politiche della disuguaglianza nell’impero cristiano (iv-v sec.): aspetti della discriminazione...

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GIOVANNI ALBERTO CECCONI Politiche della disuguaglianza nell’impero cristiano (IV-V sec.): aspetti della discriminazione culturale e giuridica nei confronti delle minoranze ebraiche Noi abbiamo tutti appreso delle sofferenze e dei tormen- ti di Gesù Cristo, causati da coloro che si opponevano ai principî e ai valori divini e umani che egli ci ha insegna- to [...] Vostra Santità incarna la più alta autorità per pre- servare questi valori, tanto più che ci sono persone che tentano senza sosta di sottomettere di nuovo tutti i popo- li alle sofferenze e ai tormenti. Per questo motivo i nostri fratelli in Palestina sono assassinati e torturati, la giusti- zia è violata, e in conseguenza sono stati occupati territo- ri nel Libano, nel Golan e in Palestina da coloro che hanno anche eliminato il principio di uguaglianza quan- do hanno preteso che Dio aveva creato un popolo supe- riore a tutti gli altri popoli [...] Essi hanno tentato di eliminare tutti i principî delle fedi religiose, con la stessa mentalità che ha fatto loro tradire e torturare Gesù Cristo e nello stesso modo in cui hanno tentato di tradi- re il Profeta Maometto (che la pace lo accompagni). La messa in atto delle leggi divine obbliga a prendere posi- zione contro quelli che le negano. 1 Nel volume The Invention of Racism in Classical Antiquity (Princeton 2004) un autorevole storico di Roma imperiale, Beniamin Isaac (Università di Tel Aviv), ha sviluppato la tesi che, se nel mondo antico non è mai esistito un razzismo fondato su parametri del con- cetto di razza moderni e ‘scientificamente’ determinati —biologici e climatico-ambientali, secondo il modello ammesso pur con importan- 1 Dal discorso di benvenuto di Bachar el-Assad, Presidente della Repubblica Araba Siriana, in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II a Damasco, il 5 maggio 2001; cfr., P.A. Taguieff, Prêcheurs de haine. Traversée de la judéophobie planétaire, Mille et Une Nuits, Paris 2004, pp. 311-312. Occorre specificare, come è possibile verificare in rete, che il 9 mag- gio 2001 di fronte alle proteste suscitate dall’antisemitismo della sua orazione il presidente

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GIOVANNI ALBERTO CECCONI

Politiche della disuguaglianza nell’impero cristiano (IV-V sec.): aspetti della discriminazione

culturale e giuridica nei confronti delle minoranze ebraiche

Noi abbiamo tutti appreso delle sofferenze e dei tormen-ti di Gesù Cristo, causati da coloro che si opponevano aiprincipî e ai valori divini e umani che egli ci ha insegna-to [...] Vostra Santità incarna la più alta autorità per pre-servare questi valori, tanto più che ci sono persone chetentano senza sosta di sottomettere di nuovo tutti i popo-li alle sofferenze e ai tormenti. Per questo motivo i nostrifratelli in Palestina sono assassinati e torturati, la giusti-zia è violata, e in conseguenza sono stati occupati territo-ri nel Libano, nel Golan e in Palestina da coloro chehanno anche eliminato il principio di uguaglianza quan-do hanno preteso che Dio aveva creato un popolo supe-riore a tutti gli altri popoli [...] Essi hanno tentato dieliminare tutti i principî delle fedi religiose, con la stessamentalità che ha fatto loro tradire e torturare GesùCristo e nello stesso modo in cui hanno tentato di tradi-re il Profeta Maometto (che la pace lo accompagni). Lamessa in atto delle leggi divine obbliga a prendere posi-zione contro quelli che le negano.1

Nel volume The Invention of Racism in Classical Antiquity(Princeton 2004) un autorevole storico di Roma imperiale, BeniaminIsaac (Università di Tel Aviv), ha sviluppato la tesi che, se nel mondoantico non è mai esistito un razzismo fondato su parametri del con-cetto di razza moderni e ‘scientificamente’ determinati —biologici eclimatico-ambientali, secondo il modello ammesso pur con importan-

1 Dal discorso di benvenuto di Bachar el-Assad, Presidente della Repubblica ArabaSiriana, in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II a Damasco, il 5 maggio 2001; cfr.,P.A. Taguieff, Prêcheurs de haine. Traversée de la judéophobie planétaire, Mille et Une Nuits,Paris 2004, pp. 311-312. Occorre specificare, come è possibile verificare in rete, che il 9 mag-gio 2001 di fronte alle proteste suscitate dall’antisemitismo della sua orazione il presidente

ti sfumature dal genetista Cavalli Sforza—,2 in quel mondo non man-carono affatto giudizi, pregiudizi, discriminazioni basate sulle carat-teristiche somatiche, morali, caratteriali di una serie di gruppi etnicie culturali (talvolta collocati in una scala gerarchica di inferiorità osuperiorità), sulla purezza della stirpe ecc.3

L’individuazione, alla luce di un nuovo e più esauriente esamedella documentazione greco-romana, di una «early form of racism» o«proto-racism» ha modificato, per singoli elementi sino quasi al ribal-tamento, l’idea lungamente ricevuta di un mondo classico decisa-mente aperto al dialogo e alle mescolanze con le realtà esterne,propenso all’inclusione più che all’esclusione (i romani in misuramaggiore dei greci, grazie allo strumento del conferimento della civi-tas).4 Il vocabolario adottato da Isaac è spiegato nell’introduzione,dove sono richiamate molte delle moderne definizioni di razza —cate-goria respinta—5 e di razzismo —categoria della cui esistenza fenome-nologica l’autore prende atto: il razzismo quale conseguenza di ciòche gli uomini si illudono di sapere sulle razze.6

Quanto intendo riprendere in esame, in una chiave di epistemo-logia politico-religiosa, è la posizione durante l’epoca romana impe-riale del popolo che più a lungo e drammaticamente si è confrontato

Assad ha dichiarato (per la verità senza convincere nessuno, neppure Jean-Marie Lustiger,arcivescovo di Parigi e accompagnatore del papa nel viaggio siriano) che i suoi argomentisono stati travisati. La traduzione, strettamente aderente al francese, è mia.

2 L.L. Cavalli Sforza, Geni, popoli e lingue, Adelphi, Milano 1996. 3 «Greek and Roman Antiquity did not know the sort of racism that western civiliza-

tion developed in the nineteenth and twentieth centuries, since they had no concept ofbiological determinism...What the ancient world did have was a range of prejudices, pho-bias, and hostilities towards specific groups of foreigners...»: B. Isaac, The Invention ofRacism in Classical Antiquity, Princeton U.P. 2004, p. 37).

4 Dibattito precedente: per es., C. Tuplin, Greek Racism?, in G.R. Tsetskhladze (a curadi), Ancient Greeks West and East, Brill, Leiden 1999, pp. 47-75; per l’ambito romano, A.N.Sherwin White, Racial Prejudice in Imperial Rome, Cambridge U.P. 1967; D.B. Saddington,Race Relations in the Roman Empire, in «Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt», 2(1975), n. 3, pp. 112-137; J.P.V.D. Balsdon, Romans & Aliens, London-Chapel Hill 1979, conle valutazioni di Isaac, Invention, cit., pp. 39 sgg.

5 Il concetto di razza come fatto scientificamente fondato è acquisizione in via di unpo’ laborioso disfacimento, cfr., per es., Isaac, Invention, cit., p. 32, nota 85, sullo «statementon race» dell’UNESCO. A tal proposito, voglio citare la definizione data da Alberto AsorRosa degli ebrei: «da razza deprivata, perseguitata e decisamente ‘diversa’, è diventata unarazza guerriera, persecutrice...» (Id., La guerra. Sulle forme attuali della convivenza umana,Einaudi, Torino 2002, p. 191); non so se Asor Rosa sia ritornato con rettifiche o chiarimen-ti, a seguito delle polemiche suscitate, sulla valutazione da lui data della razza degli ebreinelle fasi connesse con la creazione dello stato di Israele, coerente con le critiche politichepesanti alla loro occidentalizzazione filo-imperialistica (sul tema della denuncia dell’ebreosionista filo-occidentale, cfr. egregiamente Taguieff, Prêcheurs, cit., pp. 24-25); non sapreidire se nei termini divenuti oggetto di polemica essa sia stata infelice lapsus di scritturapoco controllata oppure, ma tenderei a escluderlo, ignoranza di un dibattito culturale(appunto quello sulla legittimità dell’impiego del concetto di razza) pur così significativo.In merito a questo dibattito importante è Eric Voegelin, Razza, storia di un’idea, Medusa,Milano 2006, opera del 1933, ora ripubblicata in traduzione italiana.

6 Validità del concetto di racialism come dottrina del razzismo distinta dalla prassi raz-zista. Cfr. Isaac, Invention, cit., pp. 17-23.

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e si confronta con le problematiche del razzismo e dell’integrazione,ossia il popolo ebraico.7 Il fuoco della mia indagine sono i rapportidei cristiani con gli ebrei (termine qui preferito a quello di giudei,che mi limiterò ad adottare solo in stretta connessione con le fontiantiche che ne facciano uso) nella tarda antichità, tema rimasto aimargini delle ricerche di Isaac e, per quanto già ampiamente studia-to, suscettibile di approcci e riflessioni che ci si augura non del tuttobanali dall’angolatura che in questo fascicolo interessa.8

Due documenti, fra i tanti significativi, possono ben fungere da‘apripista’ di questo mio intervento, in quanto fotografano in unmomento critico (fine IV e primi lustri del V sec. d.C.), come nonunica ma predominante espressione, vuoi la prospettiva ecclesiasticavuoi le attitudini dei poteri civili nei confronti degli ebrei.

Un primo stralcio è tratto da un’omelia (la prima, PG 48, col.847) della serie Contro gli Ebrei del sacerdote, futuro illustre vescovocostantinopolitano e prolifico scrittore cristiano Giovanni Criso-stomo.9 Ne dò la seguente traduzione:

So che molti provano rispetto per i giudei e reputano onorevole la loroattuale organizzazione comunitaria [politeia]; perciò io incito a sradica-re del tutto questa pericolosa opinione. Ho detto che la sinagoga non èaffatto migliore di un teatro e mi appello alla testimonianza del profe-ta: i giudei non sono più fededegni dei profeti. Cosa dice dunque ilProfeta? «Tu hai fatto faccia da meretrice, ti sei comportato sfacciata-mente davanti a tutti» (Geremia 3,3). Là dove si prostituisce la meretri-ce, quel luogo è un postribolo. E anzi la sinagoga non è solo unpostribolo e un teatro, ma anche un rifugio di ladri, e una tana di ani-mali feroci. Infatti, dice «un rifugio di iena mi avete reso la vostracasa....» (cfr. Geremia 7,11). [...] Eppure anch’essi affermano con sicu-

7 Si veda specialmente Isaac, Invention, cit., pp. 440-491, con ulteriore vasta bibliogra-fia sull’antisemitismo o la giudeofobia antica alle pp. 440-441, nota 3. Un’importantemonografia è quella di P. Schäfer, Judeophobia: Attitudes toward the Jews in the Ancient World,Harvard U.P., Cambridge Mass. 1997. Lo stesso Isaac considera limitante l’impiego del-l’espressione giudeofobia (Invention, cit., p. 443), ma la sua notazione è eccessivamente‘filologica’: non si vede perché la giudeofobia dovrebbe a priori escludere l’analisi dell’osti-lità verso gli ebrei; sull’elemento di irrazionalità che il termine si porta dietro, cfr. ancheM.H. Williams in «Journal of Roman Studies», 89 (1999), p. 213. Per il concetto di giudeo-fobia rinvio al volume —dove l’asprezza della polemica politica si intreccia, dando luogo auna, per me, formidabile sinergia, con le digressioni di teoria sociologica— scritto da P.A.Taguieff, Prêcheurs, cit., pp. 137-200.

8 Dei risultati della Settimana di Studi tardoantichi e romanobarbarici di MonteSant’Angelo (9-14 ottobre 2006), dal titolo Ebrei e Cristiani fra IV e VIII secolo, non possotener conto al momento di andare in stampa con questo mio contributo. Fra i docenti pre-visti dal programma, G. Otranto, L. Cracco Ruggini, G. de Bonfils, F. Grelle, D. Lassandro,B. Luiselli.

9 Già autore di una apodeixis destinata ai giudei e ai gentili su Cristo che è Dio (PG 48,coll. 813 sgg.). Cfr. R.L. Wilken, John Chrysostom and the Jews: Rhetoric and Reality in the late4th century, University of California Press, Berkeley 1983; M. Waegemann, Les traités‘Adversus Judaeos’. Aspects des relations judéo-chrétiennes dans le monde grec, in «Byzantion» 56(1986), pp. 295-313, spec. 303 sgg.; J. Hahn, Gewalt und religiöser Konflikt. Studien zu denAuseinandersetzungen zwischen Christen, Heiden und Juden im Osten des Römischen Reiches (vonKonstantin bis Theodosius II), Akademie Verlag, Berlin 2004, pp. 143-145 e nota 101.

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rezza di adorare Dio; ma come permettersi di dire ciò: nessun giudeoadora Dio. Chi lo dice? Il Figlio di Dio. Dice: «Se infatti conosceste ilPadre mio, conoscereste anche me; non conoscete me e neppure ilPadre mio» (cfr. Giovanni 8,19). Quale testimonianza degna di mag-gior fede di questa dovrei addurre?Se non conoscono il Padre, hanno crocifisso il Figlio, hanno ripudiatolo Spirito Santo, chi non avrebbe il coraggio di esprimere l’opinioneche questo luogo è sede di dèmoni diversi? Dio non vi è adorato, nonc’è: ma è quindi terreno lasciato all’idolatria, e tuttavia alcuni approda-no a questi luoghi come a luoghi sacri.

La prospettiva di Giovanni Crisostomo, sulla quale torneremo piùavanti e che solo in parte trova le sue motivazioni nel particolare con-testo urbano dove le prediche furono tenute,10 costituisce un’espres-sione estrema, sia per l’ampiezza delle argomentazioni che perl’asprezza dei toni, di una pubblicistica adversus Iudaeos comunquericchissima. Di essa è inutile qui riepilogare la lunga sequela: investi-va figure di alto profilo della cultura cristiana, affondava le sue radicinella tradizione neotestamentaria, ma dal IV sec. poteva appoggiarsisul sostegno dei legislatori, a loro volta influenzati dalle più generaliattitudini e dal clima politico presenti nella società del tempo.

Un secondo documento che vale la pena di citare ha, appunto,carattere giuridico: si tratta di una costituzione emanata da Ravenna,capitale della parte occidentale dell’impero, nel 418 (CodiceTeodosiano, XVI, 8, 24) ed è una tappa importante del processo in attodi conculcamento dei diritti degli ebrei da parte degli imperatori. Nedò la seguente traduzione:

A coloro che vivono nella superstizione giudaica sia impedita la possibi-lità di accedere a una carica pubblica. Chiunque d’altra parte abbia giàfatto il giuramento di fedeltà tra gli agenti di stato o tra gli impiegati dicorte abbia la facoltà di continuare a percorrere e di terminare la car-riera [....] Stabiliamo peraltro senza ambiguità che coloro che, legati aquesta etnia perversa, sono risultati aver tentato di entrare nell’eserci-to, siano tenuti lontani dal servizio militare, senza nessun tipo di patro-cinio fondato su meriti pregressi. Certamente non togliamo ai giudeiistruiti negli studi liberali la libertà di esercitare l’avvocatura e permet-tiamo loro di ottenere l’onore di partecipare alle funzioni municipali,onore garantito da una nobile origine familiare. Costoro, ai qualidovrebbero bastare queste prerogative, non devono giudicare il divietodi ottenere le cariche pubbliche come una punizione.

Per dar conto dei contenuti e delle implicazioni di questa leggerimando all’ultima parte del lavoro, non senza notare da subitocome le motivazioni religiose siano parzialmente celate dietro il lin-

10 La metropoli siriaca di Antiochia, dove (co)esisteva e compartecipava alla vitamunicipale una forte comunità ebraica capace di forza attrattiva (Iudaizantes) e di minac-ciare la coesione dei cristiani (cfr. nota 36); V. Déroche, Iudaizantes, in «Reallexicon f!rAntike und Christentum» 19 (2001), pp. 130-142.

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guaggio della cancelleria palatina, che modula toni di aggressivitàverbale più aperta (e non casuale, data la cura retorica con cui i testilegislativi erano elaborati dalla segreteria imperiale) solo nelle for-mulazioni dell’originale Iudaica superstitio e poi gentis huius perversi-tati devincti .

1. Il retroterra ellenistico-romano della questione ebraica

Il comunitarismo, inteso quale propensione all’autarchia, orgo-glio di nazione eletta, sistema di pratiche canonizzate (e percepite intutta la loro anomalia: la dieta, il sabato, la circoncisione ecc.), fu ilprimo e più forte motivo delle persecuzioni e dei conflitti che coinvol-sero gli ebrei a partire dall’antichità più remota —come testimoniatodall’Esodo per l’Egitto faraonico, più tardi per le campagne militariassire e babilonesi.11

Inizialmente più felice, il rapporto tra Roma e gli ebrei si originanel quadro del conflitto per la supremazia sul Mediterraneo orienta-le. Il Senato di Roma, secondo un tipico schema operativo della suapolitica internazionale, si pone come arbitro di controversie diploma-tiche e protettrice di realtà esterne minacciate: nella fattispecie degliebrei e delle loro istituzioni dinanzi alle minacce di abrogazione deiprincipî della Torah da parte dei Seleucidi di Siria sotto la cui sovra-nità era passata la Palestina e la Giudea con Gerusalemme. Nel 168a.C. il Tempio, che tradizionalmente fruiva di uno statuto organizza-tivo e finanziario speciale, si vide imporre da Antioco IV il culto diZeus Olimpio, e Gerusalemme venne trasformata in città greca. Larivolta organizzata da Giuda Maccabeo condusse pochi anni dopo alripristino dello status quo ante; frattanto, sullo sfondo Roma si muoveper indebolire il regno di Siria, suo nemico da alcuni decenni. Al 161risale un primo trattato bilaterale tra Roma e l’ethnos dei giudei, poirinnovato: la Giudea ottenne così l’indipendenza dalla Siria ma ini-ziava a entrare nella sfera di influenza romana.12

Nei secoli successivi si osserva una duplice e interrelata tendenza. Da un lato, i romani perseguono con sicurezza i loro obiettivi ege-

monici. Vicende ben note portano alla conquista pompeiana dellaGiudea e alla sua perdita di indipendenza, al controllo romano deiprincipati e dei sinedrî ebraici e ancora, in epoca flavia, dopo la presa

11 Per un primo approccio serio e succinto sulla storia più antica della Siria-Palestinae delle monarchie ebraiche, cfr. M. Clauss, Introduzione alla storia antica, tr. it. PiccolaBiblioteca Einaudi, Torino 2002, pp. 17-45.

12 In I Maccabei (8), Roma con le sue istituzioni viene elogiativamente descritta, nonsenza imprecisioni, come alleato e patrono. Per un buon orientamento sui rapporti politi-ci tra Roma e la Giudea, cfr. A. Momigliano, Saggezza straniera, tr. it. Torino 1980, pp. 101-126; inoltre il magistrale studio del compianto (scomparso il 28 luglio 2006) P.Vidal-Naquet, Les Juifs entre l’Etat et l’Apocalypse, in C. Nicolet (a cura di), Rome et la conquê-te du monde méditerranéen. 2. Genèse d’un empire, Presses Universitaires de France, Paris 1978,pp. 846-882 e G. Firpo, I Giudei, in Storia di Roma 2.II, L’impero mediterraneo, I Principi e ilmondo, Einaudi, Torino 1991, pp. 527-552, specialmente pp. 527-530 per le fasi di II sec. a.C.

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di Gerusalemme da parte di Tito, ormai da tempo avvenuta la trasfor-mazione della Giudea da stato cliente di Roma in vera e propria pro-vincia, all’istituzione di un sistema tributario (fiscus Iudaicus)particolarmente esoso perché obbligava le comunità ebraiche a stor-nare verso il tempio di Giove Capitolino a Roma gli oboli prima ver-sati al Tempio ierosolimitano; seguiranno la grande diaspora, lerivolte antiromane, sanguinosamente represse, esito di conflittualitàsotterranee per le quali funsero da detonatore vessazioni come larifondazione adrianea di Gerusalemme —secondo lo schema già adot-tato da Antioco IV— come Colonia Aelia Capitolina, città pagana, inter-detta agli ebrei, avente ora come luogo principale di culto un tempioper la massima divinità romana.

Dall’altro lato, l’inassimilabilità della minoranza ebraica non èmai considerata equivalente a un’univoca ostilità all’impero —forseanche date le forti divisioni interne al mondo ebraico, sia sotto il pro-filo religioso sia in merito all’atteggiamento più o meno aperto allacollaborazione con Roma— , il suo monoteismo è giudicato rispettabi-le per antichità e carattere nazionale (a differenza del cristianesimopiù recente e universalistico), relativamente innocuo in quanto nonproteso strutturalmente verso forme di proselitismo su larga scala.13

Dunque il riconoscimento identitario degli ebrei come nazionedegna di uno statuto in qualche modo ‘autonomo’ non venne menoneppure dopo gli episodi più gravi di lotta armata. Si ritiene che nonsia mai esistita una costituzione generale tesa a regolamentare i dirit-ti degli ebrei nelle periferie dell’impero, ma ci sono testimonianze disvariati specifici provvedimenti senatorî e imperiali (molti riportatida Flavio Giuseppe nelle Antichità Giudaiche) destinati a tutelare van-taggi ed esenzioni tradizionalmente garantiti.14 Artefice di ecceziona-li iniziative di amicizia nei confronti delle comunità ebraiche fuCesare, poi seguito da Augusto. Interventi più restrittivi, quando nonintolleranti, nei confronti del culto religioso o della vita sociale cheattorno ad esso svolgevano gli ebrei ebbero, nel corso del I secolod.C., carattere congiunturale.15

13 Il tema della differenza fra un giudaismo poco incline al proselitismo e un cristia-nesimo che di esso faceva una missione sistematica per dettame divino è oggi sottoposto auna revisione, nel senso di una valorizzazione del fenomeno della conversione all’ebrai-smo come politica deliberata da parte delle sue autorità religiose e politiche. Quest’ultimoaspetto è ammesso solo per l’età imperiale avanzata da M. Goodman, Mission Conversion:Proselytizing in the Religious History of the Roman Empire, Clarendon Press, Oxfopr 1994. Devoall’amico Ariel Lewin la segnalazione.

14 C. Saulnier, Lois romaines sur les Juifs selon Flavius Josèphe, in «Revue Biblique» 88(1981), pp. 161-198; M. Pucci Ben-Zeev, Jewish Rights in the Roman World, Mohr Siebeck,T!bingen 1998.

15 Una situazione particolarmente spinosa di tensione fra alessandrini greci e comunitàebraica caratterizzava durante i regno di Caligola e di Claudio la più grande città della dias-pora precedente al 70 d.C., Alessandria d’Egitto: F. Millar, L’impero romano e i popoli limitrofi,tr. it. Feltrinelli, Milano 1968, pp. 203-205; J. Mélèze-Modrzejewski, L’Egypte, in C. Lepelley (acura di), Rome et l’intégration de l’Empire 44 av. J.-C.-260 ap. J.-C., 2. Approches régionales du Haut-Empire romain, Presses Universitaires de France, Paris 1998, pp. 438-493; 485-490.

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Se la religione ebraica conosce una vivibile soglia di accettazionesociale, se l’intolleranza non viene mai esercitata per iniziativa delleautorità romane nei confronti degli ebrei (e anche gli interventirepressivi spesso rientrano in un’ottica di più generale buona ammini-strazione), la tendenza comunitaristica —da non ampliare a dismisura—favorisce senz’altro il diffondersi di un’immagine dell’ebreo stranie-ro/nemico del genere umano,16 asociale, geloso e arcigno custodedella propria cultura vista come superiore alle altre: un’immagine (dicui occorrerebbe vedere se già nella prima età imperiale fosse traspo-sta iconograficamente) che ha un suo spazio anche rimarchevole nellefonti antiche.17 Quello che mi pare una sorta di complesso di omologa-zione mancata è emblematizzato da Filostrato, scrittore di III sec. chenella biografia del santone pagano Apollonio di Tyana attribuisce a unpensatore stoico istruttive convinzioni sulla quotidianità anomala degliebrei: essi sono diversi, non condividono col resto del genere umano ilpiacere del cibo né lo stesso modo di pregare o di fare sacrifici, «sonodistanti da noi più di Susa e di Battria e, per andare ancor oltre, degliabitanti dell’India» (Filostrato, Vita di Apollonio 5,33). La distanza cultu-rale e sociale è qui iperbolica, tanto da essere rappresentata in terminigeografici, diremmo quasi chilometrici. Per Tacito, uno degli autoriromani in cui i toni antigiudaici sono più accentuati, anche se talvoltaessi sono sovrapponibili con quelli usati verso i cristiani, si tratta pro-prio di un rovesciamento intollerabile del modo di percepire la realtà:Profana illic omnia quae apud nos sacra, rursum concessa apud illos quaenobis incesta; questo tipo di diagnosi è fatta dal celebre storico (maanche da altri letterati del tempo come Giovenale e anche Marziale),anche in una chiave politica, dacché conseguenza di tali attitudini ènecessariamente il rifiuto della patria comune, Roma e l’impero, deisuoi valori e delle sue leggi (per es. Tac. Storie, V, 4-5; Giovenale, Satire,14, vv. 100-104; cfr. già Cicerone, In difesa di L. Valerio Flacco, 69).18

Una parte dell’opinione intellettuale aveva qualche rispettosa sog-gezione per il monoteismo e le sue manifestazioni rituali (Varrone in

16 Testi antichi sull’«odio del genere umano» degli ebrei: T. Reinach, Textes d’au-teurs grecs et romains relatifs au judaïsme, Paris 1895, pp. 306-309; Schäfer, Judeophobia, cit.,pp. 58-61.

17 Evocherei qui un dialogo fra rabbini, risalente alla fine del I secolo (Talmud babilo-nese), e centrato sul giudizio dell’urbanistica ellenistico-romana: «Rabbi Judah disse: ‘Comesono belle le opere di questi uomini! Essi hanno fatto strade, hanno costruito ponti, hannoedificato terme’. Rabbi Jose se ne stava seduto in silenzio. Rabbi Simeon ben Yohai disse:‘Tutto quello che hanno fatto l’hanno fatto per se stessi; hanno costruito piazze del mercatoper metterci prostitute, bagni per ringiovanirsi, ponti per imporre su di essi un pedaggio’»;Millar, Impero romano, cit., p. 223. Intendiamoci: sarebbe schematico anche solo sospettareche gli ebrei siano stati impermeabili alle culture con le quali vennero a contatto, e, per quan-to qui in esame, in particolare con quella ellenistico-romana (il caso meglio conosciuto diellenizzazione del giudaismo è espresso negli scritti di Filone di Alessandria ma già nell’am-bito della koinè ellenistica una sintomatica manifestazione dell’influenza greca è la composi-zione di tragedie di impianto greco a soggetto biblico, per es. quella dal titolo Exodos).

18 Già Cicerone ribadiva la inconciliabilità della religione ebraica con le istituzioniromane: Isaac, Invention, cit., pp. 466-467.

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Agostino, Plutarco, Cassio Dione). Nelle insistite lagnanze delle fontigreche e latine circa la natura degli ebrei, probabilmente incubate inambiente egiziano ellenistico, si coglie un indotto senso di inferioritàche doveva a volte produrre reazioni violentemente asimmetriche:sembra potersi sostenere che l’annientamento del popolo ebreo edella sua religione non fosse del tutto assente dalla circolazione delleidee sia in epoca ellenistica che romana alto-imperiale, così come sug-gerito a chiare lettere da un personaggio delle Antichità Giudaiche diFlavio Giuseppe di «eliminare questa nazione per la separatezza delsuo modo di vita» (XIII, 245). Altre testimonianze vanno nella stessadirezione.19 In questa chiave psicologica e antropologica —il comples-so di inferiorità come forma particolare della paura del diverso e di undiverso che suscita fascinazione— può bene, a mio parere, essere inter-pretata la giudeofobia antica, così come quella contemporanea.

2. Intorno alla polemica sulla circoncisione

Fra i rituali religiosi di maggiore impatto simbolico sta natural-mente la circoncisione, la pratica prescritta da Yahweh ad Abramonel segno dell’Alleanza.20 Anche questo tasto poteva sollecitare sen-timenti di inferiorità per il suo valore distintivo e, magari, come provadi sopportazione del dolore fisico.

Come ricorda B. Isaac, la circoncisione era adottata da altripopoli, ma la preponderanza numerica degli ebrei nella realtàromano-italica e mediterranea, dalla quale per lo più provengono lefonti dell’antichista, ne faceva un loro dato peculiare, al punto chein età romana essi potevano spregiativamente essere definiti «i cir-concisi».21 Le autorità romane, in questo concordi con un modo dipensare comune, sembravano averla considerata con qualchesospetto. Secondo una notizia storiografica, un divieto della circon-cisione —forse provvedimento di estensione di un’anteriore norma-tiva più generalmente contraria a ogni forma di autolesionismo emutilazione fisica— fu tra le cause scatenanti la già evocata rivolta diBar Kochba sotto Adriano (132-135 d.C.); già il suo successore, l’im-peratore Antonino Pio, varò un rescritto, poi ripreso in epoche piùtarde, con cui circumcidere Iudaeis filios suos tantum....permittitur(Digesto, XLVIII, 8, 11).22

I cristiani dei primi secoli non contestarono né discussero lalegittimità della pratica, ma piuttosto tramite il giudizio su di essagiudicarono il popolo israelita che ne faceva un segno fisico conno-

19 Sulle accuse antiche di chiusura superba mosse agli ebrei basti ricorrere alla rasse-gna di Isaac, Invention, cit., pp. 450-457; pp. 477-478.

20 Su cui cfr. (attacchi dei cristiani esclusi) Schäfer, Judeophobia, cit., pp. 93-105; Isaac,Invention, cit., pp. 472-474.

21 Isaac, Invention, cit., p. 472. Diaspora a Roma: Firpo, Giudei, cit., pp. 536-537.22 G. Firpo, Considerazioni sull’evoluzione della normativa relativa alla circoncisione tra

Adriano e l’età severiana, in «Miscellanea Greca e Romana» 12 (1987), pp. 163-182.

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tativo di qualcosa di ben più elevato.23 Per i cristiani essa non indica-va nessuna sanzione di alleanza fra Dio e il popolo eletto. Facevaparte di quella serie di usi e feste religiosi formalizzati che già alcunipassi biblici condannavano.

Osservazioni degne di nota sono svolte nella Lettera a Diogneto, unbreve protrettico di II sec. per un neofita cristiano: con riferimento alculto giudaico, l’autore, pronto ad accomunarsi agli ebrei in quantotributanti i loro onori al Dio unico (la comunanza del modello mono-teistico non è, per i cristiani, un discrimine sufficiente, come non losarà per gli arabi), se ne distacca con la critica delle pratiche sacrifica-li paganeggianti e di altri loro costumi considerati ridicoli. Alla circon-cisione egli dedica pochi tratti ma interessanti perché di nuovo affiorail motivo della presunzione comunitaristica: insiste infatti sul dissen-nato vanto che gli ebrei fanno, come un privilegio a loro riservato pervolontà divina, di ciò che viene ritenuta una inutile mutilazione fisica(§§ 3-4). L’apologeta e martire Giustino ne parla non solo come di unmarchio di infamia voluto da Dio con finalità punitive, per quanto gliebrei erano predestinati a commettere, ma anche come la prova del-l’appartenenza alla collettività ebraica, come uno strumento perchéchi di dovere possa distinguere —potremmo dire razzisticamente—l’ebreo dal non ebreo e prendere i necessari provvedimenti. Insomma,per usare le parole di Tertulliano, essa sarebbe stata prescritta al popo-lo di Israele da Dio in signum non in salutem (Tert., Contro i Giudei, 3).Ancora, la prospettiva cristiana viene delineata in maniera esaurienteda uno dei maggiori vescovi italici di IV sec., Zenone di Verona, chededica alla circoncisione un intero trattato (il tredicesimo). Zenone,in sostanza, ne svuota il valore spirituale e teologico attraverso la con-trapposizione, che si ritrova in altri autori, tra circoncisione carnale e‘incirconcisione’ del cuore, o specularmente tra circoncisione fisicadegli ebrei e circoncisione spirituale dei cristiani carnalmente incir-concisi. La pratica fu aggredita anche più pesantemente come contronatura e barbara: non è difficile trovare prese di posizione in questosenso, in Giovanni Crisostomo e presso molti altri cristiani.24

3. Verso la delegittimazione: cosa cambia con la conversione diCostantino

È stato necessario, nelle pagine precedenti, trascurare la visualeebraica di Roma e del suo impero: tema, legato a un filone ideologi-

23 M. Simon, Verus Israel. Étude sur les relations entre chrétiens et juifs dans l’empire romain(135-425), Paris 1983, rist. della II edizione, Ed. de Boccard, Paris 1964, pp. 198-201, ove unaanalisi delle posizioni cristiane e delle loro differenziazioni. Cenno —sorpreso— di unafonte pagana sulla circoncisione come irrazionale pratica tipicamente ebraica, postaaccanto alla antropofagia dei Massageti e a quella che viene chiamata ‘eugenetica’ persia-na in Salustio, Sugli dèi e il mondo, 9 (metà IV sec. d.C.).

24 Per la posizione del sovrano pagano Giuliano l’Apostata, uno dei protagonistianche postumi del conflitto religioso del IV secolo, si veda oltre.

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co-religioso di tipo apocalittico, decisivo per comprendere le ribellio-ni antiromane (sia quelle tardorepubblicane sia quelle di età neronia-na-flavia, traianea e, poi, adrianea), ma che, non da ultimo per lacomplessità e la stratificazione dei problemi che solleva, avrebbe con-dotto fuori del nostro seminato.25 Abbiamo invece brevemente richia-mato l’articolazione delle posizioni nei confronti degli ebrei dentro lasocietà di Roma alto e medio imperiale: la legittimità di esistenza rico-nosciuta, ma anche le critiche spesso offensive e caricaturali che pio-vevano addosso agli ebrei da più parti, critiche che tuttavia raramentesembrano avere avuto la capacità di incidere sui processi della decisio-ne politica, nel senso di una sensibile limitazione dei diritti dellecomunità ebree vicino-orientali e delle altre regioni.

La cristianizzazione progressiva delle strutture istituzionali esociali dell’impero produsse peraltro un cambiamento. In effetti i cri-stiani, una volta superata la fase del giudeo-cristianesimo di I sec., ave-vano maturato un senso di distacco profondo dal cordone ombelicalegiudaico della loro fede, e le polemiche religiose nei confronti dellareligione ebraica, mosse da scrittori e apologeti cristiani di II e III sec.,dalle argomentazioni dottrinarie spesso sconfinavano oltre, assumen-do la forma di vere e proprie invettive contro il culto e il popolo ebrai-co, piene di atteggiamenti stereotipi, di costruzioni di immagininegative dell’ebreo, in parte, come abbiamo visto, manifestazione dipaure irrazionali già presenti nelle critiche pagane (e comunque —ripeto— incapaci durante tutto il Principato di modificare l’atteggia-mento di sostanziale tolleranza e difesa della libertà del culto ebraicoda parte dei poteri pubblici).26

La ‘responsabilità’ principale ascritta all’ebraismo, e che continue-rà a essergli imputata nel medioevo e in epoche ancora recenziori, eraquella della negazione della natura divina di Cristo e in ultima analisidel deicidio, ed era responsabilità rispetto alla quale le tradizioni rabbi-niche e talmudiche non avevano saputo recare nessun chiarimento. Cisi avvicina lungo questa pista, mi pare, a una forma di quella che Squar-cini ha definito nella circolare di presentazione della nostra miscella-nea una «sociodicea della disuguaglianza», ossia un discorso giustifica-tivo di una posizione di superiorità in corso di acquisizione. Mentre gliebrei sono condannati e ritenuti colpevoli di non avere saputo imboc-care un facile sentiero già indicato, per comunicazione superna, dinan-zi a loro, i pagani divengono il terreno di coltura privilegiato dei nuoviadepti, attraverso il processo di conversione. È ai pagani che spessosembra sia riservata dai cristiani maggiore benevolenza. Proprio la let-tura del Nuovo Testamento (Vangeli, scritti dell’apostolo Paolo) e larilettura cristiana delle profezie presenti nell’Antico —del quale pure i

25 Vidal-Naquet, Les Juifs entre l’Etat et l’Apocalypse, cit.; I. Gruenwald, Jewish ApocalypticLiterature, in «Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt» 2 (1979), n. 19.1 pp. 89-118.Cfr. anche Firpo, Giudei, cit., p. 543.

26 Si veda più avanti con nota 37.

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cristiani procedettero a un tentativo di appropriazione e controllo cul-turale con la ripetizione del concetto che gli ebrei non ne avevano capi-to il senso— fornivano ulteriore supporto, sia sul piano storico, legatoagli episodi della vita di Gesù, sia in virtù di un nuovo armamentarioesegetico e allegorico (in virtù del quale la venuta di Cristo stava scrit-ta, per chi avesse saputo rendersene conto, nella Bibbia ebraica), perdenigrare la cultura ebraica e persino per giustificare come punizionedovuta alla collera divina —in una chiave assai poco mite, di animo piùveterotestamentario che neotestamentario— le sventure e le distruzionicui il popolo ebraico andò di volta in volta incontro.27

Nasce in questo contesto, probabilmente, un’altra idea di lunghis-sima e indecente fortuna: quella dell’ebreo errante e apolide, dellacattività perpetua e meritata (oltre al deicidio, veniva anche identifi-cato nell’animo dell’ebreo lo spirito dannato di Caino) a cui sarebbestato sottoposto.

Sarà bene evitare semplificazioni e soprattutto approcci vittimisti-ci: le comunità ebraiche e i loro dirigenti non mantennero atteggia-menti passivi e le tensioni con i cristiani erano certamente acuite dacerte iniziative, o reazioni. Per esempio, le circolari inviate dal Sine-drio nelle quali si stabiliva che la preghiere ebraica dello Shmoneh Esreilasciasse spazio ad anatemi pesantissimi nei quali si auspicava la spari-zione dei seguaci della fede cristiana, oppure gli atteggiamenti politi-ci fortemente anticristiani ‘fertilizzati’ dalle azioni di rabbini influen-ti; vi furono omicidi a sfondo religioso ed episodi di terribili violenzesu uomini e cose perpetrati da gruppi di ebrei su cristiani.28 Minoran-za subalterna e inasprita, gli ebrei continueranno a ribellarsi di tantoin tanto anche all’interno dell’impero bizantino, per quanto le loroforze consentissero. Alcuni indizi dell’evidenza documentaria (aiquali alluderò più avanti in questo stesso paragrafo) spingono almeno,d’altra parte, a porre il problema di come il potere costituito vedessel’isolamento e l’esclusivismo/esclusione degli ebrei (al quale comun-que a un certo punto contribuì vistosamente, condannandoli a unapartheid di fatto), oppure se lo stereotipo della loro congenita odiosi-tà si attivava come pregiudizio razzista, sia quando vivessero nella pro-pria turris eburnea comunitaria, sia quando cercassero di integrarsi fragli altri per una partecipazione effettiva alle esperienze della vita ditutti i giorni nei diversi contesti geografici o sfere di attività sociali.29

27 D. Cohn-Sherbok, Storia dell’antisemitismo, tr. it. Newton & Compton, Roma 2005,specialmente pp. 11-56, fornisce una comoda rassegna delle vaste manifestazioni di anti-giudaismo antico e del loro ripresentarsi nelle ère successive, in contesti disparati. Il fattoche il libro abbia una prospettiva decisamente unilaterale non inficia di per sé l’attendibi-lità delle informazioni fornite; piuttosto si soffre il limite della scelta editoriale di rinuncia-re alle note di supporto documentario.

28 Cohn-Sherbok, Storia, cit., pp. 52-53; 56.29 In quest’ultimo caso prende corpo l’idea dell’ebreo invisibile: spia di potenze occul-

te e straniere, nascosto nella società, complottante, comunque pericoloso (il «pericoloebraico» di numerosi poster di propaganda antisemita del XX sec.).

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Veniamo al IV sec., quando la novità essenziale è data dall’allean-za politica tra Stato e Chiesa, con la conseguente influenza vieppiùriconoscibile delle gerarchie ecclesiastiche sull’elaborazione dellanormativa secolare, contro qualunque presunta devianza religiosa,inclusa quella giudaica.30 L’edificazione di un modello di ortodossiacristiana, modello cattolico niceno in Occidente (ossia formulatosulla base dei risultati del concilio di Nicea del 325) per lunghe fasicontestato dall’arianesimo orientale, favorì marginalizzazione eaggressività verso le minoranze religiose.

Costantino e i suoi figli e successori, per quanto le asperità inter-pretative legate allo stato della documentazione consentano dicogliere, oscillarono in modo ancora compromissorio nella gestionedei rapporti tra ebraismo e cristianesimo tra prese di posizione ostiliagli ebrei e un perpetuarsi di garanzie, di cui forse erano gratificatisoprattutto gli alti dignitari del clero ebraico orientale (occorreva evi-tare troppo rapidi sovvertimenti dei tradizionali privilegi, ut aliquidipsis ad solacium pristinae observationis relinquatur). Furono, per megliospecificare, appesantite le restrizioni alle conversioni verso il giudai-smo —considerate e punite come apostasia—31 e garantiti ‘incentivi’ achi si fosse rivolto alla fede del dio cristiano; d’altra parte, continua-rono a essere previste immunità per i capi delle sinagoghe, gli appa-rati impiegatizi e i rappresentanti dei patriarchi (elevatissimo tramitequest’ultimo, insieme al Sinedrio, e ministro dei rapporti tra laPalestina e la Diaspora), e in una misura tanto ridotta da essere quasisimbolica con riferimento al servizio nelle curie locali e ai munera cor-poralia, rispetto ai quali gli ebrei avevano in passato beneficiato diesenzioni più ampie (Codice Teodosiano, XVI, 8, 1; 2; 3; 4).32 Eviden-temente, indirizzi legislativi come quelli obbliganti gli ebrei a parteci-pare all’amministrazione civica non possono essere consideratiemblematici di una politica antiebraica, giacché rispondevano inlarga misura ai nuovi e più coartanti indirizzi di politica amministra-tiva tout-court, tentativo di abbattimento dei livelli di privilegio in unmomento in cui le strutture statali soffrivano di serie disfunzioni. Essituttavia mostrano una scelta di tagliare i vantaggi tradizionalmenteconcessi alle collettività ebraiche in un quadro di contestuali garan-

30 Finalità polemiche spiegano l’assimilazione teologicamente poco sensata tra giu-dei e ariani di varie correnti, in quanto entrambi accomunati dal non riconoscimentodella natura divina del Cristo; sono noti episodi di alleanza e collusione tra ebrei e aria-ni per l’Egitto di IV secolo: Simon, Verus Israel, cit., pp. 123; 264. Come osserva giusta-mente Simon, Verus Israel, cit., p. 264 nota 1, non risulta però che gli ariani al potere(come Costanzo II) siano stati più morbidi e amichevoli dei cristiani cattolici nei con-fronti degli ebrei.

31 Cfr. per es. Codice Teodosiano, XVI, 8, 7, secondo l’inscriptio collocabile durante il cesa-rato di Giuliano e sotto Costanzo II: Si quis, lege venerabili constituta, ex Christiano Iudaeus effec-tus sacrilegis coetibus aggregetur, quum accusatio fuerit comprobata, facultates eius dominio fisciiussimus vindicari; cfr. anche Codice Teodosiano, XVI, 7, 3; III, 1, 5, cfr. sotto nota 33.

32 Fonti sul Patriarca di Palestina: G. de Bonfils, Omnes...ad implenda munia teneantur.Ebrei curie e prefetture fra IV e V secolo, Cacucci, Bari 1998, pp. 22-25.

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zie e ampliamento dei diritti civilistici dati ai cristiani e al loro clero,e in qualche modo anche ad altre categorie. Diverso e più discrimina-torio discorso vale per alcune limitazioni nel campo matrimoniale edella proprietà, miranti ad attuare un isolamento degli ebrei, eviden-temente non sempre riscontrabile nella prassi sociale,33 o per episo-diche ingerenze nella vita di comunità della Galilea.34

Fu solo con Giuliano l’Apostata, formidabile leader di una brevestagione di rilancio ellenico-pagano, che anche la condizione degliebrei tornò ad avere uno statuto privilegiato, vide il restaurarsi di loroimportantissime prerogative, in testa alla quali c’era la ridefinizionedi Gerusalemme come metropoli del culto ebraico, ciò che aveva ces-sato di essere dal 70 d.C. È stato con finezza messo in luce da MarcelSimon che l’atteggiamento giulianeo verso il giudaismo era ampia-mente critico sul piano culturale e religioso e per di più intriso dipunte di vero e proprio disprezzo teologico. Giuliano elogiava però iltradizionalismo ebraico e anche alcuni aspetti del suo ritualismo, frai quali le forme di purificazione e la circoncisione, che aveva degliammirevoli antecedenti in ambito sacerdotale egiziano, e l’uso deisacrifici, finché poterono farne all’interno del Tempio, come pre-scritto e come egli tentò di consentire di nuovo con la ricostruzionedel grande santuario nazionale. Non fu dunque esclusivamente sulpiano della ragion politica e della concorrenza col cristianesimo orto-dosso che si devono leggere le sue disposizioni.35

4. Giudeofobia episcopale e «epidemiologia delle rappresentazioni»

I legami fra l’imperatore sacrilego e gli ebrei furono un altro deglioggetti dell’aspra polemica di Crisostomo (Contro gli Ebrei, omelia 5).Ebbene, le prediche antiochene di Giovanni Crisostomo,36 da cuiabbiamo estrapolato l’estratto di pagina 87-88, si inseriscono all’in-

33 Mancanza di libertà di matrimonio: Codice Teodosiano, XVI, 8, 6: IMP. CONSTANTIUSA. AD EVAGRIUM. Post alia: quod ad mulieres pertinet, quas Iudaei in turpitudinis suae duxere con-sortium in gynaeceo nostro ante versatas, placet easdem restitui gynaeceo idque in reliquum observa-ri, ne christianas mulieres suis iungant flagitiis vel, si hoc fecerint, capitali periculo subiugentur,dat. id. aug. Constantio A. II cons. (339 d.C.). Altri interventi prevedevano la perdita deipieni diritti per un ebreo padrone di schiavi non ebrei: costui non ne aveva di fatto la pienadisponibilità, non potendo circonciderli, pena la morte; tale indirizzo normativo è colle-gato a quello che vieta le conversioni al giudaismo; si veda il titolo del Codice Teodosiano,XVI, 9: Ne christianum mancipium Iudaeus habeat.

34 In particolare a Tiberiade e Diocaesarea, dove le comunità ebraiche erano ampie,Costantino e i suoi successori appoggiarono iniziative vessatorie contro di esse, ciò cheprovocò sollevazioni e quindi repressioni da parte delle autorità: A.H.M. Jones, Il tardoimpero romano (284-602), III, tr it. Il Saggiatore, Milano 1981, pp. 1395-1396.

35 Simon, Verus Israel, cit., pp. 139-144; J. Hahn, Kaiser Julian und ein dritter Tempel? Idee,Wirklichkeit, Wirkung eines gescheiterten Projekts, in J. Hahn (a cura di), Der Jerusalemer Tempelund seine Zerstörungen, T!bingen 2002, pp. 237-262.

36 Antiochia di Siria era una delle grandi comunità della diaspora, con la presenza divarie sinagoghe. Sugli ebrei di Antiochia mi limito a citare J. Hahn, Gewalt, cit., pp. 139 sgg.con altra bibliografia. Cfr. sopra nota 10.

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terno di una generale ‘offensiva’ antiebraica trasmessaci da opere divaria natura —omelie, trattati, eresiologie, inni liturgici— prodotte dal-l’episcopato occidentale e orientale a partire dal IV secolo. In questiscritti, che assumono lo spessore di un vero e proprio genere pam-phlettistico, si giustappongono e si intrecciano piani diversi (commi-surati a finalità omiletiche e cultura del pubblico), quello erudito,teologico, simbolico con quello polemico e insultante. Nel brano delCrisostomo è centrale l’idea del carattere idolatrico e diabolico —deci-samente peggiore che pagano— della religione ebraica e delle immon-de perversioni dei costumi di vita della gens ebraica. Altrove, nellostesso sermonario, Crisostomo sottolineava uno dei concetti che piùcolpiscono oggi, in considerazione degli eventi vissuti e delle paroledisseminate lungo i mille e seicento anni dopo di lui: che la condan-na divina nei confronti degli ebrei era inappellabile, che gli ebreisarebbero rimasti senza mai recuperare il loro Tempio.37

Toni relativamente più moderati assunse Agostino d’Ippona, ilquale pure compose un trattato Contro i Giudei, nel quale veniva riba-dita l’idea che i cristiani erano i depositari della verità delle Scritturee che gli ebrei avevano torto a non capire il senso delle rivelazioniprofetiche della Bibbia, le cui promesse sulla realizzazione di Israelenon riguardavano il popolo ebraico ma quello cristiano.

L’impatto di tutta questa tradizione di rappresentazioni antigiu-daiche fu rilevante sui comportamenti delle folle in via di cristianizza-zione. Se in molti contesti cittadini era possibile una convivenzainterculturale e religiosa accettabile, l’ultimo quarto del IV sec. fuoscurato da frequenti assalti e distruzioni di sinagoghe in località delMediterraneo sia orientale che occidentale. È importante notare chevescovi e Padri della Chiesa di grande autorevolezza e straordinariainfluenza erano piuttosto giustificazionisti rispetto a gravissimi episo-di di intolleranza religiosa, e talvolta ne erano i mandanti. Non ènaturalmente sempre possibile escludere che si trattasse di eccesso diritorsione dinanzi a provocazioni subìte.

Un anno critico fu il 388. Il vescovo Cirillo capeggiò un gruppodi cristiani all’assalto di una sinagoga mesopotamica, che vennedistrutta; poi cacciò gli ebrei dalla città.38 Nello stesso anno, aCallinico, un altro vescovo sobillò la folla a incendiare la sinagoga.39

L’imperatore cristianissimo Teodosio il Grande, dinanzi a unapatente e inammissibile violenza, ordinò di punire severamente iresponsabili e di procedere con provvedimenti di risarcimento nei

37 Più diretti sono, rispetto al passato, gli effetti politici di questa letteratura antiebrai-ca, anche se vari argomenti ed espedienti retorici erano già stati elaborati in precedenza,tra gli altri, da Tertulliano, Ippolito di Roma (inizi del III sec.) o, per scendere sino quasialla generazione di Crisostomo, Gregorio di Nissa, il quale litanicamente nell’In Christiresurretionem oratio scaglia una straordinaria varietà di improperi e maledizioni contro gliebrei; per la testualità rimando a Simon, Verus Israel, cit., pp. 255-256.

38 Cfr. lo storico ecclesiastico Socrate, VII, 13.39 Cfr. sull’episodio, Ambrogio, Epistole 40 e 41.

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confronti della comunità ebraica; il presule locale avrebbe dovuto asue spese ricostruire la sinagoga (synagogam ab ipso aedificari episco-po). Erano atti di banale giustizia, alle quali però si oppose con riso-lutezza Ambrogio di Milano, una delle voci più alte e ascoltate delcristianesimo del tempo. Per dissuadere Teodosio e per fargli assu-mere una posizione di parte, a fianco dei suoi correligionari cristia-ni, Ambrogio ricorse a forme di intimidazione spirituale neiconfronti dell’imperatore —palesandogli il rischio di comprometterela sua salvezza eterna— e ad articolati ragionamenti di carattere reli-gioso e persino giuridici (un prete che avesse contribuito a favorirela religione ebraica avrebbe contravvenuto ai suoi doveri). Il vesco-vo di Milano arrivò persino a teorizzare la disobbedienza civiledinanzi a leggi che proibivano per lui a torto la devastazione dellesinagoghe. L’assunzione su di sé di siffatte attitudini radicali mise indifficoltà Teodosio e lo ‘costrinse’ a seguirlo emettendo una serie diprovvedimenti di revisione di quello iniziale.

È probabile che Ambrogio da un lato volesse dimostrare di averevoce in capitolo negli affari politico-religiosi, dall’altro rese evidenteil suo assoluto disdegno nei confronti di diritti, che a noi appaionoelementari (e che, certo, non apparivano assurdi agli uomini deltempo) di libertà di culto. È una visione ottimistica quella di A.H.M.Jones che definisce «eccezionale nel suo fanatismo» il caso ambrosia-no: in realtà come non erano mancati precedenti così non mancaro-no di ripetersi episodi analoghi.40 Ambrogio peraltro aveva, un paiodi anni prima della vicenda di Callinico, reperito le reliquie dei santimartiri Gervasio e Protasio, una inventio che costituì uno dei grandisuccessi della sua politica pastorale, all’interno del cimitero ebraicodi Bologna, messo sottosopra per l’occasione. Ricorda N. McLynn:«the Jews could only watch the plundering helplessly, victims of anassault that almost seems designed to allow the Christians a morale-boosting victory at their expense».41

Il montare delle tensioni fra la Chiesa e la Sinagoga, secondouna antinomia perpetuata nei secoli, la pressione dell’antigiudai-smo diffuso spesso destinato a sfociare in espropri violenti e formedi linciaggio facevano anche paura alle autorità, creando le condi-zioni dell’impunità per i colpevoli (sinagoghe prese e non restituite,per esempio) e di un paradossale demagogico inasprimento dellecondizioni giuridiche o di fatto degli ebrei come strumento pergarantirsi consenso.42

40 Jones, Tardo Impero, cit., p. 1689 nota 29; sulle violenze contro le sinagoghe fra IV eV sec., cfr. esempi in Simon, Verus Israel, cit., pp. 264-269.

41 N. McLynn, Ambrose of Milan. Church and Court in a Christian Capital, University ofCalifornia Press, Berkeley-Los Angeles 1994, pp. 348-349; 298 sgg. su Callinicum.

42 Chiesa vs. Sinagoga: J. Parker, The Conflict of the Church and the Synagogue: A Study inthe Origins of Antisemitism, Soncino Press, London 1934. In un primo tempo alcune leggi sta-bilirono che le sinagoghe distrutte o sconsacrate dovevano essere ricostruite o che doveva-no essere pagati degli indennizzi se le violenze erano state attribuite ai cristiani, ma altre

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5. Ulteriori restrizioni dei diritti civili agli Ebrei nella legislazione post-teodosiana

Il controllo dei vescovi sull’organizzazione sociale del territorio,il loro prestigio morale unito alla capacità di influenzare le leve delpotere secolare con petizioni a corte o attraverso gli indirizzi prefi-gurati dalla canonistica conciliare, una riscontrabile diffusione disentimenti di antigiudaismo presso la popolazione, furono tutti fat-tori che concorsero a determinare gli sviluppi della legislazione difine IV e V sec.

Le regolamentazioni precise cui vennero sottoposti gli ebreivanno senza dubbio inquadrate sullo sfondo irrigidito della legisla-zione antieretica e antipagana di Teodosio I (morto nel 395) e deisuoi eredi;43 allo stesso tempo, là dove la documentazione lo rendepossibile, occorre distinguere tra una politica mirata, per colpire lanazione ebraica, e provvedimenti che rispondevano a più generaliesigenze di uno Stato tardoromano in difficoltà, che cercava dirastrellare entrate e di intervenire sulle sacche di privilegio, conmolte contraddizioni talvolta, per bilanciare vantaggi garantiti adalcune categorie particolari (burocrazia, clero cristiano). È fuor didubbio che gli ebrei rientravano fra i gruppi che conobbero un pro-gressivo deterioramento delle loro condizioni legali, come è consta-tabile quando non ci si attardi a osservare le eccezioni ma si prendain considerazione il movimento complessivo dell’ordinamento giu-ridico.44 Le penalità previste per gli ebrei apostati (apostati dalpunto di vista cristiano) erano pesantissime, e gli ampi poteri delpatriarcato ereditario con sede a Tiberiade vennero tutelati conoscillazioni e incertezze (dalla fine del IV sec. la sua sopravvivenzaaveva corso qualche rischio, essendo abrogato per alcuni anni l’usoantico secondo il quale i patriarchi usufruivano di versamenti dalle

disposizioni mostrarono assoluto lassismo e si arrivò al punto di far passare il (mis)fatto com-piuto ponendo il divieto di costruirne di nuove. Le norme sono principalmente contenutenel libro XI del Codice Teodosiano e nella Novella 3 di Teodosio II; cfr. Jones, Tardo impero, cit.,p. 1397. Sono noti altri casi di distruzioni e confische di sinagoghe nel V secolo e, sempre daSocrate Scolastico, un effettivo pogrom degli ebrei di Alessandria non impedito dalla piùalta autorità civile d’Egitto, il prefetto. Per la contrapposizione fra Chiesa e Sinagoga si vedaanche la Altercatio Ecclesiae et Synagogae, documento di V sec. avanzato (PL 42).

43 Su Onorio (figlio di Teodosio e imperatore della parte occidentale dell’impero concapitale a Ravenna) e la politica ebraica, cfr. de Bonfils, Omnes, cit., pp. 87-212, con rifles-sioni conclusive specialmente a p. 197.

44 Provvedimenti di ordine economico e anche religioso più tolleranti e protettiviverso i commercianti ebrei e le sinagoghe (e che sembrano persino segnare un cambia-mento di rotta migliorativo della condizione giuridica degli ebrei rispetto ad alcune con-giunture del IV sec.), come, per esempio, Codice Teodosiano, XVI, 8, 10 del 396, visti in unaprospettiva di medio e lungo periodo sono eccezioni che confermano la tendenza sottoli-neata nel testo. Sulla legislazione contro gli ebrei nei secoli della tarda antichità, cfr. K.D.Reichardt, Die Judengesetzgebung im Codex Theodosianus, in «Kairos» 20 (1978), pp. 16-39; A.Linder, The Jews in Roman Imperial Legislation, Wayne State University Press, Detroit, IsraeliAcademy of Sciences and Humanities, Jerusalem 1987; L.V. Rutgers, The Jews in LateAncient Rome, Brill, Leiden 1995; de Bonfils, Omnes, cit.

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sinagoghe),45 e comunque nel 429 l’istituzione finì con la fine dellalinea agnatizia che ne costituiva il principio successorio, togliendoun importante punto di riferimento, capace di interloquire autore-volmente con la corte imperiale.46

Poco dopo, nel 438 la Novella 3 di Teodosio II tornò a deliberaresulle sinagoghe favorendone, anche con forme di coercizione, la tra-sformazione in chiese (spec. § 3). Nella costituzione era pure previstoil divieto di accesso a una serie di posizioni nel pubblico impiego allepersone riconosciute come di appartenenza Iudaica che pure a taliposizioni volessero aspirare.47 Questo fenomeno, già avviato da qual-che tempo, è storicamente di notevole significato, anche se la com-prensione delle motivazioni è probabilmente difficile da cogliereappieno, al di là delle scontate pregiudiziali ideologiche e religiose.L’esclusione riguardava soprattutto ruoli amministrativi e di polizia(come quella degli agentes in rebus, una sorta di funzionariato conpoteri coercitivi, dotato di varie competenze) e l’esercito. Il linguag-gio delle costituzioni emanate dai gabinetti legali palatini riflette lospirito dell’orientamento normativo: l’appartenenza ebraica è nel-l’impero cristiano definitivamente superstitio (nozione vicina a quelladi magia e opposta a quella di religio); «contaminare, insozzare» (pol-luere), «contagio», «vergogna», «turpitudine» sono massicciamenteapplicati nei dispositivi legali conservati nei Codici alla cultura e allecomunità ebraiche, in modo mirato oppure come elemento di unapiù lunga teoria di sette eretiche. Nell’area orientale gli ebrei (cosìcome la setta ebraica dei Samaritani) furono espulsi sistematicamen-te da tutte le cariche pubbliche dell’amministrazione centrale, pro-vinciale e dalle più significative e remunerative, almeno sul piano delprestigio, mansioni cittadine, e persino dalla professione forense(costituzione Sirmondiana, 6).

Noto per aver rilanciato con energia la lotta alle sacche di paga-nesimo e altrettanto per le complicati mediazioni dottrinarie attua-te per far coesistere anime conflittuali della cristianità, l’imperatoreGiustiniano ebbe verso il mondo ebraico una politica dietro la qualenon è facile individuare una linea coerente, quantunque sembri

45 Si confronti Codice Teodosiano, XVI, 8, 14, del 399 d.C. (ove un attacco alla tradizio-ne che prevedeva l’afflusso dei denari delle sinagoghe alla cassa centrale del patriarca diPalestina con sede a Tiberiade, previa riscossione da parte di suoi emissari, attacco moti-vato con pretestuose forzature tese a delegittimare il ruolo del patriarca dinanzi alla dia-spora) con XVI, 8, 17 del 404 (ove, amota prima iussione si ripristina la consuetudineabrogata cinque anni prima).

46 Cod. Teodosiano, XVI, 8, 29.47 Gli ebrei avevano partecipato in misura discontinua, tutt’altro che facilmente deli-

neabile in dettaglio, alla vita pubblica delle città dell’impero, stando spesso lontano, fin-ché fu loro consentito dalla politica statale, dai consigli municipali, potendo essereesonerati dal servizio militare ecc. Dopo la spinta in tale direzione per l’epoca costantinia-na, cfr. per la rescissione delle immunità dai doveri curiali di Iudaicae legis homines (prescin-diamo dal dilemma esegetico se l’espressione si riferisse a tutti gli ebrei o, come pare piùverosimile, al clero ebraico), Codice Teodosiano, XII, 1, 99 del 383; cfr. XII, 1, 158 del 398.

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ancora una volta prevalere l’intento di indebolirlo: sul piano litur-gico evitò eclatanti imposizioni al culto dando però indicazioni suldiscusso problema della lingua, il greco accanto o al posto del-l’ebraico, nella quale leggere le scritture, e vietando la Mishnah e ilresto dei commentari talmudici (Novella, 146 del 553). Sul pianolegale e sociale, con Giustiniano le incapacità degli ebrei della parsOrientis si estendevano alla maggior parte delle transazioni e degliatti giuridicamente rilevanti (testamento, eredità, dichiarazioniufficiali in tribunale).48

Se non fosse cautela necessaria quella di non proporre senzaaccurato esame preventivo meccaniche di causalità, si direbbe chel’ultima fase della società tardoantica (una società dotata comunquedi sufficienti anticorpi per mantenere entro dimensioni relativamen-te ridotte gli episodi di pogrom) era sulla strada di un ultimo e dram-matico passo: la conversione coatta, ciò che del resto non mancò diaccadere, degli ebrei al cristianesimo.49

6. Banalità del male

Fra le variazioni possibili della definizione di antisemitismo,espressione corrente ma impropria che andrebbe sostituita con anti-giudaismo o giudeofobia (che per alcuni hanno però accezioni un po’differenti), posso accogliere senza perplessità quella data da MarcelSimon, uno dei maggiori studiosi della storia dell’ebraismo nelmondo romano imperiale: «une attitude fondamentalement et systé-matiquement hostile aux Juifs, fondée par surcroît sur de mauvaisesraisons, sur des calomnies, sur une image incomplète, partiale oufausse de la réalité: il y a un certain type d’argumentation ou d’impré-cation que l’on peut, quelles qu’en soient les racines profondes, qua-lifier d’antisémite».50

48 Per le fonti basti rinviare a Jones, Tardo impero, cit., p. 1400 con le note 25-27; A.M.Rabello, Giustiniano, Ebrei e Samaritani alla luce delle fonti storico-letterarie, ecclesiastiche e giu-ridiche, Giuffré, Milano 1987.

49 L’imperatore Eraclio, alla vigilia dell’espansione araba, procedette al battesimoforzato degli ebrei, ciò che nello stesso periodo accadeva episodicamente in Occidente,soprattutto nelle Gallie e nella Penisola Iberica; in queste aree numerosi quanto ormai abi-tuali attentati alle sinagoghe andavano preparando il clima d’opinione adatto a formepesanti di conversioni forzate; i concili ecclesiastici insistevano sulla necessità di applicarele leggi secolari più restrittive (sia con divieti apparentemente minori in ambito liturgico,ma significativi sul piano simbolico e delle tradizioni religiose, sia per ribadire l’inaccessi-bilità a certe professioni: per esempio Concili di Toledo del 589 e del 655). Sembra si possaammettere che la situazione dell’Italia fosse relativamente più favorevole a una vita socia-le integrata degli ebrei, al di là del fatto che si operasse per la loro conversione, come con-statiamo agli inizi e alla fine del VI sec. grazie alla documentazione relativa al regno diTeoderico (attraverso l’opera cassiodorea) e al pontificato di Gregorio Magno, sulla basedegli scritti di lui medesimo.

50 Verus Israel, cit., p. 488. La tesi di dottorato da cui fu elaborato il volume Verus Israel(cit. alla nota 23) risale al 1948. Conio del vocabolo antisemitismo e Judenfrage: R. R!rup,Emancipation und Antisemitismus: Studien zur ‘Judenfrage’ der b!rgerlichen Gesellschaft,Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1975.

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CASI DAL MEDITERRANEO E DALL’EUROPA

L’antichità e la tarda antichità romane in varie circostanze eambienti conobbero concezioni e pregiudizi antigiudaici, comeperaltro lasciarono spazio a forme, pur diversamente modulate, di‘protorazzismo’ riferite ad altre culture e popolazioni consideratebarbare. Nello svolgersi della storia religiosa del Mediterraneo roma-no, le dinamiche connotanti i rapporti reciproci tra le tre principalireligioni —‘paganesimo’ (espressione con cui raggruppo un vastospettro di sistemi e rituali religiosi, anche molto difformi tra loro,caratterizzati dall’accoglimento del politeismo), ebraismo e cristiane-simo— non sono riducibili ad alleanze stabili o fronti ben individuati.In termini generali, gli spiriti antigiudaici latenti nella cultura paga-na greco-romana —mettendo a parte, beninteso, quanto emergevanel cristianesimo primitivo— non rappresentarono un elemento fortedella mentalità comune e comunque suscettibile di orientare le deci-sioni politico-amministrative. Prevalse in un primo e lungo tempo sto-rico la percezione del pericolo cristiano.

La liberazione e l’innesto, sul sistema imperiale greco-romano,della cultura e delle strutture cristiane ebbe fra i suoi effetti quello diincrementare una plurisecolare ideologia avversa agli ebrei —dunqueinnanzitutto alla loro religione come principale elemento identita-rio— già viva su un piano di polemica culturale nel cristianesimo deiprimi secoli. Con la conversione di Costantino, sensibilità e compor-tamenti cambiarono la morfologia della storia dei rapporti fral’Impero, i cristiani e gli ebrei. La retorica antiebraica si acuì e le vio-lenze, per lo più di palese matrice cristiana, avvenivano ai danni dicomunità ebraiche molto meno reattive e aggressive di prima, tutt’alpiù in grado di incubare sentimenti di sorda ostilità e di revanscismo,per dir così, escatologico.51 La posizione di disuguaglianza degli ebreitrovò vieppiù formalizzate sanzioni che deformavano, trasfiguravanoquegli elementi di disuguaglianza coessenziali con l’identità stessadegli ebrei: costoro passavano da una norma di vita comunitaria privadi discriminazioni ed esclusioni dal resto della collettività umana (eanzi con statuti che garantivano anche qualche privilegio) a unasituazione di obiettiva sofferenza e inferiorità nei corpora giuridicipubblici e nel diritto canonico. La causa prima di questa involuzionerisiede nello sviluppo di un rapporto privilegiato tra gerarchie eccle-siastiche cristiane e poteri civili, a partire dal IV sec. I passi guida scel-ti all’inizio del contributo hanno avuto in tal senso una funzioneesemplificativa, il cui tessuto connettivo e le proiezioni in avanti si ècercato di evidenziare nel corso del lavoro.

Politici e storici hanno molto discusso intorno al peso avuto dallacristianità sull’evoluzione del razzismo antisemita nella coscienza col-lettiva e nella vita sociale europea dal Medioevo sino alla Shoah, e la

51 La documentazione consente di distinguere abbastanza facilmente l’aggressore dal-l’aggredito, la maggioranza incalzante e la minoranza orgogliosa chiusa in difesa delle pro-prie tradizioni, ma destinata a soccombere.

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cultura ebraica e israeliana ha talvolta svolto con qualche forzatura lesue analisi in merito. Si è però anche giustificata una certa omileticacristiana in nome di superiori esigenze politico-pastorali, appunto ascudo dalle possibili influenze e suggestioni dell’ebraismo, in una fasedi cristianesimo in espansione ma ancora fragile. In simili casi, è deci-sivo, per esprimere un giudizio di merito, che il linguaggio impiegatodai predicatori abbia fatto ricorso, qualunque ne fosse l’obiettivo, aesasperazioni ideologiche, a contrapposizioni dottrinarie radicali, arappresentazioni caricaturali, a satanizzazioni: il tutto con un impat-to in alcune circostanze devastante, in una prospettiva di rispettoreciproco tra religioni e culture, in quanto l’eventuale limitatezzacongiunturale o la natura catechetica degli obiettivi di chi di tale lin-guaggio faceva uso erano superate da situazioni ed eventi che faceva-no presto a trasferirsi sul piano della più tragica delle cronache.

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