relazioni ed entità emergenti: da broad e lloyd morgan a kim

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Michele Paolini Paoletti (Università degli Studi di Macerata) – [email protected] Rivista di Filosofia, CVII(3) (2016): 301-325. Please quote only from the published version. 1 Relazioni ed entità emergenti: da Broad e Lloyd Morgan a Kim ABSTRACT – The author tries to argue that J. Kim’s exclusion argument is not incompatible with the acceptance of a certain form of ontological emergence and that C. D. Broad’s and C. Lloyd Morgan’s doctrines should be actually taken as weakly emergentist doctrines – even if Lloyd Morgan’s doctrine can be also interpreted in strongly emergentist terms. The crucial point of such versions of emergentism – what grounds the very occurrence of emergence – lies in external relations’ being involved in the emergence bases. First, the author distinguishes between weak and strong ontological emergence and between internal and external relations. Secondly, he reconstructs Broad’s and Lloyd Morgan’s doctrines. Thirdly, he examines Kim’s exclusion argument and he argues for the general conclusion of the article. In conclusion, insofar as physicalists accept that non-physical entities can depend in special ways on physical ones (e.g., by involving irreducible, external relations in the dependence bases), they can also accept certain forms of ontological emergence. KEYWORDS: Emergenza (Emergence) – Relations (Relazioni) – Physicalism (Fisicalismo) Il tema dell’emergenza ontologica ha costituito un fertile ambito di indagine nella filosofia britannica di fine XIX – inizio XX secolo. Nondimeno, almeno in filosofia della mente, il cosiddetto «Emergentismo Britannico» è stato presto accantonato come un’opzione teoretica scarsamente convincente. Le ragioni di questo declino possono essere ricondotte – almeno secondo Brian McLaughlin 1 – alle nuove scoperte della fisica fondamentale, che parevano capaci di spiegare in termini non-emergentisti certi comportamenti apparentemente emergenti (ad esempio, i legami chimici tra atomi di elementi diversi, come noterò più avanti). Più in generale, l’emergentismo è stato annoverato tra le posizioni fisicaliste non-riduzioniste 2 . Secondo tale interpretazione, gli emergentisti – al pari degli altri fisicalisti non- riduzionisti – ritengono che le uniche entità fondamentali nell’universo siano entità studiate dalla fisica e che esistano, nondimeno, entità non studiate dalla fisica (o non studiate direttamente dalla fisica) in quanto entità dipendenti dalle entità fisiche. Il fisicalismo non-riduzionista è stato l’obiettivo critico di un noto argomento filosofico: l’argomento dell’esclusione di Jaegwon Kim 3 . Questo argomento è stato applicato da Kim anche nei confronti dell’emergentismo. La critica di Kim all’emergentismo è stata proposta quasi in contemporanea con una sorta di rinascita (o di riscoperta) di tale dottrina, tra la metà 1 Cfr. B. P. McLaughlin, The Rise and Fall of British Emergentism, in Emergence or Reduction? Essays on the Prospects of Non-Reductive Physicalism, a cura di A. Beckermann, H. Flohr, J. Kim, Berlin – New York, De Gruyter, 1992, pp. 49-93. 2 Cfr., ad esempio, R. van Gulick, Reduction, Emergence and Other Recent Options on the Mind/Body Problem. A Philosophical Overview, «Journal of Consciousness Studies», VIII, 9-10, 2001, pp. 1-34; T. O’Connor, H. Yu Wong, Emergent Properties, in Stanford Encyclopedia of Philosophy Online, a cura di E. N. Zalta, 2015. 3 Cfr. J. Kim, Supervenience and Mind: Selected Philosophical Essays, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, pp. 336-357; J. Kim, Mind in a Physical World, Cambridge (MA), MIT Press, 1998; J. Kim, Physicalism, or Something Near Enough, Princeton, Princeton University Press, 2005.

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Michele Paolini Paoletti (Università degli Studi di Macerata) – [email protected] Rivista di Filosofia, CVII(3) (2016): 301-325. Please quote only from the published version.

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Relazioni ed entità emergenti:

da Broad e Lloyd Morgan a Kim

ABSTRACT – The author tries to argue that J. Kim’s exclusion argument is not incompatible with the acceptance of a

certain form of ontological emergence and that C. D. Broad’s and C. Lloyd Morgan’s doctrines should be actually taken

as weakly emergentist doctrines – even if Lloyd Morgan’s doctrine can be also interpreted in strongly emergentist

terms. The crucial point of such versions of emergentism – what grounds the very occurrence of emergence – lies in

external relations’ being involved in the emergence bases. First, the author distinguishes between weak and strong

ontological emergence and between internal and external relations. Secondly, he reconstructs Broad’s and Lloyd

Morgan’s doctrines. Thirdly, he examines Kim’s exclusion argument and he argues for the general conclusion of the

article. In conclusion, insofar as physicalists accept that non-physical entities can depend in special ways on physical

ones (e.g., by involving irreducible, external relations in the dependence bases), they can also accept certain forms of

ontological emergence.

KEYWORDS: Emergenza (Emergence) – Relations (Relazioni) – Physicalism (Fisicalismo)

Il tema dell’emergenza ontologica ha costituito un fertile ambito di indagine nella filosofia britannica di

fine XIX – inizio XX secolo. Nondimeno, almeno in filosofia della mente, il cosiddetto «Emergentismo

Britannico» è stato presto accantonato come un’opzione teoretica scarsamente convincente. Le ragioni

di questo declino possono essere ricondotte – almeno secondo Brian McLaughlin1 – alle nuove scoperte

della fisica fondamentale, che parevano capaci di spiegare in termini non-emergentisti certi

comportamenti apparentemente emergenti (ad esempio, i legami chimici tra atomi di elementi diversi,

come noterò più avanti). Più in generale, l’emergentismo è stato annoverato tra le posizioni fisicaliste

non-riduzioniste2. Secondo tale interpretazione, gli emergentisti – al pari degli altri fisicalisti non-

riduzionisti – ritengono che le uniche entità fondamentali nell’universo siano entità studiate dalla fisica

e che esistano, nondimeno, entità non studiate dalla fisica (o non studiate direttamente dalla fisica) in

quanto entità dipendenti dalle entità fisiche. Il fisicalismo non-riduzionista è stato l’obiettivo critico di

un noto argomento filosofico: l’argomento dell’esclusione di Jaegwon Kim3. Questo argomento è stato

applicato da Kim anche nei confronti dell’emergentismo. La critica di Kim all’emergentismo è stata

proposta quasi in contemporanea con una sorta di rinascita (o di riscoperta) di tale dottrina, tra la metà

1 Cfr. B. P. McLaughlin, The Rise and Fall of British Emergentism, in Emergence or Reduction? Essays on the Prospects of Non-Reductive Physicalism, a cura di A. Beckermann, H. Flohr, J. Kim, Berlin – New York, De Gruyter, 1992, pp. 49-93. 2 Cfr., ad esempio, R. van Gulick, Reduction, Emergence and Other Recent Options on the Mind/Body Problem. A Philosophical Overview, «Journal of Consciousness Studies», VIII, 9-10, 2001, pp. 1-34; T. O’Connor, H. Yu Wong, Emergent Properties, in Stanford Encyclopedia of Philosophy Online, a cura di E. N. Zalta, 2015. 3 Cfr. J. Kim, Supervenience and Mind: Selected Philosophical Essays, Cambridge, Cambridge University Press, 1993, pp. 336-357; J. Kim, Mind in a Physical World, Cambridge (MA), MIT Press, 1998; J. Kim, Physicalism, or Something Near Enough, Princeton, Princeton University Press, 2005.

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degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 del secolo scorso4. A partire da quegli anni – e fino ad oggi –

l’emergentismo ha conosciuto un rinnovato interesse ed è stato approfondito e difeso da numerosi

filosofi.

In questo articolo mi soffermerò su un aspetto della dottrina emergentista che è stato finora

scarsamente esaminato: la connessione tra entità emergenti e relazioni5. Dopo aver introdotto alcune

chiarificazioni preliminari riguardo all’emergenza ontologica (§1), approfondirò le tesi di due esponenti

di primo piano dell’Emergentismo Britannico: Charles Dunbar Broad (§2) e, più brevemente, Conwy

Lloyd Morgan (§3). Entrambi hanno assegnato un grande peso alle relazioni nel fondare l’emergenza di

certe entità. Successivamente, si valuteranno le critiche di Kim all’emergentismo e si noterà che, almeno

in prima istanza, non vi è reale incompatibilità tra il fisicalismo riduzionista di Kim e l’emergentismo dei

due autori – nella misura in cui il fisicalismo riduzionista di Kim è disposto ad ammettere relazioni al

livello micro-fisico. Tuttavia, si presenteranno alcuni problemi che derivano da questa mossa di Kim e

si argomenterà che l’emergenza ontologica – almeno nella prospettiva di Broad e Lloyd Morgan – non

può essere compresa senza approfondire l’ontologia delle relazioni (§4).

1. Entità emergenti e relazioni.

L’emergenza ontologica (da qui in avanti, semplicemente emergenza) deve essere anzitutto distinta

dall’emergenza epistemica. L’emergenza ontologica riguarda entità nell’universo, mentre l’emergenza

epistemica riguarda concetti, teorie, sistemi di rappresentazioni, etc.6 Quali entità emergono

(ontologicamente) e quali sono le loro caratteristiche in quanto entità emergenti?

Approssimativamente, un’entità emergente è un’entità che, al contempo, dipende da certe altre entità

(le entità da cui emerge – cioè la sua base di emergenza) e che aggiunge qualcosa di “nuovo” alla storia

dell’universo rispetto a quelle entità. L’emergenza è una “novità dipendente” (dependent novelty).

L’emergentismo, accettando l’esistenza di entità emergenti, si colloca dunque a metà strada tra il

fisicalismo riduzionista e le versioni più forti di dualismo (come il dualismo delle sostanze) – almeno in

filosofia della mente. L’emergentista, infatti, da un lato è pronto a riconoscere che tutto dipende, in

qualche misura, dalle entità studiate dalla fisica: tutte le entità emergenti o emergono dalle entità

studiate dalla fisica (che si occupa dei costituenti più semplici dell’universo7), o emergono da entità che

4 Cfr., ad esempio, Emergence or Reduction?, cit. 5 Cfr., in proposito, Gil C. Santos, Upward and Downward Causation from a Relational-Horizontal Ontological Perspective, «Axiomathes», XXV, 1, 2015, pp. 23-40; M. Paolini Paoletti, How Powers Emerge From Relations, «Axiomathes», XXVI, 2, 2016, pp. 187-204. 6 Cfr. R. van Gulick, Reduction, Emergence and Other Recent Options on the Mind/Body Problem. A Philosophical Overview, cit. 7 I costituenti più semplici dell’universo sono il campo d’indagine di una branca della fisica: la fisica fondamentale. Tuttavia, la fisica si occupa, in generale, anche di alcune caratteristiche di tutti i corpi materiali (anche di quelli studiati dalle cosiddette «scienze particolari», come la chimica e la biologia): la massa, la forza, il peso, etc. Ciò non implica, tuttavia, che le uniche entità (e caratteristiche) fondamentali dell’universo siano, per definizione, quelle studiate dalla fisica – almeno se «fondamentali» significa «necessarie e sufficienti per ricostruire (idealmente) l’universo e l’intera sua storia».

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emergono a loro volta (direttamente o indirettamente) dalle entità fisiche. Per questo motivo, in filosofia

della mente, l’emergentista ritiene che vi sia un certo rapporto di dipendenza tra le entità mentali (in

quanto entità emergenti) e le entità fisiche. D’altro canto, però, l’emergentista afferma – per così dire –

che la storia dell’universo non è raccontata unicamente dalla fisica: allorché certe entità emergono

(direttamente o indirettamente) dalle entità fisiche, quelle entità aggiungono elementi “nuovi”

all’universo.

Si può distinguere poi tra un’emergenza “debole” e un’emergenza “forte”. L’emergenza debole

caratterizza tutte quelle entità la cui “novità” può essere prevista – in linea di principio – solo e soltanto

utilizzando metodi di indagine speciali8. L’emergenza forte, invece, caratterizza tutte quelle entità la cui

“novità” è semplicemente non-prevedibile.

In questo articolo si cercherà di dimostrare che l’emergentismo di Broad e quello di Lloyd Morgan sono

due forme di emergentismo debole (anche se l’emergentismo di Lloyd Morgan si presta ad una

interpretazione in termini di emergentismo forte), la cui accettazione risulta compatibile con

l’argomento dell’esclusione di Kim contro il fisicalismo non-riduzionista. Il fisicalismo à la Kim, pertanto,

non è in contrasto con l’emergentismo debole. Per comprendere meglio queste tesi, occorrerà

soffermarsi ancora sulla distinzione tra emergenza forte ed emergenza debole. In particolare, occorrerà

sviluppare le implicazioni ontologiche di tale distinzione.

L’emergenza debole, per la quale la “novità” delle entità emergenti può essere prevista – in linea di

principio – solo utilizzando metodi di indagine speciali, non è una varietà di emergenza soltanto

epistemica. In altri termini, il fatto che certe entità emergano debolmente da altre entità non dipende

esclusivamente dall’inadeguatezza dei nostri metodi di indagine attuali (che potrebbe essere superata

da futuri tentativi riduzionistici) e/o dalla necessità di adottare metodi diversi per studiare aspetti

diversi della natura. Le entità debolmente emergenti sono tali in virtù di qualcosa che avviene

nell’universo. L’emergentista debole asserisce che le entità emergenti dipendono in modo speciale dalle

loro basi di emergenza (ad esempio, come sostiene James van Cleve9, sopravvengono solo

nomologicamente su esse) e/o le loro basi di emergenza comprendono certi tipi speciali di entità (ad

esempio, le relazioni esterne, come noteremo). La “novità” delle entità emergenti – rispetto a quelle non-

emergenti – è data proprio dai modi speciali di dipendenza e/o dai tipi speciali di entità nelle basi di

emergenza10.

Al contrario, l’emergentista forte asserisce che le entità emergenti sono “nuove” perché hanno o

conferiscono nuovi poteri causali: la loro “novità” risiede precisamente in questi poteri e la loro

imprevedibilità dal punto di vista fisicalista si colloca nel fatto che i poteri causali “nuovi” non possono

8 Sull’emergenza debole, cfr. M. Bedau, Weak Emergence, «Philosophical Perspectives», 11, 1997, pp. 375-399. 9 Cfr. Infra, §4. 10 Cfr. Infra, §4,

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essere esercitati da entità fisiche – o esclusivamente da esse. In entrambi i casi, si tratta di emergenza

ontologica11.

Per cogliere meglio la differenza tra emergentismo debole ed emergentismo forte, si consideri la loro

compatibilità con il fisicalismo, cioè con la tesi per cui tutto è identico a o esclusivamente dipendente da

ciò che è fisico. Se il fisicalista concede che vi sono modi speciali di dipendere dal fisico o che, in certi

rapporti di dipendenza, occorre considerare certi tipi speciali di entità nelle basi, allora egli può anche

accettare l’emergentismo debole. L’emergentismo debole non è incompatibile con l’idea di una

dipendenza esclusiva (sia pure in modi speciali o includendo entità speciali) dal fisico. Viceversa, il

fisicalista non può accettare in alcun modo l’emergentismo forte: per l’emergentista forte, infatti,

l’esercizio dei poteri causali “nuovi” non può dipendere affatto dal fisico (o non può dipendere

esclusivamente da esso). L’argomento dell’esclusione di Kim può essere utilizzato per criticare

l’emergentismo forte, ma non colpisce affatto l’emergentismo debole – come noteremo nel §4.

Le indagini più recenti sull’emergenza si sono concentrate su una particolare categoria di entità: le

proprietà. A partire dall’emergenza delle proprietà, si è tentato poi di definire l’emergenza di altre

categorie di entità: le sostanze, i poteri causali, i fatti, gli eventi, i processi, etc. Ho tentato di argomentare

altrove che le entità primariamente emergenti nell’universo sono i poteri causali e che l’emergenza

(forte) può essere definita sulla scorta della distinzione tra possesso e attivazione di un potere causale12.

Tuttavia, possiamo tralasciare questo aspetto e parlare in questa sede di proprietà emergenti.

Prima di affrontare le tesi di Broad e Lloyd Morgan, restano da chiarire alcuni aspetti riguardanti le

relazioni. Le relazioni sono entità dell’universo che costituiscono la “controparte ontologica” di predicati

relazionali come «ama» in enunciati veri quali «Romeo ama Giulietta». Ammettendo l’esistenza di

relazioni nell’universo, si concede che tali enunciati sono resi veri dall’esemplificazione della relazione

11 Pur parlando dell’emergenza debole in termini epistemici (ad esempio, come prevedibilità soltanto tramite simulazione), lo stesso Bedau aggiunge che si tratta di una varietà di emergenza genuinamente ontologica (cfr. M. Bedau, Is Weak Emergence Just in the Mind?, «Minds and Machines», 18, 2008, pp. 443-459). Si consideri un esempio lungamente discusso da Bedau: quello del Gioco della Vita di John Conway. Il Gioco si svolge rappresentando l’evoluzione di un aggregato di cellule, ciascuna delle quali può trovarsi in due stati: viva o morta. In base a precise regole, ogni cellula può mantenere o mutare il proprio stato: ad esempio, una cellula viva diventa morta se e solo se è circondata da un certo numero n di cellule morte. Per Bedau, non si può prevedere lo stato dell’aggregato ad un certo istante lontano t, se non simulando l’evoluzione del sistema mediante l’applicazione ripetuta delle regole ad ogni istante che ci separa da t. Nondimeno, si può notare che ciò che fonda la peculiare evoluzione dell’aggregato, oltre alle regole, è la precisa configurazione spaziale dell’aggregato (cioè l’insieme delle relazioni spaziali tra le cellule) e lo stato iniziale di ciascuna cellula: due elementi che non dipendono affatto dai metodi dell’osservatore. Anche Jessica Wilson fornisce una caratterizzazione ontologica dell’emergenza debole , benché distinta dalla caratterizzazione qui proposta (cfr. J. Wilson, Metaphysical Emergence: Weak and Strong, in Metaphysics in Contemporary Physics, a cura di T. Bigaj e C. Wüthrich, Leda, Brill, 2015, pp. 345-402). David Chalmers, invece, si sofferma sulla distinzione tra emergenza forte e debole in termini primariamente epistemici: alcune verità riguardanti le entità fortemente emergenti sono imprevedibili – anche in linea di principio – a partire dalle basi di emergenza, mentre alcune verità riguardanti le entità debolmente emergenti sono semplicemente inattese (unexpected) a partire dalle basi (Cfr. D. J. Chalmers, Strong and Weak Emergence, in The Re-Emegergence of Emergence. The Emergentist Hypothesis from Science to Religion, a cura di P. Clayton e P. Davies, Oxford, Oxford University Press, 2006, pp. 244-254). 12 Cfr. M. Paolini Paoletti, How Powers Emerge From Relations, cit.

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di amare tra Romeo e Giulietta, o dall’esistenza di una certa relazione particolare (un tropo relazionale)

come l’amare Giulietta da parte di Romeo. Nel nostro esempio, i relata della relazione di amare sono

due: Romeo e Giulietta.

Conviene qui soffermarsi sulla distinzione tra relazioni interne e relazioni esterne. Una relazione interna

è una relazione la cui esemplificazione tra i suoi relata dipende unicamente dall’esistenza di quei relata

e/o dalle loro essenze e/o dalle loro proprietà intrinseche. La relazione di essere più alto, ad esempio, è

una relazione interna, poiché la sua esemplificazione tra due relata dipende unicamente da certe

proprietà intrinseche di quei relata (le loro altezze). Una relazione esterna è una relazione non-interna.

Le relazioni esterne sono più “ontologicamente gravose” delle relazioni interne: se Dio volesse

realizzare una copia del nostro universo copiando solo e soltanto le entità indispensabili, Egli dovrebbe

copiare anche le relazioni esterne, mentre non dovrebbe copiare anche le relazioni interne. Riguardo a

queste ultime, sarebbe sufficiente copiare i loro relata e, eventualmente, le loro proprietà intrinseche13.

2. L’emergenza di Broad.

Nel suo monumentale Mind and Its Place in Nature (1925), Broad offre la più originale ed approfondita

esposizione delle dottrine emergentiste. L’emergentismo, secondo Broad, può essere compreso solo in

contrapposizione con il «meccanicismo puro» (Pure Mechanism), le forme più moderate di

meccanicismo e il «vitalismo sostanzialista» (Substantial Vitalism).

Il meccanicismo puro è costituito da quattro tesi:

(M1) esiste un solo tipo di materiale (stuff) nell’universo e tutte le sue parti non differiscono tra loro, se

non per differenze di posizione e moto (cioè le differenze tra particelle materiali sono unicamente

differenze nelle loro posizioni e nel loro stato di moto o di quiete);

(M2) vi è un solo tipo di mutamento, cioè il mutamento di posizione, e gli altri tipi di mutamento (di

velocità, di accelerazione, etc.) caratterizzano il mutamento di posizione;

(M3) vi è una sola legge causale elementare, per la quale le particelle si influenzano reciprocamente a

coppie;

13 Per una panoramica sull’ontologia delle relazioni, cfr. F. MacBride, Relations, in Stanford Encyclopedia of Philosophy Online, a cura di E. N. Zalta, 2016 (http://plato.stanford.edu/entries/relations/) e M. Paolini Paoletti, Non-Symmetrical Relations, O-Roles and Modes, «Acta Analytica» (pubblicato come Online First il 23 gennaio 2016). Questa distinzione è più forte della distinzione introdotta da George Edward Moore tra relazioni interne ed esterne: le prime derivano unicamente dalla «natura» dei loro relata, le seconde no (cfr. G. E. Moore, Internal and External Relations, «Proceedings of the Aristotelian Society», XX, 1919, pp. 40-62). Se la «natura» di un relatum include unicamente la sua essenza, allora per Moore sono esterne alcune relazioni che, nella mia prospettiva, sono interne (ad esempio, quelle che derivano dalle proprietà intrinseche e non dall’essenza dei relata). Ad ogni modo, se si accetta la mia distinzione (che pare condivisa da MacBride, Relations, op. cit.), allora tanto le relazioni che derivano necessariamente/essenzialmente dai loro relata, che le relazioni causalmente inerti (cioè quelle che non implicano alcun mutamento nella storia dell’universo, le «relazioni Cambridge») sono relazioni interne: né le une, né le altre sono indispensabili per realizzare una copia perfetta del nostro universo.

Michele Paolini Paoletti (Università degli Studi di Macerata) – [email protected] Rivista di Filosofia, CVII(3) (2016): 301-325. Please quote only from the published version.

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(M4) vi è un unico e semplice principio di composizione, per il quale il comportamento di ogni aggregato

di particelle – o l’influenza di ogni aggregato di particelle su ogni altro aggregato – deriva in modo

uniforme dalle influenze reciproche delle particelle costituenti prese a coppie14.

Si consideri l’unione tra un atomo di ossigeno e due atomi di idrogeno nella costituzione di una molecola

d’acqua. Secondo il meccanicista puro, il comportamento della molecola d’acqua deriva unicamente

(data (M4)) dalle influenze reciproche delle particelle costituenti della molecola prese a coppie, cioè

degli atomi o, più propriamente, delle particelle subatomiche che costituiscono a loro volta gli atomi. Le

influenze di tali particelle devono essere appunto considerate a coppie: le influenze reciproche tra tre

particelle A, B e C non differiscono dalla somma delle influenze di A e B, di B e C e di A e C. L’unica

influenza reciproca è quella delle particelle prese a coppie (data (M3)). E gli unici tipi di mutamento che

coinvolgono le particelle sono i mutamenti di posizione – tutti gli altri mutamenti derivano dai

mutamenti di posizione (data (M2)). Infine, le particelle non differiscono tra loro nella materia che le

costituisce, ma solo nella posizione e nello stato di moto o quiete (data (M1)).

Il meccanicista puro ritiene, dunque, che ogni fenomeno dell’universo possa essere spiegato sulla scorta

di (M1)-(M4). Il meccanicismo puro è un ideale perché, ancora oggi, non disponiamo di tali spiegazioni.

Nondimeno, vi sono forme più moderate di meccanicismo, per le quali

(MM) il comportamento e le caratteristiche di ogni complesso possono essere spiegati unicamente a

partire dal comportamento e dalle caratteristiche dei suoi costituenti considerati isolatamente o in

complessi più semplici15.

Il comportamento e le caratteristiche della molecola d’acqua possono essere spiegati unicamente (e

dunque ridotti) a partire dal comportamento e dalle caratteristiche degli atomi (o delle particelle

subatomiche) isolatamente o in complessi più semplici.

La verità di (MM) non implica la verità di (M1)-(M4), giacché per il meccanicista moderato possono

esservi diversi tipi di materia, di mutamento, di leggi causali e di principi di composizione – anche se tali

principi di composizione non devono aggiungere alcuna “novità” nel passaggio dalla particelle e dai

complessi più semplici al complesso “spiegato”.

Il vitalismo sostanzialista, invece, ritiene che vi siano certi complessi (i complessi viventi) le cui

caratteristiche e i cui comportamenti non possono essere spiegati unicamente a partire dal

comportamento e dalle caratteristiche dei loro costituenti non-viventi. Nei complessi viventi, vi è un

nuovo costituente “vitale” (una «entelechia») in aggiunta ai costituenti non-viventi, che contribuisce a

spiegare le peculiarità del vivente16.

14 Cfr. C. D. Broad, The Mind and Its Place in Nature, London, Kegan, Trench, Trubner & Co., 1925, p. 45. 15 Cfr. C. D. Broad, The Mind and Its Place in Nature, cit., p. 46. 16 Cfr. C. D. Broad, The Mind and Its Place in Nature, cit., p. 56.

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Broad, pur rigettando il meccanicismo puro e le forme più moderate di meccanicismo, non intende

accettare neppure il vitalismo sostanzialista. A questo punto, l’emergentismo è proposto dall’autore

come un’alternativa percorribile. Secondo l’emergentista, le peculiari “novità” nelle caratteristiche e nei

comportamenti di certi complessi sono fondati sulle precise relazioni tra i costituenti di quei complessi.

Più precisamente, l’emergentista ammette

(EB1) l’esistenza di certi complessi R (A, B, C), cioè di complessi costituiti da certi costituenti A, B e C in

una certa relazione R tra loro;

(EB2) che tutti i complessi che hanno costituenti dello stesso tipo di A, B e C in una relazione dello stesso

tipo di R hanno certe proprietà caratteristiche;

(EB3) che i costituenti del tipo di A, B e C possono trovarsi in relazioni di tipo diverso da R;

(EB4) che le proprietà caratteristiche di R (A, B, C) non possono essere dedotte – neppure in linea di

principio – dalla completa conoscenza delle proprietà di A, B e C considerati isolatamente o in altri

complessi di tipo diverso da R (A, B, C)17.

Il comportamento di una molecola d’acqua è “nuovo” (o una delle sue caratteristiche è “nuova”) allorché

vi è una certa relazione R tra i costituenti di quella molecola (i due atomi di idrogeno e l’atomo d’ossigeno

oppure le loro particelle subatomiche) (EB1), quei costituenti possono trovarsi in relazioni di tipo

diverso da R (EB3), ma tutti i complessi con quei costituenti e con una relazione di tipo R manifestano

quel comportamento “nuovo” (o quella “nuova” caratteristica) (EB2) e, infine, quel comportamento

“nuovo” (o quella “nuova” caratteristica) non può essere dedotto – neppure in linea di principio – dalla

completa conoscenza delle proprietà dei costituenti considerati isolatamente o in complessi diversi da

R (A, B, C) (EB4).

Due precisazioni sono richieste. In primo luogo, non tutti i comportamenti (o le caratteristiche) di R (A,

B, C) rispettano le condizioni (EB1)-(EB4)18. Una molecola d’acqua, ad esempio, può avere una certa

massa del tutto prevedibile a partire dalle massa degli atomi che la costituiscono. In secondo luogo, i

comportamenti “nuovi” (o le caratteristiche “nuove”) di R (A, B, C) sono prevedibili, in linea di principio,

a partire dal fatto che A, B e C si trovano nella relazione R. Questa osservazione risulterà molto

importante per valutare l’emergentismo di Broad – e di Lloyd Morgan – alla luce dell’argomento di Kim

contro la dottrina emergentista.

I “nuovi” comportamenti (o le “nuove” caratteristiche) di R (A, B, C) non sono, pertanto, assolutamente

imprevedibili. Essi, tuttavia, possono essere previsti soltanto ammettendo certe leggi di natura uniche

ed irriducibili: ad esempio, la legge di natura per la quale certi costituenti A, B, C, con le loro

caratteristiche, allorché si trovano in una certa relazione R (o in una certa relazione del tipo di R)

17 Cfr. C. D. Broad, The Mind and Its Place in Nature, cit., p. 61. 18 Cfr. C. D. Broad, The Mind and Its Place in Nature, cit., p. 74.

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manifestano certi comportamenti c1, c2, c3, etc. (o certe caratteristiche C1, C2, C3). Tali leggi di natura sono

«trans-ordinali»19.

Cosa rende una legge di natura unica ed irriducibile? Consideriamo ancora una volta la nostra molecola

d’acqua. Una legge di natura unica ed irriducibile per la nostra molecola d’acqua rispetto al suo

comportamento “nuovo” (o alla sua “nuova” caratteristica) è tale che: (a) non è un caso speciale di una

legge più generale riguardante qualsiasi molecola, i suoi costituenti e la sua struttura, ottenuto fornendo

certi valori alle variabili di quella legge più generale e (b) non è un caso speciale di una legge più

generale, ottenuto combinando due leggi distinte (una che connette le caratteristiche dei composti di

idrogeno con le caratteristiche degli atomi di idrogeno e l’altra che connette le caratteristiche dei

composti di ossigeno con le caratteristiche degli atomi di ossigeno)20.

La massa di una molecola d’acqua non deriva da una legge di natura unica ed irriducibile. Essa è un caso

speciale di una legge più generale riguardante qualsiasi molecola, per la quale la massa di una molecola

è identica alla somma delle masse degli atomi che la costituiscono (caso (a)). Viceversa, i comportamenti

“nuovi” (o le caratteristiche “nuove”) che qui ci interessano non possono essere previsti a partire da

siffatte leggi generali. Da ciò deriva che tali comportamenti (o tali caratteristiche) possono essere

scoperti e studiati soltanto a posteriori, mentre non vi è alcun bisogno di pesare una molecola d’acqua

per scoprire la sua massa – almeno conoscendo le masse di tutti i suoi costituenti21.

Prima di affrontare la dottrina di Lloyd Morgan, occorre effettuare brevemente un’osservazione

sull’esempio della molecola d’acqua. Secondo McLaughlin, la fisica posteriore agli anni di Broad ha

dimostrato che non vi sono leggi di natura uniche ed irriducibili riguardanti certi comportamenti (e

certe caratteristiche) delle molecole: tutto può essere previsto a partire da leggi generali riguardanti gli

atomi e le particelle subatomiche22.

Per semplicità, consideriamo non già una molecola d’acqua, ma una struttura più semplice: un atomo di

idrogeno. Del resto, anche gli atomi sono complessi, costituiti da particelle subatomiche. Il

comportamento di un atomo di idrogeno deriva unicamente da leggi generali riguardanti le particelle

subatomiche che lo caratterizzano. Ad esempio, la capacità di stabilire un legame chimico con un atomo

di ossigeno deriva unicamente dal numero di valenza dell’atomo di idrogeno (derivante dal numero di

19 Cfr. C. D. Broad, The Mind and Its Place in Nature, cit., pp. 77-78. 20 Cfr. C. D. Broad, The Mind and Its Place in Nature, cit., p. 65. 21 Già J. S. Mill, System of Logic, London, Longmans, Green, Reader, and Dyer, 1843, pp. 428-433, e G. H. Lewes, Problems of Life and Mind. Vol. 2, London, Kegan, Trench, Trubner & Co., 1875, pp. 2-3, 413, avevano operato una distinzione tra effetti eteropatici ed effetti omopatici (Mill) e proprietà emergenti e risultanti (Lewes), proponendo la massa di un composto come un classico esempio di effetto omopatico/proprietà risultante. 22 Cfr. B. McLaughlin, The Rise and Fall of British Emergentism, cit., pp. 90-91. Broad stesso riconosce che il meccanicismo prevarrebbe sull’emergentismo se si scoprisse che i comportamenti chimici “nuovi” possono essere previsti a partire dal numero e dalle disposizione delle particelle subatomiche, nonché da leggi generali di composizione delle azioni (e degli stati) di quelle particelle (cfr. C. D. Broad, The Mind and Its Place in Nature, cit., pp. 69-70).

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elettroni nel suo orbitale esterno), dal numero di valenza dell’atomo di ossigeno e dalla cosiddetta

“regola dell’ottetto”.

Tuttavia, la fisica quantistica spiega che la probabilità di trovare un certo elettrone in una certa porzione

di spazio ad una certa distanza dal nucleo di un atomo (una probabilità che fonda il numero di elettroni

nell’orbitale esterno) dipende anche dalla distanza tra quella porzione di spazio e il nucleo dell’atomo o

dalla distanza tra quell’elettrone e il nucleo. Tali distanze potrebbero essere considerate relazioni

esterne o potrebbero dipendere a loro volta da relazioni esterne. Le relazioni di distanza (o le relazioni

esterne da cui dipenderebbero le relazioni di distanza) contribuirebbero allora a fondare la struttura

stessa dell’uomo, cioè l’insieme di relazioni tra i suoi costituenti (come l’essere collocati nello stesso

orbitale da parte di due elettroni). La struttura dell’atomo sarebbe un’unica e “grande” relazione esterna,

poiché non dipenderebbe unicamente dall’esistenza e/o dall’essenza e/o dalle proprietà intrinseche

delle particelle subatomiche (richiamando la distinzione fornita nella sezione 1). In ultima istanza, la

capacità di stabilire un legame chimico con un atomo di ossigeno dipenderebbe allora da relazioni

esterne: le tesi di Broad non sarebbero contraddette, poiché non sarebbe disponibile una spiegazione

meccanicista di tale capacità (cioè una spiegazione che, contra (EB4), possa fare a meno delle relazioni

esterne rilevanti in un atomo di idrogeno).

Più in generale, le relazioni dello stesso tipo della struttura dell’idrogeno conferirebbero agli atomi

dell’idrogeno certi comportamenti. Tali comportamenti potrebbero essere previsti a partire da leggi più

generali riguardanti tutte le strutture atomiche, cioè a partire da quelle leggi che governano, ad esempio,

la disposizione degli elettroni attorno al nucleo. Tuttavia, tali leggi più generali sarebbero a loro volta

fondate su altre leggi più particolari implicanti certe relazioni esterne a livello subatomico, e non altre

(ad esempio, certe relazioni di distanza o certe relazioni esterne fondanti certe relazioni di distanza):

solo prendendo in considerazione quelle precise relazioni esterne (e non altre) si potrebbe prevedere il

comportamento dell’atomo di idrogeno. Pertanto, vi sarebbero comunque leggi di natura uniche ed

irriducibili, coinvolgenti certe relazioni esterne (e non altre) a livello subatomico: il ruolo di tali relazioni

esterne sarebbe ineliminabile. L’emergentismo di Broad non sarebbe falsificato: occorrerebbe soltanto

collocare le relazioni rilevanti che fondano i comportamenti “nuovi” ad un livello della natura più

elementare di quello proposto da Broad23.

23 Cfr. anche M. Paolini Paoletti, How Powers Emerge From Relations, cit., 2015. In alternativa, si può argomentare in favore della stessa tesi come segue: se certi valori – e non altri – della probabilità di trovare un certo elettrone in una certa porzione di spazio ad una certa distanza dal nucleo di un atomo sono rilevanti per spiegare i comportamenti dell’atomo, allora le relazioni esterne di distanza (o le relazioni esterne fondanti le relazioni di distanza) coinvolte nella definizione di quei valori – e non altre relazioni – sono coinvolte in certe leggi di natura. Tali leggi di natura sono uniche e irriducibili, perché correlano certe relazioni esterne con certi comportamenti atomici (o con certe caratteristiche atomiche) e non sono un caso speciale di leggi di natura più generali che correlano qualsiasi relazione di distanza (o qualsiasi relazione esterna fondante una qualche relazione di distanza) con quei comportamenti atomici (o con quelle caratteristiche atomiche). Consideriamo ancora una volta la differenza con la massa: qualsiasi relazione di somma tra le masse di due atomi è correlata alla massa della molecola biatomica che essi costituiscono. Pertanto, la massa di quella molecola biatomica non è affatto una caratteristica “nuova” e la relazione di somma non è una relazione rilevante di emergenza ontologica. Per altri casi

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3. Lloyd Morgan e l’emergenza.

Conwy Lloyd Morgan affronta la questione dell’emergenza nel suo Emergent Evolution (1923). Mentre

per Broad sono emergenti i comportamenti (o le caratteristiche) dei complessi, poiché sono “nuovi” e

dipendono dai costituenti e da certe relazioni rilevanti (e non possono essere previsti se non a partire

da quei costituenti in quelle relazioni), per Lloyd Morgan le relazioni stesse devono essere qualificate

come emergenti.

Nel meccanicismo, tutti gli effetti delle interazioni tra certe entità e tutte le relazioni tra quelle entità (e

le caratteristiche che producono in certi complessi) possono essere calcolati con procedimenti di somma

algebrica24: ad esempio – ancora una volta – la massa di un composto, la composizione dei moti di due

particelle, etc. In alcuni casi, però, possono costituirsi certi complessi relazionali: i complessi emergenti.

Allorché questi complessi coinvolgono (come propri costituenti) le entità di un certo sistema, essi

generano una nuova entità, che può essere identificata con il complesso stesso. In tal caso, si potrà

parlare di complessi di relazionalità intrinseca. Allorché i complessi coinvolgono sistemi distinti tra loro,

si potrà parlare di complessi di relazionalità estrinseca. I complessi di relazionalità intrinseca

producono nuove qualità (qualities), cioè nuove proprietà intrinseche del sistema. I complessi di

relazionalità estrinseca producono nuove «proprietà» (properties), nella terminologia di Lloyd Morgan,

cioè nuove proprietà estrinseche25.

Una distinzione molto interessante riguarda le relazioni «interne» e quelle «esterne» e non coincide né

con la distinzione tra relazionalità intrinseca ed estrinseca, né con la distinzione introdotta nella sezione

1 tra relazioni interne ed esterne. Prima di parlare di questo tema, però, occorrerà sviluppare la nozione

di emergenza proposta da Lloyd Morgan. Secondo l’autore, i complessi relazionali emergenti sono

caratterizzati dal fatto di implicare l’esistenza di altre entità (i relata) e dal fatto di mutare il corso

dell’universo. Il primo aspetto è espresso dal termine «involution»: è condizione necessaria per

l’esistenza di un certo complesso relazionale emergente – che definisce un nuovo “livello” dell’universo

– che esistano certe entità del livello inferiore (i suoi relata). La involution implica tuttavia una

dipendenza solo parziale del complesso relazionale emergente dai suoi relata, consistente unicamente

nel fatto che il complesso non esisterebbe senza i relata26.

Ogni complesso relazionale emergente è anche caratterizzato dalla «effettività» (effectiveness), cioè dal

fatto che certi mutamenti avvengono nell’universo che non avverrebbero in assenza di quel complesso

relazionale27. Effectiveness e involution, dunque, sono i due caratteri definitori dell’emergenza.

di emergenza in chimica, cfr. R. F. Hendry. Emergence vs. Reduction in Chemistry, in Emergence in Mind, a cura di C. Macdonald e G. Macdonald, Oxford, Oxford University Press, 2010, pp. 205-221. 24 Cfr. C. Lloyd Morgan, Emergent Evolution, London, Williams and Norgate, 1927, p. 8. 25 Cfr. C. Lloyd Morgan, Emergent Evolution, cit., pp. 19-21. 26 Cfr. C. Lloyd Morgan, Emergent Evolution, cit., pp. 15-16. 27 Cfr. C. Lloyd Morgan, Emergent Evolution, cit., p. 89.

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Ora, secondo Lloyd Morgan, tutti i complessi relazionali «interni» sono effettivi nei confronti dei loro

relata, cioè producono mutamenti nelle qualità (nelle proprietà intrinseche) dei loro relata – mutamenti

che non si darebbero in assenza di quei complessi relazionali. Viceversa, i complessi relazionali

«esterni» non sono effettivi nei confronti dei loro relata28.

Ecco un nostro esempio: l’atomo è un complesso di relazionalità intrinseca, perché si tratta di una nuova

entità prodotta da relazioni tra le particelle subatomiche (i suoi relata). Esso “involves” le particelle

subatomiche, ma possiede anche nuove qualità e nuovi poteri causali (ad esempio., il poter attrarre un

certo numero di elettroni da altri atomi), sicché è anche dotato di effectiveness. L’atomo è un complesso

relazionale interno se produce nuove qualità anche nelle sue particelle (nei suoi elettroni, ad esempio).

L’atomo può inoltre stabilire un complesso di relazionalità estrinseca con un altro sistema senza

produrre una nuova entità (viceversa, genererebbe un complesso di relazionalità intrinseca). A quel

punto, esso acquisisce una nuova proprietà estrinseca (una nuova property) in relazione al secondo

sistema, dotata di effectiveness.

In sintesi, i complessi relazionali emergenti possono produrre nuove qualità sia nei relata (se sono

complessi relazionali «interni»), sia nei sistemi che costituiscono (se sono complessi relazionali

intrinseci). In aggiunta, se sono complessi relazionali estrinseci, essi possono produrre nuove

«proprietà» (cioè nuove proprietà estrinseche). In questi tre modi i complessi relazionali emergenti

sono effettivi29.

Al di là di questa ricca classificazione dei complessi relazionali emergenti – che può essere desunta da

Emergent Evolution –, si è voluto precisare che anche Lloyd Morgan insiste sul ruolo delle relazioni (e

dei complessi relazionali) nel fondare le «novità» portate nell’universo dalle entità emergenti.

4. Kim contro l’emergenza?

Un celebre argomento di Jaegwon Kim è spesso citato per criticare l’emergentismo. In realtà, vi sono due

argomenti di Kim contro la nozione di emergenza: un argomento fondato sulla transitività delle relazioni

di sufficienza nomologica30 e una versione dell’argomento dell’esclusione contro il fisicalismo non-

riduzionista31. Poiché il secondo argomento è più noto e – almeno a mio avviso – più forte, mi limiterò

in questa sezione unicamente al suo esame. Mostrerò che l’argomento dell’esclusione non costituisce

una solida critica dell’emergentismo di Broad e Lloyd Morgan. Al contrario, l’accettazione delle

conclusioni di questo argomento è compatibile con l’accettazione di tali dottrine emergentiste. Tuttavia,

28 Cfr. C. Lloyd Morgan, Emergent Evolution, cit., pp. 76-80. 29 In linea di principio, seguendo i criteri di Lloyd Morgan, possono darsi complessi relazionali emergenti: (a) intrinseci ed esterni; (b) estrinseci (nella produzione di una certa proprietà estrinseca) ed interni (nella produzione di una certa qualità dei relata); (c) intrinseci (nella produzione di una certa qualità di un sistema) ed interni (nella produzione di un’altra qualità dei relata); (d) estrinseci ed esterni. 30 Si tratta dell’argomento presente in J. Kim, Making Sense of Emergence, «Philosophical Studies», XCV, 1-2, 1999, pp. 3-36. 31 Cfr. i testi di Kim citati nella nota 3.

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tale compatibilità impone di annoverare l’emergentismo di Broad e Lloyd Morgan tra le varietà di

emergentismo debole – almeno in una certa interpretazione.

Considerando soprattutto le tesi di James van Cleve – per le quali le proprietà emergenti sono proprietà

che sopravvengono solo nomologicamente, e non metafisicamente, sulle proprietà che costituiscono le

loro basi di emergenza32 - Kim intende concludere che le proprietà emergenti non portano alcunché di

nuovo nell’universo, cioè non sono associate a nuovi poteri causali (non sono associate al potere di

produrre qualcosa di nuovo).

Secondo Kim, una proprietà emergente è una proprietà che dipende, per la propria esemplificazione, da

altre proprietà (le proprietà della sua base di emergenza) – e tale dipendenza può essere appunto

espressa in termini di sopravvenienza solo nomologica – e che conferisce agli oggetti che la

esemplificano poteri causali nuovi, cioè poteri causali che non sono conferiti da altre proprietà –

neppure, ovviamente, dalle proprietà della base di emergenza, considerate separatamente o assieme.

Kim critica, dunque, l’emergentismo forte, benché van Cleve si limiti a sottolineare che le entità

emergenti sopravvengono solo nomologicamente sulle loro basi e la sua dottrina sia dunque una

dottrina emergentista debole. Come noteremo, l’argomento di Kim non scalfisce l’emergentismo debole:

l’emergentista debole non si impegna ad ammettere nuovi poteri causali posseduti/conferiti dall’entità

emergenti, poiché la “novità” delle entità debolmente emergenti è data unicamente dalla loro

dipendenza “speciale”. Kim, inoltre, non si impegna alle forme di meccanicismo descritte da Broad e

incompatibili con l’emergentismo debole.

Ipotizziamo ora che vi sia una certa proprietà emergente E1 esemplificata da un certo sistema (cioè da

una certa entità complessa) S. S è costituito da un numero indefinito di entità micro-fisiche che

esemplificano proprietà e relazioni. Tutte e soltanto le proprietà e relazioni delle entità micro-fisiche di

S, prese assieme, costituiscono una certa proprietà micro-fisica strutturale PS1. La proprietà emergente

E1 sopravviene solo nomologicamente33 su PS1 – o su una certa parte di PS1.

Kim dimostra che E1, per conferire il potere di causare l’esemplificazione di una certa proprietà E2 al suo

stesso livello ontologico (E2 non deve essere necessariamente una proprietà emergente) deve conferire

32 Cfr. J. van Cleve, Mind-Dust or Magic? Panpsychism Versus Emergence, «Philosophical Perspectives», 4, 1990, pp. 215-226. La sopravvenienza (forte) solo nomologica di cui parla van Cleve è limitata a tutti e soli i mondi possibili che condividono le leggi di natura del mondo attuale. Una famiglia di proprietà A sopravviene (fortemente) su un’altra famiglia di proprietà B se e solo se, in tutti i mondi possibili (o in un certo set di mondi possibili da precisare), per ogni oggetto x e ogni proprietà P1 della famiglia A, se x ha P1, allora c’è una proprietà P2 della famiglia B, tale che x ha P2 e, in tutti i mondi possibili (o in un certo set di mondi possibili da precisare), se x ha P2, allora x ha P1. Poniamo che la famiglia di proprietà A sia una certa famiglia di proprietà emergenti e la famiglia di proprietà B sia una certa famiglia di proprietà delle loro basi di emergenza. La sopravvenienza solo nomologica di van Cleve si ottiene precisando che il secondo operatore di necessità («in tutti i mondi possibili (o in un certo set di mondi possibili da precisare)») è limitato a tutti e soltanto i mondi che condividono le leggi di natura del mondo attuale. Le tesi di van Cleve implicano che l’emergenza di una proprietà – o di una famiglia di proprietà – da certe altre proprietà è fondata su leggi di natura uniche ed irriducibili. 33 Kim parla in realtà di sopravvenienza mereologica, ma la nozione di sopravvenienza mereologica non è rilevante qui a fini della nostra discussione. Basti dire che la sopravvenienza mereologica di Kim può essere intesa – e Kim stesso lo fa – come una varietà di sopravvenienza solo nomologica.

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il potere di causare l’esemplificazione della base di sopravvenienza micro-fisica di E2, cioè PS234. Poniamo

che E1 sia la proprietà di decidere un certo movimento del mio braccio e che E2 sia pertanto la proprietà

di muovere il braccio in un certo modo. Entrambe le proprietà sono esemplificate da me, cioè dal sistema

complesso S35. E1 sopravviene solo nomologicamente su una certa proprietà micro-fisica strutturale PS1

e E2 sopravviene solo nomologicamente su una certa proprietà micro-fisica strutturale PS2. Kim dimostra

che, per conferire il potere di causare E2 (cioè di causare il mio muovere il braccio in un certo modo), E1

deve conferire il potere di causare PS2: io, decidendo di muovere il mio braccio, muovo il mio braccio in

un certo modo solo se la mia decisione causa l’esemplificazione di una certa proprietà micro-fisica

strutturale PS2 sulla quale sopravviene solo nomologicamente il mio muovere il mio braccio in un certo

modo. Tutti i poteri causali conferiti da E1 devono essere, in ultima istanza, poteri causali “verso il basso”

– al pari del potere di causare l’esemplificazione di PS2 – perché ogni effetto non-microfisico sopravviene

solo nomologicamente su qualche proprietà micro-fisica strutturale.

Kim assume dunque che

(K1) E1 è una proprietà emergente (e non-epifenomenica) solo se conferisce poteri causali nuovi ed

irriducibili, rispetto ai poteri già conferiti dalla sua base di emergenza PS1;

(K2) E1 conferisce poteri causali nuovi ed irriducibili, rispetto ai poteri già conferiti dalla sua base di

emergenza PS1, solo se E1 conferisce il potere di causare l’esemplificazione di qualche proprietà PS* (al

livello di PS1) e PS1 non conferisce quel potere.

La terza assunzione dell’argomento di Kim – quella più criticata – è fondata sul principio di chiusura

causale del fisico: ogni effetto fisico ha una causa del tutto fisica sufficiente. Kim ammette dunque che

(K3) l’esemplificazione di PS1 è causalmente sufficiente per l’esemplificazione di PS*, perciò PS1 conferisce

il potere di causare l’esemplificazione di PS*.

La sufficienza causale di PS1 per PS* è dedotta dal fatto che l’esemplificazione di PS1, congiunta alle leggi

di natura (micro-fisiche) del mondo attuale, è sufficiente per l’esemplificazione di PS*. In altri termini,

secondo Kim, PS* deve avere una causa (micro-fisica) sufficiente – dato il principio di chiusura causale

del fisico – e l’esemplificazione di PS1 è una causa (micro-fisica) sufficiente per l’esemplificazione di PS*.

La conclusione dell’argomento è che

(K4) E1 è una proprietà epifenomenica,

34 Cfr. Kim, Making Sense of Emergence, cit., pp. 22-24. 35 Negli esempi riguardanti E1 e E2 ci si limita spesso alle proprietà mentali: ad esempio, la proprietà di provare un certo dolore toccando i fornelli del gas (E1) e la proprietà di voler smettere di toccare i fornelli (E2). Tuttavia, questi esempi assumono che vi sia un nesso di causalità sufficiente tra stati mentali “passivi” (come i dolori) e stati mentali “attivi” (come le volizioni), per cui gli stati mentali “passivi” possono essere causalmente sufficienti per produrre stati mentali “attivi”. Coloro che rigettano questa tesi devono volgersi ad altri esempi. In realtà, nell’argomento di Kim non è rilevante che E1 e E2 siano proprietà mentali, ma che esse siano esemplificate dal sistema S e non siano una sua proprietà strutturale – derivante unicamente dalle proprietà dei costituenti di S.

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poiché il potere di causare l’esemplificazione di una qualche proprietà PS* è già conferito dalla base di

emergenza di E1, cioè da PS1. Questo implica che E1 non può essere una proprietà emergente, poiché non

conferisce poteri causali “nuovi”, come il potere di causare l’esemplificazione di una qualche proprietà

PS*: o E1 è una proprietà non-emergente, o non si tratta affatto di una proprietà.

Questa conclusione, tuttavia, può essere accettata anche da Broad e da Lloyd Morgan, poiché entrambi

hanno una nozione di emergenza più debole rispetto a quella criticata da Kim e poiché entrambi

assegnano un ruolo preminente alle relazioni che fondano le caratteristiche ed i comportamenti “nuovi”

di un sistema. Anche Kim può accettare tali relazioni nella propria ontologia fisicalista. Ecco due esempi

del modo in cui le conclusioni di Broad e Lloyd Morgan possono essere riconciliate con la critica di Kim.

Primo esempio: poniamo che PS1 comprenda anche relazioni esterne. In tal caso, possiamo introdurre

una certa relazione R1 tra tutti e soltanto i costituenti micro-fisici di S che contribuiscono – con le loro

proprietà e le loro relazioni esterne – alla definizione di PS1. R1 sarebbe una relazione esterna, poiché

dipenderebbe anche da relazioni esterne per la propria esemplificazione. Ora, sia Broad che Lloyd

Morgan potrebbero osservare che l’esemplificazione di E1, di PS2 e di E2 non sarebbe spiegabile senza

considerare R1. In effetti, i costituenti micro-fisici di S presi isolatamente (con tutte le proprietà

intrinseche che li caratterizzano) o in altri complessi relazionali distinti da quello fondato su R1 non

riescono a spiegare né l’emergenza di E1, né l’esemplificazione di PS2 e di E2. L’esemplificazione di E1, di

PS2 e di E2 dipende da una precisa relazione: R1. R1, pertanto, è una relazione che fonda proprietà

emergenti e caratteristiche “nuove” (o comportamenti “nuovi”) e la legge di natura per cui R1 fonda

proprietà, quelle caratteristiche (o quei comportamenti) è unica e irriducibile36.

Il nostro sparring partner ideale potrebbe ribattere che R1 non è affatto una relazione esterna e potrebbe

farlo in due modi diversi: o negando che le relazioni che dipendono interamente per la loro

esemplificazione anche da relazioni esterne sono, a loro volta, relazioni esterne, o negando che vi siano

relazioni esterne tra i costituenti micro-fisici di S da annoverare in PS1. Concediamo pure il punto. In tal

caso, R1 sarebbe semplicemente una relazione interna. Il nostro sparring partner dovrebbe allora

spiegare perché certe relazioni interne sono associate (direttamente o indirettamente, via PS2)

all’esemplificazione di certe proprietà di livello superiore come E1 e E2 ed altre relazioni interne non

36 Il meccanicista non può ammettere nel proprio inventario ontologico fondamentale simili relazioni esterne. Esse violano un principio del meccanicismo puro, cioè: (M4) vi è un unico e semplice principio di composizione, per il quale il comportamento di ogni aggregato di particelle – o l’influenza di ogni aggregato di particelle su ogni altro aggregato – deriva in modo uniforme dalle influenze reciproche delle particelle costituenti prese a coppie. Tali relazioni esterne non sono identiche a, né derivano dalle influenze reciproche delle particelle costituenti prese a coppie: esse influenzano in modo speciale il comportamento dell’aggregato di particelle. Parimenti, queste relazioni esterne violano il principio del meccanicismo moderato: (MM) il comportamento e le caratteristiche di ogni complesso possono essere spiegati unicamente a partire dal comportamento e dalle caratteristiche dei suoi costituenti considerati isolatamente o in complessi più semplici. Non è possibile spiegare il comportamento “nuovo” (o la caratteristica “nuova”) esaminando i costituenti isolatamente o in complessi più semplici, poiché in tali situazioni le relazioni esterne rilevanti (come R1) non sono esemplificate.

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sono associate all’esemplificazione di alcuna proprietà di livello superiore. In effetti, qualsiasi

congiunzione di alcune delle proprietà intrinseche e/o delle relazioni coinvolte in PS1 – o di tutte quelle

in PS1 e altre proprietà intrinseche e/o relazioni – potrebbe dar luogo ad una qualche relazione interna.

Nondimeno, alcune relazioni interne (come R1) sarebbero associate a proprietà di livello superiore –

come E1 e E2 – e altre no. Alcune relazioni interne (come R1) sarebbero ontologicamente più rilevanti di

altre, perché sarebbero associate a certe proprietà di livello superiore come E1 e E2. E questo sembra

contrastare con l’idea per cui tutte le relazioni interne hanno lo stesso peso ontologico: nessuna di esse

è ontologicamente fondamentale e tutte dipendono interamente dai loro relata37. Inoltre, avremmo

comunque leggi di natura che connettono R1 e E1 (o E2): si tratterebbe comunque di leggi uniche ed

irriducibili ad altre leggi, perché derivanti dalla natura di R1 e implicanti la sua unica e “speciale”

connessione con E1 (o E2).

Il nostro sparring partner dovrebbe accettare questa situazione o dovrebbe negare semplicemente

l’esistenza e l’esemplificazione di E1 e E2. Nel primo caso, egli sarebbe tenuto a riconoscere l’esistenza di

relazioni interne più fondamentali di altre e l’emergentista classico (à la Broad e Lloyd Morgan)

potrebbe replicare che quelle relazioni interne sarebbero coinvolte in leggi di natura uniche ed

irriducibili. Nel secondo caso, egli farebbe un’assunzione facilmente rigettabile dal fisicalismo non-

riduzionista e dall’emergentista: perché costoro dovrebbero infatti ammettere che non esistono (e non

sono esemplificate) proprietà non-micro-fisiche come E1 e E2? Dal punto di vista dialettico, l’argomento

di Kim contro il fisicalismo non-riduzionista e l’emergentismo sarebbe “spuntato”, perché Kim dovrebbe

assumere tacitamente la negazione delle tesi criticate – cioè la non-esistenza delle entità emergenti.

Il secondo esempio riguarda non già le relazioni tra costituenti micro-fisici, ma quelle tra proprietà (e

relazioni) micro-fisiche. In effetti, potrebbe esservi una qualche relazione R2 tra tutte e soltanto le

proprietà e le relazioni coinvolte in PS1. R2 potrebbe essere, ad esempio, una relazione di congiunzione

tra proprietà. R2 sarebbe o una relazione esterna – se si accettasse che le relazioni che coinvolgono anche

relazioni esterne sono a loro volta relazioni esterne e che vi sono relazioni esterne coinvolte in PS1 – o

37 Il meccanicista potrebbe ribattere che le relazioni come R1 sono essenzialmente relazioni di distanza, da identificare con relazioni interne tra posizioni spaziali: date due qualsiasi posizioni spaziali p1 e p2, la loro esistenza e la loro natura sono sufficienti ad implicare la relazione di distanza tra p1 e p2. Nondimeno, non tutte le relazioni interne di distanza tra posizioni sono rilevanti, ma solo quelle connesse alle posizioni dei costituenti esaminati. Pertanto, o vi sono relazioni interne di distanza più rilevanti di altre (e l’ipotesi è stata appena criticata), oppure occorre ammettere solo alcune relazioni di distanza – come quella tra p1 e p2 –, in quanto dipendenti dal fatto che p1 e p2 sono occupati da certi costituenti. La relazione di occupare, tuttavia, non sembra avere affatto i caratteri di una relazione interna: un certo costituente potrebbe occupare una posizione diversa da quella che occupa ad un certo istante, senza mutare in nulla né la propria essenza, né la propria esistenza, né le sue proprietà intrinseche. In aggiunta, né in una concezione relazionista dello spazio (per la quale la distinzione tra posizioni spaziali è fondata sulle relazioni tra certe entità), né in una assolutista (per la quale vi è una distinzione tra posizioni spaziali indipendente dalle entità che sono nello spazio), la posizione spaziale di un’entità è una sua proprietà intrinseca o dipende esclusivamente dalle sue proprietà intrinseche. Nel primo caso, essa dipende da relazioni tra entità distinte o, in ogni caso, da proprietà estrinseche – poiché le posizioni spaziali sono fondate proprio su tali relazioni o su tali proprietà estrinseche. Nel secondo caso, le posizioni spaziali sono entità sui generis, occupate o meno da altre entità e, pertanto, in certe relazioni di “occupazione” con esse.

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una relazione interna più fondamentale di altre relazioni interne di congiunzione, associata a E1 e

(indirettamente) a E2. In entrambi i casi, R2 sarebbe connessa indirettamente a E1 (e a E2) mediante leggi

di natura uniche ed irriducibili, per le stesse ragioni addotte poco fa.

I due esempi qui discussi mostrano che l’argomento di Kim non confuta le tesi di Broad e Lloyd Morgan.

Costoro, infatti, potrebbero ammettere che vi sono relazioni come R1 e R2 a livello micro-fisico in assenza

delle quali certi comportamenti (e certe caratteristiche) di sistemi complessi non sarebbero spiegabili

né prevedibili. Di certo, per essere in linea con le assunzioni di Kim, i due autori dovrebbero poi

ammettere che tutte le relazioni tra sistemi complessi che fondano comportamenti “nuovi” (o

caratteristiche “nuove”) di sistemi complessi di livello superiore devono essere “tradotte” in relazioni

tra costituenti micro-fisici – o tra proprietà e relazioni di costituenti micro-fisici. In tal caso, avremmo

un universo a due livelli: un livello micro-fisico e un livello non-micro-fisico. Eppure, si tratterebbe

ancora di un universo emergentista, almeno dal punto di vista di questi due esponenti

dell’Emergentismo Britannico. In questo universo, il livello non-micro-fisico dipenderebbe dal livello

micro-fisico solo includendo tipi speciali di entità (le relazioni rilevanti). Inoltre, vi sarebbero ancora

leggi di natura uniche ed irriducibili, che connettono il livello micro-fisico con il livello non-micro-fisico.

Tali leggi non coinvolgerebbero però relazioni non-micro-fisiche (almeno in quanto fondanti

l’emergenza).

Nella sezione 1 ho distinto tra emergenza forte ed emergenza debole. L’emergenza debole caratterizza

tutte quelle entità che dipendono in modi speciali dalle loro basi di emergenza e/o implicano tipi speciali

di entità nelle loro basi di emergenza. L’emergenza forte, invece, caratterizza tutte quelle entità che

hanno o conferiscono poteri causali “nuovi” rispetto alle loro basi di emergenza.

Se le entità emergenti devono essere identificate con le relazioni – come pensa Lloyd Morgan – allora le

relazioni che fondano complessi emergenti sono entità emergenti forti, perché fanno accadere qualcosa

di “nuovo” nell’universo, che non potrebbe accadere in loro assenza, pur implicando (involve) l’esistenza

dei loro relata. Le relazioni micro-fisiche, dunque, sarebbero entità fortemente emergenti, in quanto

dipendenti dai loro relata (le entità micro-fisiche o certe proprietà micro-fisiche), eppure capaci di

produrre qualcosa di “nuovo” rispetto ad essi. I “nuovi prodotti” di tali relazioni, però, sarebbero

comunque entità debolmente emergenti, poiché dipenderebbero interamente – sia pur coinvolgendo

tipi speciali di entità (le relazioni micro-fisiche) – da entità micro-fisiche.

Viceversa, se le entità emergenti devono essere identificate con le caratteristiche “nuove” (o i “nuovi”

comportamenti, o i “nuovi” poteri causali), allora Broad e Lloyd Morgan devono essere annoverati tra

gli emergentisti deboli. Le entità emergenti dipenderebbero interamente dalle loro basi, ma solo

includendo tipi speciali di entità in esse (le relazioni).

Il confronto tra le dottrine di Broad e Lloyd Morgan e l’argomento di Kim sembra mostrare l’importanza

dell’ontologia delle relazioni nel trattare il tema dell’emergenza. Ad esempio, chiarire la distinzione tra

relazioni esterne e relazioni interne consente di intravedere la peculiarità delle relazioni che fondano le

Michele Paolini Paoletti (Università degli Studi di Macerata) – [email protected] Rivista di Filosofia, CVII(3) (2016): 301-325. Please quote only from the published version.

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entità debolmente emergenti (cioè la loro irriducibilità). D’altro canto, l’indagine sull’emergenza aiuta a

comprendere meglio alcuni punti riguardanti l’ontologia delle relazioni. Ad esempio, se si ammette che

vi sono relazioni interne che fondano certe proprietà di livello superiore, allora non tutte le relazioni

interne devono essere considerate ontologicamente non-fondamentali: alcune di esse, pur dipendendo

totalmente dall’essenza e/o dall’esistenza e/o dalla natura dei loro relata, devono essere coinvolte in

certe leggi di natura uniche ed irriducibili (le leggi di emergenza), che un Dio scrupoloso dovrebbe

tenere in considerazione per creare una copia perfetta del nostro universo.

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