX secolo, quandosi sviluppano e cominciano ad essere codificati ilcontratto di conto corrente e quello di apertura dicredito, ci si regolava nel modo seguente. Alla pre-stazione della Banca accreditante, che consiste nelmettere a disposizione una data somma - l’aperturadi credito - all’accreditato, corrisponde il pagamen-to di un prezzo (34) che il cliente accreditato regolain percentuale del fido concesso (35). Si è scritto:«…al fine di rendere effettivo l’accreditamento, oc-corre che le parti facciano ciascuna qualche cosa.Cioè: a) che l’accreditato paghi, quando sia conve-nuta, la provvigione all’accreditante, in corrispetti-vo del credito da costui apertogli; b) che, in cambio,che l’accreditante passi a disposizione dell’accredita-to (…) il fido accordato» (36). Fino al 1954 la com-missione sul massimo scoperto è nota soprattuttocome provvigione di conto ed è richiesta al clientequale compenso per il fatto di tenergli a disposizioneun credito da utilizzare in qualsiasi momento.La provvigione di credito così configurata reca in séun serio inconveniente, costituendo un «chiaro di-sincentivo alla acquisizione di clienti i quali evite-rebbero di chiedere o mantenere una apertura dicredito se sapessero che la sola presenza dell’affida-mento conduce a dei costi» (37). È questa, forse, lacausa del suo bando, decretato dal Cartello bancarionel dicembre 1953. Con tale Accordo Interbanca-rio, entrato in vigore nel 1954, l’ABI impone l’ap-plicazione della commissione sul massimo scopertocome oggi la conosciamo: una percentuale fissa, noninferiore all’1/8%, sullo scoperto massimo avutosinel trimestre. In altri termini, con il citato AccordoABI si è passati da una provvigione che remunera ladisponibilità delle somme ad una commissione cheremunera l’utilizzazione delle somme. Ciò comportache, se due soggetti diversi, uno affidato per venti-mila euro e l’altro per un milione, utilizzano dieci-mila euro, essi pagheranno la medesima somma.Esistono, poi, diversi criteri per calcolare tale com-missione. Infatti, la banca può scegliere di conteg-giarla sulla punta dello scoperto massimo raggiuntanel periodo, anche per un solo giorno. Oppure sce-gliere di applicarla sulla punta massima degli scoper-ti che abbiano avuto durata superiore ai dieci giorni(38). Oppure «si può calcolare sull’importo com-plessivo dei prelevamenti o sul totale maggiore tra idue, relativi rispettivamente al dare ed all’avere delconto» (39). Tali differenti metodi di calcolo porta-no ciascuno ad esiti economici diversi (40). Condizione preliminare per la validità della clauso-

la pattizia sulla commissione, in ossequio al dettatodell’art. 1346 c.c., è la specificazione di che cosa siintenda per “massimo scoperto”. Pena ne è la nullitàper indeterminatezza, ai sensi dell’art. 1418 c.c., cheil magistrato avrebbe dovuto dichiarare d’ufficio exart. 1421 c.c., attesa la mancanza di questo requisitobasilare (41). Un altro motivo di nullità della clau-sola contrattuale sulla commissione sul massimoscoperto, in quanto frutto di un accordo di cartello,è la sua contrarietà alle norme sulla concorrenza siacomunitarie che interne. Nella Decisione dellaCommissione del 12 dicembre 1986 87/103/CEE(42), si reperisce la prova di tale accordo ed il solen-ne impegno dell’ABI ad abolirlo. Fatto mai avvenu-to, come emerge dalle pubblicazioni trimestrali deiTEGM e dalle Istruzioni della Banca d’Italia sul te-ma. Dichiarare nulla tale clausola per anticonconr-renzialità avrebbe avuto più fondamento che nondichiarare nulla ex officio la clausola relativa allo jus

il Corriere giuridico 3/2011 423

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(34) G. Rezzazara, Della Apertura di credito in conto corrente, To-rino, 1921, 9 ss.

(35) «Nelle aperture di credito allo scoperto per somme rilevantie di durata limitata si suole conteggiare sull’intero fido concessoanche una provvigione (Provision per Blancocredit), che va da1/8% a ?%…» D’Angelo Trattato di tecnica bancaria, cit., Mi,1917, 345 ss.; «Intanto un onere che discende immediatamentedal contratto e indipendentemente dalle successive utilizzazioni,è quello di pagare un compenso alla banca, di solito l’1% o il ?%,detto provvigione o commissione di conto, in corrispettivo del-l’onere che la banca sopporta col tenere le somme a disposizio-ne…» P. Greco, Le operazioni di banca, Padova, 1931, 292.

(36)Messineo Contenuti e caratteri giuridici dell’apertura di cre-dito, in Riv. dir. comm., 1925, I, 118 ss.; poi in Operazioni di Bor-sa e di Banca: Studi giuridici, Roma, 1926, 139 ss., indi idem IIIed. Milano, 1966 337 ss.

(37) Tribunale di Milano 4 luglio 2002, in Banca borsa, 2003, 462.

(38) R. Ruozi, Le operazioni bancarie, Milano, 1997, 129 ss.,D’Angelo - Mazzantini, op. cit., 518. Rammentiamo che la stes-sa Banca d’Italia scrive sulle Istruzioni sulla rilevazione dei TEG aisensi della legge sull’usura che il compenso «di norma viene ap-plicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un de-terminato numero di giorni», dove implicitamente si riconosceche è il numero di giorni a dover essere esattamente indicato.

(39) D’Angelo - Mazzantini, Trattato di tecnica bancaria, Milano,1954, p. 518.

(40) L’indeterminatezza dei metodi con i quali è calcolata la e L’e-sigenza di porre fine a tale incertezza si riscontrano nell’art. 2 bisdella legge n. 2/2009 per cui non si può applicare la commissio-ne a scoperti inferiori a trenta giorni.

(41) Che la clausola della commissione sul massimo scopertogenericamente indicata nei contratti bancari fosse indeterminataè dimostrato dall’interevento operato dal D.L. 29 novembre2008, n. 185 convertito con la legge 28 gennaio 2009, n. 2, al-l’art. 2 bis, comma I avverte la necessità di precisare le modalitàper l’applicazione della cms: «Sono nulle le clausole contrattualiaventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il sal-do del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferio-re a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido».

(42) In GUCE n. L 043 del 13 febbraio 1987, p. 0051.

variandi per contrarietà alla Direttiva 93/13/CEE.Ciò detto, richiamiamo la Cassazione del 6 agosto2002, n. 11772 che così statuisce: «Ed infatti o talecommissione è un accessorio che si aggiunge agli in-teressi passivi, come potrebbe inferirsi anche dall’es-ser conteggiata, nella prassi bancaria, in una misurapercentuale dell’esposizione debitoria massima rag-giunta, e quindi sulle somme effettivamente utilizza-te, (…) o ha una funzione remunerativa dell’obbligodella banca di tenere a disposizione dell’accreditatouna determina somma per un determinato periododi tempo, indipendentemente dal suo utilizzo (…)ed allora dovrebbe esser conteggiata alla chiusuradefinitiva del conto». Secondo la Corte, la commis-sione si configura come un interesse per come è ap-plicata dal sistema bancario ma può essere, tuttavia,ricondotta al suo ruolo di commissione di conto.Poiché il giudice è così che la intende, ebbene essadeve essere calcolata, come prescrive la Cassazione(43), una sola volta alla fine del rapporto. Ciò mag-giormente vale nel regime di capitalizzazione sem-plice degli interessi, ovvero in assenza di chiusureperiodiche. Invece, il consulente calcola trimestral-mente la commissione sul massimo scoperto e la ca-pitalizza alla fine di ogni trimestre. La conseguenza èun risultato economico della CTU ingiustamentesfavorevole all’attrice. Ciò è in contrasto con l’in-terpretazione del quesito che deve essere conformeal rispetto delle norme imperative e della giurispru-denza di Cassazione. Anche qui è, purtroppo, man-cata la supervisione del magistrato al corretto esple-tamento della CTU.

2.3.4 La vicenda della determinazione del TEG. L’esclusione della commissionesul massimo scoperto e l’uso improprio di formule errate

Il quarto quesito posto dal giudice al secondo CTUchiede di accertare il TEG, ai sensi della legge n.108/96, al netto della commissione sul massimo sco-perto e nel caso di superamento del tasso soglia ope-rare due ipotesi di ricalcolo degli interessi. La primaprevede la riduzione degli interessi al tasso soglia, laseconda il loro azzeramento, applicando la sanzionedi cui all’art. 1815, comma 2, c.c.Il CTU, al termine della sua indagine, conclude chenon è mai stato superato il tasso soglia.Sia il quesito posto dal giudice che la risposta datadal CTU ci paiono errati alla radice. Innanzitutto, cisembra che il giudice erri quando dispone l’esclusio-ne della commissione sul massimo scoperto dalla de-terminazione del TEG. La conseguenza di tale inter-pretazione aprirebbe la via al concretarsi di un’usura

legale. Infatti, se ciò fosse vero, i creditori potrebbe-ro lecitamente praticare bassi interessi nominali edesigere una commissione sul massimo scoperto del20, 30% o 40% senza incorrere nei rigori della legge.E ciò in aperto contrasto con l’inequivocabile detta-to dell’art. 1 legge n. 108/96 comma IV: «Per la de-terminazione del tasso di interesse usurario si tieneconto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasititolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tas-se, collegate alla erogazione del credito». Siamo consapevoli che a tale equivoco molti sonoindotti dalle ambigue e discutibili Istruzioni dellaBanca d’Italia in materia di rilevazione del TEGM.A tal proposito l’Istituto di Vigilanza ha impostouna rilevazione separata della commissione sul mas-simo scoperto, la cui media è pubblicata a parte suidecreti ministeriali che pubblicano trimestralmentele rilevazioni dei tassi medi ai sensi dell’art. 2 leggen. 108/96. La Banca d’Italia, con l’avallo del Mini-stero dell’Economia, sino al 31 dicembre 2009, nondeflette da tale impostazione (44), persino dopo l’e-manazione del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art.2 bis, convertito con la legge 28 gennaio 2009, n. 2ove al comma 2 precisa che: «gli interessi, le com-missioni, le provvigioni derivanti dalle clausole, co-munque denominate, che prevedono una remunera-zione, a favore della banca, dipendente dall’effettivadurata dell’utilizzazione dei fondi da parte del clien-te (...) sono comunque rilevanti ai fini dell’applica-zione dell’art. 1815 C.c., dell’art. 644 c.p. e della leg-ge 7 marzo 1996, n. 108, art. 2 e 3».La rilevazione separata della commissione sul massi-mo scoperto configurerebbe l’esistenza di un doppioTEG ed un doppio tasso soglia. Tale interpretazioneè stata severamente criticata in dottrina (45), rile-vando che la ratio originaria della legge n. 108/96 èquella dell’unico TEG e dell’unico limite. Ultima-mente la Cassazione penale, con la sentenza del 26marzo 2010, n. 12028, ha statuito che la commissio-ne sul massimo scoperto deve essere inclusa nel cal-

il Corriere giuridico 3/2011424

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(43) Secondo la sentenza di Cassazione del 18 gennaio 2006 n.870, la commissione dì massimo scoperto costituisce «la remu-nerazione accordata alla banca per la messa a disposizione deifondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivoprelevamento della somma».

(44) B. Inzitari e P. Dagna, Commissioni e spese nei contrattibancari, Padova, 2010, 17 ss.

(45) Secondo V. Carbone, Usura civile: individuato il “tasso so-glia”, in questa Rivista, 1997, 5, 511, è possibile una degenera-zione dei meccanismi attuativi predisposti dalla legge n. 108/96«dato che il meccanismo previsto nella messa a regime ha datoluogo a risultati divergenti dalla ratio originaria dell’unico limite otasso-soglia».

colo del TEG. Con ciò risolvendo le questioni sul-l’unicità del TEG e sulla natura stessa della commis-sione sul massimo scoperto che si qualifica evidente-mente come un interesse. Ma a questa tesi avevaaderito anche la citata Cassazione civile n.11772/2002. A partire dal 1° gennaio 2010 anche laBanca d’Italia finalmente si adegua, col risultato cheda allora i tassi medi pubblicati includono anche lacommissione sul massimo scoperto che non è più ri-levata separatamente.Non è superfluo accennare ai motivi tecnici chehanno indotto la Banca d’Italia ad impartire istru-zioni affinché la commissione sul massimo scopertofosse rilevata separatamente. Immaginiamo un conto corrente per il quale sonoconvenuti gli interessi debitori al 13,75% ed unacommissione sul massimo scoperto dello 0,75%. Ap-plicate queste aliquote su un conto corrente scoper-to per un solo giorno di € 413.165,52 (pari a Lit.800.000.000) otterremo lo 0,75% produrrà €

3.098,74 (pari al Lit. 6.000.000) di commissione sulmassimo scoperto e l’applicazione del 13,75% per gliinteressi ci darà € 112,89 (pari a Lit. 218.579) di in-teressi. Richiamando la formula elementare classicadi matematica finanziaria per il calcolo del tassod’interesse:

Ii = ———

C⋅ tove i è il tasso d’interesse (TEG), I è l’interesse, C ilcapitale e t il tempo, se calcolassimo il TEG usandola formula per rilevare il tasso d’interesse percepitoper un solo giorno di scoperto dovremmo considera-re che € 3.211,63 (pari a Lit. 6.218.579) sono gli in-teressi pagati per aver utilizzato € 413.165,52 (pari aLit. 800.000.000) per un solo giorno. Troveremmoin tal modo un tasso pari al 760%. È evidente che sitratta di un tasso altissimo. Di qui le comprensibiliresistenze frapposte a che la commissione sul massi-mo scoperto rientrasse nel calcolo del TEG.Trattando della consulenza tecnica d’ufficio, rilevia-mo che il CTU nello svolgere la sua relazione ri-chiama la formula emanata nelle ”Istruzioni” dellaBanca d’Italia

INTERESSI x 36.500 ONERI x 100 TEG = +

NUMERI DEBITORI ACCORDATOove, come spiega la Banca d’Italia già nelle primaversione delle sue ”Istruzioni”, per numeri debitori siintende il capitale moltiplicato per i giorni in cui èstato prestato nel periodo considerato. La singola-rità di questa formula è quella di avere il secondomembro composto di due addendi, di cui il primo,

correttamente, riproduce la formula basilare del cal-colo del tasso d’interesse qui sopra riportata, mentreil secondo addendo misura non l’incidenza deglioneri, chiamati in modo diverso dall’interesse maconsiderati tali, sul capitale prestato, ma sull’affida-mento che possiamo considerare come una promes-sa di prestito. Anche questo non secondario aspettodelle ”Istruzioni” ci pare francamente discutibile. In-fatti, il secondo addendo posto al secondo membrodella formula indicata dalla Banca d’Italia calcola iltasso dell’affidamento e non il tasso del prestito. Intal modo, due scoperti uguali a cui siano addebitatiuguali spese risulteranno avere due tassi diversi a se-conda dell’affidamento. Il contrasto con l’art. 2 del-la legge n. 108/96 ci pare evidente, visto che la rile-vazione dei tassi medi è prescritta sui prestiti effet-tuati e non sugli affidamenti, prestiti potenziali.La conseguenza di un’applicazione pedissequa diquesta formula nella fase di rilevazione del TEG(art. 1 legge n. 108/96) porterebbe, di nuovo a prefi-gurare la possibilità di un’usura legale. Se un clienteè affidato, ad esempio, per € 100.0000 o € 500.000,la banca potrebbe addebitargli oneri spropositati incaso di basso utilizzo del fido, senza incorrere nei ri-gori della legge n. 108/96, in quanto gli oneri an-drebbero commisurati non al capitale effettivamen-te preso a prestito ma al fido accordato.Oltre a ciò, il CTU commette il grave errore di in-serire i numeri debitori (capitali · giorni) così comela banca li ha riportati sugli estratti conto trimestra-li, nella formula per il calcolo del tasso d’interesseeffettivo. Il risultato, inevitabilmente, induce ad as-severare che gli interessi applicati non sono usurari.Abbiamo visto che la banca imputa gli accredita-menti e gli addebitamenti, inclusi gli interessi e lecompetenze, al solo capitale. In tal modo non abbia-mo una distinzione tra ciò che è capitale e ciò che èla sua remunerazione. Al contrario, il saldo dei nu-meri debitori - che dovrebbe esprimere il capitalemedio prestato nel periodo - ad ogni chiusura perio-dica reca confuse in sé tutte le capitalizzazioni dellecompetenze che si sono succedute dall’inizio delrapporto. Questo è il motivo per cui, quando si trat-ta di calcolare gli interessi a capitalizzazione sempli-ce, si rettificano i numeri commerciali, depurandolidalle capitalizzazioni di interessi e competenze, perrisalire al saldo capitale netto vigente tempo pertempo. A tali saldi, si applica il tasso d’interesse sta-bilito dal contratto interpretato secondo la legge.Analogamente si deve procedere per il calcolo delTEG. Questi è il rapporto tra gli interessi ed il capi-tale effettivamente prestato e non il rapporto tra in-teressi ed interessi che sarebbe dato dal rapportare

il Corriere giuridico 3/2011 425

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

gli interessi con i numeri commerciali esposti dallaBanca sugli estratti conto. È un errore purtroppo comune a molti CTU quellodi seguire due criteri divergenti tra loro per eseguirecalcoli analoghi, ed il nostro non fa eccezione. Siopera una depurazione delle capitalizzazioni dellecompetenze per trovare i saldi di capitale netto perpoter calcolare gli interessi a capitalizzazione sem-plice. Ma ai fini del calcolo del TEG si riaggiunge,non si sa perché, quello che si è tolto in termini dicapitalizzazione, considerando il saldo numeri debi-tori, sommatoria di tutte le capitalizzazioni dellecompetenze a far data dall’inizio del rapporto. Seppure con le sopra segnalate (v. supra § 2.3.2),gravi manchevolezze - dovute alla errata capitalizza-zione di interessi e competenze - il CTU trova che ilconto corrente di corrispondenza su una durata do-cumentata che va dal 31dicembre 1993 al 23 dicem-bre 2002, dal 9 febbraio 1998 è pressoché sempre inattivo. Ciò dimostra l’assunto iniziale. I meccanismimoltiplicativi delle competenze portano medio tem-pore il debito ad essere costituito dai soli interessiche riproducono se stessi, con tendenza all’infinito,essendo stato il capitale già rimborsato. Dunque laBanca addebita interessi non in presenza di un suocredito ma di un suo debito. In dottrina l’interesse è stato sempre ritenuto usura-rio «quando presenta un notevole eccesso che nonrappresenta una controprestazione bensì un lucroindebito, senza legittima causa. È cotesta sproporzio-ne, giuridicamente rilevante, che rivela l’usura»(46), oppure quando «esprime costantemente unarealtà in cui l’acquisizione dei vantaggi avviene daparte di chi non ha titolo per conseguirli» (47).Analogamente, secondo la giurisprudenza, «l’inte-resse diventa usurario quando non ha una contro-prestazione corrispondente» (48).Ma vi è un altro modo, forse più appropriato, diguardare le cose. Invece di fare a fette lunghe un tri-mestre - non si sa perché - il contratto di conto cor-rente, rovesciamo il punto di vista.Consideriamo che l’oggetto del contratto di apertu-ra di credito in conto corrente è quello di prestaredenaro più volte in cambio di un corrispettivo. Eche il conto corrente è un rapporto unitario in cui lechiusure periodiche sono definite “provvisorie”, nonpotendosi applicare l’art. 1831 C.c. (49), e l’appura-mento del saldo e l’esigibilità del capitale e degli in-teressi avviene solo all’estinzione del rapporto (50).È giocoforza chiedersi, alla fine del rapporto, quantocapitale sia stato prestato dalla banca al cliente, perquanto tempo e quanto sia costato con la richiestafinale del saldo degli interessi globalmente intesi.

Nel caso che ci occupa, il rapporto ha avuto una du-rata complessiva di 3.562 giorni durante i quali èstato effettivamente scoperto (art. 820 C.c.) per1.110 giorni, con un capitale medio prestato pari a€ 66.122,84. Con una certa approssimazione possia-mo stabilire - tenendo prudenzialmente fermi fatto-ri favorevoli alla Banca quale il primo saldo riporta-to sul primo estratto conto e gli addebiti degli inte-ressi delle rate di mutuo - che gli interessi comples-sivamente addebitati sono stati € 226.339,96. Ciòdetermina un tasso complessivo globale pari al112,56%.

3. Considerazioni finali

Chi usa, imprenditore o consumatore, finanziarsiutilizzando l’apertura di credito in conto corrente eha, poniamo, il saldo a debito, ha la sfortuna di nonpoter conoscere quanto di tale debito è costituitodal capitale e quanto dall’interesse. Come abbiamovisto, il passivo può essere costituito dagli interessiin presenza di un credito in linea capitale. Ciò è do-vuto, ripetiamo, all’imputazione degli addebiti e de-gli accrediti al solo capitale. Eppure l’obbligazione direndiconto comporta il dovere della completa infor-mazione (51). Eppure alla Banca mandataria è fattoobbligo di tenere sempre distinti il capitale dagli in-teressi, in quanto essi sono due obbligazioni ontologi-camente distinte (Cass. n. 2593/2003 (52), Cass. S.U.9653/2001 (53)) e la capitalizzazione non opera unloro conglobamento (Cass. n. 3479/71 (54), Cass. n.5343/1980). Il complesso delle norme sulla trasparenza imponeessenzialmente la comparabilità immediata tra le of-ferte di credito. Ma nessuno è in grado di quantifica-re il tasso d’interesse globale delle seguenti remune-razioni così soggettivamente denominate: interessi,valute, commissione sul massimo scoperto. In paro-le semplici, come fare a giudicare se è più conve-

il Corriere giuridico 3/2011426

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(46) V. Manzini, Trattato di diritto penale, Torino, 1984, 890.

(47) Violante, Il delitto di usura, Milano,1970, 128.

(48) Cass. pen. 17 giugno 1986 n. 1207, Sarachella, in Riv.pen.,1987, 1020; Cass. pen. 27 gennaio 1987, Luci, in Riv. pen., 1988,655; Cass. pen. 27 febbraio 1995, Loizzi, in Dir. proc. pen.; 1995,1282; Cass. pen. 30 ottobre 2008 n. 44899.

(49) Per tutte v. Cass. 4788/84, Cass. n. 5876/91, Cass. n.10185/94, Cass. n. 14091/02

(50) Cass. S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418.

(51) G. Rampazzi Gonnet, Il giudizio civile di rendiconto, Milano,1991, p. 19.

(52) In Foro it., 2003, I, 1774.

(53) In Foro it., Rep. 2001, voce Opere pubbliche n. 739.

(54) In Giust. Civ. Mass., 1971, 1879.

niente pagare sull’apertura di credito, poniamo, il7% d’interesse, 7 giorni di valuta per gli assegni, e lo0,5% di commissione sullo scoperto o il 6% d’inte-resse, 6 giorni di valuta per gli assegni, e lo 0,75% dicommissione sullo scoperto, tutti capitalizzati ognitre mesi. La dottrina timidamente inizia a osservare che «il cal-colo del TAEG si presenta impossibile, se non in viaesemplificativa, allorché non siano riconosciute exante le modalità di svolgimento del rapporto, comeavviene per le aperture di credito» (55); ma, sorpren-dentemente, non ne coglie il grave contrasto conl’impianto basilare e l’essenza delle norme sulla tra-sparenza. Caratteristica essenziale della remunerazio-ne dei prestiti, stabilita sin dal codice civile del 1865(56), è l’invarianza del tasso d’interesse rispetto sia al-la durata del rapporto che alla variabile quantità didenaro preso a prestito nel periodo di finanziamento.Ciò si verifica positivamente sia per i contratti di mu-tuo remunerati ad interesse composto che semplice. Nel 1984 l’ABI notifica alla Commissione CE dieciaccordi e cinque raccomandazioni. Tra questi - vedila menzionata Decisione 87/103/CEE - l’accordosulla commissione sul massimo scoperto, che l’ABIsi impegnò ad abolire, e quello sulle valute. Il Prov-vedimento n. 12 del 3 dicembre 1994, preso dallaBanca d’Italia nella veste di autorità antitrust, di-chiara contraria alle norme sulla concorrenza laclausola sulla capitalizzazione trimestrale delle com-petenze. Anche in questo caso l’ABI si impegna aabolire detto accordo. Tali pratiche sono rimaste in-variate dopo l’entrata in vigore dell’art. 25 D. Lgs. 4agosto 1999, n. 342, e della susseguente DeliberaCICR del 9 febbraio 2000. Di conseguenza si confi-gura una violazione delle norme europee (57) ed in-terne sulla concorrenza. Purtroppo ci si sofferma generalmente a rilevare, perstabilire la validità dei contratti di apertura di credi-to in conto corrente, se le caselle riguardanti tassi econdizioni siano state correttamente compilate. Ècome estrapolare una frase dal contesto: il rispettodei principi fondamentali stabiliti dal corpus dellenorme di riferimento - la tutela della contraente de-bole piuttosto che le regole sulla dipendenza econo-mica - non conta e rimane lettera morta. Riviviamoun film già visto. Infatti, anche gli articoli 1283,1284, 1346 c.c. in vigore dal 1942, sono rimasti let-tera morta per cinquanta anni. Al termine dei quali,quasi come per effetto di un fulmine sulla strada diDamasco, si è stabilito che la clausola sugli usi piaz-za era nulla per contrarietà agli art. 1284 e 1346 c.c.e che la clausola anatocistica era nulla per contra-rietà all’art. 1283 c.c.

Ora vi è una novità che ci viene dall’Europa ed èrappresentata dalla nuova Direttiva sul credito alconsumo 2008/48/CE, la quale stabilisce che ancheper i conti correnti si applica la formula del TAEG.Il che comporta che i rapporti di credito dovrannoessere strutturati secondo la modalità del mutuo.Avevamo già scritto (58) che l’unico sistema perrendere determinata, determinabile e trasparente lapattuizione dell’interesse ultra legale è quello diadottare la struttura del mutuo, dove l’imputazionedei pagamenti è fatta proporzionalmente ai frutti edal capitale, come avviene in Nord America (USA eCanada) e per le carte di credito revolving. In queste,la linea di credito è collegata al conto corrente at-traverso la carta di credito e si regola come un mu-tuo. Ed il mutuo, come il revolving credit, può essereremunerato ad interesse semplice per assicurare lamassima trasparenza ed il doveroso equilibrio con-trattuale tra le parti. In tal caso il conto corrente dicorrispondenza sarebbe solo il luogo ove avvengonoi pagamenti, restando i rapporti di credito autonomitra loro. Siamo curiosi di vedere come la sconvolgente Diret-tiva 2008/48/CE verrà applicata o se, nel solco delleesperienze pregresse, rimarrà lettera morta almenoper mezzo secolo.

il Corriere giuridico 3/2011 427

GiurisprudenzaObbligazioni e contratti

Note:

(55) R. Basso in AA.VV., Diritto delle Banche e degli intermediarifinanziari, Padova, 2010, 865.

(56) Relazione del Guardasigilli sull’art. 1831 del Codice civile del1865, riportata da Candian, Contributo alla dottrina della usura edella lesione nel diritto positivo italiano, Milano, 1946.

(57) Cause riunite da T-259/02 a T-264/02 e T-271/02, RaiffeisenZentralbank Österreich AG e a.; Causa C-85_76, Hoffmann-LaRoche; Cause riunite T-68/89, T-77/89 E T-78/89, SIV.

(58) Gia. Colangelo, Interessi bancari e meccanismi moltiplicatividelle remunerazioni, in Foro it., 2004, 3304.