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Centro di Studi sulla Fortuna dell’Antico “Emanuele Narducci” 18 Echo Aspetti della Fortuna dell’Antico nella Cultura Europea Atti della Dodicesima Giornata di Studi Sestri Levante, 13 marzo 2015 a cura di Sergio Audano e Giovanni Cipriani

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Centro di Studi sulla Fortuna dell’Antico “Emanuele Narducci”

18Echo

Aspetti della Fortuna dell’Anticonella Cultura EuropeaAtti della Dodicesima Giornata di Studi

Sestri Levante, 13 marzo 2015

a cura diSergio Audano e Giovanni Cipriani

ECHOCollana di studi e commenti diretta da Giovanni Cipriani

Comitato scientifico Sergio Audano, Pedro Luis Cano Alonso, Nicole Fick, Giulio Guidorizzi, Giancarlo Mazzoli, Robert Proctor, Giunio Rizzelli, Silvana Rocca, Elisa Romano, Valeria Viparelli.

Segreteria di redazioneGrazia Maria Masselli, Tiziana Ragno, Biagio Santorelli.

© 2016 IL CASTELLO Edizioni86100 Campobasso, via Puglia 64B71121 Foggia, Via Conte Appiano 60Sito web: www.ilcastelloedizioni.ite-mail: [email protected]

Direttore editoriale: Antonio Blasotta

Editing: Alba Subrizio

ISBN 978-88-6572-170-4

Seneca contro Cartesio? Appunti sulla ricezione delle Naturales quaestiones nel XVII secolo

Francesca Romana Berno(“Sapienza” - Università di Roma)

1. Introduzione: Liberto Fromondo fra Seneca e Cartesio

La ricezione di Seneca è un argomento molto frequen-tato in questi anni. In particolare, gli studiosi si sono sof-fermati sulla fortuna delle Naturales quaestiones, un’opera che tratta i fenomeni definiti aristotelicamente meteorolo-gici, cioè relativi alla sfera sublunare: arcobaleni, eclissi, fulmini, ma anche terremoti ed esondazioni. Tutti i lavori sulla ricezione delle Quaestiones1 non mancano di soffer-marsi su quella che forse è la sua edizione più famosa, quella contenuta nella raccolta di opere curata da Giusto Lipsio (Anversa 1605), il grande filologo fiammingo a cui è intitolato il palazzo che ospita il Parlamento europeo. Im-mancabile, a questo proposito, il cenno ad una personali-tà decisamente meno celebre: Libert Froidmont, latinizza-to Liberto Fromondo, nato a Liegi nel 1587, di formazione gesuita, amico di Giansenio, a lungo professore di filoso-fia e rettore nel 1639 presso la prestigiosa università di Lo-vanio. A lui si deve il commento alle Naturales quaestiones dell’edizione di Lipsio: una funzione suppletiva dovuta alla malattia e alla morte dello studioso, di cui viene ri-

1 Cfr. Stok 2000; Berno 2010; Hine 2010, 124-157; Nanni - Pellacani 2012.

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portato nella premessa all’opera un commovente addio ai lettori2. Fin qui rimaniamo per così dire nella vulgata del-la fortuna dell’opera. Quello che nessuno, me compresa, aveva notato, è che proprio Fromondo ha al contrario un ruolo non trascurabile nel quadro della ricezione di que-sto testo3. Fromondo, prima di essere un filologo, era uno ‘scienziato’, nel senso ancora pregalileiano del termine; fu autore di un’opera meteorologica in latino, i Meteorologi-corum libri sex del 1627, zeppa di citazioni senecane in par-ticolare, e classiche in generale, da Plauto a Stazio e Silio; e infine, proprio sulle ‘meteore’ osò polemizzare con Car-tesio, a sua volta autore di un saggio su questi argomenti, pubblicato insieme a due trattatelli su Diottrica e Geometria come appendice al fondamentale Discorso sul metodo (1637).

In questa sede, intendo proporre una pur cursoria ana-lisi dell’opera meteorologica di Fromondo4, e del peso che acquista in essa la lezione senecana, a confronto con il suo commento alle Quaestiones: e un sintetico parallelo fra questo modello di scienza e quello contemporaneo di Cartesio, sui medesimi temi. Sono gli anni, cruciali per l’evoluzione intellettuale dell’Europa, in cui si stava con-sumando la frattura definitiva fra cultura umanistica e cultura scientifica, e la lezione di Galileo Galilei stava get-

2 Addio che nell’edizione 1605 era riportato in nota al cap. 1 del libro primo, in quella del 1632 viene anticipato alla premessa all’opera, 677: Immortalem virum Iustum Lipsium hactenus audisti Senecae commentatorem: audi iam in ipso Qaestionum Naturalium limine offensa valetudine subito collabentem. “Abstineo, lector, et calamum pono, illum tuis commodis quadraginta iam annos operatum. Utinam, quod volui, fecerim! Sed et sic mihi debes, quia volui. Alii alia: mihi quae ad vitam et mores, quae scientiam cum prudentia haberent, quae sapientiam, placuisse fateor, et pro ingenii copia produxisse. Ultra vetor: a quo? Quem sequi et obsequi prima sapientia est, Deo. Valetudinem fregit, et diu labentem impetu abiecit: pareo, et scribere desino, non bene tibi velle. Tu mihi, et salve”.

3 Un cenno in Hine 1995, 209-210. 4 Per una sintetica ma esaustiva presentazione dell’opera Meinel

1988.

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tando le basi della scienza moderna. La mia tesi, che do-vrò sostenere per onestà intellettuale nonostante abbia un po’ il sapore di una sconfitta, è che Seneca, baluardo della tradizione classica, rappresenti in questa controversia la parte perdente, la scienza libresca in declino a fronte della moderna attitudine sperimentale che di lì a poco avrebbe conquistato il mondo.

2. I Meteorologicorum libri di Fromondo e le Naturales Quaestiones di Seneca

I Meteorologicorum libri sex (d’ora in poi, meteorol.) furo-no pubblicati ad Anversa nel 16275: un testo molto volu-minoso, scritto in un latino elegante e ricercato, che non rifugge da articolate ipotassi, e segue abbastanza rigida-mente l’impostazione aristotelica (per cui vd. infra, 140). L’impianto è dossografico: alla posizione della questione segue l’esposizione e discussione delle diverse teorie in merito.

Questo libro è fittamente intessuto di citazioni6 di autori dell’antichità classica, sicuramente più frequenti di quelle di passi biblici, e bilanciate da circa altrettanti rimandi ad autori moderni, anche contemporanei a Fro-mondo, compresi Galileo e i suoi allievi. Questo lo sche-ma degli autori più citati:

L. Fromondus, Meteorologicorum libri, 1627Citazioni di autori antichi pagani (fino al II secolo) PercentualePlinio il Vecchio 90 21,6 %Aristotele 82 19,7 %

5 Fromondo 1627; su questo testo cfr. Vanpaemel 2014.6 Ho inteso come tali sia le citazioni testuali, sia le parafrasi più o

meno aderenti al testo originale, spesso richiamato a latere.

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Seneca 80 19,2 %Altri 164Totale 416

Il ruolo principe va, dunque, a Plinio il vecchio. Se-neca rimane un po’ staccato, con 80 richiami, pressoché alla pari con Aristotele, con rimandi quasi esclusivamen-te dalle Quaestiones (più una dal De beneficiis e una dalle lettere). Ciascuno dei tre conquista dunque un 20% circa delle citazioni complessive, che non disdegnano poeti (so-prattutto Virgilio, ma anche Silio, Marziale, Stazio, talora Plauto o Terenzio o anche Omero), storici (Svetonio, non di rado abbinato a Dione Cassio, e talvolta Livio), tecnici (Vitruvio e Varrone). Stupisce, data la posizione di totale ossequio al cattolicesimo (il testo contiene anche l’impri-matur della censura), la presenza non piccola di Lucrezio, mai definito negativamente7.

Ma torniamo al fulcro delle nostre ricerche, e cioè Se-neca, il Romanus Sapiens, nelle parole dell’autore (216; 323). Il primato perduto, seppur di poco, in quantità, vie-ne recuperato in qualità: mentre Aristotele nella maggior parte dei casi viene citato genericamente, con vaghi ac-cenni alle sue tesi in merito a questa o all’altra teoria, o di seconda mano (ad es. tramite Gellio), al contrario per Seneca, ancor più che per Plinio, si tratta quasi sempre di citazioni precise, magari parafrasate ma comunque con sicuro riferimento alla lettera del testo (e vengono da Se-neca anche i rimandi a Posidonio). Non poche citazioni, cosa che non avviene quasi mai per Plinio, sono accompa-gnate da giudizi di valore, stilistici (“finemente”, pulchre, “con eleganza”, eleganter, “acutamente”, diserte, ma anche belle) o contenutistici (“giustamente”, vere, “benissimo”,

7 Cfr. ad es. From. meteorol. 52: eleganter Lucretius.

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egregie)8 quasi sempre entusiastici, con rare eccezioni, come il lungo commento (già presente nell’edizione delle Quaestiones) intorno alle adulazioni a Nerone9 e in gene-rale al rapporto con il tiranno.

Ma la presenza di Seneca è ancor più pervasiva di quanto sia evidente già da queste note. Talvolta, i giudizi estetici del filosofo fanno capolino nel testo. Ad esempio, a margine delle citazioni ovidiane, Fromondo definisce quasi sempre il poeta ingeniosus, secondo una caratteriz-zazione destinata a grande fortuna che Seneca gli attribu-isce proprio nelle Quaestiones10; ancora, in altri casi, come laddove riporta passi antichi relativi all’immagine della goccia che scava la pietra, l’autore trae i versi (di Ovidio e Lucrezio) da Seneca, pur senza citarlo11: la mediazione è evidenziata dal fatto che entrambi gli autori utilizzano le medesime citazioni al medesimo proposito. Le Quaestio-nes che Fromondo aveva commentato con tanta finezza di filologo, raccogliendo l’eredità di Lipsio, riemergono in filigrana nell’opera scientifica.

Scorriamo ora più da vicino la selezione operata da Fromondo sui passi senecani. I riferimenti non sono di-stribuiti uniformemente: il peso della lezione senecana si fa più sostanzioso riguardo alle le meteore ignee, ai ven-ti e all’arcobaleno: dunque il libro più frequentato delle Quaestiones è di gran lunga il primo, quello appunto che tratta dei fuochi celesti, con una ventina di passi; seguono il secondo sui fulmini, e il sesto sui terremoti, con una quindicina di citazioni ciascuno, mentre gli altri libri sono meno utilizzati. In molti casi l’autore dimostra una cono-

8 Alcuni esempi: pulchre, 15, 51; vere et eleganter, id est, ut solet, 30; eleganter, 57; 160; diserte, 147; ait egregie Romanus Sapiens, 216: belle, 234.

9 Cfr. Sen. nat. 2, 8, 3; n. 58 ad l. del commento di Fromondo; From. meteorol. 291, e anche la sua n. 134 ad Sen. nat. 7, 21, 3.

10 Sen. nat. 3, 27, 13: cfr. From. meteorol. 122.11 Da Sen. nat. 4b, 3, 4; cfr. From. meteorol. 327.

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scenza capillare del testo, non limitandosi a citare i passi relativi al medesimo oggetto di studio, ma ampliando la prospettiva ai passi paralleli della stessa opera senecana; talvolta, anche se raramente, l’autore prende le distanze dal suo modello. Ad ogni modo, gli argomenti su cui più di frequente è chiamato in causa Seneca sono anche quel-li relativamente ai quali, per quanto possiamo valutare, è preponderante nelle Naturales quaestiones il peso della lezione aristotelica12: l’impressione è che il criterio selet-tivo dei passi di Seneca sia stato orientato al fine di sot-tolineare le congruenze fra le due auctoritates; mi sembra di poter dire che Fromondo abbia volutamente evitato i passi che sarebbero stati in eccessivo contrasto con la sua esposizione.

L’opera meteorologica di Fromondo, dunque, dimo-stra una capillare conoscenza e un vivo interesse per gli autori classici. Il loro ruolo nel contesto dell’opera può aver avuto anche una funzione didattica: i Meteorologico-rum libri costituiscono una sorta di manuale di storia della disciplina, che arriva a definire lo stato dell’arte a propo-sito dei vari argomenti. D’altra parte, la meteorologia non era considerata fra le materie principali a Lovanio, come dimostrano i libri di testo dell’epoca che le dedicano solo poche pagine13: il suo insegnamento era affidato a poche lezioni del professor Secundarius, più giovane e meno pre-stigioso del professor Primarius, e Fromondo apparteneva a quest’ultima categoria. Quindi, senza dubbio l’intento dello studioso era in prima istanza supportato, oltre che dall’enorme fortuna dei testi meteorologici di Aristotele nel ’500, da interessi e competenze personali14.

12 Per il libro primo cfr. Bonadeo 2004, 201-216. Sull’importanza di Aristotele come fonte di Seneca cfr. Williams 2012, 5-6.

13 Come la Margarita Philosophica del 1608.14 Meinel 1988, 120; Vanpaemel 2014, 61-64; ma cfr. infra, 152.

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3. Il commento di Fromondo alle Naturales quaestiones

Se consideriamo ora il commento alle Quaestiones, pos-siamo valutarne la piena congruenza con l’opera scienti-fica di Fromondo15. Questo commento, che come si è det-to fa parte dell’edizione completa delle opere di Seneca, vede quattro edizioni differenti, fra il 1605 e il 1652. Un lavoro, dunque, che si svolse in parallelo con quello ai li-bri meteorologici; e ne rimane traccia evidente nelle note. Qui infatti, oltre ed accanto alle fini considerazioni stret-tamente filologiche, ove fa sempre capolino l’onniscien-te Lipsio, troviamo osservazioni che tentano di illustrare il dettato senecano alla luce di altri testi scientifici, non solo antichi, come Aristotele e Plinio, ma anche moderni, come Cardano o Agricola: testi che ricorrono anche fra le fonti dell’opera di Fromondo, spesso citata anch’essa16, specialmente in relazione ai passi che ritroviamo ivi citati. L’osmosi fra i due testi è tale che non sembra esserci una distinzione nella considerazione accordata al testo anti-co rispetto a quelli moderni. Le due opere sono quindi perfettamente congruenti, se si eccettua il fatto peraltro ovvio che nel trattato, pur non privo di considerazioni sti-listiche, mancano le osservazioni strettamente filologiche. Ancor più interessante l’appendice apposta all’ultima edizione, del 165217. Si tratta di un saggio con diversi ca-pitoletti relativi ai vari libri delle Quaestiones, in cui, senza trascurare citazioni da Plinio ed altri autori antichi, fra cui Archimede, Fromondo attualizza alcune osservazioni se-necane con riferimento agli studi più avanzati del tempo: dalle considerazioni sulle lenti deformanti, considerate come antesignane dell’occhiale da vista (perspicillum), alla dimostrazione della sfericità della terra. Si tratta di una

15 Cfr. Papy 2014.16 Alcuni esempi in Papy 2014, 42-44.17 Fromondo 1652, 841-858.

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sorta di Meteorologicorum libri in piccolo: i medesimi au-tori, da Aristotele a Plinio, alla Bibbia (questa, significati-vamente, molto meno presente che nei meteorol.), con un certo numero di studiosi contemporanei, fra cui Agricola, Stevin e Mersenne, senza trascurare le citazioni poetiche (soprattutto Ovidio, esattamente come avviene nel testo di Seneca): e tuttavia le concezioni antiche sono sottopo-ste al vaglio della scienza e soprattutto dell’esperienza moderna, ad esempio laddove l’autore argomenta intor-no al galleggiamento dei corpi citando un caso di cronaca nera del tempo: un brigante che, per evitare che i cadaveri degli uomini da lui uccisi tornassero a galla, incideva loro i polmoni prima di gettarli in un fiume (844). Le osser-vazioni si articolano in una sintetica storia del pensiero scientifico intorno all’argomento, e va riconosciuto che, nonostante il peso delle sue convinzioni religiose, in que-sti casi per così dire minuti Fromondo non sembra partire da nessun pregiudizio18.

4. Les Météores di Cartesio e le sue fonti

È molto interessante confrontare i libri di Fromondo, editi nel 1627, con Le meteore di Cartesio19, pubblicate nel 1637, uscite quindi nello stesso periodo e in una temperie culturale che possiamo definire simile, essendo entrambi gli autori di provenienza nordeuropea, nonché collocabi-li a diverso titolo nell’ampia corrente culturale del neo-stoicismo, di cui Lipsio era un autorevole esponente: una scuola di pensiero che mirava a conciliare il cristianesi-mo, e in particolare il cattolicesimo, con la filosofia stoica, piegando le istanze materialistiche e immanentistiche di

18 Così anche Vanpaemel 2014, 67 a proposito dei Meteorologica.19 Cfr. Meinel 1988, 122-129; Martin 2011, 125-147; sui medesimi

argomenti nei Principia Gaukroger 2002, 135-179.

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questa alla trascendenza provvidenziale di quello20. Fro-mondo si autodefinisce esplicitamente «stoico» nel suo trattato; quanto a Cartesio, basti ricordare che il suo Trat-tato delle passioni altro non è che una riformulazione della tassonomia stoica delle stesse, e rileggere la terza mas-sima della sua “morale provvisoria”: «cercare sempre di vincere me stesso più che la sorte e cambiare i miei desi-deri più che l’ordine del mondo e, in generale, abituarmi a credere che nulla è interamente in nostro potere oltre ai nostri pensieri»21 (AT VI, 25, tr. Mazza 2014). I due auto-ri, pure abissalmente distanti sul piano della fecondità e produttività delle loro riflessioni, condividevano dunque il medesimo milieu culturale, oltre alla polivalenza disci-plinare, un luogo comune dell’epoca (Fromondo scienzia-to e filologo, Cartesio matematico, scienziato e metafisi-co). Ancora, l’impianto stesso delle opere, aristotelico per argomenti e successione degli stessi, è simile; analoga la reticenza su Copernico, opportunistica in Cartesio22, con-vinta in Fromondo23; simile, infine, l’intento eziologico, di combattere le paure umane fornendo cause scientifiche ai fenomeni apparentemente straordinari24 (un intento già lucreziano, e anche senecano). Non sarà inutile confron-tare schematicamente i contenuti dei testi dei principali attori della vicenda: Aristotele, Seneca, Fromondo e Car-tesio. Ho cercato di evidenziare le corrispondenze fra i

20 Cfr. Buzzi 2001; Schäfer 2005; Hirai 2012. 21 Mazza 2014, n. 17 ad l., cita Sen. epist. 107, 12 ed Epict. ench. 1. Su

Cartesio e Seneca, relativamente all’etica, cfr. Caramella 1966; García Hernández 1997.

22 Per Cartesio cfr., dal Discours, AT VI, 40; VI, 60; Gilson 2003, 541 n. 6 ad l.; Friedman 2008; Borghese 2014, V-VII; XVIII-XIX. Per le citazioni delle opere di Cartesio cfr. infra, n. 26.

23 Nell’Anti-Aristarchus sive orbis terrae immobilis (1631). L’iniziale adesione (Coenae saturnalitiae, 1616) si trasforma in sprezzante rifiuto dopo la condanna papale. Cfr. Favaro 1893; Redondi 1988; Pantin 2001.

24 Per Fromondo cfr. Vanpaemel 2014, 64.

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vari argomenti attribuendo loro delle lettere, dalla A alla I.

Aristotele,Meteorologica

Seneca, Naturales Quaestiones

Fromondo, Meteorologicorum libri

Cartesio, Les Météores

I, 1-2: meteore in generale (A)I, 3-8: via lattea, comete etc. (B), arcobaleno, pareli, aloni etc. (C)

I: arcobaleno, pareli, aloni etc. (C)

I: meteore in generale (A)

I: corpi terrestri (A)

I, 9-12: pioggia, neve, grandine (D)

II: tuoni e fulmini (I)

II: tuoni, fulmini etc. (I)

II: vapori ed esalazioni (~F-G)

I, 13: venti (E) III: acque terrestri (F-G)

III: comete (B) III: sale (~G)

I, 13-14: fiumi e Nilo (F)

IVa: Nilo (F) IV: venti (E)IV, 8: terremoti (H)

IV: venti (E)

II, 1-3: mare (salinità del, 2, 3) (G)

IVb: neve, pioggia etc. (D)

V: acque (comprese pioggia, neve etc.) (D-F-G)

V: nubi (D)

II, 4-6: venti (E)

V: venti (E) VI: arcobaleno, aloni, pareli (C)

VI: neve, pioggia etc. (D)

II, 7-8: terremoti (H)

VI: terremoti (H)

VII: tuoni, fulmini etc. (I)

II, 9-III, 1: tuoni e fulmini (I)

VII: comete (B)

VIII: arcobaleno (C)

III, 2-5: alone, arcobaleno (C)

IX: aloni (C)

III, 6: pareli (C)

X: pareli (C)

141Francesca Romana Berno

Il saggio Les Météores è suddiviso in dieci discorsi: i corpi terrestri, i vapori e le esalazioni, il sale, i venti, le nubi; neve, pioggia e grandine; fuochi celesti; arcobaleno; aloni; pareli. Rispetto a Fromondo, mancano le comete e il terremoto; viene aggiunto il sale (a cui già Aristotele dava rilievo come caratterizzante l’acqua marina); gli altri argomenti si sovrappongono a quelli del contemporaneo come a quelli dell’opera aristotelica.

Nell’escludere le comete dai meteora, Cartesio dimostra di aver assimilato la lezione senecana, che le considerava pianeti a sé stanti, dunque al di fuori della sfera infralu-nare25. Cartesio addirittura prende a modello Fromondo, laddove introduce il discorso sugli arcobaleni (AT VI, 325; cfr. From. meteorol. 345)26. D’altra parte, esclude il terre-moto27, che una lunga tradizione supportata da Aristote-le e recepita da Seneca e Fromondo riconduceva a mo-vimenti d’aria sotterranei, il che giustificava da parte di questi autori la trattazione in connessione con i venti e la classificazione fra i fenomeni meteorologici. Tuttavia, in linea di massima le differenze rispetto all’impianto tra-dizionale sono minime, come il titolo stesso, che replica quello aristotelico, dimostra. Non sarà un caso se l’ope-retta di Cartesio si apre nel segno della meraviglia, tema anch’esso squisitamente aristotelico (AT VI, 231; Ari-stot. mtf. 982b-983a)28. La distanza che separa il filosofo francese dall’auctoritas per eccellenza è tutta nel metodo,

25 Secondo Martin 2011, 128, si tratterebbe di uno stratagemma per evitare di sfiorare la disputa sull’eliocentrismo. Cfr. supra, n. 22.

26 Cfr. Armogathe 2000; Dobre 2011. Le opere di Cartesio vengono citate secondo l’edizione di riferimento Adam – Tannery, in particolare 1996a e 1996b.

27 AT VI, 323: «Non credo che [le comete] appartengano alle meteore più dei terremoti e dei minerali (che invece parecchi scrittori vi includono)» (tr. Marrone 2009).

28 Su questo motivo nelle mét. cfr. Martin 2011, 132-134. Sui nessi con l’aristotelismo 128-132; 154-155.

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non più qualitativo e fondato sui quattro elementi, ma quantitativo e meccanicistico, fondato su una concezio-ne omogenea della materia, ridotta a pura estensione29. Non a caso, i differenti discorsi, che negli autori antichi appaiono slegati, in Descartes sono rigidamente collegati in base a differenti modalità di evaporazione e condensa-zione dell’acqua (e il sale viene appunto introdotto come elemento distintivo dell’acqua di mare).

In sostanza, la struttura delle due opere non è così di-versa, e si inserisce bene in una tradizione in cui il peso della sistemazione dottrinale aristotelica si faceva grave-mente sentire, non meno dei rischi connessi all’abbando-no o alla polemica contro di essa. La distinzione, lo scarto che a mio parere segna la sconfitta di Fromondo e l’aper-tura di Cartesio verso la scienza moderna, è evidente, ol-tre che nel metodo, nella forma, e precisamente nel peso e nell’utilizzo delle citazioni degli antichi.

Del voluminoso lavoro di Fromondo (419 pagine, pre-fazione esclusa), e delle sue innumerevoli citazioni anti-che e moderne, abbiamo parlato; il saggio sulle meteore di Cartesio è una delle tre appendici al Discorso, insie-me alla Diottrica e alla Geometria, copre circa 130 pagine in tutto, occupandosi di argomenti identici, senza alcuna citazione esplicita. Né antica, né moderna, né biblica. Ma molti disegni, diagrammi, schemi, numeri. Se c’è un testo paragonabile a questo dal punto di vista stilistico, non è il Meteorologicorum libri di Fromondo, ma il Sidereus nun-cius di Galilei, di pochi anni precedente (1610)30. Lo stesso Cartesio evita di difendere idee copernicane per timo-re del Santo Uffizio31: eppure non cita alcuna auctoritas. I rari testi di riferimento vengono individuati dai com-mentatori, ma mai utilizzati esplicitamente dall’autore. E

29 Belgioioso – Savini 2009, 14.30 Sul cui stile cfr. Berno 2006-2007, 27-36.31 Cfr. supra, n. 22.

143Francesca Romana Berno

fra questi Seneca non c’è. Inoltre, altra lezione galileiana, Cartesio scrive in volgare, con l’esplicito intento di farsi capire da tutti32. Un volgare per di più semplice e piano, il cui stile ‘attico’ viene riconosciuto universalmente dai lettori33. Il testo verrà tradotto solo successivamente in la-tino, per garantirne la diffusione negli ambienti scientifici internazionali: l’intenzione viene formulata fin dal 1637, ma realizzata parzialmente (Diottrica e Meteore) solo nel 164434, ad opera di Étienne de Courcelles.

Nello stesso Discorso troviamo una dichiarazione esplicita di presa di distanza dalle auctoritates antiche: «Conversare con persone di altri secoli, infatti, è quasi come viaggiare. [...] Ma quando si passa troppo tempo a viaggiare, si finisce per diventare stranieri nel proprio pa-ese; e quando si è troppo curiosi delle pratiche dei secoli passati, si resta comunemente assai ignoranti di quelle del nostro» (AT VI, 6, tr. Mazza 2014)35; un’esortazione a limitare, se non ad abbandonare, lo studio degli antichi sorretta fra l’altro da un’ironica, e anch’essa implicita, al-lusione ciceroniana (AT VI, 16: «non si può immaginare nulla di così strano e poco credibile che non sia stato detto

32 «E se scrivo in francese, la lingua del mio paese, anziché in latino, quella dei miei precettori, è perché spero che chi si serve solo della ragione naturale, completamente pura, giudicherà meglio le mie opinioni di chi crede soltanto ai libri antichi» (AT VI, 77).

33 Il titolo originario pensato per l’opera era Progetto di una scienza universale, che possa elevare la nostra natura al suo più alto grado di perfezione. Inoltre, la Diottrica, le Meteore, e la Geometria, in cui gli argomenti più curiosi che l’autore ha potuto scegliere, per dare prova della Scienza universale che propone, sono spiegati in modo tale che anche coloro che non hanno studiato li possano capire (D. a Mersenne, marzo 1636, AT I, 339). Cfr. Plempio a Descartes, 15 settembre 1637, AT I, 399: «Lo stile del linguaggio è attico a tal punto che non credo di trovare qualcuno che tradurrà il libro in un latino altrettanto impeccabile».

34 Cfr. Belgioioso – Savini 2009, 19-20.35 Cfr. Gilson 2003, 260 nn. 101-105 ad l., che vede in questa

affermazione una polemica contro Montaigne.

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da qualche filosofo»; cfr. Cic. div. 2, 119)36.Nelle Meteore cartesiane non manca qualche spora-

dica ripresa delle fonti classiche37, talvolta segnalata dall’autore semplicemente con un generico riferimento agli ‘antichi’: ad esempio, si incontra la definizione dei venti Etesii, tratta da Aristotele (meteor. II, 5, 361b 35ss.; cfr. Desc. AT VI, 274)38. Altrove troviamo (AT VI, 315) la notizia antica relativa ai cosiddetti fuochi di Sant’Elmo, chiamati nell’antichità ‘Castore e Polluce’ – e ai fuochi fatui (AT VI, 322); pliniana è originariamente l’osserva-zione sul prisma che scompone la luce (AT VI, 329; cfr. Plin. nat. 2, 136); postaristotelica la notizia sulla possibilità di un triplice arcobaleno (AT VI, 343). Anche facendo la debita tara relativa alla consistenza delle opere, per cui l’estensione di quella di Cartesio è poco più di un quar-to di quella dell’opera di Fromondus, è evidente il peso minimo che l’antichità assume per il filosofo francese. Fra l’altro, per la maggior parte delle allusioni sopra citate i commentatori rimandano in effetti a materiale presente in alcuni commenti dell’epoca ad Aristotele, citati altrove da Cartesio come testi su cui si fondò la sua formazione: in particolare i Commentarii collegii conimbricensis, scritti dai padri gesuiti del collegio portoghese di Coimbra39. Da

36 Cfr. Gilson 2003, 321 n. 87 ad l.; Mazza 2014, n. 10 ad l. Altre allusioni: Cic. div. 2, 8 in AT VI, 2 (Mazza 2014, n. 6 ad l.); Sen. epist. 107, 12 in AT VI, 25 (Mazza 2014, n. 17 ad l.); Lucr. 5, 1056-1090 in AT VI, 58 (Mazza 2014, n. 34 ad l.).

37 Cfr. le note ad l. di Marrone 2009. Per Seneca cfr. Nanni - Pellacani 2012, 217 (AT VI, 323 e Sen. nat. 1, 15, 4).

38 In Seneca ricorre, ma a differenza che in Aristotele (e Cartesio) non è abbinata a quella dei venti detti Orniti (nat. 5, 10).

39 I padri commentarono, fra 1592 e 1607, tutte le opere di Aristotele: su questo fondamentale snodo della ricezione aristotelica cfr. Casalini 2012. Sulla dipendenza di Cartesio dai Commentarii, cfr. il volume tuttora fondamentale di Gilson 1913, IV-V, che dalla medesima lettera trae anche i riferimenti ai commenti di Toletus (Roma 1561) e Ruvius (1603 e 1615), e al manuale di Feuillant E. de Saint Paul. Senza dubbio è legittimo supporre che il materiale utilizzato fosse per lo più di

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parte sua, sicuramente anche Fromondo avrà tratto spun-to da simili strumenti: ma la mole della sua erudizione, e la sua capillare conoscenza diretta dell’opera di Seneca, ci danno ben altre garanzie sulle sue fonti.

Al netto della correttezza delle teorie esposte, il testo di Cartesio sembra avanti di secoli rispetto a Fromondo. Eppure quest’ultimo non era affatto considerato un lette-rato privo di credibilità scientifica40, anzi entrava a pieno diritto nelle discussioni in atto, come dimostrano vari ele-menti: il suo lavoro vedrà una seconda edizione (Oxford 1639) e varie ristampe (Londra 1656 e 1670), e verrà utiliz-zato fino al secolo successivo41; il lavoro di Cartesio ma-nifesta un debito evidente nei suoi confronti42; lo stesso Cartesio si preoccupa di inviarlo a lui fra i primi, suscitan-do il dibattito epistolare cui accenneremo (infra, 151-153).

5. Un esempio di testi a confronto: i prodigi dei fulmini, da Aristotele a Cartesio

La differenza fra i testi di Cartesio e Fromondo si coglie bene leggendo passi su argomenti analoghi, a confronto con le principali fonti antiche. Tralasciando quello, molto studiato, sull’arcobaleno, che lo stesso Cartesio considera esemplificativo del suo metodo43, e in cui la distanza fra

seconda mano; d’altra parte, va detto che questa ipotesi si fonda sulla testimonianza di una lettera del 1640 in cui il filosofo asserisce di non leggere quei libri da vent’anni, e anzi chiede all’amico di consigliargli un testo più agile (D. a Mersenne, 30 settembre 1640 = AT III, 185).

40 Meinel 1988.41 Meinel 1988, 105; Vanpaemel 2014, 60. In un testo del 1665 sulla

funzione premonitrice delle comete, Fromondo viene associato ai più grandi astronomi del tempo, Tycho Brahe e Keplero (Brahe - Keplerus 1665).

42 Cfr. Armogathe 2000, che evidenzia come l’originalità di Cartesio stia appunto nel metodo più che negli effettivi progressi scientifici.

43 Armogathe 2000 rileva che le fonti sono antiche, non medioevali,

146 Aspetti della Fortuna dell’Antico nella Cultura Europea

i due apparirebbe per certi versi incommensurabile, ho preferito quello sui prodigiosi effetti dei fulmini, che ci consente un confronto a mio avviso molto istruttivo fra i vari testi, di Aristotele, Seneca, Plinio, Fromondo e Car-tesio. L’intero discorso è forse quello in cui più di tutti si sente il peso esercitato su Cartesio dalla tradizione clas-sica, un peso ineludibile data l’impossibilità di condurre esperienze dirette del fenomeno e lo stadio ancora primi-tivo degli studi intorno ai fenomeni legati all’elettricità. Non dunque un passo agli antipodi di Fromondo, ma un momento in cui i due autori fossero il più possibile avvici-nabili: e comunque, come vedremo, incompatibili.

Aristotele (meteor. III 1, 371a 21-32) è molto sintetico; cita solo due prodigi, la fusione del metallo che lascia in-tatto il legno, e il passaggio attraverso le vesti («si è fuso il bronzo di uno scudo, ed il legno invece non ha subito conseguenze... Similmente, esso è passato attraverso del-le vesti, senza bruciarle, ma riducendole come stracci»)44. Entrambi vengono spiegati con la diversa resistenza dei materiali alla potenza del fulmine.

Seneca (nat. 2, 31, 1-2; 52, 1-53, 2) si diffonde abbastan-za, citando un buon numero di prodigi («in scrigni intatti e neppure scalfiti fonde l’argento; la spada si liquefa con il fodero intatto, e senza che l’asta di legno sia danneggiata si scioglie ogni elemento di ferro intorno al giavellotto; resta al suo posto il vino nella botte spezzata», nat. 2, 31, 1; tr. mia) che torneranno in tutti i testi successivi, di cui cerca di riportare qualche prova sperimentale (ad es. fine cap. 31). Di ogni prodigio viene fornita una spiegazione, anch’essa fondata sulla diversa resistenza dei materiali, e specificata con la presenza di forellini attraverso i qua-li il fulmine passerebbe più o meno facilmente; gli effetti

ma Cartesio è superiore ai contemporanei perché calcola e sperimenta direttamente.

44 Tr. Pepe 2003. Su questo passo cfr. Wilson 2013, 227-235.

147Francesca Romana Berno

esiziali delle sostanze folgorate vengono invece ricondotti alla presenza di zolfo (nat. 2, 52, 1-53, 2).

Plinio (nat. 2, 137) è sintetico quanto Aristotele, e ag-giunge due prodigi, a proposito dei quali riporta il nome del protagonista come prova di veridicità: una donna in-cinta che perse il bambino ma rimase illesa, e un decu-rione folgorato in un giorno di sole («Marcia, nobildonna romana, colpita mentre era gravida, morto il bambino, so-pravvisse senza alcun altro danno. Tra i prodigi durante la congiura di Catilina, il decurione M. Erennio del mu-nicipio Pompeiano fu colpito da un fulmine in un giorno sereno», tr. mia).

Veniamo a Fromondo (meteorol. 52-55): se guardiamo i più eruditi fra i commenti moderni delle Quaestiones, possiamo aggiungere ben poco ai riferimenti del suo te-sto, che riesce a citare ben undici fonti antiche, più cinque moderne, fra l’altro dando non poco rilievo a Lucrezio (6, 356; 6, 231-235), riportato direttamente e con tutti gli onori. Lo stesso Fromondo, nel suo commento a Seneca, si limitava a rimandare a Plinio45. E possiamo notare, in primo luogo, come il filologo segua Seneca non solo nei contenuti, ben al di là delle citazioni esplicite, attraverso la parafrasi del contesto dell’intero passo; ma anche nella struttura dell’argomentazione (i mirabilia vengono elenca-ti nello stesso ordine); inoltre, come cerchi accuratamente di abbinare ad ogni fonte antica analoghi esempi moderni («Non mi limito ad esempi antichi...», 53); infine, come si sforzi di fornire motivazioni razionali a tutti i mirabilia citati, anche in mancanza di spiegazioni nella fonte (come nel caso dell’esempio della donna incinta di Plinio). È in-teressante come, a proposito dell’incenerimento di esseri umani, dimostri prima un atteggiamento razionalistico, riconducendo alla folgorazione la mitica scomparsa di

45 From. ad Sen. nat. 2, 53, 1, n. 163. Nella n. 165 ad l. Fromondo rimanda al suo testo (quomodo id potest, dixi lib. II cap. III art. VI meteorol.)

148 Aspetti della Fortuna dell’Antico nella Cultura Europea

Romolo narrata da Livio (1, 16, 2); poi, narrando un epi-sodio contemporaneo analogo, e peraltro corrispondente al prodigio di Plinio dell’uomo colpito dal fulmine in una giornata serena, lo interpreti al contrario come una puni-zione divina, criticando aspramente gli «atei» che potreb-bero ipotizzarne una illustrazione scientifica. Questo il passo: «E non so se sia molto diversa la scomparsa di Ro-molo, fondatore della grande e immortale Roma. “Men-tre dunque per passare in rivista l’esercito”, dice Livio, “stava tenendo un discorso presso la palude detta Capra, all’improvviso scoppiò una tempesta con grande fragore di tuoni, e nascose il re in una nube tanto densa, che non fu più visto: né Romolo fu più su questa terra” [1, 16, 2]. Poi, dissipato il fulmine, si pensò che fosse stato rapito dalla tempesta o dal vento: i senatori, che erano lì vicino, così dissero alla plebe. Forse i nostri Atei attribuiranno al fulmine e al caso l’eccezionale incenerimento dell’anno 1599 del pubblicano spergiuro Gerardimonte in Fiandra [...] Eppure questo evento fuori del comune capitò nella notte di Sant’Andrea, in un periodo freddo e per nulla adatto ai fulmini: e nella stessa sera questi aveva un im-pegno con un altro par suo; aveva giurato, e l’non aveva smentito, che il suo corpo si sarebbe mutato in cenere, se non avesse ottenuto la tal cosa o evento, per cui era co-minciato il litigio. Ascoltate dunque questo, o Atei, e rico-noscete la mano vendicatrice di Dio» (53-54, tr. mia). Una contraddizione, questa fra razionalizzazione dei fenome-ni e intervento divino, che rivela, in piccolo, le aporie in cui si dibattevano i ciechi difensori della lettera biblica, qualora dotati di competenze scientifiche, di fronte alle nuove scoperte.

Dal punto di vista eziologico, infine, la spiegazione fondamentale rimane quella di Seneca, secondo cui i di-versi effetti del fulmine sulle varie sostanze si spiegano con la difficoltà di passaggio di questo attraverso i pertugi

149Francesca Romana Berno

delle stesse; né manca il riferimento alla presenza di zolfo nel fulmine.

Infine, Cartesio (AT VI, 319-322), che merita di essere riportato per esteso:

«E questo fulmine può bruciare gli abi-ti e radere la peluria senza nuocere al corpo se queste esalazioni, che generalmente han-no l’odore dello zolfo, sono soltanto grasse e oleose, tali da comporre una fiamma leggera che si attacca soltanto ai corpi facili da bru-ciare. Al contrario, esso può anche rompere le ossa senza danneggiare le carni, o fondere la spada senza rovinare il fodero, se queste esalazioni, essendo molto sottili e penetranti, partecipano solo della natura di Sali volatili e delle acqueforti: in tal caso, non facendo minimamente forza contro i corpi che cedo-no, esse spezzano o dissolvono tutti quelli che oppongono loro molta resistenza, come quando si vede che l’acquaforte [scil. acido ni-trico] dissolve i metalli più duri e non agisce affatto contro la cera. Infine, il fulmine può talvolta convertirsi in una pietra molto dura che rompe e fracassa tutto ciò che incontra, se, tra queste esalazioni molto penetranti, ve ne sono molte di quelle grasse e solforose, e principalmente se ce ne sono anche di più grossolane, simili a quella terra che si trova al fondo dell’acqua piovana quando la si lascia riposare in qualche vaso. Ciò può essere con-statato per esperienza... inoltre, dato che vi sono esalazioni di differente natura, non giu-dico impossibile che le nubi, comprimendole, ne compongano talvolta una materia che, a

150 Aspetti della Fortuna dell’Antico nella Cultura Europea

seconda del colore e della consistenza, sem-bra latte o sangue o carne; o che, bruciando, diventa tale da poter essere presa per ferro o pietre; o infine, che, corrompendosi, gene-ri alcuni piccoli animali in poco tempo, così come si legge molto spesso, tra i prodigi, che sono piovuti ferro, sangue, cavallette o simili. ... Il fulmine, invece, è principalmente compo-sto da quelle [particelle] più vive e penetranti, che, essendo premute e cacciate via con molta violenza dalle nubi, trascinano le altre con sé fino a terra. E coloro che sanno quanta forza e velocità abbia il fuoco prodotto dal mescola-mento del salnitro con lo zolfo e quanta poca ne abbia la parte viscosa dello zolfo quando è separata dai suoi spiriti, non troveranno in ciò nulla di dubbio»46.

Del suo resoconto, decisamente più stringato rispetto

a quello di Fromondo, colpisce l’assenza assoluta di rife-rimenti alle fonti, pure evidenti data la somiglianza dei prodigi citati (ad es. fondere la spada senza rovinare il fodero); contrasta con la relativa sinteticità la quantità dei prodigi citati, in numero addirittura superiore a quel-li annoverati da Fromondo; in particolare, il riferimento alla generazione spontanea, una credenza che verrà di lì a poco dimostrata falsa da un allievo di Galilei47, trova una parziale corrispondenza solo in Seneca. Inoltre, in Cartesio è notevole la categorica esclusione dell’elemento divino, presente sia in Fromondo che, per cenni, in Se-neca («gli effetti del fulmine sono mirabili, se ci pensi, e tali da non lasciare dubbi che la sua energia sia divina e

46 Tr. Marrone 2009.47 Francesco Redi, medico personale del granduca di Toscana

(Esperienze intorno alla generazione degl’insetti, 1668).

151Francesca Romana Berno

misteriosa» nat. 2, 31, 1); ancora, il tentativo di illustrare gli stessi prodigi non tanto riferendosi a precedenti au-torevoli, quanto attraverso il ricorso a quella che defini-remmo oggi la composizione chimica della scarica, ap-profondendo il riferimento alla zolfo con dettagli precisi e paragoni con sostanze note, e aggiungendo, cosa tipica delle Météores, un esempio tratto dall’esperienza comune e particolarmente efficace, quello della tecnica di realizza-zione dell’acquaforte, in cui appunto la sostanza corrosi-va agisce sul metallo e lascia intatta la cera. Il riferimento allo zolfo, sebbene molto più generico, era già nelle fonti antiche: ma Cartesio lo inquadra nell’interazione con altri elementi e ne illustra il comportamento con un’altra ana-logia tratta dall’esperienza moderna, quella con la polvere da sparo. Già prima di questa sezione (AT VI, 318-319; 320), il filosofo aveva spiegato la formazione del fulmine in modo schematico, con un disegno delle possibili po-sizioni delle nubi e una descrizione degli effetti del loro scontro distinta in relazione ai diversi punti di contatto: e questa descrizione scientifica inframmezza i prodigi.

In breve, possiamo concludere in modo analogo a quanto è stato autorevolmente sostenuto a proposito dell’arcobaleno: se le fonti sono quelle antiche, ciò che di-stingue Cartesio è il metodo, qui di necessità non speri-mentale, ma fondato su un minuzioso ricorso all’analogia, e in particolare sul tentativo di ricondurre la natura del fulmine a quella di sostanze conosciute dagli effetti com-parabili.

6. La polemica epistolare Fromondo-Cartesio sulle meteore

Veniamo infine, per concludere, alle polemiche fra i due studiosi successive alla pubblicazione del Discorso48.

48 Cfr. Meinel 1988, 122-129, che nota come nella seconda edizione

152 Aspetti della Fortuna dell’Antico nella Cultura Europea

A strettissimo giro, poco dopo aver ricevuto il volume, Fromondo scrive al collega medico Vopisco Fortunato Plempio, allora rettore a Lovanio, una lettera cui allega un nutrito elenco di critiche puntuali alle posizioni carte-siane (Fromondo a Plempio, 13 settembre 1637, AT I, 402-409)49. Plempio, a sua volta latore di alcune osservazioni su questioni mediche, si farà mediatore fra i due studiosi, inviando a Cartesio le critiche di Fromondo e riportan-do poi a questi la replica del filosofo. In linea generale, due elementi mi sembrano degni di nota: in primo luogo, né Fromondo né successivamente Cartesio chiamano in causa l’opera del primo, nonostante tratti i medesimi ar-gomenti, e nonostante Descartes gli avesse inviato il suo lavoro precisamente in virtù delle competenze dimostra-re da Froidmont in questo campo, che ricorda più volte senza però mai entrare nel merito; in secondo luogo, nelle sue critiche Fromondo non fa alcuna citazione ad auto-ri antichi: si limita ad un cenno mitologico all’inizio. Il Fromondo dell’epistolario è asciutto, tecnico, puntuale, fa riferimento a esperimenti e misurazioni: somiglia molto più a Cartesio che a Seneca. Più fiorito sarà Plempio, che abbellirà la sua missiva con due citazioni poetiche, una delle quali ripresa da Cartesio. Questo di certo è spiega-bile con la rapidità di composizione; d’altra parte la diffe-renza con gli scritti ufficiali è talmente netta da conferma-re l’ipotesi che in effetti nei libri di meteorologia l’intento didattico, dunque relativo alla storia della scienza, avesse il suo peso sulle scelte formali50.

Sul piano dei contenuti, in generale, Cartesio rispon-

dei libri di Fromondo (1638) praticamente non ci sia traccia di tale discussione e della lezione cartesiana. Vd. anche Martin 2011, 137-147; Verbeek 2014.

49 Le critiche vengono poi girate a Cartesio da Plempio (Plempio a Descartes, 15 settembre 1637, AT I, 399-402) e Cartesio replica, sempre tramite Plempio (Descartes a Plempio, 3 ottobre 1637, AT I, 410-412).

50 Cfr. supra, 136 e n. 14.

153Francesca Romana Berno

de che le critiche non toccano minimamente i fondamenti della dottrina, e cioè il metodo, in quanto si appuntano su minuti corollari dello stesso. Tuttavia, va presa in con-siderazione l’accusa neppure velata di epicureismo, in altre parole di ateismo, accusa che Cartesio rigetta quasi con violenza. Così Fromondo: «... sebbene l’autore abbia sempre un’intelligenza abbastanza chiara, la verità resta talvolta oscura, e temo che sia troppo compiaciuto da se stesso, sedotto dalle proprie invenzioni, e ritenga di ab-bracciare Giunone, mentre, come Issione, afferra soltanto una nuvola. Credo che senza saperlo ricada non di rado nella fisica di Epicuro, rozza e grossolana, non abbastanza rifinita, come i più credono, dalla lima dell’esatta verità» (AT I, 402, tr. Agostini 2005). Dietro la disputa scientifica vengono adombrate ben altre questioni: Cartesio, coper-nicano mai uscito allo scoperto dopo la condanna galile-iana, cui fa un velato accenno nel Discorso51, era compren-sibilmente preoccupato di non irritare il Santo Uffizio. Egli stesso, come ricorda puntigliosamente a Fromondo52, aveva esplicitamente respinto l’ipotesi atomistica ne Les météores (AT I, 239): tuttavia, non si può negare che le insi-nuazioni di quest’ultimo avessero qualche fondamento53; e non sarà un caso se, mentre nel trattato non cita neppu-re i filosofi contemporanei, Cartesio nelle repliche a Fro-mondo ricorra talvolta alla Bibbia54.

51 Cfr. supra, n. 22. 52 Descartes a Plempio, 3 ottobre 1637, AT I, 413. 53 Cfr. ad es. Fromondo a Plempio, 13 settembre 1637, AT I, 407,

su AT VI, 240 (natura ‘pulviscolare’ dell’aria: cfr. Lucr. 2, 112-141; 5, 253ss.).

54 Cfr., ad es., Descartes a Plempio, 3 ottobre 1637, AT I, 414-415.

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7. Conclusione: la sconfitta di Fromondo (e di Seneca)

Fromondo scrive in latino, citando la Bibbia, gli auto-ri antichi; Cartesio scrive in francese, per poi essere tra-dotto in latino; non cita nessuna auctoritas, ma aggiunge calcoli, disegni, esperimenti: esattamente come ha fatto Galilei, che fra l’altro pur conoscendo bene l’opera scien-tifica di Seneca quasi la ignora55. La scienza moderna sta nascendo, e con essa inizia il declino della cultura clas-sica, o meglio il divario fra due visioni del mondo, l’una letteraria e l’altra scientifica56, che fino ad allora, fino allo scienziato filologo Liberto Fromondo, erano state unite. Con un brusco snodo nella ricezione che si fa evidente proprio a partire dalla seconda metà del Seicento, le Quae-stiones vengono escluse dai testi scientifici, relegate a pura dossografia, appannaggio semmai dei filosofi teoretici o dei teologi57; le citazioni classiche ridotte ad abbellimento retorico, circoscritte al più al proemio. Gli echi dolorosi di questo divorzio proseguono ancor oggi, nel dibattito sulla difesa degli studi classici, ormai considerati ancilla-ri quando non inutili orpelli di quelli scientifici. Cartesio probabilmente sarebbe stato di questo parere. Fromon-do crede ancora nello scienziato universale, e questo gli consente, nonostante l’ottusa chiusura legata all’accetta-zione fideistica delle posizioni anticopernicane, di citare non senza onore autori come Lucrezio. È un personaggio che si colloca, possiamo dire a ragione, in una posizione perdente. E tuttavia non manca di onorevolezza: il posto che non riuscì a conquistare nella storia della scienza lo recupera ora in un ambito di tutto rispetto, quello della fortuna dell’antico.

55 Berno 2006-2007, 18-20; 2010, 887.56 Cfr. Randles 1999, 183-223.57 Berno 2010, 887.

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