signacula: analisi linguistica

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INSTRVMENTA INSCRIPTA V Signacula ex aere. Aspetti epigrafici, archeologici, giuridici, prosopografici, collezionistici ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE (Verona, 20-21 settembre 2012) a cura di Alfredo Buonopane e Silvia Braito con la collaborazione di Cristina Girardi Scienze e Lettere Roma 2014

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INSTRVMENTA INSCRIPTA V

Signacula ex aere.Aspetti epigrafici, archeologici, giuridici,

prosopografici, collezionistici

ATTI DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE

(Verona, 20-21 settembre 2012)

a cura di Alfredo Buonopane e Silvia Braito

con la collaborazione di Cristina Girardi

Scienze e LettereRoma 2014

Volume stampato con il contributo di: Dipartimento Tempo Spazio Immagine Società (TeSIS) dell’Università degli Studi di Verona

Rotary Club Como Baradello

Con il patrocinio di: Università degli Studi di Verona, Dipartimento TeSIS Association Internationale d’Épigraphie Grecque et Latine (A.I.E.G.L.) Terra Italia Onlus

&RPLWDWR�VFLHQWL¿FR� Giulia Baratta, Alfredo Buonopane, Ivan Di Stefano Manzella,

Sergio Lazzarini, Marc Mayer i Olivé, Giovanni Mennella

Redazione: Alfredo Buonopane, Silvia Braito, Cristina Girardi

(GLWLQJ�H�OD\RXW�JUD¿FR��Cristina Girardi

Coordinamento peer review: Alfredo Buonopane

I contributi raccolti in questo volume sono stati sottoposti alla peer review secondo la procedura del “doppio cieco”

© 2014 Scienze e Lettere dal 1919 S.r.l.già Bardi EditoreVia Piave, 7 – 00187 RomaTel. 0039/06/4817656 – Fax 0039/06/48912574e-mail: [email protected] 978-88-6687-072-2

In copertina: il signaculum di Asturius (CIL XV, 8094) in J. Muselli, Antiquitatis reliquiae, Verona 1756, tab. XXXXVIII, 2 (incisione di Dionisio Valesi e Domenico Cunego).

IX

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Alfredo BuonopanePremessa

Marc Mayer i Olivé Signata nomina; sobre el concepto y valor del término signaculum con algunas consideraciones sobre el uso de los instrumentos que designa

Ivan Di Stefano ManzellaSignacula ex aere e mercatura: indizi e ambiguità testuali

Manfred HainzmannSignacula und Synonyme

Simona MarchesiniSignacula: analisi linguistica

Sergio LazzariniI signacula: tra certezza dei “diritti soggettivi” e tutela GHOO¶DI¿GDPHQWR

Margherita Bolla&HQQL�VXOOH�IDOVL¿FD]LRQL�QHOOD�EURQ]LVWLFD

Giulia BarattaIl signaculum al di là del testo: la tipologia delle lamine

Francesca CeneriniNec desunt mulieres: signacula al femminile

Alfredo BuonopaneSchiavi e liberti imperiali nei signacula ex aere

Indice

Silvia Braito1HOO¶RI¿FLQD�GHO�CIL. I signacula nei lavori preparatori del Corpus inscriptionum Latinarum

Cristina GirardiLe societates nel mondo romano: attestazioni dai signacula ex aere

Norbert FrankenDie lateinischen Bronzestempel der Berliner Antikensammlung aus sammlungsgeschichtlicher Sicht

Daniela Rigato I signacula ex aere del Museo Nazionale di Ravenna: un quadro introduttivo

Antonio SartoriNon Dianam magis montibus quam Minervam inerrare

Giovanna CicalaSignacula pompeiani: appunti di una ricerca in corso

Raimondo ZuccaSignacula ex aere provinciae Sardiniae

Silvia EvangelistiSignacula da Aeclanum in CIL (IX e X). Alcune note

Claudia GattaSignacula ex aere e collezionismo. Carlo Morbio e le sue raccolte

Stefano MagnaniSignacula ex aere dal territorio di Aquileia

Filippo BoscoloSignacula conservati nel Museo Archeologico di Padova

Giovanni MennellaSignacula aenea e bollatura di laterizi: a proposito di un timbro inedito nel Museo di Antichità di Torino

Marina VavassoriSignacula a Bergamo e dintorni: curiosità e quesiti

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Elena CimarostiTre signacula da raccolte museali nell’Italia nord-occidentale

Valeria ValcheraSignacula ex aere del Museo Civico Archeologico di Bologna: notabilia�WHFQLFL��SURVRSRJUD¿FL�H�FROOH]LRQLVWLFL

Simona Antolini, Silvia Maria MarengoI signacula ex aere della regio VI adriatica

Silvia BraitoSignacula “in rete”: fra documentazione, aste online e collezionismo

Heikki SolinEpiclinus: una nota onomastica

Marco FirmatiSigilli di mercatores per doli dal porto di Pisa

Luigi Vecchio Un signaculum in bronzo con iscrizione greca da Velia

Paola Pacchiarotti, Giada Fatucci, Laura Ebanista, Sarah Gozzini, Federica LamonacaI signacula del Museo Nazionale Romano: un’esperienza didattica tra studio e EDR

0DXUL]LR�%XRUD��(UJ�Q�/DÀÕTre signacula dall’Asia Minore

Christophe Schmidt HeidenreichSignacula ex aere dans les deux Germanies et les trois Gaules : observations sur une documentation récalcitrante

Gaetano ArenaVasetti iscritti e produzione di medicamenta a Priene ellenistico-romana

Margherita Cassia“Marchi di fabbrica” a Creta e tituli picti di Ercolano: considerazioni socio-economiche

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Reinhold WedenigBleiplomben mit Stempel- und Ritzinschriften aus Iuvavum (Noricum)

Zsolt VisyInstrumenta Inscripta Aenea aus Ungarn

Angela Donati(�SHU�¿QLUH

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Lista autori

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Riassunto: L’Autrice fornisce in primo luogo un inquadramento linguistico del termine signaculum, partendo dall’analisi linguistica del nome nella lingua latina e nelle altre lingue indoeuropee in cui il termine è attestato. L’esame continua con un inquadramento della categoria marchio/sigillo/logo in generale da un punto di vista semiologico/comunicativo, onomastico e neuropsicologico. Il carattere di serialità, opposto a quello dell’unicità dell’iscrizione, appare contraddistinguere la categoria dei signacula, come anche dei marchi e i loghi sia nel mondo sia in quello moderno. Correda il contributo un excursus sulla categoria in ambito etrusco, dove, pur non essendo conservata traccia diretta di signacula, bolli impressi su tegole, laterizi, gutti, strigili, dolia, ¿VWXODH, olle, catini, simpula e lucerne sono possibili candidati indiretti di attestazione della categoria.

Abstract:�$�OLQJXLVWLF�IUDPHZRUN�LV�RIIHUHG�E\�WKH�$XWKRU�LQ�WKH�¿UVW�SDUW�RI�WKH�SDSHU��where the term “signacula” is analyzed in the Latin language as well in other Indo-European langages. The paper deals further with a theretical semiological, onomastic, neuropsychological framework on the whole category “trademarks”, “logos” and “seals”. A seriality feature seems to distinguish the signacula and other similar items in the ancient and in the modern world as well. The paper is completed by an excursus of the class in the Etruscan world, where even if any direct proofs of signacula has been observed until now, some candidates like seals impressed on roof tiles, bricks, gutti, strigils, dolia��¿VWXODH��ollas, bowls, simpula or lamps are possible indirect candidates for the class.

Parole chiave: marchi, loghi, onomastica, lingua latina, lingua etruscaKeywords: marks, logos, proper-names, Latin language, Etruscan language

���'H¿QL]LRQH�GHO�WHPDPassando in rassegna la letteratura sui signacula in vista della preparazione del

convegno – cui l’amico Buonopane mi ha gentilmente invitato – ho trovato un ri-FRUUHQWH�ULIHULPHQWR�DOOD�GLI¿FROWj1 di individuare la funzione dei signacula. In uno

1. castellano, giMeno, stylow 1999; di stefano Manzella 2011 (distinzione con gli anula);

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ONEdei contributi più recenti2�� WURYR� FKH� VHFRQGR� OD� GH¿QL]LRQH� LO� WHUPLQH� signaculum indica due cose: la res signando apta, ovvero l’instrumentum agente e l’impronta da esso prodotta. In questa occasione non mi occuperò dell’instrumentum in sé, quanto della traccia da esso lasciata su varie classi di oggetti ed in varie forme, con l’intento GL�FRQWULEXLUH�±�VHSSXUH�LQ�PLQLPD�SDUWH�±�DOOD�GH¿QL]LRQH�GHOOD�FODVVH�GD�XQ�SXQWR�di vista linguistico. Alcune delle considerazioni che farò si possono riferire anche ad altre classi dell’instrumentum inscriptum. Completerà l’analisi un piccolo excursus sui bolli etruschi.

2. EtimologiaIl termine latino VLJQƗFXOXP si forma dal verbo VLJQƗUH�SHU�PH]]R�GL�XQ�VXI¿VVR�

deverbale strumentale: -tlo-3 (lo stesso di SǀFXOXP, di SLƗFXOXP etc.): la sua ricostru-zione è dunque *sign-ă-tlo-m��$OPHQR�LQ�RULJLQH�GXQTXH��LO�QRPH�GRYHYD�VLJQL¿FDUH�lo strumento. Vale la pena forse di ricordare che il signum, da cui deriva il verbo, è a sua volta un segno, un marchio��LQ�RULJLQH�µLQFLVR¶��OD�FXL�EDVH�q�FRVWUXLWD�VXO�YHUER�D�radice *s¶kH-��µWDJOLDUH¶4. Il termine /o termini analoghi sono attestati anche in celtico, dove l’irl. ant. “siglithe” corrisponde a lat. signati,5; in germanico abbiamo l’attesta-]LRQH��GDO�,9�VHFROR��PD�TXDVL�VLFXUDPHQWH�FRQ�RULJLQH�DQWHULRUH��GHO�JRWLFR�³VLJOMR´��sigillum6. Le due attestazioni fanno pensare che si trattasse di un termine comune almeno ad alcune lingue indoeuropee occidentali.

���8QLFLWj�VHULDOLWjI primi esempi di sigilli, come noto, si trovano nel Vicino Oriente a partire dal III

PLOOHQQLR�D�&��H�LQ�(JLWWR�SHU�WXWWR�LO�SHULRGR�GHOOH�DWWHVWD]LRQL�HSLJUD¿FKH��1HOO¶,WD-

feugère Mauné 2005-2006, pp. 439, 449; loreti 1994, p. 646. 2. di stefano Manzella 2011. 3. leuMann 1977, II, p. 313: i.e. -tlom, -WOƗ-, ital. -klom, -kla > lat. -culum, -cula (antico ancora -clum). Esempi: Sǀ�F�X�OXP, RE�VWƗ�FXOXP�etc. Si cfr. anche ant. ind. SƗWUDP��,QVLHPH�DG�DOWUL�VXI¿VVL�L�H��(-tro-, -tlo-, -dhlo-, -dhro���LO�VXI¿VVR�SXz�DYHUH��VHFRQGR�0��/HXPDQQ��YDORUH�VWUXPHQWDOH�R�ORFDWLYR��FIU��anche sihler 1995, p. 228. � ��� � ³+´� VWD� SHU� XQD� GHOOH� WUH� ODULQJDOL�� SHU� O¶LGHQWL¿FD]LRQH� GHOOD� TXDOH�PDQFD� VXI¿FLHQWH� VWDWR� GL�documentazione: cfr. de vaan 2008, p. 563. Cfr. iGeW, pp. 895-896; LIV, s.v. *sekH- “abtrennen”, “schneiden”, “unterscheiden”. Si cfr. ad esempio il lat. VHFǀ���ƗUH, con apofonia -a- saxum, ted. Schere µIRUELFL¶��DOWR�WHGHVFR�DQWLFR�sahs�µFROWHOOR¶��DQWLFR�VODYR�HFFOHVLDVWLFR�socha; cfr. anche lat. VƯJQXP, che LQGLFD�XQ� µPDUFKLR¶��XQ� µVHJQR¶��SUREDELOPHQWH�DYHQWH�RULJLQH�GDO�FRQFHWWR�GL� µPDUFKLR� LQFLVR¶�� VL�FIU��anche umbro prusekatu (= lat. SUǀVHFƗWǀ), aseçeta (= lat. non secta), pruseçia (= lat. SUǀVLFLƗV), su cui cfr. unterMann 2000, pp. 587-589; cfr. anche medio irl. tescaid�µWDJOL¶�� to-eks-skը -o-). Per i nomi deverbativi latini in -ƗUH cfr. da ultimo de vaan 2012. Da ultimo Carlo de Simone, che qui ringrazio, mi segnala l’attestazione del termine SENOM (scrittura per se(i)nom = signum) in un’iscrizione latina da Alba Fucens del II secolo a.C., da lui studiata (de siMone c.s.). 5. Il termine siglithe compare nelle cd. “glosse di Würzburg” (VIII secolo d.C.), in particolare alla glossa 17 alla lettera di S. Paolo agli Efesini: thurneysen 1909, pp. 3 e 92. 6. Cfr. lehMann�������S�������,O�WHUPLQH�JRWLFR�ULVDOH�DOOD�%LEELD�GL�:XO¿OD�GHO�,9�VHFROR��QRQ�q�GDWR�sapere quanto antica sia la sua attestazione orale.

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ONElia antica la pratica di apporre un nome personale su un oggetto d’uso è diffusa sin

GDOO¶LQL]LR�GHOOD�GRFXPHQWD]LRQH�HSLJUD¿FD��RYYHUR�QHOO¶9,,,� VHFROR�D�&��1RQ�q�XQ�caso che il documento iscritto più antico rinvenuto in suolo italico, praticato su un

frammento di vaso rinvenuto in una tomba femminile da Osteria dell’Osa, nel Lazio

(terzo quarto dell’VIII secolo a.C.), rechi con tutta probabilità un nome di persona, in

forma abbreviata: Eulin.

,Q�JHQHUH�LO�QRPH�q�LQFLVR�R�JUDI¿WR�VX�XQ�VXSSRUWR�HSLJUD¿FR�LQ�FDVR�JHQLWLYR��UDUD-mente in nominativo; in Venetico o in Elimo il possesso è espresso con il caso dativo.

In ogni caso il possesso dell’oggetto signatum è espresso con un nome personale, in

una modalità che, nell’età arcaica, si esaurisce nella maggior parte dei casi nell’am-

bito privato, familiare o religioso, e che solo in età recente (a partire soprattutto dal

III secolo a.C.) si estende a fenomeni più ampi, legati allo sviluppo economico della

società e alla produzione di beni su larga scala7.

La sigla/il nome che si appone per indicare l’appartenenza personale ha quindi in

età arcaica le caratteristiche dell’una tantum, anche se non mancano casi di piccoli

gruppi di oggetti recanti la stessa formula onomastica o lo stesso testo8. Sono però,

queste ultime, eccezioni legate al rito funerario e alla necessità, ancora privata, di at-

testare in modo “marcato” la pertinenza di un set di oggetti alla stessa persona.

La modalità di apporre un nome personale mediante un timbro, uno stampo, un

VLJLOOR�R�QHO�QRVWUR�VSHFL¿FR�XQ�signaculum in intere categorie di oggetti, costituisce

un salto di funzionalità comunicativa. Lo stampo, la riproduzione del nome su larga

scala implica la serialità, ha una destinazione aperta a un destinatario multiplo. Non è

un caso che stampi/bolli si trovino spesso su categorie di supporti come anfore, dolia9,

tegole, pesi da telaio10, oggetti seriali per eccellenza11.

Il concetto di serialità che investe la categoria dei signacula come anche di marchi

o sigle ha, come vedremo, delle implicazioni comunicative e linguistiche che possono

portare nuova materia all’interpretazione dell’intera classe.

7. Si pensi alle iscrizioni anche ricorrenti con bolli su ceramica (guttus), su tegole (cfr. le tegole da

Sasso Pisano con la sigla ĞS�XUD� etc. o su altri manufatti (cfr. infra). Un antecedente dell’età arcaica può

essere ravvisato nella categoria dei lingotti del ramo secco: cfr. Pellegrini, Macellari 2002.

8. Casi noti sono a Cerveteri, come ad esempio l’iscrizione ripetuta PL� ODUșLD su uno skyphos

d’argento e su un’anfora globulare d’argento dalla tomba Regolini Galassi di Cerveteri (675-650 a.C.), su

cui cfr. Marchesini 1997, nn. 13-14, pp. 28-29), oppure, sempre da Cerveteri, le due iscrizioni mi qutum karkanas su due oinochoai italo-geometriche, sempre dello stesso orizzonte cronologico (Marchesini

1997, nn. 16-17, pp. 29-30.) Ancora si legge mi atiial plavtanas in due vasi (oinochoe attica del 520-480

a.C. e olpe dello stesso orizzonte cronologico dalla necropoli della Banditaccia a Caere): Marchesini

1997, nn. 130-131, pp. 61-62.

9. Cfr. ad esempio, sui signacula doliaria, firMati 2002.

� ���� �1RWL�VRQR�L�FDVL�GHL�EROOL�VXL�SHVL�GD�WHODLR��SLUDPLGHWWH�¿WWLOL��LQ�DPELWR�PHVVDSLFR��MLM 2002,

in particolare da Ruvo di Puglia.

11. Sui bolli sicelioti e sulla loro onomastica ha scritto a più riprese garozzo������FRQ�ELEOLRJUD¿D�precedente.

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ONE4. 0DUFKL�VLJOH�ORJKLTra i contributi linguistici recenti e sistematici sulla categoria dei marchi vale la

pena di citare anzitutto G. Koß, che ne parla in un capitolo del volume dedicato alla

“Namenforschung”12, ricordando subito che le diverse denominazioni scelte per tali

nomi (“Warennamen, “Warezeichen”, “Markennamen”, “Produktname”) rivelano il

loro controverso posizionamento all’interno del lessico.

Se da un parte un prodotto può essere registrato con un marchio (“Trademark”,

³:DUHQ]HLFKHQ´�� DOO¶8I¿FLR� %UHYHWWL�� LO� QRPH� FRQ� FXL� HVVR� FRPSDUH� VXO� PHUFDWR�(“Markenname”), può anche non essere registrato, può essere composto di una o più

SDUROH�H�SXz�DQFKH�DVVXPHUH�XQD�IRUPD�JUD¿FD�SDUWLFRODUH��$QFKH�L�QRPL�SURSUL�GL�persona possono diventare marchi, ed essere usati come appellativi nell’uso concreto

della lingua. I marchi sono soggetti a essere rimpiazzati da altri marchi, a seconda

GHOO¶LPPLVVLRQH�QHO�PHUFDWR�GL�QXRYL�SURGRWWL�R�GL�PRGL¿FKH�GL�TXHOOL�HVLVWHQWL��$L�nomi dati dai produttori si aggiungono quelli dati dal distributore.

Sulla posizione dei marchionimi all’interno del sistema lessicale, G. Koß nota che

è la referenza multipla a trasformare in un nome comune ciò che in origine è un nome

proprio: il rapporto di referenza 1:1, tipico della maggioranza dei nomi propri, non è

più valido per i marchionimi. Il risultato è una posizione marginale all’interno della

categoria propria.E. Eichler, che ribadisce il particolare interesse rivolto dagli studiosi ad una cate-

JRULD�VIXJJHQWH�JLj�QHO�QRPH��IRUQLVFH�XQD�GH¿QL]LRQH�RQRPDVWLFD�GHL�PDUFKLRQLPL�(“Warennamen”), di cui offre anche una tipologia:13 esistono infatti neoformazioni

�QRPL�¿WWL]L�FRPH�³202´�SHU�LO�VDSRQH�R�³8+8´�SHU�OD�FROOD���QRPL�SURSUL��FRPH�DG�HV��³YDQ�*RJK´�SHU�LO�WLSR�GL�SDWDWH��³-XOLD´�SHU�LO�FHVWLQR�GHOOD�IUXWWD���R�DSSHOODWLYL�(come “Auftakt” per un particolare tipo di abito). Ci sono poi varie combinazioni,

che includono, oltre ai nomi, anche numeri e lettere; tipica dei marchionimi è anche

OD�VHOH]LRQH�GL�DOFXQL�VXI¿VVL��HV���lon�SHU�L�QRPL�GL�¿EUH�FRPH�³1\ORQ´��³'UDORQ´��“Perlon” etc.).

Anche E. Eichler si domanda quale sia la posizione dei marchionimi, che come

FDWHJRULD�RQRPDVWLFD�RVFLOODQR�WUD�XQD�IXQ]LRQH�LGHQWL¿FDQWH�H� LQGLYLGXDQWH�GD�XQD�parte ed una generalizzante dall’altra, designando al contempo tutti i prodotti di uno

stesso articolo.

La fortuna di certi prodotti è a volte legata al collegamento tra prodotto e nome

del produttore, con il “brand” (es. “Barilla”), che funziona da garanzia grazie alle

prestazioni rinomate della casa produttrice. S. Aggarwal osserva a proposito di “brand

management”14: «integrated branding is the promise that you keep. […] That promise

is carried out by people at all levels of the company from the CEO to the line workers

12. koss 1990, pp. 104-107.

13. eichler 1996, pp. 1642, 1644.

14. aggarwal 2008, p. 2.

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ONEso that integrated branding is much more than a communications strategy or set of

messages. At the heart of any company is the promise that it makes to its costumers».

Il nome del marchio e il suo “brand” (il nome della casa produttrice), sono quindi

una promessa fatta ai clienti e mantenuta dalle persone che lavorano a tutti i livelli

della fabbrica, ai giorni nostri come, molto probabilmente, nell’antichità, sia che il

“brand” fosse gestito da privati sia da istituzioni pubbliche. Anche l’aspetto estetico

GHO�PDUFKLR��ORJR��SXz�LQÀXLUH�VXOOD�VXD�IRUWXQD���DOFXQH�IRUPH�VL�LPSULPRQR�QHOOD�memoria più di altre grazie alla loro riconoscibilità. Per favorire il ricordo del mar-

chio spesso si uniscono al testo – come anche nei signacula – combinazioni di nomi e

simboli che costituiscono la parte iconica del logo: numerali, vari elementi decorativi.

Il rapporto tra marchio e prodotto è prima di tutto di tipo segnico: si tratta della

funzione di rappresentazione di un prodotto e delle opinioni a lui collegate attraverso

un’informazione mirata. Il marchio stabilisce, assicura o occupa un campo semantico

che verrà sempre associato con il suo prodotto15.

Come visto sopra, il marchio non gode, a differenza di altre categorie linguistiche,

GL�XQD�FODVVL¿FD]LRQH�XQLYRFD�H�FRQGLYLVD�GD�WXWWL16. Da un punto di vista lessicale il

marchio costituisce un sottoinsieme designativo all’interno della categoria propria, da intendere in opposizione funzionale a quella del nome comune o appellativum. Ma

TXHVWD�GH¿QL]LRQH�QRQ�q�HYLGHQWHPHQWH�VXI¿FLHQWH�Come già accennato sopra, data la funzione al contempo individualizzante e gene-

ralizzante, la categoria viene spesso collocata in una dimensione di passaggio tra pro-pria e appellativa17. A questo riguardo W. van Langendonck18 propone per la categoria

dei marchionimi, che egli tratta nel capitolo dei “Nonprototypical proper names”, la

GH¿QL]LRQH�GL�³SURSULR�DSSHOODWLYH�OHPPD´��/D�GLIIHUHQ]D�WUD�TXHVWR�WLSR�GL�QRPL�H�gli altri propria è il loro potenziale ricorsivo (iterativo, ripetitivo), ovvero proprio la

serialità.

Per capire meglio la posizione del marchionimo rispetto alla categoria dei propria, ci può essere utile forse un contributo delle neuroscienze. In un articolo di C. Semenza

dedicato alla neuropsicologia del nome proprio si parte dalla constatazione che in que-

VWD�FODVVH�LO�VHJQR�q�VROR�UHIHUHQ]D��QRQ�DYHQGR�LO�QRPH�XQ�VLJQL¿FDWR19. L’insieme di

attributi etichettati da un nome proprio si combina incidentalmente – dice C. Semenza

– essendo relati l’uno all’altro solo in virtù del fatto che appartengono ad entità che

sono uniche. Nomi propri e nomi comuni differiscono nella sintassi lessicale e questo

15. krüger r., BaxMann-krafft e.-M., hartlieB B. 2004, p. 3551.

16. eichler 1996, p. 1646: il § 4 è dedicato ai marchionimi (“Markennamen”, “Brand name”).

17. voigt 1989 li attribuisce alla classe degli appellativa, mentre schiPPan 1989, p. 50 a quella di

appellativi con caratteristiche proprie.

18. van langendonck 2007, p. 223.

19. seMenza�������S�������,Q�UHDOWj�WXWWL�L�QRPL�KDQQR�LQ�VLQFURQLD�XQ�VLJQL¿FDWR��HYLGHQWH�DO�PRPHQWR�della loro genesi, che però si perde in un processo di progressiva opacità semantica, che investe tutti i

propria nella dimensione diacronica. Cfr. Marchesini 2007, pp. 17-19.

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ONEin virtù delle loro differenze semantiche: «In virtually all these models only a single

connection is envisaged from the individual entity labelled by a proper name and

the name. In respect of a common name connections between the components of the

concept and the name are instead multiple and, as a result, are on the whole stronger».

Secondo lui la differenza evidenziata nei modelli esplicativi tra propria e nomi

comuni consiste nella quantità di risorse descrittive associate con un nome, come ad

HVHPSLR�LO�ULFKLDPR�DOOD�SHUVRQD��O¶LGHQWL¿FD]LRQH�GHO�QRPH��GHO�YROWR��O¶LGHQWL¿FD]LR-

QH�GL�RJJHWWL�XQLFL�QHL�QRPL�SURSUL��H�O¶LGHQWL¿FD]LRQH�GL�RJJHWWL�FRPXQL�QHJOL�DSSHO-lativi. La differenza sostanziale è che i nomi propri si riferiscono ad individui, mentre

L�QRPL�FRPXQL�D�FDWHJRULH��6L�WUDWWD�TXLQGL�GL�GLVWLQJXHUH��FRPH�VL�YHGH�QHO�JUD¿FR�ULFRVWUXWWLYR��¿J�����XQD�VHPDQWLFD�LQGLYLGXDOH��RYYHUR�LO�VHQVR�FKH�FLDVFXQR�GL�QRL�attribuisce al referente del nome proprio, da una semantica generale, quella che tutti

KDQQR�GL�RJJHWWL�FRPXQL��(V��WXWWL�FRQRVFRQR�LO�VLJQL¿FDWR�GHOOD�SDUROD�³WDYROR´��VH-mantica generale: referenza “type”) ma non tutti possono conoscere gli “Aerosmith”

(semantica individuale: referenza “token”)20.

Le proprietà delle operazioni semantiche necessarie per nominare con propria pos-

sono avere, in confronto con quelle usate per gli appellativa, qualità differenti21. I

nomi che indicano oggetti comuni (appellativa) si applicano a un set di attributi che

si sovrappongono o interagiscono tra di loro mediante connessioni ad alta probabili-

tà. Invece il set di attributi indicati da un nome proprio si combina accidentalmente,

essendo essi relati l’uno all’altro solo in virtù dell’appartenenza a entità uniche. Da

questo punto di vista è facile capire come il proprium marchionimo assuma carat-

teristiche da nome comune, essendo alta la frequenza con cui esso si associa a un

20. Jackendoff 1983, pp. 110-111.

21. seMenza 2009, p. 348.

¿J�����0RGHOOR�HVSOLFDWLYR�VXOOD�GLIIHUHQ]D�SURSULD�DSSHOODWLYD��GD�seMenza�������

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ONEreferente multiplo.8Q�DOWUR�DLXWR�DOOD�GH¿QL]LRQH�GHL�PDUFKLRQLPL�FL�YLHQH�GDOOD�QHXURSVLFRORJLD�FR-

JQLWLYD��6HFRQGR�O¶RVVHUYD]LRQH�FRPSLXWD�VX�SD]LHQWL�FHUHEUROHVL�R�DIIHWWL�GD�Gq¿FLW��L�nomi propri sono processati nel cervello in porzioni separate ed autonome rispetto ai QRPL�FRPXQL��6RQR�QRWL�L�FDVL�GL�LQGLYLGXL�DIIHWWL�GD�Gq¿FLW�FDSDFL�GL�ULFRUGDUH�L�QRPL�propri di personaggi famosi, ma non più in grado di nominare gli oggetti più comuni22. A loro volta, all’interno dei propria, l’osservazione ci dice che i toponimi godono uno status�VSHFLDOH��FRPH�PRVWUDQR�FDVL�GL�VRJJHWWL��FDSDFL�GL�LGHQWL¿FDUH�QRPL�JHRJUD¿FL��ma allo stesso tempo incapaci di ricordare il nome di battesimo dei propri familiari23.

Anche la neuroimmagine ci fornisce preziose indicazioni, in particolare proprio sulla categoria dei marchionimi. Studi condotti da K.H. Müller dell’Università di Bielefeld in collaborazione con H.-L. Yen dell’Accademia Sinica di Nankang, Taipei (Taiwan)24��EDVDWL�VXOO¶RVVHUYD]LRQH�HOHWWUR¿VLRORJLFD��FRQVXPR�GL�JOXFRVLR�QHO�VDQ-gue), registravano le aree attivate nel cervello in base alla tipologia di una sequenza di nomi letti o pronunciati ad alta voce. I nomi appartenevano alle varie classi del lessico: nomi comuni e varie tipologie di nomi propri. Ebbene, i marchionimi non rientravano, secondo questa osservazione, nella categoria dei propria, ma in quella dei nomi comuni: la lettura o la pronuncia di questo tipo di nomi produceva l’attivazione delle stesse aree cerebrali che si attivavano alla lettura dei nomi comuni.

Insomma dire «mi sono comprato un paio di Adidas», o «mi sono bevuto un Mar-tini» equivale a dire «mi sono comprato un paio di scarpe», «ho bevuto un aperitivo». La frequenza d’uso del marchionimo nella prassi comunicativa ha prodotto un suo “declassamento” a nome comune. In questo caso è avvenuto un salto di categoria (transcategorizzazione) al quale sono soggette le varie parti del lessico, dove un ag-gettivo può diventare proprium, un verbo appellativum, un sostantivo avverbio e così via25. Oltre alla frequenza, sono le condizioni d’impiego pragmatico, legate alla di-mensione storica della lingua, a determinare fenomeni di ri- o trans-categorizzazione. L’espressione “fare casamicciola” nel senso di “distruggere tutto”, prende origine GDOO¶HYHQWR�FDWDVWUR¿FR�GHO�WHUUHPRWR�GHO�������FKH�UDVH�DO�VXROR�OD�FLWWDGLQD�FDPSDQD�(Ischia). Qui il toponimo, dopo l’evento distruttivo è divenuto appellativo. E’ la storia, non la frequenza, che lo ha fatto saltare di categoria.

Dunque forse la posizione del marchio/logo all’interno del sistema linguistico e segnico ci aiuta a far luce su alcuni aspetti dei signacula – o meglio dei loro tituli – che ci risultano a volte poco chiari.

Il marchio, nella sua dimensione di proprium, di forma fossilizzata, è meno sogget-to dei nomi comuni al mutamento fonologico e morfologico della lingua, può svinco-

22. Si veda ad esempio da ultimo tsukiura et alii 2002 e JaMes 2006. 23. daniele et alii 1993. 24. Müller, kutas 1997; yen et alii 2005; Müller 2010. 25. Sulla transcategorizzazione nei nomi propri cfr. coseriu 1970; laca 1986; raMat 1999; giacalone raMat 2005, pp. 204-207.

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ONElarsi dalle regole della norma linguistica ed assumere caratteristiche morfologiche o sintattiche proprie. Un esempio analogo è costituito dalle didascalie, considerate lin-guisticamente “metatesti” descrittivi, caratterizzati da una grammatica sospesa, abbi-QDWL�TXDVL�VHPSUH�DG�XQ�SDUWQHU�¿JXUDWLYR�VHQ]D�LO�TXDOH�QRQ�KDQQR�PRWLYR�GL�HVLVWHUH��3HUz��D�GLIIHUHQ]D�GHOOH�GLGDVFDOLH��O¶HI¿FDFLD�GHO�PDUFKLR�FRPH�VWUXPHQWR�FRPXQL-cativo, acquista autonomia segnica ed è riconoscibile anche oltre il suo supporto: può essere applicato anche ad altri prodotti o ambiti comunicativi. Per questo esso deve essere facilmente riconoscibile e imprimibile nella memoria come insieme di forma e contenuto, di immagine, parola e suono, anche da chi non sa leggere26.

In questo quadro è forse possibile spiegare anche alcuni fenomeni quali la radi-calizzazione di abbreviature, il largo impiego di nessi o l’orientamento anomalo dei caratteri che spesso si trovano sui bolli, sulle sigle e sui signacula27.

5. Excursus: signacula in Etrusco?Scorrendo i vari corpora� HSLJUD¿FL� GHOO¶,WDOLD� SUHURPDQD28 si rinvengono poche

tracce di ciò che potrebbe assomigliare al signaculum romano nel senso della rei si-gnando apta.

Si trovano però tracce di bolli impressi, per lo più con lettere eminentes, quindi pro-dotte con punzoni cavi29��,Q�SRFKL�FDVL�VHPEUD�GL�SRWHU�LGHQWL¿FDUH�DQFKH�OHWWHUH�cavae, e quindi prodotte da un punzone a rilievo simile ai signacula romani30. $OOH�³6LJQDWXUHQ´�HWUXVFKH�GHGLFz�XQD�SLFFROD�PRQRJUD¿D�$�-��3¿I¿J31, che rac-

coglie in un piccolo corpus le iscrizioni con formule onomastiche riferibili secondo OXL�DOOD�FDWHJRULD�GHOOH�¿UPH�GL�SURGXWWRUL��FKH�HJOL�LQGLYLGXD�QHOOD�UHDOL]]D]LRQH�HIIHW-tuata, a impressione o incisa, prima della cottura. La realtà pragmatica della pratica testuale di iscrizioni etrusche con formule onomastiche è in realtà molto complessa, FRPH��GRSR�$�-��3¿I¿J��KDQQR�LOOXVWUDWR�LO�YROXPH�GL�/��$JRVWLQLDQL�VXOOH�LVFUL]LRQL�parlanti dell’Italia antica32 e più recentemente quello di D.F. Maras sul dono33. Egli inseriva nel suo piccolo corpus�OH�¿UPH�GL�DUWLVWD�DUWLJLDQR��FDUDWWHUL]]DWH�R�GDOOD�IRU-mula onomastica accompagnata da un verbo di produzione (zinace� µIHFH�� KD� IDWWR� ]LȤXȤH�µKD�VFULWWR¶���R�GD�XQ�DSSHOODWLYR�GHVLJQDQWH�LO�SURGRWWR��acil µRSHUD¶��FRQ�IRU-

26. di stefano Manzella 2011, p. 247. 27. di stefano Manzella 2011, p. 248; castellano, giMeno, stylow 1999, p. 62. 28. In particolare rix 2002 per le iscrizioni sabelliche (gruppo osco-umbro); rocca 1996 per le iscrizioni umbre minori, Pellegrini, ProsdociMi 1967 per quelle venetiche, Marinetti 1985 per le iscrizioni Sudpicene. Per l’ambito messapico mi sono avvalsa dei MLM 2002. 29. Anche per il mondo etrusco si suppongono matrici in metallo, legno e terracotta, anche se quelle in metallo e in legno non sono state rinvenute. Si veda per le tecniche di scrittura su argilla cuoMo di caPrio 2007, p. 302. 30. cie 10773 (= Vs 6.16) : vel cazlanies, da Volsinii. 31. Pfiffig 1976. 32. agostiniani 1982. 33. Maras 2009.

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ONEPXOD�RQRPDVWLFD�DO�JHQLWLYR��R�LQ¿QH�H�GDO�VROR�QRPH�DO�QRPLQDWLYR��HV��atrane). Il concetto di serialità, che invece contraddistingue i marchi come i signacula o i bolli HWUXVFKL�GL�HWj�UHFHQWH��QRQ�q�SUHVR�LQ�FRQVLGHUD]LRQH�GD�$�-��3¿I¿J��

Un’altra categoria deve essere brevemente ricordata: quella di pendenti e anelli, sia in metallo che con gemma incastonata. A partire dall’età orientalizzante (dall’VIII secolo a.C.) si rinvengono nelle tombe principesche etrusche sigilli e scaraboidi34. 6L�WUDWWD�GL�SHQGHQWL�LQ�SLHWUD�R�DPEUD��VXOOD�FXL�VXSHU¿FLH�q�VWDWD�LQWDJOLDWD�XQD�¿JX-ra, zoomorfa o antropomorfa, talvolta corredata da un’iscrizione, oppure da anelli in metallo prezioso, di scaraboidi e di gemme35. Le gemme sono nella maggior parte contrassegnate dalla decorazione di divinità ed eroi accompagnate dalla didascalia: per fare solo alcuni esempi si può citare il caso di DȤOH (Achilleus) in una gemma da Monterozzi (Tarquinia)36 della prima metà del V secolo a.C., oppure tute (Tydeus) in una gemma della stessa provenienza37 , o ancora hercle (= Herakles, Hercle) in una gemma da Populonia38. La preziosità di tali oggetti la pertinenza per lo più ad ambito femminile sembrano esaurire l’uso di tali preziosi ad una sfera familiare e privata.

Negli Etruskische Texte di Rix solo tre casi tra questi vengono contrassegnati come “sigilli”:

• gemma di agata da Tarquinia, Monterozzi (Ta 0.22 = CIE 10152, II/I secolo a.C.): VEL.MAX vel pep ̙۬ �� �. L’iscrizione è incisa su due righe in caratteri e lingua latini (1° riga) ed etruschi (2° riga). Le lettere VE e MA della prima riga sono legate, e i nomi di entrambe le righe sono separati da un punto centrale. Le lettere non sono eminentes, come sarebbe da aspettarsi in un sigillo, ma cavae, intagliate nella gemma;

• anello con sigillo da Pesaro (Um 7.1, di età recente): lasa vecuvia39.• sigillo-pendaglio in osso, lavorato a forma di leprotto, di provenienza incerta

(ma attribuito a Chiusi in ET, Cl 2.7)40: il testo riporta una formula onomastica che M. Martelli, che ha pubblicato il pendente in due separate occasioni, legge PL�ODUșLD�xXۜQDĞ (con x = lettera incerta) integrando poi il gentilizio come [S]ulna41. La lettura proposta in ET è PL�ODUșLD VXSQDĞ. Il ductus destrorso dell’i-scrizione, invece che sinistrorso come nella convenzione etrusca, fa pensare a M. Martelli che si tratti di un sigillo.

34. Per i sigilli e scaraboidi tra VIII e VII secolo si veda ora giovannelli 2012. Per un sigillo di età arcaica si veda Martelli 1981. Non rientra nella categoria il sigillo a cilindretto con cui si decora a San Giovenale il fregio di alcuni bracieri di impasto rosso di età arcaica, su cui si veda colonna 1997. 35. zazoff 1983 prende in rassegna, al cap. X, le gemme etrusche, studiandone le fasi stilistiche, senza parlare esplicitamente della loro funzione; aMBrosini 2011 analizza tutte le gemme etrusche iscritte. 36. eT, Ta G1. La sezione XL degli Etruskische Texte è dedicata alle gemme. 37. ET, Ta G.4 (= CIE 10230) 38. ET, Po G.2 (= aMBrosini 2011). 39. NRIE 153. 40. Martelli 1981; Martelli 1984. 41. Martelli 1984.

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ONEIn questi casi, come in genere nelle gemme, l’uso del sigillo si deve essere esaurito in un ambito familiare e privato, senza assumere la qualità di serialità che contraddi-stingue i marchi.

Carattere seriale, indizio di un vero e proprio marchio di fabbrica, hanno invece i bolli impressi su vari manufatti nella maggior parte riferibili ad età recente, in partico-lare tra i secoli III e II/I secolo a.C. Pur se non mi è possibile presentare in questa sede un corpus di tutti i bolli etruschi, vorrei elencare tuttavia alcuni esempi delle varie FODVVL�GL�VXSSRUWL�HSLJUD¿FL��SHU�L�TXDOL�OD�UHDOL]]D]LRQH�GHOO¶LVFUL]LRQH�D�VWDPSR�H�OD�natura del supporto (prodotto in serie), lasciano ipotizzare un probabile signaculum usato per la realizzazione dello stampo42.

����7HJROH�ODWHUL]L5.1.1. Serie etrusca di tegole da Sasso Pisano con sigla MP:Ə abbreviazione di ĞS>XUDO@��K�XÀXQD��µGHOOD�FRPXQLWj�GL�3RSXORQLD¶��GHO�,,�VHFROR�D�&�43; 5.1.2. ET��9V������¿QH�,,,�LQL]LR�,,�VHFROR�D�&���>D@ܤ���IXÀXQ]O;5.1.3. ET, Vt 6.3, prima metà del I secolo a.C., v.supni . v. velanial (dall’ager Volter-ranus, vedi infra)44.

5.2. Gutti (ampolle)5.2.1. ET, AV 6.9 (= CIE III 11373) da Suana, III-II secolo a.C., SXOWXFHĞL���GHO¿QR��1,��UHVD�HWUXVFD�GHO�JU��ȆȠȜȣįİȪțȘȢ�45;5.2.3. ET, AV 6.5 (= CIE III 11359) da Suana, III-II secolo a.C., :atrane: (CO)46;5.2.4. CIE 11380 da Suana (= CIL I2, 4, 2877a), rec., 3��&̩VL͕ (PN + GENT lat.?);5.2.5. ET, AV 6.8 (= CIE 11396) da Suana, metà III-I secolo a.C., OD�SDșDQXĞ�(PN + GENT)47;5.2.6. ET, AV 6.3 (= CIE 11428) da Orbetello, III/II secolo a.C., DWUDQHĞ (CO);5.2.7. ET, AV 6.2 (= CIE 11429) da Orbetello, III/II secolo a.C., UXY¿HV�DFLO (conside-rando UXY¿HV come genitivo acil�q�VWDWR�LQWHUSUHWDWR�GD�3¿VWHU��FKH�VL�EDVDYD�SURSULR�

42. Si tengano presenti le seguenti abbreviazioni: GENT(ilizio), CO(gnome), N(ome)I(individuale), P(re)N(ome), rec(ente): tra V e I secolo a.C. 43. Su cui Maggiani 1978, n. 116, pp. 365-366; eT Po 6.3. Da ultimo Manacorda 2003, pp. 128-129. 44. Maggiani 1978, n. 57, pp. 324-325. 45. de siMone 1970, p. 235. Altre attestazioni di pultuce: a Vulci, Vc 6.9, metà del II secolo a.C., pҕu[ltu]ces; Vc. 6.10 c.s., SXOͭܒFe̙s; nell’Ager Volcentanus AV 6.9. metà II secolo a.C., SXOWLFHĞL; a Rusellae, Ru 6.1, metà II secolo a.C. (vas), >SXO@WXFHĞ; Ru 6.2., c.s., :pultuce:��D�3HUXJLD�VX�XQD�OXFHUQD�¿WWLOH�GL�HWj�recente Pe 6.4, >SXO@WFHĞ��XQ¶DOWUD�GL�SURYHQLHQ]D�VFRQRVFLXWD�q�FODVVL¿FDWD�VRWWR�2,������VX�XQ�YDVR�GHOOD�metà del II secolo a.C., SXOWXFHĞL. 46. rix 1963, pp. 176, 309; il nome è diffuso peraltro in molte località: a Vulci Vc 6.7, vaso del III/I secolo a.C., DWUDQHĞ, Vc 6.8, c.s. :atrane:; Ager Volcentanus, AV 6.3, (vas) del III/II secolo a.C., DWUDQHĞ, AV 6.5, c.a. atrane, AV 6.6., DWUDQHĞ; a Chiusi, Cl 6.3, vaso del III/II secolo a.C., atrane; Cl 6.4.c.s., DWUDQHĞL; 47. Per il nome cfr. anche Morandi taraBella 2004, pp. 342-343.

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ONEVX�TXHVWD�LVFUL]LRQH��FRPH�µRSHUD¶��ODW��opus. Secondo Steinbauer48 UXY¿HV può essere DQFKH�QRPLQDWLYR��H�TXLQGL�O¶LVFUL]LRQH�VDUHEEH�GD�LQWHUSUHWDUH�FRPH�µYDVDLR�5XIYLHV¶��riferibile al cd. “Rufvies Group”).5.2.8. ET, Ta 6.12 (= CIE 10136) da Tarquinia, III-II secolo a.C., UXY¿HV�DFLO�(c.s.);5.2.9. CIE 10133, da Tarquinia, II secolo a.C., .(.)o corneli (GENT lat.?);5.2.10. ET Ta 6.13 (= CIE 10137), da Tarquinia, rec., vel numnal (PN + GENT);5.2.11. CIE 10211, da Tarquinia, III secolo a.C., des., roma.

5.3. Strigili49

5.3.1. ET, Pe 6.7, da Perusia, rec., serturies50 (GENT); 5.3.2. ET, OA 6.5 (= REE 50, 1984, n. 96), provenienza sconosciuta, rec., :serturies:(GENT)51;5.3.3. ET, Cl 6.8, da Clusium, rec., cae cultces (PN + GENT);5.3.4. ET, Vs 6.32 (= REE 59, 1993, n. 51), da Volsinii��¿QH�,9�LQL]L�,,,�VHFROR�D�&���a(vl)e vipie cultces52;5.3.5. ET, Vs 6.31(= CIE 10736), da Volsinii��¿QH�,9��LQL]L�,,,�VHFROR�D�&����P͓͓�ۛ�ۧ���.

5.4. Dolia5.4.1. ET, Ta 6.15 (= CIE 10008), da Tarquinii, età recente, fr. di ansa di orcio, creice �1,��IRUPD�HWUXVFKL]]DWD�GL�īȡĮțȠȢ��*(17�&2�53;5.4.2. AS 6.2 (= REE 65-68, 2002, n. 129)54 da Volsinii, (primi decenni del I secolo a.C.), l. velani.puina (PN + GENT + CO?).

5.5. Fistulae5.5.2. ET, Pe 6.6, da Perusia, rec., manƧ̯ate (CO)55.

5.6. Olle5.6.1. ET, Ta 6.16 (= CIE 10009) da Tarquinii, rec., ۊXUWDWHV (GENT).

5.7. Catini5.7.1. ET, Ta 6.3-6.10 (= CIE 10139-10144; REE 53, 1987, n. 14; CIE 10213), da Tarquinii, 8 catini di argilla a v.n. con sigillo, III secolo a.C., alf.

48. steinBauer 1999, pp. 242, 392. 49. ET, Cl 6.8 50. Cfr. anche ET, OA 6.4, strigile di origine incerta, di età recente, serturies. 51. Morandi taraBella 2004, p. 462. 52. colonna�������Q�����ULFRVWUXLVFH�O¶DOEHUR�JHQHDORJLFR�GHOO¶RI¿FLQD�� 53. de siMone 1970, pp. 258-259. 54. = ciacci 2002, n. 129, pp. 446-448. Il bollo è “eseguito a punzone” sull’orlo del dolio. 55. rix 1963, pp. 212, 239: si tratta di cognome da formazione etnica in -te.

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ONE5.8. Simpula 5.8.1. ET, Ta 6.14 (= CIE 10151), da Tarquinii, rec., serturiesi (GENT).

5.9. Lucerne5.9.1. ET, Pe 6.3 III/II secolo a.C. atrane (CO);

5.9.2. ET, Pe 6.5 man<l>Ƨvate età recente (CO).

Da un punto di vista testuale, la sintassi dei testi nei bolli è analoga a quella del mon-

do latino. Frequenti sono le formule monomie in nominativo o in genitivo, per lo più

riferibili ad individui di rango sociale inferiore. Ad es. il cognome atrane, attestato

VX�GLYHUVH�WLSRORJLH�GL�SURGRWWL��JXWWL��¿EXOH��OXFHUQH��DPSROOLQH���VL�WURYD�HVSUHVVR�LQ�nominativo (atrane) in genitivo (DWUDQHĞ) o in pertinentivo (atraneŋi), che equivale

ad un dativum dedicationis��HVSULPHQWH�O¶RJJHWWR�LQGLUHWWR�R�LO�EHQH¿FLDULR��µSHU�$WUD-ne’. Vi sono inoltre PN abbreviati seguiti da gentilizio al genitivo del patrono (come

ad es. la paƧDQXŋ)56; PN estesi al nom. e GENT del patrono57 al genitivo (vel num-nal58, vel cazlanies59, cae cultres60); coppie onomastiche in caso di servi: a(vl)e vipie cultces61 (PN1nom+ PN2nom + patrono GENT Cultce���³¿UPD´�GHOO¶DUWLJLDQR��FRPH�in UXY¿HV�DFLO�µRSHUD�GL�5XY¿H¶��IRUPXOH�RQRPDVWLFKH�FRPSOHWH�GL�LQGLYLGXL�DSSDUWH-nenti alle famiglie più in vista62 (ad es. il bollo su tegola dall’Ager Volterranus v supni v velanial63, oppure il bollo su dolio dall’Ager Saenensis l.velani.puina)64��VRQR�LQ¿QH�note abbreviazioni e sigle varie65.

3DUWL�LFRQLFKH��HOHPHQWL�ÀRUHDOL�R�DQLPDOL��FRPSOHWDQR�WDOYROWD�O¶LVFUL]LRQH��'HJQR�GL�nota è poi un cognome etnico come manƧvate (: *manƧua-te: a Mantova) attestato sul

QRPH�GL�¿VWXOH�D�&KLXVL�H�3HUXJLD��Sarebbe forse auspicabile costituire un vero e proprio corpus�HSLJUD¿FR�GHL�EROOL�HWUX-

VFR�LWDOLFL�LQ�UDSSRUWR�QRQ�VROR�DL�GDWL�DUFKHRORJLFL�R�VWRULRJUD¿FL��PD�DQFKH�D�TXHOOL�linguistici, per cercare di individuare da una parte eventuali connessioni tipologiche

GHL�EROOL�SUHURPDQL�FRQ�TXHOOL�URPDQL��H�YHUL¿FDUH�PHGLDQWH�LQGDJLQH�SURVRSRJUD¿FD�SRVVLELOL�FRQWLQXLWj�GL�RI¿FLQH�H�SURGXWWRUL�

56. Da Tarquinii: cie 10137, III/II secolo a.C. e cie 10504, guttus III/II secolo a.C.

57. rix 1963, p. 66.

58. cie 10137 da Tarquinii. 59. Sono attestati sei casi da Volsinii eT Vs 6.12-6.17 (= CIE 10769-10773 e 10781). Sul gentilizio

cfr. Morandi taraBella 2004, pp. 101-102. Vel Cazlanie�q�LO�WLWRODUH�GL�XQD�RI¿FLQD�ORFDOH�GL�SURGX]LRQH�di anfore in ceramica ad ingubbiatura rossastra.

60. Da Clusium: Cl 6.8, su strigile.

61. Vs 6.32; colonna 1994, n. 51, pp. 300-302.

62. È il caso delle formule onomastiche complete del tipo l. velani.puina. 63. Su una tegola dall’ager volterranus, Maggiani 1978, n. 57, pp. 324-325.

64. AS 6.2 (= ciacci 2002, pp. 65-68, n. 129).

65. Esempi ne sono sp.v.a.p. su un catino da Tarquinia (cie 10014b); alf sui catini di argilla a v.n.

del III secolo a.C. da Tarquinii.

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Le abbreviazioni delle riviste e dei corpora sono quelle impiegate da /¶$QQpH�philologique e dalla *XLGH�GH�OµpSLJUDSKLVWH���$OWUH�ULVRUVH�DUFKLYLVWLFKH��ELEOLRJUD¿FKH�o informatiche sono indicate nell’elenco seguente.

ASCER = Archivio Storico della Comunità Ebraica RomanaASCM = Archivio Storico Civico di Milano ASM = Archivio di Stato di MilanoASP = Archivio di Stato di PaviaBCMBg = Biblioteca Civica Angelo Mai, Bergamo Brll = Biblioteca Raffaele Liberatore, Lanciano, Sala regionale

Conspectus 1990 = Conspectus formarum terrae sigillatae italico modo confectae 1990, Hrsgg. e. Ettlinger et alii, Bonn.

'%,� �'L]LRQDULR�%LRJUD¿FR�GHJOL�,WDOLDQL, Roma 1960 -. '13� �'HU�QHXH�3DXO\��(Q]\NORSlGLH�GHU�$QWLNH, Stuttgart-Weimar 1996-2003.CAG 10 = denaJar L. 2005��&DUWH�DUFKpRORJLTXH�GH�OD�*DXOH�����/¶$XEH��Paris.CAV 1992 = Carta Archeologica del Veneto, III, a cura di L. Capuis, G. Leonardi, S.

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%LEOLRJUD¿D

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