postille sulle «novità ed ipotesi» di una mostra dedicata a filippo vitale

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I RECENSIONI 1 : KRONOS 12 Massimiliano Cesari ........................................ . ............................................ Pag. 165 i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Postille sulle «novità ed ipotesi* di una mostra dedicata a Filippo Vitale. Si è chiusa recentemente la mostra Filippo Vitale. Novità ed ipotesi per un protagonista della pittura del '600 a Napoli, curata da Giuseppe Porzio e allestita negli spazi della Galleria Silvano Lodi & Due a Milano'. L'esposizione è accompagnata da un cata- logo - una vera e propria monografia sull'artista - che presenta i contributi di due importanti seicentisti, già coinvolti nelle vicen- de critiche del pittore napoletano: Vincenzo Pacelli2 e Gianni Papi3; al curatore appartengono invece il regesto documentario e la fortuna critica4. Prima di analizzare le opere "vecchie" e "nuo- ve" presentate in mostra e in catalogo, citiamo le "novità" biogra- fiche emerse nel corso delle ricerche d'archivio collegate all'espo- sizione. La prima notizia degna di nota è quella della rettifica del- la data di nascita dell'artista, collocata da Giurleo intorno alla metà degli anni ottanta del '500. Secondo Antonio D'Alessandro «il pittore Filippo Vitale, figlio di Marino Vitale e di Laudonia di Carlo, nacque a Napoli tra il 1589 e il 1590, molto probabilmente nella parrocchia di San Giorgio Maggiore, una delle quattro anti- che parrocchie "maggiori" della città Questa ipotesi, non suffragata però da alcun nuovo ritrovamento documentario, è de- sunta da D'Alessandro da una più attenta rilettura delle fonti car- tacce già note, in particolare quelle del "processetto" di matrimo- nio del 1626 tra il pittore spagnolo Juan Do e Maria Grazia De Rosa, sorella di Pacecco e figliastra di Vitale, testimoni i colleghi- amici Battiste110 e Ribera6. Alla formazione del maestro e alla produzione iniziale sono dedicati due contributi di Umberto Giacometti e Dario Porcini7. Un momento della produzione gio- vanile di Vitale poco documentato nella mostra che annovera - ol- tre alle opere già note - il poco noto San Matteo e l'angelo (fig. l), passato recentemente sul mercato antiquariale, e il San France- sco in meditazione del Museo Soumaya di Città del Messico, en- trambi collocabili subito dopo il battistelliano San Pietro liberato dal carcere del Pio Monte, datato 16158. Le novità più interessanti riguardano soprattutto le opere esposte, come si legge nel "post- scritto " del suo contributo al catalogo di Vincenzo Pacelli che scrive: «Desidero affermare in questa occasione con pudore e sottovo- ce un pensiero suggerito in occasione della ormai lontana mostra battistelliana del 1991: al catalogo di Filippo Vitale, nonostante non esista l'ombra di un documento per affermarlo, si dovrebbe avere il coraggio di assegnare quel gruppo di opere che continua ad essere indicato come del Maestro dell'Emmaus di Pau [. . A favore di questa ipotesi di identificazione - che già aleggiava nel- l'aria da diverso tempo - si unisce Gianni Papi che nel suo contri- buto afferma: Per una questione di di quella che è al momento un'ipotesi, continuerò a tenere ancora nominalmente di- stinti i dipinti che fanno parte del gruppo dell'anonimo da quelli assegnati a Vitale (anche se, come ho già detto, la soluzione di

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I RECENSIONI 1 : KRONOS 12 Massimiliano Cesari ........................................ . ............................................ Pag. 165 i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Postille sulle «novità ed ipotesi* di una mostra dedicata a Filippo Vitale.

Si è chiusa recentemente la mostra Filippo Vitale. Novi tà ed ipotesi per u n protagonista della pittura del '600 a Napoli, curata da Giuseppe Porzio e allestita negli spazi della Galleria Silvano Lodi & Due a Milano'. L'esposizione è accompagnata da un cata- logo - una vera e propria monografia sull'artista - che presenta i contributi di due importanti seicentisti, già coinvolti nelle vicen- de critiche del pittore napoletano: Vincenzo Pacelli2 e Gianni Papi3; al curatore appartengono invece il regesto documentario e la fortuna critica4. Prima di analizzare le opere "vecchie" e "nuo- ve" presentate in mostra e in catalogo, citiamo le "novità" biogra- fiche emerse nel corso delle ricerche d'archivio collegate all'espo- sizione. La prima notizia degna di nota è quella della rettifica del- la data d i nascita dell'artista, collocata da Giurleo intorno alla metà degli anni ottanta del '500. Secondo Antonio D'Alessandro «il pittore Filippo Vitale, figlio di Marino Vitale e di Laudonia di Carlo, nacque a Napoli tra il 1589 e il 1590, molto probabilmente nella parrocchia di San Giorgio Maggiore, una delle quattro anti- che parrocchie "maggiori" della città Questa ipotesi, non suffragata però da alcun nuovo ritrovamento documentario, è de- sunta da D'Alessandro da una più attenta rilettura delle fonti car- tacce già note, in particolare quelle del "processetto" di matrimo- nio del 1626 tra il pittore spagnolo Juan D o e Maria Grazia De Rosa, sorella di Pacecco e figliastra di Vitale, testimoni i colleghi- amici Battiste110 e Ribera6. Alla formazione del maestro e alla produzione iniziale sono dedicati due contributi di Umber to Giacometti e Dario Porcini7. Un momento della produzione gio- vanile di Vitale poco documentato nella mostra che annovera - ol- tre alle opere già note - il poco noto San Matteo e l'angelo (fig. l), passato recentemente sul mercato antiquariale, e il San France- sco i n meditazione del Museo Soumaya di Città del Messico, en- trambi collocabili subito dopo il battistelliano San Pietro liberato dal carcere del Pio Monte, datato 16158. Le novità più interessanti riguardano soprattutto le opere esposte, come si legge nel "post- scritto " del suo contributo al catalogo di Vincenzo Pacelli che scrive:

«Desidero affermare in questa occasione con pudore e sottovo- ce un pensiero suggerito in occasione della ormai lontana mostra battistelliana del 1991: al catalogo di Filippo Vitale, nonostante non esista l'ombra di un documento per affermarlo, si dovrebbe avere il coraggio di assegnare quel gruppo di opere che continua ad essere indicato come del Maestro dell'Emmaus di Pau [. . A favore di questa ipotesi di identificazione - che già aleggiava nel- l'aria da diverso tempo - si unisce Gianni Papi che nel suo contri- buto afferma: Per una questione di di quella che è al momento un'ipotesi, continuerò a tenere ancora nominalmente di- stinti i dipinti che fanno parte del gruppo dell'anonimo da quelli assegnati a Vitale (anche se, come h o già detto, la soluzione di

RECENSIONI I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . i Pag. 166 Massirniliiuio Cesari ......................................................................... ...~.

KRONOS 12: .............................................................................................................

un'unica identità a favore di Filippo mi pare effettivamente la più probabile), mentre nelle didascalie alle illustrazioni (la cruda resa dei conti di ogni studioso, costretto a spogliarsi del tortuoso andi- rivieni delle argomentazioni proposte nel testo) credo sia corri- spondente alla realtà delle mie convinzioni attuali presentare i quadri dell'anonimo come "Maestro dell'Emmaus di Pau (Filippo Vitale?)»'o. Una ipotesi accettata da Giuseppe Porzio che travasa le opere dell'anonimo maestro - già identificato da Bodard con la figura di Louis Finson - nel catalogo di Vitale, e sulla quale ritor- neremo più avanti.

Al primitivo catalogo del pittore - redatto da Ferdinando Bo- logna ormai più di cinquant'anni fa"- si aggiungono così diversi dipinti. Tra le opere esposte la prima novità è rappresentata dalla tela con il San Girolamo scrtvente (Milano, Galleria Silvano Lodi & Due; fig. 2), che Porzio colloca agli inizi della produzione del pittore, avvicinandola alla tela - soprattutto per la somiglianza della testa del vecchio - con il Santo condotto al martirio della col- lezione romana Fabio Massimo Megna (fig. 3), attribuita al Mae- stro dell'Emmaus di Pau, e all'Isacco in collezione K ~ e l l i k e r ' ~ . Del San Girolamo Lodi esiste una variante, attribuita ad Hendrick Van Somer, nella collezione della Fondazione Longhi, che nel catalogo della mostra milanese è assegnata dubitat ivamente a Fil ippo Vitale". In effetti il San Girolamo scrivente presenta stringenti af- finità con il modello senile presente nelle tele Megna e Koelliker, ma - a mio avviso - proprio il forte richiamo al dato epidermico rimanda alla poetica figurativa dei pittori nordici, "amici del Cara- vaggio", attivi a Napoli nel primo decennio del Seicento. A Vitale è attribuita anche la Benedizione d i Giacobbe Koelliker, già asse- gnata da Porzio al «Maestro dell'Emmaus di Pau», da collocare agli inizi della produzione caravaggesca, come una seconda versio- ne di ubicazione ignota, già da Ferdinando Bologna e Stefano Causa assegnata proprio alla mano del pittore napoletano (fig. 4)14. Anche in questo caso siamo di fronte all'interessamento di Filippo al werismo» del Ribera, particolarmente attento ai dai anatomici indagati dal lume proveniente come al solito da sinistra. La figura di Giacobbe in primo piano - vero e proprio nino sivi- gliano - dal volto lunare e dalla capigliatura geometricamente di- segnata, ricorda quella dell'enigmatico San Giovanni Battista di Basilea, già attribuito dal Longhi a Caravaggio. A questo momen- to di Vitale potrebbe appartenere il San Biagio (fig. 5 ) noto attra- verso una fotografia conservata presso la Fondazione Zeri, che presenta sul verso una nota autografa dello studioso con l'attribu- zione a «Filippo Vitale (?)» e collocata nella cartella dedicata al pittore napoletano15. Accanto alle precedenti Benedizioni di Gia- cobbe troviamo una versione inedita, di collezione privata napole- tana, «al crocevia tra le opere assegnate con sicurezza al giovane Vitale (rovesciato, l'adolescente Giacobbe è lo stesso della reda- zione Majetti) ed il gruppo adunato intorno alla cena del Museo di Pau [...l. Inatteso trait d'union tra le due entità è, ancora una vol-

RECENSIONI I ..................................................................................... ............................................................................................................. i KRONOS 12 ~ass irni~ iano Cesari Pag. 167; ..................................................................................... .............................................................................................................

1. Filippo Vitale, San Matteo e l'angelo, già collezione colonnello Frank W. Chesrow.

ta, il glabro modello senile, qui nelle inquietanti vesti femminili di Rebecca»I6. La tela mantiene ancora i contatti con la pittura pro- tonaturalista di Sellitto, infatti lo stesso modello senile appena ci- tato lo si ritrova, questa volta a sinistra, nella Giuditta decapita Oloferne (Napoli, collezione privata) attribuita da Ferdinando Bologna al pittore montemurrese. Nella Benedizione appena citata si respira la stessa atmosfera sospesa, quasi onirica, presente nella famosa tela di Sellitto con la Santa Cecilia di Capodimonte. Al «Maestro dellYEmmaus di Pau (Filippo Vitale?). è ascritta la Ne- gazione di san Pietro, da Papi già assegnata all'anonimo pittore di Pau". Come già detto da chi scrivels, quest'ultima opera non sein- bra appartenere al corpus di Vitale. A mio avviso, infatti, manca quel quid lirico che caratterizza le opere del maestro napoletano,

RECENSIONI I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I

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2. Filippo Virale (?), Snn Girohmo scrivente. Milano, Galleria Silvano Lodi & Due. 3. Maestro dell'Eininaus di Pau, Santo condotto n1 mnrtirio. Roma, Fabio Massimo Megna

che verosimilmente qui non si percepisce. Tra le novità esposte troviamo la Gi~d i t t a e Oloferne di collezione privata (fig. 6), in stretta connessione con la versione di collezione privata napoleta- na presentata da Bologna come Sellitto alla mostra napoletana su

I RECENSIONI 1 ..................................................................................... ............................................................................................................. I KRONOS 12 v~assimiliano Cesari Pag. 169 1 ..................................................................................... .....................................................................................................

4. Filippo Vitale, Benedizione di Glacobbe. Ubicazione ignota. 5. Filippo Vitale (attc), San Biagio. Ubicazione ignora.

I Pag. 170 . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

6. Filippo Vitale, Giuditta e Oloferne. Collezione privata.

7. Filippo Vitale, San Francesco che si rotola tra i rovi. Ajaccio, Museo Fesch.

- 11 RECENSIONI I ~ a s s i m i ~ i a n o ~ c s d r i KRONOS 12:

Battiste110 del 1991. La forte scena splatter, con il «sangue che spiccia come mosto nuovo nellaotre di pelle umana»19, è derivata certamente da u n originale caravaggesco presente a Napoli, rivedi- bile nella versione della collezione del Banco di Napoli attribuita a Louis Finson. «Se le forme matronali della Giuditta - scrive Por- zio - , virago degna del repertorio della Gentileschi, una primige- nia rusticana forza d i verità, nel volto in ombra della fantesca (se- condo una soluzione luministica già vista negli angeli in secondo piano nella celebre Santa Cecilia sellittiana) sono già in nuce le in- gentilite formule di Pace~co»~O. Da notare come il gesto della vitti- ma, il braccio sinistro sollevato e collocato in tralice, ricordi quel- l o del San Francesco che si rotola tra i rovi del Museo Fesch di Ajaccio, assegnato da Spinosa a Vitale (fig. 7)21. La Giuditta, inve- ce, rimanda al robusto modello femminile della verace Carità di collezione privata torinese, assegnata da Bologna a Vitale e del bellissimo Riposo nella fuga in Egitto di Matera, opera tarda del maestro napoletano (fig. 8)22. Ricordiamo che dai documenti ritro-

KRONOS 12 1 RECENSIONI 1

8. Filippo Vitale, Riposo nella fuga in Egitto. Macera, Palazzo Lanfranchi. 9. Filippo Vitale, Benedizione dì Giacobbe. Roma, già collezione Majetti.

dassimiliano Cesari Paq. i71 j

vati, risulta che Vitale aveva licenziato nel 1622 una «Giuditta» per Cesare Soriano. Secondo Porzio la tela esposta è «stata realiz- zata in stretta contiguitàn con il Sacrificio d i Isacco del museo di Capodiinonte. In mostra troviamo anche il riberesco Sant'Andrea condotto al martirio (Napoli, collezione privata), già assegnato a Vitale da Pacelli. Una tela - come sottolinea lo stesso Porzio - fortemente influenzata, almeno nella sintassi compositiva, dal San- to condotto al martirio Megna dell'anonimo maestro di Pau. Lo studioso ha notato (come chi scrive)23 l'identità del modello della vecchia a sinistra con la figura di Rebecca della Benedizione d i Giacobbe già Majetti (fig. 9) e la ripresa del santo della tela dello Spagnoletto con il Martirio di san Bartolomeo della cattedrale di Nicosia2'. Aggiungo, inoltre, che la figura della vecchia megera la ritroviamo vestire i panni della tirannica educatrice nella Maestra

RECENSIONI I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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i Pag. 172 Massimiliano Cesari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . KRONOS 121 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

10. Aniello Falcone, Maestra di scuola. Napoli, Museo di Capodimonte

di scuola già Spencer (fig. IO), ora a Capodimonte, di Aniello Fal- cone, altra opera capitale del naturalismo napoletano della prima metà del Seicentoz5. Tra le novità d i Vitale c'è anche il San Pietro in meditazione di collezione privata. Anche questa tela - come sottoli- neato in catalogo - appartiene al cosiddetto periodo riberesco del pit- tore napoletano «che ne fornisce fra l'altro una interpretazione di ra- dicale ed intima compostezza a fronte delle più patetiche e familiari prove dello spagnoletto>>26. L'opera, secondo Porzio, potrebbe essere identificata con il San Pietro di palmi tre realizzato da Vitale per il già citato Cesare Soriano, come attesta un documento del 1622. In effetti, come è stato giustamente notato, l'anziano personaggio si può con- frontare con la figura di Lot della tela con Lot e le figlie di collezione privata napoletana presente in mostra. Simile è anche il modo di vol-

KRONOS 12 I RECENSIONI I Massimiliano Ccsari

11. Francesco De Rosa detto Pacecco, Martirio di sant'Orsola, collezione Mauro Calbi. 12. Filippo Vitale, Fuga di Lot e delle figlie da Sodoma. Napoli, collezione privata.

/ Pag. 174 .............................................................................

13. Francesco D e Rosa detto Pacecco, Mosè e Seforn n1 pozzo, già Alexander Gallery.

14. Francesco De Rosa detto Pacccco, (attr.), Apollo e Mnrsin, Ubicazione ignota

RECENSIONI 1 ............................................................................................................. Massimiliano Ccsari .... 'I ............................................................................................................. KRONOS 12.

tare i panneggi, attraverso pennellate spesse e grumose, vicine alla .pittura del tremendo impasto» sperimentata all'interno della bottega del Ribera da artisti come «Giovan Do» , ~ E r r i c o Fiammingo» e ~Bar to lomeo Passante». Alla fase più classicista, orinai in linea con quanto realizzava in quegli anni Pacecco, appartiene la Maddalena in meditazione sulla croce di collezione privata napoletana, recentemen- te attribuita al tardo Vitale, strettamente collegata al Compianto sul corpo d i Cristo di Regina Coeli, unica opera firmata per esteso dal pittore. A questa segue la Sant'Orsola, un'altra aggiunta pacecchiana al corpus del più anziano maestro. Un'opera che per «severità d'im- pianto e la ricchezza d'impasto e di volume strutturale» è da avvici- nare alla Maddalena precedentemente citata2'. Interessanti sono le due redazioni del Martirio d i sant'orsola (la prima, Madrid, Caylus Anticuario; la seconda, Collezione Mauro Calbi; fig. 1 l)28. Le due te- le, infatti, pongono lo spettatore dinanzi ad una problematica impor- tante: la stretta collaborazione tra Pacecco e Vitale, e quindi la distin- zione tra le loro mani che spesso sembrano confondersi. Queste con- nessioni sono evidenti nelle opere prodotte all'interno della bottega di Vitale a partire dal quinto decennio del seicento, quando il figlia-

1 KRONOS 12 1 RECENSIONI I lassidiano Cesari Paq. 175 j

15. Francesco De Rosa detto Pacecco. Sant'Agnere. Ubicazione ignota

stro era totalmente integrato nel processo produttivo della ditta del patrigno. Tra le due tele è veramente arduo distinguere l'archetipo dalla replica. Questo caso paradigmatico ci fa capire quanto lo stesso Vitale fosse ormai entrato in osmosi con la maniera edulcorata e tra- slucida - e spesso affettata - di Pacecco; un contatto da alcuni ritenu- to una «involuzione» stilistica, il cui punto di non ritorno è costituito dalla Fuga d i Lot da Sodoma (fig. 12) di collezione privata napoleta- na, firmata e datata «Philippus V./F.1650~~~. Ritornando ai due dipin- ti simili, pare ragionevole l'attribuzione della tela Caylus a Vitale, giustificata dalla «maggiore gravità d'impianto - specie nella figura della santa - e nel diverso senso della v o l u m e t r i a ~ ~ ~ maggiormente ir- robustita dalle ombre ancora legate ad un forte senso naturalistico della pittura. La versione Calbi, invece, appare più vicina al cromati- sino brillante di Pacecco, come anche le figure simili a «maioliche po- licrome, dai carilati alaba~trini*~'. Dipendente dalla tela Calbi di Pa- cecco è certamente la piccola Sant'Agnese di collezione privata (fig. 15), per la quale il De Rosa ha reimpiegato, isolandola, la figura della santa32; un procedimento, come già detto, usato spesso nella bottega di Vitale, da quest'ultimo utilizzato anche per la realizzazione della già citata Maddalena in meditazione. Lo stesso discorso è valido per le due redazioni del Riposo durante la fuga i n Egitto, entrambe di collezione privata. Anche per queste si può ipotizzare l'esistenza di un originale realizzato da Vitale e poi ripetuto dalla bottega attraver- so Pacecco. Certo è che il punto di partenza per le due tele è il dipin- to di Aniello Falcone, datato 1641, conservato nella Sagrestia del Duomo di Napoli3). La qualità delle due opere esposte mi sembra -

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16. Filippo Vitale (?), Madonna col Bambino, già Roma, collezione Pico Cellini.

almeno dalle riproduzioni in catalogo - di non alta qualità, soprattut- to se si confrontano con il citato Riposo nella fuga in Egitto di Mate- ra. A quest'ultima, a mio avviso, è più vicina la seconda tela - quella assegnata a Pececco -, nella quale ritroviamo lo stesso, intimo atto dell'allattamento, visto anche nella problematica Madonna Cellini, recentemente attribuita a Filippo (fig. 16)". Accanto alla tela matera- na si può collocare la Sacra Famiglia di collezione privata, esposta co- me opera di Vitale. «La restituzione al Vitale - proposta oralmente da Nicola Spinosa - è efficacemente sostenuta dal confronto della figura della Vergine con quella nella Gloria di sant'Antonio da Padova in San Lorenzo Maggiore, resa nota da Bologna nel 1991 come opera di collaborazione tra Filippo e Pacecco~'~. Da sottolineare ancora la so- miglianza della Vergine con la figura della donna con l'anfora del Lot e le figlie di Vitale e del paffutello bambino identico a quello del Ri-

1 RECENSIONI I ..................................................................................... ............................................................................................................. KRONOS 12 /lassimiliano Cesari Pag. 177 ..................................................................................... .............................................................................................................

poso nella fuga in Egitto di Matera. A queste opere si connette la Ma- donna con bambino, l'ultimo dipinto esposto, ascritto a P a c e ~ c o ~ ~ . In effetti le atmosfere edulcorate e smaltate, come gli incarnati delle fi- gure, rimandano alla cosiddetta «poetica degli affetti» di matrice emi- liana, appresa dal D e Rosa attraverso la pittura di Massimo Stanzione e dello stesso Domenichino, a Napoli a partire dal quarto decennio del secolo.

I1 catalogo si chiude con un «repertorio fotografico» contenen- te tutte o quasi tutte le opere attribuite al maestro napoletano, in- cluse ovviamente quelle esposte in mostra e quelle già assegnate al M a e s t r o de l l 'Emmaus d i P a u , c o n l ' aggiunta d i n u o v e attribuzioni3'. Tra le novità pubblicate in catalogo e non esposte troviamo il Santo vescovo della Quadreria dei Girolamini a Napo- li, assegnato al pittore senza alcuna motivazione e confronto con altre opere38; la Cena in Emmaus di ubicazione ignota, già classifi- cata dalla soprintendenza napoletana come opera di Alonzo Ro- driguez. I curatori del repertorio affermano che «si tratta del nu- mero più antico della serie delle Cene, non troppo discosto dalle tele di Capua. Il pellegrino al centro è l 'astronomo nel dipinto Montargis e lo scriba della tela D i ~ d a t i * ~ ~ . Alla Negazione d i san Pietro, esposta in mostra, è accostata un'altra versione di ubicazio- ne ignota attribuita alla mano di Vitale. A giudicare dalla riprodu- zione, l'opera sembra maggiormente vicina agli esiti del caravaggi- smo francese del Valentin40. A questa Cena si affianca la redazio- ne, già collezione Frascione, certamente quella più vicina come impaginazione a quella del Museo di Pau, nella quale si rivede nuovamente l 'uomo calvo, strutturalmente simile al San Severo della Madonna d i Costantinopoli tra i santi vescovi a Capodimon- te, opera certa e antica del napoletano41. A Vitale si attribuisce an- che la Deposizione d i Cristo di ubicazione ignota, nella quale si vede - soprattutto nel corpo del Salvatore - una vicinanza a quello del Compianto di Regina Coeli, che dovrebbe precederla. La tela presenta in basso a sinistra il monogramma, secondo i redattori apocrifo, dello S t a n ~ i o n e ~ ~ . Attraverso la r iproduzione in mio possesso non è possibile esprimere sull'opera un parere più preci- so. Attribuiti sono anche il San Giuseppe e il Bambino,.ipotesi già ventilata da Stefano Causa43; il San Romualdo nei depositi del Mu- seo Nazionali d i San M a r t i n ~ ~ ~ ; il Sogno d i san Giuseppe di ubica- zione ignota45. Al catalogo dell'artista sono aggiunte anche opere famose, la prima è la Disputa di san Girolamo con i sadducei del- l'Accademia di San Luca a Roma, già assegnato da Raffaello Causa ad Endrick Van S ~ m e r ~ ~ . I1 dipinto appare comunque lontano dal- lo stile di Vitale, presenta caratteristiche tipiche del tremendo ve- rismo della pittura prodotta negli anni trenta del Seicento dai di- scepoli del Ribera, anche se il san Girolamo dal punto di vista fi- sionomico è molto simile al San Biagio assegnato al pittore napo- letano. La seconda è il bel Sacrificio d i Isacco, già in collezione Auzola, ora in catalogo spostato a Vitale, ma che potrebbe però appartenere a Pacecco - come è stato già proposto da Stefano Cau-

i RECENSIONI I ................................ .... ................................................. .......................................................... . ................................. . .... . ........... i Pag. i78 Massimiliano Cesari ................................................................................ ~~~~.

KRONOS 12; . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

17. Filippo Vitale, Ucczsione di Abele. Castellaneta, Episcopio.

sa - in una fase di forte avvicinamento al naturalismo del patrigno, come per 1'Apollo e Marsia a t t r i b ~ i t g l i ~ ~ . La figura del giovane Isac- co dagli incarnati smaltati, rimanda ai repertori iconografici giovanili di Pacecco, come si può vedere nella figura del ragazzo, in primo pia- no a sinistra, inserito nel Sacrificio di san Lorenzo della Bob Jones University a Greenville. Le ultime novità pubblicate come Vitale so- no due versioni della Fuga di Lot da Sodoma (la prima di ubicazione ignota; la seconda in una collezione privata napoletana) che presenta- no similitudini con il Lot e le figlie esposta in rn~st ra '~ . Nel nuovo catalogo del pittore sono annoverati infine la Santa Dorotea nella Ga- lerie Narodni a Praga49, il San Gennaro in gloria nella chiesa di San Giuseppe a Luzzi (Cosenza), caratterizzato da ombre robuste che scavano il volto del protagonista e che lo differenziano dalla versione più edulcorata di Pacecco di collezione privata fiorentina50, e la Santa Cecilia nel rettorato dellYUniversità di Messina, la cui attribuzione a Filippo, a mio avviso, appare improbabile, perchè caratterizzata da

I RECENSIONI I

18. Filippo Vitale, Sant'Andrea condotto al martirio. Napoli, collezione privata.

una cromia accesa e brillante, quasi laccata, che è difficile trovare così accentuata nelle opere attribuitegli con qualche certezza5'.

In conclusione, la mostra ha avuto il merito di aver riunito al- cune opere di proprietà privata attribuite a Vitale, solitamente dif- ficili da vedere. Sarebbe stato utile vedere tra di esse almeno una delle tre opere certe. Se per due di esse, l'Angelo custode della Pietà dei Turchini e il Compianto sul corpo di Cristo di Santa Ma- ria Regina Coeli, sarebbe stato difficile il prestito vista la loro col- locazione, si poteva tentare con il Compianto sul corpo di Abele di collezione privata. È palese che l'evento milanese sia nato - come dimostra lo stesso luogo espositivo - all'interno del mondo del- l'antiquariato, non sfuggendo perciò all'obiettivo di dare un "lan- cio promozionale" alla figura di un artista di buona qualità della pittura napoletana di primo seicento, ma ancora sfuggente; tutta- via la pubblicazione del catalogo monografico è un contributo uti- le per le ricerche sull'artista, ma che nel repertorio fotografico ve- de la mancanza di opere importanti per la migliore comprensione del pittore. Infatti mancano all'appello l'Uccisione di Abele dell'E- piscopio di Castellaneta (fig. 17), tela ancora vicina al naturalismo del S e l l i t t ~ ~ ~ ; il «tanziesco» Sant'Andrea condotto a l martirio di collezione privata napoletai~a~~(fig. 18); il San Girolamo in medi-

I Paq. 180 I RECENSIONI 1 Massiinilho Cesari KRONOS 12:

19. Filippo Vitale, San Girolamo. Baranello, Confraternita del Rosario.

tazione nella chiesa napoletana di Santa Maria dei Sette Dolori5'; il San Gerolamo della Confraternita del Rosario a Baranello (fig. 19)55; la già citata Carità (o Maternità) di collezione privata tori- nese (fig. 20)56; e il gentileschiano (riferito ad Artemisia), già aper- to al classicismo di Pacecco, Martirio di santa Barbara di collezio- ne privata napoletana5'.

Ultima precisazione. Per quanto riguarda la già citata e com- plessa problematica affrontata da Papi sull'identificazione del Maestro dell'Eminaus di Pau con Vitale (ancora non supportata da alcun documento), non basta la presenza nelle opere di uno stesso soggetto fisiognomico (mi riferisco al mefistofelico uomo glabro che spesso appare nelle opere dei due maestri, ma che ritroviamo come deuteragonista anche in opere di B a t t i ~ t e l l o ~ ~ , di Cecco del Caravaggio e di Bartolomeo Manfredi, quindi siamo di fronte ad un classico topos caravaggesco) per confermare l'ipotesi. Appare, infatti, che l'identificazione si sia alcune volte concentrata solo sulla presenza di alcuni modelli formali e non sulla vera e propria qualità pittorica e poetica dell'opera. Ad esempio: la figura del san Pietro della tela di Nantes è certamente vicina a quella dell'apo- stolo di sinistra della Cena in Emmaus di Pau, ma è diverso - a mio avviso- il contenuto lirico della composizione, più inteso e profondo nella tela di Vitale, rispetto a quello più superficiale e arcaico del Maestro di Pau. Infatti, la luce nelle tele del pittore na- poletano - soprattutto quelle di primo naturalismo - tende a co- gliere (attraverso l'analisi dei tessuti epidermici) la verità e i1 senti- mento del momento che «nel racconto di Filippo Vitale si fa nu- cleo generatore e determinante dell'intera composizione»59. Nelle opere del Maestro di Pau, invece, la luce non ha quel valore emoti- vo che ritroviamo in Filippo, ma lentamente passa a setaccio ogni

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20. Filippo Vitale, Carità (o Maternità), già Torino, collezione privata.

RECENSIONI I

piccola deformazione cutanea, assegnando ai volti, alle mani, una consistenza quasi pergamenacea. Nel Santo condotto al Martirio dell'anonimo maestro questi sono splendidi brani di pedissequo prelievo dal reale, e di precisi riferimenti al modello caravaggesco, come la famosa vecchia col gozzo estratta, come è stato già detto, dalla Crocifissione di sant'Andrea di Cleveland; o i1 soldato d i profilo con la mano sul fianco e il gomito che prolunga la propria esistenza oltre la realtà pittorica, evidente ricordo del soldato pre- sente sempre nella tela d i Cleveland.

Massimiliano Cesari

N O T E

'Filippo Vitale. Novità ed ipotesi per un protagonista della pittura del '600 a Napoli, catalogo della mostra (Milano, Galleria Silvano Lodi & Due, 4 aprile-14 maggio 2008), a cura di G. Porzio, Milano 2008.

V. Pacelli, Tra rinnovamento e tradizione i captsaldi di Filippo Vitale, in Filippo Vi- tale cit., pp. 25-33.

G. Papi, Il Maestro dell'Emmuus di Pau e Filippo Vitale. Tracce dell'influenza di Cecco del Caravaggio a Napoli, in Filippo Vitale cit., pp. 43- 55. ' G. Porzio, Breve riepilogo della vicenda critica, in Filippo Vitale cit., pp. 21-23.

Sulla fortuna critica di Vitale vedi ora (con relativa bibliografia) M. Cesari, La fortuna critica di un caravaggesco nrimosso»: Filippo Vitale, in «Quaderni del Liceo "F. Cape- ce"», XII, Galatina 2008, pp. 117-164.

Cfr. D. A. D'Alessandro, Verifiche documentarie e nuove ipotesiper la data di na- scita di Filippo Vitale, in Filippo Vitale cit., p. 7.

Cfr. U Prota Giurleo, U n complesso familiare di artisti napoletani del secolo XVI I , in «Napoli - Rivista Municipale», 1951, p. 23. Si veda ora il regesto redatto da G. Por- zio (Regesto documentario, in Filippo Vitale cit, pp. 15-19) in cui sono raccolte tutte le fonti documentarie già note sul pittore. ' U. Giacomertti-D. Porcini, Considerazione sulla formazione e gli esordi, in Filippo

Vitale cit, pp. 35-41. L'Elia e l'angelo, già nella collezione del colonnello Frank W. Chesrow (cfr. Ma-

sterpiece of Renaissance and Baroque Art from the Collection of Colonel Frank W Chesrow, University Galleries, Southern Illinois University, Illinois 1965, cat. 12.), è stato pubblicato sul sito della Whitfield Fine Art con l'attribuzione a Filippo Vitale "suggerita" da Nicola Spinosa, che propone una datazione intorno al 1615 ca. In ef- fetti l'opera risente ancora della poetica del Sellitto, a mio avviso affine a quanto pro- posto da Carlo nella Santa Cecilia di Capodimonte, una delle opere estreme del inae- stro, della quale condivide gli elementi reniani, soprattutto nella politezza della luce, che colpisce le superfici dei volti senza scavarle, analizzarle, ma rendendole compatte, quasi d'alabastro. La perfezione del volto dell'angelo è quindi esaltata dalla luce che ne sprofonda una metà nel buio del fondo, e proietta alla base degli occhi le ombre a triangolo rovesciato tipiche della pittura di Sellitto, vedi il volto della santa Cecilia, l'ovale del quale è simile a quello dell'angelo. Anche nella resa del panneggio la veste dell'angelo richiama quella della santa di Sellitto, realizzata con lo stesso tessuto con ampie e fragranti pieghe evidenziate da colpi di biacca; i panni del profeta anticipano, invece, quelli realizzati da Vitale per San Pietro e l'Angelo di Nantes, con i quali ha in comune la presenza massiccia e l'intenso, silenzioso dialogo fatto di gesti e di sguardi, calibrati dalla luce che li fa affiorare dalle ombre riducendo la scena ad un aduo senti- mentale». A questo dialogo partecipano anche gli oggetti, da Vitale posti frequente- mente in primo piano, alla stessa stregua degli astanti: anche qui è vicino ad alcune

RECENSIONI 1 ..................................................................................... ............................................................................................................. i Pag. 182 Massimiliano Cesari KRONOS 12; ..................................................................................... ............................................................................................................

opere già attribuite al Sellitto e poi allo stesso Vitale come la Maddalena penitente di Capodimonte, che presenta lo stesso inserto namralistico del pane. Nell'Elia e l'ange- lo non sono ancora presenti tracce legate al "verismo" del Ribera, non ancora giunto a Napoli; influssi che si ritrovano invece nel San Pietro di Nantes; opera di Vitale po- steriore a1 '16, anno di arrivo del pittore spagnolo in città. Nell'Elia e l'angelo emer- gono alcuni elementi che si ritrovano nella successiva tela di Nantes. Le vesti di Elia, infatti, ricordano quelle spesse dell'apostolo Pietro: stoffe pesanti, utili per riparare dal freddo notturno (come quello del deserto), con poche pieghe e senza tanti fronzo- li. Per quanto riguarda il San Francesco in meditazione di città del Messico si rimanda, con relativa bibliografia, a M. Cesari, Una "Maddalena penitente": un tassello nelper- corso artistico di Filippo Vitale, in uKronos», 11/2007, pp. 99, 103, fig. 10, n. 17.

9V. Pacelli, Tra rinnovamento e tradizione ... cit., p. 33. Lo studioso è ritronato sul- la problematica anche nella recente monografia sii Pacecco: Giovan Francesco de Rosa detto Pacecco de Rosa 1607-1656, Napoli 2008, pp. 30-31.

' O G . Papi, Il Maestro dell'Emmaus di Pau e Filippo Vitale ... cit., pp. 47-48. Sulla questione Maestro dell'Emmaus di Pau-Filippo Vitale vedi sempre Papi: Una nuova prospettiva per Carlo Sellitto, in «Paragone., 36 (613), Marzo 2001, p. 15; Maestro dellZmmaus di Pau, in Il genio degli anonimi Maestri caravaggeschi a Roma e a Na- poli, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 15 ottobre 2005 - 6 febbraio 2006), a cura di G. Papi, Milano 2005, pp. 56-63. " Cfr. F. Bologna, Opere d'arte nel Salernitano dal XII al XVIII secolo, Napoli

1955, p. 64, n. 2: [. . .] Napoli, S. Nicola alle Sacramentine, «S. Nicola tra due santi vescovi» (si tratta di un capolavoro di un altro fortissimo meridionale, di antica for- mazione para-battistelliana, al quale spettano anche: Napoli, Pietà dei Turchini, «L'angelo custode.; Nantes, Museo, .S. Pietro liberato dal carcere», attr. dal Voss e dal Longhi a Battistello; Napoli, S. Maria degli Angioli alle Croci, sacrestia, «Martirio di S. Sebastiano,,, forse copia da un originale del maestro; Torino, collezione privata, «Carità»; Dublino, Galleria Nazionale dell'lrlanda, 4. Sebastiano», attr. al Ribera; e finalmente, uscendo dall'anonimo, Napoli, Regina Coeli, «Pietà», firmata da uFilippo Vitale,, un maestro nato verso il 1585 C. e attivo a Napoli fin dal 1613, secondo ciò che risulta dalle opere più antiche di questo gruppo, ma anche dai pochi documenti noti (cfr. Thieme -Becker ad vocem) e da quelli ora trovati da Prota Giurleo, Un com- plesso familiare di artzsti napoletani del sec. XVII, in «Napoli., 1952, pp. 37 ss.) ».

l 2 Cfr. G . Porzio, San Girolamo scrivente, in Filippo Vitale cit, pp. 58-59, 94, n. 1 (con riproduzione a colori), tav. 3.

"Ivi , p. 94, tav. 4. l4 Per la tela Koelliker, ivi, pp. 60-61, 96, n. 2 (con riproduzione a colori), tav. 9. Per

l'altra redazione vedi, anche per la precedente bibliografia, S. Casua, Quel che resta di un capolavoro di Giordano, in *Kronos», 9/2005, pp. 89-90,111-112, nn. 121,124.

l 5 La tela in questione può essere confrontata con altre due opere di medesimo sog- getto da Porzio (Giovan Francesco de Rosa detto Pacecco de Rosa 1607-1656, cit,pp. 283-284, schede 12-13) asciate in sospeso tra «Filippo Vitale (o Pacecco?)», stilistica- mente molto vicine alla versione qui presentata.

I6G. Porzio, Benedizione di Giacobbe, in Filippo Vitale cit., pp. 62-63, 98, n. 3 (con riproduzione a colori), tav. i 5.

l' Cfr. G. Papi, Maestro dell'Emmaus di Pau, ... cit, pp. 58, 60-61 (con riproduzio- ne a colori), 122, n. E2. Vedi anche G. Porzio, Negazione di San Pietro, in Filippo Vi- tale cit., pp. 64-65 (con riproduzione a colori), 105, tav. 29.

I S Cfr. M . Cesari, Filippo Vitale, tesi di dottorato, tutor prof. L. Galante, relatore prof. S. Causa, Università degli Studi di Lecce, a.a 2005-2006, pp. 41-65.

l 9 R. Longhi, La 'Giuditta'nelpercorso del Caravaggio, in «Paragone», Il, 19, 1951, p. 11.

20 G. Porzio, Giuditta e Oloferne, in Filippo Vitale cit., pp. 66-67 (con riproduzione a colori), 106, tav. 31. Vedi anche V. Pacelli, Giovan Francesco de Rosa.. . cit, pp. 24-25, fig. 14.

2 1 Cfr., con il titolo di San Benedetto che si rotola tra i rovi anche per la bibliografia precedente, N. Spinosa in Les Mystères de Naples, catalogo della mostra, Ajaccio 2003, p. 199. La tela fu donata alla città di Ajaccio dalla famiglia Fesch nel 1843. Raffi- gura un episodio della vita di san Francesco dJAssisi, e non di san Benedetto da Nor-

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Massimiliano Cesari Pag. 183 i ............................................................................................................

cia, come dimostra il saio bruno (quello benedettino è solitamente nero o bianco) e il cordone dell'ordine in primo piano. Si tratta di una delle tentazioni di san Francesco ricordata anche dal Reau: il santo per resistere alla lussuria si gettò nudo in un roveto; secondo la leggenda, il sangue fuoriuscito dalle ferite del santo trasformò le spine in un florido cespuglio di rose rosse, come si vede dal ramo posto in primo piano a co- prire a le nudità di Francesco. Precedentemente l'opera era stata attribuita a Carlo Sel- litto da B. de Lavergnée (Musées de France. Répertoire des peintures italiennes du X V I I siècle, Parigi 1988, p. 316), che la credevapendant del San Girolamo conservato presso lo stesso Museo, ma che appartiene palesemente ad un altro pittore riberesco. L'ipotesi Vitale è stata avanzata per la prima volta da Bologna (Battistello e gli altri. Il primo tempo della pittura caravaggesca a Napoli, in Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli, catalogo della mostra, a cura di F. Bologna, Napoli 1991, p. 178, n. 2511: lo studioso considerava la tela Fesch rossim ma al San Pietro di Nantes. entro il , , 1620; e si domandava se un'altra tela conservata nello stesso museo, il Santo ancoreta (SantJOnofrio?), non fosse da ascrivere allo stesso Vitale. Spinosa (cit., p. 199, n. 2) ha sostanzialmente confermato la proposta di Bologna, retrodatando il San Francesco ai primi anni 1610, addirittura più antica d i diversi anni del San Pietro di Nantes e del Sau;ficio di Isacco di Capodimonte, mettendola in rapporto stilistico con il San Seba- stiano di Dublino, il Caino e Abele di collezione privata, il San Girolamo dei Sette Dolori e la cooia antica del Martirio di san Sebastiano degli Aneeli alle Croci. La tela " 0

di Ajaccio, a mio avviso, presenta alcuni elementi, come la forte accentuazione del modellato del corpo, e la postura del santo, quasi teatrale nel gesto delle braccia tese, vicini ad alcune opere del Ribera di fine anni venti, opere di intenso e calibrato natu- ralismo come il Martirio di San Bartolomeo Pitti del '28, fino ad approdare alla serie dei Giganti del Prado, soprattutto il Tizio del '32. Tuttavia, il San Francesco di Vitale è caratterizzato, rispetto agli esempi ribereschi, da una minore tensione espressiva e da una maeeiore attenzione al dato anatomico. che rimanda alle ricerche ~ i t to r i che di

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Battistello, ma dopo il rientro dalla Toscana, permeate di reminiscenze figurative lega- te alla stagione dell'ultimo manierismo fiorentino. La datazione della tela, sempre se- condo lo scrivente, potrebbe, dunque, spostarsi più avanti, come dimostra anche la pre- senza del brano del paesaggio che si apre tra la boscaglia sulla destra, con un cielo lumi- noso e striato, rintracciabile nella pittura napoletana solo a partire dai primi anni del quarto decennio. U n processo di «schiarimenton ambientale che toccò anche Ribera, come si vede nei due limpidi Paesaggi del '39 realizzati per il conte di Monterrey.

22 Già pubblicata dalla Barbone Pugliese (Contributo alla pittura napoletana del Seicento in Basilicata, in «Napoli Nobilissima», fasc. 111-IV 1983, pp. 95-96, fig. 25) con l'attribuzione a Pacecco De Rosa con una datazione intorno alla metà degli anni quaranta. Galante ( I dipinti napoletani della collezione D'Errico (secc. XVII-XVIII) , Galatina 1992, pp. 65-68, n. 15), pur confermando I'attribuzione della Pugliese, nota- va la presenza di elementi da ricondurre alla poetica di Vitale, riscontrabili soprattutto nella «perspicuità espressiva del volto della Vergine*; lo studioso confrontava poi la tela di Matera con il San Biagio del D e Rosa nella chiesa del Rosario di Palazzo a Na- poli, e proponeva una +azione più arretrata rispetto a quella della Pugliese, «intorno al '40 o poco prima.. E stato Lattuada (Dipinti della collezione D'Errico di Palazzo San Geniasio a Matera, Napoli 1999, pp. 18-21) ad ascrivere l'opera a Vitale, in un momento di forte accostamento alla pittura del figliastro Pacecco. Lo studioso la con- sidera, infatti, vicina ad opere realizzate in collaborazione con il più giovane pittore come la Madonna che dà il Rosario a San Carlo Borromeo alla presenza di San Dome- nico (Napoli, chiesa di San Domenico Maggiore), il Sanl'Antonio di Padova che inter- cede per Napoli (Napoli, Congrega di Sant'Antonio in San Lorenzo Maggiore) o il dittico con Loth e le figlie entrambi di collezione privata napoletana. La tela matera- na, specifica Lattuada, «mostra una caratterizzazione più specifica di Filippo Vita- le ... nelle sue forme ampie, un po' legnose e più monumentali che in Pacecco ... e va datata verso il 1 6 4 5 ~ . Un'opera della fase pacecchiana di Vitale, da confrontare con la versione del pittore più giovane di collezione privata, pubblicata qualche anno fa dal- lo stesso Lattuada (1991, pp. 167-171). Recentemente è stata pubblicata da Vincenzo Pacelli (Giovan Francesco de Rosa.. . cit., p. 278, scheda n. 5) come opera di collabora- zione del giovane Pacecco con il patrigno Vitale, per questo lo studioso afferma che «la tela non può avere una datazione molto avanzata [...]n

RECENSIONI 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 184 Massimiliano Cesari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . KRONOS 12;

~ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

La tela di Matera, secondo chi scrive, è da accostare al Lot e le k l i e di collezione privata napoletana, un confronto immediato può essere proposto tiaia Vergine e la fi- glia di Lot con l'anfora tra le mani: la somiglianza è indubbia, non solo nel modello fi- v v

sionomico, ma anche nel ductus pittorico denso e compatto, e una calibratura morbi- da delle ombre che sbalzano la superficie del volto con delicatezza, evidenziando I'in- carnato alabastrino della pelle, quasi traslucida, contrastando con la luce che colpisce violentemente le zone in rilievo (fronte, mento e zigomi), generando un riflesso che irrora l'occhio nascosto nella zona buia.

L'opera di Vitale è caratterizzata da un naturalismo ormai smorzato dagli affetti do- mestici di matrice emiliana, filtrati attraverso lo stanzionismo di Pacecco; un naturali- smo edulcorato, lontano da quanto Vitale aveva realizzato nel secondo e terzo decen- nio, basti pensare alla Carità (o Maternità di Torino). La tela si awicina, come evi- denziato da Galante, alle ricerche pittoriche legate al iiaturalismo edulcorato, dome- stico condotte da un gruppo di pittori vicini a Massimo Stanzione come Guarino e Falcone, quest'ultimo ( parente di Filippo, visto che nel '39 aveva sposato la figlia Or- sola) nel '41 aveva realizzato la famosa Fuga in Egitto nel Duomo di Napoli, a cui I'o- pera di Vitale sembra fare riferimento. Tenendo presenti queste congiunture, la tela di Palazzo Lanfranchi può essere collocata entro il '45 (in linea con quanto già propo- sto), in una fase di progressivo .annacquamento» del robusto naturalismo caravagge- sco giovanile di Vitale a favore delle algide e classicistiche visioni di Pacecco. Nella te- la si riscontrano anche alcuni elementi assimilabili al De Bellis, soprattutto nell'inten- sità espressiva del volto della Madonna, simile a quello della donna nel Sansone e Da- lila già a Parigi (Galerie Joseph Hahn). Molto vicina alla tela di Matera, ma solo dal punto di vista formale, è anche il Riposo nella fuga in Egitto dello Snite Museum of Arts di Notre Dame (Stati Uniti), già assegnata ad Onofrio Palumbo da Causa e da Lattuada a metà strada tra il Palumbo e Vitale. Le figure della tela americana, da quan- to si può vedere dalla riproduzione in mio possesso, possiedono una monumentalità spiccatamente stanzionesca, maggiore di quanto sia nell'opera di Vitale.

23M. Cesari, Filippo Vitale, tesi di dottorato ... cit., pp. 261-262, scheda n. 20. Scrive- vo in quella occasione: uÈ indubbio che i modelli dei personaggi presenti nella tela siano di ascendenza riberesca, soprattutto lo scherano con il caratteristico fazzoletto intorno la fornte, così come lo stesso santo apostolo che occupa il centro della scena, simile (soprattutto nel gesto della mano allungata) al Sant'Andrea dei Girolamini; mentre il volto del martire riprende, anche nell'espressione, quello del san Bartolo- meo della cattedrale di Santa Sofia a Nicosia (Enna), una tela realizzata dal Ribera in- torno ai 1625-30, nella quale non si assiste ancora aile "urla atroci" presenti nella pro- duzione degli anni trenta. La vecchia sulla sinistra - abusato topos caravaggesco - si ri- trova identica nei panni di Rebecca nella Benedizione di Giacobbe già collezione Majetti, altra opera assegnata a Vitale; una figura utilizzata come «vecchia pastorap dal D o in diverse Adorazioni dei pastori, come quella nella sagrestia della Pietà dei Tur- chini»

24 G. Porzio, Sant'Andrea condotto al martirio, in Filippo Vitale cit., pp. 68-69 (con riproduzione a colori), 100, tav. 19.

25 Cfr. M. Confalone., Acquisizioni 2000-2001, in «Quaderni di Capodimonte», 20, Napoli 2001, pp. 8-9.

26 G. Porzio, San Pietro in meditazione, in Filiypo Vitale cit., pp. 70-71 (con ripro- duzione a colori), 114, tav. 45.

27 Cfr. Id., Sant'Orsola, in Filiypo Vitale cit., pp. 76-77 (con riproduzione a colori), 122, cav. 63.

Cfr. Id., Martirio di SantJOrsola, in Filippo Vitale cit., pp.79-81, schede 11-12. Sulle tele vedi ora V. Pacelli, Giovan Francesco de Rosa ... cit., pp. 318, 319, schede 50, 52, taw. 50, 52.

29 Per la prima segnalazione della tela cfr. N. Spinosa, La pittura del Seicento nell'l- talia meridionale, in La pittura in Italia. Il Seicento, Milano, vol. IL, p. 516, n. 26, fig. 756. I1 upunto di non ritorno* in tutti i sensi, l'artista si spegne proprio in quell'anno, e la tela rappresenta con molta probabilità una delle sue ultime fatiche. In essa il pro- cesso di assimilazione della pittura pacecchiana è giunto ormai a termine: l'impasto pittorico dai cromatismo smaltati e traslucidi è ormai quello della maniera del De Ro- sa. Anche gli angeli, un tempo protettori rapaci, hanno perso il loro caratteristico piu-

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maggio, adottando ali bianche da cigno; I'impaginazione della scena ricorda la note- vole tela con l'Incontro di Rachele e Giacobbe di collezione privata (Ivi, p. 516, n. 26, fig. 753, probabilmente la stessa vista dal De Dominici nella quadreria del duca Cara- fa di Maddaloni, cui apparteneva anche la tela di Vitale (Cfr. V. Pacelli, Pittura del '600 nelle collezioni napoletane, Napoli 2001, p. 35. Dall'originaria collocazione il pendant passò alla collezione del marchese Berio e, infine, nella quadreria del duca d'Ascoli). A questo punto bisogna capire, come si chiede lo stesso Bologna (Battistel- lo e gli altri cit., p. 144), se la tela di Vitale non sia un'opera proprio di Pacecco, poi autografata dal più anziano maestro: probabilmente Vitale intervenne nella figura del vecchio Lot (simile a quello di Abramo del Sacy;ficio di Isacco assegnato al De Rosa), soprattutto nell'accentuazione dei caratteri prettamente fisionomici del volto e delle mani (ma anche queste sembrano troppo da "pianista", rispetto alle precedenti callo- sità), lasciando che il giovane si occupasse delle altre figure. Per la tela, attribuita a Pa- cecco-Vitale, vedi anche I. Anzoise, Giovan Frnncesco de Rosa ... cit., pp. 357-358, scheda 95, tav. 95.

)O G. Porzio, Martirio di Sant'Orsola, in Filippo Vitale cit., p. 80. tttura na- S. Ortolani, La pittura napoletana del secolo XVII, in La mostra della p'

poletana dei secoli XVII-XVIII-XIX, catalogo della mostra, Napoli 1938, p. 52. A Pacecco potrebbe appartenere il Mosè e Sefora alpozzo (olio su tela, 129,5 x 180,3 cm. Sotheby's New York, 8 giugno 2007, lotto n. 246; fig. 13. Con tale attribuzione, ma con il titolo Rebecca ed Eliezer al pozzo, è stata pubblicata anche da V. Pacelli, Gio- van Francesco de Rosa ... cit., p. 358, scheda 96), già nel marzo 2006 presso Alexander Gallery di New York con l'attribuzione a Massimo Stanzione. In effetti l'opera, so- prattutto per il cromatismo delle vesti di Sefora, sembra essere maggiormente vicina al Guarino stanzionesco, in questo senso è utile il confronto con la Santa Cecilia a Ca- podimonte del pittore di Solofra, dove ritroviamo le cromie brillanti e lo stesso modo di panneggiare le vesti della santa. La figura della sorella di Sefora - classica donna pa- cecchiana - la ritroviamo anche nella tela Calbi, nella compagna con il turbante di Or- sola, collocata all'estrema destra. La tela di collezione privata è da collocare nel quinto decennio del Seicento, accanto al dipinto con Apollo e Marsia del Castello di OpoEno Sempre a Pacecco, ma nella fase di forte collusione con il naturalismo di Filippo, po- trebbe appartenere il terrificante Apollo e Marsia di ubicazione ignota (fig.l4), cono- sciuto attraverso una fotografia collocata nell'Archivio Zeri. La riproduzione presenta un'annotazione autografa dello studioso con un'improbabile attribuzione a ~France- sco Guarino*. L'opera, verosimilmente, dovrebbe collocarsi nella prima metà del quinto decennio, infatti la figura di Marsia - soprattutto nei tratti somatici fortemente espressivi, quasi grotteschi: gli occhi che per il dolore sembrano quasi schizzare fuori dalle orbite - risente ancora del un forte naturalismo di Vitale, vicino al fortore ribe- resco della serie dei Giganti del Prado (1632). Questo però è bilanciato da Apollo, le- gato al classicismo emiliano tipico della pittura di Pacecco; la stessa figura, con la me- desima qualità pittorica, la ritroviamo vestire i panni di Mosè nella tela citata in aper- tura della nota.

32 La tela è pubblicata in A. Della Ragione, Pacecco De Rosa. Opera completa, Na- poli 2005, fig. 161. Vedi anche R. Bove, Giovan Francesco de Rosa ... cit., p. 306, sche- da e figura 38.

33 Cfr. I. Porcini, Riposo durante la fuga in Egitto, in Filippo Vitale cit., pp. 83-85 (con riproduzioni a colori), nn. 13-14, tav. 61.

34 La tela apparteneva alla collezione del famoso studioso-restauratore di Caravaggio Pico Cellini, scopritore della Giuditta e Oloferne di casa Coppi. È stata pubblicata per la prima volta da F. Bologna (Battistello e gli altri ... cit., pp. 160,322, scheda 2.91), uti- lizzandola come name-piece per il «Maestro della Madonna Cellinin, .una sorta di edi- zione cittadina del primo Guarinon, attivo a Napoli a partire dal secondo decennio del Seicento - indipendente dallo stesso Stanzione-, autore anche della 'misteriosa' Santa Caterina d'Alessandria già collezione Einaudi e dell'Elernosina di santa Lucia di pro- prietà degli Arditi di Castelvetere; quest'ultima impiegata da Papi (in Milano 2005, p. 65) per identificare un nuovo maestro senza nome, il cosiddetto «Maestro dell'Elemosi- na di santa Lucia», il corpus del quale non contempla la Madonna Cellini.

Bologna ha proposto di identificare l'anonimo maestro con il pittore francese di Troyes Jean La Chalette, autore della Vergine degli incarcerati del Musée des Augu-

RECENSIONI 1 ..................................................................................... ............................................................................................................. i Pag. 186 Massimiliano Cesari ..................................................................................... ............................................................................................................

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stins di Toulouse; un'opera, secondo lo studioso, molto vicina al Maestro della Ma- donna Cellini, tanto da porre useriamente il problema d'una comparsa del maestro francese a Napoli ... A meno di non supporre, ma sarebbe di certo una supposizione eccessiva, che il Maestro della Madonna Cellini costituisca il momento napoletano del pittore di Troyes*.

Recentemente la tela è stata battuta ad una vendita all'asta con l'attribuzione a Fi- lippo Vitale (cfr. catalogo Babuino Casa d'Aste, Roma 17 maggio 2005, n. 45). I cura- tori del catalogo di vendita hanno posto l'opera in relazione con alcune opere tarde di Filippo, la Madonna col Bambino e San Carlo Borromeo della chiesa di San Domeni- co Maggiore, il San Francesco d'Assisi che implora la Vergine per i poveri della chiesa di Santa Maria della Lizza ad Alezio (Lecce) e la Sacra Famiglk di Caponapoli, queste ultime due comunque da escludere dal corpus del pittore napoletano.

I1 milieu culturale da cui scaturisce la Madonna Cellini, a mio avviso, è da rintrac- ciare nelle ricerche condotte dall'alter ego francese di Stanzione, Simon Vouet, quando il pittore di Orta di Atella (coetaneo di Vitale) calibra la sua pittura alla luce del .<caravaggismo riformato* dei pittori francesi, in primis di Simon Vouet, cono- sciuto e frequentato nel corso dei suoi frequenti soggiorni romani nel corso del ter- zo decennio. L'impaginazione della tela ricorda quella del traversiano Ritratto di giovane contadina con gallo (San Francisco, The Fine Art Museum of San Franci- sco), soprattutto per l'inserimento del fondo scuro, simile a quel. delle mezze figu- re con Santa Lucia e Santa Agnese di Cosenza, assegnate alla prima maturità del Guarino, quando, superata la fase essenzialmente naturalistica, legata alla verità del tratturo, si avvicina ai modi stanzioneschi più influenzati dalle ombre tenere del Vouet. La figura della Vergine della tela Cellini, rammenta i modelli femminili rea- lizzati dal pittore parigino nella chiesa romana di San Lorenzo in Lucina, soprattut- to negli incarnati olivastri, resi morbidi dalle mezze tinte del lume notturno. Stan- zione guardò con attenzione alle opere di San Lorenzo, a questa collusione si deve, ad esempio, il Sacrificio di Mosè di Capodimonte, dove ritroviamo non solo citazio- ni dal collega parigino, ma anche riferimenti al cosiddetto Maestro del Giudizio di Salomone, recentemente identificato da Papi con il giovane Ribera romano. Nella tela di Capodimonte è raffigurato, in basso sulla destra, un bambino che soffia sul fuoco per ravvivarlo, una figura di chiara ascendenza reniana (in Vitale i bambini sono meno delicati), dagli incarnati candidi, di un bianco quasi liliale e i capelli biondi come il grano, che può essere confrontato con il Gesù bambino della Ma- donna Cellini. Lo stesso bambino, che sbircia nell'anfora in primo piano, lo rivedia- mo nella Circoncisione del Vouet a Capodimonte, firmata e datata «MDCXXIb.

A mio awiso l'alta qualità pittorica della tela Cellini suggerisce un'attribuzione ad un'artista molto vicino alla poetica dello Stanzione: una delicatezza di sentimenti che raramente si vede nelle opere di Vitale, ma che caratterizza questa opera da Bologna ritenuta .uno dei capolavori della pittura napoletana dei primissimi anni 1630~; e che potrebbe essere spostata nell'ambito di un'artista in sintonia con quanto realizzato a Roma dal Vouet. Recentemente Stefano Causa (La strategia dell'attenzione. Pittura a Napoli nelprimo Seicento, Napoli 2007, pp. 135, 165, n. 14, figg. 65-66) ha accostato all'autore della Madonna Cellini la bella Santa Caterina d'Alessandria (Torino, Palaz- zo Madama) già assegnata a Bartolomeo Bassante, ritenuta dalla critica uno dei massi- mi raggiungimenti (insieme alla Maddalena di Capodimonte) della pittura napoletana di primo Seicento.

35 I. Porcini, Sacra Famiglia, in Filippo Vitale cit., pp. 86-87 (con riproduzione a co- lori), 121, n. 15, tav. 60.

36 Id., Madonna con bambino, in Filippo Vitale cit. pp. 88-89 (con riproduzione a colori), n. 16. " U. Giacometti, D. Porcini, G. Porzio, Repertorio fotografico, in Filippo Vitale

cit., pp. 92-125. Ivi, p. 95, tav. 5.

39 Ivi, p. 99, tav. 16. 40 Ivi, p. 105, tav. 29. 4 ' Zvi, p. 109, tav. 37. " Zvi, p. 11 1, tav. 40. 43 Ivi, p. 114, tav. 43. Vedi anche S. Causa, in Museo e Gallerie Nazionali di Capodi-

RECENSIONI 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I

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monte. Dipinti del XVII secolo. La scuokz napoletana. Le collezioni borboniche e po- stunitarie, direzione scientifica di Nicola Spinosa, Napoli 2008, p. 226, n. 250.

"" U. Giacometti, D . Porcini, G. Porzio, Repertorio fotografico, in Filippo Vitale cit., p. 114, tav. 44.

45 Ivi, p. 114, tav. 46. 46 l v i , p. 115, tav. 47. ." I v i p. 1 15, tav. 48.

Ivi , pp. 116-1 17, taw. 49,51. "9 Ivi, p. 122, tav. 62. 501vi, p. 124, tavv. 67-68. 5 1 Ivi, p. 125, tav. 69. La tela, con l'attribuzione a Pacecco, è stata anche pubblicata

recentemente da M. di Mauro, Giovan Francesco de Rosa ... cit., p.291, scheda 22, tav. 22.

52 La tela è stata pubblicata per la prima volta con l'attribuzione a Filippo Vitale da Leone de Castris (in Il Barocco n Lecce e nel Salento, catalogo della mostra, a cura di A. Cassiano, Roma 1995, pp. 43-44, n. 2). I1 dipinto, scrive lo studioso, *nitido ed es- senziale nella definizione dei volumi dei due corpi nudi>,, è ancora connesso al natura- lismo di partenza del Sellitto e di Battistello, come dimostrano anche le ombre acute che irrorano la scena. I questo senso, la tela di Castellaneta è palesemente vicina alla versione con lo stesso tema assegnata a Vitale da Bologna e si innesta nel percorso na- t u r a l i s t i ~ ~ del San Pietro di Nantes e del San Nicoln delle Sacramentine. Tuttavia, il volto di Abele, schiacciato al suolo dal peso del fratello che sta per colpirlo, rimanda al fanciullo dell'Angelo custode dei Turchini, mentre la pennellata densa e compatta degli incarnati la ritroviamo nel Sanificio di Isacco di Capodimonte, in cui rivediamo nell'angelo lo stesso gesto dell'indice teso di Abele. D e Castris colloca l'opera di Vita- le uattorno al 1620», vicino al San Sebastiano di Berlino, nella prima fase di accosta- mento del pittore napoletano alla poetica del Ribera appena arrivato a Napoli. Il pae- saggio desertico in cui è ambientata la scena, sullo sfondo i barbagli delle are sacrifica- li e di un vulcano in attività, ricorda quello lunare e desolato di Atalanta e Ippomene del Reni (Napoli, Capodimonte; Madrid, Museo del Prado), una collocazione che ac- centua il pathos della composizione.

53 La tela è stata assegnata a Vitale da Pacelli (Pittura del '600 nelle collezioni nnpo- letane, cit., p. 34, tav. 12), che la considera ancora vicina a quanto proposto da Sellitto e da altre importanti figure del primo naturalismo napoletano, come Finson e lo stes- so Battistello. Alla mediazione di quest'ultimo sono riconducibili palesi citazioni da Caravaggio: il brano dell'elmo, ad esempio, finemente lavorato indossato dall'armige- ro sulla destra, identico a quello indossato dal soldato addormentato della Liberazio- ne di San Pietro del Pio Monte (1615), è lo stesso dipinto dal Merisi nella Negazione di Pietro di New York. Il taglio della scena rimanda al Santo condotto al martirio del Maestro dell'Emmaus di Pau, pittore identificato già con il Finson, a cui Vitale è mol- to vicino negli esordi caravaggeschi. Simile è infatti la collocazione dei personaggi per piani sovrapposti, che emergono (come in molte opere del Sellitto) dal fondo buio. I1 modello di Andrea ricorda molto da vicino l'apostolo di sinistra della Cena in Em- maus del Museo di Pau, masterpiece dell'anonimo maestro, soprattutto per la resa ve- race dei particolari della pelle awizzita e dei muscoli flaccidi del collo; in questi pas- saggi di forte naturalismo i due pittori a volte sembrano quasi coincidere, anche se nel Maestro di Pau non si awerte quella qualità poetica caratteristica delle opere di Vitale. La luce che proviene da sinistra scava le superfici delle figure, concentrandosi soprat- tutto sull'apostolo Andrea, fotografato in tutta la fragilità del suo dramma. La legno- sità e la secchezza del modellato, simile a quello dei santi vescovi della tela delle Sacra- mentine, «crisalidi avvolte nello splendore delle porpore [...] dalla pelle tesa e pro- sciugata~ (G. Testori, in Tanzio da Varnllo, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Madama, 30 ottobre 1959 - 31 gennaio 1960), a cura di G. Testori, Torino 1959, pp. 13, 14) ricordano il naturalismo arcaico delle creature di Tanzio da Varallo, affinità ri- scontrabili in alcuni segmenti della sua Circoncisione di Fara San Martino, in partico- lare nella figura del giovane, sulla sinistra, alle spalle del sacerdote. Un paragone può essere fatto anche con alcune opere della fase naturalistica del Vaccaro, come la sellit- tiana Giuditta e Oloferne di collezione privata, nella quale rivediamo lo stesso model- lo (qui nei panni della fantesca) inserito da Vitale di profilo sulla destra, a chiusura

I RECENSIONI 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 188 Massimiliano Cesari ...................................... ~ ----------------------------.................. KRONOS 12; .............................................................................................................

della composizione. I l Sant'Andrea condotto al martirio è da collocare, come sostiene anche Pacelli, in prossimità delle tele dell'Annunziata di Capua, soprattutto della Cir- concisione, nella quale ritornano le figure terzine che fanno capolino dall'oscurità: in particolare quella incappucciata sulla destra, inquietante presenza collocata anche nel Gesù fra i dottori, attribuito al Finson, del Bowes Museuni.

54 I1 Chiarini (in Celano, Notizie del bello, del curioso e dell'antico della città di Na- poli divise dall'autore in dieci giornate per guida e comodo dei viaggiatori (1 692), in- troduzioni di G. Doria e L. D e Rosa e uno scritto di B. Croce, a cura di A. Mozzillo, A. Profeta e F. P. Macchia, Napoli 1970, vol. 111, p. 1625) nella descrizione della chiesa lo citava come opera del Preti, lo stesso autore del San Sebastkno posto nella cappella di fronte; mentre Galante (Guida Sacra della città di Napoli, Napoli 1872, ed a cura di Nicola Spinosa, Napoli 1985, p. 235) lo assegnava a scuola del Ribera. La tela è stata attribuita a Vitale da Bologna in occasione del corso di perfezionamento in storia del- l'arte, tenuto presso l'università di Napoli nell'anno accademico 1977/78; mentre R. Causa lo reputava opera dell'ancora poco conosciuto Hendrick van Somer. Il San Gi- rolamo è stato esposto con l'attribuzione a Filippo Vitale alla mostra napoletana del 1984. Pacelli (in Civiltà del Seicento a Napoli, catalogo della mostra, Napoli 1984, I, pp. 501-502, n. 2.276) nella scheda in catalogo rilevava le qualità stilistiche tipiche del pittore napoletano, una «materia pittorica densa e compatta determina le forme senza nessun supporto di natura disegnativi». Lo studioso collocava l'opera intorno al 1625, nel momento di massima partecipazione del pittore al milieu culturale del Ribera e della sua bottega. Qualche anno dopo, Bologna (in Battistello e gli altri cit., p. 128; Rocco in Battistello e gli altri cit, p. 279, n. 2.29) confermava la paternità dell'opera a Vitale, affermando la sua dipendenza dal modello caravaggesco del San Girolamo di Malta; aggiungendo che «se poi si tiene in conto la mirabile selezione della forma che deriva dalla fermezza di auel lume. il riscontro oiù oreciso sembra essere con i frutti

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tanto puliti quanto carichi di verità ... di Luca Forte*, con il quale Vitale era in rappor- ti documentati già dal '31. La cassa toracica del dottore della chiesa, analizzata dalla scansione del lume, che si blocca su ogni asperità della superficie, riporta al busto rembrantiano del Sant'Andrea di Cleveland, reso quasi poroso dall'azione dissolutri- ce del lume; mentre il braccio su cui poggia tutto il peso del santo eremita sembra es- sere quello (qui visto di fronte) del nudo di spalle inserito dal Merisi nelle Sette opere d i Misericordia del Pio Monte. La fronte lucida del san Girolamo rimanda auella del profeta Elia di collezione privata, in cui Vitale sembra aver utilizzato lo stesso model- io, somigliante anche nell'&pressione pensosa del volto.

55 La tela è stata assegnata a Vitale da Pacelli (Ctviltà del Seicento a Napoli cit., p. 502), che la collocava «verso la metà degli anni ventiu, quando il pittore napoletano entrò in contatto con la pittura del «tremendo impasto* degli allievi del Ribera, so- prattutto di Juan Do, pittore che nel '26 aveva sposato la figliastra di Vitale, Maria Grazia. Bologna (in Battistello e gli altri ... cit., p. 66) ha attribuito il San Gerolamo al misterioso Maestro dell'Emmaus di Sarasota, un pittore "forestiero", probabilmente un fiammingo, attivo a Napoli negli anni venti. A mio awiso, la tela è da considerarsi opera di Vitale, come dimostra la materia pittorica densa e compatta, tipica del ductus di Filippo, ancora vicina a quella di Battistello, che permette alla luce di scivolare sulle superfici, non scabrose come quelle riberesche, in modo da liberare le ombre impri- gionate nelle pieghe della carne e degli oggetti, come quella dell'omero che si sviluppa sulla pagina del libro; il panno rosso battistelliano che riveste il santo è fatto di quella stoffa spessa, utile a riparare dal freddo notturno del deserto, simile a quella impiegata per abiti pesanti dell'Elia di collezione privata, e del san Pietro della tela di Nantes. Nell'opera di Baranello sono proprio le ombre a conferire valore alla luce: la fronte corrugata, quasi gommosa, indica la tensione emotiva del santo (ripreso poi nel tenta- tore dell'Angelo custode), un'accentuazione somatica enfatizzata dalla pozza di luce che si concentra proprio sulla calotta cranica, la stessa chiazza che disintegra la spalla e cerca di aggirare l'accentuata muscolatura del dorso. Ancora una volta Vitale dispo- ne gli oggetti in primo piano: il crocifisso visto d i scorcio sul teschio, la penna d'oca e il libro partecipano alla composizione da protagonisti, addirittura anche il braccio ad angolo retto, su cui poggia il peso della figura, sembra essere quasi un brano di natura morta se non fosse per le vene della mano in cui si avverte lo scorrere della vita. Nella tela di Baranello emergono alcuni riferimenti al francese Vouet, presente a Roma pro-

1 RECENSIONI I i KRONOS 12 Massimiliano Cesari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 189 1 ..................e..................... , ........................................ ... .. ... ,.... ... .. ... ... .. ..

babilmente già a partire dal 1614, ma che - come s'è detto - già conosciuto a Napoli. L'artista parigino, infatti, aveva spedito da Roma la famosa Circoncisione del 1622, per la chiesa di Sant'Angelo a Segno (oggi in deposito al Museo di Capodimonte) e 1'Ap- parizione della Vergine a san Bruno per la sala del capitolo della Certosa i San Marti- no, licenziata qualche anno dopo la tela di Sant'Angelo, probabilmente nel 1626: due opere importanti per tutti quegli artisti napoletani che viravano verso un naturalismo « ' riformato", rischiarato, come Stanzione, Guarino e lo stesso Finoglio. I1 San Gerola- mo di Baranello, a mio awiso, può essere messo a confronto con la Tentazione di san Francesco diointa da Vouet a "lume di candela" nella orima metà deeli anni venti oer u

la cappella Alaleoni a San Lorenzo in Lucinia (Roma); un'opera che dovette certa- mente colpire i pittori contemporanei: la postura del povere110 di Assisi, intento a combattere le tentazioni aventi forme di una cortigiana, ricorda molto da vicino quel- la del san Gerolamo del pittore napoletano. Per la riproduzione si ringrazia la dott.ssa Dora Catalano.

5h La tela è stata inserita nel primo colpus di Vitale da Bologna (in Opere d'arte nel Salernitano dal X I I al XVIII secolo cit., p. 64, nota 2). R. Causa (La pittura del Sei- cento a Napoli dal Naturalismo al Barocco in Storia di Napoli, V, Il Viceregno, Cava dei Tirreni-Napoli 1972, cit., p. 922, n. 27), discutendo il catalogo proposto dal Bolo- gna, non fa alcun riferimento alla tela torinese. Nel corso di perfezionamento in Sto- ria dell'Arte dell'anno accademico 1977-78 tenuto presso l'università di Napoli, dedi- cato completamente a Vitale e al primo naturalismo napoletano, Bologna presentava la tela come una delle più forti testimonianze di adesione del pittore napoletano al ca- ravaggismo. Pacelli (I dipinti del Guarino e le arti decorative nella Collegiata di Solo- fra, a cura di V. Pacelli, Napoli 1987, p. 170), presente a quelle famose lezioni, ha sot- tolineato l'importanza di questo impressionante dipinto - che definisce *monumento di vera carne» - sulla pittura del giovane Francesco Guarino, come dimostra la figura di madre "vera" inserita nell'Annuncio a Zaccaria del '37. Nel 1991, in occasione della mostra battistelliana, Bologna (Batt~stello e gli altri cit, p. 138, figg. 97-98) pubblica per la prima volta le riproduzioni dell'opera (prima e dopo il restauro), collocandola, giustamente, tra I'Ebrezza di Noè e l'Angelo custode: <un terribile capolavoro della poetica seicentesca della 'realtà', nella quale ... tutto si riduce al prelievo di un pezzo di vita, colto senza rispetto umano nei bassi della più dolente miseria napoletana». E una raffigurazione unica nel suo genere, che non concede nulla alla ~dissimulazione~ tan- to cara al contesto socio-politico del Seicento; infatti, non siamo di fronte ad un'im- magine edulcorata dell'allattamento, come si può vedere nella più equilibrata Carità (Firenze, Uffizi) di Guido Reni, realizzata intorno al 1624-25. Nella tela di Vitale si assiste ad una vera e propria aggressione cannibalistica di un branco di bambini, che si appendono voracemente alle mammelle di una madre imbolsita dalle troppe gravidan- ze (che vive certamente nel "basso" delle Sette opere di Misericordia del Caravaggio); la stessa modella impiegata da Vitale nei panni della Vergine nella Pentecoste di Ca- pua. I1 bambino in piedi sulla sinistra, con il braccio teso verso il seno della madre, so- miglia (sia nel gesto che nelle fattezze somatiche) a quello presente nella Elemosina di santa Lucia di collezione privata, assegnata da Bologna al cosiddetto Maestro della Madonna Cellini. I1 forte "verismo" iberico della scena è accentuato dalla luce che il- lumina inverecondamente la brutalità del momento. Le ombre si insinuano tra le membra affastellate; mentre il panneggio delle stoffe pesanti e logore è asciutto, quasi metallico, conferendo alla figura femminile fattezze arcaiche di antica matrona, una imponenza testimoniata dall'enorme piede della donna che si incunea nell'angolo a destra, possente come quello dell'angelo nella tela dei Turchini.

57 Già ritenuta opcra di Battistello Caracciolo, è stata pubblicata come «Soggetto non identificato* di Vitale da De Vito (Un contributoper Filippo Vitale, in «Ricerche sul '600 napoletano., Milano 1987, p. 109, fig. 24, tav. 11), che lo assegnava alla «prima maniera» del pittore napoletano, antecedente alla svolta caravaggesca. I1 soggetto del- l'opera è stato successivamente identificato da Bologna (in Battistello e gli altri cit., pp. 80, 140), che avvicinava la tela alle altre due versioni del Martino di santa Barbara di Vitale: quella di casa Brindisi (già piibblicata da De Vito) e la copia di collezione privata napoletana, quest'ultima ripresa dal figliastro Pacecco (Napoli, collezione pri- vata), soprattutto nell'impaginazione della scena e nella figura del padre. Nella tela di Vitale sono rawisabili componeixi culturali riconducibili alla pittura di Artemisia, a

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Napoli probabilmente già prima del '30 (quando firma l'Annunciazione), evidenti so- prattutto nei cangiantismi cromatici delle vesti della santa, impiegati qualche anno do- p o nell'Angelo della Pietà dei Turchini. U n altro confronto può essere proposto con una seconda opera firmata da Artemisia, Corisca e il satiro, di collezione privata napo- letana, realizzata nei primi anni trenta, al tempo della collaborazione con Stanzione per il Cason del Buen Ritiro. La collocazione del corpo della santa, in tralice, ricorda quello di Abele nel Compianto, firmato, di collezione privata; in secondo piano è raf- figurato la punizione del padre omicida, su cui si abbatte la folgore divina. La postura del padre con il braccio alzato nel disperato tentativo di sfuggire alla collera di Dio, già utilizzata nella statuaria antica (vedi il cosiddetto Pedagogo del gruppo dei Niobidi negli Uffizi di Firenze), rimanda ad esempi legati al repertorio delle passioni del Do- menichino, a Napoli nei primi anni trenta, giunti a Vitale attraverso Stanzione, ma so- prattutto attraverso il figliastro Pacecco. I1 dramma è collocato in un paesaggio che ri- corda quello impiegato da Vitale sempre nel Compianto sul corpo di Abele.

La datazione dell'opera, a mio awiso, è da spostare più avanti, rispetto alla crono- logia proposta da De Vito, tra la fine del terzo e gli inizi del quarto decennio del seco- lo.

58 A conferma di quanto detto sopra è conveniente citare un Gesù fra i dottori asse- gnato recentemente da I. Porcini a Battistello (Un'aggiunta a Battistello, in Ot- tant'anni di un maestro. Omaggio a Ferdinando Bologna, I , Roma 2006, pp. 375-378, fig. 1). La tela, in collezione privata napoletana, presenta tutte le caratteristiche forma- li del Maestro dell'Emmaus di Pau (l'uomo glabro accanto al giovane Gesù, come an- che il personaggio con il copricapo all'estrema destra che rimanda all'apostolo del- I'Emmaus di Pau). La tela, tra l'altro, è molto simile come impaginazione anche al Gesi fra i dottori già collezione Diodati (un altro Battistello?), nella quale si rivedono gli stessi personaggi calvi della prima versione; in più ritroviamo lo stesso Gesù. Con l'attribuzione all'anonimo maestro è stato infatti presentato sul mercato antiquariale. Dopo un restauro però è comparso il tipico monogramma battistelliano (con le inizia- li sovrapposte) «collocato sul grande libro tenuto stretto sotto il braccio». Permettete- mi un piccolo ricordo personale. Circa tre anni fa, un po' prima della conclusione del- la tesi di dottorato, vidi la riproduzione della tela pubblicata dalla Porcini presso I'a- bitazione di S. Causa (mio relatore di dottorato) che mi sottopose l'immagine chie- dendomi chi fosse secondo me l'autore (piccolo esercizio di attribuzione). A me - al- lora quotidianamente allenato alle congiunture stilistico-formali Vitale-Battiste110 - sembrò immediatamente e istintivamente un'opera di Caracciolo. Non mi ero con- centrato sulle figure simili a quelle del Maestro di Pau né accorto del monogramma, ma avevo notato quella spalla sclavicolata di Gesù messa a favore di luce e la figura dell'anziano dottore barbuto identica a quella del San Girolamo nella battistelliana Madonna delle anime purganti con i santi Girolamo e Onofrio, già collezione Mora- tilla (Parigi). Recentemente S. Causa (Museo Nazionale di Capodimonte ... cit., Na- poli 2008, p. 146, scheda n. 134) è intervenuto sulla questione attribuendo un altro Gesù tra i dottori (Napoli, Museo di Capodimonte) al *Maestro dell'Emmaus di Pau (Martin Faber?).. Secondo lo studioso la tela - molto vicina ad alcune opere di Vitale, soprattutto per il ductus pittorico e le figure legnose, come si può vedere nella figura di Gesù (molto simile al bambino della Benedizione di Giacobbe, ubicazione ignota; vedi fig. 4) o in quella del dottore dal capo coperto in primo piano (presente anche nel Santo condotto al martirio di collezione privata napoletana; vedi fig. 18) - potrebbe appartenere al <<raro Marten Hermans Faber [...]D a Napoli nel maggio 161 1, autore - nel 1613 - di un Autoritratto nel Museo di Marsiglia. L'identificazione con l'anonimo maestro di Pau è giustificata dalla recente scoperta - awenuta nel corso di un pulitura -d i alcune lettere, «F A», sul polso della vecchia col gozzo collocata a destra nel San- to condotto al martirio del Museo di Pau: lettere che potrebbero appartenere appunto a Faber.

59 R. Causa, La pittura del Seicento a Napoli dal Naturnlismo al Barocco, in Storia di Napoli, V, Il Viceregno, Cava dei Tirreni-Napoli 1972, p. 922.

RECENSIONI I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I<RONOS 12 Vittorio Bracco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 191 1 .............................................................................................................

GABINETTO DISEGNI E STAMPE DEGLI UFFIZI. Albrecht Durer, Originali, copie, derivazioni, di Giovanni Maria Fara, Firen- ze, Olschki, 2007.

Troneggiante volume, che ha tutto lo spessore e l'autorità d'un co- dice, d'un riferimento di testa, a cui si torna. Ed è ciò nella natura in sé dei cataloghi, preceduti dalle sintesi d'avvio, in cui l'esperto, o più d'un addetto, ricontemplano l'opera, consistente nella successione delle ragionatissime schede. E le schede concernono questa volta la raccolta, oggi agli Uffizi, delle stampe del Durer, l'incisore e pittore principe, che la patria Norimberga consegnò fra il Quattrocento e il Cinquecento alla civiltà artistica d'Europa. Per la natura stessa del li- bro, il risultato è quello d'un artista affrontato un po' di taglio, per uno spaccato d'azione e di lavoro, che lo staglia netto e vivo lungo il corso dell'attività sua e illustra soggetti e opere, così come la raccolta - quella dei Medici Lorena - ha consentito di offrire alla considera- zione e agli studi.

Dopo il Wolfflin, che del suo connazionale fece argomento cen- trale d'applicazione, e dopo i ripetuti e crescenti interventi del Panof- sky, rispettivamente nella prima e nella seconda metà del Novecento, è chiaro che ogni commento per capillare che sia abbia da spartire con quel che è stato scritto dai due illuminati studiosi, ed è ciò che conferma con la propria articolatissima rassegna Giovanni Maria Fa- ra, I'ancor giovane e vigoroso scrittore versato nella conoscenza e nell'esplorazione dell'artista germanico, al punto che si direbbe in- sopprimibile, e non ad altri affidabile, la costruzione del catalogo ch'egli ha effettivamente condotto da capo a fondo. Conviene, ad esempio, citare, ad onor di lui e dell'acquisita competenza, il fatto che ogni scheda illustrante la stampa è seguita da una ricerca accurata, co- me meglio non si saprebbe desiderare, delle derivazioni e imitazioni in area italiana delle stampe raccolte negli Uffizi. E non per ragioni esterne e di superficie, o per essersi formata in Italia quella collezio- ne, ma per un carattere interno e di innervamento del'opera di Durer, che fu percorsa da intimi fremiti accesi dal dominante Rinascimento nostrano, il quale addolcì e ritemprò di luce mediterranea l'ispida im- pronta gotica del paese d'origine. Tale inquadramento impose l'assor- bimento dell'essenza tonda e modellatrice della Rinascenza in chi, co- me a lui accadde, soggiornò ripetutamente fra noi nel corso della sua attività giovane e definitrice.

Stampe religiose e naturalmente molte, forse moltissime. Come ta- li vengono confermate sia pure dall'esame cursorio dei centoquaran- tasei numeri d'un commento attento e penetrante: la Madonna e mo- menti di Gesù, conformi alla narrazione evangelica. Sarebbe però co- sa monca ridurre a una sovranità religiosa la consistenza armonica dell'operoso Albrecht, che affronta da integro e completo esponente dei suoi tempi, che battono i passi di Lutero e della sua Riforma, an- che altri spunti ed argomenti: gli è cara ad esempio la ricerca del nudo in cui però, come avverte una calzante nota seicentesca del Baldinuc- ci, cercheresti invano quella superiore definizione della forma a cui

RECENSIONI I ..................................................................................... .............................................................................................................

I i Pag. 192 Vittorio Bracco KRONOS 12: ..................................................................................... .............................................................................................................

pervenne, per fare un nome, il Buonarroti, come quintessenza in cui possa risolversi la raffigurazione dell'immagine al di sopra dei conno- tati effettivi, circoscritti all'irrepetibile natura individuale. Ecco: que- sta invece rimane nelle figure di Durer, ed è il suo limite o almeno la sua connotazione invariata, il suo stampo, la sua condizione. Lo av- verte, a voler fare un riferimento, la sosta dell'occhio sulla notissima stampa delle quattro donne ignude, proiezione o anticipazione di quel che oggi saprebbe fare la fedele e veristica fotografia, che defini- sce, in termini di pronto realismo, ciò che appartiene all'individuo, al soggetto, a quel soggetto, chiudendolo nella sua non confrontabile individualità.

Bulini, in buona parte, queste preziose stampe degli Uffizi, splen- didamente riprodotte nel libro che ci sta dinanzi: bulini, come vuole la fortuna della metonimia, che definisce, traverso la citazione del mezzo, il prodotto ch'esso ha inciso, escludendo l'intervento dell'ac- quaforte, come per lungo tempo fu chiamato l'acido nitrico, e della sua azione preparatoria e mordente sulla lastra metallica, rame o zin- co, su cui la punta, guidata, premeva. Ma pure xilografie, incisioni su legno in cui il Durer fu artefice e interprete sommo sul fondamento nativo del seme paterno: il figlio del plaudito orafo ammogliato a Nurnberg, assiduamente elevò la figura a proiezione incisa ed incisiva dello stato espresso dalla natura delle cose.

Vittorio Bracco

RECENSIONI 1 ..................................................................................... .............................................................................................................

I i KRONOS 12 Daniela ~ a r a c c i o ~ o Pag. 193 i ..................................................................................... .............................................................................................................

1. Nicolas Perrey, Ritratto di Ascanio Filomarino, incisione, in Bartolomeo Chioccarello, Antistitum praeclarissimae Napolitanae Ecclesia catalogus ab Apostolorum temporibus ad hanc usque nostram aetatem, et ad annum 1643, Napoli, 1643, Roma, Biblioteca Nazionale Centrale.

Loredana Lorizzo, La collezione del cardinale Ascanio Filomarino. Pittura, scultura e mercato dell'arte tra Roma Napoli nel Seicento, Napoli, Electa, 2006, pp. 160, ISBN - 88-510-0375-0.

La fortuna critica del Cardinal Ascanio Filomarino è legata alle pagine di Renato Ruotolo, il primo a porre l'attenzione sul suo ruolo di mecenate e collezionista della Napoli del Seicento.' Loredana Lo- rizzo, con il volume dal titolo La collezione del cardinale Ascanio Fi- lomarino. Pittura, scu l t~ra e mercato dell'arte tra Roma Napoli nel Seicento, accresce in modo significativo quanto già noto agli studi, re- stituendo l'entità della sua cospicua quadreria, e soprattutto le dina- miche che ne hanno consentito la formazione, grazie ai fortunati ri- trovamenti di due nuclei documentari: la contabilità (1617-1642) di Ascanio Filomarino (carte notarli, lettere inedite), testimoniata dai li- bri mastri del banco di Santo Spirito e poi del Monte di Pietà di Ro- ma, e il rendiconto della vendita (1626-1628) delle opere d'arte appar- tenute al Cardinale Francesco Maria Del Monte (p. i).

L'interesse della studiosa verso il raffinato e colto collezionista e com- mittente d'arte, nobile del Seggio di Capua, risale al 2002 con la pubbli- cazione del saggio intitolato L'altare dellu cappella ai santi Apostoli di Napoli alla luce di nuovi documenti romani.2 Nel proporre una revisione cronologica e attributiva del grande altare inarmoreo, Loredana Lorizzo aveva già rilevato il peso esercitato dalla cultura barberiniana su Ascanio Filomarino, che tratterà ampiamente nella prima parte del volume. La puntuale indagine compiuta porta, infatti, alla Roma dei Barberini, a cui è riservata ampia parte della prima trattazione dell'opera. La studiosa de- dica un cospicuo spazio al profilo biografico del Prelato, inserendo la sua personale vicenda nello sfondo della Roma secentesca.

I1 suo arrivo in Città risale al 1617, conseguenza di un'accorta po- litica di alleanze familiari. E' posto l'accento sulle vicende successive alla morte del padre Claudio; pare che proprio ad Ascanio, primoge- nito di otto figli, spettasse il compito di risollevare le sorti della fami- glia, tentando la fortuna nella corte pontificia. Da ciò ebbe inizio la sua ascesa sociale e soprattutto l'accrescimento delle proprie disponi- bilità economiche, tanto da procedere con la decorazione dei suoi due appartamenti, uno nel Palazzo Apostolico Vaticano di San Pietro e l'altro nel Palazzo del Quirinale, residenza estiva del pontefice (p. SO), oltre che con l'acquisizione di opere d'arte.

A Roma Ascanio ricoprì le cariche di cameriere segreto di Urbano VI11 (1623-1641) e maestro di camera del Cardinal nipote, Francesco Barberini (1623-1642). Elevato al rango di familiare del pontefice, il Prelato visse come «il cortigiano virtuoso soggetto agli umori del Principe» (p. 27), sopportando con forza e pazienza le ire del suo Pa- drone (p. 24). Ascanio era ben consapevole che i suoi sacrifici sareb- bero stati premiati e che la sorte gli avrebbe permesso «di riscattare i lunghi anni trascorsi a Roma da servitore con altrettanti passati a Na- poli da principe» (p. 28). Lo stesso scriverà un trattato intitolato L'i- dea del favorito (Barcellona, Biblioteca de Catalunya, ms. 1968), una sorta di vademecum di sopravvivenza tra le insidie di corte.

RECENSIONI I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ........... ' ................................................................................................. i Pag. 194 Daniela Caracciolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . KRONOS 12;

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Con la partecipazione alla legazione in Francia del 1625 e soprat- tu t to a quella in Spagna del 1626 al seguito del cardinal nipote Francesco Barberini, Ascanio Filomarino comprese a pieno il valo- re delle alleanze e delle amicizie da perseguire con accorte strategie politiche. Si legò in modo assai stretto con Cassiano dal Pozzo, con cui partecipò alle cerimonie ufficiali, alle occasioni mondane come feste e rappresentazioni teatrali. Con Cassiano il Cardinale visitò i palazzi nobiliari e i conventi di Barcellona e Madrid, matu- rando un notevole bagaglio di conoscenze ed esperienze politiche e culturali. Beneficiando della fitta rete di rapporti che la corte pon- tificia intanto intesseva con gli artisti, Ascanio sviluppò un gusto modellato su quello del Cardinal nipote, creando in tal modo il primo nucleo della sua poderosa quadreria. Fin dal 1627 iniziò a collezionare, rivolgendosi proprio a quegli artisti apprezzati dai Barberini, promossi e sostenuti da Cassiano: Poussin, Simon Vouet, Valentin de Boulogne.

Continuando con la lettura del volume, si giunge a un altro mo- mento della storia del collezionismo romano: la vendita della raccolta del Cardinal Francesco Maria Del Monte. Lo studio così proporre un "itinerario parallelo", capace tuttavia di ricongiungersi con l'oggetto principale della ricerca: grazie ai nuovi ritrovamenti documentari (ci si riferisce in particolare al conto bancario di Alessandro Del Monte nei Libri Mastri del Banco di Santo Spirito di Roma) Loredana Lo- rizzo ha chiarito alcuni aspetti dell'alienazione della collezione Del Monte. Per esempio, è stato possibile stabilire come la vendita della raccolta si compì sotto la sorveglianza di Urbano VI11 (p. 53) e asso- ciare i quadri messi in asta con i nomi dei compratori. Tra quegli identificati (solo per citare qualche nome), si richiamano Taddeo e Francesco Barberini, Lorenzo Magalotti, il cardinale Scipione Bor- ghese e Ascanio Filomarino, acquirente del San Francesco di Cara- vaggio (Hartford, Wadsworth Atheneum).

La «creatura dei Barberinb fu fatta vescovo di Napoli nel 1641, in un momento in cui i pittori locali guardavano con rinnovato interesse a Poussen e al neo-veneti~mo.~ I1 contraltare classicista al naturalismo caraveggesco, a ben guardare, iniziò a operare il suo lento processo egemonico già nel secondo decennio del Seicento, finendo con il "contaggiare" «il gusto artistico della committenza che maggiormen- te contava, spostata verso una cultura figurativa aperta verso una "re- golata mescolanza" tra classicismo, colorismo neoveneto e i residui di un caravaggismo addolcito e un poco sensuale, che aveva il suo mo- dello nell'opera di V o u e t ~ . ~ Nell'ostile città partenopea Ascanio «fu una spina nel fianco della co- rona spagnola che tentò più volte di liberarsi di lui, arrivando a chie- dere formalmente al papa di rimuoverlo dal suo incarico» (p. 83). A Napoli il Cardinale promosse importanti commissioni artistiche co- me - per esempio - il restauro del quattrocentesco palazzo arcivesco- vile in largo Donnaregina, una delle maggiori imprese artistiche rea- lizzate in quegli anni a Napoli e l'allestimento della sua quadreria nel Palazzo di San Giovanni Maggiore.

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Seguendo il percorso tracciato dall'Autrice, si giunge così alla colle- zione di Ascanio, fulcro dello studio a cui è dedicato l'ultimo para- grafo del volume, provvisto di un ricco apparato documentario. Le fonti secentesche, ci si riferisce in particolare alle Notizie di Carlo Celano (1692), traducono le ambizioni di fasto e magnificenza sottese alla raccolta di pitture, secondo strategie collezionistiche simili a quelle perseguite dalla nobiltà, che portavano a dotare le residenze con sale di rappresentanza e gallerie, scene privilegiate per I'esaltazio- ne delle glorie familiari.5 Parimenti, anche l'inventario della collezio- ne redatto nel 1685 trascritto e qui pubblicato integralmente, illustra le medesime ambizioni: Ascanio, mediante un accorto uso delle arti figurative, «intendeva affermare il suo potere personale e quelle della sua nobile e antica casata».6 I1 su citato documento, redatto dal notaio Dionisio d'Alterio, proce- de con l'elencazione della raccolta stanza dopo stanza, enumerando gli uni dopo gli altri orologi, crocifissi, argenterie, specchi, cofanetti di ebano contenenti cristalli e svariati oggetti, come una ~cascetta di pero con suoi vetri, e diverse galanterie di buccari e fiori ordinari» (p. 112). Nel susseguirsi di sontuose camere, possiamo immaginare gli appartamenti del Palazzo a Piazza San Giovanni arredati da una ricca mobilia: scanni, bouffet, stipi e scrittoi di tartaruga, di noce e di eba- no. Seguendo la prassi fondamentale di esposizione delle opere d'arte, Ascanio Filomarino probabilmente raggruppò gli oggetti della sua collezione in base alla dimensione; ecco perchè la distinzione dei ge- neri appare poco rilevante: le pitture di paesaggio e di battaglia erano collocate negli stessi ambienti con i ritratti, i dipinti sacri e quelli pro- fani erano disposti fianco a fianco senza una effettiva differenziazio- ne. In un contesto così variamente articolato, spicca una "galleria di uomini illustri", per un totale di quaranta ritratti, omaggio evidente al potere spagnolo, ai suoi protettori romani e ai suoi avi, invitando la ristretta elite ammessa alla visita della collezione verso una sorta di forma di "riverenza ossequiosa" della casata di appartenenza.

Nel XVIII secolo la collezione di Ascanio Filomarino era stimata come una delle maggiori della città di Napoli, tappa "obbligata" del gran tour di gentiluomini inglesi e francesi; ce lo testimoniano il Voyage d'ltalie (1758) di Charles Nicolas Cochin e i disegni dei pit- tori Jean-Honoré e Jean-Robert Ango, schizzi per le incisioni realiz- zate per il primo volume del Voyage pittoresque ou description des royaumes de Naples et de Sicilie (1781-1786), la fonte iconografica più importante per la conoscenza dei dipinti appartenuti ad Ascanio (P. 96). La comparazione tra le descrizioni delle fonti letterarie, i disegni e i documenti d'archivio, ha consentito a Loredana Lorizzo di procede- re con l'identificazione di alcuni dipinti appartenuti al Cardinale, co- me per esempio, della S a m famiglia con San Giovannino e due ange- li di Domenichino, il Ritratto di Ascanio Filomarino di Valentin de Boulogne (Chateau de Montrésor), l'Angelo con lancia e spugna e l'Angelo con dadi e tunica, databili oggi al 1627, conservati entrambi

RECENSIONI I ..................................................................................... ............................................................................................................. I Pag. 196 Daniela Caracciolo KRONOS 12; ..................................................................................... ...........................................................................................................

al Museo di Capodimonte di Napoli, facenti parte di un gruppo ben più consistente, stimabile intorno alle quattordici tele. Dall'analisi condotta emerge quanto fu forte in Ascanio Filomarino l'interesse per la pittura caraccesca; scarsa, invece, la presenza di dipinti di pitto- ri napoletani, a causa - probabilmente - dei difficili rapporti con l'au- torità locale.

La collezione è andata dispersa in occasione della Rivoluzione del 1799, quando il Palazzo Filomarino a Piazza San Giovanni fu sac- cheggiato a seguito di una sommossa popolare. I fatti esaminati da Loredana Lorizzo inducono tuttavia a pensare che i pezzi più rile- vanti della collezione siano stati venduti o donati ancora prima dei fatti rivoluzionari e, perciò, fortunatamente salvati.

I1 volume contribuisce così a riscrivere un altro rilevante capitolo della storia del collezionismo nap~le tano ,~ confermando quando già rilevato dagli studi.8 Le raccolte possedute rispettivamente dal clero regolare e dall'aristocrazia appaiono legate a motivazioni essenzial- mente autoesaltatorie, rispetto a quelle dei nobili di recente ascesa so- ciale interessati maggiormente alla statuaria antica, entrambi preoccu- pati di ostentare lusso e di affermare il proprio prestigio familiare e politico. Per esempio, la stessa scelta di erigere nel 1647 l'altare della Cappella Filomarino ai Santi Apostoli di Napoli è spiegabile proprio in questi termini, perché i Teatini custodivano le spoglie del massimo poeta, Giambattista Marino, costituivano una comunità religiosa de- dita alla cura dei malati e dei bisognosi, dai molteplici contatti sociali: .nulla di più adatto all'ambizioso Ascanio~ (p. 64). L'altare denota ancora di più la profonda adesione all'entourage berniniano e l'ade- renza alle scelte artistiche in esso compiute.

Loredana Lorizzo, quasi sulla scorta del noto studio condotto da Francis H a ~ k e l l , ~ chiarisce alcuni nessi circa i rapporti tra,"mecenati e pittori". Insistendo sul peso esercitato dalla cerchia barberiniana sui gusti e sugli orientamenti del Prelato, la studiosa offre una "storia culturale" della "geografia del collezionismo tra Roma e Napoli nel XVII secolo" - parafrasando il titolo degli Atti delle giornate di stu- dio tenutesi all'Ecole Francaise de Rome nel 2001 - 'O perché eviden- zia in modo ancor più pregnante rispetto ai precedenti studi, il ruolo assunto da Ascanio nel diffondere le novità romane nell'ambiente partenopeo. Fin dal 1620, infatti, Ascanio, mai dimentico della sua provenienza napoletana, svolse un ruolo di intermediario tra Simon Vout e un suo parente, Marcantonio Filomarino della Rocca, che ac- quistò per la sua collezione un certo numero di tele opere di Vout, rintracciate nella studiosa nella Nota delli quadri e galanterie ritrova- te nell'appartamento di detto signore."

Alla base dello studio spicca un'accurata indagine documentaria e al contempo bibliografica; l'autrice ha così circoscritto e definito una realtà del marcato d'arte che emerge per tutta la sua ricchezza, com- plessità e dinamicità. Grazie all'impiego di una metodologia basata sulla comparazione tra gli inventari, gli atti di pagamento e le fonti letterarie, è stato possibile - in taluni fortunati casi - identificare alcu- ni dei dipinti posseduti da Ascanio.

1 RECENSIONI I ..................................................................................... ............................................................................................................. i I<RONOS 12 )anida Caracciolo Pag. 197; ..................................................................................... .............................................................................................................

Loredana Lorizzo correda il volume di un apparato di illustrazioni e di un'appendice documentaria comprendente il già citato rendiconto dei beni del Cardinal Del Monte (1626-1628) , l'inventario Filomarino del 1685, parzialmente edito da Gèrard Labrot e segnalato da Renato Ruotolo, la contabilità di Filomarino nei Libri mastri del Banco di Santo Spirito e del Monte di Pietà di Roma (1617-1642) , gli atti rogati presso il notaio Domenico Fontana dal 1 6 2 3 al 1642 , di cui sono stati pubblicati i documenti di interesse storico artistico, l'epistolario (1642-1658) di Ascanio Filomarino, documenti provvisti di un corpus di note esplicative.

Daniela Caracciolo

NOTE

' Cfr. R. Ruotolo, Aspetti del collezionismo napoletano: il cardinale Filomarino, in «Antologia di Belle Arti», I, I, 1977, pp. 71-82.

Cfr. L. Lorizzo, L'altare della cappella ai santi Apostoli di Napoli alla luce di nuo- v i documenti romani, in «Ricerche sul '600 napoletano», 2002, pp. 62-75. ' R. Ruotolo, Aspetti del collezionismo napoletano del Seicento, in Civiltà del Sei-

cento a Napoli, catalogo della mostra (Napoli, 24 ottobre 19984-14 aprile 1985), 1, Napoli 1998, p. 46.

F, Abbate, Storia dell'arte meridionale. Il secolo d'oro, Napoli 2002, p. 127. G. Labrot, Palazzi napoletani. Storie d i nobili e cortigiani 1520-1750, Napoli

1993, p. 170. q. Ruotolo, Aspetti del collezionismo napoletano del Seicento, cit., p. 46. ' Tra l'ingente bibliografia sull'argomento si rimanda a G. Ceci, U n mercante mece-

nate del secolo XVI I Gaspare Roomer, in «Napoli Nobilissima~, vol. I, 1920, pp. 160- 164; R. Ruotolo, Collezionisti e mecenati napoletani del XVI I secolo, in .Napoli No- bilissima>,, vol. XII, 1973, pp. 118-1 19, pp. 145-153; ID., La raccolta Carafa di S. Lo- renzo, ivi, XIII, 1974, pp. 161-168; ID., Aspetti del collezionismo napoletano: il Cardi- nale Filomarino, in «Antologia di Belle Artin, I, 1977, pp. 71-82; ID., Brevi note sul collezionismo aristocratico napoletano fra Sei e Settecento, in <Storia dellJArte», XXXV, 1979, pp. 29-38; V. Pacelli, La collezione di Francesco Emanuele Pinto di Ischietella, in «Storia dell'Arte*, XXXVI, 1979, pp. 165-204; R. Ruotolo, Mercati-col- lezionisti fiamminghi a Napoli: Gaspare Roomer e i Vandeneynden, Massa Lubren- se1982; S. Bedoni, Jan Brueghel in Italia e il collezionismo del Seicento, Firenze 1983, pp. 21-28; G. LABROT, Collections of Paintings in Naples. 1600-1780, London1992; R. Ruotolo, Aspetti del collezionismo napoletano del Seicento, cit., pp. 41-48; ID., Colle- zioni e collezionisti napoletani del '600 e '700: l'abitare nobile borghese, in .Gazzetta antiquaria., 20-21, 1999, pp. 30-37; G. Labrot, Les collections de l'aristocratie napoli- taine, in Geografia del collezionismo. Italia e Francia tra i1 XVI e il XVI I I secolo. Atti delle giornate di studio dedicate a Giuliano Briganti (Roma, 19-21 settembre 1996), a cura di O. Bonfait, M. Hochmann, L. Spezzaferro, B. Toscano, Roma 2001, pp. 257- 280; E. Ricciardi, Collezionisti del XVI I secolo in Napoli: Santi Frantucci e Camillo Colonna, in «Ricerche sul '600 napoletano. Saggi e documenti., 2001, pp. 52-60; L. Lorizzo, L'altare della cappella Filomarino ai Santi Apostoli di Napoli alla luce di nuovi documenti romani, in ivi, 2001, pp. 62-75; E. Nappi, Le attività finanziarie e sociali di Gasparo de Roomer. Nuovi documenti inediti su Cosimo Fanzago, in ivi, 2001, pp. 61-89; L. Lorizzo, Simon Vouet, Velentin e i Filomarino: nuove date e qual- che ipotesi sugli scambi artistici tra Roma e Napoli nella prima metà del '600, in ivi, 2003-2004, pp. 123-136.

RECENSIONI I ..................................................................................... ............................................................................................................. : Pag. 198 Daniela Caracciolo KRONOS 12; ..................................................................................... ..........................................................................................................

Cfr. M. I. Iasello, Il collezionismo di antichità nella Napoli dei Viceré, Napoli 2003. Sugli aspetti del collezionismo napoletano del '600 si rimanda anche allo studio di G. de Miranda, Fondale di relitti o "Maggior Mondo" per sodali d'Accademia. L'antiquaria e il consesso degli oziosi nella Napoli della prima metà del Seicento, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisan, S. IV, Quaderni 2, 1998 (DellJAnti- quaria e dei suoi metodi. Atti delle giornate di studio, a cura di E. Vaiani,, pp. 51-62.

F. Haskell, Patrons and painters. A study in the relations between italinn art and society in the age of the baroque, London 1963; trad. it. ID., Mecenati epittori: studio sui rapporti tra arte e società italiana nell'età barocca, Firenze 1985.

'O Cfr. infra. " Si rimanda all'indagine offerta da L. Lorizzo, Simon Vout e i Filomarino: nuove

date e qualche ipotesi sugli scambi artistici tra Roma e Napoli nella prima metà del Seicento, in «Ricerche sul '600 napoletano», 2003-2004, pp. 123-136.

1 RECENSIONI I ..................................................................................... ............................................................................................................. i KRONOS 12 .li0 ~ate l lo Pag. 199 1 ..................................................................................... .............................................................................................................

Argenti di Calabria

È trascorso un po' di tempo dalla Mostra "Argenti di Calabria" allestita nello storico Palazzo Arnone di Cosenza per la tenacia di Salvatore Abita col quale nel 1994 collaborai alla Mostra "Arte in Ba- silicata" di dimensioni certamente ridotte rispetto a questa di Cala- bria, ma pur ricca di argenti napoletani in gran parte inediti, non escluso qualche esemplare di diversa provenienza come lo straordina- rio pontificale di Valadier donato alla chiesa di Muro Lucano dal car- dinale Orsini, poi papa Benedetto XIII.

In questa sede, non è mia intenzione procedere ad una critica pun- tuale della Mostra di Palazzo Arnone, ma solo cogliere l'occasione per alcune considerazioni di carattere generale che potrebbero rive- larsi utili soprattutto per i giovani che vi hanno partecipato e che in- tendono perseguire lo studio dell'arte orafa. Chi conosce la storia de- gli argenti napoletani e i riflessi che si ebbero in Calabria durante gli anni che precedettero l'occupazione francese del Regno di Napoli, a cominciare dalle confische da parte di Ferdinando IV in occasione del terribile terremoto che sconvolse la Calabria ultra nel 1783 e da quel- le imposte dallo stesso sovrano per i funesti avvenimenti di fine seco- lo, seguite poi dalle altre ancora più capillari e odiose dei commissari francesi, ha motivo di stupirsi e, insieme, di rallegrarsi per quanto si sia riuscito a salvare del grande patrimonio di argenti sacri di cui le chiese e le altre istituzioni religiose della Calabria erano dotate. Per questa regione, inoltre, nei capoluoghi di provincia e in alcune loca- lità minori oggi si ravvisa una efficiente azione di tutela attraverso 1' istituzione di numerosi musei diocesani: da Nicotera, che custodisce rari manufatti di Andrea De Blasio, a quello di San Marco Argenta- no, che detiene alcune tra le più belle opere di Filippo Del Giudice.

Una diversa considerazione riguarda la scarsa presenza di argenti realizzati da orafi calabresi prima della famosa prammatica vicereale del 1690 con la quale, salvo che nella fedelissima città di Napoli e in un'area di quaranta miglia intorno, si proibiva di lavorare argenti in altri luoghi dell'antico Regno. Per gli anni che precedettero la pram- matica, quando oggetti di argento si potevano liberamente realizzare ovunque, le testimonianze in area calabrese sembrano ancora alquan- to scarse e non tanto per il Quattro e Cinquecento, ma proprio per il secolo XVII se si escludono i pochi manufatti di Bernardino e Giu- seppe Conte, maestri argentieri di Castrovillari, e quelli assegnati allo sfuggente Pietro Antonio de Presbiteris. Per il Settecento la mancan- za di argenterie locali può essere invece giustificata da una certa os- servanza della citata prammatica per cui gli argentieri che operavano nelle province si limitavano, in generale, a lavori di riparazione e ra- ramente a nuovi importanti manufatti per i quali venivano invece pri- vilegiati i maestri napoletani. Meno comprensibile poi è la scarsità de- gli argenti ottocenteschi di manifattura calabrese che a partire dal 1808, quando fu abolita l'antica corporazione degli orefici napoletani, potevano liberamente lavorarsi nelle province da coloro che avevano conseguito a Napoli la "patente" dopo il superamento di una prova

RECENSIONI 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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! Pag. 200 Elio Catello .............................................. ................. ~ .................,. KRONOS 12i .............................................................................................................

attitudinaria. E le carte dei nostri Archivi menzionano molti argentie- ri di Calabria, nuovi maestri obbligati alla marcatura presso i burò di garanzia, istituiti a Reggio, Pizzo Calabro, Catanzaro, e dal 1814 a Cosenza, reclamato dai numerosi argentieri che già operavano in città. Negli anni successivi per rendere ancora più agevole la lavora- zione degli argenti nelle province, non sarà neppure necessario recarsi a Napoli per conseguire la "patente" in quanto fu ritenuto sufficiente soltanto un permesso rilasciato dal sindaco delle varie località: inizia- tiva che in molti casi contribuirà ad un certo scadimento dell'arte orafa. Di questi manufatti - che avrebbero dovuto essere di numero consistente - c'è scarsa menzione nel catalogo se si escludono lavori di Giuseppe Sorbilli e della bottega dei Russo, mentre vengono a pre- ferenza ancora illustrati argenti realizzati a Napoli. Tuttavia, nel com- plesso, dopo i nostri studi su opere custodia Mileto, Gerace, Tropea, Vibo Valentia e più ancora con le nuove acquisizioni di questa recen- te Mostra cosentina pure con non pochi esemplari inediti, abbiamo avuto la certezza dell'esistenza in Calabria di preziosi esemplari di ar- genteria napoletana in numero superiore alle previsioni. E per fortu- na, malgrado tutto, è ancora possibile rinvenire antichi, preziosi ma- nufatti provenienti dalla città partenopea come - tanto per restare in Italia - i molti argenti reperibili in Puglia, in Abruzzo, che pure van- tava una sua antica, gloriosa tradizione di arte orafa, fino agli argenti inviati in Valtellina dagli emigranti i quali fin dal Cinquecento veni- vano nella nostra città per fare lavori pesanti o commerciare in vino, riunendosi per le celebrazioni religiose nella chiesa di S.Pietro ad Aram. Costituitisi nelle Società ''Fratelli benefattori di Napoli" offri- vano dipinti, pxati liturgici e soprattutto lavori in argento alle chiese dei loro luoghi di origine, di cui superstiti esemplari sono stati di re- cente catalogati e presenti in Mostre: ultima quella di Sondrio del 2002:

La Mostra di Palazzo Arnone espone pertanto argenti dal Quattro e Cinquecento fino all'ottocento inoltrato. Tra i manufatti più anti- chi si notano la famosa ferula di Reggio Calabria, alcune croci quat- trocentesche e i busti reliquiari di San Gregorio Nazianzeno e di San Biagio. Degli argenti sei settecenteschi, a parte qualche esemplare proveniente dalla vicina città di Messina, sono stati portati in Mostra numerosi manufatti realizzati dai più illustri rappresentanti dell'Arte argentaria napoletana, come i De Blasio, i Guariniello, i Giordano, i Del Giudice, accompagnati da schede esplicative spesso di buon livel- lo, come certamente quelle di Giorgio Leone. Interessanti alcuni ar- genti sei settecenteschi di uso anche profano come la bella alzata di Francesco Cangiani del Museo diocesiano di Catanzaro, la brocca di Francesco Avelllino della cattedrale di Gerace e un servizio da lavabo col raro punzone di Matteo Treglia: argenti molto più rari anche per il mutare della moda che sempre ha contribuito alla sostituzione di più antichi esemplari, forse qualcuno ancora reperibile presso aristo- cratiche famiglie calabresi. N é deve destar meraviglia se in altri casi, pure per oggetti di eccellente lavorazione, mancano i marchi (molto opportunamente illustrati quando esistenti) e ciò poteva accadere in

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . [ I<RoNOs 12 Elio Catello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 201 i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . RECENSIONI I

quanto la punzonatura di garanzia rappresentava pur sempre un co- sto e per alcuni committenti che si servivano, a volte da più genera- zioni, di maestri provenienti dalla medesima famiglia, non si riteneva necessaria la garanzia sul titolo del metallo. È questo il caso dell'ine- dita custodia della Madonna di Romania della cattedrale di Tropea, di sicura provenienza napoletana, che mi ricorda la veste d'argento dell'Icona vetere della città di Foggia, opera di Giovan Domenico Vi- naccia. In altri casi, come per la Munta di Rossano, con il marchio consolare del famoso Orazio Scoppa, o dell'interessante ostensorio di San Tommaso d'Aquino nel Tesoro dell'Arcivescovado di Cosenza, col bollo consolare di Carlo Frezza, questi manufatti - come del re- sto è stato recepito - sono da assegnare con assoluta certezza agli stessi consoli che ritennero superfluo garantire se stessi imprimendo anche il proprio marchio di argentiere.

... Per quanto riguarda la statuaria in argento alle sette statue set- tecentesche delle Calabrie, da noi rese note nel recente volume sulla Scultura in argento del Sei e Settecento a Napoli, - fra le quali la Santa Domenica di Tropea, il San Nicola di Mileto e l'Assunta di Gerace , esposte anche alla Mostra "Santi e Giubili d'argento" tenutasi a Ca- podimonte nell'anno 2000 - si aggiunge ora la statua di San Nicola di San Marco Argentano, importante opera di Filippo Del Giudice per la quale sarebbe quanto mai opportuno indagare pure sull'artefice del modello scultoreo di ambito sanmartiniano.

Inoltre nelle "Tracce di biografie" dei maestri argentieri, preceduta da una onesto corsivo del Leone, alle notizie già acquisite si aggiun- gono solo gli argenti esposti in Mostra, mentre altre notizie potevano aggiungersi, anche per importanti opere perdute o irreperibili di cui si trova menzione negli Archivi. La bibliografia, ricca di almeno tre- cento voci, sembra privilegiare piuttosto opere di carattere generale, tralasciando numerosi contributi specifici apparsi in riviste d'arte co- me "Napoli Nobilissima","Ricerche sul '600 napoletano" "Antologia di Belle Arti" ed altre, senza considerare varie pubblicazioni di circo- stanza a partire dal 1974: contributi alcuni dei quali di indiscussa rile- vanza, come ad esempio quelli che riguardano le complesse persona- lità del Vinaccia e dei Vaccaro, anche se qualcuno di essi compare a pié delle schede. Infine per un catalogo di tale consistenza non avreb- be certo guastato un'indice dei nomi e dei luoghi, sempre auspicabile per una rapida consultazione in tempi nei quali la fretta sembra carat- terizzare ogni nostra azione. Tuttavia ben vengano simili Mostre e quest'ultima col patrocinio degli Enti locali, la disponibilità delle au- torità ecclesiastiche calabresi, la direzione scientifica di Giorgio Leo- ne, il coordinamento generale di Rosanna Caputo e la partecipazione di appassionati collaboratori, risulta particolarmente apprezzabile an- che per la valorizzazione di un patrimonio artistico a molti ancora sconosciuto.

RECENSIONI I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . i Pag. 202 Dino Levante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . KRONOS 12;

-p . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I

Francesca Ferrari (a cura di), Le cinquecentine mantovane della Bi- blioteca Comunale di Mantova, con saggi di Arnaldo Ganda, Cesare Guerra, Angela Nuovo, pp. 218, Firenze, Leo S. Olschki, 2008.

I1 Cinquecento, in ambito bibliologico, rappresenta l'affermazio- ne della nuova ars artificialiter seribendi. Spiccano l'uso di nuovi ca- ratteri e formati, di particolari generi di legature e ornamenti, l'impie- go costante del frontespizio (ancora non presente negli incunaboli). Si modifica anche la stessa impresa editoriale, sparisce la figura del ti- pografo che è pure punzonista, fonditore dei caratteri, legatore, li- braio. Nasce, nel XVI secolo, l'industria del libro, ma pure il commer- cio librario; il libro (com'era accaduto per i codici pergamenacei) non si trova più soltanto nei monasteri o nelle poche sedi universitarie, è sempre più presente in adeguati punti vendita nelle fiere, nei mercati, nelle piazze, anche nei piccoli centri urbani. I1 libro, specialmente con la diffusione della stampa a caratteri mobili, diviene merce interessan- te non solo per i colti docenti laici o religiosi, viene ormai acquistato dai mercanti, dai notai, dai medici, e in generale dagli aristocratici e dai borghesi, dagli esponenti delle classi più agiate e alfabetizzate dei mille comuni d'Italia. I1 prodotto tipografico nel Cinquecento è de- stinato alla vendita tramite una complessa e multiforme rete commer- ciale al dettaglio incentrata su cartolai con bottega e ambulanti, botte- ghe librarie (bibliopola) connesse alle tipografie o autonome, rapporti di commissione libraria che avvicinano i clienti locali periferici e quelli che risiedono nei centri culturali maggiori e ben più lontani.

Molti di quei volumi, insieme con le più rare edizioni del Quat- trocento, costituiscono i fondi antichi che impreziosiscono le biblio- teche storiche, o di conservazione. In ogni raccolta vi è sempre un nucleo fondante, iniziale, e il fondo antico, appunto, che è come un giacimento culturale; quella parte antica rappresenta la storia dell'isti- tuto la quale, oltre che raccontare le vicende di una città, rappresenta lo sviluppo di quella realtà culturale locale, la circolazione del pensie- ro. Da ciò scaturisce la necessità che una biblioteca di un certo presti- gio non può esimersi dall'avere un catalogo speciale. Catalogo speci- fico nel quale il catalogatore si muove come un archeologo che inizia a scavare per dare fruizione e valorizzazione a quei fondi. I cataloghi forniscono ulteriori informazioni su ogni esemplare, notizie che pos- sono riguardare l'autore, lo stampatore, le biblioteche che lo hanno custodito nei secoli, e che possono fungere da stimolo, un valido au- silio a eruditi, bibliofili e ricercatori per nuove ricerche e approfondi- menti. I1 fine di un catalogo risponde all'esigenza di consentire di in- dividuare le edizioni e localizzare gli esemplari dei fondi antichi con- servati nelle biblioteche. Importanti sono i criteri usati, il metodo, per la compilazione del catalogo la cui lettura, naturalmente, darà una maggiore comprensione del suo stesso contenuto. Compilato in mo- d o che sia esteticamente elegante da vedere, ma soprattutto esaustivo bibliologicamente e bibliograficamente, il catalogo speciale deve ri- sultare utile, offrendo tutti gli elementi necessari per la collazione delle opere descritte.

1 RECENSIONI I ..................................................................................... ............................................................................................................. : KRONOS 12 h o Levante Pag. 203 ..................................................................................... .............................................................................................................

Nel volume Le cinquecentine mantovane della Biblioteca Comu- nale di Mantova la curatrice Francesca Ferrari si è posta, con la com- pilazione analitica, non solo il fine di offrire uno specchio di parte del posseduto antico della Biblioteca Comunale Teresiana di Mantova, ma di far conoscere le caratteristiche tipografiche ed editoriali del pa- trimonio librario mantovano del XVI secolo. Scorrendo le schede ap- prontate e scientificamente elaborate, da quelle testimonianze si pos- sono tracciare le vie percorse dei vari possessori e la provenienza del- le librerie private e delle istituzioni mantovane che sono confluite e, in parte, hanno dato origine all'istituzione libraria comunale. I volu- mi provengono essenzialmente dalle biblioteche degli Ordini sop- pressi, dai gesuiti, dallYAccademia Reale di Scienze e Lettere. A quelli si sono aggiunti i patrimoni librari acquisiti, poi le donazioni e i lasci- ti testamentari di eruditi e intellettuali mantovani. Le note di posses- so e gli ex-libris (indizi metatestuali che consentono di ricostruire le vicende di un libro) apposti sui frontespizi, sulle carte di guardia o controguardia, sugli antiporta di molti esemplari, offrono importanti notizie sulla loro appartenenza ad una librària (come si chiamavano allora le raccolte di libri), ad un fondo e alla provenienza originale e ai vari passaggi di proprietà e d'uso.

Nel catalogo sono state analizzate 192 edizioni mantovane, di cui 24 ebraiche di testi rabbinici e scientifici (pp. 157-162). Dall'esame dei loro contenuti si possono trarre delle deduzioni a proposito dei gusti, così come dell'utilità di alcuni testi. Le famiglie patrizie, i pos- sessori illustri avevano acquistato libri di storia naturale, di antiqua- ria, di argomento giuridico, medico, di diplomatica, di studi sull'arte e di storia della città gonzaghesca, di storia letteraria e biografica. Mentre i libri provenienti dagli Ordini soppressi, dai citati gesuiti, dai carmelitani, agostiniani, certosini, domenicani, benedettini, francesca- ni, cappuccini, presentano una netta prevalenza di testi religiosi, di teologia, filosofia, sacre scritture, testi scolastici, decreti vescovili, at- testati per indulgenze, regole monastiche, sillogi dei privilegi, opere di classici, agiografia, di argomento spirituale e ascetico.

La studiosa, che nel catalogo ripropone, debitamente aggiornata, la sua tesi di laurea discussa nell'anno accademico 1997-1998 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'università degli studi di Parma, dedica particolare attenzione agli aspetti bibliologici e all'apparato iconografico dei singoli volumi, in particolare ai caratteri tipografici, ai capilettera, alle marche tipografiche, alle insegne editoriali, alle fili- grane, alle incisioni, alle legature (considerate l'abito del libro, che non solo lo conserva ma lo impreziosisce, costituendo una specie di status symbol del committente), allo stato di conservazione e alle fon- damentali note di possesso. Vengono attentamente descritti anche gli apparati paratestuali: opere degli autori secondari, introduzioni, pre- fazioni e dediche. Informazioni, come si fa notare nei tre puntuali saggi introduttivi, assenti nelle schede sintetiche di Edit 16, il sito a cura dell'Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle Biblioteche Italiane e per le Informazioni Bibliografiche (ICCLJ), dal 2000 consul- tabile in rete <http://edit.lb.iccu.sbn.it>.

I RECENSIONI I Dino Levante KRONOS 12;

Dal fondo librario, quanto mai ricco e omogeneo della produzio- ne tipografica cinquecentesca mantovana, scaturisce una Mantova ric- ca oltre che di pittori, scultori, architetti, anche di librai, tipografi, editori e stampatori, un capoluogo intellettualmente vivace. Si po- trebbe obiettare che nell'era di Internet, dei libri elettronici, della multimedialità, parlare di libri e di biblioteche sembrerebbe quasi fuori luogo. Proprio contro questo luogo comune, si può dire, è nato e cresciuto questo catalogo, con lo scopo diretto di mettere in luce l'importanza e il pregio culturale dei libri descritti; di far apprezzare l'interesse e l'importanza bibliologica dei volumi presi in esame, dal punto di vista editoriale, tipografico, iconografico e delle altre com- ponenti essenziali alla conoscenza del libro in quanto prodotto arti- gianale e culturale. I libri così conosciuti potranno essere più amati, custoditi e considerati parte integrante del patrimonio culturale di quella città e di tutto il Paese, al pari delle espressioni artistiche, stori- che e paesaggistiche.

Oltre al ricco apparato iconografico, il volume contiene la ristam- pa anastatica dell'lnformatione vera di quanto sin'hora è occorso fi-a Giacomo, e Tomaso Ruffinelli, e t Francesco Osanna intorno alla stampa, piccolo opuscolo del 1598 che ripercorre il contenzioso tra i due più importanti stampatori della città sul finire del XVI secolo. Unico nel panorama italiano, vero e proprio libello di auto-difesa, che ripercorre tutta la vicenda del privilegio e di ciò che ne seguì.

I1 censimento librario di quanto edito nella città dei Gonzaga a partire dal 1507, è arricchito, infine, da utili indici finali (cronologico, alfabetico degli stampatori, dei dedicatari, dei possessori, dei nomi).

Dino Levante

RECENSIONI I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . i KRONOS 12 Dino Levante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 205 j

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Franca Petrucci Nardelli, Legatura e scrittura. Testi celati, messaggi velati, annuncipalesi, pp. 206, Firenze, Leo S. Olschki, 2007.

Legatura e scrittura. Testi celati, messaggi velati, annunci palesi, questo il titolo del volume di Franca Petrucci Nardelli, già affermata autrice del fortunato libro La legatura italiana: storia, descrizione, tecniche (XVXIXsecolo), Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1989, stu- diosa della storia politica e culturale dellYItalia medievale e moderna e in particolare della storia del libro e della legatura dal medioevo al- l'età contemporanea e curatrice di edizioni critiche di testi medievali, rinascimentali e moderni. Nel libro l'autrice, già insegnante di Storia della legatura in vari atenei italiani e dal 1995 all'università di Pisa, e che dal 1983, insieme con il marito Armando Petrucci, è stata docente in varie istituzioni statunitensi e dal 2006 titolare della Chair of Ita- lian Culture dell'università di Berkeley in California, analizza il rap- porto esistente tra scrittura e legatura. La novità della ricerca condot- ta in questo studio bibliologico risiede nel voler giustamente conside- rare la legatura non solo come struttura e a se stante, ma come costi- tuente anch'essa un supporto scrittorio.

Articolato in tre parti, la prima prende in esame le scritte preesi- stenti alla legatura, apposte sul materiale in essa riutilizzato; la loro presenza ha trasformato la legatura in un sistema di conservazione in- consapevole, salvaguardando nel suo interno materiale di recupero scritto, che talvolta può essere testimonianza grafica di qualche im- portanza e fornire preziosi dati di interesse storico. La seconda tratta delle scritte eseguite contemporaneamente alla realizzazione della le- gatura, funzionali, dunque, al libro quando forniscono il titolo, il no- me dell'autore o altri elementi relativi alle persone legate al libro, co- me indicazioni di donatori o donatari, di possessori o dei legatori, cioè dei produttori dello stesso manufatto. Infine, la terza parte con- cerne le scritture eseguite su parti della legatura successivamente alla sua realizzazione, le tracce residue che qualcuno, per qualsiasi moti- vo, ha lasciato usando il materiale da custodia, o alcune sue parti, co- me supporto scrittorio per annotazioni della più svariata origine.

Dopo aver affrontato il problema delle scrittura preesistente alla legatoria, l'autrice, passando alla scrittura contemporanea alla esecu- zione della legatura, si sofferma sull'esame delle particolarità delle le- gature preziose, quali le legature in avorio, in e con metalli preziosi, e quelle con smalto. Nell'ambito delle legature a placche analizza quel- le franco-fiamminghe, le germaniche e quelle moderne. Poi passa alle «biccherne», ossia a quel particolare tipo di legatura medievale che usava i piatti in legno privi di copertura e dipinti, alle legature con de- corazione incisa, sino a quelle impresse con lettere. Di queste ultime descrive le caratteristiche del titolo, del nome dell'autore del volume, poi il committente, il donatario, la data, i motti, il nome dello stesso legatore. Infine, l'autrice passa al tema della scrittura apposta succes- sivamente alla realizzazione della legatura, considerando le annota- zioni relative al libro, al testo, all'editore o, genericamente all'autore. Sulle annotazioni concernenti insieme il libro e il suo possessore, o

I RECENSIONI 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . f Paa. 206 Dino Levante KRONOS 121

soltanto sul possessore, o riguardanti in generale utenti non identifi- cabili con il possessore, si chiude il volume. Fanno seguito l'elenco delle opere citate con abbreviazioni e gli utili indici delle illustrazioni e delle legature citate nel testo.

La presenza della scrittura nelle legature non è materia nuova in bibliologia, nuovo invece è il metodo di studio specialmente in rap- porto alla precisa ubicazione e alla definizione della sua funzione e sua sistematizzazione. La legatura, alla luce di questi studi, costituisce lo scrigno che racchiude e conclude la materializzazione del pensiero volatile (custodito nel testo del libro); vuole essere considerata nella sua funzione protettrice non solo alla materialità del libro, ma anche del messaggio testuale del quale, per mezzo della scrittura, essa con- tiene. I1 protagonismo della scrittura «è piuttosto notevole nelle lega- ture contemporanee, per le quali non c'è limite alle invenzioni grafi- che, relativamente alla forma e alla disposizione delle lettere, come anche alle tecniche esecutivo (p. 183).

Molto spesso si parla dei libri e quasi mai delle legature. I1 conte- nuto testuale prende il soprawento sull'importanza che invece può rivestire la parte esterna del volume. Molti libri antichi non presenta- no più le coperte originali, sostituite nel corso degli anni, a seguito di interventi di restauro, o nel caso di esemplari provenienti da fondi privati, per pure esigenze estetiche, magari al fine di ottenere l'unifor- mità estrinseca della collezione voluta. Cucendo i fascicoli, ottenuti assemblando i fogli stampati e piegati, talvolta intercalati tra loro, si compone un esemplare del libro; la legatura interviene per rendere quell'insieme così ottenuto strutturalmente solidale conferendogli una certa protezione attraverso una coperta, quasi sempre caratteriz- zata da particolarità che alcune volte assumono valenza artistica. La modalità di cucitura dei fascicoli interesserà la legatura specialmente se si avrà la presenza e il rilievo di nervature dorsali di collegamento tra gli stessi gruppi di fogli. In ambito bibliologico particolare impor- tanza riveste lo studio della legatura rivolto alla conoscenza dell'im- piego di determinati materiali per la realizzazione della coperta e del- la sua struttura, delle decorazioni dei piatti, dei tagli, dei dorsi e delle altre parti comunemente intese esterne al libro, al manufatto tipogra- fico artigianale.

La tipologia delle legature è piuttosto eterogenea, caratterizzata sostanzialmente da coperta in pelle, o mezza pelle, verde o maculata con impressioni dorate (sui dorsi e sui piatti), tagli colorati a spruzzo, o marmorizzati in rosso e blu, le carte di guardia e controguardia spesso colorate anch'esse in rosso e blu. Coperta che può essere in pergamena (intera o mezza pergamena), in forma rigida, semirigida o floscia, le quali possono avere su di essere indicazioni manoscritte (una tipologia di legatura abbastanza diffusa nei secoli XVI e XVII). Determinanti furono nel Cinquecento l'uso delle iniziali singole o monogrammi, dei filetti impressi e non più incisi, l'influsso che il frontespizio ebbe sulla legatura fornendo una disposizione della scrittura più tipografica che epigrafica, e l'uso del volgare «come se la conquistata legittimazione della lingua straripasse all'esterno del li-

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bro, appropriandosi, in modo non tradizionale, di ogni possibile spa- zio di scrittura». Altro tipo di coperta può essere quella costituita in semplice cartone (ottenuto dall'assemblaggio, attraverso colle, di più strati di carta anche già usata), coperta utilizzata soprattutto per edi- zioni di piccolo formato, opere poco voluminose. Coperte in pelle impreziosite da graffe di cuoio, tenoni metallici e impressioni dorate su entrambi i quadranti si contendono la loro bellezza artistica con quelle ornate da cornici dorate, impresse sui quadranti, in cui com- paiono i titoli delle opere e il nome del proprietario del libro.

I1 nuovo contributo mette in evidenza la presenza della scrittura ripercorrendo il tracciato tecnico-decorativo della legatura, non ab- bandonando la scansione cronologica e facendo emergere, con chia- rezza, i rapporti interconnessi tra queste due entità, talvolta stretti o strettissimi, talaltra scarsi e tuttavia sempre emblematici e ricchi di si- gnificato. Infine, pone l'attenzione sulla polifunzionalità della legatu- ra, intrinseca ed estrinseca, e ad un tempo stimola all'approfondimen- to di argomenti che, partendo dallo studio complessivo del manufatto libro, aprono nuovi orizzonti sulla complessità culturale e sulla diffu- sione delle idee nei secoli.

Dino Levante

RECENSIONI I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , , . , . . . . . . , . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . [ Pag. 208 Marco Leone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . KRONOS 12; ........................................ - - - - - - - - - - ................ - - - - .......................................

Giordano Bruno Guerri, D'Annunzio. L'amante guerriero, Milano, Mondadori, 2008, Collana <<Le scie», pp. 328.''

La complessa e dinamica vita di uno scrittore d'azione come Ga- briele D'Annunzio ha da subito sollecitato l'interesse dei biografi. Dopo le prime biografie post-mortem, di impronta essenzialmente apologetica, e quelle scritte in lingua inglese e diffusesi a partire dagli anni Cinquanta, di orientamento avverso, si è aperta una fase di con- siderazione critica più equilibrata, tesa a respingere (a volte senza riu- scirci) letture mitizzanti o, all'opposto, condanne pregiudiziali e ideologiche. Sono stati così pubblicati negli ultimi tempi vari studi (fra gli altri: quelli di Gatti, Chiara, Alatri, Ulivi, Sorge, Cataldi, ecc.), sino ai libri più recenti di Woodhouse e, soprattutto, di Annamaria Andreoli (I l ((vivere inimitabile», del 2001), che hanno avuto il meri- to di problematizzare la figura dannunziana, depurandola da antiche incrostazioni interpretative e da un certo gusto romanzesco e scanda- listico'.

In questo rinnovato filone di studi biografici, si inserisce original- mente anche l'ultimo libro di Giordano Bruno Guerri (D'Annunzio. Z'amnnte guerriero, Mondadori 2008), pubblicato proprio nel settan- tesimo anniversario della morte del poeta, le cui vicende esistenziali sembrano perfettamente attagliarsi al tema di questa quattordicesima edizione della "Città del libro" di Campi Salentina ("La Storia, le sto- rie. Documento, favola, racconto"). La vita di D'Annunzio è, infatti, tutto questo insieme e ben si adatta a essere discussa in tale sede prendendo a spunto il libro di Guerri, che ce la rende partecipe e ric- ca di suggestioni, più di quanto non sia già di suo, con uno stile piano e accattivante e con un intento di utile ma mai superficiale divulga- zione, nella linea di altri suoi approfondimenti su importanti perso- naggi novecenteschi della storia e della cultura (Curzio Malaparte, Giuseppe Bottai, Italo Balbo, Galeazzo Ciano, Ernesto Bonaiuti e, da ultimo, Filippo Tommaso Marinetti).

La biografia dannunziana di Guerri si articola, dopo un'lntrodu- zione (pp. 3-5), in tre sezioni (L'ascesa, pp. 9-100; Lo zenit, pp. 101- 264; 11 declino, pp. 265-304)' che disegnano un'ideale parabola esi- stenziale, dalla formazione giovanile sino alla morte, per un totale di dieci capitoli aventi per titolo motti e frasi celebri del poeta; chiudo- no il libro una Conclusione (pp. 305-310) e, a corredo di esso, una fit- ta e aggiornata Bibliografia, l'Indice delle fonti iconografiche che ar- ricchiscono l'opera (tutte belle e significative foto d'epoca), quelli dei nomi e delle opere di D'Annunzio. Questa interna architettura in se- zioni individua le fasi cruciali della vita del poeta, correlandole reci- procamente in una visione unitaria che ne esalta.l'essenza estetizzante e la stessa natura di opera d'arte. Guerri ricostruisce questo percorso sulla base di uno spoglio capillare e sistematico delle fonti, delle testi- monianze personali del poeta, dei carteggi e della vasta bibliografia sull'argomento, con ottica imparziale e rigorosa, ma nello stesso tem- po appassionata e, a volte, militante, che punta deliberatamente a de- lineare una fisionomia nuova di alcuni momenti dell'esistenza del

I RECENSIONI 1 ..................................................................................... ............................................................................................................. : KRONOS 12 fiarco Leone ........................................................................ ........... ............................................................................................................. Pag. 209 ;

poeta, in particolare quello del D'Annunzio "fiumano". L'intera bio- grafia si poggia però su due plinti portanti e ricorrenti, come lo stesso titolo sottolinea con evidenza quasi ossimorica, e cioè la presenza co- stante e pervasiva, nella esistenza del poeta, di un binomio attivo an- che per la genesi dei suoi testi letterari: l'amore e la guerra. Una vita- listica pulsione erotico-agonistica attraversa, infatti, come un coeren- te filo connettore tutte le frastagliate vicende della vita di D'Annun- zio, rinserrandole intorno a questi due elementi maieutici e stimolati- vi. L'amore è quello per le innumerevoli donne che lo stesso D'An- nunzio incontrò nel corso della sua vita e con le quali intrecciò rela- zioni più o meno profonde: dalle esperienze giovanili (l'incontro con la Zucconi, il precoce matrimonio con Maria Hardouin, il rapporto con Barbara Leoni) alle compagne di vita nella dimora della Cappon- cina, la sua sontuosa residenza toscana (la D i Rudinì, la Mancini), o durante l'esilio francese (la franco-russa Goloubeff), per passare ad altre partners d'arte e di vita (la Gravina, la Bàccara, la celebre Eleo- nora Duse), fino alle figure femminili più effimere e trasgressive del- l'ultimo periodo di decadenza fisica e psicologica, accelerato da uno stile di vita irregolare e dall'uso della droga (la Rubinstein, la marche- sa Casati). Insomma, un variegato e folto universo femminino. Guer- ri segnala come queste donne, talora ridisegnate da fantasiosi pseudo- nimi, smarriscano spesso la loro reale identità e si trasformino in veri e propri fantasmi mentali, oltre il reale possesso fisico a cui le sotto- pose D'Annunzio, divenendone un riflesso narcisistico e tramutan- dosi così in segmenti imprescindibili della stessa biografia del poeta. In queste donne, che offrirono a D'Annunzio non poche volte spunti creativi e motivi d'ispirazione, realtà biografica e schema letterario, dunque, si fondono e si sovrappongono, dando luogo alla fenomeno- logia forse più evidente del «dannunzianesimo», inteso come u n complesso di atteggiamenti stilistici e comportamentali, come u n contegno antropologico e sociale, che mescola letteratura e vita, pa- role e azioni, estetismi aristocratici e spinte populiste e proletarie.

A questo polo erotico-amoroso Guerri ricollega l'altro, quello guerresco, ribellistico, antagonista diremmo oggi, soprattutto in rife- rimento alle imprese belliche di D'Annunzio (la beffa di Buccari, il sorvolo su Vienna), condotte a rischio della vita con impavido spre- gio del pericolo, e all'esperienza fiumana, una vicenda interpretata contraddittoriamente dagli storici, da alcuni come l'anticamera del regime fascista, da altri come un'impresa ispirata a propositi social- populisti, da altri ancora come una situazione essenzialmente non classificabile negli schemi storico-politici del tempo. Non v'è dubbio che l'esperimento fiumano costituì un sintomo grave della crisi del li- beralismo e un'espressione peculiare degli incipienti impulsi naziona- listici, ma per Guerri Fiume rappresenta anche qualcosa di più. Pur non rinnegando la presenza di un armamentario ritualistico, fatto di adunate, retorica bellicistica, discorsi alle piazze, che furono una in- negabile anticipazione della politica fascista, l'autore infatti, rivisitan- d o e aggiornando la specifica letteratura sull'argomento, individua nella vicenda di Fiume, più che un incunabolo del fascismo, la pre-

I RECENSIONI 1 i Pag. 210 Marco Leone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . KRONOS 12; . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

senza di elementi anticipatori rispetto alle avanguardie rivoluzionarie e ai movimenti di rottura del Novecento (primo fra tutti, il Sessantot- to). I1 «dannunzianesimo», insomma, trovò a Fiume un ambiente particolarmente favorevole e si manifestò in forma apicale, fra tra- sgressioni, anarchie, tendenze eversive e utopistiche, contro la coeva ipocrisia borghese e forse oltre le stesse intenzioni dello stesso D'An- nunzio. Altro che ritorno all'ordine o cupa irreggimentazione di regi- me: per l'autore i furori fiumani ebbero il sapore della libertà yuppie, anticiparono slogan celebri (d'arte e la fantasia al potere»), richiama- rono in nuce atmosfere da figli dei fiori o suggestioni politico-sociali ante litteram (il principio dell'autodeterminazione dei popoli, le istanze territorialistiche e localistiche, quelle internazionalistiche), fu- rono un preavviso composito e sorprendente della modernità. Questa tesi può essere più o meno condivisibile, ma presenta senza dubbio i tratti di una originale provocazione intellettuale, volta a smuovere le acque ritenute un po' troppo stagnanti delle interpretazioni dannun- ziane. A ben vedere, però, essa alla fine si inserisce pienamente, a mio avviso, in una linea storiografica che, approfondendo l'anima, per co- sì dire, movimentista e giovanilista del regime fascista, ne ha ricono- sciuto la genesi in una ricerca di modernità,.poi evolutasi in veste to- talitaria (penso, ad esempio, al concetto di «modernità totalitaria* messo a punto di recente, proprio a proposito del fascismo, da uno storico del calibro di Emilio Gentile)2. Forse Fiume è collocabile solo dentro questa peculiare anima del fascismo, se è proprio indispensa- bile rintracciarvi un collegamento con ciò che awerrà in seguito.

Le pagine dedicate a Fiume consentono all'autore di affrontare poi un altro tema largamente dibattuto, e cioè il rapporto di D'An- nunzio con l'ordine politico del Ventennio, un rapporto spesso ambi- guo e contraddittorio e molto indagato dagli storici e dagli storici della letteratura, che però non si può ormai considerare, alla luce del- le indagini più aggiornate, tenute presenti anche dal Guerri, semplice- mente risolvibile nella considerazione del poeta come intellettuale or- ganico al regime. Se D'Annunzio ne divenne senza dubbio un punto di riferimento ineludibile, è anche vero, però, che ciò awerrà in for- ma atipica, perché le gerarchie fasciste provvederanno ben presto a ri- dimensionare le novità fiumane più spinte e dirompenti della Carta del Carnaro (che prevedeva il divorzio, ad esempio, e la concezione della proprietà privata per finalità sociali o, ancora, una pioneristica attenzione al concetto di "bene culturale"), in una prospettiva di nor- malizzazione di quella vicenda. Gli stessi rapporti personali tra il Du- ce e il poeta, formalmente improntati a cordiale rispetto reciproco, furono venati in realtà, come rivela Guerri, da un sottile velo di diffi- denza nei confronti di chi aveva elaborato a Fiume un sistema simbo- lico ed esteriore, poi fatto proprio dal fascismo, perché nel nuovo si- stema D'Annunzio non era in realtà perfettamente inquadrabile, né in quel sistema era possibile neutralizzare le tensioni anomale, irrego- lari e utopistiche che il personaggio impersonava. Lo stesso D'An- nunzio in una lettera all'amico Renato Simoni del maggio '22 (a regi- me oramai quasi insediato), confidava l'esaurimento di quelle spinte

i KRONOS 12 I RECENSIONI Marco Leone Paq. 211 i

riformatrici e persino rivoluzionarie che avevano contraddistinto la sua creazione fiumana, riconoscendo nella politica italiana del tempo «una cassapanca fessa e tarlata., a causa della ((decrepitezza ingom- b ran te~ che l'aveva colpita (la lettera è citata a p. 274 del libro). Vec- chiezza fascista contro giovinezza fiumana, dunque, quella stessa «odiosa vecchiezza» anagrafica che colpisce il poeta, proteso sino al- l'ultimo a scongiurare a tutti i costi gli effetti dell'età avanzante (an- che attraverso l'uso di cocaina e di oppiacei e l'immersione parossisti- ca in una serie di amorazzi occasionali e fugaci), e che Guerri descrive efficacemente nell'ultimo capitolo, prima della conclusione.

E il letterato, quale ruolo ha in questa biografia? I1 creatore in- stancabile e prolifico di poesie, romanzi, opere teatrali non è un sem- plice sfondo al tratteggio del personaggio storico, anzi occupa uno spazio importante, giacché non può disgiungersi dall'inventore di ap- parati simbolici, di riti politici, di azioni clamorose, ma va di pari pas- so con il guerriero e con l'amante, in una identificazione simbiotica e trasversale tra letteratura e vita. Nel libro sono così analizzate anche le principali tappe della produzione letteraria di D'Annunzio, dal- l'apprendistato poetico giovanile, ancora pervaso da suggestioni car- ducciane (e al contrastato suo rapporto con il Carducci il poeta dedi- cherà, in occasione della morte di questi, una bellissima prosa intito- lata Di un maestro avverso), alla stagione romanzesca; dagli scritti drammaturgici sino alla prosa di ricerca del "notturno"; dalla grande poesia del Libro delle laudi alla scrittura intimistica e privata dell'ulti- mo D'Annunzio; dagli scritti di guerra (in particolare il dittico fiu- mano Il sudore di sangue e L'urna inesausta, del 1919, straordinari esempi di retorica tribunizia) all'immenso materiale epistolografico (l'autore ci ricorda a questo proposito che, oltre alle numerose epi- stole scritte di proprio pugno dal poeta, le lettere a lui indirizzate su- perano il milione). Le opere letterarie non sono, dunque, approfondi- te soltanto come supporto estrinseco alla ricostruzione biografica, ma come "pezzi di vita" dello stesso D'Annunzio, parte integrante del suo itinerario esistenziale, evitando però il rischio, allo stesso tempo, di una sovrapposizione automatica fra documento letterario e suo ri- flesso biografico. Soprattutto Guerri riesce costantemente a separare l'immagine ufficiale e pubblica che il poeta dava di sé, come costru- zione artificiale e calcolata, da quella reale, concreta e privata, richia- mata in superficie grazie al ricorso di testimonianze di amici e di so- dali: un'operazione che mi sembra particolarmente riuscita nella rico- struzione dei rapporti amorosi e della complessità della psicologia dannunziana, colta nelle relazioni interpersonali, nelle sue varie ma- nifestazioni (anche quelle di debolezza), nell'analisi dello sfondo di dettagli minuti e persino scabrosi. Pure attraverso questa via psicolo- gica e intimistica, mi pare, passa l'obiettivo finale e la vera novità di questa biografia, che all'acribia documentaria unisce la volontà di smontare un luogo comune della storiografia novecentesca, rimarcato dal biografismo anglosassone, quello di D'Annunzio come precurso- re dell'iconografia fascista: uno stereotipo semplificatore che, come tutti gli stereotipi, ha in sé molti semi di verità, ma che non esaurisce

RECENSIONI 1 .......... ...................... ... ........................ .. ....................... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . i Pag. 2-12 Marco Leone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . KRONOS 12; .............................................................................................................

di certo l'interpretazione di un personaggio tanto articolato e polie- drico, che ha fatto dell'incrocio tra storia e letteratura, tra arte e vita un nodo indissolubile e forse non esplicabile mai del tutto sino in fondo, ma sul quale il libro di Guerri offre senza dubbio spunti utili e innovativi.

N O T E

?Questo testo è stato letto la sera del 29 novembre 2008, in occasione della presen- tazione del volume nell'ambito dell'edizione 2008 della "Città del libro" di Campi Sa- lentina. Si pubblica qui solo con lievi ritocchi.

' Per un panorama complessivo, cfr. E. ALBERTELLI, Il vivere inesplicabile. Rasse- gna delle biografie dannunziane, in <<Testo», XXII, 41 2001, pp. 115-133.

Modernità totalitaria. Il fascismo italirtno, a cura di E. Gentile, Roma-Bari, Later- za, 2008.

ISSN 1724-2541