the shining, 1977

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STEPHEN KINGSHINING

(The Shining, 1977)

Questo libro è dedicato a Joe HillKing, che irradia luce.

Come già nel caso dei miei due libriprecedenti, la revisione di questovolume è stata eseguita dal signorWilliam G. Thompson, un uomo tuttointelligenza e buon senso. Ha contribuitoin larga misura alla versione definitivadi questo volume e di questo gli sonomolto grato.

S.K.

Alcuni dei più begli alberghi

di villeggiatura del mondosi trovano nel Colorado,ma l'albergo di cui si parlain queste paginenon vi si ispira in alcun modo.

L'Overlooke le persone che vi hannoa che fare esistonounicamentenella fantasiadell'autore.

Era altresì in questo appartamentoche si trovava... un gigantesco orologiodi ebano. Il pendolo oscillava avanti eindietro con un sordo, greve, monotono

suono metallico; e quando... era ilmomento che doveva battere l'ora, daipolmoni di ottone dell'orologio uscivaun suono squillante e sonoro eprofondo e oltremodo musicale, ma diuna tonalità e di un accento cosìparticolari, che a ogni intervallo diun'ora i musicisti dell'orchestra eranocostretti a fare una pausa... per porgerl'orecchio a quel suono; onde idanzatori di valzer dovevanointerrompere le loro evoluzioni; e siavvertiva come un breve turbamento intutti i componenti della gaia brigata; e,mentre ancora echeggiavano irintocchi dell'orologio, si potevanotare che i più frivoli impallidivano, ei più anziani e paciosi si passavano la

mano sulla fronte, quasi in preda a unavaga fantasticheria o meditazione. Manon appena quegli echi si erano spenti,subito una risata sommessa correva trail pubblico... e sorridevano come delloro stesso nervosismo... e sibisbigliavano l'un l'altro solennipromesse che i prossimi rintocchidell'orologio non avrebbero prodottoin loro quella stessa emozione; e poi,dopo un intervallo di sessanta minuti...ecco di nuovo i rintocchi dell'orologio,e allora si notavano lo stessoturbamento, lo stesso tremito, la stessameditazione della volta precedente.

Ma, ad onta di queste cose, fu unagaia e splendida festa...

E. A. Poe:La maschera della morterossa.

Il sonno della ragione genera mostri.GOYA

Brillerà quando brillerà.DETTO POPOLARE

PRIMAPARTE

PRELIMINARI

1

Jack Torrance pensò:Piccolo stronzointrigante.

Ullman era alto poco più di un metroe sessanta, e quando si muoveva avevala rapidità scattante che sembra esserepeculiare a tutti gli ometti grassocci.Aveva i capelli spartiti da unascriminatura impeccabile, e il completoscuro era sobrio, ma non severo. Sonoun uomo al quale potete tranquillamenteesporre i vostri problemi, diceva quelcompleto alla clientela solvente. Alpersonale stipendiato parlava invece inmodo più sbrigativo: sarà meglio chefiliate diritto, voialtri. All'occhiellospiccava un garofano rosso, forse perevitare che per la strada qualcuno

scambiasse Stuart Ullman per il titolaredell'impresa di pompe funebri.

Mentre ascoltava Ullman, Jackammise tra sé che, date le circostanze,con tutta probabilità non gli sarebbepiaciuto proprio nessuno, da quellaparte della scrivania.

Ullman gli aveva posto una domandache Jack non aveva afferrato. Moltomale: Ullman era il tipo capace diarchiviare uno sbaglio del genere in unsuo schedario mentale per tornarci soprain un secondo momento.

"Scusi?""Le ho chiesto se sua moglie ha

capito esattamente quali saranno le sueresponsabilità, qui. £ poi c'è suo figlio,naturalmente." Chinò lo sguardo sulla

domanda di assunzione che gli stava difronte.

"Daniel. Sua moglie non è un tantinospaventata all'idea?"

"Wendy è una donna straordinaria.""E suo figlio? È straordinario anche

lui?"Jack sorrise di un largo sorriso da

pubbliche relazioni. "Ci compiacciamodi crederlo, direi. È abbastanzaindipendente, per essere un bambino dicinque anni."

Ullman non ricambiò il sorriso.Tornò a infilare in una cartellina ladomanda di assunzione di Jack e laripose in un cassetto. Ora il ripianodella scrivania era sgombro, fatta

eccezione per un tampone, un telefono,una lampada orientabile e un cestelloper la corrispondenza in arrivo e inpartenza. Anche i due scomparti delcestello erano vuoti.

Ullman si alzò e si avvicinò alloschedario posto in un angolo dellastanza. "Per favore, giri attorno allascrivania, signor Torrance. Daremoun'occhiata alla planimetria dei varipiani dell'albergo."

Tornò allo schedario e ne tolsecinque grandi fogli che posò sul lucidoripiano di noce della scrivania.

Jack gli si pose accanto e avvertìintensamente il profumo dell'acqua dicolonia di Ullman.Tutti i miei uominiusano "Cuoio Inglese"oppure niente,gli

venne fatto di pensare senza nessunmotivo particolare, e dovette mordersila lingua per non scoppiare in unasonora risata. Oltre la parete giungevanoi rumori attutiti della cucinadell'Overlook Hotel che smobilitavadopo il pranzo.

"Ultimo piano," disse bruscoUllman. "È la soffitta. Non c'èassolutamente niente lassù, a partequalche cianfrusaglia. L'Overlook hacambiato parecchie volte proprietariodalla fine della seconda guerra mondialein poi, e a quanto pare i vari direttoriche si sono succeduti hanno sbattuto insoffitta tutto quello che non era di lorogusto. Voglio che vi siano piazzate

trappole per topi ed esche avvelenate.Le cameriere del terzo piano sostengonodi aver udito dei fruscii, là sopra. Io nonci credo affatto, ma non dev'essercinemmeno una probabilità su cento cheresti un solo topo, all'Overlook Hotel."

Jack, secondo il quale qualsiasialbergo ospitava almeno un paio di topi,si guardò bene dal ribattere.

"È appena il caso di dire che nonpermetterà a suo figlio di salire nellasoffitta, per nessun motivo."

"No, no," disse Jack, e tornò adabbozzare il suo largo sorriso dapubbliche relazioni. Che situazioneumiliante! Quello stronzo intrigantecredeva sul serio che avrebbe permessoa suo figlio di bighellonare in una

soffitta abitata dai topi e zeppa divecchie carabattole e Dio sa che altro?

Ullman scartò la planimetria dellasoffitta e la infilò sotto la pila degli altrifogli.

"L'Overlook si compone dicentodieci alloggi," disse con tonopedante. "Di questi, trenta, tuttiappartamentini, si trovano al terzopiano. Dieci nell'ala ovest, inclusol'appartamento presidenziale, dieci nelcorpo centrale e dieci nell'ala est. E datutti si gode una vista spettacolosa."

Non potresti risparmiarmi questidiscorsi da imbonitore?

Ma non aprì bocca: aveva bisognodi quel posto.

Ullman infilò sotto la pila laplanimetria del terzo piano, dopo di chesi accinsero a esaminare quella delsecondo.

"Quaranta stanze," disse Ullman,"trenta doppie e dieci singole. E alprimo piano, venti di ciascun tipo.

Più tre ripostigli per la biancheria aogni piano, e due magazzini, situatirispettivamente all'estremità orientaledell'albergo, al secondo piano, eall'estremità ovest, al primo. Hadomande da fare?"

Jack scosse il capo in un cenno didiniego. Ullman ripose anche leplanimetrie del secondo e del primopiano.

"E ora, il pianterreno. Qui al centroc'è la portineria. Dietro ci sono gliuffici. Il vestibolo si estende perventicinque metri ai due lati del bancodel portiere. Qui nell'ala ovest sonosituate la Sala da Pranzo Overlook e laColorado Lounge, mentre nell'ala est cisono il salone per i banchetti e il saloneda ballo.

Qualche domanda? ""Solo a proposito dello scantinato,"

rispose Jack. "Per il guardianoinvernale, questo è il piano piùimportante di tutti. Dove si accentra tuttoil movimento, per così dire."

"Watson le mostrerà tutto. Laplanimetria dello scantinato è appesa

alla parete nel vano della caldaia."Ullman aggrottò la fronte, forse per

lasciar intendere che, nelle sue vesti didirettore, non si occupava di aspettiplateali della conduzione dell'Overlookcome il funzionamento della caldaia egli impianti idraulici. "Potrebbe valer lapena di piazzate qualche trappola anchelà sotto. Un momento..."

Scribacchiò un appunto su untaccuino che tolse dalla tasca internadella giacca, ogni pagina del qualerecava l'intestazioneDalla scrivania diStuart Ullman, a vistosi caratteri neri;strappò il foglio e lo lasciò cadere nelloscomparto della corrispondenza inpartenza. Il foglietto vi si adagiòsolitario e il taccuino sparì di nuovo

nella tasca della giacca di Ullman, comea conclusione di un giochetto diprestigio. Eccolo qui: lo vedi, Jacky,ragazzo mio? Guarda: adesso non c'èpiù. Questo tipo è davvero un pezzogrosso.

Avevano ripreso le posizioniiniziali, Ullman dietro la scrivania eJack davanti, intervistatore eintervistato, supplice candidato ebenefattore riluttante. Ullman congiunsele piccole mani curate sul tampone dellascrivania e fissò con espressione assortaJack, un ometto dai capelli radi, con uncompleto da banchiere e una sobriacravatta grigia. Al fiore che portavaall'occhiello faceva riscontro, sull'altro

bavero, una piccola spilla: recava lascritta PERSONALE a minuti caratterid'oro.

"Sarò franco con lei, signorTorrance. Albert Shockley è un uomopotente. Ha investito un bel po' diquattrini nell'Overlook, un albergo cheper la prima volta nella sua storia hachiuso la stagione in attivo.

Il signor Shockley fa parte delconsiglio d'amministrazione, ma non èun albergatore e sarebbe il primo adammetterlo. Però per quanto riguardaquesta faccenda del guardiano invernale,ha esternato i suoi precisi desideri inmaniera addirittura ovvia. Vuole che leivenga assunto, e io l'assumerò; ma se mifosse stata data carta bianca in

proposito, io non lo avrei fatto."Jack serrava le mani tenendole

posate in grembo. Le premeva l'unacontro l'altra, sudaticce.Stronzointrigante, stronzo intrigante. .

"Non credo di riuscirle moltosimpatico, signor Torrance, ma non mene frega niente. Quel che è certo è che isuoi sentimenti nei miei riguardi nonincidono sulla mia convinzione che leinon sia l'uomo adatto per questoincarico. Durante la stagione, che va dalquindici maggio al trenta settembre,l'Overlook impiega centodiecidipendenti a tempo pieno. Uno per ognistanza dell'albergo, si può dire.

Non credo di piacergli, anzi sospetto

che qualcuno mi giudichi una carogna. Eil loro giudizio sarebbe corretto, perquanto riguarda il mio carattere. Devoessere una carogna, per mandare avantiquesto albergo come si deve."

Fissò Jack in attesa di un commento,e questi tornò a rivolgergli il largo,luminoso sorriso da pubbliche relazioni,che metteva in mostra i denti in modoaddirittura offensivo.

"L'Overlook è stato costruito tra il1907 e il 1909," prosegui Ullman. "Lalocalità più vicina è Sidewinder,sessantacinque chilometri in direzioneest, e le strade per raggiungerla sonochiuse suppergiù dalla fine di ottobre, iprimi di novembre, fino al mese diaprile. A costruire l'albergo è stato un

certo Robert Townley Watson, il nonnodel tizio attualmente addetto allamanutenzione. Qui hanno soggiornato iVanderbilt, i Rockefeller, gli Astor, iDuPont. L'appartamento presidenziale haospitato quattro presidenti degli StatiUniti: Wilson, Harding, Roosevelt eNixon."

"Io non andrei troppo fiero diHarding e Nixon," mormorò Jack.

Ullman si accigliò, ma proseguìsenza far commenti: "L'albergo si èrivelato un'impresa troppo impegnativaper il signor Watson, che nel 1915 l'havenduto. Dopo di che è stato vendutoaltre volte: nel 1922, nel 1929, nel1936. È rimasto inattivo sino alla fine

della Seconda Guerra Mondiale, quandoè stato acquistato e rinnovato da HoraceDerwent, il miliardario inventore,pilota, produttore cinematografico eimprenditore."

"Il nome non mi è nuovo," disseJack.

"Già. Tutto ciò che toccava sitramutava in oro... a eccezionedell'Overlook. Ancor prima che il primoospite del dopoguerra ne varcasse lasoglia ci aveva travasato più di unmilione di dollari, trasformando unrelitto fatiscente in una specie dimonumento del turismo. È stato Derwentad aggiungere il campo diroque di cuil'ho vista in ammirazione quando èarrivato."

"Roque?""È un antenato britannico del nostro

croquet. Il croquet non è altro cheunroque imbastardito. Secondo laleggenda, Derwent aveva imparato agiocarlo dalla sua segretaria privata, ese n'era innamorato alla follia. Pare cheil nostro campo diroque sia il più bellod'America."

"Non lo metto in dubbio," disse Jackin tono solenne. Un campo diroque;davanti un giardino ornamentalepopolato di siepi in forma di animali... eche altro? Un tiro al bersaglio con ipupazzi a grandezza naturale dietro ilcapanno degli attrezzi? Cominciavadavvero a essere stufo del signor Stuart

Ullman, ma si rendeva conto chequest'ultimo era ben lungi dall'averfinito. Ullman aveva tutta l'intenzione diportare a termine il suo discorsetto,senza rinunciare a una sillaba.

"Dopo una perdita secca di tremilioni di dollari, Derwent ha vendutol'albergo a un gruppo di speculatoridella California, la cui esperienza conl'Overlook si è rivelata altrettantonegativa. Il fatto è che non era gente delmestiere.

"Nel 1970 il signor Shockley e ungruppo di suoi soci hanno rilevatol'albergo e ne hanno affidato la direzionea me. Anche noi abbiamo chiuso inpassivo per parecchi anni, ma sono lietodi poter affermare che la fiducia degli

attuali proprietari nei miei confronti nonè mai venuta meno. L'anno scorso siamoandati in pareggio, e quest'anno per laprima volta in settant'anni, o quasi, ilbilancio dell'Overlook ha chiuso inattivo."

Jack era incline a credere chel'orgoglio di quell'ometto pedante fossegiustificato, ma poi fu di nuovo travoltoda un accesso dell'iniziale antipatia.

"Non vedo proprio," disse, "cosac'entri la storia dell'Overlook, coloritafin che si vuole, con la sua convinzioneche io non sia il tipo adatto per questoposto, signor Ullman."

"Una delle ragioni per cuil'Overlook ha perso tanto denaro sta nel

deprezzamento che si verifica ogniinverno. Riduce il margine di profitto inmisura molto superiore a quanto leipotrebbe credere, signor Torrance. Gliinverni, quassù, sono molto freddi.Proprio al fine di far fronte al problema,ho insediato un guardiano invernale conl'incarico di far funzionare la caldaia eriscaldare le varie ali dell'albergo inbase a un criterio di rotazionegiornaliera; di riparare i guasti, casomai se ne verificassero e di eseguire leriparazioni; di esercitare una costantesorveglianza su qualsiasi contingenza.Durante il nostro primo inverno hoassunto una famiglia, anziché unoscapolo. Ma è scoppiata una tragedia.Una tragedia spaventosa."

Ullman fissò Jack freddamente,quasi volesse valutarlo.

"Ho commesso un errore, non esitoad ammetterlo. L'uomo beveva."

Jack sentì che le labbra gli sitendevano in un lento, insolentesogghigno, l'antitesi esatta del sorriso atutta bocca da pubbliche relazioni. "Ah,è così? Sono sorpreso che Al nongliel'abbia detto: ho smesso."

"Sì, il signor Shockley mi ha dettoche non beve più. E mi ha parlato delsuo ultimo impiego... del suo ultimoincarico di fiducia, per così dire... Leiinsegnava inglese in un istitutopreuniversitario del Vermont. E ha persola calma. Non credo ci sia bisogno di

scendere in maggiori particolari. Ma sidà il caso che a mio parere l'episodio diGrady abbia un nesso; ed è per quer stoche ho tirato in ballo la faccenda dellasua... be', dei suoi precedenti.Nell'inverno 197071, quando giàavevamo rimesso a nuovo l'Overlook manon era stato ancora riaperto al.pubblico, ho assunto quel... queldisgraziato di Delbert Grady. Grady si èinstallato negli alloggi che lei dovràdividere con sua moglie e suo figlio.

Aveva moglie e due figlie, lui. Ioavevo avanzato certe riserve, tra cuil'estremo rigore del clima invernale e ilfatto che i Grady sarebbero stati tagliatifuori dal mondo per almeno cinque o seimesi."

"Ma questo non è esatto. C'è iltelefono, qui, e probabilmente anche unaricetrasmittente da radioamatore. IlParco Nazionale delle MontagneRocciose è a portata di elicottero: e unterritorio di quell'estensione possiedecertamente almeno un paio di elicotteri."

"Questo non saprei dirglielo," feceUllman. "L'albergo è dotato di unaricetrasmittente che il signor Watson lemostrerà, unitamente all'elenco delleesatte frequenze da impiegare sedovesse aver bisogno d'aiuto. Le lineetelefoniche che collegano l'albergo conSidewinder sono ancora in funzione, mad'inverno, prima o poi, cadono erimangono fuori uso per un periodo che

va dalle tre settimane a un mese emezzo. Nel capanno degli attrezzi c'èanche un gatto delle nevi."

"Dunque non si può dire che questoposto resti completamente tagliato fuoridal mondo."

Il signor Ullman assunseun'espressione afflitta. "Supponga chesuo figlio o sua moglie inciampi per lescale e si fratturi il cranio, signorTorrance. In tal caso giudicherebbequesto posto tagliato fuori dal mondo?"

Jack comprese alla perfezione. Ungatto delle nevi che procedesse allamassima velocità sarebbe stato in gradodi arrivare a Sidewinder in un'ora emezzo... Chissà. Un elicottero delServizio di Soccorso dei Parchi avrebbe

potuto raggiungere l'albergo in tre ore...in condizioni ottimali. In caso ditormenta non sarebbe riuscito neppure adecollare, né si sarebbe potuto spingereun gatto delle nevi alla massimavelocità, anche ammesso che si osasseportare all'aperto una personagravemente ferita con una temperaturache poteva scendere a trenta gradi sottozero... o magari toccare i quaranta, se siteneva conto del fattore vento.

"Nel caso di Grady," proseguiUllman, "ho fatto pressappoco ilragionamento che sembra aver fatto ilsignor Shockley nei suoi confronti. Lasolitudine può risultare dannosa: meglioche quel tizio si portasse appresso i

familiari. In caso di guai, mi sono detto,c'erano ottime probabilità che sitrattasse di qualcosa di meno urgente diuna frattura cranica, di un incidentecausato da un'apparecchiatura elettrica odi qualche attacco di convulsioni. Ungrave caso d'influenza, una polmonite,un braccio fratturato, magari un attaccodi appendicite. Comunque, tutte cose percui avremmo avuto tempo sufficiente.

"Sospetto che quanto è accaduto siastato il risultato di un eccesso di whiskydi pessima qualità, del quale Grady siera procurato, a mia insaputa, una buonascorta, e di una singolare condizione chei nostri vecchi chiamano mal dellacapanna. Conosce questa espressione?"Ullman rivolse a Jack un sorrisetto

condiscendente, pronto a fornire laspiegazione non appena il suointerlocutore avesse confessato la suaignoranza in proposito, per cuiquest'ultimo fu ben lieto di risponderglicon prontezza e vivacità.

"È un'espressione gergale; indica lareazione claustrofobica che puòverificarsi qualora un gruppo di personesia costretto a convivere per lunghiperiodi di tempo. La sensazione diclaustrofobia si manifesta sotto forma diavversione per le persone con le quali siè costretti a convivere. Nei casi estremipuò dare origine ad allucinazioni e crisidi violenza. Sono stati commessiassassina per incidenti irrisori come una

pietanza bruciata o una discussione su achi toccasse lavare i piatti."

Ullman appariva alquantoimbarazzato, con gran soddisfazione diJack. Decise così di calcare un po' lamano, ma tacitamente promise a Wendydi restare calmo.

"Ho paura che in quel caso abbiadavvero commesso un errore. Ha fattoloro del male?"

"Le ha ammazzate, signor Torrance,e poi si è ucciso. Ha assassinato lebambine con un'accetta, la moglie conuna doppietta, e altrettanto si dica perlui. Aveva una gamba rotta. Senzadubbio era così ubriaco che dev'essererotolato per le scale."

Ullman allargò le mani e fissò Jack

con espressione ipocrita."Era un diplomato?""A dire il vero, no," rispose Ullman,

un po' rigido. "Ritenevo che unindividuo, diciamo, scarsamente dotatod'immaginazione fosse meno suscettibileai rigori invernali, alla solitudine..."

"È stato questo il suo errore,"incalzò Jack. "Uno stupido è più portatoal mal della capanna, così come è piùincline a sparare a qualcuno durante unapartita a carte o a commettere una rapinadettata dall'impulso del momento. Siannoia. Quando arriva la neve, non gliresta che la televisione, o fare unsolitario e barare con se stesso, se nongli escono tutti gli assi. Non gli resta che

maltrattare la moglie, prendersela con ibambini e darsi al bere. Diventadifficile dormire perché non si ode alcunrumore.

Così, per dormire, beve fino astordirsi, e si sveglia con la nausea e colmal di testa. Diventa nervoso.

Magari il telefono si guasta,l'antenna della televisione crolla... Nonresta altro da fare che pensare, barare alsolitario e diventare sempre più nervosi.Sin che, alla fine... bum, bum, bum."

"E invece un uomo più istruito, comelei?"

"A mia moglie e a me piace leggere.Io, poi, sto scrivendo una commedia.Probabilmente Al Shockley glielo hadetto. Danny ha i suoi giochi a incastro, i

suoi album da colorare e la sua radio agalena. Ho intenzione di insegnargli aleggere; mi riprometto anche diinsegnargli a usare le racchette da neve.

Anche a Wendy piacerebbeimparare. Sì, sì, credo proprio cheriusciremo a trovar sempre qualche cosada fare e a non darci fastidio a vicenda,se la televisione dovesse fare icapricci." Fece una pausa. "Al diceva laverità quando le ha detto che ho smessodi bere. Una volta bevevo, e stavadiventando una faccenda seria. Ma è piùdi un anno che non scolo nemmeno unabirra. Non ho intenzione di portarequassù bevande alcoliche, e non pensoche ci sarà l'occasione di procurarsene,

quando avrà cominciato a nevicare.""Se è per questo ha perfettamente

ragione," osservò Ullman, "ma per quelche concerne la vostra presenza quassù,il potenziale dei problemi si moltiplica.Ne ho parlato al signor Shockley, e luimi ha detto che si sarebbe assunta tuttala responsabilità. Ora io l'ho detto a lei,e a quanto pare anche lei è disposto adassumersi la responsabilità..."

"Sì.""E va bene; accetterò la cosa, dal

momento che non ho scelta. Comunqueavrei preferito uno studente senza legamiche avesse deciso di rinunciareall'università per un anno. Be', forse cela farà. Ora l'affiderò al signor Watson;le farà fare il giro dello scantinato e dei

giardini. A meno che non abbia qualchedomanda da farmi..."

"Nessuna domanda."Ullman si alzò. "Spero che non mi

serbi rancore, signor Torrance. Non c'èil minimo riflesso personale nelle coseche le ho detto. Voglio soltanto il meglioper l'Overlook. È un grande albergo, evoglio che resti tale."

"No, nessun rancore." Jack abbozzòancora una volta il sorriso da pubblicherelazioni, ma fu lieto che Ullman nonfacesse il gesto di stringergli la mano. Irancori c'erano, e come. Di ogni genere.

2Diede un'occhiata dalla finestra

della cucina e vide che se ne stava

tranquillamente seduto là sulmarciapiede, senza giocare con i suoiautocarri o con il carretto, e neppure conl'aliante di legno di balsa che l'avevaentusiasmato per tutta la settimana, dache Jack l'aveva portato a casa. Se nestava seduto, tutto lì, e spiava l'arrivodella logora Volkswagen, i gomitipiantati sulle cosce e il mentoappoggiato alle mani: un bimbo dicinque anni in attesa del suo papà.

A un tratto Wendy si sentì male:male al punto d'aver quasi voglia dipiangere.

Appese lo strofinaccio alla sbarraposta accanto all'acquaio e scese dabasso, allacciandosi i due bottoni piùalti della vestaglietta da casa. Jack e il

suo orgoglio!Macché, Al, non mioccorre un prestito.

Per il momento va benissimo così.Le pareti del corridoio erano ricopertedi sgorbi e scarabocchi a pastello,pennarello, pittura spray. Le scale eranoripide, i gradini scheggiati. L'intera casapuzzava di stantio. Che razza di postoera mai quello, per Danny, dopo la lindacasetta in mattoni di Stovington?

Gli inquilini che abitavano sopra diloro, al secondo piano, erano una coppianon sposata, e se la cosa in sé non laturbava affatto, altrettanto non si potevadire dei loro continui, rancorosi litigi.La spaventavano. L'inquilino del pianodi sopra si chiamava Tom, e dopo la

chiusura dei bar, quando i due tornavanoa casa, le liti si scatenavano conviolenza inaudita: al confronto, il restodella settimana era soltanto unpreliminare. Le "liti del venerdì sera",le chiamava Jack, ma non c'era proprioniente da ridere. La donna, che sichiamava Elaine, alla fine scoppiava inlacrime e ripeteva in continuazione:

"No, Tom. No, ti prego. No, tiprego." E lui, giù a urlare. Una voltaavevano persino svegliato Danny.

E sì che Danny aveva un sonno dipiombo. La mattina dopo Jack avevasorpreso Tom mentre usciva e avevaindugiato a lungo a parlargli sulmarciapiede. Tom si era messo agridare; Jack gli aveva risposto

qualcosa a voce troppo bassa perchéWendy potesse udire, e Tom si eralimitato a scuotere il capo con ariaastiosa, dopo di che si era allontanato.Era successo una settimana prima, e perqualche giorno le cose erano andatemeglio, ma a partire dal fine settimanatutto stava tornando alla normalità, anzi,all'anormalità. Non giovava certo albambino.

La sensazione di pena tornò ainvestirla, ma ormai era arrivata sulmarciapiede e soffocò lepreoccupazioni. "Che c'è, dottore?"disse, lisciandosi la gonna sotto le coscee sedendosi accanto al bambino.

Lui le sorrise meccanicamente.

"Ciao, mammina."L'aliante era lì, tra i piedi infilati

nelle scarpette di tela, e Wendy siavvide che una delle ali minacciava distaccarsi.

"Vuoi che provi ad aggiustarla,tesoro?"

Danny aveva ripreso a fissare lastrada. "No, ci penserà papà."

"Può darsi che papà non torni primadell'ora di cena, dottore. È lunga lastrada, per arrivare in cima a quellemontagne."

"Credi che il maggiolino sispaccherà?"

"No, non credo." Ma Danny le avevaindicato un nuovo motivo dipreoccupazione.Grazie, Danny, ne avevo

proprio bisogno."Papà ha detto che poteva

succedere," fece Danny in tonosbrigativo, quasi annoiato. "Ha detto chela pompa della benzina era andata inmerda."

"Non si dicono queste cose, Danny.""Quali cose? Pompa della benzina?"

chiese il bambino con genuina sorpresa."No," sospirò Wendy. "Andata in

merda. Non sta bene.""Perché?""È volgare.""Come sarebbe a dire, volgare,

mammina?""Per esempio, quando ti metti le dita

nel naso a tavola o fai pipì lasciando la

porta del bagno aperta. O quando usiespressioni come 'andata in merda'.Queste sono cose volgari. Merda è unaparola volgare.

Le persone per bene non la usano.""Papà la usa. Mentre dava

un'occhiata al motore del maggiolino hadetto: 'Cristo, la pompa della benzina èandata in merda.' Papà non è unapersona per bene?"

Come fai a cacciarti in faccende delgenere, Winnifred? Ti ci esercitiapposta?

"È una persona per bene, ma è ancheun adulto. E si guarda bene dall'usareparole del genere in presenza di personeche non capirebbero."

"Vuoi dire lo zio Al?"

"Sì, proprio così.""Potrò dirlo anch'io, quando sarò

grande?""Direi di sì, anche se a me non va.""A quanti anni?""Che ne dici di venti, dottore?""A quanto pare dovrò aspettare un

bel po'!""Pare anche a me, ma ci proverai?""D'accordo."Tornò a fissare la strada. Si protese

un tantino, come per alzarsi, ma ilmaggiolino in arrivo era molto piùnuovo e di un rosso molto più brillante.Si rilassò. Wendy si chiese fino a chepunto fosse pesato a Danny iltrasferimento nel Colorado. In proposito

era muto come un pesce, ma lapreoccupava vederlo passare tantotempo da solo. Nel Vermont, tre deicolleghi di facoltà di Jack avevanobambini suppergiù dell'età di Danny;senza contare la scuola materna; ma lì,in quel quartiere, non c'era nessuno concui potesse giocare. La maggior partedegli appartamenti ospitava studentidell'Università del Colorado, e dellepoche coppie sposate che abitavano inArapahoe Street, soltanto un'infimapercentuale aveva figli. Wendy avevaadocchiato sì e no una dozzina di ragazziin età di frequentare le medie o lesuperiori, più tre lattanti, ed era tutto.

"Perché papà ha perso il posto,mammina?"

Strappata a bruciapelo alle suefantasticherie, Wendy si dibatté in cercadi una risposta. Wendy e Jack avevanodiscusso dei vari modi possibili diaffrontare una domanda del genere daparte di Danny: modi che andavano dauna risposta evasiva alla pura esemplice verità senza fronzoli di sorta.Ma domande, Danny non ne aveva maifatte, almeno fino a quel momento,proprio quando lei era avvilita e deltutto impreparata ad affrontarne una delgenere. E tuttavia il bambino la stavafissando, magari leggendole in viso laconfusione e facendosi un'idea tutta suadella faccenda. Wendy pensò che aibambini le motivazioni e le azioni degli

adulti dovevano apparire ingombranti esinistre come pericolosi animaliintravisti nell'ombra di una cupa foresta.Venivano sballottati qua e là al pari dimarionette, avendo soltanto unavaghissima idea del perché. Al solopensiero si ritrovò di nuovopericolosamente sull'orlo delle lacrime,e mentre lottava per trattenerle si chinò,raccolse da terra l'aliante scassato e selo rigirò tra le mani.

"Il tuo papà dava lezione al gruppoimpegnato nei dibattiti, Danny. Te nericordi?"

"Certo," rispose il bambino."Discussioni per ridere, è così?"

"Giusto." Wendy indugiò a rigirarsil'aliante tra le mani, fissando la marca

(SPEEDOGLIDE) e la stella azzurraapplicata a decalcomania sulle ali, e siritrovò a dire al figlio l'esatta verità."C'era un ragazzo che si chiamavaGeorge Hatfield. Papà ha dovutoescluderlo dal gruppo. Questo vuol direche non era bravo come gli altri. Georgeha detto che il tuo papà l'aveva esclusoperché gli era antipatico e non perchénon era abbastanza bravo. E poi Georgeha fatto una brutta cosa. Credo che tu losappia già."

"È stato lui a bucare le gomme delnostro maggiolino?"

"Sì, è stato lui. È successo dopol'ora di lezione e il tuo papà l'ha coltosul fatto." A questo punto Wendy ebbe

un'altra esitazione, ma ormai non era piùil caso di dare risposte evasive: tutto siriduceva a dire la verità o a raccontareuna bugia.

"Il tuo papà... a volte fa cose dellequali poi si pente. A volte non pensacome dovrebbe. Non succede spesso,ma qualche volta capita."

"Ha fatto male a George Hatfieldcome quella volta che ho messo indisordine tutte le sue carte?"

A volte...(Danny col braccio ingessato)...fa cose delle quali poi si pente.Wendy strizzò gli occhi contraendo

le palpebre con forza, decisa arespingere le lacrime.

"Qualcosa del genere, tesoro. Il tuo

papà ha picchiato George per farlosmettere di bucare le gomme, e Georgeha battuto il capo. Allora gli uomini chedirigono la scuola hanno detto cheGeorge non poteva più frequentarla eche il tuo papà non poteva piùinsegnarvi." Tacque, ormai a corto diparole, e attese terrorizzata la valangadelle domande.

"Oh!" esclamò Danny, e riprese afissare la strada. In apparenza ildiscorso era chiuso. Se fosse statopossibile anche a lei chiuderlo con lastessa facilità...

Wendy si alzò: "Vado di sopra abere una tazza di tè, dottore. Vuoi unpaio di biscotti e un bicchiere di latte?"

"Penso che resterò qui a vedere searriva papà."

"Non credo che tornerà a casa primadelle cinque."

"Magari arriva prima.""Magari," convenne Wendy. "Magari

è così."Aveva percorso una metà del

marciapiede quando Danny chiamò : "Mammina? "

"Sì, Danny?""Ti fa voglia andare a passare

l'inverno in quell'albergo?"E ora, quale delle cinquemila

risposte possibili doveva dare a quelladomanda? I sentimenti che avevaprovato ieri o la sera prima o quella

mattina? Erano diversissimi tra loro,comprendevano l'intera gammacromatica, dal rosa più roseo al nero piùcupo.

"Se lo vuole tuo padre, lo voglioanch'io." Esitò un attimo: "E tu?"

"Credo... credo di volerlo," risposeil bambino alla fine. "Da queste partinon c'è nessuno con cui giocare."

"Senti la mancanza dei tuoi amici,vero?"

"Qualche volta mi mancano Scott eAndy, ma tutto qui."

Wendy gli tornò accanto e gli diedeun bacio, arruffandogli i capelli biondiche cominciavano a perdere lamorbidezza setosa della primissimainfanzia. Era un bambino così serio! A

volte le veniva fatto di chiedersi comesarebbe riuscito a sopravvivere con duegenitori come lei e Jack. Le grandisperanze iniziali si erano arenate inquella brutta casa d'affitto, in unapiccola città che non conoscevanoaffatto. Ancora una volta le si paròdinanzi l'immagine di Danny col braccioingessato.

Lassù, all'Ufficio CollocamentoDivino, qualcuno aveva commesso unerrore: un errore che Wendy temeva nonsi sarebbe mai potuto correggere e per ilquale avrebbe pagato soltanto lospettatore più innocente.

"Non andare in mezzo alla strada,dottore," disse; e lo abbracciò stretto.

"Sicuro, mamma."Salì di sopra ed entrò in cucina.

Mise al fuoco l'acqua per il tè e disposeun paio di Oreos su un vassoio, caso maiDanny avesse deciso di salire mentre leisi stendeva a riposare. Seduta al tavolodavanti alla grossa tazza di ceramica,guardò dalla finestra, e lo vide, sempreseduto laggiù sul marciapiede con ibluejeans e l'argentina verde scuro,troppo grande per lui, della scuola diammissione di Stovington. Ora l'aliantegli posava accanto. Le lacrime, che pertutto il giorno avevano minacciato disgorgarle dagli occhi, presero a rigarlele gote. Wendy si piegò nel vaporefragrante che saliva a volute dalla tazza

di tè, e pianse. Pianse di dolore erimpianto per il passato e di terrore peril futuro.

3Lei ha perso la calma, aveva detto

Ullman."Benone, ecco la caldaia del

calorifero," disse Watson, accendendouna luce nella stanza buia che odoravadi muffa. Era un uomo tarchiato daisoffici capelli color pannocchia matura.Indossava una camicia bianca e brachedi tela verde scuro. Spalancò unapiccola grata quadrangolare nel ventredella fornace, e sbirciò dentro, imitatoda Jack. "Questa è la spia." Un beccodal quale prorompeva regolare una

fiamma biancoazzurrastra, sibilandosenza posa verso l'alto, imbrigliavaforza distruttiva. La parola chiave, però,pensò Jack, non eraimbrigliava,madistruttiva: se ci infilavi la mano, tela ritrovavi alla griglia nel giro di tresecondi al massimo.

Ha perso la calma.(Danny, stai bene?)La caldaia occupava l'intera stanza,

ed era la più grossa e la più vecchia cheJack avesse mai visto.

"La spia è munita di un dispositivodi sicurezza," gli spiegò Watson."Dentro c'è un sensore che misura latemperatura. Se il calore scende sotto uncerto livello, fa suonare un campanellonel suo alloggio. La caldaia dell'acqua

calda è dall'altra parte del muro. Adessol'accompagno." Chiuse la grata di scattoe guidò Jack dietro l'enorme massa diferro della fornace, verso un'altra porta.Il ferro irraggiava su di loro un caloreletargico e, chissà come, Jack fu indottoa pensare a un grosso gattosonnecchiante.

Watson fece tintinnare le chiavi edemise un fischio.

Perso la cal...(Quando Jack era tornato nello

studio e aveva visto Danny li in piedi,con indosso nient'altro che le mutandinedi plastica e un bel sorriso, una lenta,rossa nube di collera gli aveva offuscatola ragione.

Gli era parsa lenta soggettivamente,nella sua testa, ma tutto doveva essereaccaduto nello spazio di nemmeno unminuto. Era parsa lenta soltanto comesembrano lenti certi sogni. I brutti sogni.Pareva che durante la sua assenza ognisportello e cassetto dello studio fossestato messo a soqquadro.

L'armadio, i cassettoni, la libreriascorrevole. Tutti i cassetti dellascrivania erano spalancati. Il suomanoscritto, il dramma in tre atti cheaveva costruito lentamente, traendone lospunto da un breve romanzo che avevascritto sette anni prima, quando ancoranon era laureato, giaceva sparpagliatosul pavimento. Stava bevendo una birra

ed era intento ad apportare certecorrezioni al secondo atto, quandoWendy gli aveva detto che qualcuno lovoleva al telefono, e Danny avevaversato la lattina di birra inondando ifogli. Probabilmente per il gusto divederla spumeggiare.Vederlaspumeggiare, vederla spumeggiare. Leparole gli risuonavano ripetutamentenella testa al pari di un unico accordoflebile su un pianoforte scordato,completando il circuito della sua rabbia.Mosse deliberatamente verso il figlio ditre anni, che lo fissava da sotto in su conquel sorriso compiaciuto per il piacereche provava all'idea dell'impresa testéportata a compimento con successo nellostudio di papà. Danny volle dire

qualcosa, ed era stato proprio allora chelui aveva agguantato la mano del bimboe gliel'aveva torta per costringerlo amollare la gomma della macchina perscrivere e la matita automatica chestringeva saldamente in pugno. Dannyaveva lanciato un gridolino... no... no...di' la verità... aveva urlato. Eradifficilissimo ricordare attraverso ilvelo della collera, quell'unico accordostonato, strimpellato alla Spike Jones.Wendy da qualche parte che domandavache cosa stesse succedendo. La sua voceesile, attutita dalla nebbia interiore. Erauna cosa che riguardava loro due soli.Aveva fatto piroettare su se stessoDanny per sculacciarlo, le grosse dita di

adulto affondate nella tenera carnedell'avambraccio del bimbo, strette aserrarsi in un pugno. Lo schiocco seccodell'osso che si spezzava non era statoforte; e tuttavia era statofortissimo,ENORME, ma non forte. Un suonoperaltro sufficiente a perforare come unafreccia la nebbia rossa: ma anziché farentrare la luce del sole, aveva fattoirrompere le nuvole plumbee dellavergogna e del rimorso, il terrore, leconvulsioni agoniche dello spirito. Unsuono netto, col passato da un lato el'intero futuro dall'altro; un suono similea quello della mina di una matita che sispezzi o di un piccolo ramo seccospaccato sul ginocchio. C'era stato unattimo di assoluto silenzio dall'altra

parte, per rispetto al futuro che forsedava inizio a tutto il resto della sua vita.Vedendo il volto di Danny che sisbiancava fino a sembrare fatto diformaggio; vedendo i suoi occhi, giàgrandi, farsi ancor più grandi, eimmobili in una vitrea fissità, Jack fucerto che il bambino si sarebbeafflosciato privo di sensi, nella pozza dibirra e tra i fogli sparsi. La sua voce,debole e farfugliarne, impastatadall'alcool, che tentava di riacciuffaretutto ciò che gli era sfuggito, ditrovareuna strada per scavalcare quelsuono non troppo forte dell'osso che sispezzava e rientrare nel passato —esiste unostatus quo nella casa? — che

diceva:Danny, stai bene? Per tuttarisposta, l'urlo acuto di Danny; poil'ansito sconvolto di Wendy quando gliera girata attorno e aveva visto la stranaangolazione con la quale l'avambracciodi Danny penzolava dal gomito. Dinorma nessun braccio penzolava a quelmodo in un mondo di famiglie normali.L'urlo di lei mentre lo sollevava discatto tra le braccia, e un blaterioinsensato:Oh Dio Danny oh mio Dio ohbuon Dio il tuo povero braccino; e Jackse ne stava lì, attonito e inebetito, asforzarsi di capire come una cosa delgenere fosse potuta accadere. Se nestava lì e i suoi occhi avevanoincontrato gli occhi di sua moglie e siera accorto che Wendy lo odiava. Non

gli era neppure passato per la mente ciòche poteva significare l'odio in terminipratici. Solo più tardi si era reso contoche Wendy avrebbe potuto lasciarloquella sera, andare in un motel, trovarsiun avvocato divorzista il mattino dopo.O chiamare la polizia. Si era accortosoltanto che sua moglie lo odiava e siera sentito scosso, disperatamente solo.Si era sentito malissimo. Era così che cisi sentiva in punto di morte. Allora siera precipitato al telefono e avevacomposto il numero dell'ospedale,mentre il loro bambino urlava,rannicchiato nell'incavo del braccio diWendy, e Jack non era andato con lei, siera limitato a restarsene tra le rovine

dello studio, a fiutare puzzo di birra e apensare...) Lei ha perso la calma.

Si strofinò energicamente le labbracon la mano e seguì Watson nella stanzadella caldaia dell'acqua.

Faceva umido, là dentro, ma fuqualcosa di più dell'umidità aimperlargli la fronte e il ventre e legambe di un sudore viscido e malsano.Furono invece i ricordi, fu qualcosa ditotale a destare in lui la sensazione cheda quella sera non fossero passati dueanni, ma due ore soltanto. Non esistevasoluzione di continuità. Gli riportò lavergogna e la repulsione, il senso di nonvalere assolutamente nulla; e quellasensazione gli faceva sempre venirvoglia di bere, e la voglia di bere

gl'infondeva una disperazione ancorapiù nera: gli sarebbe mai stata concessaun'ora, non una settimana e neppure ungiorno, si badi bene, ma una sola ora diveglia, durante la quale il bisognospasmodico di bere non lo sorprendessea quel modo?

"La caldaia," annunciò Watson.Cavò dalla tasca posteriore dei calzoniun fazzolettone di cotone rosso e blu, sisoffiò il naso con fragore e tornò a farsparire il fazzoletto dopo una rapidasbirciatina per vedere se nascondessequalche cosa d'interessante.

La caldaia poggiava su quattroblocchi di cemento e consisteva in unlungo serbatoio metallico a forma di

cilindro, incamiciato di rame erappezzato più volte. Sembravaaccovacciata sotto un intrico di tubaturee condotti che salivano zigzagando ainfilarsi nel soffitto, festonato diragnatele. Alla destra di Jack, due grossitubi del riscaldamento perforavano laparete, collegati alla fornace nellastanza attigua.

"Il manometro è qui." E Watson cibatté sopra una mano. "Libbre perpollice quadrato, lpq. Immagino che losapesse già. Ora l'ho regolato sul cento,e nelle stanze di notte fa freddino. Gliospiti che si lamentano sono pochi,cazzo. Comunque devono essere matti avenire quassù in settembre. E poi questaè una vecchia carcassa. Ha più pezze

addosso lei di una di quelle tute chepassano le opere pie."

Riapparve il fazzolettone.Strombazzata. Sbirciatina. Tornò asparire.

"Mi sono beccato un maledettoraffreddore," disse Watson in tonodiscorsivo. "Me ne becco unoregolarmente ogni settembre. Vengo quasotto a rabberciare questa vecchiaputtana, poi vado fuori a tosare l'erba oa rastrellare il campo diroque. Un colpodi freddo e ti becchi il raffreddore,diceva sempre la mia vecchia mamma.Dio l'abbia in gloria, è morta sei anni fa.Se l'è portata via il cancro.

Una volta che ti becca il cancro,

tanto vale fare testamento."Lei dovrà mantenere la pressione

sul cinquanta, magari sessanta, non dipiù. Il signor Ullman dice di riscaldareun giorno l'ala ovest, il giorno dopo ilcorpo centrale, e il giorno dopo ancoral'ala est. Non è matto, forse? Lo odio,quel fetente. Non fa che abbaiare tutto ilgiorno; sembra uno di quei cagnetti cheti addentano la caviglia e poi si mettonoa correre in tondo e a far la piscia sultappeto. Se il cervello fosse fatto dipolvere da sparo, non potrebbenemmeno soffiarsi il naso. Fa rabbiavedere certe cose, e non averesottomano una pistola.

"Guardi qua: questi tubi si aprono echiudono tirando questi anelli. Ci ho

messo sopra un segno perché liriconosca. Quelli col cartellino bluvanno tutti nelle stanze dell'ala est.Quelli col cartellino rosso nel corpocentrale. Il cartellino giallo indica l'alaovest. Quando le tocca riscaldare l'alaovest, deve ricordarsi che si tratta dellato dell'albergo più esposto. Quandotira vento sul serio, quelle stanze siraffreddano che neanche una donnafrigida con un cubetto di ghiaccioinfilato su per la bernarda. Può regolarela pressione sull'ottanta nei giorniriservati all'ala ovest. Io, comunque, sefossi in lei lo farei."

"I termostati di sopra..." attaccòJack.

Watson scosse il capo condecisione, facendo sobbalzare sul cranioi capelli soffici. "Non sono neppurecollegati. Ci stanno solo per figura.Qualcuno di quei tipi della Californianon è contento se non è abbastanza caldoda farci crescere una palma, nella lorofottuta camera. Tutto il calore sale daqui. Bisogna tener d'occhio la pressione,però. La vede, che sale?"

Batté la mano sul quadranteprincipale, che da cento libbre perpollice quadrato era salito a centodue,mentre Watson proseguiva nel suosoliloquio. Jack si sentì correre unbrivido improvviso per la schiena. "Èpassato un angelo," pensò. Poi Watson

fece ruotare la manopola della pressionee lasciò che la caldaia si scaricasse. Cifu un sibilo potente, e l'ago delquadrante scese di colpo a novantuno.

Watson chiuse la valvola girandola eil sibilo si spense con riluttanza.

"Tende a salire," disse Watson, "maprovi a dirlo a quel barbagianni diUllman: ti tira fuori i libri dei conti e tispiega per tre ore filate che non puòpermettersi una caldaia nuova prima del1982. Creda pure a me: un giorno ol'altro questa baracca salterà per aria, eio spero solo che quella testa di cazzo diun ciccione sia qua dentro quandoscoppieranno i fuochi artificiali. Diomio, vorrei essere una creatura di buoncuore come lo era la mia povera

mamma. Lei riusciva a vedere un latobuono in tutti. Quanto a me, sono buonocome un serpente afflitto dal fuoco disant'Antonio. Cazzo, uno non può micacambiarlo, il suo carattere.

"Ora deve ricordarsi di scenderequa sotto due volte al giorno e una voltadi notte, se non vuole andare in malora.Deve controllare la pressione. Se se nedimentica continuerà a salire lentamente,e come se niente fosse vi ritroverete tuttiquanti, lei e i suoi, scaraventati sullaluna. Basta che la lasci scaricare un po'e non avrà grane."

"Qual è il massimo?""Oh, è calibrata fino a

duecentocinquanta, ma adesso come

adesso scoppierebbe un bel po' prima.Nessuno potrebbe convincermi a

scendere qua sotto e ad avvicinarmi, sequel quadrante segnasse centottanta."

"Non c'è un dispositivo che la facciaspegnere automaticamente?"

"Macché! Questa è stata fabbricataprima che congegni del genere fosseroimposti per legge. Il governo federaleficca il naso dappertutto, di questi tempi,non è così? L'FBI apre la posta, la CIAcontrolla i telefoni, maledizione... eguardi cos'è successo a quel Nixon. Nonè stata una vergogna, forse?

"Ma se scenderà qua sottoregolarmente a controllare la pressione,potrà esser tranquillo. E si ricordi difare la rotazione dei tubi come vuole

quello là. Nelle camere non ci sarà maiuna temperatura superiore ai dieci gradi,salvo il caso di un invernoeccezionalmente mite. E nel suoappartamento avrà tutto il caldo chevuole."

"E l'impianto idraulico?""Certo, certo, ci stavo arrivando. Per

di qua, oltre questo arco."Penetrarono in un lungo vano

rettangolare che pareva allungarsi perchilometri. Watson tirò un cordone eun'unica lampadina da settantacinquewatt proiettò una luce fioca e giallastra,che ondeggiava sulla superficie dove sitrovavano. Proprio davanti a loro siintravedeva la base della tromba

dell'ascensore, nella quale grossi caviadeguatamente lubrificati scendevano adavvolgersi attorno a pulegge di circa seimetri di diametro e a un enorme motoreletteralmente intasato di grasso.

C'erano pacchi di giornalidappertutto, legati e raccolti dentroscatoloni. Altre scatole recavano leindicazioni "Documenti", "Fatture" o"Ricevute" — DA CONSERVARE!Regnava un odore putrido di muffa. Jacksi guardò attorno, affascinato: forse lìdentro si celava tutta la storiadell'Overlook, seppellita in quellescatole decrepite.

"Quell'ascensore è una gatta dapelare," disse Watson, con un cenno delpollice. "So che di tanto in tanto Ullman

offre una scorpacciata coi fiocchiall'ispettore statale incaricato delcontrollo degli ascensori, per tenere allalarga l'addetto alle riparazioni da quelloschifo.

"Ed ecco il nucleo centraledell'impianto idraulico." Di fronte a lorocinque grossi tubi rivestiti di materialeisolante e assicurati con fasce d'acciaiosalivano fino a perdersi e sparirenell'ombra.

Watson additò uno scaffale zeppo diragnatele piazzato accanto al vano diservizio. Sullo scaffale era disposta unaricca serie di stracci sporchi di grasso,oltre a un fascicolo sfasciato. "Quellocontiene tutti gli schemi degli impianti

idraulici," disse. "Non credo che avràgrane con qualche perdita, non è maisuccesso. A volte però gelano i tubi.L'unico metodo per evitarlo è farescorrere un poco i rubinetti di notte, main questo palazzo del cavolo ce ne sonopiù di quattrocento. Quella checcasfondata di sopra strillerebbe che lasentirebbero fino a Denver, alla vistadella fattura invernale; non crede?"

"Un'analisi di acume eccezionale,direi."

Watson lo fissò ammirato. "Leiviene sul serio dall'università, eh? Parlaproprio come un libro stampato. È unacosa che mi va molto a genio, a pattoche il tipo in questione non sia uno diquei finocchi, sa... Ce n'è in giro un

sacco. Sa chi è stato a combinare quelcasino nelle università qualche anno fa?Gli omosess, omosex, come cavolo sidice. Ecco chi è stato. È gente spostata edevono per forza far casotto. Usciredall'armadio, lo chiamano. Vorreisapere dove andrà a finire il mondo,cazzo!

"Ora, se gela, con tutta probabilitàgelerà proprio qui in questo vano.Niente calore, vede. Se succede, usiquesta." Allungò una mano dentro unacassetta da arance fracassata ed esibìuna piccola torcia a gas.

"Basta che strappi il materialeisolante quando scopre il tappo dighiaccio e applichi il calore proprio in

quel punto. Capito?""D'accordo; ma se un tubo gela

all'esterno del vano di servizio? ""Non succederà, sempre che lei

faccia il suo dovere e tenga riscaldatol'ambiente. E comunque non è possibileraggiungere gli altri tubi. Non sipreoccupi, non avrà fastidi. Che schifo,qua sotto. È pieno di ragnatele. Mi favenire la pelle d'oca, mi fa."

" Ullman mi ha detto che il primoguardiano d'inverno ha accoppato tuttala famiglia e poi si è ucciso."

"Già, quel Grady. Era un pessimoattore, me ne sono accorto fin dal primomomento che l'ho visto.

Sempre lì a sdilinquirsi, quelleccapiedi! È successo quando erano

appena agli inizi, e quel puzzone diUllman avrebbe assunto persino loStrangolatore di Boston, se fosse statodisposto a lavorare al minimo dellatariffa. È stata una guardia forestale delParco nazionale a trovarli; il telefonoera fuori uso. Tutti su nell'ala ovest alterzo piano, duri come blocchi dighiaccio. Peccato per le bambine. Otto esei anni, avevano. Belle come due rose,sa? Oh, è stato un casino infernale. Nelperiodo di chiusura quell'Ullman dirigeuna specie di bordello per villeggiantigiù in Florida, e allora ha preso l'aereofino a Denver e ha noleggiato una slittaper arrivare fin qui da Sidewinderperché le strade erano chiuse: una slitta!

Ma ci pensa? Si è fatto in quattro perimpedire che la faccenda finisse suigiornali. Ma se l'è cavata benissimo,questo bisogna ammetterlo. C'è stato unarticolo nelPost di Denver, enaturalmente il necrologio in quelfoglietto di merda che fanno giù a EstesPark, ma la cosa è finita lì. Tantomeglio, considerata la fama che haquesta baracca. Io mi aspettavo chequalche giornalista tirasse di nuovo inballo tutto quanto e, come dire, siservisse di Grady solo come un pretestoper riesumare gli scandali."

"Che scandali?"Watson si strinse nelle spalle. "Tutti

i grandi alberghi hanno i loro scandali,"osservò. "Così come ogni grande

albergo ha il suo fantasma. Perché?Diavolo, la gente va e viene. A volteuno degli ospiti tira le cuoia in camerasua. Attacco cardiaco o infarto oqualcosa del genere. Gli alberghitengono conto dei superstiziosi. Non c'èmai un tredicesimo piano o una cameranumero tredici; non ci sono specchi sulretro della porta dalla quale si entra, ecose così. Diamine, abbiamo perso unasignora proprio quest'anno, in luglio. Hadovuto pensarci Ullman, e puòscommetterci il culo che ce l'ha fatta. Èper questo che gli sgancianoventiduemila dollari per stagione, e perquanto mi stia antipatico, bisognariconoscere che quel merdoso se le

guadagna. E come se certa gente venissequi solo per rimettere e assumesse untizio come Ullman per spazzare ilvomito. Prendiamo quella donna: deveavere sessant'anni suonati, la mia età! Eha i capelli tinti di un rosso chesembrano il fanale di una puttana, le tettecadenti che le arrivano fin sopra lapancia anche perché non porta ilreggitette, grosse vene varicose su e giùper le gambe che sembrano un paio difetenti mappe stradali, i gioielli che legrondano dal collo e dalle braccia e lepenzolano dalle orecchie. E s'è portataappresso quel ragazzino, non può avernepiù di diciassette, con i capelli lunghifino al buco del culo e la patta gonfiacome se se la imbottisse con le pagine

dei fumetti. Così, sono qui da unasettimana, dieci giorni forse, e ogni seraè sempre la stessa menata. Giù nellaColorado Lounge dalle cinque alle sette,lei a ingurgitare beveroni dolciastrighiacciati come se dovessero metterlifuori legge domani, e lui solo con la suabottiglietta di Olympia, che se la succhiain modo da farla durare il più possibile.E lei poi, una battuta dietro l'altra, ediceva tutte quelle spiritosaggini, e ognivolta che ne diceva una, lui giù aghignare come uno scimmiotto, come seavesse due fili attaccati agli angoli dellabocca. Solo che, dopo qualche giorno, sivedeva benissimo che faceva semprepiù fatica a ghignare, e Dio solo sa a che

cosa era costretto a pensare perritrovarsi con l'uccello pronto, almomento di andare a letto. Be', sonoentrati in sala a cenare: lui camminandoe lei barcollando. Sbronza marcia, sa; elui allungava pizzicotti alle cameriere equando lei non guardava gli sorrideva.Cazzo, eravamo arrivati al punto discommettere tra noi fino a quandoavrebbe resistito."

Watson si strinse nelle spalle."Poi una sera, verso le dieci, lui

viene giù dicendo che sua 'moglie' è'indisposta', vale a dire che eracompletamente partita come del restotutte le sante sere che hanno alloggiato inalbergo, e che lui andava a prenderleuna medicina per lo stomaco. E così ha

tagliato la corda sulla piccola Porschecon la quale sono arrivati, e chi si èvisto si è visto. La mattina dopo lei èvenuta giù e ha cercato di recitare lascena madre, ma per tutto il giorno nonha fatto che diventare sempre piùpallida, e il signor Ullman le ha chiesto,con aria per così dire diplomatica, sedesiderava che lui informasse della cosai piedipiatti dello stato, nel caso chemagari lui avesse avuto un piccoloincidente o roba del genere. Lei si èrivoltata come una furia. No, no, no, luiguidava la macchina come un dio, leinon era assolutamente preoccupata, eratutto preventivato, lui sarebbe rientratoper l'ora di cena. Così, quel pomeriggio

ha messo piede nella Colorado verso letre e di cena non si è mai più parlato. Èsalita in camera sua verso le tre emezzo, e quella è stata l'ultima volta chel'hanno vista viva."

"Cos'è accaduto?""Il giudice istnittorc della contea ha

detto che aveva mandato giù almenotrenta pastiglie di sonnifero, oltre a tuttiquei beveroni. Il giorno dopo ècomparso il marito, un principe del forodi New York. Ha fatto vedere i sorciverdi a Ullman in ben quattro versionidiverse. Ti denuncio per questo, tidenuncio per quest'altro e quando saròarrivato in fondo non riuscirai nemmenoa trovare un paio di mutande pulite, sa,questo genere di roba. Ma Ullman è

abile, quel leccaculi. È riuscito acalmarlo.

Probabilmente ha chiesto a quelpezzo grosso se gli sarebbe piaciutovedere il nome di sua moglie a carattericubitali su tutti i giornali di New York:la moglie di un illustre parolaio di NewYork trovata stecchita con la panciafarcita di pillole di sonnifero. Dopoaver giocato a suegiù con unosbarbatello che poteva essere suonipote.

"I piedipiatti dello stato hannotrovato la Porsche sul retro di quellaspecie di tavola calda che resta apertatutta notte giù a Lyons, e Ullman ha untoqualche ruota perché fosse riconsegnata

a quell'avvocato. Poi tutti e due hannofatto fronte comune contro il vecchioArcher Houghton, che è poi il giudiceistnittorc della contea, e l'hannoconvinto a tramutare il verdetto in morteaccidentale. Attacco cardiaco. Adesso ilvecchio Archer va in giro su unaChrysler. Non gli do torto: uno deveapprofittare delle occasioni, soprattuttoquando è avanti con gli anni."

Riapparve il fazzoletto.Strombazzata. Sbirciatina. Tornò asparire.

"Così, che cosa succede? Più omeno una settimana dopo, quella stronzadi una cameriera — Dolores Vickery, sichiama — si mette a strillare comeun'ossessa mentre sta rifacendo la stanza

dove stavano quei due, e pam, sviene dibotto. E quando rinviene, dice che l'havista secca nel bagno, nuda, distesanella vasca. 'Aveva la faccia paonazza etutta gonfia,' dice, 'e mi fissava con unghigno.' Così Ullman le ha pagato duesettimane di preavviso e le ha detto diandare a farsi fottere. Scommetto chesono morte almeno quaranta, magarianche cinquanta persone in questoalbergo, da quando mio nonno l'haaperto, nel 1910."

Guardò Jack con l'aria di chi la salunga.

"Lo sa di che cosa crepano,perlopiù? D'infarto o di un colpo secco,mentre scopano la donzella che si sono

portati appresso. Ce n'è un sacco diclienti così, in posti come questo;vecchiotti che non si rassegnano evogliono spassarsela. Vengono quassùin montagna a fingere di avere ancoravent'anni. A volte qualcosa va ditraverso, e non tutti quelli che hannodiretto la baracca erano bravi comeUllman nell'evitare che la faccendafinisse sui giornali. E così, l'Overlooks'è fatto una certa fama, già.

Scommetto che anche quel cesso delBiltmore di New York si è fatto unacerta fama; basterebbe chiederlo allepersone giuste."

"Niente fantasmi, però?""Signor Torrance, io qui ci sgobbo

da una vita. Ci ho giocato quando ero un

moccioso come il suo bambino in quellafotografia che tiene nel portafogli. Sa,quella che mi ha fatto vedere. E difantasmi non ne ho mai visti. Adessotorniamo fuori: voglio mostrarle ilcapanno degli attrezzi."

"Benissimo.""Certo che qua sotto ce ne sono, di

carte," osservò Jack, mentre Watsonalzava la mano per spegnere la luce.

"Ah, questo sì. Roba di cent'anni fa.Giornali, vecchie fatture, polizze dicarico e Cristo sa che cos'altro ancora.Mio padre riusciva a starci dietroquando c'era ancora la vecchia fornace alegna, ma adesso ci hanno preso lamano. Un giorno o l'altro bisogna che mi

decida a scovare un ragazzo che se leporti giù a Sidewinder per bruciarle.Sempre che Ullman si assuma la spesa.Credo però che lo farà, se mi metto asbraitare che ci sono i topi."

"Ci sono davvero, i topi?""Eh! Qualcuno non manca di sicuro.

Mi sono procurato le trappole e ilveleno. Gliel'ho già detto: il signorUllman vuole che lei le piazzi in soffitta,e anche qua sotto. Tenga d'occhio ilragazzino, signor Torrance, se non vuoleche gli capiti qualcosa."

"Certo, che non lo voglio." Dallabocca di Watson quel consiglio non locontrariava.

Si avviarono alle scale,soffermandovisi un momento mentre

Watson tornava a soffiarsi il naso."Troverà tutti gli attrezzi che le

servono, là fuori, e anche qualcuno dicui non avrà bisogno, immagino.

E poi ci sono le tegole. Gliene haparlato Ullman?"

"Sì; vuole che rifaccia una parte deltetto dell'ala ovest."

"La costringerà a fare gratis tuttoquel che può, quello stronzo di un barile;e poi in primavera andrà in giro aprotestare che non ha fatto il suo lavorocome si deve. Una volta gliel'ho cantatochiaro e tondo: gli ho detto..."

Mentre salivano le scale le parole diWatson si persero in un consolantebrusio. Jack Torrance si volse a

guardare da sopra la spalla il buioimpenetrabile che odorava di muffa e glivenne fatto di pensare che se maiesisteva un posto dove era logico chealeggiassero i fantasmi, era proprioquello. Pensò a Grady, imprigionatodalla neve soffice, implacabile, che apoco a poco aveva perso la testa e poiaveva commesso quell'atrocità.Avevano urlato? si chiese. PoveroGrady, che di giorno in giorno si erasentito soffocare sempre più, e che allafine s'era reso conto che per lui laprimavera non sarebbe mai arrivata.

Non avrebbe mai dovuto venirelassù. E non avrebbe perso la calma.

Mentre seguiva Watson oltre l'uscio,queste parole gli riecheggiavano in

mente come un rintocco funebre,accompagnate da un colpo secco: comedi una mina di matita che si spezzi. BuonDio, che voglia di bere un bicchiere! Oun migliaio, magari.

4Danny cedette e alle quattro e un

quarto salì a bere il latte e a mangiare ipasticcini. Li trangugiò in fretta senzalevare un istante lo sguardo dallafinestra, poi entrò a dare un bacio allamadre, che si era coricata. Wendy glisuggerì di rimanersene in casa aguardare la televisione, il tempo sarebbepassato più in fretta; ma lui scosse ilcapo risoluto e tornò al suo posto sulmarciapiede.

Erano le cinque, ora, e sebbene nonavesse un orologio e comunque nonsapesse ancora leggere con sicurezza leore, si rendeva conto che il tempopassava dell'allungarsi delle ombre edalla tonalità dorata che sfumava la lucedel pomeriggio.

Rigirandosi l'aliante tra le mani,cantava sottovoce: "Me la batto dallamia Lou, e me ne frego... me la battodalla mia Lou, e me ne frego... il miopadrone se n'è andato... Lou, Lou, me labatto dalla mia Lou..."

Quella canzone, l'avevano cantatatutti assieme alla scuola materna Jackand Jill che Danny frequentava quandoabitavano a Stovington. Lì non andava a

scuola, perché papà non poteva piùpermettersi il lusso di mandarcelo.Danny sapeva che sua madre e suo padrese ne facevano un cruccio.

Si preoccupavano che la cosaaggravasse il suo senso di solitudine,soprattutto — sebbene non ne parlasserotra loro — che Danny gliene facesse unacolpa; ma a dire il vero lui non avrebbenemmeno voluto andarci, a quellavecchia Jack and Jill. Era roba damocciosi. Lui non era ancora grande, manemmeno un lattante, dopotutto. Iragazzini grandi andavano alla scuolaper i grandi e c'era la refezione calda.Prima elementare. L'anno prossimo.Quest'anno era una via di mezzo tral'essere un bambino piccolo e un

ragazzino. Andava tutto benone.Avvertiva la mancanza di Scott e Andy,più di Scott, ma andava egualmente tuttoper il meglio. La cosa migliore glisembrava attendere da solo ciò chesarebbe accaduto.

Capiva un sacco di cose riguardo aisuoi genitori. Sapeva benissimo chespesso non gradivano affatto la suacapacità di capire, e altrettanto soventesi rifiutavano di credere che lui capissedavvero. Ma un giorno o l'altroavrebbero dovuto crederci. Per ilmomento Danny si accontentava diaspettare.

Era un peccato, però, che nonriuscissero a credere un po' di più,

specie in momenti come quello. Lamamma se ne stava coricata sul letto, incasa; ed era prossima alle lacrime, tantoera in angustia per papà. Certe cose dicui si preoccupava erano troppo daadulti perché Danny riuscisse acomprenderle: cose vaghe che avevanoa che fare con la sicurezza, conl'idea chepapà aveva di sé, sensi di colpa e dirabbia e la paura di ciò che sarebbe lorocapitato; ma le due cose principali cheaveva in mente in quel momento eranoche papà avesse avuto un guasto all'autoin montagna (allora perché nonchiama?)oppure che papà se ne fosseandato per i fatti suoi a fare la BruttaCosa. Danny sapeva perfettamente checos'era la Brutta Cosa da quando glielo

aveva spiegato Scotty Aaronson, cheaveva sei mesi più di lui. Scotty losapeva, perché anche il suo papà facevala Brutta Cosa. Una volta, gli avevadetto Scotty, il suo papà aveva tirato unpugno in un occhio alla sua mamma el'aveva scaraventata in terra. Alla fine,per via della Brutta Cosa, il papà e lamamma di Scotty avevanoDIVORZIATO, e quando Danny l'avevaconosciuto, Scotty viveva con sua madree vedeva il suo papà solo durante ilweekend. Niente terrorizzava Dannyquanto la parola DIVORZIO. Gliaffiorava sempre alla mente come uncartello dipinto a lettere rosse, coperteda sibilanti serpenti velenosi. Nel

DIVORZIO, i tuoi genitori non vivevanopiù assieme. Ti disputavano in un tiroalla fune su un campo di gioco (uncampo di tennis? un campo di volano?Danny non sapeva esattamente quale deidue, o se per caso non c'entrasse qualchealtro campo; ma a Stovington mamma epapà avevano giocato sia a tennis sia avolano, per cui supponeva che potessetrattarsi dell'uno o dell'altro). Doveviandare con uno di loro, cosicché inpratica non vedevi più l'altro, e quellodei due con cui stavi poteva sposarequalcun altro che tu neppure conoscevi,se gli saltava il ghiribizzo. La cosa piùterrificante del DIVORZIO era cheDanny aveva sentito quella parola — oconcetto, o cos'altro fosse quanto

recepiva la sua capacità dicomprensione — aleggiare nella testadei suoi genitori, a volte confusa erelativamente remota, a volte densa eplumbea e spaventosa come una nubetemporalesca. Era stato così dopo chepapà l'aveva punito per aver buttato inaria le sue carte nello studio, e il dottoreaveva dovuto ingessargli il braccio.

Quel ricordo era ormai sbiadito, mail ricordo dei pensieri di DIVORZIO erachiaro e terrificante.

Quella volta aveva aleggiatoperlopiù attorno alla mamma, e Dannyaveva vissuto nel terrore che lei sipescasse la parola nel cervello e se lacavasse fuori dalla bocca, tramutandola

di punto in bianco in realtà, DIVORZIO.Era come una corrente sotterranea allabase dei loro pensieri: uno dei pochi cheDanny riuscisse sempre a captare, comeil ritmo di una musica elementare. Ma alpari di un ritmo di fondo, il pensierocentrale costituiva soltanto il nucleo dipensieri più complessi: pensieri cheDanny non sapeva nemmeno da che partecominciare a interpretare. Gligiungevano soltanto sotto forma dicolori e di umori. I pensieri diDIVORZIO della mamma siaccentravano su ciò che papà gli avevafatto al braccio, e su ciò che eraaccaduto a Stovington quando papàaveva perso il posto. Quel ragazzo. QuelGeorge Hatfield che se l'era presa con

papà e aveva bucato le gomme delmaggiolino. I pensieri di DIVORZIO dipapà erano più complessi, di color violacupo solcati da spaventose venature diun nero tenebroso. Sembrava pensareche loro se la sarebbero cavata meglio,se lui se ne fosse andato. Che le coseavrebbero smesso di far male. Il papàstava male di continuo, quasi sempre pervia della Brutta Cosa. Danny riusciva acaptare quasi sempre anche quello: lavoglia continua di papà di andare in unposto buio a guardare la televisione acolori e a mangiarsi le noccioline chec'erano in una ciotola, e a fare la BruttaCosa finché il cervello non si quietassee non gli desse più fastidio.

Ma quel pomeriggio sua madre nonaveva motivo alcuno di preoccuparsi eDanny avrebbe voluto dirglielo. Ilmaggiolino non aveva avuto nessunguasto. Papà non se n'era andato chissàdove a fare la Brutta Cosa. Stava perarrivare, ormai; procedeva piano pianosull'autostrada tra Lyons e Boulder. Peril momento il papà non ci pensavanemmeno, alla Brutta Cosa. Pensava a...a...

Danny si volse furtivo e prese afissare la finestra della cucina. A volte,se si concentrava intensamente, glisuccedeva qualcosa. Lo sforzo diconcentrazione faceva sparire le cose, lecose vere, e allora Danny vedeva cose

che non esistevano. Una volta, non moltotempo dopo che gli avevano ingessato ilbraccio, gli era successo a tavola,all'ora di cena. In quel periodo loro duesi rivolgevano di rado la parola. Peròpensavano. Oh, sì. I pensieri diDIVORZIO incombevano sulla tavoladella cucina come una nuvola nera,gonfia di pioggia, greve, prossima ascoppiare. Era così brutto che Dannynon riusciva a mangiare. L'idea stessa dimangiare con tutto quel DIVORZIO neroattorno gli faceva venir voglia divomitare. E poiché la cosa gli erasembrata di estrema importanza, Dannysi era immerso nella più assolutaconcentrazione e qualcosa era accaduto.Poi, quando era tornato alla realtà, si era

trovato disteso sul pavimento, tuttoimpiastricciato di fagioli e di purea dipatate. La mamma lo teneva fra lebraccia e piangeva e papà era già corsoa telefonare. Danny si era spaventato;aveva tentato di spiegargli che andavatutto bene, che a volte gli succedevaquando si concentrava sui pensieri piùdi quanto gli capitasse normalmente. Eaveva tentato di spiegare la faccenda diTony, che loro chiamavano il suo"compagno di giochi invisibile".

Suo padre aveva detto: "Ha leallucinazioni. Mi sembra che non stiamale, comunque voglio che il dottore glidia un'occhiata."

Quando il dottore se n'era andato, la

mamma gli aveva fatto promettere di nonfarlo mai più, di non spaventarlimai piùa quel modo, e il papà aveva approvato.Era spaventato anche Danny. Perché,quando si era concentrato con la mente,la mente si era precipitata sul papà, eper un attimo, prima che Tony apparisse,lontanissimo come sempre, e lochiamasse da grande distanza, e le cosestrane facessero svanire la cucina e lefette di arrosto sul vassoio azzurro, perun attimo soltanto la sua coscienza si eratuffata nelle tenebre del papà fino araggiungere una parola incomprensibile,assai più spaventosa che DIVORZIO; equella parola era: SUICIDIO. Danny nonvi si era più imbattuto, nella mente delpapà, e si era guardato bene dall'andare

a cercarla. Non gliene importava un ficosecco di scoprire che cosa volesse direesattamente quella parola.

Però gli piaceva concentrarsi,perché a volte Tony appariva. Nonsempre, però. A volte le cose siannebbiavano per qualche istante; poitutto tornava chiaro. Altre volte, però,proprio agli estremi limiti della visioneappariva Tony, e lo chiamava da lontanoe gli faceva segno...

Era successo due volte da quando sierano trasferiti a Boulder, e Dannyricordava di essere stato molto sorpresoe contento nello scoprire che Tonyl'aveva seguito fin lì dal Vermont. Così,dopotutto, non tutti i suoi amici erano

rimasti laggiù.La prima volta Danny era nel cortile

dietro casa, e non era successo gran che.Solo Tony che gli faceva segno e poi ilbuio, e qualche minuto più tardi erariaffiorato alla realtà con qualche vagoframmento di ricordo, come di un sognoconfuso. La seconda volta, due settimanefa, era stato più interessante. Tony, chegli faceva segno, che lo chiamava da unquattro metri di distanza: "Danny. . vienia vedere. ."Gli era sembrato di alzarsi epoi di sprofondare in una buca profonda,come Alice nel Paese delle meraviglie.E poi si era trovato nella cantina delpalazzo e accanto a lui c'era Tony, chegli indicava nell'ombra il baule in cui ilpapà teneva chiuse tutte le sue carte

importanti, soprattutto "LACOMMEDIA".

"Vedi?" aveva detto Tony con quellasua voce arcana, musicale. "È nelsottoscala. Proprio lì, nel sottoscala.Quelli dei traslochi l'hanno messoproprio... nel... sottoscala."

Danny aveva fatto un passo avantiper guardare da vicino quellameraviglia; poi era caduto di nuovo,questa volta dal dondolo del cortile, sulquale se n'era stato seduto per tutto queltempo. Ed era anche svenuto.

Tre o quattro giorni dopo il papàaveva fatto una scenata: su tutte le furieaveva dichiarato a sua madre di averperlustrato da cima a fondo quella

maledetta cantina. Il baule non c'era eavrebbe fatto causa a quella fottutaimpresa di traslochi che l'aveva lasciatochissà dove tra il Vermont e ilColorado. Come sarebbe mai riuscito afinire "LA COMMEDIA", secontinuavano ad accadere cose delgenere?

"No, papà. È nel sottoscala," avevadetto Danny. "Quelli dei traslochil'hanno messo nel sottoscala."

Papà l'aveva guardato in modostrano ed era sceso a vedere. Il baulec'era, proprio nel punto in cui glieloaveva indicato Tony. Papà l'aveva presoin disparte, se l'era fatto sedere sulleginocchia e aveva domandato a Dannychi l'avesse accompagnato in cantina.

Era stato Tom, quello che abitava disopra?

La cantina era pericolosa, avevadetto papà. Ecco perché il padrone dicasa la teneva chiusa a chiave.

Se qualcuno la lasciava aperta, papàvoleva saperlo. Era contento di averritrovato le sue carte e la sua

"COMMEDIA", ma per lui la cosanon avrebbe avuto nessuna importanza,aveva detto, se Danny ruzzolava dallescale e si rompeva una... una gamba.Danny aveva detto in tutta sincerità alpadre che non era sceso in cantina. Chela porta era sempre chiusa a chiave. E lamamma aveva confermato.

Danny non scendeva mai dabbasso,

aveva detto, perché era umido e buio ec'erano i ragni. Lui non diceva bugie.

"E allora, dottore, come facevi asaperlo?" aveva chiesto papà.

"Me l'ha detto Tony."Papà e mamma si erano scambiati

un'occhiata al di sopra della sua testa.Era già accaduto in precedenza, di tantoin tanto, ma poiché era una cosa chefaceva paura, si affrettavano ascacciarla dalla mente. Però Dannysapeva che erano preoccupati per Tony,soprattutto la mamma, e si sforzava dipensare nella maniera giusta per riuscirea far apparire Tony dove potessevederlo anche lei. Ma ora Danny pensòche la mamma se ne stava distesa sulletto, senza darsi ancora da fare in

cucina, e così si concentrò intensamenteper vedere se riusciva a capire a checosa stesse pensando papà.

Aggrottò la fronte e serrò a pugnosui jeans le mani un tantino sudice. Nonchiuse gli occhi, non era necessario, mastrizzò le palpebre in due sottili fessuree immaginò la voce di papà, la voce diJack, la voce di John Daniel Torrance,profonda e controllata, che però a voltesaliva di tono, denotando una punta didivertimento, o si faceva ancor piùfonda per la collera o semplicementenon mutava perché papà pensava.Pensava. Pensava a. Pensava...

(pensava)Danny sospirò e il suo corpo si

afflosciò sul marciapiede come se tutti imuscoli ne fossero defluiti.

Era perfettamente in sé; vedeva lastrada e la ragazza e il ragazzo cherisalivano il marciapiede di fronte,mano nella mano perché erano

(innamorati?)tanto felici di quella giornata e del

fatto di stare insieme, quel giorno.Vedeva le foglie autunnali sospinte dalvento lungo il rigagnolo, gialle ruote diforma irregolare. Vedeva la casa davantialla quale passavano e notò che il tettoera ricoperto di

(tegole. immagino che non ci sarannoproblemi se la gronda è a posto andràgià tutto bene. quel watson. cristo chetipo. mi piacerebbe trovargli una parte

ne"LA COMMEDIA",se non ci sto atento finirò col metterci dentro l'interaschifosa razza umana. già. tegole. cisono chiodi, là fuori? oh, cazzo, hodimenticato di domandarglielo be' èfacile procurarseli. la ferramenta disidewinder.vespe. fanno il nido, inquesta stagione. potrei aver bisogno diuna di quelle bombole di insetticidacaso mai ce le trovassi quando strapperòle tegole vecchie. tegole nuove. vecchie) tegole. Sicché, era a questo chepensava. Aveva ottenuto il posto epensava alle tegole. Danny non sapevachi fosse Watson, ma tutto il resto glisembrava abbastanza chiaro. E avrebbeavuto la possibilità di vedere un nido di

vespe. Quant'era vero che si chiamava"Danny. . Dannyyy. ."Alzò gli occhi; ed ecco là Tony,

molto più discosto, su per la strada, rittoaccanto a un segnale di stop, e agitava lamano. Come sempre Danny avvertì unacalda ondata di piacere alla vista delsuo vecchio amico; ma questa volta gliparve di provare anche una fitta dipaura, come se Tony fosse venutonascondendo dietro di sé qualcosa ditenebroso. Un vaso di vespe che, unavolta lasciate libere, avrebbero puntosenza misericordia.

Ma non era neppure il caso dipensare di non andare.

Si afflosciò ancora di più sulmarciapiede; le mani gli scivolarono

fiaccamente dalle cosce e penzolaronosotto l'inforcatura degli inguini. Il mentogli ricadde sul petto. Poi vi fu unostrappo vago, indolore, mentre una partedi lui si alzava e correva verso Tonynelle tenebre imbutiformi.

"Dannyyy. ."Ora le tenebre erano percorse da un

turbinio biancastro. Un suono raspante,ululante e ombre contorte, torturate, chesi risolvevano in abeti, di notte, investitida una bufera urlante. Neve cheturbinava e danzava. Neve ovunque.

"Troppo alta," disse Tony dalletenebre; e nella sua voce c'era unatristezza che lasciò Danny sgomento.."Troppo alta per uscire."

Un'altra forma, eretta, incombente.Enorme e rettangolare. Un tetto inpendenza. Biancore che baluginavaconfusamente nel buio tempestoso.Molte finestre. Un lungo edificio con untetto di tegole.

Certe erano di un verde più acceso,più nuove. Le aveva piazzate il suopapà. Con i chiodi del negozio diferramenta di Sidewinder. Ora la nevestava rivestendo le tegole. Stavarivestendo ogni cosa.

Una diabolica luce verde avvampòsulla facciata dell'edificio, guizzò e sitramutò in un gigantesco teschioghignante sopra due tibie incrociate.

"Veleno," disse Tony dalle tenebre

galleggianti. "Veleno."Altri segnali luminosi gli guizzarono

davanti agli occhi, alcuni a lettere verdi,altri tracciati su assicelle di legnoconficcate con strane angolazioni nellacoltre di neve. VIETATO FARE ILBAGNO, PERICOLO! CAVIELETTRICI, QUESTA PROPRIETÀ ÈCONDANNATA, ALTATENSIONE. TERZA ROTAIA.PERICOLO DI MORTE. NONAVVICINARSI, TENERSI LONTANI.VIETATO L'ACCESSO. SI SPARERÀA VISTA SUI TRASGRESSORI. Nonne comprese nessuno completamente(non sapeva ancora leggere!), ma necaptò il significato generale, e un terroresognante gl'inondò le buie cavità del

corpo come spore brunicce chesarebbero morte alla luce del sole.

Svanirono. Ora si trovava in unastanza arredata con strani mobili, unastanza buia. La neve schizzava contro ivetri delle finestre come sabbiascagliata a manciate. Aveva la boccaarida, gli occhi come biglie arroventate,il cuore che gli martellava furibondo nelpetto. Fuori, si udiva un suonocavernoso, rimbombante, come di unaterrificante porta che si spalancasse dicolpo. E ora uno scalpiccio. In fondoalla stanza c'era uno specchio, e in fondoalla sua cavità argentea apparve un'unicaparola simile a un fuoco verde, e laparola era: REDRUM.

La stanza svanì. Un'altra stanza. Laconosceva

(l'avrebbe conosciuta)quella. Una sedia rovesciata. Una

finestra sfondata con la neve che entravaturbinando; aveva già incrostato dighiaccioli l'orlo del tappeto. Le tendeerano state strappate e pendevanoinclinate dal bastone spezzato. Un bassostipo che giaceva a terra.

Altri rumori rimbombanti, regolari,ritmici, agghiaccianti. Vetri infranti.Distruzione che si avvicinava.

Una voce roca, la voce di un pazzo,resa ancor più terribile dalla suafamiliarità.

Vieni fuori! Vieni fuori, merdoso!

Prendi la purga!Crac. Crac. Crac. Legno che si

spaccava. Un ruggito di rabbia e disoddisfazione, REDRUM.

Arrivava.Irrompeva nella stanza. Quadri

strappati dalle pareti. Un giradischi (ilgiradischi della mamma?)

rovesciato a terra. I suoi dischi,Grieg, Händel, i Beatles, Art Garfunkel,Bach, Listz, sparsi dovunque.

Rotti in tanti triangoli scheggiatisimili a nere fette di torta. Una lama diluce che pioveva da un'altra stanza, ilbagno, una cruda luce bianca e unaparola che guizzava accendendosi espegnendosi sullo specchiodell'armadietto delle medicine, come un

occhio rosso, REDRUM, REDRUM,REDRUM...

"No," bisbigliò. "No, Tony, tiprego..."

E, penzolante oltre il bordo diporcellana bianca della vasca, unamano. Inerte. Un lento rivoletto disangue (REDRUM), che colava lungo undito, il medio, gocciando dall'unghiacuratissima sulle piastrelle.

No oh no oh no...(oh, ti prego, Tony, mi fai paura)REDRUM REDRUM REDRUM(basta, Tony, basta)Tutto svaniva.Nel buio i rumori rimbombanti si

facevano più forti, ancora più forti,

echeggiavano dappertutto, tutt'àttorno.E ora se ne stava rattrappito in un

corridoio buio, rannicchiato su untappeto azzurro con un intrico di nereforme contorte intessute nella sofficetrama; tendendo l'orecchio ai rumoririmbombanti che si avvicinavano; e orauna Forma sbucava da dietro l'angolo ecominciava ad avanzare verso di lui, inagguato, fiutando sangue e distruzione.Aveva una mazza in una mano e labrandiva roteandola (REDRUM) insemicerchi con gesto adirato,abbattendola contro le pareti,squarciando la tappezzeria di seta eprovocando una spettrale caduta dicalcinacci:Vieni a prendere la purga!Dimostra di essere un uomo! La Forma

che avanzava su di lui, esalandoquell'odore agrodolce, gigantesca, latesta della mazza che fendeva l'aria conun maligno sibilo sferzante; poi ilsonoro, vuoto rimbombo quando siabbatteva contro la parete, facendonesprizzare la polvere in una nuvola che sipoteva fiutare, secca e pizzicosa.Minuscoli occhi scarlatti brillavano nelbuio. Il mostro era su di lui, l'avevascovato, rintanato lì con una nuda paretealle spalle. E la botola che si apriva nelsoffitto era sprangata. Buio.

Alla deriva."Tony, ti prego, riportami indietro, ti

prego, ti prego." Ed eccolo di ritorno,infatti, seduto sul marciapiede di

Arapahoe Street, la camicia umidicciache gli si appiccicava al dorso. Era inun bagno di sudore. Nelle orecchie glirintronava ancora quel suono enorme,rimbombante, contrappuntistico, eavvertì l'odore della propria orina, chesi era lasciato sfuggire al colmo delterrore. Rivedeva quella mano chepenzolava inerte oltre il bordo dellavasca, col sangue che colava lungo undito, il medio, e quella parolainspiegabile, tanto più orribile diqualunque altra: REDRUM.

E ora il sole. Cose reali. Eccezionefatta per Tony, che adesso era a seiisolati di distanza, solo un puntolino,ritto all'angolo, la voce fievole e acuta edolce. "Attento, giovanotto..."

Ma un attimo dopo Tony non c'erapiù e il malandato maggiolino rosso dipapà sbucava da dietro la curva erisaliva sferragliando la strada,lasciandosi dietro una scia scoreggiantedi fumo azzurrognolo.

In un lampo Danny si staccò dalmarciapiede, e urlò, agitando le braccia,ballonzolando freneticamente,

"Papà! Ehi, papà! Ciao! Ciao!"Il suo papà accostò la Volkswagen

al marciapiede, spense il motore e aprìla portiera. Danny gli corse incontro epoi s'irrigidì, sgranando gli occhi. Ilcuore gli diede un balzo e lì rimase, inun groppo.

Accanto al suo papà, sull'altro sedile

anteriore, c'era una mazza dal manicocorto, la testa incrostata di sangue e dicapelli.

Ma poi fu semplicemente unsacchetto di roba da mangiare. "Danny...stai bene, dottore?"

"Sì, sì, sto bene." Si accostò al suopapà, affondò il viso nel giaccone di telafoderato di pelo di montone e lo strinseforte. Jack, non senza stupore, gli restituìl'abbraccio.

"Ehi, non dovresti restartene sedutoal sole così, dottore. Sei fradicio disudore!"

"Devo essermi addormentato unmomento. Ti voglio tanto bene, papà.Sono rimasto ad aspettarti."

"Anch'io ti voglio tanto bene, Dan.

Ho portato un po' di roba. Credi difarcela a portarla di sopra?"

"Certo che ce la faccio!""Il dottor Torrance, l'uomo più forte

del mondo," disse Jack; e gli arruffò icapelli. "Il dottor Torrance che ha ilpallino di addormentarsi agli angolidelle strade."

Poi si erano diretti alla porta; lamamma era venuta loro incontro sotto ilportico ad accoglierli e Danny se n'erastato sul secondo gradino a osservarlimentre si baciavano. Erano contenti dirivedersi. L'amore emanava da lorocome emanava da quel ragazzo e quellaragazza che risalivano la strada, manonella mano. Era contento, Danny.

Il sacco di roba damangiare,semplicemente un sacco diroba da mangiare, gli frusciava tra lebraccia.

Andava tutto bene. Papà era tornato.La mamma lo amava. Non c'erano bruttecose. E non sempre tutte le cose cheTony gli mostrava si avveravano.

Ma la paura gli si era insediata nelcuore, profonda, spaventosa. Attorno alcuore e attorno a quell'indecifrabileparola che aveva scorto nello specchiodel suo spirito.

5

CABINA TELEFONICA

Jack parcheggiò la Volkswagen difronte allo spaccio del supermercato diTable Mesa e lasciò spegnere il motore.Tornò a chiedersi se non fosse il caso didecidersi, e far sostituire la pompa dellabenzina; ma si ripeté che non potevanoancora permetterselo. In ogni caso, sequel vecchio trabiccolo riusciva a tirareavanti fino a novembre, avrebbe potutoandare in pensione con tutti gli onori.Lassù in montagna, a novembre, la nevesarebbe stata più alta del tetto delmaggiolino... magari più alta di tre

maggiolini accatastati l'uno sull'altro."Tu rimani in macchina, dottore. Ti

porterò una tavoletta di cioccolata.""Perché non posso venire anch'io?""Devo fare una telefonata. Una

faccenda riservata. Un segreto.""È per questo che non l'hai fatta da

casa?""Giusto!"Wendy aveva preteso il telefono,

nonostante il dissesto delle finanzefamiliari, sostenendo che, con unbambino piccolo, soprattutto un bambinocome Danny che di tanto in tanto eracolto da crisi di svenimento, nonpotevano correre il rischio di esseresenza nel momento in cui fosseindispensabile.

Così, Jack s'era sobbarcato la spesad'installazione di trenta dollari, che eragià abbastanza pesante, e quella deldeposito cauzionale di novanta, cherappresentava quasi una rovina. E finorail telefono non aveva mai squillato,fuorché in due casi, per qualcuno cheaveva sbagliato numero.

"Posso avere un Baby Ruth, papà?""Sì. Ma stai lì buono e non giocare

con la leva del cambio, intesi?""Intesi. Guarderò le carte stradali.""Bravo: ottima idea."Mentre Jack scendeva dall'auto,

Danny aprì il cassetto del cruscotto e netolse le cinque mappe stradali un po'malconce delle stazioni di servizio:

Colorado, Nebraska, Utah, Wyoming,New Mexico. Andava matto per le cartestradali, gli piaceva seguire col dito iltracciato delle strade. Per quanto loriguardava, le nuove mappe erano il latomigliore del loro trasferimento all'ovest.

Jack si avvicinò al banco dellospaccio, comprò la cioccolata perDanny, un giornale e la copia di ottobredelWriter's Digest. Diede allacommessa una banconota da cinquedollari e chiese il resto in monete da unquarto di dollaro. Con le moneted'argento in mano si avviò alla cabinatelefonica posta accanto alla macchinafabbricachiavi e vi si cacciò dentro. Dalì, attraverso tre pareti di vetro, potevaosservare Danny a bordo del

maggiolino. Il bambino teneva il capochino a studiare le carte. Jack sentìsalire dentro di sé un'ondata di amorequasi disperato per il piccolo, e il suoviso tradì l'emozione con un'espressionedi gelida ferocia.

Probabilmente nulla gli avrebbeimpedito di fare quella telefonata diringraziamento ad Al dall'apparecchiodi casa; niente di quello che avrebbedetto poteva provocare obiezioni daparte di Wendy. Ma era stato il suoorgoglio a impedirglielo. In quei giornitendeva ad assecondare ciò che glisuggeriva l'orgoglio, perché, se sieccettuavano la moglie e il figlio,seicento dollari su un libretto di

risparmio e una Volkswagen scassatadel 1968, l'orgoglio era tutto ciò che glirestava. L'unica cosa che fosse davverosua. Persino il libretto di conto correnteera intestato a tutti e due. Un anno primainsegnava inglese in una delle miglioriscuole di preparazione ai corsiuniversitari del New England.

Non gli erano mancati gli amici,anche se non proprio gli stessi cheaveva avuto prima di smetterla conl'alcool, e risate, e colleghi docenti cheammiravano la sua abilità in aula e lasua dedizione personale allo scrivere.Le cose erano andate benissimo sei mesiprima. A un tratto si erano ritrovati consufficiente denaro, alla fine di ogniquindicina, per aprire un piccolo conto

in banca. Prima, quando beveva, nonavanzava mai un soldo, anche se eraquasi sempre Al Shockley a pagare. Jacke Wendy avevano cominciato a parlarecautamente della possibilità di trovareuna casa e pagarla in contanti, di lì a unannetto. Un cascinale in campagna;preventivare sei, magari otto anni perrinnovarlo da cima a fondo. Chediavolo, erano giovani, avevano tantotempo davanti a sé!

E poi lui aveva perso la calma.George Hatfield.Il profumo della speranza si era

tramutato nel sentore di vecchio cuoiodell'ufficio di Crommert, e l'interafaccenda era sembrata una scena tolta

pari pari dalla sua commedia: i ritrattidei vecchi presidi alle pareti, leincisioni raffiguranti la scuola qualeappariva nel 1879, l'anno in cui era statacostruita, e poi nel 1895, quando ildenaro dei Vanderbilt aveva consentitodi costruire il palazzetto dello sport cheancora esisteva all'estremità occidentaledel campo di calcio, basso, enorme,ricoperto di edera. L'edera frusciavaoltre la finestra socchiusa dell'ufficio diCrommert e dal radiatore giungeva ilronzio sonnacchioso del vapore. Nonera una finzione teatrale, Jack ricordavadi aver pensato. Era tutto vero.

La sua vita. Come aveva potutomandare tutto alla malora in quel modo?

"La situazione è grave, Jack.

Terribilmente grave. Il consiglio diamministrazione mi ha chiesto dicomunicarti la sua decisione."

Il consiglio esigeva le dimissioni diJack, e Jack le aveva rassegnate. Incircostanze diverse, nel mese di giugnosarebbe diventato di ruolo.

La sera successiva a quel colloquionell'ufficio di Crommert era stata la piùtetra, la più sinistra serata della sua vita.La voglia, ilbisogno impellente diubriacarsi non erano mai stati così acuti.Gli tremavano le mani, lasciava caderegli oggetti e continuava a provare ildesiderio di sfogarsi su Wendy e Danny.La sua collera era come una belvatrattenuta da un guinzaglio logoro. Era

uscito di casa, terrorizzato all'idea dicedere all'impulso di picchiare lamoglie e il figlio. Aveva finito coltrovarsi davanti a un bar, e a trattenerlodall'entrarci era stata soltanto laconsapevolezza che, se l'avesse fatto,Wendy l'avrebbe lasciato per sempre,portandosi Danny con sé. E il giorno chese ne fossero andati lui sarebbe morto.

Anziché entrare nel bar, dove ombrescure sedevano ad assaporare le gustoseacque dell'oblio, era andato a casa di AlShockley. La votazione del consiglio erastata di sei contro uno. Quell'uno era ilvoto di Al.

Ora compose il numero delcentralino e la telefonista gli disse cheper un dollaro e ottantacinque avrebbe

potuto avere la comunicazione con Al,tre minuti di conversazione, a tremilachilometri e più di distanza. Il tempo èrelativo, piccola, pensò, e introdussenell'apparecchio otto monete daventicinque cents. Gli giunsero condebole eco gli scatti elettronici dellacomunicazione che batteva la pista versoest.

Al era figlio di Arthur LongleyShockley, il barone dell'acciaio. Allasua morte il vecchio aveva lasciato adAlbert, figlio unico, un patrimoniocolossale e una gamma ricchissima diinvestimenti e cariche e presidenze invari consigli di amministrazione. Unadelle cariche riguardava il consiglio

d'amministrazione dell'Accademiapreparatoria di Stovington, l'istituzionebenefica prediletta del vecchio. SiaArthur sia Albert Shockley erano statiallievi dell'istituto, e Al abitava a Barre,una località abbastanza vicina dapermettergli di interessarsi di personadell'andamento della scuola. Perparecchi anni Al era stato l'allenatore ditennis di Stovington.

Jack e Al erano diventati amici inmaniera del tutto naturale e non per puracoincidenza: alle riunioni scolastiche edi facoltà cui partecipavano assieme,erano sempre le due persone più sbronzetra i presenti. Shockley era separatodalla moglie, e il matrimonio di Jack erain netta parabola discendente, anche se

amava ancora Wendy e più di una voltaaveva promesso in tutta sincerità dimettere la testa a posto, per amore suo edel piccolo Danny.

I due uomini se ne andavano assiemea molte feste di facoltà, fermandosi abere nei bar fino all'ora di chiusura, epoi facendo un'ultima sosta in qualcheposto aperto tutta notte a comprare unacassetta di birra che si scolavanonell'auto parcheggiata in fondo a unastradina poco frequentata. Certe mattineJack rientrava incespicando nella casad'affitto quando già l'alba spuntava nelcielo e trovava Wendy e il piccolo chedormivano sul divano: Danny sempredal lato verso la parete, il pugnetto

raggomitolato al riparo della guancia diWendy. Jack li stava a osservare el'odio che provava per se stesso glisaliva alla gola in un'onda amara; piùamara del sapore di birra e sigarette emartini, o marziani, come li chiamavaAl. Erano i momenti in cui la sua mentesi volgeva meditabonda e del tuttolucida alla pistola o alla corda o allalama del rasoio.

Se la sbronza capitava durante lasettimana, Jack dormiva tre ore, sialzava, si vestiva, masticava quattropasticche di Excedrin e ancora alticciose ne andava a tenere la lezione dellenove sui poeti americani. Buongiornoragazzi, oggi il Prodigio dagli OcchiRossi vi racconterà come accadde che

Longfellow perse la moglie nel grandeincendio.

Non aveva creduto di essere unalcolizzato, pensò Jack mentre iltelefono di Al cominciava a squillare alsuo orecchio. Le lezioni che avevasaltato, o aveva tenuto senza neppureessersi rasato e con l'alito ancora grevedel puzzo dei marziani ingurgitati la seraprima. No, io no, io posso smetterequando voglio. Le notti che lui e Wendyavevano dormito in letti separati.Ascolta, sto benissimo. I parafanghiammaccati. Certo, che sono in grado diguidare. Le lacrime che lei versavasempre in bagno. Le occhiate circospettedei colleghi a qualsiasi riunione durante

la quale fossero serviti alcolici, magarisolo vino. La graduale constatazione chein giro si parlava di lui. Laconsapevolezza che, quando si metteva asedere davanti alla Underwood, nonproduceva che fogli appallottolati,perlopiù bianchi, che finivanoregolarmente nel cestino della cartastraccia. Per Stovington avevarappresentato un ottimo investimento;forse uno scrittore americano ancora inboccio, ma in ascesa, e certamente unapersona qualificata all'insegnamento diquel grande mistero che è l'arte discrivere. Aveva pubblicato un paio didozzine di racconti. Lavorava a unacommedia e riteneva di avere inincubazione un romanzo in qualche

recondito recesso della mente. Ma oranon creava più nulla e insegnava a ritmosaltuario.

Una sera, finalmente, meno di unmese dopo che Jack aveva rotto ilbraccio al figlio, tutto era finito.

Quel gesto, gli pareva, aveva postofine al suo matrimonio. A Wendy nonrestava che fare appello a tutta la suavolontà... Se sua madre non fosse stataun perfetto esemplare di troia, Jack losapeva, Wendy avrebbe preso il primoautobus per tornare nel New Hampshire,non appena Danny fosse stato in grado diviaggiare. Era finita.

Era passata da poco la mezzanotte.Jack e Al stavano rientrando a Barre

lungo la Statale 31, Al al volante dellaJaguar, affrontando le curve a tutta birra,a volte debordando oltre la doppiastriscia continua gialla. Erano tutti e dueubriachi fradici; quella sera i marzianierano atterrati in forze. Erano sbucatidall'ultima curva prima del ponte a quasicentoventi all'ora, e sulla strada c'era labicicletta di un ragazzo, e poi l'acuto,improvviso stridore delle gomme dellaJaguar di Al che si laceravano, e Jackricordava di aver visto il volto di Albaluginare sopra il volante, simile a unbiancore di luna piena. E poi il tumoredi ferraglie e lo schianto quandoavevano investito la bicicletta a sessantaall'ora, e la bicicletta che volava in ariacome un uccello ferito e contorto, il

manubrio che si abbatteva sulparabrezza e poi tornava a levarsi inaria, staccandosi dal vetro infrangibileincrinato a raggiera proprio davanti agliocchi sgranati di Jack. Un istante dopoaveva udito l'ultimo tonfo agghiacciantedella bicicletta che atterrava sulla stradaalle loro spalle. Qualcosa aveva urtatoil pavimento della macchina mentre leruote ci passavano sopra. La Jaguaraveva sbandato, mentre Al tentavadisperatamente di raddrizzare il volante;e da un'immensa lontananza Jack si eraudito dire: "Gesù, Al. L'abbiamo messosotto. L'ho sentito."

Il telefono continuava a squillarglinelle orecchie.Avanti, Al. Sii a casa. Fa'

in modo che possa sbrigare questafaccenda.

Al era riuscito a bloccare lamacchina a non più di un metro da unpilone del ponte. La Jaguar aveva duegomme a terra, e i pneumatici avevanolasciato sull'asfalto tracce zigzaganti digomma bruciata per una quarantina dimetri. Si erano guardati fissamente perqualche istante; poi di corsa eranotornati indietro nelle fredde tenebre.

La bicicletta era completamentesfasciata. Una ruota si era staccata e,volgendosi a guardare da sopra laspalla, Al l'aveva vista proprio al centrodella strada, con sei o sette raggi ritti inaria come corde di pianoforte. Al avevadetto, esitante: "Secondo me, è su quella

che siamo passati, Jacky, ragazzo mio.""E il ragazzo dov'è, allora?""Hai visto un ragazzo? Davvero?"Jack aveva aggrottato la fronte. Era

successo tutto a una rapidità incredibile!Erano sbucati dalla curva.

La bicicletta che si stagliava allaluce dei fari della Jaguar. Al che urlavaqualcosa. Poi la collisione e la lungasbandata.

Avevano spostato la bicicletta sulciglio della strada. Al era tornato allaJaguar e aveva acceso gli abbagliantidavanti e dietro. Per le due oresuccessive avevano perlustrato i bordidella strada, con l'aiuto di una potentetorcia elettrica a quattro pile. Niente.

Sebbene fosse tardi, numerose macchineavevano oltrepassato la Jaguar in sosta ei due uomini che spostavano su e giù ilraggio della torcia.

Non una, che si fosse fermata. Piùtardi Jack aveva pensato che unaqualche stramba provvidenza, incline aconcedere loro un'ultima possibilità,avesse tenuto alla larga i piedipiatti,facendo in modo che nessuno degliautomobilisti di passaggio si fermasse achiedere notizie.

Alle due e un quarto erano tornatialla Jaguar, la mente snebbiata, ma conla nausea. "Se non c'era nessuno in sella,allora che ci stava a fare, lì in mezzoalla strada?" aveva chiesto Al. "Non eraparcheggiata sul ciglio della strada: era

proprio lì, piazzata in mezzo, quellamerdosa fottuta!"

Jack non aveva potuto far altro chescuotere il capo.

"Il numero che ha chiamato nonrisponde," gli disse la centralinista."Vuole che riprovi?"

"Un altro paio di squilli, signorina,se non le spiace."

"Ma certo," disse la voce, in tonocondiscendente.

Avanti, Al!Al aveva percorso il ponte a piedi

per raggiungere la più vicina cabinatelefonica, e aveva chiamato un amicoscapolo dicendogli che si sarebbeguadagnato cinquanta dollari se avesse

tirato fuori dal garage le gomme da nevedella Jaguar e le avesse portate fino alponte della Statale 31, alle porte diBarre.

L'amico era arrivato dopo unaventina di minuti, con indosso un paio dijeans e la giacca del pigiama.

Aveva indugiato a osservare lascena.

"Hai ammazzato qualcuno?" avevadomandato.

Al stava già armeggiando col cricper sollevare la coda della macchina eJack allentava i dadi ad alette.

"Nessuno, per fortuna," avevarisposto Al.

"Comunque, credo che me ne torneròsubito a casa. Mi pagherai domattina."

"Benone," aveva detto Al senzaalzare lo sguardo.

I due amici avevano montato legomme senza intoppi e insieme eranorientrati a casa di Al Shockley.

Al aveva parcheggiato la Jaguar nelgarage e spento il motore.

Nella buia quiete, aveva detto: "Hochiuso con l'alcool, Jacky, ragazzo mio.E finita. Ho steso il mio ultimomarziano."

E ora, grondando sudore in quellacabina telefonica, a Jack venne fatto dipensare che non aveva mai dubitatodella capacità di Al di mantenere lapromessa. Era rientrato a casa al volantedella Volkswagen con la radio a tutto

volume, e un complesso da discotecacontinuava a cantilenare senza posa,magico nella casa agli albori delgiorno:Fallo. . hai voglia di farlo. . fallocomunque vuoi. . Per quanto forte,riudiva lo stridore delle gomme, loschianto. Se chiudeva gli occhi,rivedeva quella ruota fracassata con iraggi spezzati che additavano il cielo.

Quando era entrato, Wendy dormivasul divano. Era andato a guardare nellastanza di Danny, e Danny era nel suolettino a sbarre, adagiato sul dorso, edormiva profondamente, il braccioancora nascosto dall'ingessatura. Nelpallido chiarore del lampione chefiltrava dalla strada, si intravedevanosul biancore del gesso le linee scure

delle firme di tutti i medici e leinfermiere del reparto pediatrico.

È stato un incidente. È ruzzolatodalle scale.

(che sporco bugiardo)È stato un incidente. Ho perso la

calma.(schifoso ubriacone dio si è pulito il

moccio dal naso e sei nato tu) Senti unpo', ehi, su, ti prego, è stato solo unincidente...

Ma l'ultima scusa era stata spazzatavia dalla visione del raggio altalenantedi quella torcia mentre frugavano tra lesterpaglie secche di fine novembre incerca del corpo scomposto che secondola logica più elementare avrebbe dovuto

trovarsi là, in attesa dell'arrivo dellapolizia. Non aveva importanza che alvolante ci fosse stato Al. C'erano statealtre sere che aveva guidato lui.

Aveva rimboccato le coperte diDanny, era entrato nella stanzamatrimoniale e aveva preso la SpanishLlama calibro 38 dallo scaffalesuperiore dell'armadio. Era dentro unascatola da scarpe. Se n'era rimastoseduto sul letto con la pistola in manoper quasi un'ora, fissandola, affascinatodalla sua letale lucentezza.

Era l'alba quando aveva ripostol'arma nella scatola e rimesso la scatolanell'armadio.

Quella stessa mattina avevachiamato Bruckner, il preside di facoltà,

e lo aveva pregato di rinviare le suelezioni: aveva l'influenza. Bruckneraveva accondisceso, ma senza laconsueta cortesia. Jack Torrance eraandato soggetto a troppi attacchid'influenza, quell'anno.

Wendy gli aveva preparato uovastrapazzate e caffè. Avevano fattocolazione in silenzio. L'unico rumoregiungeva dal cortile sul retro della casa,dove Danny con la mano sana facevacorrere allegramente i suoi camion sulmucchio di sabbia.

Wendy s'era messa a rigovernare.Dandogli le spalle, aveva detto: "Jack,ho pensato molto in questi ultimi tempi."

"Sì?" Con mani tremanti si era

acceso una sigaretta. Neanche un'ombradi emicrania, quella mattina.

Strano. Solo quel tremito alle mani.Aveva strizzato gli occhi. In quell'attimodi buio la bicicletta si era precipitatacontro il parabrezza, incrinando araggiera il cristallo. Stridore di gomme.Il fascio di luce altalenante della torciaelettrica.

"Voglio parlarti di... di ciò che èmeglio per me e per Danny. E anche perte, forse. Non so. Avremmo dovutoparlarne prima, suppongo."

"Saresti disposta a fare una cosa perme?" aveva domandato lui, fissando labrace guizzante della sigaretta. "Mifaresti un favore?"

"Che cosa?" La voce di Wendy era

spenta e inespressiva. Jack le teneva gliocchi fissi alla schiena.

"Parliamone fra una settimana. Seancora vorrai."

A questo punto si era voltata aguardarlo, le mani insaponate, il belvolto pallido e deluso. "Jack, tu lepromesse non sei capace di mantenerle.Continui semplicemente a..."

Si era interrotta, affondandogli losguardo negli occhi, affascinata, a untratto incerta.

"Tra una settimana," aveva detto lui.La sua voce aveva perso ogni vigore,spegnendosi in un bisbiglio.

"Ti prego. Non ti prometto niente. Sevorrai ancora parlarne, ne parleremo. Di

qualsiasi cosa tu voglia."Per un lungo istante si erano fissati

da un capo all'altro della cucinainondata di sole, e quando Wendy avevaripreso a occuparsi dei piatti senzaaggiungere altro, lui si era messo atremare. Dio, che bisogno aveva di bere!Giusto un goccetto di qualcosa...qualcosa che lo tirasse su, per rimetterele cose nella loro giusta prospettiva...

"Danny mi ha detto di aver sognatoche avevi avuto un incidente dimacchina," aveva detto Wendyall'improvviso. "Fa strani sogni, a volte.Me l'ha detto stamane, mentre lo vestivo.È vero, Jack? Hai avuto un incidente?"

"No."A mezzogiorno, la voglia di bere era

diventata una sorta di febbre. Jack eraandato da Al.

"Sei a secco?" aveva chiesto Alprima di farlo entrare. Al aveva unabrutta cera.

"Secco come un chiodo. Mi sembriLon Chaney nelFantasma dell'Opera. "

"Vieni dentro."Avevano giocato a whist in due per

tutto il pomeriggio. Senza bere.Era passata una settimana. Jack e

Wendy non si scambiavano molteparole; ma lui sapeva che lei lo tenevad'occhio, incredula. Jack beveva caffènero e un numero sterminato di lattine diCocaCola. Una sera aveva bevutoun'intera confezione da sei di Coca e poi

era corso in bagno a vomitarla. Nelmobile bar il livello delle bottiglie diliquore non calava. Al termine dellelezioni andava a casa di Al Shockley.

Wendy detestava Al Shockley più dichiunque al mondo, e quando Jacktornava a casa avrebbe giurato diavvertire nel suo alito puzzo di scotch odi gin, ma lui conversava con assolutanaturalezza, prima di cena; beveva caffè,e dopo mangiato giocava con Dannydividendo con lui una Coca. Gli leggevauna fiaba prima che si addormentasse,poi sedeva a correggere i temi, una tazzadi caffè nero dopo l'altra a portata dimano, e Wendy doveva convenire con sestessa che si era proprio sbagliata.

Le settimane passavano e la parola

non pronunciata le si allontanava un po'alla volta dalle labbra. Jack neavvertiva la progressiva scomparsa, masapeva che non sarebbe mai svanita deltutto. Le cose cominciavano ad andarmeglio. E poi, George Hatfìeld. Ancorauna volta Jack aveva perso la calma, estavolta del tutto sobrio.

"Signore, il numero che ha chiamatoancora non..."

"Pronto?" La voce di Al, senza fiato."Ecco, parli," disse la centralinista

in tono quasi imperioso."Al, sono Jack Torrance.""Jack, ragazzo mio!" Sincero

piacere. "Come stai?""Benone. Ti ho chiamato solo per

ringraziarti. Ho avuto il posto. Èperfetto. Se non riesco a finire quellamaledetta commedia mentre saròprigioniero della neve per tuttol'inverno, non riuscirò mai a venirne acapo."

"La finirai.""Come vanno le cose?" chiese Jack

esitante."A secco," rispose Al. "E tu?""Come un chiodo.""Ne senti molto la mancanza?""Ogni santo giorno."Al rise. "So che cosa vuol dire. Però

non capisco come tu sia riuscito arestare a secco dopo quella storia diHatfield, Jack. Quello non rientravaaffatto nelle previsioni."

"Ho mandato tutto a farsi fottere.Ecco com'è," rispose Jack senzaparticolari inflessioni.

"Oh, maledizione! Entro laprimavera avrò il consiglio dalla mia.Effinger va già dicendo che forse sonostati un po' troppo frettolosi. E se quellacommedia ottenesse qualche risultato..."

"Sì. Senti, Al, ho lasciato il bambinofuori, in automobile. Non vorrei ches'innervosisse..."

"Certo. Capisco perfettamente. Passaun buon inverno lassù, Jack. Lieto diesserti stato d'aiuto."

"Grazie ancora, Al." Appese ilricevitore, chiuse gli occhi nella cabinasurriscaldata, e rivide ancora una volta

la bicicletta che si fracassava, il raggiosobbalzante della torcia elettrica. Ilgiorno dopo nel giornale c'era stato unaccenno all'incidente; niente più di untrafiletto, a dire il vero, ma non venivanemmeno menzionato il nome delproprietario della bicicletta. Perché poila bici si trovasse su quella strada inpiena notte, sarebbe sempre rimasto unmistero per loro due, ed era forse unbene che fosse così.

Tornò alla macchina e diede aDanny il suo Baby Ruth che ormaicominciava a sciogliersi.

"Papà?""Cosa c'è, dottore?"Danny esitò, osservando il volto

distratto del padre. "Mentre aspettavo

che tornassi da quell'albergo, ho fatto unbrutto sogno. Ti ricordi? Quando misono addormentato?"

"Eheh."Ma era inutile. La mente di papà era

altrove, lontana da lui. Pensava di nuovoalla Brutta Cosa.

(Ho sognato che mi facevi male,papà)

"Che sogno era, dottore?""Niente," rispose Danny mentre

uscivano dal parcheggio. Ripose le cartestradali nel cassetto del cruscotto.

"Sicuro?""Sì."Jack lanciò una rapida occhiata al

figlio, un po' turbato; poi la sua mente

tornò a rivolgersi alla commedia.

6Avevano finito di far l'amore e il suo

uomo dormiva accanto a lei.Il suo uomo.Wendy ebbe un lieve sorriso nel

buio, mentre il seme di lui ancora lecolava lento e caldo tra le coscelievemente divaricate, e il sorriso erainsieme triste e pago, perché la fraseilsuo uomo evocava cento sensazionidiverse. Ogni sensazione presa a sé eramotivo di smarrimento. Considerate nelloro complesso, invece, in quel buiofluttuante nel sonno, erano simili a unremoto tema di blues udito in unnightclub quasi deserto, malinconico e

tuttavia gradevole.Amare te, piccolo mio, è come

cadere da un albero.Ma se non posso essere la tua donna,

non voglio nemmeno essere il tuo cane.Era Billie Holiday che la cantava? O

qualcuno di più prosaico, come PeggyLee? Non aveva importanza. Era unamusica bassa e notturna, e nel silenziodel suo capo risuonava dolcemente,come se uscisse da uno di quei jukeboxantiquati, un Wurlitzer, forse, mezz'oraprima della chiusura.

Ora, staccandosi dal suo stato diveglia cosciente, si chiedeva in quantiletti avesse dormito con quell'uomo chele giaceva accanto. Si erano conosciutiall'università e la prima volta che

avevano fatto l'amore era statonell'appartamento di lui... era successomeno di tre mesi dopo che sua madrel'aveva cacciata di casa dicendole dinon tornare mai più; che se volevaandare da qualche parte poteva sempreandare da suo padre, visto che era statalei la causa del loro divorzio. 1970. Eragià passato tutto quel tempo, dunque?Dopo un semestre erano andati a vivereassieme, si erano trovati un lavoro perl'estate e avevano tenuto l'appartamentoanche quandp era cominciato l'ultimoanno accademico. Ricordava quel lettocon estrema chiarezza, un grande lettomatrimoniale che cedeva al centro.Quando facevano l'amore, le molle

arrugginite scandivano il ritmo.Quell'autunno, finalmente, era riuscita arompere con sua madre. L'aveva aiutataJack. Vuole continuare a tenerti sotto lasua egida, aveva detto Jack. Più letelefoni, più torni da lei, strisciando aimplorare perdono, e più lei ha lapossibilità di tenerti aggiogata con lastoria di tuo padre. Per lei va benissimo,Wendy, perché così può continuare afarti credere che è stata colpa tua. A teperò non giova. Quell'anno ne avevanoparlato e riparlato all'infinito, in quelletto.

(Jack seduto nel letto con le coperteraccolte all'altezza della vita, unasigaretta accesa in mano, che la fissavadritta negli occhi — aveva un modo tutto

suo di farlo, per metà ironico, per metàaccigliato — e le diceva:Ti ha detto dinon tornare mai più, sì o no? Di nonrimettere mai più piede in casa sua, sì ono? E allora perché non riappendequando sente che ci sei tu al telefono?Perché si accontenta di dirti che nonpuoi entrare in casa se ci sono anch'io?Perché teme che potrei metterle i bastonifra le ruote.

Vuole continuare a tormentarti,tesoro mio. Sei una stupida, se continui apermetterle di farlo. Ti ha detto di nontornare mai più, quindi perché non laprendi in parola? Dacci un taglio. E allafine aveva accettato il suo parere.)

Era stata di Jack, l'idea di separarsi

per un certo periodo; per avere unadiversa prospettiva del loro rapporto,aveva detto. Lei aveva avuto paura checi fosse qualcun'altra a interessarlo; mapoi aveva scoperto che non era così. Inprimavera erano tornati assieme, e Jackle aveva chiesto se fosse andata atrovare suo padre. Lei aveva avuto unsobbalzo come se l'avesse colpita conun frustino.

Come fai a saperlo?L'Ombra sa.Mi hai spiata?E la sua risata spazientita, che

l'aveva sempre fatta sentire così adisagio, come se fosse stata una bambinadi otto anni e lui riuscisse a scorgere lesue motivazioni più chiaramente di lei.

Avevi bisogno di tempo, Wendy.Per che cosa?Suppongo... per capire chi di noi due

volevi sposare.Jack, che stai dicendo?Penso che sto chiedendoti se vuoi

sposarmi.Il matrimonio. Suo padre era venuto;

sua madre, no. Wendy aveva scopertoche avrebbe potuto benissimosopravvivere, se avesse avuto Jack. Epoi era arrivato Danny, il suo belbambino.

Quello era stato l'anno migliore, illetto migliore. Dopo la nascita di Danny,Jack le aveva trovato un lavoro:scrivere a macchina questionari, prove

d'esame, programmi, appunti, elenchi diletture per una mezza dozzina diprofessori della sezione di inglese.Aveva finito col battere a macchina peruno di loro un romanzo, un romanzo chenon era mai stato pubblicato... consommo giubilo di Jack: un giubiloquanto mai irriverente, ma confinatoentro le pareti domestiche. Il lavoro lerendeva quaranta dollari la settimana, eaveva subito un notevole e costanterialzo fino a sessanta dollari durante idue mesi che aveva impiegato a batterelo sfortunato romanzo. Avevanocomprato la loro prima automobile, unaBuick vecchia di cinque anni con unsedile per il pupo al centro. Una giovanecoppia in gamba, in rapida ascesa.

Danny aveva imposto unariconciliazione tra lei e sua madre, unariconciliazione forzata e infelice, ma pursempre una riconciliazione. Quando perla prima volta le aveva portato Danny,ci era andata senza Jack; e non avevadetto a Jack che sua madreimmancabilmente sfasciava e rifasciavaDanny a modo suo, arricciava il nasodavanti alle sue pappe, riusciva semprea individuare i primi sintomi rivelatoridi un'eruzione cutanea sul sederino o igenitali del piccolo. Sua madre nondiceva mai nulla apertamente, ma ciònon toglie che il messaggio giungessepuntuale: il prezzo che aveva cominciatoa pagare (e forse avrebbe sempre dovuto

pagare) per la riconciliazione era lasensazione di essere una madreinefficiente. Era così che sua madreaveva trovato la maniera di continuare atormentarla.

Di giorno Wendy se ne stava in casaa sbrigare le faccende domestiche, adare a Danny i suoi poppatoi nellacucina inondata di soledell'appartamento di quattro vani alsecondo piano, a suonare i suoi dischisullo sgangherato stereo portatile chepossedeva sin dai tempi del liceo. Jacktornava a casa alle tre, o magari alledue, se gli pareva di poter annullarel'ultima ora di lezione; e mentre Dannydormiva la sospingeva in camera daletto, e allora tutte le paure di

inefficienza svanivano.Di sera, mentre lei batteva a

macchina, lui scriveva o correggeva icompiti. In quei giorni, capitava cheWendy uscisse dalla camera da lettodove aveva piazzato la macchina dascrivere e li trovasse entrambiaddormentati sul divano dello studio,Jack con indosso soltanto gli slip eDanny steso placidamente sul torace delpadre, il pollice infilato in bocca.Wendy adagiava Danny nel lettino asbarre, poi leggeva quel che Jack avevascritto quella sera, prima di svegliarloquanto bastava perché riuscisse atrascinarsi a letto.

Il letto migliore, l'anno migliore.

Un giorno o l'altro il sole brillerà sulmio cortile...

In quei giorni Jack sapeva ancoracontrollarsi nel bere. Il sabato seracapitavano per casa alcuni suoicompagni di studi. Ne seguivano unacassetta di birra e discussioni alle qualiWendy prendeva parte di rado perchéaveva fatto sociologia, mentre Jack sioccupava di letteratura inglese: disputeper decidere se i diari di Pepys erano daconsiderarsi opere letterarie o storiche;discussioni sulla poesia di CharlesOlson; a volte la lettura di componimentiletterari in via di creazione. Quello ecento altre così. No, mille. Lei nonavvertiva il bisogno di partecipare; le

bastava starsene seduta nella poltrona adondolo accanto a Jack, che sedeva agambe incrociate sul pavimento, unabirra stretta in una mano, mentre conl'altra le carezzava gentilmente ilpolpaccio o le serrava la caviglia.

La concorrenza all'università delNew Hampshire era addirittura feroce, eJack si sobbarcava a un impegnosupplementare, scrivendo per contoproprio. Gli dedicava almeno un'oraogni sera. Era il ritmo che s'era imposto.Le riunioni del sabato rappresentavanouna terapia necessaria. Gli consentivanodi dar libero corso a qualcosa chealtrimenti avrebbe rischiato di gonfiarsidentro di lui fino a scoppiare.

Dopo la tesi di laurea aveva ottenuto

l'incarico a Stovington, perlopiù in forzadei suoi racconti: già quattro pubblicati,di cui uno suEsquire. Wendy ricordavaperfettamente quel giorno; ci sarebberovoluti più di tre anni per dimenticarlo.Per poco non aveva gettato via la busta,pensando che si trattasse di un'offerta diabbonamento; ma poi l'aveva aperta perscoprire che era una lettera in cui sidiceva cheEsquire sarebbe stato lieto dipubblicare il racconto di JackintitolatoA proposito dei buchi neri, inuno dei primi numeri del nuovo anno.Erano disposti a pagarglielo novecentodollari, non alla pubblicazione, maall'accettazione. Era quasi la metà diquel che lei guadagnava in un anno

battendo a macchina le scartoffie degliinsegnanti, e Wendy s'era precipitata altelefono, lasciando Danny nelseggiolone a guardarla comicamente congli occhioni sgranati, la faccia tuttaimpiastricciata di crema di piselli eomogeneizzato di manzo.

Jack era tornato dall'università trequarti d'ora dopo, con la Buick stipata diben sette amici e di un barile di birra.Dopo un brindisi di festeggiamento(anche Wendy ne aveva bevuto unbicchiere, sebbene di regola la birra nonle andasse gran che), Jack aveva firmatola lettera di accettazione, l'aveva infilatanella busta allegata ed era andato aimpostarla un isolato più in giù. Alritorno si era piazzato sulla soglia con

aria solenne, e aveva sentenziato: "Veni,vidi, vici."Al che si erano levatiapplausi e acclamazioni. Quella sera,alle undici, dato fondo al barilotto, Jacke altri due ancora in grado di reggersi inpiedi erano usciti a fare il giro dei bar.

Wendy l'aveva preso in disparte nelvestibolo a pianterreno. Gli altri dueerano già saliti in macchina e con voceda avvinazzati cantavano l'inno dibattaglia della squadra dell'universitàdel New Hampshire.

Jack era piegato su un ginocchio adallacciarsi con gesti goffi le stringhe deimocassini.

"Jack," gli aveva detto, "non andare.Non riesci nemmeno ad allacciarti le

scarpe, figuriamoci guidareun'automobile."

Lui si era sollevato e con gestopacato le aveva posato le mani sullespalle: "Stasera potrei volare sulla luna,se volessi."

"No, nemmeno per tutti i raccontidell'Esquire."

"Tornerò presto."Invece era tornato alle quattro del

piattino, e aveva salito le scaleincespicando e borbottando.

Entrando, aveva svegliato Danny.Nel tentativo di cullare il piccolo loaveva lasciato cadere a terra.

Wendy era uscita di corsa dallacamera da letto, pensando, prima che aogni altra cosa, a quel che avrebbe detto

sua madre se avesse visto il bernoccolo.Che Dio l'aiutasse, che Dio li aiutassetutti e due... Poi aveva sollevato da terraDanny, s'era seduta nella poltrona adondolo col bimbo in braccio, e avevapreso a cullarlo. Aveva pensato a suamadre per la maggior parte delle cinqueore di assenza di Jack, alla profezia disua madre secondo cui Jack non avrebbemai combinato niente di buono.Tantebelle idee, aveva detto suamadre.Sicuro. Le code davanti agliuffici di collocamento sono piene dimatti istruiti con la testa imbottita dibelle idee. La faccenda dell'Esquiredavatorto o ragione a sua madre?Winnifred,non lo tieni come si deve, quel bambino.

Dallo a me. E suo marito? Non tenevabene neppure lui? Perché, altrimenti,andava a spassarsela fuori di casa?S'era sentita montare dentro un'ondata diterrore impotente; non l'aveva nemmenosfiorata l'idea che fosse uscito permotivi che con lei non avevano proprioniente a che fare.

"Congratulazioni," aveva detto,ninnando Danny, che si era quasiriaddormentato. "Forse gli hai fattovenire la commozione cerebrale."

"Ma no, è solo un bernoccolo." Neltentativo di mostrarsi pentito, aveva unavoce tetra e scontrosa: un ragazzino. Perun fugace istante l'aveva odiato.

"Forse," aveva detto a denti stretti."Forse no." Aveva colto nella propria

voce un ricordo così netto delle frasiche sua madre rivolgeva al maritoseparato, da provarne un senso di nauseae di paura.

"Quale la madre, tale la figlia,"aveva borbottato Jack.

"Va' a letto!" aveva gridato Wendy,e la paura che esplodeva in lei erasembrata collera. "Va' a letto, seiubriaco!"

"Non dirmi che cosa devo fare.""Jack... ti prego, non dovremmo...

è..." Non trovava le parole."Non dirmi che cosa devo fare,"

aveva ripetuto lui contrariato, e poi eraandato in camera da letto.

Wendy era rimasta sola nella

poltrona a dondolo con Danny, che s'erariaddormentato. Cinque minuti dopo ilrussare sonoro di Jack giungeva fin nelsoggiorno. Era stata la prima notte cheaveva dormito sul divano.

Ora si rigirava inquieta nel letto, giàmezzo addormentata. La sua mente,liberata di ogni ordine lineare dal sonnoincombente, sorvolava fluttuando ilprimo anno a Stovington; sorvolava ilperiodo che era andato sempre piùpeggiorando fino a raggiungere le secchedella bassa marea, quando suo maritoaveva rotto il braccio a Danny, fino aquella mattina nell'angolo della primacolazione.

Danny in cortile, che giocava nellasabbia con i suoi camion, il braccio

ancora ingessato. Jack, seduto al tavolo,pallido e lagnoso, una sigaretta strettanervosamente fra le dita. Wendy avevadeciso di chiedere il divorzio. Avevaponderato il problema da un centinaio diangolazioni diverse; anzi, per esseresinceri l'aveva ponderato per sei mesi,prima della rottura del braccio diDanny. Si era detta che avrebbe presoquella decisione un bel po' prima, se nonfosse stato per Danny; ma nemmenoquesto era sino in fondo vero. Nellelunghe notti che Jack passava fuori casa,sognava, e i suoi sogni erano semprepopolati dal volto di sua madre e daimmagini della cerimonia di nozze.

(Chi dà in sposa questa donna?Suo

padre, ritto nell'abito migliore, che nonera poi un granché —

faceva il commesso viaggiatore perconto di una ditta di scatolame che sinda allora minacciava di fallire e il voltostanco, com'era vecchio, pallido:Io. )

Anche dopo l'incidente, ammessoche si potesse definirlo tale, non erastata capace di tirarselo fuori, diammettere fino in fondo che il suomatrimonio era stato un completofallimento. Aveva aspettato, sperando insilenzio che avvenisse un miracolo eJack si. accorgesse di quanto stavaaccadendo, non soltanto a lui ma anche alei. Ma tutto era continuato come prima.Un bicchierino prima di uscir di casaper andare all'istituto. Due o tre birre

durante il pranzo alla Stovington House.Tre o quattro martini prima di cena.Altri cinque o sei mentre correggeva icompiti. Durante il weekend, peggio chemai. E ancor peggio, le serate passatefuori casa con Al Shockley. Wendy nonsi sarebbe mai immaginata che potesseesserci tanto dolore nella vita, quandonon c'era niente di guasto sotto il profilofisico. Era una pena continua. In qualemisura era colpa sua? Questointerrogativo la ossessionava. Si sentivacome sua madre. Come suo padre. Avolte, quando si sentiva se stessa, sichiedeva che cosa provasse Danny, epaventava il giorno in cui sarebbe statoabbastanza grande da scagliare accuse.

E si chiedeva dove sarebbero andati.Era certissima che sua madre l'avrebberiaccolta, né dubitava che in capo a seimesi, a forza di vederla riannodare ipannolini, ricuocere o cambiare l'orariodelle pappe, di tornare a casa e trovareche aveva cambiato i vestitini o tagliatoi capelli di Danny o magari fatto sparirenel limbo della soffitta i libri che a suogiudizio erano indecenti... in capo a seimesi, si diceva, le sarebbe venutol'esaurimento nervoso. E sua madre leavrebbe battuto un colpetto sulla mano edetto a titolo consolatorio:Anche se nonè colpa tua, è comunque tutto colpa tua.Non sei mai stata molto sveglia.

Hai mostrato di che pasta eri fattaquando ti sei messa di mezzo fra tuo

padre e me.Mio padre, il padre di Danny. Il mio,

il suo.(Chi dà in sposa questa donna?

Io.Morto per un attacco cardiaco seimesi dopo.) La notte prima di quelmattino Wendy era rimasta sveglia sinoa poco prima del suo rientro, a pensare,a prendere una decisione.

Il divorzio era assolutamentenecessario, si era detta. Sua madre e suopadre non c'entravano per niente, inquella decisione. Né c'entravano i suoicomplessi di colpa riguardo al loromatrimonio, né il senso di inadeguatezzariguardo al suo. Era necessario per ilbene di suo figlio, e per lei, se voleva

salvare qualcosa della sua giovinezzaormai matura. La scritta sul muro erabrutale, ma inequivocabile.

Suo marito era un alcolizzato. Avevaun pessimo carattere, e non riusciva piùa controllarlo, ora che beveva tanto e lasua attività di scrittore andava di peste.Fosse stato o meno un incidente, avevarotto un braccio a Danny. Avrebbe finitocol perdere il posto, se non quell'anno,l'anno dopo. Wendy aveva già notato leocchiate di simpatia da parte delle moglidegli altri insegnanti. Si era detta cheaveva tenuto duro, in quel casino dimatrimonio, finché aveva potuto. A quelpunto doveva piantarla. Jack avrebbeavuto il diritto di vedere Danny quandoe come voleva, e lei avrebbe preteso da

lui gli alimenti solo finché non fosseriuscita a trovare qualcosa da fare perprovvedere a se stessa. E avrebbedovuto sbrigarsi a trovarlo perché nonsapeva per quanto tempo Jack sarebbestato in grado di passarle gli alimenti.L'avrebbe fatto col maggior tattopossibile, ma doveva farla finita.

Rimuginando questi pensieri si erasmarrita in un sonno leggero e inquieto,perseguitata dai volti di sua madre e disuo padre.Non sei altro che unarovinafamiglie, diceva sua madre.Chi dàin sposa questa donna? diceva ilpastore.Io, diceva suo padre. Ma ilmattino dopo, un mattino luminoso disole, i suoi sentimenti non erano mutati.

Voltandogli le spalle, le mani tuffatefino ai polsi nell'acqua calda dei piatti,aveva dato inizio a quel penosodiscorso.

"Voglio parlarti di ciò che è meglioper me e per Danny. E anche per te,forse. Non so. Avremmo dovutoparlarne prima, suppongo."

E allora lui aveva detto una cosastrana. Wendy si era aspettata di metterea nudo la sua collera, di provocarnel'amarezza, di alimentarne lerecriminazioni. Si era aspettata che siprecipitasse come un pazzo al mobilebar: certo non quella replica pacata,quasi priva di intonazioni particolari,che non gli si addiceva. Era quasi comese il Jack con cui era vissuta per sei anni

non fosse mai tornato a casa la notteprima, come se fosse stato sostituito daun qualche irrealedoppelgänger, che leinon avrebbe mai conosciuto o di cui nonsarebbe stata mai sicura.

"Saresti disposta a fare una cosa perme? Mi faresti un favore?"

"Che cosa?" Aveva dovutocontrollare attentamente la voce perimpedirle di tremare.

"Parliamone fra una settimana. Seancora vorrai."

E lei aveva acconsentito. Non neavevano più parlato. Durante quellasettimana Jack aveva frequentato AlShockley più assiduamente che mai, matornava a casa presto e senza il minimo

sentore d'alcool nell'alito. Wendys'immaginava di avvertirlo, ma sapevache non era vero. Un'altra settimana. Eun'altra ancora.

Il divorzio era stato cancellatodall'ordine del giorno, senza nemmenoessere messo ai voti.

Che cos'era successo? Se lochiedeva ancora e continuava a nonaverne la più pallida idea. Tra loro,l'argomento era tabù. Jack era come unoche, svoltato l'angolo, inaspettatamentevi avesse scorto un mostro in agguato,accucciato tra gli ossi calcinati delle sueprecedenti prede. I liquori continuavanoa restarsene chiusi nel mobile bar, luinon li toccava. Wendy aveva preso inconsiderazione l'idea di gettarli via

almeno una dozzina di volte, ma alla finel'aveva sempre respinta, come se quelgesto avesse avuto il potere di spezzareun incantesimo ignoto.

E in tutta la faccenda c'era daconsiderare anche la parte di Danny.

Se aveva l'impressione di nonconoscere suo marito, di fronte albambino Wendy provava una sorta ditimore reverenziale: timore nel sensoletterale del termine, una specie diterrore indefinibile, superstizioso.

Mentre sonnecchiava le siripresentava la visione dell'istante dellanascita di Danny: lei distesa sul lettinodella sala parto, madida di sudore, icapelli a ciocche appiccicose, le gambe

divaricate, i piedi infilati nelle staffe(e un tantino stordita dal gas che

continuavano a farle inalare; a un certopunto aveva borbottato che le pareva diessere la pubblicità dello stuprocollettivo, e l'infermiera, una vecchiacornacchia che aveva assistito allanascita di una quantità di bambinisufficiente a popolare un'intera scuolamedia, aveva trovato la battutaterribilmente spassosa)

il dottore tra le sue gambe,l'infermiera di lato, un po' in disparte,che canticchiava riordinando glistrumenti chirurgici. Le doglie, acute,vitree, si ripetevano a intervalli semprepiù brevi, e più di una volta le erasfuggito un grido, nonostante se ne

vergognasse.Poi il medico le aveva ingiunto di

SPINGERE, SPINGERE, e lei avevaspinto, e poi aveva sentito che leestraevano qualcosa. Era stata unasensazione chiara e distinta, che nonavrebbe mai dimenticato: quella cosache le venivatolta. Poi il dottore avevatenuto sollevato suo figlio per le gambe,e lei ne aveva scorto i minuscoli organisessuali e aveva saputo immediatamenteche era un maschio, e mentre il medicocercava a tastoni la mascherina, avevavisto qualcos'altro, qualcosa di cosìorribile che aveva trovato la forza dilanciare un ennesimo urlo, sebbene aquel punto credesse di aver esaurito

persino la capacità di urlare:Il bambino non aveva faccia!Ma la faccia l'aveva, naturalmente; il

faccino delizioso di Danny, e l'amnioche lo copriva alla nascita adesso eraracchiuso in un vasetto che Wendyaveva conservato, quasivergognandosene. Non credeva allevecchie superstizioni, ma avevaegualmente conservato l'amnio. Noncredeva alle fole delle vecchie comari,ma il bambino era stato insolito findall'inizio. Non credeva alla secondavista ma...

Papà ha avuto un incidente? Hosognato che papà aveva un incidente.

Qualcosal'aveva cambiato. Wendynon credeva che dipendesse

esclusivamente dal fatto che lei siaccingeva a chiedere il divorzio. Eraaccaduto qualcosa, prima di quelmattino: qualcosa che era accadutomentre lei dormiva del suo sonnoinquieto. Al Shockley aveva detto chenon era successo niente, proprio niente;ma nel proferire quell'affermazioneaveva distolto lo sguardo e, a volerprestar fede ai pettegolezzi checircolavano nell'ambiente scolastico,anche Al s'era messo severamente aregime.

Papà ha avuto un incidente?Forse uno scontro del tutto casuale

col fato, di sicuro niente di molto piùconcreto. Wendy aveva letto con più

attenzione del solito il giornale, quelgiorno e anche il giorno dopo, ma non viaveva trovato niente che si potessericollegare a Jack. Aveva cercato lanotizia di un incidente provocato da unpirata della strada o di una rissa in unbar che avesse causato ferite gravi aqualcuno, oppure.... chissà? Chi maivoleva saperlo? Ma nessun poliziottos'era fatto vivo, né a far domande né conun mandato che l'autorizzasse aprelevare campioni di vernice daiparafanghi della Volkswagen. Niente.Solo il cambiamento di centottanta gradidi suo marito e la domandasonnacchiosa di suo figlio al momento disvegliarsi:

Papà ha avuto un incidente? Ho

sognato...Era rimasta con Jack per il bene di

Danny, più di quanto fosse disposta adammettere nelle ore di veglia, ma orache sonnecchiava, poteva riconoscerlo:Danny era stato di Jack, quasi dalprincipio. Su questo punto non c'eraalcun dubbio. Proprio come lei era statadi suo padre, quasi dal principio. Nonricordava che Danny avesse mai avutoun rigurgito dal poppatoio sulla camiciadi Jack. Jack riusciva a farlo mangiaredopo che lei aveva rinunciatoall'impresa, disgustata, persino quandoDanny metteva i dentini e lamasticazione gli procurava un evidentedolore. Quando Danny aveva mal di

pancia, lei doveva cullarlo per un'oraprima che accennasse a quietarsi; a Jackbastava prenderlo in braccio,gironzolare un paio di volte per lastanza, e Danny gli si addormentavacontro la spalla, il pollice saldamenteinfilato in bocca.

Jack non aveva mai avuto niente incontrario a cambiare i pannolini, anchequelli che definiva le consegne speciali.Se ne stava seduto con Danny per ore eore di fila, facendoselo saltare sulleginocchia, giocando con i suoi ditini,facendogli le boccacce mentre Danny glistuzzicava il naso e si rotolavaemettendo pazzi risolini di felicità.Preparava le pappe e glielesomministrava impeccabilmente,

dopodiché non dimenticava di fargli fareil ruttino. Il figlio era ancora un neonato,e già se lo portava appresso inautomobile per andare a comprare lacarta o una bottiglia di latte o i chiodi alnegozio di ferramenta. Aveva portatoDanny a una partita di calcio tra lesquadre di Stovington e di Keenequando aveva appena sei mesi, e Dannyse n'era stato seduto in braccio al padre,immobile per tutto l'incontro, avvolto inuna coperta, con una bandierina dellasquadra di Stovington stretta nel piccolopugno.

Danny voleva bene a sua madre, maera il bambino di suo padre.

E lei non aveva forse percepito, più

e più volte, la tacita opposizione delfiglio alla semplice idea del divorzio?Ci ripensava in cucina, rimuginandolonella mente mentre si rigirava tra lemani, sotto la lama del raschietto, lepatate per la cena. Si voltava aguardarlo: lui se ne stava lì seduto agambe incrociate su una sedia di cucina,e la fissava con occhi che parevano altempo stesso spaventati e accusatori.Mentre passeggiavano assieme nelparco, di colpo lui le afferrava ambo lemani e chiedeva, quasi perentorio: "Mivuoi bene? Vuoi bene al papà?" E lei,confusa, faceva segno di sì o diceva:"Ma certo, tesoro, che ti voglio bene."Allora lui correva allo stagno delleanitre, facendole fuggire terrorizzate e

starnazzanti verso la sponda opposta dellaghetto, sbattendo le ali in preda alpanico dinanzi alla innocua ferocia delsuo attacco, lasciando lei a seguirlo conlo sguardo e a porsi interrogativi.

C'erano stati persino dei momenti incui era sembrato che la sua risoluzionedi discutere almeno la faccenda con Jackvenisse meno, non per via di una suadebolezza, ma per la fermezza dellavolontà di suo figlio.

Non ci credo, a cose del genere.Ma nel sonno ci credeva, e nel

sonno, col seme di suo marito che le siasciugava sulle cosce, sentiva che lorotre erano vincolati per sempre; che semai quella loro trinità dovesse essere

distrutta, non sarebbe stata distrutta dauno di loro, ma da un fattore esterno.

Le cose in cui Wendy credeva siaccentravano perlopiù sul suo amore perJack. Non aveva mai cessato di amarlo,a eccezione, forse, di quel cupo periodoimmediatamente successivoall'"incidente" di Danny. E amava suofiglio. E soprattutto li amava assieme,mentre camminavano o andavano in autoo se ne stavano semplicemente seduti, lagrossa testa di Jack e quella piccina diDanny chine e assorte sul ventaglio dellecarte da gioco, mentre dividevano unabottiglia di Coca o guardavano i fumetti.Wendy era contenta di averli vicini, esperava con tutto il cuore che quel postodi guardiano d'albergo che Al aveva

procurato a Jack segnasse l'inizio di unnuovo periodo di felicità.

E il vento si leverà, amor mio,e spazzerà via la mia tristezza...Tenera e dolce e calda, ecco di

nuovo la canzone, che indugiò,seguendola giù giù in un sonno piùprofondo, dove il pensiero cessava e ivolti che si profilavano nei sogni nonlasciavano ricordo alcuno.

7Danny si svegliò con le orecchie che

ancora gli rintronavano per il rimbombo,e per quella voce da ubriaco,pazzamente stizzita, che urlavarauca:Vieni fuori a prendere la purga! Titroverò! Ti troverò!

Ma ora il rimbombo era solo ilbattito tumultuoso del suo cuore, el'unica voce che si udiva nella notte eral'eco lontana di una sirena della polizia.

Rimase immobile nel letto, losguardo levato a fissare le ombre dellefoglie scosse dal vento che si agitavanosul soffitto della camera. S'intrecciavanosinuose, dando vita a forme simili aquelle di liane e rampicanti di unagiungla, simili ai disegni intessuti nellasoffice peluria di uno spesso tappeto.

Indossava un pigiama del dottorDenton, ma tra il pigiama e la pelle glisi era formata come una sorta diaderente tuta di sudore.

"Tony?" bisbigliò. "Ci sei?"

Nessuna risposta.Sgusciò dal letto e attraversò in

silenzio la stanza affacciandosi allafinestra a guardare su Arapahoe Street,ora deserta e silenziosa. Erano le duedel mattino. Fuori non c'era nulla oltre aimarciapiedi deserti disseminati dimucchietti di foglie cadute, alle auto insosta e al lampione dal lungo colloall'angolo, di fronte al distributore dibenzina di Cliff Brice. Con quella sortadi paralume a cappuccio e lo steloimmobile, il lampione pareva un mostroda film di fantascienza.

Lasciò correre lo sguardo lungo lastrada, in ambo le direzioni, aguzzandola vista in cerca di Tony, ma non c'era

nessuno.Il vento passava tra le fronde degli

alberi, e le foglie cadute siaccartocciavano lungo i marciapiedideserti e attorno ai parafanghi dellemacchine in sosta. Era un suono esile etriste, e il bambino pensò che potevadarsi fosse l'unico, a Boulder,abbastanza sveglio da udirlo. L'unicoessere umano, perlomeno. Non c'eramodo di sapere che cos'altro potessevagare nella notte, scivolando furtivo eavido nell'ombra, spiando e fiutando ilvento.

Ti troverò! Ti troverò!Tony?" tornò a bisbigliare, senza

molta speranza.Solo il vento gli rispose, soffiando

con più forza, stavolta, disseminando difoglie le ali del tetto in pendenza,proprio sotto la finestra. Alcunescivolarono nella grondaia e vi sifermarono, simili a danzatrici esauste.

Danny... Dannyyy...Trasalì al suono di quella voce

familiare e si sporse dalla finestra, lemanine appoggiate al davanzale.

Al suono della voce di Tony, parevache in segreto, in silenzio, l'intera nottesi fosse ridestata, bisbigliando persinoquando il vento tornava a quietarsi e lefoglie restavano immobili e le ombreavevano smesso di agitarsi. Gli parve discorgere un'ombra più cupa, ritta allafermata dell'autobus, un isolato più in là;

ma era difficile dire se fosse qualcosa direale o solo un'illusione ottica.

Non andare, Danny...Poi tornò a soffiare il vento,

costringendolo a strizzare gli occhi, el'ombra alla fermata dell'autobus nonc'era più... ammesso che mai ci fossestata. Indugiò alla finestra per (unminuto? un'ora?)

qualche momento ancora, ma nonaccadde più nulla. Alla fine tornò ainfilarsi nel letto e si tirò le coperte finoal collo e osservò le ombre proiettatedal lampione che andavano tramutandosiin una giungla sinuosa popolata di piantecarnivore che volevano un'unica cosa:strisciargli attorno, stringerlo fino asoffocarlo e trascinarlo nel profondo di

un nero abisso dove fiammeggiava rossauna sola parola: REDRUM.

SECONDAPARTE

GIORNO DI CHIUSURA

8La mamma era preoccupata.Aveva paura che il maggiolino non

ce la facesse ad arrampicarsi e aridiscendere per tutte quelle montagne, eche loro tre si arenassero sul cigliodella strada in un punto in cui qualcunopotesse sopraggiungere a tutta velocità

piombando loro addosso. Quanto a lui,Danny, era ottimista; se papà credevache il maggiolino ce l'avrebbe fatta asopportare quell'ultimo viaggio, contutta probabilità le cose sarebberoandate così.

"Siamo quasi arrivati," disse Jack.Wendy si scostò i capelli dalla

fronte. "Grazie a Dio."Era sprofondata sul sedile di destra,

con un tascabile di Victoria Holt apertoin grembo, ma capovolto.

S'era messa il vestito blu, quello cheDanny pensava fosse il suo abito piùbello. Aveva il colletto alla marinara, ela faceva sembrare molto giovane, comeuna ragazza che si preparasse al diplomadelle superiori. Papà continuava a

spingerle la mano su per la coscia e leicontinuava a ridere e a scostargliela,dicendo va' via, mosca.

Danny era impressionato dallemontagne. Un giorno papà li avevaportati in gita sui monti vicino aBoulder, quelli che chiamavano Ferri dastiro; ma questi erano molto più grandi,e sulle cime più alte si intravedeva unaspolverata di neve, che a sentire papàspesso c'era tutto l'anno.

E che fossero proprio in montagna,non c'era dubbio. Tutt'attorno silevavano nude pareti di roccia, così alteche quasi non si riusciva a scorgerne lacima anche a sporgere la testa dalfinestrino. Quando erano partiti da

Boulder, la temperatura era sui 38 gradi.Ora, ed era passato da pocomezzogiorno, lassù l'aria era fredda efrizzante come a novembre nel Vermonte papà aveva acceso il riscaldamento...

non che funzionasse poi così bene.Avevano oltrepassato parecchi cartellistradali che dicevano CADUTA MASSI(la mamma glieli leggeva tutti), e benchéDanny avesse atteso con ansia di vedercadere qualche masso, non era accadutoniente di simile. Almeno finora.

Una mezz'ora prima avevanoincontrato un altro cartello stradale chea detta di papà era molto importante. Ilcartello diceva INIZIO PASSO DISIDEWINDER, e papà aveva detto chequel cartello segnava il punto in cui

arrivavano gli spartineve d'inverno.Dopo, la strada diventava troppo ripida.

D'inverno la strada era chiusa apartire dalla cittadina di Sidewinder,che avevano attraversato proprio pocoprima di incontrare il cartello, fino aBuckland, nell'Utah.

Adesso stavano passando davanti aun altro cartello.

"Che cos'è quello, mammina?""Quello dice CORSIA DI DESTRA

RISERVATA AL TRAFFICO LENTO.Vuol dire noi."

"Il maggiolino ce la farà," disseDanny.

"Dio, ti prego," disse la mammaincrociando le dita. Danny abbassò lo

sguardo a fissarle i sandali aperti e siavvide che aveva incrociato anche ledita dei piedi. Ridacchiò. Lei gli risposecon un sorriso, ma Danny capì che eraancora preoccupata.

La strada si inerpicava tortuosa super una serie di lenti tornanti, e Jackspostò la leva del cambio dalla quarta interza e poi in seconda. Il maggiolinoansimò e protestò, e l'occhio di Wendysi fissò sull'ago del tachimetro che calòda sessanta a cinquanta a trenta, dove siarrestò riluttante.

"La pompa della benzina..." prese adire timidamente.

"La pompa della benzina terràancora per cinque chilometri,* fecelaconico Jack.

La parete di roccia cadeva astrapiombo sulla destra, spalancandodinanzi ai loro occhi una valle scoscesache sembrava sprofondare all'infinito,tappezzata del verde cupo dei pini delleMontagne Rocciose e degli abeti rossi. Ipini digradavano fino ai grigi dirupi diroccia che cadevano a precipizio percentinaia di metri. Wendy vide unacascatella rimbalzare su una parete, colsole del primo pomeriggio che viscintillava come un pesce doratoinvischiato in una rete azzurra. Eranomontagne bellissime, ma aspre. Edifficili. Wendy si disse che certamentenon avrebbero perdonato molti errori.

Un brutto presentimento le fece

salire un groppo alla gola. Più a ovest,sulla Sierra Nevada, la spedizioneDonner era rimasta intrappolata nellaneve e per sopravvivere aveva dovutopiegarsi al cannibalismo. Le montagnenon perdonavano molti errori.

Grattando e strattonando la frizione,Jack passò in prima, e continuarono asalire con fatica, col motore delmaggiolino che pulsava ardimentoso.

"Sai," disse Wendy, "direi che nonabbiamo incontrato cinque auto daquando abbiamo attraversatoSidewinder. E una era la berlinadell'albergo."

Jack annuì. "Va all'aeroportoStapleton di Denver. Ci sono già alcunechiazze di ghiaccio su in alto, oltre

l'albergo, dice Watson, e per domaniprevedono altra neve, un po' più su.Chiunque attraversi le montagne inquesta stagione deve trovarsi su unadelle strade principali, a scanso dipericoli. Quel maledetto Ullman saràmeglio che ci sia ancora. Suppongo checi sarà."

"Sei sicuro che la dispensa sia benfornita?" domandò Wendy, checontinuava a pensare ai membri dellaspedizione Donner.

"Così ha detto. Ha ordinato aHallorann di ispezionarla assieme a te.Hallorann è il cuoco."

"Oh!" esclamò Wendy debolmente,fissando il tachimetro. Era sceso da

venticinque a quindici chilometri all'ora."Ecco la cima." Jack indicava un

punto circa trecento metri più in là. "C'èuna piazzuola panoramica da dove sipuò vedere l'Overlook. Mi metterò sulciglio della strada per far riposare unpoco il maggiolino." Si girò a guardareDanny da sopra la spalla: se ne stavaseduto su una pila di coperte.

"Che ne pensi, dottore? Può darsiche riusciamo a vedere un cervo. O uncaribù."

"Sicuro, papà."La Volkswagen continuò a salire

faticosamente. Il tachimetro calò appenasopra la lineetta dei dieci chilometriall'ora e accennò a ondeggiare, quandoJack si arrestò sul ciglio della strada

("Checosa dice quel cartello, mamma?""PIAZZUOLA PANORAMICA," lesselei docilmente.) e tirò il freno a manolasciando il motore della Volkswagen infolle.

"Venite," disse, e scese dall'auto.Si portarono assieme accanto alla

balaustra."Eccolo là," disse Jack; e indicò un

punto dinanzi a sé, un poco spostatosulla sinistra.

Per Wendy fu come scoprire laverità in una frase stereotipata: si sentìmozzare il fiato. Per un attimo non funeppure in grado di respirare. Ilpanorama le aveva letteralmentebloccato il respiro. Erano prossimi alla

sommità di una vetta. Di fronte a loro —e chi poteva dire a che distanza? — siergeva nel cielo una montagna ancorapiù alta, la cima frastagliata come unasagoma stagliata in lontananza e oraaureolata dal sole, che iniziava laparabola discendente. Ai loro piedi sispalancava l'intero fondovalle, e ipendii che avevano scalatonell'ansimante maggiolino degradavanocon tale vertiginosa subitaneità cheWendy temette, qualora vi avesseaffondato lo sguardo troppo a lungo, diavere un accesso di nausea e magari unconato di vomito. La fantasia sembravadestarsi alla vita nell'aria limpida,strappando le redini della ragione, eguardare equivaleva a vedere

inequivocabilmente se stessi piombaregiù, sempre più giù, cielo e pendii checambiavano posto in lente rotazioni,l'urlo che ti usciva galleggiando dallabocca, simile a un pigro pallone, mentrecapelli e vestiti si gonfiavano al vento.

Distolse bruscamente lo sguardo dalprecipizio, quasi di forza, e seguì ladirezione del dito di Jack.

Riusciva a scorgere la stradascavata nel fianco di quella guglia dicattedrale, attorcendosi su se stessa masempre tendendo verso nordovest,continuando a salire ma con unapendenza più dolce. Più su,apparentemente innestati nel pendio,vide i pini tenacemente abbarbicati alla

montagna che cedevano il passo a unvasto quadrato di prato verde e, proprioal centro del prato, a sovrastare lospettacolo naturale, l'albergo.L'Overlook. Alla sua vista, Wendyritrovò il respiro e la voce.

"Oh, Jack, è splendido!""Sì," confermò Jack. "Ullman dice

che secondo lui è il posto più bellod'America. Non faccio molto caso a quelche dice, ma credo che potrebbe aver...Danny! Danny, stai bene?"

Wendy si girò a guardarlo el'improvvisa paura che provò per luicancellò ogni altra cosa, per stupendache fosse. Si precipitò verso di lui. Ilbambino si teneva aggrappato allabalaustra con lo sguardo appuntato in

alto, verso l'albergo, il volto terreo. Isuoi occhi avevano lo sguardo vacuo dichi sia sul punto di svenire.

Gli si inginocchiò accanto e gli posòle mani sulle spalle per trattenerlo."Danny, che cosa..."

Jack le era accanto. "Tutto a posto,dottore." Diede a Danny una scossetta egli occhi del bambino si snebbiarono.

"Tutto a posto, papà. Sto benone.""Che cos'è stato, Danny?" domandò

Wendy. "Hai avuto un capogiro,tesoro?"

"No, stavo... stavo solo pensando.Mi dispiace. Non volevo spaventarvi."Guardò i genitori rannicchiati davanti alui e rivolse loro un sorrisetto

perplesso. "Forse è stato il sole. Mi èandato il sole negli occhi."

"Adesso ti portiamo all'albergo e tifacciamo bere un bicchiere d'acqua,"disse papà.

"Va bene."E una volta sul maggiolino, che ora

saliva con un po' più di baldanza datoche la pendenza era più dolce, Dannycontinuò a guardare dal finestrino traloro due mentre la strada si srotolava,consentendo di tanto in tanto lafuggevole visione dell'Overlook, la cuimassiccia sfilata di finestre affacciate aoccidente rifletteva i raggi del sole. Erail posto che aveva visto nel turbine dellabufera, il posto buio e rintronante doveuna figura orribilmente familiare gli

dava la caccia per lunghi corridoitappezzati di giungla. Il posto contro ilquale l'aveva messo in guardia Tony.Eccolo. Eccolo. Checché fosse Redrum,era lì.

9Ullman li aspettava appena oltre

l'ampio, antiquato portale di ingresso.Strinse la mano a Jack e indirizzò unfreddo cenno del capo a Wendy, forsenotando come le teste si girassero aguardarla quando varcò la soglia perentrare nell'atrio, i capelli biondi sparsisulle spalle nel semplice vestito blu allamarinara. L'orlo della gonna si arrestavadiscretamente cinque centimetri sopra ilginocchio, ma non c'era bisogno di

vedere di più per capire che aveva bellegambe.

Ullman si mostrò sinceramentecordiale solo nei confronti di Danny, maWendy l'aveva già sperimentato inprecedenza. Danny era un bimbo capacedi accaparrarsi le simpatie di personeche di regola nutrivano, nei confronti deibambini, sentimenti degni di W. C.Fields. Ullman si piegò appena sullavita e tese a Danny la mano. Danny lastrinse con aria molto formale, senzaneppure abbozzare un sorriso.

"Mio figlio Danny," disse Jack. "Emia moglie Winnifred."

"Molto lieto di conoscervi," feceUllman. "Quanti anni hai, Danny?"

"Cinque, signore."

"Signore,senti un po'." Ullmansorrise e scoccò un'occhiata a Jack. "Èmolto beneducato."

"Certo che lo è," confermò Jack."E, signora Torrance." Si esibì nello

stesso piccolo inchino, e per un attimoWendy, un po' stupefatta, pensò che leavrebbe baciato la mano. Giela tese amezzo e lui la prese, ma solo per unistante, stringendola tra le sue. Aveva lemani piccole e asciutte e lisce, e Wendyebbe il sospetto che se le incipriasse.

Il vestibolo era tutto un fervore diattività. Quasi tutte le antiquate sediedall'alto schienale erano occupate. Ifattorini facevano la spola dentro efuori, carichi di valigie, e al banco della

portineria, sovrastato da un enormeregistratore di cassa in ottone, i clientifacevano la coda. Le decalcomanie dellaBankAmericard e del Master Chargeapparivano di uno stridenteanacronismo.

A destra, più in là, verso un paio dialte porte a battente, chiuse e sbarrate daun cordone, c'era un antiquato caminettonel quale ardevano ceppi di betulla. Tremonache sedevano su un divano quasiaccostato al focolare. Chiacchieravano esorridevano, con le valigie impilate daambo i lati, in attesa che la coda deiclienti in partenza si assottigliasse unpoco. Mentre Wendy le osservava,scoppiarono in un accordo di tintinnantirisate da ragazzine. Wendy si sentì salire

alle labbra un sorriso: nessuna delle trepoteva avere meno di sessantanni.

In sottofondo giungeva il brusiocostante delle conversazioni, ilding!attutito del campanello placcatod'argento accanto al registratore di cassaogni volta che uno dei due impiegati diturno gli dava un colpetto; l'invito un po'spazientito: "Avanti il prossimo, prego!"Tutto le riportava alla mente il caldoricordo del viaggio di nozze con Jack aNew York, alla Beekman Tower. Per laprima volta fu indotta a ritenere chepotesse essere proprio quello di cui lorotre avevano bisogno: una stagioneassieme, lontani dal mondo, una sorta diluna di miele in famiglia. Abbassò lo

sguardo sorridendo con affetto a Dannyche osservava ogni cosa con dueocchioni stupefatti. Un'altra berlina,grigia come il panciotto di un banchiere,era venuta a fermarsi dinanziall'ingresso.

"L'ultimo giorno della stagione,"stava dicendo Ullman. "Giorno dichiusura. Sempre movimentato. Miaspettavo che arrivaste verso le tre,signor Torrance."

"Ho voluto concedere allaVolkswagen il tempo di fare i capricci,semmai ne avesse avuto l'intenzione,"precisò Jack. "Non li ha fatti."

"Meglio così," disse Ullman. "Un po'più tardi vorrei portarvi tutti e tre a fareil giro dell'albergo, e naturalmente Dick

Hallorann desidera mostrare allasignora Torrance la cucinadell'Overlook, ma temo..."

Sopraggiunse uno degli impiegati emancò poco che gli si aggrappasse albraccio.

"Mi scusi, signor Ullman...""Be'? Che c'è?""Si tratta della signora Brant,"

spiegò l'impiegato, a disagio. "Si rifiutadi pagare il conto, a meno che non possafar uso del tesserino dell'AmericanExpress. Le ho detto che abbiamosmesso di accettare i pagamenti conl'American Express alla fine dellascorsa stagione, ma lei non vuole sentirragioni..."

Spostò lo sguardo sui membri dellafamiglia Torrance, poi lo riportò suUllman. Si strinse nelle spalle.

"Ci penso io.""Grazie, signor Ullman." L'impiegato

tornò al banco, dove un donnone chepareva una corazzata, infagottata in unalunga pelliccia e in quello che sembravaun boa di piume nere facevasonoramente le sue rimostranze.

"È dal 1955 che vengoall'Overlook," declamava all'impiegatoche continuava a sorridere e a stringersinelle spalle. "Ho continuato a venircianche dopo che il mio secondo marito èmorto di un infarto su quel tremendocampo diroque. . gliel'avevo detto che il

sole scottava troppo quel giorno... e nonhomai. . ripeto:mai. . pagato conqualcos'altro che non fosse la carta dicredito dell'American Express.

Chiami la polizia, se vuole! Mifaccia trascinare via! Continuerò arifiutarmi di pagare se non mi sipermette di usare la carta di creditodell'American Express. Ripeto..."

"Scusatemi," disse Ullman.Lo guardarono attraversare l'atrio,

sfiorare con tocco deferente il gomitodella signora Brant e allargare lebraccia e annuire quando lei lobersagliò con la sua tirata. Ascoltò conaria comprensiva, tornò ad annuire, e asua volta disse qualcosa. La signoraBrant sorrise con aria di trionfo, si volse

verso l'impiegato che appariva tutt'altroche a suo agio, e disse ad alta voce:"Grazie a Dio in questo albergo c'èancora un dipendente che non èdiventato un filisteo!"

Permise a Ullman, che le arrivava amalapena alla spalla voluminosa dellapelliccia, di prenderla sottobraccio e dipilotarla via, presumibilmente nel suoufficio.

"Ohi ohi!" disse Wendy sorridendo."Ecco uno che i soldi dello stipendio seli guadagna."

"Però quella signora non glipiaceva," commentò Dannyimmediatamente. "Faceva solo finta chegli piacesse."

Jack gli sorrise. "Sono sicuro chehai ragione, dottore. Ma è l'adulazioneche unge le ruote del mondo."

"Che cos'è l'adulazione?""L'adulazione," spiegò Wendy, "è

quando il tuo papà dice che glipiacciono i miei calzoni gialli nuovianche se non è vero, o quando dice chenon ho bisogno di perdere un paio dichili."

"Oh! Sarebbe come una bugia dettaper scherzo?"

"Qualcosa di simile."L'aveva fissata attentamente e ora

disse: "Sei carina, mamma." Aggrottò lafronte sconcertato quando i genitori siscambiarono un'occhiata e poi

scoppiarono a ridere."Ullman non ha sprecato molta

adulazione con me," disse Jack. "Veniteaccanto alla finestra, voi due.

Mi sento in vetrina, in piedi qui alcentro col mio giaccone di tela.Sinceramente non credevo che ci fosseancora tanta gente quassù il giorno dichiusura. Evidentemente mi sonosbagliato."

"Sei bellissimo lo stesso," scherzòWendy, mentre tornavano a ridere.Wendy si premette una mano sullabocca. Danny continuò a non capire, maandava tutto per il meglio. Si amavano.Danny pensò che quel posto lericordasse qualche altro luogo

(il posto del beccomano)

dove era stata felice. Avrebbevoluto che anche a lui piacesse come alei, ma continuava a ripetersi che le coseche Tony gli faceva vedere non sempresi avveravano. Sarebbe stato attento.Sarebbe stato in guardia contro qualcosache si chiamava Redrum. Ma nonavrebbe detto niente, a meno che non vifosse stato assolutamente costretto.Perché loro erano felici, ridevano e nonc'erano brutti pensieri.

"Guarda che vista," disse Jack."Oh, è splendido! Danny, guarda!"Ma a Danny splendido non pareva

proprio. Non gli piacevano le cime; glifacevano girare la testa. Al di làdell'ampio portale d'ingresso che

occupava l'intera facciata dell'albergo,un prato curatissimo (sulla destra c'eraun campetto da golf) degradavadolcemente fino a una lunga piscinarettangolare. Un cartello con la scrittaCHIUSO era fissato sulla sommità di unpiccolo treppiedi a un capo dellapiscina;Chiuso era una scritta cheriusciva a leggere da solo, oltre aStop,Uscita, Pizza e qualche altra.

Al di là della piscina un vialetto dighiaia serpeggiava in un folto di giovanipini e abeti e tremule. In quel punto c'eraun piccolo cartello che non conosceva:ROQUE. Sotto c'era una freccia.

"Cos'è il ROQUE, papà?""Un gioco," spiegò papà. "Somiglia

un po' al croquet, solo che lo si gioca su

un campo di ghiaia con le sponde comeun grande tavolo da bigliardo, anzichésull'erba. È un gioco molto antico,Danny. Qualche volta organizzano deitornei, qui."

"Lo si gioca con una mazza dacroquet?"

"Proprio così," convenne Jack, "soloche il manico è un po' più corto e latesta ha due facce, una è di gomma durae l'altra è di legno."

(Vieni fuori, merdoso!)"Si pronunciarock, "spiegava papà.

"T'insegnerò a giocare, se vuoi.""Forse," disse Danny con una strana

vocina incolore che indusse i suoigenitori a scambiarsi un'occhiata

perplessa sopra la sua testa. "Può darsiche non mi piaccia, però."

"Be', se non ti piace, dottore, non seicostretto a giocare. D'accordo?"

"Sicuro!""Ti piacciono gli animali?" chiese

Wendy. "È quello che si chiama ungiardino figurato." Al di là del vialettoche portava al campo diroque c'eranoalcune siepi tosate in forma di varianimali. Danny, che aveva la vista acuta,distinse un coniglio, un cane, un cavallo,una vacca e un terzetto di animali piùgrossi che gli parvero leoni intenti aruzzare.

"Sono stati quegli animali a farpensare a zio Al che il posto potevaandar bene per me," spiegò Jack.

"Sapeva che quando frequentavol'università lavoravo per una ditta che sioccupava della sistemazione deigiardini. È un lavoro che consistenell'accudire i prati e i cespugli e lesiepi della gente.

Personalmente ero incaricato ditosare le siepi ornamentali di unasignora."

Wendy si portò una mano alla boccae ridacchiò. Jack la fissò. "Sì," continuò,"avevo l'incarico di tosare la sua siepeornamentale almeno una volta allasettimana."

"Va' via, mosca," disse Wendy etornò a ridacchiare.

"Aveva una bella siepe, papà?"

chiese Danny, e a quella uscitastentarono entrambi a trattenere unoscoppio di risa. Wendy rise tanto che lelacrime le scorsero giù per le guance efu costretta a cavare un kleenex dallaborsetta.

"Non erano in forma di animali,Danny," precisò Jack quand'ebbe ripresoil controllo di sé. "Erano carte da gioco.Picche e cuori e fiori e quadri. Ma lesiepi crescono, vedi..."

(Salgono,aveva detto Watson... no,non le siepi, la caldaia.Deve tenerlacontinuamente d'occhio, altrimenti viritroverete tutti quanti, lei e i suoi,scaraventati sulla luna del cazzo. ) Lofissavano, sconcertati. Il sorriso gli siera spento sulle labbra.

"Papà?" domandò Danny.Jack ammiccò, come se tornasse alla

realtà da una enorme lontananza."Crescono, Danny, e perdono la forma.Così dovrò dargli una spuntatina un paiodi volte la settimana finché non farà cosìfreddo che per quest'anno smetteranno dicrescere."

"E anche un campo giochi," disseWendy. "Sei un bambino fortunato."

Il campo giochi si stendeva al di làdel giardino ornamentale. Due scivoli,una grande altalena dotata di una mezzadozzina di sedili posti a varie altezze,una specie di labirinto, un tunnel fatto ditubi di cemento, un recinto di sabbia euna casa delle bambole che era l'esatta

replica in miniatura dell'Overlook."Ti piace, Danny?" chiese Wendy."Sicuro, che mi piace," rispose lui

sperando di apparire più entusiasta diquanto si sentisse. "È bellissimo."

Al di là del campo giochi c'era unarecinzione di sicurezza che dava poconell'occhio e, oltre questa, l'ampio vialeasfaltato che portava all'albergo e,ancora oltre, la valle che affondavanella foschia azzurrina del pomeriggio.Danny non conosceva il significato dellaparolaisolamento, ma se qualcuno glieloavesse spiegato l'avrebbe capito senzaindugio. Laggiù, in basso, stesa al solecome un lungo serpente nero che avessedeciso di schiacciare un pisolino, sisnodava la strada per la quale si

riattraversava il passo di Sidewinder esi arrivava fino a Boulder. La strada chesarebbe rimasta chiusa per tuttol'inverno. Danny si sentì soffocareall'idea, e quasi trasalì quando papà gliposò una mano sulla spalla.

"Ti procurerò quel bicchiere d'acquaappena possibile, dottore. In questomomento sono tutti un po' troppoimpegnati."

"Sicuro, papà."La signora Brant uscì dall'ufficio con

l'aria di chi abbia ottenuto giustizia.Qualche istante più tardi due fattorini,alle prese con ben otto valigie, facevanodel loro meglio per seguirla, mentre ladonna varcava trionfalmente la soglia.

Danny osservò dalla finestra un uomo inuniforme grigia, la testa coperta da unberretto che lo faceva sembrare uncapitano dell'esercito, impegnato aparcheggiare la lunga auto color argentodella signora Brant dinanzi all'ingresso.Sceso dalla vettura, l'uomo si portò unamano alla visiera in segno di saluto ecorse ad aprire il bagagliaio.

E in uno di quei lampi che di tanto intanto lo illuminavano, Danny captò perintero il pensiero della donna: unpensiero che galleggiava sul brusiosordo e confuso di emozioni e colori chedi solito gli giungeva nei luoghi affollati.(mi piacerebbe proprio entrargli nellebrache)Danny aggrottò la fronte mentreguardava i fattorini che sistemavano le

valigie nel bagagliaio. La signora Brantfissava con espressione corrucciatal'uomo in uniforme grigia chesovrintendeva all'operazione di carico.Perché mai voleva entrargli nellebrache? Che avesse freddo, nonostantela lunga pelliccia? Ma se davvero avevacosì freddo, perché non si era infilata unpaio di calzoni suoi? La sua mammaportava i calzoni per quasi tuttol'inverno.

L'uomo in uniforme grigia chiuse ilbagagliaio e tornò sui suoi passi peraiutare la donna a salire in macchina.Danny osservò attentamente la scena:voleva scoprire se la signora Brantavrebbe detto qualcosa a proposito dei

calzoni dell'uomo, ma la donna si limitòa sorridere e a sganciargli un dollaro dimancia. Un istante più tardi pilotava lagrossa auto color argento giù per ilviale.

Danny pensò di chiedere alla madreperché la signora Brant volesse i calzonidell'autista, ma poi cambiò idea erinunciò. Ci sono domande che ticacciano nei pasticci. Gli era giàaccaduto altre volte.

Preferì invece scivolare tra igenitori sul piccolo divano che liaccoglieva e guardò tutte le persone chesfilavano davanti al banco del portiereper saldare il conto dell'albergo. Eracontento che la mamma e il papà fosserofelici e si amassero, ma non poteva fare

a meno di sentirsi leggermente inquieto.Proprio non poteva impedirselo.

10Il cuoco non corrispondeva per nulla

all'immagine che Wendy si era fatta deltipico personaggio da cucina di unalbergo turistico. Prima di tutto, unpersonaggio del genere venivachiamatochef e non qualcosa di cosìprosaico come cuoco. Cucinare era ciòche faceva lei nella cucina del suoappartamento, quando gettava tutti gliavanzi in una pirofila imburrata e viaggiungeva un po' di pasta.

Inoltre, il mago della gastronomia diun posto come l'Overlook, che ricorrevanella colonna delle inserzioni

pubblicitarie riservate alle località divilleggiatura delNew York SundayTimes, avrebbe dovuto essere piccolo,rotondetto con le guance rubizze (un po'come nella pubblicità di certe marche dipasticcini). Avrebbe dovuto avere unpaio di baffetti sottili come un divodelle commedie musicali degli anniquaranta; occhi scuri, l'accento francesee una notevole carica di antipatia.

Hallorann aveva gli occhi scuri,questo sì. Ma nient'altro. Era un negrod'alta statura, con un'acconciatura afranon troppo voluminosa, appenaspolverata di grigio. Aveva un morbidoaccento meridionale e rideva incontinuazione, mettendo in mostra dentitroppo bianchi e troppo regolari per

essere qualcosa di diverso da unadentiera anno 1950, acquistata aimagazzini Sears & Roebuck. Anche ilpadre di Wendy ne aveva una uguale; lachiamava la sua Roebucker, e di tanto intanto, a cena, la sospingeva fuori, versodi lei, per farla ridere... sempre, siricordò Wendy in quel momento, quandosua madre era in cucina a prenderequalcos'altro, o parlava al telefono.

Danny aveva levato lo sguardostupito sul gigante nero vestito di sergiablu, e poi aveva sorriso quandoHallorann l'aveva sollevato da terracome una piuma e se l'era piazzato nelcavo del gomito, chiedendo: "Tu non tene starai quassù tutto l'inverno?"

"Sì, invece," aveva reagito Dannycon un timido sorriso.

"No, tu verrai con me a St. Pete eimparerai a cucinare e uscirai sullaspiaggia tutte le sante sere in cerca digranchi. Ti va?"

Danny ebbe un risolino felice, mafece di no con la testa. Hallorann lorimise a terra.

"Se cambierai idea," proposeHallorann chinandosi su di lui con ariasolenne, "sarà meglio che ti sbrighi. Framezz'ora al massimo salgo in macchina.E due ore e mezzo dopo sarò al cancello32, sala B di Stapleton, l'aeroportointernazionale della città di Denver, apiù di mille e cinquecento metri di

altezza, nel Colorado. Ancora tre ore enoleggerò un'auto all'aeroporto diMiami; dopo di che mi metterò inviaggio alla volta dell'assolata St. Pete,pronto a infilarmi il costume da bagno ea ridere come un matto di tutti quelli chesaranno rimasti intrappolati dalla neve.Te l'immagini, ragazzo mio?"

"Sì, signore." Danny sorrise.Hallorann si rivolse a Jack e a

Wendy. " Mi sembra proprio un bravoragazzino."

"Be', sì," disse Jack e tese la manoad Hallorann che gliela strinse. "Io sonoJack Torrance. Mia moglie Winnifred.Danny, l'ha già conosciuto."

"Ed è stato un piacere. Signora, lachiamano Winnie o Freddie?"

"Wendy," rispose lei con un sorriso."Benone. È meglio degli altri due,

secondo me. Da questa parte. Il signorUllman vuole che facciate il girodell'albergo." Scosse il capo e dissesottovoce: "Sarei proprio contento dinon aver più niente a che fare con lui."

Per prima cosa Hallorann liaccompagnò in una cucina immensa.Brillava di pulizia. Ogni superficie erastata tirata a lucido. Era qualcosa di piùche enorme: intimidiva. Wendy si tenneal fianco di Hallorann mentre Jack,spaesato, li seguiva con Danny,distanziato di qualche passo. Accanto aun acquaio a quattro vasche era appesoun lungo pannello dal quale pendeva

tutta una gamma di utensili taglienti cheandavano dai coltelli di mondatura allemannaie. C'era un'asse per il panegrande come il tavolo da cucina del loroappartamento di Boulder; e unostupefacente assortimento di pentole epadelle di acciaio inossidabile coprivaun'intera parete, da terra fino al soffitto.

"Credo che dovrò lasciarmi dietrouna traccia di briciole di pane per nonperdermi, ogni volta che entrerò quadentro," osservò Wendy.

"Non si lasci impressionare," laincoraggiò Hallorann. "È grande, sì, madopotutto è solo una cucina.

La maggior parte di questa roba nonavrà mai bisogno di toccarla. La tengapulita, è tutto quel che le chiedo. E

questa è la stufa che io userei, se fossinei suoi panni. Ce ne sono tre in tutto,ma questa è la più piccola."

La più piccola,pensò Wendyguardandola con occhio tetro. C'eranododici bruciatori, due forni normali euno da pizza, una sorta di conchettasopra la quale si poteva far sobbollire lesalse o stufare i fagioli, una graticola euno scaldapiatti, oltre a un numeroinfinito di quadranti e termostati.

"Tutto a gas," spiegò Hallorann. "Hagià cucinato col gas prima d'ora,Wendy?"

"Sì...""Mi piace il gas," proseguì lui, e

accese uno dei bruciatori. Una

fiammella azzurra si sprigionò all'istantee Hallorann l'abbassò con tocco delicatofinché non fu che un lieve bagliore. "Mipiacerebbe poter vedere con che fiammacucina, lei. Ha visto dove sono gliinterruttori per i bruciatori disuperficie?"

"Sì.""I quadranti dei forni sono tutti

segnati. Personalmente preferisco quellodi mezzo perché mi sembra che riscaldiin modo più regolare, ma lei usi purequello che vuole, o anche tutti e tre, nonha importanza."

"Un vassoio di surgelati inciascuno," disse Wendy e risedebolmente.

Hallorann scoppiò in una risata

sonora. "Se preferisce così, faccia pure.Le ho lasciato una lista di tutto ciò che ècommestibile, là vicino all'acquaio. Lavede?"

"Eccola, mammina!" Danny accorsecon due fogli di carta, coperti di unascrittura fitta fitta su tutt'e due lefacciate.

"Bravo," disse Hallorann,levandoglieli di mano e arruffandogli icapelli. "Sei sicuro di non voler venirecon me in Florida, giovanotto? Non ti vadi imparare a cucinare i più squisitigamberi alla creola di qua dal paradiso?

Danny si coprì la bocca con le manie ridacchiò rannicchiandosi al fianco delpadre.

"Voi tre quassù avreste da mangiareper un anno, direi," precisò Hallorann."Abbiamo una dispensa, una cellafrigorifera, bidoni di verdure di tutti itipi e due frigoriferi. Venite, che ve limostro."

Nei dieci minuti che seguironoHallorann aprì bidoni e porte, rivelandola presenza di quantità tali di cibo qualiWendy non aveva mai visto in vita sua.Le scorte alimentari la stupirono, ma nonla rassicurarono quanto avrebbe potutocredere: continuava a riaffiorarle allamente l'episodio della spedizioneDonner, senza l'idea del cannibalismo(con tutto quel cibo a disposizioneavrebbe dovuto passare molto tempo

prima che fossero ridotti a far ricorso aun'alimentazione così deprecabile), macol pensiero sempre più ossessivo chele prospettive fossero davvero gravi:quando fosse caduta la neve, andarsenedi lì non sarebbe stata roba da pococome un'ora di macchina per raggiungereSidewinder, ma un'impresa di cospicuaportata. Se ne sarebbero rimasti chiusilassù, in quel grande albergo deserto, aconsumare le scorte di cibo, simili apersonaggi di fiaba, e ad ascoltare l'urlodel vento attorno ai cornicioni assediatidalla neve. Nel Vermont, quando Dannysi era rotto il braccio (quando Jackaveva rotto il braccio di Danny)

aveva chiamato il pronto soccorso,componendo il numero telefonico

stampato sul cartoncino attaccato altelefono. Erano arrivati a casa appenadieci minuti dopo. Sul cartoncino eranoscritti altri numeri.

Un'auto della polizia poteva arrivarein cinque minuti, e un'autopompa in unlasso di tempo ancor minore, perché lacaserma dei vigili del fuoco era dietrol'angolo, a tre isolati di distanza. C'eraun uomo da chiamare se mancava laluce, un uomo da chiamare se siguastava la doccia, un uomo da chiamarese il televisore era fuori uso. Ma cosasarebbe accaduto se Danny avesse avutouno dei suoi attacchi e avesse inghiottitola lingua?

(oh, Dio, che idea!)

E se scoppiava un incendio? Se Jackcadeva nella tromba dell'ascensore e sifratturava il cranio? Se...?

(e se invece ci aspettasse un periodomeraviglioso, ora? Piantala, Winnifred!)Per prima cosa Hallorann li fece entrarenella cella frigorifera, dove il respirousciva di bocca condensandosi come ipalloncini dei fumetti. Nella cellafrigorifera era come se l'inverno fossegià arrivato.

Hamburger in grandi sacchi diplastica, cinque chili in ogni sacco, unadozzina di sacchi. Quaranta polli interiappesi a una fila di ganci fissati allepareti rivestite di legno. Una dozzina diprosciutti in scatola infilati l'uno

sull'altro come fiches da poker. Sotto ipolli, dieci arrosti di manzo, dieciarrosti di maiale e un enorme cosciottodi agnello.

"Ti piace l'agnello, dottore?"domandò Hallorann, sorridendo.

"Sì, sì, tanto," rispose pronto Danny.Non l'aveva mai assaggiato in vita sua.

"Lo sapevo. Non c'è niente che valgadue belle fette di agnello in una seratafredda, con un po' di gelatina di mentaaccanto. Qui c'è anche la gelatina dimenta. L'agnello fa bene all'intestino. Èuna carne che si digerisce facilmente."

"Come fa a sapere che lo chiamiamodottore?" chiese Jack alle loro spalle,incuriosito.

Hallorann si volse di scatto.

"Prego?""Danny. A volte lo chiamiamo

dottore. Come nei cartoni animati delleprotto."

"L'aria un po' dottorale ce l'ha, nonle pare?" Arricciò il naso all'indirizzodi Danny, fece schioccare le labbra edisse: "Ehi, che c'è, dottore?"

Danny ridacchiò e poi Hallorann glidisse qualcosa

(Sicuro che non vuoi venire inFlorida, dottore?)

molto chiaramente. Udì ogni parola.Guardò Hallorann, sorpreso e un po'spaventato. Hallorann gli strizzòl'occhio con aria buffamente solenne etornò a occuparsi del cibo.

Lo sguardo di Wendy si spostò dallelarghe spalle del cuoco alla figura delfiglio. Aveva la strana sensazione chetra loro fosse passato qualcosa,qualcosa che lei non riusciva apuntualizzare.

"Qui ci sono dodici pacchi disalsicce, dodici pacchi di pancettaaffumicata," riprese Hallorann. "E inquesto cassetto ci sono dieci chili diburro."

"Burrovero ?" chiese Jack."Di primissima qualità.""L'ultima volta che ho mangiato

burro vero dev'esser stato da bambino: aBerlin, nel New Hampshire."

"Be', qui ne mangerà fino a

scoppiare. La margarina le sembrerà unaleccornia!" Hallorann rise. "In quelbidone c'è il pane: trenta pagnotte dibianco, venti di scuro. All'Overlook cisforziamo di rispettare l'equilibriorazziale, sa. Ora, so che cinquantapagnotte non vi basteranno per tuttoquanto l'inverno, ma c'è tuttol'occorrente per farlo, e il pane fresco èmeglio di quello surgelato, tutti i giornidella settimana.

"Qua sotto c'è il pesce. Fa bene alcervello, vero, dottore?"

"È vero, mamma?""Se lo dice il signor Hallorann,

tesoro..."Danny arricciò il naso. "Il pesce non

mi piace," disse.

"Hai torto marcio," disse Hallorann."È solo che non hai mai mangiato unaqualità di pesce alla quale piacessi tu. Aquesto pesce piacerai moltissimo. Duechili e mezzo di trote arcobaleno, cinquechili di rombo, quindici scatolette ditonno..."

"Oh, sì, sì, il tonno mi piace,invece."

"... e due chili e mezzo delle sogliolepiù buone che abbiano mai nuotato inmare. Eh, caro mio, al ritorno dellaprimavera, ringrazierai il vecchio..."Fece schioccare le dita come se si fossedimenticato qualcosa: "Senti, senti,come mi chiamo io? Non riesco proprioa ricordarmene."

"Signor Hallorann," rispose Danny."Dick, per gli amici."

"Giusto! E siccome tu sei un amico,chiamami pure Dick."

Mentre Hallorann li pilotavanell'angolo più lontano della cellafrigorifera, Jack e Wendy siscambiarono un'occhiata perplessa,sforzandosi di ricordare se Hallorannavesse detto loro quale fosse il suonome di battesimo.

"E qui vi ho riservato qualcosa dispeciale," riprese Hallorann. "Spero chevi farà piacere, cari miei."

"Oh, ma non doveva disturbarsi,"disse Wendy, commossa. Era untacchino di dieci chili avvolto in un

largo nastro scarlatto che terminava conun fiocco.

"Avrete il vostro tacchino per ilGiorno del Ringraziamento, Wendy,"disse Hallorann in tono solenne.

"Credo che da qualche parte cidebba essere anche un cappone perNatale. Non dubito che lo scoverà.

Usciamo di qui prima di beccarcitutti la polmonite. Giusto, dottore?"

"Giusto!"Altre meraviglie li aspettavano in

dispensa. Cento scatole di latte inpolvere (Hallorann consigliò a Wendydi andare a Sidewinder finché erapossibile a comprare latte fresco per ilbambino), cinque sacchi di zucchero dadieci chili ciascuno, un vaso da un

gallone di melassa scura, vasi di vetrocolmi di riso, maccheroni, spaghetti; filee file di scatole di macedonia e fruttasciroppata; un gran cesto di mele frescheche spargevano profumo d'autunnonell'intera stanza; uva, prugne ealbicocche secche ("Bisogna averel'intestino regolato per essere felici,"disse Hallorann e proruppe in unoscroscio di risa proiettandolo verso ilsoffitto della dispensa dal qualependeva un antiquato globo fissato a unacatena di ferro); un bidone pieno dipatate; e recipienti più piccoli colmi dipomodori, cipolle, rape, meloni ecavoli.

"Dio mio!" esclamò Wendy mentre

uscivano. Ma la vista di tutto quel cibofresco dopo un periodo di bilanciosettimanale di trenta dollari, la lasciòcosì attonita che non fu in grado diandare oltre quel subitaneo esclamativo.

"Sono un po' in ritardo," disseHallorann, dando un'occhiataall'orologio. "Lascio a voi diispezionare armadi e frigoriferi, unavolta che vi sarete installati. Ci sonoformaggi, latte in scatola, lattecondensato zuccherato, lievito di birra,lievito in polvere, un sacco intero difocaccine e qualche casco di banane cheal momento, però, non sono mature..."

"Basta," lo bloccò Wendy, levandouna mano e ridendo. "Non riuscirò mai aricordarmi tutto. È fantastico. E le

prometto di lasciare questo posto inperfetto ordine."

"È tutto quel che chiedo." Hallorannsi rivolse a Jack. "Il signor Ullman le harecitato la tiritera sui topi che esistonosolo nella sua testa?"

Jack sorrise. "Mi ha detto che forsece n'era qualcuno in soffitta, e il signorWatson ha detto che probabilmente ce nesono degli altri giù in cantina. Là sottoci devono essere almeno due tonnellatedi carta, ma io non ho visto strisce obrandelli da far pensare che se ne sianoserviti per fabbricarsi i nidi."

"Che peccato!" esclamò Hallorannpilotandoli indietro verso le grandiporte a battente che immettevano nella

sala da pranzo dell'Overlook. "È genteche una volta era piena di quattrini. Èstato il nonno o il bisnonno di Watson acostruire questo posto, non ricordo conesattezza."

"Così mi hanno detto," precisò Jack."Cos'è successo?" domandò Wendy."Be', non riuscivano a tirare avanti,"

spiegò Hallorann. "Watson leracconterebbe la storia da cima a fondoun paio di volte al giorno, se solo glienedesse l'occasione. Il vecchio aveva lafissa di questo posto. Dalli e dalli, èandato in malora. Aveva due figli e unodei due è rimasto ucciso cadendo dacavallo, mentre l'albergo era ancora incostruzione. Dev'essere stato nel 1908 o1909. La moglie del vecchio è morta di

spagnola, e così sono rimasti solo ilvecchio e il figlio più giovane. Hannofinito col farsi assumere come guardianidell'albergo che il vecchio avevacostruito."

"È proprio un peccato," convenneWendy.

"Che cosa gli è successo, alvecchio?" chiese Jack.

"Per sbaglio ha infilato un dito inuna presa della corrente ed è stata lafine," rispose Hallorann. "È stato neiprimi anni trenta, prima che laDepressione facesse il resto: l'albergo èrimasto chiuso per dieci anni.

"Comunque, Jack, le sarò moltograto se lei e sua moglie terranno gli

occhi bene aperti per evitare che i topisi infilino anche in cucina. Se dovessevederne qualcuno... trappole, nonveleno."

Jack socchiuse gli occhi. "Ma certo:a chi verrebbe in mente di spargereveleno per i topi in cucina?"

Hallorann rise, sarcastico. "Alsignor Ullman, ecco a chi. Ha avutoquest'idea luminosa l'autunno scorso.Gliel'ho fatto notare. Gli ho detto: 'E setutti noi venissimo su il prossimomaggio, signor Ullman, e io servissi latradizionale cena di inaugurazione' chedi solito consiste in salmone con unasalsina meravigliosa, e tutti si sentisseromale e venisse il dottore e le dicesse:Ullman, che cos'ha combinato qua

dentro? Ha fatto fuori col veleno per itopi ottanta tra le persone più ricched'America!' "

Jack rovesciò la testa e scoppiò aridere. "E Ullman, che cos'ha detto?"

Hallorann si gonfiò una guancia conla lingua, come se frugasse in cerca diun rimasuglio di cibo. "Ha detto: 'Siprocuri qualche trappola, Hallorann.'"

Questa volta risero tutti, persinoDanny, anche se non era proprio sicurodi aver capito il significato delloscherzo, tranne che aveva qualcosa a chefare col signor Ullman, il quale non erache sapesse proprio tutto.

Attraversarono la sala da pranzo,ora deserta e silenziosa, con la sua vista

stupenda verso ovest sui picchispolverati di neve. Le tovaglie di linobianco erano state coperte con un fogliodi plastica trasparente. Il tappeto,arrotolato per il periodo di chiusura,stava ritto in un angolo, simile a unasentinella di guardia.

All'altro capo dell'ampia sala siapriva una doppia porta a vento, e,sopra le porte, un'antiquata targhettarecava la scritta dorata:The ColoradoLounge.

"Se lei beve, spero che si sia portatoappresso la scorta," disse Hallorann,che seguiva lo sguardo di Jack. "Quihanno fatto sparire tutto. Sa, ieri sera c'èstata la festicciola d'addio delpersonale. Oggi tutte le cameriere e i

fattorini se ne vanno attorno col mal ditesta, e io pure."

"Non bevo," fece laconico Jack.Tornarono nell'atrio.

Durante la mezz'ora che avevanotrascorso in cucina la folla si eraalquanto diradata. La lunga salaprincipale cominciava ad assumerel'aspetto tranquillo, deserto, col qualeJack supponeva che non avrebberotardato a prendere dimestichezza. Lesedie dall'alto schienale erano vuote. Lemonache che prima sedevano accanto alfuoco se n'erano andate e, quanto alfuoco, era ormai ridotto a uno strato dibraci che si consumavano adagio.Wendy guardò fuori e vide che il

parcheggio era semideserto: nonrestavano che una dozzina di automobili.

Si scoprì a desiderare che potesserorisalire sulla Volkswagen e tornare aBoulder... o in qualsiasi altro posto.

Jack si guardava attorno in cerca diUllman, ma nell'atrio il direttore nonc'era.

Si avvicinò una giovane camerieracoi capelli biondocenere appuntati sullanuca. "Il tuo bagaglio è fuori sotto ilportico, Dick."

"Grazie, Sally." Le diede un bacettosulla fronte. "Ti auguro un buon inverno.Ho saputo che ti sposi."

Si voltò verso i Torrance mentre laragazza si allontanava, ancheggiandosfacciatamente. "Devo spicciarmi se

voglio prendere quell'aereo. Vi augurodi gran cuore tutto il bene possibile. Soche l'avrete."

"Grazie," disse Jack. "Lei è statomolto gentile."

"Avrò cura della sua cucina," tornò apromettere Wendy. "Si diverta inFlorida."

"È quel che faccio sempre," disseHallorann, e si chinò su Dannyposandosi le mani sulle ginocchia. "Èl'ultima occasione, amico. Vuoi venirein Florida?"

"No, direi di no," rispose Danny conun sorriso.

"Benone. Ti va di venire a darmi unamano a caricare le valigie sulla

macchina?""Se la mamma mi dà il permesso.""Te lo do," disse Wendy.

"Abbottonati la giacca, però." E siprotese per farlo, ma Hallorann laprecedette, muovendo le grosse ditabrune con singolare destrezza.

"Glielo rimando indietro subito.""Benissimo," disse Wendy e li seguì

fino alla porta. Jack si guardava attornoin cerca di Ullman. Gli ultimi ospitidell'Overlook saldavano il conto albanco della portineria.

11Fuori della porta erano ammucchiate

quattro valigie: tre vecchi valigionimalandati in similpelle nera imitazione

coccodrillo e un'enorme sacca di stoffascozzese un po' sbiadita, chiusa da unacerniera lampo.

"Ce la fai a spostare questa, vero?"chiese Hallorann a Danny. Quanto a lui,sollevò con una mano due valigioni es'infilò il terzo sotto il braccio.

"Sicuro," rispose Danny. Afferrò lasacca con tutt'e due le mani e seguì ilcuoco giù per gli scalini del porticato,sforzandosi coraggiosamente di nongemere per non dare a vedere quantofosse pesante.

Dopo il loro arrivo s'era levato unvento secco e tagliente, che sibilava sulparcheggio, costringendo Danny astrizzare gli occhi mentre reggeva lasacca dinanzi a sé, facendosela

rimbalzare contro le ginocchia. Foglieerranti di abete rosso frusciavano erotolavano veloci sulla distesa d'asfaltoormai quasi completamente deserta,ricordando a Danny quella notte dellasettimana passata, quando si era destatodall'incubo e aveva udito, o almenoaveva creduto di udire, Tony che glidiceva di non andare.

Hallorann posò le valigie accanto albagagliaio di una Plymouth Fury colornocciola. "Non è gran che, comemacchina," confidò a Danny. "L'ho presaa nolo. La mia Bessie mi aspetta all'altrocapo della strada. Quella sì, che è unamacchina. Una Cadillac del 1950, esapessi come fila. Lo dico sempre a

tutti. La tengo in Florida perché è troppovecchia per arrampicarsi su questemontagne. Vuoi che ti dia una mano?"

"No, signore," rispose Danny. Senzaprotestare riuscì a portare la sacca pergli ultimi dieci o dodici gradini e ladepose a terra con un profondo sospirodi sollievo.

"Bravo," fece Hallorann. Levò ditasca un grosso mazzo di chiavi e aprì ilbagagliaio. "Tu irradi, ragazzo; più dichiunque altro abbia mai incontrato invita mia," disse, mentre sistemava levaligie. "E il prossimo gennaio compiròsessant'anni."

"Come, come?""Hai una dote naturale," spiegò

Hallorann, voltandosi. "Io, l'ho sempre

chiamata l'aura. La chiamava così anchemia nonna. Lei la possedeva. Quandoero un bambino, della tua età, ce nestavamo seduti in cucina e facevamochiacchierate interminabili senzabisogno di aprir bocca."

"Davvero?"Hallorann sorrise a Danny che lo

fissava a bocca aperta, con espressionequasi avida. "Vieni qualche minuto asederti in macchina con me," disse. "Hoqualcosa da dirti." E con un colpo seccorichiuse il bagagliaio.

Nell'atrio dell'Overlook, WendyTorrance vide suo figlio prender postosul sedile riservato ai passeggeridell'auto di Hallorann, mentre il grosso

cuoco negro s'infilava sotto il volante.Un'acuta fitta di paura la trapassò, e aprìla bocca per dire a Jack che Hallorannnon aveva scherzato quando avevaaccennato a voler portare il bambino inFlorida. Quello era un tentativo dirapimento. Ma i due si limitavano astarsene là seduti. Riusciva a scorgere amalapena la testolina del figlio, rivoltacon attenzione verso la grossa testa diHallorann. Anche a quella distanza latestolina aveva qualcosa che glielarendeva perfettamente riconoscibile: erala posa che assumeva quando allatelevisione davano qualcosa cheassorbiva totalmente la sua attenzione, oquando lui e il padre giocavano abriscola o a rubamazzetto. Jack, che si

stava ancora guardando attorno in cercadi Ullman, non aveva notato la scena.Wendy rimase zitta, fissando innervosital'auto di Hallorann; si chiedeva di cosamai parlassero, di così interessante, daindurre Danny a piegare la testa di lato aquel modo.

Nell'automobile, Hallorann stavadicendo: "Ti sei sentito molto solo,pensando di essere l'unico?"

Danny, che a volte aveva provato unsenso di spavento, oltre che disolitudine, fece cenno di sì. "Sonol'unico che abbia mai conosciuto?"domandò.

Hallorann rise e scosse il capo. "No,bambino, no. Ma sei quello che irradia

di più.""Ce ne sono tanti, allora?""No," rispose Hallorann, "ma se ne

trovano. C'è un sacco di gente chepossiede un po' di aura. Loro, però, nonlo sanno. Ma sembra sempre che sipresentino con un mazzo di fiori in manoquando le loro mogli hanno le paturnieper via dei disturbi mensili. A scuolasanno a menadito la lezione anche se nonl'hanno studiata, capiscono subito cosapensa la gente non appena mettono piedein una stanza. Ne ho incontrati unacinquantina, e anche più, di tipi delgenere; ma forse soltanto una dozzina,compresa mia nonna, che sapesseroirradiare."

"Uuh," fece Danny, cogitabondo.

Poi: "Lei conosce la signora Brant?""Quella?" uscì a dire Hallorann,

sprezzante. "La Brant non irradia affatto.Rimanda solo indietro la cena due o trevolte per sera, quella."

"Lo so che non irradia," ripreseDanny, vivace. "Ma conosce quell'uomocon l'uniforme grigia che porta le autoalla porta?"

"Mike? Sicuro, che lo conosco,Mike. E allora?"

"Signor Hallorann, perché la signoraBrant voleva i suoi calzoni? "

"Di che cosa diamine staiparlando?"

"Be', mentre lo guardava, la signorapensava che le sarebbe piaciuto

moltissimo infilarsi nelle sue brache, eio mi sono chiesto perché..."

Ma non proseguì. Hallorann avevarovesciato il capo e dal petto gliproruppe una risata piena, fragorosa, cherintronò nell'auto come una cannonata. Ilsedile era scosso dalla forza dellavibrazione.

Danny sorrise, perplesso, e alla finel'accesso di risa si placò. Halloranncavò un grande fazzoletto di seta daltaschino della giacca quasi fosse statauna bandiera bianca di resa e si asciugògli occhi inondati di lacrime.

"Caro mio," disse, sbuffando ancoraun tantino, "prima dei dieci anniconoscerai tutto quel che c'è daconoscere sulla condizione umana. Non

so proprio se invidiarti o meno.""Ma la signora Brant...""Non farci caso. E non fare domande

alla mamma. Finiresti col metterlasottosopra, capisci cosa voglio dire?"

"Sì, signore," rispose Danny. Capivaperfettamente. Gli era già capitato dimettere sua madre in agitazione.

"Quella signora Brant è solo unavecchia sporcacciona in fregola, eccotutto." E fissò Danny pensieroso. "Conquanta forza sei in grado di colpire,dottore?"

"Eh?""Tirami un colpo. Pensa a me.

Voglio sapere se possiedi tanto poterequanto credo."

"Che cosa vuole che pensi?""Una cosa qualsiasi. Devi solo

pensare con forza. Concentrati.""D'accordo." Danny meditò un

istante sulla faccenda, poi fece appello atutta la sua capacità di concentrazione ela scagliò verso Hallorann. Non avevamai fatto nulla di simile prima di allora,e all'ultimo momento una parte istintivadi lui ebbe il sopravvento, attutendo laforza cruda del pensiero: non voleva fardel male al signor Hallorann. E tuttaviail pensiero scoccò da lui còme unafreccia, con una forza di cui non sisarebbe mai creduto capace. Filò viacon la velocità di una palla scagliata daNolan Ryan, e fors'anche un tantino di

più.(Accidenti, spero di non fargli

male.)E il pensiero era:(!!! CIAO, DICK !!!)Hallorann sobbalzò e scattò

all'indietro sul sedile. I denti siserrarono con uno schiocco secco,facendogli colare dal labbro inferiore unrivoletto di sangue. Con moto istintivo,automatico, le gambe gli si sollevaronodalle ginocchia fino all'altezza del petto,poi si riabbassarono. Per un istante lesue palpebre sbatterono mollemente,prive di controllo cosciente, e Dannyebbe paura.

"Signor Hallorann? Dick? Stabene?"

"Non lo so," rispose Hallorann, erise debolmente. "Giuro su Dio che nonlo so. Ehi, giovanotto, sei come unapistola."

"Mi spiace," disse Danny, ancorapiù sconvolto. "Devo chiamare il miopapà? Corro a chiamarlo."

"No, adesso mi è passato. Sto bene,Danny. Stattene lì seduto buono buono.Sono un po' sottosopra, tutto qua."

"Non ho usato tutta la forza che avreipotuto," confessò Danny. "All'ultimomomento, ho avuto paura."

"È stata una fortuna, per me...probabilmente a quest'ora mischizzerebbe il cervello dalle orecchie."Si accorse dell'espressione spaventata

del volto di Danny e sorrise. "Non èsuccesso niente. Tu, che cos'haiprovato?"

"Come se fossi Nolan Ryan chescagliava la palla," rispose prontoDanny.

"Ti piace il baseball, eh?" Hallorannsi stava massaggiando cautamente letempie.

"Papà e io tifiamo per gli Angels,"rispose Danny. "Per i Red Sox nelgirone orientale e per gli Angels inquello occidentale. Abbiamo visto i RedSox giocare contro il Cincinnati nelleWorld Series. Ero molto più piccolo,allora. E papà era..." Il volto di Danny siincupì e assunse un'espressione turbata.

"Era cosa, Dan?"

"L'ho dimenticato." Danny fece perficcarsi il pollice in bocca persucchiarlo, ma era un gesto da bambinopiccolo. Tornò a posare la mano ingrembo.

"Riesci a capire che cosa pensano lamamma e il papà, Danny?" Hallorann loosservava assorto.

"Il più delle volte, sì, se voglio. Madi solito non ci provo."

"Perché no?""Be'..." Danny tacque un istante,

imbarazzato. "Sarebbe come spiare incamera ,da letto dal buco della serraturamentre fanno quella cosa che fa nascerei bambini. La conosce, quella cosa, lei?"

"Ci ho avuto a che fare," rispose

Hallorann con tono solenne."A loro non piacerebbe. E non gli

piacerebbe che spiassi i loro pensieri.Sarebbe una cosa sporca."

"Già!""Ma so quello che provano,"

proseguì Danny. "Non posso evitarlo. Soanche che cosa prova lei. Le ho fattomale. Mi spiace."

"Niente di grave, è solo un po' dimal di testa. Dopo certe sbronze sonostato anche peggio. Riesci a leggere nelpensiero delle altre persone, Danny?"

"Non so ancora leggere," risposeDanny, "tranne qualche parola. Maquest'inverno papà mi insegnerà.

Il mio papà insegnava a leggere e ascrivere in una grande scuola. A

scrivere, soprattutto, ma sa anche comesi fa a leggere."

"Intendo dire, riesci a capire cosapensa qualcun altro?"

Danny ci pensò su. "Ci riesco seèforte, "disse alla fine. "Come per lasignora Brant e i calzoni. Ó

come quella volta che la mamma e ioeravamo andati in quel grande negozio acomprare un paio di scarpe per me, ec'era quel ragazzo grande che guardavale radio, e pensava di prendersene unasenza comprarla. E poi ha pensato: e semi prendono sul fatto? E poi ha pensato:però la voglio. E poi ha pensato dinuovo alla possibilità che lo beccassero.Ci stava facendo una malattia, e faceva

star male anche me. La mamma parlavacon l'uomo che vende le scarpe, e cosìio gli sono andato vicino e gli ho detto:'Vattene, vattene, non prendere quellaradio.' E lui si è spaventato da matti. Sen'è andato come un baleno."

Hallorann sorrideva divertito."Immagino! Riesci a fare qualcos'altro,Danny? Riguarda solo i pensieri e isentimenti, o c'è dell'altro?"

"C'è dell'altro, per lei?" chiesetitubante.

"Qualche volta," rispose Hallorann."Non spesso. Qualche volta... qualchevolta ci sono sogni. Tu sogni, Danny?"

"Qualche volta. Sogno da sveglio.Dopo che arriva Tony." Provò di nuovol'impulso di ficcarsi il pollice in bocca.

Non aveva mai parlato a nessuno diTony, fuorché alla mamma e al papà.Costrinse in grembo la mano di cuisucchiava il pollice.

"Chi è Tony?"E all'improvviso Danny ebbe uno di

quei lampi di intuito che lospaventavano più di ogni altra cosa.

Era come la visione fuggevole di unamacchina incomprensibile che potevaessere sicura o mortalmente pericolosa.Lui era troppo giovane per deciderequale fosse il caso. Era troppo giovaneper capire.

"Cos'è che non va?" esclamò. "Leimi chiede tutto questo perché èpreoccupato, vero? Perché è

preoccupato per me? Perché èpreoccupato pernoi ?"

Hallorann posò le grosse mani scuresulle esili spalle del bambino. "Basta.Probabilmente non è niente.

Ma se qualcosa è... be', hai unagrossa cosa nella tua testa, Danny.Dovrai crescere ancora un bel po' primadi imparare a controllarla. Devi averecoraggio, molto coraggio."

"Ma io non capisco le cose!"proruppe Danny. "Le capisco, oppurenon le capisco! Gli altri... provanosentimenti e li provo anch'io, ma non soche cosa provo!" Chinò lo sguardo sulproprio grembo, avvilito. "Vorrei saperleggere. A volte Tony mi mostra certescritte e io non riesco a leggerle quasi

mai.""Chi è Tony?" tornò a chiedere

Hallorann."La mamma e il papà lo chiamano il

mio 'compagno di giochi invisibile',"spiegò Danny, quasi sillabando leparole. "Però esiste davvero. O almenoio credo che esista. A volte, quando misforzo di capire le cose, capita che luiarrivi. 'Danny, voglio farti vederequalcosa,' dice. Ed è come se svenissi.

Solo che... ci sono sogni, come hadetto lei." Fissò Hallorann e deglutì avuoto. "Una volta erano bei sogni. Maadesso... non riesco a ricordare laparola per indicare i sogni che mettonopaura e fanno venir voglia di piangere."

"Incubi?" chiese Hallorann."Sì. Ecco. Incubi.""Riguardano questo posto?

L'Overlook?"Danny tornò a chinare lo sguardo

sulla mano di cui stava succhiando ilpollice. "Sì," bisbigliò. Poi prese aparlare con voce stridula, lo sguardolevato al volto di Hallorann: "Ma nonposso dirlo al mio papà, e neppure lei.Non deve perdere questo posto perché èl'unico che lo zio Al sia riuscito atrovargli; e deve finire la sua commedia,altrimenti potrebbe ricominciare a farela Brutta Cosa e io lo so che cos'è, laBrutta Cosa: è ubriacarsi, ecco cos'è! Èquando era sempre ubriaco, e quella era

proprio una Brutta Cosa!" S'interruppe,sull'orlo delle lacrime.

"Ssst," fece Hallorann e attirò ilfaccino di Danny contro la ruvida sergiadella giacca. Emanava un sentore lievedi naftalina. "Va tutto bene, figliolo. E sequel pollice vuole la tua bocca, lascialoandare dove vuole." Ma avevaun'espressione turbata. "Ciò che tupossiedi, figliolo," continuò, "io lochiamo l'aura, la Bibbia lo chiama averele visioni, e certi scienziati lo chiamanoprecognizione. Ho letto un sacco di robasull'argomento. Questi modi di diresignificano vedere il futuro. Capisci checosa intendo dire?" Danny fece un cennod'assenso, il viso premuto sulla giaccadi Hallorann. "Ricordo la visione più

chiara che abbia mai avuto... credoproprio che non me ne scorderò mai. Erail 1955. Allora ero ancora militare, distanza al di là del mare, nella Germaniaoccidentale. Era un'ora prima di cena, eio me ne stavo accanto all'acquaio adare una tirata d'orecchi a uno deicucinieri perché aveva affettato un po'troppa polpa dalle patate assieme allabuccia. Gli dico: 'Avanti, fammi un po'vedere come fai.' Lui ha teso la patata eil raschietto e proprio allora l'interacucina è svanita. Puf! Proprio così. Tudici che vedi questo Tony prima... primadi sognare?"

Danny fece segno di sì.Hallorann gli cinse le spalle con un

braccio. "Io invece sento odored'arance. Quel pomeriggio avevocontinuato a sentire odore d'arance, manon ci avevo fatto caso perché erano inlista per la cena di quella sera.Avevamo trenta cassette di arancespagnole. Quella sera, in cucina,puzzavamo tutti di arance. Per unmomento è stato come se fossi svenuto.Poi ho udito un'esplosione e ho vistodivampare le fiamme. Gente che urlava,sirene. Poi ho udito un sibilo, nonpoteva essere altro che vapore. E poi miè sembrato di trovarmi un po' più vicinoa quel che succedeva e ho visto unacarrozza ferroviaria deragliata erovesciata su un fianco che recava lascrittaGeorgia and South Carolina

Railroad, e ho capito in un lampo chemio fratello Carl si trovava su queltreno, che Carl era morto.Semplicemente così. E poi la scena èsvanita ed ecco lì davanti a me quellostupido cuciniere terrorizzato checontinuava a tendere verso di me lapatata e il raschietto. Dice: 'Sta bene,sergente?' E io dico: 'No. Mio fratello èrimasto ucciso poco fa giù in Georgia'; equando finalmente sono riuscito amettermi in comunicazione telefonicacon la mia mamma, lei mi ha raccontatocom'erano andate le cose. Ma vedi,caro, io lo sapevo già com'erano andatele cose." Scosse il capo lentamente,come per scacciare il ricordo, e abbassò

lo sguardo sul bambino che lo fissavacon gli occhi spalancati. "Ma c'è unacosa che devi ricordare, ragazzo mio, edè questa:non sempre quelle cose siavverano. Quattro anni fa avevo unposto di cuoco in un campeggio perragazzi nel Maine, sul Long Lake. Me nestavo seduto accanto al cancellod'imbarco all'aeroporto Logan diBoston, in attesa di imbarcarmi sul miovolo, quando ho cominciato a fiutareodore d'arance. Per la prima volta daforse cinque anni. Così mi sono detto:'Mio Dio, che cosa mi succede, questavolta?' Sono sceso alle toilette e mi sonoseduto su uno dei water per mettermi unpo' in libertà. Non che sia propriosvenuto, ma ho cominciato ad avere la

netta sensazione che il mio aereosarebbe precipitato. Poiquell'impressione è svanita e anchel'odore d'arance. Sono tornato al bancodelle Delta Airlines e ho cambiato ilbiglietto, scegliendo un volo che partivatre ore dopo. E sai che cos'è successo? "

"Che cosa?" bisbigliò Danny."Niente!"disse Hallorann e rise. Fu

lieto di constatare che anche il bimboabbozzava un sorriso.

"Niente di niente! Quel vecchioaereo è atterrato in perfetto orario esenza il minimo danno o la minimaammaccatura. Così, vedi... a volte quellesensazioni non hanno conseguenze."

"Oh!" fece Danny.

"Oppure prendi le corse dei cavalli.Io ci vado spesso, sai, e di solito ciguadagno. Mi metto accanto allabalaustra quando i cavalli si allineano ainastri, e qualche volta ho qualchepiccolo presagio su questo o quello. Disolito queste premonizioni mi aiutano araggranellare un bel gruzzolo. Mi dicosempre che un giorno o l'altro nebeccherò tre in un colpo solo su trebrocchi, e con questa tripletta metteròassieme abbastanza soldi da andare inpensione in anticipo. Non è ancorasuccesso. Però è capitato molto spessoche sia tornato a casa dall'ippodromo intassi anziché a piedi e col portafogligonfio. Non c'è nessuno che sia

infallibile nel prevedere il futuro tranneforse il Padreterno, lassù in paradiso."

"Sì, signore," disse Danny, pensandoa quella volta, quasi un anno prima, cheTony gli aveva mostrato un bimboappena nato in una culla nella loro casadi Stovington. Ne era stato entusiasta eaveva aspettato, sapendo che ci volevatempo, ma non era arrivato nessunbambino.

"Adesso ascoltami," disseHallorann, e strinse nelle sue le mani diDanny. "Ho fatto anch'io qualche bruttosogno qui, e ho provato qualchesensazione spiacevole. Ho lavorato inquesto albergo per due stagioni e direiche almeno una dozzina di volte hoavuto... be', ho avuto degli incubi. E una

mezza dozzina di volte ho creduto divedere qualcosa. No, non ti dirò checosa. Non sono cose adatte a unbambino come te. Comunque, coseorribili. Una volta aveva a che fare conquelle maledette siepi tosate in modo darenderle somiglianti ad animali. Un'altravolta si è trattato di una cameriera,Dolores Vickery si chiamava, che avevaun piccolo potere, ma non credo che losapesse. Il signor Ullman l'halicenziata... sai cosa vuol dire, dottore?"

"Sì, signore," rispose Danny concandore. "Il mio papà è stato licenziatodal suo posto di insegnante ed è perquesto che adesso siamo qui nelColorado, credo."

"Be', Ullman l'ha licenziata per averdetto di aver visto qualcosa in una dellestanze dove... be', dove era successa unabrutta cosa. È successo nella camera217. Anzi, promettimi che non cientrerai, Danny. Neppure una volta intutto l'inverno. Gira al largo."

"Va bene," promise Danny. "Quellasignora... la cameriera... le ha chiesto diandare a dare un'occhiata?"

"Sì. E c'era una brutta cosa, làdentro. Ma... non credo che fosse unabrutta cosa che potesse far del male aqualcuno, Danny, è questo che intendodire. A volte chi possiede l'aura è ingrado di vedere cose che devono ancorasuccedere e io credo che talvolta riesca

a vedere cose che sono già accadute. Masono solo come le illustrazioni in unlibro. Hai mai visto un'illustrazione inun libro che ti abbia messo paura,Danny?"

"Sì." Pensò alla fiaba di Barbablù eall'illustrazione in cui l'ultima moglie diBarbablù apre la porta e vede tutte leteste.

"Ma sapevi che non poteva farti delmale?"

"Sss...iii," fece Danny, non moltoconvinto.

"Be', la stessa cosa vale per questoalbergo. Non so perché, ma sembra chedi tutte le brutte cose che sono accadutequi in varie occasioni, ne sia rimasto ingiro qualche frammento, come i ritagli di

unghie o la lanuggine che qualchepersona poco scrupolosa si èaccontentata di spazzare sotto una sedia.Non so perché debba succedere proprioqui; immagino che episodi sgradevolisiano accaduti in ogni albergo delmondo, o quasi, e io ho lavorato in unsacco di alberghi senza mai avere grane.Solo qui. Ma, Danny, non credo chequeste cose possano fare del male aqualcuno." Accentuò ogni parola dellafrase scuotendo dolcemente il bimbo perle spalle. "Così, se dovessi vederequalcosa, in un corridoio o in una stanzao anche fuori, vicino a quelle siepi...basterà che guardi dall'altra parte equando ti volterai tutto sarà sparito. Mi

segui?""Sì." Danny si sentiva molto meglio,

molto più tranquillo. Si sollevò sulleginocchia, posò un bacio sulla guanciadi Hallorann e lo abbracciò stretto.Hallorann ricambiò l'abbraccio.

"I tuoi genitori, non possiedonol'aura, vero?" chiese al bambino quandoallentò la stretta.

"No, non credo.""Li ho messi alla prova come ho

fatto con te," spiegò Hallorann. "La tuamamma ha avuto un lieve sussulto.Credo che ogni madre riesca a leggereun poco nel futuro, sai, almeno finché iloro bambini non sono abbastanza grandiper badare a se stessi. Il tuo papà.."

Hallorann fece una breve pausa.

Aveva messo alla prova il padre delbimbo, e non avrebbe saputo dire.

Non era stato come incontrarequalcuno che possedesse l'aura oqualcuno che ne fosse decisamentesprovvisto. Stuzzicare il padre di Dannyera stato... una cosa strana, come se JackTorrance avesse in séqualcosa...qualcosa. . che cercasse dinascondere. Oppure qualcosa che tenevasepolto in un profondo recesso di sé, alpunto da non potervi arrivare.

"Non credo che possieda l'aura,"concluse Hallorann. "Per cui nonpreoccuparti per loro. Abbi solo cura dite.Non credo che qui ci sia qualcosa chepossa farti del male. Sii solo prudente,

d'accordo?""D'accordo.""Danny! Ehi, dottore!"Danny si volse a guardare. "È la

mamma. Mi sta chiamando. Devoandare."

"Lo so che devi andare. Divertiti,Danny. Passatela meglio che puoi,comunque."

"Sì, certo. Grazie, signor Hallorann.Mi sento molto meglio."

Il pensiero sorridente gli si presentòalla mente:

(Dick, per gli amici)(Sì, Dick, d'accordo)I loro sguardi s'incrociarono, e Dick

Hallorann strizzò l'occhio.Danny si spostò un po' goffamente

sul sedile dell'auto e aprì la portiera dallato del passeggero. Mentre scendevadalla macchina Hallorann disse:"Danny?"

"Sì?""Se ci fossero complicazioni...

fammi un fischio. Un richiamo fortissimocome quello che mi hai lanciato qualcheminuto fa. Sarò in grado di udirti anchegiù in Florida. E se ti sento, arriverò dicorsa."

"D'accordo.""Danny sorrise."Fa' attenzione, ragazzo mio.""Sì."Danny sbatté la portiera e attraversò

di corsa il parcheggio in direzione del

portico, dove Wendy stava rittastringendosi le braccia attorno al corpoper proteggersi dal vento gelido.Hallorann indugiò a guardare, mentre illargo sorriso gli svaniva lentamentedalle labbra.

Non credo che qui ci sia qualcosache possa farti del male.

Noncredo.E se invece si sbagliava? Aveva

saputo che quella sarebbe stata la suaultima stagione all'Overlook sin daquando aveva visto quella cosa nellavasca da bagno della camera 217. Erastato peggio di qualsiasi illustrazione inqualsiasi libro, e da lì il bambino checorreva verso la madre sembravacosìpiccolo. .

Noncredo. .Spostò adagio lo sguardo sino agli

animali del giardino ornamentale.Avviò con gesto brusco il motore,

innestò la marcia e mise in moto,sforzandosi di non voltarsi a guardare. Enaturalmente lo fece, e naturalmente ilporticato era deserto. Erano rientrati.Era come se l'Overlook li avesseinghiottiti.

12"Di che cosa parlavate, tesoro?" gli

chiese Wendy mentre rientravano."Oh, niente di speciale.""Per essere niente di speciale è stata

una chiacchierata piuttosto lunga."Il bambino si strinse nelle spalle, e

quel gesto fece vedere a Wendy suopadre riflesso in Danny. Jack nonavrebbe saputo farlo meglio. Nonsarebbe riuscita a cavare altro di boccaa Danny. Provò un senso di profondaesasperazione misto a un sentimento diamore ancora più profondo. L'amore eraimpotente, l'esasperazione proveniva dalfatto' di sentirsi deliberatamente esclusa.A volte, in presenza di quei due Wendysi sentiva un'estranea, come unacomparsa che per errore fosse tornata inpalcoscenico mentre si recitava la scenamadre. Be', non sarebbero riusciti aescluderla, quell'inverno, quei suoi duemaschi esasperanti; l'alloggio sarebbestato un tantino troppo intimo perchéaccadesse. Di colpo si rese conto che

provava una specie di gelosia perquell'intima vicinanza tra marito e figlio,provò un impeto di vergogna. Era tropposimile ai sentimenti che forse avevaprovato sua madre... troppo simile pernon sentirsi a disagio.

L'atrio adesso era deserto, eccezionfatta per Ullman e il capo portiere(erano alla cassa, a fare i conti), per unpaio di cameriere che si erano infilaticalzoni e maglioni di lana, ritte accantoall'ingresso a guardar fuori con i bagagliammucchiati attorno a loro, e perWatson, l'addetto alla manutenzione.

Watson sorprese Wendy a fissarlo ele lanciò una strizzatina d'occhidecisamente allusiva. Lei distolse lo

sguardo all'istante. Jack stava accantoalla finestra appena oltre il ristorante aosservare il panorama.

Aveva un'aria rapita, sognante.A quanto pareva il registratore di

cassa aveva assolto ai suoi compiti,perché Ullman lo chiuse con uno scattodeciso e autoritario. Appose le sueiniziali al nastro e lo infilò in un piccoloastuccio chiuso da una cerniera lampo.Wendy applaudì in silenzio il capoportiere, che appariva oltremodosollevato.

Ullman sembrava il tipo capace dicolmare il minimo deficit con la pelledel capo portiere... senza neppurespargere una goccia di sangue. A Wendynon andavano a genio né Ullman né i

suoi modi intriganti, ostentatamenteaffaccendati. Era simile a ogni altrocapo che avesse mai avuto, non importase maschio o femmina. Senza dubbio eradolce come la saccarina con gli ospiti emeschinamente tirannico dietro lequinte, col personale. Ma ora la scuolaera finita e sul volto del capo portiere sileggeva una palese soddisfazione. Erafinita per tutti, fuorché per lei e Jack eDanny, comunque.

"Signor Torrance," chiamò Ullmancon tono perentorio. "Vuol venire qui,per favore?"

Jack si avviò, facendo cenno aWendy e a Danny di seguirlo.

L'impiegato, che si era ritirato in un

ufficio sul retro, ne uscì in quel momentocon indosso un soprabito. "Le auguro unpiacevole inverno, signor Ullman."

"Ne dubito," disse Ullman con ariaremota. "Il 12 maggio, Braddock. Né ungiorno prima né un giorno dopo."

"Sì, signore."Braddock girò attorno al banco,

l'espressione austera e dignitosa, comesi addiceva al suo rango, ma quando sitrovò a dare le spalle a Ullman sorrisecome uno scolaretto. Rivolse qualcheparola alle due ragazze ancora in attesaaccanto alla porta che arrivasse la loroauto, e uscì inseguito da un brevescoppio di risa soffocate.

Ora Wendy non poté non accorgersidel silenzio che regnava in quel luogo.

Era caduto sull'albergo come unapesante cappa che attutisse ogni cosa aeccezione del lieve pulsare del ventopomeridiano all'esterno. Dal punto in cuisi trovava riusciva a scorgere l'internodell'ufficio, ora lindo fino alla sterilità,con le due scrivanie nude e le due file dischedari grigi. Più in là scorgeva lacucina immacolata di Hallorann, con levistose porte doppie munite di oblò,tenute aperte da cunei di gomma.

"Ho pensato di trattenermi qualcheminuto di più per farvi fare il girodell'Albergo," spiegò Ullman; e Wendyrifletté che nella voce di Ullman quell'ainiziale era sempre maiuscola. Ed erapronunciata in modo che lo si capisse.

"Non dubito che suo marito imparerà aconoscere a menadito l'Overlook in tuttii suoi aspetti, signora Torrance, maimmagino che lei e il bambino se nestaranno perlopiù nel vestibolo e alprimo piano, dove si trovano le lorostanze."

"Senza dubbio," mormorò Wendycon tono riservato, e Jack le scoccòun'occhiata strettamente personale.

"Questo è un posto splendido,"riprese Ullman gioviale. "Sono moltolieto di farvi da guida."

Figuriamoci,pensò Wendy."Saliamo al terzo piano e

cominciamo il giro dall'alto," disseUllman. Sembrava sinceramentesoddisfatto.

"Non vorremmo farle perderetempo..." prese a dire Jack.

"Nemmeno per sogno. Abbiamochiuso bottega.Tout fini, per questastagione. E mi riprometto di passare lanotte a Boulder, al Boulderado,naturalmente, l'unico albergo decente daquesta parte di Denver... a eccezionedell'Overlook, beninteso. Per di qua."

Entrarono in massa nell'ascensore,fittamente adorno di volute di rame eottone, che si abbassò sensibilmentesotto il peso dei loro corpi. Poi Ullmanfece scorrere la grata di chiusura. Dannysi agitò, un tantino a disagio, e Ullmangli sorrise. Il bimbo si sforzò diricambiarlo senza apprezzabile

successo."Non preoccuparti, ometto," lo

incoraggiò Ullman. "È sicuro come sefosse casa tua."

. "Lo era anche il Titanic," obiettòJack, levando lo sguardo al globo divetro intagliato al centro del soffittodell'ascensore. Wendy si morse l'internodella guancia per trattenere il sorriso.

Ullman non parve apprezzare labattuta. "Il Titanic ha fatto solo unatraversata, signor Torrance, questoascensore è salito e sceso migliaia divolte da quando lo hanno installato nellontano 1926."

"Un argomento rassicurante," disseJack. Arruffò i capelli di Danny."L'aereo non precipiterà, dottore."

Ullman tirò la leva, e per un istantenon si udì nulla all'infuori di una sorta difremito sotto i loro piedi e del gemitotormentoso del motore, giù in fondo.Wendy ebbe la visione di loro quattrointrappolati tra un piano e l'altro, similia mosche prigioniere di una bottiglia eritrovati in primavera in condizioni nondissimili dai membri della spedizioneDonner.

(Piantala!)L'ascensore prese a salire, dapprima

titubante, poi a ritmo costante e regolare.Giunti al terzo piano, Ullman lo arrestòcon un sussulto, fece scorrere ilcancelletto nel senso opposto e aprì laporta. La cabina era ancora a una

quindicina di centimetri sotto il livellodel piano. Danny osservò la differenzadi livello tra il corridoio del terzo pianoe il pavimento dell'ascensore come se sifosse reso conto proprio allora chel'universo non era equilibrato come gliera stato raccontato. Ullman si schiarì lagola e fece salire ancora un pocol'ascensore, lo arrestò di scatto (almenocinque centimetri ancora troppo inbasso), e ne uscirono tutti e quattro.Sbarazzata del loro peso, la cabinarimbalzò quasi al livello del piano, unparticolare che Wendy giudicò tutt'altroche rassicurante. Decise che avrebbedato la preferenza alle scale quandoavesse dovuto salire o scendere. E innessun caso avrebbe permesso che

entrassero tutti e tre assieme in queltrabiccolo malandato.

"Che cosa stai guardando, dottore?"indagò Jack con aria divertita. "Haiscoperto qualche macchia?"

"Impossibile," intervenne Ullmanpunto sul vivo. "Tutti i tappeti sono statipuliti a secco due giorni fa."

Wendy sbirciò la passatoia. Bella,non c'era che dire, ma diversissima daquel che avrebbe scelto per casa sua,ammesso che venisse mai il giorno incui ne avesse avuta una. Soffice, di unazzurro cupo, recava un disegnointricato, una sorta di giungla surrealistafatta di liane e rampicanti e frondepopolate di uccelli esotici.

Percorsero l'ampio corridoio. Lepareti erano tappezzate in seta di unazzurro più chiaro che contrastavagradevolmente con la tonalità più scuradella passatoia. Lampade a muro eranosistemate a intervalli di tre metri l'unadall'altra e a un'altezza di circa un paioda terra. Fatte a imitazione dei lampionia gas londinesi, le lampadine eranonascoste da paralumi di vetrosmerigliato di una sfumatura crema, aloro volta imprigionati in una sorta digabbia di vetro.

"Mi piacciono moltissimo," disseWendy.

Ullman annuì, compiaciuto. "Le hafatte installare il signor Derwent in tutto

l'albergo dopo la guerra.La Seconda Guerra Mondiale,

voglio dire. In effetti, quasi tutto, se nontutto, l'arredamento del terzo piano èstato ideato da lui. Questo è il 300,l'Appartamento Presidenziale."

Infilò la chiave nella toppa delledoppie porte di mogano e le spalancò. Ilpanorama che si godeva dalla finestraoccidentale del salotto gli mozzò il fiato,il che con tutta probabilità era stataproprio l'intenzione di Ullman. Ullmansorrise: "Bella vista, vero?"

"Direi proprio di sì," fu la rispostadi Jack.

La finestra occupava quasi per interola parete del salotto, e sullo sfondo ilsole si librava a picco tra due vette

frastagliate, inondando di luce dorata idirupi rocciosi e la neve zuccherina checoronava le cime più elevate. Anche lenuvole che aureolavano e si stagliavanosullo sfondo di questa veduta dacartolina erano sfumate d'oro, e unraggio di sole scendeva a illuminare diuna luce un poco irreale la macchiascura degli abeti sotto la linea dellavegetazione.

Jack e Wendy erano così assorti acontemplare il panorama che nonchinarono lo sguardo su Danny, a suavolta impegnato a studiare la tappezzeriadi seta a righe rosse e bianche dellaparete alla sua sinistra, ove si aprivauna porta che dava accesso a una camera

da letto interna.Grandi macchie di sangue coagulato,

punteggiate di minuscoli frammenti diuna materia biancogrigiastra,chiazzavano la tappezzeria. Quella vistadava la nausea a Danny. Era come unaillustrazione allucinata e grottescadisegnata col sangue, un'acquafortesurrealista raffigurante il volto di unuomo alterato dal terrore e dal dolore, labocca beante e una metà della testapolverizzata...

(Se dovessi vedere qualcosa. .voltati dall'altra parte, e quando tigirerai a guardare, sarà sparita. Misegui?)

Danny guardò deliberatamente dallafinestra, badando che l'espressione del

volto non tradisse le. sue emozioni; equando la mano della mamma si chiusesulla sua, l'afferrò, badando di nonstringerla e di non trasmetterle alcunsegnale.

Il direttore stava parlando al suopapà della necessità di sbarrare adovere quella grande finestra, perimpedire che una raffica di vento laspalancasse, e Jack annuiva. Danny sigirò cautamente a guardare la parete. Lagrande macchia di sangue coagulato erasparita, al pari dei puntolinibiancogrigiastri di cui era disseminata.

Ed ecco che Ullman li pilotava fuori.La mamma gli chiedeva se trovava chele montagne fossero belle. Danny

rispose di sì, anche se in realtà dellemontagne non gli importava un fico.Mentre Ullman chiudeva la porta dietrodi loro, Danny si volse a guardare dasopra la spalla. Ed ecco: la macchia disangue era ricomparsa, solo che ora erafresca. Colava. Ullman, che pure lafissava direttamente, continuò il suosproloquio a proposito degli uominifamosi che avevano soggiornatonell'appartamento.

Danny scoprì di essersi morso illabbro con tanta forza da farlosanguinare; e tuttavia non se n'eranemmeno accorto. Mentre percorrevanoil corridoio, indugiò qualche istantedietro gli altri; si terse il sangue dallelabbra col dorso della mano e pensò al

(sangue)(Il signor Hallorann aveva visto il

sangue o qualcosa di peggio?) (Noncredo che quelle cose possano farti delmale.)

Dietro le labbra gli urgeva un urlo,ma non doveva lasciarselo scappare. Lamamma e il papà non erano in grado divedere cose del genere; non le avevanomai viste. Lui se ne sarebbe stato zitto.La mamma e il papà si amavano, equesto era qualcosa di reale. Le altrecose erano simili alle illustrazioni di unlibro: certe illustrazioni facevano paura,ma non potevano far male.Non. .potevano. . far male.

Il signor Ullman mostrò loro qualche

altra stanza del terzo piano, guidandolilungo corridoi che deviavano es'intersecavano come un labirinto. Eranovere e proprie bomboniere, disse ilsignor Ullman, anche se Danny didolciumi non ne vedeva affatto. Ildirettore gli svelò l'esistenza di cameredove una volta aveva alloggiato unasignora che si chiamava MarilynMonroe quando era sposata con un tale anome Arthur Miller (Danny captòvagamente l'idea che questa Marilyn equesto Arthur avevano DIVORZIATOnon molto tempo dopo il loro soggiornoall'Overlook).

"Mamma?""Che c'è, tesoro?""Se erano sposati, perché avevano

due cognomi diversi? Tu e papà vichiamate con lo stesso cognome."

"Sì, ma noi non siamo famosi,Danny," spiegò Jack. "Le donne famoseconservano lo stesso cognome anchedopo sposate, perché è il cognome chegli consente di guadagnarsi la pagnotta."

"La pagnotta," ripeté Danny,disorientato.

"Papà vuol dire che la gente sidivertiva ad andare al cinema a vedere ifilm di Marilyn Monroe," spiegò Wendy,"ma che forse non le sarebbe piaciutoandare a vedere Marilyn Miller."

"E perché no? Era sempre la stessasignora. E non lo avrebbero saputotutti?"

"Sì, ma..." Wendy guardò Jackinvocando aiuto.

"In questa stanza una volta hasoggiornato Truman Capote," interruppespazientito Ullman. Aprì la porta. "Erogià io il direttore. Un uomo delizioso. Dimodi europei."

Non c'era nulla di singolare in quellestanze, a eccezione dell'assolutamancanza di dolci, nonostante i continuiriferimenti del signor Ullman; nulla dicui Danny avesse paura. In effetti alterzo piano c'era soltanto un'altra cosache preoccupò Danny, anche se nonavrebbe saputo dire che cosa. Eral'estintore applicato alla parete pocoprima dell'angolo che girarono per

tornare verso l'ascensore, che attendevaspalancato, simile a una bocca fitta didenti d'oro.

Era un estintore di foggia antiquata:un tubo flessibile piatto avvolto su sestesso una dozzina di volte, conun'estremità fissata a una grossa valvolarossa, l'altra terminante in un beccucciodi ottone. Le spire della manichettaerano assicurate con una stecca rossad'acciaio a un cardine. In caso diincendio bastava sollevare e scardinarela stecca d'acciaio con uno strattone e ilnastro si liberava. Danny l'aveva capitosubito; capiva con grande facilità comefunzionavano le cose. A due anni emezzo sapeva già sbloccare ilcancelletto di protezione che suo padre

aveva installato in cima alle scale dellacasa di Stovington. Aveva osservatoattentamente il funzionamento delchiavistello. Il suo papà diceva che eraun DONO DI NATURA. Certa genteaveva il DONO DI NATURA ecert'altra no.

Quell'estintore era un tantino piùvecchio di altri che aveva avutooccasione di vedere, quello della scuolamaterna, per esempio, ma non era poiuna cosa tanto insolita. Ciononostante glidava un lieve disagio, avvoltolatocom'era contro la tappezzeria azzurrochiaro come un serpente addormentato.

Quando girarono l'angolo Danny fuben lieto di non vederselo più davanti

agli occhi."Naturalmente tutte le finestre

devono essere sbarrate," precisò ilsignor Ullman mentre risalivano inascensore. Di nuovo la cabina siabbassò sotto i loro piedi, provocandouna lieve sensazione di nausea.

"Mi preoccupa soprattutto quelladell'Appartamento Presidenziale. Eracostata quattrocentoventi dollari, a suotempo; e parlo di trent'anni fa. Oggi persostituirla ci vorrebbe otto volte tanto."

"La sprangherò," confermò Jack.Scesero al secondo piano, dove le

stanze erano più numerose, e ancor piùnumerosi i gomiti e le diramazioni delcorridoio. La luce che pioveva dallefinestre calava sensibilmente a mano a

mano che il sole declinava dietro ilcrinale montuoso. Il signor Ullmanmostrò loro un paio di stanze, e fu tutto.

Senza rallentare passò davanti alla217, quella contro cui l'aveva messo inguardia Dick Hallorann.

Danny guardò, affascinato e adisagio, l'innocua targhetta col numeroapplicato sulla porta.

Poi scesero al primo piano. Qui ilsignor Ullman non li fece entrare innessuna stanza finché non furono giuntiallo scalone ricoperto da un foltotappeto che scendeva nel vestibolo."Questo è il vostro alloggio," disse."Spero che lo troverete di vostrogradimento."

Entrarono. Danny si era preparato adaffrontare qualsiasi cosa potessecontenere; ma non c'era nulla.

Wendy Torrance provò un impeto disollievo. Con la sua fredda eleganza,l'Appartamento Presidenziale avevasuscitato in lei un moto di imbarazzo.Non aveva niente in contrario a visitareun edificio storico restaurato, con unacamera da letto dove una targaannunciasse che vi aveva dormitoAbramo Lincoln o Franklin D.Roosevelt; ma immaginare se stessa esuo marito stesi sotto qualche chilometroquadrato di lino e magari impegnati a farl'amore dove avevano giaciuto i piùillustri uomini del mondo (o meglio i più

potenti, si corresse), era decisamente unaltro paio di maniche.

Quell'appartamento, invece, era piùsemplice, più intimo, quasi invitante. Sidisse che in quel posto avrebbe potutotrascorrere una stagione senza grandidifficoltà.

"È molto piacevole," disse a Ullman,non senza una punta di gratitudine nellavoce.

Ullman annuì. "Semplice maadeguato. Durante la stagione questoappartamento è l'alloggio del cuoco e disua moglie, ovvero del cuoco e del suoaiuto."

"Abitava qui il signor Hallorann?"intervenne Danny.

Il signor Ullman piegò il capo verso

Danny, in un gesto condiscendente."Proprio così. Lui e il signor Nevers."Tornò a rivolgersi a Jack e a Wendy."Questo è il salotto."

C'erano parecchie poltrone, dimodesto aspetto ma confortevoli, untavolino basso non privo di pretese, maormai alquanto malconcio, due scaffalistipati di romanzi condensatidelReader's Digest e di trilogie del clubdei Gialli degli anni quaranta e untelevisore di linea alquanto anonima,assai meno elegante degli apparecchi dilegno lucido installati nelle stanze.

"Niente cucina, naturalmente,"spiegò Ullman, "ma c'è unmontavivande. L'appartamento si trova

proprio sopra la cucina." Fece scorrereun pannello di legno e mostrò loro unampio vassoio quadrato; gli impresseuna spinta e il vassoio scomparve,trainandosi una fune appresso.

"È un passaggio segreto!" esclamòDanny elettrizzato, rivolgendosi allamadre; e per un istante dimenticò le suepaure, attratto da quell'inebriante vanodietro la parete. "Proprio come inGiannie Pinotto e i mostri !"

Il signor Ullman si accigliò, maWendy sorrise con indulgenza. Dannycorse ad affacciarsi al montavivande esbirciò nel vano sottostante.

"Da questa parte, prego."Aprì la porta in fondo al soggiorno.

L'uscio dava sulla camera da letto che

era spaziosa e ben aerata.C'erano due letti gemelli. Wendy

guardò il marito, sorrise, si strinse nellespalle.

"Niente di male," disse Jack. "Liuniremo."

Il signor Ullman si voltò a guardarli,sinceramente perplesso. "Chiedoscusa?"

"I letti," spiegò Jack in tono affabile."Potremo unirli, immagino."

"Oh, certo, certo." Ullman eralievemente confuso. Poi il volto gli siilluminò e una vampa di rossore prese asalirgli dal colletto della camicia."Come preferite."

Li riaccompagnò in salotto, dove una

seconda porta si apriva su un'altracamera da letto arredata con un letto acastello. In un angolo ronzava unradiatore e il tappeto che copriva ilpavimento raffigurava un orrido intricodi cactus e salvia del deserto: Danny sen'era già invaghito, notò Wendy. Lepareti della stanzetta erano rivestite dipannelli d'abete.

"È di tuo gusto, dottore?" domandòJack.

"Ma certo. Dormirò nella cuccetta disopra. Va bene?"

"Come preferisci.""Mi piace anche il tappeto. Signor

Ullman, perché i tappeti non sono tutticome questo?"

Per un attimo parve che il signor

Ullman avesse affondato i denti in unlimone. Poi sorrise e carezzò la testa diDanny. "Ecco dunque il vostroalloggio," concluse, "oltre al bagno checomunica con la camera da letto piùgrande. Non è un appartamento moltospazioso, ma in compenso avete agio discorrazzare per tutto l'albergo. Ilcaminetto del vestibolo funziona ameraviglia, o almeno così mi ha dettoWatson.

Prendetevi pure la libertà dimangiare in sala da pranzo, tutte le volteche ne avrete voglia." Il suo tono eraquello di chi concede un favoreeccezionale.

"Perfetto," disse Jack.

"Scendiamo?" propose il signorUllman.

"D'accordo," rispose Wendy.Scesero con l'ascensore e trovarono

l'atrio completamente deserto, fattaeccezione per Watson che se ne stavaappoggiato alla porta d'ingresso, unostuzzicadenti fra le labbra, con indossouna giacca di pelle scamosciata.

"Credevo che a quest'ora fosseormai a chilometri di distanza,"commentò il signor Ullman con unapunta di freddezza nella voce.

"Mi sono trattenuto per ricordare alsignor Torrance la caldaia," spiegòWatson. "La tenga d'occhio come sideve, mi raccomando, e tutto andrà per

il meglio. Abbassi la pressione un paiodi volte al giorno. Striscia come unserpente."

Striscia come un serpente,pensòDanny, e le parole gli riecheggiarononella mente per un lungo corridoiosilenzioso, un corridoio tappezzato dispecchi nei quali era ben raro che lagente indugiasse a guardarsi.

"Lo farò," assicurò suo padre."Così non avrà grane," continuò

Watson, tendendo la mano a Jack chegliela strinse. Watson si volse dallaparte di Wendy e fece un cenno colcapo. "Signora."

"Molto lieta," rispose Wendy epensò che quella frase suonava assurda.Non era vero, invece. Wendy era

arrivata fin li dal New England, doveaveva trascorso tutta la sua vita, e lepareva che quel Watson, con la suasoffice zazzeretta, avesse riassunto inpoche brevi frasi tutto ciò che siriteneva fosse il West.

E la strizzatura d'occhio allusiva dipoco prima non contava per niente.

"Signorino Torrance," declamòWatson con tono solenne, tendendo lamano. Danny, che ormai da quasi unanno sapeva tutto sullo scambio deisaluti, allungò la sua cautamente e lasentì sparire, inghiottita da quelladell'uomo. "Abbi cura di loro, Danny."

"Sì, signore."Watson lasciò andare la mano di

Danny e si raddrizzò. Guardò Ullman."All'anno prossimo, allora," e gli tese lamano.

Ullman la sfiorò appena con gestoesangue. L'anello che gli ornava ilmignolo balenò alla luce elettricadell'atrio in una sorta di malignoammiccamento.

"Dodici maggio, Watson," disse."Né un giorno prima né un giorno dopo."

"Sì, signore," confermò Watson, eJack riuscì a leggere il postscriptumnella mente di Watson: ...brutta checcafetente.

"Buon inverno, signor Ullman.""Oh, ne dubito," rispose Ullman in

tono remoto.Watson aprì una delle due grandi

porte principali; il vento gemette piùimpetuoso che mai e gli fece ondeggiareil colletto della giacca. "Ora tocca a voi,gente."

Ci pensò Danny a rispondergli: "Sì,signore, provvederemo."

Watson, i cui antenati neppuretroppo lontani erano stati i proprietaridell'albergo, sgusciò umilmente oltre lasoglia e si richiuse la porta alle spalle,attutendo il sibilo del vento. Tuttirimasero a guardarlo mentre scendevarumorosamente gli ampi gradini delporticato con i suoi logori stivali neri dacowboy.

Fragili foglie autunnali di abeterosso gli turbinavano attorno ai piedi

mentre attraversava il parcheggio perraggiungere il furgoncino InternationalHarvester. Vi prese posto, e quandoazionò l'avviamento una nuvola di fumoazzurregnolo si sprigionò dal tubo discappamento arrugginito. Poi il veicolosi mise in moto e scomparve, diretto aovest.

Per un attimo Danny provò un sensodi solitudine acuta, quale mai avevaprovato in vita sua.

13I Torrance se ne stavano radunati

sotto il lungo porticato dell'Overlookcome se posassero per un ritratto difamiglia: Danny al centro, chiuso fino alcollo nella giacca di mezza stagione

dell'anno prima, che ora gli stava un po'piccola e cominciava a logorarsi aigomiti; Wendy dietro di lui con unamano sulla sua spalla, e Jack alla suasinistra, con la mano posata leggermentesulla testa del figlio.

Il signor Ullman era ritto un gradinopiù sotto, avvolto in un sontuososoprabito di mohair marrone. Il sole eraormai calato dietro le montagne e leorlava di un fuoco dorato, mentre leombre si allungavano lunghe e violaceesul paesaggio. Gli unici tre veicolirimasti nel parcheggio erano ilfurgoncino dell'albergo, la LincolnContinental di Ullman e la malandataVolkswagen di Torrance.

"Le chiavi le ha lei, ora," disse

Ullman a Jack, "e ha le idee ben chiareriguardo alle caldaie del calorifero edell'acqua? "

Jack annuì, e provò per Ullman unimpeto di sincera simpatia. Per quellastagione era stata chiusa bottega. Ilgomitolo era strettamente avvolto fino alprossimo dodici maggio, né un giornoprima né un giorno dopo; e Ullman, cheera il responsabile di tutto e che parlavadell'albergo col tono inequivocabiledegli infatuati, non poteva fare a meno dipreoccuparsi di una eventualenegligenza.

"Credo che tutto sia perfettamente aposto," disse Jack.

"Bene, mi terrò in contatto con lei."

Ma si attardò ancora un momento, comese aspettasse che il vento intervenisse,magari a sospingerlo verso la macchina.Sospirò. "Benone. Buon inverno, signorTorrance; e anche a lei, signora; e a te,Danny."

"Grazie, signore," rispose Danny."Spero che passi un buon inverno anchelei."

"Ne dubito," ripeté Ullman e la suavoce suonò triste. "Quel posto in Floridaè una baracca, se devo proprio esseresincero. È tanto per non stare con lemani in mano. Il mio vero lavora è qui,all'Overlook. Ne abbia cura, signorTorrance."

"Credo proprio che sarà ancora quiquando tornerà la prossima primavera,"

lo rassicurò Jack, e un pensiero balenònella mente di Danny

(ma noi ci saremo?)e svanì."Certo. Certo che ci sarà."Ullman lanciò un'occhiata in

direzione del campo giochi, dove lesiepi a forma di animali stormivano alvento. Poi abbozzò ancora un cenno delcapo con aria sbrigativa.

"Arrivederci, allora."Si incamminò in fretta, sculettando,

verso la sua auto, un'auto ridicolmentegrossa per un ometto simile, e vi siinfilò. Il motore della Lincoln si avviòTonfando e i fanalini di codas'illuminarono mentre usciva dal

parcheggio. Mentre l'auto si allontanava,Jack lesse il cartello posto in fondo alrecinto: RISERVATO ALLADIREZIONE.

"Ecco fatto," mormorò Jack.Seguirono con lo sguardo la

macchina, finché sparì lungo il pendioverso est. Quando fu scomparsa, i treTorrance si scambiarono un'occhiata insilenzio. Quell'istante fu colmo di paura.Erano soli. Le foglie di abete rossoturbinavano e scivolavano lontane,ammucchiandosi senza meta sull'erbarasata del prato. Non c'era nessun altroall'infuori di loro tre a guardare quellefoglie danzanti, e quell'idea comunicò aJack una curiosa sensazione dirimpicciolimento, come se le sue

energie vitali fossero ridotte a unafievole scintilla, come se le dimensionidell'albergo e del terreno circostantefossero improvvisamente raddoppiate edivenute sinistre, trasformandoli innanerottoli con un tetro, inanimatopotere.

Poi Wendy disse: "Ma guardati,dottore: ti cola il naso come un estintore.Su, ora rientriamo."

E rientrarono, chiudendosisaldamente la porta alle spalle persottrarsi al gemito inquietante del vento.

TERZA

PARTEIL NIDO DI VESPE

14"Maledetta schifosa figlia di

puttana!"Jack Torrance si lasciò sfuggire

questa esclamazione con un grido disorpresa e di dolore mentre si batteva lamano destra contro la camicia da lavorodi tela azzurra, scostando la grossavespa strisciante che l'aveva punto.Dopo di che, prese a inerpicarsi su peril tetto, volgendosi a guardare da soprala spalla se i fratelli e le sorelle dellavespa si levavano dal nido che aveva

messo allo scoperto, decisi a darbattaglia. In tal caso, le cose potevanoanche mettersi male; il nido si trovavatra lui e la scala, e la botola per la qualesi scendeva nella soffitta era sbarratadall'interno. Dal tetto al cortilepavimentato di cemento che separaval'albergo dal prato c'era un salto di oltreventi metri.

L'aria limpida sopra il nido eraferma e tranquilla.

Disgustato, Jack emise un fischiosommesso, sedette a cavalcioni delcolmo del tetto e si esaminò l'indicedella mano destra. Si stava giàgonfiando, e Jack si disse che avrebbedovuto tentare di strisciare oltre quelnido per raggiungere la scala, in modo

da calarsi in basso e metterci sopra uncubetto di ghiaccio.

Era il 20 ottobre. Wendy e Dannyerano scesi a Sidewinder a comprare tregalloni di latte e a fare qualche spesa invista del Natale. Avevano optato per ilfurgoncino dell'albergo: un vecchioDodge sferragliarne, ma più rassicurantedella Volkswagen, che ormai ansimavaesausta e sembrava davvero prossima atirare gli ultimi. Era ancora presto perfare le compere, ma non si potevaignorare il rischio che la neve sarebbecaduta senza più speranza che sisciogliesse. Si era già avuta qualchespolverata, e in qualche punto lastresottili di ghiaccio rendevano

sdrucciolevole la strada che scendevadall'Overlook.

Fino a quel momento l'autunno erastato di una bellezza irreale. Le tresettimane che avevano trascorso lassùerano state un susseguirsi incessante digiorni splendidi. Le mattinate frizzanticedevano il passo a temperaturepomeridiane superiori ai quindici gradi:proprio quello che ci voleva, insomma,per arrampicarsi sul tetto in lievependenza dell'Overlook e sostituire letegole. Quel lavoro gli calmava i nervi.Sul tetto si sentiva guarire dalletormentose ferite degli ultimi tre anni.Sul tetto si sentiva in pace. Quei tre annicominciavano ad apparirgli come unincubo turbolento.

Le tegole erano quasi marce, alcuneaddirittura asportate dalle buferedell'inverno precedente. Jack le avevastrappate tutte, urlando: "Bombe inarrivo!" mentre le lasciava cadere oltreil bordo, temendo di colpire Danny casomai si fosse trovato a gironzolare làsotto. Stava asportando la grondamalandata, ed ecco che la vespa loaveva punto.

L'aspetto più ridicolo della faccendastava nel fatto che ogniqualvolta siarrampicava sul tetto ammoniva sestesso a tenere gli occhi aperti perevitare eventuali nidi; si era procuratoquella bombola di insetticida tanto perprecauzione. Ma quel mattino il silenzio

e la pace erano così assoluti che la suaattenzione era venuta meno. Erarisprofondato nel mondo dellacommedia che stava lentamente creando,abbozzando mentalmente la scena allaquale avrebbe lavorato quella sera. Lacommedia procedeva speditamente, esebbene Wendy non avesse quasi apertobocca, Jack sapeva che era contenta. Siera bloccato proprio sulla scenacruciale tra Denker, il sadico direttorescolastico, e Gary Benson, il giovaneprotagonista, negli ultimi sei infelicimesi trascorsi a Stovington: mesidurante i quali la smania di bere erastata così intensa che Jack non riuscivaneppure a concentrarsi sullapreparazione delle lezioni, immaginarsi

sulle sue ambizioni letterarie fuoriprogramma.

Ma nelle ultime dodici sere, quandosi sedeva davanti alla Underwoodmodello studio che aveva preso inprestito dall'ufficio a pianterreno, ilblocco si era dissolto sotto le dita comeper magia, così come lo zucchero filatosi scioglie sulle labbra. Avevaimprovvisamente visto chiaro, quasisenza sforzo, nelle pieghe delpersonaggio di Denker che gli eranosempre sfuggite, e aveva riscritto lamaggior parte del secondo atto diconserva, facendolo ruotare attorno allanuova scena. E anche l'andamento delterzo atto, che Jack si rigirava nella

mente proprio quando la vespa eraintervenuta ponendo fine alle suemeditazioni, andava delineandosisempre più chiaramente. Jack pensavache sarebbe riuscito ad abbozzarlo nelgiro di due settimane e ad approntareuna versione riveduta e correttadell'interi maledetta commedia perCapodanno.

A New York aveva un agente, unadonna testarda dai capelli rossi che sichiamava Phyllis Sandler, fumavasigarette Herbert Tareyntons, bevevabourbon Jim Beam da un bicchiere dicarta e riteneva che il sole dellaletteratura sorgesse e tramontasse conSean O'Casey. Phyllis aveva piazzato tredei racconti brevi di Jack, ivi compreso

il pezzo pubblicato daEsquire. Jack leaveva scritto riferendole dellacommedia, che era intitolataLa piccolascuola, descrivendo il conflitto di basetra Denker, uno studioso di talento, mafallito, che aveva finito col diventare ildirettore brutale e banalizzante di unascuola di avviamento universitario delNew England sullo scorcio del secolo, eGary Benson, lo studente in cui vedevariflessa una versione più giovane di sestesso. Phyllis gli aveva rispostomanifestando il proprio interesse eammonendolo a leggere O'Casey primadi accingersi alla stesura dellacommedia. Qualche tempo prima, gliaveva scritto di nuovo chiedendogli che

fine avesse fatto la commedia. Jack leaveva risposto in tono un po' ambiguo,spiegandole che laPiccola scuola si eraindefinitamente, e forse definitivamente,arenata tra la mano e la pagina "inquell'interessante deserto intellettualenoto come il blocco dello scrittore". Orainvece sembrava probabile che riuscissea completare la commedia una volta pertutte. Il fatto che fosse valida o meno, oche venisse messa in scena, era un altrodiscorso. E non pareva che Jack sicurasse molto di faccende del genere. Inun certo senso gli sembrava che ildramma in sé e per sé fosse il blocco, unsimbolo colossale degli anni difficilialla scuola di avviamento universitariodi Stovington, del matrimonio che aveva

mandato a rotoli quasi come unragazzino un po' svitato sfascerebbe unavecchia carcassa di cui fosse al volante,della mostruosa aggressione al figlio,dell'incidente con George Hatfield nelparcheggio: un incidente che nonriusciva più a vedere come il semplicerisultato di un ennesimo, subitaneo edistruttivo impeto di collera. Ora Jackriteneva che, almeno in parte, il suoproblema di bevitore affondasse leradici in un desiderio inconscio diliberarsi di Stovington e di quel senso disicurezza che pareva soffocare in luiqualunque impeto creativo. Avevasmesso di bere, ma il bisogno di esserelibero non era minimamente diminuito.

Donde George Hatfield.Ora tutto ciò che rimaneva di quei

giorni era la commedia sulla scrivaniadella camera da letto sua e di Wendy, equando l'avesse finita e spedita a quellaspecie di buco nel muro che eral'agenzia di Phyllis a New York,avrebbe potuto dedicarsi ad altre cose.Non un romanzo, non era preparato adiguazzare nella palude di un'altraimpresa triennale, ma sicuramente altriracconti brevi. Magari un libro diracconti.

Spostandosi con cautela, tornò alasciarsi scivolare carponi giù per l'aladel tetto, oltre la linea di demarcazionelungo la quale le nuove tegole verdiBird subentravano a quel settore del

tetto che aveva appena finito discoperchiare. Si portò in corrispondenzadel bordo alla sinistra del nido di vespeche aveva messo allo scoperto, e mossecautamente in quella direzione, pronto afar marcia indietro e a scendere aprecipizio la scaletta fino a terra se lecose si mettevano troppo male.

Si sporse sopra l'area dalla qualeaveva asportato la gronda e guardòdentro.

Il nido era là, infilato nello spaziotra la vecchia gronda e la nervatura deltetto. Era maledettamente grosso. Parvea Jack che al centro quella specie dipalla di carta grigiastra potesse ancheavere una circonferenza di quasi mezzo

metro. La forma non era perfetta perchélo spazio tra la gronda e le assi eratroppo angusto, ma Jack non potéesimersi dal concludere che quellerompiballe di vespe avevano fatto unlavoro rispettabile. La superficie delnido brulicava di insetti accatastati chesi muovevano lentamente. Erano del tipopiù grosso e bellicoso: vere vespe deimuri, le più maligne e perfide tra tutte.

Erano torpide e istupidite dallabassa temperatura autunnale, ma Jack,che sulle vespe la sapeva lunga sindall'infanzia, si considerò fortunato diessere stato punto solo una volta.

Jack aveva letto da qualche parte, inun articolo di un supplementodomenicale o in un trafiletto di rivista

basato sul risvolto di qualche libro, cheil sette per cento degli incidentiautomobilistici non trova unaspiegazione logica. Niente guastimeccanici, niente eccesso di velocità,niente guida in stato di ubriachezza,niente condizioni atmosferiche avverse.Semplicemente, un'auto che si fracassasu un tratto di strada deserto; unpasseggero solo, il guidatore, chemuore, e non è quindi in grado dispiegate cosa gli sia accaduto.Nell'articolo era riportata ancheun'intervista con un poliziotto il qualeipotizzava che molti dei cosiddetti"incidenti inspiegabili" fossero laconseguenza della presenza di insetti

nell'auto: una vespa, un'ape osemplicemente un ragno o una falena. Ilguidatore si lascia prendere dal panico,cerca di schiacciarla o apre un finestrinoper farla uscire. Magari l'insetto lopunge, il guidatore perde il controllo.Comunque sia, bang!... e tutto è finito,dopo di che l'insetto illeso esceronzando allegramente dal rottamefumante, in cerca di pascoli più verdi. Ilpoliziotto si era espresso in favore dellaricerca di un'eventuale presenza diveleno d'insetto da parte dei patologidurante l'autopsia delle vittime,ricordava Jack.

Ora, affondando lo sguardo nel nido,gli sembrava che potesse servire sia divalido simbolo per tutto ciò che aveva

passato (e ciò che aveva fatto passare aisuoi cari), sia di presagio di un futuromigliore.

Come spiegare altrimenti le cose chegli erano accadute? Infatti ritenevatuttora che l'intera gamma di infeliciesperienze vissute a Stovington andasseguardata con Jack Torrance in un ruolopassivo. Lui non aveva fatto niente ditutto questo; tutto era stato fatto a lui.Aveva conosciuto un sacco di gente tragli insegnanti della scuola di Stovington,e due proprio della sezione d'inglese,che bevevano senza misericordia. Ilsabato pomeriggio Zack Tunney aveval'abitudine di procurarsi un barilotto dibirra, sotterrarlo nottetempo in un

mucchio di neve nel cortile e poiscolarselo la domenica, guardando lapartita di football e qualche vecchio filmalla televisione. Eppure, per tutta lasettimana Zack non toccava una gocciad'alcool: un aperitivo poco alcolicoprima di pranzo era un caso più unicoche raro.

Jack e Al Shockley erano alcolizzati.Si cercavano a vicenda come duenaufraghi che però avessero ancorasufficienti istinti associativi da preferiredi affogare insieme anziché farlo da soli.Il mare era fatto di puro malto anziché diacqua salata. Mentre osservava le vespeche con lento moto si affaccendavano,seguendo l'istinto prima che l'invernosopraggiungesse a ucciderle tutte ad

eccezione della regina in letargo, Jack sispinse oltre: eraancora un alcolizzato, losarebbe sempre stato, forse lo era daquella sera del secondo anno di liceoche per la prima volta aveva bevutoqualche cosa di forte.

Non aveva niente a che fare con laforza di volontà, o la moralità del bere,o la debolezza, o la forza del suocarattere. Dentro di lui da qualche partec'era un interruttore guasto, o uncongegno che non funzionava, e, volenteo nolente, era stato sospinto giù per lachina, dapprima lentamente, poiaccelerando sempre più, a mano a manoche Stovington accentuava la suapressione su di lui. Una lunga scivolata

senza intoppi, e al fondo aveva trovatouna bicicletta fracassata senzaproprietario e un figlio con un bracciorotto. Jack Torrance in un ruolo passivo.E le sue collere, la stessa cosa. Per tuttala vita aveva tentato invano di tenerlesotto controllo. Si ricordava a sette anni,sculacciato da una vicina di casa chel'aveva sorpreso a giocare con ifiammiferi. Si era precipitato fuoriscagliando un sasso contro un'auto dipassaggio. Suo padre l'aveva visto edera piombato su di lui con un ruggito. Equando suo padre era rientrato in casaborbottando, a vedere che cosa davanoalla televisione, Jack era volato addossoa un cane randagio prendendolo a calci escaraventandolo nel rigagnolo. Già alle

elementari aveva avuto un paio didozzine di risse, e ancora di più allemedie, che gli avevano procurato duesospensioni e una sfilza interminabile dipunizioni, nonostante avesse semprebuoni voti.

Il football gli era servito almeno inparte da valvola di sicurezza, anche sericordava alla perfezione di averpassato quasi ogni minuto di ogni partitain uno stato di estrema eccitazione,partecipando a ogni mischia e placcandopersonalmente gli avversari. Era unottimo giocatore ed era stato selezionatoper la squadra degli assi dal primoall'ultimo anno, e sapeva benissimo chedi ciò doveva ringraziare... o incolpare

il suo pessimo carattere. Il football nongli era mai piaciuto, ogni incontro erauno sfogo di rancori.

Eppure, nonostante tutto, non si eramai sentito un figlio di puttana, non siera sentito cattivo. Si era sempreconsiderato Jack Torrance, un granbravo ragazzo che avrebbe dovutosoltanto imparare a controllare il suocaratteraccio, un giorno o l'altro, primache gli procurasse qualche grana. E allastessa maniera avrebbe dovuto impararea tenere a bada la voglia di bere. MaJack era stato un alcolizzato emozionale,esattamente come dal punto di vistafisico: le due cose erano indubbiamentecollegate nel profondo, dove non siosava affondare lo sguardo. Però non gli

importava che le cause di fondo fosseroconnesse o distinte, sociologiche opsicologiche o fisiologiche. Avevadovuto guardare in faccia ai risultati: lesculacciate, le botte del vecchio, lesospensioni, oltre ai maldestri tentativiper occultare gli strappi ai grembiulini,che si era procurato durante le rissenell'ora di ricreazione, e più tardi imalditesta e la nausea, il cemento delsuo matrimonio che si sgretolavalentamente, quell'unica ruota dibicicletta con i raggi distorti a indicareil cielo, il braccio rotto di Danny. EGeorge Hatfield, naturalmente.

Ebbe l'intuizione di averinvolontariamente infilato la mano nel

Gran Nido di Vespe della Vita. Comeimmagine non valeva gran che. Comecammeo della realtà, gli parevaabbastanza valido. Aveva infilato lamano in una gronda fradicia in pienaestate e la mano e anche l'intero braccioerano stati consunti da un sacro fuoco digiustizia che aveva distrutto il pensierocosciente, rendendo vecchio e superatoil concetto di comportamento civile. Cisi può forse aspettare che uno sicomporti da essere umano ragionantequando ha la mano infilzata su una fila diaghi da rammendo roventi? Ci si puòaspettare di vivere nell'amore dellepersone più vicine e più care quando labruna nube infuriata si sprigiona dalbuco nel tessuto delle cose (il tessuto

che si riteneva fosse tanto innocente) e tisi scaglia addosso come una freccia? Sipuò forse essere consideratiresponsabili delle proprie azioni mentreci si aggira a folle corsa sul tetto inpendenza a oltre venti metri d'altezza,senza sapere dove si va, senzaricordarsi che i piedi, mossi dal panico,possono indurti a fare una mossaimprovvisa e a precipitare oltre lagrondaia per trovare la morte sulcemento venti metri più in basso? AJack sembrava che non fosse possibile.Quando infili di proposito la mano nelnido di vespe, non è che hai fatto unpatto col diavolo di rinunciare al tuo iocivilizzato con tutte le sue appendici di

amore e rispetto e onore. Capita, ebasta. Passivamente, senza la minimapossibilità di aver voce in capitolo. Sicessa di essere una creatura dello spiritoe si diventa una creatura delleterminazioni nervose. Nel giro di cinquesecondi, da un individuo a livellouniversitario ci si trasforma in unascimmia gemente.

Jack pensò a George Hatfield.Alto, con una zazzera bionda

arruffata, George era un ragazzo di unabellezza quasi sfacciata. Con quei suoijeans sbiaditi e attillati e l'argentinadella scuola di Stovington con lemaniche rialzate con negligenza fino algomito a mettere in mostra gliavambracci abbronzati, aveva ricordato

a Jack un Robert Redford giovane, eJack era certissimo che George nonfacesse fatica a fare strage di cuorifemminili: non più, almeno, di quanto neavesse fatta dieci anni prima quelgiovane demonio di giocatore di footballche si chiamava Jack Torrance. Potevadire, onestamente, di non provaregelosia nei confronti di George, né gliinvidiava la sua fortuna; anzi,inconsciamente aveva quasi cominciatoa visualizzare George comel'incarnazione fisica del protagonistadella sua commedia, Gary Benson, inperfetto contrasto col cupo, fallito,ormai anziano Denker che finiva conl'odiare Gary dal profondo del cuore.

Ma lui, Jack Torrance, non aveva maiprovato sentimenti del genere neiconfronti di George. Se così fosse stato,se ne sarebbe accorto. Ne erasicurissimo.

A Stovington, George in profitto sela cavava appena. Asso del calcio e delbaseball, il suo programma accademiconon rivelava slanci particolari:personalmente si era accontentato dellasufficienza e di qualche voto discreto instoria o botanica. Sul campo da giocoera un lottatore tenace, ma in aula erauno studente apatico, che se la prendevacomoda. Jack aveva una certadimestichezza con quel tipo di allievi,dovuta ai suoi anni di studente liceale euniversitario, più che alla sua mediocre

esperienza d'insegnante. George Hatfieldera un furbastro. In aula poteva essere untipo calmo, scialbo, ma quandointervenivano i giusti stimoli competitivi(come elettrodi applicati alle tempie delmostro di Frankenstein, pensò di sfuggitaJack), gli capitava di scatenarsi.

In gennaio, George aveva presentatola propria candidatura, assieme a unpaio di dozzine di altri studenti, perentrare a far parte del gruppo didiscussione. Era stato molto franco conJack: suo padre faceva il consulentelegale di varie aziende e desiderava cheil figlio seguisse la medesima carriera.

George, che non nutriva particolariaspirazioni di altro tipo, era disposto ad

assecondarlo. I suoi voti non eranoeccellenti, ma dopotutto quella era solouna scuola d'avviamento universitario,ed era ancora presto. Qualora si fossereso necessario suo padre avrebbepotuto ungere qualche ruota. Per altroverso, le capacità atletiche di Georgeavrebbero contribuito a schiudere altreporte. Ma Brian Hatfield riteneva chesuo figlio dovesse entrare a far parte delgruppo di discussione. Era un ottimoesercizio e qualcosa che era richiestodalle commissioni di ammissione allafacoltà di legge. George si era cosìiscritto al gruppo, ma alla fine di marzoJack l'aveva escluso.

I dibattiti tra squadre di fine invernoavevano infiammato gli istinti

competitivi di George Hatfield. Ilragazzo era diventato un oratoreferocemente risoluto, che difendeva conle unghie e con i denti la sua posizionepro o contro. Non importava cheargomento della discussione fosse lalegalizzazione della marijuana, ilripristino della pena di morte o ilrisarcimento per l'esaurimento deigiacimenti petroliferi.

George era diventato un competenteed era abbastanza fanatico da fregarseneallegramente della tesi che sosteneva:una caratteristica rara e preziosa anchenegli oratori di alto livello, e Jack losapeva perfettamente. Le anime di unvero avventuriero politico e di un vero

oratore non erano molto dissimili traloro; erano entrambe appassionatamenteinteressate all'occasione buona. E finqui, tutto bene.

Ma George Hatfield balbettava.Era uno svantaggio che non si era

mai manifestato in aula durante lelezioni, dove George era sempretranquillo e compassato (che avesse omeno preparato la lezione), e certamentenon sui campi di gioco di Stovington,dove le chiacchiere non costituivano unavirtù e dove a volte si rischiava persinodi venir esclusi dal gioco se si discutevatroppo.

Ma quando George s'impegnava afondo in una discussione, ecco che simanifestava il balbettio. Più si

accalorava, più la balbuzie siaccentuava. E quando riteneva di averfatto fuori l'avversario, pareva che tra icentri della favella e la bocca siintrufolasse una sorta di febbreintellettuale, e George si irrigidiva e sibloccava mentre il tempo scorrevainesorabile. Uno spettacolo penoso.

"Cccosì, sssecondo me, dobbiamodire che i fffatti nel cccaso delle cittàdel signor DDDorsky sono rereresiobsoleti dalla rrrecente dddecisionetrasmessa ininin..."

Strepitava il cicalino e George sivoltava di scatto, furibondo, a fissareJack che gli sedeva accanto. In queimomenti il volto di George era invaso

da un rossore di collera, mentre congesto spasmodico appallottolava i foglidegli appunti.

Jack aveva tenuto duro un bel po'dopo che si era capito che era stato lui atagliare la maggior parte delle gomme:sperava che George mettesse la testa apartito. Ricordava in particolare untardo pomeriggio, circa una settimanaprima di calare, sia pure a malincuore,la mannaia. George si era trattenutodopo che gli altri studenti avevanolasciato l'aula e aveva affrontatorabbiosamente Jack.

"Lei ha mememesso avanti iltemporizzatore."

Jack aveva levato lo sguardo daifogli che stava riponendo nella cartella.

"George, di che cosa stai parlando?""Nonnonnon mi ha concesso per

intero i cinque mimiminuti che mispettano. Ha messo avanti iltemporizzatore. Io tetetenevo d'occhiol'orologio."

"L'orologio e il temporizzatorepossono indicare un'ora leggermentediversa, George, ma io non ho neppuretoccato il quadrante di quel dannatoaggeggio. Parola d'onore."

"L'ha fffatto, invece!"L'espressione adirata e aggressiva di

chi difende i suoi sacrosanti diritti concui George lo guardava aveva scatenatola collera di Jack. Erano ormai due mesiche non toccava una goccia d'alcool, due

mesi troppo lunghi, ed era letteralmentea pezzi. Aveva compiuto un estremotentativo di controllarsi. "Ti assicuroche non l'ho toccato, George. Il fatto èche tu balbetti. Hai idea di quale ne siala causa? In classe non balbetti."

"Io nonnonnon balbalbalbalbetto!""Abbassa la voce.""Lei vvvuole ffffregarmi; Nnon

mmmi vvvuole nel suo mamamaledettogruppo!"

"Abbassa la voce, ho detto.Discutiamone con calma."

"Vvvada a farsi fffottere! ""George, se riuscirai a non

balbettare, sarò ben lieto di averti nelgruppo. Sei preparato per ogni tipo diesercitazione e conosci a fondo la

materia. Questo significa che è difficilecoglierti di sorpresa, ma vuol dire benpoco se non riesci a controllare..."

"Nnnon ho mai balbettato!" avevaurlato George. "È ccccolpa sua! Sssse cifosse qqqqualcun altro a dirigere ilggggruppo di discussione, riuscirei..."

La collera di Jack era salita diqualche altro grado.

"George, non diventerai mai unbravo avvocato, consulente aziendale oaltro, se non riesci a smetterla dibalbettare. La legge è diversa dal calcio.Non bastano due ore di allenamentoserale. Cosa farai? Ti piazzerai davantia un consiglio di amministrazione riunitoin seduta e dirai: 'Ooora sssisisignori,

prendiamo qqqquesta querela'?"Di colpo era avvampato, non per

l'ira ma perché si vergognava dellapropria crudeltà. Di fronte a lui nonc'era un uomo, ma un ragazzo didiciassette anni che si trovava adaffrontare la prima sconfitta della suavita, e forse chiedeva a Jack, nell'unicomodo che sapeva, di aiutarlo a trovareun sistema per superarla.

George gli aveva scoccato un'ultimaocchiata furente, le labbra distorte etremanti, mentre le parole che gliintasavano la bocca lottavano pertrovare una via d'uscita.

"Lllei ha mmmesso avanti iltemporizzatore! Lei mmmi odiapepeperché ssssa... sa... sss..."

Con un grido inarticolato si eraprecipitato fuori dall'aula, sbattendo laporta con tanta forza da far tremarenell'intelaiatura i vetri rinforzati con fildi ferro. Jack era rimasto lì, intuendo,più che udirla, l'eco delle Adidas diGeorge nel corridoio deserto. Ancorastretto nella morsa della collera e dellavergogna per essersi burlato del difettodi pronuncia di George, il suo primopensiero era stato una sorta di malsanaesultanza: per la prima volta in vita suaGeorge Hatfield aveva desideratoqualcosa che non gli era concesso diavere. Per la prima volta nella sua vitac'era qualcosa di storto che neppure isoldi di papà erano in grado di

raddrizzare. Non si poteva comprare uncentro della favèlla col denaro. Non sipoteva sedurre una lingua facendoledono di un cinquantone supplementarealla settimana e accordandole ungratifica a Natale perché acconsentisse asmetterla di ballonzolare come lapuntina di un grammofono sui solchi diun disco difettoso. Poi l'esultanza erastata sopraffatta dalla vergogna, e Jackaveva provato gli stessi sentimenti diquella volta che aveva rotto il braccio aDanny.

Buon Dio, non sono un figlio diputtana. Ti prego.Quella malsana felicitàper la fuga di George era più tipica diDenker nella commedia che di JackTorrance, autore della commedia stessa.

Lei mi odia perché sa...Perché sapeva cosa?Che cosa mai poteva sapere su

George Hatfield da spingerlo adetestarlo? Che aveva dinanzi a sé tuttoil futuro? Che somigliava un poco aRobert Redford e che tutte le ragazzesmettevano di colpo di chiacchierarequando eseguiva un doppio salto mortaledal trampolino della piscina? Chegiocava a calcio e a baseball con unagrazia innata, affatto estranea alsemplice esercizio?

Ridicolo. Assolutamente assurdo.Non invidiava nulla a George Hatfield.A voler essere sinceri era piùdispiaciuto lui del difetto di pronuncia

di George di quanto lo fosse Georgestesso, perché George sarebbe statodavvero un ottimo oratore. E se Jackavesse messo avanti il temporizzatore, enaturalmente non l'aveva fatto, sarebbestato perché sia lui sia gli altri membridella squadra erano a disagio per losforzo di George; ne avevano soffertocome si soffre quando l'oratoreincaricato di pronunciare il discorsettodi fine anno salta qualche battuta. Seavesse messo avanti il temporizzatore,sarebbe stato solo per... per evitare aGeorge quella penosa sofferenza.

Ma non aveva messo avanti iltemporizzatore. Ne era certissimo.

Una settimana più tardi avevaescluso George dal gruppo, e questa

volta era riuscito a conservare la calma.Le urla e le minacce erano state tuttedalla parte di George. E dopo un'altrasettimana era uscito nel parcheggio,interrompendo a metà un'esercitazioneper prendere una pila di libri diconsultazione che aveva lasciato nelbagagliaio della Volkswagen; ed ecco làGeorge, piegato su un ginocchio con ilunghi capelli biondi che gli piovevanosul viso, un temperino stretto nellamano. Era impegnato a segare la gommaanteriore destra della Volkswagen. Legomme posteriori erano già sbrindellate,e il maggiolino era afflosciato sullegomme sfondate, come se fosse stato unpiccolo cane stanco.

Jack aveva visto rosso. Rammentavaben poco dello scontro che ne eraseguito. Ricordava un sordo grugnito chesembrava uscirgli dalla gola: "E vabene, George. Se è questo che vuoi,vieni qui a prendere la purga."

Ricordava che George aveva levatolo sguardo, sorpreso e spaventato."Signor Torrance..." aveva detto, come avoler spiegare che era tutto uno sbaglio,che le gomme erano già a terra quandolui era arrivato davanti all'auto, e che silimitava a togliere il terriccio dalbattistrada con la punta di quell'aggeggiotagliente che aveva in tasca per purocaso, e...

Jack era partito all'assalto, i pugni

sollevati dinanzi a sé, e gli era sembratopersino di sorridere. Ma di questo nonera sicuro.

L'ultima cosa che ricordava era cheGeorge aveva sollevato il coltellodicendo: "Sarà meglio che stia allalarga, lei..."

E subito dopo c'era la signorinaStrong, l'insegnante di francese,abbarbicata alle braccia di Jack cheurlava e strillava: "Piantala, Jack!Basta! Così lo ammazzi!"

Si era guardato attorno ammiccandostupidamente. Eccolo lì, il temperino:scintillava innocuo sull'asfalto delparcheggio a quattro metri di distanza.Eccola lì la Volkswagen, il suo poverovecchio maggiolino malconcio, veterana

di molte folli corse di mezzanotte instato di ebbrezza, in bilico su tre gommea terra. C'era una nuova ammaccaturanel parafango anteriore destro, avevanotato, e proprio al centrodell'ammaccatura si notava qualcosa chepoteva essere vernice rossa o sangue.Per un momento era rimasto confuso, isuoi pensieri

(gesù cristo, dopotutto l'abbiamoinvestito)

gli stessi di quell'altra notte. Poiaveva spostato lo sguardo su George; suGeorge che giaceva inebetito esbattendo le palpebre sull'asfalto. Iragazzi del gruppo di discussione eranousciti dall'aula e si pigiavano sulla

soglia, fissando George; aveva il voltoinondato di sangue per una lacerazionealla cute che non pareva grave; altrosangue gli colava da un orecchio e contutta probabilità stava a indicare unacommozione cerebrale. Quando Georgeaveva cercato di sollevarsi, Jack si erasvincolato dalla presa della signorinaStrong e gli si era portato accanto.George si era acquattato, impaurito.

Jack aveva posato le mani sul pettodi George e lo aveva fatto sdraiare dinuovo. "Resta immobile," aveva detto."Non tentare di alzarti." Poi si eravoltato verso la signorina Strong, che lifissava entrambi inorridita.

"La prego, vada a chiamare ilmedico della scuola, signorina Strong."

La donna aveva fatto dietro front e si eramessa a correre in direzione dell'ufficio.Allora Jack aveva rivolto lo sguardo airagazzi del gruppo di discussione,fissandoli dritti negli occhi, perché sisentiva di nuovo padrone di se stesso,quello di sempre; e quando era padronedi se stesso non esisteva persona piùsimpatica in tutto lo stato del Vermont.Indubbiamente loro lo sapevano.

"Potete andare a casa, ora," avevamormorato. "Ci rivediamo domani."

Ma entro la fine di quella stessasettimana sei ragazzi del gruppo si eranoritirati: due di loro avevano assistitoalla scena; ma la cosa non aveva moltaimportanza perché frattanto Jack aveva

saputo che doveva ritirarsi anche lui.Comunque, chissà come, aveva

continuato a non toccare l'alcool; lacircostanza era importante.

E non aveva odiato George Hatfield.Di questo era certo. Non era stato lui adagire: era stato vittima delle azionialtrui.

Lei mi odia perché sa...Ma lui non sapeva niente.Niente.

Avrebbe potuto giurarlo davanti alTrono di Dio Onnipotente, così comeavrebbe giurato di non aver messoavanti il temporizzatore più di unminuto. E non per odio, ma per pietà.

Due vespe strisciavano sul tettoaccanto al foro praticato nella gronda.

Jack le osservò finché gli insetti non

spiegarono le ali scarsamenteaerodinamiche, e tuttavia dotate di unastrana efficienza, per volarsene viagoffamente nel sole di ottobre, destinatemagari a pungere qualcun altro. Dioaveva pensato bene di fornirle dipungiglioni, ed era giusto, quindi, che liusassero con qualcuno.

Per quanto tempo aveva indugiato afissare quel buco con la sua sgradevolesorpresa all'interno, a rinfocolare vecchiricordi? Diede un'occhiata all'orologio.Quasi mezz'ora.

Si calò fino all'orlo del tetto, loscavalcò con una gamba e tastòtutt'attorno finché il piede trovò il piolopiù alto della scaletta appena sotto la

sporgenza. Sarebbe sceso nel capannodegli attrezzi dove c'era la bombola diinsetticida su un alto scaffale, fuori dellaportata di Danny. L'avrebbe presa,sarebbe risalito, e allora sarebbetoccato alle vespe avere una sgradevolesorpresa. Si poteva essere punti, ma sipoteva anche pungere. Di li a due ore ilnido non sarebbe stato che un mucchiettodi cartapesta, e Danny, se voleva,avrebbe potuto appenderlo in camerasua: Jack ne aveva avuto uno nella suacamera, da bambino, ed emanava unlieve sentore di fumo di legna e dibenzina. Danny avrebbe potutoappenderlo proprio a capo del letto.Non gli avrebbe fatto alcun male.

"Sto migliorando."

Il suono della sua voce, fiduciosanel silenzio del pomeriggio, lorassicurò, anche se non aveva avutol'intenzione di parlare ad alta voce.Stava migliorando, davvero. Erapossibile passare da un ruolo passivo auno attivo, prendere la cosa che untempo ti aveva portato sull'orlo dellapazzia come un premio neutrale, dotatodi un interesse accademico affattooccasionale. E il posto ideale eraquello, senza dubbio.

Scese la scaletta per andare aprendere la bombola dell'insetticida.Avrebbero pagato. Avrebbero pagatoper averlo punto.

15

Due settimane prima Jack avevatrovato un'enorme poltrona di viminilaccata di bianco in fondo al capannodegli attrezzi. L'aveva trascinata sotto ilporticato, nonostante Wendy obiettasseche era decisamente l'oggetto più bruttoche avesse mai visto in tutta la sua vita.In quel momento se ne stava seduto nellapoltrona, divertendosi con una copiadiWelcome to Hard Times di E. L.Doctorow, quando sua moglie e suofiglio risalirono sferragliando il viale abordo del furgoncino dell'albergo. Jacksi alzò dalla poltrona e scese e gli andòincontro a lunghi passi.

"Ciao, papà!" esclamò Danny eimboccò di corsa la salita. Reggeva una

scatola. "Guarda che cosa mi hacomprato la mamma! *

Jack sollevò il figlio tra le braccia,lo fece girare un paio di volte e gli posòun bacetto sulla bocca.

"Jack Torrance, l'Eugene O'Neilldella sua generazione, lo Shakespeareamericano!" esclamò Wendy,sorridendo. "Davvero fantasticoincontrarti qui su queste alte vette!"

"La massa amorfa dell'umanità miera diventata insopportabile, mia carasignora," rispose Jack prendendola tra lebraccia. Si baciarono. "Come è andato ilviaggio?"

"Benissimo. Danny si lamenta checontinuo a farlo sobbalzare, però non holasciato spegnere il motore una sola

volta e... oh, Jack, hai finito!"Guardava il tetto, e Danny seguì la

direzione del suo sguardo. Una lieveombra sfiorò il volto del bambinoquando osservò l'ampia distesa di tegolenuove sulla sommità dell'ala ovestdell'Overlook, di un verde più chiarodel resto del tetto. Poi abbassò gli occhi,sulla scatola che aveva in mano e il suoviso tornò a illuminarsi. Di notte leimmagini che Tony gli aveva mostratotornavano a ossessionarlo in tutto il loronitore originario. Ma di giorno, alla lucedel sole, era più facile trascurarle.

"Guarda, papà, guarda!"Jack prese la scatola di mano al

figlio. Era un modellino di automobile, e

precisamente di una di quelle caricatureper cui Danny in passato avevamanifestato una certa ammirazione. Nelcaso specifico, si trattava dellaVolkswagen Viola, e l'illustrazione sulcoperchio della scatola mostravaun'enorme Volkswagen di coloreviolaceo, con lunghi fanalini di coda sultipo della Cadillac Coupe de Ville del

'59 che illuminavano un tratto distrada sterrata. La Volkswagen avevauna capote apribile, dalla qualeemergeva un gigantesco mostrobitorzoluto con le mani aduncheaggrappate al volante sotto di sé, gliocchi iniettati di sangue che parevanoschizzargli dalle orbite, un ghigno dafolle e un gigantesco berretto inglese da

corridore con la visiera all'indietro.Wendy gli sorrideva e Jack le strizzò

l'occhio."Ecco che cosa mi piace in te,

dottore," disse Jack, restituendo lascatola al bambino. "I tuoi gusti vanno atutto ciò che è tranquillo, sobrio,introspettivo. Non c'è dubbio: seiproprio il frutto dei miei lombi."

"La mamma ha detto che mi aiuteraia montarla non appena riuscirò a leggeretutto il primo episodio di Dick e Jane."

"Dovrebbe essere entro lasettimana," precisò Jack. "Che altro haiportato in quel favoloso furgoncino,signora Torrance? "

"Eheh!" Wendy lo prese per un

braccio e lo trasse indietro. "Proibitospiare. Parte di quella roba è per te. Laporteremo dentro Danny e io. Prendi illatte, tu. È sul pavimento della cabina."

"Ecco tutto quel che sono per te,"esclamò Jack, battendosi una mano sullafronte, "soltanto un cavallo da tiro, uncomune animale per i lavori incampagna. Porta questo, porta quello,porta quell'altro..."

"Basta che porti quel latte in cucina,signore."

"È troppo!" esclamò Jack, e si gettòa terra mentre Danny si protendevasopra di lui ridacchiando.

"Alzati, bue," urlò Wendy e gli diedeun colpetto con la punta delle scarpe datennis.

"Visto?" disse Jack a Danny. "Mi hadato del bue. Sei testimone."

"Testimone, testimone!" gli fece ecoDanny allegramente, scavalcando con unbalzo il corpo del padre disteso.

Jack si levò a sedere. "Adesso chemi ricordo, piccolino. Anch'io hoqualcosa per te. Sotto il portico, accantoal posacenere."

"Che cos'è?""Non mi ricordo. Va' a vedere."Jack si alzò in piedi e i due adulti

indugiarono, vicini, a seguire con losguardo Danny che risaliva di corsa ilprato e poi i gradini del porticato a duealla volta. Jack passò un braccio attornoalla vita di Wendy.

"Sei felice, piccola?"Lei levò lo sguardo sul marito. La

sua espressione era grave. "Non sonomai stata così felice da che ci siamosposati."

"Dici davvero?""Lo giuro."Jack la strinse a sé. "Ti amo."Wendy ricambiò l'abbraccio,

commossa. Jack Torrance non aveva maipronunciato quelle parole a caso; Wendyavrebbe potuto contare sulle dita di unamano il numero di volte che gliel'avevadetto, prima e dopo le nozze.

"Anch'io ti amo," disse."Mamma! Mamma!" Danny era sotto

il porticato e strillava elettrizzato.

"Vieni a vedere! È fantastico!""Di che cosa si tratta?" chiese

Wendy a Jack mentre salivano dalparcheggio, mano nella mano.

"Non mi ricordo," fece Jack."Oh, ti faccio vedere io," disse lei,

dandogli di gomito. "Vedrai se nonfaccio sul serio."

"Speravo che mi avresti fatto vederestasera," osservò Jack, e lei rise."Secondo te, Danny è felice?" chiese lui,qualche istante dopo.

"Dovresti saperlo. Sei tu chechiacchieri con lui à non finite ogni seraprima che si addormenti."

"Di solito riguarda quello che vuolfare quando sarà grande o se SantaClaus esiste davvero. Comincia a essere

un vero problema per lui. Credo cheScott, quel suo amichetto, gli abbiamesso una pulce nell'orecchio. No, nonmi ha parlato molto dell'Overlook."

"Neppure a me," osservò Wendy.Ora salivano i gradini del porticato."Ma se ne sta in silenzio quasi sempre.E mi pare che sia dimagrito, Jack; dicosul serio."

"Sta solo crescendo."Danny dava loro le spalle. Era

intento a esaminare qualcosa sul tavoloaccanto alla sedia di Jack, ma Wendynon riusciva a vedere.

"E poi mangia poco. Era un verolavandino, una volta. Ricordi l'annoscorso?"

"Si fanno lunghi lunghi," fece luievasivo. "Mi pare che lo dica anche ildottor Spock. Quando avrà sette annitornerà a mangiare come un lupo."

Si erano fermati sull'ultimo gradino."Si dà un gran da fare con quei libri

di lettura," continuò Wendy. "So chevuole imparare a tutti i costi, per farcipiacere... per far piacere a te," aggiunsecon riluttanza.

"Per far piacere a se stesso,soprattutto," la corresse Jack. "Io non gliho fatto nessuna fretta. Anzi, vorrei chenon si applicasse tanto."

"Ti sembrerebbe sciocco se glifissassi un appuntamento dal dottore peruna visita generale? A Sidewinder c'è un

medico condotto, un giovanotto che agiudicare da quanto ne dice la cassieradel supermercato..."

"Sei un po' nervosa... forse è l'ideadella neve in arrivo. O mi sbaglio?"

Wendy si strinse nelle spalle. "Be',forse sì. Se pensi che sia sciocco..."

"Ma no. Anzi, puoi fissare unappuntamento per tutti e tre. Ciassicureremo di essere tutti in forma,così potremo dormire tranquilli, lanotte."

"Prenderò l'appuntamento nelpomeriggio."

"Mamma, mamma! Guarda!"Danny si avvicinò alla madre,

reggendo tra le mani qualcosa di grigio edi voluminoso; e per un attimo, per metà

ridicolo per metà orribile, Wendy pensòche si trattasse di un cervello. Siaccorse poi di quel che fosse in realtà eistintivamente si ritrasse.

Jack le passò un braccio attorno allespalle. "Niente paura: le inquiline sonovolate tutte via, o ne sono statescacciate. Ho usato la bombola diinsetticida."

Wendy posò lo sguardo sul grossonido di vespe che il figlio tenevasollevato, ma non lo toccò. "Sei sicuroche non sia pericoloso?"

"Sicurissimo. Da bambino ne avevouno in camera mia. Me l'aveva dato miopadre. Vuoi metterlo in camera tua,Danny?"

"Sì, sì! Subito!"Il bambino fece dietrofront e varcò

di corsa le doppie porte. I genitori neudirono i passi concitati, attutiti, sulloscalone principale.

"Sicché c'erano le vespe lassù,"commentò Wendy. "Ti hanno punto?"

"Dov'è la mia medaglia al valore?"chiese Jack, e mostrò il dito. Il gonfioreera già diminuito, ma Wendy v'indugiòsopra a lungo e vi posò un bacettogentile.

"Hai estratto il pungiglione?""Le vespe non lasciano pungiglioni.

Le api sì, perché hanno i pungiglioniseghettati. I pungiglioni della vespa sonolisci. È proprio questo che le rende

pericolose: la stessa vespa può pungeremolte volte."

"Jack, sei sicuro che Danny noncorra rischi, con quel nido?"

"Ho seguito alla lettera le istruzionidella bombola. Nel giro di due orequella roba ammazza fino all'ultimoinsetto e poi evapora senza lasciareresidui."

"Le detesto," disse Wendy."Che cosa... le vespe?""Tutto quello che punge." Si portò le

mani ai gomiti e se li strinse, le bracciaconserte sul seno.

"Anch'io," fece Jack, e l'abbracciò.

16In fondo al corridoio,. in camera da

letto, Wendy udiva il ticchettio dellamacchina da scrivere che Jack si eraportato di sopra. Si animava per trentasecondi, poi ripiombava nel silenzio perun paio di minuti, per poi riprenderebrevemente a ticchettare. Era comeascoltare il fuoco di una mitragliatriceda una casamatta isolata. Quel suono eramusica, per le sue orecchie: Jack nonscriveva con tanta regolarità dalsecondo anno di matrimonio, quandolavorava al racconto che era statoacquistato daEsquire. Diceva che a suomodo di vedere la commedia sarebbestata finita entro la fine dell'anno, per ilmeglio o per il peggio, dopo di che sisarebbe dedicato a qualcosa di nuovo.Diceva che non gliene importava un fico

seLa piccola scuola non avesse suscitatoparticolare entusiasmo quando Phyllisl'avrebbe data in lettura a qualcuno; chenon gliene importava affatto se fosseaffondata senza lasciare traccia di sé; eWendy gli credeva. Il semplice fatto cheJack scrivesse la colmava di indicibilesperanza, non già perché si aspettassechissà cosa dalla commedia, ma perchésuo marito sembrava chiuderelentamente un'enorme porta su una stanzapopolata di mostri. Era ormai moltotempo che si appoggiava con le spalle aquella porta, ma ora finalmente lasbarrava.

Ogni tasto battuto contribuiva achiuderla un po' di più.

"Guarda, Dick, guarda."Danny se ne stava chino sul primo

dei cinque sillabati sbrindellati che Jackera riuscito a scovare frugando conirriducibile tenacia nella miriade dilibrerie di seconda mano di Boulder.Quei libri avrebbero portato Danny a unlivello di lettura corrispondente allaseconda elementare: un programma cheWendy, e lo aveva detto a Jack, ritenevadavvero troppo ambizioso. Il bambinoera intelligente, lo sapevano. Masarebbe stato un errore spingerlo troppoavanti e troppo in fretta. Jack le avevadato ragione: avrebbero evitato dicostringerlo. Ma se il bambinoprogrediva in fretta, erano pronti ad

affrontare la situazione. E ora Wendy sichiedeva se anche su quel punto Jacknon avesse avuto ragione.

Danny, già preparato per averseguito rispettivamente per quattro e treanni certi corsi televisivi per la primainfanzia, mostrava di progredire con unarapidità stupefacente. La cosa lapreoccupava. Se ne stava chino suquegli innocui libretti, la radio a galenae l'aliante di legno di balsa abbandonatisullo scaffale sopra la sua testa, come sela sua vita dipendesse dal fatto diimparare a leggere. Nella calda pozza diluce della lampada da tavolo cheavevano sistemato in camera sua, iltaccino del piccolo appariva più teso epallido di quanto piacesse a Wendy.

Prendeva con estrema serietà sia lalettura sia i fogli di quaderno che suopadre gli impaginava ogni pomeriggio.Disegni raffiguranti una mela e unapesca. La parola "mela" scritta in calcenel grosso e nitido stampatello di Jack.Racchiudere in un cerchio il disegnogiusto, quello che corrisponde allaparola. E il loro bambino spostava losguardo dalla parola ai disegni,muovendo le labbra, articolando laparola, sudandola fino in fondo. E ora,con la grossa matita rossa stretta nelpugnetto grassoccio, sapeva già scriveresenza aiuto almeno una quarantina diparole.

Seguiva lentamente col dito le

parole stampate nel libro di lettura.Sopra le parole c'era un'illustrazione cheWendy ricordava vagamente sin daitempi della scuola elementare,diciannove anni prima. Un ragazzinoridente dai ricciuti capelli bruni. Unabambina con la gonnella corta, i capellia boccoli biondi, una mano sollevata areggere una corda per saltare. Un canesaltellante che rincorreva una grossapalla di gomma rossa. La trinità dellaprima elementare: Dick, Jane e Jip.

"Guarda Jip come corre," lesseDanny scandendo lentamente. "Corri,Jip, corri. Corri, corri, corri."

Fece una pausa, spostando il ditosotto la riga successiva. "Guarda la..."Si chinò un po' di più, quasi a sfiorare la

pagina col naso. "Guarda la...""Non così vicino, dottore," disse

piano Wendy. "Ti rovinerai gli occhi.È..."

"Non dirmelo!" fece Danny,raddrizzandosi di scatto. La sua vocetradiva una punta di allarme. "Nondirmelo, mammina, posso riuscirci dasolo!"

"Va bene, tesoro. Ma non è una cosacosì importante, credimi."

Incurante, Danny tornò a chinarsi sullibro, ostinato, assorto.

"Guarda la... PALL. Guarda lapaaa11? Guarda la paall. Palla!"esclamò alla fine in tono trionfante.

Quasi feroce. E la ferocia che si

avvertiva nella sua voce spaventòWendy. "Guarda la palla!"

"Molto bene," disse Wendy."Tesoro, credo che basti per stasera."

"Ancora due pagine, mamma. Solodue! Ti prego!"

"No, dottore." Chiuse con fermezzail libro rilegato in rosso. "È ora diandare a letto."

"Per favore?""Non farmi inquietare, Danny. La

mamma è stanca.""Va bene." Ma Danny fissava con

avidità il sillabario."Va' a dare un bacio a papà e poi

corri a lavarti. E i denti, miraccomando: non te ne scordare!"

"Sì, sì, va bene."

Uscì strascicando i piedi: unbambinetto con indosso la parteinferiore della tutina da notte e un ampiogiubbotto di flanella con un pallone dafootball stampato sul davanti e la scrittaNEW ENGLAND

PATRIOTS sulla schiena.La macchina da scrivere di Jack

tacque, e Wendy udì lo schiocco sonorodel bacio di Danny. "Notte, papà."

"Buonanotte, dottore. Com'èandata?"

"Bene, credo. La mamma mi ha fattosmettere."

"La mamma ha ragione. Sono le ottoe mezzo. Vai in bagno?"

"Sì."

"Benissimo. Dalle orecchie tispuntano le patate. E le cipolle, e lecarote, e..."

Il risolino di Danny che siallontanava e poi veniva del tuttosoffocato dallo scatto secco della portadel bagno. Era molto riservato riguardoalle funzioni corporali; tutt'al contrariodi lei e di Jack che si mostravanopiuttosto noncuranti. Un altro segno — ei segni continuavano a moltiplicarsi —della presenza di un altro essere umano:non semplicemente di una copia carbonedi uno di loro o di un miscuglio dientrambi. Wendy ne era un po'rattristata. Un giorno il suo bambinosarebbe stato un estraneo per lei, e lei a

sua volta gli sarebbe stata estranea... nonestranea, però, come sua madre eradiventata agli occhi di lei. Dio, ti prego,fa' che non succeda. Fa' che cresca econtinui ad amare sua madre.

La macchina da scrivere di Jackriprese ancora una volta il suo ticchettiointermittente.

Seduta nella poltrona accanto altavolo di lettura di Danny, Wendy lasciòvagare lo sguardo per la stanza delbimbo. L'ala dell'aliante era stataaccuratamente rappezzata. Il tavolo eradisseminato di pile di libri illustrati, dialbi da colorare, di vecchi fumettidell'Uomo Ragno con le copertine mezzostrappate, di gessetti e pastelli e di unmucchio disordinato di cubetti di legno.

Sopra tutti questi oggetti accatastati allarinfusa era posato il modellino dellaVolkswagen, l'involucro ancora intatto.Danny e suo padre l'avrebbero montatal'indomani sera o la sera dopo, se Dannyprocedeva con quel ritmo, altro che allafine della settimana. Alla parete eranofissati accuratamente con puntine dadisegno le figure di personaggi deifumetti, come Pooh ed Eyore eChristopher Robin, che non avrebberotardato —

supponeva Wendy — a esseresostituiti da pinup e fotografie dicantanti rock fumatori di marijuana.

Dall'innocenza all'esperienza. È lanatura umana, piccola mia. Rassegnati. E

tuttavia se ne sentiva triste.L'anno prossimo sarebbe andato a

scuola e lei l'avrebbe perso almeno permetà, e forse anche di più, a beneficiodei suoi amici. Lei e Jack avevanotentato di metterne al mondo un altro,quando era sembrato che le cose simettessero bene a Stovington, ma oraaveva ricominciato a prendere lapillola.

La situazione era troppo incerta. Diosolo sapeva dove sarebbero stati, franove mesi.

Lo sguardo le cadde sul nido divespe.

Occupava il posto d'onore nellacamera di Danny, posato su un grandevassoio di plastica sul tavolino accanto

al letto. Non le piaceva affatto,quell'aggeggio, anche se era vuoto. Sichiese se per caso non contenesse germi,e pensò di chiederlo a Jack, ma concluseche avrebbe riso di lei. Però l'avrebbechiesto al dottore l'indomani, se fosseriuscita a restare a quattr'occhi con lui,senza Jack tra i piedi. Non le andavaproprio a genio l'idea di quella cosa,fabbricata con le rimasticature e lasaliva di tante creature aliene, posata ameno di trenta centimetri dalla testa disuo figlio addormentato.

Nel bagno continuava a scorrerl'acqua. Wendy si alzò e andò nellacamera da letto principale perassicurarsi che tutto fosse a posto. Jack

non sollevò nemmeno lo sguardo; eraperduto nel mondo che andava creando,lo sguardo fisso alla macchina dascrivere, una sigaretta infilata tra i denti.

Wendy bussò leggermente alla portachiusa del bagno. "Stai bene, dottore?Sei sveglio?"

Silenzio."Danny?"Silenzio. Wendy tentò la maniglia.

L'uscio era chiuso a chiave."Danny?" Adesso era preoccupata.

L'assenza di qualsiasi rumore, oltre aquello dell'acqua che scorreva a ritmoregolare, motivava la sua ansietà."Danny? Apri la porta, tesoro."

Nessuna risposta."Danny!"

"Cristo, Wendy, non riesco apensare se continui a bussare a quellaporta per tutta sera."

"Danny si è chiuso in bagno e nonrisponde."

Jack girò attorno alla scrivania,contrariato e batté un colpo alla porta."Apri, Danny. Smettila con gli scherzi."

Silenzio.Jack bussò più forte. "Piantala coi

tuoi giochi, dottore. Quando è ora diandare a letto ci devi andare.

Se non apri ti prendo a sculaccioni."Sta perdendo la calma,pensò Wendy,

e sentì che aveva ancor più paura. Jacknon aveva più toccato Danny, in predaall'ira, da quella sera di due anni prima,

ma in quel momento pareva abbastanzaalterato da menar le mani.

"Danny, tesoro..." riattaccò Wendy.Silenzio: solo lo scroscio dell'acqua

corrente."Danny, se mi costringi a scassinare

la porta, ti garantisco che dovrai passarela notte disteso sulla pancia," ammonìJack.

Silenzio."Buttala giù," disse Wendy.

"Presto." A un tratto parlare eradifficile.

Jack sollevò un piede e lo batté conforza sulla porta alla destra dellamaniglia. La serratura non era un granche; cedette subito e la porta si spalancòcon violenza, urtando la parete

piastrellata del bagno e rimbalzandoindietro a mezza strada.

"Danny!"urlò Wendy.Il getto d'acqua scorreva con

violenza nel lavabo. Accanto, un tubettodi dentifricio col cappuccio svitato.Danny sedeva sull'orlo della vasca, lospazzolino da denti stretto nella manosinistra inerte.

Attorno alle labbra si notava unalieve traccia di schiuma. Fissava comein trance lo specchio sull'antinadell'armadietto dei medicinali sopra illavabo. Sul volto aveva un'espressionedi orrore ipnotico, e il primo pensiero diWendy fu che fosse stato colto da unacrisi epilettica, che potesse aver

ingoiato la lingua."Danny!"Danny non rispose. Dalla gola gli

uscirono suoni gutturali.Poi Wendy si sentì spinta da parte

con tanta forza, da esser proiettatacontro il supporto degli asciugamani.Jack si inginocchiò davanti al bambino.

"Danny!" chiamò. "Danny, Danny!"Fece schioccare le dita davanti agliocchi vitrei di Danny.

"Aah... sicuro," disse Danny. "È untorneo. Battuta. Rrr..."

"Danny...""Roque!"proseguì Danny, e la voce

all'improvviso suonò fonda, quasi virile."Roque.Battuta. La mazza daroque. . hadue facce.Gaaaaa. . "

"Oh Jack, mio Dio, che cos'ha?"Jack afferrò il bambino per il gomito

e lo scosse con forza. La testa di Dannyricadde mollemente all'indietro e poiscattò in avanti come un palloncino digomma fissato a un'asticciola di legno.

"Roque.Battuta. Redrum."Jack tornò a scuoterlo, e a un tratto

gli occhi di Danny si snebbiarono. Lospazzolino da denti gli scivolò di manoe cadde sul pavimento di piastrelle.

"Cosa c'è?" domandò, guardandosiattorno. Vide il padre inginocchiatodavanti a lui, Wendy ritta accanto allaparete. "Cosa c'è?" chiese di nuovo, intono più allarmato. "C...C... coosa... c..."

"Non balbettare!"gli urlò

all'improvviso in faccia Jack. Dannyprese a strillare, spaventato. Il suocorpo si tese, tentando di svincolarsi dalpadre, poi scoppiò in lacrime. Colpito,Jack lo attrasse accanto a sé. "Oh,tesoro, mi spiace. Mi spiace, dottore. Tiprego. Non piangere. Mi spiace. Va tuttobene."

L'acqua continuava a scorrere nellavabo, e Wendy ebbe l'impressione diessere penetrata all'improvviso in unincubo opprimente dove il temposcorreva a ritroso, all'indietro fino almomento in cui quel suo marito ubriacoaveva rotto il braccio al suo bambino epoi si era messo a gemere su di lui quasicon quelle stesse precise parole.

(Oh, tesoro. Mi spiace. Mi spiace,

dot ore. Ti prego. Mi spiace tanto.)Corse accanto a loro, riuscì a strappareDanny dalle braccia di Jack (videl'espressione di rabbioso rimprovero sulvolto del marito, ma l'accantonò nellasua mente per prenderla inconsiderazione in un momentosuccessivo), e lo sollevò, riportandolonella piccola camera da letto. Danny leteneva le braccia strette attorno al collo,mentre Jack li seguiva strascicando ipiedi.

Sedette sul letto di Danny e lo cullòavanti e indietro, cercando di calmarlocon parole prive di senso che ripeté coninsistenza. Levò lo sguardo su Jack e siaccorse che ora nei suoi occhi c'era solo

ansietà.Jack la guardò con espressione

interrogativa, inarcando le sopracciglia.Wendy scosse appena il capo.

"Danny," disse. "Danny, Danny,Danny.Va tutto bene, dottore, è tutto aposto."

Finalmente Danny si calmò, scossosolo da un debole tremito fra le suebraccia. E tuttavia fu a Jack che parlòper primo, a Jack che ora sedevaaccanto a loro sul letto, e Wendy avvertìl'antica fitta appena percepibile

(il primo è lui ed è sempre stato luiil primo)

di gelosia. Jack l'aveva investito conle sue urla; lei lo aveva consolato,eppure fu a suo padre che Danny disse:

"Mi spiace se sono stato cattivo.""Non c'è niente di cui dispiacersi,

dottore." Jack gli arruffò i capelli. "Chediavolo è successo là dentro?"

Danny scosse il capo adagio, comeinebetito. "Io... io non lo so. Perché mihai detto di smetterla di balbettare,papà? Io non balbetto."

"Ma certo che no! " esclamò concalore Jack, ma Wendy ebbe lasensazione di un dito freddo che lesfiorasse il cuore. Jack all'improvvisoappariva spaventato, come se avessevisto qualcosa che avrebbe potutoessere semplicemente un fantasma.

"Qualcosa a proposito deltemporizzatore..." borbottò Danny.

"Cosa?"Jack s'era proteso in avanti,e Danny si ritrasse fra le braccia dellamadre.

"Jack, lo spaventi!" intervenneWendy, e la sua voce suonò stridula,accusatrice. Per quale motivo erano cosìspaventati?

"Non so, non so," stava dicendoDanny al padre. "Che cosa... che cosa hodetto, papà?"

"Niente," borbottò Jack. Cavò ilfazzoletto dalla tasca posteriore deicalzoni e si tamponò la bocca. Per unattimo Wendy provò di nuovo quellanauseante sensazione che il tempocorresse all'indietro. Quello era un gestoche ricordava anche troppo bene, dai

tempi in cui Jack era dedito all'alcool."Perché hai chiuso la porta a chiave,

Danny?" chiese con dolcezza. "Perchél'hai fatto?"

"Tony," disse il bambino. "Me l'hadetto Tony di farlo."

Si scambiarono un'occhiata sopra latesta di Danny.

"Tony ti ha detto perché?" domandòJack con calma.

"Mi stavo lavando i denti e pensavoagli esercizi di lettura," spiegò Danny."Ci pensavo molto forte.

E... ho visto Tony in fondo allospecchio. Mi ha detto che avevaqualcos'altro da mostrarmi."

"Vuoi dire che era dietro di te?"chiese Wendy.

"No, era dentro lo specchio." Suquesto punto Danny sembrava deciso."Proprio in fondo. E poi anch'io hoattraversato lo specchio. Dopo, tuttoquello che ricordo è papà che miscuoteva, e ho pensato di essere stato dinuovo cattivo."

Jack trasalì a quella mazzata. "No,dottore," mormorò.

"È stato Tony a dirti di chiudere laporta a chiave?" chiese Wendycarezzandogli i capelli.

"Sì.""E che cosa voleva mostrarti?"Danny si irrigidì nelle sue braccia; e

fu come se i muscoli del suo piccolocorpo si fossero tramutati in qualcosa di

simile alle corde di un pianoforte. "Nonricordo," rispose, in tono vago. "Nonricordo. Non chiedermelo. Io...io nonricordo niente !"

"Ssst," fece Wendy, allarmata. Eriprese a cullarlo. "Va benissimo, se nonricordi, tesoro. Ma certo, non haimportanza."

Finalmente Danny accennò arilassarsi di nuovo.

"Vuoi che resti un poco con te? Cheti legga una favola?"

"No. Solo lascia accesa la lampadasul comodino." Guardò timidamente ilpadre. "Ti fermi, papà? Un momentosoltanto?"

"Certo, dottore."Wendy sospirò. "Mi troverai in

soggiorno, Jack.""Va bene."Wendy si alzò e osservò Danny che

s'infilava sotto le coperte. Le parvepiccolissimo.

"Sei sicuro di star bene, Danny?""Sì, sì, sto benone. Solo infila la

spina di Snoopy, mamma.""Sicuro."Infilò nella presa la spina della

lampada da notte adorna diun'illustrazione in cui si vedeva Snoopyche dormiva steso sul tetto della suacuccia. Wendy spense la lampada datavolo e il lume che pendeva dal soffitto;poi si volse a guardarli, il piccolocerchio bianco del volto di Danny e

quello di Jack che lo sovrastava. Esitòun istante

(e poi ho attraversato lo specchio)e poi se ne andò senza far rumore."Hai sonno?" chiese Jack scostando

i capelli dalla fronte di Danny."Sì.""Vuoi un bicchiere d'acqua?""No..."Per cinque minuti non parlarono.

Jack teneva ancora la mano posata sulcapo di Danny. Convinto che il bambinosi fosse addormentato, fece l'atto dialzarsi e andarsene senza far rumore,quando Danny uscì a dire in una speciedi dormiveglia: "Roque."

Jack si volse di scatto, agghiacciato:"Danny...?"

"Non farai del male alla mamma,vero papà?"

"No.""O a me?""No."Di nuovo una lunga pausa di

silenzio."Papà?""Cosa?""È venuto Tony e mi ha parlato

delroque. ""Davvero, dottore? E che cos'ha

detto?""Non mi ricordo bene. Ha detto solo

che si giocava ainnings. Come ilbaseball. Buffo, no?"

"Sì." Jack si sentiva pulsare

sordamente il cuore in petto. Comefaceva a sapere una cosa del genere, ilbambino? Ilroque si giocava ainnings,non come il baseball ma come il cricket.

"Papà..." Era quasi addormentatoora.

"Cosa?""Cos'è redrum?""Red drum? Tamburo rosso? Si

direbbe qualcosa che gli indiani siportavano sul sentiero di guerra."

Silenzio."Ehi, dottore?"Ma Danny dormiva, respirando a

ritmo lento e scandito. Jack rimaseseduto a guardarlo per un moménto, e unimpeto di tenerezza lo travolse comeun'ondata di marea. Perché aveva urlato

contro il bambino a quel modo? Era deltutto normale che balbettasse un poco:era appena uscito da una sorta diintontimento, di misteriosa trance, e incircostanze del genere era normale cheuna persona balbettasse.

Normalissimo, sì. E non aveva dettotemporizzatore. Si era trattato diqualcos'altro, una parola senza senso, undiscorso inarticolato.

Come faceva a sapere che ilroque sigiocava ainnings ? Gliel'aveva dettoqualcuno? Ullman?

Hallorann?Abbassò gli occhi a guardarsi le

mani. Erano serrate a pugno, erivelavano l'estrema tensione (dio avrei

proprio bisogno di bere qualcosa)e le unghie affondavano nel palmo

come minuscoli coltelli. Lentamente sicostrinse ad aprirle.

"Ti voglio bene, Danny," bisbigliò."Dio sa se te ne voglio."

Uscì dalla stanza. Di nuovo avevaperso la calma. Non come prima, masolo un poco: quanto bastava a fargliprovare nausea e paura. Un bicchierinodi qualcosa avrebbe attutito quellasensazione, oh sì.

Avrebbe attutito quello(qualcosa a proposito del

temporizzatore)e ogni altra cosa. Non si poteva

equivocare, su quelle parole. Sunessuna. Gli erano uscite di bocca

perfettamente nitide come il suono diuna campana. Si soffermò nel corridoio,voltandosi a guardare, eautomaticamente si tamponò le labbracol fazzoletto.

Le loro forme erano solo sagomescure nel cerchio di luce della lampadada notte. Wendy, che indossava soltantole mutandine, si accostò al letto e tornò arimboccargli le coperte. Danny,scalciando, le aveva respinte. Jackindugiò sulla soglia, osservando Wendyche gli appoggiava alla fronte il latointerno del polso.

"Ha la febbre?""No." Wendy gli diede un bacio

sulla guancia.

"Grazie a Dio hai presoquell'appuntamento," disse Jack mentrelei lo raggiungeva sulla soglia. "Crediche quel tipo sappia il fatto suo?"

"La cassiera ha detto che è moltobravo. Non so altro."

"Se c'è qualcosa che non va, tispedirò con lui da tua madre, Wendy."

"No.""Lo so," disse Jack, passandole un

braccio attorno alle spalle, "so quel cheprovi."

"E invece non ti immagini neppureche cosa provo per lei."

"Non c'è altro posto dove ti possamandare, Wendy. Lo sai."

"Se venissi anche tu..."

"Senza questo lavoro siamo a terra,"fece Jack senza preamboli. "E lo sai."

Wendy annuì lentamente. Certo chelo sapeva.

"Quando ho avuto quel colloquiocon Ullman, ho pensato che parlassetanto per dare aria alla bocca.

Ora non ne sono più tanto sicuro.Forse non avrei dovuto fare un tentativodel genere con voialtri due appresso. Asessanta chilometri da chissà dove."

"Ti amo," lo interruppe Wendy. "EDanny ti vuole ancor più bene, ammessoche sia possibile. Per lui sarebbe statoterribile, Jack. Gli si spezzerà il cuore,se ci spedisci via."

"Non metterla a questo modo, via!"

"Se il dottore dice che c'è qualcosache non va, mi cercherò un lavoro aSidewinder," disse Wendy. "Se non netroverò uno a Sidewinder, Danny e ioandremo a Boulder. Non posso andareda mia madre, Jack. Non a questo patto.Non chiedermelo. Io... io non posso,ecco."

"Credo di capirti. Su col morale.Magari non è niente."

"Magari.""L'appuntamento è per le due?""Sì.""Lasciamo aperta la porta della

camera, Wendy.""Giusto. Ma credo che ormai non si

sveglierà."

Invece si svegliò.Bum... bum... bumbum BUMBUM...Fuggiva i suoni pesanti, rintronanti,

echeggiami per corridoi tortuosi, similia un labirinto, i piedi scalzi frusciami suuna folta e soffice giungla azzurra e nera.Ogni volta che udiva la mazza da roqueabbattersi contro la parete in qualchepunto alle sue spalle, aveva voglia diurlare. Ma non doveva. Non doveva.Sarebbe bastato un urlo a tradirlo eallora

(alloraREDRUM )(Vieni fuori a prendere la purga,

brutto moccioso fottuto!)Oh, e udiva anche il proprietario di

quella voce che si avvicinava, che gli

piombava addosso, correndo su per ilcorridoio come una tigre in una stranagiungla azzurronera. Una mangiatrice diuomini.

(Vieni fuori, brutto figlio di puttana!)Se fosse riuscito a. raggiungere le

scale che scendevano da basso, se fosseriuscito a sgattaiolare da quel terzopiano, forse sarebbe riuscito a mettersiin salvo. Persino l'ascensore. Se fosseriuscito a ricordare quello che era statodimenticato. Ma era buio e per il terroreaveva perso l'orientamento.

Aveva imboccato un corridoio e poiun altro, col cuore che gli balzava ingola, temendo a ogni angolo di ritrovarsifaccia a faccia con la tigre umana ches'aggirava per quei tetri ambulacri.

Ora il rimbombo era proprio allesue spalle; quell'urlo roco, orrendo.

Il sibilo prodotto dalla testa dellamazza che solcava l'aria

(roque. . battuta. . roque. . battuta. .REDRUM)

prima di abbattersi contro la parete.Il lieve fruscio dei piedi sultappetogiungla. Il panico che glidilagava nella bocca come un succoamaro.

(Ricorderai quel che è statodimenticato. .ma l'avrebbe ricordato?Che cos'era?) Fuggì svoltando un altroangolo e si accorse con strisciante,crescente orrore che si trovava in unvicolo cieco. Porte sprangate lo

guardavano accigliate da tre lati. L'alaovest. Si trovava nell'ala ovest e fuoriudiva la bufera che ululava e urlava, esembrava strangolarsi nella gola scura,ricolma di neve.

Si addossò alla parete,piagnucolando di terrore ora, il cuoreche gli martellava in petto come quellodi un coniglio preso in trappola. Quandoappoggiò le spalle alla tappezzeria diseta azzurro chiaro col suo intrico inrilievo di linee sinuose, gli si piegaronole gambe e crollò sul tappeto, le maniaperte sulla giungla di liane e rampicantiintrecciati, il respiro che gli uscivarauco dalla gola.

Più forte. Più forte.C'era una tigre nel corridoio, e ora

la tigre era appena dietro l'angolo, eurlava ancora con quella rabbia stridulae petulante e folle, calando con forza lamazza da roque, perché quella tigrecamminava a due gambe ed era...

Si svegliò di colpo col fiato mozzo,levandosi a sedere di scatto sul letto, gliocchi sgranati a fissare il buio, le maniincrociate davanti al viso.

Qualcosa in una mano. Qualcosa chestrisciava.

Vespe. Tre vespe.Poi lo punsero, e parve che

conficcassero i pungiglioni tutte e treinsieme, e fu allora che tutte le immaginisi frantumarono e caddero su di lui in unfiotto oscuro, e si mise a strillare nel

buio, con le vespe che gli siarrampicavano su per la mano sinistra,pungendolo ancora e ancora, senza pietà.

Si accesero le luci e papà era lì inpiedi con indosso soltanto le mutande,gli occhi lampeggianti. Dietro di lui lamamma, assonnata e impaurita.

"Cacciatele via!"urlò Danny."Oh, mio Dio," esclamò Jack. Vide."Jack, che cosa succede?Che cosa

succede? "Jack non rispose. Corse accanto al

letto, raccolse il guanciale di Danny e localò violentemente sulla mano sinistradel bambino che si agitava. Più e piùvolte. Wendy vide levarsi nell'aria,ronzando, forme d'insetti che simuovevano con volo goffo e pesante.

"Prendi un giornale!" urlò Jack dasopra la spalla. "Ammazzale! "

"Vespe?" E per un istante Wendyvide chiaro in se stessa, rendendosiconto della situazione quasi condistacco. Ne ebbe la mente offuscata, ela coscienza era collegata all'emozione."Vespe, oh Gesù, Jack, avevi detto..."

"Chiudi il becco e ammazzale!"ruggìlui. "Fa' un po' quel che ti dico!"

Uno degli insetti si era posato sultavolo di lettura di Danny. Wendy preseun album da colorare dal tavolino e loabbatté con gesto rabbioso sull'insettoche lasciò una macchia bruniccia erischiosa.

"Ce n'è un'altra sulla tenda," disse

Jack, e corse fuori, passandole accantocon Danny in braccio.

Portò il bambino in camera loro e loadagiò sul letto matrimonialeimprovvisato, dalla parte di Wendy.

"Resta qui, Danny. Non tornare incamera tua finché non te lo dico io.Capito?"

Danny fece segno di sì, il voltotumefatto e rigato di lacrime.

"Bravo! Ho un bambino coraggioso,io."

Jack ripercorse il corridoio fino allescale. Alle sue spalle udì abbattersialtre due volte l'album da colorare, poisua moglie lanciò un urlo di dolore. Jacknon rallentò il passo, ma scese le scale adue gradini alla volta, nell'atrio immerso

nelle tenebre. Attraversò l'ufficio diUllman ed entrò in cucina, urtando conviolenza contro lo scrittoio di quercia diUllman. Accese di scatto tutte le lucidella cucina e si portò accantoall'acquaio. Le stoviglie lavate dellacena erano ancora impilate sulloscolapiatti, dove Wendy le aveva postead asciugare. Jack agguantò la grandepirofila in cima al mucchio. Un piattocadde a terra fracassandosi con fragore.Ignorò l'incidente e riattraversò di corsal'ufficio risalendo le scale.

Wendy, ansimante, se ne stava fuoridell'uscio della camera di Danny. Erapallidissima. Aveva gli occhi lucidi evacui; i capelli umidicci le si

incollavano addosso. "Le ho fatte fuoritutte," mormorò con voce inespressiva,"ma una mi ha punto. Jack, mi avevidetto che erano morte tutte!" E scoppiò apiangere.

Lui le passò accanto senzarisponderle e portò la pirofila accanto alnido, vicino al letto di Danny. Era senzavita. Non c'era niente. All'esterno,comunque. Calò con forza la pirofila sulnido.

"Ecco fatto," disse. "Ora andiamo."Tornarono nella loro stanza."Dove ti ha punto?" le chiese."Al... al polso.""Vediamo."Glielo mostrò. Tra il polso e il

palmo della mano si notava un forellino

circolare. Tutt'attorno la carne si stavagonfiando.

"Sei allergica alle punture diinsetti?" le domandò. "Pensaci bene! Selo sei potrebbe esserlo anche Danny.Quelle bastarde fottute l'hanno puntocinque o sei volte."

"No," mormorò Wendy. "Io... ledetesto, ecco tutto. Leodio. "Era piùcalma, ora.

Danny era seduto ai piedi del letto eli guardava tenendosi la sinistra. I suoiocchi, cerchiati di bianco per lo shock,si posarono su Jack con espressione dirimprovero.

"Papà, avevi detto di averle uccisetutte. La mano... mi fa tanto male, sai?"

"Vediamo un po', dottore... no, non titocco. Ti farei ancora più male. Tendilasoltanto."

Il bambino obbedì e Wendy emise ungemito. "Oh, Danny... oh, la tua poveramano!"

Più tardi il medico avrebbe contatoben undici punture diverse. Ora, tuttoquel che videro fu una costellazione diforellini, come se il palmo della mano ele dita di Danny fossero state spruzzatedi granelli di pepe rosso. Il gonfiore eramolto vistoso.

"Wendy, va' in bagno a prenderequella bomboletta," disse Jack.

Lei eseguì l'ordine, e Jack sedetteaccanto a Danny cingendogli le spalle

con un braccio."Quando avremo spruzzato un po' di

quella roba sulla mano, voglio scattarequalche fotografia con la polaroid,dottore. Questa notte dormirai con noi,va bene?"

"Sì, sì," approvò Danny. "Ma perchévuoi fare le fotografie?"

"Perché così potremo forse intentarecausa a qualcuno."

Wendy tornò con una bomboletta cheaveva la forma di un piccolo estintorechimico.

"Non ti farà male, tesoro," lorassicurò svitando il cappuccio.

Danny tese la mano e lei spruzzò ilprodotto su ambo i lati, finché ne fu tuttainondata. Il bimbo si lasciò sfuggire un

lungo sospiro che somigliava a unbrivido.

"Brucia?" gli domandò."No. Fa meno male.""E adesso queste. Masticale." Gli

tese cinque compresse pediatriche diaspirina al sapore d'arancia.

Danny se le ficcò in bocca una allavolta.

"Non è troppa, tutta quell'aspirina?"insinuò Jack.

"Sono tante anche le punture," reagìlei, adirata. "Va' a sbarazzarti di quelnido, Jack Torrance, subito."

"Un momento, un momento solo."Jack si portò accanto al cassettone e

tolse la polaroid dal cassetto superiore.

Frugò tra altri oggetti e scovò due o trelampadine da flash.

"Jack, che cosa fai?" chiese Wendyin tono teso, quasi allarmato.

"Vuole fotografare la mia mano,"fece Danny con aria solenne, "e poifaremo causa a qualcuno.

Giusto, papà?""Giusto," rispose Jack tetro. Incastrò

il supporto per il flash nella macchinafotografica. "Tendi la mano, Danny.Voglio cavare cinquemila dollari perogni puntura."

"Che cosa stai dicendo?" Wendyquasi urlava.

"Ho seguito alla lettera le istruzionistampate su quella fottuta bombolad'insetticida. Gli faremo causa.

Quel maledetto aggeggio eradifettoso, altrimenti come sispiegherebbe?"

"Oh," mormorò Wendy con un fil divoce.

Jack scattò quattro fotografie,estraendo ogni stampa coperta in modoche Wendy calcolasse il temponecessario allo sviluppo sull'orologino amedaglione che portava al collo.Affascinato dall'idea che la mano puntadalle vespe potesse valere migliaia emigliaia di dollari, Danny sembròdimenticare almeno in parte la paura eprendere interesse attivo alla scena. Lamano gli pulsava sordamente, e luiaveva anche un principio di mal di testa.

Quando Jack ebbe riposto lamacchina fotografica e sciorinato lestampe ad asciugare sul ripiano delcassettone, Wendy chiese: "Credi chedovremmo portarlo dal dottore staserastessa?"

"No, a meno che non stia veramentemale. Se un soggetto è fortementeallergico al veleno di vespa succededopo trenta secondi."

"Succede? Che cosa intendi...""Be'... va in coma. O gli prendono le

convulsioni.""Gesù!" Si prese i gomiti tra le mani

stringendosi le braccia contro il corpo,pallida, quasi esangue.

"Come ti senti, ometto? Credi di

farcela a dormire?"Danny li guardò ammiccando.

L'incubo si era affievolito in unsottofondo vago, senza contorni, ma eraancora spaventato.

"Se mi fate dormire con voi...""Ma certo," disse Wendy. "Oh,

tesoro, mi spiace tanto.""Non preoccuparti mamma."Wendy riprese a piangere, e Jack le

posò le mani sulle spalle. "Wendy, tigiuro che ho seguito alla lettera leistruzioni."

"Domattina sbarazzatene, ti prego.""Certo."S'infilarono nel letto tutti e tre, e

Jack stava per spegnere la luce sopra latestata, quando si fermò tornando a

respingere indietro le coperte. "Vogliofotografare anche il nido."

"Torna subito.""Sì."Si accostò al cassettone, prese la

macchina fotografica e l'ultimalampadina per il flash e sollevò la manocol pollice e l'indice chiusi a formare uncerchio all'indirizzo di Danny. Dannysorrise e ricambiò il gesto con la manosana.

Che bambino,pensò Jack, mentre siavviava verso la camera di Danny.Dopotutto quello che gli è successo.

La luce centrale era ancora accesa.Jack attraversò la stanza avvicinandosial letto a castello, e mentre osservava il

tavolino posto lì accanto, si sentì venirela pelle d'oca. Avvertì una sorta dipizzicore alla base della nuca, incorrispondenza dei capelli tagliati corti,che parvero volerglisi rizzare in capo.

Quasi non riusciva a scorgere il nidoattraverso il vetro della pirofila. Laparete interna del recipiente brulicava divespe. Sarebbe stato difficile direquante. Cinquanta, almeno. O forsecento.

Col cuore che gli martellava in pettoscattò le fotografie, poi posò lamacchina, in attesa che le foto sisviluppassero. Si passò il palmo dellamano sulle labbra. Un pensiero gli siripercuoteva nella mente, riecheggiando

(Hai perso la calma. Hai perso la

calma. Hai perso la calma)un terrore quasi superstizioso. Erano

tornate. Aveva ucciso le vespe maquelle erano tornate.

Mentalmente si udiva urlare infaccia al figlio spaventato, inlacrime:Non balbettare!

Tornò a passarsi la mano sullelabbra.

Si accostò al tavolo di Danny, frugònei cassetti e scovò un grande gioco aincastro con la base di cartoneplastificato. Lo portò al tavolino danotte e lo fece scivolare con cura sottola pirofila e il nido di vespe. Gli insettironzarono stizziti nella loro prigione;poi, posando saldamente la mano sulla

sommità della pirofila perché nonscivolasse, uscì nel corridoio.

"Vieni a letto, Jack?" domandòWendy.

"Vieni a letto, papà?""Devo scendere da basso un

momento," rispose Jack sforzandosi diassumere un tono leggero.

Com'era successo? Come, in nomedi Dio?

La bombola non era vuota, questoera certo: quando aveva tirato l'anelloaveva visto sprigionarsi il densospruzzo bianco. E quando era salito dueore dopo, scuotendo il nido ne avevafatto uscire un mucchietto di relitti senzavita dal foro sulla sommità.

Era pura follia. Idiozie del

diciassettesimo secolo. Gli insetti non sirigeneravano. E anche se le uova divespa potevano trasformarsi in insettiadulti nel giro di dodici ore, non eraquella la stagione in cui la regina ledeponeva. Gli insetti nascono inprimavera; in autunno muoiono.

Le vespe, vivente contraddizione,ronzarono furiosamente sotto la pirofila.

Le portò da basso e attraversò lacucina. Sul retro si apriva una porta chedava all'esterno. Un freddo ventonotturno gli soffiò contro il corposeminudo. Posò a terra, con cautela, ilcartone dell'incastro e la pirofila; equando si raddrizzò diede un'occhiata altermometro inchiodato fuori dall'uscio.

GASATEVI CON LA GASSOSA,diceva il termometro, e la colonnina dimercurio segnava tre gradi sotto zero.

Prima della mattina il freddo leavrebbe uccise. Rientrò e chiuse la portacon cura; dopo un breve istante diripensamento decise addirittura disprangarla.

Riattraversò la cucina e spense leluci. Indugiò un attimo al buio,pensando, con una gran voglia di bere. Etutt'a un tratto l'albergo parve riempirsidi mille rumori furtivi: scricchiolii egemiti e il fiuto sornione del vento sottole gronde dove poteva darsi chependessero come frutti letali altri nidi divespe.

Erano tornate.

E improvvisamente trovò chel'Overlook non gli piaceva granché:come se fosse stato l'albergo a pungeresuo figlio, non le vespe sopravvissutemiracolosamente all'assaltodell'insetticida.

Il suo ultimo pensiero, prima dirisalire dalla moglie e dal figlio (d'orain poi dovrai controllarti. Qualunquecosa accada)

fu deciso e fermo e sicuro.

17Con indosso solo le mutandine,

disteso sul lettino, Danny Torrancepareva molto piccolo. Teneva losguardo alzato sul dottor ("chiamamiBill") Edmonds, che gli stava

avvicinando una grande macchina neramontata su rotelle. Danny roteò gli occhiper esaminarla più attentamente.

"Non aver paura, caro," disse BillEdmonds. "È un elettroencefalografo. Tiassicuro che non fa male."

"Elettro...""Noi per brevità la chiamiamo EEG.

Adesso ti attacco alla testa tanti, tantifili... no, non è che te li infili dentro, te lifisso con un nastro adesivo... e i pennini,vedi, in questa parte dell'apparecchioregistreranno le tue onde cerebrali."

"Come nell'Uomo da sei milioni didollari'?"

"Più o meno. Ti piacerebbe esserecome Steve Austin, da grande?"

"Nemmeno per idea," reagì Danny,

mentre l'infermiera cominciava adapplicare gli elettrodi in corrispondenzadi tutta una serie di piccole zone rasatesulla sua cute. "Il mio papà dice che ungiorno o l'altro andrà in corto circuito epoi finirà in mer... finirà con l'acqua allagola, insomma."

"La conosco bene quell'acqua,"disse amabilmente il dottor Edmonds."Ci sono finito anch'io qualche volta, esenza salvagente. Un EEG può rivelarciun sacco di cose, Danny."

"Per esempio?""Per esempio se hai l'epilessia. È un

piccolo problema per cui...""Sì, sì, lo so che cos'è l'epilessia.""Sul serio?"

"Sul serio. C'era un bambino chel'aveva, alla scuola materna nelVermont. Perché sai, io andavo allascuola materna quando ero piccolo. Nonaveva il permesso di usare il quadranteluminoso."

"Che cos'era, Dan?" Il dottorEdmonds aveva acceso l'apparecchio.Una serie di esili linee presero adelinearsi sulla carta del grafico.

"Aveva tutte quelle lucette, tutte dicolori diversi. E quando si accendeva siilluminavano alcuni colori, ma non tutti.E si dovevano contare i colori e, se sischiacciava il bottone giusto, si potevaspegnerla.

Brent non aveva il permesso di

usarla.""Perché a volte le luci lampeggianti

provocano una crisi di epilessia.""Vuol dire che se avesse usato il

quadrante luminoso, a Brent sarebberopotute venire le convulsioni?"

Edmonds e l'infermiera siscambiarono una rapida occhiatadivertita. "L'espressione non è moltoelegante, però è esatta, Danny."

"Come?""Ho detto che hai ragione; solo che

dovresti dire 'crisi' anziché'convulsioni'. Non è carino...

comunque, adesso sfattene buonobuono."

"D'accordo.""Danny, quando hai quelle... be',

qualunque cosa siano, ricordi per casodi aver visto luci lampeggianti?"

"No.""Strani rumori? Scampanii? O

squilli come di un campanello?*"Be'...""O magari qualche strano odore,

come di arance, per esempio, o disegatura? O un odore come di qualcosadi marcio?"

"No, signore.""A volte ti capita di aver voglia di

piangere prima di perdere i sensi, anchese non sei affatto triste?"

"No, no, assolutamente.""Allora va tutto bene.""Ho l'epilessia, dottor Bill?"

"Non credo, Danny. Sta' fermo:abbiamo quasi finito."

La macchina ronzò e tracciò il suografico per altri cinque minuti; poi ildottor Edmonds la spense.

"Ecco fatto, giovanotto," concluseEdmonds, asciutto. "Adesso Sally titoglie tutti questi elettrodi, poi vieninella stanza accanto. Voglio fare quattrochiacchiere con te: d'accordo?"

"Sicuro.""Proceda, Sally; gli faccia unfine test

prima di mandarlo di là."Edmonds strappò la lunga striscia di

carta che la macchina aveva espulso epassò nella stanza attigua, esaminandola.

"Adesso ti faccio una punturina al

braccio," disse l'infermiera dopo cheDanny si fu infilato i calzoni.

"È per assicurarci che tu non abbiala TBC."

"Me l'hanno già fatta a scuola l'annoscorso," ribatté Danny senza moltesperanze.

"Ma è passato tanto tempo. Ora seiun bambino grande, no?"

"Be', forse sì...," sospirò Danny etese il braccio al sacrificio.

Quando si fu rimesso la camicia e lescarpe, varcò la porta scorrevole edentrò nello studio del dottor Edmonds. Ilmedico sedeva sul bordo dellascrivania, pensieroso, lasciandodondolare le gambe.

"Ciao, Danny."

"Ciao.""Come va la mano?" E indicò la

mano sinistra di Danny, avvolta in unaleggera fasciatura.

"Non c'è male.""Benissimo. Ho dato un'occhiata al

tuo EEG e mi sembra a posto; ma lospedirò a un mio amico di Denver che siguadagna da vivere leggendo questaroba. Tanto per essere sicuri, sai?"

"Sì, signore.""Dimmi di Tony, Dan."Danny spostò il peso del corpo da un

piede all'altro. "È un amico invisibile,"disse. "L'ho inventato io: mi tienecompagnia."

Edmonds scoppiò a ridere e posò le

mani sulle spalle di Danny. "Ora, questoè quanto dicono il tuo papà e la tuamamma. Ma adesso noi siamo aquattr'occhi. Sono il tuo medico. Dimmila verità e ti prometto di non dirglielo, ameno che tu non me ne dia il permesso."

Danny ci pensò sopra. A un trattonella testa gli si formò un'immaginestranamente confortante: schedari, leantine che si chiudevano scorrendo,l'una dopo l'altra, con uno scattoleggero. Sulle targhette al centro di ogniantina stava scritto: AC, segreto; DG,segreto, e così via. Danny si sentìlievemente riconfortato.

"Non so chi sia Tony," ammise conuna lieve esitazione.

"Ha la tua età?"

"No. Ha almeno undici anni. O forseè anche più vecchio, non l'ho mai vistoproprio da vicino.

Potrebbe essere abbastanza grandeda guidare la macchina."

"L'hai visto solo da lontano, eh?""Sì.""E arriva sempre poco prima che tu

perda i sensi?""Non è vero che perdo i sensi. È

come se andassi con lui. E lui mi favedere le cose."

"Che genere di cose?""Be'..." Danny ponderò un attimo la

domanda, poi raccontò a Edmonds lafaccenda del baule di papà con tutte lesue carte dentro, e di come l'impresa di

traslochi non l'avesse perso tra ilVermont e il Colorado, dopotutto. Erasempre stato là, nel sottoscala.

"E il tuo papà l'ha trovato propriodove aveva detto Tony?"

"Sì, sì. Ma non è che Tony mel'abbia detto: me l'ha fatto vedere."

"Capisco. Danny, che cosa ti ha fattovedere Tony ieri sera? Quando ti seichiuso a chiave nel bagno."

"Non mi ricordo.""Ne sei sicuro?""Certo che lo sono.""Poco fa mi hai detto di aver chiuso

a chiave la porta del bagno; ma non eraesatto, vero? È stato Tony a chiuderla."

"No, no. Lui come poteva chiuderla?Tony in realtà non esiste. Sono stato io.

Mi ha detto di chiuderla e io l'hochiusa."

"Tony ti mostra sempre dove sitrovano le cose smarrite?"

"No. Qualche volta mi mostra coseche devono ancora accadere."

"Davvero?""Certo. Una volta mi ha mostrato il

luna park e il parco degli animaliselvatici di Great Barrington.

Tony mi ha detto che il papà mi ciavrebbe accompagnato per il miocompleanno. E infatti mi ci ha portato."

"E che cos'altro ti mostra?"Danny aggrottò la fronte. "Scritte. Mi

mostra sempre delle vecchiescritte. E ionon riesco a leggerle quasi mai."

"Secondo te, perché Tony fa unacosa del genere, Danny?"

"Non lo so." Danny s'illuminò. "Mail mio papà e la mia mamma mi stannoinsegnando a leggere, e io mi do un grandaffare a imparare, sa?"

"Per poter leggere le scritte diTony?"

"No, è che voglio imparare aleggere. Ma anche per quello, sì."

"Tony ti piace?"Danny fissò le piastrelle del

pavimento e non rispose."Danny?""È difficile dirlo." rispose Danny.

"Una volta, sì. Una volta speravo chevenisse ogni giorno, perché mi faceva

sempre vedere belle cose, soprattutto daquando la mamma e il papà non pensanopiù al DIVORZIO. Ma ora, tutte le volteche viene mi mostra cose brutte. Coseorribili. Come ieri sera in bagno. Lecose che mi mostra mi pungono come mihanno punto quelle vespe. Solo che lecose di Tony mi pungono qui." E Dannycon gesto solenne puntò un dito allatempia: un bambino che inconsciamentemimava il suicidio.

"Quali cose, Danny?""Non riesco a ricordare!" gridò

Danny, in preda alla sofferenza. "Se miricordassi glielo direi! È come se nonriuscissi a ricordare perché è così bruttochenon voglio ricordare. L'unica cosache mi ricordo quando mi sveglio è

REDRUM.""Reddrum o redrum ?""Rum.""E che cos'è, Danny?""Non lo so.""Danny?""Sì?""Puoi fare venire Tony, adesso?""Non lo so. Non sempre viene. Non

so neanche se voglio che venga più.""Tenta, Danny. Ci sono io, qui

vicino a te."Danny guardò Edmonds, dubbioso. Il

medico gli fece un cennod'incoraggiamento col capo.

Danny sospirò ed ebbe un cenno diassenso. "Però non so se funziona. Non

l'ho mai fatto con qualcuno che miguardasse, prima d'ora. E comunqueTony non sempre viene."

"Se non viene, pazienza," disseEdmonds. "Voglio soltanto che tuprovi."

"D'accordo."Abbassò lo sguardo sulle scarpe da

riposo di Edmonds che dondolavanolentamente avanti e indietro e proiettò lamente in direzione di suo padre e di suamadre. Erano lì... proprio al di là dellaparete dalla quale pendeva il quadro.Nella sala d'attesa dov'erano entrati.Seduti l'uno accanto all'altra senzaparlare. A sfogliare riviste. Preoccupati.Per lui.

Si concentrò più intensamente,

corrugando la fronte, sforzandosi dipenetrare nel senso dei pensieri dellamamma. Era sempre più difficile quandonon erano nella stessa stanza. Poicominciò a percepire.

La mamma stava pensando a unasorella. A sua sorella. La sorella eramorta. La mamma pensava che era stataquella la cosa principale che avevatrasformato, la sua, di mamma, in unasimile (puttana?)

in una vecchia carogna del genere.Perché sua sorella era morta. Dabambina era stata (investita da unamacchina o dio non potrei maisopportare di nuovo una cosa del generecome quella di aileen ma e se fosse

malato davvero malato cancro meningitecerebrospinale leucemia tumore alcervello come il figlio di john gunther odistrofia muscolare o dio mamma sisente di continuo parlare di bambinidella sua età che hanno la leucemiaapplicazioni di radio chemioterapia nonpotremmo permetterci assolutamentequalcosa del genere ma naturalmente nonpossono lasciarti morire su una stradavero e comunque lui sta bene sta benedavvero non dovresti permetterli dipensare) (Danny. .)

(ad aileen e a)(Dannyyy. .)(quella macchina)(Dannyyy. .)Ma Tony non c'era. Soltanto la sua

voce. E mentre questa si affievoliva,Danny la seguì sprofondando nelletenebre, cadendo e incespicando giù peruna qualche magica voragine tra lescarpe dondolanti del dottor Bill, oltreun sonoro suono schioccante, ancor piùin là, una vasca da bagno galleggiavasilenziosa nelle tenebre con qualcosa diorribile adagiato pigramente all'interno,oltre un suono simile al dolce rintoccodelle campane di una chiesa, oltre unorologio sotto una campana di vetro.

Poi il buio fu perforato da un tenueraggio di luce, festonato di ragnatele.Quel debole lucore illuminò unpavimento di pietra sudicio e umidiccio.Non lontano, da un punto imprecisato, si

udiva un suono meccanico regolare,come un mugghio, ma attutito, che nonfaceva paura. Soporifero. Era la cosache sarebbe stata dimenticata, pensòDanny con sognante sorpresa.

A mano a mano che gli occhi siandavano abituando alla penombra,scorse Tony appena davanti a sé, unasagoma confusa. Tony guardavaqualcosa e Danny aguzzò gli occhi pervedere che cosa fosse.

(Il tuo papà. Lo vedi, il tuo papà?)Certo che lo vedeva. Come avrebbe

potuto non vederlo, persino alla fievoleluce della lampada dello scantinato?Papà era accovacciato sul pavimento eindirizzava il fascio di luce di una torciaelettrica su vecchie scatole di cartone e

vecchie casse. Le scatole di cartoneerano vecchie e ammuffite; alcune sierano sfasciate e dagli squarci mucchi discartoffie erano franati sul pavimento.Giornali, libri, fogli di carta stampatisimili a fatture. Il suo papà li esaminavacon estremo interesse; poi papà alzavagli occhi e puntava la torcia in un'altradirezione. Il fascio di luce trafiggeva unaltro libro, un grosso libro bianco legatocon un cordoncino d'oro. La copertinaera di pelle bianca, o così sembrava. Unalbum di ritagli.

Danny provò l'impulso di avvertiresuo padre, di dirgli di lasciar perderequel libro, che c'erano libri che nonbisognava aprire. Ma Jack si stava già

arrampicando verso il libro.Il rumore meccanico che somigliava

a un mugghio, e che ora Dannyriconosceva come quello della caldaiadell'Overlook che papà andava acontrollare tre o quattro volte al giorno,si era tramutato in un ansito sinistro,ritmico. Ora, semmai, era un martellarescandito. E il puzzo di muffa e di cartaumida e fradicia andava trasformandosiin qualcos'altro: nel sentore acuto diginepro, della Brutta Cosa.

Aleggiava attorno al suo papà comeun vapore, mentre tendeva la mano allibro... e lo afferrava.

Tony era nel buio, da qualche parte.(Questo posto disumano crea mostri

umani. Questo posto disumano) e

ripeteva senza posa la stessa cosaincomprensibile.

(crea mostri umani.)Ed eccolo che ricadeva di nuovo

nelle tenebre, accompagnato dal pesante,tonante martellio che non era più ilrumore della caldaia, ma il suono di unamazza sibilante che colpiva paretitappezzate di seta, sollevandonenuvolette di calcinacci. Rannicchiato,impotente, su un tappetogiungla intessutodi blu e di nero.

(Vieni fuori)(Questo posto disumano)(a prendere la purga!)(crea mostri umani.)Con un rantolo che gli echeggiò nel

capo si strappò dalle tenebre. Mani sierano posate su di lui, e lì per lì siritrasse, pensando che la cosa tenebrosadel mondo di Tony l'avesse seguito(chissà come, poi) mentre tornava nelmondo delle cose reali... Ed ecco ildottor Edmonds che diceva: "Stai bene,Danny.

Stai bene. Va tutto bene."Danny riconobbe il medico, poi

l'ambiente che lo circondava, lo studio.Fu scosso da brividi convulsi,irrefrenabili. Edmonds lo tenne fermo.

"Hai detto qualcosa a proposito dimostri, Danny..." prese a dire Edmondsnon appena la reazione cominciò acalmarsi.

"Di che cosa si trattava?"

"Questo posto disumano," disseDanny con voce gutturale. "Tony mi hadetto... questo posto disumano... crea...crea..." Scosse la testa. "Non riesco aricordare."

"Via, fa' uno sforzo!""Non riesco.""Tony è venuto?""Sì.""Che cosa ti ha mostrato?""Buio, qualcosa che martellava. Non

riesco a ricordare.""Dov'eri?""Mi lasci stare! Non ricordo! Mi

lasci stare!"Prese a singhiozzare senzafreno, di paura, e di frustrazione. Eratutto svanito, dissolto in una sorta di

vischioso caos mentale.Edmonds andò verso il lavandino e

ne tornò porgendogli un bicchiere dicarta colmo. Danny lo bevve tutto edEdmonds gliene portò un altro.

"Va meglio, ora?""Sì.""Danny, non voglio tormentarti...

romperti le scatole, insomma. Non riesciproprio a ricordare qualcosa di quelloche è successoprima che arrivasseTony?"

"La mia mamma è preoccupata perme," disse lentamente Danny.

"Le madri lo sono sempre, piccolo.""No... lei aveva una sorella che è

morta che era piccola. Aileen. Pensava aquando Aileen è stata investita da

un'automobile, e questo l'ha fattapreoccupare per me. Di altro non miricordo."

Edmonds lo fissava assorto."Pensava a questo proprio ora? Là fuorinella sala d'attesa?"

"Sì.""Come fai a saperlo, Danny?""Non lo so... l'aura, immagino." La

voce del bimbo era fioca."Cosa?"Danny scosse lentamente il capo.

"Sono stanco, molto stanco. Possoandare dalla mia mamma e dal miopapà? Non ce la faccio più a risponderea tutte queste domande. Sono stanco. Emi fa male lo stomaco."

"Hai voglia di vomitare?""No, no, voglio solo andare dalla

mia mamma e dal mio papà.""Va bene, Danny." Edmonds si alzò

in piedi. "Va' da loro per un momento,poi mandameli qui perché debbo fareuna chiacchierata anche con loro.D'accordo?"

"Sì, certo.""Là fuori ci sono dei libri da

guardare. Ti piacciono i libri, vero?""Sì, signore," disse Danny

docilmente."Sei un bravo bambino, Danny."Danny rivolse al medico un pallido

sorriso."Non riesco a trovare niente

d'irregolare," disse Edmonds aiTorrance. "Niente sotto il profilo fisico.

Sotto quello mentale, è sveglio e dàprova di avere una fantasia fin troppoaccesa. Capita. I bambini devonoadattarsi alla loro fantasia come a unpaio di scarpe troppo grandi. E quella diDanny è ancora troppo grande per lui.Gli avete mai fatto controllare ilquoziente di intelligenza?"

"Non credo in questo genere di test,"disse Jack. "È come infilare una camiciadi forza addosso alle speranze digenitorie insegnanti."

Il dottor Edmonds ebbe un cenno diassenso. "Può essere. Ma se dovestesottoporlo al test, probabilmentescoprireste che per la sua età è

nettamente al disopra del livello medio.Per un bambino di non ancora sei anni,le sue capacità verbali sonostupefacenti."

"Con lui parliamo del tuttonormalmente," disse Jack con una puntadi orgoglio.

"Penso che non abbiate mai dovutosforzarvi troppo per farvi capire. Èandato in trance mentre era qui con me.Su mia richiesta. Esattamente come inbagno, ieri sera. Gli si sono rilassati imuscoli, il corpo si è afflosciato, i bulbioculari si sono rovesciati all'insù.Un'autentica autoipnosi da manuale.Sono rimasto stupefatto, e lo sonoancora."

I Torrance si protesero in avanti."Che cos'è successo?" chiese Wendy,oltremodo tesa, ed Edmonds le descrissein ogni particolare la trance di Danny, lafrase smozzicata di cui era riuscito acaptare soltanto le parole "mostri","buio", "martellio", e il seguito dilacrime, di momentanea isteria e dinausea nervosa.

"Di nuovo Tony," disse Jack."Che cosa significa?" chiese Wendy.

"Ha qualche idea?""Più di una. Può darsi che non vi

piacciano.""Ce le esponga, comunque," gli disse

Jack."Stando a quanto mi ha detto Danny,

il suo 'amico invisibile' è stato davveroun amico fino a quando non vi sietetrasferiti qui dal New England. Da quelmomento Tony è diventato una figuraminacciosa.

I piacevoli interludi si sonotrasformati in incubi, tanto piùspaventosi per vostro figlio in quantonon riesce a ricordare esattamente in checosa consistano queste parentesiangosciose. È una cosa abbastanzadiffusa. Tutti noi ricordiamo piùfacilmente i sogni piacevoli di quellispaventosi. Si direbbe che esista unasorta di paraurti in noi, da qualche parte,tra il conscio e l'inconscio, e in quelparaurti vive un diabolico puritano.Questo censore lascia trapelare

solamente qualche spiraglio di luce, espesso ciò che trapela ha valoremeramente simbolico. Questo è Freudmolto semplificato, però descrive conuna certa precisione ciò che sappiamodell'interazione della mente con sestessa."

"Secondo lei, è possibile che ilnostro trasferimento abbia influito cosìnegativamente sulla psiche di Danny?"chiese Wendy.

"Non è da escludere, se iltrasferimento è avvenuto in circostanzetraumatiche," disse Edmonds. "È statoforse così?"

Wendy e Jack si scambiaronoun'occhiata.

"Io insegnavo in un istitutopreuniversitario," rispose lentamenteJack. "Ho perso il posto."

"Capisco," disse Edmonds. "Temoperò che ci sia dell'altro. Potrebbeessere penoso per voi. A quanto sembra,vostro figlio ritiene che abbiate preso inconsiderazione l'idea di divorziare. Neha parlato con molta disinvoltura, masolo perché è convinto che abbiateaccantonato l'idea."

Jack rimase interdetto, mentreWendy si ritraeva come se qualcunol'avesse schiaffeggiata. Tutto il sangue ledefluì dal viso.

"Non ne abbiamo mai neppurediscusso!" disse. "Non davanti a lui, e

neppure tra noi due! Noi...""Credo sia meglio che lei sappia

tutto, dottore," disse Jack. "Poco dopo lanascita di Danny io sono diventato unalcolizzato. Il problema dell'alcool miha afflitto per tutto il periododell'università; si è attenuato un pocodopo che ho conosciuto Wendy, ma conla nascita di Danny si è di nuovo acuitoe il lavoro letterario che considero lamia vera vocazione andava come peggionon si potrebbe. Quando Danny avevatre anni e mezzo ha versato una lattina dibirra su un fascio di carte alle qualistavo lavorando... carte che comunquenon facevo che rimescolare a vuoto... eio... be'... maledizione!" La voce gli sispezzò, ma gli occhi rimasero asciutti e

fermi. "Sembra una cosa bestiale,raccontata così.

Gli ho rotto un braccio, facendoloroteare per sculacciarlo. Tre mesi dopoho cessato di bere. Da allora non ho piùtoccato una goccia d'alcool."

"Capisco," ripeté Edmonds in tononeutro. "Mi sono accorto che il braccioera stato rotto, naturalmente. È statosistemato a dovere." Scostò la sediadalla scrivania e accavallò le gambe."Se debbo esser sincero, è ovvio che daallora il bambino non ha più subitomaltrattamenti di sorta. A parte lepunture di vespa, non c'è niente sul suocorpo all'infuori delle normaliammaccature e graffi di cui fa sfoggio

ogni marmocchio.""Certo che no," disse con calore

Wendy. "Jack non aveva intenzione...""No, Wendy," disse Jack. "Ne avevo

l'intenzione, e come. Ritengo che daqualche parte, dentro di me, abbia avutodavvero l'intenzione di fargli quello cheho fatto. O magari qualcosa di peggio."Riportò lo sguardo su Edmonds. "Sa unacosa, dottore? Questa è la prima voltache tra noi è risuonata la paroladivorzio. E anche la parola alcolismo eil fatto di aver picchiato il bambino."

"Può darsi che alla radice delproblema si collochi proprio questacircostanza," disse Edmonds. "Io nonsono uno psichiatra. Se volete farvisitare Danny da uno specialista in

psichiatria infantile, possoraccomandarvene uno eccellente cheesercita al centro medico Mission Ridgedi Boulder. Ma non ho dubbi in meritoalla mia diagnosi. Danny è un bambinointelligente, fantasioso, percettivo. Noncredo che sarebbe stato tanto sconvoltodai vostri problemi coniugali quanto loritenete voi. I bambini piccoli accettanoquasi tutto. Non sanno che cosa sia lavergogna, il nostro bisogno dinascondere certe cose."

Jack si studiava le mani. Wendy neprese una e gliela strinse.

"Ma ha percepito che qualcosa nonandava. Dal suo punto di vista, la cosaprincipale non era il braccio rotto, bensì

la rottura o la minaccia di rottura dellegame che esisteva tra voi due. Haaccennato al divorzio, ma non ha fattoparola del braccio rotto. Quando la miainfermiera gli ha fatto notare il calloosseo, lui si è limitato ad alzare lespalle. Non era una cosa che lopreoccupasse in modo particolare. 'Èsuccesso tanto tempo fa,' mi pare cheabbia detto."

"Che bambino," borbottò Jack. "Nonlo meritiamo."

"Ce l'avete, comunque," ribattéEdmonds, asciutto. "In ogni caso, ditanto in tanto si ritira in un mondo difantasia. Niente di insolito, in questo; unsacco di bambini lo fa. Se la memorianon mi inganna, avevo anch'io un amico

invisibile all'età di Danny. Era un galloparlante e si chiamava ChugChug.

Naturalmente, nessuno riusciva avedere ChugChug all'infuori di me.Avevo due fratelli maggiori che spessomi piantavano in asso, e in unasituazione del genere ChugChug eraproprio quel che ci voleva.

E, naturalmente; voi due dovrestesapere perché l'amico invisibile diDanny si chiama Tony, anziché Mike oHal o Dutch."

"Sì," disse Wendy."Gliel'avete mai fatto notare?""No," disse Jack. "Dovremmo?""Perché preoccuparsi? Lasciamo che

sia lui a rendersene conto a tempo

debito, secondo logica.Vedete, le fantasticherie di Danny

erano notevolmente più acute di quelleche si creano attorno alla consuetasindrome dell'amico invisibile. Maproprio per questo gli pareva che il suobisogno di Tony fosse ancor piùimpellente. Tony arrivava e gli mostravacose piacevoli. A volte addiritturastupefacenti. Sempre cose belle, a ognimodo. Una volta Tony gli ha fatto vederedov'era il baule smarrito di papà... Nelsottoscala. Un'altra volta Tony gli haanticipato che mamma e papàl'avrebbero portato al luna park per ilsuo compleanno..."

"A Great Barrington!" esclamòWendy."Ma come faceva a sapere

queste cose? È fantastico, le sortite cheha, a volte. Quasi come se..."

"Avesse una seconda vista?" chieseEdmonds con un sorriso.

"È nato con l'amnio," disse Wendydebolmente.

Il sorriso di Edmonds si tramutò inuna risata sonora, cordiale.

"Fra poco mi direte che va soggettoa fenomeni di levitazione," disseEdmonds, e continuava a ridere.

"No, no, temo di no. Non si tratta dipercezione extrasensoriale ma diqualcosa di perfettamente umano, chenel caso specifico di Danny è acuito inmodo inconsueto. Signor Torrance,Danny sapeva che il suo baule si trovava

nel sottoscala perché lei aveva guardatodappertutto tranne lì. È andato pereliminazione, che altro posso dire? Ècosì semplice, che Ellery Queen neriderebbe. Prima o poi ci sarestearrivati anche voi. E per quanto riguardail luna park di Great Barrington, di chi èstata l'idea, in origine? Vostra o sua?"

"Sua, naturalmente," disse Wendy."Facevano la pubblicità in tutti iprogrammi mattutini per i ragazzi.

Impazziva letteralmente all'idea diandarci. Ma non potevamo permetterci illusso di portarlo. E glielo abbiamodetto."

"Poi una rivista per soli uomini allaquale nel 1971 avevo venduto unracconto mi ha mandato un assegno di

cinquanta dollari," proseguì Jack."Ristampavano il racconto in unaraccolta annuale o qualcosa del genere.Così, abbiamo deciso di spenderli perDanny."

Edmonds si strinse nelle spalle."Desiderio esaudito, più una fortunatacoincidenza."

"Maledizione, scommetto che è tuttoqui," disse Jack.

Edmonds abbozzò un sorrisetto. "Èstato lo stesso Danny a dirmi che spessoTony gli ha mostrato cose che non sisono mai verificate. Visioni basate suun'errata percezione, insomma. Danny, alivello inconscio, fa ciò che i cosiddettimistici e lettori del pensiero fanno in

maniera del tutto cinica e cosciente.Proprio per questo lo ammiro. Se la vitanon lo costringerà a ritirare le antenne,credo che diventerà un uomo diprim'ordine."

Wendy annuì. Naturalmente erasicura che Danny sarebbe diventato unuomo di prim'ordine, ma la spiegazionedel medico la colpì perché le parevatroppo pronta. Sapeva più di margarinache di burro.

Edmonds non era vissuto assieme aloro. Non era stato presente quandoDanny trovava bottoni smarriti; lediceva che forse la guida ai programmidella televisione era sotto il letto; chesecondo lui avrebbe fatto meglio ainfilarsi le soprascarpe di gomma per

andare alla scuola materna anche sec'era il sole... e più tardi, quello stessogiorno erano tornati a casa a piedi sottouna pioggia torrenziale. Edmonds nonpoteva sapere del modo curioso colquale Danny indovinava i loro pensieri.Magari lei, la sera, decideva di bersiuna tazza di tè, ed era un fatto insolito;andava in cucina e trovava la tazza giàpronta con la bustina filtro infilatadentro. Ricordava di colpo che dovevarestituire i libri alla biblioteca e litrovava tutti impilati in bell'ordine sultavolo del corridoio, con la scheda dellabiblioteca in cima.

Oppure Jack si metteva in testa dilucidare con la cera la Volkswagen e

trovava Danny già fuori, seduto sulbordo del marciapiede, intento adascoltare le note metalliche dellecanzonette in voga negli anni quarantaalla sua radio a galena.

"Allora perché ha gli incubi,adesso? Perché Tony gli ha ingiunto dichiudersi a chiave in bagno?"

"Perché Tony è sopravvissuto al suoperiodo di utilità," disse Edmonds. "Ocosì almeno credo. È nato, Tony (nonDanny), in un momento in cui voi duelottavate per tenere a galla il vostromatrimonio. Suo marito beveva troppo.Cè stato l'incidente del braccio rotto. Equel silenzio sinistro tra di voi."

Silenzio sinistro, sì. In quella frasec'era il succo di tutta la faccenda. I pasti

consumati in quell'atmosfera di rigidatensione in cui gli unici discorsi erano:per favore, passami il burro; oppure:Danny, finisci le tue carote; o ancora: tiprego di scusarmi. Le notti che Jack erafuori casa e lei se ne stava distesa aocchi asciutti sul divano mentre Dannyguardava la televisione. Le mattine chelei e Jack se ne stavano in agguato aspiarsi a vicenda, come due gatti che siaccaniscano con un topolino; (diobuono, non smettono mai di far male levecchie ferite?)

orribilmente, orribilmente vero.Edmonds riprese a parlare. "Poi le

cose sono cambiate. Sapete, ilcomportamento schizoide è una cosa

alquanto diffusa tra i bambini. Lo siaccetta perché tutti noi adulticoncordiamo tacitamente sul fatto che ibambini siano un po' matti. Hanno amiciinvisibili. Quando sono un po' depressicapita che vadano a nascondersinell'armadio, isolandosi dal mondo.Attribuiscono un'importanza datalismano a una coperta, a unorsacchiotto, a un tigrotto di peluche. Sisucchiano il pollice. Quando l'adultovede cose che non esistono, logiudichiamo pronto per la cella con lepareti imbottite. Quando invece unbambino dice di aver visto uno gnomo incamera sua o un vampiro fuori dallafinestra, ci limitiamo a sorridere conindulgenza. Abbiamo una spiegazione

che consiste in un'unica frase, pergiustificare l'intera gamma di siffattifenomeni infantili..."

"Crescendo se ne libererà,"intervenne Jack.

Edmonds ammiccò. "Parola mia,"disse. "Sì. Ora direi che Danny si ètrovato nella posizione più adatta persviluppare una psicosi in piena regola.Vita familiare infelice, una fantasiamolto accentuata, l'amico invisibile cheper lui era così vero da diventare quasivero anche per voi. Anziché 'liberarsicrescendo' dalla schizofreniadell'infanzia, avrebbe potuto benissimocrescervi assieme."

"E diventare autistico?" chiese

Wendy. Aveva letto qualcosa aproposito dell'autismo. Bastava laparola a spaventarla.

"Forse. Non necessariamente, però.Un giorno avrebbe semplicemente potutoentrare nel mondo di Tony e non uscirnepiù per tornare a quelle che lui chiamale 'cose reali'."

"Dio," fece Jack."Ora, però, la situazione di fondo è

radicalmente mutata. Il signor Torrancenon beve più. Vi trovate in un postonuovo, dove le condizioni oggettivehanno costretto voi tre a un'unitàfamiliare particolarmente accentuata:certo assai più stretta della mia, datoche mia moglie e i miei figli non mivedono più di due o tre ore al giorno. A

mio parere Danny è in una situazione chefavorisce la sua guarigione, e ritengoche il fatto stesso di discernere con talechiarezza il mondo di Tony dalle 'cosereali' la dica lunga sullo stato difondamentale salute delle sua mente.Dice che voi due non pensate più aldivorzio. Presumo che sia nel giusto: omi sbaglio?"

"Sì," disse Wendy, e Jack le strinseuna mano, facendole quasi male. Lei glirestituì la stretta.

Edmonds annuì. "Danny ormai nonha più bisogno di Tony. Lo stascacciando dal suo organismo.

Tony non è più foriero di visionigradevoli, ma di incubi spaventosi di cui

egli conserva un ricordo vago,frammentario. Ha interiorizzato Tonydurante una situazione esistenzialedifficile, direi disperata, e Tony nonaccetta facilmente di andarsene. Però sene sta andando. Vostro figlio è simile aun drogato che tenti di disintossicarsi."

Edmonds si levò in piedi, imitato daiTorrance. "Come ho detto, non sono unopsichiatra. Se gli incubi continueranno,quando la prossima primavera avràportato a termine il suo incaricoall'Overlook, le consiglierei caldamentedi farlo visitare da quel medico diBoulder."

"Lo farò.""Be', adesso andiamo a dirgli che

può tornare a casa," fece Edmonds.

"La ringrazio," disse Jack. "Datempo non mi sentivo così bene. Ora ilproblema mi sembra molto piùsemplice."

"Anch'io sto meglio," disse Wendy.Sulla soglia Edmonds indugiò a

guardare Wendy. "Lei ha o aveva unasorella, signora Torrance? Che sichiamava Aileen?"

Wendy lo fissò, sorpresa. "Sì. Èmorta quando aveva sei anni e io dieci.Rincorreva una palla per la strada ed èstata investita da un furgoncino. ASomerworth, nel New Hampshire. Èsuccesso davanti a casa."

"Danny lo sa?""Non so. Non credo."

"Mi ha detto che lei pensava a suasorella in sala d'attesa."

"Infatti," confermò Wendy. "Per laprima volta da... be', non saprei dire daquanto tempo."

"La parola 'redrum' ha un significatoper voi?"

Wendy scosse il capo. "Hapronunciato questa frase ieri sera," disseJack, "poco prima di addormentarsi.Reddrum. "

"No,rum, "corresse Edmonds. "Suquesto è stato preciso.Rum. Come illiquore."

"Oh," disse Jack. "Si adatta, non lepare?" Levò il fazzoletto dalla tascaposteriore dei calzoni e se lo passò sulle

labbra."E l'espressione 'l'aura' significa

qualcosa per voi?"Questa volta scossero il capo tutti e

due."Non fa nulla," disse Edmonds. Aprì

l'uscio che dava nella sala d'attesa. "Quic'è forse un certo Danny Torrance chevorrebbe andare a casa?"

"Ciao, papà! Ciao, mamma!" Dannysi alzò dal tavolino dove se ne stava asfogliare lentamente un libro illustratocon fotografie di animali in via diestinzione, borbottando ad alta voce leparole che riconosceva.

Corse da Jack, che lo sollevò dipeso. Wendy gli arruffò i capelli.

"Se non vuoi bene alla mamma e al

papà, puoi restare col buon vecchioBill," propose Edmonds guardandolo disottecchi.

"No, no!" disse Danny deciso. Passòun braccio attorno al collo di Jack, unaltro attorno a quello di Wendy, e parveal settimo cielo.

"D'accordo." Edmonds sorrise.Guardò Wendy: "Se si presentassequalche problema non esiti atelefonarmi."

"Sì.""Non credo che ce ne saranno,"

disse Edmonds con un sorriso.

18Jack trovò l'album dei ritagli il

primo di novembre, mentre sua moglie e

suo figlio si arrampicavano su per lavecchia strada accidentata che saliva dadietro il campo diroque fino a unasegheria abbandonata, tre o quattrochilometri più su. Il tempo era ancorabello e tutti e tre si erano procuratiun'insolita abbronzatura autunnale.

Jack era sceso in cantina adabbassare la pressione della caldaia;poi, d'impulso, aveva tolto la torciaelettrica dallo scaffale dov'erano ripostele mappe degli impianti idraulici edecise di dare un'occhiata a qualcuna diquelle cartacce. Cercava i punti piùadatti per disporre le trappole, anche seaveva in animo di farlo solo di lì a unmese: "Voglio che tornino tutti a casadalle vacanze," aveva detto a Wendy.

Puntando il fascio luminoso dellatorcia elettrica di fronte a sé, oltrepassòil vano dell'ascensore (su richiesta diWendy non ne avevano mai fatto uso) esuperò il piccolo arco di pietra.Arricciò il naso al puzzo di cartafradicia. Alle sue spalle, la pressioneebbe un brusco rialzo e la caldaia emiseuna sorta di rantolo, facendolo trasalire.

Proiettò tutt'attorno il fascio di luce,zufolando sommesso tra i denti. Là sottoc'era come una sorta di catena andina inscala ridotta: decine e decine di scatolee cassette stipate di carte, per lo piùbianche e sformate a causa degli anni edell'umidità. Altre si erano sfasciate eavevano rovesciato sul pavimento di

pietra fasci ingialliti di carta. C'eranoenormi pacchi di giornali tenuti assiemecon spago. Alcune scatole contenevanoregistri; altre apparivano stipate difatture trattenute da fascette di gomma.Jack ne estrasse una e la illuminò con latorcia.

ROCKY MOUNTAIN EXPRESS,INC.

A: OVERLOOK HOTELDa: SIDEY'S WAREHOUSE, 1210

16th Street, Denver, COLORADOA mezzo: CANADIAN PACIFIC RRContenuto: 400 SCATOLE CARTA

IGIENICA DELSEY

1 GROSSA X SCATOLA

Firmato DEF

Data 24 Agosto 1954Jack sorrise e lasciò ricadere il

foglio nella scatola.Puntò il raggio della torcia verso

l'alto e illuminò una lampadina chepenzolava dal soffitto, avvolta da unacoltre di ragnatele.

Si alzò in punta di piedi e tentò diavvitare la lampadina, che si acceseemanando una luce fioca.

Riprese in mano la fattura della cartaigienica e se ne servì per togliere leragnatele dalla lampadina. Ma la luce

non aumentò di molto.Sempre usando la torcia elettrica,

vagabondò tra le scatole e i pacchi dicarta, in cerca di eventuali traccelasciate dai topi. Ce n'erano stati, ma unbel po' di tempo prima... forse anni.Trovò resti di escrementi polverizzatidagli anni, e qualche nido, vecchio eabbandonato, fatto di carta ridotta abrandelli.

Jack sfilò un giornale da uno deipacchi e diede un'occhiata al titolo.

JOHNSON PROMETTE UNATRANSIZIONE ORDINATA

Dice che l'opera iniziata da Kennedycontinuerà negli anni a venire Il giornaleera ilRocky Mountain News del 19dicembre 1963. Lo lasciò cadere sul

mucchio.Si sentiva affascinato da quel senso

banale della storia che chiunque puòavvertire, scorrendo le notizie che sonostate di fresca data dieci o vent'anniprima. Scoprì lacune nei giornali eincartamenti ammucchiati; niente dal1937 al 1945, dal 1957 al 1960, dal1962 al 1963. Periodi in cui l'albergoera rimasto chiuso, evidentemente.

Le spiegazioni fornite da Ullman inmerito alle alterne fortune dell'Overlookcontinuavano a sembrargli pococorrispondenti al vero. Gli pareva che laspettacolosa posizione dell'Overlookavrebbe dovuto garantire di per sestessa il perdurante successo

dell'albergo. Era sempre esistito unjetset americano, anche prima cheinventassero gli aviogetti, e a Jacksembrava che l'Overlook avrebbedovuto essere una delle basi di quellagente nelle sue migrazioni. Pareva deltutto logico. Il Waldorf in maggio, la BarHarbor House in giugno e luglio,l'Overlook in agosto e ai primi disettembre, prima di trasferirsi alleBermude, all'Avana, a Rio, e chissàdove. Trovò una pila di vecchi registridella clientela che confermarono le suesupposizioni. Nelson Rockefeller nel1950. Henry Ford e famiglia nel 1927.

Jean Harlow nel 1930. Clark Gablee Carole Lombard. Nel 1956 l'interopiano superiore era stato occupato per

una settimana da "Darryl F. Zanuck ecompagnia". Il denaro doveva fluire peri corridoi e nei registratori di cassacome una sorta di filone d'oro diComstock del XX secolo. La gestionedoveva essere stata un disastro.

Jack diede un'occhiata all'orologio efu sorpreso di constatare che, chissàcome, erano già fuggiti tre quarti d'orada che era sceso lì sotto. Si erainsudiciato mani e braccia e con tuttaprobabilità emanava cattivo odore.Decise di risalire a fare una docciaprima che tornassero Wendy e Danny.

Lentamente si fece strada tra lemontagne di carta, la mente galoppanteall'inseguimento di innumerevoli,

velocissime prospettive. A un tratto glisembrava che il libro che s'eraripromesso di scrivere quasi per giocopotesse davvero vedere la luce. Potevadarsi che fosse proprio lì, sepolto sottoquei mucchi disordinati di cartacce.

Indugiò sotto la lampada coperta diragnatele, cavò senza pensarci ilfazzoletto dalla tasca posteriore deicalzoni e se lo strofinò sulle labbra. E fuallora che vide l'album di ritagli.

Sulla sua sinistra si ergeva una piladi cinque scatole, simile a una torre diPisa in miniatura che fosse sul punto dicrollare. La scatola alla sommità erastipata di altre fatture e di registri; e inbilico su tutto il resto c'era un grossoalbum di ritagli rilegato in pelle bianca,

le pagine tenute insieme da duematassine di cordicella dorata, annodateattorno alla rilegatura e raccolte invistosi fiocchi.

Incuriosito, Jack si avvicinò e preseil volume. Sulla copertina rimastaesposta c'era uno spesso strato dipolvere. Sollevò l'album all'altezzadelle labbra, ne soffiò via la polvere el'aprì. Dalle pagine sgusciò uncartoncino che Jack afferrò a mezz'ariaprima che andasse a posarsi sulpavimento. Era una lussuosa edizionecolor crema, sovrastata da un'incisionein rilievo dell'Overlook con tutte lefinestre illuminate.

Il prato e il parco giochi erano

pavesati di lampioncini giapponesiaccesi. Sembrava quasi di potercientrare, in quell'Overlook di trent'anniprima.

Horace M. Derwentsarà onorato della Sua presenzaal ballo mascheratocol quale verrà festeggiatala grandiosa apertura dell'OVERLOOK HOTELLa cena sarà servita alle ore 20smascheramento e ballo a

mezzanotte

29 Agosto 1945 RSVP

Cena alle otto! Giù la maschera amezzanotte!

Jack riusciva quasi a vederli, nellasala da pranzo, gli uomini più ricchid'America e le loro donne.

Marsine e lucide camicie inamidate;abiti da sera; l'orchestra che suonava;scintillanti scarpine dal tacco alto. Iltintinnio dei bicchieri, lo schioccofestoso dei tappi di champagne. Laguerra era. finita, o quasi. Il futuro sispalancava, chiaro e splendente.L'America era il colosso del mondo:finalmente lo sapeva e lo accettava.

E più tardi, a mezzanotte, Derwent

che gridava: "Giù la maschera! Giù lamaschera!" Le maschere che venivanotolte e...

(La Morte Rossa dominava su tutto!)jack aggrottò la fronte. Come mai gli

era venuta in mente una cosa del genere?Era Poe, il Grande ScribacchinoAmericano. E sicuramente l'Overlook,quell'Overlook scintillante, illuminatoriprodotto sul cartoncino d'invito cheteneva in mano, era quanto di piùlontano da Poe fosse lecito immaginarsi.

Jack tornò a infilare il biglietto nellibro e passò alla pagina successiva. Unritaglio incollato di uno dei giornali diDenver, sotto il quale era scribacchiatala data: 15 maggio 1947.

LUSSUOSO ALBERGO DI

MONTAGNA RIAPRECON UNA PARATA DEI PIÙ BEI

NOMI DELL'ALTA SOCIETÀDerwent dice che l'Overlook sarà il

"Monumento del Mondo"Dal nostro inviato speciale, David

Felton.L'Overlook Hotel è stato aperto e

riaperto più volte nei suoi trentotto annidi storia, ma raramente col fasto e losplendore promessi da Horace Derwent,il misterioso milionario californiano,attuale proprietario dell'albergo.

Derwent, che non nasconde di averinvestito più di un milione di dollari inquesta sua nuova iniziativa

— e c'è chi dice che la cifra rasenti

in realtà i tre milioni — afferma che: "Ilnuovo Overlook sarà uno dei monumentidel mondo, il genere di albergo nelquale ci si ricorderà di aver passato unanotte anche a distanza di trent'anni."

Allorché a Derwent, di cui correvoce che abbia cospicui interessi a LasVegas, è stato chiesto se l'acquisto e ilrestauro dell'Overlook significasserol'apertura del fuoco in una battagliaintesa a legalizzare il gioco d'azzardo ele bische nel Colorado, il magnatedell'industria aeronautica,cinematografica, bellica e armatorialel'ha smentito... con un sorriso. "Il giocod'azzardo declasserebbe l'Overlook," hadichiarato, "e non pensiate con questoche intenda criticare Las Vegas! Laggiù

sono troppe le pietre miliari della miastoria perché possa permettermi unacosa del genere! Non ho interesse aintrallazzare allo scopo di legalizzare ilgioco d'azzardo nel Colorado: sarebbecome sputare contro vento."

Quando l'Overlook verrà riapertoufficialmente (tempo fa vi si è tenuto unfastoso e trionfale ricevimento percelebrare la conclusione dei lavori direstauro), le camere ridipinte, tappezzatee arredate ex novo ospiteranno una verae propria parata di celebrità, dalcreatore di moda Corbat Stani a...

Divertito, Jack voltò pagina. Oraaveva sott'occhio un'inserzionepubblicitaria a piena pagina tratta dalla

rubrica dedicata ai viaggi delsupplemento domenicale delNew YorkTimes. Alla pagina successiva c'era unarticolo riguardante lo stesso Derwent,un uomo quasi calvo dagli occhipenetranti, che sembravano in grado ditrafiggerti persino dalla foto di ungiornale.

Jack diede una scorsa all'articolo.Conosceva già la maggior parte dellenotizie per aver letto un articolo suDerwent pubblicato l'anno primadalNewsweek. Nato povero a St. Paul,non aveva nemmeno portato a terminegli studi superiori e aveva preferitoarruolarsi in marina. Aveva fatto unarapida camera e poi si era trovato in unbrutto impiccio a proposito di un

brevetto relativo a un nuovo tipo di elicada lui stesso progettato. Nel tiro allafune tra la marina e un giovanottosconosciuto a nome Horace Derwent, loZio Sam aveva optato per il vincitorepiù prevedibile. Però lo Zio Sam nonaveva mai più ottenuto un altro brevetto,e ce n'erano stati moltissimi.

Verso la fine degli anni venti e alprincipio dei trenta, Derwent si eraconvertito all'aviazione. Con quattrosoldi, aveva comperato una compagniaper l'irrorazione dei campi, prossima alfallimento, l'aveva trasformata in unservizio postale e aveva fatto fortuna.Erano seguiti altri brevetti: il progetto diuna nuova ala per i monoplani, un

carrello per le bombe applicato sulleFortezze Volanti che avevano messo aferro e fuoco Amburgo, Dresda eBerlino, una mitragliatrice raffreddataad alcool, nonché un prototipo del sedilecatapultabile, che in seguito era statoinstallato sugli aviogetti degli StatiUniti.

E per non venir meno alla sua fama,quest'uomo dall'aspetto di ragioniere cheviveva nella stessa pelle dell'inventorecontinuava ad accumulare investimenti:una catena di fabbriche di munizioninegli stati di New York e New Jersey;cinque stabilimenti tessili nel NewEngland; stabilimenti chimici nel Sudfallimentare e in fermento. Alla finedegli anni della Depressione, la sua

ricchezza altro non era stata che unamanciata di azioni che gli assicuravanoil controllo di varie aziende, acquistatea prezzi irrisori e smerciabili solo aprezzi ancor più bassi. Derwent nonmancò di vantarsi che avrebbe potutoliquidare tutte le sue proprietàintascando il prezzo di una Chevroletusata.

Era corsa voce, ricordava Jack, chealcuni dei mezzi usati da Derwent pertenersi a galla fossero né più né menodisgustosi. Era stato coinvolto nelcontrabbando degli alcolici e nellaprostituzione nel Midwest, per non diredel contrabbando nelle zone costiere delsud dove avevano sede le sue fabbriche

di fertilizzanti. Né aveva disdegnato diassociarsi agli astri nascenti del giocod'azzardo negli stati dell'Ovest.

L'investimento più clamoroso diDerwent era stato l'acquisto dei TopMark Studios nel momento in cui eranoprossimi a colare a picco. Da quandonel '34 Little Margery Morris, la lorostella bambina, era morta per una doseeccessiva di eroina, non avevanoincontrato più successo. Aveva 14 anni,Little Margery: la stellina specializzatain teneri personaggi di bambine settenniche salvavano i matrimoni in pericolononché la vita di cani ingiustamenteaccusati di uccidere le galline, avevaavuto il più grandioso funerale dellastoria di Hollywood, a spese della Top

Mark. La versione ufficiale era stata cheLittle Margery aveva contratto una"malattia che non perdona" mentre siesibiva presso un orfanotrofio di NewYork, e qualche cinico aveva avanzatol'ipotesi che la compagniacinematografica avesse fatto sfoggio ditutto quel verde perché sapeva cheseppelliva se stessa.

Derwent aveva assunto, in veste didirettore della Top Mark, un abilissimouomo d'affari che non mancava per altroverso di essere un infoiato maniacosessuale. Si chiamava Henry Finkel. Nelgiro dei due anni precedenti PearlHarbour, la casa cinematografica avevamacinato sessanta film, cinquantacinque

dei quali erano passati in barba allacensura. Gli altri cinque erano film diaddestramento girati per conto delgoverno. In uno dei lungometraggi, cheavevano riscosso grande successo, unignoto costumista era riuscito a imporreun reggiseno senza spalline che laprotagonista doveva indossare nellascena del grande ballo, mettendo inmostra ogni cosa tranne, forse, il neo cheaveva appena sotto il solco dellenatiche. Derwent si era assicurato ilmerito anche di questa invenzione, atutto vantaggio della sua reputazione, oquantomeno notorietà.

La guerra lo aveva arricchito ed eratuttora facoltoso. Abitava a Chicago: losi vedeva di rado, tranne in occasione

delle riunioni del consiglio diamministrazione delle aziende Derwent,che dirigeva con polso di ferro. Correvavoce che fosse proprietario anche delleUnited Air Lines, di Las Vegas (doveera noto che detenesse la maggioranzadel pacchetto azionario di quattroalberghicasinò e fosse interessato adalmeno altri sei), di Los Angeles eaddirittura degli Stati Uniti. Amico disovrani, presidenti e capoccia dellamalavita, c'era chi lo consideraval'uomo più ricco del mondo.

Però non gli era riuscito di farfunzionare come si deve l'Overlook,pensò Jack. Posò per un attimo l'albumdi ritagli e cavò dal taschino della

giacca il taccuino e la matita automaticache si portava sempre appresso. Preseun rapido appunto: "Fare ricerche su H.Derwent, bibliot. Sidewinder?" Riposein tasca il taccuino e riprese l'album diritagli. Aveva un'espressione tesa,preoccupata.

Un ritaglio del 1° febbraio 1952diceva:

MILIONARIO LIQUIDA I SUOIINVESTIMENTI NEL COLORADO

Firmato un accordo per l'Overlookcon una società finanziaria dellaCalifornia. Altri investimenti, rivelaDerwent.

Di Rodney Conklin, della nostraredazione finanziaria.

In un breve comunicato emanato ieri

dagli uffici di Chicago delle monoliticheImprese Derwent, è stato rivelato che ilmilionario, o forse miliardario, HoraceDerwent ha liquidato le sue proprietàdel Colorado in uno stupefacente giocofinanziario di potere che saràperfezionato entro il primo ottobre 1954.Gli investimenti di Derwentcomprendono gas naturali, carbone,centrali idroelettriche, e una compagniadi lottizzazione fondiaria chiamataColorado Sunshine Inc., che possiedel'opzione su più di 500.000 acri diterreno del Colorado.

La più famosa proprietà di cuiDerwent disponeva nel Colorado,l'Overlook Hotel, è già stato venduto, ha

rivelato ieri lo stesso Derwent in unadelle sue rare interviste. L'acquirente èun gruppo di investimento finanziariodella California, capeggiato da CharlesGrondin, un ex membro del consiglio diamministrazione della California LandDevelopment Corporation. Derwent si èrifiutato di parlare del prezzoconcordato, ma fonti informate...

Aveva liquidato tutto, baracca eburattini. Non si trattava solodell'Overlook. Ma in qualche modo... inqualche modo...

Jack si passò la mano sulle labbra.Si accorse di aver sete. Un buonbicchiere avrebbe migliorato lasituazione. Riprese a sfogliare le pagine.

Il gruppo californiano aveva aperto

l'albergo per due stagioni, e poi l'avevavenduto a un gruppo finanziario delColorado, la Mountainview Resorts, chenel '57 era fallita sotto una pioggia diaccuse di corruzione, appropriazioneindebita e truffa ai danni degli azionisti.Il presidente della compagnia si erasparato due giorni dopo aver ricevuto unmandato di comparizione di fronte altribunale.

Nei tardi anni cinquanta l'albergoera rimasto chiuso. C'era un unicoarticolo relativo a quel periodo: untrafiletto domenicale intitolato EXGRANDE ALBERGO CADE INROVINA. Le fotografie cheaccompagnavano l'articolo apparivano

desolanti: la pittura del porticatod'ingresso che si scrostava, il pratoridotto a una distesa incolta di erbacce echiazze spelacchiate, finestre rotte dallebufere e dalle sassate. Anche quellaavrebbe potuto essere una parte dellibro, se davvero l'avesse scritto: lafenice che sprofonda nelle sue ceneriper poi rinascere. Si ripromise didedicare tutte le sue cure all'Overlook.Gli pareva che prima di quel giorno nonavesse mai realmente afferratol'importanza dei suoi compiti neiriguardi di quell'albergo di eccezione.Era quasi come assumersi unaresponsabilità al cospetto della storia.

Nel 1961 quattro scrittori, due deiquali vincitori del Premio Pulitzer,

avevano affittato l'Overlook perriaprirlo sotto forma di scuola perscrittori. Era durato un anno. Uno deglistudenti si era ubriacato nella sua stanzaal terzo piano, aveva sfondato chissàcome la finestra ed era precipitato sulterrazzo di cemento sottostante,lasciandoci la pelle. Il giornale lasciavaintendere che avrebbe anche potutotrattarsi di suicidio.

Ogni grande albergo ha i suoiscandali,aveva detto Watson,propriocome ogni grande albergo ha unfantasma. Perché? Diavolo, la gente va eviene. .

A un tratto ebbe la sensazione chetutto il peso dell'Overlook gravasse su

di lui, con le sue centodieci stanze, isuoi magazzini, la sua cucina, la suadispensa, la sua cella frigorifera, lasualounge, il suo salone da ballo, la suasala da pranzo...

(Nella stanza le donne andavano evenivano)

(...e la Morte Rossa dominava sututto. )

Si passò una mano sulle labbra evoltò la pagina dell'album. Era giuntoall'ultimo terzo del volume, ora, e per laprima volta si chiese a chi fosseappartenuto quell'album, abbandonato incantina, al sommo della pila più alta diincartamenti.

Un altro titolo, datato, questo, 10aprile 1963.

GRUPPO DI LAS VEGASACQUISTA CELEBRE ALBERGODEL COLORADO

Lo scenografico Overlook diventeràun club privato.

Robert T. Leffing, portavoce di ungruppo di investimento finanziario cheva sotto il nome di High CountryInvestments, ha annunciato oggi a LasVegas che la High Country ha negoziatoun accordo per l'acquisto del famosoOverlook Hotel, un albergo situato nelcuore delle Montagne Rocciose. Leffingnon ha voluto menzionare i nomi dellepersone interessate all'affare, ma haaffermato che l'albergo sarà trasformatoin un circolo privato esclusivo. Ha

precisato altresì che il gruppo da luirappresentato spera di acquisire fra imembri del circolo i dirigenti dialtissimo livello di aziende americane estraniere.

La High Country possiede alberghianche nel Montana, nello Wyoming enell'Utah.

L'Overlook aveva raggiunto famamondiale negli anni tra il 1946 e il1952, quando era proprietà delmisterioso megamilionario HoraceDerwent...

Il trafiletto incollato alla paginasuccessiva consisteva unicamente inqualche riga scherzosa, recante la datadi quattro mesi dopo. L'Overlook avevaaperto sotto la nuova gestione. Il

giornale non era riuscito a scoprire — omeglio non ne aveva l'interesse — chifossero i possessori delle chiavi delcircolo privato, giacché non si facevanonomi all'infuori di quell'High CountryInvestments; il che era quanto dire ladenominazione aziendale più anonimache Jack avesse mai udito, a eccezionedi una catena di negozi di biciclette edelettrodomestici del New Englandoccidentale che andava sotto il nome diBusiness Inc.

Voltò pagina e fissò ammiccando ilritaglio che vi era incollato.

IL MILIONARIO DERWENTTORNA IN COLORADO

PER LA PORTA DI SERVIZIO?

Presidente della High Countrysarebbe Charles Grondin.

Di Rodney Conklin, della nostraredazione finanziaria.

L'Overlook Hotel, l'imponente,fastoso albergo posto ad alta quota sullemontagne del Colorado e un tempobalocco personale del milionarioHorace Derwent, è al centro di unintrico finanziario che solo ora cominciaa venire in luce.

Il 10 aprile dello scorso annol'albergo venne acquistato da una ditta diLas Vegas, la High Country Investments,per essere trasformato in un circoloprivato destinato a ospitare ricchidirigenti nostrani e forestieri. Ora fonti

informate affermano che la High Countryè capeggiata da Charles Grondin, 53anni, che è stato a capo della CaliforniaLand Development Corporation fino al1959, allorché ha rassegnato ledimissioni per assumere la carica divicepresidente della sede centrale diChicago delle Imprese Derwent.

Ciò ha indotto taluni a ritenere che laHigh Country Investments possa esserecontrollata da Derwent, il qualepotrebbe aver acquistato l'Overlook perla seconda volta e in circostanzedecisamente singolari.

Grondin, che nel '60 fu indiziato perevasione fiscale e poi assolto, non hapotuto essere contattato allo scopo diottenerne un commento. Quanto a Horace

Derwent, il quale difende gelosamentela propria privacy, è stato contattato pertelefono ma non ha voluto farecommenti. Il deputato dello stato DickBows, di Golden, ha auspicato chevenga aperta un'indagine esauriente sul...

Il ritaglio era datato 27 luglio 1964.Seguiva la colonna di un giornaledomenicale del settembre di quell'anno,a firma di Josh Brannigar, unospecialista nello scoprire le magagne sulgenere di Jack Anderson. Jack ricordavavagamente che Brannigar era morto nel'68 o nel '69.

IL COLORADO ZONA FRANCADELLA MAFIA?

di Josh Brannigar.

Sembra possibile che il più recenteluogo di ritrovo dei capoccia delcrimine organizzato degli Stati Uniti siadiventato un remoto albergo abbarbicatoai monti, nel cuore delle MontagneRocciose.

L'Overlook Hotel, un elefante biancoche dalla sua apertura nel 1910 è statogestito con scarsa fortuna da almeno unadozzina di gruppi e individui diversi,attualmente funziona sotto forma di"circolo privato" a prova di intrusi,ufficialmente destinato a ospitare uominid'affari prosperi e ineccepibili. Ilproblema è: in che affari sono realmentecoinvolti i possessori delle chiavidell'Overlook?

I membri presenti nel corso dellasettimana compresa fra il 16 e il 23agosto possono darcene un'idea.

L'elenco riportato qui di seguito ci èstato fornito da un ex dipendente dellaHigh Country Investments, unacompagnia che dapprima era statacreduta un'impresa fantoccio diproprietà delle Imprese Derwent. Orasembra più probabile che gli interessi diDerwent nell'ambito della High Country,ammesso che esistano, siano in nettaminoranza rispetto a quelli di parecchibaroni del gioco di azzardo di LasVegas. In passato questi stessi pezzi danovanta del gioco sono stati legati aindividui sospettati di essere capi della

malavita, e come tali condannati.Durante quella calda settimana

d'agosto erano presenti all'Overlook:Charles Grondin,presidente della HighCountry Investments.Quando si èrisaputo nel luglio di quest'anno chemandava avanti la baracca dell'HighCountry, è stato diramato l'annuncio, connotevole ritardo rispetto al fatto, cheaveva rassegnato le dimissioni dallacarica che rivestiva in precedenzanell'ambito delle Imprese Derwent.L'argenteocrinito Grondin, che si èrifiutato di rilasciare una dichiarazioneper questa rubrica, è già stato processatouna volta (1960) e assolto dall'accusa dievasione fiscale.

Charles"Baby Charlie"Battaglia,un

impresario sessantenne di Las Vegas(che ha la maggioranza azionaria delGreen Back e del Lucky Bones on theStrip). Battaglia è amico intimo diGrondin. Il suo primo arresto risale allontano 1932, anno in cui venneprocessato e assolto per l'assassinio distampo mafioso di Jack "Dutchy"Morgan. Le autorità federali sospettanoche sia coinvolto nel traffico distupefacenti, nel racket dellaprostituzione e nell'omicidio sucommissione, ma "Baby Charlie" è finitodietro le sbarre soltanto una volta, perevasione delle tasse sul reddito nel195556.

Richard Scarne,principale azionista

delle Fun Time Automatic Machines. LaFun Time fabbrica macchinettemangiasoldi per le folle del Nevada,flipper e jukebox (MelodyCoin) per ilresto del paese.

Ha scontato condanne peraggressione a mano armata (1940),possesso illegale di armi (1943), ecospirazione intesa a commettere frodefiscale (1961).

Peter Zeiss,un importatore residentea Miami, prossimo alla settantina. Negliultimi cinque anni Zeiss si è opposto contenacia all'espulsione quale personaindesiderabile. E stato riconosciutocolpevole di ricettazione (1958) ecospirazione volta a commettere frodefiscale (1954). Affascinante, distinto,

raffinato, Pete Zeiss è chiamato "papà"dagli intimi ed è stato processato sottoaccusa di omicidio e complicità inomicidio. Grosso azionista della FunTime di Scarne, è notoriamenteinteressato in quattro bische di LasVegas.

Vittorio Gianelli,noto anche come"Vito il Macellaio", processato duevolte per pluriomicidio di stampomafioso, ivi incluso l'omicidio conun'accetta del vicecapo della mafia diBoston, Frank Scoffy.

Gianelli è stato indiziato ventitrévolte, processato quattordici econdannato una sola volta pertaccheggio nel 1940. Si è detto che in

anni recenti Gianelli è diventato unapotenza nella gestione dell'industria delcrimine negli stati dell'Ovest, che ha ilsuo centro a Las Vegas.

Carl"JimmyRicks"Prashkin,unospeculatore di San Francisco, presuntoerede del "potere" attualmente detenutoda Gianelli. Prashkin possiede grossipacchetti azionari delle ImpreseDerwent, della High CountryInvestments, della Fun Time AutomaticMachines e di tre bische di Las Vegas.In America, Prashkin ha le carte inregola, ma in Messico è stato indiziatodi frode, accuse che sono state ritirate intutta fretta tre settimane dopo esserestate sporte. È stata avanzata l'ipotesiche Prashkin possa essere incaricato del

riciclaggio del denaro sporco scrematodalla gestione delle bische di Las Vegase del reinvestimento delle grosse sommenelle attività legali dell'organizzazionenegli stati dell'Ovest. Non è daescludere che ora in tali operazionirientri anche la gestione dell'OverlookHotel nel Colorado.

L'elenco degli ospiti dell'albergonella stagione in corso comprendealtresì...

C'era dell'altro, ma Jack si limitò ascorrerlo in fretta, continuando apassarsi la mano sulle labbra. Unbanchiere con le mani in pasta a LasVegas. Gente di New York per la qualela confezione di capi di abbigliamento

era più che altro una copertura. Uominiche si riteneva fossero coinvolti neltraffico della droga, nel vizio, nellerapine, nella criminalità.

Dio, che storia! Ed erano stati tuttilì, proprio sopra la sua testa, in quellestanze vuote. A scopare puttane di lussoal terzo piano, magari. A bere magnumdi champagne. A stringere accordi cheavrebbero fruttato milioni di dollari,magari in quello stesso appartamentodove avevano alloggiato i presidenti. Lastoria c'era, d'accordo. E che razza distoria. Con gesto concitato, estrasse iltaccuino e scribacchiò un altro appuntoper ricordarsi di controllare eventualidati relativi a tutta quella gente allabiblioteca di Denver, quando avesse

portato a termine il suo incarico dicustode. Ogni albergo ha il suofantasma, si dice? L'Overlook per partesua ne aveva un esercito: prima unsuicidio, poi la mafia... che altroancora?

Il ritaglio che seguiva conteneva unarabbiosa smentita di Charles Grondinalle accuse mossegli da Brannigar. Jackla beneficiò di un sorrisetto.

Il ritaglio incollato alla paginaseguente includeva una fotografia, e Jackriconobbe immediatamente il soggetto,anche se la tappezzeria era statacambiata dopo il giugno del 1966. Sitrattava del lato esposto a ovestdell'Appartamento Presidenziale. Dopo

di che veniva il delitto: la parete delsalotto accanto alla porta che davaaccesso alla camera da letto eraschizzata di sangue e di frammenti dimateria cerebrale.

Un poliziotto dall'aria impassibilesovrastava un cadavere nascosto da unacoperta. Jack sgranò gli occhi,affascinato, poi spostò lo sguardo altitolo.

REGOLAMENTO DI CONTI IN UNALBERGO DEL COLORADO

Presunto re del crimine ucciso in uncircolo privato in montagna Altri duemorti

SIDEWINDER, Colorado (UPI) Auna sessantina di chilometri da questasonnolenta cittadina del Colorado, nel

cuore delle Montagne Rocciose, haavuto luogo un regolamento di conti trabande rivali.

L'Overlook Hotel, acquistato tre annior sono da una compagnia di Las Vegasin qualità di circolo privato esclusivo, èstato teatro di un triplice assassinio acolpi di fucile a canne mozze. Due degliuomini abbattuti erano o i compagni o leguardie del corpo di Vittorio Gianelli,noto altresì come "Il Macellaio,"soprannome affibbiatogli in seguito alsospetto che fosse implicato in unmassacro avvenuto a Boston vent'annifa.

La polizia è stata chiamata da RobertNorman, direttore dell'Overlook, il

quale ha dichiarato di aver udito spararee che alcuni ospiti avevano riferito diaver visto due uomini fuggire giù per lascala antincendio col volto nascosto dacalze di nailon e col fucile imbracciato,dopo di che si erano allontanati a bordodi una decappottabile color avana ultimomodello.

L'agente statale Benjamin Moore hascoperto i cadaveri di due uomini, piùtardi identificati per quelli di Victor T.Boorman e di Roger Macassi, entrambidi Las Vegas, sulla sogliadell'Appartamento Presidenziale dovehanno soggiornato due presidenti degliStati Uniti. All'interno, Moore harinvenuto il corpo di Gianelli steso sulpavimento. È lecito dedurre che Gianelli

sia stato abbattuto mentre tentava disfuggire ai suoi aggressori. Moore haaffermato che Gianelli era stato colpitoquasi a bruciapelo con proiettili digrosso calibro.

Charles Grondin, rappresentantedella compagnia che attualmente èproprietaria dell'Overlook, non hapotuto essere raggiunto per...

Sotto il ritaglio, a grossi caratteritracciati col pennarello, qualcuno avevascritto:Si sono portati via i suoicoglioni. Jack indugiò a fissare quellascritta con gli occhi sbarrati, un brividoche gli correva nelle ossa. A chiapparteneva quel libro?

Finalmente voltò pagina, deglutendo

come per sciogliere il nodo che aveva ingola. Un'altra colonna di Josh Brannigar,che risaliva ai primi mesi del 1967. Jacksi limitò a leggere il titolo:FAMOSO

ALBERGO VENDUTO INSEGUITO ALL'ASSASSINIO DI UNFIGURO DELLA

MALAVITA.I fogli che seguivano il ritaglio in

questione erano bianchi.(Si sono portati via i suoi coglioni.)Sfogliò l'album tornando alle prime

pagine, in cerca di un nome o di unindirizzo. Magari di un numero dicamera. Perché era certo che chiunqueavesse tenuto quella specie di diarioaveva alloggiato nell'albergo. Ma nonc'era nulla.

"Jack? Tesoro?" Una voce lochiamava dalle scale.

Wendy.Jack trasalì, sentendosi quasi in

colpa, come se si fosse nascosto lì perbere in segreto e adesso lei siaccingesse ad annusargli l'alito.Ridicolo. Si fregò le labbra con la manoe gridò di rimando: "Sì, piccola. Sonoqui a cercar topi."

La sentì che scendeva le scale eattraversava la stanza della caldaia. Difuria, senza neppure pensare al perché diun gesto simile, nascose l'album deiritagli sotto una pila di conti e di fatture.Si drizzò in piedi nel momento stesso incui lei passava sotto l'arco.

"Che cosa diamine fai, qua sotto?Sono quasi le tre!"

"Così tardi?" Jack sorrideva. "Hofrugato un po' tra questa roba. Percercare di scoprire dove sono sepolti icadaveri."

Queste parole gli riecheggiaronomalignamente nel cervello.

Wendy gli si avvicinò, fissandolo, elui con moto istintivo arretrò di unpasso. Sapeva che cosa Wendy siaccingesse a fare: cercava di annusarepuzzo d'alcool nel suo alito. Con tuttaprobabilità non ne era consapevoleneppure lei, ma lui lo era, e la cosa glicomunicò un senso di colpa e al tempostesso di rabbia.

"Ti sanguinano le labbra," disseWendy con una voce curiosamenteinespressiva.

"Come, come?" Jack si portò lamano alla bocca e trasalì, avvertendouna lieve fitta. Si ritrovò l'indicemacchiato di sangue. Il senso di colpa siaccentuò.

"Ti sei di nuovo graffiato la bocca,"disse Wendy.

Jack abbassò gli occhi e si strinsenelle spalle. "Già, evidentemente..."

"È stato terribile per te, vero?""Be', non esageriamo.""Va meglio, adesso?"Alzò lo sguardo su di lei e si

costrinse a muovere i piedi. Una volta in

movimento, fu più facile.Attraversò la stanza accostandosi

alla moglie e le passò un braccio attornoalla vita. Poi le scostò una ciocca dicapelli biondi e le posò un bacio sulnaso. "Sì," disse. "Dov'è Danny?"

"Oh, è in giro, da qualche parte. Ilcielo comincia ad annuvolarsi. Haifame?"

Lui le fece scivolare una mano sulsedere sodo, strizzato nei jeans, consimulata sensualità. "Una fame da lupo,madame."

"Attento, lazzarone. Non cominciarese non sei in grado di finire.'"

"Ci sta, madame?" domandò Jack,continuando ad accarezzarla. "Filmettipornografici? Posizioni contro natura?"

Mentre passavano sotto l'arco si voltòad adocchiare la scatola dove l'albumdei ritagli (di chi?)

era celato sotto le carte. Adesso chela luce era spenta, era solo un'ombra.Jack provò un certo sollievo all'idea diaverne allontanato Wendy. La voglia difare l'amore divenne meno forzata, piùnaturale.

"Forse," rispose Wendy. "Quandoavrai mangiato un panino...iiih! "Sisvincolò, ridacchiando. "Mi fai ilsolletico!"

"Questo è ancora niente in confrontoa quello che vorrebbe farle quelgiocherellone di Jack Torrance,madame."

"Piantala, via. Che ne diresti diprosciutto e formaggio... come primaportata?"

Risalirono le scale insieme, e Jacknon si volse più a guardare da sopra laspalla. Ma ripensò alle parole diWatson:

Ogni grande albergo ha un fantasma.Perché? Diavolo, la gente va e viene.

Poi Wendy chiuse la porta dellacantina alle loro spalle, imprigionandonel buio anche quelle parole.

19Danny ricordava le parole di

qualcun altro che aveva lavoratoall'Overlook in quella stagione: Ha dettoche aveva visto qualcosa in una delle

stanze dove era successa una bruttacosa. È stato nella camera 217 e voglioche tu mi prometta di non entrarci,Danny... gira al largo...

L'aspetto della porta era del tuttonormale: non era in nulla diversa daqualsiasi altra porta dei primi due pianidell'albergo. Verniciata di grigio scuro,si apriva a metà di un corridoio cheintersecava ad angolo retto il corridoioprincipale del secondo piano. I numerisulla porta non sembravano diversi dainumeri civici della casa d'affitto diBoulder dove avevano abitato. Un 2, un1 e un 7. Bel colpo. Appena sotto inumeri c'era un cerchietto di vetro, unospioncino. Danny ne aveva tentato piùd'uno: dall'interno si aveva un'ampia

visuale ingrandita del corridoio;dall'esterno si poteva strizzare l'occhioin tutti i modi possibili e immaginabili,senza riuscire a vedere un fico secco.

(Perché sei qui?)Dopo la passeggiata in montagna

dietro l'Overlook, lui e la mamma eranotornati a casa e lei gli aveva preparato ilsuo pasto preferito: un panino imbottitodi formaggio e mortadella e una zuppa difagioli in scatola. Avevano pranzatonella cucina di Dick, chiacchierando.Dalla stazione di Estes Park la radiotrasmetteva musica inframmezzata dasibili e scariche. Di tutto l'albergo lacucina era il posto che preferiva e aveval'impressione che la mamma e il papà la

pensassero allo stesso modo, perchédopo aver tentato per due o tre giorni diconsumare i pasti in sala da pranzoavevano cominciato a mangiare incucina come in seguito a un tacitoaccordo, sistemando le sedie attorno alceppo da macellaio di Dick Hallorann,che era grande quasi come il tavolodella loro sala da pranzo di Stovington.La sala da pranzo dell'albergo era parsatroppo deprimente, anche con la luceaccesa e la musica che proveniva dalmangianastri installato nell'ufficio. Ciònon toglieva peraltro che si continuassead essere solo in tre, seduti a un tavolocircondato da dozzine di altri tavoli, tuttideserti, tutti protetti con quei fogli diplastica trasparente. La mamma diceva

che era come cenare dentro un romanzodi Horace Walpole, e papà aveva riso ele aveva dato ragione. Danny non avevaidea di chi fosse Horace Walpole, peròsapeva che le pietanze della mammaavevano cominciato a essere piùsaporite quando si erano messi amangiarle in cucina. Danny continuava ascoprire tutt'attorno piccole tracce dellapersonalità di Dick Hallorann, e se nesentiva rincuorato come da una caldacarezza.

La mamma aveva mangiato mezzopanino, senza nemmeno toccare lazuppa. Aveva detto che papà dovevaessere uscito a fare una passeggiata perconto suo, dato che la Volkswagen e il

furgoncino dell'albergo erano nelparcheggio. Aveva detto che era stanca eche si sarebbe distesa a riposare perun'oretta, se lui credeva di riuscire adivertirsi da solo senza andarsi acacciare in qualche pasticcio. Tra unboccone e l'altro di formaggio emortadella Danny le aveva risposto checredeva proprio di sì.

"Perché non vai nel parco giochi?"gli aveva domandato. "Pensavo che quelposto ti sarebbe piaciuto, con quel belrecinto di sabbia per i tuoi camion etutto il resto."

Danny aveva inghiottito il boccone eil cibo gli era andato giù per la gola inun blocco duro e asciutto.

"Magari ci andrò," aveva detto,

voltandosi verso la radio e mettendosi atrafficare.

"E tutti quei begli animali dellasiepe," aveva detto la mamma,togliendogli il piatto vuoto. "Tra pocopapà dovrà uscire a potarli."

"Già," aveva detto Danny.(Sono cose orribili. . una volta

aveva a che fare con quelle maledet esiepi tosate in modo da renderlesomiglianti ad animali. .)

"Se vedi papà prima di me, digli chesono andata a coricarmi." Aveva messoi piatti sporchi nell'acquaio ed eratornata accanto a lui. "Sei felice qui,Danny?"

Lui l'aveva guardata con espressione

candida, un baffo di latte sul labbro."Sì..."

"Niente più brutti sogni?""No." Tony era venuto da lui una

sola volta, una notte che se ne stavadisteso nel letto, e l'aveva chiamato pernome debolmente, da molto, moltolontano. Ma Danny aveva stretto gliocchi con forza finché Tony non se n'eraandato. "Sei sicuro?"

"Sì, mammina."Gli era parsa soddisfatta. "Come va

la mano?" Lui l'aveva aperta e chiusa abeneficio della madre.

"Molto meglio, direi."Wendy aveva annuito. Jack aveva

portato il nido pieno di vespe congelate)protetto dalla pirofila, all'inceneritore

sul retro del capanno degli attrezzi, el'aveva bruciato. Da quel momento nonavevano più visto una sola vespa. Poiaveva scritto a un avvocato di Boulder,allegando le fotografie della mano diDanny, e l'avvocato aveva telefonatodue giorni prima, cosa che per tutto ilpomeriggio aveva messo Jack dimalumore. L'avvocato dubitava che sipotesse far causa con qualcheprobabilità di successo alla ditta cheaveva fabbricato la bombolad'insetticida, perché Jack era il solo adasserire di aver seguito alla lettera leistruzioni stampate sulla confezione.Jack aveva domandato all'avvocato senon fosse il caso di comprare qualche

altra bombola e controllare se fosseroanch'esse difettose. Sì, aveva dettol'avvocato, ma i risultati erano moltodubbi, anche se tutte le bombolesottoposte a controllo si fossero rivelatedifettose. Aveva riferito a Jack di uncaso riguardante una ditta chefabbricava scaleporta e di un tale che siera spezzato la spina dorsale. Wendyaveva manifestato il suo rincrescimento,ma in cuor suo era già contenta cheDanny se la fosse cavata così a buonmercato. Era meglio lasciare denunce equerele a chi se ne intendeva, categoriache non comprendeva certamente iTorrance. E poi, di vespe, non neavevano più viste.

"Va' a giocare, dottore. Divertiti."

Ma lui non si era divertito. Avevagirovagato senza meta per l'albergo,andando a ficcare il naso neglisgabuzzini della biancheria e nellestanze del custode, alla vana ricerca diqualcosa di interessante, poverobimbetto che si aggirava tutto solo su untappeto blu cupo intessuto di tortuoselinee nere. Di tanto in tanto avevaprovato a premere la maniglia di unaporta, ma naturalmente erano tutte chiusea chiave. La chiave universale eraappesa da basso, nell'ufficio. Dannysapeva dove, ma papà gli aveva dettoche non doveva toccarla per nessunmotivo, e lui non intendevaassolutamente disubbidirgli.

Davvero non voleva farlo?(Perché sei qui?)Non c'era niente di casuale,

dopotutto, nel suo comportamento. Erastato attirato verso la camera 217 da unaforma morbosa di curiosità. Ricordavauna favola che papà gli aveva letto unavolta che era ubriaco. Era stato tantotempo fa, ma la favola era ancora vividae chiara come quando papà gliel'avevaletta. La mamma aveva sgridato papà egli aveva chiesto che cosa stessefacendo: leggere una cosa così orribile aun bambino di tre anni! La favolas'intitolavaBarbablù. Anche questo fattoera ancora perfettamente nitido nella suamente, perché lì per lì aveva creduto che

papà alludesse all'Uccellino Azzurro,ma nella favola non c'erano uccelliniazzurri, né uccellini di qualsivoglia altrogenere. La favola riguardava invece lamoglie di Barbablù, che aveva i capellicolor del grano come la mamma.

Da quando Barbablù l'avevasposata, vivevano in un grande castelloun po' sinistro, non dissimiledall'Overlook. E Barbablù tutti i giorniandava a lavorare e tutti i giorni dicevaalla sua bella mogliettina di noncuriosare in una certa stanza, anche se lachiave per entrare nella stanza eraappesa a un gancio, proprio come lachiave universale era appesa da bassoalla parete dell'ufficio. La moglie diBarbablù moriva dalla curiosità, a

proposito di quella stanza sprangata.Tentava di sbirciare dal buco dellaserratura, proprio come Danny avevatentato di guardare nella camera 217attraverso lo spioncino, e con lo stessorisultato negativo. C'era persinoun'illustrazione in cui si vedeva la donnainginocchiata nel tentativo di guardareda sotto la porta, ma la fessura non eraabbastanza larga. La porta si spalancavae...

Il vecchio libro di fiabe descrivevala scoperta della donna, indugiando neiparticolari più spaventosi.

L'immagine era impressa a fuoconella mente di Danny. Nella stanzac'erano le teste spiccate dal busto delle

sette mogli precedenti di Barbablù,ciascuna su un piedistallo, gli occhiarrovesciati all'insù, le bocche pendulee sbarrate in urla silenziose. In qualchemodo, erano in bilico, sui colli laceratidal fendente che le aveva recise, e dalpiedistallo colavano rivoli di sangue.

Terrorizzata, la donna si era voltatacon l'intenzione di fuggire dalla stanza edal castello, ma aveva scopertoBarbablù ritto sulla soglia, i terribiliocchi che mandavano lampi di fuoco."Ti avevo detto di non entrare in questastanza," diceva Barbablù, sfoderando laspada. "Ahimé, nella tua curiosità seiuguale alle altre sette e, sebbene tiamassi più di tutte le altre, la tua finesarà uguale alla loro. Preparati a morire,

femmina sventurata!"Danny aveva la vaga impressione

che la favola avesse un lieto fine, ma lacosa perdeva qualsiasi importanzarispetto alle due immagini predominanti:la provocante, esasperante portasprangata che nascondeva qualchegrande segreto, e lo stesso orribilesegreto, ripetuto più di mezza dozzina divolte.

La porta sprangata e, dietro, le teste,le teste spiccate dal busto.

Tese la mano e con gesto furtivosfiorò la maniglia della porta. Nonaveva idea di quanto tempo fosserimasto lì, ipnotizzato, davanti a quellaporta sbarrata, grigia, innocua.

(E forse tre volte ho creduto divedere certe cose. . cose orribili. .) Mail signor Hallorann, anzi Dick, avevaanche detto che secondo lui quelle cosenon potevano fare del male. Erano comeillustrazioni di un libro che lì per lì timettono un po' paura. E forse nonavrebbe visto niente. D'altra parte....

Si ficcò la mano sinistra in tasca ene cavò la chiave universale.

La tenne in mano reggendola per latarghetta metallica quadrata che recavala parola UFFICIO scritta a stampatello.Fece roteare la chiave sulla catenella, ela osservò girare; poi infilò la chiaveuniversale nella toppa. Scivolò dentroagevolmente, senza incepparsi, come se

fosse proprio quello che desiderava.(Ho creduto di vedere certe cose. .

cose orribili. . promettimi che non cimetterai piede.) (Lo prometto.)

E una promessa, naturalmente, erauna cosa oltremodo importante. Eppurela curiosità lo solleticava in modoesasperante, proprio come l'orticaria tisolletica in un punto che sai di nondoverti grattare. Ma era un tipo dicuriosità spaventoso, il genere dicuriosità che ti induce a sbirciare di trale dita durante i passaggi più terrificantidi un film dell'orrore. Quel che c'eradietro quella porta non sarebbe stato unfilm.

(Secondo me, quelle cose nonpossono farti del male. . come

illustrazioni di un libro che possono fareun po' paura. .)

Si fermò a guardare ancora unmomento la porta con gli occhionigrigioazzurri sgranati, poi fecerapidamente dietrofront e ridiscese ilcorridoio in direzione di quelloprincipale che intersecava ad angoloretto la diramazione in cui si trovava.

Qualcosa lo indusse a soffermarsi, eper un attimo non si rese contoesattamente di che cosa si trattasse. Poiricordò che proprio dietro l'angolo,lungo il tragitto per tornare alle scale,c'era uno di quegli estintori di vecchiotipo arrotolati contro la parete.Arrotolato come un serpente in letargo.

Papà aveva detto che il signor Ullmanavrebbe dovuto sostituire quegliantiquati naspi esattamente comel'antiquata caldaia, ma probabilmente ilsignor Ullman non avrebbe sostituitonessuna delle due cose perché era unoSTRONZO PIDOCCHIOSO. Dannysapeva che era uno dei peggiori epiteticui suo padre potesse far ricorso. Se neserviva per indicare certi medici, certidentisti, certi idraulici, e ancheall'indirizzo del direttore della suasezione di inglese a Stovington, cheaveva disdetto alcune ordinazioni dilibri fatte da papà sostenendo che laspesa dei libri li avrebbe mandati inpassivo. "In passivo, un cavolo," avevaimprecato furibondo, rivolto a Wendy.

Danny se ne stava ad ascoltare dalla suacamera da letto mentre loro credevanoche fosse già addormentato. "Risparmiale ultime cinquecento svanziche per sé,quello STRONZO PIDOCCHIOSO."

Danny sbirciò oltre l'angolo.Spinse lo sguardo giù per il

corridoio oltre l'estintore, in direzionedelle scale. Laggiù c'era la mamma, chedormiva. E se papà era tornato dalla suapasseggiata, probabilmente se ne stavain cucina a mangiare un panino e aleggere un libro. Lui avrebbesemplicemente oltrepassato quelvecchio estintore e sarebbe sceso dabasso.

Si avviò in quella direzione,

accostandosi alla parete di fronte alpunto da sfiorare col braccio destro lasontuosa tappezzeria di seta. Ancoraventi passi. Quindici. Una dozzina.

Quando giunse a dieci passi didistanza, di colpo il beccuccio di ottonesi staccò dalla grossa matassa sullaquale giaceva

(addormentato?)e cadde sul tappeto del corridoio

con un tonfo sordo. Rimase lì, l'oscuroforo del muso puntato contro Danny.Danny si arrestò di scatto, le spallecontratte in avanti per il subitaneospavento. Il sangue gli ronzava densonelle orecchie e alle tempie. Si sentivala bocca secca e acida, e teneva le manistrette a pugno. E tuttavia il beccuccio

del tubo si limitava a starsene lì a terra,il rivestimento di ottone baluginanteappena, un anello di tela piatta cherisaliva fino al telaio dipinto di rossoinchiodato al muro.

Be', si era staccato dalla parete, econ ciò? Era solo un estintore,nient'altro. Era sciocco pensare chesomigliasse a quelle serpi velenoseriprodotte nei libri illustrati suglianimali, che l'aveva udito e che si erasvegliato; e non importa se la tela cucitafaceva pensare un po' alle scaglie deiserpenti. L'avrebbe scavalcato eavrebbe percorso il corridoio fino allescale, magari affrettando un poco ilpasso, tanto per esser certo che non

scattasse alle sue spalle e non gli siarrotolasse intorno a un piede... Tuttoqui.

Danny fissò la manichetta sulpavimento e pensò alle vespe.

Ancora otto passi; dal tappeto ilbeccuccio del naspo luccicava placidoverso di lui, quasi a dirgli:Nonpreoccuparti. Sono solo un tubo, eccotutto. E anche se non fosse tutto qui, nonpotrei farti più male di una puntura diape. O di una puntura di vespa. Cosapotrei mai fare a un bravo bambinopiccolo come te. . se non pungere. . epungere. . e pungere?

Danny fece un passo, un altro passo.Il respiro gli usciva secco e roco dallagola. Il panico stava per sopraffarlo.

Cominciò quasi a desiderare che ilnaspo si muovesse: così almeno avrebbesaputo, sarebbe stato sicuro. Fece unaltro passo: ormai si trovava alla portatadell'estintore. Ma non ti colpirà, fu ilsuo pensiero assurdo. Come puòcolpirti, morderti, se è solo un tubo?

Magari è pieno di vespe.La sua temperatura interna calò di

colpo. Fissò il foro nero al centro delbeccuccio, quasi ipnotizzato.

Magari era davvero pieno di vespe:vespe segrete, i corpi bruni gonfi diveleno autunnale, al punto da gocciolaredai pungiglioni in stille di fluidotrasparente.

A un tratto si rese conto di essere

pressoché irrigidito dal terrore; se noncostringeva i piedi a muoversi ora, sisarebbero inchiodati sul tappeto e luisarebbe rimasto lì a fissare il buco neroal centro del beccuccio di ottone, comeun uccello ipnotizzato da un serpente.Sarebbe rimasto lì finché il papà nonl'avesse trovato, e poi... e poi cosasarebbe successo?

Con un gemito acuto si costrinse aspiccare la corsa. Quando giunseall'altezza del tubo, un gioco di luce fecein modo che il beccuccio sembrassemuoversi, roteare su se stesso comepronto a colpire, e Danny spiccò unsalto per scavalcarlo.

Atterrò dall'altro lato del naspo eprese a correre. E a un tratto lo sentì

dietro di sé, che lo inseguiva, l'ovattatosecco fruscio di quella testa di serpentedi ottone che strisciava rapida sultappeto, inseguendolo come un cobrache si muovesse agile e veloce su unadistesa d'erba secca. Lo inseguiva, e aun tratto le scale gli parverolontanissime; sembravano allontanarsi apasso di corsa, sempre più distanti aogni passo di corsa che compiva nellaloro direzione.

Papà! tentò di urlare, ma dalla golaserrata non gli uscì una sola parola.Doveva cavarsela da solo. Alle suespalle il rumore si fece più forte, ilsecco rumore strisciante del serpenteche scivolava veloce sugli steli secchi

del tappeto. Gli era alle calcagna, ora; eforse si ergeva col veleno trasparentestillante dal muso di ottone.

Danny raggiunse le scale e fucostretto a roteare pazzamente le bracciaper mantenere l'equilibrio. Per un attimogli parve certo che sarebbe inciampato eprecipitato a capofitto fino in fondo allescale.

Si gettò un'occhiata alle spalle.Il naspo non si era mosso. Giaceva

nel punto dov'era caduto, un anello dellamatassa staccato dal telaio, il beccucciodi ottone sul pavimento del corridoio, equel beccuccio era puntato nell'altradirezione, con l'aria di non interessarsiaffatto alla sua persona. Hai visto,scioccherello? si rimproverò.

Ti sei inventato tutto, micettospaventato. Era tutto frutto della tuafantasia, povero micetto spaventato.

Si aggrappò al corrimano con legambe che gli tremavano per lareazione.

(Non ti ha mai inseguito)si disse mentalmente, e si aggrappò a

quell'idea ripetendola più volte dentrodi sé (non ti ha mai inseguito, non ti hamai inseguito, mai, mai.)

Non era niente di cui aver paura.Diamine, se solo avesse voluto, sarebbepotuto tornare sui suoi passi e rimettereil tubo nel suo telaio. Ma no, preferivanon farlo. Perché... e se invece l'avesseinseguito e poi fosse tornato indietro,

vedendo che non sarebbe mai riuscito...a... raggiungerlo?

Ansimando, Danny corse giù per lescale.

20La biblioteca pubblica di

Sidewinder era un modesto edificio unpoco rientrato rispetto alla sedestradale, un isolato più in giù della zonacommerciale della cittadina. Era unapiccola costruzione coperta dirampicanti, e l'ampio viale pavimentatodi cemento che portava all'ingresso erafiancheggiato dalle vestigia disseccatedei fiori dell'estate trascorsa. Sul pratosi ergeva la grande statua bronzea di ungenerale della Guerra di Secessione di

cui Jack non aveva mai sentito parlare invita sua, anche se da ragazzino era statoun patito della Guerra di Secessione.

Le annate dei giornali eranoconservate a pianterreno. ConsistevanonellaGazet e di Sidewinder, che avevacessato le pubblicazioni nel 1963, nelgiornaletto di Estes Park e nellaCameradi Boulder. Non un solo giornale diDenver.

Sospirando, Jack optò per laCamera.In corrispondenza del 1965, i

giornali veri e propri erano sostituiti dabobine di microfilm ("Una sovvenzionefederale," gli disse con vivacità labibliotecaria. "Quando arriverà ilprossimo assegno, speriamo diriprodurre anche le. annate dal 1958 al

'64, ma sono così lenti, sapesse... Litratterà bene, vero? Lo so che lo farà. Seha bisogno di me, mi chiami.") L'unicoapparecchio lettore aveva una lente che,chissà come, si era deformata, e quandoWendy gli posò una mano sulla spalla,tre quarti d'ora dopo che Jack avevamesso i giornali in disparte peroccuparsi dei microfilm, aveva un maldi testa coi fiocchi.

"Danny è nel parco," disse Wendy,"ma non vorrei che rimanesse fuoritroppo a lungo. Quanto pensi ancora difermarti?"

"Dieci minuti," disse Jack. In effettiaveva radunato le ultime tessere checompletavano l'affascinante mosaico

dell'Overlook: gli anni compresi tra ilregolamento di conti e l'avvento diStuart Ullman & Co.

Peraltro non cessava di provare unacerta riluttanza all'idea di parlarne aWendy.

"Che cosa stai combinando, inconclusione?" gli domandò, e nel dirquesto gli arruffò i capelli; ma la suavoce era scherzosa solo a metà.

"Frugo un po' nella storia delvecchio Overlook," rispose Jack.

"Hai qualche motivo particolare perfarlo?"

"No,(e perché diavolo t'interessi a questo

modo, allora?)semplice curiosità."

"Hai trovato qualcosa diinteressante?"

"Non molto," rispose, sforzandosi dimantenere un tono gioviale, ora.Indagava, proprio come aveva sempreindagato e ficcato il naso negli affarisuoi quando abitavano a Stovington, eDanny era ancora un neonato nellaculla.Dove vai, Jack? Quando torni?Quanti soldi hai con te? Hai intenzionedi prendere la macchina? Al verrà conte? Uno di voi due cercherà di nonprender la sbronza? E via di questopasso. L'aveva spinto lei a bere, se gliera lecita l'espressione. Forse questanon era stata l'unica ragione; però,cristo, diciamo la verità, e ammettiamo

che sia stata una delle ragioni. Assillaoggi, assilla domani, a un certo puntouno aveva voglia di tirarle una sberlagiusto per farle chiudere il becco emetter fine a quell'interminabile flussodi domande

(Dove? Quando? Come? Sei tu?Vuoi?).

Riusciva a farti venire davvero il(mal di testa? cerchio alla testa?)mal di testa. L'apparecchio lettore.

Quel dannato apparecchio lettore con lalente deformata. Ecco perché avevaquell'atroce mal di testa.

"Jack, ti senti bene? Sei cosìpallido..."

Di botto scostò la testa dalle dita diWendy. "Io? Ma se stobenone! "

Wendy si ritrasse dal suo sguardoinfuocato e abbozzò un sorriso troppovago. "Be'... se stai bene... io me nevado e ti aspetto nel parco con Danny..."Ora accennava ad allontanarsi, e il suosorriso si smarriva in un'espressionestupefatta di pena.

La chiamò: "Wendy?"Lei si volse a guardarlo ai piedi

delle scale. "Cosa, Jack?"Jack si alzò e le si avvicinò. "Mi

spiace, piccola. Non mi sento moltobene. Quella macchina... ha una lentedeformata. Ho un mal di testa daimpazzire. Hai un'aspirina, per caso?"

"Ma certo." Wendy frugò nellaborsetta e ne estrasse una scatoletta di

Anacin. "Tienile tu," disse.Jack prese la scatoletta. "Niente

Excedrin?" Si accorse della lieveespressione di ripugnanza dipinta sulviso di lei, e comprese. Prima che ilvizio dell'alcool si fosse aggravato alpunto da non lasciar più spazio aglischerzi, era stato una sorta di burla unpoco amara tra loro. Jack sosteneva chel'Excedrin era l'unica medicina maiinventata che si potesse comprare senzaricetta e che fosse in grado di bloccaresul nascere i postumi di una sbronza.Assolutamente l'unica. Avevacominciato a pensare ai suoi malesseridel mattino dopo come al mal di testa daExcedrin Numero Vat 69.

"Niente Excedrin," rispose Wendy.

"Mi spiace.""Non fa niente, queste andranno

benissimo." Ma naturalmente non eravero, e anche lei avrebbe dovutosaperlo. A volte poteva essere la piùstupida troia...

"Vuoi un po' d'acqua?" chieseWendy, sollecita.

(No, voglio soltanto che tuVADA AFARTI FOTTERE!)

"Berrò alla fontanella mentre tornodi sopra. Grazie."

"D'accordo." Wendy imboccò lescale, le belle gambe che si muovevanoaggraziate sotto una corta gonna di lanacolor tabacco. "Siamo nel parco."

"Va bene." Con gesto meccanico

fece scivolare in tasca la scatoletta diAnacin, poi tornò all'apparecchio lettoree lo spense. Quando fu certo che Wendyse ne fosse andata sali anche lui disopra. Dio, quel maledetto mal di testa.Quando uno correva il rischio di sentirsistringere la testa in una morsa delgenere, avrebbe dovuto essergliconcesso il piacere di qualchebicchierino per equilibrare la situazione.

Si sforzò di scacciare quel pensiero,più che mai di malumore. Si avvicinò albanco della distribuzione, rigirandosifra le dita una bustina di fiammiferi cherecava scritto un numero telefonico.

"Signora, c'è un telefono pubblico,qui?"

"No, signore, ma se deve fare una

telefonata urbana può usare il mio.""È un'interurbana, mi spiace.""Be', allora credo che la miglior

cosa da farsi sia andare al drugstore. C'èuna cabina."

"Grazie."Uscì e percorse il viale,

oltrepassando l'anonimo generale dellaGuerra di Secessione. Si avviò indirezione dell'isolato in cui eranoconcentrati i negozi, le mani affondatenelle tasche, la testa che gli pulsavacome una campana di piombo. Anche ilcielo era plumbeo; era il 7 novembre, econ l'inizio del mese il tempo si era fattominaccioso. Era caduta qualchespolverata di neve. Anche in ottobre era

caduto qualche fiocco, ma si era sciolto.Le spolverate di novembre, invece,erano rimaste sul terreno sotto forma diuna leggera glassatura che ricoprivaogni cosa: scintillava al sole come lievepolvere di cristallo. Ma oggi il sole nonbrillava, e anche ora, mentre Jackraggiungeva il drugstore, la nevericominciava a volteggiare nell'aria.

La cabina telefonica era in fondoall'edificio, e Jack aveva percorso lametà di una corsia fiancheggiata dascaffali colmi di medicinali, facendositintinnare in tasca le monetine, quando losguardo gli cadde sulle scatole bianchestampate in verde. Ne prese una e laportò alla cassa, pagò e tornò allacabina telefonica. Chiuse la porta, posò

le monetine e la bustina di fiammiferi sulripiano e compose lo zero.

"Che località, prego?""Fort Lauderdale, in Florida,

signorina." Poi diedeil numero e anche ilnumero della cabina. Quando lacentralinista gli disse che tre minuti diconversazione gli sarebbero costati undollaro e novanta, lasciò cadere ottomonete da un quarto di dollaro nellafessura, trasalendo ogni volta che ilcampanello gli rintoccava all'orecchio.

Poi, abbandonato nel limbo conl'unica compagnia degli scatti e deirumori confusi e lontani sulla linea,estrasse il flaconcino verde di Excedrindalla scatola, svitò il cappuccio bianco

e lasciò cadere il batuffolo di ovatta sulpavimento della cabina. Tenendosaldamente il ricevitore tra l'orecchio ela spalla fece uscire dal flacone trecompresse bianche e le allineò sulripiano accanto al resto delle monetine;poi riavvitò il cappuccio e s'infilò intasca il flacone.

All'altro capo del filo il ricevitore fusollevato al primo squillo.

"Qui 'Sabbia e onde'; in che cosapossiamo esserle utili?" chiesedisinvolta una voce femminile.

"Vorrei parlare col direttore, prego.""Intende il signor Trent o...""Intendo il signor Ullman.""Credo che il signor Ullman sia

occupato, ma se vuole che controlli..."

"Certo che lo voglio. Gli dica che èJack Torrance che chiama dalColorado."

"Un momento, prego." Gli disse direstare in linea.

L'antipatia per quel vanesio, perquello stronzetto pidocchioso pieno disé di Ullman tornò a invadere Jack.Prese una compressa di Excedrin dalripiano, la esaminò per un istante, poi sela infilò in bocca e prese a masticarla.Lentamente e con piacere. Il saporetornava. Rifluiva come un ricordo,aumentando la salivazione in una formadi piacere misto a infelicità. Un saporeasciutto, amaro, ma irresistibile.

Ingoiò con una smorfia. Quella di

masticare aspirina era stata un'abitudineai tempi in cui beveva; da allora nonl'aveva mai più fatto. Ma quando il maldi testa è abbastanza forte, un mal ditesta da postumo di sbronza o comequello che aveva lui ora, masticare lecompresse dava l'illusione che agisseropiù in fretta. Aveva letto da qualcheparte che masticare l'aspirina potevaanche dare assuefazione. Dove l'avevaletto, comunque? Si sforzò di pensare,aggrottando la fronte. E proprio alloraUllman rispose all'apparecchio.

"Torrance? Qualche grana?""Niente grane," rispose Jack. "La

caldaia è a posto e finora non mi èneppure saltato in testa di uccidere miamoglie. Ho rimandato tutto a dopo le

vacanze di Natale, quando la situazionesarà insopportabile."

"Molto divertente. Perché mi hatelefonato? Sono molto..."

"Occupato, sì, lo capisco. Letelefono a proposito di certe cose chenon mi ha detto durante la suaricostruzione del grande e nobilepassato dell'Overlook. Per esempio, dicome Horace Derwent l'abbia venduto aun branco di imbroglioni di Las Vegasche l'hanno gestito tramite tante societàfasulle che neppure il fisco è mairiuscito a sapere chi fosse realmente ilpadrone. Di come quelli abbianoaspettato il momento opportuno pertrasformarlo in un campo giochi per i

pezzi grossi della mafia, e di come siastato chiuso nel 1966, quando uno diloro c'è rimasto secco, assieme alle sueguardie del corpo che se ne stavano disentinella davanti alla portadell'Appartamento Presidenziale. Ungran bel posto, l'AppartamentoPresidenziale dell'Overlook. Wilson,Harding, Roosevelt, Nixon e Vito ilMacellaio, giusto?"

Vi fu un attimo di stupefatto silenzioall'altro capo del filo, poi Ullman pianopianò disse: "Non vedo come tuttoquesto possa avere alcuna attinenza colsuo lavoro, signor Torrance. E..."

"Il meglio è venuto dopo cheGianelli è stato ucciso, però. Noncrede? Altri due lesti giocarelli di mano,

adesso la vedi e adesso non c'è più, epoi di botto l'Overlook diventa proprietàdi un cittadino privato, una donna anome Sylvia Hunter... che, guarda caso,è stata Sylvia Hunter Derwent dal 1942al 1948."

"Tre minuti," disse la centralinista."Al termine della comunicazione sentiràun segnale."

"Mio caro signor Torrance, tuttoquesto è di pubblico dominio... e acquapassata."

"Io non ne sapevo nulla," disse Jack."E dubito che molti ne siano al corrente.Non di tutto, almeno.

Ricordano l'assassinio di Gianelli,forse, ma dubito che qualcuno abbia

messo assieme tutti i prodigiosi e stranipassaggi di mano di cui è stato oggettol'Overlook dal 1945 in poi. E sembrache alla fine il premio se lo becchisempre Derwent, o un suo socio. Cherazza di roba gestiva Sylvia Hunterlassù nel

'67'68, signor Ullman? Si trattava diun bordello, no?"

"Torrance!"La sgradita sorpresa diUllman gracchiò superando oltre tremilachilometri di cavo telefonico, senzaperdere un briciolo di effetto.

Sorridendo, Jack si cacciò in boccaun'altra compressa di Excedrin e lamasticò.

"Sylvia ha venduto la baracca dopoche un senatore degliStati Uniti che

godeva di una certa notorietà ci halasciato le penne per un colpo. Era corsavoce che fosse stato trovato nudo, aparte un paio di calze nere di nailon, unagiarrettiera e un paio di scarpe con itacchi a spillo. Scarpe di pelle di granmarca, per essere precisi."

"È una malignità, una menzogna!"gridò Ullman.

"Davvero?" chiese Jack.Cominciava a star meglio. Il mal di testaandava scomparendo. Prese l'ultimacompressa di Excedrin e la masticò,assaporando il gusto amaro, polverosodella pasticca che gli si sbriciolava inbocca.

"Un incidente veramente

spiacevole," commentò Ullman. "Ora,qual è il punto, Torrance? Se siripropone di scrivere uno sporcoarticolo diffamatorio... se si è messo intesta qualche stupida, malintesa idea diricatto..."

"Niente di tutto questo," disse Jack."Ho telefonato perché mi è sembrato chelei non fosse stato leale con me. Eperché..."

"Non sono stato leale?" esclamòUllman. "Mio Dio, credeva che fossidisposto a lavare i panni sporchi inpubblico col custode dell'albergo? Chisi crede di essere, in nome del cielo? Ecomunque, che c'entra, lei, in tutte questevecchie storie? Oppure crede che cisiano i fantasmi che corrono su e giù per

i corridoi dell'ala ovest, avvolti inlenzuoli, urlando 'Uuuu!'?"

"No, non credo che ci siano ifantasmi. Ma lei prima di darmi il postoha frugato senza misericordia nelle mievicende personali. Mi ha messo altappeto, indagando circa le mie capacitàdi aver cura del suo albergo, come unragazzino che abbia fatto pipì nellospogliatoio davanti alla cattedra delmaestro.

Mi ha messo a disagio.""Non sopporto la sua fottuta

insolenza," urlò Ullman. Parlava convoce strozzata, come se gli fossemancato il fiato. "Mi piacerebbelicenziarla. È forse lo farò."

"Credo che Al Shockley avrebbequalcosa da obiettare. E senza mezzitermini."

"E io ritengo che in definitiva leiabbia sopravvalutato l'impegno delsignor Shockley nei suoi confronti,signor Torrance."

Per un attimo Jack sentì riaffiorare ilmal di testa in tutta la sua pulsanteviolenza, e chiuse gli occhi per ildolore. Come da un'enorme distanza siudì domandare: "A chi appartienel'Overlook, adesso?

Ancora alle Imprese Derwent? O leiè l'ultima ruota del carro e non puòsaperlo?"

"Mi pare che così basti, signor

Torrance. Lei è un dipendentedell'albergo, non diverso da unosguattero qualsiasi. Non ho intenzionedi..."

"Benissimo, scriverò ad Al," disseJack. "Gli racconterò ogni cosa;dopotutto, fa parte del consigliod'amministrazione. E potrei aggiungereun breve postscriptum per fare in modoche..."

"L'albergo non è proprietà diDerwent."

"Come, come? Non ho capito bene.""Ho detto che il padrone non è

Derwent. Gli azionisti sono tutti gentedell'Est. Il suo amico signor Shockleypossiede il pacchetto azionario piùcospicuo: più del trentacinque per cento.

Lei dovrebbe saperlo meglio di me, seha qualche legame con Derwent."

"E chi altri?""Non ho intenzione di divulgare i

nomi degli altri azionisti,e tanto menocon lei; signor Torrance. Mi ripromettodi sottoporre l'intera faccendaall'attenzione di..."

"Un'altra domanda.""Non ho alcun obbligo, nei suoi

confronti.""Quasi tutta la storia dell'Overlook,

particolari piccanti e banali, l'ho desuntada un album di ritagli che ho trovato incantina. Ha idea della persona che puòaver compilato quell'album? "

"Assolutamente no."

"Non potrebbe essere appartenuto aGrady? Il custode che si è ucciso?"

"Signor Torrance," intervenneUllman in tono gelido, "non sononemmeno certo che il signor Gradysapesse leggere, e tanto meno pescare lemele marce con cui mi ha fatto perdertempo sinora."

"Sto pensando di scrivere un librosull'Overlook. Mi son detto che sedavvero lo facessi, il proprietariodell'album di ritagli potrebbe averpiacere che premettessi i mieiringraziamenti."

"Secondo me, non sarebbe un'ideaavveduta scrivere un librosull'Overlook," obiettò Ullman. "E a

maggior motivo, un libro redatto dalsuo... be'... diciamo dal suo punto divista."

"La sua opinione non mi sorprende."Ora il mal di testaera completamentescomparso. C'era stata solo quella fittadi dolore e nient'altro. Si sentiva lamente lucida e pronta, fin nei minimiparticolari. Era così che si sentiva disolito solo quando lasua attivitàletteraria procedeva a gonfie vele oquando era un po' stordito da almeno trebicchieri d'alcool. Era un altroparticolare che aveva dimenticato aproposito dell'Excedrin; non sapeva sefacesse lo stesso effetto anche agli altri,ma per lui masticare tre compressesignificava procurarsi un immediato

piacere."Quello che a lei piacerebbe," disse

a questo punto, "è una specie di guida sucommissione di cui poter fare omaggioagli ospiti al loro arrivo. Qualcosa conun sacco di fotografie su carta patinatadelle montagne all'alba e al tramonto,magari accompagnate da un testosdolcinato. E magari anche un capitolodedicato ai coloriti personaggi che vihanno soggiornato, escludendo quellidavvero coloriti come Gianelli e i suoiamici."

"Se ritenessi di poterla licenziare edessere certo al cento per cento diconservare il posto," disse Ullman convoce tagliente, quasi strozzata, "la

licenzierei seduta stante, per telefono.Ma siccome esiste un margine delcinque per cento di incertezza, miripropongo di chiamare il signorShockley non appena troncheremoquesta conversazione... Il che saràpresto, o almeno così spero."

"Nel libro non ci sarà niente che nonsia vero," riprese Jack. "Non c'è alcunbisogno di aggiungere particolariromanzati."

(Perché lo stuzzichi? Vuoi che tilicenzi?)

"Non me ne frega niente se ilcapitolo quinto riguarderà il papa chescopa l'ombra della Madonna," sbottòUllman alzando la voce. "Vogliosoltanto che lasci il mio albergo!"

"Non è il suo albergo!"urlò Jack, esbatté il ricevitore sulla forcella.

Sedette sullo sgabello ansimando, untantino spaventato ora,

(un tantino? diavolo, terribilmente)chiedendosi perché, in nome di Dio,

per prima cosa, avesse telefonato aUllman.

(Hai perso di nuovo la calma, Jack.)Sì. Sì, aveva perso la calma. Inutile

tentare di negarlo. Il particolare piùconturbante di tutta la faccenda era chenon aveva la più pallida ideadell'influenza che quel piccolo stronzoda quattro soldi esercitasse su Al, cosìcome non aveva idea delle cazzate cheAl avrebbe sopportato da lui in nome

dei vecchi tempi. Se Ullman valevatanto quanto pretendeva, e se poneva adAl un ultimatum tipo "o se ne va lui o mene vado io", non poteva darsi che Alfosse costretto ad accettarlo? Chiuse gliocchi e si sforzò di immaginarsi checosa avrebbe detto a Wendy. Sai unacosa, piccola? Ho perso un'altra volta ilposto. Questa volta ho dovuto affidarmia più di tremila chilometri di cavo dellacompagnia telefonica per trovarequalcuno che mi scaraventasse fuori,però ci sono riuscito.

Aprì gli occhi e si terse la bocca colfazzoletto. Aveva voglia di berequalcosa. Diavolo, ne aveva propriobisogno. C'era un caffè un po' più in là,di sicuro aveva tutto il tempo di buttar

giù una birra mentre s'avviava verso ilparco. Solo una per bagnarsi la gola...

Serrò le mani con gesto d'impotenza.Gli si riaffacciò alla mente la

domanda: perché aveva chiamatoUllman, per prima cosa? Il numero del

"Sabbia e onde" di Lauderdale erascritto in un taccuino posato accanto altelefono e alla ricetrasmittentenell'ufficio: c'erano i numeri degliidraulici, dei falegnami, dei vetrai, deglielettricisti, e altri ancora. Jack l'avevatrascritto sulla bustina di fiammiferiappena sceso dal letto, e l'idea ditelefonare a Ullman, nitidamenteformatasi nella sua mente, lo rendevagiulivo. Ma a quale scopo? Una volta,

quando ancora beveva, Wendy l'avevaaccusato di desiderare la propriadistruzione, ma di non possedere lanecessaria fibra morale per affrontare unaperto desiderio di morte. Sicché sifabbricava le maniere in cui potesserofarlo altre persone, tagliando via da sé edai familiari un pezzo alla volta.

Possibile che fosse vero? In qualchepunto, dentro di sé, temeva forse chel'Overlook fosse proprio ciò di cuiaveva bisogno per terminare lacommedia? Che si trattasse dellostrumento idoneo a raccogliere e mettereinsieme i pezzi che aveva seminato perstrada? Faceva di tutto per rovinarsi? Tiprego, Dio, no, fa' che non sia così. Tiprego.

Chiuse gli occhi, e subito unavisione sorse sullo schermo oscuratodell'interno delle palpebre: lui cheficcava le mani in quel foro tra le tegoleper estrarne la gronda fradicia, el'improvvisa puntura come di un ago, e ilsuo grido di sorpresa e dolore nell'ariaimmota, indifferente:Oh, maledettaschifosa figlia di puttana. .

Visione, cui se ne sostituì un'altra didue anni prima, con lui che entrava incasa incespicando alle tre del mattino,sbronzo, urtando contro un tavolo perpoi finire lungo disteso sul pavimento,imprecando, svegliando Wendy chedormiva sul divano. Wendy cheaccendeva la luce, che vedeva i suoi

abiti laceri e sporchi per una torbidarissa in un parcheggio davanti a unbordello di cui aveva un vago ricordo,appena oltre il confine del NewHampshire, qualche ora prima, il sanguecoagulato sotto il naso; e lui che levavalo sguardo su sua moglie sbattendostupidamente le palpebre alla luce comeuna talpa al sole, e Wendy che dicevacon voce opaca:Figlio di put ana, haisvegliato Danny. Se te ne freghi di te,non potresti pensare almeno un po' anoi? Oh, ma perché mi prendo la brigadi parlarti?

Il telefono squillò, facendolotrasalire. Staccò il ricevitore dallaforcella, convinto Dio sa perché chedoveva trattarsi o di Ullman o di Al

Shockley. "Cosa?" abbaiò nelmicrofono.

"La differenza, signore. Tre dollari ecinquanta."

"Aspetti un momento," disse Jack.Posò il ricevitore sul ripiano,

introdusse nell'apparecchio gli ultimi seiquarti di dollaro, poi andò alla cassa acambiare altro denaro. Compìl'operazione con gesto meccanico, lamente che gli turbinava come unoscoiattolo su una ruota da esercitazione.

Perché aveva chiamato Ullman?Perché Ullman l'aveva messo in

imbarazzo? Già altre volte era statomesso in difficoltà, e da veri maestri nelcampo: il Gran Maestro, naturalmente,

essendo lui. Semplicemente persbugiardare quel tipo, metterne a nudol'ipocrisia? Jack non credeva di esserecosì meschino. La sua mente si sforzavadi aggrapparsi all'album di ritagli comea una ragione valida, ma anche questofaceva acqua. Le probabilità che Ullmansapesse a chi apparteneva l'album nonerano più di due su mille. In occasionedel colloquio di assunzione, avevatrattato la cantina alla stregua di un altromondo, un mondo disgustosamentesottosviluppato. Se davvero avessevoluto sapere, avrebbe chiamatoWatson: il numero del suo recapitoinvernale era pure annotato nel taccuinodell'ufficio. Non era nemmeno certo chelo sapesse Watson, comunque sempre

più sicuro di Ullman.E anche l'idea di raccontargli la

faccenda del libro era stata un'idiozia.Un'incredibile idiozia. Oltre al rischiodi perdere il posto, non era da escludereche perdesse la possibilità di ottenereinformazioni, una volta che Ullmanavesse fatto qualche telefonata peravvertire chi di dovere di stare inguardia da gente del New England chegli facesse domande in meritoall'Overlook. Avrebbe potuto compierele sue ricerche in forma riservata,scrivendo lettere compite, magaripersino combinando incontri e colloquiin primavera... e poi ridere a crepapelledella rabbia che avrebbe provato

Ullman, allorché il libro fosse statopubblicato e lui ormai fosse stato insalvo, lontano: L'Autore MascheratoColpisce Ancora. E invece aveva fattoquella stupida, irragionevole telefonata;aveva perso la calma, aveva provocatoUllman e fatto venire a galla tutte letendenze da Piccolo Cesare del direttoredell'albergo. Perché? Se non si trattavadi un tentativo di farsi scacciaredall'ottimo, posto che Al era riuscito aprocurargli, di che altro si trattava,allora?

Infilò il resto delle monetine nellefessure e riappese il ricevitore. Eradavvero una cosa priva di senso, cheavrebbe potuto fare se fosse statoubriaco. Ma era sobrio. Sobrio e

perfettamente lucido.Uscendo dal drugstore sgranocchiò

un'altra compressa di Excedrin,abbozzando una smorfia e tuttaviaassaporandone il gusto amaro.

Fuori, sul viale, incontrò Wendy eDanny.

"Ehi, stavamo proprio venendo acercarti," disse Wendy. "Nevica, sai?"

Jack levò lo sguardo ammiccando."Già." Nevicava fitto. La stradaprincipale di Sidewinder era già copertada una lieve coltre candida, e la strisciacentrale era ormai nascosta. Dannyteneva la testa piegata di lato con losguardo rivolto al cielo bianco, la boccaaperta e la lingua sporta in fuori, per

catturare qualcuno dei grossi fiocchivolteggiami.

"Credi che sia la volta buona?"domandò Wendy.

Jack si strinse nelle spalle. "Non loso. Speravo che ci facesse grazia di unaltro paio di settimane. Può darsi che cisia ancora concessa."

Grazia, ecco.(Mi spiace, Al. Grazia, abbi pietà.

Ti chiedo di avere pietà. Dammi ancoraun'occasione. Mi spiace dal piùprofondo del cuore. .)

Da quanti anni lui, un uomo adulto,aveva chiesto la grazia che gli siconcedesse un'altra occasione? Di colpoprovò una tale nausea di sé, un taledisgusto, che per poco non si lasciò

sfuggire un gemito."Come va il tuo mal di testa?"

domandò Wendy, studiandoloattentamente.

Jack le cinse le spalle con unbraccio e la strinse forte. "Meglio.Coraggio, voi due; torniamo a casafinché siamo in tempo."

A piedi raggiunsero il punto in cuiera parcheggiato il furgoncinodell'albergo: Jack nel mezzo, il bracciosinistro attorno alle spalle di Wendy,tenendo per mano con la destra Danny.Per la prima volta l'aveva chiamatacasa, bene o male che fosse.

Mentre s'infilava al volante delfurgoncino gli venne fatto di pensare

che, per quanto l'Overlook loaffascinasse, non gli piaceva granché.Non era sicuro che andasse bene né persua moglie né per suo figlio né per sé.Forse era questa la ragione che lo avevaspinto a telefonare a Ullman.

Per farsi licenziare finché era ancorain tempo.

Uscì a retromarcia dal parcheggio esi avviò verso la strada che li avrebbeportati in montagna.

21Erano le dieci. La casa era colma di

sonno simulato.Jack stava sdraiato sul fianco,

rivolto verso la parete, a occhi aperti,tendendo l'orecchio al respiro lento e

regolare di Wendy. Aveva ancora sullalingua il sapore dell'aspirina sciolta chela faceva sentire ruvida e lievementeintorpidita. Al Shockley gli avevatelefonato alle cinque e tee quarti, parialle sette e tre quarti sulla costaorientale. Wendy era da basso conDanny, seduta a leggere davanti alcaminetto dell'atrio.

"Chiamata personale per il signorJack Torrance," aveva detto lacentralinista.

"Sono io." Aveva spostato ilricevitore nella mano destra, con lasinistra aveva estratto il fazzoletto dallatasca posteriore dei calzoni perpassarselo sulle labbra irritate. Poi siera acceso una sigaretta.

Poi la voce di Al, forte al suoorecchio: "Jacky, ragazzo mio, cosa staicombinando, in nome di Dio?"

"Salve, Al." Aveva spento lasigaretta e aveva cercato a tentoni ilflaconcino di Excedrin.

"Che cosa succede, Jack? Oggipomeriggio ho avuto una stranissimatelefonata da Stuart Ullman. E quandoStu Ullman fa un'interurbana di tascasua, puoi star certo che dev'esserci inballo qualche casino."

"Ullman non ha motivo dipreoccuparsi, Al. E neppure tu."

"Che cosa vuol dire, esattamente,che non abbiamo motivo dipreoccuparci? A sentire Stu, si sarebbe

detto una via di mezzo tra un ricatto eun'inchiesta sull'Overlook operatadalNational Enquirer. Dai, dimmi,ragazzo."

"Ho voluto stuzzicarlo un po',"aveva risposto Jack. "Quando sonovenuto quassù per il colloquio diassunzione, mi ha costretto a sciorinaretutti i panni sporchi in pubblico. Ilproblema dell'alcolismo. Ha perso ilsuo ultimo posto per aver maltrattato unostudente. Mi chiedo se è l'uomo adatto aquesto incarico. Eccetera eccetera. Lacosa che mi ha scocciato di più è statoche tirava fuori tutte queste storie perchéadorava quel suo maledetto albergo. Ilfavoloso Overlook. Il maledetto, sacroOverlook. Un classico delle attrezzature

alberghiere. Be', in cantina ho trovato unalbum di ritagli. Qualcuno aveva messoassieme tutti gli aspetti meno appetitosidella cattedrale di Ullman, e mi èsembrato come se qua dentro ci fossestata una piccola messa nera, dopol'orario di chiusura."

"Spero che sia un'espressionemetaforica, Jack." La voce di Al era népiù né meno raggelante.

"Lo è. Però ho scoperto...""La storia dell'albergo la conosco."Jack si passò una mano fra i capelli.

"Così, gli ho telefonato e l'ho stuzzicatoun po' in merito.

Ammetto che non è stata un'ideamolto brillante, e sicuramente non lo

rifarei. Fine della faccenda.""Stu dice che a tua volta ti riproponi

di sciorinare in pubblico i pannisporchi."

"Stu è un imbecille!" aveva abbaiatoJack nel microfono. "Gli ho detto cheavevo una vaga idea di scriverequalcosa sull'Overlook. E ce l'ho, infatti.Mi pare che questo posto sia come unindice di tutti i personaggi americani delsecondo dopoguerra. Ti sembrerà unapretesa eccessiva, detto con tantabaldanza... lo so... ma qui c'è tutto, Al!Dio mio, potrebbe essere un gran libro.Ma è una cosa lontanissima nel futuro,questo posso giurartelo, ho già troppacarne al fuoco per ora, e..."

"Jack, questo non basta."

Jack si era sorpreso a fissareattonito il ricevitore telefonico, incapacedi credere alle proprie orecchie.

"Cosa? Al, hai detto?""Ho detto quel che ho detto. Fino a

che punto, lontana nel futuro, Jack? Perte potrebbero essere due anni, magaricinque. Per me sono trenta o quarantaperché prevedo di conservare a lungo lagestione dell'Overlook. L'idea che tufaccia una specie di operazione dischiumaggio ai danni del mio albergo,spacciandola per una grande opera diletteratura americana, mi dàsemplicemente il vomito."

Jack era senza parole."Ho cercato di aiutarti, Jacky. Siamo

sopravvissuti alla guerra e ho creduto didoverti aiutare, in un modo o nell'altro.Te la ricordi, la guerra?"

"Me la ricordo," aveva borbottatoJack, ma attorno al cuore avevanocominciato ad ardergli le braci delrisentimento. Prima Ullman, poi Wendy,adesso Al. Che razza di roba era? LaSettimana Nazionale delFacciamoaPezziJackTorrance? Strinseancor più le labbra, tese la mano acercare le sigarette e le fece cadere aterra. Gli era mai riuscito simpaticoquello stronzo da quattro soldi che glistava parlando dalla sua tana foderata dimogano del Vermont?

"Prima che pestassi Hatfield," stavadicendo Al, "ero riuscito a convincere il

consiglio di amministrazione a nonsilurarti, e li avevo persino indotti aprendere in considerazione la possibilitàdi confermarti di ruolo. Ti sei bruciatotutte le possibilità. Ti ho trovato questoposto all'albergo, un posto comodo etranquillo perché tu possa rimetterti incarreggiata, terminare la commedia easpettare il momento opportuno, finchéHarry Effinger e io riusciremo aconvincere il resto di quei tizi che hannocommesso un errore grossolano. Eadesso si direbbe che tu vogliamordermi il braccio, preparandoti acompiere qualche altra strage. È cosìche dici grazie agli amici, Jack?"

"No," aveva bisbigliato.

Non aveva osato aggiungere altro.Nel capo gli pulsavano, dolorose, leparole dure, acri che volevano uscirne.Si era sforzato disperatamente dipensare a Danny e a Wendy, chedipendevano da lui in tutto e per tutto: aDanny e a Wendy placidamente sedutida basso davanti al fuoco, ad accanirsisul primo dei libri di lettura dellaseconda elementare, credendo che tuttofilasse a meraviglia. Se avesse perdutoquel posto, che sarebbe stato di loro? Sisarebbero messi in marcia verso laCalifornia arrancando sulla vecchiaVolkswagen con la pompa della benzinaa pez2i, come una famìglia di emigrantidegli anni trenta cacciati dalla siccità?

"Cosa?" aveva detto seccamente Al."No," aveva ripetuto lui. "Non è così

che tratto gli amici. E tu lo sai.""Come faccio a saperlo? Nella

peggiore delle ipotesi ti riprometti diinsudiciare il mio albergo, riportandoalla luce cadaveri che hanno avutoonorata sepoltura anni e anni fa. Nellamigliore, telefoni al mio irascibile, maoltremodo competente direttored'albergo e gli fai dare i numeri, tuttoper un... uno stupido gioco daragazzino."

"Era qualcosa di più di un gioco, Al.Per te è facile. Tu non sei costretto adaccettare l'elemosina di un amico ricco.Tu non hai bisogno di un amico in

tribunale perché il tribunale sei tu. Delfatto che sei stato a un passo daldiventare un vero e proprio alcolizzato,non se ne parla neppure, vero?"

"Suppongo di sì, invece," avevadetto Al. La voce gli si era abbassata ditono, ed era parso sazio di tutta quellafaccenda. "Ma Jack, Jack... non possofarci niente. Non posso cambiare lasituazione."

"Lo so. Sono silurato? Se le cosestanno così, sarebbe meglio che me lodicessi."

"No, se farai due cose per me.""D'accordo.""Non sarebbe meglio che conoscessi

le condizioni, prima di accettarle?""No. Sputa l'osso, che sono pronto

ad accettarlo. Devo pensare a Wendy e aDanny. Se vuoi i miei coglioni, te lispedisco per via aerea."

"Sei sicuro chel'autocommiserazione sia un lusso chepuoi permetterti, Jack?"

Aveva chiuso gli occhi e si era fattoscivolare una compressa di Excedrin frale labbra aride. "A questo punto mi pareche sia l'unica cosa che possapermettermi. Fuori il tuo siluro... senzaallusione, beninteso."

Al era rimasto in silenzio per unlungo momento. Poi aveva detto:"Primo, niente più telefonate a Ullman.Neppure se scoppiasse un incendio. Seproprio l'albergo andasse a fuoco,

chiama l'addetto alla manutenzione, queltale che dice un sacco di parolacce, saia chi alludo..."

"Watson.""Appunto.""D'accordo. Accettato.""Secondo, promettimi, Jack. Dammi

la tua parola d'onore. Niente libri sulfamoso albergo sui monti del Coloradocon un passato abbastanza sinistro."

Per qualche istante la sua rabbia erastata tale, da non riuscire a spiccicarparola. Il sangue gli pulsava nelleorecchie. Era come sentirsi telefonareda un principe del Rinascimentotrapiantato nel XX secolo... nienteritratti della mia famiglia in cui sivedano le verruche, per favore,

altrimenti ti rispedisco tra la fecciadalla quale provieni. Siamo amici,naturalmente... siamo tutti e due uominicivili, non è vero? Abbiamo condivisoletto e tavola e bottiglia. Saremo sempreamici, e il collare da cane che ti hoinfilato sarà sempre ignorato per mutuoconsenso, e io avrò benevola cura di te.In cambio ti chiedo solo la tua anima.Quisquilie, insomma. Possiamo perfinoignorare il fatto che me l'hai offerta tu,così come ignoriamo il collare da cane.Ricordati, mio intelligente amico: cisono molti Michelangelo che implorano,per le strade di Roma...

"Jack? Sei ancora in linea?"Jack aveva emesso un suono rauco

che equivaleva a una affermazione.La voce di Al era ferma e sicura di

sé. "In realtà non credo di chiedertitanto, Jack. E ci saranno altri libri. Perònon puoi pretendere che io tisovvenzioni, mentre tu..."

"Va bene, va bene. Siamod'accordo."

"Non devi pensare che stia tentandodi tarpare le ali alla tua vita artistica,Jack. Sai che non lo farei. È solo che..."

"Al?""Cosa?""Derwent ha ancora qualche

interesse nell'Overlook?""Non vedo come possa riguardarti,

Jack.""No," aveva detto Jack con voce

spenta. "Non mi riguarda, direi. Ascolta,Al: mi è parso di aver sentito Wendyche mi chiamava per qualcosa. Tirichiamo io."

"Ma certo, Jack. Faremo una bellachiacchierata. Come vanno le cose?Regime secco?"

(HAI AVUTO LA TUA LIBBRA DICARNE SANGUE E TUTTO IL RESTOORA NON

POTRESTI LASCIARMI INPACE?)

"Secco come un chiodo.""Anche qui. A dire il vero comincia

quasi a piacermi la temperanza. Se...""Ti richiamo, Al. Wendy...""Sicuro. D'accordo."

E così aveva riappeso; ed era statoallora che gli erano venuti i crampi,trafiggendolo come saette,costringendolo a rannicchiarsi davanti altelefono nella posa di un penitente, lemani premute sul ventre, la testapulsante come una vescica mostruosa.

La mobile vespa, avendo punto,spicca il volo...

Gli era passato un po', quandoWendy era salita a domandargli chiaveva telefonato.

"Al," le aveva risposto. "Mi hachiamato per sapere come andavano lecose. Ho detto che va tutto per ilmeglio."

"Jack, sei pallido come un cencio. Ti

senti male?""Mi è tornato il mal di testa. Andrò a

letto presto. Inutile che tenti discrivere."

"Vuoi che ti porti un bicchiere dilatte tiepido?" Aveva sorrisodebolmente: "Saresti molto gentile." Eora giaceva accanto a lei, la sua cosciacalda e addormentata contro la propria.Ripensando alla conversazione avutacon Al, a come si era umiliato, si sentivaripercorrere da vampate di calore ebrividi gelati. Un giorno ci sarebbe statala resa dei conti. Un giorno sarebbestato pubblicato un libro: non quellacosa delicata e riguardosa che avevapreso in considerazione in un primotempo, ma un lavoro di ricerca duro

come una gemma, con tanto di insertofotografico e tutto il resto; e avrebbesquarciato l'intera storia dell'Overlook,disgustosi, incestuosi accordi diproprietà e così via. L'avrebbesciorinato sotto gli occhi del lettore allastregua di un gambero sezionato. E se AlShockley aveva qualche legame conl'impero di Derwent, ebbene: che Dio loaiutasse.

Teso come una corda di pianoforte,rimase lì con gli occhi spalancati nelbuio, ben sapendo che sarebbero magaripassate ore e ore prima di riuscire adaddormentarsi.

Wendy Torrance giaceva supina, aocchi chiusi, tendendo l'orecchio al

suono del dormiveglia del marito: lalunga inspirazione, la breve pausa,l'espirazione lievemente gutturale. Doveandava quando dormiva, si domandò. Inun lunapark, un Great Barrington deisogni dove tutte le corse erano gratuite enon c'era una mogliemadre a dir loro chedovevano smetterla di mangiare salsicceo che avrebbero fatto meglio adandarsene ora, se volevano essere acasa prima che facesse buio? Oppure sitrattava di un qualche bar nelle visceredella terra, dove si serviva sempre dabere e le porte a battenti erano semprespalancate e tutti i vecchi compagni dibagordi se ne stavano radunati attorno alflipper, bicchiere in mano, primo fratutti Al Shockley con la cravatta

allentata e il primo bottone dellacamicia aperto? Un posto dal quale lorodue, lei e Danny, erano esclusi e labaldoria continuava all'infinito?

Wendy era preoccupata per lui:l'antica, impotente preoccupazione cheaveva sperato di essersi lasciata allespalle per sempre laggiù nel Vermont,come se in qualche modo lepreoccupazioni non potessero varcare lelinee di confine tra stato e stato. Non lepiaceva per niente ciò che l'Overlooksembrava causare a Jack e Danny.

La cosa più spaventosa, evanescentee mai discussa, forse indiscutibile, erache uno alla volta si erano ripresentatitutti i sintomi di quando Jack beveva...

Tutti tranne il bere. Quel continuostrofinarsi le labbra con la mano o colfazzoletto, come per asportarne uneccesso di saliva. Le lunghe pause allamacchina da scrivere, il numeroaccresciuto di pallottole di carta nelcestino. C'era una boccetta di Excedrinsul tavolino del telefono, quella sera,dopo che Al gli aveva telefonato, mamancava un bicchiere d'acqua. Si erarimesso a masticarle. Si irritava percose da nulla. Quando il silenzio siprolungava un po' troppo, con gestonervoso faceva schioccareinconsciamente le dita. Sempre piùnumerose le parolacce. Wendy avevacominciato a preoccuparsi anche dellesue collere. Sarebbe stato quasi un

sollievo se avesse perso la calma, seavesse lasciato prorompere la pressioneinteriore, suppergiù allo stesso modo incui scendeva in cantina, primaincombenza del mattino e ultima dellasera, ad abbassare la pressione dellacaldaia. Sarebbe stato un bene vederloimprecare e far volare a calci una sediaattraverso la stanza, oppure sbattere unaporta. Ma tutte queste cose, sempre parteintegrante delle sue collere, erano quasiinteramente cessate. E tuttavia Wendyaveva la sensazione che Jack fossesempre più spesso adirato con lei o conDanny, ma si rifiutasse di manifestarlo.La caldaia era dotata di un dispositivoper abbassare la pressione: vecchio,

malandato, incrostato di grasso, matuttavia funzionante. Jack non l'aveva.Wendy non era mai riuscita a leggerglichiaramente nell'animo.

Danny lo sapeva fare, ma Danny nonparlava.

E quella telefonata di Al. Suppergiùnello stesso momento in cui era giunta,Danny aveva perso ogni interesse per lastoria che stavano leggendo. L'avevalasciata lì, seduta accanto al fuoco, e siera accostato al banco della portineriasul quale Jack aveva costruito unaspecie di autostrada per le sueautomobiline e i suoi camion ricavatidalle scatole di fiammiferi. C'era anchela Volkswagen viola e Danny s'eramesso a spingerla energicamente avanti

e indietro. Fingendo di leggere il suolibro, ma spiandolo invece da sopra ilmargine del volume, aveva visto unostrano amalgama dei modi coi quali leistessa e Jack esprimevano l'ansia.Quello sfregarsi le labbra. Quel farsiscorrere ambo le mani nervosamente trai capelli, come faceva lei quandoaspettava che Jack tornasse dal giro deibar. Non riusciva a credere che Alavesse telefonato al semplice scopo di"sapere come andavano le cose".

Quando si aveva voglia di farequattro chiacchiere si chiamava Al;quando invece era Al che chiamava,voleva dire che era una cosa seria.

Più tardi, quando era tornata da

basso, aveva trovato Dannyraggomitolato davanti al fuoco, immersoin totale, assorto raccoglimento nellalettura delle avventure di Joe e Raquelal circo assieme al loro papà.L'irrequieta distrazione eracompletamente sparita. Osservandolo,una volta di più Wendy era stata colpitadall'esaltante certezza che Dannyconoscesse e comprendesse più cose diquante ce ne fossero nella filosofia deldottor ("Chiamami solo Bill") Edmonds.

"Ehi, è ora di andare a letto,dottore," gli aveva detto.

"Sì, va bene." Aveva infilato unsegnalibro nel volume e si era alzato inpiedi.

"Lavati per bene e spazzolati i

denti.""Sì, sì.""Non dimenticarti di usare il

cottonfioc.""D'accordo."Avevano indugiato un lungo

momento l'uno accanto all'altra aguardare il ravvivarsi e lo sbiadire dellebraci nel caminetto. Nel vestibolofaceva freddo e arrivavano spifferi daogni parte, ma quel cerchio attorno alcaminetto aveva un magico tepore e nonsi lasciava volentieri.

"Ha telefonato lo zio Al," avevadetto Wendy in tono noncurante.

"Ah, sì?" Assoluta mancanza disorpresa.

"Mi chiedo se lo zio Al abbia fattouna scenata a papà," aveva aggiunto,nello stesso tono indifferente.

"Sicuro che gliel'ha fatta," avevadetto Danny, senza distogliere losguardo dal fuoco. "Non voleva chepapà scrivesse il libro."

"Che libro, Danny?""Sull'albergo."La domanda che le era spuntata sulle

labbra era la stessa che Wendy e Jackavevano posta a Danny un migliaio divolte:Come fai a saperlo? Ma nongliel'aveva fatta. Non volevascombussolarlo prima che andasse aletto, né lasciargli intendere che così,come per caso, stavano discutendo del

fatto che fosse a conoscenza di cose chenon aveva alcun modo di conoscere.Eppure le conosceva, Wendy ne eraconvinta. Il discorsetto da imbonitoredel dottor Edmonds circa ilragionamento induttivo e la logica delsubconscio non era altro che questo,appunto: un discorsetto da imbonitore.Sua sorella... come aveva fatto Danny asapere che quel giorno, nella salad'aspetto, stava proprio pensando adAileen?

(ho sognato che papà ha avuto unincidente.)

Aveva scosso il capo, come avolerlo snebbiare. "Va' a lavarti,dottore."

"Va bene." Era corso su per le scale

verso le loro stanze. Aggrottando lafronte, era andata in cucina e avevamesso a scaldare in un tegamino il latteper Jack.

E ora, sveglia nel letto ad ascoltareil respiro del marito e il sibilo del vento(come per miracolo quel pomeriggioc'era stata solo un'altra spolverata, nonancora una vera nevicata), permise allamente di dedicarsi interamente a quelsuo dolce, conturbante figlio, nato con lafaccia coperta dall'amnio, una semplicemembrana che i medici vedevano forsein occasione di un parto su settecento,una membrana che nelle chiacchieredelle comari era ritenuta un sintomodella seconda vista.

Decise che era ormai tempo diparlare a Danny dell'Overlook... eancora più urgente era che tentasse diindurre Danny a parlargliene. Domani.Senza fallo. Loro due sarebbero scesialla biblioteca pubblica di Sidewinderper vedere se riuscivano a scovarequalche libro adatto a un bambino diseconda elementare, e se era possibileaverlo in prestito per tutto l'inverno, elei avrebbe parlato col bambino. E intutta franchezza. A quell'idea si senti untantino più sollevata, e alla finecominciò ad andare alla deriva verso ilsonno.

Danny stava sdraiato sveglio, incamera sua, a occhi aperti, tenendo nel

cavo del braccio sinistro il suo vecchioe un po' logoro Pooh (Pooh aveva persouno dei bottoncini che fungevano daocchi e l'imbottitura usciva da una mezzadozzina di cuciture slabbrate), tendendol'orecchio al sonno dei genitori incamera loro. Gli pareva di montare laguardia su di loro, suo malgrado. Lanotte era il momento peggiore. Dannydetestava la notte e l'urlo incessante delvento che turbinava all'ala ovestdell'albergo. L'aliante galleggiavanell'aria sopra di lui, appeso a un filo.Sulla scrivania il modellino dellaVolkswagen, portato di sopradall'improvvisata autostrada dellaportineria, rimandava un riflessoviolaceo vagamente fluorescente. I suoi

libri erano nello scaffale, gli album dacolorare sul tavolo.Un posto per ognicosa e ogni cosa al suo posto, avevadetto la mamma.Così sai dov'è quandone hai bisogno. Ma ora tutto avevasubito spostamenti. C'erano cose chemancavano. Peggio ancora, eranostateaggiunte cose: cose che non siriuscivano a vedere, come in una diquelle vignette con la scritta RIESCI AVEDERE GLI INDIANI? E se siaguzzava la vista e si strizzavano gliocchi, si riusciva a individuarnequalcuno: la cosa che a prima vistaavevi scambiata per un cactus, in realtàera un guerriero con un coltello strettofra i denti, e ce n'erano altri che si

nascondevano tra le rocce, e si riuscivapersino a scorgere uno dei loro ceffiperversi che sbirciava attraverso i raggidella ruota di un carro coperto.

Si agitò inquieto nel letto, frugandocon lo sguardo al difuori del confortantecerchio luminoso della lampada danotte. Lì le cose andavano ancorapeggio. Questo lo sapeva per certo.Dapprima non erano andate tanto male,ma un poco alla volta... il suo papàpensava sempre più spesso al bere. Avolte si arrabbiava con la mamma senzasaperne il perché. Si aggirava tergendosile labbra col fazzoletto e i suoi occhierano remoti e annebbiati. La mammaera preoccupata per lui, e anche Danny.Non aveva bisogno di leggere nel

pensiero per saperlo; l'aveva avvertitonel tono ansioso con cui l'avevainterrogato il giorno in cui gli era parsoche l'estintore si tramutasse in serpente.Il signor Hallorann diceva che a suogiudizio tutte le madri possedevanol'aura, o almeno un poco; e quel giornola mamma aveva intuito che eraaccaduto qualcosa. Cosa, però, nonaveva detto.

Danny era stato quasi sul punto diraccontarglielo, ma un paio di cosel'avevano trattenuto dal farlo.

Sapeva che il dottore di Sidewinderaveva liquidato Tony e le cose che Tonygli mostrava come perfettamente

(be', quasi)

normali. Poteva darsi che sua madrenon gli credesse, se le avesse raccontatodell'estintore. Peggio, poteva darsi chegli credesse in maniera sbagliata, chepensasse che STAVA DANDO INUMERI.

Danny capiva qualcosa sul fatto diDARE I NUMERI, non quanto capivadel fatto di AVERE UN

BAMBINO, che la sua mamma gliaveva spiegato l'anno prima, prendendole cose un po' alla larga, però pursempre in modo abbastanza esauriente.

Una volta, alla scuola materna, il suoamico Scott gli aveva indicato unbambino che si chiamava Robin Stengere che se ne stava tutto immusonito vicino

alle altalene. Il padre di Robininsegnava aritmetica alla scuola di papà,mentre il papà di Scott insegnava storia.Per lo più i bambini che frequentavanola scuola materna erano collegati allascuola di avviamento universitario diStovington o al piccolo stabilimentodell'IBM alla periferia della città. I figlidegli insegnanti dell'istituto facevanogruppo a sé, i figli dei dipendentidell'IBM ne costituivano un altro.Naturalmente maturavano amicizie trabambini appartenenti ai due gruppi, maera abbastanza logico che i bimbi i cuipadri si conoscevano bene se nestessero più o meno tutti assieme.Quando scoppiava uno scandalo nelmondo degli adulti di un dato gruppo,

quasi sempre filtrava fino ai bambini inuna qualche forma magari stranamentedistorta, ma di rado rimbalzava finoall'altro gruppo.

Danny e Scotty se ne stavano sedutinell'astronavegiocattolo quando Scottyaveva additato Robin col pollicedicendo: "Conosci quel bambino?"

"Sì," aveva detto Danny.Scott si era proteso in avanti. "Il suo

papà ieri sera HA DATO I NUMERI.L'hanno portato via."

"Davvero? Solo perché ha dato inumeri?"

Scotty aveva assunto un'espressionedi disgusto. "È impazzito, sai?" Scottaveva incrociato gli occhi, cacciato

fuori la lingua e roteato gli indici inampie orbite ellittiche attorno alleorecchie. "L'hanno portato alMANICOMIO."

"Uuuh!" aveva esclamato Danny."Quando lo lasceranno tornare a casa?"

"Mai mai mai," aveva rispostoScotty, corrucciato.

Nel corso della giornata e di quellasuccessiva, Danny era venuto a sapereche a) il signor Stenger aveva tentato difar fuori tutti i membri della suafamiglia, ivi compreso Robin, con lapistola che si era tenuto come ricordodella Seconda Guerra Mondiale; b) ilsignor Stenger aveva fatto letteralmentea pezzi la casa mentre era SBRONZOMARCIO; c) il signor Stenger era stato

sorpreso nell'atto di mangiare in lacrimeuna ciotola d'erba e di insetti morti,come se si fosse trattato di latte ecornflakes; d) il signor Stenger avevatentato di strangolare sua moglie con unacalza quando le Calze Rosse avevanoperso un'importante partita di baseball.

Alla fine, troppo scombussolato pertenersi tutto quanto in corpo, avevainterrogato papà in merito al signorStenger. Suo padre se l'era preso sulleginocchia e gli aveva spiegato che ilsignor Stenger aveva attraversato unperiodo di grande tensione, in parte acausa della sua famiglia e in parte delsuo lavoro, più altre faccende chenessuno riusciva a capire a eccezione

dei medici. Aveva avuto ripetute crisi dipianto. Tre sere prima era scoppiato inlacrime e non riusciva più a smettere eaveva spaccato un sacco di cose in casa.Non era che avesse DATO I NUMERI,aveva detto papà; aveva AVUTO UN

ESAURIMENTO NERVOSO; e ilsignor Stenger non era in MANICOMIO,ma in una CASSA DI CURA. Manonostante le diligenti spiegazioni dipapà, Danny era spaventato. Non glipareva che ci fosse una differenza traDARE I NUMERI e AVERE UNESAURIMENTO NERVOSO, e che losi chiamasse MANICOMIO O CASSADI CURA, le finestre avevano pursempre le sbarre, e se anche voleviandartene non ti lasciavano uscire. E suo

padre, in modo del tutto innocente,aveva confermato alla lettera un'altradelle frasi di Scotty: una frase cheriempiva Danny di un terrore vago eindefinibile.

Nel luogo dove ora viveva il signorStenger, c'erano GLI UOMINI COLCAMICE BIANCO.

Venivano a prenderti con un furgonesenza finestrini, un furgone grigio comele pietre tombali; si fermava accanto almarciapiede di fronte a casa tua e GLIUOMINI COL CAMICE BIANCO

scendevano e ti portavano via dallatua famiglia, costringendoti a vivere inuna stanza dalle pareti imbottite. E sevolevi scrivere a casa, dovevi usare i

gessetti."Quando lo lasceranno tornare a

casa?" aveva chiesto Danny a suo padre."Non appena starà meglio, dottore.""Ma quando sarà? aveva insistito

Danny."Dan," aveva detto Jack,

"NESSUNO LO SA."E questa era stata la cosa peggiore:

era un altro modo per dire: mai mai mai.Un mese dopo la madre di Robin l'avevaritirato dalla scuola materna, e sen'erano andati da Stovington senz? ilsignor Stenger.

Questo era accaduto più di un annoprima, dopo di che papà aveva smessodi prendere la Brutta Cosa, ma prima diperdere il posto. A Danny capitava

ancora di pensarci spesso. A volte,quando cadeva o batteva il capo o avevamal di pancia, si metteva a piangere, equel ricordo gli balenava alla mente,accompagnato dal timore di non riuscirepiù a smettere di piangere, di continuareall'infinito a piagnucolare e gemere,finché il suo papà non si sarebbeaccostato al telefono e avrebbecomposto il numero dicendo: "Pronto?Parla Jack Torrance, Mapleline Way,numero 149. Mio figlio non riesce asmettere di piangere. Per favore,mandate GLI UOMINI COL CAMICEBIANCO per portarlo alla CASSA DICURA. Esatto, HA DATO I NUMERI.Grazie." E sarebbe arrivato il furgone

grigio senza finestrini, si sarebbefermato davanti allasua porta,l'avrebbero caricato mentre ancorapiangeva istericamente e l'avrebberoportato via. Quando avrebbe rivisto lasua mamma e il suo papà?

NESSUNO LO SA.Era stato questo timore a farlo star

zitto. Adesso che aveva un anno di più,era sicuro che papà e mamma nonavrebbero permesso che lo portasserovia per aver creduto che un estintorefosse un serpente. La sua menterazionalené era certa, e tuttavia, quando pensavadi raccontarglielo, quell'antico ricordosaliva come un groppo a riempirgli labocca e a bloccargli le parole. Non eracome Tony. Tony gli era sempre

sembrato del tutto naturale (prima deibrutti sogni, naturalmente), ed era parsoche anche i suoi genitori accettasseroTony come un fenomeno più o menonaturale. Fatti come Tony derivavanodal fatto di essere SVEGLIO, cosa che,sia la mamma sia il papà, supponevanolui fosse (allo stesso modo in cuisupponevano di essere SVEGLI loro);ma un estintore che si trasformava in unserpente, o il fatto di vedere sangue emateria cerebrale sul muro dellaBomboniera Presidenziale quandonessun altro li vedeva, ebbene: cose delgenere non sarebbero state naturali.L'avevano già fatto visitare dal medico.Non era logico supporre che la prossima

volta potessero arrivare GLI UOMINICOL CAMICE

BIANCO?Ciononostante, avrebbe potuto anche

raccontarglielo, senonché era sicuro che,prima o poi, loro si sarebbero messi intesta di allontanarlo dall'albergo. EDanny aveva un desiderio struggente diandarsene dall'Overlook. Però sapevaaltresì che quella era l'ultima occasioneper suo papà, che era lì all'Overlook perfar qualcosa di più del sempliceguardiano dell'albergo. Era lì perlavorare su quei fogli. Per superare iltrauma di aver perso il posto. Per amarela mamma, Wendy. E, fino a poco tempoprima, era sembrato che tutte quelle coseaccadessero. Solo di recente papà aveva

cominciato ad avere qualche difficoltà.Da quando aveva trovato quelle carte.

(Questo posto disumano crea mostriumani.)

Cosa voleva dire? Aveva pregatoDio, ma Dio non gli aveva risposto. Eche cosa avrebbe fatto papà se avessesmesso di lavorare in quel posto? Avevatentato di scoprirlo nella mente di papà,e si era convinto sempre più fermamenteche papà non lo sapeva. La prova piùconcreta l'aveva avuta quella stessasera, qualche ora prima, quando zio Alaveva telefonato al suo papà e gli avevadetto cose cattive, e il papà non avevaosato ribattere perché zio Al avrebbepotuto cacciarlo da quel posto proprio

come il signor Crommert, il direttoredella scuola di Stovington, e il consigliodi amministrazione l'avevano allontanatodal suo incarico di insegnante. E papàera spaventato a morte per unaprospettiva del genere: per lui e per lamamma, oltre che per se stesso.

Così non osava dire niente. Dovevalimitarsi a starsene a guardareimpotente, sperando che non ci fosseroindiani di sorta, o che, se c'erano, siaccontentassero di aspettare una predapiù grossa e lasciassero passare senzamolestarla la loro piccola carovana ditre carri.

Ma per quanto si sforzasse nonriusciva a crederci.

Ed ecco che all'Overlook le cose

erano peggiorate.Sarebbe arrivata la neve; dopo,

qualunque sua debole opzione sarebbestata annullata. E dopo la neve, cosa?Che cosa sarebbe accaduto se si fosserotrovati isolati e alla mercé di tutto ciòche fino a quel momento poteva essersisolo baloccato con loro?

(Vieni fuori a prendere la purga!)E poi che cosa? REDRUM.Nel letto Danny rabbrividì e tornò a

rigirarsi. Ora aveva imparato a leggeremolte parole in più.

Domani forse avrebbe tentato dichiamare Tony, avrebbe tentato diindurre Tony a mostrargli esattamenteche cos'era REDRUM e se esisteva una

possibilità qualsiasi di impedirlo.Avrebbe corso il rischio degli incubi.Dovevasapere.

Danny era ancora sveglio quandoormai da tempo il falso sonno dei suoigenitori si era tramutato in un sonnoreale. Si dimenava nel letto, stazzonandole lenzuola, alle prese con un problematroppo grosso per un bambino della suaetà, sveglio nella notte come un'unicasentinella di picchetto. E a un certopunto dopo la mezzanotte si addormentòanche lui, e allora solo il vento rimasesveglio a spiare l'albergo e a urlarelungo i cornicioni sotto lo sguardo acutoe intento delle stelle.

22

Vedo una luna funesta spuntare.Vedo in arrivo grossi contrattempi.Vedo fulmini il cielo squarciare.Vedo oggi in arrivo brutti tempi.Non andartene in giro questa notte,Rischieresti di perdere la vita,Sta per spuntare una luna funesta.Qualcuno aveva installato una

vecchissima autoradio Buick sotto ilcruscotto del furgoncino dell'albergo, eora, metallico e strangolato dallescariche, l'altoparlante diffondeva ilsuono perfettamente riconoscibile delcomplesso dei Creedence ClearwaterRevival di John Fogerty. Wendy eDanny stavano scendendo a Sidewinder.La giornata era limpida e luminosa.

Danny si rigirava in mano la schedacolor arancione della biblioteca di Jacked era abbastanza allegro, ma a Wendysembrava che avesse un'aria stanca econtratta come se non avesse dormitoabbastanza e si reggesse in piedi solocon i nervi.

La canzone finì e fu sostituita dallavoce del discjockey. "Già, erano iCreedence. E a proposito di lunafunesta, sembra che tra breve possaspuntare sulla zona d'ascolto dellaKMTX, per quanto sia difficile crederlocon questo splendido tempo primaveriledi cui abbiamo goduto negli ultimi seigiorni.

L'Impavido Profeta della KMTXdice che verso l'una di questo

pomeriggio il regime di alta pressionecederà il passo a una zona diffusa dibassa pressione che si bloccherà ad altaquota, proprio sulla nostra zona dellaKMTX, dove l'aria è più rarefatta. Letemperature subiranno un bruscoabbassamento, e verso sera si registreràqualche precipitazione. A un'altitudineinferiore ai duemila metri, ivi compresala zona metropolitana di Denver, siprevedono cadute di neve mista apioggia col rischio di formazione dilamine ghiacciate sulle strade. E quassùda noi nient'altro che neve, ragazzi. Ciaspettiamo da due a sei, sette centimetrial disotto dei duemila metri, e possibiliaccumuli tra i quindici e i venticinque

centimetri nel Colorado centrale e sulloSlope. Il Servizio informazioni delleautostrade dice che se avete intenzionedi fare un giro in montagna con la vostraautomobile oggi pomeriggio o stasera,l'uso delle catene è obbligatorio. E nonandate da nessuna parte a meno che nonsia indispensabile.

Ricordate," soggiunse scherzosol'annunciatore, "che è così che si sonotrovati nei pasticci quelli dellaspedizione Donner. Non erano vicini alpiù prossimo autogrill come credevano."

Seguì un annuncio pubblicitariodello shampoo Clairol, e Wendyabbassò una mano a spegnere la radio."Ti dispiace?"

"No no, così va bene." Scoccò

un'occhiata al cielo, di un azzurro terso."Credo proprio che papà abbia scelto ilgiorno adatto per potare quelle siepi aforma di animali, no?"

"Lo penso anch'io.""Certo che non ha proprio l'aria di

voler nevicare," soggiunse Danny,speranzoso.

"Hai un po' di fifa?" domandòWendy. Stava ancora pensandoall'allusione del discjockey allaspedizione Donner.

"Nooo, credo di no."Be', pensò Wendy, questo è il

momento. Se hai intenzione di tirare inballo la faccenda, fallo adesso o mettitiil cuore in pace una volta per tutte.

"Danny," disse, sforzandosi diassumere un tono del tutto noncurante,"saresti più contento se ce ne andassimodall'Overlook? Se non ci fermassimoper tutto l'inverno?"

Danny chinò lo sguardo e prese afissarsi le mani. "Credo di sì," rispose."Sì, sì. Ma c'è in ballo il lavoro dipapà."

"A volte," riprese cauta Wendy, "hoidea che anche papà sarebbe piùcontento lontano dall'Overlook."

Oltrepassarono un cartello stradalecon l'indicazione SIDEWINDER 18MIGLIA, poi Wendy pilotò conprudenza il furgoncino lungo il tornantee innestò la seconda. Non voleva

assolutamente correre rischi su quellediscese: erano terrorizzanti.

"Lo credi sul serio? " chiese Danny.Per un momento la guardò con marcatointeresse, poi scosse il capo. "No, iopenso di no."

"Perché no?""Perché si preoccupa per noi,"

rispose Danny, scegliendo le parole concircospezione. Era difficile da spiegare,ne capiva così poco anche lui. Si scoprìa riandare col pensiero a un episodio dicui aveva parlato al signor Hallorann:quello del ragazzo grande che osservavai televisori ai grandi magazzini e avevavoglia di rubarne uno. Era statoangoscioso, ma chiaro: quello chesuccedeva lo capiva persino Danny,

allora poco più di un bamboccio. Ma gliadulti erano sempre in agitazione: ognipossibile azione complicata dalpensiero delle conseguenze, dal dubbio,dall'immagine di sé,da sentimentid'amore e di responsabilità. Sembravache ogni possibile scelta presentassecerti inconvenienti, e a volte Danny noncapiva perché gli inconvenienti fosserotali. Era molto difficile.

"Lui pensa..." riprese a dire Danny.Poi lanciò una rapida occhiata allamadre. Wendy teneva lo sguardo fìssosulla strada, senza guardare lui, e Dannysi rese conto che poteva proseguire.

"Lui pensa che forse ci sentiremmosoli. E poi pensa che il posto gli piaccia

e che sia il posto giusto per noi. Lui civuole bene e non vuole che ci sentiamosoli... o tristi... ma pensa che se anche losiamo, a LUNGA SCADENZA potrebbeessere un bene. Tu sai che cos'è,LUNGA SCADENZA?"

Wendy annuì. "Sì, caro, lo so.""Lui si preoccupa del fatto che se ce

ne andassimo magari non riuscirebbe arimediare un altro lavoro.

Che dovremmo implorare, oqualcosa del genere."

"È tutto?""No, ma il resto è troppo

complicato. Perché lui è diverso,adesso."

"Sì," disse Wendy, quasi sospirando.La discesa si era fatta un po' meno

ripida, per cui tornò a innestare la terza."Non sono cose che m'invento io,

mammina. Giuro su Dio.""Lo so." Wendy sorrise. "Te l'ha

detto Tony?""No. Lo so e basta. Quel dottore non

credeva in Tony, vero?""Non far caso al dottore," disse

Wendy. "Io credo, in Tony. Non so checosa sia o chi sia, se è una parte di teche è speciale o se viene da... daqualche posto fuori; ma credo in lui,Danny. E se tu... se lui... pensate chedovremmo andarcene, ce ne andremo.Noi due ce ne andremo e ci riuniremo apapà in primavera."

Danny la fissò con acuta speranza.

"Dove? In un motel?""Tesoro, non potremmo permetterci

il lusso di un motel. Dovremmo andareda mia madre."

Subito Danny parve deluso: "Ioso..." disse, e tacque.

"Che cosa?""Niente," borbottò Danny.Wendy tornò a innestare la seconda;

la discesa si era fatta di nuovo ripida."No, dottore, ti prego, non dire così.Questa chiacchierata avremmo giàdovuto farla da settimane. Per cui, tiprego: cos'è che sai?

Dài, non mi arrabbio. Non possoarrabbiarmi perché è una cosa troppoimportante. Parla chiaro, con me."

"So che cosa provi per lei," disse

Danny con un sospiro."Cosa provo?""Ti fa dannare," rispose Danny e poi

cadenzando la rima, cantilenando,spaventandola: "Dannare.

Rattristare. Arrabbiare. È come senon fosse neanche la tua mamma. Comese volesse divorarti." La guardò,spaventato. "E a me non piace, quelposto. Lei continua a pensare che per meandrebbe meglio lei di te. E a comepotrebbe fare per rubarmi a te.Mammina, non voglio andare là.Piuttosto che andar là, preferisco restareall'Overlook."

Wendy era profondamente scossa.Era dunque così grave la situazione tra

lei e sua madre? Dio, che inferno per ilbambino se le cose stavano così e sedavvero riusciva a leggere i lororeciproci pensieri.

All'improvviso si sentì più nuda chese fosse stata davvero completamentenuda, come chi sia sorpreso a compiereun atto osceno.

"Va bene," disse. "Va bene, Danny.""Sei arrabbiata con me?" chiese il

bambino con una vocina già spezzata dalpianto imminente.

"No, non lo sono. Sul serio. Sonosolo un po' scossa." Stavanooltrepassando un cartello stradale con lascritta SIDEWINDER 15 MIGLIA, eWendy si rilassò un poco. Da quel puntoin poi la strada era migliore.

"Voglio farti ancora una domanda,Danny. Ma rispondimi con assolutasincerità, ti prego. Lo farai?"

"Sì, mammina," rispose Danny, quasiin un bisbiglio.

"Il tuo papà ha ripreso a bere?""No." Danny soffocò le due parole

che gli premevano dietro le labbra dopoquella semplice negazione:Non ancora.

Wendy si rilassò ancora di più. Posòuna mano sulla gamba di Danny infilatanei jeans e gli diede una stretta. "Il tuopapà ce l'ha messa tutta. Perché ci vuolebene. E noi vogliamo bene a lui, vero?"

Danny annuì con aria solenne.Parlando quasi tra sé, Wendy

proseguì: "Non è un uomo perfetto, ma

ce l'ha messa... Danny, ce l'ha messaproprio tutta, sai? Quando ha... smesso...ha attraversato un periodo d'inferno. Enon è ancora finito. Credo che se nonfosse stato per noi, avrebbe mollato. Iodesidero fare quel che è giusto. E nonso. Dovremmo andarcene? Rimanere? Ecome cadere dalla padella nella brace."

"Lo so.""Te la sentiresti di fare qualcosa per

me, dottore?""Che cosa?""Tenta di far arrivare Tony. Adesso.

Chiedigli se siamo al sicuroall'Overlook."

"Ho già tentato," disse lentamenteDanny. "Stamattina."

"Che cos'è successo?" chiese

Wendy. "Cos'ha detto?""Non è venuto. Tony non è venuto."

E scoppiò in un pianto improvviso."Danny!" esclamò Wendy, allarmata.

"Tesoro, non fare così. Ti prego..." Ilfurgoncino oltrepassò la doppia strisciagialla continua e lei lo riportò incarreggiata, impaurita.

"Non portarmi dalla nonna,"supplicò Danny tra le lacrime. "Tiprego, mamma, non voglio andarci;voglio restare col papà..."

"Va bene," disse Wendy sottovoce."Va bene. È quello che faremo." Levò unkleenex dalla tasca della gonna e glieloporse. "Rimarremo. E tutto andrà bene.Benissimo."

23CAMPO GIOCHIJack uscì sotto il porticato. Si chiuse

la cerniera lampo fin sotto il mento,strizzando gli occhi nell'aria luminosa.Nella mano sinistra aveva un paio dicesoie azionate a batteria. Con la destracavò dalla tasca posteriore dei calzoniun fazzoletto pulito, se lo passò sullelabbra e tornò a infilarselo in tasca.Neve, avevano detto alla radio. Eradifficile crederlo, anche se vedeva lenubi che si andavano accumulandolontano, lungo la linea dell'orizzonte.

Si avviò lungo il sentiero cheportava al giardino ornamentale,passandosi le cesoie nell'altra mano.

Non sarebbe stato un lavoro lungo,pensò; sarebbe bastato un piccoloritocco. Senza dubbio il freddo dellanotte aveva rallentato la crescita. Leorecchie del coniglio parevano untantino troppo pelose, e su due dellezampe del cane erano cresciuti sofficisperoni verdi, ma i leoni e il bisontesembravano in perfetta forma. Unaspuntatina avrebbe sistemato il tutto, epoi cadesse pure la neve.

Il vialetto di cemento s'interrompevadi colpo come un trampolino per i tuffi.Jack superò il bordo e proseguì lungo lapiscina vuota fino al sentierino copertodi ghiaia che serpeggiava tra le siepiscolpite e immetteva nel campo giochi.

Si accostò al coniglio e premette ilbottone sul manico delle cesoie, chepresero a ronzare sommesse.

"Ciao, Messer Coniglio," disse Jack."Come va oggi? Una spuntatina sullatesta e togliamo i peli in più che ti sonocresciuti nelle orecchie? Benone. Di', lasai quella del commesso viaggiatore edella vecchia signora col barboncino? "

La sua voce gli suonava innaturale esciocca alle orecchie, e tacque. Certoche quelle siepi a foggia di animale nonerano proprio di suo gusto. Gli erasempre sembrata una cosa innaturalepotare e torturare una povera vecchiasiepe per farle assumere l'aspetto diqualcosa che non era affatto. Lungo unadelle strade maestre del Vermont c'era

una siepe tagliata a forma di cartellonepubblicitario. Una cosa semplicementegrottesca.

(Non ti hanno assunto per fare dellafilosofia, Torrance.)

Ah, era vero. Come era vero. Potòlungo le orecchie del coniglio,accumulando sull'erba un mucchietto dirami e di fuscelli. Le cesoie ronzavanocon quel basso suono metallico un po'sgradevole, che si direbbe sia lacaratteristica costante degli apparecchiazionati a batteria. Il sole erasplendente, ma non irradiava alcuntepore, e adesso non si stentava acredere che stesse per sopraggiungere laneve.

Lavorando in fretta, sapendo chesoffermarsi a pensare quando sisvolgeva un lavoro di quel tipocomportava di regola qualche errore,Jack diede una ripassatina alla "faccia"del coniglio (vista così da vicino nonsembrava per niente una faccia, masapeva che a una distanza di venti passio giù di lì il gioco di luce e ombrasarebbe sembrato suggerirne una; oltre,beninteso, alla fantasia di chi stava aosservare) e poi fece scorrere le cesoielungo il ventre dell'animale.

Fatto ciò, spense le cesoie,s'incamminò in direzione del campogiochi, poi si girò di scatto per avereuna visuale completa del coniglio. Sì,

sembrava perfettamente a posto. Adessosi sarebbe occupato del cane.

"Però se l'albergo fosse mio," disse,"vi abbatterei tutti quanti, maledettobranco di bestiacce." E l'avrebbe fattodavvero, sostituendoli con una mezzadozzina di tavolini metallici protetti daombrelloni multicolori. La genteavrebbe potuto prendere l'aperitivo sulprato dell'Overlook sotto il sole d'estate.

Solo gin fizz e Margarita e PinkLady e tutte quelle deliziose bevandecare ai turisti. Un rum and tonic, magari.Jack tirò fuori il fazzoletto dalla tascaposteriore dei calzoni e se lo passòlentamente sulle labbra.

"Su, su," disse sottovoce. Non eraproprio il caso di pensare a cose del

genere.Stava per tornare sui suoi passi, ma

poi un impulso imprecisato gli fececambiare idea, e prese a scendere versoil campo giochi. Era buffo pensare aquanto poco si conoscessero i bambini.Lui e Wendy si erano aspettati cheDanny s'innamorasse del campo giochi;c'era proprio tutto quello che un bimbopoteva desiderare. Ma Jack era convintoche il bambino ci si fosse recato sei osette volte al massimo. Forse se ci fossestato un altro bambino con cui giocare,sarebbe stato diverso.

Il cancello cigolò appena quando lovarcò, poi udì lo scricchiolio dellaghiaia sotto i suoi piedi. Andò per prima

cosa alla casa delle bambole, il perfettomodellino in miniatura dell'Overlook.Gli arrivava poco più su della vita. Piùo meno l'altezza di Danny quando eraritto in piedi. Jack si ingobbì a sbirciaredentro le finestre del terzo piano.

"Il gigante è venuto a divorarvi tuttinei vostri letti," disse con vocecavernosa. "A dire arrivederci con unbacetto alle vostre tre stellette dacategoria lusso." Ma nemmeno questosuonava divertente. La casa si potevaaprire dividendola in due. Tutto qui. Siapriva su un cardine nascosto. L'internoera una delusione: le pareti eranodipinte, ma per il resto appariva più omeno vuota. Naturalmente era così chedoveva essere, si disse Jack, altrimenti

come avrebbero fatto i bambini aentrarci? I mobili in miniatura, che certodovevano arredare la casetta d'estate,erano spariti, con tutta probabilità messial riparo nel capanno degli attrezzi.Chiuse la casetta e udì il lieve scattodella serratura che tornava al suo posto.

Si portò accanto allo scivolo, posòle cesoie e, dopo essersi guardato allespalle in direzione del viale d'accessoper assicurarsi che Wendy e Danny nonfossero ancora tornati, si arrampicò incima e si pose a sedere. Era lo scivoloper i ragazzini già grandi, ma ledimensioni erano comunquescomodamente anguste per il suo sedereda adulto. Quanto tempo era passato

dall'ultima volta che si era issato su unoscivolo? Vent'anni? Ricordò che il suovecchio lo portava al parco a Berlinquando aveva l'età di Danny, e lui avevaprovato tutta la serie dei giochi: scivolo,altalene, dondoli, tutto insomma. Lui e ilvecchio si mangiavano una salsiccia edopo compravano le nocciolàiedall'uomo del carrettino. Si sedevano suuna panchina a mangiarle e bruni stormidi colombi si posavano attorno ai loropiedi.

"Maledetti uccellarci mangiaufo,"diceva il suo papà, "non dargli niente,Jacky." Ma poi finivano tutti e due coldargli da mangiare, ridacchiando per ilmodo avido col quale rincorrevano lenoccioline. Jack non credeva che il

vecchio avesse mai portato al parco isuoi fratelli. Jack era stato il suoprediletto, ma ciò non toglie che anchelui si fosse beccato la sua dose di botte,quando il vecchio era ubriaco, il cheaccadeva tutt'altro che di rado. Ma Jackl'aveva amato finché ne era stato capace,un bel po' dopo che il resto dellafamiglia non poteva far altro che odiarloe temerlo.

Si diede una spinta con le mani escivolò fino in fondo, ma il percorso nonfu soddisfacente. Lo scivolo, non usatoda tempo, provocava un attritoeccessivo, onde non era possibileassumere la velocità adeguata. E poi ilsuo sedere era davvero troppo grosso. I

suoi piedi da adulto urtarono nel lieveincavo dove migliaia di piedi dibambini erano atterrati prima di lui. Sirialzò, si spolverò il fondo dei calzoni ediede un'occhiata alle cesoie. Maanziché tornare al lavoro si accostò allealtalene, che si rivelarono anch'esse unadelusione. Le catene si erano giàarrugginite da che l'albergo era statochiuso, e cigolavano come creature inpena. Jack si ripromise di oliarle inprimavera.

Sarebbe meglio che la piantassi, siconsigliò. Non sei più un bambino. Enon hai bisogno di questo posto perdimostrarlo.

Ma proseguì alla volta degli anellidi cemento, che erano troppo piccoli per

lui sicché li trascurò, e poi verso larecinzione che segnava la fine del parco.Si aggrappò con le dita alle magliemetalliche e sbirciò oltre la rete, colsole che gli disegnava linee d'ombraincrociate sul viso come un prigionierodietro le sbarre. Riconobbe lui stessol'analogia e scosse la rete; assunseun'espressione tormentata e bisbigliò:"Fatemi uscire di qui! Fatemi uscire!"

Fu allora che udì il rumore alle suespalle.

Si volse di scatto, aggrottando lafronte, imbarazzato, chiedendosi sequalcuno per caso lo avesse vistogiocherellare lì sotto in quel paese deibalocchi. Ogni cosa appariva come

prima. E allora, perché avevacominciato a venirgli la pelle d'oca alvolto e alle mani, e perché i capellisulla nuca avevano preso a rizzarsi,come se là dietto la carne si fosseimprovvisamente tesa?

Tornò a strizzare gli occhi indirezione dell'albergo, ma non ottennerisposta alcuna. L'albergo se ne stavalaggiù, le finestre buie, un filo esile difumo che saliva a voluta dal comignolo,proveniente dal fuoco al centro delcaminetto dell'atrio.

(Lazzarone, sarà meglio che ti dia dafare, altrimenti quelli torneranno e sichiederanno che cosa diavolo hai fatto,tutto questo tempo.)

Sicuro, darsi da fare. Perché stava

per nevicare e lui doveva potare quellemaledette siepi. Faceva parte delcontratto. E poi, non avrebbero osato...

(Chi non avrebbe? Cosa nonavrebbero? Osato fare cosa?)

Si rimise in cammino in direzionedelle cesoie ai piedi dello scivolo deiragazzi grandi, e il rumore dei suoi passiche rimbombavano sul pietrisco gliparve stranamente sonoro. Adesso avevacominciato a venirgli la pelle d'ocaanche sui coglioni, e si sentiva le natichedure e pesanti, come pietra.

(Gesù, che cosa succede?)Si arrestò accanto alle cesoie, ma

non fece neppure il gesto diraccoglierle. Sì, c'era qualcosa di

diverso. Nel giardino ornamentale. Edera così semplice, così facile da vedere,che semplicemente non riusciva anotarlo. Avanti, si rimproverò, haiappena potato quello schifoso coniglio,per cui cosa vuoi (ecco che cosa)

gli si mozzò il fiato in gola.Il coniglio adesso era a quattro

zampe, intento a brucare l'erba. Il ventresfiorava il terreno. Ma meno di dieciminuti prima era ritto sulle zampeposteriori, certo che era così, gli avevaspuntato le orecchie...

e anche il ventre.Il suo sguardo saettò in direzione del

cane. Quando aveva disceso il sentiero,se ne stava in posizione seduta, come aimplorare un biscotto. Adesso era

accucciato, la testa piegata di lato, ilcuneo potato della bocca che sembravaringhiare senza emettere suono alcuno. Ei leoni...

(oh no, ragazzi, oh no, uuuh, noncosì)

i leoni si erano avvicinati alsentiero. I due sulla destra avevanocambiato leggermente posizione, sierano accostati un po' di più l'unoall'altro. Adesso la coda di quello sullasinistra sporgeva quasi sul sentiero.Quando li aveva sorpassati e avevavarcato il cancello, quel leone sitrovava sulla destra, e Jack erasicurissimo che tenesse la codaarrotolata intorno al corpo.

Non avevano più l'aria di proteggereil sentiero; lo bloccavano.

Jack si coprì gli occhi di scatto conla mano, poi la staccò. La scena non eracambiata. Gli sfuggì un sospiro roco,troppo sommesso per essere un gemito.Al tempo in cui beveva aveva sempreavuto paura che accadesse qualcosa delgenere. Ma quando uno beveva molto, lochiamavanodelirium tremens. . il buonvecchio Ray Milland inGiorni perduti,che vedeva il pipistrello e il topo usciredal muro.

Come si poteva chiamarlo quando siera sobri e lucidi?

La domanda avrebbe dovuto essereretorica, ma mentalmente Jack fornì la

risposta (la chiami pazzia)comunque.Fissando con gli occhi sgranati le

siepi a forma di animali, si rese contoche qualcosa era davvero cambiato,mentre si copriva gli occhi con la mano.Il cane si era fatto più vicino. Non piùaccucciato, pareva aver assunto laposizione tipica della corsa, i fianchiflessi, una zampa anteriore protesa inavanti, l'altra all'indietro. La boccaintagliata nel verde era spalancata, e iramoscelli sfrondati che simulavano lezanne avevano un aspetto acuminato eperverso. E ora Jack s'immaginò discorgere anche un lieve baluginio diocchi nella verzura. Che lo fissavano.

Perché mai bisognerebbe potarli?

pensò istericamente.Sono perfetti.Un altro lieve rumore. Riportò lo

sguardo sui leoni e con moto istintivoarretrò di un passo. Uno dei due sulladestra sembrava essere strisciatolentamente un po' più avanti dell'altro.Teneva il capo abbassato. Una zampaaveva coperto quasi tutta la distanza chelo separava dal basso steccato. BuonDio, e poi cosa sarebbe successo?

(poi spicca un balzo e fa di te unsolo boccone come si legge in certe brute fiabe) La ghiaia scricchiolò sulsentiero.

Jack volse bruscamente il capo aguardare il cane, e il cane era a mezzastrada sul vialetto, appena alle spalle

dei leoni ora, la bocca spalancata esbadigliante. Prima, era stato soltantouna siepe potata nella forma generica diun cane, qualcosa che perdeva ognicarattere preciso se ti avvicinavi troppo.Ma ora Jack si avvide che era statopotato in modo da assumere la sagomadi un pastore tedesco, e i pastoritedeschi possono essere feroci. Sipotevano addestrare i pastori tedeschi auccidere.

Un basso rumore frusciante.Ora il leone sulla sinistra era

avanzato fino allo steccato; col musosfiorava le assi. Pareva che gli ridessein faccia. Jack arretrò di altri due passi.Il capo gli pulsava da impazzire eavvertiva in gola il rantolo secco del

suo respiro. Adesso si era mosso ilbisonte, descrivendo un semicerchiosulla destra, dietro e attorno al coniglio.La testa era china, le corna di verzurapuntate contro di lui. Ahimè, non sipoteva tenerli d'occhio tutti. Non tuttiassieme.

Jack emise un suono lamentoso:inconsapevole, nella serrataconcentrazione, di emettere comunque unsuono qualsiasi. Faceva saettare losguardo da una creatura vegetaleall'altra, cercando divederle muoversi.Il vento soffiava, provocando un avidosuono scricchiolante tra i rami fittamenteintrecciati.

Che tipo di rumore ci sarebbe stato

se gli fossero piombati addosso?Ma naturalmente lo sapeva. Un

rumore schioccante, lacerante,squarciarne. Sarebbe stato...

(no noNO NO NON CI CREDERÒASSOLUTAMENTE!)

Si premette le mani sugli occhi,tirandosi i capelli, percuotendosi lafronte, le tempie pulsanti. E rimase cosìa lungo, col terrore che gli montavadentro, finché non riuscì più asopportarlo e con un grido staccò lemani dal viso.

Nei pressi del campetto di golf ilcane se ne stava seduto, come aimplorare un avanzo di cibo. Il bisonteera tornato a fissare con scarso interesseil campo diroque, come quando Jack era

sceso con le cesoie in mano. Il coniglioera ritto sulle zampe posteriori, leorecchie tese a captare il minimo suono,mettendo in mostra il ventre potato difresco. I leoni, radicati nel terreno, se nestavano accanto al viottolo.

Jack rimase a lungo immobile, ilrespiro roco in gola che finalmenterallentava. Si frugò in tasca in cercadelle sigarette e ne fece cadere quattrodal pacchetto sulla ghiaia. Si chinò araccoglierle, frugando, annaspando,senza mai distogliere lo sguardo dalgiardino ornamentale per timore che glianimali si mettessero in movimento.Raccolse le sigarette, ne ricacciò trealla bell'e meglio nel pacchetto e accese

la quarta. Dopo averne aspirato duelunghe boccate la lasciò cadere a terra ela schiacciò col piede. Si avvicinò allecesoie e le raccolse.

"Sono molto stanco," disse, e ora gliparve che parlare ad alta voce fosse unacosa assolutamente normale. Non glisembrava per niente folle. "Ne hopassate un po' troppe. Le vespe... lacommedia... Al che mi telefona con queltono. Ma va tutto bene."

Si accinse a risalire a lenti passiverso l'albergo. Una parte della suamente lo stuzzicava malignamente.Tentava di convincerlo a compiere unadeviazione attorno alle siepi tagliate informa di animali, ma lui risalìdirettamente il viottolo di ghiaia,

passando tra loro. Un lieve alito divento le faceva frusciare, ecco tutto.S'era immaginato ogni cosa, da cima afondo. S'era beccato uno spavento deldiavolo, ma adesso era passato.

Indugiò nella cucina dell'Overlook aingoiare due compresse di Excedrin; poiscese da basso a sfogliare carte finchéudì il rombo attutito del furgoncinodell'albergo che imboccava il vialed'accesso.

Salì loro incontro. Si sentivabenissimo. Non vedeva che motivo cifosse di accennare alla suaallucinazione. Si era preso quellospavento d'inferno, ma adesso erapassato.

24Era il crepuscolo.Se ne stavano sotto il porticato

mentre la luce andava declinando, Jacknel mezzo, il braccio sinistro checingeva le spalle di Danny e quellodestro attorno alla vita di Wendy.Osservavano tutti e tre assieme, mentrela decisione veniva strappata loro dimano.

Verso le due e mezzo il cielo si eracoperto di nubi e un'ora dopo avevapreso a nevicare, e questa volta nonc'era bisogno di un esperto inmeteorologia per capire che si trattavadi una nevicata in piena regola, non piùdi una spolverata che si sarebbe sciolta

o sarebbe stata soffiata via non appenasi fosse levato il vento impetuoso dellasera. Dapprima era caduta in lineeperfettamente verticali, a formare unmanto uniforme, ma adesso, un'ora dopol'inizio, il vento aveva preso a soffiareda nordovest e la neve aveva cominciatoa cadere obliqua, investendo il porticatoe il viale d'accesso. Al di là del parco lacarrozzabile era scomparsa sotto unacoltre bianca, compatta. Anche le siepi aforma di animali erano scomparse, maquando Wendy e Danny erano tornati acasa lei aveva elogiato Jack per l'ottimolavoro compiuto. Credi? le avevachiesto lui, senza aggiungere altro. Orale siepi erano sepolte sotto informimantelli bianchi.

Curiosamente, tutti e tre pensavanocose diverse, ma provavano la stessaemozione: sollievo. Il ponte era statoattraversato.

"Tornerà mai la primavera?"mormorò Wendy.

Jack le diede una stretta. "Prima chetu abbia il tempo d'accorgertene. Che nediresti se rientrassimo a cenare? Fafreddo qua fuori."

Lei sorrise. Per tutto il pomeriggioJack le era parso distante e... be', strano.Ora le sembrava tornato quello disempre, o quasi. "Per me va bene. E perte, Danny?"

"Anche per me, sicuro."Rientrarono assieme, lasciando che

il vento si tramutasse nel basso ululatoche avrebbe echeggiato per tutta la notte:un suono col quale avrebbero fatalmentedovuto familiarizzare. Fiocchi di neveturbinavano e danzavano attraverso ilporticato. L'Overlook affrontaval'inverno come aveva fatto per quasi trequarti di secolo, le finestre buie oraorlate di neve, indifferente al fatto chefosse ormai tagliato fuori dal mondo. Oforse quella prospettiva gli riuscivaaccetta: dentro il suo guscio i tre siaccinsero alla solita trafila delle primeore della sera, simili a microbiintrappolati nell'intestino di un mostro.

25Una settimana e mezzo più tardi, una

sessantina di centimetri di neve, biancae cristallina e uniforme, copriva il parcoe i terreni che circondavano l'Overlook.Lo zoo di verzura era affondato sinoall'altezza dei fianchi. Il coniglio,congelato sulle zampe posteriori, parevaergersi da un bianco stagno. Qua e là laneve si era accumulata, raggiungendol'altezza di un metro e mezzo e più. Ilvento continuava a mutare la forma deicumuli, scolpendoli in forme sinuose,simili a dune. Per due volte Jack si eratrascinato goffamente sulle racchette finoal capanno degli attrezzi a recuperare ilbadile per spazzare il porticato.

La terza volta si era stretto nellespalle, limitandosi a sgombrare unsentiero attraverso il mucchio

torreggiarne che si ergeva contro laporta e aveva lasciato che Danny sidivertisse slittando sui due lati delpassaggio. Ma i mucchi più vistosi sierano accumulati contro l'ala ovestdell'Overlook; alcuni raggiungevanoun'altezza di sei metri, ma al di là ilterreno appariva denudato dal vento chenon smetteva di soffiare, e rivelava lapresenza dell'erba. Le finestre del primopiano erano completamente nascoste, ela vista che si godeva dalla sala dapranzo e che Jack aveva tanto ammiratoil giorno della chiusura dell'albergoadesso non era più eccitante di unoschermo cinematografico nudo. Da ottogiorni ormai il telefono era fuori uso, e

la ricetrasmittente da radioamatorenell'ufficio di Ullman rappresentavaormai l'unico strumento di cuidisponevano per comunicare col mondoesterno. Ormai nevicava ogni giorno:talvolta erano solo brevi spruzzi cheimpolveravano la crosta scintillante,talvolta invece nevicava con grandeintensità, e il basso sibilo del ventosaliva fino ad assumere il tono stridulodi un grido femminile che faceva vibraree gemere perniciosamente il vecchioalbergo nella sua profonda culla di neve.La temperatura notturna non superava idieci gradi sotto zero e, sebbeneaccadesse che il termometro appesoaccanto all'ingresso di servizio dellacucina toccasse, di primo pomeriggio, i

tre gradi sotto zero, la lama tagliente delvento sconsigliava di uscire all'apertosenza indossare un passamontagna. Perònelle giornate di sole uscivano tutti e tre,infagottati in maglioni e giacconi e conle muffole sopra i guanti. Il desiderio diuscire era quasi una coercizione;l'albergo era circondato dalle tracceparallele dei pattini dello slittino diDanny. Le varianti erano pressochéinfinite: Danny sullo slittino, trainato daigenitori; papà a cavalcioni della slittache rideva, mentre Wendy e Danny sisforzavano di trainarlo (riuscivano astento a trascinarlo sulla crostaghiacciata; decisamente impossibilefarlo se era coperta da uno strato

farinoso); Danny e mamma sulla slitta;Wendy sulla slitta da sola, mentre i dueuomini della famiglia trainavano,sbuffando nuvolette bianche di vaporecome cavalli da tiro, fingendo che fossepiù pesante di quanto fosse in realtà.Ridevano moltissimo durante quelleescursioni in slitta attorno alla casa, mala voce ululante e impersonale delvento, così immensa e falsamentesincera, faceva suonare stridule e forzatele loro risa.

Avevano visto le peste di un caribùnella neve e una volta addirittura ilcaribù, anzi un gruppo di cinque,immobili nella neve sotto la recinzionedi sicurezza. Si erano contesi il binocoloZeissIkon di Jack per osservarli meglio,

e il guardarli aveva comunicato aWendy una strana sensazione di irrealtà.

Gli animali erano affondati con lezampe nella neve che copriva lacarrozzabile, e a Wendy venne fatto dipensare che tra quel momento e ildisgelo primaverile la stradaapparteneva ai caribù più di quantoappartenesse a loro. Ora le cose che gliuomini avevano costruite lassù erano deltutto neutralizzate, e Wendy era convintache i caribù se ne rendessero conto.Aveva posato il binocolo e aveva dettoqualcosa a proposito della necessità diandare a preparare il pranzo; e poi incucina aveva fatto un pianterello, neltentativo di sbarazzarsi di quella

terribile sensazione contenuta che avolte le piombava addosso come unagrossa mano che le premesse sul cuore.Pensava ai caribù. Pensava alle vespeche Jack aveva messo fuori sullapiattaforma davanti all'ingresso diservizio, sotto la pirofila, a congelarsi.

Nel capanno degli attrezzi, appese avari chiodi, c'era tutta una serie diracchette da neve e Jack ne avevatrovato un paio per ciascuno di loro,anche se quelle destinate a Danny eranoun tantino troppo grandi. Jack se lacavava bene con le racchette. Ci avevafatto in fretta l'abitudine. A Wendy nonpiacevano granché: bastava un quartod'ora di calpestio con i piedi infilati inquella specie di pagaie fuori misura

perché le gambe e le caviglie ledolessero da far impazzire; ma Dannyera come affascinato e si dava un granda fare per imparare a usarle condestrezza. Gli capitava ancora di caderespesso, ma Jack era compiaciuto deisuoi progressi. Diceva che entrofebbraio Danny sarebbe riuscito adescrivere dei cerchi attorno a loro due.

Quel giorno il cielo era coperto e amezzogiorno aveva cominciato ariversare neve sulla terra. La radioprometteva altri venti, forse trentacentimetri e cantava osanna allePrecipitazioni, il grande dio deglisciatori del Colorado. Seduta in camerada letto a sferruzzare una sciarpa,

Wendy pensava tra sé che sapeva fintroppo bene cosa potessero farsene glisciatori, di tutta quella neve. Sapeva fintroppo bene dove avrebbero potutocacciarsela.

Jack era in cantina per controllare lecaldaie del calorifero e dell'acqua. Perlui quei controlli erano diventati unasorta di rituale da quando la neve liaveva imprigionati all'albergo; e dopoaver constatato che tutto procedeva adovere, aveva vagabondato al di làdell'arco, avvitato la lampadina chependeva dal soffitto e si era seduto su unvecchio sgabello da campo coperto diragnatele. Sfogliava i vecchiincartamenti, e mentre leggeva sipassava continuamente il fazzoletto sulla

bocca. Quella vita tra quattro mura gliaveva cancellato dalla pellel'abbronzatura autunnale, e mentre se nestava là seduto, curvo sui fogli ingiallitie crepitanti, i capelli di un biondorossiccio che gli ricadevanodisordinatamente sulla fronte, avevaun'aria un poco spiritata. Aveva trovatocerte strane cose infilate in mezzo allefatture, alle polizze di carico, allericevute. Cose inquietanti. Unamaledetta striscia di carta.

Un orsacchiotto smembrato che forseera stato fatto a pezzi. Un foglioappallottolato di carta da lettere dasignora, color violetto, con un'ombra diprofumo che ancora ne emanava lieve

sotto la muffa degli anni, un appuntoiniziato e non concluso, tracciato con uninchiostro azzurro sbiadito: "CarissimoTommy, contrariamente a quanto avevosperato, quassù non riesco a pensare conchiarezza. A noi, intendo dire. E a chialtri se no? Ah! Ah! Ci son cose checontinuano a intralciarmi. Ho fatto stranisogni a proposito di cose che ruzzolanonella notte, puoi crederci e..." Tutto qui.Il biglietto era datato 27 giugno 1934.Aveva scovato un fantoccio che aveval'aspetto di una strega o di un mago...qualcosa con lunghi denti e un berrettoappuntito, comunque. Era stato infilato,circostanza abbastanza sorprendente, traun fascio di bollette del gas e un altro diricevute relative a certe forniture di

acqua di Vichy. E poi qualcosa cheaveva l'aria di essere una poesia,scarabocchiata sul retro di un menu conuna matita scura: "Medoc / ci sei?/hofatto di nuovo la sonnambula, mio caro. /Le piante si muovono sotto il tappeto."Niente data sul menu, e nessun nome incalce alla poesia, ammesso che di unapoesia si trattasse.

Danny era di nuovo ritto davanti allaporta della camera 217.

Aveva in tasca la chiave universale.Fissava la porta con una sorta di aviditàipnotica, e la parte superiore del suocorpo pareva trasalire e vibrare sotto lacamicia di flanella. Canticchiavasottovoce, un po' stonato.

Non aveva voluto venire: non dopola faccenda dell'estintore. Eraterrorizzato all'idea di rimetter piede inquel posto. Era terrorizzato all'idea diaver di nuovo sottratto la chiaveuniversale, disobbedendo al padre.

Eppure avevavoluto venire lì. Lacuriosità

(tanto va la gatta al lardo che cilascia lo zampino, però la soddisfazioneè tale che ci ritorna) era come una sortadi tormentoso canto delle sirene che glirisuonava nel cervello e non si lasciavaplacare. E poi il signor Hallorann nonaveva forse detto: "Non credo che qui cisia qualcosa che possa farti del male"?

(Hai promesso.)

(Le promesse sono fatte apposta peressere infrante.)

A quell'idea sobbalzò. Era come sequel pensiero fosse venuto dall'esterno,simile a un insetto ronzante, colmo dibasse lusinghe.

(Le promesse sono fatte apposta peressere infrante, mio caro redrum. Peressere infrante, fracassate, frantumate,spappolate col martello. AVANTI!)

Il suo nervoso canticchiare sfociò inun basso canto atonale: "Lou, Lou, me labatto dalla mia Lou, me la batto dallamia Lou, il mio tesoooro..."

Non aveva forse ragione il signorHallorann? Non era stata quella, indefinitiva, la ragione per la quale se

n'era stato zitto e aveva permesso che laneve li imprigionasse?

Basterà che tu chiuda gli occhi etutto sparirà.

Ciò che aveva visto nellaBomboniera Presidenziale era sparito. Eil serpente era soltanto un estintorecaduto sul tappeto. Sì, persino il sanguenella Bomboniera Presidenziale erastato innocuo, qualcosa di vecchio,qualcosa che era accaduto molto tempoprima che lui nascesse o decidessero difarlo nascere, qualcosa di ormai morto esepolto. Come un film che solo luipotesse vedere. Non c'era niente,proprio niente, in quell'albergo, chepotesse fargli del male, e se perprovarlo a se stesso doveva entrare in

quella stanza, perché mai non avrebbedovuto farlo?

"Lou, Lou, me la batto dalla miaLou..."

(Tanto va la gatta al lardo che cilascia lo zampino mio caro redrum,redrum mio caro, ma la soddisfazione èstata tale che ci torna sana e salva, dallapunta dei piedi alla testa calva; dallatesta alla terra fiorita di malva era sanae salva. Lui sapeva che quelle cose)(sono come illustrazioni che mettono unpo' di paura, ma non possono farti alcunmale, ma oh mio dio)

(che grandi denti hai nonna e quelloè un lupo vestito daBARBABLÙoppureun BARBABLÙvestito da lupo e io sono

così )(contento che me l'abbia domandato

perché tanto va la gatta al lardo che cilascia lo zampino ed era statalaSPERANZAdi soddisfare la curiositàche l'aveva portato ) su per il corridoio,camminando con passo leggero sultappeto blu, simile a una giunglaintricata. Si era fermato accantoall'estintore, aveva ricollocato ilbeccuccio di ottone nel suo telaio e poil'aveva stuzzicato ripetutamente col dito,il cuore che gli batteva forte,bisbigliando: "Avanti, fammi male.

Avanti fammi male, stronzopidocchioso. Non ce la fai, eh?"

("in ritardo, sono in ritardo," disse ilconiglio bianco.) Il coniglio bianco. Sì

ora c'era un coniglio bianco, là fuori,vicino al campo giochi. Una volta eraverde ma adesso era bianco, come sequalcosa l'avesse più volte spaventatodurante le notti di vento e di neve e neavesse causato l'invecchiamento.

Danny cavò di tasca la chiaveuniversale e la infilò nella toppa.

"Lou, Lou..."(ilconiglio bianco si stava recando a

una partita di croquet alla partita dicroquet della Dama Rossa di cuoricicogne al posto delle mazze porcospinial posto delle palline) sfiorò la chiave,lasciandovi rigirar sopra le dita. Avevail capo dolorante. Girò la chiave nellatoppa e la serratura scattò all'indietro

senza opporre resistenza alcuna.(TAGLIATEGLI LA TESTA!

TAGLIATEGLI LA TESTA!TAGLIATEGLILA TESTA!) (questogioco non è il croquet, anche se le mazzesono troppo corte questo gioco è)(TACBUM!Dritto attraverso ilcancellino. )

(TAGLIATEGLI LATEEEESTAAAA...)

Danny aprì la porta. Si spalancòdocilmente, senza il minimo cigolio.Danny si trovava appena oltre la sogliadi un'ampia camera da lettosalotto, esebbene la neve non fosse ancor giuntafin lassù — i cumuli più alti arrivavanoa circa trenta centimetri sotto le finestredel secondo piano — la stanza era buia

perché due settimane prima papà avevachiuso tutte le imposte della finestrapanoramica che dava a occidente.

Danny indugiò nel piccolo corridoiod'ingresso; annaspò con le mani controla parete destra e trovò la piastrinadell'interruttore. Si accesero duelampadine in un lampadario di cristallointagliato che pendeva dal soffitto.Danny s'inoltrò nella stanza e si guardòattorno. Il tappeto era alto e soffice, diun tenero color rosa. Riposante. Un lettomatrimoniale con un copriletto bianco.Una scrivania (Vi prego ditemi: perchéun corvo è simile a una scrivania?)

accanto alla grande finestrasprangata. Durante la stagione di

apertura lo Scrittore Perseverante (midiverto pazzamente, vorrei proprio cheavessi fifa anche tu) poteva avere unasplendida vista delle montagne dadescrivere a quelli che erano rimasti acasa.

S'inoltrò ancor di più nella stanza.Non c'era niente, assolutamente niente.Era una stanza vuota, fredda perché papàquel giorno riscaldava l'ala est. Unoscrittoio. Un armadio, l'anta aperta amostrare un grappolo di grucce daalbergo, del tipo che non si può rubare.Una Bibbia su un angolo del tavolo.Sulla sinistra si apriva la porta delbagno, interamente occupata da unospecchio che rifletteva la sua immaginedal volto pallido come un cencio. La

porta era socchiusa e...Danny guardò la sua immagine

riflessa nello specchio che lentamentefaceva cenno di sì.

Sì, ecco dov'era. Là dentro. Nelbagno. La sua immagine riflessa avanzò,quasi volesse evadere dallo specchio.Protese la mano, la premette contro lasua. Poi si allontanò angolarmente,quando la porta del bagno si spalancò.Danny si affacciò a guardare.

Una stanza lunga, antiquata, chesomigliava a certe vecchie carrozzeferroviarie. Il pavimento rivestito diminuscole piastrelle bianche esagonali.La tenda della doccia, il water, la vascacon le zampe leonine. Danny entrò nel

bagno e si accostò alla vasca comesospinto da una forza estranea, come setutta quella faccenda fosse uno dei sogniche gli aveva portato Tony, una forzache gli diceva che forse avrebbe vistoqualcosa di bello, quando avessesollevato la tenda della doccia, qualcosache papà aveva dimenticato o che lamamma aveva perso, qualcosa che liavrebbe resi entrambi felici...

Così, sollevò la tenda.La donna nella vasca era morta da un

pezzo. Era gonfia e violacea, e il ventregravido di gas si sollevava oltre lasuperficie dell'acqua fredda, orlata dighiaccio, simile a un isolotto carnoso. Isuoi occhi erano fissi in quelli di Danny,vitrei e immensi, simili a biglie.

Sogghignava, le labbra cianotiche,stirate in una smorfia. I seniballonzolavano. I peli del pubegalleggiavano sull'acqua. Si artigliavacon le mani ai bordi zigrinati dellavasca, e le mani parevano chele digranchio irrigidite.

Danny volle strillare, ma il suononon gli uscì dalle labbra. Rigirandoglisidentro, sempre più dentro, ricadde nelsuo buio come una pietra in un pozzo. Siritrasse di un passo, barcollando, mentreudiva i tacchi delle scarpe battere sullebianche piastrelle esagonali.

La donna si stava levando a sedere.Sempre sogghignando, le grosse

biglie degli occhi fisse su di lui; si

levava a sedere. Il palmo morto dellemani strideva sulla porcellana. I senioscillavano come vecchi palloniscrepolati. Si udiva il suono lieve dellepiccole lastre di ghiaccio che sispezzavano. La donna non respirava. Eraun cadavere, era morta da molti anni.

Danny si voltò e corse. Varcata d'unbalzo la porta del bagno, gli occhi cheparevano schizzargli dalle orbite, icapelli ritti come' gli aculei di unporcospino che stia per esseretrasformato in una palla sacrificale,

(croquet? oppure roque?)la bocca aperta e incapace di

emettere un grido. Andò a urtare conviolenza contro la porta esterna del 217,che adesso era chiusa. Si mise a

martellare con i pugni contro l'uscio,senza capacitarsi che non era chiusa achiave e gli sarebbe bastato girare lamaniglia per uscire. La sua boccalanciava grida assordanti.

La porta non si apriva, non si apriva,non si apriva, non si apriva.

E allora gli giunse la voce di DickHallorann, così subitanea e inaspettata,così calma, che le sue corde vocalibloccate si aprirono e Danny prese asinghiozzare debolmente, non per lapaura, ma per misericordioso sollievo.

(Non credo che possano farli delmale. . sono come illustrazioni in unlibro. . chiudi gli occhi e spariranno.)

Abbassò le palpebre di scatto. Serrò

le mani a pugno. Arcuò le spalle nellosforzo della concentrazione:

(Non c'è niente non c'è niente non c'èassolutamenteNIENTEQUI NON C'ÈNIENTE!) Passò qualche tempo. Dannycominciava appenaa rilassarsi;cominciava appena a rendersi conto chela porta dovevaessere aperta e che luiavrebbe potuto uscire, quando lemaniturgide e fradicie da anni,maleodcranti di pesce marcio, glisichiusero mollemente attorno alla gola elui si vide costrettoa girarsi esi trovò afissare lo sguardo sul volto morto epaonazzo.

QUARTA

PARTEPRIGIONIERI DELLA NEVE

26Il lavoro a maglia le faceva venir

sonno. Quel giorno persino Bartók leavrebbe fatto venir sonno, e sul piccolofonografo non c'era un disco di Bartók:c'era Bach. Le sue mani si fecero semprepiù lente, e nel momento in cui suo figlioscopriva la macabra inquilina dellacamera 217, Wendy dormiva col lavoroa maglia in grembo. La lana e i ferri sisollevavano al ritmo lento del suorespiro. Il suo sonno era profondo e nonsognò.

Anche Jack Torrance si eraaddormentato, ma il suo sonno eraleggero e inquieto, popolato di sogni cheparevano troppo vividi per esseresoltanto sogni: erano certamente piùvividi di qualsiasi sogno avesse maifatto prima d'ora.

I suoi occhi avevano cominciato adappesantirsi mentre sfogliava pacchivoluminosi di fatture. E tuttavia Jackdava a ciascuna una rapida scorsa, neltimore che per qualche trascuratezzapotesse sfuggirgli quel frammento distoria dell'Overlook di cui avevabisogno per operare il misticocollegamento che, ne era sicuro, dovevatrovarsi lì, da qualche parte. Si sentiva

come chi abbia in mano un cavoelettrico e si aggiri a tentoni in unastanza buia che non conosce, in cerca diuna presa. Se fosse riuscito a trovarla,sarebbe stato ricompensato con unpanorama di meraviglie.

Aveva affrontato con chiarezza latelefonata di Al Shockley e la suarichiesta; la strana esperienza fatta nelcampo giochi l'aveva aiutatonell'impresa. Quell'esperienza era stataqualcosa di maledettamente simile a unaspecie di collasso nervoso, e Jack eraconvinto che la sua mente fosse inrivolta contro la richiesta di Al, cosìautoritaria e altezzosa, di bloccare ilprogetto del suo libro. Forse era stato unsegnale per indurlo a comprendere che il

suo personale senso di autorispettopoteva essere spinto solo fino a quelpunto, prima di disintegrarsi del tutto.Avrebbe scritto il libro. Se avessesignificato la fine della sua amicizia conAl Shockley, ebbene: fosse pure.Avrebbe scritto la biografiadell'albergo; l'avrebbe scritta senzafronzoli, e a mo' d'introduzione avrebbeinserito il racconto della suaallucinazione, dell'impressione che glianimali del giardino ornamentaleavessero mutato posizione. Il titolosarebbe stato forse un po' piatto, mafunzionale:Uno strano posto divilleggiatura, La storia dell'OverlookHotel. Senza fronzoli, sì, ma non

sarebbe stata scritta con propositivendicativi, in un qualsiasi tentativo dirifarsi su Al o Stuart Ullman o GeorgeHatfield o suo padre (miserabile,tirannico ubriacone che era) o chiunquealtro, comunque. L'avrebbe scrittaperché l'Overlook l'aveva stregato: erapossibile trovare una spiegazionealtrettanto semplice o altrettanto vera?L'avrebbe scritta per la ragione che, asuo modo di vedere, stava alla base ditutte le grandi opere letterarie, difantasia o meno. La verità viene a galla;alla fine viene sempre a galla. L'avrebbescritta perché sentiva di doverlo fare.

Cinquecento galloni di latte intero.Cento galloni di latte scremato. Pagato.Bolla d'accompagnamento.

Trecento pinte di succo d'arancia.Pagato.

Jack si lasciò scivolare ancor piùgiù sullo sgabello, continuando astringere in pugno un fascio di ricevute,ma i suoi occhi non erano più in gradodi decifrarle. Si erano come velati. Lepalpebre calavano, improvvisamenteappesantite. La mente gli era scivolatadall'Overlook a suo padre, che faceval'infermiere al Community Hospital diBerlin. Un omone grande e grosso. Ungrassone alto più di uno e ottantacinque;infatti era stato più alto di Jack anchequando Jack aveva raggiunto la massimastatura, che era di uno e ottanta (non cheil vecchio fosse ancora vivo allora). "Il

mio cucciolino," diceva. Poi accennavaa tirare a Jack un destro affettuosamentescherzoso, e scoppiava a ridere. C'eranoaltri due fratelli, entrambi più alti delpadre, e Becky, che col suo metro esettantacinque era di poco più bassa diJack ed era sempre stata più alta di luiper gran parte degli anni dell'infanzia.

Il rapporto di Jack con suo padre erastato qualcosa di simile allo sbocciaredi un fiore di potenziale bellezza, cheperò, una volta sbocciato, si era rivelatoaffetto da una malattia misteriosa eocculta. Fino ai sette anni aveva amatosenza remore quell'omone alto epanciuto nonostante le sculacciate, ilividi, e i saltuari occhi neri.

Jack ricordava le vellutate sere

estive, la casa silenziosa, il fratellomaggiore, Brett, fuori con la ragazza, ilfratello di mezzo, Mike, immerso nellostudio di qualcosa, Becky e la madre insoggiorno a guardare un qualsiasiprogramma televisivo davanti al vecchioapparecchio scalcagnato; e lui, Jack,seduto in corridoio con indosso unpigiamino e nient'altro, che fingeva digiocare con i suoi camion, ma in realtàaspettava il momento in cui il silenziosarebbe stato rotto dalla porta che sispalancava con fragore, dall'urlo dibenvenuto di suo padre quando si fosseaccorto che Jacky lo stava aspettando,dal suo gridolino felice di rispostamentre l'omone percorreva il corridoio,

il cranio roseo baluginante sotto icapelli a spazzola nel riflesso della lucedel vestibolo. In quella luce, somigliavasempre a una specie di molle esvolazzante fantasma un po' fuori misura,con indosso l'uniforme biancadell'ospedale, la camicia che debordavadalla cintola, spesso macchiata disangue, il risvolto dei calzoni che siafflosciava sulle scarpe nere.

Suo padre lo sollevava di peso tra lebraccia e Jacky si sentiva lanciato inaria come in un delirio. E c'erano statesere che suo padre per l'ubriachezza nonaveva arrestato in tempo lo slancioverso l'alto e Jacky era schizzato in altosopra la testa piatta del padre, perruzzolare poi sul pavimento dell'atrio

alle spalle del genitore. Ma altre seresuo padre si limitava a sollevarlo daterra in un'estasi di gridolini, attraversola zona d'aria dove aleggiava il sentoredi birra come una nebbia di gocciolinedi pioggia, per essere rigirato e rivoltatoe sballottato al pari di un pupazzoridente, e infine esser posato a terra,scosso dal singhiozzo provocato dallareazione.

Le ricevute gli scivolarono dallamano afflosciata e fluttuarono nell'aria,atterrando pigramente sul pavimento. Lepalpebre di Jack, che erano chiuse conla figura del padre tatuata sulla pareteinterna a mo' di un'immagine stereottica,si socchiusero appena e poi tornarono

ad abbassarsi. Fu come percorso da unbrivido. La coscienza, al pari dellericevute, fluttuò pigramente verso ilbasso, simile alle foglie autunnali diabete rosso.

C'era stata la prima fase dei suoirapporti col padre, e a mano a mano chetale fase si avvicinava alla fine, a pocoa poco Jack si era reso conto che Beckye i suoi fratelli, tutti più grandi di lui,odiavano il padre, e che la madre, unadonna scialba cui accadeva raramente diparlare facendo udire più di unmormorio, si limitava a sopportarloperché l'educazione cattolica leimponeva di farlo. A quell'epoca nonera parso strano a Jack che il padrel'avesse sempre vinta in ogni

discussione coi figli facendo ricorso aipugni, e non gli era sembrato strano cheil suo amore dovesse procedere di paripasso con la paura: paura del giocodell'ascensore che avrebbe potutoconcludersi, una di quelle sere, in unacaduta rovinosa; paura che il grossolanobuonumore di suo padre, nel suo giornodi libertà, potesse tramutarsi di colpo inquel suo grugnito porcino e nelloschiaffo della sua "destra"; e a volte,ricordava Jack, aveva avuto una pauraancor più assurda: che l'ombra di suopadre potesse cadere su di lui mentregiocava.

Era stato verso la fine di questa faseche aveva cominciato a notare come

Brett non portasse mai in casa le sueamichette, o Mike e Becky i lorocompagni.

L'amore aveva cominciato ainacidirsi a nove anni, quando suopadre, a forza di bastonate, avevaspedito sua madre all'ospedale. Avevacominciato a usare il bastone un annoprima, quando un incidente stradalel'aveva storpiato. Da quel momento nonlo aveva più abbandonato, un bastonelungo, nero, grosso, dal pomo dorato.Ora, mentre sonnecchiava, il corpo diJack sussultava e si raggomitolava alricordo del rumore che il bastone facevanell'aria, una sorta di sibilo omicida, epoi l'urto violento contro il muro... osulla carne. Aveva percosso la loro

madre senza una ragione plausibile,così, di botto, del tutto inopinatamente.Sedevano a tavola per la cena. Ilbastone era appoggiato alla sedia. Erauna domenica sera, al termine di un finesettimana di tre giorni per papà, un finesettimana che aveva trascorsosbevazzando con quel suo stile consuetoma inimitabile. Pollo arrosto. Piselli.Purea di patate.

Papà seduto a capotavola, il piattostracolmo, che sonnecchiava, o quasi.Sua madre che passava i piatti. E tutt'aun tratto papà si era svegliato, gli occhiinfossati nelle orbite grasse, scintillantidi una sorta di sciocca, malignapetulanza. Li aveva spostati saettando da

un membro della famiglia all'altro, e lavena al centro della fronte si delineavaprominente, un sintomo semprepreoccupante. Aveva calato una dellegrosse mani costellate di efelidi sulpomo dorato del bastone, carezzandolo.Aveva detto qualcosa a proposito delcaffè, o almeno fino a quel giorno Jackera certo che la parola pronunciata dasuo padre fosse stata "caffè". La mammaaveva aperto la bocca per rispondere esubito il bastone era sibilato nell'aria,abbattendosi sul suo viso. Dal naso leera zampillato un fiotto di sangue. Beckyaveva urlato. Gli occhiali della mammaerano caduti nel sugo dell'arrosto. Ilbastone si era sollevato e poi era tornatoad abbàttersi, questa volta in cima al

capo, lacerando la cute. La mamma eracaduta a terra. E lui si era alzato dallasedia e si era portato nel punto in cui ladonna giaceva inebetita sul tappeto,brandendo il bastone, muovendosi con lagrottesca rapidità e agilità dei grassi, gliocchietti che lanciavano lampi, lapappagorgia tremolante mentre leparlava con lo stesso tono con cui si erasempre rivolto ai figli durante similisfoghi di collera. "Ora. Ora, perdio.Penso proprio che adesso prenderai lapurga. Maledetto cucciolo. Carognetta.Avanti, prendi la purga." Il bastone siera sollevato ed era calato su di lei altresette volte, prima che Brett e Mikeriuscissero a bloccarlo, a trascinarlo

via, a strappargli il bastone di mano.Jack

(il piccolo Jacky adesso era Jack,Jack che sonnecchiava e borbottava suuna seggiolina da campo coperta diragnatele mentre alle sue spalle lacaldaia del calorifero emetteva ruggiticavernosi) sapeva con esattezza quanteerano state le bastonate, perché ognitonfo sordo contro il corpo della madregli si era impresso nella memoria comel'irrazionale colpo di uno scalpello nellapietra. Sette tonfi. Non uno di più, nonuno di meno. Lui e Becky chepiangevano, increduli, guardando gliocchiali della madre che giacevanonella purea di patate, una lente incrinatae sporca di sugo d'arrosto. Brett che

urlava contro papà dal corridoio sulretro, dicendogli che l'avrebbeammazzato, se solo avesse osatomuoversi. E papà che non si stancava diripetere: "Maledetto cucciolo. Ridammiil bastone, carognetta, maledettocucciolo. Dammelo." E Brett che lobrandiva con gesto isterico, dicendo sì,sì che te lo do, prova solo a muoverti eti do tutto quel che vuoi e anchequalcos'altro. Te ne darò un sacco. Lamamma che si rialzava a fatica,inebetita, il volto gonfio, tumefatto,sanguinante. E aveva detto una cosaterribile, forse l'unica cosa che lamamma avesse mai detto e che Jackyriuscisse a ricordare parola per parola:

"Chi ha preso il giornale? Il vostro papàvuol guardare i fumetti. Sta ancorapiovendo?" E poi era crollata di nuovoin ginocchio, i capelli che le ricadevanosul volto deturpato dalle percosse. Mikeche chiamava il dottore, farfugliando altelefono. Poteva venireimmediatamente? Si trattava della loromadre. No, non poteva dirgli cos'erasuccesso, non al telefono, soprattutto nonpoteva, dato che era un duplex. Chevenisse e basta. Il dottore era venuto eaveva portato la mamma all'ospedaledove papà aveva lavorato per tutta lasua vita di adulto. Papà, al quale erapassata la sbronza (o forse solo con lasciocca astuzia di un animale braccato),aveva dichiarato al dottore che la

mamma era caduta dalle scale. Latovaglia era macchiata di sangue perchélui aveva tentato di ripulirle il caro viso.E come mai i suoi occhiali avevanoattraversato a volo il soggiorno e la salada pranzo per atterrare sulla purea dipatate e nel sugo d'arrosto? avevachiesto il dottore con una sorta diorrido, sogghignante sarcasmo. È cosìche è andata, Mark? Ho sentito parlaredi gente che nasconde un interoapparecchio ricetrasmittente in unacapsula dentaria e ho visto un tale alquale avevano sparato in mezzo agliocchi e che è vissuto abbastanza perriferirlo, ma questa è una faccenda chemi giunge del tutto nuova. Ma papà si

era limitato a scuotere il capo e a direche non ne sapeva proprio nulla;dovevano esserle caduti dal nasoquando l'aveva portata a bracciaattraverso la sala da pranzo. I quattrofigli erano rimasti bloccati in un silenzioattonito, sopraffatti dall'imperturbabileprodigio di quella menzogna. Quattrogiorni più tardi Brett si era licenziatodallo stabilimento e si era arruolatonell'esercito. Jack aveva sempre pensatoche non fosse stato a causa dellerepentine, irrazionali percosse che suopadre aveva infetto durante la cena, maper il fatto che, all'ospedale, la madreaveva confermato la versione del padrementre stringeva la mano del parroco.Nauseato, Brett li aveva abbandonati a

tutto ciò che avrebbe potuto succedere.Era rimasto ucciso nella provincia diDong Ho nel 1965, lo stesso anno in cuiJack Torrance, studente, aveva aderitoalla contestazione universitaria volta amettere fine alla guerra nel Vietnam.Aveva agitato la camicia insanguinatadel fratello alle manifestazioni chevedevano un afflusso sempre piùimponente di giovani, ma mentre parlavanon era il volto di Brett che avevadinanzi agli occhi: era il volto di suamadre, quel volto inebetito, di unapersona che non connette, sua madre chediceva: "Chi ha preso il giornale?"

Mike era fuggito tre anni più tardi,quando Jack ne aveva dodici: era andato

all'università del New Hampshire,grazie a una sostanziosa borsa di studio.Un anno dopo il padre era morto inseguito a un improvviso attaccocardiaco che l'aveva colpito mentrepreparava un paziente in vista di unintervento chirurgico. Era crollato conindosso la sua bianca uniforme dainfermiere, floscia e disordinata.

Probabilmente era morto ancorprima di toccare le piastrelle rosse enere del pavimento dell'ospedale, e tregiorni più tardi l'uomo che avevadominato la vita di Jacky, l'irrazionalediofantasma bianco, era sottoterra.

Sulla pietra tombale si leggeva:MarkAnthony Torrance, Padre Affettuoso.Jack avrebbe aggiunto una riga:Sapeva

giocare all'ascensore.Avevano incassato un sacco di soldi

di assicurazione. Vi sono persone chesottoscrivono polizze con lo stessoentusiasmo con cui altri fanno raccoltadi monete o di francobolli, e MarkTorrance apparteneva a quellacategoria. I soldi dell'assicurazioneerano arrivati nello stesso momento incui erano cessati i pagamenti dei premimensili e delle fatture di alcolici. Percinque anni erano stati ricchi. Quasiricchi...

Nel sonno leggero, inquieto, il suovolto gli si parò dinanzi come in unospecchio. Era e non era il suo volto, gliocchi stupefatti e la bocca dalla piega

innocente di un bambino seduto nelcorridoio con i suoi camion, in attesadel papà, in attesa del biancodiofantasma, in attesa che l'ascensoresalisse con inebriante, esilarantevelocità tra le esalazioni di osteria chesapevano di salino e di segatura, nellaprobabile attesa che l'ascensore sifracassasse a terra, facendogli usciredalle orecchie vecchie molle d'orologiomentre il suo papà emetteva risatescroscianti, e

(si tramutò nel volto di Danny, cosìsomigliante a quello che era stato il suo,i suoi occhi erano stati di un azzurrosbiadito, mentre quelli di Danny eranogrigio fumo, ma le labbra mostravano lastessa piega e la carnagione era chiara;

Danny nel suo studio, con indosso lemutandine di plastica e tutte le sue cartefradicie e il vago, appena avvertibilesentore di birra che ne esalava... unospaventoso intruglio in fermentazione,che si sollevava sulle ali del malto,l'alito delle osterie... lo schioccodell'ossola sua voce che miagolava contono da ubriacoDanny, stai bene,dottore? . . Oh Dio oh Dio il tuo poverobraccìno. . e quel volto si trasformavanel)

(volto inebetito della mamma, gonfioe sanguinante, che si alzava, emergendoda sotto il tavolo, e la mamma diceva)

("...da tuo padre. Ripeto, unannuncio oltremodo importante da parte

di tuo padre. Prego, resta sintonizzato osintonizzati immediatamente sullafrequenza dell'Allegro Jack. Ripeto,sintonizzati immediatamente sullafrequenza dell'Ora Allegra. Ripeto. . ")Una lenta dissolvenza. Voci disincarnateche riecheggiavano fino a lui comeattraverso un interminabile corridoioavvolto nella bruma.

(Cose che continuano a intralciarmi,caro Tommy. .)

(Medoc, ci sei? Ho fatto di nuovo lasonnambula, mio caro. Sono i mostridisumani che temo. .) ("Mi scusi, signorUllman, ma questo non è l'...")

... ufficio, con i suoi schedari, lagrande scrivania di Ullman, un registrodelle prenotazioni, vergine, per l'anno

prossimo, già sistemato al suo posto —non perde un colpo, quell'Ullman —tutte le chiavi appese in bell'ordine ailoro ganci

(fuorché una, quale, quale chiave, lachiave universale... la chiave universale,la chiave universale, chi ha preso lachiave universale? se andassimo disopra forse vedremmo) e la grossa radioricetrasmittente sullo scaffale.

L'accese. Comunicazioni diradioamatori che si sovrapponevano inbrevi squarci inframmezzati da scariche.Cambiò frequenza e fece scorrerel'asticella attraverso scrosci di musica,squarci di notizie, la voce di un preteche arringava una congregazione da cui

si levava un sordo lamento confuso, unbollettino meteorologico. £ poi un'altravoce sulla quale tornò a sintonizzarsi.Era la voce di suo padre.

"... ucciderlo. Devi ucciderlo, Jacky.E anche lei. Perché un vero artista devesoffrire. Perché ognuno uccide la cosache ama. Perché complotteranno semprecontro di te, tentando di trattenerti etrascinarti in basso. Proprio in questomomento quel tuo ragazzino si trova inun posto dove non dovrebbe essere.

Ha trasgredito. Ecco quel che stafacendo. È un maledetto cucciolo.Bastonalo, per questo, Jacky: bastonalofino a tramortirlo. Bevi un goccetto,Jacky, che poi giochiamo all'ascensore.E allora verrò con te mentre gli darai la

purga. So che sei capace di farlo, macerto che ne sei capace. Devi ucciderlo.

Devi assolutamente ucciderlo, Jacky.E anche lei. Perché un vero artista devesoffrire. Perché ognuno..."

La voce di suo padre che saliva,saliva, trasformandosi in qualcosa diesasperante, non più umana, qualcosa disquittente, petulante, esasperante, lavoce del diofantasma, del dioporco, chegli arrivava direttamente dalla radio e

"No!"urlò di rimando. "Tu seimorto,sei nellatomba, non sei per niente dentrodi me!" Perché lui aveva escluso ilpadre da sé; lo aveva escluso del tutto, enon era giusto che tornasse, strisciandoattraverso quest'albergo a tremila

chilometri di distanza dalla cittadina delNew England dove era vissuto e morto.

Sollevò la radio e la scaraventò aterra, dove si fracassò proiettandointorno vecchie molle da orologio evalvole come in conseguenza di unqualche pazzo gioco dell'ascensorefinito malamente, facendo svanire lavoce di suo padre, lasciando solo la suavoce, la voce di Jack, la voce di Jacky,che cantilenava nella fredda realtàdell'ufficio:

"...morto, sei morto, sei morto! "E l'improvviso rumore dei passi di

Wendy che risuonavano sul soffittosopra di lui, e la voce sorpresa,spaventata di Wendy: "Jack?Jack!"

Indugiò immobile, contemplando la

radio fracassata. Ora, a collegarli colmondo esterno, restava soltanto il gattodelle nevi nel capanno degli attrezzi.

Si portò le mani agli occhi,comprimendosele contro le tempie.

27Senza nemmeno infilarsi le scarpe

Wendy fece di corsa il corridoio e a duegradini per volta scese lo scalone cheportava nell'atrio. Se avesse alzato losguardo alla rampa coperta dallapassatoia che saliva al secondo pianoavrebbe visto Danny ritto in cima allescale, immobile e silenzioso, gli occhisfocati fissi in un punto imprecisatodello spazio, il pollice infilato nellabocca, il colletto e le spalle della

camicia umidicci. Sul collo e appenasotto il mento si vedevano vistoseecchimosi.

Le urla di Jack erano cessate, manon le paure di Wendy. Strappata alsonno dalla voce del marito, che si eralevata con la stridula prepotenza di untempo (Wendy la ricordava così bene),lei credeva ancora di sognare; maun'altra parte di lei sapeva che erasveglia, e questo accresceva il suoterrore. Quasi quasi si aspettava diirrompere nell'ufficio e di trovarlo rittosui corpo accasciato di Danny, ubriaco,la mente confusa.

Varcò l'uscio a precipizio e Jack eralì in piedi, che si massaggiava le tempiecon le dita. Aveva il volto di un pallore

spettrale. Ai suoi piedi giaceva laricetrasmittente, in una distesa di vetroin frantumi.

" Wendy?" chiese con vocemalferma. "Wendy...?"

Lo stupore pareva aumentare; e perun attimo Wendy scorse il suo verovolto, quello che di norma teneva celatocon tanta cura: un volto di disperatainfelicità, il volto di un animale preso inuna trappola che non aveva la capacitàdi decifrare e di rendere innocua. Poi imuscoli presero a lavorare, a vibraresotto la pelle; la bocca fu scossa da untremito leggero, il pomo d'Adamocominciò a muoversi su e giù.

Lo stupore e la sorpresa di Wendy

erano sopraffatti dallo shock: Jack stavaper scoppiare a piangere.

L'aveva già visto piangere, ma maida quando aveva smesso di bere... eanche a quei tempi, mai, a meno che nonfosse davvero ubriaco fradicio epateticamente travolto dai rimorsi. Jackera un uomo introverso, addiritturaermetico, e quando perdeva il controlloWendy si spaventava sempre come sefosse la prima volta.

Lui le si accostò, con le lacrime cheormai stavano per sgorgargli dallepalpebre, scuotendo il capo con un motoritmico involontario, come in un vanotentativo di tamponare quella tempestaemotiva, e il petto gli si sollevò in unansito convulso che si tradusse in un

enorme, sconvolgente singhiozzo. I suoipiedi, infilati in un paio di pantofole,inciamparono nei rottami della radio, eandò a caderle quasi tra le braccia,facendola barcollare all'indietro sotto ilsuo peso. Le alitò in piena faccia, e leinon avvertì alcun sentore di alcool.Certo che no; lassù, di alcool non cen'era.

"Cos'è che non va?" Lo sostennecome meglio poté. "Jack, cosasuccede?"

Ma lì per lì lui non seppe far altroche singhiozzare, aggrappandosi a lei,fin quasi a mozzarle il fiato, scuotendola testa sulla sua spalla in quel gestoimpotente, tremulo, di rifiuto.

"Jack? Che cosa c'è? Dimmi: cos'èche non va?"

Finalmente i singhiozzi accennaronoa tramutarsi in parole, dapprimaincoerenti, poi sempre più chiare a manoa mano che il fiotto delle lacrime siesauriva.

"... sogno. Credo che sia stato unsogno, ma era così vero, così reale, io...c'era mia madre che diceva che papàavrebbe parlato alla radio e io... lui...lui mi diceva di... non so, miurlavaqualcosa... e così ho spaccato la radio...per farlo tacere. Per farlo tacere. Èmorto. Non voglio sognare di lui. No,nemmeno questo. È morto. Mio Dio,Wendy, mio Dio. Non ho mai avuto un

incubo come questo. Non voglio avernealtri. Cristo, è stato orribile."

"Ti sei addormentato qui in ufficio?""No... non qui. Da basso." Ora

accennava a raddrizzare un tantino lespalle, liberandola del suo peso, e ilmovimento ritmato del capo, avanti eindietro, prima rallentò e poi cessò deltutto.

"Stavo sfogliando quelle vecchiecarte. Seduto su uno sgabello che hosistemato là sotto. Ricevute del latte.Roba senza importanza. E suppongo diessermi addormentato. È stato allora cheho cominciato a sognare. Devo averavuto una crisi di sonnambulismo edessere salito sin qui." Si sforzò diemettere una tremula risatina contro il

collo di Wendy."Dov'è Danny, Jack?""Non lo so. Non era con te?""Ma non era... da basso con te?"Si volse a guardare da sopra la

spalla e il volto gli si contrasse allavista dell'espressione di Wendy.

"Non mi permetterai mai didimenticarlo, vero, Wendy?"

"Jack...""Quando sarò sul letto di morte, ti

chinerai su di me per dirmi: 'Ben ti sta:ti ricordi quella volta che hai rotto ilbraccio a Danny?'"

"Jack!""Jack cosa?" le gridò in faccia,

adirato; poi scattò in piedi. "Vorresti

forse negare che non lo stai pensando?Che gli ho fatto del male? Che gli ho giàfatto del male una volta e potrei farglidel male un'altra volta?"

"Voglio solo sapere dov'è, tuttoqui!"

"Coraggio, urla con quanto fiato haiin gola, così tutto si sistemerà."

Wendy si volse e uscì dalla stanza.Lui la seguì con lo sguardo,

raggelato per un istante. Poi seguìWendy e la raggiunse accanto al bancodella portineria. Le posò le mani sullespalle e la costrinse a voltarsi. Il voltodi lei aveva un'espressione ferma, etuttavia cauta.

"Wendy, mi spiace. È stato il sogno.Sono sconvolto. Mi perdoni? "

"Ma certo," rispose lei, senza mutareespressione. Le sue spalle irrigidite sisottrassero alle mani di Jack. Wendy siportò al centro del vestibolo e chiamò:"Ehi, dottore! Dove sei?"

Silenzio. Wendy si avviò alledoppie porte dell'atrio, ne aprì una euscì sul viottolo che Jack aveva scavatotra la neve. Tornò a chiamare, colrespiro che si condensava in unanuvoletta bianca. Quando rientrò, la suaespressione appariva già alterata dallospavento.

"Sei sicura che non stia dormendo incamera sua?" disse Jack in tono naturale,dissimulando l'irritazione che provavaper lei.

"Te l'ho detto: stava giocando daqualche parte mentre io lavoravo amaglia. L'ho sentito muoversi da basso."

"Ti sei addormentata?""E questo che c'entra? Sì. Danny?""Hai dato un'occhiata in camera sua

quando sei scesa da basso poco fa?""Io..." S'interruppe.Jack annuì. "Credo proprio che tu

non l'abbia fatto."Imboccò le scale senza attenderla.

Wendy lo seguì quasi di corsa, ma Jackfaceva i gradini a due alla volta. Gli finìquasi addosso, quando si arrestò discatto sul pianerottolo del primo piano.Era là come se vi avesse messo radici,lo sguardo rivolto verso l'alto, gli occhi

sbarrati."Cosa...?" Fece per dire Wendy, e

seguì la direzione del suo sguardo.Danny era ancora là, gli occhi vacui,

a succhiarsi il pollice. I segni sulla golaerano chiaramente visibili alla lucedelle fiaccole elettriche del corridoio.

"Danny!"urlò Wendy.Quel grido spezzò la paralisi di

Jack. Insieme si precipitarono su per lescale per raggiungerlo. Wendy gli caddein ginocchio accanto e strinse il bambinofra le braccia. Danny la lasciò faredocile, ma non ricambiò l'abbraccio.Era come abbracciare un bastoneimbottito, e il sapore dolciastrodell'orrore le inondò la bocca.

"Danny, cos'è successo?" chiese

Jack. Tese la mano a sfiorare il gonfioresul collo di Danny. "Chi ti ha fattoques..."

"Nontoccarlo!"sibilò Wendy. SerròDanny tra le braccia, lo sollevò, e si eraallontanata raggiungendo il centro dellescale prima che Jack potesse farqualcosa di più che sollevarsi, confuso.

"Come? Wendy, cosa diavolo staipen..."

"Non toccarlo! Se ti riprovi amettergli le mani addosso t'ammazzo! "

"Wendy...""Bastardo!"Si girò e percorse a precipizio il

resto delle scale fino al primo piano.Mentre correva la testa di Danny

ballonzolava molle, su e giù. Teneva ilpollice fermamente infilato in bocca. Gliocchi erano come vetri insaponati. Aipiedi delle scale Wendy deviò a destra,e Jack udì i suoi passi allontanarsi. Laporta della camera da letto sbatté. Si udìscorrere il chiavistello. La chiave girònella toppa. Un breve silenzio. Poi ibassi suoni attutiti della consolazione.

Jack indugiò immobile, Dio sa perquanto tempo, paralizzato da tutto ciòche era accaduto in quei pochi momenti.Il ricordo del sogno era ancora vivido inlui, e proiettava su ogni cosa un'ombravagamente irreale. Era come se avessepreso una dose molto blanda dimescalina. Che avesse davvero fatto delmale a Danny come credeva Wendy?

Aveva forse tentato di strangolare suofiglio su richiesta del padre morto? No.Non avrebbe mai fatto del male a Danny.

(È caduto dalle scale, dottore.)Non avrebbe mai fatto del male a

Danny,ora.(Come facevo a sapere che la

bombola di insetticida era difettosa?) Invita sua non era mai stato volutamentecattivo, quando era sobrio.

(Tranne quando per poco non haiammazzato George Hatfield.)

"No" urlò nel buio. Si calò i pugnicon violenza sulle gambe, e ripeté quelgesto di collera ancora e ancora.

Wendy sedeva nella soffice poltronaimbottita accanto alla finestra con Danny

sulle ginocchia, e lo stringeva a sé,canticchiando le antiche parole senzasenso, quelle che dopo non si ricordanomai, indipendentemente da come vadanoa finire le cose. Danny le si erarannicchiato in grembo senza protestarené manifestare contentezza, come undoppione di se stesso, e i suoi occhi nonsi spostarono neppure in direzione dellaporta quando Jack urlò: "No!" daqualche parte nel corridoio.

La confusione le si era placata nellamente, ma ora, dietro la confusione,scopriva qualcosa di peggio: un senso dipanico.

Era stato Jack a farlo, Wendy nonaveva alcun dubbio in merito. Per lei, ilfatto che lui negasse non aveva alcun

significato. Riteneva del tutto plausibileche Jack avesse tentato di strangolareDanny nel sonno, così come nel sonnoaveva fracassato la ricetrasmittente. Chefosse una specie di esaurimentonervoso? Ma lei che mai avrebbe potutofare? Non avrebbe potuto restarsenechiusa lì dentro per sempre. Avrebberopur dovuto mangiare.

C'era in realtà solo una domanda, edera posta con una voce mentale diestrema freddezza, di rigorosopragmatismo: era la voce della suamaternità, una voce fredda espassionata, una volta che fosseindirizzata fuori dal circolo chiuso dimadre e figlio e in direzione di Jack. Era

una voce che parlava diautoconservazione solo dopo laconservazione del figlio, e la domandaera: (Esattamente, fino a che punto Jackera pericoloso?)

Aveva negato di averlo fatto. Erarimasto inorridito alla vista delleecchimosi, della quieta e implacabileastrazione di Danny. Era stato lui afarlo, un settore affatto autonomo di luine era pienamente responsabile. Il fattoche avesse compiuto il gesto mentredormiva era, seppure in una formaterribile e contorta, incoraggiante. Nonera possibile fidarsi di lui perché liportasse via di lì? Li portasse a valle elontano. Dopo di che...

Ma Wendy non riusciva a scorgere

nulla al di là del loro arrivo; di lei e diDanny, sani e salvi, all'ambulatorio deldottor Edmonds, a Sidewinder. Nonaveva necessità alcuna di vedere oltre.La crisi del momento era più chesufficiente a tenerle la mente occupata.

Cantilenava, cullandosi Danny sulpetto. Le sue dita, sulle spalle delbambino, avevano percepito l'umidoredella maglietta, ma non si erano curatedi trasmettere l'informazione al cervelloin termini più che fuggevoli. In casocontrario Wendy avrebbe potutoricordare che le mani di Jack, quandol'aveva abbracciata nell'ufficio e avevasinghiozzato contro il suo collo, eranoasciutte. Ciò avrebbe potuto concederle

un attimo di respiro. Ma la sua mente eraancora appuntata su altre cose.Occorreva prendere una decisione:avvicinare Jack oppure no?

Non che fosse una grave decisione,in realtà. Non c'era nulla che lei potessefare da sola, neppure portare Danny giùin ufficio e chiamare aiuto via radio. Ilbambino aveva subito un forte shock.

Avrebbe dovuto essere allofìtanatoal più presto, prima che fosse vittima diun trauma permanente.

E tuttavia esitava, dibattendosi incerca di un'alternativa. Non volevarimettere Danny alla portata di Jack.Adesso era consapevole di aver presouna decisione sbagliata quando eraandata contro i propri sentimenti (e

quelli di Danny) e aveva permesso allaneve di imprigionarli lassù... Per il benedi Jack, già. Un'altra decisione sbagliataera stata quella di accantonare l'idea deldivorzio. Ora era quasi paralizzata allaprospettiva di poter incorrere in un altroerrore: un errore di cui si sarebbepentita in ogni minuto di ogni giorno peril resto della sua vita.

In tutto l'albergo non esistevaun'arma da fuoco. C'erano coltelliappesi a pannelli magnetici in cucina,ma tra lei e i coltelli c'era Jack.

In quella sua lotta per decidere qualefosse la miglior cosa da fare, per trovareun'alternativa, non le venne nemmenofatto di pensare all'amara ironia di quei

pensieri: un'ora prima dormiva,fermamente convinta che le cosefilassero a meraviglia e che quantoprima sarebbero andate anche meglio.Ora stava considerando l'eventualità diusare un coltello da macellaio contro ilmarito, se solo avesse osato interferirenella sua vita e in quella del figlio.

Alla fine si alzò in piedi con Dannyin braccio. Le gambe le tremavano. Nonc'era altra via. Avrebbe dovuto supporreche Jack, da sveglio, fosse un Jack sanodi mente, e che l'avrebbe aiutata aportare Danny a Sidewinder dal dottorEdmonds. E se Jack avesse tentato di farqualcosa didiverso dall'aiutarla, che Dioaiutasselui.

Andò alla porta e la sbloccò,

spostandosi Danny contro la spalla;l'aprì e uscì nel corridoio.

"Jack?" chiamò con voce concitata,nervosa; ma non ottenne risposta.

Con crescente trepidazioneraggiunse lo scalone, ma Jack non c'era.E mentre se ne stava lì sul pianerottolo,chiedendosi che cosa dovesse fare ora,dal basso salì fino a lei un canto, pieno,rabbioso, amaramente satirico:

"RotolamiNel trifoooglio,Rotolami, stendimi e fallo ancor."Il suono della sua voce la spaventò

ancor più di quanto l'avesse spaventatail silenzio; e tuttavia non c'eraalternativa. Cominciò a scendere le

scale.

28Jack se n'era rimasto sulle scale ad

ascoltare i suoni cantilenanti, consolantiche giungevano attutiti da dietro la portasbarrata. Lentamente la confusioneaveva ceduto il passo alla collera. Lecose non erano mai realmente cambiate.Non per Wendy. Lui avrebbe potutotenersi alla larga dall'alcool anche pervent'anni; e comunque, ogniqualvoltafosse rientrato a casa di sera e lèi fossecorsa ad abbracciarlo sulla soglia,avrebbe visto e avvertito quel lievedilatarsi delle sue narici mentre cercavadi indovinare fumi di scotch o di gingaloppanti sul treno lanciato delle sue

esalazioni. Lei avrebbe sempre suppostoil peggio. Se lui e Danny fossero staticoinvolti in un incidente stradale con uncieco ubriaco che avesse avuto uninfarto appena prima dello scontro, leiavrebbe tacitamente imputato a lui leferite di Danny e gli avrebbe voltato lespalle.

La sua faccia, quando aveva portatovia di scatto Danny: l'aveva ancoradavanti agli occhi e a un tratto l'assalì ildesiderio di cancellare con un pugno lacollera che vi aveva letto.

Non aveva alcun diritto,maledizione!

Sì, magari i primi tempi. Lui erastato un vero lazzarone, aveva fatto cosesemplicemente spaventose.

Spezzare il braccio di Danny erastata una cosa terribile. Ma se uno siredime, non merita forse che prima o poila redenzione sia accreditata a suomerito? E se non l'otteneva, nonmeritava forse di agire in modoconforme alla fama che aveva? Se unpadre continua ad accusare la figliavergine di andare a letto con tutti iragazzi del liceo, non capita forse che laragazza alla fine si stufi e decida dicomportarsi in modo da meritarsi queirimproveri? E se una moglie in segreto(e non tanto in segreto, poi) continua acredere che il marito astemio sia unubriacone...

Si sollevò, a passo lento raggiunse il

pianerottolo del primo piano e indugiòun istante. Prese il fazzoletto dalla tascaposteriore dei calzoni, se lo passò sullelabbra e considerò l'idea di tempestaredi pugni la porta della camera da letto,esigendo che lo facesse entrare per potervedere suo figlio. Non aveva dirittoalcuno di essere così maledettamentetirannica.

Be', prima o poi avrebbe pur dovutouscire, a meno che non avesse inprogramma una drastica dieta perentrambi. A quel pensiero un sogghignocattivo gli aleggiò sulle labbra. Chefosse lèi a venire da lui. A tempo debitosi sarebbe decisa.

Scese al pianterreno, rimase unattimo accanto al banco della portineria

senza alcuna ragione particolare, poiprese a destra. I tavoli deserti, con letovaglie di lino immacolate eperfettamente stirate sotto la coltreprotettiva di plastica trasparentecolpirono il suo sguardo. Tutto eradeserto, ora, ma (La cena sarà servitaalle ore 20.

Smascheramento e ballo amezzanotte)

Jack si aggirò fra i tavoli,dimenticando per un istante la moglie eil figlio che stavano di sopra;dimenticando il sogno, la radiofracassata, le ecchimosi. Fece scorrerele dita sulle protezioni di plasticascivolose, tentando di immaginarsi come

dovesse esser stata l'atmosfera in quellacalda serata d'agosto del 1945, a guerravinta, col futuro che si spalancavadinanzi così nuovo, così imprevedibilenelle sue molteplici forme, come unpaese dei sogni. Le lanterne giapponesiaccese e variegate, appese tutt'attorno alviale semicircolare, la luce di un giallodorato che pioveva da quelle altefinestre contro le quali ora siaccumulava la neve. Uomini e donne incostume: qui una principessascintillante, là un cavaliere in altistivali, gioielli brillanti e brillantibattute dovunque, danze, bevandealcoliche che scorrevano a fiumi, primail vino e i cocktail e poi forse liquori,mentre il tono delle conversazioni saliva

e saliva sempre di più, finché il gridogioioso risuonava dal podio deldirettore d'orchestra, il grido di: "Giù lamaschera! Giù la maschera!"

(E la Morte Rossa dominava. .)Si ritrovò ritto all'altro capo della

sala da pranzo, proprio di fronte alleporte a vento stilizzate della ColoradoLounge dove, in quella notte del 1945,probabilmente si era bevuto gratis.

(Fatti sotto al bar, amico, offre lacasa.)

Varcò le porte a vento e procedettenell'ombra fonda, intensa del bar. Eaccadde una cosa strana. Era già stato lìdentro prima. Una volta per spuntarel'inventario che Ullman aveva lasciato,

per cui sapeva che il bar era statototalmente ripulito. Gli scaffali eranodeserti. Ma ora, fiocamente illuminatedalla luce che filtrava dalla sala dapranzo (a sua volta debolmenteilluminata a causa della neve chebloccava le finestre), credette discorgere file e file di bottiglie chebaluginavano appena dietro il bar, esifoni e persino la birra che gocciolavadagli spinotti dei tre rubinetti luccicanti.Sì, riusciva addirittura a percepireodore di birra, quell'odore umido efermentato, di malto, non diversodall'odore che ogni sera aleggiavavagamente attorno al volto di suo padre,allorché rientrava dal lavoro.

Sgranando gli occhi, cercò a tentoni

l'interruttore sul muro, e accese la bassaluce intima da bar. Gli scaffali eranovuoti. Non un granello di polvere. Lespine della birra erano asciutte, al paridegli scarichi cromati sotto di esse.Sulla sinistra e sulla destra, i separérivestiti di velluto si ergevano simili auomini dalla schiena dritta, ciascunostudiato per consentire il massimod'intimità alla coppia che vi cercavarifugio. Davanti a lui, oltre il pavimentoricoperto di moquette rossa, quarantasgabelli erano disposti attorno al bar aforma di ferro di cavallo. Ogni sgabelloera rivestito in pelle e recava inciso ilmarchio di una mandria di bestiame:Circolo H, Bar D Bar (il che si adattava

perfettamente), Dondolo W, Pigrone B.Si avvicinò, scuotendo il capo in un

lieve moto di stupore. Era come quelgiorno nel campo giochi quando... manon c'era senso alcuno a pensarci.Eppure avrebbe giurato di aver vistoquelle bottiglie.

Vagamente, era vero, così come siintravedono le sagome oscurate dellamobilia in una stanza nella quale sianostate tirate tutte le tende. Deboli riflessisul vetro. L'unica cosa che restava eraquel sentore di birra, e Jack sapeva chedopo un certo periodo di tempo quelsentore finiva con l'impregnare il legnodi ogni bar del mondo. E tuttavia l'odoregli era parso acuto, quasi fresco.

Sedette su uno degli sgabelli e

appoggiò i gomiti sull'orlo del barrivestito di pelle. Accanto alla sua manosinistra c'era una ciotola per lenoccioline, ora vuota, naturalmente. Erail primo bar in cui mettesse piede dadiciannove mesi e in quel maledettoposto non c'era una goccia da bere,dannazione.

Comunque, fu travolto da un'ondatadi nostalgia amara, prorompente, e ilbisogno fisico di qualcosa da bere parvesalirgli dentro, dal ventre fino alla gola,alla bocca, al naso.

Lanciò un'altra occhiata agli scaffali,in preda a una folle, irrazionalesperanza. Niente. Sogghignò, oppressodalla sofferenza e dalla delusione. I suoi

pugni, serrandosi lentamente,tracciarono graffi minuti sull'orlo dipelle imbottita del bar.

"Salve, Lloyd," disse. "Una serata unpo' fiacca, eh?"

Lloyd confermò e gli chiese cosapotesse servirgli.

"Sono proprio contento che tu mel'abbia chiesto," disse Jack. "Propriocontento. Perché si dà il caso che abbianel portafogli due ventoni e due deca etemevo che avrebbero dovuto marcircifino al prossimo aprile. Figurati che nonc'è nemmeno un autogrill da queste parti,ci crederesti? E io che credevo che cene fossero persino sulla luna, cavolo!"

Lloyd gli esternò la suacomprensione.

"Così, guarda un po'," riprese Jack."Adesso mi prepari venti martini di fila.Venti di fila, proprio così, evviva! Unoper ogni mese che ho passato a regimesecco e uno tanto per fare cifra tonda.Hai tempo, no? Non sei troppooccupato?"

Lloyd rispose che non era occupatoaffatto.

"Bravo. Metti in fila i marziani.Proprio qui, lungo il bar. Io li butterògiù l'uno dopo l'altro. Il fardellodell'uomo bianco, Lloyd, amico mìo."

Lloyd si girò a sbrigare l'incarico.Jack si frugò in tasca in cerca delportamonete a molla e ne estrasse unflaconcino di Excedrin. Il portamonete

era rimasto sullo scrittoio della camerada letto e naturalmente quellagambasecca di sua moglie l'avevachiuso fuori dalla camera. Una granbella scopata, Wendy. Maledetta puttanain calore.

"A quanto pare sonomomentaneamente al verde," disse Jack.Erano disposti a fargli credito in quellocale?

Lloyd disse che gli avrebbero fattocredito.

"Fantastico. Tu mi piaci, Lloyd. Seisempre stato il meglio di tutti. Il megliodi tutti i baristi tra Barre e Portland, nelMaine. E Portland, nell'Oregon,addirittura."

Lloyd lo ringraziò del complimento.

Jack svitò il cappuccio del flaconedi Excedrin. Lo scosse per farne usciredue compresse e se le cacciò in bocca.La bocca gli si inondò del ben notosapore acido, irresistibile.

A un tratto ebbe la sensazione diessere osservato da qualcuno, concuriosità e un certo disprezzo. I separéalle sue spalle erano occupati: c'eranosignori distinti dai capelli appenaspruzzati d'argento e belle ragazzegiovani, tutti in costume, cheosservavano con freddo divertimentoquella squallida esibizione di artedrammatica.

Jack roteò sullo sgabello.I separé erano tutti deserti e si

estendevano dalla porta della Loungeverso sinistra e verso destra. La fila allasua sinistra piegava ad angolo aEancheggiare la curva del bar a forma diferro di cavallo per tutta la brevelunghezza della stanza. Sedili e schienalidi pelle imbottita. Tavolini dal ripianodi formica scura e luccicante, unposacenere su ciascuno, una bustina difiammiferi in ogni posacenere, leparoleColorado Lounge stampate in orozecchino su ogni bustina, sopra lariproduzione delle porte a vento.

Si rigirò, ingoiando con una smorfiail resto dell'Excedrin disciolto.

"Lloyd, sei una meraviglia,"continuò. "Già pronti. La tua rapidità èbattuta soltanto dalla bellezza

sentimentale dei tuoi occhinapoletani.Salud. "

Jack contemplò i venti cocktailimmaginali, i bicchieri di martiniappannati di goccioline, ciascuno colsuo stecchino infilato in una grossa olivaverde. Riusciva quasi a sentire l'odoredel gin alitare nell'aria.

"Il carrozzone, come lo chiamano,"disse. "Hai mai fatto la conoscenza di unsignore che sia saltato sul carrozzone diquelli che hanno smesso di bere?"

Lloyd convenne di averneconosciuto qualcuno.

"E hai mai rifatto la conoscenza diun tipo del genere, dopo che è saltatogiù dal carrozzone e ha ripreso a bere?"

In tutta onestà, Lloyd non riuscivaproprio a ricordarsene.

"Allora vuol dire che non ti è maicapitato," disse Jack. Strinse la manoattorno al primo bicchiere, si portò ilpugno alla bocca aperta e alzò il gomito.Deglutì e si gettò il bicchiereimmaginario sopra la spalla. La genteera tornata, appena concluso il ballomascherato, e lo squadrava,nascondendo un sospetto di risate dietrole mani. Jack ne avvertiva la presenza.Se dietro il bancone del bar ci fossestato uno specchio, invece di queimaledetti, stupidi scaffali vuoti, avrebbepotuto vedere gli avventori.

Che lo guardassero pure. Che

andassero a farsi fottere. Che chi avevavoglia di guardarlo lo guardasse pure.

"No, non dev'esserti mai capitato,"ripeté a Lloyd. "Sono pochi quelli chescendono da quel mitico carrozzone, maquelli che lo fanno hanno tutti una storiaspaventosa da raccontare. Quando cisalti su, ti sembra il carrozzone piùcolorato, più pulito che tu abbia maivisto, con ruote di tre metri per tenere ilfondo ben sollevato dal rigagnolo nelquale stanno distesi tutti gli ubriaconicon le loro bottiglie di vino scadente, digrappa, di perfidi liquori. Ti sei lasciatoalle spalle tutta la gente che ti guarda incagnesco e ti dice di rimetterti incarreggiata, altrimenti è meglio che portii tuoi stracci da qualche altra parte.

Visto dal rigagnolo, è il carrozzonepiù bello che ti sia mai capirato sotto gliocchi, Lloyd, ragazzo mio.

Tutto imbandierato, con una fanfaradavanti e tre majorette per parte chefanno volteggiare le mazze e ti lascianointravedere le mutandine. Ragazzi, ci sisente proprio in dovere di saltarci su,sul carrozzone, e piantare in asso ibarboni che scolano fino all'ultimagoccia il calore in lattina e fiutano ilproprio vomito per sbronzarsi di nuovoe frugano lungo il rigagnolo in cerca dimozziconi con un centimetro di tabaccoancora attaccato al filtro."

Scolò altri due cocktail immaginari esi scagliò i bicchieri alle spalle. Gli

parve di udirli frantumarsi a terra. E,maledizione, cominciava davvero asentirsi un po' brillo. Era certol'Excedrin.

"E così ci salti su," disse a Lloyd,"e, accidenti, se sei contento ditrovartici. Mio Dio, sì, non ci sonodubbi. Quel carrozzone è il più grande,il più bello di tutto il corteo, e la gente ètutta lì ai lati delle strade, e inneggia, eapplaude freneticamente, e agita le maniin segno di saluto. Tranne gli sbronzisecchi completamente partiti, nelrigagnolo. Quei tipi una volta erano tuoiamici, ma adesso ti sei lasciato tutto etutti alle spalle."

Si portò il pugno vuoto alla bocca ene buttò giù un altro: quattro fatti fuori,

sedici ancora da mandar giù. Facevaprogressi, non c'era che dire. Ondeggiòun tantino sullo sgabello. Che loguardassero pure, se era quello chevolevano. Fatemi anche la fotografia,gente: durerà di più.

"E poi cominci a vedere certe cose,Lloyd, ragazzo mio. Cose che ti eranosfuggite dal rigagnolo. Per esempio, cheil pavimento del carrozzone è fattosoltanto di nude assi di pino, così pocostagionato che trasuda ancora la resina,e se dovessi toglierti le scarpe sarestisicuro di beccarti una scheggia. Che gliunici arredi del carrozzone consistono inquelle lunghe panche dall'alto schienale,affatto prive di cuscini, e che in realtà

sono semplici panche da chiesa con unlibro di preghiere distanziate un metro emezzo l'una dall'altra. Che tutta la genteseduta nei banchi sul carrozzone ècomposta di quelle beghine piatte comeassi, col vestito lungo, la goletta dimerletto attorno al collo e i capelliraccolti sulla nuca in una crocchia, matirati a tal punto, che ti par quasi disentirli protestare. E tutte le facce sonopiatte e pallide e lucide, e tutte cantano:'Ci raduneremo tutti al fiuuume, losplendido, lo splendidofiuuuuume,' edavanti a tutte c'è quella troia fetente coni capelli biondi che suona l'organo e glidice di cantare più forte, più forte, piùforte. E qualcuno ti sbatte un libro dipreghiere in mano e dice: 'Canta,

fratello. Se pretendi di restare su questocarrozzone devi cantare, mattino,pomeriggio e sera. Soprattutto la sera.'

Ed è allora che ti rendi conto di ciòche realmente è il carrozzone, Lloyd. Èuna chiesa con le sbarre alle finestre,una chiesa riservata alle donne e unaprigione per te."

Tacque. Lloyd se n'era andato.Peggio ancora, non c'era mai stato. Icoctkail non erano mai esistiti.

C'era solo la gente nei separé, lafolla reduce dal ballo mascherato; e luiriusciva quasi a udirne le risa soffocatementre si portavano le mani alla bocca elo additavano, gli occhi scintillanti dicrudeli puntolini luminosi.

Si volse un'altra volta di scatto."Lasciatemi..."

(in pace?)Tutti i separé erano deserti. L'eco

delle risa era svanita. Jack fissò per unlungo istante la Lounge deserta, gli occhisbarrati e cupi. Al centro della fronte glipulsava, visibile, una vena. Nelprofondo di lui si andava formando unafredda certezza: la certezza che glistesse dando di volta il cervello.Avvertì il bisogno di sollevare losgabello accanto al suo, di rovesciarlo edi attraversare quel posto come unturbine di vendetta. Invece tornò agirarsi verso il bar e prese a cantare asquarciagola:

"RotolamiNel trifooglio,Rotolami, stendimi e fallo ancor."Gli si parò dinanzi il volto di Danny:

non il solito volto di Danny, vivo esveglio, gli occhi scintillanti e briosi,ma il volto catatonico, spettrale di unestraneo, gli occhi opachi e velati, labocca infantilmente contratta attorno alpollice. Che stava facendo, seduto lì aparlare da solo come un adolescentescontroso, mentre suo figlio se ne stavadi sopra chissà dove, e si comportavacome chi debba venir rinchiuso in unacella dalle pareti imbottite; sicomportava allo stesso modo in cuiWally Hollis aveva detto che si era

comportato Vic Stenger prima chevenissero a portarlo via gli uomini colcamice bianco?

(Ma io non l'ho sfiorato neppure conun dito! Maledizione, non l'ho nemmenotoccato, io!)

"Jack?" La voce era timida, esitante.Fu così sorpreso, che per poco non

cadde dallo sgabello, girandosi discatto. Wendy era ritta appena oltre leporte a vènto, con Danny accoccolato trale braccia.

"Non l'ho nemmeno toccato," disseJack. "Non l'ho più toccato da quellasera che gli ho spaccato il braccio.Nemmeno per sculacciarlo."

"Jack, tutto questo non haimportanza, adesso. Quel che importa

è...""Importa, e come!"gridò lui. Abbatté

con violenza il pugno sul banco del bar,facendovi sobbalzare le ciotole vuotedelle noccioline. "Importa, maledizione!Eccome se importa!"

"Jack, dobbiamo portarlo giù avalle. È..."

Danny accennò ad agitarsi fra le suebraccia. L'espressione molle, vacua delsuo viso aveva preso a mutare.Contrasse le labbra, come chi avverta unsapore insolito. Sgranò gli occhi. Alzòle mani come a volerseli coprire e poi lelasciò ricadere.

Bruscamente s'irrigidì nelle bracciadi Wendy. Inarcò di scatto la schiena,

facendola barcollare, poi si mise aurlare: folli suoni che gli sfuggivanodalla gola strozzata; un pazzo,echeggiante singhiozzo dopo l'altro.Quei suoni sembrarono riempire tutto ilpianterreno deserto e rimbalzare su diloro come spettri che recassero unpresagio di morte.

"Jack!" gridò Wendy terrorizzata."Oh Dio, Jack, cosa gli stasuccedendo?"

Jack scese dallo sgabello, le gambeintorpidite, più spaventato di quantofosse mai stato in vita sua. In qualeabisso aveva mai affondato lo sguardosuo figlio? In quale cupo nido? E checosa c'era, là dentro, che l'aveva punto?

"Danny!" ruggì. "Danny!"

Danny lo vide. Si svincolò dallastretta della madre con una forza brutale,repentina, che non le diede modo ditrattenerlo. Wendy arretrò incespicandocontro uno dei separé e per poco non vicadde dentro.

"Papà!"urlò Danny, correndo daJack, gli occhi enormi e terrorizzati."Oh, papà, papà, era lei! Lei!

Lei! Oh paaapààà. ."Si precipitò nelle braccia di Jack,

facendolo barcollare, gli si aggrappòcon morsa tenace, e lì per lì lo tempestòdi pugni come un pugile; poi gli siavvinghiò alla cintura e gli singhiozzòcontro la camicia.

Jack sentiva il volto del figlio, caldo

e agitato, premergli contro il ventre.Papà, era lei.Jack abbassò lo sguardo sul volto di

Wendy. I suoi occhi sembravano piccolemonete d'argento.

"Wendy?" Una voce bassa, quasironfante. "Wendy, che cosa gli haifatto?"

Wendy lo guardò a sua volta,incredula e attonita, il volto pallido.Scosse il capo. "Oh Jack, se non lo saitu..."

Fuori era cominciato a nevicare.

29Jack portò Danny di peso in cucina.

Il bambino continuava a singhiozzareconvulso, senza freno, rifiutandosi di

sollevare il volto dal petto di Jack. Incucina il padre lo restituì a Wendy cheappariva ancora attonita e incredula.

"Jack, non so di che cosa stiaparlando. Ti prego, devi credermi."

"Ti credo," disse lui sebbenedovesse ammettere tra sé che provava uncerto piacere vedendo la situazionecapovolta con vertiginosa, inattesarapidità. Ma la collera nei confronti diWendy era stata soltanto un fuggevoleimpulso viscerale. In cuor suo sapevaperfettamente che Wendy si sarebbeversata una latta di benzina addosso eavrebbe acceso un fiammifero prima difar del male a Danny.

Il grosso bollitore per l'acqua del tèera sul bruciatore di fondo, regolato sul

minimo. Jack lasciò cadere una bustinafiltro nella sua grossa . tazza di ceramicae la riempì d'acqua a metà.

"Ce n'è di sherry, vero?" chiese aWendy.

"Cosa?... oh, certo. Due o trebottiglie."

"In quale credenza?"Lei gliela indicò e Jack ne tolse una

delle bottiglie. Versò una robusta dosenella tazza di tè, ripose lo sherry eriempì l'ultimo quarto della tazza collatte. Poi aggiunse tre cucchiai colmi dizucchero, mescolò e portò la tazza aDanny, che ora singhiozzava sommesso,tirando su col naso. Ma tremava ancorada capo a piedi, e aveva gli occhi

sbarrati, fissi in un'espressione attonita."Lo vuoi bere, dottore?" chiese Jack.

"Ha un pessimo sapore, ma dopo staraimeglio. Te la senti di berlo? Lo faiquesto favore al tuo papà?"

Danny fece segno di sì e prese latazza. Ne bevve un sorso, abbozzò unasmorfia e guardò Jack con espressioneinterrogativa. Jack annuì e Danny bevveun altro sorso. Wendy avvertì laconsueta fitta di gelosia da qualcheparte, dentro di sé, ben sapendo che ilbambino non avrebbe mai bevuto queltè, se glielo avesse offerto lei.

E subito dopo le si presentò un'ideaspiacevole, addirittura stupefacente: chein realtà avessevoluto credere che lacolpa fosse di Jack? Era davvero così

gelosa? Era proprio il modo in cuiavrebbe pensato sua madre, era questa,la cosa davvero orribile. Si ricordava diuna domenica che il suo papà l'avevaaccompagnata al parco e lei eraruzzolata dal secondo piolo del labirintodi tubi, sbucciandosi le ginocchia.Quando il padre l'aveva riaccompagnataa casa, sua madre l'avevainvestito:Cos'hai fatto?

aveva strillato.Perché non l'haitenuta d'occhio? Che razza di padre sei?

(L'aveva perseguitato fino allatomba. Quando lui aveva chiesto ildivorzio, era ormai troppo tardi.) Lei,Wendy, non aveva nemmeno concesso aJack il beneficio del dubbio. Del

minimo dubbio. Wendy si sentì ardere ilviso e tuttavia si rese conto con unasorta di impotente risolutezza che, semai si fossero venuti a trovarenell'identica situazione, lei avrebbepensato e agito nell'identico modo. Nelbene o nel male, si sarebbe portataappresso per sempre una parte di suamadre.

"Jack..." prese a dire, incerta seintendesse chiedergli scusa ogiustificarsi. Entrambe le cose, losapeva, sarebbero state inutili.

"Non ora," la interruppe lui.Danny ci mise un quarto d'ora a bere

metà del contenuto della grossa tazza, ea quel punto si era ormai visibilmentecalmato. I sussulti si erano quasi sedati.

Con gesto solenne Jack posò le manisulle spalle del figlio: "Danny, credi diriuscire a raccontarci esattamente quelche ti è capitato? È molto importante,sai?"

Danny spostò lo sguardo da Jack aWendy, poi lo riportò sul padre.

"Io voglio... dirvi tutto," risposeDanny. "Vorrei averlo fatto prima."Sollevò la tazza e la tenne fra le mani,come confortato dal calore che nesprigionava.

"E perché non l'hai fatto, caro?" Condolcezza Jack scostò dalla fronte diDanny i capelli arruffati, sudaticci.

"Perché zio Al ti ha trovato questolavoro. E io non riuscivo a immaginarmi

quanto per te questo posto fossevantaggioso e al tempo stesso sbagliato.Era..." Alzò gli occhi su di loro come incerca d'aiuto.

Non gli veniva la parola giusta."Un dilemma?" chiese Wendy con

dolcezza. "Quando sembra che non vadabene né una cosa né l'altra?"

"Sì, proprio così." Danny fece uncenno col capo, sollevato.

"Quel giorno che hai potato lesiepi," continuò Wendy, " Danny e ioabbiamo fatto una bella chiacchierata sulfurgoncino. È stato il giorno della primavera nevicata. Ricordi?"

Jack annuì. Il giorno che avevapotato le siepi era chiarissimo nella suamente.

Wendy sospirò. "Forse non abbiamochiacchierato abbastanza. Che ne pensi,dottore?"

Danny scosse il capo. Sembraval'incarnazione della sofferenza.

"Di cosa avete chiacchierato,esattamente?" chiese Jack. "Non sapreidire se sia molto contento che miamoglie e mio figlio..."

"... discorrano di quanto bene tivogliono?"

"Di qualunque cosa si sia trattato,non capisco. Mi sento come uno che siaentrato in una sala cinematograficaappena dopo l'intervallo tra il primo e ilsecondo tempo."

"Abbiamo parlato di te," disse

Wendy con voce pacata. "E forse nonabbiamo detto tutto a parole, ma losapevamo tutti e due. Io perché sono tuamoglie e Danny perché... capisce lecose."

Jack non rispose."Danny ha detto bene: questo posto

sembrava adatto per te. Qui eri al riparoda tutte le pressioni che ti rendevanotanto infelice a Stovington. Eri padronedelle tue azioni e della tua vita, lavoravimanualmente in modo da far riposare ilcervello... tutto il tuo cervello... in attesadi rimetterti a scrivere la sera. Poi... nonsaprei esattamente quando... è sembratoche questo posto cominciasse a nonessere più adatto per te. Passavi tuttoquel tempo giù in cantina, a sfogliare

quelle vecchie scartoffie, e a cercare diricostruire quella vecchia storia.Borbottavi nel sonno..."

"Nel sonno?" chiese Jack. Sul voltoaveva un'espressione cauta, stupefatta."Parlo nel sonno?"

"Per lo più sono suoni inarticolati.Una volta mi sono alzata per andare inbagno e tu stavi dicendo:

'All'inferno, facciamola finita unavolta per tutte, nessuno lo saprà, nessunolo saprà mai.' Un'altra volta mi haisvegliata urlando: 'Giù la maschera, giùla maschera, giù la maschera!'"

"Cristo!" esclamò lui e si passò unamano sul viso, in un gesto di sconforto edi imbarazzo.

"E anche tutti i tuoi tic di una volta,quando bevevi. Masticare compresse diExcedrin, continuare ad asciugarti labocca. L'irritazione mattutina. E non seiancora riuscito a terminare la commedia,vero?"

"No. Non ancora, ma è questione ditempo, tutto qui. Avevo in mentequalcos'altro... un nuovo progetto..."

"Questo albergo. Il progetto per ilquale ti ha telefonato Al Shockley.Quello al quale voleva che rinunciassi."

"Come fai a saperlo?" l'aggredìJack. " Hai origliato alla porta? Tu..."

"No. Se anche avessi voluto farlo,non avrei potuto origliare; tu stesso te nerenderesti conto se solo ci pensassi un

momento. Quella sera Danny e ioeravamo da basso. Il centralino è chiuso.Il nostro telefono di sopra era l'unicoche funzionasse nell'albergo, perché ècollegato direttamente con la lineaesterna. Sei stato proprio tu a dirmelo."

"E allora come fai a sapere che cosami ha detto Al?"

"Me l'ha detto Danny. Danny losapeva. Così come a volte sa quando lecose non si trovano al loro posto, oquando qualcuno medita di divorziare."

"Il dottore ha detto..."Wendy scòsse il capo, contrariata.

"Il dottore ha detto un sacco di balle e losappiamo tutti e due.

L'abbiamo sempre saputo. Ricordiquando Danny ha detto che voleva

vedere le pompe antincendio?Non è stata soltanto

un'impressione.Era poco più di unbamboccio. Luisa le cose. E adesso iotemo..."

Adocchiò l'ecchimosi sul collo diDanny.

"Sapevi sul serio che zio Al miaveva telefonato, Danny?"

Danny fece un cenno di assenso."Era proprio in collera, papà. Perché tuhai telefonato al signor Ullman e ilsignor Ullman ha telefonato a lui. Zio Alnon voleva che tu scrivessi qualcosasull'albergo."

"Gesù," ripeté Jack. "Le ecchimosi,Danny. Chi ha tentato di strangolarti?"

Il volto di Danny s'incupì."Lei,"rispose, "la donna in quella stanza.Nel 217. La signora morta."

Ripresero a tremargli le labbra;afferrò la tazza di tè e bevve.

Jack e Wendy si scambiaronoun'occhiata sgomenta.

"Ne sai qualcosa tu, in proposito?"le chiese Jack.

Wendy scosse il capo. "A propositodi questo, no."

"Danny?" Sollevò il volto impauritodel bambino. "Sforzati, figliolo. Cisiamo noi, accanto a te."

"Sapevo che questo posto erabrutto," riprese Danny a bassa voce."Fin da quando stavamo a Boulder.

Perché Tony me l'ha mostrato insogno."

"Che sogno?""Non riesco a ricordare tutto. Mi ha

fatto vedere l'albergo di notte, con unteschio e le ossa incrociate sullafacciata. E c'era il rimbombo di queicolpi. Qualcosa... non ricordo cosa...che m'inseguiva. Un mostro. Tony mi hafatto vedere il redrum."

"Cos'è, Danny?" chiese Wendy.Danny scosse la testa. "Non lo so.""Rum, come nella canzoncina:

yoohoh e una bottiglia di rum?" chieseJack.

Di nuovo Danny scosse il capo."Non lo so. Poi siamo venuti qui, e il

signor Hallorann mi ha parlato sulla suamacchina. Perché anche lui ha l'aura."

"L'aura?""È..." Danny abbozzò con le mani un

ampio gesto che abbracciava ogni cosa."L'aura è... vuol dire capire le cose.Sapere le cose. Qualche volta certe cosesi riesce a vederle. Come me, chesapevo che zio Al ha telefonato. E ilsignor Hallorann che sapeva che michiamate dottore. Il signor Hallorannstava pelando le patate quando faceva ilsoldato e all'improvviso ha saputo chesuo fratello era rimasto ucciso in unincidente ferroviario. E quando hatelefonato a casa, era proprio vero."

"Cielo," bisbigliò Jack. "Non tel'inventi mica, eh, Danny?"

Danny scosse il capo con foga. "No,giuro su Dio." Poi, con una puntad'orgoglio, soggiunse: "Il signorHallorann ha detto che io ho l'aura piùforte di tutti quelli che abbia maiconosciuto. Siamo riusciti a parlare tranoi senza aprire mai la bocca. Il signorHallorann mi ha preso in disparte perchéera preoccupato," proseguì. "Mi ha dettoche questo era un brutto posto per quelliche hanno l'aura. Ha detto che avevavisto certe cose. Ho visto qualcosaanch'io. Poco dopo aver parlato con lui.Quando il signor Ulltnan ci ha portati afare il giro dell'albergo."

"Cos'era?" chiese Jack."Nella Bomboniera Presidenziale.

Sul muro vicino alla porta che dà nellacamera da letto. Una gran macchia disangue e di qualche altra cosa. Una cosache colava. Credo... che la cosa checolava fosse materia... materiacerebrale."

"Oh, mio Dio!" esclamò Jack.Ora Wendy era pallidissima, aveva

le labbra grigiastre."Questo posto," disse Jack. "Tempo

fa, ne sono stati padroni certi individuipoco raccomandabili.

Gente di Las Vegas che fa partedell'industria del crimine."

"Imbroglioni?" chiese Danny."Già, imbroglioni." Jack guardò

Wendy. "Nel 1966 un pezzo grosso dellamafia che si chiamava Vito Gianelli è

stato ammazzato là sopra, assieme allesue due guardie del corpo. C'era ancheuna fotografia nel giornale. Danny hadescritto quella fotografia nei minimiparticolari."

" Il signor Hallorann ha detto che havisto anche qualcos'altro," riprese a direDanny. "Una volta, nel campo giochi. Eun'altra volta c'era qualcosa di brutto inquella stanza. Il 217. Una cameriera l'havisto e ha perso il posto perché l'hadetto in giro. E allora il signorHallorann è andato su e l'ha visto anchelui. Ma non ne ha parlato a nessunoperché temeva di perdere il posto. A meperò ha detto di non metter piede làdentro. Io invece ci sono andato. Perché

gli ho creduto, quando ha detto che lecose che si vedono qui non possono fartidel male." Quest'ultima frase fupronunciata con voce bassa, soffocata, eDanny si portò una mano al collo,sfiorando gli anelli di ecchimositumefatte.

"E per quanto riguarda il parcogiochi?" chiese Jack con una voce chevoleva suonare noncurante.

"Non so. Il parco giochi, ha detto. Ele siepi a forma di animali."

Jack ebbe un lieve trasalimento, eWendy lo fissò incuriosita.

"Hai visto qualcosa laggiù, Jack?""No. Niente."Danny lo fissava."Niente," ripeté Jack, più calmo. Ed

era vero. Era rimasto vittima diun'allucinazione. Tutto qui.

"Danny, parlaci della donna," loesortò Wendy con dolcezza.

"Sono entrato," spiegò. "Ho rubatola chiave universale e sono entrato. Èstato come se non potessi farne a meno.Dovevo sapere. Era nu... nuda... nonaveva vestiti addosso." Guardò la madrecon espressione afflitta. "Ha cominciatoa tirarsi su e voleva me. Lo so perchél'ho sentito. Non pensava, lei.

Non pensava come pensate tu epapà. Era nero... era un pensiero di fardel male... come... come le vespe quellasera in camera mia! Voleva soltanto fardel male. Come le vespe."

Deglutì a vuoto e per un momentoregnò il silenzio, un silenzio assoluto,mentre l'immagine delle vespes'imprimeva nella loro mente.

"Così sono scappato," continuòDanny. "Sono scappato, ma la porta erachiusa. L'avevo lasciata aperta, maadesso era chiusa. Non ho pensato chebastava riaprirla e correre fuori. Erospaventato. E così mi sono... mi sonosolo appoggiato alla porta e ho chiusogli occhi e ho pensato a quello che miaveva detto il signor Hallorann, che lecose che ci sono qui sono come leillustrazioni dei libri, niente di più, eche se... continuavo a dirmi...non ci sei,vattene via, non ci sei. . lei se ne

sarebbe andata. Ma non ha funzionato."La voce di Danny prese a salire di

tono, a farsi stridula, isterica."Mi ha afferrato... mi ha fatto

girare... e ho visto i suoi occhi...com'erano i suoi occhi... e lei hacominciato a strangolarmi... ho sentito ilsuo odore...ho sentito dal suo odore cheera proprio morta. . "

"Basta, adesso. Ssst!" ingiunseWendy, allarmata. "Basta, Danny. Vatutto bene. È..."

Si accingeva a riattaccare con lacantilena.LaCantilenaBuonaperOgniOccasione diWendy Torrance.

Brevettata, in esclusiva."Lascialo finire," tagliò corto Jack.

"Non c'è altro," continuò Danny."Sono svenuto. O perché lei mistrangolava o solo perché erospaventato. Quando ho ripreso i sensisognavo che tu e mamma litigavate percolpa mia e tu, papà, avevi di nuovovoglia di fare la Brutta Cosa. E poi hocapito che non era un sogno... e mi sonosvegliato... e... mi sono fatto la pipìaddosso. Mi sono fatto la pipì addossocome un bambino piccolo."

Lasciò ricadere il capo contro ilmaglioncino di Wendy e si mise apiangere, sfinito, distrutto, le mani inertie molli abbandonate in grembo.

Jack si alzò. "Tu, bada a lui.""Che cosa vuoi fare?" Il volto di

Wendy era una maschera di terrore."Salgo in quella stanza. Cosa

pensavi che intendessi fare? C'è un po'di caffè?"

"No! Non farlo, Jack, ti prego,nonfarlo! "

"Wendy, se c'è qualcun altro inalbergo, dobbiamo saperlo."

"Non osare lasciarci qui da soli!"glistrillò.

Jack disse: "Wendy, ti sei esibita inun'ottima imitazione di tua madre."

Lei scoppiò in lacrime, offesa eavvilita. Non poteva nascondersi il viso,perché stringeva Danny fra le braccia.

"Mi spiace," disse Jack. "Ma devofarlo, lo sai. Sono il custode,maledizione! Mi pagano per farlo,

questo fottuto lavoro! "Lei prese a urlare ancor più forte, e

Jack uscì dalla cucina, lasciandola inquello stato e chiudendosi la porta allespalle.

"Non preoccuparti, mamma," disseDanny. "Non gli succederà niente. Luinon irradia. Niente, qui, gli può fare delmale."

30Per salire prese l'ascensore e fu una

strana decisione perché nessuno di loroaveva usato l'ascensore da quando sierano trasferiti lì. Spinse verso l'alto laleva di ottone e la cabina si mossegemendo e vibrando su per il vano: lagriglia di ottone che sferragliava senza

misericordia. Wendy manifestava unvero e proprio orrore claustrofobico perl'ascensore, Jack lo sapeva.S'immaginava loro tre intrappolati nellacabina tra un piano e l'altro mentre fuoriinfuriavano le bufere invernali. Vedevatutti e tre diventare sempre più magri epiù deboli, fino a morir di fame. Omagari costretti a cibarsi delle rispettivecarni, come avevano fatto quei giocatoridi rugby. Jack ricordava un autoadesivoche aveva visto appiccicato al paraurtidi una macchina, a Boulder, IGIOCATORI DI RUGBY MANGIANOI LORO MORTI. Ne immaginò altri, SIÈ QUEL CHE SI MANGIA. O pietanzeelencate in un menu.

Benvenuti al Ristorante

dell'Overlook, vanto delle MontagneRocciose. Mangiate nello Splendore delTetto del Mondo. Cosciotto UmanoArrostito sui Fiammiferi,Specialità de laMaison. Il sorriso sprezzante tornò ailluminargli i tratti del viso. Quando ilnumero 2 si profilò sul muro del vano,riportò la leva di ottone nella posizioneoriginale e l'ascensore si arrestòcigolando. Levò di tasca il flacone diExcedrin, se ne fece scivolare trecompresse sul palmo della mano e aprìil cancelletto dell'ascensore.

Niente gli metteva paura,all'Overlook. Sentiva che tra lui el'albergo c'era una corrente di simpatia.

Risalì il corridoio, ficcandosi in

bocca le compresse e masticandole l'unadopo l'altra. Svoltò all'angolo,imboccando la breve diramazione. Laporta della camera 217 era socchiusa, ela chiave universale pendeva dallatoppa, con attaccata la targhetta bianca.

Entrò. La luce centrale era accesa.Diede un'occhiata al letto, constatò chenon era in disordine; poi attraversò lastanza senza esitare, in direzione dellaporta del bagno. Una singolare certezzasi era andata consolidando in lui.Sebbene Watson non avesse accennato anomi o numeri di stanza, Jack era sicuroche quella fosse la camera doveavevano alloggiato la mogliedell'avvocato e il suo stallone, chequello era il bagno dove l'avevano

trovata morta, piena fino al gozzo dibarbiturici e alcool della ColoradoLounge.

Spinse la porta aperta del bagno,rivestita di specchio, e varcò la soglia.Lì dentro la luce era spenta.

L'accese ed esaminò la lunga stanzache ricordava una carrozza ferroviaria,arredata nel tipico stileprincipiodisecolorinnovatoneglianniventiche pareva contraddistinguere tutti ibagni dell'Overlook, a eccezione diquelli del terzo piano, in stile bizantino,come si addiceva ai sovrani, aipoliticanti, ai divi del cinema e agli altipapaveri che vi si erano avvicendati nelcorso degli anni.

La tenda della doccia, di un pallidorosa pastello, era tirata a nascondere lalunga vasca con le zampe di leone.

(eppure si erano mosse)La collera contro Danny svanì, e

mentre Jack faceva un passo avanti etirava la tenda della doccia, aveva labocca arida e provava solo simpatia peril figlio e terrore per se stesso.

La vasca era asciutta e vuota.Sollievo e irritazione esplosero in

lui con un'esclamazione subitanea chegli sfuggì dalle labbra serrate come unlievissimo scoppiettio. A fine stagionela vasca era stata pulita e strofinata adovere.

Scintillava, letteralmente, fuorché

per la macchia di ruggine sotto irubinetti gemelli. Si avvertiva un lieve,virtuoso immacolato odore di detersivo.

Jack si chinò e fece scorrere la puntadelle dita sulla superficie interna dellavasca. Asciutta come il deserto. Non siavvertiva la minima traccia di umidità.Danny era stato vittima diun'allucinazione, oppure mentivaspudoratamente. Tornò ad assalirlo unaccesso di collera. E fu allora che iltappetino sul pavimento attrasse la suaattenzione. Che ci faceva, lì, queltappetino? Come mai non eranell'armadio della biancheria, in fondo aquell'ala dell'albergo, con le lenzuola, letovaglie, le federe?

Tutta la biancheria andava riposta là

dentro. Nelle stanze degli ospiti,neppure i letti apparivano rifatti. Imaterassi erano stati infilati in involucridi plastica trasparente, chiusi dacerniere lampo e poi nascosti daicopriletti. Jack supponeva che Dannyfosse andato a prenderne uno, in quantola chiave universale apriva anche losgabuzzino della biancheria, ma perché?Vi strofinò avanti e indietro la puntadelle dita: il tappetino era perfettamenteasciutto.

Tornò alla porta del bagno e indugiòsulla soglia. Tutto era in ordine. Ilbambino doveva aver sognato.

Non c'era una sola cosa fuori posto.Il particolare del tappetino era un tantino

sconcertante, questo sì, ma laspiegazione logica e più banale era cheuna cameriera, nella gran frettadell'ultimo giorno di stagione, si fossedimenticata di portarlo via.

Dilatò le narici. Quell'odorevirtuoso...

Sapone?Impossibile. Ma una volta

identificato l'odore, era troppo precisoper liquidarlo così. Sapone. E non unadi quelle minuscole saponette di cuisono corredate le stanze degli alberghi edei motel. Quel sentore era lieve eprofumato. Sapone da signora. Avevauna sorta di odore roseo. Camay oLowila, la marca che Wendy avevasempre usato a Stovington.

(Non è niente. È solo la tuaimmaginazione.)

(sì come le siepi eppure si eranomosse)

(Non si erano mosse!)Attraversò la stanza a grandi balzi e

raggiunse la porta che dava sulcorridoio, avvertendo il sordo martellioirregolare del mal di testa checominciava a pulsargli alle tempie. Quelgiorno erano accadute troppe cose,davvero troppe. Non avrebbesculacciato il bambino né gli avrebbeimpartito una lezione.

Si sarebbe limitato a parlargli, ma,perdio, non aveva proprio intenzione diaggiungere ai suoi problemi anche la

camera 217. Non certo in base a untappetino asciutto e a un lieve profumodi saponetta Lowila. Lui...

Alle sue spalle risuonò unimprovviso rumore metallico tintinnante.

Jack ebbe un trasalimentospasmodico; sbarrò gli occhi, mentre imuscoli del viso gli si contraevano inuna smorfia di terrore.

Adesso la tenda della doccia, ch'eglipoc'anzi aveva sospinto indietro perosservare la vasca, appariva tirata.Caldi rivoli di paura gli scorrevanonelle vene, simili a quelli che avevapercepito quando si trovava nel campogiochi.

C'era qualcosa dietro la tenda diplastica rosa della doccia. C'era

qualcosa nella vasca.Riusciva a scorgerlo, contorni vaghi

e indefiniti attraverso la plastica, unaforma quasi amorfa. Un gioco di luci?L'ombra del braccio della doccia. Unadonna morta da tempo e distesanell'acqua del bagno, una saponettaLowila in una mano irrigidita, mentreattendeva paziente che arrivasse il suoamante.

Jack si disse che doveva trovare ilcoraggio di sollevare la tenda. Mainvece si voltò e con balzi goffi,sussultanti, arretrò terrorizzato nellacamera da letto.

La porta che dava sul corridoio erachiusa.

La fissò per un lungo, immobileistante, assaporava il terrore, ora. Se losentiva in fondo alla gola come unsapore di ciliegie fradicie.

Si accostò alla porta con lo stessopasso sobbalzante e costrinse le dita astringersi attorno alla maniglia.

(Non si aprirà.)Si aprì.Spense la luce con gesto affannoso,

uscì nel corridoio e chiuse di scatto laporta senza voltarsi a guardare.Dall'interno gli parve di udire uno stranorumore di tonfi umidi, Iontanissimo,vago, come se qualcosa si fossesollevato dalla vasca, quasi a dare ilbenvenuto a un visitatore, quasi si fosse

reso conto che il visitatore si stavaallontanando prima di esaurire iconvenevoli, e così, ora, si precipitassealla porta, bluastra e sogghignante, perrichiamare all'interno il visitatore.Magari per sempre.

Passi che si avvicinavano alla portao soltanto il battito del cuore cheavvertiva dentro le orecchie?

Trafficò con la chiave universale.Pareva vischiosa, come se non volessegirare nella toppa. Riuscì a infilarla. Laserratura scattò e Jack fece un passoindietro, appoggiandosi alla pareteopposta del corridoio, mentre glisfuggiva un lieve gemito di sollievo.Chiuse gli occhi e tutte le vecchie frasipresero a scorrergli nella mente, e

pareva che dovessero esisterne acentinaia, (perdere la bussola stai dandoi numeri amico quello è completamentesvitato gli ha dato di volta il cervello glimanca proprio una rotella, anzi tutti ivenerdì)

e volevano dire tutte la stessacosa:impazzire.

"No," gemette, a stento consapevoledi essere ridotto a gemere con gli occhichiusi come un bambino.

"Oh no, Dio. Ti prego, Dio. No."Ma sotto la confusione di quei

pensieri caotici, sotto il battito freneticodel cuore udiva il leggero e vano rumoredella maniglia che veniva girata innanzie indietro come se qualcuno, chiuso

all'interno, tentasse disperatamente diuscire; qualcuno che voleva conoscerlo,qualcuno cui sarebbe piaciuto esserepresentato ai suoi familiari mentre labufera urlava attorno a loro e la biancaluce del giorno si tramutava nelletenebre della notte. Se avesse aperto gliocchi e avesse visto quella manigliamuoversi, sarebbe impazzito. Così litenne chiusi e, dopo un lasso di tempoindefinibile, regnò il silenzio.

Jack si costrinse ad aprire gli occhi,convinto a mezzo che, quando l'avessefatto, lei sarebbe stata lì, ritta dinanzi alui. Ma il corridoio era deserto.

Eppure si sentiva spiato.Fissò lo spioncino al centro della

porta e si chiese che sarebbe accaduto

se vi si fosse accostato, avesse guardatodentro. Con chi si sarebbe trovato, cosìa quattr'occhi?

I suoi piedi presero a muoversi(piedi non traditemi ora)prima che se ne rendesse conto. Li

allontanò dalla porta e ridiscese ilcorridoio principale, e i suoi piedifrusciavano sul tappetogiungla nero eblu. Si arrestò amezza strada tra l'angoloe le scale a osservare l'estintore. Gliparve che gli anelli di tela fosseroavvolti in modo un po' diverso, e si sentìquasi certo che il beccuccio di ottonefosse puntato in direzione dell'ascensorequando aveva risalito il corridoio. Oraera girato nella direzione opposta.

"Macché, non l'ho visto," disse JackTorrance con voce abbastanza chiara.Era pallido, stravolto. La boccacontinuava ad abbozzare un sorrisostentato.

Per ridiscendere non presel'ascensore. Somigliava troppo a unabocca aperta. Imboccò le scale.

31Entrò in cucina e li guardò,

lanciando in aria la chiave universale eriafferrandola prontamente a volo.

Danny appariva pallido ed esausto.Wendy aveva pianto, si accorse Jack:aveva gli occhi rossi e cerchiati. Aquella vista provò un improvviso impetodi contentezza. Non era il solo a soffrire,

questo era certo.Lo guardarono, muti."Non c'è niente là dentro," disse,

stupefatto egli stesso del tono disteso ecordiale della sua voce.

"Assolutamente niente."Fece saltare su e giù la chiave

universale, con gesto meccanico,ripetuto, sorridendo alla moglie e alfiglio con aria rassicurante, osservandol'espressione di sollievo che sidiffondeva sui loro volti; e sentì che nonaveva mai desiderato tanto qualcosa dabere in vita sua come lo desiderava inquel momento.

32Quel pomeriggio, sul tardi, Jack

prese una brandina dal ripostiglio delprimo piano e la sistemò in un angolodella camera da letto. Wendy si eraaspettata che il bambino stentasse aprendere sonno; invece Danny si stavaaddormentando prima che il telefilmfosse giunto a metà, e un quarto d'oradopo gli rimboccavano le coperte,mentre lui riposava immobile, la guanciaposata su una mano. Wendy indugiò acontemplarlo, tenendo il segno con undito nella spessa edizione economicadiCashelmara. Jack sedeva allascrivania, lo sguardo chino sullacommedia.

"Maledizione!" esclamò.Wendy alzò gli occhi dalla

contemplazione di Danny. "Cosa?"

"Niente."Come aveva potuto credere che

fosse un buon lavoro, quella dannatacommedia? Era puerile. L'aveva rifattacento volte. Peggio, non aveva la piùpallida idea di come concluderla. Unavolta gli era parso abbastanza facile. Inun impeto di rabbia Denker afferral'attizzatoio accanto al caminetto e pestadi santa ragione Gary fino adaccopparlo. Poi, ritto a gambedivaricate sopra il corpo, l'attizzatoioinsanguinato in una mano, urla, rivolto alpubblico: "È qui, da qualche parte, e iolo troverò!" Dopo di che, mentre le lucisi abbassano e cala lentamente ilsipario, il pubblico vede il corpo di

Gary bocconi alla ribalta mentre Denkersi porta a grandi passi accanto allalibreria sullo sfondo e con gesto febbrilecomincia a togliere i libri dagli scaffali,guardandoli, gettandoli da parte. Jackaveva pensato che fosse qualcosa diabbastanza vecchio per essere nuovo, undramma la cui novità già da sola potessebastare per ottenere successo aBroadway: una tragedia in cinque atti.

Ma, in aggiunta alla sua repentinadiversione d'interesse verso la storiadell'Overlook, era accadutoqualcos'altro. Gli erano nati dentrosentimenti contrastanti riguardo aipersonaggi. Si trattava di qualcosa dinuovo. Di norma egli amava tutti i suoipersonaggi, senza distinzione fra "buoni"

e"cattivi". Tentava di individuarne

chiaramente tutti gli aspetti e dicomprenderne più chiaramente lemotivazioni. Il suo racconto preferito,venduto a una piccola rivista delSouthMaine che si chiamavaCopiecontrabbandate, era stato un pezzointitolatoLa scimmia è qui, Paul DeLong.Narrava di un bruto che è sul punto dicommettere suicidio nella sua cameraammobiliata. Il bruto si chiamava PaulDeLong, Scimmia per gli amici.

Aveva iniziatoLa piccola scuola conla stessa vena ottimistica. Ma di recenteaveva cominciato a patteggiare e, peggioancora, era arrivato al punto di detestare

il protagonista, Gary Benson. Concepitooriginariamente sotto le spoglie di unragazzo intelligente, più maledetto chebenedetto dal denaro, un ragazzo chevoleva più di ogni altra cosa riuscirebene a scuola in modo da potersiiscrivere a una buona università perchés'era guadagnato il diritto di ammissionee non perché suo padre aveva untoqualche ruota, si era trasformato agliocchi di Jack in una sorta di affettatoBonaccione Opportunista, un postulantedinanzi all'altare della conoscenza piùche un accolito sincero, un paragoneesteriorizzato delle virtù del boyscout,interiormente cinico, pieno non già divera e propria intelligenza, come erastato concepito all'inizio, ma solo di

un'ambigua scaltrezza animale.Non era riuscito a terminare il

dramma.Ora sedeva a guardarlo, accigliato,

chiedendosi se esistesse un sistema perriuscire a salvare la situazione. Mafrancamente non credeva che esistesse.Aveva cominciato con un dramma e ildramma, chissà come, si era tramutato inun altro, come in un trucco daprestigiatore. Be', al diavolo. In unmodo o nell'altro, ormai era cosa fatta.In un modo o nell'altro, era un veroschifo. Ma perché continuava aimpazzirci sopra? Dopo la giornata cheaveva avuto, era logico che nonriuscisse a mettere a fuoco le idee.

"... portarlo giù?"Jack alzò lo sguardo, sforzandosi di

scacciare dalle pupille le ragnatele chel'offuscavano. "Eh?"

"Ho detto: come facciamo a portarlogiù? Dobbiamo portarlo via di qui,Jack."

Per un momento la sua mente fu cosìstordita, che non era nemmeno certo diciò di cui Wendy stava parlando. Poi sene rese conto e proruppe in una breverisata chioccia.

"Lo dici come se fosse una cosafacile."

"Non volevo...""Nessun problema, Wendy. Basterà

che mi cambi d'abito in quella cabina

telefonica giù nell'atrio e me lo porti avolo a Denver. Superman Jack Torrance,mi chiamavano ai bei tempi dellagioventù."

Il volto di Wendy tradì l'angosciainteriore.

"Capisco tutto, Jack. La radio è apezzi. La neve... ma tu devi capire ilproblema di Danny. Mio Dio, tu noncapisci... Era quasi catatonico, Jack! Ese non ne fosse uscito?"

"Ma ne è uscito invece! " reagì Jack,asciutto. Più ci ripensava, più sichiedeva se non si fosse trattato di unafinzione inscenata per sottrarsi allagiusta punizione. Aveva disobbedito,dopotutto.

"A ogni modo..." riprese Wendy. Gli

venne accanto e sedette sul bordo delletto vicino alla scrivania.

Il suo viso esprimeva stupore epreoccupazione. "Jack, le ecchimosi sulcollo! Qualcosa l'ha afferrato.

E io voglio portarlo via di. qui!""Non urlare," disse Jack. "Mi fa

male la testa, Wendy. Sono preoccupatoquanto te per la faccenda, per cui tiprego... non... urlare."

"E va bene." Abbassò la voce. "Nonurlerò. Ma non ti capisco, Jack. C'èqualcuno qua dentro con noi.

E non è un personaggio dei piùsimpatici. Dobbiamo andare aSidewinder: non solo Danny, ma tutti etre. E subito, anche. E tu... tu te ne stai lì

a leggere il tuodramma! ""'Dobbiamo andare, dobbiamo

andare.' Non fai che ripeterti. Deviproprio pensare che io sia Superman."

"Penso che sei mio marito," disse leisottovoce, e chinò lo sguardo a fissarsile mani.

La collera di Jack esplose.Scaraventò il dattiloscritto sul tavolo,scompigliandone un'ennesima volta tuttii fogli.

"È ora che tu prenda coscienza delleverità, Wendy. Si direbbe che tu non leabbia interiorizzate, cóme dicono glipsicologi. Se ne vanno a spasso per latua testa come tante palle da bigliardo,alla rinfusa.

Devi mandarle in buca. Devi capire

che siamoprigionieri della neve." A untratto Danny si era messo ad agitarsi nelletto. Senza destarsi, aveva preso adimenarsi e rigirarsi. Proprio come hasempre fatto quando litigavamo, pensòlei con tristezza. E stiamo di nuovolitigando.

"Non svegliarlo, Jack. Per favore."Jack scoccò un'occhiata a Danny e

un po' del rossore gli defluì dalleguance. "D'accordo. Mi spiace.

Mi spiace di aver parlato in predaalla collera, Wendy. Non si trattarealmente di te. Ma ho rotto la radio. Sec'è un colpevole, quello sono io. Laradio era il nostro mezzo dicomunicazione con l'esterno.

Liberi tutti! Per favore, venga aprenderci, signor ranger. Non possiamorestare all'aperto in una stagione simile."

"No," disse Wendy, posandogli unamano sulla spalla. Jack reclinò il caposulla mano. Lei gli scompigliò i capellicon l'altra. "Credo che tu abbia tutti idiritti, dopo le accuse che ti ho mosso.A volte sono come mia madre. Micomporto come una troia. Certe cose...sono difficili da superare. Devicapirmi."

"Alludi al braccio di Danny?" Lelabbra di Jack erano contratte.

"Sì," confermò Wendy; poi siaffrettò ad aggiungere: "Ma non si trattasolo di te. Mi preoccupo quando esce a

giocare. Mi preoccupo all'idea chel'anno venturo voglia la bicicletta, anchese si trattasse solo di quella con lerotelle, per imparare. Mi preoccupo peri suoi denti, e per la sua vista, e perquesta cosa che lui chiama l'aura. Sonopreoccupata perché è piccolo e sembramolto fragile e perché... perché qualcosain questo albergo sembra volerseloprendere. E per prenderlo, se propriodeve, passerà attraverso di noi. È perquesto che dobbiamo portarlo via di qui,Jack. Lo so! Lo sento!Dobbiamoportarlo via di qui! "

Con la mano stringevaconvulsamente la spalla di Jack,rivelando il proprio turbamento, ma luinon si scansò. Con una mano trovò il

saldo peso del suo seno e prese adaccarezzarglielo sotto la camicetta.

"Wendy," disse, ma subitos'interruppe. Lei attese che riordinasse ilsuo pensiero. La mano robusta di luiposata sul suo seno le dava unasensazione piacevole, placante. "Forsepotrei portarlo a valle sulle racchette.Potrebbe camminare per una parte deltragitto, ma per lo più dovrei portarloio.

Significherebbe accamparciall'aperto una, due, magari tre notti. Equesto significherebbe fabbricare unaspecie di slitta per trasportare leprovviste e i sacchi a pelo. Abbiamo laradiolina, per cui potremmo scegliere un

giorno che il bollettino meteorologicoprevedesse almeno tre giorni di beltempo. Ma se il bollettino sbagliasse,"concluse, con voce bassa e controllata,"credo che rischieremmo di lasciarci lapelle."

Wendy era impallidita. Il suo voltoappariva esangue, quasi spettrale. Emiseun suono soffocato: se per quanto avevadetto o per reazione alla pressionegentile sul seno, Jack non avrebbesaputo dirlo. Alzò un poco la roano e lesganciò il primo bottone della camicetta.

"Significherebbe lasciarti qui dasola, perché con le racchette tu non te lacavi troppo bene. Forse dovresti staretre giorni interi senza notizie. Sarestidisposta ad affrontarli?" La mano gli

calò al secondo bottone, lo fecesgusciare dall'asola, mettendo in mostral'attaccatura del seno.

"No," disse Wendy con una voce untantino ispessita. Adocchiò Danny.Aveva smesso di dimenarsi e rigirarsi.Il pollice gli era scivolato in bocca.Tutto andava per il meglio, dunque. MaJack trascurava un particolare delquadro. Era troppo deprimente. C'eraqualcos'altro... che cosa?

"Se stiamo tranquilli," riprese Jack,slacciando il terzo e il quarto bottonecon la stessa deliberata lentezza, "c'è laprobabilità che un ranger del parco o unguardiacaccia venga a curiosare, se nonaltro per stabilire cosa diamine stiamo

facendo. E allora gli diremo chevogliamo scendere a valle. Ci penseràlui." Le fece scivolare il seno nudonell'ampia scollatura della camiciaaperta, si chinò e modellò le labbraattorno al picciuolo di un capezzolo. Eraduro ed eretto. Jack fece scorrerelentamente la lingua avanti e indietro sulcapezzolo in un modo che, lo sapeva, alei piaceva. Wendy gemette piano einarcò la schiena.

(Qualcosa che ho dimenticato?)"Tesoro?" domandò. Le sue mani

cercarono la nuca di Jack, cosicché,quando lui rispose, la sua voce eraattutita dal contatto della carne di lei.

"E il ranger come farebbe a portarcivia di qui?"

Jack alzò il capo quanto bastava arispondere, poi posò la bocca sull'altrocapezzolo.

"Se l'elicottero non può alzarsi involo, credo che dovremo scendere avalle col gatto delle nevi."

(???)"Ma ne abbiamo uno! L'ha detto

Ullman! "La bocca di Jack s'irrigidì un istante

contro il seno di lei, poi si raddrizzò. Ilviso di Wendy era leggermenteaccalorato, gli occhi un po' troppolucenti. Quello di Jack, invece, eracalmo, come se fosse stato intento aleggere un libro un po' noioso.

"Se c'è un gatto delle nevi, il

problema non esiste," osservò Wendycon animazione. "Possiamo scendere avalle tutti e tre assieme."

"Un piccolo particolare, Wendy: nonho mai guidato un gatto delle nevi in vitamia."

"Non dev'essere molto difficileimparare. Nel Vermont si vedonoragazzini di dieci anni che li guidano neicampi... E poi quando ci siamoconosciuti avevi la motocicletta."

"Sì, credo che ci riuscirei," disseJack. "Ma mi chiedo in che stato sia.Ullman e Watson mandano avanti questoposto da maggio a ottobre. Hanno unamentalità... estiva. Sicuramente non c'èbenzina nel serbatoio. E può darsi chenon ci siano nemmeno le candele o la

batteria. Non voglio che tu ti facciadelle illusioni, Wendy."

Ora lei era quasi fuori di sé. Chinasu di lui, il seno le traboccava dallacamicetta. Jack ebbe l'impulsoimprovviso di afferrarne uno e torcerlofino a farla strillare. Forse così avrebbeimparato a tenere la bocca chiusa.

"La benzina non è un problema,"continuò Wendy. "Il serbatoio dellaVolkswagen è pieno, e anche quello delfurgoncino dell'albergo. Da basso c'èbenzina anche per il generatore diemergenza. E dev'esserci una tanicapiena in quel capanno là fuori, quindipotremmo portarcene appresso un po' discorta."

"Sì," disse Jack. "C'è." Ce n'eranotre: due da cinque galloni e una da due.

"Scommetto che là fuori ci sonoanche le candele e la batteria. Nessunosistemerebbe il gatto delle nevi da unaparte e le candele e la batteria daun'altra, ti pare?"

"In effetti non mi sembra probabile."Jack si alzò e si accostò al lettino in cuigiaceva Danny addormentato. Un ciuffodi capelli gli era ricaduto sulla fronte eJack lo spostò con dolcezza. Danny nonaccennò nemmeno a muoversi.

"E se riesci a metterlo in moto, ciporterai via di qui, il primo giorno chela radio prevederà bel tempo?" chieselei alle sue spalle.

Per qualche istante lui non rispose.Indugiò a guardare il figlio, e i suoisentimenti confusi si sciolsero in unimpeto d'amore. Danny era propriocome aveva detto Wendy: fragile,vulnerabile. I segni sul collo erano gonfie perfettamente visibili.

"Sì," disse, "lo metterò in moto e cene andremo non appena possibile."

"Grazie a Dio!"Jack si voltò. Wendy si era sfilata la

camicetta ed era distesa supina sul letto,il ventre piatto, il seno puntatosfacciatamente verso il soffitto. "Presto,mio signore," disse sottovoce, "è l'ora."

Più tardi, con nessun'altra luceaccesa nella stanza a eccezione della

lampada da notte che Danny si eraportato appresso dalla sua camera,Wendy giacque nel cavo del braccio dilui, sentendosi deliziosamente in pace.Le riusciva difficile credere chepotessero condividere l'Overlook con unclandestino omicida.

"Jack?""Mmmmm?""Cos'è che l'ha afferrato?"Lui non le rispose direttamente. "C'è

qualcosa in lui. Una dote particolare chein genere gli uomini non hanno. Lamaggior parte degli uomini, per esserpiù esatti. E forse anche nell'Overlaokc'è qualcosa."

"Fantasmi?""Non so. Non nel senso di Algernon

Blackwood, questo è certo. Semmai,qualcosa di simile ai residui deisentimenti della gente che ha soggiornatoqui. Cose buone e cose cattive. In questosenso, è probabile che ogni grandealbergo abbia i suoi fantasmi.Soprattutto i vecchi alberghi."

"Ma una donna morta nella vasca...Jack, non sarà mica impazzito, percaso?"

Lui le diede una rapida stretta. "Noisappiamo che va... be', che va in trance.Diciamo così in mancanza di un terminepiù esatto... di tanto in tanto. Sappiamoche, quando è in trance, a volte... vedecose che non capisce. Se le tranceprecognitive sono possibili, con tutta

probabilità si tratta di funzioni delsubconscio. Freud dice che ilsubconscio non ci parla mai inlinguaggio letterale. Solo per simboli.Se sognamo di trovarci in una panetteriadove nessuno parla la tua lingua, potrestiessere preoccupato circa la tua capacitàdi mantenere la famiglia. O magarisemplicemente che nessuno ti capisca.Ho letto che sognare di cadere è losfogo tipico dei sentimenti diinsicurezza. Giochi, giochetti. Lacoscienza da una parte della rete, ilsubconscio dall'altra, che si servono avicenda, avanti e indietro, immaginiassurde.

Accade lo stesso con la malattiamentale, con le impressioni, e' roba del

genere. Perché la precognizionedovrebbe essere in qualche mododiversa? Può darsi che Danny abbiavisto davvero del sangue sulle paretidell'Appartamento Presidenziale. Per unbambino della sua età la visione delsangue e il concetto della morte sonopressoché intercambiabili. Per i bambinil'immagine è sempre più accessibile delconcetto. William Carlos Williams losapeva; era un pediatra. Quando cifacciamo adulti, un po' alla volta iconcetti diventano più facili, leimmagini le lasciamo ai poeti... Maadesso sto divagando."

"Mi piace ascoltarti divagare.""L'ha detto, gente. L'ha detto. L'avete

udita tutti.""I segni sul collo, Jack. Quelli sono

veri.""Sì."Per un lungo momento tacquero

entrambi. Lei cominciava a pensare cheJack si fosse addormentato.

Stava scivolando anche lei in unasorta di torpore, quando Jack disse:"Posso fornirti due spiegazioni, per queisegni; e nessuna delle due comporta lapresenza di un quarto ospiteall'albergo."

"Come?" Wendy si sollevò su ungomito.

"Stigmate, forse.""Stigmate?""Perché no? A volte chi crede

profondamente nella divinità del Cristomostra lesioni sanguinanti alle mani e aipiedi. Nel medioevo era un fenomenopiù diffuso che ai nostri giorni. A queitempi gli individui del genere eranoconsiderati prediletti dal Signore. Noncredo però che la chiesa cattolica abbiariconosciuto come miracoloso qualchecaso del genere. Le stigmate, in fondo,non sono molto diverse da certifenomeni legati al culto dello yoga.Attualmente se ne fornisce unaspiegazione più chiara, tutto qui. Chistudia l'interazione tra corpo e mente,crede nella facoltà umana di esercitareun controllo sulle nostre funzioniinvolontarie assai maggiore di quanto si

ritenesse un tempo. È possibilerallentare il battito cardiaco, se ci siconcentra a sufficienza. E parimentiaccelerare il metabolismo.

Sudare di più. O sanguinare, perchéno?"

"Secondo te, Danny ha 'pensato' alleecchimosi che ha sul collo? Non riescoa crederlo, Jack."

"Io lo ritengo improbabile, mapossibile, oppure è stato lui aprovocarsele."

"Lui? Ma che cosa dici?""Già in passato è andato in trance e

si è fatto male. Ricordi quella volta acena? È stato due anni fa, mi pare.Allora eravamo in rotta. Non ciparlavamo, o quasi. Poi, di colpo, lui ha

stravolto gli occhi all'insù ed è crollatoa capofitto nel piatto. E poi sulpavimento. Ricordi?"

"Sì," disse Wendy. "Certo chericordo. Credevo che avesse leconvulsioni."

"Un'altra volta eravamo al parco,"continuò Jack. "Solo Danny e io. Era unsabato pomeriggio. Lui era sull'altalenae andava su e giù. È crollato a terra. Èstato come se qualcuno gli avessesparato un colpo di pistola. Io sonocorso a sollevarlo e all'improvviso ètornato in sé. Ha ammiccato e mi hadetto: 'Mi son fatto male alla pancia. Di'alla mamma di chiudere le finestre dellacamera da letto, se piove.' E quella notte

è piovuto a dirotto.""Sì, ma...""E rientra sempre con tagli e

sbucciature ai gomiti. Ha le gambe chesembrano un campo di battagliadisseminato di relitti. E se gli chiedicome s'è procurato questo o quel taglio,ti dice semplicemente:

'Oh, stavo giocando,' e tutto finiscelì."

"Jack, tutti i bambini si riempiono dicontusioni e sbucciature. Nei bambini èun'esperienza pressoché incessante, dache imparano a camminare fino ai dodicio tredici anni."

"E io sono sicuro che Danny fa lasua parte," replicò Jack. "È un bambinovivace. Ma ricordo quel giorno al parco

e quella sera a cena. E mi chiedo sequalcuna delle escoriazioni e contusioniil nostro bambino se le sia prodotte peril semplice fatto di essersi messo inginocchio. Quel dottor Edmonds ha dettoche Danny l'ha fatto proprio là nel suoambulatorio, Cristo santo! "

"D'accordo, ma queste ecchimosisono segni di dita. Lo giurerei. Non puòessersele prodotte cadendo."

"Va in trance," ripeté Jack. "Magarivede qualcosa che è successo in quellastanza. Un litigio. Forse un suicidio.Emozioni violente. Non è come assisterea un film; Danny è altamentesuggestionabile. È proprio al centrodella maledetta cosa, magari il suo

subconscio visualizza quel che èaccaduto in un modo simbolico... peresempio, una donna morta che è dinuovo viva, uno zombie, un mortovivente, un demone, scegli tu il terminepiù appropriato."

"Mi fai venire i brividi, Jack.""Stanno venendo anche a me. Non

sono uno psichiatra, ma tutto sembraadattarsi alla perfezione. La mortaitinerante intesa come simbolo di morteemozioni, di mortivite. Che nonvogliono cedere e andarsene... mapoiché è una figura del subconscio, lei èanchelui. Nello stato di trance, il Dannycosciente è sommerso. La figura delsubconscio manovra i fili. Per cui Dannysi stringe le mani attorno al collo e..."

"Basta," disse Wendy. "Mi son fattaun'idea. Secondo me è ancora piùspaventoso del fatto che un estraneo siaggiri per i corridoi, Jack. A un estraneosi può sfuggire, ma non si può sfuggire ase stessi.

Stai parlando di schizofrenia.""Di un tipo molto contenuto,"

corresse lui, ma un tantino a disagio. "Edi un genere molto speciale.

Infatti si direbbe che Danny sia ingrado di leggere nel pensiero, e di tantoin tanto sembra davvero avere lampi diprecognizione. Nonostante i miei sforzinon riesco a considerarla una malattiamentale.

Comunque, tutti noi abbiamo in

corpo una certa dose di schizofrenia.Credo che quando Danny crescerà,riuscirà a controllarla."

"Se quello che dici è esatto, èindispensabile portarlo via di qui.Questo albergo non fa altro chepeggiorare la situazione."

"Non direi," obiettò Jack. "Se avessefatto ciò che gli era stato ordinato, nonsarebbe mai salito in quella stanza. Nonsarebbe mai accaduto."

"Mio Dio, Jack! Vuoi forse insinuareche... quel tentativo di strangolamentosia stato un castigo adeguato per avertrasgredito agli ordini?"

"No... no. Certo che no. Ma...""Niente ma," interruppe Wendy,

scuotendo la testa energicamente. "La

verità è che andiamo a tentoni.Non abbiamo la più pallida idea di

quando potrebbe girare un angolo eimbattersi in una di quelle... di quellesacche d'aria, di quei cortometraggidell'orrore, di qualsiasi cosa si tratti.Dobbiamo portarlo via di qui." Feceudire un risolino nel buio. "Tra pocovedremo anche noi certe cose."

"Non dire sciocchezze," esclamòJack; e nel buio della stanza vide i leonidella siepe raccogliersi attorno alviottolo, non più per fiancheggiarlo maper montarvi la guardia, avidi leoni dinovembre. La fronte gli s'imperlò digelido sudore.

"Tu non hai visto proprio niente,

vero?" gli stava chiedendo Wendy."Voglio dire, quando sei salito in quellastanza. Non hai visto niente?"

I leoni erano scomparsi. Ora Jackvedeva una tenda di plastica rosapastello con una forma scura chev'indugiava dietro. La porta chiusa. Queitonfi attutiti, affrettati e, dopo, i rumoriche sarebbero potuti essere passi incorsa. L'orribile, spasmodico battito delsuo cuore mentre era alle prese con lachiave universale.

"Niente," disse. Ed era vero. Avevai nervi tesi, e non era nemmeno certo diciò che succedeva. Non aveva avutol'occasione di vagliare a fondo i suoipensieri in cerca di una spiegazionelogica riguardo alle ecchimosi sul collo

di suo figlio. Si era lasciatomaledettamente suggestionare anche lui.A volte le allucinazioni potevano esserecontagiose.

"E non hai cambiato idea? Aproposito del gatto delle nevi, vogliodire?"

Le mani gli si serrarono a pugno(Piantala di scocciarmi!)lungo i fianchi. "Ho detto che l'avrei

fatto, no? Lo farò. Dormi adesso. È statauna giornata difficile."

"E come," fece lei. Si udì un frusciodi lenzuola mentre Wendy si giravaverso di lui a baciarlo sulla spalla. "Tiamo, Jack."

"Anch'io ti amo," disse lui, ma

quelle parole non gli salivano dal cuore.Teneva ancora le mani serrate a pugno.Se le sentiva come pietre appese alleestremità delle braccia. La vena glipulsava con violenza sulla fronte. Leinon aveva detto una sola parola su ciòche sarebbe accadutodopo che fosseroscesi a valle, una volta conclusal'avventura. Non una parola. Era statosolo Danny qui e Danny là, e, Jack, sonocosì spaventata. Oh sì, era spaventata daun sacco di babau che balzavano fuoridagli armadi e di ombre sussultanti,spaventata da morire. Ma nonmancavano nemmeno le cose reali di cuiessere spaventati. Quando fossero scesia Sidewinder, vi sarebbero giunti consessanta dollari in tutto e i vestiti che

avevano indosso. Non avrebbero piùavuto nemmeno la macchina. Ancheammesso che a Sidewinder fosse esistitoun banco dei pegni, il che non era, nonavevano nulla da impegnare all'infuoridell'anello di fidanzamento di Wendycol brillantino da novanta dollari e laradiolina Sony. Un usuraio avrebbepotuto dargli una ventina di svanziche.Un usuraiogentile. Non ci sarebbe statolavoro, nemmeno un lavoro a mezzagiornata o stagionale, tranne forsespazzare la neve dai vialetti per tredollari all'ora. La visione di JackTorrance, trent'anni, che una volta avevapubblicato un racconto suEsquire e cheaveva inalberato sogni, sogni tutt'altro

che irragionevoli, a suo modo di vedere,di diventare uno scrittore americano diprimo piano nel prossimo decennio, conun badile della Sidewinder WesternAuto in spalla, che suonava i campanellidelle porte... questa visione gli si paròall'improvviso dinanzi agli occhi dellamente assai più chiara dei leoni dellasiepe, e Jack serrò ancor di più i pugni,fino ad affondare le unghie nel palmodella mano. Jack Torrance, che faceva lafila per cambiare i suoi sessanta dollariin tagliandi per il cibo, in coda di nuovodavanti alla chiesa metodista diSidewinder per ricevere in elemosinaprodotti di prima necessità e occhiatesprezzanti dalla gente del posto. JackTorrance che spiegava ad Al come

avessero dovuto andarsene, avesserodovuto spegnere la caldaia, avesserodovuto abbandonare l'Overlook e tuttociò che conteneva ai vandali o ai ladri inspazzaneve perché, vedi,Al,Attendezvous, Al, lassù ci sono ifantasmi e ce l'hanno col mio ragazzo.

Arrivederci, Al. Pensieri delCapitolo Quarto, la Primavera giungeper Jack Torrance. E poi? E poi checosa? Forse sarebbero riusciti araggiungere la costa occidentale con laVolkswagen. Con una nuova pompadella benzina ce l'avrebbero fatta.Ancora un'ottantina di chilometri indirezione ovest e poi era tutta discesa, sipoteva quasi quasi mettere il maggiolino

in folle e arrivare passo passo fino alloUtah.

E avanti per la California solatia,terra di arance e propizie occasioni.Indubbiamente un uomo con un nobilepassato a base di alcolismo, di percòsseagli studenti e di caccia ai fantasmisarebbe riuscito a ottenere tutto ciò chegli ci voleva. Qualsiasi cosadesiderasse. Tecnico dellamanutenzione: si, spazzare gli autobusGreyhound. L'industria automobilistica:lavare le macchine con indosso una tutadi gomma. L'arte culinaria, forse:lavapiatti presso una tavola calda. Omagari un posto di maggioreresponsabilità, come fare il pieno alleauto di passaggio presso un distributore

di benzina. Un posto del genereconteneva in sé gli stimoli intellettualiconsistenti nel dare il resto e compilarele fatture con le carte di credito.Possofarti fare venticinque ore alla settimanaalla tariffa minima. Era una canzonedifficile da mandare giù in un anno incui il pane del Miracolo costavasessanta centesimi la pagnotta.

Gocce di sangue avevano cominciatoa colargli dal palmo delle mani. Comestigmate, oh, sì. Strinse ancor più forte,infierendo su di sé. Sua moglie glidormiva accanto, perché no? Nonesistevano problemi. Jack avevaacconsentito ad allontanare lei e Dannydal grande, cattivo babau e non

esistevano problemi.Così, vedi, Al, hopensato che la cosa migliore da farefosse quella di. .

(ammazzarla.)L'idea sorse dal nulla, nuda,

disadorna. L'impulso di scaraventarlafuori dal letto, nuda, stupefatta, mentreappena cominciava a svegliarsi; discagliarsi su di lei, di afferrarla per ilcollo come il verde ramo di un giovaneabete e strangolarla, i pollici premutisulla trachea, le dita che si chiudevanoall'inizio della spina dorsale,sollevandole la testa di scatto esbattendogliela contro l'assito,ripetutamente, battendo, picchiando,fracassando, frantumando. Trema e salta,piccola. Scuotiti, agitati, dimenati. Le

avrebbe fatto prendere la purga. Finoall'ultima goccia. Fino all'ultima amaragoccia.

Avvertì confusamente un suonoattutito proveniente da una direzioneimprecisata, appena fuori dal suo mondointeriore, acceso e violento. Guardòall'altro capo della stanza, e Danny siagitava di nuovo, si dimenava nel letto,sgualciva le coperte. Il bambinoemetteva un gemito fondo nella gola, unpiccolo suono imprigionato. Un incubo?Una donna violacea, morta da un pezzo,che incespica dietro di lui per tortuosicorridoi d'albergo? In qualche modoJack non lo credeva. Qualcos'altroinseguiva Danny nei sogni. Qualcosa di

peggio.L'amaro nodo delle sue emozioni si

spezzò. Jack scese dal letto e attraversòla stanza, avvicinandosi al bambino, inpreda a un impeto di nausea e divergogna. Era a Danny che dovevapensare: non a Wendy, né tantomeno a sestesso. Soltanto a Danny. E,indipendentemente dalla forma in cuiriusciva a modellare faticosamente ifatti, in cuor suo sapeva che eranecessario allontanare Danny. Riordinòle coperte del bambino e vi aggiunse latrapunta stesa ai piedi del letto. OraDanny si era di nuovo quietato. Jacksfiorò la fronte del bimbo addormentato.

(quali mostri si agitano dietro quellasporgenza ossea?)

e scoperse che era calda, ma nontroppo. E Danny ora dormivaplacidamente. Che strano.

Jack tornò a letto e tentò di dormire,ma non gli riusciva di prender sonno.

Era così ingiusto che le coseprendessero quella piega: la sfortunasembrava perseguitarli. Non eranoriusciti a scuotersela di dosso venendolassù, dopotutto. Quando fossero giunti aSidewinder l'indomani pomeriggio,l'occasione d'oro sarebbe ormai svanita,andata per sempre, come la moda dellescarpe di camoscio blu, come diceva unsuo compagno di stanza all'università. Siconsiderasse la differenza se nonfossero scesi a valle, se avessero potuto

in qualche modo tener duro. Il drammaavrebbe visto la luce. In un modo onell'altro gli avrebbe appiccicato unfinale. La sua stessa incertezza riguardoai personaggi avrebbe forse potutoaggiungere un tocco suggestivo diambiguità al finale originale.

Magari gli avrebbe persino reso unpo' di soldi, non era una cosaimpossibile. Ma anche in mancanza diciò, Al sarebbe forse riuscito aconvincere il consigliod'amministrazione di Stovington ariassumerlo.

L'avrebbero riassunto in prova,naturalmente, magari anche per tre anni;ma se fosse riuscito a star lontanodall'alcool e a continuare a scrivere,

forse non sarebbe stato necessario cherestasse tre anni a Stovington.Naturalmente, già prima Stovington nongli era andata poi tanto a genio; vi si erasentito soffocare, come sepolto vivo, maera stata una reazione da individuoimmaturo. Inoltre, fino a che punto unopoteva ricavar piaceredall'insegnamento, quando affrontava lesue tre prime ore di lezione con un maldi testa da scoppiare ogni due o tregiorni? Non si sarebbe ripetuto mai più.Sarebbe riuscito ad assumere le sueresponsabilità in modo molto piùcostruttivo. Ne era sicuro.

A un certo punto, nel bel mezzo diquel pensiero, le cose cominciarono a

dissolversi e Jack sprofondò nel sonno.Il suo ultimo pensiero lo seguì come ilrintocco di una campana: Sembravaproprio che qui potesse riuscire atrovare la pace. Finalmente. Se sologlielo permettessero.

Quando si svegliò, era nel bagnodella camera 217.

(ho avuto un'altra crisi disonnambulismo. Perché?... non ci sonoradio da fracassare, qui) La luce delbagno era accesa; la stanza, alle suespalle, immersa nel buio. La tenda delladoccia, completamente tirata, copriva lalunga vasca dalle zampe di leone. Iltappetino accostato alla vasca apparivaumido e sgualcito.

Jack ebbe un impeto di paura, ma la

stessa natura onirica di quel suo terroregli suggerì che non era vero. E tuttaviache non poteva contenerlo. Tante cose,all'Overlook, sembravano sogni.

Attraversò il bagno portandosiaccanto alla vasca, non desiderandolo;eppure incapace di costringere i piedi atornare sui loro passi.

Scostò bruscamente la tenda.Disteso nella vasca, nudo,

galleggiante quasi senza peso nell'acqua,c'era George Hatfield, un coltelloconficcato nel petto. L'acqua attorno alui aveva assunto un acceso color rosa.George aveva gli occhi chiusi. Il penegli galleggiava inerte, simile a un'alga.

Udì la propria voce che diceva:

"George!"Al richiamo, George spalancò gli

occhi. Erano argentei, occhi che nonavevano alcunché di umano. Le mani diGeorge, di un bianco viscido come ilventre di un pesce, si aggrapparono aibordi della vasca e il giovane si sollevòa sedere. Il coltello gli sporgeva dirittodal petto, in un punto equidistante daicapezzoli. La ferita era senza labbra.

"Hai messo avanti iltemporizzatore," gli disse George dagliocchi d'argento.

"No, George, non è vero. Io...""Non balbettare."Ora George era ritto in piedi e

continuava a fissarlo con quello sguardoargenteo disumano, ma la bocca gli si

era stirata in un sorriso da morto che erauna smorfia. Scavalcò con una gamba ilbordo di porcellana della vasca. Unpiede bianco e cotto dalla lungapermanenza nell'acqua si posò sultappetino.

"Prima hai tentato di investirmimentre andavo in bicicletta e poi haimesso avanti il temporizzatore e poiancora hai tentato di ammazzarmipugnalandomi, macontinuo a nonbalbettare. "George gli stava venendoincontro, le mani protese, le ditalievemente flesse ad artiglio. Esalava unlezzo di muffa e di umidità, come lefoglie fradicie di pioggia.

"È stato per il tuo bene," disse Jack,

arretrando. "L'ho messo avanti per il tuobene. E poi si dà il caso che io sappiache hai copiato all'esame scritto di fined'anno."

"Io non copio... e non balbetto."Le mani di George gli sfioravano il

collo.Jack si girò e corse: corse con la

fluttuante lentezza senza peso, tipica deisogni.

"L'hai fatto! Hai copiato!" urlò alcolmo della paura e della collera,mentre attraversava la camera da lettoimmersa nel buio. "Lo proverò! Riusciròa dimostrarlo!"

Di nuovo le mani di Georgel'avevano afferrato per il collo. Il cuoredi Jack si gonfiò di paura finché fu certo

che sarebbe scoppiato. Poi, finalmente,la sua mano strinse e girò il pomolodella porta, che si spalancò. Si scagliòfuori: non nel corridoio del secondopiano, ma nella stanza dello scantinato,oltre l'arco. La lampadina coperta diragnatele era accesa. Sotto la lampadac'era la sua sedia da campo, rigida egeometrica. E tutt'attorno si vedeva unacrocoro di scatoloni, casse, fasci diincartamenti e fatture legati assieme, eDio solo sapeva che altro. Jack provò unimpeto di sollievo.

"Lo troverò! " urlò la sua voce.Afferrò una scatola di cartone umida eammuffita che gli si sfasciò tra le mani,facendo traboccare una cascata di veline

gialle. "È qui, da qualche parte!Lotroverò! "Affondò le mani nel mucchiodi carte e le estrasse reggendo in unamano un nido di vespe secco che parevafatto di cartapesta e nell'altra untemporizzatore. Il temporizzatoreticchettava. Fissato sul lato posteriorec'era un pezzo di cavo elettrico eall'estremità della corda era attaccato uncandelotto di dinamite.

"Ecco!"urlò. "Ecco, prendi!"Il sollievo si trasformò in assoluto

trionfo. Era riuscito a fare qualcosa dipiù importante che sfuggiresemplicemente a George; aveva vinto.Con quegli oggettitalismano in pugno,George non l'avrebbe mai più toccato.George sarebbe fuggito in preda al

terrore.Fece per voltarsi e affrontare

George; e fu allora che le mani diGeorge gli si appoggiarono al collo,stringendo, mozzandogli il fiato,bloccandogli la respirazione dopo unultimo ansito disperato.

"Io non balbetto,"bisbigliò Georgealle sue spalle.

Jack lasciò cadere il nido di vespe ele vespe ne traboccarono in uno sciamegiallastro e furibondo. Si sentiva ipolmoni in fiamme. Lo sguardoannebbiato gli cadde sul temporizzatore,e allora tornò a invaderlo il senso ditrionfo, assieme a una violenta ondata digiusta collera. Anziché collegare il

temporizzatore al candelotto di dinamite,il pezzo di cavo elettrico era legato alpomo dorato di un robusto bastone nero,simile a quello che aveva portato suopadre dopo l'incidente col furgone dellatte.

L'afferrò e il cavo si ruppe. Ilbastone era pesante e solido nelle suemani. Jack lo roteò all'indietro sopra laspalla, e nella parabola ascendente ilbastone toccò il filo dal quale pendevala lampadina. La luce prese a oscillareavanti e indietro, facendo ondeggiaremostruosamente sul pavimentò e sullepareti le ombre incappucciate dellastanza. Nella parabola discendente ilbastone colpì qualcosa di molto piùduro. Un urlo di George. La stretta

attorno alla gola di Jack si allentò.Jack si svincolò dalla morsa di

George e girò su se stesso. George erain ginocchio, a capo chino, le maniallacciate sopra la testa. Il sangue glisgorgava di fra le dita.

"La prego," bisbigliò umilmenteGeorge. "Mi dia una possibilità, signorTorrance."

"Adesso prenderai la purga," ringhiòJack. "Adesso, perdio, o no? Cucciolo.Giovane screanzato buono a nulla.Adesso, perdio, proprio adesso. Finoall'ultima goccia. Fino all'ultimamaledetta goccia! "

Mentre la lampada gli oscillavasopra il capo e le ombre danzavano e

ondeggiavano, Jack prese a roteare ilbastone, abbattendolo ripetutamente, colbraccio che si alzava e abbassava comeuno stantuffo. Le dita insanguinate con lequali George si proteggeva la testaricaddero e Jack abbatté più e più volteil bastone, non solo sulla testa, ma anchesul collo, le spalle, ela schiena e lebraccia. Solo che il bastone non era piùun bastone; sembrava una mazza con unmanico a strisce di vivaci colori. Unamazza con un lato duro e uno più soffice.La faccia servita allo scopo eraincrostata di sangue e di capelli. E ilrumore sordo, molle, della mazza controla carne era stato sostituito da un cuposuono rimbombante, che echeggiava e siirradiava tutt'attorno. Anche la voce di

Jack aveva assunto la stessa tonalità,muggente, disincarnata. E tuttavia,paradossalmente, pareva più debole,farfugliarne, petulante... come se fossestato ubriaco.

La figura in ginocchio sollevòlentamente il capo, quasia supplicarlo.Non esisteva un volto preciso, bensì unamaschera di sangue attraverso la qualesbirciavano due occhi. Jack roteò lamazza all'indietro accingendosi avibrare il colpo definitivo, sibilante, ele aveva ormai inferto lo slancio quandosi avvide che il volto supplicante ai suoipiedi non era quello di George, maquello di Danny. Era il volto di suofiglio.

"Papà..."E poi la mazza si abbatté, colpendo

Danny propriotra gli occhi,chiudendoglieli per sempre. E parve chequalcosa,da qualche parte, lanciasse unarisata...

(!No!)Ne uscì ritto, nudo, sopra il letto di

Danny,a mani vuote,il corpo lucente disudore. Quell'urlo finale era risuonatosolonella sua mente. Lo ripeté, maquesta volta in un bisbiglio.

"No, no, Danny. Mai."Tornò verso il letto con le gambe

che gli parevano di gomma. Wendy eraimmersa in un sonno profondo. Sulcomodino l'orologio segnava le quattro e

tre quarti. Rimase coricato finoalle sette,senza prender sonno, quando Dannycominciòa dar segni di svegliarsi.Allora calò le gambe oltre il bordo delletto e cominciò a vestirsi. Era ora discendere a controllare la caldaia.

33A mezzanotte passata, mentre tutti e

tre dormivano di un sonno agitato, laneve aveva cessato di cadere, dopoessersi accumulata in uno strato dialmeno venti centimetri che copriva lacrosta ghiacciata. Le nuvole si eranodiradate; un vento fresco le avevaspazzate via, e ora Jack era ritto in unpolveroso lingotto di sole che filtravaobliquo dal vetro sudicio della finestra

che si apriva sul lato est del capannodegli attrezzi.

Il locale aveva la lunghezza el'altezza di un carro merci. Vi aleggiavaun puzzo di grasso, di petrolio e benzinae, sentore lieve, nostalgico, di erbafresca. Quattro tosaerba elettrici eranoschierati come soldatini in attesa diessere passati in rivista contro la paretesud, due del tipo pilotabile, chesomigliano a piccoli trattori. Alla lorosinistra c'erano alcuni scavabuchi, badilidalla lama rotonda per eseguireinterventi chirurgici sui campi verdi delgolf, una sega a nastro, le cesoieelettriche per potare le siepi e un lungo,sottile paletto d'acciaio con unabandierina rossa in cima.Caddy,

recupera la mia pallina in meno di diecisecondi e ti guadagnerai un quarto didollaro. Sì,signore.

Tre tavoli da ping pong posavanocontro la parete est, dove il sole delmattino penetrava obliquo con maggioreintensità, accatastati uno sull'altro comeun traballante castello di carte. Lereticelle erano state tolte e penzolavanodallo scaffale superiore. In un angoloc'era una pila di dischi per il gioco dellamuriella e tutto l'occorrente per giocarea roque: i cancelletti legati assieme conil fil di ferro, le palline dipinte a colorivivaci in una specie di contenitore dicartone simile a quelli per le uova (chestrane galline avete da queste parti,

Watson... sì, e lei dovrebbe vedere glianimali che ci sono sul prato di fronte,ahah, e due gruppi di mazze infilate nellerastrelliere.

Jack si avvicinò scavalcando unavecchia batteria a otto pile che senzadubbio un tempo aveva trovato postosotto il cofano del furgoncinodell'albergo, nonché un accumulatore eun paio di cavetti di collegamento deltipo venduto per posta, arrotolati tra idue. Sfilò dalla rastrelliera anteriore unadelle mazze dal corto manico e lasollevò dinanzi a sé, come un cavalierein procinto di affrontare la battaglia chesaluti il suo re.

Gli tornarono alla mente frammentidel sogno (era tutto confuso, ora, un po'

alla volta andava svanendo); qualcosache riguardava George Hatfield e ilbastone di suo padre, quel tanto chebastava per farlo sentire a disagio e,particolare decisamente assurdo,vagamente in colpa per il fatto diimpugnare una comune mazza da roquedel vecchio tipo da giardino. Jack avevatrovato giù in cantina un ammuffitomanuale che conteneva tutte le regoledel gioco e che risaliva al principiodegli anni venti, quando all'Overlook siera tenuto un Torneo di RoqueNordamericano. Davvero un bel gioco.

(schizofrenico)Aggrottò leggermente la fronte, poi

sorrise. Sì, era proprio un gioco

schizofrenico. La mazza esprimevaperfettamente questa qualità.Un'estremità molle e una rigida. Ungioco di finezza e di precisione, èinsieme un gioco di rozza, fulmineapotenza.

Il gatto delle nevi era piazzato quasial centro del capanno degli attrezzi: ungatto delle nevi pressoché nuovo, e aJack non piacque per niente il suoaspetto. Sul lato del cofano che aveva difronte c'era la scrittaBombardier Skidooin lettere nere che apparivano fortementeinclinate all'indietro, presumibilmenteper dare l'idea della velocità. Anche ipattini che ne sporgevano erano neri. Suentrambe le fiancate del cofano correvaun profilo nero, l'equivalente di quella

che in una macchina sportiva sichiamerebbe striscia decorativa. Ma nelcomplesso il veicolo era verniciato diun giallo vivace, beffardo, ed eraproprio questo che a Jack non andavagiù. Immobile, nella lama di solemattutino, corpo giallo e strisce nere,pattini neri e abitacolo rivestito di nero,aveva tutta l'aria di una mostruosa vespameccanizzata.

Jack cavò il fazzoletto dalla tascaposteriore dei calzoni, se lo strofinòsulla bocca e si avvicinò allo Skidoo.Indugiò immobile a guardarlo, con cupocipiglio ora, e si rimise in tasca ilfazzoletto. Fuori, un'improvvisa rafficadi vento investì il capanno degli attrezzi,

facendolo vibrare e scricchiolare. Jackguardò dalla finestra e vide che laraffica portava con sé una pioggia dicristalli di neve scintillanti,accumulandola sul mucchio che già siaddossava al retro dell'albergo,facendola turbinare alta nello spietatocielo azzurro.

Il vento cadde e Jack tornò aosservare il veicolo. Era una cosadisgustosa, davvero. Quasi quasi ci siaspettava di vedere un lungo, flessibilepungiglione sporgere dalla coda. Non glierano mai piaciuti quei dannati gattidelle nevi. Facevano rabbrividire ilsilenzio da cattedrale dell'inverno inmilioni di frammenti tintinnanti.Facevano trasalire la natura. Esalavano

dalla coda enormi e contaminanti nuvoledi fumi di benzina azzurrini e fluttuanti:tosse, mano alla bocca, lasciatemirespirare. Erano forse il definitivo,grottesco balocco dell'era delcombustibile fossile in evoluzione,donato per Natale ai ragazzi ni di diecianni.

Ricordò un articolo di giornale cheaveva letto a Stovington, un episodioaccaduto in una località del Maine. Unragazzino su un gatto delle nevi, cherisaliva a spron battuto una strada chenon aveva mai percorso in precedenza, apiù di cinquanta all'ora. Notte. A farispenti. C'era una pesante catena tesa fradue pali con una targhetta appesa nel

mezzo e recante la scritta: VIETATOL'ACCESSO. Nell'articolo si diceva checon tutta probabilità il ragazzo nonl'aveva nemmeno vista. Chissà, forse laluna si era nascosta dietro una nube. Lacatena l'aveva decapitato. Leggendol'articolo, Jack aveva provato unsentimento che rasentava la contentezza,e ora, guardando quel veicolo, riprovòla medesima sensazione.

(Non fosse per Danny, afferrerei consommo piacere una di quelle mazze,aprirei il cofano e continuerei a pestarefinché)

Si lasciò sfuggire in un lungo, lentosospiro il fiato che aveva trattenuto neipolmoni. Wendy aveva ragione. Che laprospettiva fosse l'inferno, l'inondazione

o la coda per riscuotere il sussidio didisoccupazione, Wendy aveva ragione.Uccidere di botte quella macchinasarebbe stato il colmo della follia, perquanto una pazzia del genere potesserivestire aspetti piacevoli. Sarebbe statoquasi come ammazzare di botte suofiglio.

"Sporco crumiro," proferì ad altavoce.

Si portò in coda al veicolo e svitò iltappo del serbatoio. Trovò un'asticellasu uno degli scaffali che correvanolungo le pareti ad altezza d'uomo e ve lainfilò. La ritrasse inumidita per unatrentina di millimetri. Non un granché,ma sempre sufficiente per constatare se

quel maledetto aggeggio funzionasse. Inseguito ne avrebbe travasata dell'altradalla Volkswagen e dal furgoncinodell'albergo.

Riavvitò il tappo e sollevò il cofano.Niente candele, né batteria. Tornò alloscaffale e si mise a frugarci dentro,scostando cacciaviti e chiavi inglesi, uncarburatore che era stato asportato da unvecchio tosaerba, scatolette di plasticapiene di viti, chiodi e bulloni di variamisura. Lo scaffale era sudicio eimbrattato di vecchie chiazze d'unto, e lapolvere che vi si era accumulata da anniaderiva come una pelliccia. Jack ebbeschifo a toccarlo.

Trovò una scatoletta macchiata digrasso con l'abbreviazioneSkid,

laconicamente scritta a matita. La scossee ne uscì tintinnando qualcosa. Candele.Ne sollevò una controluce, tentando divalutare il passo senza dover andare incerca dell'apposito strumento. Va' a fartifottere, pensò indispettito, e lasciòricadere la candela nella scatola. Se ilpasso non è giusto, sarà proprio uncasino. Fottuta donnaccola testarda.

Dietro la porta c'era uno sgabello.Lo trascinò accanto al veicolo; sedette emontò le quattro candele, dopo di chefissò su ciascuna i piccoli cappucci digomma. Fatto ciò, lasciò scorrere per unistante le dita sul magnete. Ridevano,quando mi sedevo al pianoforte.

Di nuovo allo scaffale. Questa volta

non riuscì a trovare quello che cercava,una piccola batteria a tre o quattroelementi. C'erano chiavi a tubo, unacassetta piena di trapani e punte ditrapano, sacchi di fertilizzante per ilprato e di concime chimico per i fioridelle aiole, ma niente batteria per ilgatto delle nevi. Non se la prese affatto.Anzi, era sollevato. Ho fatto del miomeglio, capitano, ma non ci sonoriuscito. Molto bene, figliolo. Tisegnalerò per il conferimento dellaStella d'Argento e del Gatto delle nevidi Porpora. Hai tenuto alto l'onore delreggimento. Grazie, signore. Mi ci sonoprovato.

Si mise a fischiettare laValle delFiume Rosso, accelerando il ritmo

mentre frugava sull'ultimo metro discaffali. Aveva compiuto per intero ilgiro del capanno, e la batteria non c'era.Forse se l'era portata via qualcuno.Forse l'aveva presa Watson. Scoppiò aridere. Il vecchio trucco dei furtarelli inufficio.

Qualche fermaglio, un paio di rismedi carta, nessuno rileverà la mancanza diquesta tovaglia o di queste posate... equesta bella batteria per il gatto dellenevi? Ma sì, potrebbe tornare utile.Buttiamola nel sacco. L'occasione fal'uomo ladro. Sconto sottobanco, lochiamavamo da ragazzini.

Tornò al gatto delle nevi, epassandoci accanto gli assestò un calcio

vigoroso nella fiancata. Be', così non sene sarebbe più parlato. Avrebbe solodovuto dire a Wendy: mi spiace,piccola, ma...

C'era una scatola posata nell'angoloaccanto alla porta. Lo sgabello l'avevanascosta alla vista. Scritta sulcoperchio, a matita, si leggeval'abbreviazioneSkid.

La guardò, mentre il sorriso glimoriva sulle labbra. Guardi, signore,arrivano i nostri. Si direbbe che,dopotutto, le sue segnalazioni col fumoabbiano funzionato.

Non era giusto, dannazione.Qualcosa, forse la sorte, il fato, la

provvidenza, aveva tentato di salvarlo.Qualche altra sorte, una sorte benigna. E

proprio all'ultimo momento, la vecchiascalogna che perseguitava Jack Torranceera riuscita a farsi strada di nuovo. Lecarte perdenti non si erano ancoraesaurite.

Risentimento; una grigia, cupaondata di risentimento gli fece groppoalla gola. Le sue mani tornarono aserrarsi a pugno.

(Non è giusto, dannazione, non ègiusto!)

Perché non aveva guardato daqualche altra parte? Da una partequalsiasi! Perché non aveva avuto iltorcicollo o non gli era venuto il pruritoal naso o un improvviso bisogno distrizzare le palpebre?

Sarebbe bastato un nonnulla delgenere, e non l'avrebbe mai vista.

Be', non l'aveva vista. Tutto qui. Eraun'allucinazione, non diversa da ciò cheera accaduto il giorno prima davanti aquella stanza del secondo piano o nelmaledetto zoo fatto di cespugli. Unatensione passeggera, tutto qui. Chestrano, mi era parso di vedere unabatteria per il gatto delle nevi, inquell'angolo. E adesso non c'è niente. Lafatica del combattimento, immagino. Mispiace. Su con la vita, figliolo. Prima opoi capita a tutti.

Spalancò la porta con tale violenzada scardinarla e tirò dentro le racchette.Erano incrostate di neve e Jack le sbatté

sul pavimento con tale violenza dasollevarne un pulviscolo. Posò il piedesinistro sulla racchetta sinistra e indugiòin una sorta di oziosa attesa.

Là fuori c'era Danny, vicino allapiattaforma per la consegna del latte. Agiudicare da quel che riusciva ascorgere, stava tentando di fabbricare unpupazzo di neve, ma con scarsi risultati.La neve era troppo fredda per far presa.Eppure ce la metteva tutta, nella luceluminosa del mattino, uno scricciolo dibambino infagottato sulla distesa di nevescintillante, sotto il cielo scintillante.Con in testa il berretto girato con lavisiera all'indietro come Carlton Fiske.

(a cosa pensavi, in nome di Dio?)La risposta seguì immediata.

(A me. Pensavo a me.)All'improvviso ricordò che la notte

innanzi era rimasto disteso nel letto, eall'improvviso aveva preso inconsiderazione l'idea di uccidere suamoglie.

In quell'attimo, mentre se ne stava lìaccovacciato, ogni cosa gli apparvechiara. Non era solo su Danny chel'Overlook agiva in maniera nefasta.Agiva anche su di lui. Non era Danny,l'anello più debole della catena: era lui.Era lui quello vulnerabile, quello cheavrebbe potuto essere piegato e distortofino a quando qualcosa si sarebbe rotto.

(finché mollo e dormo... e quando lofaccio, se lo faccio)

Levò lo sguardo alle schiere difinestre; il sole traeva un barbaglioquasi accecante dalle loro superfici divetro, ma lui guardò egualmente. Per laprima volta notò che sembravanoaltrettanti occhi: riflettevano il sole etrattenevano all'interno il loro buio. Nonera Danny che guardavano: era lui.

In quei pochi secondi comprese ognicosa. C'era una certa illustrazione inbianco e nero che ricordava di avervisto da bambino, al corso dicatechismo. La monaca gliel'avevapresentata su un cavalietto e l'avevadefinita un miracolo di Dio. Gli alunnidel corso l'avevano osservata con occhivacui, non vedendovi altro che un intrico

di segni bianchi e neri, senza senso, chenon rappresentavano nulla. Poi uno deibambini della terza fila aveva alitato: "ÈGesù!" E quel bambino se n'era tornato acasa con una Bibbia nuova di zecca e uncalendario, perché era stato il primo ariconoscere il contenuto del disegno.

Gli altri, e tra loro Jacky Torrance,avevano fissato il disegno ancora piùattentamente. L'uno dopo l'altro iragazzini avevano lanciato lo stessogridolino, e una bambina aveva gridatocon voce stridula, quasi in estasi: "Lovedo! Lo vedo!" Anche lei era stataricompensata con una Bibbia. Alla fine,tutti avevano visto il volto di Gesùnell'intrico di segni bianchi e neri, aeccezione di Jack. Lui ci si era sforzato

con crescente concentrazione, quasispaventato ora, mentre una parte di luipensava cinicamente che tutti gli altrifacevano la commedia per compiaceresuor Beatrice, mentre un'altra parte dilui era segretamente convinta che nonriuscisse a vedere Gesù perché Dioaveva deciso che lui era il più grossopeccatore della classe. "Non lo vedi,Jacky? " gli aveva chiesto suor Beatricecon quel suo modo di porgere dolce emelanconico. Vedo le tue tette, avevapensato lui con maligna disperazione.

Aveva accennato a scuotere la testa,poi aveva simulato entusiasmo e avevarisposto: "Sì, sì che lo vedo! Ooooh! Èproprio Gesù!" E tutti i suoi compagni di

classe avevano riso e l'avevanoapplaudito, facendogli provare un sensodi trionfo, di vergogna e paura. Piùtardi, quando tutti gli altri erano risaliticaoticamente dallo scantinato dellachiesa precipitandosi sulla strada, luiaveva indugiato a osservare l'intricoinsensato di segni bianchi e neri chesuor Beatrice aveva lasciato sulcavalietto. Lo detestava.

Avevano finto tutti come aveva fattolui, anche la suora. Era una balla grandecome una casa. "Merda, fiammedell'inferno, merda," aveva bisbigliato;e mentre si girava per andarsene, con lacoda dell'occhio aveva visto il volto diGesù, triste e saggio. Si era voltato, colcuore in gola, e aveva fissato il disegno

con impaurita meraviglia, incapace dicredere di non essere riuscito a vederloprima. Gli occhi, lo zigzagare delleombre sulla fronte scavata dallepreoccupazioni, il naso fine, le labbracompassionevoli. E guardava JackyTorrance. Quello che era stato solo unammasso caotico e senza senso, si eraall'improvviso trasformato in unaincisiva raffigurazione in bianco e nerodel volto di Cristo Nostro Signore.L'impaurita meraviglia si era tramutatain terrore. Jacky aveva imprecatodavanti a un ritratto di Gesù. Si sarebbedannato. Sarebbe andato all'inferno coipeccatori. La faccia del Cristo erasempre stata lì, nel disegno. Sempre.

Ora, accoccolato al sole a osservaresuo figlio che giocava all'ombradell'albergo, si rese conto che era tuttovero. L'albergo voleva prendersi Danny,forse tutti e tre, ma Danny di sicuro. Lesiepi si erano spostate. Davvero. C'erauna donna morta al 217: una donna cheforse era soltanto uno spirito e del tuttoinnocua nella maggior parte dei casi, mauna donna che adesso costituiva unpericolo concreto A somiglianza di unmaligno balocco meccanico, era statacaricata e messa in moto dalla stranamente di Danny... e da quella di lui,Jack. Era stato Watson a dirgli che ungiorno un tale era stato stroncato da uninfarto sul campo di roque? O era stato

Ullman? Comunque, non avevaimportanza. C'era stata una strage alterzo piano. Quante vecchie liti, esuicidi, e infarti? Quanti omicidi? Gradysi teneva in agguato da qualche partedell'ala ovest con la sua accetta,aspettando soltanto che Danny gli desseil via in modo da poter tornaredall'oltretomba?

Gli anelli gonfi delle ecchimosiattorno al collo di Danny.

Le baluginanti bottiglie intravistenella Lounge deserta.

La radio.I sogni.L'album di ritagli che aveva scovato

in cantina.(Medoc, ci sei? Ho avuto di nuovo

una crisi di sonnambulismo, mio caro. .)Si rialzò di scatto, gettando fuoridall'uscio le racchette. Tremava da capoa piedi. Sbatté la porta e sollevò lascatola contenente la batteria. Gliscivolò dalle dita tremanti (o cristo e sel'avessi spaccata)

e cadde a terra di lato. Jack sollevò ilembi di cartone ed estrasse la batteria,incurante dell'acido che avrebbe potutocolare dall'involucro esterno, caso maisi fosse incrinato. Ma non era così. Eraintatta.

Un piccolo sospiro gli sfuggì dallelabbra.

Stringendola delicatamente fra lebraccia, la portò fino allo Skidoo e la

posò sulla piattaforma accanto al musodel motore. Trovò una piccola chiaveinglese su uno degli scaffali e collegò ifili della batteria rapidamente e senzadifficoltà. La batteria era carica; nonoccorreva nemmeno usarel'accumulatore.

Aveva avvertito una scarica elettricae un lieve odore di ozono quando avevainfilato il cavo positivo nel suoterminale. Ciò fatto si scostò,sfregandosi nervosamente le mani sullagiacca di tela sbiadita.

Ecco. Avrebbe dovuto funzionare.Non c'era motivo perché nonfunzionasse. Nessun motivo, a parte ilfatto che era parte dell'Overlook e inrealtà l'Overlook non voleva che loro se

ne andassero.Assolutamente. L'Overlook si stava

divertendo troppo. C'era un bambino daterrorizzare, un uomo e sua moglie damettere l'uno contro l'altra; e se giocavabene le sue carte avrebbero finito colvolteggiare per i corridoi dell'Overlookcome ombre evanescenti in un romanzodi Shirley Jackson. Chiunque entrassenella Casa sulla Collina vi entrava dasolo, ma all'Qverlook non si era soli, ohno, c'era un sacco di gente, lì. Però nonc'era proprio motivo perché il gattodelle nevi non si mettesse in moto.Tranne, naturalmente,

(Tranne che, in realtà, lui continuavaa non volere andarsene di lì.) sì, tranne

per quello.Indugiò a osservare lo Skidoo.

Voleva che tutto tornasse a esserecom'era. Quando era entrato lì nonaveva avuto alcun dubbio. Scendere avalle sarebbe stata una decisionesbagliata, allora l'aveva saputo.

Wendy aveva solo paura del babauevocato da un bimbetto isterico. Ora,tutt'a un tratto, riusciva a capire il suopunto di vista. Era come per il dramma,il suo maledetto dramma. Non sapevapiù per chi parteggiava, né comeavrebbero dovuto concludersi le cose.Una volta vista la faccia di un dio inquell'intrico di segni bianchi e neri, nonci si poteva più tirare indietro, non sipoteva più rinunciare a vederla. Altri

potevano ridere e dire che nonrappresentava nulla, che era solo ungroviglio di sgorbi privi di senso,preferisco di gran lunga una bellacartolina, di quelle di una volta, diquelle da colorare secondo i numeri,dove almeno si vede sempre la faccia diCristo Nostro Signore che ti guarda. Lasi era vista in un trasalimento gestaltico,quando il conscio e l'inconscio sifondono, in quell'unico scioccantemomento della comprensione. E sisarebbe continuato a vederla persempre. Si era dannati a vederla persempre.

(Ho avuto un'altra crisi disonnambulismo, mio caro. .)

Era andato tutto liscio finché nonaveva visto Danny giocate nella neve.Era colpa di Danny. Era stato tutto colpadi. Danny. Era lui, quello che possedeval'aura, o comunque si chiamasse. Nonera un'aura benefica, era unamaledizione. Se lui e Wendy si fosserotrovati lì da soli, avrebbero potutotrascorrere un inverno felice. Nienteaffanni, niente tensione cerebrale.

(Non voglio andarmene. Nonposso?)

L'Overlook non voleva che se neandassero, e neppure lui voleva che sene andassero. Neppure Danny.

Forse lui era parte dell'Overlook,adesso. Forse l'Overlook, da quel

grosso e bislacco Samuel Johnson cheera, aveva scelto lui perché fosse il suoBoswell. Dici che il nuovo guardiano èuno scrittore?

Benissimo, assumilo. È ora cheraccontiamo la storia dal nostro punto divista. Sbarazziamoci prima, però, delladonna e di quel moccioso di suo figlio.Non vogliamo che lo distraggano. Non...

Jack era ritto accanto all'abitacolodel gatto delle nevi, e ricominciava adolergli la testa. In conclusione a che siriduceva la faccenda? Andarsene orestare. Semplicissimo. E lasciamo checontinui a essere così semplice. Ce neandiamo o restiamo?

Se ce ne. andiamo, quanto tempopasserà prima che trovi la bettola di

Sidewinder? gli domandò una voceinteriore. Il locale buio con quelmalandato televisore a colori, doveuomini disoccupati e con la barba lungaciondolano per tutta la giornata aguardare la partita? Dove il piscio nelgabinetto stagna da cent'anni e c'èsempre una cicca di Carnei fradicia chesi spappola nella tazza del water? Dovela birra costa trenta centesimi albicchiere e la si taglia col sale, e il jukebox contiene settanta vecchieballatecountry?

Quanto tempo? Oh, Cristo, avevauna tale paura che ne passassepochissimo.

"Non posso vincere," disse, con

voce appena percettibile. Era così:come tentare di fare un solitario con unmazzo di carte dal quale mancasse unasso.

Con moto improvviso si chinò sulvano che conteneva il motore delloSkidoo e ne strappò il magnete.

Lo fissò per un attimo, poi si portòaccanto all'uscio posteriore del capannodegli attrezzi e l'aprì.

Da lì la vista spaziava liberamentesulle montagne, di una bellezza dacartolina illustrata, nella luminositàabbagliante del mattino. Una distesaintatta di neve saliva fino ai primi piani,a un paio di chilometri di distanza.Scagliò il magnete nella neve, piùlontano che poté. Cadde ancor più in là

di quanto avrebbe dovuto. Nel punto incui cadde si sollevò un leggero spruzzodi neve. La brezza trasportò lontano ilpulviscolo. Disperditi, ti dico. Non c'èniente da vedere. È finita. Disperditi.

Si sentì in pace.Rimase a lungo sulla soglia a

respirare l'aria sottile dei monti, poichiuse l'uscio con un colpo secco e uscìdal capanno passando dall'altra portaper andare a dire a Wendy chesarebbero rimasti n. Strada facendo, sifermò a fare a palle di neve con Danny.

34Era il 29 novembre, tre giorni dopo

la Giornata del Ringraziamento. L'ultimasettimana era stata piacevole; la cena

della Giornata del Ringraziamento, lamigliore che avessero mai consumato daquando formavano un nucleo familiare.Wendy aveva cucinato a puntino iltacchino di Dick Hallorann e avevanomangiato tutti fino a scoppiare senzaquasi intaccare l'enorme volatile. Jackaveva borbottato che avrebbero dovutomangiare tacchino per il restodell'inverno: tacchino alla crema, paniniimbottiti di tacchino, tacchino concontorno di tagliatelle, tacchino asorpresa.

No, gli aveva detto Wendy con unsorrisetto. Solo fino a Natale. Poimangeremo cappone.

Jack e Danny fecero udire unbrontolio all'unisono.

Le ecchimosi sul collo di Dannyerano sbiadite, e insieme sembravafossero sbiadite anche le paure di tutti etre. Il pomeriggio della Giornata delRingraziamento Wendy trascinava sullaneve Danny con lo slittino mentre Jacklavorava al suo dramma, che ormai eraquasi terminato.

"Hai ancora paura, dottore?" avevachiesto, non sapendo come porre ladomanda in termini più indiretti.

"Sì," aveva risposto candidamente ilbambino. "Ma ora sto nei posti sicuri."

"Il tuo papà dice che prima o poi iranger della foresta si chiederannoperché non ci mettiamo in contatto conloro via radio. Verranno a vedere se c'è

qualcosa che" non va. Allora potremoscendere a valle. Tu e io. E lasciare quipapà sino alla fine dell'inverno. Ha lesue buone ragioni per volerlo fare. In uncerto senso, dottore... so che per te non èfacile capire... siamo con l'acqua allagola."

"Sì," aveva risposto Danny,distratto.

Quel luminoso pomeriggio loro dueerano di sopra, e Danny sapeva cheavevano fatto l'amore. Adessosonnecchiavano. Erano felici, lo sapeva.Sua madre era ancora un pocospaventata, ma l'atteggiamento di suopadre appariva strano. Era la sensazionedi aver fatto qualcosa di molto difficilee di averlo fatto bene. Ma a Danny

pareva di non riuscire ad afferrare conesattezza in che cosa consistesse quelqualcosa. Suo padre custodiva con curail segreto, persino in cuor suo. Erapossibile, si chiedeva Danny, esseresoddisfatti di aver fatto qualcosa, etuttavia vergognarsi a tal punto di quelqualcosa, da sforzarsi di scacciarne ilpensiero? L'interrogativo lo turbava.Non credeva che una cosa del generefosse possibile... in una mente normale. Isondaggi più decisi nella mente delpadre avevano fruttato a Danny solol'immagine vaga di qualcosa chesomigliasse a una piovra, che salivaturbinando nel limpido cielo azzurro. Ein entrambe le occasioni in cui si era

concentrato con forza sufficiente acaptare tale immagine, papà tutt'a untratto si era messo a fissarlo conun'espressione dura che lo intimoriva,come se capisse.

Ora il bambino era nell'atrio, siaccingeva a uscire all'aperto. Uscivamoltissimo, trascinandosi appresso loslittino, oppure con le racchette ai piedi.Gli piaceva uscire. Quando era fuori alsole gli pareva di essersi liberato di unpeso gravoso.

Accostò una sedia, vi montò in piedie tolse dall'armadio del salone da ballola giacca a vento e i calzoni da sci; poisedette a indossarli. Gli scarponi eranoriposti nell'apposita scarpiera, e Dannyse li infilò, con la lingua che gli

spuntava da un angolo della bocca per losforzo, mentre allacciava le stringhe dicuoio con precisi nodi da marinaio.Infilò le muffole e il passamontagna, edeccolo pronto.

Attraversò la cucina con passo grevee un poco strascicato, avvicinandosi allaporta sul retro; e qui si fermò. Era stufodi giocare là dietro, e a quell'ora dellagiornata l'ombra dell'albergo siallungava sullo spiazzo dove era solitogiocare. A Danny non piaceva trovarsinell'ombra dell'Overlook. Decise cheavrebbe calzato le racchette e che peruna volta sarebbe sceso al campogiochi. Dick Hallorann gli aveva dettodi tenersi alla larga dal giardino

ornamentale, ma il pensiero delle siepi aforma di animali non lo preoccupavatroppo. Adesso erano sepolte sotto ilmanto di neve, e non se ne scorgevanulla all'infuori di una gobba indistintache era la testa del coniglio, e dellecode dei leoni. Sbucando dalla neve aquel modo, le code apparivano piùassurde che spaventose.

Danny aprì la porta sul retro e presele racchette posate sulla piattaforma perla consegna del latte.

Cinque minuti dopo se le fissava aipiedi, sotto il portico sulla facciata. Asentir suo padre, possedeva la doteinnata che ci voleva per saper usare leracchette: il passo lento e strisciante, ilmodo di roteare la caviglia per scuotere

via dalle cinghiette la neve polverosaprima di posare di nuovo il piede sulterreno. Non gli restava che irrobustire asufficienza i muscoli delle cosce, deipolpacci e delle caviglie.

Danny trovava che le prime astancarsi erano proprio le caviglie.Camminare sulla neve con le racchetteaffaticava le caviglie, quasi comepattinare, perché bisognavapreoccuparsi continuamente di farcadere la neve dalle cinghiette. Per farleriposare, ogni cinque minuti dovevaarrestarsi a gambe divaricate, con leracchette saldamente piantate nella neve.

Ma non ebbe bisogno di fermarsi ariposare scendendo al campo giochi,

perché il tragitto era tutto in discesa.Meno di dieci minuti dopo avere scalatoe scavalcato la mostruosa duna di neveche si era accumulata sotto il porticatod'ingresso dell'Overlook, se ne stava giàritto con la mano guantata appoggiataallo scivolo del parco giochi. Nonansimava nemmeno.

Sotto l'alta coltre di neve il campogiochi aveva un aspetto più piacevoleche durante l'autunno. Le catene dellealtalene si erano congelate in posizioniassurde, i sedili di quelle per i bambinipiù grandi sfioravano la superficienevosa. Il labirinto era una caverna dighiaccio difesa dai denti acuminati deighiaccioli. Dalla neve spuntavanosoltanto i comignoli dell'Overlook in

miniatura (vorrei che anche l'altro fossesepolto dalla neve allo stesso modo, manon con noi dentro) e la sommità deglianelli di cemento sporgeva in due puntia somiglianza di due igloo eschimesi.

Danny vi montò sopra, si accovacciòe prese a scavare. In breve riuscì aliberare dalla neve la buia imboccaturadi uno degli anelli e s'intrufolò nellafredda galleria. Estrasse la pistolaautomatica e avanzò lungo il cunicolo dicemento, gli occhi sgranati e intenti, ilrespiro che si condensava in nuvolette.

L'estremità opposta del tubo dicemento era saldamente bloccata dallaneve. Tentò di scavare per aprirsi unpassaggio, e fu stupito di constatare

quanto fosse solida quella parete, quasicome di ghiaccio, per il freddo e ilcostante accumulo di neve fresca.

Il gioco di finzione gli crollòattorno, e bruscamente Danny si reseconto di sentirsi prigioniero e oltremodonervoso, in quell'angusto cunicolo dicemento. Udiva il proprio respiro, e glipareva umido e affrettato e rauco. Erasepolto dalla coltre di neve, e dalpertugio che aveva scavato per entrarefiltrava a malapena un fievole raggio diluce. Di colpo desiderò di trovarsi fuori,alla luce del sole: ricordòimprovvisamente che il papà e lamamma stavano dormendo e nonsapevano dove lui fosse, che se il bucoche aveva scavato fosse franato, si

sarebbe trovato in trappola, e che luinon piaceva all'Overlook.

Con qualche difficoltà Danny riuscìa fare dietrofront, e tornò strisciando suisuoi passi lungo il cunicolo di cemento,le racchette che battevano con fragorel'una contro l'altra alle sue spalle, ilpalmo delle mani che annaspavafrusciando sulle foglie secche di abeterosso dell'autunno. Aveva appenaraggiunto l'imboccatura del cunicolo e lafredda lama di luce che filtrava dall'alto,quando la neve cedette: solo unospolverio, ma sufficiente a incipriargli ilviso e a bloccare l'apertura attraverso laquale s'era intrufolato e a lasciarlo albuio.

Per un attimo il cervello gli siintorpidì, sopraffatto dal panico, e nongli riuscì più di pensare. Poi, come dauna grande lontananza, udì suo padre chegli diceva che non doveva mai andare agiocare alla discarica di Stovington,perché a volte certi imbecilli vitrasportavano dei vecchi frigoriferisenza preoccuparsi di toglierne iportelli, e se vi si entrava e per caso ilportello si chiudeva, non c'era modo diuscirne. Saresti morto soffocato, al buio.

(Non vorrai mica che ti capiti unacosa del genere, vero, dottore?) (No,papà.)

E invece gli era capitato, gli disse lamente sconvolta, gli era proprio

capitato: era al buio, era prigioniero, efaceva freddo come all'interno di unfrigorifero. E...

(c'è qualcosa qua dentro con me.)Gli si mozzò il fiato in gola. Nelle

vene gli s'insinuò un terrore quasiipnotico. Sì. Sì. C'era qualcosa lì dentrocon lui, qualcosa di orribile chel'Overlook aveva tenuto in serbo perun'occasione come quella.

Forse un enorme ragno che s'erafatto il nido sotto le foglie morte, o unratto... o magari il cadavere di qualchebambino che era morto lì, al parcogiochi. Era mai successo un fatto delgenere? Sì, pensava che forse erasuccesso. Pensò alla donna nella vascada bagno. Al sangue e alla materia

cerebrale sul muro della BombonieraPresidenziale. A un bambino che si eraspaccato la testa cadendo dalle sbarredel labirinto o da un'altalena, e che oralo inseguiva strisciando nel buio,ghignando, in cerca di un definitivocompagno per i suoi giochi eterni. Persempre. Tra un istante l'avrebbe uditoarrivare.

All'estremità opposta del cunicolo dicemento, Danny udì il fruscio furtivodelle foglie secche, di qualcosa che loinseguiva procedendo carponi. Da unmomento all'altro ne avrebbe sentito lamano gelida chiudersi attorno alla suacaviglia...

Questo pensiero lo sottrasse alla

paralisi. Ora scavava nel molle cumulodi neve che bloccava l'imboccatura deltubo di cemento, rigettandosela indietrofra le gambe in sbuffi polverosi, comeun cane che scavi in cerca di un osso.Una luce azzurrina filtrò dall'alto eDanny si issò in alto, al pari di untuffatore che riemerga dalla profonditàdell'acqua. Strisciò con la schienacontro l'orlo del tubo di cemento. Unadelle racchette s'incastrò dietro l'altra.La neve gli s'insinuò nel passamontagnae nel colletto della giacca a vento.Danny scavò con gesti frenetici,artigliando la neve. Pareva che tentassedi trattenerlo, di risucchiarlo giù, dentroil tubo di cemento dove c'era quella"cosa" non vista, che faceva frusciare le

foglie, e imprigionarvelo. Per sempre.E poi fu fuori, il volto levato verso

il sole; e arrancava nella neve,arrancava per allontanarsi dal tubo dicemento semisepolto, ansando rauco, ilvolto imbiancato in maniera quasicomica dalla neve farinosa: unamaschera vivente di terrore. Raggiunseincespicando il labirinto e sedette ariaggiustarsi le racchette ai piedi e ariprender fiato. Mentre sistemava leracchette e stringeva le cinghie, nondistolse nemmeno per un attimo losguardo dal pertugio all'estremità deltubo di cemento. Aspettava di vedere sene usciva qualcosa. Non ne uscì nulla, edopo tre o quattro minuti il ritmo del

respiro di Danny prese a rallentare. Diqualsiasi cosa si trattasse, nonsopportava la luce del sole. Eraimprigionata là sotto; magari era ingrado di uscire solo quando facevabuio... o quando le due imboccaturedella sua prigione circolare eranobloccate dalla neve.

(ma adesso sono al sicuro: devosolo tornare indietro perché adessosono) Qualcosa produsse un molle tonfoalle sue spalle.

Si girò di scatto, a guardare indirezione dell'albergo. Ma ancor primadi guardare (Riesci a vedere gli indianiin questa vignetta?)

sapeva che cosa avrebbe visto,perché sapeva da cosa fosse stato

causato quel tonfo molle. Era il rumoredi un grosso blocco di neve che cadeva,proprio lo stesso suono che producevaquando scivolava dal tetto dell'albergo eprecipitava al suolo.

(Riesci a vedere. .?)Sì. Vide. La neve si era staccata dal

cane della siepe ornamentale. QuandoDanny era sceso laggiù, era stato solo uninnocuo mucchio di neve all'ingresso delparco giochi. Ora si ergeva nudo,incongrua chiazza verde in tutto quelbiancore abbacinante. Era seduto sullezampe posteriori, come a chiedere undolcetto o un avanzo di cibo.

Ma questa volta Danny non sarebbeimpazzito di paura, non avrebbe perso la

testa. Perché quantomeno non eraintrappolato in un vecchio bucotenebroso. Era alla luce del sole. Equello era solo un cane. C'è un beltepore oggi, pensò speranzoso. Forse ilsole ha semplicemente sciolto un po'della neve che copriva quel vecchiocane, e così il resto è scivolato via tuttoinsieme. Forse è tutto qui.

(Non avvicinarti a quel posto. . giraal largo.)

Le cinghie delle racchette eranostrette al massimo. Danny si alzò inpiedi e tornò a fissare il tubo dicemento, quasi completamentesommerso dalla neve; e ciò che videall'imboccatura dalla quale era uscito,gli gelò il cuore. All'estremità del

cunicolo si scorgeva una chiazzacircolare di oscurità, un cerchio d'ombrache segnava il pertugio che avevascavato per calarsi dentro. Ora, ad ontadel candore abbacinante della neve, gliparve di vedere qualcosa, laggiù.Qualcosa che si muoveva. Una mano. Lamano agitata nell'aria di un bambinodisperatamente infelice, mano agitata,mano implorante, mano chesprofondava.

(Salvami. Oh ti prego salvami. Senon puoi salvarmi vieni almeno agiocare con me. . Per sempre. E

Per sempre. E Per sempre.)"No," bisbigliò Danny con voce

roca. La parola gli uscì secca e nuda

dalla bocca, che era completamenteinaridita. Ora si sentiva vacillare lamente, mentre tentava di distogliersi dalì, allo stesso modo in cui aveva tentatoquando la donna nella stanza aveva... no,meglio non pensarci.

Si aggrappò alla realtà e vi si tennesaldamente afferrato. Doveva andarsene,ecco il punto. Concentrati su questo. Sta'calmo. Fa' come l'Agente Segreto.Patrick McGoohan si sarebbe forsemesso a piangere e si sarebbe fatto lapipì addosso come un bimbetto?

E il suo papà?Questo pensiero valse a calmarlo un

poco.Alle sue spalle tornò a farsi udire

quel suono molle di neve che cadeva. Si

girò di scatto, e ora dalla neve spuntavala testa di uno dei leoni della siepe, chelo fissava digrignando le zanne. Era piùvicino di quanto avrebbe dovuto, quasiall'altezza del cancello del parco giochi.

Il terrore tentò di travolgerlo, maDanny lo soffocò. Era l'Agente Segreto,lui, e sarebbe riuscito a cavarsela.

Si accinse a uscire dal recinto,compiendo la stessa deviazione cheaveva compiuto suo padre quel giornoche nevicava. Si concentrò sullamanovra delle racchette. Passi lenti,quasi striscianti. Non sollevare troppo ilpiede o perderai l'equilibrio. Rotea lacaviglia e scrolla via la neve dallecinghiette incrociate. Gli pareva di

andare così piano. Giunse all'angolo delcampo giochi. Qui la neve era altissima,e Danny avrebbe potuto scavalcareagevolmente il recinto. C'era quasiriuscito, quando la racchetta fissata alpiede che teneva proteso all'indietros'impigliò in uno dei paletti, ed egli perpoco non cadde lungo disteso. Spostò ilbaricentro, roteando le braccia,ricordando quanto fosse difficilerialzarsi quando si cadeva.

Dalla destra, di nuovo quel tonfomolle e soffocato; blocchi di neve checadevano. Guardò e vide gli altri dueleoni, a una sessantina di metri didistanza, ormai sgombri da neve,accucciati sulle zampe anteriori, l'unoaccanto all'altro. Le verdi incisioni che

fungevano da occhi erano fisse su di lui.Il cane aveva voltato il capo.

(Capita solo quando non guardi.)"Oh! Maled..."Le racchette si erano incrociate e

Danny cadde a capofitto nella neve,agitando le braccia in un gesto concitatoe vano. Altra neve gli entrò nelcappuccio e giù per il collo e dentrol'orlo degli scarponi. Si dibatté persollevarsi e tentò di tirarsi le racchettesotto il corpo, col cuore che glimartellava pazzamente ora

(Agente Segreto ricordati che seil'Agente Segreto)

ma esagerò e perse l'equilibrio.Cadde all'indietro. Per un istante

giacque a fissare il cielo, pensando chesarebbe stato molto più semplicerinunciare alla lotta.

Poi pensò alla cosa nel tunnel dicemento e si rese conto che non potevafarlo. Riuscì a rimettersi in piedi e puntòlo sguardo sul giardino ornamentale. Orai tre leoni erano radunati assieme, a unadecina di metri di distanza, mentre ilcane si era schierato alla loro sinistra,come a bloccare la ritirata di Danny.Non erano più coperti di neve, a parteuna sorta di gorgera che gli impolveravail collo e il muso. Lo fissavano tuttiquanti.

Ora il respiro di Danny si era fattospasmodico, e il panico era come untopolino dietro la sua fronte, che si

dimenava e rosicchiava. Tentò discacciare il panico e di manovrare infretta le racchette.

(La voce di papà: No, non muoverlecosì in fretta, dottore. Camminaci comese fossero i piedi.

Cammina con loro.)(Sì, papà.)Riprese a camminare, sforzandosi di

riacquistare il ritmo lento nel quale siera esercitato con papà. Un po' allavolta lo ritrovò, ma assieme al ritmoritrovò anche la consapevolezza diquanto fosse stanco, di quanto la paural'avesse spossato. Sentiva fremere itendini delle cosce, dei polpacci, dellecaviglie.

Dinanzi a sé scorgeva l'Overlook,beffardamente lontano, che parevafissarlo con gli innumerevoli occhi dellesue finestre, quasi si trattasse di unaspecie di gara per la quale provasse unblando interesse.

Danny si voltò a guardare da soprala spalla, e il respiro affrettato gli sibloccò per un istante, poi riprese ancorapiù concitato. Il leone più vicino distavada lui circa sei metri, non di più, eavanzava nella neve che gli arrivava algarrese come un cane che sguazzi in unostagno. Gli altri due lo fiancheggiavano,tenendo il passo, sulla destra e sullasinistra. Erano come un plotone disoldati di ronda, e il cane, un po'

distanziato sulla sinistra, fungeva daesploratore. Il leone più vicinoprocedeva a testa bassa. Le spallepossenti erano serrate sopra il collo. Lacoda era ritta, come se nell'attimo primache Danny si voltasse a guardare,l'avesse mossa su e giù, su e giù.

(...cadere. . )No, se cadeva era spacciato. Non gli

avrebbero mai permesso di rialzarsi. Glisarebbero balzati addosso. Roteòpazzamente le braccia e si protese inavanti, nel tentativo di raggiungere ilbaricentro che gli danzava appena oltrela punta del naso. Lo raggiunse e affrettòil passo, lanciandosi alle spalle occhiatefurtive.

Ora procedeva sopra il viale di

accesso coperto dalla coltre di neve; unbimbetto col volto quasi completamentenascosto dall'ombra del cappuccio dellagiacca a vento. Il pomeriggio eraimmobile e luminoso.

Quando tornò a voltarsi a guardare,il leone all'avanguardia era a meno didue metri di distanza.

Ghignava. Aveva le faucispalancate, i fianchi tesi come una molladi orologio. Tra il leone e gli altri,Danny scorse il coniglio, la testa che oraspuntava dalla neve, di un bel verdeacceso, come se avesse girato l'orridomuso per vedere come si sarebbeconcluso l'agguato.

Ora, sul prato che fronteggiava

l'Overlook tra il viale circolare e ilporticato, Danny diede libero sfogo alpanico e si mise a correre goffamentesulle racchette, senza osare voltarsi ora,sempre più piegato in avanti, le bracciatese dinanzi a sé come un cieco checerchi gli ostacoli a tastoni. Il cappucciogli scivolò indietro rivelando il viso diun pallore gessoso che andava cedendoil passo a chiazze rosse da febbricitantesulle guance, gli occhi che per il terroresembravano sul punto di schizzare dalleorbite.

Ora il porticato era a pochi passi. .Alle sue spalle udì l'aspro crocchiaredella neve, mentre qualcosa spiccava unbalzo.

Cadde sui gradini del porticato,

urlando senza emettere suono, e vis'inerpicò carponi, le racchette chesbattevano rumorosamente, obliquedietro di lui.

Nell'aria echeggiò un suonosferzante, e Danny avvertì unimprovviso dolore a una gamba. Unrumore di stoffa che si lacerava.Qualcos'altro che poteva...doveva. .essere esistito solo nella sua mente.

Un rabbioso, rintronante ruggito.Sentore di sangue e di sempreverdi.Cadde lungo disteso sotto il

porticato, singhiozzando rauco, il saporeintenso, metallico di rame nella bocca. Ilcuore gli martellava nel petto. Dal nasogli colava un rivolo di sangue.

Non aveva idea di quanto tempofosse rimasto disteso in quella posizioneprima che si spalancassero le portedell'atrio e Jack si precipitasse fuori,con indosso solo i jeans e un paio diciabatte. Wendy lo seguiva da presso.

"Danny!"urlò."Dottore! Danny, per l'amor di Dio!

Cos'hai? Cos'è successo?"Papà lo aiutava ad alzarsi. Sotto il

ginocchio i calzoni da neve mostravanouno squarcio. Sotto i calzoni, apparivastrappato anche il calzettone di lana daneve, e il polpaccio presentava ungraffio, come se avesse tentato di aprirsiunvarco in una siepe intricata e i ramil'avessero artigliato.

Si volse a guardare da sopra laspalla. Giù in fondo al prato, oltre ilcampo di golf, si scorgevano alcunegobbe ammantate di neve, dalla formavaga. Gli animali della siepe. Tra loro eil parco giochi.

Tra loro e la strada.Gli si piegarono le ginocchia. Jack

lo afferrò. Danny scoppiò in pianto.

35Aveva raccontato loro ogni cosa,

tranne ciò che gli era accaduto quando laneve aveva bloccato l'imboccatura deltubo di cemento. Non era riuscito atrovare la forza di ripeterlo. E nonconosceva le parole esatte che valesseroa esprimere lo strisciante, apatico senso

di terrore che aveva provato udendo lefoglie secche di abete rosso chefrusciavano sommesse là sotto nellafredda oscurità. Ma raccontò del tonfosoffocato della neve che cadeva in molliblocchi. Del leone con la testa e lespalle raccolte che si apriva un varconella neve per dargli la caccia. Gliaveva persino raccontato di come ilconiglio, verso la fine, avesse girato latesta a guardare.

Erano tutti e tre nell'atrio. Nelcaminetto Jack aveva acceso un belfuoco crepitante. Danny era infagottatoin una coperta sul divanetto dove unavolta, mille, centomila anni prima, eranosedute tre monache che ridevano comeragazzine in attesa che la fila dinanzi al

banco della portineria si diradasse.Beveva da un boccale, a piccoli

sorsi, un brodo caldo. Wendy gli sedevaaccanto, carezzandogli i capelli. Jacks'era seduto sul pavimento, e a mano amano che Danny raccontava la sua storiail suo volto pareva farsi sempre piùchiuso, come impietrito. Cavò due voltedalla tasca posteriore dei calzoni ilfazzoletto per strofinarselo sulle labbragonfie e screpolate.

"E poi mi hanno inseguito," concluseDanny. Jack si alzò e si accostò allafinestra, dando loro le spalle. Dannyguardò la mamma. "Mi hanno inseguitofin sotto il porticato." Si sforzava dimantenere un tono di voce tranquillo,

perché se manteneva la calma forse gliavrebbero creduto. Il signor Stenger nonaveva mantenuto la calma. Si era messoa piangere e non era più stato in grado diSMETTERE; COSÌ GLI UOMINI COLCAMICE BIANCO erano venuti aportarlo via perché se non si riusciva asmettere di piangere voleva dire cheDAVI I NUMERI e quando sarestitornato? NESSUNO LO SA.

La giacca a vento, i calzoni da sci ele racchette incrostate di neve giacevanosul tappeto appena dentro le grandi portea due battenti.

(Non piangerò non mi permetterò dipiangere)

E pensava che ci sarebbe riuscito,però non riusciva a frenare il tremito.

Fissò il fuoco e attese che papà dicessequalcosa. Fiamme gialle, altissimedanzavano sul focolare di pietra scura.Un nodo di pino scoppiò rumorosamentee uno sciame di scintille guizzò rapido,dileguandosi su per la cappa.

"Danny, vieni qui." Jack si girò. Sulvolto gli si leggeva ancoraquell'espressione tormentata, simile a unpresagio di morte. A Danny non piacevaguardarla.

"Jack...""Voglio solo che il bambino venga

qui un istante."Danny si lasciò scivolare dal

divano, avvicinandosi al suo papà."Bravo. Ora, dimmi: che cosa vedi?"

Danny sapeva già che cosa avrebbevisto ancor prima di accostarsi allafinestra. Oltre l'intreccio di orme discarponi, di impronte lasciate dalloslittino o dalle racchette che segnavanolo spiazzo sul quale erano solitiesercitarsi, la coltre di neve che coprivai prati dell'Overlook digradava fino algiardino ornamentale e al parco giochi.Il manto nevoso era intaccato soltanto dadue serie di impronte, l'una in linea rettache partiva dal porticato e raggiungevail campo giochi, l'altra in linea lunga esinuosa che seguiva lo stesso percorsoin senso contrario.

"Solo le mie impronte, papà. Ma...""E le siepi, Danny?"

Le labbra di Danny presero atremare. Stava per scoppiare in lacrime.E se non fosse riuscito a smettere?

(non piangerò Non Piangerò NoNoNON PIANGERÒ)

"Tutte coperte di neve," bisbigliò."Ma, papà..."

"Come? Come? Non ho capito...""Jack, ma questo è un interrogatorio

di terzo grado! Non vedi che èsconvolto, che è..."

"Chiudi il becco, tu! Allora,Danny?"

"Mi hanno graffiato, papà. La miagamba..."

"Devi esserti tagliato la gambaurtando contro la crosta di neve

ghiacciata. "E allora Wendy s'intromise fra loro,

il volto pallido e adirato. "Cosa staicercando di fargli fare?" chiese a Jack."Di confessare che l'assassino è lui?Che cosa ti succede?"

"Sto cercando di aiutarlo a scoprirela differenza tra ciò che è reale e ciò cheè immaginario, tutto qui."

Si accovacciò accanto a Danny inmodo da poterlo fissare direttamentenegli occhi, poi lo abbracciò stretto."Danny, in realtà non è accaduto niente.D'accordo? È stato come una di quelletrance in cui cadi a volte. Tutto qui."

"Papà?""Che cosa, Dan?""Non mi sono tagliato la gamba

contro la crosta di neve. Di crosta nonce n'è. È tutta neve farinosa.

Non si riesce neppure a comprimerlaper fare a palle di neve. Ricordi cheabbiamo tentato di giocare a palle dineve e non ci siamo riusciti?"

Sentì il corpo del padre irrigidirsicontro il suo. "Allora avrai battutocontro un gradino del porticato."

Danny si svincolò dall'abbraccio. Dicolpo comprese. Gli era balenato allamente all'improvviso, come gliaccadeva certe volte, come gli eraaccaduto con quella donna che volevainfilarsi nelle brache dell'uomo ingrigio. Fissò il padre con occhistupefatti.

"Tu lo sai che dico la verità,"bisbigliò, sconvolto.

"Danny..." Il volto di Jack sirannuvolava.

"Lo sai perché hai visto..."Il suono della mano aperta di Jack

che si abbatteva sul viso di Danny fusordo, per nulla drammatico.

La testa del bambino scattòall'indietro, il segno netto dello schiaffoche andava delineandosi scarlatto sullaguancia come un marchio a fuoco.

Wendy si lasciò sfuggire uno strillodoloroso.

Per qualche istante rimaseroimmobili e silenziosi, poi Jack afferrò ilfiglio: "Danny," disse, "mi spiace. Stai

bene, dottore?""L'hai picchiato!" gridò Wendy.

"Bastardo! Sporco bastardo!"Afferrò il bambino per l'altro

braccio, e per un momento Danny sitrovò sballottato fra i due.

"Oh, per favore, smettetela ditirarmi!"strillò; e c'era una sofferenzacosì acuta nella sua voce che entrambimollarono la presa, e poi Danny nonseppe più trattenere le lacrime e crollò,piangendo, tra il divano e la finestra,con i genitori che lo fissavano impotenti,come due bambini potrebbero fissare ungiocattolo rotto nel corso di una contesafuribonda per stabilire a chiappartenesse. Nel caminetto, un altronodo di pino scoppiò con improvviso,

secco fragore, facendo sobbalzare tutti etre.

Wendy gli diede qualche compressadi aspirina per bambini e Jack lo adagiò,senza la minima protesta, fra le lenzuoladel lettino. Si addormentò quasi subito,il pollice infilato in bocca.

"Non mi piace," disse Wendy. "È unsintomo di regressione."

Jack non fece commenti.Lei lo guardò con tenerezza, senza

collera, e tuttavia senza sorridere. "Vuoiche ti chieda perdono per averti dato delbastardo? E va bene, mi scuso.Comunque, non avresti dovutopicchiarlo."

"Lo so. Non so proprio che diavolo

mi abbia preso.""Avevi promesso di non picchiarlo

più."Jack la fissò furente, poi la collera

gli si spense. E tutto a un tratto, conpietà e orrore, Wendy intuì quale aspettoJack avrebbe assunto da vecchio. Nonl'aveva mai visto in quello stato.

(Quale stato?)Sconfitto,si rispose Wendy.Ha l'aria

di un vinto."Ho sempre creduto che sarei

riuscito a tener fede al mio impegno,"disse Jack.

Wendy gli si accostò e gli posò lemani sul braccio. "E va bene, nonparliamone più. Quando verrà il rangerper il giro d'ispezione, gli diremo che

vogliamo scendere a valle tutti e tre.D'accordo?"

"D'accordo," rispose Jack, e in quelmomento, almeno, era in buona fede.Allo stesso modo che era sempre statoin buona fede la mattina del giornodopo, fissando il proprio volto pallido edisfatto nello specchio del bagno.Questavolta la pianto, do un taglio netto. Ma almattino faceva seguito il pomeriggio, edi pomeriggio si sentiva un po' meglio.E al pomeriggio faceva seguito la sera.E, come ha detto un grande pensatoredell'Ottocento, la sera arriva sempre.

Si scoprì a desiderare che Wendy lointerrogasse in merito alle siepi, glidomandasse a cosa avesse alluso Danny

dicendo:Lo sai perché hai visto. . Sel'avesse fatto, le avrebbe raccontato ognicosa.

Proprio tutto. Le siepi, la donnanella stanza, persino la faccendadell'estintore che gli era parso avessecambiato posizione. Ma dove finivano leconfessioni? Poteva dirle che avevascagliato lontano il magnete? Che, senon l'avesse fatto, in quel momentoavrebbero potuto trovarsi tutti quanti giùa Sidewinder?

"Vuoi una tazza di tè?" Questadomanda laconica veniva da Wendy.

"Sì. Una tazza di tè mi sembraun'ottima idea."

Lei si avviò all'uscio e vi indugiò,massaggiandosi gli avambracci sotto il

maglione. "È colpa mia, non solo tua,"disse. "Che cosa stavamo facendomentre lui affrontava quel... sogno, oquel diavolo che fosse?"

"Wendy...""Dormivamo," continuò.

"Dormivamo come un paio di ragazziniche abbiano soddisfatto i loro pruriti."

"Basta," disse Jack. "È tutto finito,ora."

"No," ribatté Wendy, e gli rivolseuno strano, inquieto sorriso. "Non èfinita."

Uscì per andare a preparare il tè,lasciandolo di guardia al figlio.

36Jack si destò da un sonno leggero e

inquieto nel quale forme enormi econfuse lo inseguivano per sterminatedistese di neve fino a quello che lì per lìpensò fosse un altro sogno: buio, e nelbuio un improvviso, meccanicoguazzabuglio di rumori, tintinnii,stridori, ronzii, suoni sferraglianti, scattie fruscii simili a sospiri.

Poi Wendy si levò a sedere accantoa lui e Jack seppe che non era un sogno.

"Cos'è?" La sua mano, fredda comeil marmo, gli artigliò il polso. Jacksoffocò l'impulso di scrollarla via: comediavolo faceva a sapere cos'era?L'orologio dal quadrante luminoso sulcomodino segnava la mezzanotte menocinque minuti.

Ancora il ronzio. Forte e regolare,

con appena qualche minima variazione.Seguito da un clangore di ferragliequando il ronzio cessava. Un colposecco, metallico. Un tonfo. Poi il ronzioriprendeva.

Era l'ascensore.Danny si stava levando a sedere.

"Papà?Papà?" La voce era sonnacchiosae spaventata.

"Sono qui, dottore," disse Jack."Vieni qui e salta nel nostro letto. Anchela mamma è sveglia."

Le lenzuola frusciarono mentreDanny s'infilava nel letto fra i genitori."È l'ascensore," bisbigliò.

"Proprio così," fece Jack. "È solol'ascensore."

"Come sarebbe a dire,solo?"domandò Wendy. Nella sua voce siavvertì una gelida punta d'isterismo.

"È notte fonda.Chi è che lomanovra? "

Sopra di loro, adesso. Losferragliare del cancelletto che scorrevaa fisarmonica, l'urto delle porte che siaprivano e si chiudevano. Poi di nuovoil ronzio del motore e ilfruscio dei cavi.

Danny si mise a piagnucolare.Jack scese dal letto. "Un corto

circuito, immagino.. Vado acontrollare."

"Guardati bene dall'uscire da questastanza!"

"Non dire sciocchezze," disse lui,

infilandosi la vestaglia. "È il miolavoro."

Un istante dopo anche Wendy erabalzata dal letto, portando Danny con sé.

"Veniamo anche noi.""Wendy...""Che succede?" chiese Danny, tetro.

"Che succede, papà?"Anziché rispondergli, Jack gli volse

le spalle, il volto adirato e incupito.Giunto all'uscio, si strinse il cordonedella vestaglia attorno alla vita, aprì laporta e uscì nel corridoio immerso nelletenebre.

Wendy ebbe un attimo di esitazione,e in effetti fu Danny il primo che siavviò. Wendy si affrettò a raggiungerlo euscirono assieme.

Jack non si era curato di accenderele luci. Wendy cercò a tentonil'interruttore che accendeva i quattrolampadari intervallati in corrispondenzadella diramazione collegata al corridoioprincipale. Davanti a loro, Jack stavagià svoltando l'angolo. Questa volta fuDanny che trovò il pannello degliinterruttori e li spinse tutti e tre versol'alto. Il corridoio s'illuminò.

Jack era ritto davanti al cancellettodell'ascensore, fiancheggiato dapanchette e grossi posacenere.

La mano di Danny si strinse attorno aquella della madre, facendole quasimale. Teneva lo sguardo levato su di lei,con espressione assorta, tesa e ansiosa a

un tempo. Aveva afferrato il corso deisuoi pensieri, si rese conto Wendy. Inquale misura, o fino a qual punto fossein grado di seguirli, era impossibiledirlo, ma Wendy arrossì, provandosuppergiù la stessa sensazione che sel'avesse sorpresa nell'atto dimasturbarsi.

"Andiamo," disse, e si avviarono peril corridoio in direzione di Jack.

Qui i ronzii, i tonfi sordi e il fragoredi ferraglie erano più forti, terrificanti inun loro modo torpido e sconnesso. Jackfissava il cancello chiuso con intensitàfebbrile. Attraverso la finestrella alosanga al centro della portadell'ascensore Wendy credette diintravedere i cavi, scossi da una leggera

vibrazione.L'ascensore si arrestò sferragliando

sotto di loro, a livello del pianterreno.Udirono il tonfo delle porte che siaprivano. E...

(ricevimento)Perché aveva pensato a un

ricevimento? La parola le era venutaalla mente senza alcun motivoparticolare. Il silenzio nell'Overlook eraassoluto e profondo, tranne per queisuoni irreali che salivano dal vanodell'ascensore.

(dev'essere stato un ricevimento coifiocchi)

(CHE RICEVIMENTO?)Per un fugace istante la sua mente si

era colmata di un'immagine così reale dasembrare un ricordo... e non già unricordo qualsiasi, bensì uno di queiricordi che si conservano gelosamente,uno di quei ricordi che si serbano per legrandi occasioni e dei quali si parlasolo di rado. Luci... centinaia, forsemigliaia di luci. Luci e colori, loschiocco dei tappi di champagne,un'orchestra di quaranta elementi chesuonavaIn the Mood di Glen Miller. MaGlen Miller era precipitato col suoaereo ancor prima che lei nascesse!Come poteva ricordarsi di Glen Miller?

Abbassò lo sguardo su Danny. Erapallido come un morto.

Tuuum.Da basso, la porta dell'ascensore si

era chiusa scorrendo.Un gemitoronzante: l'ascensore prendeva a salire.Wendy scorse per prima la gabbia delmotore sulla sommità della cabinaattraverso la finestrella a losanga, poil'interno della cabina, intravistoattraverso gli altri rombi formati dalcancello di ottone.Una calda luce giallache pioveva dalla lampada a soffittodella cabina. Era vuota. La cabina eravuota. Era vuota ma

(la sera del ricevimento dovevanoesservisi pigiati a dozzine, pigiati nellacabina oltre i limiti di sicurezza, manaturalmente allora era nuovo e tuttiportavano la maschera) (QUALEMASCHERA?)

La cabina si arrestò sopra di loro, alterzo piano. Wendy guardò Danny. Eratutt'occhi. La bocca era serrata in unafessura esangue. Sopra di loro, ilcancello di ottone scorse sferragliando.La porta dell'ascensore si aprì con untonfo, si aprì con un tonfo perché eraora, era giunto il momento, era ora didire

(Buonanotte. . buonanotte. . sì, èstato delizioso. . no, davvero non possotrattenermi fin quando si toglieranno lamaschera. . presto a letto, presto inpiedi. . oh, era Sheila?. . il frate?. . nonlo trovi spiritoso? Sheila che si travesteda frate!. . sì, buonanotte. . buona)Tuuum.

Sferragliare d'ingranaggi. Il motoreche si avvia. La cabina prese a scenderegemendo.

"Jack," bisbigliò Wendy, "Cos'è?Che succede all'ascensore?"

"Un corto circuito," disse lui. Il suovolto pareva scolpito nel legno. "Te l'hodetto, che era un corto circuito."

"Continuo a udire voci in testa!"gridò Wendy. "Cos'è? Che succede? Mipare di impazzire!?

"Che voci?" Jack la guardò con unosguardo soave, insopportabile.

Lei si rivolse a Danny. "Hai..."Danny fece segno di sì, lentamente.

"Sì. E musica. Come se provenisse daun'epoca remota. Nella testa."

La cabina dell'ascensore tornò afermarsi. L'albergo era immoto,scricchiolante, deserto. Fuori, il ventogemeva nel buio attorno ai cornicioni.

"Direi che siete pazzi tutti e due,"disse Jack in tono disinvolto. "Io non hosentito proprio niente, trannequell'ascensore affetto da un attaccoacuto di singhiozzo elettrico. Se voleteesibirvi in un duetto isterico, fate pure,ma non contate su di me."

L'ascensore scendeva di nuovo.Jack si spostò verso destra,

accostandosi a una scatola col portellodi vetro, fissata alla parete all'altezzadel torace. Vi scagliò contro il pugnonudo. Il vetro andò in frantumi. Un filo

di sangue colò da due nocche della manodi Jack, che frugò all'interno dellascatola e ne estrasse una chiave dallalunga impugnatura liscia.

"Jack, no! Non farlo!""Fa parte dei miei compiti. E adesso

lasciami in pace, Wendy! "Lei tentò di aggrapparglisi al

braccio. Lui la respinse. I piedi les'impigliarono nell'orlo della vestaglia ecadde sul tappeto con un goffo tonfo.Danny lanciò un urlo stridulo e si lasciòcadere in ginocchio accanto a lei. Jacktornò a voltarsi verso l'ascensore einfilò la chiave nella toppa.

I cavi dell'ascensore sparirono edietro la finestrella si profilò ilpavimento della cabina. Un attimo dopo

Jack girava la chiave con gestoenergico. Si udì un rumore stridente,aspro, poi la cabina dell'ascensore siarrestò di botto. Per un momento ilmotore disinnestato nel sotterraneogemette ancor più forte, poi entrò inazione l'interruttore di circuito esuU'Overlook calò un silenzio irreale.Jack guardò attonito la porta di metallogrigio dell'ascensore. Sotto la toppaspiccavano tre chiazze di sangue lasciatedalle sue nocche scorticate.

Si volse un istante verso Wendy eDanny. Lei era seduta per terra e Dannyle cingeva le spalle col braccio. Lofissavano tutti e due con aria circospetta,come se lui fosse uno sconosciuto che

non avevano mai visto in vita loro,magari un individuo pericoloso.

"Sì... Wendy, si tratta del miolavoro," disse Jack, quasi senzaaccorgersene.

"E chi se ne frega, del tuo lavoro?"fu la secca risposta.

Jack tornò a voltarsi versol'ascensore, introdusse le dita nellafessura che correva lungo il lato destrodella porta e riuscì a socchiuderla.Dopodiché, fu in grado di far forza contutto il peso del corpo e spalancò laporta.

La cabina si era arrestata a mezzastrada, e il pavimento era all'altezza delpetto di Jack. Era ancora illuminata dauna luce calda, che contrastava col buio

oleoso del vano sottostante.Jack vi frugò con lo sguardo per un

lasso di tempo che parve interminabile."È vuota," disse poi. "Un corto

circuito, come avevo già detto." Infilò ledita ad artiglio nella sottile fessuradietro la porta e cominciò a tirarla versodi sé per chiuderla... e allora la mano diWendy gli si posò sulla spalla, con forzasorprendente, scostandolo con gestoautoritario.

"Wendy!" urlò. Ma lei s'era giàaggrappata all'orlo del pavimento dellacabina e si tirò su quel tanto che bastavaper guardar dentro. Poi, con uno scattoconvulso delle spalle e dei muscoli delventre, tentò di issarsi completamente.

Per un attimo l'esito fu incerto. I suoipiedi oscillarono sopra le tenebre delvano: una pantofola rosa le si sfilò escivolò sparendo nel vuoto.

"Mamma!"urlò Danny.Poi fu di nuovo su, le guance

arrossate, la fronte pallida e lucente. "Diquesto, che ne dici, Jack? È un cortocircuito, questo?" Gettò qualcosa, e d'untratto il corridoio si riempì di coriandolivolteggiami, rossi e bianchi e azzurri egialli. "Equesto? "Una stella filanteverde, di un pallido verde pastellosbiadito per gli anni.

"Equesta? "La scagliò fuori, e l'oggetto andò a

posarsi sul tappeto arabescato azzurro enero: una mascherina di seta nera,

spruzzata di lustrini alle tempie."Ti pare che sia un corto circuito,

quella, Jack?"urlò, esasperata, isterica.Jack si scostò lentamente dalla

mascherina, scuotendo il capo in ungesto incoerente, meccanico. Lamaschera di seta fissava con le occhiaievuote il soffitto dal tappeto delcorridoio, disseminato di coriandoli.

37Era il primo dicembre.Danny era nel salone da ballo

dell'ala est, in piedi su una poltronaimbottita dall'alto schienale, e fissaval'orologio sotto la campana di vetro.L'orologio era al centro dell'altamensola ornamentale del caminetto del

salone da ballo, fiancheggiato da duegrossi elefanti d'avorio. Quasi quasi siaspettava che gli elefanti si mettesseroin moto e tentassero di trafiggerlo con lezanne mentre se ne stava lì ritto.

Invece erano immobili. Erano"sicuri". Dalla notte dell'ascensore eragiunto a dividere tutte le cose chec'erano all'Overlook in due categorie.L'ascensore, la cantina, il parco giochi,la camera 217 e l'AppartamentoPresidenziale (si diceva Appartamento,non Bomboniera; l'aveva visto scritto inun libro dei conti che papà stavaleggendo la sera prima all'ora di cena, ese l'era ficcato bene in testa): quellierano posti "pericolosi". Il loroalloggio, l'atrio e il porticato erano

"sicuri". A quanto pareva, lo era ancheil salone da ballo.

(Lo sono gli elefanti, comunque.)Quanto agli altri posti, non era

sicuro, e così, in via generale, li evitava.Guardò l'orologio sotto la campana

di vetro. Era protetto dal vetro perchétutte le rotelline e gli ingranaggi e lemolle erano a vista. Un profilo d'acciaioo di un metallo cromato correvatutt'attorno ai meccanismi, e propriosotto il quadrante dell'orologio c'era unpiccolo perno con un paio di ingranaggidentati a ciascuna estremità. Le lancettedell'orologio segnavano le undici e unquarto, e sebbene Danny non conoscessei numeri romani, dalla posizione delle

lancette indovinava l'ora sulla qualel'orologio si era fermato. L'orologiopoggiava su un basamento di velluto.Proprio di fronte, leggermente distortadalla curva della campana di vetro, eraposata una chiave d'argento finementecesellata.

Danny supponeva che l'orologiofosse una delle cose che gli era proibitotoccare, al pari degli alari edell'attizzatoio, così decorativi,sistemati nello stipo profilato di ottoneaccanto al caminetto dell'atrio o dellagrande cristalliera in fondo alla sala dapranzo.

Di colpo gli montarono dentro unsenso d'ingiustizia e un impeto dirabbiosa ribellione e (me ne infischio di

quello che non dovrei toccare, me neinfischio altamente, mi ha toccato, no?ha giocato con me, no?)

Proprio così. E non si era neppuredato pensiero di evitare di romperlo.

Danny protese le mani, afferrò lacampana di vetro e la sollevò,posandola da parte. Fece scorrere perqualche istante un dito sui meccanismi,seguendo col polpastrello dell'indice ilcontorno degli ingranaggi, sfiorandolievemente le rotelle. Prese la chiaved'argento. Per un adulto sarebbe statatroppo piccola e quindi scomoda, mentreinvece si adattava perfettamente alle suedita. L'infilò nel foro al centro delquadrante. La chiave vi si incastrò con

uno scatto quasi impercettibile, piùavvertito che udito. Girava verso destra,naturalmente: in senso orario.

Danny girò la chiavetta finché lamolla fu completamente carica, poil'estrasse. L'orologio prese a ticchettare.Gli ingranaggi giravano. Un grossobilanciere oscillava avanti e indietrodescrivendo una serie ininterrotta disemicerchi. Le lancette marciavano.

(Ela Morte Rossa dominava sututto.)

Aggrottò la fronte, poi scacciò quelpensiero. Era un pensiero senza alcunsignificato o un nesso preciso per lui.

Tese di nuovo l'indice e spinse lalancetta dei minuti verso l'alto, asovrappóni a quella dell'ora, curioso di

vedere che cosa sarebbe accaduto.Ovviamente non si trattava di unorologio a cucù, ma quel binariod'acciaio non poteva non avere unoscopo.

Vi fu una breve, stridente serie discatti; poi con un tintinnio argentinol'orologio prese a suonareSul belDanubio blu di Strauss. Cominciò asvolgersi un rotolo di stoffa perforata,largo non più di cinque centimetri. Unapiccola serie di martelletti di ottone sialzava e abbassava. Da dietro ilquadrante dell'orologio sbucarono duefigurine che avanzarono scivolando sulprofilo d'acciaio, una coppia diballerini, sulla sinistra una ragazza con

una gonna vaporosa e le calze bianche,sulla destra un ragazzo in calzamaglianera e scarpini da ballo. Tenevano lemani ad arco sopra la testa.S'incontrarono al centro, davanti al VI.

Ancora un istante, e le cosecominciarono a tornare indietro. Le duefigurine si ritirarono per la stessa stradadalla quale erano venute, sparendonell'istante in cui echeggiavano le ultimenote delBel Danubio blu. L'orologio simise a battere una serie di rintocchiargentini.

(Mezzanotte! È suonata lamezzanotte!)

(Via le maschere!)Danny si girò di scatto sulla

poltrona, rischiando di cadere. Il salone

da ballo era deserto. Oltre la doppiafinestra da cattedrale scorgeva la nevefresca che cominciava a cadere,volteggiando lieve.

Eppure qualcuno, qualcosa c'era.Perché all'Overlook le cosecontinuavano a esistere. All'Overlookesisteva un tempo unico e indivisibile.C'era una notte interminabile del mese diagosto del 1945, con risate e bicchieritraboccanti e alcuni splendidi eletti cheandavano su e giù con l'ascensore,tracannando champagne, lanciandosicoriandoli e stelle filanti. Era un mattinodi giugno di vent'anni prima. Non facevaancora giorno, e i sicari del sindacatomafioso sparavano all'infinito pallettoni

nei corpi dilaniati e sanguinanti di treuomini, la cui agonia non aveva maifine. In una stanza del secondo piano unadonna galleggiava nella vasca da bagno,in attesa di visitatori.

All'Overlook tutte le cosesembravano animate da una sorta di vitapropria. Era come se l'intero edificiofosse stato caricato con una chiaved'argento. L'orologio marciava.L'orologio marciava.

Era stata quella chiave, pensò Dannycon tristezza. Tony l'aveva messo inguardia e lui aveva lasciato che le cosecontinuassero.

(Ho soltanto cinque anni!)gridò, rivolto a una presenza che

avvertiva vagamente nella stanza.

(Non fa alcuna differenza che abbiasoltanto cinque anni?)

Nessuna risposta.Tornò a volgersi con riluttanza verso

l'orologio.Aveva continuato a rimandare, nella

speranza che accadesse qualcosa ingrado di aiutarlo a fare a meno dichiamare di nuovo Tony, che arrivasseun ranger o un elicottero o la squadra disalvataggio; arrivavano sempre in temponei programmi che guardava allatelevisione, e la gente veniva tratta insalvo. In TV i ranger e la Volante e gliinfermieri erano una bianca forza amicache controbilanciava il male confuso cheDanny percepiva nel mondo. Quando

qualcuno si cacciava nei pasticci, loaiutavano a tirarsene fuori, lorimettevano in carreggiata. Non c'erabisogno che uno si desse tanto da fareper trarsi d'impaccio.

(Per favore?)Nessuna risposta.Nessuna risposta. E se Tony fosse

venuto, sarebbe stato lo stesso incubo?Il rimbombo, la voce roca e petulante, iltappeto blu e nero che pareva un viluppodi serpenti?Redrum?

Ma che altro?(Per favore oh per favore)Nessuna risposta.Con un sospiro spezzato il suo

sguardo si volse al quadrantedell'orologio. Gli ingranaggi giravano

incastrandosi in altri ingranaggi. Ilbilanciere oscillava avanti e indietro, aritmo cieco, ipnotico. E se tenevi la testaperfettamente immobile, riuscivi avedere la lancetta dei minuti chescivolava inesorabilmente verso ilbasso dal XII al V. Se tenevi la testaperfettamente immobile, riuscivi avedere che...

Il quadrante era scomparso. Al suoposto c'era un buco tondo e nero. Ticonduceva in basso, nell'eternità. Presea gonfiarsi. L'orologio era sparito. Lastanza alle sue spalle. Danny vacillò epoi sprofondò nelle tenebre che si eranonascoste da sempre dietro il quadrante.

Il bambino sulla poltrona crollò di

schianto e vi giacque in una posizionecontorta e innaturale, la testa proiettataall'indietro, gli occhi che fissavano,senza vederlo, l'alto soffitto del saloneda ballo.

Giù e giù e giù e giù fino...... nel corridoio, rannicchiato nel

corridoio, e aveva svoltato l'angolosbagliato, tentando di tornare verso lescale aveva svoltato l'angolo sbagliato eadesso E ADESSO...

... si accorse di trovarsi nella brevediramazione senza sbocco che portavasoltanto all'Appartamento Presidenziale;e quel suono rimbombante andavaavvicinandosi, la mazza da roquesibilava ferocemente nell'aria, la suatesta s'incassava nel muro lacerando la

tappezzeria di seta, sollevandonenuvolette di polvere e di calcinacci.

(Dannazione, vieni fuori! Vieni aprendere)

Ma c'era un'altra figura nelcorridoio. Appoggiata con sciattanoncuranza al muro, dietro di lui. Comeun fantasma.

No, non un fantasma; però era vestitotutto di bianco. Un'uniforme bianca.

(Titroverò, piccolo lurido ruffianodi uno SCRICCIOLO!)

Danny si acquattò arretrando persottrarsi alla voce. Che saliva dalcorridoio principale del terzo piano,ora. Tra poco il proprietario di quellavoce sarebbe sbucato da dietro l'angolo.

(Vieni qui! Vieni qui, bruttomerdoso!)

La figura vestita di bianco assunseuna posizione più eretta, si tolse unasigaretta dall'angolo della bocca edistaccò un frammento di tabacco che glisi era incollato al carnoso labbroinferiore. Era Hallòrann, si avvideDanny. Portava l'uniforme bianca dacuoco: non il completo blu che Dannyricordava di avergli visto indosso ilgiorno di chiusura.

"Se c'è qualche grana," disseHallorann, "fammi un fischio. Lanciamiuno strillo acuto come quello che mi hafatto traballare qualche momento fa.Riuscirò a sentirti anche giù in Florida.

E se ti sento arriverò di corsa. Arriveròdi cor..."

(Vieni adesso, allora! Vieni adesso,vieniADESSO!Oh, Dick ho bisogno dite tutti noi abbiamo bisogno)

"... sa. Spiacente, ma devoandarmene di corsa. Spiacente, Danny,vecchio mio, caro dottore, ma devoandarmene di corsa. Sicuro, è statodivertente, brutto schifosetto che non seialtro, ma adesso devo andarmene dicorsa."

(No!)Ma mentre guardava, Hallorann si

voltò, si rimise la sigaretta nell'angolodella bocca e attraversò il muro come sefosse stata la cosa più normale delmondo.

Lasciandolo li da solo.E fu allora che la figura simile a

un'ombra sbucò da dietro l'angolo,enorme nella penombra del corridoio.Visibile chiaramente era soltanto ilriflesso rossastro dei suoi occhi.

(Eccoti qua! Adesso ti ho beccato,carogna! Adesso ti faccio vedere io!)Veniva avanti barcollando verso di lui,in una sorta di orribile corsadinoccolata, la mazza da roque che silevava in aria, sempre più su. Dannyarretrò incespicando, urlando, e a untratto fu al di là del muro.

Precipitò nel buco, ruzzolando evolteggiando. Nel buco del coniglio e inun paese colmo di malsane meraviglie.

Tony era molto lontano, sotto di lui,e precipitava a sua volta.

(Non posso più venire, Danny. . luinon mi permetterà di avvicinarti. .nessuno di loro mi permetterà diavvicinarti. . fa' venire Dick. . fa' venireDick. .)

"Tony!"urlò.Ma Tony era sparito e di colpo

Danny constatò di essere in una stanzabuia. Non proprio buia, però.

Una luce velata che pioveva daqualche parte. Era la camera da letto dimamma e papà. Intravide la scrivania dipapà. Ma la stanza era in uno stato dipauroso disordine. C'era già stato, inquella stanza. Il giradischi della mamma

rovesciato sul pavimento. I suoi dischidisseminati sul tappeto. Il materassospostato che minacciava di franare dalletto. I quadri staccati dalle pareti. Il suolettino che giaceva su un fianco come uncane morto, la Volkswagen viola cupofracassata in tanti frammenti di plasticaviolacea.

La luce proveniva dalla porta delbagno, socchiusa. Appena oltre la portapenzolava inerte una mano, col sangueche gocciolava dalla punta delle dita. Enello specchio dell'armadietto deimedicinali lampeggiava la parolaREDRUM.

All'improvviso, davanti allospecchio si materializzò un enormeorologio sotto una campana di vetro.

Sul quadrante non c'erano numeri nélancette. Solo una data scritta in rosso: 2DICEMBRE. E allora, con gli occhisgranati per l'orrore, Danny vide laparola REDRUM riflettersi vagamentenella campana di vetro, riflessa, ora, duevolte. E vide che era MURDER,Murder,assassinio.

ASSASSINIO.Danny Torrance urlò, in preda

all'orrore più sconvolgente. La data erascomparsa dal quadrante. Anche ilquadrante era scomparso, e al suo postospiccava un nero buco circolare che siallargava sempre più, simile a unapupilla che si dilatasse. Cancellò ognialtra cosa e Danny cadde in avanti,

cominciando a precipitare, precipitando,stava...

... cadendo dalla poltrona.Per un momento giacque sul

pavimento del salone da ballo,ansimando.

REDRUM.MURDER.REDRUM.MURDER.(La Morte Rossa dominava su tutto!)(Già la maschera! Giù la maschera!)E dietro ogni graziosa maschera

scintillante, il volto ancora non vistodella forma che lo inseguiva per queicorridoi bui, gli occhi rossi sbarrati,vacui e criminosi.

Oh, Danny aveva paura. Paura di

scoprire quale poteva essere quel voltoquando finalmente fosse giunto ilmomento di togliersi la maschera.

(DICK!)urlò con tutte le sue forze.(OH DICK OH PER FAVORE PER

FAVORE VIENI!)Sopra di lui, l'orologio che aveva

caricato con la chiave d'argentocontinuava a far scorrere i secondi, e iminuti, e le ore.

QUINTAPARTE

QUESTIONE DI VITA E DI

MORTE

38Dick, il terzo figlio della signora

Hallorann, uscì a retromarcia con la suaberlina Cadillac revisionata dalparcheggio sul retro dell'ortomercato eaggirò lentamente l'edificio. Indossaval'uniforme bianca da cuoco e teneva unaLucky Strike saldamente piazzata inbocca. Masterton, che attualmente erasocio della ditta, ma camminava ancoracon la caratteristica andatura strascicatache aveva adottata prima dello scoppiodella seconda guerra mondiale, spingevaun grosso cesto di lattuga nell'altoedificio scuro.

Hallorann premette il pulsante cheabbassava il finestrino dalla parte delpasseggero e sbraitò: "Questi avocadosono passati, pidocchio che non seialtro!"

Masterton si girò a guardare dasopra la spalla, allargò la bocca in unsorriso che rivelò la presenza di tredenti d'oro, e gli urlò di rimando: "E ioso benissimo dove puoi ficcarteli, miocaro amico."

"Battute del genere non me le scordofacilmente, fratello."

Masterton alzò un dito in un gesto fintroppo eloquente, e Hallorann gli restituìil complimento.

"Hai preso i cetrioli?" chiese

Masterton."Sì.""Torna domattina di buon'ora che ti

procuro le più belle patate novelle chetu abbia mai visto." .

"Manderò il ragazzo," disseHallorann. "Vieni su stasera?"

"Offri tu, fratello?""Puoi contarci.""Ci sarò. Tu bada a non schiacciare

troppo l'acceleratore di quella baracca,tornando a casa, capito?

Non c'è piedipiatti tra qui e St. Peteper il quale tu non sia una vecchiaconoscenza."

"La sai lunga in proposito, vero?"sogghignò Hallorann.

"So più cose io di quante tu riuscirai

mai a impararne, amico.""Sentilo, questo spudorato di un

negro. Vuoi sapere una cosa?""Coraggio, levati dai piedi prima

che cominci a tirarti dietro la lattuga.""E dalli, tiramela. Così me la prendo

gratis."Masterton fece l'atto di scagliarne un

cespo. Hallorann abbozzò una schivata,rialzò il vetro del finestrino e partì. Sisentiva in forma. Durante l'ultimamezz'ora o giù di lì aveva fiutatoprofumo d'arance, ma non lo trovavastrano: l'ultima mezz'ora l'avevatrascorsa in uno spaccio all'ingrosso difrutta e verdura.

Erano le quattro e mezzo del

pomeriggio (ora della costa orientale)del primo dicembre, e il VecchioInverno stava piantando le tende su granparte del paese, ma lì a sud gli uominipasseggiavano in camiciole con lamezza manica e il colletto aperto e ledonne indossavano leggeri vestiti estivio pantaloncini corti. Sul tetto della sededella First Bank of Florida, untermometro digitale contornato daenormi pompelmi segnava lampeggiandoventisei gradi e tendeva ancora a salire.Siano rese grazie a Dio che ci ha fattodono della Florida, pensò Hallorann; epazienza per le zanzare e tutto il resto.

Sul sedile posteriore della berlinac'erano due dozzine di avocado, unacassetta di cetrioli, una di arance e una

di pompelmi, oltre a tre sacchi pieni dicipolle delle Bermude (l'ortaggio piùfantastico che fosse mai stato creato daun Dio benevolo), un certo quantitativodi pisellini dolci, che sarebbero statiserviti di contorno all'entrée e sarebberotornati indietro intatti in nove casi sudieci, e un unico popone Hubbard blu,destinato al suo consumo personale.

Hallorann si fermò al semaforo diVermont Street sulla corsia riservataalle auto che svoltavano; e quando siaccese la freccia verde imboccò lastatale 219, facendo salire ilcontachilometri a sessanta all'ora emantenendovelo finché l'abitato noncominciò a rarefarsi in una successione

periferica di stazioni di servizio, tavolecalde e autogrill. Non aveva fattoacquisti particolari, quel giorno;avrebbe anche potuto affidare l'incaricoa Baedecker, ma Baedecker non vedeval'ora che gli toccasse l'occasione dicomprare la carne. E poi Hallorann nonsi lasciava sfuggire la possibilità di unbattibecco con Frank Masterton. Potevadarsi che Masterton quella sera sifacesse vivo per guardare la televisionee bere il Bushmill's di Hallorann, omagari no. In un modo o nell'altro glistava bene. Ma ciò che contava eravederlo. Adesso ogni volta contava,perché non erano più giovani. Glipareva che negli ultimi giorni avessepensato parecchio a quel particolare.

Non più tanto giovane, quando tiavvicinavi alla sessantina, o per esseresinceri e risparmiare una bugia, l'avevipassata, occorreva cominciare aconsiderare l'ipotesi dell'uscita di scena.Potevi andartene da un momentoall'altro. E l'idea gli era passata eripassata per la mente quella settimana,non troppo insistente, ma come un datodi fatto.

Morire faceva parte della vita.Bisognava sintonizzarsi su quell'idea, sesi voleva essere un individuo completo.E se il fatto di morire era difficile dacapire, perlomeno non era impossibileaccettarlo.

Perché poi gli fosse frullata per il

capo quell'idea, non avrebbe propriosaputo dirlo, ma l'altro motivo per cuiaveva provveduto di persona a quelpiccolo acquisto era che gli avrebbeofferto il destro di salire nell'ufficettosopra il Bar and Grill di Frank. Adessolassù si era installato un avvocato (ildentista che c'era l'anno prima, a quantopareva, era fallito), un giovanotto dicolore di nome McIver. Hallorann eraentrato e aveva detto a quel McIver chevoleva fare testamento, e lui, McIver,poteva trarlo d'impaccio? Be', avevadomandato McIver, per quando vuole ildocumento? Per ieri, aveva rispostoHallorann, rovesciando la testa escoppiando in una risata fragorosa. Hain mente qualcosa di particolarmente

complicato? era stata l'ulterioredomanda di McIver. No, aveva rispostoHallorann.

Tutto ciò che possedeva erano laCadillac, il libretto di risparmio con undeposito di circa novemila dollari, unpiccolo conto corrente e un armadio divestiti. Voleva lasciare tutto a suasorella. E se sua sorella muore prima dilei? aveva chiesto McIver. Non importa,era stata la risposta di Hallorann. In talcaso, farò un altro testamento. Ildocumento era stato redatto esottoscrìtto in meno di tre ore (avevalavorato in fretta,quell'azzeccagarbugli!) e ora riposavanel taschino interno della giacca di

Hallorann, infilato in una rigida bustaazzurra con la parola TESTAMENTOscritta in antichi caratteri anglosassoni.

Non avrebbe saputo dire come maiavesse scelto quella tiepida giornata disole, quando si sentiva così bene, perfare una cosa che rimandava da anni; malo aveva assalito quell'impulso e nonaveva detto di no. Era sempre statoincline a seguire l'ispirazione delmomento.

Ora si era lasciato decisamente allespalle la città. Portò la berlina sui cento,cosa severamente proibita dalla legge, eve la mantenne, viaggiando sulla corsiadi sinistra, superando la maggior partedel traffico diretto a Petersburg. Sapevaper esperienza personale che la berlina

avrebbe potuto manteneretranquillamente una velocità di crocieradi centoquaranta all'ora, e persino suiduecento non sembrava scaldare troppo.Ma i tempi delle mattane erano passatida un pezzo. La sola idea di lanciare laberlina a duecento su un rettilineo glimetteva paura. Stava invecchiando.

(Gesù, se quelle arance mandanoodore! Mi chiedo se non stiano permarcire.) Insetti venivano a spiaccicarsicontro il parabrezza. Sintonizzò la radiosu una stazione negra di Miami e gligiunse la voce morbida, lamentosa di AlGreen.

"Come siamo stati bene assieme,Ora si fa tardi e dobbiamo

lasciarci..."Abbassò il finestrino, gettò fuori il

mozzicone, poi abbassò ancor di più ilvetro per far uscire l'odore acuto dellearance. Tamburellò con le dita sulvolante e si mise a canticchiaresottovoce. Appesa allo specchiettoretrovisore, la medaglia col sanCristoforo oscillava piano avanti eindietro.

E tutt'a un tratto l'odore di arance siaccentuò e Hallorann seppe che stavaarrivando, che gli stava arrivandoqualcosa. Vide i propri occhi nellospecchietto retrovisore, sbarrati,sorpresi. E poi gli arrivò di colpo,arrivò con un enorme impatto cheescluse ogni altra cosa: la musica, la

strada che gli si parava davanti, la suastessa consapevolezza di essere umano.Fu come se qualcuno gli avesse puntatoalla testa una pistola psichica e gliavesse sparato un urlo calibro 45.

(!!! OH DICK OH PER FAVOREPER FAVORE VIENI!!!)

La berlina si era appena affiancata auna giardinetta Pinto guidata da un tizioin tuta da operaio.

L'operaio vide la berlina invadere lasua corsia e schiacciò il clacson. Datoche la Cadillac continuava a sbandare,l'operaio gettò un'occhiata al guidatore evide un negro grande e grosso irrigiditoal volante, gli occhi annebbiatiarrovesciati all'insù. Più tardi, l'operaio

disse alla moglie che sapeva benissimoche si trattava di una di quelleacconciature afro che portavano tuttiormai, ma in quel momento gli erasembrato che quell'imbecille avesse icapelli ritti sulla testa. A suo modo divedere, il negro era vittima di un attaccocardiaco.

L'operaio diede una frenata brusca,ed ebbe la fortuna di trovare uno spaziovuoto alle sue spalle. La coda dellaCadillac lo sorpassò, continuando asbandare, e l'operaio fissò con stupefattoorrore i lunghi fanalini di coda a formadi razzo invadere la sua corsia a unadistanza irrisoria dal suo paraurti.

L'operaio imboccò la corsia sullasinistra, continuando a premere sul

clacson, e sorpassò ruggendo la berlinache procedeva zigzagando come ubriaca.Invitò il guidatore della berlina aprodursi in un atto sessuale illecito conse stesso. A esibirsi in un amplessoorale con varie specie di roditori euccelli.

Espresse la sua personale propostadi rispedire tutti gli individui con sanguenero nelle vene nel loro continented'origine. Manifestò la sua sinceraconvinzione circa il posto che avrebbeoccupato nell'aldilà l'anima delguidatore della berlina. Concluse conl'asserzione di aver incontrato la madredel guidatore della berlina in una casa ditolleranza di New Orleans.

Poi si trovò davanti e fuori pericoloe bruscamente si rese conto di essersipisciato addosso.

Nella mente di Hallorann ricorrevauna frase ossessiva:

(VIENI DICK PER FAVORE VIENIDICK PER FAVORE)

ma cominciò ad affievolirsi, cosìcome avviene di una stazione radio amano a mano che ci si avvicina ai limitidel suo raggio di emissione. Si reseconfusamente conto che l'auto deviavasempre più verso la pista nontransitabile a oltre ottanta all'ora. Lariportò sulla carreggiata, sentendolascodinzolare per qualche istante primadi ritornare sull'asfalto compatto.

Poco oltre c'era uno spaccio dibevande gassate. Hallorann accese lafreccia e accostò, col cuore che glipulsava dolorosamente in petto, il voltodi un malsano colore grigiastro.Parcheggiò la macchina, cavò di tasca ilfazzoletto e si asciugò il sudore dallafronte.

(Signore Iddio!)"Posso fare qualcosa per lei?"La voce lo fece di nuovo trasalire,

anche se non era la voce di Dio, maquella di una graziosa cameriera, rittaaccanto al finestrino aperto col taccuinodelle ordinazioni in mano.

"Sì, piccola, una bella gassosa. Condue cucchiaiate di vaniglia, d'accordo?"

"Sì, signore." La ragazza siallontanò, dimenando con grazia ifianchi sotto l'uniforme di nailon rosso.

Hallorann si appoggiò allo schienaledi pelle e chiuse gli occhi. Non riuscivapiù a captare nulla.

L'ultima eco s'era spenta tra ilmomento in cui aveva parcheggiatodavanti allo spaccio e quello in cuiaveva passato l'ordinazione allacameriera. Ora gli era rimasta soltantouna terribile, martellante emicrania,come se il cervello fosse stato strizzatoe strappato e appeso ad asciugare.Uguale all'emicrania che s'era beccatalasciandosi irradiare da quel piccoloDanny lassù, alla Follia di Ullman.

Ma questa volta era stato piùviolento. Allora il bambino si eralimitato a fare un gioco con lui. Questavolta era panico bello e buono, ogniparola urlata a squarciagola nella suatesta.

Abbassò gli occhi a guardarsi lebraccia, percosse dai caldi raggi delsole; eppure aveva ancora la pelled'oca. Aveva detto al bambino dichiamarlo se aveva bisogno di aiuto, selo ricordava. E ora il bambino lochiamava.

Di colpo si chiese come avessepotuto lasciare lassù quel ragazzino,dotato com'era di quella potenzaradiante. Era inevitabile che scoppiasse

una grana, magari una grana grossa.Avviò bruscamente il motore della

berlina, fece retromarcia e imboccò dinuovo la statale, lasciando tracce digomma sull'asfalto. La camerieraancheggiante si fermò sotto l'arcata delchiosco, reggendo un vassoio con lagassosa.

"Ma che ha, il fuoco al culo?" gridò.Ma Hallorann era già sparito.

Il direttore si chiamava Queems.Quando Hallorann entrò, Queems stavaconversando al telefono col suoallibratore. Voleva il vincente aRockaway. No, niente scommessemultiple, niente accoppiata, nientepiazzati, niente fottuta tris.Semplicemente il piccolo vecchio

vincente, seicento dollari secchi sulvincente. E domenica, i Jets. Cosaintendeva dire? Che i Jets giocavanocontro i Bills? Forse che lui non losapeva contro chi giocavano i Jets?Cinquecento, sui sette punti di scarto.Quando Queems riagganciò, l'ariaesausta, Hallorann capì come si potesseintascare cinquanta bigliettoni da milleall'anno per mandare avanti quellapiccola stazione di cura, e nonostantetutto circolare con i calzoni lucidi sulsedere. Queems squadrò Hallorann conocchi ancora iniettati di sangue per averguardato troppo nella bottiglia dibourbon la sera prima.

"Problemi, Dick?"

"Sissignore, signor Queems, credodi sì. Mi servono tre giorni dipermesso."

C'era un pacchetto di Kent neltaschino della camiciola gialla diQueems. Sfilò una sigaretta dalpacchetto senza estrarlo dal taschino,strizzandola un po', e strinse cupamente identi sul filtro brevettato in Micronite.L'accese con l'accendino da tavoloCricket.

"Anche a me," disse. "Ma l'ideaquale sarebbe?"

"Mi servono tre giorni," ripetéHallorann. "Si tratta del mio ragazzo."

Lo sguardo di Queems cadde sullamano sinistra di Hallorann, che non

portava la fede."Sono divorziato dal '64," disse

Hallorann paziente."Dick, sai com'è la situazione nei

giorni di fine settimana. Siamo alcompleto. Pieni fino al collo.

Persino gli strapuntini. Tuttoesaurito, domenica sera, nella SalaFlorida. Per cui prenditi pure il mioorologio, il portafogli, anche laliquidazione. Puoi persino prenderti miamoglie, se ce la fai a sopportare quelsuo carattere d'inferno. Ma, per favore,non chiedermi un permesso. Che cos'ha,sta male?"

"Sì, signore," rispose Hallorann,continuando a immaginarsi nell'atto dicincischiare un cappelluccio di tela da

quattro soldi e di roteare gli occhi. "Glihanno sparato."

"Sparato!" fece Queems. Posò laKent in un posacenere che recava lostemma della Ole Miss, dove si eralaureato in economia e commercio.

"Sì, signore," ripeté cupo Hallorann."Un incidente di caccia?""No, signore," rispose Hallorann. E

la sua voce assunse un tono ancor piùfondo e roco. "Jana, deve sapere, primaconviveva con quel camionista. Unbianco. E lui ha sparato al mio ragazzo.È all'ospedale di Denver, nel Colorado.In gravi condizioni."

"Come diavolo l'hai saputo?Credevo che fossi andato a comprare la

verdura.""Sì, signore; infatti ci sono andato."

Aveva fatto un salto all'ufficio dellaWestern Union per prenotare unamacchina dell'Avis all'aeroportoStapleton. Prima di uscire aveva presoun modulo per i telegrammi. Ora cavò ditasca il modulo in bianco, tuttostazzonato, e lo sventolò davanti agliocchi iniettati di sangue di Queems. Selo rimise in tasca e abbassò ancora lavoce: "Me l'ha spedito Jana," disse."L'ho trovato nella mia cassetta dellaposta quando sono tornato, poco fa."

"Gesù! Gesù Cristo!" fece Queems.C'era una singolare espressione diansietà sul suo volto, un'espressione chenon era nuova a Hallorann. Era

l'espressione più prossima alla simpatiacui potesse fare appello un bianco che siritenesse "gentile con la gente dicolore", quando l'oggetto dei suoisentimenti era un negro o il suo miticofiglio negro.

"Sì, sì, d'accordo, va' pure,"acconsentì Queems. "Baedecker è ingrado di sostituirti, immagino. Puòdargli una mano lo sguattero. "

Hallorann annuì, sforzandosi diassumere un'aria ancor più lugubre; mal'idea dello sguattero che dava una manoa Baedecker lo fece segretamentesorridere. Hallorann dubitava che losguattero, anche in un giorno di grazia,riuscisse a centrare il cesso col primo

schizzo."Vorrei rimborsare il salario di

questa settimana," disse Hallorann."Tutto intero. So benissimo diprocurarle una rottura di scatole, signorQueems."

L'espressione di Queems si feceancor più tesa. Si sarebbe detto cheavesse ingoiato una lisca di pesce e glifosse rimasta conficcata in gola."Possiamo parlarne in seguito. Va' a farela valigia, parlerò con Baedecker. Vuoiche ti prenoti un posto sull'aereo?"

"Grazie, signore: ho giàprovveduto."

"Benone." Queems si levò in piedi,protendendosi in avanti premuroso einalò una boccata del fumo che saliva

dalla Kent. Ebbe un violento accesso ditosse e il magro volto pallido gli si fecedi porpora.

Hallorann faticò non poco aconservare quell'espressione lugubre."Spero che tutto vada per il meglio,Dick. Telefona, non appena sapraiqualcosa di più preciso."

"Non dubiti."Si strinsero la mano sopra la

scrivania.Hallorann si costrinse a scendere al

pianterreno e ad attraversare i quartieridi servizio prima di scoppiare in unarisata sonora, fragorosa. Stava ancoraghignando e asciugandosi col fazzolettogli occhi inondati di lacrime, quando gli

arrivò alle narici il profumo di arance,intensissimo e inebriante, al quale feceseguito la frecciata, che lo raggiunse inpiena testa, mandandolo a sbatterecontro la parete intonacata di rosa conun barcollare da ubriaco.

(PER FAVORE VIENI DICK PERFAVORE VIENI PRESTO!)

Gradualmente si riprese e alla fine sisentì in grado di arrampicarsi su per lascala esterna che portava al suoalloggio. Nascondeva la chiave dellucchetto sotto lo stuoino di paglia, equando si chinò a raccoglierla qualcosagli scivolò dalla tasca interna dellagiacca, cadendo sul pianerottolo delsecondo piano con un piccolo tonfosordo. Aveva ancora la mente così fissa

sulla voce che gli era vibrata nella testa,che per un attimo gli riuscì soltanto difissare con occhi vacui la busta azzurra,senza sapere di che si trattava.

Poi la rivoltò e la parolaTESTAMENTO gli saltò agli occhi,tracciata con quei caratteri neri cheparevano tanti ragni.

(Oh mio Dio è così dunque?)Non lo sapeva. Ma poteva anche

essere. Per tutta la settimana il pensierodella sua fine gli si era confitto nellamente come un... be', come un

(Avanti, dillo)come un presentimento.Morte?Per un attimo parve

balenargli dinanzi l'intera sua esistenza.

Non in senso storico: la sua esistenzaqual era ora. Martin Luther King gliaveva detto, poco prima che lapallottola lo facesse scendere nella suatomba di martire, che era salito sullamontagna. Dick non poteva rivendicareuna cosa del genere. Niente montagne.Però, dopo anni di lotta, aveva raggiuntoun altopiano inondato di sole. Avevaottimi amici. Era in possesso di tutti irequisiti necessari per trovar lavoroovunque volesse.

Quando aveva voglia di scopare,cribbio, riusciva sempre a trovare unaragazza gentile che non faceva domandee non la metteva giù dura con tutte quellestorie sul significato della faccenda. Eravenuto a un accomodamento con la sua

negritudine, un felicemodus vivendi.Aveva passato la sessantina, e grazie aDio se la cavava ancora decentemente.

E adesso voleva mettere arepentaglio la fine di tutto questo, lafinesua, per tre bianchi che nonconosceva nemmeno?

Ma questa era o non era una bugia?Il bambino, lo conosceva. Avevano

partecipato l'uno dell'altro, come dueamici intimi non potrebbero, neppuredopo quarant'anni. Conosceva ilbambino e il bambino conosceva lui,perché ciascuno di loro aveva in capouna sorta di riflettore: qualcosache nonavevano chiesto, qualcosa chesemplicementeera stato loro donato.

(Macché, tu hai solo una torcia, è luiquello che ha il riflettore.) E a voltequella luce, quell'aura luminosa, parevauna cosa stupenda, ineffabile. Potevipuntare sul cavallo vincente o, comeaveva detto il bambino, potevi dire altuo papà dov'era il baule quando ormaitemeva fosse andato perduto. Ma questoera solo il condimento, la salsina daversare sull'insalata; e nell'insalata,sotto sotto, c'era più veccia amara chefresco cetriolo.

Ma poiché era un essere umano, nonpoteva fare a meno di pensareamaramente quanto sarebbe stato megliose non avesse mai dovuto bere quelcalice.

(Lei aveva accennato a sollevarsi ea inseguirlo.)

Lui stava infilando i panni smessi inun sacco per la biancheria sporcaquando gli si era presentata quell'idea,raggelandolo con la forza del ricordo,come sempre gli accadeva quando cipensava. Si sforzava di pensarci il menopossibile.

La cameriera — si chiamavaDolores Vickery — era stata colta dauna crisi isterica. Aveva riferito certecose alle altre cameriere e, peggioancora, a qualche ospite dell'albergo.Quando la voce era giunta all'orecchiodi Ullman, e quella stupida sgualdrinellaavrebbe dovuto immaginarsi che

sarebbe accaduto, lui l'aveva licenziatasui due piedi. Lei era corsa in lacrimeda Hallorann, per raccontargli non cheera stata licenziata, ma ciò che avevavisto in quella camera del secondopiano. Era andata al 217 a cambiare gliasciugamani, aveva detto, e c'era quellasignora Massey, distesa nella vasca,morta. La cosa, naturalmente, erainverosimile: la signora Massey erastata portata via con la massimadiscrezione il giorno prima, e in quelmomento tornava in volo a New York,nel bagagliaio anziché nella cabina diprima classe alla quale era abituata.

Hallorann non aveva particolaresimpatia per Dolores, ma quella sera erasalito a dare un'occhiata. La cameriera

era una ragazza di ventitré anni dallacarnagione olivastra che serviva atavola alla fine stagione, quando gliospiti si diradavano. Irradiava untantino, aveva giudicato Hallorann. Inrealtà non più di un fievole lumicino. Untizio con l'aria da topo e la sua dama,che portava un soprabito di stoffasbiadita, venivano a cena e Doloresscambiava uno dei suoi tavoli col loro.L'ometto che somigliava a un topolasciava sotto il suo piatto unbigliettone, quello col ritratto diAlexander Hamilton, cosa giàabbastanza spiacevole per la ragazzache aveva accettato il cambio; ma,peggio ancora, Dolores cantava vittoria.

Dolores era pigra, una lazzaroncella inun complesso diretto da un uomo che ilazzaroni proprio non li tollerava. Sirintanava in uno sgabuzzino dellabiancheria a fumare e leggere una rivistadi racconti di vita vissuta, ma ogni voltache Ullman intraprendeva uno dei suoigiri d'ispezione senza preavviso — eguai alla ragazza che sorprendeva ariposarsi un po' i piedi — trovavaDolores che sgobbava senzamisericordia, la rivista nascosta sotto lelenzuola su un ripiano dello sgabuzzino,il posacenere ben saldo nella tascadell'uniforme. Già, pensava Hallorann,era stata lazzarona e sciatta e le altreragazze ce l'avevano con lei, maDolores aveva dalla sua quel lumicino.

Se n'era servita per passarla sempreliscia. Ma quel che aveva visto al 217l'aveva spaventata da morire, per cui erastata felicissima di ritirare il benservitopreparatole da Ullman, e far fagotto.

Perché era venuta da lui? Chi irradiariconosce i suoi simili, aveva pensatoHallorann, sorridendo tra sé.

Così, quella sera era salito e si eraintrodotto nella stanza, che avrebbeaccolto altri ospiti il giorno dopo. Si eraservito della chiave universaledell'ufficio per entrare, e se Ullmanl'avesse sorpreso in possesso di quellachiave, Hallorann si sarebbe ritrovato afar la coda con Dolores Vickeryall'ufficio collocamento.

La tenda della doccia attorno allavasca era tirata. Hallorann l'avevascostata, ma già prima di farlo avevaavuto il presentimento di ciò cheavrebbe visto. La signora Massey,gonfia e violacea, giaceva inerte nellavasca, colma d'acqua a metà. Avevaindugiato a guardarla, sentendosi pulsareil cuore in gola. C'erano state altre coseall'Overlook: un brutto sogno chericorreva a intervalli irregolari, unaspecie di festa in costume. Lui eraincaricato di provvedere ai rinfreschinel salone da ballo dell'Overlook, eall'invito di togliersi la maschera tutti gliinvitati rivelavano volti che erano quellidi insetti in putrefazione. E poi c'erano

state le siepi a forma di animali. Due,forse tre volte le aveva viste, o avevacreduto di vederle, muoversi, sia purecon moto quasi impercettibile. Quelcane pareva cambiare posizione, daseduto ad accucciato, e i leonisembravano spostarsi in avanti, come aminacciare i marmocchi nel parcogiochi. L'anno prima, in maggio, Ullmanl'aveva spedito in soffitta a cercarel'elaborato assortimento di attizzatoi epalette che ora trovava posto accanto alcaminetto dell'atrio. Mentre appunto erain solaio le tre lampadine chependevano dal soffitto si erano spente elui si era smarrito e non riusciva più atornare alla botola. Aveva girovagato alungo, incespicando, prossimo al panico,

scorticandosi gli stinchi contro le cassee urtando oggetti, con la sensazionesempre più accentuata di qualcosa chestesse in agguato nel buio, pronto adaggredirlo. Un'immane creaturaterrificante che si fosse appena levatadalla tomba quando le luci si eranospente. E allorché era letteralmenteinciampato nell'anello della botola, vi siera calato a precipizio lasciando labotola aperta, scarmigliato, sporco difuliggine, con l'impressione di averscansato per un pelo una catastrofe. Piùtardi Ullman era sceso di persona incucina, a informarlo che aveva lasciatoaperta la botola della soffitta e tutte leluci accese. Hallorann credeva forse che

gli ospiti volessero salire lassù agiocare alla caccia al tesoro? Pensavache la corrente fosse gratis?

E Hallorann sospettava — anzi, neera quasi convinto — che parecchiclienti avessero visto o udito qualcosa.Nei tre anni che aveva lavoratoall'Overlook, l'AppartamentoPresidenziale era stato occupatodiciannove volte. Sei degli ospiti che visi erano installati avevano lasciatol'albergo prima del tempo, e qualcunoaveva tutta l'aria di non stare troppobene. Altri clienti avevano lasciato altrecamere con decisione altrettantoimprovvisa. Una sera dell'agosto 1974,sul campetto da golf, un tale che si eraguadagnato le Stelle di Bronzo e

d'Argento in Corea, e che attualmentefaceva parte del consiglio diamministrazione di tre importantiaziende e di cui si diceva che avessesilurato personalmente un famosocommentatore televisivo, si era messo aurlare, senza un motivo plausibile, inpreda a una vera e propria crisid'isterismo. E c'erano state decine dicasi di bambini, durante il periodo in cuiHallorann aveya prestato servizioall'Overlook, che semplicemente sirifiutavano di metter piede nel parcogiochi.

Una bambina era stata colta dalleconvulsioni mentre giocava nei tubi dicemento, ma Hallorann non sapeva se il

fenomeno fosse da attribuire o meno almortifero canto di sirena dell'Overlook:tra il personale era corsa voce che labambina, unica figlia di un affascinantedivo del cinema, soffrisse di epilessia efosse tenuta sotto controllo medico, eche quel giorno si era scordata diprendere la sua medicina, tutto qui.

E così, fissando il cadavere dellasignora Massey, Hallorann era, sì,spaventato, ma non proprio terrorizzato.La cosa non era del tutto inaspettata. Ilterrore aveva fatto la sua comparsaquando lei aveva aperto gli occhirivelando vacue pupille d'argento, e loaveva fissato ghignando. L'orrore si erascatenato quando

(lei aveva accennato a sollevarsi e a

inseguirlo.)Hallorann era fuggito, col cuore che

batteva all'impazzata, e non si era sentitoal sicuro neppure dopo aver sbarrato laporta dietro di sé. Anzi, non si era piùsentito al sicuro in nessun posto,all'Overlook.

E ora il bambino... che chiamava,che urlava invocando aiuto.

Diede un'occhiata all'orologio.Erano le cinque e mezzo del pomeriggio.Andò alla porta dell'alloggio; ricordòche nel Colorado doveva essere pienoinverno, soprattutto lassù in montagna, etornò verso l'armadio. Estrasse dalsacco di poliuretano della lavanderia asecco il lungo cappotto foderato di

agnello e se lo mise sul braccio. Eral'unico indumento invernale chepossedesse. Spense tutte le luci e siguardò attorno. Aveva dimenticatoniente? Sì. Una cosa. Estrasse iltestamento dal taschino della giacca el'infilò nella scanalatura dello specchiodella toeletta. Se la fortuna, lo assisteva,sarebbe tornato a prenderlo.

Ma certo. Se la fortuna lo assisteva.Uscì dall'appartamentino, chiuse la

porta a chiave, nascose la chiave sottolo stuoino e scese di corsa la scalaesterna alla volta della Cadillacrevisionata.

Percorsa metà del tragitto che loseparava dall'aeroporto internazionaledi Miami, a distanza di sicurezza dal

centralino per mezzo del quale era notoche Queems o i suoi leccaculoascoltavano le conversazioni altrui,Hallorann fece tappa a un centro acquistidelle lavanderie automatiche e chiamòle United Air Lines. Voli per Denver?

Ce n'era uno in partenza alle 18,36.Il signore riteneva di farcela?

Hallorann guardò l'orologio: eranole 18 e 2 minuti, e disse che ce l'avrebbefatta. Ma c'erano posti liberi su quelvolo?

Un attimo, mi faccia controllare.Passò un minuto. Due. Hallorann

aveva appena preso la decisione diproseguire in macchina e correre ilrischio, quando la yoce artificiosa

dell'impiegata dell'ufficio prenotazionitornò a farsi udire. C'era un posto liberodi prima classe, una prenotazioneannullata. Poteva andar bene lo stesso?

Certo, certo che andava bene.Pagava in contanti o con la carta di

credito?In contanti, piccola, in contanti.

Devo sbrigarmi.E il nome...?Hallorann, duel e duen . A fra poco.Riagganciò e si precipitò all'uscita.

Il semplice pensiero della ragazza, lapreoccupazione per l'arrosto continuò aripercuoterglisi nella mente finchéHallorann credette d'impazzire. A voltecapitava: per nessun motivo inparticolare captavi un pensiero, del tutto

isolato dal contesto, assolutamentechiaro e limpido... e in genere affattoinutile.

Non ce la fece per un pelo.Viaggiava con l'auto lanciata a

centotrenta e l'aeroporto era in vista,quando un piedipiatti dello stato dellaFlorida gli fece segno di fermarsi.

Hallorann abbassò il vetroazionando il pulsante elettrico e aprì labocca per dire qualcosa al poliziotto chesfogliava le pagine del blocchetto dellecontravvenzioni.

"Loso, "disse a mo' di consolazioneil poliziotto. "Si tratta di un funerale aCleveland. Suo padre. Di un matrimonioa Seattle. Sua sorella. Di un incendio a

San José che ha ridotto in cenere lapasticceria di suo nonno. Oppure solo diun rosso cambogiano in carne e ossa cheaspetta in un armadietto del terminal diNew York. Questo tratto di strada vicinoall'aeroporto è la mia passione. Già dabambino, l'ora di storia era quella chepreferivo a scuola."

"Senta, agente, mio figlio è...""L'unica parte della storia che non

riesco mai a indovinare prima dellafine," disse l'agente, trovando finalmentela pagina giusta nel suo blocchetto, "è ilnumero della patentedell'automobilistanarratore che hacontravvenuto al codice stradale e i datidel libretto di circolazione. Via, facciail bravo. Mi lasci dare un'occhiata."

Hallorann afiondò lo sguardo neitranquilli occhi azzurri del poliziotto,incerto se raccontargli comunque lastoriella del figlio ricoverato in gravicondizioni all'ospedale, e decise cheavrebbe peggiorato la situazione. Quelpiedipiatti non era Queems. Estrasse ilportafogli.

"Magnifico," disse il poliziotto."Vuol essere così gentile da sfilarli perme, per favore? Io devo solo constatarecome andrà a finire la faccenda."

In silenzio, Hallorann sfilò la patentee il libretto di circolazione rilasciatodalle autorità della Florida e li consegnòall'agente della polizia stradale.

"Così va bene. Tanto bene che vince

un premio.""Cosa?" chiese Hallorann

speranzoso."Quando avrò finito di trascrivere

questi numeri, le permetterò di gonfiareun palloncino."

"Oh, Gesù!" gemette Hallorann."Agente, il mio volo..."

"Ssst," fece l'agente della stradale."Non faccia il cattivo."

Hallorann chiuse gli occhi.Arrivò al banco delle United alle

18,49, sperando contro ogni logica cheil volo fosse stato ritardato.

Non ebbe nemmeno bisogno didomandare. Il tabellone elettronico dellepartenze sopra il banco dei passeggeri inarrivo all'aeroporto diceva tutto per filo

e per segno: il volo 901 per Denver,delle 18,36, ora della costa orientale,aveva decollato alle 18,40. Nove minutiprima.

"Maledizione," sbottò DickHallorann.

E di colpo quel profumo di arance,greve e nauseabondo; fece appena atempo a rifugiarsi nel gabinetto primache gli arrivasse, assordante,terrorizzato:

(VIENI PER FAVORE VIENI DICKPER FAVORE PER FAVORE VIENI!)

39Una delle cose che avevano vendute

per rimpinguare un tantino le lorodisponibilità di liquido prima di

trasferirsi dal Vermont nel Colorado,era la raccolta di duecento vecchi albumdi rock 'n' roll e di rhythm and blues diJack; erano finiti al mercatino dell'usatoper un dollaro l'uno. Uno degli album, ilfavorito di Danny, era stato quellocontenente due dischi di Eddie Cochran,con quattro pagine di presentazione ecommento firmate da Lenny Kaye.Spesso Wendy era rimasta colpitadall'attrazione che Danny manifestavaper quel particolare album di unuomoragazzo che era vissuto così infretta ed era morto così giovane... eramorto, in effetti, quando lei aveva solodieci anni.

Adesso, alle sette e un quarto, oradelle montagne, mentre Dick Hallorann

raccontava a Queems la storielladell'amico bianco della sua ex moglie,Wendy s'imbatté in Danny seduto a metàdella rampa di scale che portavanodall'atrio al primo piano, intento apassarsi da una mano all'altra una palladi gomma rossa e a cantare una dellecanzoni di quell'album. La sua voce erabassa e stonata.

"Così salgo una due rampe tre rampequattro," cantava Danny, "cinque rampesei rampe sette rampe e ancora... equando arrivo in cima, sono troppostanco per ballare il rock..."

Wendy lo aggirò, sedette su ungradino e si accorse che il labbroinferiore di Danny era gonfio più del

normale e che sul mento si notavanotracce di sangue coagulato. Il cuore lediede un balzo, ma riuscì a parlare contono neutro.

"Che ti è successo, dottore?" glichiese, sebbene fosse sicura di saperlo.Jack l'aveva picchiato.

Naturale. Era ciò che accadevasubito dopo, no? Le ruote del progresso;prima o poi ti riportavano al punto dipartenza.

"Ho chiamato Tony," rispose Danny."Nel salone da ballo. Credo di esserecaduto dalla sedia. Ora non mi fa piùmale. Sento solo... come se il labbrofosse troppo grosso."

"È proprio questo che è accaduto?"chiese Wendy, guardandolo

preoccupata."Non è stato papà," rispose il

bambino. "Non oggi."Lei lo fissò, sentendosi come fuori

dal mondo. La palla passava da unamano all'altra. Le aveva letto nelpensiero. Suo figlio le aveva letto nelpensiero.

"Che cosa... che cosa ti ha dettoTony?"

"Non importa." Il visetto era calmo,la voce di un'indifferenza agghiacciante.

"Danny. ."Gli strinse una spalla conpiù forza di quanto volesse. Ma lui nonbatté ciglio; non tentò nemmeno disvincolarsi.

(Oh, lo stiamo proprio rovinando

questo bambino. Non è solo Jack, èanche colpa mia, e forse non siamoneppure solo noi due, il padre di Jack,mia madre, sono anche loro qui con noi?Sicuro, perché no? Questo posto èinfestato di spettri, perché non un paio dipiù? Oh, Dio del cielo, lui è come una diquelle valigie che fanno vedere allatelevisione, calpestate, scaraventate daaerei in volo, infilate sotto una pressa. Oun orologio Timex. Funziona sempre.Oh, Danny, mi spiace tanto)

"Non importa," ripeté Danny. Lapalla passò da una mano all'altra. "Tonynon può più venire. Non lo lascerannopiù venire. È fregato."

"Chi è che non lo lascia venire?""La gente dell'albergo," rispose

Danny. E a questo punto la guardò. I suoiocchi non erano più indifferenti: eranocupi e spaventati. "E le... lecosedell'albergo. Ce ne sono di tutti i generi.L'albergo ne è pieno zeppo."

"Tu riesci a vedere...""Non voglio vedere," reagì Danny in

tono sommesso, poi riportò lo sguardosulla palla che saltellava da una manoall'altra. "Ma a volte riesco a udirle. Anotte fonda. Fanno come il vento,sospirano tutte assieme. In soffitta. Nellacantina. Nelle camere. Dappertutto.Credevo che fosse colpa mia, perchésono fatto in un certo modo. La chiave.La chiavetta d'argento."

"Danny, non... non scombussolarti a

questo modo.""Ma è anchelui, "disse Danny. "È

papà. E sei tu. Ci vuole prendere tutti.Sta giocando un brutto scherzo a papà,lo sta prendendo in giro, tenta di farglicredere che è lui quello che vuole più ditutto.

Più di tutto vuole me, ma ciprenderàtutti e tre."

"Se solo quel gatto delle nevi...""Non gliel'hanno permesso," la

interruppe Danny nello stesso tonosommesso. "Lo hanno costretto ascaraventarne un pezzo nella neve.Lontano, molto lontano. Me lo sonosognato. E lui sa che al 217 c'è davveroquella donna." La guardò con quegliocchi cupi, spaventati. "Non ha

importanza che tu mi creda o no."Wendy gli cinse le spalle con un

braccio."Ti credo, Danny, dimmi la verità.

Jack... tenterà di farci del male?""Loro tenteranno di costringerlo,"

spiegò Danny. "Ho chiamato il signorHallorann. Mi aveva detto di chiamarlo,se mai avessi avuto bisogno di lui. E iol'ho chiamato. Ma è così difficile! Mistanca molto.

E il peggio è che non so se lui misente o no. Non credo che possarispondermi perché per lui è troppolontano. E non so neppure se è troppolontano per me oppure no. Domani..."

"Che cosa succederà domani?"

Danny scosse il capo: "Niente.""Dov'è lui, adesso?" chiese Wendy.

"Il tuo papà?""È in cantina. Non credo che salirà,

stasera."Lei si alzò di scatto. "Aspettami qui.

Cinque minuti."La cucina appariva fredda e deserta

sotto la luce livida dei tubi fluorescenti.Wendy si accostò alla rastrelliera, doveicoltelli da scalco erano appesi aipannelli magnetizzati. Prese il più lungoe il più affilato, lo avvolse in unostrofinaccioe usci dalla cucina,spegnendo le luci strada facendo.

Danny sedeva sulla scala, seguendocon lo sguardo la parabola della palla di

gomma rossa che rimbalzava da unamano all'altra. Cantava: "Lei abita neiquartieri alti al ventesimo piano,l'ascensore è rotto e non funziona. Cosìio salgo una due rampetre rampequattro..."

(...Lou, Lou, me la batto dalla miaLou. . )

Il canto s'interruppe. Danny si posein ascolto.

(...Me la batto dalla mia Lou, dalmio tesoroo. . )

La voce era nella sua testa, cosìvicina, così terribilmente vicina chesarebbe potuta essere parte integrantedei suoi pensieri. Era sommessa evagamente sorniona. Si burlava di lui.Pareva dire:

{Oh, sì, ti piacerà qui. Provaci,tipiacerà. Provaci, ti piacerààààà...)Oragli si eranospalancate le orecchie epoteva udirli, di nuovo, il conciliabolo,fantasmi o spiriti o forse lo stessoalbergo, un terrificante luna park dovetutti i giochi si concludevano con lamorte, dove tutti i babau dipinti perincutere terrore erano vivi, dove le siepicamminavano, dove una chiavettad'argento poteva dare il via all'oscenità.

(Perché un corvo è come unascrivania? Più si sale e in meno si è,naturalmente! Prendi un'altra tazza di tè!)

Era un suono vivo, ma non siudivano voci, né respiri. Chi avesseinclinazione per la filosofia avrebbe

potuto definirlo il suono delle anime.Chi indagava nella psiche umanaavrebbe potuto indicarlo conun'espressione complicata: eco psichica,psicocinesi, uno scherzo telesmico. Maper Danny era soltanto il suonodell'albergo, il vecchio mostro chescricchiolava senza posa e si stringevasempre più attorno a loro: corridoi cheadesso si perdevano nel tempo oltre chein lontananza, ombre avide, ospitiinquieti che non conoscevano requie.

Nel buio salone da ballo l'orologiosotto la campana di vetro batté le sette emezzo con un unico rintocco musicale.

Una voce roca, resa brutaledall'alcool, gridò: "Giù la maschera echiaviamo!"

Wendy, che stava attraversandol'atrio, trasalì, arrestandosi di botto.

Guardò Danny sulla scala, ancoraintento a passarsi la palla da una manoall'altra. "Hai udito qualcosa?"

Danny si limitò a guardarla eproseguì nel suo gioco.

Avrebbero stentato a prender sonno,quella notte, anche se dormivanoassieme dietro una porta sprangata.

E nel buio, a occhi aperti, Dannypensò:

(Vuole diventare uno di loro evivere in eterno. Ecco che cosa vuole.)Wendy pensò:

(Se ci sarò costretta, lo porteròancora più in alto. Se dobbiamo morire,

preferirei che fosse in montagna.)Aveva nascosto sotto il letto il

coltello da macellaio, ancora avvoltonello strofinaccio. Vi teneva la manovicina. Dormirono di un sonno inquieto,frammentario. Attorno a loro l'albergoscricchiolava.

Fuori, la neve aveva preso a cadereda un cielo plumbeo.

40(!!! La caldaia quella dannata

caldaia!!!)Il pensiero si stagliò netto nella

mente di Jack Torrance, orlato di unrosso acceso, come un avvertimento. Loseguì da presso la voce di Watson:

(Se si dimentica di farlo, continuerà

a salire un po' alla volta, e, come seniente fosse, lei e i suoi vi ritroveretetutti quanti scaraventati su quella lunadel cazzo. . è calibrata fino aduecentocinquanta, ma adessoscoppierebbe un bel po' prima. . sareiterrorizzato all'idea di scendere quasotto e avvicinarmi quando quelquadrante è sul centottanta.)

Se n'era rimasto là sotto tutta notte, aesaminare le scatole zeppe di vecchiincartamenti, posseduto dalla sensazionespasmodica che ormai il tempo stringevae doveva spicciarsi. E ancora gli indizid'importanza vitale, i nessi cheavrebbero chiarito ogni cosa, glisfuggivano. Le vecchie carte,sbriciolandosi gli avevano ingiallito e

insudiciato le dita. E Jack si era lasciatoaffascinare a tal punto dalla lettura, chenon aveva controllato la pressione dellacaldaia nemmeno una volta. L'avevaabbassata la sera prima verso le sei,quando era sceso. Adesso erano...

Guardò l'orologio e balzò in piedi,incespicando in un fascio di vecchiefatture che si sparsero tutt'intorno.

Cristo, erano le cinque meno unquarto del mattino.

Alle sue spalle la caldaia delcalorifero mandò un ruggito. La caldaiadell'acqua emetteva un suono lamentoso,sibilante.

Accorse. Il suo viso, che durantel'ultimo mese si era fatto più smunto, più

affilato, appariva fittamente coperto daun'ispida barba.

L'indice di pressione segnavaduecentodieci. Gli parve che le paretidella vecchia caldaia rattoppata esaldata ansimassero per effetto dellaletale pressione.

(Sale pian piano. . sarei terrorizzatoall'idea di scendere qua sotto eavvicinarmi quando è sul centottanta. .)

Tutt'a un tratto una voce interiore,fredda e tentatrice, gli parlò.

(Lascia perdere. Va' a prendereWendy e Danny e pianta baracca eburattini. Lascia che salti tutto in aria.)

Riusciva perfino a immaginarsil'esplosione. Un duplice rombo cheprima avrebbe squarciato il cuore di

quel posto, e poi l'anima. La caldaiasarebbe scoppiata con un lampoviolaarancione che avrebbe inondato dischegge ardenti e infuocate l'interacantina. Con gli occhi della menteriusciva a vedere i frammenti di metallorovente proiettati con inaudita violenzaper ogni dove. E poi l'esplosione delgas, un gran divampare di fiammerombanti, una gigantesca spia cheavrebbe trasformato l'intero centrodell'albergo in una graticola. Tempododici ore, non sarebbe rimasto in piediche il nudo scheletro dell'edificio.

Sul quadrante, l'ago si era spostatosui duecentododici. La caldaiascricchiolava e gemeva come una

vecchia che tentasse di scendere dalletto. Sibilanti getti di vapore avevanocominciato a sprizzare dal profilo deivecchi rattoppi; gocce di stagnocominciavano a sfrigolare.

Jack non vedeva, non udiva. Eraimmobile con la mano sulla valvola cheavrebbe abbassato la pressione edestinto l'incendio.

(È l'ultima occasione che mi resta.)L'unica cosa che ancora non era stata

convertita in contanti era la polizzadell'assicurazione sulla vita che avevasottoscritto congiuntamente a Wendydurante l'estate fra il primo e il secondoanno a Stovington. Quarantamila dollaridi risarcimento in caso di morte,indennità raddoppiata nel caso che lui o

lei perissero in un incidente ferroviario,in una sciagura aerea o in un incendio.

En plein,muori di morte segreta evinci cento dollari.

(Un incendio. . ottantamila dollari.)Avrebbero avuto tutto il tempo di

uscire. Anche se dormivano, avrebberoavuto tutto il tempo di uscire. Ci credevasul serio. E non credeva che le siepi oqualsiasi altra cosa avrebbero tentato ditrattenerli, se l'Overlook fosse andato afuoco.

(Fuoco.)L'ago all'interno del quadrante

sudicio, quasi opaco, era salitooscillando a duecentoquindici.

Un altro ricordo gli affiorò alla

mente, un ricordo d'infanzia. Un nido divespe tra i rami più bassi del melo,dietro casa. Uno dei suoi fratellimaggiori (non riusciva a ricordarequale) era stato punto mentre sidondolava nel vecchio copertone diautomobile che papà aveva appeso a unodei rami più bassi dell'albero. Si eraverso la fine dell'estate, quando le vespeincattiviscono.

Il padre, appena tornato dal lavoro,con indosso l'uniforme bianca dainfermiere, il sentore di birra che glialeggiava attorno al viso in un lievealone, aveva radunato tutti e tre iragazzini, Brett, Mike e il piccolo Jacky,e aveva detto loro che si sarebbesbarazzato delle vespe.

"State a vedere, ora," aveva detto,sorridendo e barcollando un poco (aquel tempo non usava ancora il bastone,l'investimento da parte del furgone dellatte era di là da venire). "Forseimparerete qualcosa. A me l'ha mostratomio padre."

Aveva ammassato un grossomucchio di foglie fradicie di pioggiasotto il ramo dal quale pendeva il nidodi vespe: un frutto ben più letale dellemele grinzose ma saporite che di solitol'albero produceva a fine settembre, dataalla quale mancava ancora un mese.Aveva dato fuoco alle foglie. Il giornoera limpido e senza vento. Le foglieavevano preso fuoco ma non

divampavano, ed emanavano un sentorearomatico che era rimbalzato fino a luiogni autunno, allorché uomini in calzonifrusti e leggere giacche a ventoammassavano le foglie e le bruciavano.Un profumo dolce con un sottofondoamarognolo, intenso ed evocativo. Dallefoglie in lenta combustione si levavanograndi volute di fumo che salivanoondeggiando a oscurare il nido.

Il padre aveva lasciato che le fogliebruciassero lentamente per tutto ilpomeriggio, bevendo birra sotto ilporticato e gettando le lattine vuote diBlack Label nel secchio di plastica disua moglie, mentre i due figli maggiorigli sedevano accanto e il piccolo Jackyse ne stava sui gradini ai suoi piedi, a

giocare con una specie di yoyo e acanticchiare monotono: "Il tuo cuoreingannatore... ti farà piangere... il tuocuore ingannatore... te la farà pagare."

Alle sei meno un quarto, poco primadi cena, papà s'era portato accanto almelo con i tre figli raggruppati perprudenza alle sue spalle. In una roanostringeva una zappetta da giardinaggio.Aveva disperso le foglie, lasciandonequalche piccolo cumulo disseminatotutt'intorno a consumarsi interamente e aspegnersi. Poi aveva sollevato il manicodella zappa, abbozzando schivate estrizzando gli occhi, e dopo due o tretentativi aveva fatto cadere a terra ilnido.

I ragazzini avevano cercato riparosotto il porticato, ma papà si era limitatoa starsene chino sul nido, ondeggiando eammiccando. Jacky era tornato indietroa dare un'occhiata furtiva. Dall'internodel nido proveniva un suono che nonavrebbe mai più scordato: un bassoronzio sonnacchioso, simile allevibrazioni dei cavi ad alta tensione.

"Perché non tentano di pungerti,papà?" aveva chiesto.

"Il fumo le ubriaca, Jacky. Va' aprendere la tanica di benzina."

Era corso a cercarla. Papà avevaasperso il nido di benzina color ambra.

"Adesso scostati, Jacky, se non vuoibruciarti le ciglia."

Lui si era allontanato. Da qualcherecesso celato fra le pieghe voluminosedel camiciotto bianco, papà avevaestratto uno zolfanello da cucina. Sel'era acceso sull'unghia del pollice el'aveva gettato sul nido.

C'era stata un'esplosionebiancoarancione, quasi silenziosa nellasua violenza. Papà si era scostato, conuna risata scrosciante. Il nido di vespeera bruciato in un batter d'occhio.

"Il fuoco uccide qualsiasi cosa,"aveva detto papà, volgendosi versoJacky con un sorriso.

Dopo cena i bambini erano uscitinella luce del crepuscolo e si eranoraccolti con aria solenne attorno al nido

carbonizzato. Dall'interno surriscaldatogiungeva il rumore dei corpi delle vespeche scoppiavano come chicchi digranturco.

Il manometro segnava duecentoventi.Un basso gemito delle lamiere covavanelle viscere della caldaia.

Getti di vapore sprizzavano da centopunti diversi, ritti come gli aculei di unporcospino.

(Il fuoco uccide qualsiasi cosa.)Jack trasalì. Si era addormentato in

piedi. A che cosa pensava, in nome diDio? Era stato assunto per proteggerel'albergo. Era il custode.

Di colpo il terrore gli rese le manimadide di sudore, al punto che lì per lìnon riuscì a far presa sulla grossa

valvola. Poi artigliò le dita attorno airaggi della manopola. Le fece fare ungiro completo, due, tre. Si udì unviolento sibilo di vapore. Una caldanebbia tropicale salì da sotto la caldaiae lo avvolse tutto. Per un attimo nonriuscì a vedere il quadrante, ma forseaveva indugiato troppo; i gemiti, gliscricchiolii all'interno della caldaiaaumentarono d'intensità, seguiti da unaserie di violenti rumori metallici e dallostridore del metallo, sottoposto aindicibile tortura.

Quando la nuvola di vapore sidiradò, Jack vide che il manometro erasceso a duecento e continuava a calare. Igetti di Vapore che sfuggivano dalle

saldature cominciavano a scemare. Irumori tormentosi, stridenti si facevanoun tantino più sommessi.

Centonovantacinque... centottanta...centosettantacinque...

(Procedeva in discesa, acentocinquanta all'ora, quando il sibilosi tramutò in un urlo. .) Non credeva,però, che sarebbe scoppiata, ora. Lapressione era scesa a centosessanta.

(...lo rinvennero nel rottame con lamano sulla leva, era mortalmenteustionato dal vapore. ) Si allontanò dallacaldaia, ansando, tremante. Si guardò lemani e vide che sul palmo si stavano giàformando le vesciche. Al diavolo levesciche, pensò, e scoppiò in una risatafragorosa. Aveva davvero rischiato di

morire con la mano sulla leva, comeCasey, l'ingegnere nelRottame dellaOldsmobile 97.

Peggio ancora, avrebbe distruttol'Overlook. Il definitivo, clamorosofallimento. Era fallito come insegnante,come scrittore, come marito e padre. Erafallito persino come ubriacone. Però nonsi poteva niente di meglio, nella vecchiacategoria dei falliti,che far saltare inaria l'edificio di cui ti hanno incaricatodi aver cura. E perdipiù, quello non eraun edificio comune.

Tutt'altro.Cristo, che bisogno aveva di bere

qualcosa!La pressione era scesa a ottanta.

Cautamente, trasalendo un tantino per ildolore alle mani, richiuse la valvola.Ma a partire da quel momento avrebbeavuto doppio motivo di tener d'occhio lacaldaia.

Poteva darsi che avesse subito dannipiuttosto gravi. Non poteva fidarsi alasciarle superare i cento per il restodell'inverno. E se avessero patito un po'di freddo, pazienza: non ci sarebbe statoaltro da fare che sorridere e sopportarecon rassegnazione.

Aveva spaccato due delle vesciche.Le mani gli pulsavano come denticariati.

Qualcosa da bere. Qualcosa da berel'avrebbe rimesso in sesto; ma non c'eraun fico secco, in quella maledetta casa,

all'infuori dello sherry da cucina. Aquesto punto un bicchiere sarebbe statocome una medicina. Proprio così,perdio. Un anestetico. Aveva fatto il suodovere e adesso l'anestetico glispettava: qualcosa di più fortedell'Excedrin. Ma non c'era niente.

Ricordò le bottiglie baluginantinell'ombra.

Aveva salvato l'albergo, e l'albergonon avrebbe mancato di ricompensarlo.Cavò il fazzoletto dalla tasca posterioredei calzoni e si avviò alla scalastrofinandosi la bocca. Giusto unbicchierino. Uno solo.

Per alleviare il dolore.Aveva servito l'Overlook, e ora

l'Overlook avrebbe servito lui. I suoipiedi sui gradini della scala erano rapidie ansiosi, i passi di chi torni in patria dauna guerra lunga e dura. Erano le cinquee venti del mattino, ora delle montagne.

41Danny si svegliò da un. sogno

agghiacciante con una sorta di rantolosoffocato. C'era stata un'esplosione. Unincendio. L'Overlook era in fiamme. Luie la sua mamma osservavano lospettacolo dal prato antistante.

La mamma aveva detto: "Guarda,Danny, guarda le siepi."

Lui le aveva guardate ed erano tuttemorte. Le foglie avevano assunto uncolore brunastro asfittico. I rami

fittamente intrecciati lasciavano filtrarelo sguardo, parevano gli scheletri dicorpi semismembrati.

Allora il suo papà era uscito aprecipizio dalle grandi porte doppiedell'Overlook, e ardeva, avvolto dallefiamme, ridotto una torcia umana.

Era stato allora che si era svegliato,la gola serrata per la paura, le manicontratte sul lenzuolo e sulle coperte.Aveva urlato? Lanciò' un'occhiata allamadre. Wendy giaceva coricata su unfianco, le coperte tirate fino al mento,una ciocca di capelli color paglia che lesfioravano la guancia. Sembrava unabambina. No, non aveva urlato.

Mentre se ne stava adagiato nel letto,lo sguardo levato al soffitto, l'incubo

cominciò a dileguarsi.Aveva la curiosa sensazione che una

tragedia(incendio? esplosione?)fosse stata evitata per un soffio.

Lasciò vagare la mente alla ricerca delpapà, e lo trovò in piedi da qualcheparte, da basso. Nell'atrio. Danny siconcentrò maggiormente, sforzandosi dipenetrare nella mente del padre. Non fupiacevole. Perché papà stava pensandoalla Brutta Cosa. Stava pensando che(gusto sarebbe un goccetto o due magarime ne infischio se il sole è altosull'arsenale in qualche parte del mondoricordi che dicevamo così al? gin andtonic bourbon con appena uno schizzo di

bitter scotch and soda rum e coca aulìulè che tamusé un bicchierino a me e unbicchierino a te i marziani sono atterratida qualche parte a princeton o a houstono a stokely su carmichael in qualchefottuto posto dopotutto questa è lastagione e nessuno di noi è)

(ESCI SUBITO DALLA SUAMENTE, STRONZO!)

Danny si ritrasse terrorizzato daquella voce mentale, sbarrando gliocchi, serrando con le mani il copriletto.Non era la voce di suo padre, ma unaperfetta imitazione. Una voce checonosceva: roca, brutale, e tuttaviasottolineata da una sorta di vacuoumorismo.

Era così vicina, dunque?

Respinse le coperte e posò i piedisul pavimento. Fece scivolare leciabatte da sotto il letto e le infilò.

Andò alla porta, l'aprì e corse versoil corridoio principale, i piedi infilatinelle pantofole che frusciavano sullafolta peluria della passatoia. Giròl'angolo.

C'era un uomo carponi a metà delcorridoio, tra lui e le scale.

Danny s'irrigidì.L'uomo alzò lo sguardo sopra di lui.

Aveva gli occhi piccoli e arrossati.Indossava una specie di costume colorargento, tempestato di lustrini. Uncostume "da cane", si rese conto Danny.Dalla parte posteriore di quella strana

creazione sporgeva una coda lunga efloscia, adorna di un ciuffo all'estremità.Il costume era chiuso sul dorso da unacerniera lampo che arrivava al collo.Sulla sinistra dell'uomo c'era una testadi cane o di lupo, orbite vuote sopra ilmuso, le fauci spalancate in un ringhioinsensato che lasciava scorgere ildisegno nero e blu del tappeto, fra zanneche sembravano fatte di cartapesta.

La bocca, il mento, le guancedell'uomo erano incrostate di sanguerappreso.

Si mise a ringhiare all'indirizzo diDanny. Sorrideva, ma il ringhio erareale. Gli saliva dal fondo della gola: unsuono raggelante, primitivo. Poi prese alatrare. Anche i denti erano macchiati di

sangue. Si mise a strisciare versoDanny, trascinandosi appresso la codafloscia. La testa di cane del costumerimase abbandonata sul tappeto, losguardo vacuo, fisso nel nulla.

"Lasciami passare," disse Danny."Adesso ti mangio, ragazzino,"

rispose l'uomocane, e di colpo un lungolatrato gli uscì dalla bocca ghignante.Era un'imitazione umana, ma la ferociache sottintendeva era reale. L'uomoaveva i capelli bruni, fradici di sudoreper la costrizione del costume. Il suoalito sapeva di un misto di scotch echampagne.

Danny indietreggiò ma non fuggì."Lasciami passare."

"Adesso ti mangio," ripetél'uomocane. I suoi occhietti rossifissavano intenti la faccia di Danny.

Continuava a sorridere. "Credoproprio che comincerò dal tuo pisellocosì grassoccio."

Prese ad avanzare con moto sinuoso,ringhiando e spiccando piccoli balzi.

A Danny venne meno il coraggio.Fuggì nella breve diramazione checonduceva al loro alloggio, voltandosi aguardare da sopra la spalla. Gli giunseuna serie di ululati e latrati e ringhi,interrotta da un borbottare biascicato eda uno scroscio di risatine.

Danny indugiò nel corridoio,tremante.

"Svegliati!" sbraitò l'uomocaneubriaco da dietro l'angolo. Nella suavoce si avvertiva un sentimento diviolenza e disperazione. "Svegliati,Harry, bastardo di una troia! Me nefrego, io, di quante bische e compagnieaeree e case cinematografiche possiedi!So cosa ti piace nell'intimità di casa tua!Svegliati!

Guarda, basterebbe che facessi unpo' su e giù... su e giù... e HoraceDerwent si sgonfierebbe come unpalloooneee!" concluse con un lungo,sinistro ululato che, prossimo aspegnersi, parve tramutarsi in un urlo dirabbia e di dolore.

Danny si volse con apprensione

verso l'uscio chiuso della camera daletto in fondo al corridoio e lo raggiunsesenza far rumore. Aprì la porta e v'infilòla testa: la mamma dormiva nell'identicaposizione.

Nessuno udiva, all'infuori di lui.Chiuse l'uscio in silenzio e tornò al

punto d'intersezione irla la diramazionee il corridoio principale, sperando chel'uomocane se ne fosse andato, allostesso modo in cui era sparito il sanguedalle pareti dell'AppartamentoPresidenziale. Sbirciò cautamente dadietro l'angolo.

L'uomo in costume da cane eraancora là. S'era infilato di nuovo la testae ora saltellava a quattro zampe pressola tromba delle scale, rincorrendo la

propria coda. Di tanto in tanto sisollevava con un balzo dal tappeto e silasciava ricadere, emettendo rauchiversi canini.

" Vuuff! Vuuff! Baaauuu!Grrrrr! "Quei suoni uscivano falsati dalle

stilizzate fauci ringhianti della maschera,frammisti ad altri suoni, forse disinghiozzi o di risate.

Danny tornò in camera da letto esedette sul suo lettino, coprendosi gliocchi con le mani. Ora l'albergo avevapreso il sopravvento. Forse in un primotempo le cose accadute erano statesemplici incidenti.

Forse in un primo tempo le cose cheaveva visto erano davvero simili a

illustrazioni inquietanti, ma innocue. Maora quelle cose erano passate sotto ilcontrollo dell'albergo e di male nepotevano fare, e come. L'Overlook nonaveva permesso che lui andasse da suopadre. Avrebbe potuto rovinargli lafesta.

Di conseguenza aveva messo sullasua strada l'uomocane: proprio comeaveva posto gli animali della siepe traloro e la strada.

Però il suo papà poteva venire.Prima o poi sarebbe capitato.

Si mise a piangere. Le lacrime glicolavano silenziosamente giù per leguance. Era troppo tardi.

Sarebbero morti, tutti e tre; e quandol'Overlook avesse riaperto, alla fine

della prossima primavera, lorosarebbero stati sul posto ad accogliere iclienti assieme a tutti gli altri spettri. Ladonna nella vasca.

L'uomocane. L'orribile cosatenebrosa che si nascondeva nel tunneldi cemento. Sarebbero stati...

(Basta! Piantala, adesso!)Si asciugò prontamente le lacrime

con le nocche. Avrebbe tentato con tuttele sue forze di impedire che accadesse.Né a lui, né al suo papà né alla suamamma. Avrebbe tentato con tutte le sueforze.

Chiuse gli occhi e proiettò la menteverso l'esterno in un'alta, dura saetta dicristallo.

(! DICK PER FAVORE VIENIPRESTO SIAMO NEI GUAI DICKABBIAMO BISOGNO!) Eall'improvviso, nel buio dietro i suoiocchi la cosa che lo inseguiva per icorridoi bui dell'Overlook nei sogni fulì,propriolì: un'enorme creatura vestita dibianco, la clava preistorica sollevatasopra la testa:

"Te la faccio piantare io! Maledettocucciolo! Te la faccie piantare io,perché sono tuoPADRE!"

"No!"Tornò bruscamente alla realtàdella camera da letto, gli occhi fissi esbarrati, le urla che gli uscivano dallabocca, irrefrenabili, mentre sua madre sisvegliava di soprassalto, stringendosi il

lenzuolo contro il petto."No papà no no no. ."Entrambi udirono il sibilo maligno

dell'invisibile clava che da qualcheparte, lì accanto, si abbatteva sferzandol'aria, squarciandola, e poi svaniva nelsilenzio mentre Danny correva dallamadre e le si stringeva contro, tremandocome un coniglietto preso in trappola.

L'Overlook non gli avrebbepermesso di chiamare Dick. Anchequello gli avrebbe rovinato la festa.

Erano soli.Fuori, la neve cadeva più fitta,

isolandoli completamente dal mondo.

42Il volo di Dick Hallorann fu

chiamato alle 6,45, ora della costaorientale, e il funzionario d'imbarco lotrattenne presso il cancello 31 a passarsinervosamente la valigia da una manoall'altra fino all'ultima chiamata delle6,55. Spiavano entrambi l'arrivo di untale a nome Carlton Vecker, l'unicopasseggero del volo 196 della TWA daMiami a Denver che non si fossepresentato all'imbarco.

"Va bene," disse il funzionario,consegnando a Hallorann un bigliettod'imbarco azzurro di prima classe. "Haavuto fortuna. Può salire a bordo,signore."

Hallorann si affrettò su per la rampad'imbarco coperta, e attese che lahostess dal sorriso stereotipato

strappasse la scheda e gli restituisse iltalloncino.

"Serviamo la prima colazione abordo," 'disse la hostess. "Sedesidera..."

"Solo caffè, cara," la interruppeHallorann, e percorse la corsia allavolta di un posto nello scompartofumatori. Continuava ad attendersi che ilfantomatico Vecker facesse capolinosulla porta, come un babau che faccia ilguastafeste all'ultimo istante. La donnaseduta accanto al finestrino leggevaPuoiessere il tuo miglior amico col voltoimprontato a un'acida espressioned'incredulità. Hallorann agganciò lacintura di sicurezza, poi strinse le grosse

mani nere sui braccioli del sedile egiurò, rivolto all'assente Carlton Vecker,che per strapparlo da quel posto cisarebbe voluta la forza dello stessoVecker unita a quella di cinque robustiassistenti di volo della TWA. Nonperdeva d'occhio l'orologio: i minuti cheancora mancavano alle 7, ora deldecollo, trascorrevano con esasperantelentezza.

Alle 7,05 la hostess li informò che cisarebbe stato un lieve ritardo neldecollo, perché il personale a terra eraimpegnato in un controllo supplementaredei chiavistelli del portello merci.

"Merda!" borbottò Dick Hallorann.La donna dalla faccia angolosa

dedicò a lui la sua acida espressione

d'incredulità, poi riportò l'attenzione sullibro.

Dick aveva trascorso tutta la notteall'aeroporto, passando da un bancoall'altro, United, American, TWA,Continental, Braniff, dando la caccia aifunzionari delle biglietterie. Poco dopola mezzanotte, mentre beveva l'ottava onona tazza di caffè, aveva deciso che eraproprio un imbecille a essersi accollatol'intera faccenda. C'erano le autorità.Era sceso al più vicino banco deitelefoni, e dopo aver confabulato con trecentraliniste diverse era riuscito a farsidare il numero della direzione del ParcoNazionale delle Montagne Rocciose.

L'uomo che aveva risposto al

telefono gli era parso esausto, stufomarcio. Hallorann si era presentato conun nome falso e gli aveva detto cheall'Overlook Hotel, a ovest diSidewinder, c'erano guai. Guai grossi.

L'uomo gli aveva detto di restare inlinea.

Il ranger, o almeno Hallorannriteneva che si trattasse di un ranger, eratornato all'apparecchio dopo cinqueminuti.

"Hanno una ricetrasmittente," avevaannunciato il ranger.

"Sicuro che hanno unaricetrasmittente," aveva replicatoHallorann.

"Non ci è giunta nessuna chiamata disoccorso."

"Questo non conta, caro mio.Sono..."

"Di quali guai si tratta esattamente,signor Hall?"

"Be', c'è una famiglia lassù. Ilguardiano e i suoi familiari. Sa, temoche lui abbia dato i numeri.

Potrebbe far del male alla moglie eal bambino."

"Se mi è lecito, potrei sapere comeha avuto questa informazione, signore?"

Hallorann chiuse gli occhi. "Come sichiama lei, amico?"

"Tom Staunton, signore.""Be', Tom, lo so e basta. Adesso le

dirò chiaro e tondo come stanno le cose.Ci sono grane grosse, lassù. Roba... be',

roba da assassinio, mi segue?""Signor Hall, devo assolutamente

sapere come...""Senta," aveva detto Hallorann. "Le

sto dicendo che lo so e basta. Qualcheanno fa lassù c'era un tale che sichiamava Grady. Ha fatto fuori lamoglie e le due figlie e poi si è sparato.Ebbene, tornerà a succedere la stessacosa, se voi non vi darete da fare perimpedirlo!"

"Signor Hall, lei non chiama dalColorado."

"No. Ma che differenza...""Se non si trova nel Colorado, non è

nella lunghezza d'onda dellaricetrasmittente dell'Overlook Hotel.

E se non è nella lunghezza d'onda

della ricetrasmittente, non può essersimesso in contatto con... con là..." Unlieve fruscio di carta. "Con la famigliaTorrance. Mentre lei restava in linea hotentato di telefonare. L'apparecchio èisolato, circostanza tutt'altro cheinsolita. C'è ancora una quarantina dichilometri di linea telefonica scoperta,tra l'albergo e il centralino diSidewinder. Ne deduco che lei non deveavere tutte le rotelle a posto."

"Oh, ragazzi, stupido..." Ma la suadisperazione gli impediva di trovare unsostantivo che si addicesse all'aggettivo.Di colpo, un'illuminazione. "Li chiami!"gridò.

"Signore?"

"Avete una ricetrasmittente, lorohanno una ricetrasmittente. Li chiami,dunque! Li chiami e chieda che cosa stasuccedendo! "

Ci fu un breve silenzio, colmato dalronzio dei fili dell'interurbana.

"Ci ha già provato, vero?" chieseHallorann. "È per questo che mi ha fattoaspettare tanto all'apparecchio. Hatentato col telefono, poi con laricetrasmittente, e non ha ottenutorisposta; ma non crede che ci siaqualcosa che non va... che ci fate lì,voialtri? Ve ne state lì a scaldare lesedie giocando a ramino?"

"No, tutt'altro," aveva replicatoStaunton, adirato. Hallorann avvertì con

sollievo il tono incollerito della voce.Per la prima volta aveva l'impressionedi parlare con un uomo, non con unregistratore.

"Sono da solo, qui. Tutti gli altriranger del parco,oltre aiguardacaccia,oltre a un certo numero divolontari, sono su al passo Hasty, arischiare la vita perché tre teste di cazzoche hanno cominciato ad andare inmontagna solo sei mesi fa, hanno decisodi tentare la scalata della parete norddell'Ariete del Re. Sono incrodati lassù,e forse riusciranno a scendere, forse no.Ci sono due elicotteri in volo e gliuomini che li pilotano rischiano la pelleperché qui è notte e adesso comincia anevicare. Se non riesce ancora a farsi

un'idea della situazione, vedrò diaiutarla io: numero uno, non ho proprionessuno da mandare all'Overlook;numero due, l'Overlook per noi non haalcun diritto di priorità, priorità chespetta a ciò che accade nel parco;numero tre, quando farà giorno quei dueelicotteri non saranno più in grado divolare perché, stando alle previsionimeteorologiche, nevicherà moltissimo.Riesce a farsi un'idea della situazione?"

"Sì, sì," aveva risposto sottovoceHallorann. "Capisco."

"Ora, secondo me il motivo per cuinon sono riuscito a mettermi in contattovia radio con loro è semplicissimo: nonso che ora sia nel posto dove si trova

lei, ma qui sono le nove e mezzo di sera.Credo che abbiano spento la

ricetrasmittente e se ne siano andati aletto. Ora, se lei..."

"Buona fortuna con gli alpinisti,caro," aveva interrotto Hallorann. "Madesidero farle sapere che non sono i soliche siano incrodati, perché nonsapevano in cosa andavano a cacciarsi."

E aveva riagganciato.Alle sette e venti del mattino

l'apparecchio 747 della TWA uscìpesantemente a retromarcia dallo stallo,virò e rullò in direzione della pista didecollo. Hallorann si lasciò sfuggire unlungo, silenzioso sospiro. CarltonVecker, dovunque tu sia, mettiti pure ilcuore in pace.

Il volo 196 si staccò da terra allesette e ventotto, e alle sette e trentuno,mentre prendeva quota, nella testa diDick esplose un'altra volta ilpensieropistola. Hallorann s'ingobbìvanamente per sottrarsi al profumo diarance, poi fu scosso da un sussultospasmodico. La fronte si corrugò, labocca si contrasse in una smorfia didolore.

(! DICK PER FAVORE VIENIPRESTO SIAMO NEI GUAI DICKABBIAMO BISOGNO!) E fu tutto. Sispense di colpo. Senza sbiadire un po'alla volta. La comunicazione era statainterrotta bruscamente, come recisa.Hallorann ne fu spaventato. Al bambino

era accaduto qualcosa. Ne era certo.Se qualcuno aveva fatto del male al

piccolo..."Reagisce sempre in modo così

violento ai decolli?"Si guardò attorno. Era la donna con

gli occhiali cerchiati di corno."Non è stato il decollo," rispose

Hallorann. "Ho una placca d'acciaio intesta. Ricordo della Corea. Di tanto intanto mi dà una fitta. Vibra, capisce?Non vuole essere dimenticata,insomma."

"Ah, davvero?""Proprio così, signora.""È sempre il povero soldatino che

alla fine paga per ogni interventoall'estero," disse cupa la donna dal viso

angoloso."Crede?""Sì. Questo paese deve piantarla con

le sue sporche guerricciole. Dietro ognisporca guerricciola che l'America hacombattuto in questo secolo c'è semprestata la CIA. La CIA e la diplomazia deldollaro."

La donna aprì il libro e si mise aleggere. La scritta luminosa VIETATOFUMARE si spense.

Hallorann guardò il suolo cheandava allontanandosi sempre più e sichiese se il bambino stesse bene.

Aveva provato subito un sentimentod'affetto per quel ragazzino, anche senon era sembrato che i suoi genitori gli

volessero un gran bene.Sperava con tutto il cuore che si

prendessero cura di Danny.

43Jack indugiò nella sala da pranzo

appena oltre le porte a vento cheimmettevano nella Colorado Lounge, latesta piegata di lato, in ascolto.Sorrideva appena.

Attorno a sé udiva l'Overlook Hotelrianimarsi.

Era difficile dire come facesse asaperlo, ma supponeva che nondifferisse granché dalle percezioni cheaveva Danny di tanto in tanto... tale ilpadre, tale il figlio. Non diceva cosìl'adagio popolare?

Non si trattava di una percezionevisiva o acustica, benché fosse moltosimile a una cosa del genere, separatadalla vista e dall'udito dal piùimpalpabile degli schermi percettivi.Era come se un altro Overlook ora sinascondesse sotto quello visibile,separato dal mondo reale (ammesso cheesista un

"mondo reale", pensò Jack) ma che apoco a poco andava ritrovando un suoequilibrio. Si ricordò dei film in 3D cheaveva visto da ragazzino. Se si guardavalo schermo senza infilarsi certi occhialispeciali, si vedeva un'immagine doppia:più o meno era la sensazione cheprovava adesso. Ma se s'infilavano gli

occhiali, tutto tornava a posto.Tutte le ere dell'albergo erano

commiste, ora; tutte tranne l'attuale, l'EraTorrance. E quanto prima anche questasi sarebbe mescolata alle altre. Mabene, perbacco. Benissimo.

Riusciva quasi a sentirel'altezzosodin! din! del campanelloplaccato d'argento sul banco dellaportineria, che faceva accorrereall'ingresso i fattorini, mentrearrivavano uomini in completo diflanella secondo la moda degli anniventi e ne partivano altri in completogessato a doppio petto, in conformitàalla moda degli anni quaranta. C'eranotre monache sedute davanti al caminetto,in attesa che si diradasse la fila dei

clienti che saldavano il conto, e ritti alleloro spalle, elegantissimi, con spille dibrillanti infilate nelle cravatte a disegnibianchi e azzurri, Charles Grondin eVito Gianelli discutevano di perdite eprofitti, di vita e di morte. C'era unadozzina di furgoni sulle rampe di caricosul retro: alcuni accatastati l'unosull'altro come in una fotografia scattatacon un tempo di esposizione sbagliato.

Nel salone da ballo dell'ala esterano in corso contemporaneamente unadecina e più di riunioni d'affari diverse,con uno scarto temporale di pochicentimetri l'una dall'altra. Ed era inpieno svolgimento un ballo in costume.C'erano serate di gala, ricevimenti

nuziali, feste di compleanno eanniversari di matrimonio. Uomini cheparlavano di Neville Chamberlain edell'arciduca d'Austria. Musica. Risate.

Euforia. Isterismo. Di amore, poco;ma si avvertiva una corrente sotterraneadi sensualità. E Jack riusciva quasi audirli tutti assieme, nell'atto di vagareper l'albergo, e davano luogo a unagradevole cacofonia. Nella sala dapranzo dove si trovava ora, colazione,pranzo e cena di un arco di tempo disettant'anni venivano servitisimultaneamente proprio alle sue spalle.Poteva quasi... ma no, sgombriamo pureil campo da quelquasi. Li sentivaproprio, per ora deboli, ma chiari: allostesso modo in cui si può udire il tuono

a chilometri di distanza in una caldagiornata estiva. Li sentiva tutti, glisplendidi sconosciuti. Si accorgevadella loro presenza, come loro avevanoavvertito la sua sin dall'inizio.

Tutte le camere dell'Overlook eranooccupate, quella mattina.

Tutto esaurito.Spinse le porte a vento ed entrò."Salve, ragazzi," disse Jack

Torrance sottovoce. "Sono stato via, maeccomi ritornato."

"Buonasera, signor Torrance," disseLloyd, con sincera soddisfazione. "Èbello rivederla."

"È bello essere di nuovo qui,Lloyd," continuò Jack in tono solenne; e

sollevò una gamba su uno sgabello tra unuomo in un impeccabile completo blu euna donna dagli occhi cisposi, vestita dinero, che sbirciava nelle profondità diun Singapore Sling.

"Che cosa le posso servire, signorTorrance?"

"Un martini," rispose Jack,preconizzandone tutto il piacere. Posò losguardo sugli scaffali dietro il bar con lefile di bottiglie che baluginavanoappena, sormontate dai tappid'argento.Jim Beam. Wild Turkey.Gilbey's. Sharrod's Private Label. Toro.Seagram's.Era tornato a casa.

"Un robusto marziano, per favore,"disse. "Sono atterrato da qualche parte,Lloyd." Estrasse il portafogli e con

garbo posò sul banco una banconota daventi dollari.

Mentre Lloyd gli preparava lamistura, Jack si guardò alle spalle. Ogniseparé era occupato. Alcuni avventorierano in costume... una donna in calzonitrasparenti da odalisca e un reggiseno distrass, un uomo con una testa di volpeche sbirciava astutamente sopra l'abitoda sera, un uomo con un costumeargenteo da cane che solleticava il nasodi una donna in sarong col ciuffoterminale della lunga coda, tra ildivertimento generale dei presenti.

"Non accettiamo denaro da lei,signor Torrance," disse Lloyd, posandoil bicchiere colmo sopra la banconota da

venti di Jack. "Qui i suoi soldi nonvalgono. Ordini del direttore."

"Direttore?"Lo colse un lieve disagio; sollevò lo

stesso il bicchiere di martini e lo feceroteare, osservando l'oliva ballonzolaresul fondo nelle profondità ghiacciatedella mistura.

"Ma certo. Il direttore." Il sorriso diLloyd si fece più largo, ma i suoi occhierano infossati nell'ombra e la sua pelleera di un bianco livido e scostante, comela pelle di un cadavere. "Più tardi sipropone di provvedere al benessere disuo figlio. È molto interessato a suofiglio. Danny è un ragazzino moltodotato."

I fumi di ginepro del gin erano

gradevolmente inebrianti, ma parevanoobnubilargli anche la ragione.

Danny? Che c'entrava Danny, in tuttociò? E che ci stava facendo, lui, in unbar con un bicchiere pieno in mano?

Aveva PRESO UN IMPEGNOSOLENNE. Aveva SMESSO DI BERE.L'aveva GIURATO.

Che cosa mai potevano volere dasuo figlio? Che cosa potevano volere daDanny? Wendy e Danny non c'entravano.Si sforzò di leggere negli occhi in ombradi Lloyd; ma era troppo buio, troppobuio, come tentare di leggereun'emozione nelle orbite vuote di unteschio.

(Ème che devono volere... o no?

Sono io il predestinato. Non Danny, nonWendy. Sono io quello che ama questoposto. Loro volevano andarsene. Sonoio quello che ha sistematodefinitivamente il gatto delle nevi... hasfogliato i vecchi incartamenti... haabbassato la pressione della caldaia...ha mentito...

praticamente ha venduto l'anima...che possono mai volere da lui?)

"Dov'èil direttore?" Si sforzòdichiederlo in tono noncurante, ma leparole parvero uscirgli da labbra giàintorpidite dal primo bicchiere, comedettate da un incubo più che da un belsogno.

Lloyd si limitò a sorridere."Che volete da mio figlio? Danny

non c'entra in questa... oppure sì?" Colsela nuda invocazione nella propria voce.

Il volto di Lloyd parve trascorrere,mutare, trasformarsi in qualcosa diorribile e putrescente. La pelle bianca siscrepolò, facendosi di un giallo itterico.Piaghe rossastre gli eruttarono sullapelle, lasciando fuoruscire un fluidomaleodorante. La fronte gli si imperlò digoccioline di sangue, simile a un sudore,e da qualche parte un rintocco argentinobatté il quarto.

(Già la maschera, già la maschera!)"Beva il suo cocktail, signor

Torrance," disse Lloyd sottovoce. "Nonè una questione che la riguardi.

Non più, a questo punto."

Sollevò nuovamente il bicchiere, selo portò alle labbra ed esitò un istante.Udì il secco, agghiacciante schiocco delbraccio di Danny che si spezzava. Videla bicicletta volare sopra il cofanodell'auto di Al, infrangendo a raggiera ilparabrezza. Vide un'unica ruota in mezzoalla strada, i raggi contorti puntati versoil cielo come frammenti di corde dipianoforte disposti a ventaglio.

Si rese conto che ogni conversazioneera cessata.

Si volse a guardare da sopra laspalla. Lo fissavano tutti ansiosamente,in silenzio. L'uomo seduto accanto alladonna in sarong si era sfilato la testa divolpe e Jack si accorse che era Horace

Derwent, i capelli di un biondo scialboche gli ricadevano sulla fronte. Anchequelli seduti al bar lo fissavano. Ladonna accanto a lui lo fissavaattentamente, come sforzandosi dimetterlo a fuoco. Il vestito le erascivolato da una spalla e, se abbassavalo sguardo, Jack riusciva a intravedereun capezzolo grinzoso che coronava lasommità di un seno flaccido. Riportandolo sguardo sul volto della donna,cominciò a pensare che doveva trattarsidella signora del 217, quella che avevatentato di strangolare Danny.

Dall'altro lato, l'uomo col completoblu di taglio impeccabile si era toltodalla tasca della giacca una piccolacalibro 32 dal calcio di madrcperla e

faceva girare pigramente il tamburo sulbanco, come chi si accinga a giocate allaroulette russa.

(Voglio. .)Si rese conto che ie parole non gli

uscivano dalle corde vocali bloccate eritentò.

"Voglio vedere il direttore. Io... ionon credo che capisca. Mio figlio nonc'entra per niente in tutta questafaccenda. Lui..."

"Signor Torrance," disse Lloyd,"incontrerà il direttore a tempo debito.In effetti, ha deciso di affidare proprio alei l'esecuzione di questa faccenda.Adesso beva."

"Beva," gli fecero eco i presenti.

Jack prese il bicchiere. La sua manoera scossa da un tremito irrefrenabile.Era gin puro. Vi guardò dentro, eguardare fu come affogare.

La donna accanto a lui si mise acantare con una voce sorda, da morta:"Fa'... rotolare... il barile... e ce laspasseremo... un mondo..."

Lloyd si unì al canto. Poi fu la voltadell'uomo in completo blu. Prese acantare anche l'uomocane, battendo iltempo sul tavolo con una zampa.

"Ora è tempo di far rotolare ilbarile. ."

Derwent unì la sua voce al coro.Aveva una sigaretta infilataspavaldamente nell'angolo della bocca.

Teneva il braccio destro attorno allespalle della donna in sarong, e con lamano destra le accarezzava piano edistrattamente il seno destro. Mentrecantava fissava l'uomocane con divertitodisprezzo.

"...perché la banda. . è qui. . riunita!"Jack si portò il bicchiere alla bocca

tracannandolo in tre lunghi sorsi, e il gingli scorse giù per la gola rimbalzandoglial cervello, dove s'impadronì di lui conun definitivo, convulso accesso ditremore.

Quando passò, si sentì benissimo."Un altro, per favore," disse, e

sospinse il bicchiere vuoto verso Lloyd."Sì, signore." Lloyd prese il

bicchiere. Ora Lloyd era tornatoperfettamente normale. L'uomo dalcolorito olivastro aveva fatto sparire lacalibro 32. La donna alla sua destra eratornata ad affondare lo sguardo nelSingapore Sling. Dalla sua bocca molleusciva una sorta di vacua cantilena. Ilbrusio delle conversazioni era ripreso, es'intrecciavano, sovrapponendosi l'unacon l'altra.

La nuova bibita comparve davanti aJack.

"Muchas gracias,Lloyd," disselevando il bicchiere.

"È sempre un piacere servirla,signor Torrance," e Lloyd sorrise.

"Sei sempre stato il meglio, Lloyd.""Grazie, signore."

Bevve lentamente, questa volta,facendoselo scorrere piano piano giùper la gola, gettandosi in bocca qualchenocciolina a mo' di scaramanzia.

Il bicchiere si vuotò in un batterd'occhio, e Jack ne ordinò un altro.Signor Presidente, ho incontrato imarziani e sono lieto di annunciarle chesono animati da intenzioni pacifiche.Mentre Lloyd preparava un'altra mistura,Jack prese a frugarsi nelle tasche incerca di un quarto di dollaro da infilarenel jukebox. Ripensò a Danny, maadesso la faccia di Danny erapiacevolmente sfumata e imprecisa.

Aveva fatto del male a Danny, unavolta, ma era successo prima che

imparasse a reggere l'alcool.Ormai era acqua passata. Non

avrebbe più fatto del male a Danny.Per nessuna ragione al mondo.

44Ballava con una bellissima donna.Non aveva la minima idea di che ora

fosse, di quanto tempo avesse trascorsonella Colorado Lounge o da quanto sitrovasse lì nel salone da ballo. Il temponon esisteva più.

Aveva ricordi vaghi: di averascoltato un tale, che una volta era statoun comico radiofonico di successo e poiun divo del varietà durante l'infanziadella televisione raccontare unabarzelletta lunghissima e buffissima che

riguardava un incesto fra gemellisiamesi; di aver visto la donna con icalzoni da odalisca e il reggiseno dilustrini eseguire un lento e sinuosospogliarello al ritmo di una musicastamburante e stridente che usciva daljukebox (gli pareva che fosse la colonnasonora deLa donna che inventò lospogliarello, di David Rose); di averattraversato l'atrio in compagnia di altridue uomini che indossavano abiti dasera di moda prima degli anni venti,cantando in coro la canzonetta cheparlava di una toppa sulle mutandine diRosie O'Grady. Gli sembrava diricordare di essersi affacciato aguardare dalle grandi porte doppie e diaver visto grappoli di lanterne

giapponesi appese a formare vezzoseghirlande che seguivano la curva delviale d'accesso: brillavano, nei loroteneri colori pastello, al pari di gioielliun po' offuscati. Il grosso globo di vetroche pendeva dal soffitto del porticatoera acceso, e gli insetti notturni viurtavano e volteggiavano attorno; e unaparte di lui, forse l'ultima tenue scintilladi lucidità, cercava di dirgli che eranole sei di un mattino di dicembre. Ma iltempo era stato cancellato.

(Le argomentazioni contro la folliacadono nel vuoto con un lieve suonofrusciante/strato su strato. . ) Chi era?Un poeta che aveva letto prima dilaurearsi? Un poeta in erba che ora

vendeva lavatrici a Wausau o faceval'assicuratore a Indianapolis? Forse unpensiero originale? Non avevaimportanza.

(La notte è scura / le stel e sono alte/ una disincarnata torta alla crema / galeggia nel cielo. .) Ridacchiò piano trasé.

"Che cosa c'è di così buffo, tesoro?"Rieccolo di nuovo nel salone da

ballo. Il grande lampadario erailluminato e le coppie turbinavanoattorno a loro, prese nel vortice delladanza, sulla musica orecchiabile diun'orchestra del dopoguerra...

ma quale dopoguerra? Potresti dirlocon certezza?

No, naturalmente no. Era certo di

un'unica cosa: che ballava con unabellissima donna.

Era alta e aveva i capelli castani,indossava un vestito aderente di rasobianco, e ballava stretta a lui,premendogli contro il petto il senomorbido e dolce. L'abito della donna eralungo fino a terra, ma Jack avvertiva ilcontatto delle sue cosce contro legambe, e un po' alla volta avevaacquisito la certezza che sotto il vestitofosse completamente nuda, la pelleliscia e incipriata, (per sentire meglio iltuo membro in erezione, mio caro)

e Jack ce l'aveva duro che pareva dimarmo. Se la cosa la offendeva, lonascondeva bene; gli si strinse ancora di

più."Niente di buffo, tesoro," rispose, e

ridacchiò di nuovo."Mi piaci," bisbigliò lei, e Jack

pensò che il suo profumo sapeva digigli, segreti e nascosti in anfrattivellutati di verde muschio: luoghi doveil sole batte appena e le ombre sonolunghe.

"Anche tu mi piaci.""Potremmo andare di sopra, se vuoi.

In teoria dovrei stare con Harry, ma luinon ci farà nemmeno caso. È troppooccupato a fare dispetti al poveroRoger."

Il pezzo finì. Vi fu uno scroscio diapplausi e poi l'orchestra attaccò asuonareMood Indigo, quasi senza

intervallo.Jack sbirciò da sopra la spalla nuda

della donna e vide Derwent ritto accantoal tavolo dei rinfreschi, che reggeva unabottiglia di champagne. Con lui c'era laragazza in sarong. Si era radunato uncapannello di persone, e tutti ridevano.Davanti a Derwent e alla ragazza insarong Roger saltellava grottescamente aquattro zampe, trascinandosi appresso lacoda floscia. Abbaiava.

"Parla, ragazzo, parla!" gridòDerwent.

"Rrroff! Rrroff! " rispose Roger.Tutti applaudirono; qualcuno degliuomini lanciò un fischio.

"Seduto, ora. Seduto, cagnolino!"

Roger si sollevò a fatica sulle anche.Il muso della maschera era raggelato nelsuo eterno ringhio.

Dietro le fessure delle palpebre, gliocchi di Roger roteavano con frenetica,forzata ilarità. Protese le braccia,lasciando penzolare mollemente lezampe.

"Rrroff! Rrroff!"Derwent inclinò la bottiglia di

champagne e il vino colò in una cascataspumeggiarne sulla maschera levataall'insù. Roger emise frenetici schiocchicon la lingua, e tutti tornarono adapplaudire. Qualche donna lanciò risatetrillanti.

"Non è una sagoma, Harry? " chiese

a Jack la sua dama, stringendoglisicontro. "Lo dicono tutti. È bisessuale,sai? Il povero Roger, invece, è solochecca. Una volta ha passato unweekend con Harry a Cuba... oh, mesifa. Adesso segue Harry dovunque vada,menandogli dietro il suo codino."

Ebbe un risolino. Il profumo di giglisi levò nell'aria.

"Ma, naturalmente, Harry nonconcede mai il bis... non per quantoriguarda il suo lato omosessuale,comunque... e Roger diventaletteralmente pazzo. Harry gli ha dettoche se fosse venuto al ballo mascheratoda cagnolino, da bravo cagnolinoobbediente, forse ci avrebbe ripensato, eRoger è così scioccherello che..."

Il brano terminò. Echeggiarono altriapplausi. Gli orchestrali abbandonaronola pedana per concedersi una pausa.

"Scusami, tesoro," disse la donna."C'è qualcuno che devo assolutamente...Darla! Darla,carissima, ma dove eriandata a finire?"

S'insinuò tra la folla di invitati chemangiavano e bevevano, e Jack la seguìcon lo sguardo inebetito, chiedendosicome fosse successo, per prima cosa,che si fossero trovati a ballare assieme.Accanto al tavolo dei rinfreschiDerwent ora teneva sollevata sopra latesta di Roger una minuscola tartinatriangolare e sollecitava il ragazzo aspiccare un balzo, fra l'allegria degli

spettatori. Di colpo Roger spiccò unbalzo, piegando la testa sotto il corpo, etentò di eseguire una capriola amezz'aria. Il salto fu troppo basso etroppo fiacco; Roger atterrò goffamentesulla schiena, battendo seccamente latesta sulle piastrelle. Un gemito sordosfuggì dalla maschera da cane.

Derwent diede il via agli applausi."Prova di nuovo, cagnolino! Prova dinuovo!"

"Prova di nuovo, prova dinuovo,"cantilenarono gli spettatori incoro. E Jack s'allontanò incespicandonella direzione opposta, sentendosivagamente nauseato.

Per poco non franò addosso alcarrello dei liquori che era sospinto da

un uomo dalla fronte bassa, in giaccabianca da cameriere. Inciampò col piedenel ripiano cromato inferiore delcarrello; le bottiglie e i sifoni dispostisul ripiano superiore si urtarono con untintinnio argentino.

"Scusi," disse Jack con voceimpastata. Di colpo si sentì comeprigioniero, voleva andarsene di lì.

Voleva che l'Overlook tornasse aessere quello di prima... senza tuttiquegli ospiti indesiderati. Il suo non eraun posto onorato, di portabandiera. Luiera soltanto una delle diecimilacomparse chiamate ad applaudire, unpovero cane che si rotolava e si rizzavaa sedere a comando.

"Non c'è di che," disse l'uomo con lamarsina bianca da cameriere.L'espressione educata, pronunciata conaccento perfetto da quel tipo con lafaccia da assassino era addiritturasurreale "Desidera bere qualcosa?"

"Un martini."Alle sue spalle scrosciarono altre

risate; Roger stava ululando sull'ariadiCasetta di campagna.

Qualcuno cercava di accompagnarlosullo Steinway a mezza coda.

"Ecco."Il bicchiere ghiacciato gli fu premuto

in mano. Jack bevve con un senso digratitudine, sentendo che il gin abbattevae sbriciolava le prime avvisaglie di

lucidità."È di suo gradimento, signore?""Perfetto.""Grazie, signore." Il carrello si

rimise in moto.Jack tese bruscamente una mano a

sfiorare la spalla dell'uomo."Sì, signore?""Mi scusi, ma... come si chiama,

lei?"L'altro non manifestò la minima

sorpresa. "Grady, signore. DelbertGrady."

"Ma lei... voglio dire che..."Il barista lo fissava educatamente.

Jack ritentò, benché avesse la boccaimpastata dal gin e dall'irrealtà; ogniparola gli pareva grossa come un

cubetto di ghiaccio."Un tempo non era il custode

dell'albergo? Quando ha... quando..."Ma non riuscì a concludere. Non riuscì adirlo.

"Ma no, signore. Non credo.""Ma sua moglie... le sue figlie...""Mia moglie dà una mano in cucina,

signore. Le bambine dormono,naturalmente. È molto tardi, per loro."

"Lei era il custode. Lei..."Oh, dillo!"Lei le ha uccise."

La faccia di Grady rimaseeducatamente impassibile. "Non ho ilminimo ricordo di tutto questo, signore."Il suo bicchiere era vuoto. Grady lo sfilòdalle dita di Jack, che non opposero

alcuna resistenza, e si accinse apreparargliene un altro. Grady infilòdestramente un'oliva su uno stecchino ela lasciò cadere nel bicchiere, che porsea Jack.

"Ma lei...""Èlei il custode, signore," lo

interruppe Grady in tono blando. "Ilcustode è sempre stato lei. Dovreisaperlo, signore. Sono sempre stato qui,io. Ci ha assunti tutti e due lo stessodirettore, contemporaneamente. Le vabene, signore?"

Jack bevve un sorso. Gli girava latesta. "Il signor Ullman..."

"Non conosco nessuno che si chiamicosì, signore."

"Ma lui..."

"Il direttore," disse Grady."L'albergo,signore. Sicuramente si rendeconto di chi l'ha assunto, signore."

"No," disse Jack, impacciato. "No,io..."

"Credo che ora lei debba occuparsidi suo figlio, signor Torrance. Capiscetutto, anche se non glielo ha confidato.Alquanto disdicevole da parte sua, se miè permesso l'ardire, signore. In effetti leha messo i bastoni fra le ruote a ognipie' sospinto, non è vero? E pensare chenon ha ancora sei anni! "

"Sì," confermò Jack. "È propriovero." Alle sue spalle si levò un altroscroscio di risate.

"Va punito, se mi consente di dirlo.

Occorre fargli una bella ramanzina, eforse qualcosa di più. Alle mie bambine,signore, l'Overlook non piaceva affatto.Una delle due mi ha addirittura sottrattouna scatola di fiammiferi e ha tentato didargli fuoco. Le ho punite. Le ho punitenel modo più severo. E quando miamoglie ha cercato di impedirmi di fare ilmio dovere, ho punito anche lei."Rivolse a Jack un pallido sorriso, privodi particolare significato. "Trovo triste,ma vero, il fatto che le donne raramentecomprendano quali siano leresponsabilità di un padre nei confrontidei figli. Mariti e padri hanno preciseresponsabilità, non le pare, signore?"

"Sì," ripete Jack."Loro non amavano l'Overlook come

lo amavo io," proseguì Grady,accingendosi a preparargli un terzococktail. "Proprio come non l'amano suofiglio e sua moglie... attualmente,comunque. Ma finiranno con l'amarlo.Lei deve dimostrargli che sono inerrore, signor Torrance. Ne conviene?"

"Sì, ne convengo."Adesso vedeva chiaro. Era stato

troppo malleabile con loro. Mariti epadri hanno precise responsabilità.Papàsasemprequelchesidevefare. Loronon capivano. La cosa in sé non era undelitto, ma loro non volevano capire. Diregola lui non era un uomo rigido, peròcredeva nell'effetto del castigo. E se suofiglio o sua moglie si erano opposti

scientemente ai suoi voleri, alle coseche lui sapeva essere la soluzionemigliore per loro, allora non era forsesuo dovere...?

"Un figlio ingrato è peggio di undente di serpe," disse Grady,porgendogli il bicchiere. "Io credofermamente che il direttore potrebberimettere in riga suo figlio. E sua mogliene seguirebbe l'esempio subito dopo. Neconviene, signore?"

Di colpo, Jack si sentì incerto. "Io...ma... se solo potessero andarsene...voglio dire... dopotutto è me che vuole,il direttore, non è vero? Dev'essere così.Perché..." Perché cosa? Avrebbe dovutosaperlo, ma all'improvviso non lo seppepiù. Oh, il suo povero cervello nuotava

nell'alcool."Brutto cagnaccio!" stava dicendo

con forza Derwent, tra un contrappuntodi risate. "Brutto cagnaccio che ha fattopipì sul pavimento."

"Certo lei è al corrente," continuòGrady, protendendosi confidenzialmentesopra il carrello, "del fatto che suofiglio sta tentando di portare qua dentroun estraneo. Suo figlio è davvero moltodotato, e il direttore potrebbe servirsidelle sue doti per migliorare ancor dipiù l'Overlook, per... arricchirlomaggiormente, diciamo. Ma suo figliosta tentando di sfruttare le sue doti perusarle contro di noi. È testardo, signorTorrance. Testardo."

"Un estraneo?" chiese stupidamenteJack.

Grady annuì."Chi?""Un negro," rispose Grady. "Un

cuoco negro.""Hallorann?""Credo che si chiami così, signore,

sì."Un altro scoppio di risa alle loro

spalle, cui fece seguito la voce di Rogerche diceva qualcosa in un tonopiagnucoloso, di protesta.

"Sì! Sì! Sì!" prese a cantilenareDerwent. Gli altri tutt'attorno gli fecerocoro, ma prima che Jack potesse udireche cosa volevano che facesse ora

Roger, l'orchestra si rimise a suonare: ilpezzo eraTuxedo Junction.

Aprì la bocca per parlare, senzasapere esattamente che cosa ne sarebbeuscito. Disse: "Mi è stato detto che leinon ha nemmeno finito il liceo; lei perònon parla come un ignorante."

"È vero che ho abbandonato moltopresto gli studi, signore, ma il direttoresi prende cura del personale. Trova cherende. L'istruzione rende sempre, non neconviene anche lei, signore?"

"Sì," rispose Jack, intontito."Per esempio, lei mostra un grande

interesse ad approfondire le sueconoscenze sull'Overlook Hotel.

Molto saggio da parte sua, signore.Molto nobile. Un certo album di ritagli è

stato la sciato espressamente in cantinaperché lei lo trovasse..."

"Da chi?" chiese Jack con palesecuriosità.

"Dal direttore, naturalmente. C'èdell'altro materiale che potrebbe esseremesso a sua disposizione, se lodesiderasse..."

"Lo desidero. Moltissimo." Si sforzòdi dissimulare l'avidità che trasparivadalla sua voce e fallì miseramente.

"Lei è un vero studioso," disseGrady. "Approfondire al massimol'argomento. Esaurire tutte le fonti."

Chinò il capo dalla fronte bassa,scostò il bavero della marsina bianca ene asportò con le nocche un granello di

polvere che a Jack era invisibile."E poi il direttore non pone limiti

alla sua generosità," proseguì."Tutt'altro. Guardi me: uno che hapiantato la scuola poco dopo le medie.Pensi quanta più strada di me potrebbefare lei nella struttura organizzativadell'Overlook. Forse... col tempo... finoai vertici supremi."

"Davvero?" bisbigliò Jack."Però la decisione dipende da suo

figlio, no?" chiese Grady, inarcando lesopracciglia.

"Da Danny?" Jack guardò Gradyaggrottando la fronte. "No, naturalmenteno. Non permetterei mai a mio figlio diprendere decisioni che riguardassero lamia carriera. Ma le sembra? Per chi mi

ha preso?""Per un uomo leale," rispose Grady

con calore. "Forse mi sono espressomale, signore. Diciamo che il suo futuro,qua dentro, dipende da come lei decidedi affrontare il problema dellacaparbietà di suo figlio."

"Le decisioni le prendo io," ribattéJack.

"Ma deve occuparsi di lui.""Lo farò.""Con fermezza.""Certamente.""Un uomo che non sappia tenere a

freno la sua famiglia, incontrascarsissimo credito presso il nostrodirettore. Da un uomo che non sappia

mettere le redini al collo di sua moglie edi suo figlio, non ci si può aspettare checontrolli se stesso, e tanto meno cheassuma una posizione di responsabilitàin un'impresa di questa portata. Lui..."

"Ho detto che me ne occuperò!"urlòall'improvviso Jack, furibondo.

Tuxedo Junctionsi era appenaconclusa e l'orchestra non aveva ancoraattaccato un altro pezzo. Il suo gridocoincise esattamente con la pausa, e allesue spalle le conversazioni siinterruppero di colpo. Si sentì ardere lapelle da capo a piedi. Ebbe l'assolutacertezza che tutti lo fissassero. Avevanofinito con Roger e ora avrebberoattaccato con lui. Rotolati. Seduto. Fa' ilmorto. Se giochi con noi, noi

giocheremo con te. Posizioni diresponsabilità. Volevano chesacrificasse suo figlio.

(...Adesso segue Harry dovunquevada, menandogli dietro il suo codino. .) (Rotolati. Fa' il morto. Punisci tuofiglio.)

"Da questa parte, signore," stavadicendo Grady. "Qualcosa che potrebbedestare il suo interesse."

Le conversazioni erano riprese conun ritmo che saliva e calava di tono,intrecciandosi alle note dell'orchestra.

Ridacchiò scioccamente. Abbassògli occhi a guardarsi la mano sinistra evide che stringeva un altro bicchiere,mezzo pieno. Lo scolò in un sorso.

Ora era in piedi davanti allamensola del caminetto, e il calore delfuoco scoppiettante ch'era stato accesonel focolare gli scaldava le gambe.

(unfuoco?... in agosto?... sì... e no...tutti i tempi si sono fusi in un tempounico) C'era un orologio sotto unacampana di vetro, fiancheggiato da dueelefanti scolpiti nell'avorio. Le lancettesegnavano un minuto alla mezzanotte. Lofissò ammiccando. Era quello che Gradyvoleva che vedesse? Si voltò perchiederglielo, ma Grady se n'era andato.

L'orchestra concluse il brano conuna serie di squilli di tromba.

"L'ora è giunta!" proclamò HoraceDerwent. "Mezzanotte! Giù la maschera!

Giù la maschera!"Jack tentò di girarsi di nuovo per

vedere quali volti celebri sinascondessero sotto i lustrini, il ceronee le maschere; ma adesso era comebloccato, incapace di distogliere losguardo dall'orologio: le lancette sierano sovrapposte ed erano puntateverso l'alto.

"Giù la maschera! Giù lamaschera!"si udì cantilenare in coro.

L'orologio si mise a suonare unadelicata melodia. Lungo il binariod'acciaio sotto il quadrante, avanzarono,da sinistra e da destra, due figurine. Jackosservò affascinato, del tutto dimenticodello smascheramento. Il meccanismodell'orologio vibrava. Ingranaggi

girarono e s'incastrarono, in un caldobaluginio di ottone. Il bilanciereoscillava con esattezza avanti e indietro.

Una delle due figurine rappresentavaun uomo ritto sulle punte, che brandiva,a quanto sembrava, una minuscola clava.L'altra era un bambino con in testa unberretto d'asino. Le figurine meccanichebrillavano, muovendosi con affascinanteprecisione. Sul davanti del berrettod'asino del bambino, Jack riuscì aleggere una parola a stampa: SCEMO.

Le due figurine scivolarono sulledue estremità opposte di un pernod'acciaio. Da qualche parte giungevanogli echi trillanti di un valzer di Strauss.Sull'aria del valzer, nella mente di Jack

cominciò a trascorrere una follefilastrocca pubblicitaria:Comprate ciboper cani, rrroff rrroff, rrroff rrroff,comprate cibo per cani. .

La mazza d'acciaio brandita dal papàmeccanico calò sulla testa del bambino.Il figlio meccanico crollò in avanti. Lamazza si sollevò e ricadde, si sollevò ericadde. Le mani del bambino, protesein segno di protesta, cominciarono avacillare. Dalla posizione acquattata, ilbambino si afflosciò bocconi. E ancorail martello si sollevò e ricadde al ritmolieve, turbinante della melodia diStrauss, e a Jack parve di vedere il voltodell'uomo rannuvolarsi, e contrarsi, eaggrottarsi; di vedere la bocca del papàmeccanico aprirsi e chiudersi mentre

rimproverava aspramente la figurettapriva di sensi, percossa ferocemente,del figlio.

Uno schizzo rosso andò a percuoterela parete interna della campana di vetro.

Ne seguì un altro. Altri due gli siallargarono accanto.

Ora il liquido rosso spruzzava versol'alto come un'oscena doccia, colpendole pareti di vetro della campana escorrendovi sopra, nascondendo ciò cheavveniva all'interno; e quell'ondascarlatta era punteggiata di minuscolibrandelli grigi di tessuto, di frammentiossei, di particelle di materia cerebrale.

E tuttavia Jack vedeva ancora ilmartello sollevarsi e ricadere mentre il

meccanismo continuava a girare e gliingranaggi continuavano a incastrarsinelle rotelline dentate di quellamacchina di scaltra fattura.

"Giù la maschera! Giù lamaschera!"sbraitava stridulo Derwentalle sue spalle, e da qualche parte uncane uggiolava con toni umani.

(Ma i meccanismi non possonosanguinare, i meccanismi non possonosanguinare) L'intera campana erainondata di sangue, Jack scorgeva ciuffidi capelli ma nient'altro, grazie a Dio,non scorgeva nient'altro, e tuttaviapensava che tra poco si sarebbe messo avomitare perché udiva i colpi di maglioche continuavano ad abbattersi, li udivaprovenire da dietro il vetro così come

udiva il ritornello delBel Danubio blu.Ma adesso i rumori non erano più iltintinnio ritmato di una mazza meccanicache percuoteva una testa meccanica,bensì il tonfo molle e spiaccicante diuna mazza vera che si abbattevasferzante in uno sfracello spugnoso,informe. Uno sfracello che un tempo erastato...

"GIÙ LA MASCHERA!"(... la Morte Rossa dominava su

tutto!)Con un urlo pietoso, sempre più

acuto, Jack voltò le spalle all'orologio,le mani protese, i piedi cheincespicavano l'uno nell'altro comeblocchi di legno, mentre li implorava di

smetterla, di prendere lui, Danny,Wendy, di prendersi il mondo intero seproprio volevano, ma che la smettesseroe gli lasciassero un filo di lucidità, unbarlume di luce.

Il salone da ballo era deserto.Le sedie con le gambe che

somigliavano a zampe di ragnoapparivano rovesciate sui tavoli copertida fogli di plastica. Il tappeto rossoarabescato d'oro era steso di nuovo sullapista da ballo, a proteggere la lucidasuperficie di legno ben stagionato. Ilpodio per l'orchestra era nudo, fattaeccezione per un microfono a stelosmontato e una polverosa chitarra senzacorde, posata contro la parete. Dalle altefinestre pioveva languida la fredda luce

del mattino, una luce invernale.Gli girava ancora la testa, era ancora

ubriaco, ma quando tornò a voltarsiverso la mensola del caminetto, il suobicchiere era scomparso. C'erano sologli elefanti d'avorio... e l'orologio.

Riattraversò incespicando il freddoatrio ombroso e varcò la soglia dellasala da pranzo. Incespicò con un piedenella gamba di un tavolo e cadde lungodisteso, rovesciando il tavolo confragore. Percosse con violenza ilpavimento col naso, che prese asanguinare. Si rialzò, aspirando conforza il sangue e tergendosi il naso coldorso della mano. Raggiunse laColorado Lounge e vi si precipitò,

scostando con gesto subitaneo le porte avento e mandandole a sbattere contro lepareti.

La saletta era deserta, ma il bar erafornitissimo. Dio sia lodato! Il vetro e iprofili d'argento delle etichettesprigionavano nel buio caldi bagliori.

Una volta, ricordò Jack, molto tempofa, si era arrabbiato che non ci fosse unospecchio dietro il banco. Adesso invecene era contento. Se avesse guardatonello specchio avrebbe visto solo unennesimo ubriacone che non ce l'avevafatta a tener duro: un filo di sangue checolava dal naso, la camicia fuori daicalzoni, i capelli scarmigliati, le guanceispide di barba.

(Ecco che cosa succede quando

affondi la mano nel nido di vespe.) Futravolto da un'improvvisa sensazione diacuta solitudine. Si lasciò sfuggire ungrido irrefrenabile di disperazione e siaugurò di essere morto. Sua moglie esuo figlio erano di sopra, chiusi a chiavenella camera per difendersi dalla suapersona. Tutti gli altri se n'erano andati.La festa era finita.

Avanzò traballando e raggiunse ilbar.

"Lloyd, dove cazzo sei finito?" urlò.Non ottenne risposta. In quella

stanza(cella)imbottita, le sue parole non

suscitavano nemmeno un'eco che gli

desse l'impressione ingannevole di nonessere solo.

"Grady!"Nessuna risposta. Solo le bottiglie,

rigidamente disposte sull'attenti.(Rotolati. Fa' il morto. Torta qui. Fa'

il morto. Seduto. Fa' il morto.)"Chi se ne frega, mi arrangio da

solo, dannazione."Nel tentativo di scavalcare il banco,

perse l'equilibrio e cadde in avanti,battendo la testa sul pavimento con untonfo sordo. Si rialzò carponi, roteandogli occhi con moto frenetico,farfugliando suoni confusi.

Poi crollò, il volto girato di lato, e ilrespiro gli si trasformò in un rantoloroco.

Fuori, il vento ululava con violènzainaudita, sospingendo innanzi a sé laneve che si andava infittendo.

Erano le otto e mezzo del mattino.

45Alle otto e trentuno del mattino, ora

delle montagne, sul volo 196 della TWAuna donna scoppiò in lacrime e si mise aproclamare la sua opinione, forsecondivisa almeno da qualcuno degli altripasseggeri — o magari anchedall'equipaggio, a dire il vero — chel'aereo sarebbe precipitato.

La donna dal viso angoloso sedutaaccanto a Hallorann alzò gli occhi dallibro ed espresse una sintetica analisicaratteriale: "Idiota." Dopodiché tornò a

dedicarsi alla lettura. Durante il volo,aveva ingollato un paio discrewdrivers,ma pareva che non avessero contribuitominimamente a scongelarla.

"Precipiterà!" strillava a più nonposso la donna. "Oh, lo so cheprecipiterà!"

Una hostess accorse presso il suosedile e le si accovacciò accanto.Hallorann pensò che soltanto le hostesssembravano capaci di accovacciarsi conuna certa grazia. Era una dote rara eimpagabile. Ci pensò mentre la hostessparlava sottovoce e in tonotranquillizzante alla donna, riuscendo unpo' alla volta a calmarla.

Hallorann non sapeva come lapensassero gli altri passeggeri del volo

196, ma personalmente era spaventatoquasi al punto da farsela sotto. Fuori dalfinestrino non si riusciva a vedere nullaall'infuori di una candida cortinaturbinante. L'aereo beccheggiava contale violenza da dare il voltastomaco,investito com'era da raffiche di ventoche parevano soffiare da ogni direzione.I motori giravano al massimo percompensare almeno parzialmente isobbalzi del velivolo, e come risultato ilpavimento vibrava sotto i piedi deipasseggeri. Alle loro spalle, in classeturistica, un buon numero di passeggerisi lamentava. Una hostess era accorsacon una pila di sacchetti nuovi contro ilmal d'aria, e un tale, tre file più avanti di

Hallorann, aveva vomitato nelNationalObserver e aveva rivolto un sorrisetto discusa alla hostess che si era precipitataad aiutarlo a ripulirsi. "Niente di male,"lo consolò la ragazza, "a me questoeffetto lo fa ilReader's Digest. "

Hallorann aveva volato abbastanzain vita sua per riuscire a stabilire quelche era accaduto. Avevano volatocontrovento per la maggior parte delpercorso. Il tempo sopra Denver avevasubito un brusco peggioramento, eadesso era un po' troppo tardi percambiare rotta e dirigersi su qualchealtro aeroporto dove le condizioniatmosferiche fossero più favorevoli.Piedi, non traditemi proprio ora.

(Amico, questa è una fottuta carica

di cavalleria.)La hostess a quanto sembrava era

riuscita a calmare la donna in preda allacrisi isterica. Ora soffiava estrombazzava in un fazzoletto di pizzo,ma aveva smesso di annunciare le sueopinioni in merito alla possibileconclusione del volo a tutti gli occupantidella cabina.

Si udì un breve segnale acustico,mentre si riaccendeva la scrittaVIETATO FUMARE.

"Parla il comandante," li informòuna voce calda, dal lieve accentomeridionale. "Stiamo per iniziarel'atterraggio sull'AeroportoInternazionale Stapleton. È stato un volo

poco piacevole, e me ne scuso.Anche l'atterraggio potrebbe essere

un tantino rude, ma non prevediamo veredifficoltà. Siete pregati di attenervi alleistruzioni: ALLACCIARE LE CINTUREDI SICUREZZA e VIETATO FUMARE,e speriamo che il soggiorno nell'areametropolitana di Denver sia di vostrogradimento. Ci auguriamo altresì..."

Un'altra violenta raffica investìl'aereo, che sobbalzò e perse quota conun tuffo vertiginoso. Lo stomaco diHallorann si contrasse in un conato divomito.

... di rivedervi quanto prima su unaltro volo della TWA."

"Non mi sembra probabile," dissequalcuno alle spalle di Hallorann.

"Che sciocchezza," commentò ladonna dal viso angoloso seduta accantoa Hallorann, infilando una bustina difiammiferi tra le pagine a mo' disegnalibro e chiudendo di scatto ilvolume mentre l'aereo iniziava ladiscesa. "Quando uno ha visto gli orroridi una sporca guerricciola... come li havisti lei... o si è reso conto delladegradante immoralità dell'interventodella diplomazia del dollaro e dellaCIA...

come è successo a me... Al confrontoun atterraggio rude perde ognisignificato. Dico bene, signorHallorann?"

"Parla come un libro stampato,

signora," rispose Hallorann e fissò conocchi inespressivi la neve che turbinavaa ritmo vorticoso.

"Come reagisce a tutto questo la suaplacca d'acciaio, se mi consente dichiederlo?"

"Oh, la testa va perfettamente," disseHallorann. "È solo lo stomaco che fa unpo' i capricci."

"Peccato!" La donna riaprì il libro.Mentre scendevano attraverso

l'impenetrabile mare di nubi, Hallorannpensò a un disastro aereo accadutoqualche anno prima all'aeroporto Logandi Boston. La nebbia aveva ridotto lavisibilità a zero.

L'aereo aveva urtato col carrello unmuro di recinzione all'estremità della

pista di atterraggio. Ciò che era rimastodegli ottantanove fra passeggeri emembri dell'equipaggio non differivagranché da una casseruola di stufatinobruciato.

Non se ne sarebbe preoccupato piùdi tanto, se si fosse trattato solo di lui.Ormai era pressoché solo al mondo, e lapartecipazione di dolenti al suo funeralesi sarebbe ridotta alle persone con cuiaveva lavorato e a quel vecchiorinnegato di Masterton, che perlomeno sisarebbe fatto una bevuta alla suamemoria. Ma il bambino... il bambinodipendeva da lui. Lui rappresentavaforse tutto l'aiuto che quel piccolopotesse aspettarsi, e non gli piaceva per

niente il modo in cui l'ultimo appello delragazzino era stato interrotto.Continuava a pensare a come gli eraparso che si muovessero quegli animalidella siepe...

Una sottile mano bianca apparvesopra la sua.

La donna dal viso angoloso si eratolta gli occhiali. Senza lenti, i suoilineamenti sembravano molto più dolci.

"Andrà tutto bene," lo incoraggiò.Hallorann abbozzò un sorriso e fece

un cenno di assenso.Come annunciato, l'atterraggio fu

alquanto rude: l'aereo si ricongiunse allaterra così violentemente da far volaretutte le riviste dalla rastrelliera ecrollare i vassoi di plastica dalla

dispensa.Poi i turboreattori ulularono,

frenando l'apparecchio; e mentre ilrumore si smorzava, si udì la calda vocemeridionale del pilota: "Signore esignori, abbiamo atterrato all'aeroportoStapleton. Vi preghiamo di rimanere aivostri posti fino a quando l'aeromobilenon si sarà arrestato perfettamente alterminal.

Grazie."La donna accanto a Hallorann chiuse

il libro ed emise un lungo sospiro."Siamo vivi per guadagnarci un'altragiornata, signor Hallorann."

"Signora, non siamo ancora altermine di questa."

"Vero. Verissimo. Le andrebbe dibere qualcosa con me nella salad'attesa?"

"Mi andrebbe, sì, ma non possotardare a un appuntamento."

"Urgente?""Molto urgente," confermò

Hallorann con aria solenne."Qualcosa che magari contribuirà a

migliorare la situazione generale,spero."

"Me lo auguro," rispose Hallorann, esorrise.

Poiché aveva soltanto il bagaglio amano, Hallorann raggiunse il bancodella Hertz al piano di sotto prima ditutti gli altri. Le raffiche di vento

sollevavano la neve in bianche nuvole, ela gente che attraversava il parcheggiofaticava ad avanzare. Un uomo perdetteil cappello e Hallorann lo commiseròosservando il bel copricapo chevolteggiava alto e lontano. L'uomo loseguì con lo sguardo.

Hallorann pensò:(Aah, scordatelo, amico. Quel

cappello non atterrerà prima di arrivarein Arizona.) Quel pensiero fu seguitoimmediatamente da un altro:

(Se fa così brutto tempo qui aDenver, come sarà a ovest di Boulder?)Meglio non pensarci, forse.

"Posso esserle utile, signore?" glidomandò una ragazza con l'uniformegialla della Hertz.

"Mi può essere utile, se ha unamacchina," rispose Hallorann con unsorriso cordiale.

Per una tariffa più robusta dellamedia riuscì a noleggiare un'auto piùrobusta della media: una Buick Electraargento e nera. A ogni modo, a un certopunto del percorso avrebbe dovutofermarsi per farsi applicare le catene.Non avrebbe fatto molta strada, senza.

"Com'è il tempo?" chiese allaragazza mentre gli porgeva il contrattodi noleggio da firmare.

"Dicono che è la bufera più violentache si sia avuta dal 1969," rispose leicon vivacità. "Deve andare lontano,signore?"

"Più lontano di quanto vorrei.""Se desidera, signore, posso

telefonare alla stazione di servizio dellaTexaco all'incrocio con la statale 270.Le applicheranno le catene."

"Mi farebbe un grosso favore, cara."La ragazza sollevò il ricevitore e

compose il numero. "L'aspettano," disse,quando ebbe terminato di parlare.

"Grazie."Allontanandosi dal banco Hallorann

vide la donna dal viso affilato in unadelle code che si erano formate di fronteal nastro trasportatore dei bagagli. Eraancora immersa nella lettura del suolibro.

Passandole accanto Hallorann le

strizzò l'occhio. Lei levò lo sguardo, glisorrise e gli fece un cenno propiziatorio.

(irradia)Hallorann si rialzò il bavero del

cappotto, sorridendo, e si passò lavaligetta nell'altra mano. Era appena unbarlume, ma lo faceva sentir meglio. Glispiaceva, questo sì, di averle raccontatoquella balla della placca d'acciaio intesta. Le augurò mentalmente tutto ilbene possibile e, mentre usciva nelvento urlante e nella neve, pensò che ladonna contraccambiava l'augurio.

La spesa per l'applicazione dellecatene alla stazione di servizio fumodesta, ma Hallorann fece scivolare undeca supplementare in mano almeccanico che si dava da fare sotto la

tettoia del garage, perché gli facesseguadagnare qualche posto nella listad'attesa. E tuttavia arrivarono le diecimeno un quarto prima che si mettesse inviaggio, i tergicristalli ticchettanti e lecatene sferragliami con stonatamonotonia sulle grosse ruote dellaBuick.

La strada a pedaggio era incondizioni deplorevoli. Nonostante lecatene non poteva procedere a più dicinquanta all'ora. In certi tratti in salitail traffico era pressoché impantanato: legomme normali giravano a vuoto nellaneve farinosa e sdrucciolevole.

Un'altra dose di scalogna loattendeva alla rampa d'accesso della

statale 36. Anche la 36, strada apedaggio DenverBoulder, corre indirezione ovest, verso l'Estes Park, doveincrocia la 7. Questa, a sua voltaconosciuta col nome di AutostradaMontana, attraversa Sidewinder,oltrepassa l'Overlook Hotel e infinescende a tornanti il Western Slopepenetrando nell'Utah.

La rampa d'accesso era statabloccata da un camion rovesciato.Hallorann si fermò e abbassò ilfinestrino. Un poliziotto con un colbaccodi pelliccia tirato fin sulle orecchie glifece cenno con una mano guantata indirezione del flusso di traffico cheprocedeva verso nord sulla I25.

"Non può entrare per di qui!" sbraitò

rivolto a Hallorann, per superare con lavoce l'urlo del vento.

"Superi due uscite, prenda la 91 e siimmetta nella 36 a Broomfield!"

"Credo di riuscire ad aggirarlo sullasinistra!" urlò di rimando Hallorann."Lei ini vuole sbatter fuori strada perpiù di trenta chilometri!"

"Io le sbatto qualcosa in testa!" siinfuriò il poliziotto. "Questa rampa èchiusa!"

Hallorann fece marcia indietro,attese che il traffico diradasse econtinuò il viaggio imboccando la 25.

I cartelli stradali lo informarono chesi trovava a poco più di centocinquantachilometri da Cheyenne, nello Wyoming.

Se non stava attento a imboccare larampa d'accesso giusta, rischiava dilasciarci la pelle.

Accelerò pian piano fino a sessantaall'ora, ma non osò forzaremaggiormente. Già la neve minacciavadi incrostare le spazzole deitergicristalli e il traffico eradecisamente caotico. Trenta chilometridi deviazione. Imprecò, e di nuovo gli sigonfiò dentro la sensazione che il tempocominciasse a scarseggiare per ilbambino, una sensazione di urgenza chequasi lo soffocava. E in pari tempo,ebbe la fantastica certezza che nonsarebbe tornato da quel viaggio.

Accese la radio e si sintonizzò suuna stazione che trasmetteva il bollettino

meteorologico."... giù quindici centimetri, ma entro

sera se ne prevedono altri trentanell'area metropolitana di Denver. Lapolizia locale e dello stato invita a nonfar uscire le auto dai garage, salvo incaso di assoluta necessità, e avverte chela maggior parte dei passi montani sonogià chiusi. Sicché, restatevene in casa adar la cera ai pavimenti e tenetevisintonizzati su..."

"Grazie, mamma," disse Hallorann, espense la radio con un gesto di stizza.

46Verso mezzogiorno, dopo che Danny

se ne fu andato in bagno, Wendy preseda sotto il guanciale il coltello avvolto

nello strofinaccio, se lo mise nella tascadella vestaglia e si accostò alla portadel bagno. "Danny?"

"Cosa?""Scendo a preparare qualcosa da

mangiare. Va bene?""Va bene. Vuoi che venga anch'io?""No, porto la roba di sopra. Ti

andrebbe una frittata al formaggio e unaminestra?"

"Benone."Wendy esitò ancora un istante

davanti alla porta chiusa. "Danny, seisicuro che andrà tutto bene?"

"Sììì," disse il bambino. "Solo, sta'attenta."

"Dov'è papà? Lo sai?"La voce di Danny le rispose,

stranamente spenta: "No, ma va tuttobene."

Wendy soffocò l'impulso dirivolgere altre domande, di piluccare unaltro po' attorno ai bordi della cosa. Lacosa esisteva, sapevano di che sitrattava, e stuzzicarla voleva direspaventare Danny ancora di più... eanche lei.

Jack aveva smarrito la ragione.Verso le otto del mattino, se n'eranorimasti seduti vicini sul lettino, lei eDanny, mentre fuori la bufera di nevecominciava a imperversare conviolenza, l'orecchio teso ad ascoltarloda basso, che urlava e si trascinava daun posto all'altro. Perlopiù si sarebbe

detto che i rumori provenissero dalsalone da ballo. Jack che cantava convoce stonata frammenti di canzoni, Jackche discuteva con qualcuno, Jack che aun certo punto si era messo a vociare,raggelando i loro volti mentre sifissavano negli occhi. Infine l'avevanoudito riattraversare incespicando l'atrio,e a Wendy era sembrato di udire unprolungato rimbombo, come se Jackfosse caduto o avesse aperto conviolenza una porta. Dopo le otto e mezzo(da tre ore e mezzo, dunque) era tornatoil silenzio.

Wendy percorse la brevediramazione, imboccò il corridoioprincipale del primo piano e si avviòalle scale. Si fermò sul pianerottolo del

primo piano a guardar giù nell'atrio.Appariva deserto, ma la giornata grigiae nevosa lasciava in ombra gran partedella lunga sala. Poteva darsi che Dannysi sbagliasse. Poteva darsi che Jackfosse nascosto dietro una poltrona o undivano... magari dietro il banco dellaportineria, in attesa che lei scendesse...

"Jack?" chiamò.Nessuno rispose.Strinse la mano sull'impugnatura del

coltello, poi prese a scendere. Più diuna volta aveva visto la fine del suomatrimonio: il divorzio, la morte di Jackin un incidente stradale provocatodall'ubriachezza (una visione ricorrenteai tempi delle tetre ore del mattino di

Stovington), certi sogni a occhi aperti incui arrivava un altro, una specie diGalahad da commedia a lieto fine chesollevava Danny e lei in sella al suodestriere candido come la neve,portandoli lontano. Ma non si era maiimmaginata nell'atto di aggirarsi furtivaper corridoi e scaloni come un felloneun po' nervoso, con un coltello stretto inpugno, pronta a usarlo contro Jack.

Al solo pensiero fu travolta daun'ondata di disperazione: dovettefermarsi a mezza scala e aggrapparsi alcorrimano, nel timore che le sipiegassero le ginocchia.

(Ammettilo. Non si tratta solo diJack: lui è l'unica cosa concreta in tuttaquesta faccenda alla quale puoi

addebitare le altre cose, le cose che nonriesci a credere e cui pure sei costret a acredere, quella cosa a proposito dellesiepi, la stella filante nell'ascensore, lamaschera) Si sforzò di scacciare quelpensiero, ma ormai era troppo tardi.

(e le voci.)Perché di tanto in tanto era sembrato

che non ci fosse un pazzo solitario sottodi loro, che urlava e conversava con ifantasmi della sua mente indisgregazione. Di tanto in tanto, come unsegnale radio che si ravvivasse espegnesse, Wendy aveva udito, o le eraparso di udire, altre voci, e musica, erisa. A un certo punto aveva sentito Jackconversare con un certo Grady (quel

nome le era vagamente familiare, ma nonriusciva a collegarlo a niente dipreciso), facendo dichiarazioni eponendo domande nel silenzio, oppureparlando ad alta voce, come per farsiudire nonostante il continuo sottofondodi una baldoria in atto. Poi, irreali, sierano sentiti altri rumori che parevanointrufolarsi di soppiatto: un'orchestra daballo, gente che applaudiva, un uomocon una voce divertita e tuttaviaautoritaria che pareva tentasse diconvincere qualcuno a pronunciare undiscorso. Già, ma se lei riusciva aimmaginarsi che l'albergo risuonava divoci e musica, Jack non potevaimmaginarsi di essere ubriaco?

Quel pensiero non le piacque. Per

niente.Scese nell'atrio e si guardò attorno.

Il cordone di velluto che bloccaval'accesso al salone da ballo era statorimosso; la colonnina d'acciaio allaquale era agganciato era statarovesciata, come se qualcuno ci fosseinciampato distrattamente passandociaccanto. Una calda luce bianca piovevasul tappeto dell'atrio, attraverso la portaaperta, dalle alte, strette finestre delsalone da ballo. Col cuore che le battevaall'impazzata, Wendy raggiunse le porteaperte del salone e guardò dentro. Eradeserto e silenzioso, l'unico suonoquella singolare eco subauricolare chesembra indugiare in tutti i locali vasti,

dalle più grandi cattedrali alla piùpiccola sala per il gioco della tomboladella tua cittadina natale.

Tornò al banco della portineria e sibloccò indecisa per qualche istante,tendendo l'orecchio all'urlo del vento.Da qualche parte, sulla facciata ovest,un'imposta sbatteva in continuazione conun rumore secco e sordo insieme, comeun poligono di tiro in cui sia presente unsolo tiratore.

(Jack, si è rot o il gancio, davverodovresti provvedere. Prima che entriqualcuno.) Che cosa avrebbe fatto se luil'avesse colta in quel momento, disorpresa? Se lui fosse sbucato da dietroil lucido banco scuro della portineriacon la sua pila di moduli in triplice

copia e il campanellino placcatod'argento, come una sorta di babauassassino, un babau ghignante con unamannaia in pugno e neppure un barlumedi ragione negli occhi? Se ne sarebbestata lì, raggelata dal terrore, oppure inlei era rimasto abbastanza della madreprimordiale per battersi contro di lui, innome di suo figlio, fino alla morte di unodei due? Non lo sapeva. Aveva lasensazione che tutta la sua vita fossestata un lungo e piacevole sogno chel'aveva cullata, indifesa, fino aquell'incubo a occhi aperti. Era unadebole. Quando si presentava unadifficoltà, dormiva. Il suo passato eradel tutto scialbo. Non aveva mai

affrontato la prova del fuoco. Oral'ordalia le era piombata addosso: nonfuoco ma ghiaccio, e non le sarebbestato concesso di superarla dormendo.Suo figlio l'aspettava di sopra.

Serrando più forte l'impugnatura delcoltello, sbirciò oltre il banco.

Niente.Il sospiro di sollievo le sfuggì in una

sorta di prolungato singulto.Sollevò il cancelletto e passò. Cercò

a tentoni, oltre l'uscio che si aprivaaccanto, il pannello degli interruttoridella cucina, aspettandosi freddamenteche una mano si serrasseimprovvisamente sulla sua.

Poi i tubi fluorescenti accennaronoad accendersi con fievoli crepitii e

ronzii, e Wendy vide la cucina delsignor Hallorann. La sua cucina, ora,bene o male; piastrelle verde chiaro,formica luccicante, porcellanaimmacolata, profili cromati splendenti.Si era assunta l'incarico di tener pulitala cucina, e aveva mantenuto lapromessa. Le pareva che la cucina fosseuno dei posti sicuri di Danny. Lapresenza di Dick Hallorann sembravaavvilupparla e darle conforto. Dannyaveva chiamato il signor Hallorann, e disopra, seduta accanto a Dannyimpaurito, mentre suo marito blaterava evaneggiava al piano terra, quella le erasembrata la più improbabile di tutte lesperanze. Ma adesso che era lì, nel

luogo deputato del signor Hallorann, lesembrava quasi possibile. Forse era giàper via, in quel momento, deciso araggiungerli, noncurante della bufera.Forse era così.

Andò alla porta della dispensa, fecescorrere il chiavistello ed entrò. Preseuna scatola di crema di pomodoro erichiuse la porta col chiavistello.

Un'improvvisa sensazione che cifosse qualcuno alle sue spalle, qualcunoche stava per afferrarla alla gola.

Si voltò di scatto, brandendo ilcoltello. Nessuno.

(!Controllati, ragazza !)Grattugiò un poco di formaggio e

l'aggiunse al composto per la frittata;rimescolò e abbassò il gas riducendolo

a una débole fiammella azzurrina. Lazuppa era calda. Posò il tegame su ungrande vassoio già apparecchiato conposate, due ciotole, due piatti; la salierae la, pepaiola. Quando la frittata si fuleggermente gonfiata, Wendy la fecescivolare su uno dei piatti e la coprì.

(Ora torna su. Spegni le luci dellacucina. Attraversa l'ufficio. Passa ilcancelletto della portineria, prendiduecento dollari.)

Si soffermò al banco della portineriae posò il vassoio accanto al campanellod'argento. L'irrealtà aveva toccatol'apice; era come una specie disurrealistico gioco a rimpiattino.

Indugiò nell'atrio immerso nella

penombra, aggrottando la fronte,pensierosa.

(Non allontanare da te i fatti questavolta, ragazza. Ci sono certe realtà, perquanto pazzesca possa apparire lasituazione. Una di esse è che tu potrestiessere l'unica persona responsabilerimasta in questo grottesco guazzabuglio.Hai un figlio di cinque, quasi sei anni,cui badare. E tuo marito, qualunque cosagli sia accaduta e indipendentemente daquanto pericoloso possa essere. . forseanche lui rientra nelle tue responsabilità.E anche se così non fosse, consideraquesto fatto: oggi è il 2

dicembre. Potresti rimanere bloccataquassù per altri quattro mesi, se percaso non dovesse capitare da queste

parti un ranger. Anche se cominciano achiedersi come mai non ci siamo fattivivi con la ricetrasmittente, oggi nonarriverà nessuno. . e neppure domani. .forse per settimane. Hai intenzione dipassare un mese intero sgattaiolandoquaggiù a far da mangiare con uncoltello in tasca e sobbalzando a ogniombra? Credi davvero di riuscire aevitare Jack per un mese? Pensi diriuscire a tener lontano Jack dal piano disopra, se davvero vorrà entrarenell'alloggio? Ha la chiave universale eun calcio sferrato con forza farebbesaltare il chiavistello.) Lasciando ilvassoio sul banco si avviò lentamenteverso la sala da pranzo e guardò

all'interno. Era deserta. C'era un solotavolo con le sedie disposte tutt'attorno:il tavolo al quale avevano tentato dimangiare finché il vuoto della sala dapranzo non li aveva convinti adandarsene.

"Jack?" chiamò con voce esitante.In quel momento si levò una raffica

di vento che sospinse la neve contro leimposte, ma le parve di udire qualcosa,come un debole lamento.

"Jack?"Nessun suono le rispose, questa

volta, ma il suo sguardo cadde suqualcosa sotto le porte a vento dellaColorado Lounge: qualcosa chebaluginava debolmente nella penombra.Era l'accendino di Jack.

Facendo appello a tutto il suocoraggio, raggiunse le porte a vento e lesospinse. Il puzzo di gin le mozzò ilfiato. Ma gli scaffali erano vuoti. Dovel'aveva trovato, in nome di Dio? Unabottiglia nascosta dietro una dellecredenze? Dove?

Si udì un altro gemito, basso eindistinto, ma perfettamente udibile,questa volta. Wendy si accostò al bar.

"Jack?"Nessuna risposta.Guardò oltre il bar: era lì steso

scompostamente sul pavimento in statod'incoscienza. Ubriaco fradicio.

Doveva aver tentato di scavalcare ilbanco e aveva perso l'equilibrio.

Eppure non era inquieta con lui;guardandolo lì disteso ai suoi piedi, sidisse che sembrava un bambino sfinitodalla stanchezza, che si fosse un po'troppo scatenato e poi si fosseaddormentato di botto sul pavimento delsoggiorno. Aveva smesso di bere, e nonera stato Jack a prendere la decisione diricominciare. E poi mancavano i liquori,per ricominciare... e allora da doveerano arrivati?

Posati sul bar a forma di ferro dicavallo, a intervalli di un paio di metril'uno dall'altro, c'erano fiaschi di vinoimpagliati, con una candela infilata nelcollo. Per conferire all'ambiente un'ariaun po' bohemienne, pensò Wendy. Ne

prese uno e lo scosse, quasi aspettandosidi udire lo scroscio del gin (vino nuovoin fiaschi vecchi)

ma dentro non c'era niente. Posò ilfiasco.

Jack si stava agitando. Wendy gli siavvicinò. Lui si girò supino, aprì gliocchi e levò lo sguardo su sua moglie.

"Wendy?" domandò. "Sei tu?""Sì. Credi di farcela a salire, se ti

appoggi a me? Jack, dove hai..."La mano di lui le si serrò

brutalmente attorno alla caviglia."Jack! Che cosa stai...""Ti ho beccato!" disse lui, e abbozzò

un sogghigno. Gli aleggiava attorno unsentore stantio di gin e di olive, chepareva ridestare in lei un antico terrore,

un terrore più profondo di quello chepoteva infonderle qualsiasi albergo.

"Jack, voglio aiutarti.""Ah, già. Tu e Danny volete

soloaiutarmi. "La stretta attorno allacaviglia si era accentuata. Jack si stavarialzando faticosamente in ginocchio,senza mollare la presa. "Volevi aiutarcitutti ad andarcene di qui. Ma adesso... tiho...beccato! "

"Jack, mi fai male alla caviglia...""Ti farò male a qualcosa di più che

alla caviglia, troia!"Quella parola scurrile la colse di

sorpresa, tanto che Wendy non abbozzòneppure il tentativo di muoversi, quandoJack mollò la presa attorno alla caviglia,

si sollevò in piedi con grande sforzo e lafronteggiò vacillando.

"Tu non mi hai mai amato," disseJack. "Vuoi che ce ne andiamo perchésai che per me significherebbe la fine.Hai mai pensato alle mie re...responsabilità? No, col cazzo che ci haipensato.

Non hai mai pensato ad altro che almodo di trascinarmi giù. Sei propriocome mia madre, troia smidollata!"

"Basta!" gridò lei, in lacrime. "Nonsai quello che dici. Sei ubriaco. Non socome sia accaduto, ma sei ubriacofradicio."

"Oh, lo so. Adesso lo so. Tu e lui.Quel cucciolotto di sopra. Voi dueeravate d'accordo. È vero o non è

vero?""Ma no, no, cosa ti viene in mente?

Noi...""Bugiarda!" urlò Jack. "Oh, lo so

come fate! Certo che lo so! Quando iodico: 'Ce ne staremo qui e io farò il miolavoro,' tu rispondi: 'Sì, caro,' e lui dice:'Sì, papà,' e poi invece fate i vostripiani. Vi eravate messi in testa di usareil gatto delle nevi. Ve l'eravate messo intesta. Ma io ho capito. Me lo sonoimmaginato. Credevate forse che non mene accorgessi? Mi avevate preso per unidiota?"

Wendy lo fissò, incapace di parlare,ora. L'avrebbe uccisa, e poi avrebbeucciso Danny. Allora forse l'albergo

sarebbe stato soddisfatto e gli avrebbepermesso di uccidersi. Proprio comel'altro guardiano.

Proprio come(Grady.)Sentendosi venir meno per l'orrore,

comprese finalmente con chi Jack avesseconversato nel salone da ballo.

"Mi hai messo contro mio figlio. Cheporcheria!" Il volto di Jack si contrassein una ragnatela di rughe diautocommiserazione. "Il mio bambino.Ora mi odia anche lui. E sei stata tu. Èsempre stato questo, il tuo piano, vero?Sei sempre stata gelosa, vero? Propriocome tua madre."

Wendy non era in grado di parlare."Be', ti sistemo io," proseguì Jack, e

fece l'atto di stringerle le mani attornoalla gola.

Lei fece un passo indietro, poi unaltro, e Jack le barcollò addosso. Siricordò del coltello che aveva infilatonella tasca della vestaglia e lo cercò atentoni, ma ora Jack la serrava alla vita,inchiodandole il braccio contro ilfianco. Wendy avvertì un odorepenetrante di gin e il sentore acidodell'alito di Jack.

"Bisogna punirti," borbottava."Castigarti. Castigarti severamente."

La mano destra di Jack trovò la suagola.

Mentre le si mozzava il fiato, Wendyfu travolta da un'ondata di panico. Le

mani di Jack si unirono stringendo: oraWendy avrebbe potuto liberamenteimpugnare il coltello, ma se nedimenticò. Alzò di scatto le mani e simise a far leva su quelle più grandi, piùforti di lui.

"Mamma!" strillò la voce di Danny,da chissà dove. "Papà, basta! Fai malealla mamma!"

Lampi di luce rossa le balenaronodavanti agli occhi. La stanza si oscurò.Wendy vide suo figlio arrampicarsi sulbanco del bar e scagliarsi sulle spalle diJack. E di colpo, una delle mani che leserravano la gola lasciò la presa, mentrejack respingeva violentemente Danny,emettendo una sorta di ringhio. Ilbambino cadde all'indietro andando a

urtare contro gli scaffali vuoti e crollò aterra, inebetito. La mano tornò a serrarlela gola. I lampi rossi cominciarono adiventare neri.

Danny piangeva sommessamente.Wendy si sentiva ardere il petto. Jack leurlava in viso: "Ti sistemo io!Maledizione, ti faccio vedere io chi è ilpadrone, qua dentro! Ti faccio vedereio..."

Ma tutti i suoni svanivano giù per unlungo corridoio buio. A Wendycominciavano a mancare le forze.

Una delle mani le ricadde e siabbassò lentamente, penzolando inertecome la mano di un'affogata.

La mano sfiorò uno dei fiaschi

impagliati che fungevano da candelieridecorativi.

Con le esigue forze che ancora lerestavano, Wendy cercò alla cieca ilcollo del fiasco e lo trovò, avvertendocontro la mano il contatto delle grassegocce di cera.

(oh Dio se mi scivola di mano)Lo sollevò e lo calò, pregando di

non sbagliare la mira, sapendo che se locolpiva solo a una spalla o al braccio,era morta.

Ma il fiasco centrò in pieno la testadi Jack Torrance, e il vetro si sbriciolòcon violenza dentro l'involucro dipaglia. La pressione sulla gola di Wendysi allentò, poi svanì del tutto. Jackprotese le mani, come per ritrovare

l'equilibrio, poi stramazzò supino.Wendy emise un lungo sospiro, un

singhiozzo di sollievo. Per poco noncadde anche lei; si aggrappò al bordodel banco e riuscì a tenersi in piedi. Eracosciente solo a sprazzi. Sentiva Dannyche piangeva, ma non aveva idea didove fosse. Adesso, confusamente,vedeva gocce di sangue delledimensioni di una monetina cadere sullasuperficie scura del bar: dal suo naso,pensò. Si schiarì la gola e sputò sulpavimento. Si sentì salire su per la golaun'ondata di sofferenza acuta, chediminuì a poco a poco, per ridursi infinea un continuo, sordo dolore pulsante.

Lentamente ritrovò il controllo.

Si staccò dal bar, Si volse e videJack che giaceva lungo e disteso vicinoal fiasco fracassato. Sembrava ungigante abbattuto. Danny se ne stavarannicchiato sotto il registratore dicassa, e si premeva le mani sulla bocca,fissando con gli occhi sgranati il padreprivo di sensi.

Wendy gli si avvicinò con passomalfermo e gli sfiorò una spalla. Dannysi ritrasse di scatto.

"Danny, ascoltami...""No, no," borbottò il bambino con

una voce roca, da vecchio. "Papà ti hafatto male... tu hai fatto male a papà...papà ti ha fatto male... voglio andare adormire. Danny vuole andare a

dormire.""Danny...""Dormire, dormire. Nanna, nanna.""No!"Di nuòvo il dolore che le lacerava la

gola. Wendy trasalì con violenza. Ma ilbambino aprì gli occhi, e quegli occhi lafissavano da orbite cerchiate, ombrose.

Si sforzò di parlare con calma, nondistogliendo gli occhi nemmeno unistante da quelli di Danny. La sua voceera bassa e roca, quasi un bisbiglio.Parlare le faceva male. "Ascoltami,Danny. Non era il tuo papà, quello checercava di farmi del male. E io nonvolevo fargli del male. L'albergo si èimpossessato di lui, Danny.L'Overlooksi è impossessato del tuo papà. Mi

capisci?"Un barlume di comprensione affiorò

alla mente di Danny e gli illuminò gliocchi.

"La Brutta Cosa," bisbigliò. "Non cen'era neanche un po' qua dentro, prima,vero?"

"No. Ce l'ha messa l'albergo.L'albergo l'ha spinto a bere. Hai sentitole voci della gente con la quale parlavastamattina?"

"Sì... la gente dell'albergo...""Le ho sentite anch'io. E questo

significa che l'albergo sta diventandopiù forte. Vuole fare del male a tutti. Maio credo... spero... che possa farlo soloper mezzo del tuo papà. Era l'unico di

cui potesse impadronirsi. Mi capisci,Danny? È disperatamente importante chetu capisca."

"L'albergo si è impadronito dipapà." Guardò Jack e si lasciò sfuggireun breve gemito.

"So che vuoi bene al tuo papà.Gliene voglio anch'io. Dobbiamo stareattenti: l'albergo sta cercando di farglidel male così come sta cercando di farnea noi." Ed era convinta che fosse vero.Di più, pensava che forse era Danny,quello che l'albergo voleva veramente,la ragione per cui arrivava a quegliestremi...

"Vorrei tanto che papà stessemeglio," disse Danny, e le lacrimetornarono a traboccargli dagli occhi.

"Anch'io," disse Wendy, e loabbracciò stretto. "Tesoro, è per questoche devi aiutarmi a sistemare il tuo papàda qualche parte. In un posto dovel'albergo non possa indurlo a farci delmale e dove non possa fare del male ase stesso. Poi... se arriverà il tuo amicoDick, o un ranger del parco nazionale,potremo allontanarlo da qui. E secondome, potrà tornare a star bene. Potremoritrovare la serenità.

Credo che sia ancora possibile, sesaremo forti e coraggiosi, come haidimostrato di essere quando gli seisaltato addosso. Capisci?" Lo fissòimplorante e pensò che era davverostrano; non l'aveva mai visto così

somigliante a Jack."Sì," rispose Danny. "Credo che... se

riusciamo ad andarcene di qui... tuttotornerà come prima. Dove potremmometterlo?"

"Nella dispensa. C'è da mangiare, làdentro, e un bel catenaccio robustoall'esterno. E poi fa caldo, là dentro.Noi possiamo arrangiarci con la robadel frigorifero e della cella. Ce ne saràpiù che in abbondanza per tutti e tre,finché non arriveranno i soccorsi."

"Lo facciamo adesso?""Sì, subito. Prima che si svegli."Danny sollevò il cancelletto del bar

mentre Wendy ripiegava le mani di Jacksul petto e per un attimo indugiava adascoltarne il respiro. Era lento, ma

regolare. Dal puzzo che emanava, sidisse che doveva aver bevuto un belpo'... e non c'era più abituato. Pensò chea metterlo fuori combattimento potevanoaver contributo in eguai misura l'alcoole la botta in testa.

Gli sollevò le gambe e con sforzoindicibile prese a trascinarlo sulpavimento.

"Stai bene, mamma? È troppopesante?"

"Ce la farò." Riprese a trascinarlo.Danny si teneva accanto a Jack. Unadelle mani era scivolata dal petto, eDanny ve la riadagiò con dolcezza.

"Sei sicura, mamma?""Sì. È la cosa migliore da farsi,

Danny.""È come chiuderlo in prigione.""Solo per poco, però.""Va bene, allora. Sei sicura di

farcela?""Sì."Ma per un pelo, tutto non precipitò.

Quando varcavano una soglia, Dannysollevava delicatamente tra le mani latesta del padre, ma mentre entravano incucina le mani gli scivolarono suicapelli grassi di Jack. Jack batté la nucasulle piastrelle e prese a gemere e adagitarsi.

"Bisogna usare il fumo," borbottòJack. "Adesso corri a prendere quellatanica di benzina."

Wendy e Danny si scambiarono

un'occhiata tesa, impaurita."Aiutami," disse lei sottovoce.Per un attimo Danny indugiò come

paralizzato dal volto del padre, poi siportò di scatto di fianco alla madre el'aiutò a far forza sulla gamba sinistra.Lo trascinarono sul pavimento dellacucina, e tutto pareva muoversi alrallentatore, come in un incubo. Gliunici suoni che giungevano alle loroorecchie erano il lieve ronzio da insettodelle lampade fluorescenti e il lororespiro affannoso.

Quando raggiunsero la dispensa,Wendy posò a terra i piedi di Jack e sigirò a trafficare col catenaccio.

Danny abbassò lo sguardo su Jack,

che giaceva di nuovo rilassato e inerte.La camicia gli era uscita dai calzoni eDanny si chiese se papà non fossetroppo ubriaco, per avere freddo. Nongli pareva giusto rinchiuderlo nelladispensa come una bestia feroce, maaveva visto quel che tentava di fare allamamma. Era ancora di sopra, e giàsapeva che papà avrebbe fatto quellacosa. Li aveva uditi litigare dentro latesta.

(Se solo potessimo trovarci tuttifuori di qui, O se fosse un sogno diquelli che facevo a Stovington. Se solo.)

Il catenaccio era bloccato.Wendy tirava con tutte le sue forze,

ma il catenaccio non si muoveva. Wendynon riusciva a spostare di un centimetro

quel maledetto aggeggio.Jack tornò a dimenarsi sul

pavimento."Provvederò," borbottò. "Capisco.""Si sta svegliando, mamma!"

l'avvertì Danny.Singhiozzando, Wendy si aggrappò

al catenaccio con tutte e due le mani."Danny?" C'era qualcosa di

sottilmente minaccioso nella voce diJack. "Sei tu, vecchio mio?"

"Dormi adesso, papà," dissenervosamente Danny. "È ora di andare aletto, sai?"

Levò lo sguardo sulla madre, ancoraalle prese col catenaccio, e si accorseimmediatamente dell'errore; si era

dimenticata di girare il chiavistelloprima di tentare di tirarlo: il nottolinoera infilato nella toppa.

"Faccio io," disse sottovoce,scostando le mani tremanti; anche le suetremavano quasi altrettanto forte.

Liberò il nottolino con un colpo delpalmo e il catenaccio scorse senzadifficoltà.

"Presto," disse. Abbassò lo sguardo:gli occhi di Jack accennavano di nuovoad aprirsi, e questa volta papà fissavalui, e il suo sguardo era stranamentefreddo e valutativo.

"L'hai copiato," gli disse papà. "Soche hai copiato. Ma è qui da qualcheparte. E lo troverò. Te lo giuro. Lotroverò..." Le sue parole tornarono a

smorzarsi in un mormorio confuso.Wendy aprì la porta della dispensa

con un ginocchio. Afferrò di nuovo Jackper i piedi e lo trascinò dentro.

"Che cosa stai facendo, Wendy? Checosa stai facendo?"

Lei lo scavalcò.Jack si mosse con sorprendente

rapidità. Una mano scattò; Wendydovette scansarsi e per poco non caddeoltre la soglia per sottrarsi alla suapresa. Ma Jack riuscì ad agguantare unlembo della vestaglia, che si lacerò conun secco fruscio. Lui si era sollevatosulle mani e sulle ginocchia, con icapelli che gli piovevano sugli occhi,simile a un tozzo animale. Un grosso

cane... o un leone."Maledetti, tutti e due. Lo so che

cosa volete. Ma non riuscirete adaverlo. Quest'albergo... è mio. È me chevogliono. Me! Me!"

"La porta, Danny!" urlò Wendy."Chiudi la porta!"

Il bambino spinse la pesante porta dilegno e lachiuse violentemente, proprionell'attimo in cui Jack spiccava il balzo.La serratura scattò, e invano Jack presea percuotere la porta.

Danny si affaccendò con le piccolemani attorno al catenaccio. Si lasciòsfuggire la presa, la ritrovò e tirò ilcatenaccio che peraltro non accennava acedere, mentre Jack prendeva a spallatela porta.

"Fatemi uscire di qui!" sbraitò Jack."Fatemi uscire! Danny, maledizione,sono tuo padre! Voglio uscire di qui! Fa'come ti dico!"

La mano di Danny si proteseautomaticamente verso il catenaccio.Wendy l'afferrò e se la premette fra iseni.

"Da' retta al tuo papà, Danny! Fa'quel che ti dico! Fallo o ti darò unalezione che non dimenticherai tantofacilmente!Apri questa porta o ti sfascioquella testa schifosa! "

Danny guardò la madre, pallidocome un panno lavato.

Sentivano il respiro affannoso diJack oltre la parete di solida quercia.

"Wendy, fammi uscireimmediatamente! Brutta troia frigida daquattro soldi! Fammi uscire! Parlo sulserio! Fammi uscire di qui e lascioperdere tutto! Se non mi fai uscire, tisistemo per le feste! Ti concio chenemmeno tua madre ti riconoscerebbe,incontrandoti per la strada!"

Danny gemette. Wendy lo guardò e siaccorse che stava per cedere.

"Su, dottore," lo incoraggiò,sorpresa dal tono calmo della propriavoce. "Non è il tuo papà che parla,ricordalo. È l'albergo."

"Tornate qui e fatemi uscireimmediatamente!" urlò Jack. Si udì unrumore graffiante, lacerante quando

aggredì la parete interna della porta conle unghie.

"È l'albergo," ripeté Danny. "Èl'albergo. Me ne ricordo." Ma si voltò aguardare da sopra la spalla e il suo visoera contratto e terrorizzato.

47Erano le tre del pomeriggio di un

lunga, lunghissima giornata.Erano seduti sul letto grande della

camera, Danny si rigirava tra le mani,quasi vi fosse costretto, il modellinocolor viola della Volkswagen, colmostro che faceva capolino daltettuccio.

Mentre attraversavano l'atrioavevano sentito i colpi che il papà

batteva contro la porta della dispensa, icolpi e la sua voce, roca e rabbiosa epetulante, quasi la voce di un respodestato, che vomitava promesse dicastighi, che vomitava imprecazioni, chegiurava a entrambi che avrebberorimpianto per tutta la loro vita di averlotradito, dopo che per anni avevasgobbato per loro come uno schiavo.

Danny aveva creduto che una voltadi sopra non l'avrebbero più sentita,invece l'eco della sua rabbia giungevachiarissima su per il vano delmontacarichi. Il volto della mamma erapallido, e c'erano certi orribili segnibrunastri sul suo collo, nel punto in cuipapà aveva tentato di...

Continuò a rigirarsi tra le mani il

modellino, il premio di papà per averimparato a leggere (. .nel punto in cuipapà aveva tentato di abbracciarlatroppo stret a.) La mamma mise un discosul piccolo giradischi, una musica pienadi fruscii e di corni e flauti. La mammagli sorrise con l'aria stanca. Danny sisforzò di ricambiare il sorriso, ma nonci riuscì.

Danny scoppiò in lacrime.Wendy abbassò immediatamente il

volume del giradischi, lo prese tra lebraccia, lo cullò sulle giriocchia.

"Danny, amore, andrà tutto bene. Sulserio. Se il signor Hallorann non haricevuto il tuo messaggio lo capteràqualcun altro. Non appena si calmerà la

bufera di neve. Nessuno potrebbearrivare quassù prima, comunque. Né ilsignor Hallorann né chiunque altro. Maquando la bufera si sarà calmata, tuttotornerà come prima. Ce ne andremo diqui. E sai cosa faremo, la prossimaprimavera, noi tre?"

Danny scosse il capo che le tenevapremuto contro il petto. Non lo sapeva.Gli pareva che la primavera non sarebbepiù tornata.

"Andremo a pescare. Noleggeremouna barca e andremo a pescare, propriocome abbiamo fatto l'anno scorso sullago Chatterton. Tu e io e il tuo papà. Emagari prenderai un pesce persico per lacena."

"Ti voglio bene, mamma," disse

Danny, e l'abbracciò."Anch'io ti voglio bene, Danny."Verso le quattro e mezzo, mentre la

luce del giorno cominciava a svanire,l'ululato del vento cessò.

Avevano sonnecchiato, inquieti,Wendy sempre stringendo fra le bracciaDanny, e Wendy non si svegliò. MaDanny, sì. In qualche modo il silenzioera peggiore, più sinistro delle urla edei colpi battuti contro la robusta portadella dispensa. Che papà si fosseriaddormentato? O morto? O che altro?

(Che sia uscito?)Un quarto d'ora più tardi il silenzio

fu rotto da uno strepito metallico, aspro,sferragliante. Si udì un forte stridore,

poi un ronzio meccanico. Wendy sisvegliò con un grido.

L'ascensore si era rimesso in moto.Rimasero ad ascoltarlo, a occhi

sbarrati, stringendosi uno contro l'altra.L'ascensore si fermava ai piani, ilcancelletto scorreva sferragliando, laporta di ottone si apriva sbatacchiando.E si sentivano risate, urla di ubriachi,rumori di oggetti che andavano infrantumi.

L'Overlook si stava animandoattorno a loro.

48Era seduto sul pavimento della

dispensa con le gambe allungate dinanzia sé, tra le gambe una scatola di

crackers, e fissava la porta.Sgranocchiava i crackers uno dopol'altro, senza neppure gustarli,semplicemente perché doveva mangiarequalcosa. Quando fosse uscito di lì,avrebbe avuto bisogno della sua forza.Di tutta la sua forza.

In quel preciso istante pensò che nonsi era mai sentito così a terra in tutta lasua vita. Spirito e corpo messi assiemedavano luogo a una dichiarazionte didolore a caratteri cubitali. La testa glipulsava al punto da dargli la nausea,come dopo una sbronza. Il cuore glimartellava sordo nel petto. E come senon bastasse, gli dolevano orrendamentele spalle per i colpi che aveva infertoalla porta e gli pareva di avere la gola

in fiamme, scorticata per aver tantourlato senza esito alcuno. Per giunta siera tagliato la mano destra contro ilsaliscendi.

E quando fosse uscito di lì, avrebbepreso a calci in culo qualcuno che luiconosceva fin troppo bene.

Sgranocchiò i crackers a uno a uno,rifiutandosi di accondiscendere aidesideri dello stomaco sconvolto, cheavrebbe voluto vomitare ogni cosa.Pensò all'Excedrin che aveva in tasca edecise di aspettare finché lo stomaconon si fosse placato. Devi usare ilcervello. Il famoso cervello di JackTorrance. Non sei tu quel tale che unavolta si riprometteva di guadagnarsi da

vivere con la sua intelligenza? JackTorrance, autore di successo. JackTorrance, acclamato drammaturgo evincitore del premio della critica diNew York. Jack Torrance, uomo dilettere, illustre pensatore, vincitore delPremio Pulitzer a settant'anni perl'incisivo libro di memorie intitolatoLamia vita nel XX secolo. Un mucchio dimerda che per il momento si riduceva aguadagnarsi da vivere con l'intelligenza.

Guadagnarsi da vivere conl'intelligenza vuol dire saper sempredove sono le vespe.

Si cacciò in bocca un altro cracker elo sgranocchiò.

Tutto, in realtà, si riduceva al fattoche non avevano avuto fiducia in lui.

Che non avevano creduto che lui sapesseche cosa fosse per loro la miglior cosa ecome ottenerla. Sua moglie aveva tentatodi usurpare i suoi poteri, dapprima conmezzi leali,

(in un certo senso)poi con un colpo basso. Quando le

vaghe allusioni e le obiezionipiagnucolose di Wendy erano staterespinte dalle sue argomentazionifondate sulla ragione, lei gli avevamesso contro il bambino, aveva tentatodi accopparlo con una botta in testa, epoi l'aveva rinchiuso, ma guarda un po',con tutti i posti che c'erano, proprio lì inquella maledetta schifosa dispensa.

E tuttavia una vocina interiore lo

infastidiva.(Sì, va bene, ma da dove è arrivato

tutto quell'alcool? Non è questo, inrealtà, il succo di tutta la faccenda? Losai cosa ti succede quando bevi, lo saiper dolorosa esperienza personale.Quando bevi, perdi la testa.)

Sbatté all'altro capo della stanza lascatola di crackers che andò a cadere suuno scaffale di scatolame, e poi crollò aterra. Jack guardò la scatola, si passòuna mano sulle labbra e poi diedeun'occhiata all'orologio. Quasi le sei emezzo. Sua moglie l'aveva chiuso lìdentro e lui era lì daore, dannazione.

Riusciva quasi a comprendere suopadre, ora.

La cosa che non si era mai chiesto,

si rese conto Jack in quel momento, erail motivo esatto che aveva spinto papà abere. E a ben vedere... stringi, stringi,come si compiacevano di dire i suoistudenti di un tempo... non era statacolpa della donna che aveva sposato?Una donna che era una parassitasmidollata, che si trascinava sempre insilenzio per casa con l'espressione diuna che fosse votata al martirio. Unavera e propria palla al piede. No, nonuna palla al piede. Lei non aveva maitentato di tramutare papà in unprigioniero, come invece aveva fattoWendy nei suoi confronti. Per il padre diJack doveva essere stato qualcosa di piùsimile alla sorte che tocca a MacTeague,

il dentista, alla fine del grande romanzodi Frank Norris: ammanettato a un mortoin una landa deserta. Sì, così era meglio.

Mentalmente e spiritualmente morta,sua madre era stata ammanettata a suopadre in virtù del matrimonio. E tuttavia,papà aveva cercato di comportarsi comesi deve mentre trascinava il suocadavere putrescente attraverso la vita.Aveva cercato di tirar su i quattro figliinsegnandogli a distinguere il bene dalmale, a capire il valore della disciplina,e soprattutto a rispettare il padre.

Be', erano stati ingrati. Tutti. Luicompreso. E ora pagava. Anche suofiglio si era rivelato un ingrato.

Ma c'era una speranza. In qualchemodo sarebbe uscito di lì. Li avrebbe

castigati tutti e due, severamente.Avrebbe impartito a Danny unapunizione esemplare, in modo che ungiorno, quando Danny fosse cresciuto,sapesse quel che doveva fare meglio diquanto l'avesse saputo lui.

Ricordò la cena domenicale quandosuo padre aveva bastonato sua madre atavola... l'orrore che avevano provatolui e gli altri. Ora riusciva a capire finoa qual punto fosse stato necessario: suopadre aveva finto di essere ubriaco, masotto sotto la sua mente era sempre statalucida e attenta, pronta a cogliere ilminimo segno di mancanza di rispetto.

Jack si trascinò carponi verso icrackers e riprese a mangiarli, seduto

accanto alla porta che lei aveva sbarratoin modo così truffaldino. Si chiese cosaesattamente suo padre avesse visto, ecome l'avesse colta in flagranterecitando la commedia dell'ubriaco.Aveva forse riso di lui nascondendosi labocca con la mano? Gli aveva mostratola lingua? Aveva fatto qualche gestoosceno con le dita? O semplicementel'aveva guardato con aria arrogante,convinta che lui fosse troppo intontitodall'alcool per riuscire a capirequalcosa? Comunque fossero andate lecose, lui l'aveva colta in flagrante epunita severamente. E finalmente, adistanza di vent'anni, Jack riusciva adapprezzare la saggezza di papà.

Indubbiamente papà era stato un

idiota a sposare una donna del genere,ad ammanettarsi a quel cadavere, perprima cosa... e per di più a un cadavereche gli mancava di rispetto. Ma si diceche quando ci si sposa in fretta, dagiovani, si ha poi tutto il tempo perpentirsi, e forse il papà di papà avevasposato lo stesso tipo di donna, per cuiinconsciamente il papà di Jack ne avevasposato una anche lui, proprio comeaveva fatto Jack. Solo che la sua, dimoglie, anziché accontentarsi del ruolopassivo consistente nell'aver mandato acatafascio una carriera e tarpato le ali aun'altra, aveva optato per l'impresavelenosamente attiva di avviare ladistruzione della sua ultima e migliore

occasione: quella, cioè, di entrare a farparte dello stato maggioredell'Overlook, e magari di salire tutti igradini della scala gerarchica... fino allaposizione di direttore, a tempo debito.Tentava di negargli Danny, e Danny erail suo biglietto di ammissione. Erasciocco, naturalmente: perché maivolevano il figlio quando potevanoavere il padre? Ma i datori di lavorospesso hanno idee balzane, e quella erala condizione che gli avevano posta.

Non sarebbe mai riuscito a farlaragionare, ora se ne rendevaperfettamente conto. Aveva tentato difarla ragionare nella Colorado Lounge, elei si era rifiutata di ascoltarlo; per tuttoringraziamento gli aveva dato una

bottigliata in testa. Ma ci sarebbe stataun'altra occasione, e presto. Sarebbeuscito di lì.

Serrò le mani a pugno in un gestod'impotenza; doveva frenarsi per nonbatterle con violenza contro la porta. Lafesta era ricominciata. L'alcool scorrevaa fiumi. Da qualche parte, allacciata nelballo con qualcuno, doveva esserci laragazza che l'aveva quasi fatto impazzirecon la sua nudità sotto l'abito da sera diseta bianca.

"La pagherete per quello che miavete fatto!" urlò. "Maledetti tutti e due,la pagherete! Prenderete la purga,maledizione! Ve lo giuro! La..."

"Calma, ora," disse una voce in tono

blando, appena oltre l'uscio. "Non c'èbisogno di urlare, vecchio mio. La sentobenissimo."

Jack si tirò in piedi a fatica."Grady? È lei?""In persona. A quanto pare l'hanno

messa sotto chiave.""Mi faccia uscire, Grady. Presto.""Vedo che non ha avuto modo di

occuparsi della faccenda di cui abbiamodiscusso, signore. La punizione di suamoglie e di suo figlio."

"Sono stati loro a rinchiudermi quadentro. Tiri il catenaccio, per l'amor diDio! "

"Ha permesso che la chiudessero lidentro?" La voce di Grady tradì unapunta di compita sorpresa.

"Oh, cielo. Una donna che è la metàdi lei e un bambino? Non depone certo afavore delle sue capacità dirigenziali, lepare?"

Una vena prese a pulsare conviolenza sulla tempia destra di Jack. "Mifaccia uscire, Grady.

Provvederò io a quei due.""Dice davvero, signore? Me lo

chiedo." L'educata sorpresa fu sostituitada un educato rammarico. "Mi duoledirle che ne dubito. Io e gli altri cisiamo ormai convinti che non ci mettemolto entusiasmo in questa faccenda,signore. Che non ha... il fegatonecessario."

"Sì, invece!"urlò Jack. "Sì, lo

giuro.'""È disposto a portarci suo figlio?""Sì! Sì!""Sua moglie solleverà varie

obiezioni, signor Torrance. E a quantosembra, è... come dire, più forte diquanto avessimo immaginato. Più riccadi risorse. Certamente pare che si siaaccaparrata la parte migliore dilei. "

Grady ebbe un risolino."Forse, signor Torrance, avremmo

dovuto trattare con sua moglie fin dalprincipio."

"Lo porterò, lo giuro," ripeté Jack.Premeva la testa contro la porta, madidodi sudore. "Non solleverà obiezioni.Giuro che non lo farà. Non sarà in gradodi farlo."

"Dovrà ucciderla, temo," dissefreddamente Grady.

"Farò quello che devo fare. Solo mifaccia uscire."

"Mi dé la sua parola, signore?"insistette Grady. "La mia parola, la miapromessa, il mio sacro impegno, tuttoquel che vuole. Se lei..."

Si udì uno scatto deciso, mentre ilcatenaccio veniva tirato. La porta sisocchiuse appena, vibrando.

Parole e respiro si bloccarono nellagola di Jack: per un attimo ebbel'impressione che oltre quell'uscio cifosse la morte.

La sensazione svanì."Grazie, Grady," bisbigliò. "Le giuro

che non se ne pentirà."Non ci fu alcuna risposta. Jack si

rese conto che tutti i rumori eranocessati, tranne l'ululo del vento gelido,all'esterno.

Spinse la porta della dispensa: icardini cigolarono debolmente.

La cucina era deserta. Grady erascomparso. Tutto era immobile e comeibernato sotto il freddo bagliore biancodei tubi fluorescenti. Lo sguardo glicadde sul grande ceppo da macellaiodove loro tre avevano consumato i pasti.

Posato sul ceppo, c'era un bicchieredi martini, un quinto di gin puro, e unaciotola di plastica colma di olive.

Appoggiata al ceppo, c'era una dellemazze da roque del capanno degli

attrezzi.La fissò a lungo.Poi una voce, molto più fonda e

molto più potente di quella di Grady, sifece udire da qualche parte, da ogniparte... dentro di lui.

(Mantenga la promessa, signorTorrance.)

"La manterrò," disse Jack. Udì lostrisciante servilismo della propriavoce, ma non riuscì a soffocarlo.

"La manterrò."Si accostò al ceppo e posò la mano

sull'impugnatura della mazza.La soppesò.La brandì.La mazza sibilò nell'aria con

cattiveria.Jack Torrance abbozzò un sorriso.

49Erano le due meno un quarto del

pomeriggio e, stando ai cartelli stradaliincappucciati di neve e al tachimetrodella Buick della Hertz, si trovava acirca cinque chilometri dall'Estes Parkquando finalmente imboccò la strada.

In montagna, la neve cadeva più fittae inesorabile di quanto Hallorann avessemai visto (cosa che, forse, voleva direben poco, dal momento che Hallorann,nei limiti del possibile, aveva sempreevitato di vedere la neve, in vita sua), eil vento soffiava in raffiche capricciose,ora da ovest, ora girando verso nord,

oscurando la visuale con folate di nevefarinosa, rendendolo sempre piùfreddamente consapevole che, seprendeva male una curva, poteva anchevolare fuori strada e precipitare per unasessantina di metri, con l'Electra chefaceva le capriole in aria. A peggiorarela situazione sussisteva il fatto che,come pilota d'inverno, Hallorann erapoco più di un dilettante. Lo spaventaval'idea che la striscia gialla al centrodella strada fosse nascosta dalla neveturbinante, che continuava adammucchiarsi, e provava terrore quandole violente raffiche di vento soffiavanoimpetuose attraverso i passi montanifacendo slittare la pesante Buick. Losgomentava il fatto che i cartelli stradali

fossero quasi tutti sommersi dalla neve etanto valeva tirare testa o croce persapere se la strada avrebbe svoltato adestra o a sinistra davanti a lui, nelbianco schermo da cinema all'apertoattraverso il quale pareva procedere.

(Ammettilo. Questa carcassa nera staalmeno diventando gialla di paura. . chequasi se la fa sotto!) Non era nemmenodivertente. Si sarebbe fermato ancoraprima di attraversare Boulder, non fossestato per la convinzione che il bambinocorreva un pericolo spaventoso. Ancheora una vocina in fondo al cranio, lavoce della ragione più che quella dellavigliaccheria, pensò, gli diceva dirintanarsi in un motel dell'Estes Park per

la notte e attendere almeno che glispazzaneve rendessero di nuovo visibilela striscia al centro della strada. Quellavoce continuava a ricordarglil'atterraggio sobbalzante dell'aereo aStapleton, l'acuta sensazione che l'areosarebbe precipitato in avvitamento,scaricando i suoi passeggeri alle portedell'inferno anziché al cancello 39, salaB. Ma la ragione non reggeva, inconfronto alla forza dell'impulso.Doveva essere quel giorno. La bufera dineve era scalogna, tutto qui. Dovevaaffrontarla.

Il vento tornò a soffiare, da nordestquesta volta, con un po' di effetto, prego,e Hallorann si trovò di nuovo tagliatofuori dalle vaghe sagome delle montagne

e persino dai muri di neve su ambo i latidella strada. Guidava in un bianco nulla.

E poi i violenti fari allo iodio dellospazzaneve baluginarono vaghi nellaspessa cortina di neve, proiettati verso ilbasso, e con suo sommo orroreHallorann si avvide che anzichéprocedere su un lato della strada, ilmuso della Buick puntava direttamentein mezzo ai fari. Lo spazzaneve non sicurava di tenere la destra, e Hallorannaveva lasciato che la Buick procedesseun po' a casaccio.

Il rombo stridente del motore dieseldello spazzaneve s'inserì superando ilmuggito del vento, e poi l'urlo dellasirena, forte, prolungato, quasi

assordante.Una macchia di colore si andava

materializzando tra la neve candida,arancione incrostata di neve.

Riuscì a scorgere l'alta cabina diguida, persino la figura gesticolante delpilota dietro l'unica lunga spazzola deltergicristallo. Riuscì a scorgere la formaa V delle pale dello spazzaneve chescagliavano dell'altra neve sul muro sullato sinistro della strada, come unpallido fumo che fuoruscisse dal tubo discappamento.

UUUUUUUUHHHH! muggìindignata la sirena.

Hallorann schiacciò l'acceleratorecome se fosse il seno di una donnaamata, e la Buick guizzò in avanti e

verso destra. Da quella parte non c'era ilmuro di neve; gli spazzaneve cheprocedevano in salita anziché in discesanon dovevano far altro che spingere laneve direttamente nel vuoto.

(Il vuoto, ah, sì, il vuoto. .)Le pale sulla sinistra di Hallorann,

che sovrastavano di oltre un metro iltetto dell'Electra, lo sfiorarono,evitandolo per un pelo. Finché lospazzaneve non l'ebbe sorpassato deltutto, Hallorann aveva pensato che loscontro fosse inevitabile. Una preghiera,che per metà era una vaga frase di scusanei confronti del bambino, sventolònella sua mente come un cencio lacero.

Poi lo spazzaneve passò, e le sue

luci azzurrine roteanti si riflesserolampeggiando nello specchiettoretrovisore di Hallorann.

Sterzò bruscamente a sinistra, manon accadde nulla: la Buick galleggiavacome in sogno versò l'orlo del burrone,sollevando spruzzi di neve da sotto iparafanghi.

Hallorann sterzò freneticamente ilvolante nell'altro senso, e il muso e lacoda dell'auto cominciarono ascambiarsi di posto. Ormai in preda alpanico, schiacciò con forza il pedale delfreno, poi avvertì un urto violento.Dinanzi a lui la strada era sparita...guardava giù in un baratro senza fondodi neve turbinante e di vaghe sagome dipini di un grigio verdastro lontanissimi e

giù, giù in basso.(Adesso volo santa madre di Gesù

volo fuori)E fu proprio allora che la macchina

si arrestò, inclinata in avanti di trentagradi, il parafango sinistro premutocontro un guardrail, le ruote posterioriquasi sollevate da terra. QuandoHallorann tentò di far marcia indietro, leruote girarono a vuoto.

Scese dalla macchina con estremacautela, e si portò in coda alla Buick.

Se ne stava lì a guardare impotentele ruote posteriori, quando una voceallegra alle sue spalle disse:

"Salve, amico. Deve averle dato divolta il cervello."

Hallorann si girò e intravide lospazzaneve una quarantina di metri piùin basso, completamente nascosto dallaneve turbinante, a eccezione dello sbuffodi fumo nerastro che usciva dal tubo discappamento e delle luci azzurrineroteanti sul tetto. Il pilota era ritto allespalle di Hallorann.

Indossava un lungo pastrano foderatodi pelo e, sopra, una specie diimpermeabile. In bilico al sommo delcapo portava un berretto da meccanico arighe bianche e blu, e Hallorann nonriusciva a credere che il vento taglientenon riuscisse a portarglielo via.

(Incollato. Giuro su Diodev'esserselo incollato.)

"Salve," rispose. "Potrebberimettermi in carreggiata?"

"Oh, per potere credo proprio di sì,"lo incoraggiò il pilota dello spazzaneve."Che cosa diavolo ci fa, lei, da questeparti? Non c'è un modo migliore perammazzarsi, se proprio ci tiene a farlo."

"Affari urgenti.""Non c'è niente che possa essere

tanto urgente," disse il pilota dellospazzaneve in tono cortese e pacato,come se avesse parlato a un minoratomentale. "Se avesse urtato contro quelpaletto appena un po' più forte, nessunol'avrebbe tirata fuori prima di aprile.Non è di queste parti, lei, a quantopare."

"No. E non mi troverei qui se non sitrattasse di una faccenda tanto urgente."

"Dov'è diretto? A Estes?""No, in un posto che si chiama

Overlook Hotel," rispose Hallorann. "Èpoco più su di Sidewinder... "

Ma il pilota scuoteva il capo conespressione afflitta.

"Credo di sapere dove si trova. Caromio, non riuscirà mai ad arrivare alvecchio Overlook. Le strade tra l'EstesPark e Sidewinder sono un vero inferno.La neve torna ad accumularsi nonappena passiamo, per quanta buonavolontà ci si possa mettere. Qualchechilometro più su ho trovato la neve altaquasi due metri. E se anche ce la facesse

ad arrivare a Sidewinder, be', da lì inpoi la strada è chiusa fino a Buckland,nell'Utah. No, no, niente da fare." Scosseil capo. "Non ce la farà mai, caro mio.Non ce la farà mai, creda pure a me."

"Devo tentare," insistette Hallorann,facendo appello alle ultime riserve dipazienza per mantenere un tono di vocenormale. "C'è un bambino lassù..."

"Bambino?Macché. L'Overlookchiude alla fine di settembre. Nonvarrebbe la pena tenerlo aperto più alungo. Per via di queste tormente dellamalora."

"È il figlio del guardiano. È neiguai."

"E come fa a saperlo?"La sua pazienza si esaurì. "Per

l'amor di Dio, ha intenzione di starsenelì tutto il giorno a blaterare?Lo so, lo so!Adesso ha intenzione di rimettermi incarreggiata o no?"

"Testardo come un mulo, eh?"osservò il pilota, non particolarmenteimpressionato. "Sicuro, salga inmacchina, su. Ho una catena dietro ilsedile."

Hallorann si rimise al volante,scosso da un tremito da reazioneritardata. Aveva le mani intorpidite.

Che idiota era stato a non portarsi unpaio di guanti!

Lo spazzaneve arretrò, portandosi incoda alla Buick, e Hallorann vide ilpilota scenderne con una lunga catena

arrotolata. Aprì la portiera e urlò: "Checosa posso fare per aiutarla?"

"Non mi venga tra i piedi, tutto qui,"gli urlò di rimando il pilota. "Èquestione di un attimo."

Ed era vero. Un fremito corse per lacarcassa della Buick quando la catena sitese, e un istante più tardi l'auto era dinuovo in carreggiata, col muso più omeno puntato in direzione dell'EstesPark. Il pilota dello spazzaneve siaccostò al finestrino della Buick e bussòal vetro infrangibile. Hallorann abbassòil finestrino.

"Grazie," disse. "Mi spiace di averurlato, prima."

"Non è la prima volta che mi urlanodietro," sorrise il pilota. "Suppongo che

sia un po' teso. Prenda questi." Un paiodi voluminose muffole blu caddero ingrembo a Hallorann. "Ne avrà bisogno,quando uscirà un'altra volta di strada. Seli metta. Ma me li rimandi, miraccomando. Me li ha fatti mia moglie eho un debole per quei guanti. Nome eindirizzo sono cuciti sulla fodera. Aproposito, mi chiamo Howard Cottrell.Basterà che me li rimandi quando non leserviranno più."

"D'accordo," fece Hallorann."Grazie. Davvero mille grazie."

"Faccia attenzione. Ce la porterei io,ma sono preso come un gatto che si siaimpigliato in un rotolo di corde dichitarra."

"Va bene così. Grazie ancora."Fece per alzare il finestrino, ma

Cottrell lo fermò."Quando arriva a Sidewinder, se

mai riuscirà ad arrivarci, vada al garagedella Conoco di Durkin. È proprioaccanto alla biblioteca. Non puòsbagliarsi. Chieda di Larry Durkin. Glidica che lo manda Howard Cottrell eche vuole noleggiare uno dei suoi gattidelle nevi. Faccia il mio nome e glimostri i guanti: le farà lo sconto."

"Grazie ancora."Cottrell fece un cenno col capo. "È

buffo. Non c'è mezzo per sapere chequalcuno è nei guai, lassù all'Overlook...il telefono è isolato, sicuro come l'oro.

Però le credo. A volte, sa, ho dellesensazioni."

Hallorann annuì. "Le ho anch'io,qualche volta."

"Già. Lo so che le ha. Però stiaattento."

"Okay."Cottrell sparì nel biancore

turbinante, dopo un ultimo gesto disaluto, il berretto da meccanico semprein bilico in cima al capo. Hallorannrimise in moto. Le catene flagellarono lacoltre di neve e finalmente viaffondarono a sufficienza per consentirealla Buick di rimettersi in marcia. Allesue spalle, Howard Cottrell gli auguròbuona fortuna con un ultimo urlo dellasirena dello spazzaneve.

E fanno due, con l'aura, in unagiornata, pensò; dovrebbe essere dibuon auspicio, in un certo senso.

Ma lui non si fidava degli auspici,buoni o cattivi non aveva importanza. Eil fatto di incontrare due persone cheirradiavano in un giorno solo, quando diregola s'imbatteva al massimo in non piùdi quattro o cinque all'anno, potevabenissimo non avere il pur minimosignificato. Quella sensazione didefinitivo, una sensazione

(come se le cose siano tutte giàstabilite)

che non riusciva a definire conesattezza, non l'aveva ancoraabbandonato. Era...

La Buick accennò a slittare di fiancomentre affrontava una curva a gomito eHallorann la manovrò con prudenza,trattenendo quasi il respiro. Riaccese laradio ed ecco la voce di Aretha, eAretha era perfetta. Ogni giorno avrebbediviso con lei la Buick della Hertz.

Un'altra raffica di vento investìl'auto, facendola sobbalzare e sbandare.Hallorann lanciò un'imprecazione e sipiegò di più sul volante. Arethaconcluse la canzone e tornò a farsisentire la voce del discjockey, che glidiceva che andarsene in giro inmacchina quel giorno era il modomigliore per ammazzarsi.

Hallorann spense la radio.

Riuscì ad arrivare a Sidewinder,anche se impiegò quattro ore e mezzoper coprire il tragitto dall'Estes Park alpaese. Quando imboccò l'AutostradaMontana era buio pesto, ma la bufera dineve non accennava a placarsi. Avevadovuto fermarsi due volte, bloccato dauna coltre di neve che arrivavaall'altezza del tetto della macchina, inattesa che arrivassero gli spazzaneve ascavare un passaggio.

A mano a mano che si avvicinavaall'Overlook, la necessità di affrettarsisi faceva sempre più impellente. Siscoprì a guardare di continuo l'orologio.Le lancette parevano volare.

Dieci minuti dopo aver imboccato la

Montana, oltrepassò due cartellistradali. Il vento aveva spazzato via laneve che li incappucciava, per cui gli fupossibile leggerli, SIDEWINDER 10,diceva il primo. Il secondo: STRADACHIUSA 12 MIGLIA PIÙAVANTI NEIMESI INVERNALI.

"Larry Durkin," borbottò tra séHallorann. Il volto appariva teso econtratto nel pallido riflesso verdastrodegli strumenti del cruscotto. Erano lesei e dieci. "Il garage della Conocoaccanto alla biblioteca. Larry..."

E proprio allora fu assalito dalprofumo di arance e dalla forza delpensiero, greve e colma di odio,assassina:

(VATTENE DI QUI SPORCO

NEGRO NON È AFFAR TUONEGRACCIO FAI DIETROFRONT

FAI DIETROFRONT O TIAMMAZZIAMO TI APPENDIAMO ALRAMO DI UN ALBERO

FOTTUTO SCIMMIONEDEFICIENTE E POI BRUCIAMO ILCADAVERE È QUESTO IL

TRATTAMENTO CHERISERVIAMO AGLI SPORCHI NEGRIPER CUI FAI DIETROFRONT

IMMEDIATAMENTE)Hallorann urlò nell'angusto abitacolo

della macchina. Il messaggio non glipervenne sotto forma di parole ma in unaserie di immagini enigmatiche che glifurono scagliate in capo con forza

terrificante.Tolse le mani dal volante per

liberarsene.L'auto sbandò andando a sbattere

contro il muro di neve; rimbalzò, fece unmezzo giro su se stessa e si fermò. Leruote posteriori girarono a vuoto.

Hallorann bloccò l'auto innestandola marcia, e si coprì il volto con le mani.Non pianse, esattamente; quello che glisfuggì dalle labbra fu una sorta diprolungato, sussultante ululato. Il pettogli si sollevava e abbassava, scosso daun ansito violento. Sapeva che se ilmessaggio l'avesse investito su un trattodi strada fiancheggiato da un precipizio,a quell'ora avrebbe anche potuto esseremorto. Forse l'intenzione era stata

proprio quella. E avrebbe potutocolpirlo ancora, in un momentoqualsiasi. Avrebbe dovuto difendersi.

Staccò le mani dal viso e aprì gliocchi cautamente. Nulla. Se qualcosatentava di spaventarlo, non riusciva apenetrare in lui.

Era accaduta la stessa cosa albambino? Buon Dio, era accaduto ancheal piccolo?

E di tutte le immagini, quella chemaggiormente lo turbava era quel tonfosordo ripetuto, come di un martello cheaffondasse in un pezzo di formaggiomolle. Che significava?

(Gesù, non quel piccino, Gesù, tiprego.)

Innestò la prima e diede un po' digas. Le ruote girarono a vuoto, morseroil terreno, girarono e tornarono amordere. La Buick si mise in moto, i fariche penetravano a malapena nella neveturbinante. Hallorann guardò l'orologio.Quasi le sei e mezzo. E cominciava adavere la sensazione che fosse davveromolto tardi.

50Wendy Torrance indugiò indecisa al

centro della stanza a contemplare ilfiglio, che era caduto in un sonnoprofondo.

Da una mezz'ora i rumori eranocessati. Tutti, di colpo. L'ascensore, lafesta, lo sbatacchiare delle porte che si

aprivano e si chiudevano. Anzichétranquillizzarla, quel fatto rendevaancora più acuta la tensione che le si eraandata accumulando dentro; era comeuna quiete malefica prima dell'ultimobrutale impeto della bufera. Ma Dannysi era addormentato quasi subito; primacadendo in una sorta di leggero, inquietodormiveglia, e da una decina di minuti inun sonno più profondo. Anchefissandolo intenta, riusciva a malapena acogliere il lento sollevarsi e abbassarsidel suo piccolo torace.

Wendy si chiese quando Dannyavesse dormito sodo l'ultima volta peruna notte intera, una notte senza sognitormentosi o lunghi periodi di vegliasinistra, ad ascoltare gli echi frastornanti

delle baldorie che a lei si erano reseudibili e visibili solo negli ultimi duegiorni, a mano a mano che la morsadell'Overlook si andava serrando suloro tre.

(Fenomeni psichici reali o ipnosicollettiva?)

Wendy non lo sapeva, e non credevache avesse importanza. Guardò Danny epensò (grazie a Dio giaceva immobile)

che se niente lo turbava, avrebbepotuto dormire per tutto il resto dellanotte. Quale che fosse il potere di cuiera dotato, era pur sempre un bimbo eaveva bisogno di riposo.

Era di Jack che Wendy avevacominciato a preoccuparsi.

Contrasse il viso in una smorfia perl'improvviso dolore, allontanò la manodalla bocca e si accorse che s'eraspezzata un'unghia. E pensare che avevasempre cercato di averne la maggiorcura! Non erano abbastanza lunghe perpoterle definire artigli, ma di una bèllaforma a mandorla e...

(e perché mai ti stai a preoccuparedelle unghie?)

Ebbe un breve scoppio di risa, ma fuun suono tremulo, privo di gaiezza.

Prima Jack aveva smesso di urlare edi percuotere la porta. Poi la festa eraripresa.

(onon si era mai interrotta? che avolte semplicemente deviasse secondo

un'angolazione temporale leggermentediversa, in cui loro non erano in gradodi captarla?) sul contrappuntodell'ascensore sferragliante,sbatacchiante. Poi era cessato tutto Inquel nuovo silenzio, mentre Dannydormiva, a Wendy era parso di udirebasse voci da cospiratori salire dallacucina, proprio sotto di loro. Dapprimaaveva trascurato la faccenda, dicendosiche doveva essere il vento, che sapevaimitare una ricca gamma di voci umane,dal rauco bisbigliare di un moribondoattorno alle porte e alle intelaiaturedelle finestre, all'urlo spiegato attorno aicornicioni... il grido di una donnainseguita da un assassino in un drammadozzinale. E tuttavia, mentre sedeva

rigida accanto a Danny, l'idea che sitrattasse realmente di voci si fecesempre più convincente.

Jack e qualcun altro che parlavanodi una sua evasione dalla dispensa.

Che parlavano dell'uccisione di suamoglie e di suo figlio.

Non sarebbe stata una novità, fraquelle mura; erano già stati consumatialtri delitti.

Wendy si era portata accanto alcondotto del riscaldamento e ci avevaaccostato l'orecchio, ma in quel precisoistante la caldaia si era animata, e ognialtro suono si era perso nel fiotto di ariacalda che saliva dalla cantina. Quandola caldaia si era quietata, ed erano ormai

passati cinque minuti, nell'albergoregnava il più completo silenzio.

Wendy chinò lo sguardo sull'unghiaspezzata. Ne stillavano minuscolegoccioline di sangue.

(Jack è uscito dalla dispensa.)(Non dire scioccherie.)(Sì, è uscito. Ha preso un coltello in

cucina o forse la mannaia. Sta arrivando,sì proprio ora, sale lungo il lato esternodei gradini per non far scricchiolare lascala.) (!Sei impazzita!)

Le tremavano le labbra, e per unattimo credette di aver urlato quelleparole. Ma il silenzio perdurava.

Si sentì spiata.Si volse di scatto a fissare la finestra

oscurata dalla notte, e un orrido volto

cereo che aveva due cerchi di tenebre alposto degli occhi le stava dicendoqualcosa in forma inarticolata einintelligibile, il viso di un mostruosopazzo che finora si era tenuto nascosto inquelle mura gementi...

Era solo un disegno tracciato dalgelo all'esterno del vetro.

Esalò il respiro in un lungo,sussurrante bisbiglio di paura, e le parvedi udire, chiaramente questa volta,risolini divertiti, che provenivano da unluogo misterioso, imprecisato.

(Hai paura anche delle ombre. Lasituazione è già abbastanza grave senzametterci anche questo. Se continui così,domani mattina sarai da rinchiudere

nella camera con le pareti di gomma.)C'era solo un modo per placare quellepaure, e quale fosse Wendy lo sapeva.

Avrebbe dovuto scendere da basso eaccertarsi che Jack fosse ancora chiusonella dispensa.

Semplicissimo. Scendi da basso.Dai un'occhiata. Torni di sopra. Oh, aproposito, fermati a prendere il vassoiosul banco della portineria. La frittatadoveva essere rovinata, ma la zuppa sipoteva riscaldare sullo scaldavivandeche c'è vicino alla macchina da scriveredi Jack.

(Oh sì e non farti ammazzare se lui ègiù che ti aspetta con un coltello.) Siavvicinò al cassettone, tentando discrollarsi di dosso il manto di paura che

si sentiva gravare sulle spalle. Sparsisul ripiano del cassettone, c'erano unmucchietto di monete, un blocchetto dibuoni per la benzina con la qualeriempire il serbatoio del furgoncinodell'albergo, le due pipe che Jack siportava appresso dovunque ma fumavararamente... e il suo mazzo di chiavi.

Prese le chiavi, le tenne in mano unmomento, poi le posò. Avevaconsiderato l'eventualità di chiudersialle spalle la pòrta della camera daletto, ma l'idea non l'attirava troppo.Danny dormiva. Le balenarono allamente vaghi pensieri di incendio, mariuscì a reprimerli considerandone lavanità.

Attraversò la stanza, per qualcheistante si fermò indecisa accantoall'uscio, poi cavò il coltello dalla tascadella vestaglia e serrò la mano destrasull'impugnatura di legno.

Aprì la porta.Il breve corridoio che portava al

loro alloggio era deserto. Le fiaccoleelettriche alle pareti erano tutte accese aintervalli regolari, facendo risaltare ilfondo blu e il disegno sinuoso, intricatodel tappeto.

(Vedi? Non ci sono babau, qui.)(No, certo che no. Vogliono che tu

esca. Vogliono che tu faccia qualcosa distupido e prettamente femminile, e delresto è proprio quello che stai facendo.)

Esitò di nuovo, dolorosamentecombattuta, non volendo lasciare Dannye la sicurezza dell'appartamento, e altempo stesso bisognosa di accertarsi cheJack fosse ancora rinchiuso al sicuro.

(Certo che lo è.)(Ma le voci!)(Non ci sono state voci. Solo la tua

immaginazione. Era il vento.)"Non era il vento."Il suono della sua voce la fece

trasalire, ma l'assoluta convinzione concui aveva parlato la indusse ad avanzarelungo il corridoio. I suoi nervivibravano come corde tese.

Giunse all'angolo del corridoioprincipale e si affacciò a sbirciare, la

mente preparata a qualsiasi cosa.Nulla.Dopo un attimo di esitazione girò

l'angolo e imboccò il corridoioprincipale. Raggiunse le scale e posò lamano sul freddo pilastro all'inizio dellabalaustra. C'erano diciannove ampiscalini per scendere nell'atrio: li avevacontati infinite volte. Diciannove gradinicoperti dalla passatoia, e neppurel'ombra di Jack che vi stesse acquattato.Logico: Jack era chiuso nella dispensa,dietro un solido catenaccio d'acciaio euna spessa porta di legno.

Ma l'atrio era deserto, immerso nellapenombra.

Il cuore le pulsava ritmicamente esordamente in gola.

Più in là, un po' sulla sinistra, losbadiglio di ottone dell'ascensore laguardava beffardo, invitandola a entrareper un viaggio indimenticabile.

(No, grazie)L'interno della cabina era adorno di

festoni di carta crespata bianca e rosa.Una pioggia di coriandoli si erariversata da due involucri tubolari. Infondo, nell'angolo di sinistra, giacevauna bottiglia vuota di champagne.

Wendy avvertì un movimento sopradi lei e si girò a guardare su per idiciannove scalini che portavano alpianerottolo buio del secondo piano, manon vide nulla; eppure ebbe lasgradevole sensazione di captare con la

coda dell'occhio la presenza di cose(cose)che si fossero rintanate nelle tenebre

più fitte del corridoio là sopra, appenaprima che i suoi occhi potesseroscorgerle.

Tornò a esplorare con lo sguardo lascala ai suoi piedi.

(Dove si svolge la festa? Nonlasciatevi spaventare da me, branco dilenzuola ammuffite! Non da una donnasola e spaventata, anche se armata dicoltello! Suvvia, un po' di musica quaintorno! Coraggio, un po' di vita!)

Scese dieci gradini, dodici, tredici.La luce del corridoio del primo

piano lasciava piovere un deboleriflesso giallognolo, e Wendy ricordò

che avrebbe dovuto accendere le lucidell'atrio o accanto all'ingresso dellasala da pranzo o nell'ufficio deldirettore.

Ma c'era una luce che proveniva daun'altra direzione, bianca e smorzata.

I tubi fluorescenti, naturalmente. Incucina.

Indugiò sul tredicesimo scalino,sforzandosi di ricordare se li avessespenti o lasciati accesi quando lei eDanny erano usciti. Non riuscivaassolutamente a ricordarsene.

Sotto di lei, nell'atrio, sedie dall'altoschienale si profilavano massicce inpozze d'ombra. I vetri delle portedell'atrio erano resi bianchi e opachi da

una coltre uniforme di neve ammassata.Le capocchie di ottone dei cascini deldivano baluginavano appena, simili agliocchi fosforescenti di un gatto. C'eranocentinaia di posti dove nascondersi.

Continuò a scendere, le gambeirrigidite dalla paura.

Diciassette, diciotto, diciannove.(Pianterreno, signora. Faccia

attenzione a uscire.)Le porte del salone da ballo erano

spalancate. Sebbene fosse buio pesto neproveniva un ticchettio frenetico eregolare, simile a quello di una bomba aorologeria. Wendy s'irrigidì, poi ricordòl'orologio sulla mensola del camino,l'orologio sotto la campana di vetro.Jack o Danny dovevano averlo

caricato... o magari si era caricato dasolo, come ogni altra cosa all'Overlook.

Si volse in direzione del banco dellaportineria, con l'intenzione di varcare ilcancelletto e attraversare l'ufficio deldirettore per raggiungere la cucina. Daun luccichio d'argento opaco localizzò ilvassoio di quello che sarebbe dovutoessere il loro pranzo.

Poi l'orologio prese a scandire leore, lievi note argentine.

Wendy s'irrigidì, premendo la linguacontro il palato. Poi si rilassò. Battevale otto, tutto qui. Le otto.

...cinque, sei, sette. .Contò i rintocchi. A un tratto le

parve un errore avviarsi di nuovo prima

che l'orologio non avesse taciuto....otto. . nove. .(?? Nove ??)... dieci... undici...Di colpo, con troppo ritardo,

comprese. Fece dietrofront, tentandogoffamente di raggiungere la scala.

Ma come avrebbe potuto saperlo,prima?

Dodici.Nel salone da ballo tutte le luci si

accesero. Echeggiò un fragoroso,stridulo accordo di ottoni. Wendy lanciòun urlo, ma la potenza del suo grido siperse nel frastuono che usciva da queipolmoni di metallo.

"Giù la maschera!"si udì echeggiare."Giù la maschera! Giù la maschera!"

Poi svanirono, come in un lungocorridoio temporale, abbandonandola dinuovo nella sua solitudine.

No, non sola.Si volse e lo vide avanzare verso di

lei.Era Jack. E al tempo stesso non era

lui. Negli occhi gli ardeva una lucevacua, omicida. La bocca, a lei cosìfamiliare, era piegata in un ghignotremulo, senza gioia.

Brandiva la mazza da roque."Credevi di avermi chiuso là dentro,

vero? È questo che credevi di fare?"La mazza sibilò nell'aria. Wendy

indietreggiò, inciampò in unpoggiapiedi, cadde sul tappeto

dell'atrio."Jack...""Troia," bisbigliò lui. "Lo so cosa

sei: una puttana."La mazza tornò ad abbattersi con

sibilante, letale rapidità e le si affondònello stomaco tenero. Wendy urlò,sommersa da un oceano di dolore. Conocchi annebbiati vide la mazzasollevarsi un'altra volta.

Volle gridare ancora, implorarlo dismetterla per amore di Danny, ma lemancò la forza. Riuscì a malapena aemettere un debole lamento, che non eraneppure un suono vero e proprio.

"Ora. Ora, perdio," ghignò Jack.Scansò con un calcio il poggiapiedi."Credo proprio che adesso prenderai la

purga."La mazza si abbatte su di lei. Wendy

rotolò verso sinistra, con la vestagliache le si impigliava alle ginocchia. Jacksi lascio sfuggire lamazza, che si abbattésul pavimento. Dovette chinarsi araccoglierla e, mentre lo faceva, Wendycorse verso le scale, il respiro chefinalmente tornava a uscirle in rantolirochi. Il suo stomaco eraun'ammaccatura di pulsante dolore.

"Troia," imprecò Jack, senzasmettere di ghignare. "Schifosa troia, tibeccherai quello che ti spetta, sai?"

Wendy udì la mazza sibilarenell'aria e poi avvertì un'esplosione disofferenza al fianco destro, quando la

testa della mazza la colse appena sotto ilseno, spezzandole due costole. Caddebocconi sui gradini. E tuttaviaistintivamente rotolò su se stessa,scansandosi, e la mazza le sibilò accantoalla guancia, mancandola di un soffio,abbattendosi sulla folta passatoia dellescale con un tonfo attutito. Fu allora cheWendy vide il coltello, che cadendo leera sfuggito di mano. Giacevascintillante sul quarto gradino.

"Troia," ripeté Jack. La mazza calò.Wendy si arrampicò su per la scala e lamazza la colpì proprio sotto la rotula. Ilsangue prese a scorrerle lungo ilpolpaccio. Ed ecco che la mazza tornavaa calare.

Con mossa rapida Wendy scansò il

capo e la mazza si abbatté nel gradino,nello spazio tra il collo e la spalla,asportandole un lembo di carnedall'orecchio.

Jack calò un'altra volta la mazza equesta volta Wendy si rotolò verso dilui, giù per i gradini, sotto l'arco dellaparabola discendente. Un grido le sfuggìquando batté e sfregò le costolefratturate. Piombò con tutto il peso delcorpo contro le gambe di Jack, e luicrollò all'indietro con un urlo di rabbiae di sorpresa, dimenando i piedi per nonperdere il punto d'appoggio sul gradino.Poi crollò a terra, mentre la mazza glivolava di mano. Si rizzò a sedere,fissandola per un attimo con occhi

stupefatti."Ti ammazzerò, ti ammazzerò!"

urlava.Si rotolò e si protese ad afferrare

l'impugnatura della mazza. Wendy sicostrinse a rimettersi in piedi.

La gamba sinistra le rinviava fittelancinanti fino al fianco. Aveva il voltodi un pallore cereo, ma deciso. Glipiombò sulla schiena, mentre la mano diJack si chiudeva sull'impugnatura dellamazza da roque.

"Dio, Dio, Dio!" urlò all'atrio colmod'ombre dell'Overlook, e affondò ilcoltello da cucina fino al manico nellereni di Jack.

Lui s'irrigidì sotto di lei, poi lanciòun grido. Wendy si disse che non aveva

mai udito un suono così orribile in vitasua; era come se le assi e le finestre e leporte dell'albergo avessero urlato tutteassieme.

E l'urlo parve prolungarsi all'infinitomentre Jack se ne restava immobile sottoil peso di Wendy.

Dietro, sulla camicia di flanella ascacchi rossi e neri, gli si andavaallargando una macchia più scura, zuppadi sangue.

Poi Jack crollò bocconi,disarcionandola proprio sul fiancodolente. Le sfuggì un gemito straziante.

Wendy giacque immobile perqualche istante, respirando a fatica. Eraun groppo lancinante di dolore.

Ogni volta che inspirava, qualcosala trafiggeva con maligna violenza. Ilcollo era bagnato di sangue che lecolava dall'orecchio escoriato.

Si sentiva solo il suono del suorespiro affannoso, e il vento, el'orologio che ticchettava nel salone daballo.

Finalmente si costrinse a rialzarsi ezoppicando si avviò verso le scale.Prese a salire, facendo leva sulla gambasana e aggrappandosi con le braccia alcorrimano.

(Avanti Wendy avanti vecchia miachiuditi una porta alle spalle e poi potraidare un'occhiata ai danni ancora tredicigradini non va poi così male. E quando

raggiungerai il corridoio di sopra potraistrisciare. Ti do il permesso.)

Inspirò quanta aria le consentironole costole fratturate e con sforzoindicibile continuò a salire.

Si trovava sul nono, quasi a metàscala, quando dietro e sotto di lei si levòla voce di Jack. "Troia. Mi haiammazzato," disse con voce malferma.

Sconvolta dal terrore, si volse evide Jack che lentamente si rimetteva inpiedi.

Teneva la schiena piegata, e Wendyne vide sporgere il manico del coltelloda cucina. Sembrava che gli occhi gli sifossero contratti, perduti nelle pallide,flosce pieghe della pelle che licircondava. Nella sinistra stringeva

mollémente la mazza da roquedall'estremità insanguinata. Quasi alcentro aderiva un frammento della suavestaglia di spugna rosa.

"Ti darò la purga," bisbigliò Jack, es'avviò traballando alle scale.

Gemendo di paura, Wendyricominciò a trascinarsi di sopra. Diecigradini, dodici, tredici. Ma ancora ilcorridoio del primo piano le parevalontanissimo sopra di lei comeun'irraggiungibile vetta. Ora ansimava, eil fianco urlava la sua protesta. I capellile ondeggiavano in una massascarmigliata, scomposta. Il sudore lebruciava gli occhi. Il ticchettiodell'orologio nel salone da ballo

sembrava invaderle le orecchie, e glifaceva da contrappunto l'ansitoaffannoso, sofferente di Jack cheprendeva a salire le scale.

51Larry Durkin era un tipo alto e

magro con una faccia lugubre sovrastatada una lussureggiante criniera di capellirossi. Hallorann l'aveva sorpresoproprio mentre si accingeva a lasciare lastazione di servizio della Conoco, ilvolto lugubre affondato nella giacca avento militare. Si mostrò restio a parlareancora di affari, in quel giorno di bufera,e ancor più riluttante a noleggiare unodei suoi gatti delle nevi a quel negrodallo sguardo allucinato che insisteva a

voler salire al vecchio Overlook. Tra lagente che aveva passato la maggior partedella sua vita a Sidewinder, l'albergogodeva di una pessima reputazione.

Troppi delitti erano stati consumatilassù. Per un certo periodo quel postoera stato gestito da una banda digangster, e per un altro periodo era statogestito da un branco di tagliagole che sispacciavano per uomini d'affari.

Ma quando Hallorann pronunciò ilnome di Howard Cottrell e mostrò aDurkin l'etichetta cucita all'interno dellemuffole blu, il proprietario deldistributore assunse un tono piùcordiale.

"L'ha mandato da me, eh?" chieseDurkin, aprendo una delle saracinesche

del garage, e pilotò Hallorannall'interno. "Fa piacere sapere che quelvecchio furfante ha ancora un po' di salein zucca.

Credevo che non gliene fosserimasto nemmeno un pizzico." Fecescattare un interruttore e una fila di tubifluorescenti decrepiti e polverosi siaccese con un sordo ronzio. "Ora, checosa diavolo ci andrebbe a fare lassù inquel posto, amico?"

I nervi di Hallorann avevanocominciato a cedere. Gli ultimichilometri per raggiungere Sidewindererano stati disastrosi. Una volta unaraffica di vento che doveva soffiare apiù di cento all'ora aveva investito in

pieno la Buick costringendola a untestacoda. Per giunta c'erano ancoraparecchi chilometri da percorrere, e Diosolo sapeva che cosa l'aspettava, allafine. Era terrorizzato per il bambino.Erano quasi le sette meno dieci, ed eccoche si trovava ad affrontare ancora unavolta la solita solfa.

"C'è qualcuno nei guai, lassù,"rispose con estrema cautela. "Il figliodel guardiano."

"Chi? Il bambino di Torrance? Inche razza di guai potrebbe essersicacciato?"

"Non lo so," borbottò Hallorann.Non tollerava l'idea di perdere tutto queltempo. Parlava con un campagnolo, esapeva che tutti i campagnoli hanno lo

stesso bisogno di trattare gli affari inmodo un po' evasivo, di annusaretutt'intorno ai bordi e agli angoli primadi tuffarsi nel vivo della trattativa. Manon c'era tempo, perché adesso lui eraun negro spaventato e se la faccenda siprolungava ancora per un po', tantovaleva che decidesse di darsela agambe.

"Senta," disse. "La prego. Hobisogno di andare lassù e per arrivarcimi serve un gatto delle nevi. Le pagheròquanto vuole, ma per l'amor di Dio,lasci che me la sbrighi a modo mio!"

"E va bene," si convinse Durkin,impassibile. "Se Howard l'ha mandatoda me, a me sta bene. Prenda questo

Arctic Cat. Metterò cinque galloni dibenzina nella tanica. Il serbatoio èpieno. Dovrebbe bastare per il percorsodi andata e di ritorno."

"Grazie," disse Hallorann, esitante."Le costerà venti dollari. Compreso

il carburante." • Hallorann frugò nelportafogli e ne estrasse una banconotada venti dollari, che porse a Durkin.Questi se la infilò in una delle taschedella camicia, senza degnarla di unosguardo.

"Sarà meglio scambiarci le giacche,"disse Durkin, sfilandosi la giacca avento. "Quel suo pastrano non varràniente stanotte. Me la restituirà quandomi riporterà la slitta."

"Ehi, ehi, potrei anche non..."

"Non stia a discutere con me," lointerruppe Durkin, in tono ancorablando. "Non ho intenzione dipermetterle di morire assiderato. Iodevo solo fare due isolati e mi metterò acena. Coraggio, me lo dia."

Un po' inebetito, Hallorann scambiòil cappotto con la giacca a ventofoderata di pelliccia di Durkin.

Sulle loro teste i tubi fluorescentironzavano appena, ricordando aHallorann le luci della cucinadell'Overlook.

"Il bambino di Torrance," disseDurkin, e scosse il capo. "Un belpulcino, eh? Lui e il suo papà venivanoqui spesso prima che la neve

cominciasse a fare sul serio. Colfurgoncino dell'albergo, per lo più. Mi èsembrato che quei due fossero legaticome più non si potrebbe. Quello sì, cheè un bambino che vuol bene al suo papà.Spero che stia bene."

"Lo spero anch'io." Hallorann tirò lacerniera lampo della giacca a vento eallacciò il cappuccio.

"Adesso l'aiuto a spingerlo fuori,"disse Durkin. Fecero scorrere il gattodelle nevi sull'impiantito di cementomacchiato d'olio e verso la saracinescadel garage. "Ha mai guidato uno diquesti, prima d'ora?"

"No.""Be', non è difficile. Le istruzioni

sono incollate al cruscotto, ma le uniche

manovre sono l'arresto e la messa inmoto. La leva del cambio è qui, ugualeal cambio di una motocicletta. Il freno èdall'altra parte. Lo usi, in curva. Questotrabiccolo può andare oltre i cento, sullaneve ghiacciata, ma con questa nevefarinosa non riuscirà a fare più diottanta, ed è già molto."

Ora si trovavano sullo spiazzocoperto di neve antistante la stazione diservizio, e Durkin aveva alzato la voceper farsi sentire, nonostante il muggitodel vento. "Si tenga al centro dellastrada!" gridò all'orecchio di Hallorann."Tenga d'occhio i paletti del guardrail ei cartelli stradali e sarà a posto, direi.

Se esce di strada è bell'e morto.

Capito?"Hallorann annuì."Un momento!" gli disse Durkin, e

tornò di corsa nel garage.Mentre era via, Hallorann girò la

chiavetta dell'accensione e smanettò sulcambio. Il motore si avviòtossicchiando, asmatico.

Durkin tornò con un passamontagnarosso e nero.

"Se lo metta sotto il cappuccio!"urlò. "Le do un fucile, se lo vuole."

"Grazie, ma non mi servirebbe,"gridò di rimando Hallorann.

"È lei il capo. Ma se prende con séquel bambino, lo porti in Peach Lane, al16. Mia moglie terrà la minestra incaldo."

"D'accordo. Grazie di tutto.""Faccia attenzione, si tenga al centro

della strada!"Hallorann annuì e girò lentamente la

manopola del cambio. Il gatto delle nevisi mosse ronfando, mentre il faroproiettava un cono di luce nella neve.Hallorann vide la mano levata di Durkinnello specchietto retrovisore, e levò lasua in risposta. Poi piegò il manubrio asinistra e imboccò la Main Street insalita, col gatto delle nevi cheprocedeva agevolmente nella lucebianca proiettata dai lampioni. Iltachimetro segnava cinquanta all'ora.Erano le sette e dieci. All'Overlook,Wendy e Danny dormivano e Jack

Torrance discuteva di questioni di vita edi morte col guardiano che l'avevapreceduto.

Dopo cinque isolati, i lampionicessarono. Per un chilometro sfilaronopiccole case con le porte e le finestresprangate per difendersi dalla bufera, epoi soltanto tenebre trafitte dall'urlo delvento. A ritrovarsi ancora una volta nelbuio pesto, senza altra luce all'infuoridella sottile lancia del faro del gattodelle nevi, tornò a gravargli addosso ilterrore, una paura infantile, tetra escoraggiante. Non si era mai sentito cosìsolo. Per parecchi minuti, mentre lepoche luci di Sidewinderrimpicciolivano e svanivano nellospecchietto retrovisore, l'impulso di fare

dietrofront e tornare indietro gli parvequasi invincibile. Rifletté sul fatto cheDurkin, nonostante l'interesse mostratoper il bambino di Jack Torrance, non siera offerto di prendere l'altro gatto dellenevi e di accompagnarlo.

(Quel posto gode di pessima fama,da queste parti.)

Stringendo i denti, girò un po' di piùla manopola del cambio e osservò l'agodel tachimetro salire oltre i sessanta efermarsi sui settanta. Gli pareva diprocedere a velocità folle, e tuttaviatemeva di non andare abbastanza infretta. A quella velocità, gli ci volevaalmeno un'ora per arrivare all'Overlook.

Teneva gli occhi incollati ai

paracarri che gli scorrevano accanto e aicatarifrangenti delle dimensioni di unamonetina posti sulla sommità diciascuno di essi. Molte colonnine eranosepolte sotto la neve alta. Ben due voltegli accadde di scorgere i cartellisegnaletici che annunciavano una curvacon pericoloso ritardo, di sentire il gattoinerpicarsi sui cumuli di neve chenascondevano il precipizio prima disterzare e riportarsi su quella ched'estate era la carreggiata. Ilcontachilometri scandiva i chilometricon scatti di una lentezza esasperante:cinque, dieci, quindici.

(Sarei pronto a sborsare centodollari per un paio di calzoni da sci.) Aogni chilometro, il suo terrore

aumentava: come se in quel postoaleggiasse un'atmosfera avvelenata chesi addensava a mano a mano che ci siandava avvicinando. Sentiva ancora lavoce che l'aveva quasi spacciato alleporte di Sidewinder, che tentava ancoradi penetrare, di superare le sue difeseper affondarglisi nella tenera carne. Seera stata così forte a quaranta chilometridi distanza, quanto più forte sarebbestata ora? Non riusciva a sottrarsi deltutto. Una parte di essa si stavainsinuando, gli dilagava nel cervello consinistre immagini subliminoli. Andavafacendosi sempre più chiara l'immaginedi una donna gravemente ferita in unbagno, che levava invano le mani per

proteggersi da un colpo, e Hallorannsentiva sempre più chiaramente che ladonna doveva essere...

(Gesù, attento!)Il muro di neve incombeva davanti a

lui. Sbadatamente, gli era sfuggito uncartello stradale. Con gesto brusco edeciso piegò il manubrio del gatto dellenevi verso destra, e il veicolo girò,inclinandosi. Da sotto salì l'asprorumore raschiante del pattino contro laroccia. Hallorann pensò che il gattodelle nevi l'avrebbe disarcionato, e ineffetti oscillò in bilico sulla lama dicoltello dell'equilibrio prima diriadagiarsi, per metà scorrendo, permetà slittando, sulla superficie più omeno livellata della carreggiata sepolta

sotto la neve. Poi ebbe di fronte ilprecipizio, e il faro mostrava la bruscainterruzione della coltre di neve e, al dilà, le tenebre. Girò il gatto delle nevinell'altra direzione, col cuore che glipulsava in gola provocandogli un sensodi nausea.

(Tienilo in strada Dicky vecchiomio.)

Si costrinse a imprimere un altrocolpo deciso alla manopola del cambio.Ora il tachimetro indicava quasi ottantaall'ora. Il vento gemeva, ruggiva. Il farosondava le tenebre.

Dopo un lasso di tempoinestimabile, affrontò una curvafiancheggiata da un alto muto di neve e

scorse dinanzi a sé un fioco barlume diluce. Lo intravide solo per un attimo, epoi fu cancellato da un dosso.

La visione fu così fuggevole, cheHallorann si stava quasi convincendoche si era trattato di un pio desiderio,quando a un'altra curva tornò visibile, unpo' più vicino, per qualche altro istante.Questa volta la sua esistenza era fuoridiscussione; Hallorann l'aveva già vistoun sacco di volte da quella stessaangolazione. Era l'Overlook. A quantopareva le luci erano accese alpianterreno e al primo piano.

Il gatto delle nevi imboccò consicurezza la prima metà di una curva a Sche ora Hallorann ricordavaesattamente, metro per metro, e fu allora

che il faro illuminò in pieno (oh gesùcaro dio e quello che cos'è)

l'ostacolo che gli sbarrava la strada.Stagliantesi in secchi contorni bianchi eneri. Hallorann sulle prime credette divedere un orrendo enorme lupo dellaforesta spinto a valle dalla bufera. Poi,mentre gli si avvicinava, lo riconobbe el'orrore gli bloccò la gola.

Non un lupo ma un leone. Un leonefatto di arbusti.

I suoi tratti erano una mascherad'ombra nera e neve farinosa, i fianchitesi e pronti a spiccare il balzo.

E infatti scattò, con la neve cheturbinava fluttuando attorno alle zampeposteriori, galoppanti in una silenziosa

esplosione di cristalli lucenti.Hallorann urlò e girò seccamente il

manubrio verso destra, abbassandocontemporaneamente la testa perproteggersi. Un dolore graffiante,lacerante gli percorse il viso, il collo, lespalle. Il passamontagna vennesquarciato sulla nuca. Hallorann fuscaraventato lontano. Atterrò sulla neve,vi annaspò, rotolò.

Lo sentiva venirgli addosso. Nellenarici avvertiva un sentore amarognolodi foglie verdi e di agrifoglio.Un'enorme zampa di verzura gli siabbatté sulle reni, e Hallorann fuscagliato in aria per tre metri, come unabambola di pezza. Vide li gatto dellenevi, senza guida, che andava a sbattere

contro il muro di neve e s'impennava, ilfaro che frugava il cielo. Il veicoloricadde con un tonfo e giacqueimmobile.

E poi il leone di verzura gli fuaddosso. Si udì un crepitio, un fruscio.

"Non esisti!" urlò Hallorann al leoneche si aggirava ringhiando. "Non esistinel modo più assoluto!"Si rimisefaticosamente in piedi e riuscì a copriremetà della distanza che lo separava dalgatto delle nevi prima che il leone glipiombasse addosso, calandogli sul capouna zampa dagli artigli affilati comeaghi. Hallorann vide una silenziosaesplosione di luci.

"Non esisti," ripeté, ma fu soltanto

un debole borbottio. Gli si piegarono leginocchia e crollò nella neve. Strisciòverso il gatto delle nevi, con la guanciadestra solcata da uno squarciosanguinante. Il leone lo colpì di nuovo,facendolo rotolare sul dorso come unatartaruga.

Hallorann lottò per raggiungere ilgatto delle nevi. Ciò di cui avevabisogno era lì. Ma il leone gli fu dinuovo addosso, squarciando eartigliando.

52

WENDY E JACK

Wendy arrischiò un'altra occhiataalle spalle. Jack si trovava sul sestogradino, aggrappato al corrimano né piùné meno come lei. Un filo di sanguescuro gli colava lentamente dalle labbrapiegate nel sogghigno e scivolava lungola linea della guancia. Le mostrava identi con aria feroce.

"Ti spacco la testa. Cristo, se te laspacco." Riuscì a montare sul gradinosuccessivo.

Il panico la spronò, e il dolore alfianco scemò un tantino. Si trascinò su

più in fretta che poté, dimentica deldolore, aggrappandosi con maniconvulse al corrimano. Arrivò in cima esi girò a guardare.

Si sarebbe detto che Jackacquistasse sempre più forza. Era aquattro gradini soltanto dal pianerottolo,e misurava la distanza con la mazza datoque che stringeva nella sinistra mentrecon la destra si aiutava a salire.

"Ti ho quasi preso," ansò tra lelabbra ghignanti e insanguinate, quasi leavesse letto nel pensiero. "Ti ho quasipreso, ormai, brutta puttana. E ho qui lapurga che ti ci vuole."

Wendy fuggì giù per il corridoio,premendosi le mani sul fianco.

La porta di una delle camere sispalancò di colpo e apparve un uomocon una maschera verde da demone sulvolto. "Che bella festa, eh?"le urlò infaccia, e tirò lo spago di un rotolo distelle filanti.

Echeggiò un rimbombo eall'improvviso Wendy sì trovòcircondata da festoni di carta crespatache ondeggiavano nell'aria. L'uomo conla maschera da demone ridacchiò e siritirò sbattendo la porta.

Wendy cadde bocconi sul tappeto.Vagamente, udì l'ascensore rimettersi inmoto, e sotto le dita aperte le parve cheil disegno del tappeto si muovesse,dilatandosi e contorcendosi con moto

serpeggiante.La mazza si abbatté alle sue spalle, e

Wendy si gettò in avanti, singhiozzando.Da sopra la spalla vide Jack avanzarebarcollando, perdere l'equilibrio ecalare la mazza un istante prima distramazzare sul tappeto, inondandolocon un rosso fiotto di sangue.

La testa della mazza la colpì proprioin mezzo alle scapole, e per un attimo lasofferenza fu tale che non poté far altroche dimenarsi in preda a un motoinconsulto, aprendo e chiudendo le mani.Qualcosa era scattato dentro di lei:l'aveva udito chiaramente, ed ebbe lavaga, confusa percezione di esseresemplicemente spettatrice di tutto ciòche accadeva, e di assistervi attraverso

un tenue velo di garza.Poi tornò a essere del tutto

cosciente, e con la lucidità siriacutizzarono il terrore e il dolorefisico.

Jack tentava di rimettersi in piedi inmodo da portare a termine l'impresa.

Wendy cercò invano di rialzarsi.Prese a strisciare facendo forza sulfianco. Jack la inseguiva, trascinandosi afatica, servendosi della mazza da roquecome di una stampella o di un bastone.

Wendy raggiunse l'intersezione deidue corridói e si trascinò oltre l'angolo,aggrappandosi con le mani allo spigolodel muro. Il terrore si accentuò: nonl'avrebbe mai creduto possibile, e

tuttavia era così. Era cento volte peggionon essere in grado di vederlo o disapere in che misura si andasseavvicinando.

Strappò manciate di pelo dal tappetotrascinandosi avanti, e giunse a metàdella breve diramazione prima diaccorgersi che la porta della camera daletto era spalancata.

(Danny! Oh, Gesù)Si costrinse a sollevarsi sulle

ginocchia e poi artigliò il muro perrimettersi in piedi, ma le ditascivolavano sulla tappezzeria di seta.Varcò la soglia, per metà camminando,per metà barcollando.

Urtò contro lo spigolo delcassettone, vi si aggrappò e protese la

mano al battente della porta."Non chiudere quella porta!" urlò

Jack. "Maledizione, non permetterti dichiuderla!"

Lei la chiuse di scatto e la sprangòcol chiavistello. Con la mano sinistratastò freneticamente le cianfrusagliesparse sul ripiano del cassettone,facendo cadere sul pavimento lemonetine che si sparsero in giro. La suamano afferrò il mazzo di chiavi nelmomento stesso in cui la mazza siabbatteva sibilando contro la porta,facendola tremare nell'intelaiatura. Infilòla chiave nella toppa al secondotentativo e la girò verso destra. Alloscatto della serratura, Jack lanciò un

urlo. La mazza calò di nuovo sulla portain una raffica di colpi rimbombanti chefecero trasalire e indietreggiare Wendy.

Come poteva riuscirci con uncoltello piantato nella schiena?

E tuttavia si voltò. Lei e Dannyavrebbero dovuto rifugiarsi nel bagnoattiguo e sprangare anche la porta, nelcaso che Jack fosse riuscito ad abbatterequella della camera da letto. L'idea difuggire col montacarichi le balenòfuggevole in un folle impulso, ma poi larespinse. Danny era abbastanza piccoloda passare per il vano, ma lei nonsarebbe stata in grado di maneggiare adovere la corda. Il bimbo avrebbe corsoil rischio di precipitare sul fondo.

Non restava che il bagno. E se Jack

riusciva a penetrare anche là...Ma non si permise di pensarci."Danny, tesoro, svegliati e..."Il letto era vuoto.Quando si era addormentato di un

sonno più profondo, lei gli aveva gettatosopra le coperte e una delle trapunte.Ora, erano scostate.

"Vi beccherò!" urlò Jack. "Vibeccherò tutti e due!" Una parola sì euna no era contrappuntata da un colpodella mazza; e tuttavia Wendy ignoròentrambe le cose. La sua attenzione eraconcentrata su quel letto vuoto.

"Vieni fuori! Apri questa dannataporta!"

"Danny?" bisbigliò Wendy.

Ma certo... quando Jack l'avevaassalita. Era arrivato fino a lui, esitoevidente di tutte le emozioni violente.Forse l'intera situazione gli era balenatain un incubo.

Si lasciò cadere in ginocchio,trapassata da un'altra dolorosissima fìttaalla gamba gonfia e sanguinante, eguardò sotto il letto. Niente.

Jack la chiamò per nome urlando, equesta volta, quando calò la mazza, unalunga scheggia di legno si staccò dallaporta e rimbalzò rumorosamentesull'assito.

Wendy si rimise in piedi,aggrappandosi al letto, e zoppicandoattraversò la stanza in direzione

dell'armadio."Danny?"Scostò freneticamente gli indumenti

appesi; alcuni scivolarono dalle gruccee caddero a terra. Di Danny nessunatraccia.

Si avviò zoppicando verso il bagnoe quando giunse alla porta si guardò allespalle. La mazza trapassò un'altra voltail battente; poi apparve una mano checercava a tentoni il chiavistello. Wendysi accorse inorridita che il mazzo dichiavi di Jack era rimasto infilato nellatoppa.

La mano diede un violento strattoneal chiavistello, facendo tintinnare ilmazzo di chiavi. La mano le afferròvittoriosa.

Con un singhiozzo, Wendy sitrascinò nel bagno e chiuse l'uscio nelmomento stesso in cui la porta dellacamera da letto si spalancava conviolenza e Jack irrompeva con un urlo dicollera e di trionfo.

Wendy fece scorrere il chiavistello egirò la serratura a scatto, guardandosiattorno disperata. Il bagno era deserto.Danny non c'era. E quando intravide lapropria faccia insanguinata e sconvolta,riflessa nello specchio dell'armadiettodei medicinali, se ne sentì quasi lieta.Non aveva mai ammesso che il bambinofosse testimone dei piccoli litigi tragenitori. E forse quell'essere scatenatoche ora imperversava in camera da letto,

rovesciando e fracassando oggetti,finalmente sarebbe crollato inerte, primadi scatenare la caccia a suo figlio.

Diede una rapida quanto vanaocchiata alle lucide superfici diporcellana del bagno, in cerca di unoggetto qualsiasi che potesse servire daarma.

Si udì il fracasso del giradischirovesciato, seguito da uno schiantocavernoso nell'attimo in cui venivainfranto lo schermo del televisore diseconda mano, il tintinnio dei vetri dellafinestra accompagnato da uno spifferogelido che s'insinuò sotto la porta delbagno. Poi ci fu un tonfo sordo, quando imaterassi vennero strappati dai lettigemelli nei quali avevano dormito

insieme, fianco contro fianco.Rimbombi, quando Jack batteva senzadiscernimento la mazza contro le pareti.

Non c'era nemmeno l'ombra del veroJack in quella voce ululante, lagnosa etuttavia arrogante. Di volta in voltapiagnucolava in tono diautocommiserazione e si alzava in urlasinistre.

La mazza si abbatté sulla porta delbagno aprendovi una fenditura e apparveun viso stravolto dalla follia. La bocca,le guance, la gola erano impiastricciatedi sangue.

"Non puoi più scappare, eh, bruttastronza?" le alitò addosso, le labbrasogghignanti. La mazza calò di nuovo,

facendo volare schegge di legno nellavasca e contro l'anta di specchiodell'armadietto dei medicinali.

(!L'armadietto dei medicinali!)Un gemito disperato le sfuggì dalle

labbra mentre si voltava, dimentica perun attimo della sofferenza fisica, etrascinava verso di sé lo specchiodell'armadietto. Si mise a frugareall'interno. Alle sue spalle, quella voceroca sbraitò: "Ecco che arrivo! Ecco chearrivo, maledetta schifosa!"

Flaconi e vasetti caddero sotto lesue dita che cercavano con mossespasmodiche: sciroppo per la tosse,vaselina, shampoo Clairol alle erbe,acqua ossigenata, benzocaina cadderofrantumandosi nel lavabo.

La sua mano si serrò sull'astuccio dilamette nell'attimo in cui udì di nuovo lamano che cercava a tentoni ilchiavistello e la serratura a scatto.

Con mani tremanti, sfilòdall'astuccio una delle lamette, il respiroche le usciva in piccoli rantoli aspri.

Si era tagliata il polpastrello delpollice. Si voltò di scatto e calò lalametta sulla mano, che aveva già giratola serratura e ora stava tastando in cercadel chiavistello.

Jack lanciò un urlo. La mano siritrasse di scatto.

Ansante, la lametta premuta fra ilpollice e l'indice, Wendy attese cheritentasse. Lo fece. Lui lanciò un altro

urlo, tentando di afferrarle la mano, e leitornò a tagliarlo. La lametta le si girònella mano, producendole un altrotaglio, e cadde sul pavimento dipiastrelle accanto al gabinetto.

Wendy fece scivolar fuori un'altralametta dall'astuccio e attese.

Movimento nell'altra stanza...(?se ne andava?)E un rumore che entrava dalla

finestra della camera da letto. Unmotore. Un ronzio acuto, da insetto.

Un ruggito di rabbia di Jack e poi...sì, sì, ne era certa... lui usciva dallestanze del guardiano, aprendosifaticosamente un varco tra le rovine eusciva nel corridoio.

(Arrivava qualcuno un ranger Dick

Hallorann?)"Oh, Dio," mormorò con voce rotta.

"Oh, Dio, Dio, ti supplico!"Doveva uscire di lì, ora; doveva

andare a cercare suo figlio in modo chepotessero affrontare fianco a fianco ilresto di quell'incubo. Tese la mano atentoni verso il chiavistello. Aprì laporta, uscì barcollando e fu subitosopraffatta dall'orribile certezza cheJack aveva finto di andarsene; che erasolo una mossa simulata e se ne stava inagguato ad aspettarla.

Wendy volse attorno lo sguardo. Lastanza era deserta, e così pure ilsoggiorno. Masserizie fracassate,dappertutto.

L'armadio? Vuoto.Poi morbide ombre grigie

cominciarono a calare su di lei, eWendy cadde priva di sensi sulmaterasso che Jack aveva strappato dalletto.

53Hallorann raggiunse il gatto delle

nevi rovesciato nel momento stesso incui, a poco più di due chilometri didistanza, Wendy si trascinava oltrel'angolo del corridoio e imboccava labreve diramazione che portavaall'alloggio del guardiano.

Non era il gatto delle nevi cheHallorann voleva, bensì la tanica dibenzina fissata in coda con un paio di

fasce elastiche. Le sue mani, ancorainfilate nelle muffole blu di HowardCottrell, afferrarono la fascia superioree la sganciarono, mentre il leone dellasiepe ruggiva alle sue spalle: un suonoche gli parve echeggiare più nella suatesta che fuori. Una violenta, graffiantezampata alla gamba sinistra, che feceurlare di dolore il ginocchio strattonatoin direzione opposta a quella naturalepermessa dalla giuntura. Un lamentosfuggì dai denti serrati di Hallorann: daun momento all'altro gli sarebbe balzatoaddosso, pronto ad uccidere, stanco digiocare con lui.

Trafficò con le mani in cerca dellaseconda fascia. Un rivolo di sanguevischioso gli colò sugli occhi.

(Ruggito! Zampata!)Poi riuscì a sganciare la seconda

fascia. Si strinse contro il petto la tanicadi benzina mentre il leone tornava allacarica, facendolo stramazzare sul dorso.Lo vide di nuovo, solo un'ombra nelbuio e nella neve turbinante, unapresenza inquietante, sconvolgente.Hallorann svitò il tappo della tanicamentre l'ombra in movimento gli tendeval'agguato, sollevando sbuffi di neve conle zampe. Quando accennò a balzargli dinuovo addosso, il tappo saltò via,liberando l'odore pungente dellabenzina.

Hallorann s'inginocchiò, e nelmomento in cui il leone gli si scagliava

addosso, con scatto agile e fulmineo, loinondò di benzina.

Si udì una specie di sibilosputacchiante, e il leone arretrò.

"Benzina!" gridò Hallorann, convoce stridula. "Ti manderà arrosto,piccolo! Pensaci un momento!"

Il leone spiccò un altro balzofuribondo. Hallorann tornò a inondarlodi benzina, ma questa volta la belva nonsi diede per vinta: caricò a testa bassa.Più che vederla, Hallorann sentì la testadell'animale puntata contro il proprioviso e indietreggiò, evitandola almeno inparte. Il leone riuscì tuttavia a colpirlodi striscio alla parte superiore deltorace, e in quel punto divampò unafiammata di dolore. La benzina uscì

gorgogliando dalla tanica, checontinuava a tenere stretta, e gli inondòla mano e il braccio destro, fredda comela morte.

Ora giaceva supino nell'incavoprofondo che cadendo aveva scavatonella neve, sulla destra del gatto dellenevi, a una decina di passi di distanza. Illeone sbuffante era una massicciapresenza sulla sinistra, e tornava adavanzare.

Coi denti Hallorann si strappò lamuffola di Cottrell dalla mano destra,avvertendo sulla lingua un sapore dilana fradicia e di benzina. Lacerò l'orlodella giacca a vento e affondò la manonella tasca dei calzoni. Sul fondo della

saccoccia, assieme alle chiavi e allemonete, c'era un vecchio accendinoZippo piuttosto malandato. L'avevacomprato in Germania nel 1954. Unavolta la cerniera si era rotta e lui l'avevarestituito alla fabbrica e quelligliel'avevano riparato senza farglipagare un soldo, proprio come diceva lapubblicità.

Un rapido, fuggevole flusso dipensieri sconvolgenti gl'inondò la mente.

(Caro Zippo il mio accendino è statoingoiato da un coccodrillo caduto da unaereo perso nella trincea del Pacifico miha salvato la vita deviando unapallottola dei crucchi nella battagliadelle Ardenne caro Zippo se questofottuto trabiccolo schifoso non funziona

quel leone mi staccherà la testa con unmorso)

L'accendino uscì di tasca. Hallorannne sollevò il cappuccio. Il leone, che glisi precipitava addosso, un ruggito cheparve un rumore asciutto di stoffalacerata, il suo dito che faceva pressionesulla rotella della pietrina,scintilla,fiammella,

(la mia mano)la mano inondata di benzina che

prendeva fuoco, le fiamme cheguizzavano su per la manica della giaccaa vento, niente dolore per il momento, illeone che si ritraeva dalla torcia umanarepentinamente accesasi dinanzi a lui,un'orrida, vacillante scultura di arbusti

con occhi e bocca, che si ritraeva.Troppo tardi.

Trasalendo per il dolore, Halloranngli spinse il braccio in fiamme nelfianco ispido e graffiante.

In un attimo quella mostruosacreatura prese fuoco, esagitato eoscillante rogo sulla neve. Ruggendo dirabbia e di dolore, fuggì zigzagando daHallorann.

Questi affondò il braccio nella neve,spegnendo le fiamme, incapace didistogliere lo sguardo per qualcheistante dallo spettacolo del leone inagonia. Poi, ansando, si tirò in piedi.Una trentina di metri più in basso, illeone di verzura si era tramutato in unapalla di fuoco. Scintille volavano alte

nell'aria portate lontano dal vento.(Non farci caso. Muoviti.)Raccolse la tanica di benzina e si

trascinò fino al gatto delle nevi. Ilmotore, ancora caldo, si accese senzadifficoltà. Hallorann girò la manopolacon mano incerta e si avviò con unaserie di sobbalzi da spezzare l'osso delcollo.

(Dove sono gli altri ammali dellasiepe?)

Non lo sapeva, ma perlomeno non sisarebbe più lasciato cogliere disorpresa.

L'Overlook si profilò davanti a lui, ele finestre illuminate del primo pianoproiettavano sulla neve lunghi rettangoli

gialli. Il cancello ai piedi del vialed'accesso era sprangato, e Hallorannsmontò dal veicolo guardandosi attornocon aria circospetta, pregando Dio dinon aver perso le chiavi quando avevacavato di tasca l'accendino... no,c'erano. Ne scelse una alla luce del farodel gatto delle nevi. La trovò e fecescattare il lucchetto, lasciandolo poicadere nella neve. Lì per lì si disse checomunque non sarebbe riuscito asmuovere il cancello; scavòfreneticamente nella neve che vi siammassava contro, senza curarsi dellatesta che gli pulsava dolorosamente edel timore che uno degli altri leonipotesse strisciargli alle spalle. Riuscì asocchiudere il cancello, s'insinuò

nell'apertura e spinse. Riuscì asmuoverlo di un altro mezzo metro opoco più, lo spazio sufficiente a lasciarpassare il gatto delle nevi, cheintrodusse nel parco.

Si accorse di un certo movimento nelbuio, davanti a sé. Tutti gli animali dellasiepe apparivano raccolti ai piedi delloscalone dell'Overlook, a impedirel'accesso e l'uscita a chiunque. I leoniandavano su e giù. Il cane era fermo, conle zampe anteriori sul primo scalino.

Hallorann girò decisamente lamanopola e il gatto delle nevi balzò inavanti, sollevando nuvole di neve dietrodi sé. Nell'alloggio del guardiano, JackTorrance girò di scatto il capo: aveva

captato il ronzio del motore che siavvicinava, e bruscamente prese adaprirsi faticosamente un varco per farritorno nel corridoio. Quella troia noncontava, ora. Che aspettasse, quellamaledetta puttana. Adesso toccava aquello sporco negro. A quello sporconegro intrigante che veniva a ficcare ilnaso in faccende che non loriguardavano. Prima lui e poi suo figlio.Gliel'avrebbe fatta vedere lui. Gliavrebbe fatto vedere che...

che lui... che lui aveva la stoffa deldirigente!

Fuori, il gatto delle nevi filavasempre più veloce. L'albergo sembravaprecipitarglisi incontro. Il cono di lucedel faro illuminò in pieno il muso del

pastore tedesco, quei suoi occhi vacui esenza orbite.

Poi il cane arretrò, lasciando liberoun varco. Hallorann smanettò sul cambiocon tutta la forza che gli rimaneva, e ilveicolo slittò descrivendo un ampiosemicerchio, sollevando nuvole di neve,minacciando di rovesciarsi. La coda delgatto delle nevi urtò contro la base delloscalone d'ingresso e rimbalzò. Hallorannsmontò in un lampo e corse su per igradini. Inciampò, cadde, fu di nuovo inpiedi.

Il cane ringhiava, di nuovo nella suatesta, appena alle sue spalle. Qualcosagli lacerò la giacca a vento sulla spallae poi, eccolo sotto il porticato, sano e

salvo, ritto nell'angusto passaggio cheJack aveva spalato nella neve. Loroerano troppo grossi per riuscire ainfilarsi lì dentro.

Raggiunse le grandi porte doppieche immettevano nell'atrio, tornò afrugarsi in tasca in cerca delle chiavi.Mentre le afferrava tentò la maniglia,che girò senza alcuna difficoltà. Entrò aprecipizio.

"Danny!" gridò con voce roca."Danny, dove sei?"

Gli rispose soltanto il silenzio.I suoi occhi vagarono per l'atrio fino

ai piedi dello scalone, e un rantolo glisfuggì di bocca. Il tappeto era macchiatoe zuppo di sangue. C'era un lembo dispugna rosa. La traccia di sangue

proseguiva su per le scale. Ne eramacchiato anche il corrimano.

"Oh, Gesù," mormorò e, levando dinuovo la voce: "Danny!DANNY!"

Il silenzio dell'albergo parveprenderlo in giro in un gioco di echi ches'inseguivano, ambigui e obliqui.

(Danny? Chi è Danny? C'è nessunoqui che conosca un certo Danny? Danny,Danny, chi s'è preso il Danny? C'ènessuno che voglia far fare le penitenzeal Danny? Giocare a mosca cieca colDanny?

Vattene di qui, negretto. Non c'ènessuno qui che conosca Danny daitempi di Adamo.) Gesù, ne avevapassate tante, solo per arrivare troppo

tardi? Era già accaduto?Corse su per la scala a due gradini

per volta e si fermò sul pianerottolo delprimo piano. Il sangue portava versol'alloggio del guardiano. L'orrore glis'insinuò piano piano nelle vene e nelcervello, mentre si avviava verso labreve diramazione. Gli animali dellasiepe erano stati una cosa orrenda, maquesto era peggio. In cuor suo era giàsicuro di ciò che avrebbe trovatoquando fosse arrivato là in fondo.

Non aveva fretta di vederlo.Jack si teneva nascosto

nell'ascensore, mentre Hallorann salivala scala. Ora strisciò alle spalle dellafigura imbacuccata nel giacconeincrostato di neve, fantasma striato di

sangue e coaguli col sorriso sul volto.La mazza da roque si levò in aria quantoil tremendo, lacerante dolore allaschiena (quella troia mi ha colpito nonriesco a ricordare?)

glielo permise."Ehi, negro," bisbigliò. "Ti insegno

io a ficcare il naso nelle faccendealtrui."

Hallorann udì il bisbiglio e fece pervoltarsi, per scansarsi, e la mazza daroque si abbatté sibilando. Il cappucciodella giacca a vento non bastò ad attutirela violenza del colpo. Un dolore atrocelancinante poi il nulla.

Barcollò contro la tappezzeria diseta e Jack lo colpi di nuovo, vibrando

il colpo in obliquo con la mazza, efracassando lo zigomo e la maggiorparte dei denti di sinistra di Hallorann,che si afflosciò al suolo.

"Ora," bisbigliò Jack. "Ora, perdio."Dov'era Danny? Doveva fare i conti colfiglio. Quel figlio che gli avevadisobbedito.

Tre minuti più tardi la portadell'ascensore si apriva sbatacchiandosul tenebroso pianerottolo del terzopiano. A bordo c'era soltanto JackTorrance. La cabina si era arrestata amezz'altezza rispetto al piano, e Jackdovette issarsi al livello del corridoio,dimenandosi penosamente come unostorpio. Si trascinò appresso la mazzada roque scheggiata. Jack roteava gli

occhi, furibondo, i capelliimpiastricciati di sangue e di coriandoli.

Suo figlio era di sopra, da qualcheparte. Lo sentiva. Lasciato libero disfogare i suoi capricci, poteva farne diogni genere: imbrattare la sontuosatappezzeria di seta con i pastelli,sfregiare i mobili, rompere i vetri dellefinestre. Era bugiardo e imbroglione edoveva essere punito... severamente.

Jack Torrance si tirò in piedi afatica.

"Danny?" chiamò. "Danny, vieni quiun momento, vuoi? Ne hai combinata unadelle tue e voglio che tu venga aprendere la purga, da bravo ometto.Danny?Danny! "

54(Danny. .)(Dannyyy. .)Tenebre e corridoi. Vagava nel buio

e per corridoi in tutto simili a quelli chesi dipanavano entro il corpodell'albergo, e tuttavia in qualche mododiversi. I muri tappezzati di seta siallungavano verso l'alto, su su; e anchese tendeva il collo Danny non riusciva ascorgere il soffitto. Tutte le porte eranosbarrate, e anch'esse salivano a perdersiin lontananze imprecisate. Sotto glispioncini, che in quelle portegigantesche avevano le dimensioni di unmirino, al posto dei numeri della stanzaerano stati applicati su ogni porta

minuscoli teschi e tibie incrociate.E chissà dove, Tony lo stava

chiamando.(Dannyyy. .)Si udiva un rimbombo, un rumore

che conosceva bene, e grida rauche, resefievoli dalla lontananza.

Non riusciva ad afferrare le parole,ma ormai le conosceva fin troppo bene:le aveva udite in sogno e nella veglia.

Si soffermò, bimbetto che avevasmesso i pannolini da nemmeno tre anni,e cercò di stabilire dove mai si trovasse.Aveva paura, ma era una paurasopportabile. Da due mesi, ormai,conosceva quel sentimento di quotidianaansietà, che andava da una sorta di vagainquietudine a un aperto, sconvolgente

terrore. Questa era una paura tollerabile,ma voleva sapere perché Tony eravenuto, perché faceva risuonare il suonome in quel corridoio che non facevaparte né delle cose reali né del mondo disogni in cui Tony a volte gli mostrava lecose. Perché, dove...

"Danny."Lontano, in fondo allo sterminato

corridoio, quasi minuscola al pari diDanny, c'era una figura scura.

Tony."Dove sono?" chiese con voce

sommessa, rivolto a Tony."Stai dormendo," disse Tony. "Stai

dormendo nella camera da letto dei tuoigenitori." Nella voce di Tony si

avvertiva una punta di tristezza."Danny," disse Tony. "Tua madre

sarà ferita gravemente. Forse uccisa.Anche il signor Hallorann."

"No!"Lo gridò con una sorta di pena

remota, un terrore che pareva smorzatoda quell'ambiente vago, tetro. E tuttavia,gli si presentarono immagini di morte:una rana morta spiaccicata sulla barrieradella strada a pedaggio come unmacabro francobollo; l'orologio rotto dipapà posato in cima a una scatola dirifiuti per essere gettato via; pietretombali con una persona morta sottociascuna di esse; una ghiandaia mortaaccanto al palo del telefono; gli avanzifreddi che la mamma grattava via dai

piatti e gettava nello stomaco scurodello scarico.

E tuttavia non riusciva a raffrontarequesti semplici simboli alla sfuggente,complessa realtà di sua madre; lamamma soddisfaceva alla sua infantiledefinizione dell'eternità. Lei già esistevaquando lui non c'era ancora. Lei avrebbecontinuato a esistere quando lui non cifosse stato più. Riusciva ad accettarel'ipotesi della propria morte, vi avevaavuto a che fare dal momentodell'incontro nella camera 217.

Ma non quella di lei.Non quella di papà.Mai.Prese a lottare, e il buio e il

corridoio cominciarono a vacillare. Laforma di Tony si fece chimerica,indistinta.

"No!" gridò Tony. "No, Danny, nonfarlo!"

"Lei non deve morire!No! ""Allora devi aiutarla. Danny... ti

trovi in un luogo in fondo alla tua mente.Il luogo dove mi trovo io. Io faccio partedi te, Danny."

"Tu seiTony. Non sei me. Voglio lamia mamma... Voglio la mia mamma..."

"Non sono stato io a portarti qui,Danny. Ti ci sei portato da solo. Perchésapevi."

"No...""Hai sempre saputo," proseguì Tony.

"Sei sprofondato in te stesso, in un luogo

dove niente può penetrare. Qui siamosoli per un po', Danny. Questo è unOverlook dove nessuno potrà maivenire. Gli orologi non funzionano, qui.Non c'è chiave che gli si adatti e nonpotranno mai essere caricati. Le portenon sono mai state aperte e nessuno hamai soggiornato nelle camere. Però nonpuoi restarci a lungo, perché staarrivando."

"Sta..." bisbigliò Danny, e mentre lofaceva il rimbombo irregolare parveavvicinarsi, diventare più forte. Il suoterrore, tranquillo e remoto solo unmomento fa, divenne una cosa piùimmediata. Ora si potevano distinguerele parole, rauche, pronunciate con voce

esagitata, in una rozza imitazione dellavoce di suo padre. Ma non era papà.Adesso lo sapeva. Sapeva.

(Ti ci sei portato tu. Perché sapevi.)"Oh, Tony, è il mio papà?"urlò

Danny. "È il mio papà che viene aprendermi?"

Tony non rispose. Ma Danny nonaveva bisogno di una risposta. Sapeva.Era in corso una lunga festa in costume,da incubo, che proseguiva da anni. Unpo' alla volta si era accumulata unaforza, segreta e silenziosa come gliinteressi su un conto bancario. Forza,presenza, forma... erano tutteparole, soloparole, e nessuna di esse contavaqualcosa. Portava molte mascherediverse, ma era tutt'uno. Ora, da qualche

parte, stava venendo a impadronirsi dilui. Si nascondeva dietro la faccia dipapà, imitava la voce di papà, portava ivestiti di papà.

Ma non era il suo papà.Non era il suo papà."Devo aiutarli!" gridò.Ora Tony era ritto proprio di fronte

a lui, e guardare Tony era comeguardare in uno specchio magico evedere se stesso fra dieci anni, gli occhidistanziati e scurissimi, il mento deciso,la bocca perfettamente modellata. Icapelli erano biondo chiaro come quellidi sua madre, e tuttavia i lineamentierano quelli di suo padre, come se Tony,come se il Daniel Anthony Torrance che

sarebbe diventato un giorno, fossequalcosa a mezza via fra il padre e ilfiglio, un fantasma di entrambi, unafusione di elementi che appartenesseroall'uno e all'altro.

"Devi cercare di renderti utile,"disse Tony. "Ma tuo padre... è conl'albergo, ora, Danny. È dove vuoleessere. E l'albergo vuole anche te,perché è molto avido."

Tony gli passò accanto,immergendosi nell'ombra.

"Aspetta!" gridò Danny. "Che cosaposso..."

"È vicino, ora," disse Tony,continuando ad allontanarsi. "Dovraifuggire... nasconderti... gira al largo dalui. Gira al largo."

"Tony, non posso!""Ma se hai già cominciato," fece

Tony. "Ti ricorderai di ciò che tuo padreha dimenticato."

Era scomparso.E da un punto imprecisato, ma

vicino, giunse la voce di suo padre,freddamente persuasiva: "Danny?

Puoi venir fuori, dottore. Giusto unpaio di sculaccioni, tutto qui. Affronta lasituazione da bravo ometto e tutto saràfinito. Non abbiamo bisogno di lei,dottore. Solo tu e io, giusto? Sbrigataquesta pratica degli sculaccioni cisaremo soltanto tu e io."

Danny fuggì."Vieni qui, pezzo di merda! Subito!"

Giù per un lungo corridoio, ansandoe boccheggiando. E mentre fuggiva, lepareti che prima erano così alte eremote, cominciarono ad abbassarsi; iltappeto che era stato solo una macchiaindistinta sotto i suoi piedi, riprese ilfamiliare disegno blu e nero,sinuosamente intrecciato; sulle porteriapparvero i numeri e, dietro, sisvolgevano all'infinito le feste che eranouna sola festa; popolata da generazionidi ospiti. L'aria pareva tremare attorno alui, per l'eco e il rimbombo dellemazzate inferte alle pareti. Gli parve disbucare attraverso una tenue placentauterina, dal sonno al tappeto davantiall'Appartamento Presidenziale al terzo

piano; ai suoi piedi giacevano in unmucchio insanguinato i corpi di dueuomini in giacca e cravatta. Erano statiabbattuti a colpi di fucile a canne mozzee ora accennavano a rianimarsi dinanzi alui e a tirarsi su.

Danny volle urlare, ma dalla golanon gli uscì alcun suono.

(FACCE FALSE! NON REALI!)Impallidirono sotto i suoi occhi;

assunsero la colorazione tenue dellevecchie fotografie, poi svanirono deltutto.

Ma sotto di lui il debole suono dellamazza calata sulle pareti continuava,salendo per il vano dell'ascensore e latromba delle scale. La forza dominantedell'Overlook, sotto le sembianze di suo

padre, che imperversava al primo piano.Una porta si aprì alle sue spalle con

un leggero cigolio.Ne balzò fuori una donna putrefatta

con un abito da sera di seta a brandellitendendo le dita ingiallite e spappolate,cariche di anelli incrostati di verderame.Il volto le brulicava di luride vespe, ilventre gonfio di cibo.

"Entra," gli bisbigliò, ghignandodalle labbra nerastre. "Entra, cheballiamo il tango..."

"Faccia falsa!" sibilò Danny. "Falsa,non vera!" Lei si ritrasse allarmata, poisbiadì e scomparve.

"Chi sei?" urlò, ma quella vocerisuonò senza echi nella testa di Danny.

Il bimbo udiva ancora la"cosa" che aveva assunto le

sembianze di Jack, da basso, al primopiano... e qualcos'altro.

Il gemito acuto, lamentoso di unmotore che andava avvicinandosi.

A Danny si mozzò il fiato in gola.Che fosse un altro volto dell'albergo,un'altra illusione? O forse Dick?Voleva, voleva credere disperatamenteche fosse Dick, ma non osava correrequel rischio.

Si ritrasse per il corridoioprincipale, poi imboccò una dellediramazioni, i piedi frusciami sul foltopelo del tappeto. Porte sbarrate lofissavano accigliate come gli eraaccaduto in sogno, nelle visioni; ora

però viveva nel mondo della verità,dove il gioco era giocato sul serio.

Girò a destra e si fermò, col cuoreche gli martellava in petto. Avvertivaattorno alle caviglie un soffio ardente.Usciva dalle valvole del riscaldamento,naturalmente. Doveva essere il giornoche papà riscaldava l'ala ovest e

(Ti ricorderai di ciò che tuo padreha dimenticato.)

Di che si trattava? Gli parve quasi disaperlo. Qualcosa che avrebbe potutosalvare lui e sua madre? Ma Tony avevadetto che avrebbe dovuto farlo lui. Diche cosa si trattava, dunque? Si accasciòcontro la parete, sforzandosidisperatamente di pensare. Era così

difficile... l'albergo non desisteva daltentativo di penetrare nella sua testa...l'immagine di quella forma scura emassiccia che vibrava mazzate a destrae a manca, sgorbiando la tappezzeria...sollevando nuvole di calcinacci.

"Aiutami," mormorò. "Tony,aiutami."

Di colpo si rese conto chesull'albergo era calato un silenzio dimorte. Il gemito del motore era cessato(non dev'essere stato reale)

e gli echi della festa si erano spentie si sentiva solo il vento, che ululava emuggiva inesorabile.

A un tratto l'ascensore si animò,ronzando.

Saliva.

E Danny sapeva chi,che cosa, cifosse dentro.

Scattò in piedi, gli occhi accesi dalpanico. Il panico gli serrò il cuore in unamorsa. Perché Tony l'aveva mandato alterzo piano? Era in trappola. Tutte leporte erano sbarrate.

La soffitta!C'era una soffitta, lo sapeva. Era

salito assieme a papà il giorno cheaveva predisposto le trappole per i topi.Per questo papà non gli aveva permessodi salire lassù.

Da qualche parte del dedalo dicorridoi alle sue spalle, l'ascensore siarrestò. Vi fu uno scroscio metallico, diferraglie, mentre veniva fatto scorrere il

cancello. E poi una voce — non nellasua testa, ora, ma terribilmente reale —chiamò: "Danny? Danny, vieni qui unmomento, vuoi? Ne hai combinata unadelle tue e io voglio che tu venga aprendere la purga, da bravo ometto.Danny? Danny!"

Il concetto dell'obbedienza gli erastato inculcato con tanta forza, cheDanny automaticamente mosse due passiin direzione del suono di quella voce.Ma si fermò subito. Strinse le mani apugno lungo i fianchi.

(Non reale! Faccia falsa! So checosa sei! Togliti la maschera!)

"Danny !"ruggì. "Vieni qui, cucciolo!Vieni qui a prendere la purga da bravoometto!"Un alto rimbombo cavernoso

quando la mazza colpì la parete. Equando la voce urlò di nuovo il suonome, echeggiò più vicina.

La caccia aveva inizio, nel mondodelle cose reali.

Danny fuggì. Sfiorando silenzioso ilfolto tappeto, passò di corsa davanti alleporte chiuse, alla tappezzeria di setaarabescata, all'estintore fissatoall'angolo del corridoio. Esitò, poiimboccò a precipizio l'ultimadiramazione. In fondo non c'era altro cheuna porta sprangata, e nessun posto dovescappare.

Ma il lungo bastone c'era ancora,ancora appoggiato alla parete, dovel'aveva lasciato papà.

Danny lo afferrò. Piegò il collo perguardare la botola sopra di lui. C'era ungancio, all'estremità del bastone, eoccorreva infilarlo in un anello fissatoallo sportello. Occorreva...

Dalla botola penzolava un lucchettoYale nuovo di zecca. Il lucchetto cheJack Torrance, dopo aver predisposto letrappole, aveva fatto scattare attornoalla cerniera della serratura a titolo diprecauzione, qualora un giorno o l'altrosuo figlio avesse avuto l'idea dispingersi in esplorazione da quelle parti.

Bloccata.Il terrore lo travolse.Alle sue spalle stava arrivando,

barcollando e incespicando davantiall'Appartamento Presidenziale,

sferzando l'aria con la mazza.Danny si addossò all'ultima porta

sbarrata e attese.

55CIÒ CHE ERA STATO

DIMENTICATOLentamente Wendy riprese i sensi; e

mano a mano che le tenebre sischiarivano al loro posto subentrava ildolore fisico: la schiena, la gamba, ilfianco... non credeva che sarebbe statain grado di muoversi. Le dolevanopersino le dita, e li per lì non riuscì afarsene un motivo.

(La lametta, ecco il perché.)I capelli biondi, ora madidi e

incollati, le pendevano sugli occhi. Li

scostò e si sentì trafiggere dalle costolefratturate. Ora vide la distesa di unmaterasso bianco e azzurro, imbrattatodi sangue. Il suo sangue, o forse quellodi Jack. Comunque fosse, era. ancorafresco. Ma non era rimasta svenuta alungo, e questo era importante perché...

(Perché?)Perché...La prima cosa che ricordò fu il

ronzio da insetto del motore. Perqualche istante si soffermò sul ricordosenza connettere; poi, con un unico balzovertiginoso, la sua mente parve tornareindietro, mostrandole tutto in una volta.

Hallorann. Doveva essere stato lui:Hallorann. Altrimenti, come mai Jack sene sarebbe andato così bruscamente,

senza finire... senzafinirla?Perché non aveva più tempo da

perdere. Doveva trovare Danny, e al piùpresto: ... e farlo prima che Hallorannpotesse impedirglielo.

O era già accaduto?Le giunse il gemito dell'ascensore

che saliva.(No Dio ti prego no il sangue è

ancora fresco fa' che non sia ancoraaccaduto.) In qualche modo riuscì arimettersi in piedi e ad attraversarebarcollando la camera da letto e lerovine del soggiorno, raggiungendo laporta d'ingresso fracassata. L'aprì e uscìnel corridoio.

"Danny!" gridò, trasalendo per la

fitta di dolore che avvertì al torace."Signor Hallorann! C'è nessuno?"

L'ascensore si era rimesso in moto,ora si arrestò. Udì lo scroscio metallicodel cancello che veniva fatto scorrere,poi le parve di udire un suono di parole.Che fosse la sua immaginazione? Ilvento soffiava con tale impeto, cheimpediva di stabilirlo con assolutacertezza.

Appoggiandosi al muro raggiunsel'angolo della breve diramazione. Stavaper svoltare quando l'urlo le gelò ilsangue nelle vene, l'urlo che calavalungo la tromba delle scale e il vanodell'ascensore:

"Danny! Vieni qui, cucciolo. Vieniqui a prendere la purga da bravo

ometto1."Jack. Al secondo o terzo piano. A

caccia di Danny.Girò l'angolo, inciampò, quasi

cadde. Le si mozzò il fiato in gola.Qualcosa (qualcuno?)

addossato alla parete a circa unquarto della distanza che c'era tral'angolo e le scale. Wendy riuscì atrascinarsi più in fretta, sussultando ogniqual volta il peso del corpo gravavasulla gamba ferita. Era un uomo, vide; eavvicinandosi comprese il significato diquel motore ronzante.

Era Hallorann. Era venuto.Si lasciò cadere in ginocchio

accanto a lui, pregando in cuor suo che

non fosse morto. Un fiotto di sangue gliera sgorgato dalla bocca. La guancia eraridotta a un'ammaccatura gonfia eviolacea. Ma grazie a Dio respirava. Ilrespiro — lunghe, rauche boccate — gliscuoteva il corpo da capo a piedi.

Osservandolo più attentamente,Wendy sgranò gli occhi. Il giaccone erabruciacchiato e strappato su un fianco. Icapelli apparivano impiastricciati disangue.

(Mio Dio, che cosa gli è successo?)"Danny !"ruggì sopra le loro teste la

voce aspra, isterica. "Vieni fuori,maledizione!"

Non c'era tempo per chiederselo. Simise a scuoterlo, contraendo il viso perla sofferenza che le divampò in

corrispondenza delle costole. Si sentivail fianco in fiamme, gonfio e massiccio.

(Ese mi perforassero il polmoneogni volta che faccio un movimento?)Non era il caso di pensarci sopra. SeJack avesse scovato Danny, l'avrebbeucciso, l'avrebbe accoppato di bottecome aveva tentato di fare con lei.

Così scosse Hallorann, e poi prese aschiaffeggiarlo leggermente sullaguancia sana.

"Si svegli!" implorò. "SignorHallorann, deve svegliarsi. La prego...la prego..."

Dall'alto il rimbombo spietato dellamazza mentre Jack Torrance cercava suofiglio.

Danny rimase con le spalleaddossate alla porta, lo sguardo fissoall'angolo d'intersezione dei corridoi.

Il rimbombo irregolare della mazzacontro le pareti andò accentuandosisempre più. La "cosa" che gli dava lacaccia gridava e sbraitava e lanciavaimprecazioni. Sogno e realtà si eranoormai congiunti senza soluzione dicontinuità.

Sbucò da dietro l'angolo.In un certo senso, ciò che Danny

provò fu un'ondata di sollievo. Non erasuo padre. La maschera del volto e delcorpo si era frantumata, tramutandosi inun gesto atroce. Non era il suo papà, nonera certo quell'orrore degno di un film

del brivido di quelli che la televisionetrasmetteva il sabato sera, con gli occhiroteanti e le spalle ingobbite e lacamicia fradicia di sangue. Non era ilsuo papà.

"Ora, perdio," strillò. Si passò lamano tremante sulle labbra. "Adessovedrai chi comanda, qui. Te neaccorgerai. Non è te che vogliono. Ème.Me. Me! "

Vibrò la mazza sfasciata, la doppiatesta ormai ridotta a un ammassoinforme e scheggiato per gliinnumerevoli colpi inferti. Colpì ilmuro, aprendo un solco circolare nellatappezzeria di seta. Abbozzò unsogghigno.

"Vediamo un po' se riesci a tirar

fuori qualcuno dei tuoi trucchetti,adesso," borbottò. "Non sono mica natoieri, sai? Farò il mio dovere di padrecon te, moccioso."

"Tu non sei il mio papà," disseDanny.

Si fermò. Per un istante apparveincerto, come se non fosse sicuro di chio di che cosa fosse. Poi riprese acamminare. La mazza sibilò, colpì ilbattente di una porta facendolorimbombare di un suono cupo,cavernoso.

"Sei un bugiardo," disse. "Chi altrisarei? Ho i due nei, ho l'ombelico acoppetta, persino il cazzo, caro mio.Chiedilo a tua madre."

"Sei una maschera," insistette Danny."Solo una faccia falsa. L'unica ragioneper cui l'albergo ha bisogno di servirsidi te è che non sei morto come gli altri.Ma quando non avrà più bisogno di te,non sarai più niente. Non mi fai paura."

"Te ne farò, e come!" ululò. Lamazza calò sibilando con ferocia, e siabbatté sul tappeto tra i piedi di Danny,che non batté ciglio. "Hai mentito! Erid'accordo con lei! Hai complottatocontro di me!Ehai barato! Hai copiatoall'esame di fine anno! "Gli occhi lofulminarono da sotto le sopraccigliaaggrottate.

Avevano un'espressione di folleastuzia. "Lo troverò. È giù in cantina. Lo

troverò. Mi hanno promesso che milasceranno dare un'occhiata a tuttoquello che voglio."

"Sì, te l'hanno promesso," disseDanny, "ma mentono."

Hallorann dava segno di riprendere isensi, ma Wendy aveva smesso diassestargli schiaffetti sulla guancia. Unattimo prima, le paroleHai barato! Haicopiato all'esame di fine anno! eranoriuscite a giungere sin lì attraverso ilvano dell'ascensore, fievoli, appenaudibili sopra l'urlo del vento. Da unpunto lontano dell'ala ovest. Fu quasiconvinta che venissero dal terzo piano eche Jack, quale che fosse ilquidmisterioso che si era impossessato diJack, aveva trovato Danny. Ormai non

c'era più nulla da fare, né per lei né perHallorann.

"Oh, dottore," mormorò. Le lacrimele velarono gli occhi.

"Quel figlio di puttana mi haspaccato la mascella," borbottòHallorann con voce malferma. "E latesta..." Faticosamente si levò in piedi.Aveva un occhio pesto, tumefatto.

"Signora Torrance..." prese a dire,riconoscendo Wendy.

"Zitto!" lo interruppe lei."Dov'è il bambino, signora

Torrance?""Al terzo piano. Con suo padre.""Mentono," ripeté Danny. Qualcosa

gli era balenato nella mente, un pensiero

fulmineo come una meteora, tropporapido, troppo luminoso per afferrarlo etrattenerlo. Rimase soltanto la coda delpensiero.

(È già in cantina da qualche parte)(ti ricorderai di ciò che tuo padre ha

dimenticato)"Non... non dovresti parlare in

questo tono a tuo padre," disse rauco. Lamazza tremò, si abbassò. "Non farai chepeggiorare la tua situazione. Il tuo... iltuo castigo. Più duro." Barcollò comeubriaco e lo fissò con un'espressione diquerula autocommiserazione, che subitosi tramutò in odio. La mazza si sollevòdi nuovo.

"Tu non sei mio padre," gli ripetéDanny. "E se in te è rimasto almeno una

briciola del mio papà, lui sa che loromentono. Qui ogni cosa è una bugia e untrucco. Come i dadi truccati che il miopapà mi ha messo nella calza a Natale,l'anno scorso; come i regali che mettonoin vetrina e che il mio papà dice chedentro non c'è niente, nessun regalo, chesono solo scatole vuote. Solo perbellezza, dice il mio papà. Tu seiunacosa, non il mio papà. Tu sei l'albergo.E quando otterrai ciò che vuoi, non darainiente al mio papà perché sei egoista. Eil mio papà lo sa. Hai dovuto fargli berela Brutta Cosa. Era l'unico modo perpoterlo prendere, faccia falsa, falsabugiarda!"

"Bugiardo! Bugiardo!" Le parole

furono pronunciate come una sorta digrido, isterico, accorato. La mazzavacillò nell'aria.

"Avanti, percuotimi. Ma da me nonotterrai mai quello che vuoi."

Il volto di fronte a lui mutò. Il corpofu percorso da un lieve tremito; poi lemani insanguinate si aprirono comeartigli spezzati. La mazza ne scivolò ecadde con fragore sul tappeto. E fu tutto.Ma a un tratto, davanti a lui c'era il suopapà, e lo guardava col volto atteggiatoa un'espressione di sofferenza mortale, econ una pena così profonda che il cuoredi Danny se ne sentì come infiammato inun'espressione di commozioneintenerita.

"Dottore," disse Jack Torrance.

"Scappa. Presto. E ricorda che ti hovoluto tanto bene."

"No," disse Danny."Oh, Danny, per l'amor di Dio...""No," disse Danny. Prese una delle

mani insanguinate di suo padre e labaciò. "È finita. Quasi."

Hallorann si reggeva in piedi. FissòWendy. Emergevano da un incuboatroce.

"Presto, andiamo di sopra," disse;"Dobbiamo aiutarlo."

"È troppo tardi," disse Wendy."Ormai solo lui può aiutare se stesso."

Passò un minuto. Due. Tre. Poi loudirono urlare sopra le loro teste. Nondi collera o di trionfo, ora, ma in preda

a un terrore mortale."Mio Dio," bisbigliò Hallorann,

"che cosa succede?""Non lo so," disse Wendy."Che l'abbia ucciso?""Non lo so."L'ascensore sferragliò e prese a

scendere. Dentro c'era quella "cosa"urlante, vaneggiante, farneticante.

Danny rimase immobile. Non avevascampo. Non poteva sfuggireall'Overlook. Se ne rese contoall'improvviso, con dolorosa lucidità.Per la prima volta in vita sua conobbeun pensiero da adulto, un sentimento daadulto, l'essenza delle esperienze fatte inquel brutto posto: un distillato di dolore.

(La mamma e il papà non possono

aiutarmi e sono solo.)"Va' via," ingiunse allo sconosciuto

coperto di sangue che gli stava di fronte."Vattene. Vattene di qui!"

La cosa si chinò, mostrando ilmanico del coltello che gli sporgevadalla schiena. Le sue mani tornarono aserrarsi sulla mazza, ma anziché prenderdi mira Danny, girò l'impugnatura,puntando l'arma contro di sé.

Un'improvvisa illumuiazionepercorse Danny da capo a piedi.

Poi la mazza calò, distruggendoquanto restava dell'immagine di JackTorrance. La "cosa" nel corridoiodanzava una specie di irreale,strascicata polka, e il ritmo della danza

era contrappuntato dall'orrido rumoredella mazza che si abbatteva con colpisordi, ripetuti. Spruzzi di sangue siallargarono sulla tappezzeria. Minutiframmenti d'osso schizzarono in ariasimili a tasti rotti di pianoforte.Impossibile d'ire quanto durò. Maquando Danny tornò a concentrare la suaattenzione sulla

"cosa", suo padre era sparito persempre. Ciò che rimaneva del volto sitramutò in uno strano composto mutevolee svariante, molti volti commistiimperfettamente a formarne uno solo.Danny vide la donna del 217;l'uomocane; l'avida "cosabambino" cheaveva incontrato nel tubo di cemento.

"Giù le maschere, allora," bisbigliò.

"Basta con le interruzioni."La mazza si sollevò per l'ultima

volta. Un ticchettio invase le orecchie diDanny.

"Nient'altro da dire?" s'informò. "Seisicuro di non voler fuggire? Giochiamoa rincorrerci, magari?

Tutto ciò che abbiamo è il tempo,sai. Un'eternità ditempo. Oppure lapiantiamo? Si potrebbe, non trovi?Dopotutto, ci stiamo perdendo la festa."

Ghignò cupido, mostrando i dentispezzati.

E allora ricordò. Ricordò ciò chesuo padre aveva dimenticato.

Un'improvvisa espressione di trionfogli illuminò il volto; la "cosa" se ne

avvide ed esitò, perplessa."La caldaia!"urlò Danny. "Non è più

stata abbassata da stamattina! Stasalendo! Scoppierà!"

Un'espressione di terrore grottesco edi lenta, progressiva comprensionepassò sui tratti sconvolti e martoriatidella cosa che gli stava di fronte. Lamazza cadde dalle mani strette a pugno erimbalzò innocua sul tappeto nero e blu.

"La caldaia!" esclamò. "Oh, no! Nonpossiamo permetterlo! certo che no! No!Maledetto cucciolotto!

Certo che no! Oh, oh, oh...""Invece, sì!" gridò di rimando

Danny, con una decisione che sfiorava laferocia. Prese a dimenarsi e ad agitare ipugni all'indirizzo della "cosa"

devastata che aveva dinanzi a sé. "Da unmomento all'altro! Lo so! La caldaia,papà s'è dimenticato della caldaia!Eanche tu te ne sei dimenticato! "

"No, oh, no, non deve, non può,sporco ragazzino, ti farò prendere lapurga, te la farò prendere fino all'ultimagoccia, oh, no, oh, no..."

Fece un veloce dietrofront e presead allontanarsi, trascinandosi. Perqualche istante la sua ombra si proiettòsussultante sul muro. Si lasciavaappresso una scia di grida, simile a unfluttuare di logore stelle filanti.

Un attimo più tardi si udìsferragliare l'ascensore.

Di colpo si fece luce in lui

(mammina signor hallorann dick pergli amici insieme vivi sono vivi bisognauscire di qui sta per scoppiare sta persaltare in aria)

come una violenta e abbaglianteaurora e si mise a correre. Con un piedeinciampò nella mazza da roqueinsanguinata, e la scagliò lontano. Nonci fece caso.

Piangendo, corse verso le scale.Doveva uscire di lì.

56Dopo, Hallorann non avrebbe

nemmeno saputo dire come si fosserosusseguiti i fatti. Ricordava chel'ascensore era sceso, passando davantia loro senza fermarsi, e che dentro c'era

qualcosa. Ma non aveva fatto il minimotentativo di capire chi ci fosse nellacabina spiando attraverso la finestrella arombo, perché quello che c'era dentronon dava l'impressione di essere unacreatura umana. Un istante più tardi siera udito uno scalpiccio di passi incorsa sulle scale. Lì per lì Wendy gli siera rannicchiata contro, poi aveva presoad arrancare per il corridoio principalein direzione delle scale, più in fretta chepoteva.

"Danny! Danny! Oh, Dio sia lodato!Dio sia lodato!" L'aveva stretto in unabbraccio, gemendo di gioia e di dolore.

(Danny.)Danny l'aveva guardato dalle

braccia della madre, e Hallorann aveva

notato il mutamento intervenuto nelbimbo. Il piccolo viso era pallido econtratto, gli occhi cupi e senza fondo.

(Dick. . dobbiamo andare. . fuggire. .questo posto. . sta per) Immaginidell'Overlook, fiamme che nedivampavano dal tetto. Mattoni chepiovevano sulla neve. Lo scampanio deipompieri in arrivo... non cheun'autopompa sarebbe riuscita a salirefin lì prima di marzo. Per lo più ciò chegli perveniva attraverso il pensiero diDanny era un senso di impellenza,spasmodica, la sensazione che stesse peraccadereda un momento all'altro.

"D'accordo," disse Hallorann. Presead avanzare verso quei due, e lì per lì fu

come nuotare in acque profonde. Avevaperso il senso dell'equilibrio, e l'occhiodestro non voleva saperne di andare afuoco.

La mascella fratturata gli trasmettevaacute, pulsanti fitte di dolore alla tempiae al collo. Ma l'urgenza comunicataglidal bambino l'aveva costretto amuoversi, e la cosa divenne più facile.

"D'accordo?" chiese Wendy. Spostòlo sguardo da Hallorann al figlio, poi loriportò su Hallorann.

"Che cosa intende dire con quel:d'accordo?"

"Dobbiamo andarcene," disseHallorann.

"Non sono vestita... la mia roba..."Allora Danny sgusciò dalle sue

braccia e imboccò di corsa il corridoio.Lei lo seguì con lo sguardo, e quando ilbambino scomparve dietro l'angolo,tornò a guardare Hallorann.

"E se torna?""Suo marito?""Non è Jack," sussurrò Wendy. "Jack

è morto. L'ha ucciso questo posto.Questo maledetto posto."

Batté il pugno contro la parete. "Sitratta della caldaia, vero?"

"Sì, signora. Danny dice che sta perscoppiare."

"Perfetto." La parola fu pronunciatacon risolutezza. "Non so se potròscendere di nuovo queste scale.

Le costole... mi ha rotto le costole. E

qualcosa alla schiena. Mi fa male.""Ce la farà," disse Hallorann. "Ce la

faremo tutti." Ma di colpo si ricordòdegli animali della siepe, e si domandòche cosa avrebbero fatto se quellifossero stati di guardia all'uscita.

Ed ecco Danny che tornava. Avevapreso gli stivali e il cappotto e i guantidi Wendy, e anche il proprio cappotto ei propri guanti.

"Danny," disse Wendy, "i tuoiscarponi."

"È troppo tardi," rispose il piccolo. Isuoi occhi li fissarono con una sorta didisperata follia. Guardò Dick, e di colpola mente di Hallorann fu trafittadall'immagine di un orologio sotto unacampana di vetro, l'orologio del salone

da ballo donato da un diplomaticosvizzero nel 1949. Le lancettedell'orologio segnavano un minuto allamezzanotte.

"Oh, mio Dio!" esclamò Hallorann.Si gettò a precipizio per le scale, un

occhio spalancato dalla disperazione,l'altro ridotto a una fessura dal gonfiore.Stringeva a sé Wendy e Danny, e facevapensare a un pirata guercio che rapissedue ostaggi per i quali si riprometteva dichiedere un riscatto.

Di colpo ebbe un'intuizione, ecomprese cosa aveva inteso Danny,dicendo che era troppo tardi. Sentìl'esplosione che si preparava ascatenarsi rombando nella cantina e a

squarciare quel luogo abominevole.Attraversò di corsa la cantina,

guidato dalla fievole luce giallastradell'unica lampadina che ardeva nellastanza della caldaia. Singhiozzava dipaura. C'era mancato così poco, cosìpoco per impossessarsi del bambino edei poteri eccezionali del bambino. Nonpoteva perdere, ora. Non dovevaaccadere.

Avrebbe abbassato la pressionedella caldaia e provveduto a punireseveramente il bambino.

"Non deve accadere!" gridò. "Oh,no, non deve accadere!"

Si accostò traballando alla caldaia,che baluginava rossastra per una buonametà della lunga struttura cilindrica, e

lasciava uscire sbuffi sibilanti di vaporein cento direzioni diverse, simile a unorgano mostruoso. L'ago del manometroera all'estremità del quadrante.

"No, non sarà mai permesso!" gridòil direttoreguardiano.

Posò le mani, che erano quelle diJack Torrance, sulla valvola, incurantedel puzzo di bruciato che ne esalò odelle ustioni che ne ebbe la carnequando la ruota rovente vi si affondò,come in una carreggiata fangosa.

La ruota cedette, e con un urlo ditrionfo, la "cosa" l'aprì al massimo. Unviolento ruggito di vapore in fugaproruppe dalla caldaia, come draghi chesibilassero in coro. Ma prima che il

vapore velasse del tutto il quadrante delmanometro, l'ago aveva cominciato aindietreggiare vistosamente.

"VITTORIA!" esclamò. Saltellòoscenamente nella nebbia rovente cheinvadeva la stanza, agitando sopra latesta le mani in fiamme. "NON ÈTROPPO TARDI! VITTORIA! NON ÈTROPPO TARDI!

NON È TROPPO TARDI! NON..."Le parole si tramutarono in un urlo

di trionfo, e l'urlo fu inghiottito dalrombo devastante della caldaiadell'Overlook che esplodeva.

Hallorann si lanciò attraverso ledoppie porte e portò di peso Wendy eDanny lungo la trincea scavata nellaneve sotto il porticato.

Vide chiaramente gli animali dellasiepe, più chiaramente di quanto liavesse visti prima, e proprio nell'attimoin cui si rendeva conto che i suoi timoririspondevano a verità, che loro eranoappostati tra il porticato e il gatto dellenevi, l'albergo saltò in aria.

Vi fu un'esplosione sorda, un suonoche parve prolungarsi su un'unica notabassa, rintronante e poi alle loro spalleci fu un'ondata di aria calda che parvesospingerli dolcemente in avanti. Lospostamento d'aria li scaraventò al di làdel porticato, e un pensiero confuso(ecco cosa deve provare superman)

balenò per un attimo alla mente diHallorann mentre galleggiavano

nell'aria. Smarrì la presa su Wendy eDanny, poi atterrò sulla neve che attenuòil colpo. La neve gli entrò sotto lacamicia e nel naso, e Hallorann ebbevaga coscienza che la guanciaammaccata ne traeva beneficio.

Poi si districò dall'abbraccio dellaneve, e per un momento non pensò aglianimali della siepe né a WendyTorrance e neppure al bambino. Sirotolò sul dorso per vederlo morire.

Le finestre dell'Overlook esplosero.Nel salone da ballo la campana di vetroche proteggeva l'orologio sulla mensoladel camino s'incrinò, si spezzò in duecalotte, cadde a terra. L'orologio cessòdi ticchettare: meccanismo e ingranaggie bilanciere si fermarono di colpo. Si

udì una sorta di bisbiglio, di sospiro, esi levò una densa nuvola di polvere. Al217 la vasca da bagno si spezzò di nettoin due, lasciando colare una pozzad'acqua fetida, verdastra.Nell'Appartamento Presidenziale latappezzeria divampò all'improvviso. Leporte a vento della Colorado Loungefurono scalzate di botto dai cardini ecaddero sul pavimento della sala dapranzo. Oltre l'arco della cantina, i fascidi vecchie scartoffie presero fuoco e lefiamme si sprigionarono alte con unsibilo da torcia a vento. Getti d'acquabollente si rovesciarono sulle fiamme,senza riuscire a spegnerle. Si contorseroe annerirono a somiglianza di foglie

d'autunno che ardevano sotto un nido divespe. La caldaia del riscaldamentoscoppiò, squarciando le travi delsoffitto, facendole crollare di schianto,simili agli ossami di un animalepreistorico. Il becco a gas chealimentava la caldaia si levò in unacolonna muggente di fiamme attraversoil paviménto sventrato dell'atrio. Anchela passatoia sulle scale prese fuoco, el'incendio si propagò con rapiditàfulminea al primo piano. Una raffica diesplosioni squarciò l'albergo. Illampadario della sala da pranzo, bombadi cristallo da un quintale, cadde confragore inaudito e andò in frantumi,scaraventando i tavoli in ogni direzione.I cinque comignoli dell'Overlook

eruttarono colonne di fuoco verso ilcielo sparso di nubi.

(No! Non deve! Non deve!NONDEVE!)

Urlò: urlò, ma ormai non aveva piùvoce e urlava di panico e condanna edannazione solo nel suo orecchio,dissolvendosi, perdendo pensiero evolontà, e il tessuto connettivo sisbriciolava, cercava, non trovava,sbiadiva, si disfaceva, spariva, svanivanel vuoto, nel nulla, sbriciolandosi.

La festa era finita.

57

USCITA DI SCENA

Il rombo scosse l'intera facciatadell'albergo. I vetri furono proiettatisulla neve e vi scintillarono comeschegge di diamante. Il cane della siepe,che si stava avvicinando a Danny e a suamadre, arretrò abbassando le verdiorecchie striate d'ombra, e si accucciòvile e schivo, la coda raccolta tra lezampe.

Hallorann lo udì uggiolareimpaurito, e al gemito si unì il ruggito diterrore e sconcerto dei macroscopicifelini. Il coniglio di sempreverdi, ancora

ammantato di neve, si dibattevapazzamente presso la recinzione disicurezza in fondo al parco giochi, e larete metallica tinniva con una sorta dimusica da incubo, come una cetraspettrale. Anche da lì poteva sentire irami e i fuscelli fittamente intrecciatiche ne formavano il corpo spezzarsi eschiantarsi come ossa.

"Dick! Dick!" chiamò Danny. Sisforzava di sorreggere la madre, diaiutarla a raggiungere il gatto delle nevi.Gli indumenti che aveva portato viadall'albergo per entrambi eranodisseminati tra il punto in cui eranocaduti e quello dove si trovavano ora.Hallorann si rese conto all'improvviso

che la donna era ancora in vestaglia,Danny senza giacca, e dovevano esserciquindici sotto zero.

(dio mio è a piedi nudi)Tornò indietro affondando nella

neve alta e molle a raccogliere ilcappotto e gli stivali di Wendy, ilcappotto di Danny, alcuni guantiscompagnati. Poi si affrettò verso diloro, annaspando, arrancandofaticosamente nella massa soffice.

Wendy era di un pallore cereo, unlato del collo coperto di sangue,raggrumato, congelato, dal fréddo.

"Non ce la faccio," mormorò. Erasemincosciente. "No, io... io non ce lafaccio. Scusatemi."

Danny levò lo sguardo su Hallorann,

implorante."Andrà tutto bene," disse Hallorann,

e tornò ad afferrarla. "Andiamo."Riuscirono tutti e tre a raggiungere il

punto in cui il gatto delle nevi eraslittato, bloccandosi. Hallorann adagiòla donna sul sedile del passeggero e leinfilò il cappotto. Le sollevò i piedi,prossimi al congelamento, e limassaggiò energicamente con la giaccadi Danny; poi le infilò gli stivali. Wendyaveva il volto del colore dell'alabastro,gli occhi socchiusi e stupefatti. Erascossa da brividi convulsi.

Hallorann pensò che fosse un buonsegno.

Alle loro spalle una serie di

esplosioni fece tremare l'albergo. Lampiarancione illuminarono la neve.

Danny accostò la bocca all'orecchiodi Hallorann e urlò qualcosa.

"Come?""Ho detto se ti serve quella?"Il bambino additava la tanica rossa

che giaceva inclinata nella neve."Credo di sì."La raccolse e l'agitò. Conteneva

ancora un residuo di benzina, ma nonavrebbe saputo dire quanta.

Fissò la tanica in coda al gatto dellenevi, stentando alquanto a causa delledita intorpidite dal freddo.

Per la prima volta si rese conto diaver perduto le muffole di HowardCottrell.

(se riesco a cavarmela te ne facciofare una dozzina di paia da mia sorella,howie)

"Monta!" gridò Hallorann albambino.

Danny si ritrasse. "Geleremo!""Dobbiamo girare dietro l'albergo

fino al capanno degli attrezzi! C'è dellaroba, là dentro... coperte...

cose così. Sali dietro tua madre! "Danny salì e Hallorann volse il capo

urlando a Wendy:"Signora Torrance, si tenga stretta a

me! Capito? Si tenga stretta!"Lei gli passò le braccia attorno al

corpo appoggiandogli la guancia allaschiena. Hallorann avviò il motore del

gatto delle nevi e girò la manopola.Si misero in moto. Hallorann fece

descrivere un cerchio al gatto delle nevi,poi si avviarono in direzione ovest.Hallorann sterzò per girare dietrol'albergo e raggiungere il capanno degliattrezzi.

Per un attimo ebbero la visionefuggevole, ma chiara dell'atriodell'Overlook. La fiamma del gas cheprorompeva dal pavimento squarciatosomigliava a una gigantesca candela dicompleanno, di un giallo violento alcentro e azzurrina attorno ai bordivacillanti. In quel momento parevasoltanto illuminare: non distruggere.Scorsero il banco della portineria colcampanello d'argento, le decalcomanie

delle carte di credito, l'antiquatoregistratore di cassa tutto riccioli evolute, i tappeti ad arabeschi, le sediedall'alto schienale, i poggiapiediimbottiti. Danny intravide il divanettoaccanto al camino sul quale erano sedutele tre monache il giorno del loro arrivo.Ma il giorno della chiusura vera eraquello.

Poi la neve che si ammucchiavasotto il porticato bloccò la visuale. Unmomento più tardi costeggiavano il latoovest dell'albergo. C'era ancoraabbastanza luce per vederci senza l'aiutodel faro del gatto delle nevi. Anche ipiani superiori erano in fiamme, ora:lingue di fuoco immani prorompevano

dalle finestre. L'intonaco, di un biancoabbagliante, aveva cominciato adannerirsi e scrostarsi. Le imposte cheproteggevano la finestra panoramicadell'Appartamento Presidenziale lestesse che Jack aveva sprangato conogni cura, in conformità alle istruzioniricevute a metà ottobre ora penzolavanoridotte in tizzoni ardenti, mostrando levaste tenebre devastate all'interno, comeuna bocca sdentata che sbadigliasse inun estremo, silenzioso rantolo di morte.

Wendy aveva premuto la facciacontro la schiena di Hallorann perproteggersi dal vento, e Danny a suavolta aveva premuto la propria contro ildorso della madre; Hallorann fu il solo avedere la "cosa"

conclusiva, e non ne fece parolaalcuna. Dalla finestra dell'AppartamentoPresidenziale gli parve di veder uscireun'enorme forma tetra e confusa, chegettò un'ombra sulla coltre di neve. Perun attimo assunse la forma di un'enorme,oscena manta; poi il vento parvetravolgerla, lacerarla, ridurla a brandellicome una vecchia carta scura. Sisbriciolò, venne inghiottita da un vorticedi fumo e un istante più tardi eraletteralmente scomparsa, quasi non fossemai esistita. Ma in quei pochi secondi incui aveva volteggiato nera, danzando asomiglianza di un pulviscolo di luce innegativo, Hallorann ricordò un episodiodella sua infanzia... cinquant'anni prima,

o anche più. Lui e suo fratello si eranoimbattuti in un enorme nido di vespepoco a nord della fattoria. Era incastratoin una cavità del terreno, a ridosso di unvecchio albero schiantato da un fulmine.Suo fratello aveva un vecchio petardoinfilato nel nastro del cappello, ricordodella festa del Quattro Luglio. L'avevaacceso e gettato sul nido, e il nido erascoppiato con uno schiocco sonoro,sprigionando dalle sue viscere un ronziorabbioso, sempre più alto, quasi unfievole strillo. Erano fuggite, pazze dicollera e di terrore. E voltandosi aguardare da sopra la spalla, propriocome faceva ora, quel giorno avevavisto una grande nuvola cupa di vesperonzanti levarsi nell'aria torrida, e

vorticare a mulinello, e poi frazionarsi ecercare il nemico che aveva devastato laloro dimora, sicché potessero, loro,singola intelligenza collettiva, ucciderloa colpi di pungiglione.

Poi la "cosa" nel cielo scomparve esarebbe anche potuta essere semplicefumo o un grosso frammento ondeggiantedi tappezzeria, dopotutto, e vi fu solol'Overlook, rogo ardente nella golaruggente della notte.

Nel suo mazzo c'era anche unachiave per aprire il lucchetto delcapanno degli attrezzi, ma Hallorann siaccorse che non avrebbe avuto bisognodi usarla. La porta era socchiusa, e illucchetto pendeva aperto dall'occhiello.

"Non posso entrare," bisbigliòDanny.

"Va bene, resta qui con la mamma.Una volta c'era un mucchio di vecchiecoperte da cavallo.

Probabilmente a quest'ora sarannotutte tarmate, ma meglio che morireassiderati. Signora Torrance, è ancoracon noi?"

"Non lo so," rispose con un fil divoce. "Credo."

"Bene. Vado e vengo.""Torna più presto che puoi,"

bisbigliò Danny. "Ti prego."Hallorann annuì. Aveva puntato il

faro in direzione della porta; prese adannaspare nella neve, proiettando una

lunga ombra dinanzi a sé. Spinse laporta del capanno degli attrezzi ed entrò.Le coperte erano ancora nell'angolo,accanto all'equipaggiamento per ilroque. Ne prese quattro, puzzavano dimuffa e di vecchiume e certamente letarme vi avevano banchettato a loropiacimento, poi si soffermò un istante.

Una delle mazze da roque erascomparsa.

(È con quella che mi ha colpito?)Be', non importava che cosa fosse

l'arma o l'oggetto che lo aveva colpito,pensò, portandosi le dita alla guancia, eprese a esplorare la vistosaprotuberanza. E dopotutto (forse non miha colpito con una di queste. Forse ne èandata persa una. O è stata rubata. O

presa per ricordo. Dopotutto.)non aveva importanza alcuna. Qui

nessuno avrebbe giocato a roque, laprossima estate. O un'estate qualsiasidel futuro prevedibile.

No, non aveva proprio importanza;solo che il fatto di starsene lì a guardarela rastrelliera nella quale mancavaquell'unica mazza, in un certo senso loaffascinava. Si scoprì a pensare al duroschiocco del legno della mazza checolpiva la palla di legno. Un gradevolesuono estivo. A osservarla schizzaresulla (osso, sangue.)

ghiaia. Evocava visioni di(osso, sangue.)tè ghiacciato, divani a dondolo sotto

un porticato, signore con grandi cappellibianchi di paglia, il ronzio dellezanzare, e

(ragazzini disobbedienti che nonrispettano le regole.)

roba del genere. Sicuro. Un gran belgioco. Un po' fuori moda, ormai, ma...bello.

"Dick?" La voce era fievole,terrorizzata, piuttosto sgradevole. "Staibene, Dick? Vieni fuori.Ti prego."

("Avanti vieni fuori sporco negro ilpadrone ti sta chiamando.") La sua manosi serrò attorno all'impugnatura di unadelle mazze, e da quel contatto trasseuna sorta di piacere.

(Il medico pietoso fa la piagapurulenta.)

Gli occhi gli si fecero vacui nelletenebre vacillanti, trafitte da riflessi difuoco. In realtà, gli avrebbe fatto unfavore, a tutti e due. Lei era in uno statopietoso... soffriva... e in gran parte(tutto)

era colpa di quel maledettobambino. Aveva permesso che suopadre morisse là dentro, carbonizzato.

A pensarci bene, era maledettamentesimile a un assassinio. Parricidio, lochiamavano. Una cosa davvero infame.

"Signor Hallorann?" La voce di leiera bassa, debole, querula. Non glipiaceva molto quel suono.

"Dick!"Ora il bimbo singhiozzava,terrorizzato.

Hallorann sfilò la mazza dallarastrelliera e si girò verso il fascio diluce bianca proiettato dal faro del gattodelle nevi. I suoi piedi strascicaronosull'assito del capanno degli attrezzi,come i piedi di un giocattolo a molla chefosse stato caricato e messo in moto.

Si fermò bruscamente, guardòmeravigliato la mazza che stringeva inpugno e si chiese con orrore crescentecos'era che aveva pensato di fare. Undelitto?Aveva pensato di commettere undelitto?

Per un attimo la sua mente parveriempirsi di una voce rabbiosa, esile etuttavia prepotente: (Fallo! Fallo, sporconegro smidollato brutto scoglionato!

Ammazzali! AMMAZZALI TUTTIE DUE!)

Poi si gettò la mazza alle spalle conun grido appena sussurrato, colmo diterrore. La mazza cadde fragorosamentenell'angolo dove prima eranoammucchiate le coperte da cavallo, conla testa puntata nella sua direzione, in uninvito non qualificabile.

Fuggì.Danny sedeva sul gatto delle nevi e

Wendy lo stringeva debolmente a sé. Ilbambino aveva il volto inondato dilacrime, e tremava come se avesse avutola febbre terzana.

"Dov'eri? Abbiamo avutopaura,"disse, e batteva i denti.

"È proprio un posto di cui aver

paura," confermò Hallorann."Anche se questo posto brucia fino

alle fondamenta, nessuno riuscirà mai ariportarmi a meno di qualche centinaiodi chilometri di distanza. Tenga, signoraTorrance: si avvolga queste attorno alcorpo.

Qua, che le do una mano. Anche tu,Danny: camuffati da arabo."

Avvolse Wendy in due dellecoperte, accomodandone una in modo daformare una sorta di cappuccio perproteggerle la testa, e aiutò Danny astringersi attorno le sue perché nonscivolassero via.

"E adesso tenete duro più chepotete," disse. "Abbiamo un bel po' di

strada da fare, ma il peggio ormai èpassato."

Girò attorno al capanno degliattrezzi e raddrizzò il gatto delle nevinella direzione del percorso di ritorno.Ora l'Overlook ardeva come una torcia,e le fiamme si levavano alte verso ilcielo. Grandi bocche si erano aperte neisuoi fianchi, e dentro infuriava uninferno di fuoco, che a ritmo alternatocresceva e calava d'intensità. Nevesciolta si riversava in fumanti cascatedalle gronde carbonizzate.

Il gatto delle nevi discese rombandogiù per il prato antistante l'albergo. Ledune di neve baluginavano scarlatte.

"Guardate!" urlò Danny mentreHallorann rallentava in prossimità del

cancello d'ingresso. E additò il parcogiochi.

Le creature di sempreverde eranotutte nelle loro posizioni originali, maapparivano spoglie, annerite,bruciacchiate. I rami stecchiti formavanoun rigido intreccio che si stagliava nelbagliore dell'incendio.

"Sono morti!" strillò Danny, in tonodi isterico trionfo. "Morti! Sono morti!"

"Silenzio!" gli ingiunse Wendy. "Vatutto bene, tesoro. Va tutto bene."

"Ehi, dottore," disse Hallorann."Andiamo in un posticino caldo. Seipronto?"

"Sì," bisbigliò Danny. "È tantotempo che sono pronto..."

Hallorann sgusciò cautamenteattraverso il varco tra il pilastro e ilcancello. Un momento più tardi eranoper via, diretti a Sidewinder. Il ronziodel motore del gatto delle nevi siaffievolì finché si perse nel romboincessante del vento. Il vento chestormiva violento tra i rami spogli deglianimali della siepe con un suono basso,ritmato, desolato. Il fuoco cresceva ecalava d'intensità. A un certo punto,dopo che il ronzio del motore del gattodelle nevi fu svanito, il tettodell'Overlook crollò: prima l'ala ovest,poi l'ala est, e qualche istante dopo ilcorpo centrale. Un'enorme spirale discintille e detriti in fiamme avvampò

nella mugghiante notte invernale.Il vento scagliò un ammasso di

tegole in fiamme e un frammento digrondaia rovente attraverso la portaaperta del capanno degli attrezzi.

Un momento dopo anche il capannoera preda delle fiamme.

Erano a una trentina di chilometri daSidewinder quando Hallorann si fermòper versare il resto della benzina nelserbatoio del gatto delle nevi.Cominciava a essere in ansia per WendyTorrance, che sembrava perder contattocon loro. C'era ancora tanta strada dafare. .

"Dick!"gridò Danny. Era ritto sulsedile e indicava qualcosa. "Dick,guarda! Guarda laggiù!"

La neve non cadeva più e una lunache pareva un dollaro d'argento avevafatto capolino tra le nubi veleggianti. Inbasso, lontana e tuttavia in movimentonella loro direzione, e in salitaattraverso una serie di curve a S, siscorgeva una collana di luci. Il ventocadde per un attimo e Hallorann udì,distante, il ringhio soffocato dei motoridei gatti delle nevi.

Hallorann e Danny e Wendy liraggiunsero un quarto d'ora più tardi.Avevano portato altre coperte e brandye anche il dottor Edmonds.

E il lungo buio ebbe termine.

58Dopo che ebbe finito di controllare

le insalate preparate dal suo vice edebbe dato un'occhiata ai fagioli stufatiche servivano a mo' di stuzzichini,quella settimana, Hallorann si slacciò ilgrembiule, lo appese a un gancio esgattaiolò dalla porta di servizio. Glirimanevano forse tre quarti d'ora primadi dover occuparsi seriamente dellacena.

Il locale si chiamava Locanda dellaFreccia Rossa, ed era sepolto tra lemontagne del Maine occidentale, unacinquantina di chilometri dalla cittadinadi Rangely. Era un buon posto, pensòHallorann. Lavoro non troppo pesante,mance sostanziose: finora nessuno avevamai rimandato indietro un pasto.

Percorse il tratto fra il bar all'aperto

e la piscina (anche se non avrebbe maicapito come si potesse avere voglia difare il bagno in piscina quando c'era unlago a pochi passi), attraversò unospiazzo erboso dove un gruppetto diquattro clienti giocava a croquet erideva, e scalò un piccolo dosso. Lìavevano il sopravvento le conifere, e ilvento ci passava in mezzo sospirando,recando il profumo di abete e quellodolce della resina.

Sull'altro versante alcune casette convista sul lago erano disseminate condiscrezione tra gli alberi.

L'ultima era la più graziosa, eHallorann l'aveva riservata a due ospitisin dal mese di aprile, quando aveva

iniziato quel lavoro.La donna era seduta sotto il porticato

in una sedia a dondolo, con un libro inmano. Hallorann fu colpito ancora unavolta dal cambiamento che si eraprodotto in lei. In parte, era datodall'atteggiamento rigido, quasi compitocon cui se ne stava seduta, nonostantel'ambiente circostante fosse tutt'altro cheformale: la causa, naturalmente, era daricercarsi nel busto. Aveva riportato lafrattura di una vertebra, oltre che di trecostole, e alcune lesioni interne. La piùlenta a guarire era proprio la schiena, eil busto le dava quell'atteggiamentocompassato. Ma non era tutto lì:sembrava più vecchia, non sorridevamai. Ora, osservandola, Hallorann vide

in lei una specie di bellezza solenne chenon c'era il giorno che l'aveva incontrataper la prima volta, circa nove mesiprima.

Lei sentì i suoi passi, levò losguardo e chiuse il libro. "Dick! Ciao!"Fece per alzarsi, e una piccola smorfiadi dolore le passò sul volto.

"Nossignora, non muoverti," leintimò Hallorann. "Non sopporto lecerimonie, se non ci si mette in frac ecravattino."

Wendy sorrise mentre lui saliva igradini e sedeva accanto a ' lei sotto ilporticato.

"Come va?""Abbastanza bene," ammise

Hallorann. "Prova i gamberi alla creola,stasera. Ti piaceranno."

"Affare fatto.""Dov'è Danny?""Laggiù." Glielo indicò, e Hallorann

vide un'esile figura seduta in fondo almolo. Il bambino portava un paio dijeans arrotolati al ginocchio e unacamiciola a righe rosse. Un po' più in là,sull'acqua calma, galleggiava unsughero. Di tanto in tanto Danny ritiravala lenza; esaminava il piombino e l'amo,poi lanciava ancora.

"Si sta abbronzando," osservòHallorann. Estrasse una sigaretta, lapercosse, l'accese. Il fumo veleggiòpigramente nel sole del pomeriggio. "Ecome va con quei sogni che faceva?"

"Meglio," rispose Wendy. "Solo unavolta, questa settimana. Prima sognavaogni notte, anche due o tre volte pernotte. Le esplosioni, le siepi. Esoprattutto... sai."

"Già. Si rimetterà perfettamente,Wendy."

Lei lo guardò. "Davvero? Me lochiedo spesso."

Hallorann annui. "Tu e lui statetornando alla normalità. Diversi, forse,ma a posto. Non sarete più come prima,ma non è detto che sia un male."

Indugiarono alquanto in silenzio.Wendy facendo dondolare piano lapoltrona, Hallorann fumando, i piediappoggiati alla ringhiera del porticato.

Si levò un alito di vento, che stormivasegreto tra i pini.

"Ho deciso di accettare l'offerta diAl... del signor Shockley," disse Wendy.

Hallorann annuì. "Un buon posto, aquanto pare. Qualcosa che potrebbeinteressarti. Quando cominci?"

"Subito dopo il Giorno del Lavoro.Quando Danny e io partiremo da qui,andremo direttamente nel Maryland acercar casa. In realtà, è statoquell'opuscolo della Camera dicommercio a convincermi, sai.

Sembra il posto giusto per crescerciun ragazzino. E vorrei propriorimettermi a lavorare prima di dar fondoai soldi dell'assicurazione di Jack. Cisono ancora più di quarantamila dollari.

Abbastanza per mandare Dannyall'università, e ne resteranno ancoraabbastanza perché possa intraprendereuna carriera, se saranno investiti bene."

Hallorann annuì. "E tua mamma?"Lei lo guardò ed ebbe un debole

sorriso. "Penso che il Maryland siaabbastanza lontano."

"Non dimenticherai i vecchi amici,spero."

"Danny non me lo permetterebbe.Va' giù a trovarlo, è tutto il giorno cheaspetta."

"Be', anch'io." Si alzò in piedi e siaggiustò l'uniforme bianca da cuoco suifianchi. "Voi due vi sistemerete come sideve," ripeté. "Non riesci a sentirlo?"

Wendy levò lo sguardo su di lui equesta volta il sorriso fu più caldo. "Sì,"rispose. Gli prese la mano e la baciò."A volte credo di sentirlo."

"I gamberi alla creola," le ricordòHallorann, avviandosi ai gradini. "Nondimenticartene."

"Non lo dimenticherò."Hallorann discese il viottolo coperto

di ghiaia che portava al piccolo molo,percorse la passerella di legno un po'corrosa fino all'estremità, dove Dannysedeva con i piedi immersi nell'acqualimpida.

Davanti, si allargava il lago, lungo ibordi si specchiavano i pini. Attorno, ilterreno era montagnoso, ma le montagne

erano antiche, arrotondate e umiliate daltempo. A Hallorann piacevano molto.

"Abboccano?" chiese, sedendosiaccanto al bambino. Si sfilò una scarpa,poi l'altra. Con un sospiro di sollievoimmerse i piedi accaldati nell'acquafresca.

"No. Però poco fa ho sentito unostrattone."

"Domattina andiamo fuori in barca.Bisogna portarsi in mezzo al lago se sivuoi prendere un pesce che valga lapena di essere mangiato, ragazzo mio. Èal largo che ci sono quelli grossi."

"Grossi come?"Hallorann si strinse nelle spalle.

"Oh... squali, marlin, balene, roba delgenere."

"Qui di balene non ce ne sono!""Di baleneazzurre, no. Certo che no.

Quelle di qui non sono lunghe più diventicinque metri. Balene rosa."

"Ma come fanno ad arrivare fin quidall'oceano?"

Hallorann posò una mano sui capellirosso dorati del bambino e li scompigliòin un gesto affettuoso.

"Nuotano controcorrente, ecco comefanno."

"Davvero?""Davvero."Indugiarono un lungo momento in

silenzio, a guardare la superficieimmobile del lago. Quando Hallorannriportò lo sguardo su Danny, vide che

aveva gli occhi inondati di pianto."Cosa c'è?" domandò, passandogli

un braccio attorno alle spalle."Niente," bisbigliò Danny."Senti la mancanza del tuo papà?"Danny fece un cenno di assenso. "Tu

sai sempre tutto." Una lacrima gli caddedall'angolo dell'occhio destro e colòlentamente lungo la guancia.

"Noi non possiamo avere segreti,"convenne Hallorann. "Le cose stannocosì, e basta."

Danny guardò la canna da pesca, edisse: "Qualche volta vorrei che fossecapitato a me. È stata colpa mia, soltantocolpa mia."

"Non ti va di parlarne quando èpresente la mamma, vero?" insinuò

Hallorann."No. Lei vuole dimenticare che è

successo. Anch'io, ma...""Ma non ci riesci.""No.""Hai voglia di piangere?"Il bambino tentò di rispondere, ma le

parole furono inghiottite da unsinghiozzo. Posò la testa sulla spalla diHallorann e pianse, e ora le lacrime gliscorrevano per il viso. Hallorann lostrinse a sé senza dire nulla. Il bambinone avrebbe dovute versare, di lacrime,lo sapeva; ed era una fortuna che Dannyfosse ancora abbastanza piccolo dapoter piangere senza ritegno. Le lacrimeche guariscono sono anche le lacrime

che scottano e feriscono.Quando si fu un po' quietato,

Hallorann disse: "Ti passerà. Adessonon ti pare di essere a posto, macambierai idea. Hai l'au..."

"Vorrei non averla!" sbottò Dannycon voce strozzata, ancora rotta dalpianto. "Vorrei proprio non averla!"

"Però ce l'hai," ripeté Hallorann convoce pacata. "Bene o male. Non puoifarci niente, bambino mio.

Ma il peggio è passato. Puoiservirtene per parlare con me quando lecose vanno male. E se vanno troppomale, basterà che mi chiami e io verrò."

"Anche se sono giù nel Maryland?""Anche là."Indugiarono in silenzio a osservare

il sughero di Danny che galleggiava auna decina di metri dal molo. Poi Dannydisse, troppo piano per essere udito:"Sarai mio amico?"

"Finché vorrai."Il bambino lo abbracciò stretto e

Hallorann ricambiò l'abbraccio."Danny? Ascoltami. Te ne parlerò

adesso e non tornerò mai piùsull'argomento. Ci sono cose che non sidovrebbero dire a un bambino di seianni, raramente si riesce a farconcordare le cose come dovrebberoessere e come realmente sono. Il mondoè duro, Danny. Se ne frega. Non ci odia,no, ma nemmeno ci ama. Cose terribiliaccadono nel mondo, e si tratta di cose

che nessuno sa spiegare. Le persone perbene muoiono in circostanze atroci elasciano nello strazio chi li ha amati. Ilmondo non ti ama, ma la tua mamma tivuol bene, e io pure. Tu sei un bravobambino. E quando ti vien voglia dipiangere per quello che è accaduto a tuopadre, nasconditi in un armadio o sottole coperte e piangi finché non ti seiliberato di tutto il peso che grava sul tuocuore. È questo che deve fare un buonfiglio.

Ma bada a tenerti in carreggiata. Èquesto il tuo compito in questo duromondo: tener vivo il tuo amore e badarea tirare avanti, qualsiasi cosa accada.Fatti coraggio e continua per la tuastrada."

"Va bene," bisbigliò Danny. "Verròa trovarti anche l'estate prossima, sevuoi... se non hai niente in contrario.L'estate prossima avrò sette anni."

"E io sessantadue. E ti abbracceròcosì stretto da toglierti il fiato. Mafiniamo un'estate prima di pensare aun'altra."

"D'accordo." Danny guardòHallorann. "Dick?"

"Uhm?""Vivrai ancora per molto tempo,

vero?""Quel che è certo è che faccio del

mio meglio. E tu?""Sì, signore. Io...""Qualcosa ha abboccato, figliolo."

Fece segno col dito. Il galleggiantebianco e rosso era sprofondatosott'acqua. Tornò a galla luccicando esparì di nuovo.

"Ehi!" fece Danny, deglutendo avuoto.

Anche Wendy era scesa, e adesso siera unita a loro, ritta alle spalle diDanny. "Che cos'è?" domandò.

"Un luccio?""No, signora," rispose Hallorann.

"Credo che sia una balena rosa."La punta della canna si piegò. Danny

la ritrasse dall'acqua e un lungo pesceiridato guizzò al sole in una parabolaammiccante, poi sparì di nuovo.

Danny avvolse freneticamente ilmulinello.

"Aiutami, Dick! L'ho preso! L'hopreso! Aiutami!"

Hallorann rise. "Te la cavibenissimo da solo, ometto. Non so se siauna balena rosa o una trota, ma andràbenissimo. Andrà benissimo, credi ame."

Con un braccio cinse le spalle diDanny e piano piano il bambino sollevòil pesce dall'acqua. Wendy sedetteaccanto a Danny, e tutti e tre rimaserotranquilli, in fondo al molo, nel sole delpomeriggio.

FINE