ostacoli alla strategia controinsurrezionale americana nelle regioni frontaliere af-pak
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Ostacoli alla strategia controinsurrezionale americana nelle regioni frontaliere
del Pakistan : i santuari
Corso di Casi di storia diplomatica
Anno accademico 2012/2013
Christian Benelli
Matricola: 662723
INDICE
1. La teoria controinsurrezionale: l’importanza dei santuari e del supporto esterno
a. Teoria insurrezionale: Santuari fisici e sociali
b. Gli attori dell’insurrezione e l’importanza del supporto esterno
2. Oltre i confini afghani: i santuari in Pakistan
a. Santuari: condizioni geografiche
b. Santuari: condizioni socio-culturali
3. Islamizzazione del FATA: come il movimento jihadista si è diffuso all’interno delle tribù
Pashtun.
a. Islamizzazione del Pakistan: dall’indipendenza all’invasione sovietica in Afghanistan
b. L’ascesa al potere dei talebani: verso il radicalismo
4. La controinsurrezione nelle regioni frontaliere del FATA e del NWFP
a. Strategia controinsurrezionale pakistana
b. Strategia controinsurrezionale americana
5. Conclusione
Abstract
Obiettivo del paper è quello di capire l’importanza e il ruolo svolto dai santuari nella guerra in Afghanistan.
Capire quindi la posizione e le strategie controinsurrezionali di Pakistan e Stati Uniti riguardo alle regioni del
FATA e del NFWP. A tal fine ho diviso il paper in tre parti. Nella prima parte analizzo la letteratura teorica
sulle strategie insurrezionali e controinsurrezionali. E’ importante collocare il fenomeno e descrivere sotto un
punto di vista generico cosa si intende per santuari e quali circostanze lo favoriscono. Dopo aver descritto i
vari attori che partecipano a questo tipo di conflitto, mostro l’importanza che ricoprono i santuari al fine del
buon successo di qualsiasi strategia insurrezionale. Nella seconda parte affronto l’analisi specifica dei
santuari in FATA. Le condizioni che permettono la presenza di santuari nelle regioni frontaliere possono
essere riassunte in due tipi: fisiche, ovvero la situazione morfologica che rende difficile il monitoraggio da
parte delle forze endogene; socio-culturali, cioè i fattori che permettono di trovare una popolazione incline a
collaborare, o quantomeno conciliante, con gli insorti. Nella terza parte analizzo brevemente il tipo di
strategia adottata dai due paesi in riferimento alle zone frontaliere e ai santuari. Entrambi i paesi hanno
mostrato di saper gestire malamente la questione. A causa di rilevanti vincoli strategici entrambi gli attori si
sono infatti trovati in una situazione di stallo, per cui spesso la lotta ai santuari ha rischiato di compromettere
altri importanti obiettivi strategici, come la partnership con il Pakistan per quanto riguarda gli USA, oppure
la propria integrità territoriale per quanto riguarda il Pakistan. Infine, giungo a due conclusioni. Primo, che la
politica pakistana, che appare ambivalente agli occhi americani, è in realtà frutto di considerazioni sul
proprio interesse nazionale, con il risultato che la sua azione controinsurrezionale appare fortemente
smorzata da vincoli di carattere interno ed esterno. Secondo, gli Stati Uniti non possono permettersi di
perdere l’alleato pakistano, senza il quale sarebbe impossibile eliminare non solo i santuari, ma anche
annientare il movimento insurrezionale in Afghanistan. Per questo motivo gli americani dovrebbero limitare
fortemente le azioni che compromettono i rapporti con l’alleato, come l’uso degli UAV1 o di operazioni
militari, non concordate, in territorio pakistano. Queste azioni non solo peggiorano le relazioni diplomatiche,
ma rafforzano anche la posizione delle parti più radicali all’interno dell’establishment pakistano, parti
solitamente ostili agli Stati Uniti.
1 unmanned aerial vehicle
La teoria controinsurrezionale: l’importanza del supporto esterno e dei santuari
Secondo la definizione data da Latin e Fearon “l’insurrezione è un approccio militare al conflitto
caratterizzato da piccole e leggere bande armate che praticano battaglie di guerriglia provenienti da basi in
aree rurali”.2 Una guerra insurrezionale, specialmente nelle prime fasi, è per sua natura una guerra
asimmetrica, nella quale la parte governativa possiede numeri, capacità militari e organizzative assai
maggiori rispetto al gruppo insurrezionale. Una guerra asimmetrica significa l’utilizzo di tattiche militari
finalizzate ad evitare il confronto diretto, nascondendo e disperdendo quindi le proprie forze in unità piccole
e molto mobili. Infatti, se le forze governative, anche in stati dove le capacità di polizia e militari sono basse,
sapessero chi sono i ribelli e come trovarli, l’insurrezione verrebbe repressa molto velocemente. Essendo il
numero dei ribelli attivi molto basso, spesso nell’ordine delle centinaia o delle poche migliaia, è quindi
fondamentale che gli insorti, per sopravvivere, siano in grado di nascondersi dalle forze governative.3
Essenziale è quindi capire in che modo gli insorti possono scappare dalla pressione governativa, trovando
così rifugio in una base non facilmente accessibile alle forze controinsurrezionali. Questi santuari per gli
insorti, che sono spesso presenti in territori oltre confine, sopravvivono anche grazie all’appoggio, o al più
alla neutralità, dei paesi vicini.
Ai fini di una buona strategia controinsurrezionale è vitale capire come il supporto esterno, soprattutto
attraverso i santuari, riesca ad incidere sugli esiti dell’insurrezione stessa. In molti casi, infatti, l’abilità degli
insorti di raggiungere un santuario nei paesi vicini ha rappresentato la maggior sfida che il governo dovesse
affrontare, soprattutto in zone dove il controllo dei confini risultava particolarmente difficile. Così facendo il
governo, il quale campo d’azione è limitato dai suoi confini politici, si trova a non poter intervenire
militarmente contro questi santuari senza prima aver l’appoggio e la cooperazione dello stato vicino in
questione. Questo ha spesso rappresentato uno dei principali problemi con i quali la strategia
controinsurrezionale ha dovuto confrontarsi e rappresenta, ad oggi, una questione aperta nella guerra in
Afghanistan. La presenza di santuari oltre il confine con il Pakistan è infatti stato uno degli elementi che
durante la guerra ha maggiormente favorito gli insorti. D’altronde, come dimostra uno studio effettuato dalla
RAND4, esiste una certa correlazione tra la presenza dei santuari e il successo dell’insurrezione stessa,
confermando la rilevanza del problema.
Teoria insurrezionale: Santuari fisici e sociali
Una delle sfide chiave nel creare efficaci operazioni controinsurrezionali sta nell’abilità di capire le variabili
che ne determinano il successo o il fallimento.5 Negli scritti di Mao Zedong, che rimane il più influente
teorico d’insurrezione, si evince come egli dia molto importanza all’insurrezione rurale utilizzando strategie
di logoramento piuttosto che attraverso battaglie decisive di annichilamento6. Questo richiedeva una strategia
di lungo termine nel quale i comunisti politicizzavano e mobilitavano la popolazione rurale al fine di ottenere
risorse per formare un esercito. A tal fine, era necessario avere una certa libertà di manovra garantita dal
supporto popolare e dalla presenza di santuari.7 Egli sostiene anche che stabilire basi d’appoggio sia un
fondamentale principio da “adottare prima di perseguire l’obiettivo di preservarsi ed espandersi e distruggere
il nemico” e che sarebbe impossibile sostenere la guerra di guerriglia senza avere dietro queste basi.8
2 (D.Fearon & Laitin, 2003, p. 79)
3 (D.Fearon & Laitin, 2003)
4 (Libicki & Connable, 2010)
5 (Jones S. G., 2010)
6 (Wise, 2008)
7 (Mao & Griffith, 1961)
8 (Wise, 2008, p. 15)
Paget aggiunge che “la posizione ideale per un guerrigliero è non solo essere in possesso di una base sicura,
ma anche di un inviolabile santuario, accessibile a loro, ma non alle forze di sicurezza”.9 Anche Galula era
conscio della difficoltà per le forze controinsurrezionali di contrastare un santuario, egli scrive che “i fattori
geografici, non possono essere significativamente cambiati o influenzati eccetto che rimuovendo la
popolazione o costruendo barriere artificiali”.10
Nello scritto ‘Counterinsurgency Warfare: Theory nd Practice,’ Galula indica una serie di fattori geografici
che, oltre a facilitare la presenza di santuari, avvantaggiano in ultima istanza l’insurrezione. Scrive Galula
che “il ruolo della geografia, importante in una guerra tradizionale, potrebbe essere decisiva in una guerra
rivoluzionaria. Se infatti gli insorti, con la loro inziale debolezza, non fossero neanche in grado di ottenere
alcun aiuto dalla geografia, essi sarebbero condannati a fallire già prima di iniziare”.11
Il primo elemento è la
posizione geografica: un paese con vicini isolati da barriere naturali oppure posizionato accanto ad uno stato
fortemente ostile agli insorti, rappresenterà un importante agevolazione alle forze governative. Il secondo, la
grandezza. Più grande è il paese, più difficile è il controllo totale del territorio. La terza, la configurazione.
Un paese morfologicamente frammentato, come ad esempio un arcipelago, impedisce la diffusione
dell’insurrezione e rende così più efficace la controinsurrezione. Il quarto, i confini internazionali. La
lunghezza dei confini, particolarmente se i paesi vicini sono simpatizzanti verso gli insorti, favorisce
enormemente l’insurrezione. Di fatto confini marittimi sono molto più facili da controllare, con minor mezzi
e costi, rispetto ai confini terrestri. Quinto, la popolazione. La grandezza della popolazione agisce così come
la grandezza del territorio: più popolazione significa che è più difficile controllarla. Inoltre, una maggior
popolazione rurale rispetto a quella urbana favorisce gli insorti. Sesto, l’economia. Tendenzialmente, uno
stato sviluppato è maggiormente vulnerabile a brevi e intense ondate di terrorismo, ma poco soggetto al
rischio di movimenti insurrezionali. Al contrario, un paese sottosviluppato, è meno vulnerabile al terrorismo,
ma più aperto ad azioni di guerriglia, sia perché il governo non può contare su di un buon sistema di trasporti
e di comunicazione, sia perché la popolazione è maggior autarchica e quindi meno dipendente da sistema
statale di governo.12
La posizione geografica, la lunghezza di confini poco pattugliabili, la morfologia del territorio, la presenza di
vicini simpatizzanti, o quantomeno non ostili al movimento insurrezionale, sono tutti fattori che favoriscono
la presenza oltre confine di basi nei quali i guerriglieri possono rifugiarsi, recuperare le forze, addestrarsi ed
ottenere supporto. Sono perciò santuari che permettono agli insorti di scappare dalla pressione delle forze
governative, rendendo così inefficacie lo sforzo controinsurrezionale.
Se questi fattori fisici rendono possibile la presenza di santuari, un fattore immateriale rimane fondamentale:
il sostegno della popolazione. Affinché il movimento insurrezionale sia appoggiato, anche passivamente,
dalla popolazione è necessario che sussistano alcuni aspetti socio-culturali favorevoli alla protezione degli
insorti e quindi alla permanenza di santuari.
Gli attori nella teoria insurrezionale e l’importanza del supporto esterno
Nella teoria insurrezionale gli attori vengono di solito distinti seguendo uno schema tripartito13
. Secondo la
distinzione che fa Jones14
, vi sono infatti tre principali parti: il governo indigeno, gli insorti e gli attori
esterni. La popolazione è raffigurata al centro del triangolo in quanto, come detto, la conquista del supporto
della popolazione è la condizione necessaria al buon esito dell’insurrezione.
9 (Wise, 2008, p. 16)
10 (Galula, 1961)
11 (Galula, 1961)
12 (Galula, 1961)
13 (Jones S. G., 2008)
14 (Jones S. G., 2008, p. 12)
Usando le parole di Mao, la guerra insurrezionale è ‘una guerra per conquistarsi le menti e i cuori della
popolazione’.15
Secondo Mao, esistono poche possibilità di repressione da parte governativa una volta che la guerriglia
rivoluzionaria ha superato la prima fase di crescita e ha guadagnato il supporto di un significativo segmento
della popolazione.16
Gli attori esterni sono però spesso l’ago della bilancia che determina chi tra insorti e
governo indigeno riesca ad avere successo. Il supporto esterno può essere di due tipi. Primo, “governi
stranieri, diaspore, o network internazionali possono provvedere assistenza diretta, addestramento, soldi,
armi, logistica, copertura diplomatica nonché altri tipi di aiuto”.17
Tutti questi aiuti attivi per gli insorti, che
combattono di solito in posizioni di grave svantaggio di mezzi e di competenze rispetto alle forze
governative, sono di fondamentale importanza. Il secondo tipo di supporto esterno non richiede
necessariamente la partecipazione attiva di un attore esterno e può avvenire aldilà della volontà politica. Esso
consiste nella libertà concessa agli insorti di usare il territorio straniero come un santuario. Questo può infatti
accadere nel caso in cui i paesi limitrofi abbiano governi deboli non in grado di fermare l’azione
insurrezionale eliminando le loro basi. Come evidenzia Jones,18
la disponibilità di una base territoriale
presente al di fuori dei propri confini nazionali è spesso correlata con il fallimento degli sforzi
controinsurrezionali.
La figura 219
mostra come i santuari rappresentino un aiuto molto significativo per gli insorti, dimostrando
che esiste una certa correlazione tra santuari e successo dell’insurrezione. Il grafico divide i tipi di santuari
in: volontari, nei quali è presente una qualche forma di supporto da parte del governo straniero; involontari,
dove invece lo stato semplicemente non è in grado di eliminare le basi degli insorti. L’analisi empirica
mostra come gli insorti che potevano usufruire di un santuario abbiano vinto all’incirca nella metà dei
conflitti. Se il santuario era involontario, invece, gli esiti dell’insurrezione erano piuttosto simili ad altri
possibili output. Per ultimo, in assenza di santuari, le forze governative hanno avuto successo nella maggior
parte dei casi. Questo conferma l’importanza del santuario e del supporto attivo agli insorti da parte dei paesi
confinanti nel determinare le probabilità di successo dell’insurrezione.
15
(Mao & Griffith, 1961) 16
(Mao & Griffith, 1961) 17
(Jones S. G., 2008, p. 22). 18
(D.Fearon & Laitin, 2003) 19
(Libicki & Connable, 2010, p. 35)
Figura 1
Figura 2
Oltre i confini afghani: i santuari in Pakistan
L’invasione dell’Afghanistan, che è seguita all’attacco terroristico del 11 settembre 2001, ha spinto un
indefinito numero di talebani e di militanti di Al Qaeda oltre confine, nell’attuale regione definita dal
governo pakistano come Pakistan’s Federally Administered Tribal Area (FATA) e, in minor misura, nella
North-West Frontier Province (NWFP), provocando così un consolidamento del controllo degli estremisti
all’interno della regione. Fin dal 2002 la regione del FATA è stata la base di santuari per attacchi violenti in
Afghanistan da parte del crescente moto insurrezionale. Secondo ufficiali americani e documenti
d’intelligence, quest’area è “un impenetrabile base per il comando e il controllo, per il reperimento di risorse,
il reclutamento, l’addestramento, il lancio e il recupero di operazioni militari e attacchi terroristici”.20
Fin dal
2002 Al Qaeda e i talebani sembrano quindi usare il FATA pakistano e la regione di confine per attaccare sia
le truppe pakistane e afghane, che quelle della coalizione, programmando attacchi e diffondendo ideologie
radicali di matrice islamica che minacciano gli stessi interessi americani. La regione di confine è una zona
particolarmente adatta alla creazione di santuari, sia per le caratteristiche morfologiche dell’area, sia per la
presenza di determinate condizioni culturali e storiche, che hanno favorito il diffondersi dell’estremismo
islamico di Al Qaeda e quindi di un certo supporto da parte della popolazione agli insorti.
Santuari: condizioni geografiche
Il FATA è diviso in sette Agenzie21
e in sei più piccole regioni chiamate Regioni frontaliere,22
si estende da
nord a sud per 450 chilometri e nel punto più largo arriva a 250 chilometri. Da questa regione, i terroristi
sono in grado di operare localmente o globalmente con relativa sicurezza.23
E’ divisa dall’Afghanistan dalla
cosiddetta Linea Durand, un confine tracciato nel 1893 fra l’India britannica e l’emiro afghano Abdur
Rahman Khan per fissare i limiti delle rispettive sfere d’influenza. In realtà, però, la topografia dell’area,
altamente frammentata e montagnosa, rende la creazione di un confine identificabile e pattugliabile quasi
20
(Johnson & Mason, Spring 2008) 21
Bajaur, Khyber, Kurram, Mohmand, North Waziristan, Orakzai and South Waziristan 22
Bannu, Dera Ismail Khan, Kohat, Lakki Marwat, Peshawar and Tank 23
(Nilsson, 2009)
impossibile. Per questo motivo la maggioranza dei transiti non sono monitorati né da Islamabad né da Kabul.
Seguendo le parole di Mason e Johnson, “[la linea Durand] è accettata come un valido confine legale da
quasi nessuno all’interno della regione frontaliera”.24
Anche la demografia dell’area non aiuta le strategie
controinsurrezionali. La popolazione di 3.176.000 è prevalentemente rurale, solo il 2,6% viene di fatto
identificata come urbana.25
Tutte queste condizioni hanno reso le manovre controinsurrezionali dei governi
endogeni e degli attori esterni poco efficaci.
Santuari: condizioni socio-culturali
Oltre ad una frammentazione orografica, esiste anche una alta frammentazione socio-culturale. Sebbene
infatti le tribù Pashtun rappresentino il gruppo etnico principale, esistono almeno altre ventuno etnie,26
ognuna con la propria lingua e i propri sub-dialetti, spesso difficilmente comprensibili reciprocamente.
Tuttavia sono i Pashtun l’unico gruppo etnico che abbia effettivamente dimostrato un certo interesse nel tipo
di jihad promosso dai talebani. Secondo diversi autori, questa propensione delle tribù Pashtun, altamente
frammentate anche al loro interno, è da ricercare nel Pashtunwali, un codice di comportamento molto seguito
ancor oggi che regola le relazioni e la società delle zone tribali e che definisce la cultura Pashtun. Il
Pashtunwali si basa su 4 principi: la libertà, l'onore, la vendetta e la cavalleria. L’aspetto cruciale del modo
di vivere Pasthun è l’indipendenza. Prima di tutto, nessun uomo Pashtun potrebbe dire ad un altro adulto
Pashtun cosa fare. Anche un importante Khan, magari ascoltato e rispettato, non potrebbe mai dare ordini al
di fuori della propria famiglia. Il governo o l’imposizione straniera sono quindi in aperto conflitto con uno
dei principali caratteri culturali tradizionali della regione. Questo non significa assenza di governo, ma
piuttosto una forma di organizzazione sociale con un avanzato meccanismo di risoluzione dei conflitti che
però non prevede alcuna delle figure e dei meccanismi a cui siamo abituati nei paesi occidentali. Organo
principale per la risoluzione delle controversie è infatti il Jirga, un’assemblea tribale d’anziani che, è stato
stimato, risolve il 95% circa dei casi per i quali viene invocata.27
I Pashtun che vivono in quest’area non
desiderano quindi avere un sistema nuovo ed avulso imposto da stranieri, ritenuto poi essere inferiore al
proprio ordine sociale.28
Oltre l’indipendenza e la libertà personale, si richiede ad un uomo di avere un alto
grado di onore, in pashto nang.29
Le azioni che devono essere intraprese per preservare l’onore possono
anche violare le leggi di uno stato. Questo risulterebbe comunque accettabile e legittimo per un Pashtun che
agisca in base a questo valore. Per questo il concetto di giustizia Pashtun mal si concilia con le leggi
solitamente imposte da governi stranieri. Il terzo valore essenziale della cultura Pashtun è la vendetta,
identificata dalla parola Pashto Badal. Nel caso infatti l’onore sia stato danneggiato, affinché non si diventi
un reietto o escluso dalla società, è necessario reagire contro chi ha offeso. Il quarto precetto Pashtunwali è
quello di cavalleria, con il quale s’identifica l’obbligo di dare ospitalità (melmastia) a chiunque venga nella
propria casa, compresi stranieri, fino ad una più alta forma di cavalleria (nanawatey) con la quale invece si
descrive l’obbligo di essere indulgenti con un'altra persona che chieda aiuto da una posizione di inferiorità.
Secondo il Pashtunwali, sarebbe disonorevole non aiutare questa persona anche aldilà di chi sia e di cosa
abbia fatto in passato.30
L’ospitalità nella cultura Pashtun significa in concreto “dover dare un rifugio, cibo,
acqua, vestiti e protezione a chi la cerca per un indeterminato ma temporaneo periodo, anche al costo della
propria vita”.31
Tutti questi fattori culturali, uniti al fatto che sostanzialmente Islamabad non abbia mai avuto un controllo
legale effettivo su queste zone, potrebbero spiegare perché la regione transfrontaliera fra Afghanistan e
Pakistan sia un luogo nel quale gli insorti sono riusciti a trovare un rifugio sicuro fra la popolazione. Di fatto,
24
(Johnson & Mason, Spring 2008, p. 69) 25
http://www.khyberpakhtunkhwa.gov.pk/Departments/BOS/fatadev-stat-abs-popu.php# - Accesso 18:51 7 Giugno 2012 - 26
(Jones S. G., 2010) 27
(Robichaudx, 2007) 28
(Johnson & Mason, Spring 2008) 29
Secondo la definizione data da Mason e Johnson, Nang rappresenta l’obbligo di un uomo di proteggere l’inviolabilità della propria persona, della sua proprietà e della sua donna 30
(Johnson & Mason, Spring 2008) 31
(Johnson & Mason, Spring 2008, p. 63)
i precetti di autonomia e d’indipendenza rendono difficile applicare un ordine sociale esterno, sia che esso
venga dal governo pakistano, da quello afghano oppure dalla coalizione occidentale. I precetti di onore e
vendetta, potrebbero spiegare il motivo per cui le tattiche controinsurrezionali applicate dalle forze NATO e
americane, non solo non siano state efficaci, ma abbiano aumentato la partecipazione all’insurrezione in
queste zone, favorendo l’immagine e la causa degli insorti. Infine, il precetto di cavalleria e ospitalità, ci
mostra una certa tendenza culturale a dare rifugio agli insorti, anche se non simpatizzanti per la causa
insurrezionale e anche a costo di correre gravi rischi.
Importante anche il ruolo del fondamentalismo islamico, che ha trovato un terreno fertile nelle regioni
frontaliere soprattutto a causa di politiche governative del passato. Inoltre gli indipendenti clan Pashtun, in
risposta a pressioni esterne, hanno storicamente saputo unirsi sotto l’insegna di leader religiosi carismatici.32
Questo ci indica che nonostante la cultura Pasthun non sia esattamente assimilabile al radicalismo islamico,
gli insorti sono lo stesso riusciti a trovare proseliti o, al più, una popolazione non ostile, nelle regioni
frontaliere.
Islamizzazione del FATA: come il movimento jihadista si è diffuso all’interno delle tribù
Pashtun. Il ruolo del Pakistan e degli Stati Uniti.
Come evidenziato nella parte precedente, la regione frontaliera tra Pakistan e Afghanistan è una regione che
presenta delle condizioni ottimali per la creazione di santuari per gli insorti. Questo tuttavia è frutto di un
processo storico nel quale attori come il Pakistan e gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo cruciale. In questa
parte evidenzio come il processo di radicalizzazione islamica in Pakistan e le politiche americane abbiano
creato questa condizione di santuario nella regione del FATA e del NWFP.
Islamizzazione del Pakistan: dall’indipendenza all’invasione sovietica in Afghanistan
Fin dall’indipendenza, in Pakistan si è ripetutamente presentata la dibattuta questione del ruolo che l’Islam
avrebbe dovuto assumere nel processo di nation-building.33
La Lega Musulmana aveva domandato la
partizione del subcontinente indiano sulla base della ‘Teoria delle due nazioni’, teoria che enfatizza la
presenza di due differenti nazioni all’interno della penisola indiana proprio seguendo il criterio religioso.
Anche se lo stato pakistano nasce al fine di agglomerare i musulmani indiani, nelle prime fasi esso è un
paese secolarizzato non basato sulla shari’a. Nel 1947 il Pakistan ottiene l’indipendenza. Lo stato che si crea
è etnicamente frammentato al suo interno. Di fatto, fin da subito nacque nelle regioni di confine con
l’Afghanistan un movimento indipendentista che chiedeva allo stesso modo la nascita di un altro stato
autonomo nella regione, il Pashtunistan, stato che avrebbe dovuto riunire sotto di sé tutti i Pashtun pakistani.
Questo movimento era sostenuto dal governo afghano che sperava da una parte di indebolire il nuovo stato
pakistano, e dall’altra di creare una regione autonoma che avrebbe potuto, col tempo, rientrare nella sfera
d’influenza afghana. Il governo pakistano decise di risolvere la questione attraverso l’indizione di un
referendum a Peshawar con il quale gli stessi Pashtun avrebbero potuto decidere di quale stato entrare a far
parte. La scelta fu data tra India e Pakistan, non permettendo né l’ipotesi indipendentista né tantomeno quella
afghana. A prevalenza islamica e culturalmente più affini, i Pashtun decisero di entrare a far parte del
Pakistan.
Il governo pakistano si trovava quindi a dover governare un paese etnicamente frammentato, in un ambiente
caratterizzato da paesi limitrofi ostili. Questo rischio di divisione del proprio territorio ha sempre spinto i
leader ad usare il sentimento religioso come strumento efficacie per rafforzare l’identità nazionale.34
Sotto la
persistente minaccia indiana, si è sempre tentato di gestire l’estremismo islamico come strumento per
rafforzare il processo nation-building, cercando però allo stesso tempo di non destabilizzare il fronte interno
32
(Markey, 2008) 33
(Hussain, 2005, cfr c.2) 34
(Ḥaqqānī, 2010)
o le relazioni con i paesi occidentali. Così, i gruppi fondamentalisti sono spesso stati sponsorizzati e
supportati dalla macchina statale per influenzare la politica domestica e spesso per supportare il dominio
politico dei militari.35
Muhammad Ali Jinnah, il padre fondatore del Pakistan, voleva costruire una forte nazione basata sul
principio del ‘una nazione, una cultura, una lingua’.36
Il preambolo della costituzione del 1956 dichiarava che
‘i cittadini dovrebbero organizzare le loro vite sia individualmente che collettivamente in accordo con la
domanda e i principi dell’Islam come indicato nel Corano e nella Sunna’. Anche il Generale Ayub Khan che
salì al potere nel 1958, proseguì lo stesso tipo di politica. Appena entrato in carica scrisse nella costituzione
che la legge dello stato non avrebbe dovuto mai esser stata in conflitto con la legge islamica. Ayub Khan, in
linea con i governi passati, era fermamente convinto della politica tripode sviluppata duranti i primi anni
della creazione del Pakistan, ovvero nell’identificare l’India come il nemico esterno, l’Islam come
l’unificatore nazionale e gli Stati Uniti come il paese fornitore di armi e finanze.37
Zulfikar Ali Bhutto pose
le fondamenta di una politica d’islamizzazione nella costituzione del 1973, dichiarando che il Pakistan era
uno stato islamico. Il General Zia, che succedette Bhutto nel 1977, fu poi il principale promotore di questa
spinta verso l’islamizzazione del paese.
Il General Muhammad Zia ul-Haq salì al potere grazie ad un colpo di stato nel 5 Luglio 1977. Governò per
11 anni fino alla sua morte avvenuta per un incidente aereo nel 17 Agosto 1988. Zia ul-Haq è stato spesso
indicato come la persona che ha portato il Pakistan a diventare un centro globale per l’Islam politico.38
Zia
definì lo stato pakistano come uno stato islamico, nutrì l’ideologia jihadista portando così avanti il progetto
di nation e state-building che era iniziato subito dopo la morte del fondatore del Pakistan Muhammad Ali
Jinnnah. Egli era convinto che per garantire la sopravvivenza del Pakistan fosse necessario avere uno stato
altamente ideologizzato, attentamente guidato dai servizi militari e dall’intelligence. Subito dopo l’ascesa al
potere, Zia ul-Haq iniziò un processo d’islamizzazione della giustizia e della società. Tale politica fu
giustificata dichiarando che alla base del Pakistan vi era l’Islam e che il paese era nato proprio distinguendosi
dal subcontinente indiano su basi culturali e religiose. L’erosione dei valori musulmani avrebbe, secondo lui,
portato alla disintegrazione dello stato. Per questo l’islamizzazione era promossa come l’unica ed essenziale
terapia contro la lunga crisi d’identità nazionale. Nello specifico, una tra le politiche del Generale Zia che più
avrebbe avuto effetto sul diffondersi di gruppi radicali, fu la liberalizzazione dei visti per gli attivisti
musulmani provenienti da altri paesi, che permise d’installare i loro quartier generali in Pakistan, aggirando
le restrizioni sull’attivismo politico islamico presenti nei paesi d’origine.39
Questa fu probabilmente una delle
politiche che favorì maggiormente la nascita di basi per insorti nelle regioni al confine con l’Afghanistan.
L’intervento americano in Afghanistan alla fine del 1979 e il conseguente sostegno al suo regime aumentò la
fiducia sulle materie domestiche di Zia.40
Il periodo del governo di Zia ul-Haq era in realtà la prosecuzione
delle politiche dei suoi predecessori ed era in linea con lo sforzo dei militari pakistani di definire una
nazionalità pakistana per mantenere il controllo patriarcale dello stato. Se Ayub Khan si era concentrato nel
costruire relazioni con gli USA per assicurare la modernizzazione militare e lo sviluppo economico, e se
Yahya Khan si era invece confrontato con l’India e la sua influenza sull’Est Pakistan, Zia ul-Haq ha
concentrato tutte le sue energie nel tentativo di creare un puro stato islamico che assicurasse l’unità del
Pakistan. Tutti e tre sono elementi di politiche adottate subito dopo l’indipendenza dai leader militari per la
sopravvivenza e la crescita del Pakistan. Tutti e tre con enfasi diverse e diverse tattiche, ma tutti finalizzati
alla stessa strategia.41
L’ascesa al potere dei talebani: verso il radicalismo
35
(Ḥaqqānī, 2010, p. 3) 36
(Jaffrelot, 2004, p. 8) 37
(Ḥaqqānī, 2010, p. 43) 38
(Ḥaqqānī, 2010) 39
Ibidem 40
Ibidem 41
Ibidem
L’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979 ha rappresentato un ulteriore spinta verso la radicalizzazione
islamica. Di fatto, sia gli americani che l’ISI hanno coscientemente stabilito e sostenuto i gruppi di
mujheadin con agende più estremiste rispetto a quelli più moderati, con l’effetto di marginalizzare i gruppi
nazionalisti più moderati oppure di radicalizzarli.42
Questo tipo di gruppi di resistenza fu infatti considerato
più adatto nell’affrontare la minaccia sovietica. L’intervento sovietico stimolò la crescita di sforzi di
resistenza anche nei vicini Pakistan e Iran e il fondamentalismo islamico fu sempre al centro della resistenza.
Va tuttavia ricordato che obiettivo degli insorti non era solo quello di terminare l’invasione straniera, ma
anche quello di creare un nuovo stato islamico. La CIA promosse questi gruppi sia all’interno dei campi di
rifugiati sia dentro le madrassas alimentando la jihad contro l’unione sovietica.43
Quando nel 1988 Gorbachev dichiarò la ritirata delle forze sovietiche in Afghanistan, si creò un vuoto di
potere che causò la lotta intestina tra i gruppi rimasti. La ritirata sovietica rappresentò la prova della vittoria
del fondamentalismo e fece acquisire notevole visibilità ai gruppi che avevano combattuto e sconfitto la
superpotenza. La fine della guerra fredda segnò anche la fine del ruolo strategico che l’Afghanistan aveva
avuto durante il confronto bipolare. Non c’era più bisogno di uno stato cuscinetto in Asia centrale che
fermasse l’avanzata sovietica. Per questo motivo la fine della guerra fredda comportò anche il completo
disimpegno americano in Afghanistan facendo rimanere il Pakistan la più influente potenza esterna
nell’area.44
Nell’aprile del 1992 tramite l’accordo di Peshawar si istituisce lo Stato Islamico di Afghanistan,
uno stato che riuniva tutti i partiti afghani eccetto l’Hezb-e Islami. In breve tempo, però, varie forze
mujahideen contrarie al regime si armarono portando il paese ad una guerra civile che avrebbe portato poi
all’ascesa dei talebani.
In tutto questo il Pakistan aveva svolto un ruolo cruciale nel sostegno di quei gruppi che volevano instaurare
un regime islamico radicale di matrice sunnita. Questo per due motivi: primo, erano preoccupati che il
nazionalismo Pashtun avrebbe potuto minare la stessa unità pakistana e, secondo, si cercava un governo in
Afghanistan filo-pakistano che avrebbe concesso libertà sulle rotte verso il centro-asia e che avrebbe
sostenuto il Pakistan nel conflitto contro l’India.45
In conclusione, il sostegno del Pakistan alle forze talebane,
tramite l’azione dell’ISI e tramite il supporto di basi sicure sul proprio territorio, rientrava nello schema di
quella strategia, già ricercata in passato, d’ingerenza in Afghanistan per evitare che si creasse un regime
ostile agli interessi pakistani. Strategia che con la fine della guerra fredda era ora possibile perseguire.
La controinsurrezione nelle regioni frontaliere del FATA e del NWFP
La persistente esistenza di zone sicure per gli insorti afghani oltre la frontiera rende tutt’oggi estremamente
difficile, se non impossibile, per le forze controinsurrezionali dell’ISAF avere successo. Il ruolo svolto dal
Pakistan è di fatto cruciale nel lungo periodo per ottenere un Afghanistan riappacificato. In questa parte
analizzo la strategia pakistana e americana nei confronti del movimento insurrezionale nelle regioni del
FATA e del NWFP.
La controinsurrezione pakistana
Dopo l’attacco terroristico del 11 settembre, la politica pakistana verso le aree di confine e verso il regime
talebano in Afghanistan cambiò repentinamente. Il Pakistan passò in un breve lasso di tempo da uno dei
pochi paesi ad aver riconosciuto il governo talebano ad essere il principale alleato di Bush nella ‘Guerra al
terrore’ contro i talebani e i loro associati di Al-Qaeda.46
Nel Giugno del 2002, l’esercito pakistano dispiega
per la prima volta una divisione al fine di bloccare gli elementi di Al-Qaeda che, sotto pressione dell’esercito
anglo-americano, stavano cominciando ad attraversare la Linea Durand. Nel 2004 comunque non si era
42
(Milton-Edwards, p. 76) 43
(Milton-Edwards, p. 78) 44
(Hussain, 2005, p. 165) 45
(Lian, 2010) 46
(Ghufran, 2009)
ancora riusciti a bloccare il flusso e i terroristi avevano oramai guadagnato un importante rifugio nel FATA.
L’esercito pakistano cominciò ad intraprendere una serie di missioni search-and-destroy nell’area, al fine di
eliminare i talebani che avevano trovato rifugio sul territorio, soprattutto nella regione del Waziristan.47
Queste operazioni tuttavia incontrarono una diffusa resistenza e non furono accolte positivamente dalla
popolazione locale, in quanto costituivano le prime vere e proprie incursioni dell’esercito pakistano nella
regione del FATA fin dall’indipendenza pakistana. Questa invasione era percepita come una violazione delle
promesse fatte del padre fondatore pakistano, Mohammad Ali Jinnah, di risolvere le dispute attraverso
negoziati o jirgas e non attraverso l’impiego delle forze armate. Una volta comprese l’inefficacia e l’alta
impopolarità che queste azioni comportavano, il regime di Musharraf decise di fare una serie di controversi
accordi con le milizie e i leader locali. Questi accordi chiedevano ai gruppi tribali di espellere i militanti
stranieri dalla regione e di cessare gli attacchi transfrontalieri vero l’Afghanistan. In cambio, l’esercito
pakistano avrebbe cessato le operazioni militari nell’area e fatto ritornare la maggior parte dei suoi soldati
nelle basi. Come sostiene Jones, la logica di questi accordi sembrava intuitiva: nelle aree dove le tribù
esercitano potere politico, militare ed economico, la più efficace soluzione di lungo termine era quella di
creare incentivi per i capi tribù affinché svolgessero loro l’attività di polizia necessaria. Dopo tutto,
quest’area tribale è stata governata da loro per centinaia di anni e spesso le tribù vedono le forze esterne,
compreso all’esercito pakistano, come stranieri non benvenuti.48
Questi accordi, tuttavia, non avendo posto
alcun mezzo di coercizione o di controllo sulle tribù, non raggiunsero lo scopo desiderato e finirono per
continuare a permettere la presenza di santuari dei terroristi stranieri e di infiltrazioni di milizie talebane in
Afghanistan.49
Le operazioni guidate dall’esercito pakistano contro i connazionali insorti, in FATA o in
NFWP soffrivano di una diffusa impopolarità e minacciavano la stessa legittimità del regime pakistano,
percepito dai più come un servitore degli interessi americani.
Ancora oggi, l’azione controinsurrezionale pakistana può essere riassunta in operazioni militari, ad opera
delle forze di polizia e delle milizie, i cosiddetti Frontier Corps, nonché dell’esercito, in operazioni
d’intelligence, con l’ISI che monitora la regione di confine e cerca di dialogare con i gruppi talebani, e in
azioni di carattere politico, attraverso accordi con i singoli capi tribù al fine di cessare il loro appoggio agli
insorti.
La controinsurrezione americana
Da parte Americana invece l’impegno nelle zone tribali pakistane al confine si è principalmente
concretizzato in un supporto indiretto, principalmente nella forma di aiuti finanziari al governo pakistano e
alle forze di sicurezza. Durante tutto il conflitto, sia la presidenza Bush che quella Obama hanno cercato di
evitare il più possibile la presenza fisica dell’esercito sul territorio pakistano, per evitare gli effetti
potenzialmente negativi che questo avrebbe potuto avere sulle relazioni diplomatiche con il governo del
Pakistan. Questa partnership, infatti, è di vitale importanza per gli USA, basti pensare all’ingente catena
logistica che passa sul territorio, sia in aiuto agli americani che alla coalizione internazionale. Per questo la
strategia americana si è concentrata più sullo sviluppare le capacità del Pakistan nel condurre operazioni
controinsurrezionali, di controterrorismo e controllo dei confini indipendentemente, piuttosto che intervenire
direttamente. Le missioni americane e della NATO quindi si sono limitate principalmente ad azioni sul suolo
afghano, con però tre eccezioni: investigazioni per localizzare e arrestare i vertici di Al-Qaeda che operano in
Pakistan, operazioni militari in Afghanistan che finiscono con sconfinare in territorio pakistano, utilizzo di
droni che individuano e colpiscono agenti dei talebani che hanno base nel FATA50
.
Gli Stati Uniti però non sono soddisfatti dell’azione svolta dal Pakistan, il quale, nonostante le pressioni e gli
aiuti americani, manca di capacità o di volontà politica per contrastare i santuari dei talebani nelle regioni
47
(Markey, 2008) 48
(Jones S. G., 2008, p. 58) 49
(Markey, 2008) 50
(Jones S. G., 2008)
frontaliere. Spesso infatti il governo pakistano ha limitato le sue operazioni verso miliziani stranieri non
andando invece a colpire i talebani di origine pakistana.
Forti critiche sono state mosse inoltre verso l’efficacia dei Frontier corps, un corpo di milizie non addestrato
ad operazioni di controinsurrezione e che il governo pakistano impiega nelle regioni del FATA e del NWTP.
Quindi gli americani hanno aumentato negli ultimi anni le azioni in territorio pakistano soprattutto attraverso
l’uso di UAV Predator, il cui uso si stimava nel 2009 fosse aumentato di circa il 183% rispetto a tre anni
prima.51
L’uso di Predator, così come gli sconfinamenti delle truppe NATO in territorio pakistano, hanno però portato
al deterioramento dei rapporti tra i due paesi. Il 26 Novembre 2011 l’uccisione di 24 soldati pakistani da
parte delle forze ISAF aveva provocato la dura reazione del Pakistan, che aveva reagito bloccando
temporaneamente i rifornimenti NATO e ordinando agli americani di abbandonare la base di Shamsi.52
Gli
effetti di questo incidente ebbero anche importanti conseguenze diplomatiche e portarono il Pakistan a non
partecipare alla Conferenza di Bonn nel Dicembre del 2011.
Questo ha rappresentato un punto debole della strategia americana, divisa tra raggiungere un obiettivo tattico
di breve periodo, come può essere l’eliminazione di una cellula talebana, e l’obiettivo strategico di lungo
periodo, che è la riappacificazione dell’Afghanistan e la completa eliminazione di Al-Qaeda sia in
Afghanistan che nei santuari in Pakistan.
Conclusione
Nella prima parte del paper ho mostrato come la teoria consideri necessaria l’eliminazione dei santuari al
fine di una strategia controinsurrezionale di successo. Gli attori esterni, la morfologia del territorio e le
peculiarità culturali delle popolazioni che abitano al confine giocano un ruolo chiave nel determinare se gli
insorti riusciranno o meno a trovare rifugio nel paese vicino. Le cause del successo dei talebani all’interno
della regione del FATA possono alla fine essere ridotte a due. La prima di carattere materiale, per cui lo stato
confinante manifesta forti limiti nel controllo delle zone frontaliere, sia a causa delle caratteristiche
morfologiche del territorio, che per proprie debolezze interne. La seconda di carattere invece immateriale,
con una popolazione che per motivi socio-culturali è particolarmente incline a subire il fascino dell’ideologia
promossa dagli insorti.53
Secondo un articolo uscito nel New York Times il 25 Marzo 2009,54
la campagna talebana nell’Afghanistan
meridionale sarebbe resa possibile in parte dal sostegno che gli agenti dell’intelligence pakistana forniscono
agli insorti tramite soldi e forniture militari. Vi sarebbero, secondo gli autori dell’articolo, anche evidenze
che l’ISI discuta direttamente con i comandanti talebani riguardo alle strategia da intraprendere contro le
forze internazionali. Anche considerando la veridicità delle fonti da loro utilizzate, sicuramente c’è un fatto
importante da sottolineare: la mancanza di fiducia nei rapporti tra gli Stati Uniti e il Pakistan. La percezione
di un Pakistan doppiogiochista è ancora oggi ben diffusa tra gli ufficiali americani che vedono il
comportamento di alcuni agenti dell’ISI come ‘deviato’, poiché occasionalmente coltivavano relazioni, non
approvate dai loro stessi capi, con i talebani. In realtà, il governo pakistano non mantiene un approccio unico
per tutti i gruppi talebani, alcuni dei quali non vengono considerati minacciosi e vengono così lasciati in
pace. Questo probabilmente fa sì che si abbia la percezione che elementi all’interno del Pakistan e dell’ISI
continuino nel sostegno ai gruppi d’insorti.55
Questo dualismo pakistano e i limiti della sua azione controinsurrezionale sono comunque da ricercare in due
vincoli strategici, il primo di carattere interno e il secondo di carattere internazionale. Sul fronte interno, la
51
(Pierce, 2009) 52
(Pierce, 2009) 53
(White, 2009) 54
(Mazzetti & Schmitt, 2009)
55 (Masadykov, Giustozzi, & Page, 2010)
preoccupazione centrale pakistana è quella di mantenere l’integrità territoriale. Questo obiettivo, centrale
nella storia pakistana, può essere messo in serio pericolo dalla spinta centrifuga delle tribù Pasthun, che in
seguito all’ingerenza del governo centrale potrebbero muoversi verso un fronte maggiormente
indipendentista. La povertà di queste zone e i fattori culturali che accomunano i gruppi Pashtun, i quali mal
digeriscono l’eccessiva sottomissione al governo centrale, possono portare a movimenti insurrezionali ancor
più violenti. A tal proposito, molto emblematica è stata la controversa operazione militare contro le milizie
che avevano trovato rifugio nella Lal Masjid56
in Islamabad nel 2007. Tutta l’operazione fu interpretata come
un vero e proprio affronto all’etnia Pashtun e alla loro sensibilità religiosa.57
Le conseguenze furono molto
gravi e si concretizzarono in contestazioni verso il governo Musharraf arrivando ad un’ondata di scontri
violenti nelle regioni del FATA e del NWFP. Sul fronte internazionale, invece, la principale preoccupazione
rimane l’India. Interesse strategico di primo piano è che a Kabul non si instauri un regime filo-indiano, che
indebolirebbe enormemente la posizione regionale del Pakistan. La miglior soluzione ovviamente sarebbe
quella di un regime alleato, così come era successo alla fine degli anni 90 con il governo talebano. Con
l’intervento delle forze occidentali, tuttavia, questa soluzione non era più realizzabile e, ad oggi, il governo
pakistano preferisce mantenere un regime debole piuttosto che perseguire una definitiva pacificazione del
territorio afghano rischiando in questo modo la perdita d’influenza nella regione. Tuttavia questo tipo di
politica comporta dei seri rischi. Il possibile contagio dell’insurrezione, la talebanizzazione delle zone di
confine, nonché le potenziali conseguenze sulle relazioni con gli Stati Uniti, rappresentano tutti potenziali
effetti negativi di una politica controinsurrezionale poco decisa. Nonostante ciò, il Pakistan non sembrerebbe
aver cambiato posizione sull’Afghanistan. Come disse il presidente Zia Ul-haq nel 1979, per il Pakistan
“l’acqua in Afghanistan deve bollire alla giusta temperatura”.58
Al Pakistan, non in grado di controllare pienamente le zone frontaliere e mal disposto a lasciare attori esterni
intervenire, si affianca l’azione controinsurrezionale americana nei santuari in Pakistan, che è risultata essere
poco efficace. Il largo utilizzo da parte dell’amministrazione Obama di attacchi di droni, con il numero di
vittime civili e non che essa comporta, ha in realtà dimostrato di aumentare, invece che diminuire, il numero
degli insorti. Il concetto di badal potrebbe riuscire a spiegare questo fenomeno. Gli attacchi americani
potrebbero di fatto motivare le popolazioni tribali Pasthun ad imbracciare le armi per perseguire il precetto di
vendetta, imposto loro dal pashtunwali. Gli attacchi di droni vanno quindi riconsiderati in modo da tenere la
pubblica opinione pakistana lontana da livelli di ebollizione. Mantenere il giudizio dell’opinione pubblica
pakistana su toni bassi, avrebbe anche importanti effetti sulle complesse relazioni tra governo americano e
pakistano, nonché faciliterebbe di gran lunga le operazioni militari in Afghanistan. Il governo americano
dovrebbe quindi cercare di limitare il più possibile l’utilizzo di questi strumenti riservandone l’uso solo in
quelle aree che risiedono fuori dall’effettiva sovranità pakistana.59
Questo perché aumentano il numero ed il
radicalismo dei pakistani che appoggiano gli estremisti e di fatto compromettono la costruzione di una
partnership costruttiva con il Pakistan.
In sintesi, negli ultimi anni Washington ha fallito nel convincere il Pakistan che gli Stati Uniti hanno buone
intenzioni nella regione e che il suo impegno sarà lungo a sufficienza per implementare un cambiamento
costruttivo. Il Pakistan, dal lato suo, ha dimostrato una carenza di capacità e, troppo spesso, un’apparente
mancanza di volontà nell’affrontare i suoi deficit nei campi della sicurezza, della politica e dello sviluppo,
producendo esplosioni di terrorismo ed estremismo all’interno, e all’esterno, dei suoi confini. L’ambiguità
pakistana e il suo apparente dualismo segue una logica precisa, mentre l’azione Americana può solo provare
a trovare un compromesso con il suo alleato senza usare un approccio coercitivo. La politica coercitiva è
stata infatti profondamente contro produttiva perché ha rinforzato chi in Pakistan già sospettava delle male
intenzioni americane, minando così la posizione dei potenziali alleati nel sistema politico pakistano. Al fine
di realizzare gli obiettivi americani nelle zone tribali, gli Stati Uniti avranno bisogno di partner affidabili
56
Moschea rossa 57
(Cheema, 2008) 58
Cit. in (Yousaf, 1992) 59
(Packer, 2008)
all’interno delle istituzioni pakistane, anche se il Pakistan potrebbe mancare di capacità per implementare le
politiche necessarie a questi obiettivi.
Il Pakistan, invece, deve convincere le tribù restaurando la vecchia struttura tribale Pashtun, che è stata
sostituita dai talebani, rinforzando le tribù che vengono minacciate dal radicalismo islamico. Una volta che la
minaccia talebana e Al-Qaeda saranno rimosse, il governo pakistano potrà finalmente lavorare a
cambiamenti strutturali di lungo periodo, necessari per incatenare le strutture tribali e integrare il FATA nel
resto del Pakistan.60
Come sostiene Kilcullen, la miglior strategia diplomatica che gli Stati Uniti possono intraprendere è quella
d’identificare all’interno del Pakistan gli amici e gli alleati (principalmente leader politici di stampo
democratico, ufficiali, nonché una gran fetta della popolazione pakistana) e gli attuali nemici (principalmente
fazioni all’interno dell’establishment della sicurezza nazionale pakistana, dei radicali religiosi e dei terroristi)
ed agire in modo da aumentare il numero e l’influenza dei primi riducendo allo stesso tempo il potere dei
secondi.61
Le operazioni e le azioni che vanno contro questo semplice approccio andrebbero quindi limitate,
in quanto rischiano di compromettere il perseguimento dell’obiettivo tattico più importante contro
l’insurrezione in Afghanistan, la partnership pakistana e l’eliminazione dei santuari sul suo territorio.
60
(Nilsson, 2009) 61
(Kilcullen, 2009)
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