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ANNA CORSI - VALENTINA CARDINALE - VINCENZO LUCIANI Dialetto e poesia nei 33 comuni della provincia di Latina Nota e tavola dialettologica di FABIO APREA EDIZIONI COFINE EDIZIONI COFINE Dialetto e poesia nei 33 comuni della provincia di Latina A. CORSI-V. CARDINALE-V. LUCIANI ISBN 978-8898370-11-5 euro 15,00

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ANNA CORSI - VALENTINA CARDINALE - VINCENZO LUCIANI

Dialetto e poesianei 33 comuni

della provincia di Latina

Nota e tavola dialettologica di FABIO APREA

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ISBN 978-8898370-11-5

euro 15,00

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NOTA DIALETTOLOGICA1

Non si conoscono tratti linguistici condivisi da tutti e soli i dialetti della provincia di Latina:dunque essi non costituiscono un gruppo, né un sottogruppo unitari dal punto di vista descrittivo2.Da quello percettivo i livelli antagonisticamente variabili di lealtà linguistica ai modelli romano enapoletano3, l’assenza di una varietà dialettale riconosciuta come pienamente rappresentativa delcapoluogo (Stefinlongo 2008: 171), lo sparso persistere dell’identità venetofona nelle città e neiborghi dell’agro bonificato4, nonché la diffusa coscienza dell’origine composita della provincia alivello demico e storico-politico ostano allo svilupparsi di un sentimento di comune e specificaappartenenza dialettale. È interessante notare a questo riguardo che latinese, al pari di romano5, siauno dei rari aggettivi di relazione italiani proprî di una città capoluogo di provincia che de factonon sono usati sostantivati per indicare il territorio circostante, come invece normalmente avvienein casi quali il Varesotto, il Viterbese, il Frusinate ecc. (Caffarelli 2000: 492).

Il primo lavoro su un dialetto del territorio oggi appartenente alla provincia di Latina è il lessicoformiano che Pasquale Mattej compila con criteri preascoliani nel 1873, l’anno di fondazione del-l’Archivio Glottologico Italiano. Due anni più tardi Papanti (1875: 471-2) accoglie nella sua rac-colta di traduzioni dialettali della novella I, 9 del Decameron una versione di nuovo proveniente daFormia. Tuttavia è necessario attendere Merlo (1906), che si basa fra l’altro su informatori prove-nienti da Cori, Sezze, Piperno (oggi Priverno), Sonnino e S. Felice Circeo, perché dei nostri dialettisi tratti in sede accademica. In effetti prima della bonifica il vuoto insediativo delle paludi pontinee la malsanità che investe anche le zone limitrofe devono aver agito da deterrente per gli addetti ailavori: la bibliografia scientifica sulla nostra area è esigua, nettamente inferiore a quella del restanteLazio a sudest di Roma (D’Achille 2002: 517-20). Tra le monografie d’impianto neogrammaticalepossiamo citare solo Crocioni (1907), che tratta secondariamente di Sezze e Cori; l’AIS fornisceunicamente l’inchiesta condotta nel 1924 da Rohlfs a Sonnino (punto 682), niente si può ricavaredalla raccolta di Battisti (1921) e il profilo del Lazio dialettale tracciato da Bertoni (1933) si limitaa pochi, rapsodici rilievi. Tale scarsità di informazioni, protrattasi nei primi decenni repubblicani6

è ben rappresentata dal pionieristico tentativo demauriano di ripartire il Lazio in subaree (De Mauro1976: 22-24). Sulla scorta di Rohlfs (1937: 9) De Mauro classifica come meridionali le aree a sudestdel fascio isoglottico Roma-Ancona, compresi la Sabina e il Frusinate; l’entroterra romano sino aVelletri, nonché l’intera fascia costiera da Civitavecchia al Garigliano sono riuniti in un medesimosottogruppo insieme con Roma.

A partire dagli anni Settanta-Ottanta la bibliografia dialettologica riprende lentamente a cresceregrazie anche a una maggiore attenzione al materiale documentario offerto dalle pubblicazioni ama-toriali7. La sistemazione geolinguistica corrente del Lazio, elaborata in Vignuzzi (1981; 1988) eripresa fra l’altro in Trifone (1992), D’Achille (2002) e Avolio (2010) prevede anzitutto il ricono-scimento di un’Italia mediana distinta dal dominio (alto)meridionale8. All’interno del continuo ita-loromanzo tale ripartizione, intesa nell’accezione sincronica lata, pellegriniana (cfr. CDI), si defi-nisce più in modo residuale rispetto ai compartimenti contermini, che per una diffusa coerenza feno-menologica interna (De Mauro e Lorenzetti 1991: 321-2). Ciò ha condotto alla suddivisione fraun’area mediana in senso stretto, a sudest della Roma-Ancona, e aree perimediane o paramedianea nordovest (Vignuzzi 1994: 358-9; Loporcaro 2009: 139-40). In entrambe le accezioni la defini-zione del confine mediano-meridionale sul versante cisappenninico appare tutt’altro che scontata(Del Puente e Fanciullo 2004): l’attribuzione di una funzione separativa al decaduto confine fraStato e Regno (Avolio 1992) non risulta sempre pienamente soddisfacente e andrebbe sfumata ancheper ragioni di storia linguistica esterna9.

La restrizione del campo d’indagine ai dialetti della provincia di Latina porta tali problemi alle

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estreme conseguenze. Si consideri la diffusione del tratto mediano prototipico: la conservazionedella distinzione fra -U e -O finali latine e la sua morfologizzazione come marca dell’opposizionemaschile ≠ neoneutro. Non solo nelle città nuove sorte durante la bonifica, ma anche nei centri mon-tani o pedemontani di area lepina meridionale10 e fino alle pendici settentrionali degli Ausoni l’op-posizione fonetica è assente a causa del convergere di -U e -O in -o (oppure in -ǝ velarizzato) anchein proclisi (cfr. almeno Schanzer 1989) e dunque la distinzione fra le categorie morfologiche è per-lopiù affidata al consonantismo della flessione dell’articolo (e del dimostrativo di terzo grado), datala diffusa presenza di neutri metafonetici11. Nella conca fondana si verifica il conguaglio in -ǝ inposizione prepausale, in -u nelle parole funzionali in parlato connesso, come nell’itrano [kistǝ] vs.[kistu kɔrǝ]; similmente avviene al Borgo Basso di Gaeta12. Al contrario a Formia, almeno nell’Ot-tocento, la forma maschile singolare dell’articolo determinativo gliu13 si oppone alla neoneutra lo14,così come avviene tuttora a Spigno Saturnia, dove le differenti varietà diagenerazionali rivelanopalesemente un attivo processo di meridionalizzazione, che interessa in primo luogo le vocali pre-pausali (Schanzer 1989: 173-4). Infine a Minturno, sebbene in via di disfacimento, al tempo dellerilevazioni di Giacomelli la distinzione nelle parole lessicali fra maschile in -u e neoneutro in -oancora sopravvive nella coscienza dei parlanti15. Pertanto il tratto più caratteristico del gruppomediano risulta assente in varietà classificate come mediane, ma chiaramente rintracciabile, sia purein fase regressiva16, in dialetti solitamente aggregati a quelli meridionali17.

Le ragioni del paradosso vanno cercate in diacronia. Per citare Bertoni (1940: 60, mio il sottoli-neato): «La terza zona [sc. centromeridionale] è costituita dal Lazio, dall’Umbria e dalle Marche,dove si distingue, o si distingueva, prima di livellamenti relativamente recenti, fra -o e -u (otto daocto e acitu da acetum)». Una formulazione più accettabile può qualificare vettorialmente i dialetticompresi nell’area che va dal Circeo al basso corso del Garigliano come storicamente mediani, mada secoli in corso di progressiva meridionalizzazione: lo suggeriscono, oltre ai fatti già menzionati,il caso del cassinese (Vignuzzi 1994: 332), i frammenti volgari di Agnello di Gaeta (Barbato 2000)e le vicende linguistiche della vicina Sessa Aurunca (Ciampaglia 2010)18. Del resto è chiaro chel’opposizione di palatalità nella flessione dell’articolo determinativo tra le forme maschile singo-lare e neoneutra, tanto nel corese jo ~ lo quanto nel fondano ju ~ lu, rimandi a un medesimo ante-cedente *ju ~ *lo (o piuttosto *gliu ~ *lo)19. Inoltre un vocalismo atono finale distinto, pentavo-calico, che ammette -u in posizione prepausale è riscontrabile ancor oggi a pochi chilometri di làdal Garigliano, a Teano (CE), punto 813 dell’ALI.

Si passi ora ad esaminare un altro fenomeno di rilievo: la metafonesi. Conside rando la varietàdegli esiti nel vocalismo tonico in correlazione con le differenti condizioni del vocalismo atonofinale20, le varietà della provincia di Latina esibiscono un ampio ventaglio di configurazioni meta-fonetiche.

Rocca Massima, Cori, Cisterna di Latina, Bassiano, Sezze, Roccagorga, Maenza, Priverno, Son-nino e, più a est, Lenola21 presentano metafonesi per innalzamento e vocalismo atono finale di tipotoscano. Spigno Saturnia e Minturno presentano metafonesi per innalzamento e un vocalismo atonofinale quadrivocalico con la convergenza di -U e -O finali latine in -u. Prossedi e Roccasecca deiVolsci presentano metafonesi per innalzamento e un vocalismo atono finale indebolito, ma nonancora pienamente centralizzato. Il dialetto fondano presenta metafonesi per innalzamento e cen-tralizzazione finale.

Condizioni napoletane si osservano a Monte S. Biagio, Sperlonga22, Itri, Gaeta, Formia e nelleisole pontine23. A Santi Cosma e Damiano e a Castelforte si ha metafonesi per dittongazione, mavocalismo atono finale distinto.

Le configurazioni più atipiche e dunque più interessanti sono esibite dal normigiano, dal sanfe-liciano e dal terracinese. A Norma, dove si ha lo stesso vocalismo atono finale che si trova nel restodei Lepini, vigono condizioni metafonetiche miste: stante la chiusura delle medie alte (brunzo ‘sorso

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d’acqua’, pistijo ‘pestello’), le vocali medie basse mostrano innalzamento della velare, ma ditton-gazione della palatale (fóco, brócculi ma miédeco, ghiénti ‘denti’)24. Il tipo di Norma è tanto piùnotevole in quanto attesta la presenza del dittongo condizionato in un’area oggi compattamentesabina sub specie metafonetica (Vignuzzi 1981: 64), prefigurando esiti terracinesi. Infatti a Terra-cina, dove il vocalismo atono finale è indistinto come nella vicina San Felice Circeo25, si riscontrauna situazione in movimento, in cui la monottongazione di -wé- (< Ŏ) in -ó- sta conducendo all’asim-metria con l’esito -jé- (< Ĕ)26.

Anche in sanfeliciano i dittonghi metafonetici assumono le forme -jé- (1), -wé- (2), mostrandosiperò complessivamente più stabili che nel terracinese. Nondimeno, stando alla documentazioneofferta dall’ALI27, sono riscontrabili esiti monottongali di Ĕ in parole del lessico fondamentale (3).Siccome tali forme sono sostenute dai casi di assorbimento del primo elemento dittongale da partedi consonanti omorganiche (4), la situazione appena delineata potrebbe rappresentare lo stadio inci-piente di una tendenza alla monottongazione distributivamente inversa rispetto a quella terracinese.

(1) pĭéttǝ ‘petto’ (ALI: 50), vĭéććǝ ‘vecchio’ (ALI: 802), kappĭéĺĺǝ ‘cappelli’ (ALI: 203), ĺĺivĭérmǝ ‘i vermi’ (ALI: 190)

(2) fŭégǝ ‘fuoco’ (ALI: 411), bbŭénǝ ‘buono’ (ALI: 109), tǝ štŭérzǝ ‘ti strozzi’ (ALI: 125), ĺĺ ŭémmǝnǝ ‘gli uomini’ (ALI: 799)

(3) bbéĺĺǝ ‘bello’ (ALI: 1), ĺĺi déntǝ ‘i denti’ (ALI: 30), ĺĺi pédǝ ‘i piedi’ (ALI: 71)

(4) ĺĺu šéĺĺǝ ‘il pene’ (ALI: 63), ĺĺu mandrišéĺĺǝ ‘il tovagliolo’ (ALI: 470), ĺĺu ǧǧéssǝ ‘il ges-setto’ (ALI: 727)

La compromissione più o meno forte fra i tipi metafonetici per innalzamento e per dittongazionerilevabile nella Campagna Romana a Norma, S. Felice Circeo, Terracina, ma anche in alcune varietàdei Castelli Romani (Lorenzetti 1993) e a Palestrina (Cicerchia e De Angelis 2009) rientra in unapiù generale instabilità dei dittonghi condizionati nei dialetti mediani (Vignuzzi 1988: 620), allaquale non sarà del tutto estranea la tosca nizza zione/italianizzazione del romanesco. Infatti argo-menti geolinguistici e storici inducono a ritenere che la Roma medievale sia stata insieme a Napoliuno dei due pricipali centri diffusori dei dittonghi condizionati dell’Italia centromeridionale (Bar-bato 2008; Breschi 1992: 467), mentre la neoromanizzazione promossa dalla Roma uscita dal cambiodi lingua può ben aver contribuito alla regressione dei dittonghi metafonetici almeno in sede velare,come a Norma e a Terracina28.

Quanto alla metafonesi presso i venetofoni dell’Agro Pontino29, è possibile riscon trare casi dichiusura delle vocali medie alte indotta da -i con un’incidenza altamente varia bile da individuo aindividuo. Allo stato degli studi è difficile fornire una valutazione complessiva di quanto il contestocentromeridionale abbia influito sulla rivitalizzazione di forme o tendenze metafonetiche già venetee quanto invece sia frutto di diffusione lessicale. Di seguito si riportano alcuni esempî provenientida Borgo Hermada, presso Terracina. Serie velare: ['luri] (20, 47, 52), [stra'duni] (21), ['tuzi] (51),['tursi] (33), [var'suri] (39); serie palatale: ['sirtʃi] (59), [ti'diski] (46); notevoli anche le forme ver-bali di seconda persona ['spuzi] (68), ['tuli] (69), [vi'divi] (38, 64) 30.

A questo punto mi sia lecito di concludere questa nota dialettologica rilevando l’elevato tasso diglottodiversità emerso nei dialetti della provincia di Latina dal solo esame di alcuni dei fatti salientidel vocalismo31 e rimandando la trattazione degli altri livelli linguistici a successive edizioni diquesto scritto.

FABIO APREA

FABIO APREA è addottorando di ricerca in Linguistica italiana presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.Si è occupato di testi in volgare di provenienza mediana (Fondi, Rieti, Marche centrali) e di questioni inerenti aldialetto romanesco e alla sua letteratura.

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NOTE

1 Nelle forme dialettali riportate sono mantenuti i sistemi di trascrizione usati nelle fonti al fine di garantire la mas-sima fedeltà di citazione.

2 La stessa considerazione vale, com’è noto, a livello regionale: «I dialetti del Lazio non formano un blocco uni-tario e ben distinguibile» (VIGNUZZI 1981: 63); «Non esiste un tipo dialettale laziale» (DE MAURO e LORENZETTI

1991: 310). Per le questioni inerenti all’utilizzo in ambito linguistico delle ripartizioni territoriali costituite dalleregioni amministrative vd. STUSSI 1982.

3 Cfr. per Latina STEFINLONGO (1987: 137); per il Basso Lazio AVOLIO (1992: 313); per Minturno VERBALI: 555.4 Cfr. STEFINLONGO (1987); DE MAURO e LORENZETTI (1991: 357); MAZZER (2013). Mancano purtroppo dati atten-

dibili sulle varietà coloniali non venete portate dalla prima ondata immigratoria; ad esempio sarebbe auspicabi-le una verifica della presenza romagnola ad Aprilia.

5 Anche nel caso di romano è del tutto inconsueta la sostantivazione geonimica, ma ciò non significa una scarsarappresentatività del capoluogo in ambito provinciale (cfr. GIOVANARDI 2003). Rammentiamo a questo proposi-to la divergenza a Roma fra etnico (romano) e glottonimo (romanesco) e il radicato uso ctetico di romanescoper indicare i prodotti del contado cittadino (cfr. PRATI 1936: 237), secondo una consuetudine propria già del-l’amministrazione daziaria pontificia: «[l]a tariffa d’ordinario non comprende[...] che le derrate romanesche,ossia quelle prodotte nel distretto di Roma e nei paesi limitrofi, purché non [siano] distanti dalla capitale oltreun determinato numero di miglia» (VICCHI 1885: 214, mio il corsivo). Per i confini del distretto di Roma, ere-ditati nel 1816 dalla Comarca di Roma e in età postunitaria prefascista dal circondario di Roma, vd. ASPL: tavv.XXI, XL. XLV. La loro origine risale al districus Urbis del comune romano medievale: cfr. CACIORGNA (2009e bibl. ivi cit.).

6 Tra il giugno 1953 e l’aprile 1954 Giacomelli indaga per l’ALI sette punti d’inchiesta in provincia di Latina: Cori(681), Latina (690), S. Felice Circeo (695), Priverno (691), Fondi (696), Sperlonga (697) e Minturno (698); aquesti si aggiunge nel 1960 Ponza (699), indagata da Franceschi (cfr. VERBALI: ad voces). Tuttavia i dati rac-colti rimangono inediti sino 1995, quando l’IPZS avvia la stampa dell’ALI, che è tuttora in corso.

7 Un ruolo importante in questo senso ha avuto la sezione 15. 3. delle schede bibliografiche della della RID, pro-grammaticamente dedicata alle pubblicazioni inerenti ai dialetti della provincia di Latina e redatta inizialmenteda VIGNUZZI (1978; 1983), quindi da D’ACHILLE (1988; 1990; 1991; 1994; 1995; 1996; 1998; 2008; 2009; 2010;2011). Un altro strumento bibliografico di rilievo è costituito dal classico repertorio di D’ACHILLE e GIOVANARDI

(1984); vd. anche LORENZETTI (2007).8 Sull’origine e le prime applicazioni del termine di Italia mediana vd. VIGNUZZI (1994: 328-333).9 Si ricorda che dal golfo di Terracina ai monti Ernici il confine pontificio (sul quale vd. ASPL) includeva i terri-

tori oggi pertinenti ai comuni di Terracina (LT), Sonnino (LT), Amaseno (FR), Vallecorsa (FR), Castro deiVolsci (FR), Falvaterra (FR), Ceprano (FR), Monte S. Giovanni Campano (FR), Veroli (FR); il confine regni-colo Monte S. Biagio (LT), Fondi (LT), Lenola (LT), Pastena (FR), S. Giovanni Incarico (FR), Arce (FR),Fontana Liri (FR), Arpino (FR), Isola Liri (FR), Sora (FR). Pur prescindendo da Benevento (BN), non va omes-so che era pontificia l’enclave di Pontecorvo (FR) e che il contiguo ducato di Sora fu signoreggiato per tuttal’età moderna da due famiglie della corte romana: Della Rovere (1472-1516, 1528-1580) e Boncompagni(1580-1796). Non per nulla il sorano è da considerarsi «un dialetto tipologicamente certo più mediano che meri-dionale» (DEL PUENTE e FANCIULLO 2004: 149). Inoltre nell’alto medioevo la Chiesa conserva de facto un ingen-te patrimonio e una larga influenza a Fondi e presso la costa da Terracina a Traetto fino alla prima metà del IXsecolo (cfr. TOUBERT 1993: 978). Successiva mente l’abbazia di Montecassino, centro diffusore di un modellocultural-linguistico squisitamente mediano, governa i possedimenti della Terra Sancti Benedicti con larga auto-nomia sino all’invasione normanna: nel 1057 dipendono a vario titolo da Montecassino diciannove castelli (cfr.TOUBERT 1995: 107-8).

10 Con l’eccezione di Sezze, dove, poiché «la distinzione tra -/o/ ed -/u/ [...] ormai non è più fonetica ma fonolo-gica, non è del tutto corretto dire che i due foni confluiscano in -/o/, o meglio in [o]: quest’ultimo produce infat-ti due varianti, [u] e [i]». Entrambi gli allofoni compaiono però solo in parlato connesso: il secondo dopo late-rale palatale, il primo negli altri contesti (cfr. CAPOTOSTO 2011: 288-9).

11 Ad es. sonninese lo fero (AIS: 403). Tale presenza depone a favore dell’ipotesi di PACIARONI e LOPORCARO

(2010), secondo cui l’originaria configurazione del marcamento dell’opposizione maschile ≠ neoneutro in areamediana abbia avuto forme reatine.

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12 A Gaeta si riscontrano differenze microdiatopiche fra le varietà in uso presso la contrada di Borgo Basso, giàcomune autonomo di Elena, e la contigua Gaeta Vecchia «popolata largamente a suo tempo da soldati borboni-ci (piuttosto che da contadini autoctoni innurbati come Elena)» (SCHANZER 1989: 175).

13 Cfr. MATTEJ (1973: 24, n. 2, mio il corsivo): «L’articolo determinativo maschile il è declinato gliù, degliù, agliù,o, dagliù».

14 Sebbene l’erudito pittore Mattej (1813-1897) consideri gliu e lo interscambiabili a causa di una comprensibileignoranza della categoria morfologica del neutro romanzo, egli stesso inconsapevolmente mostra come lo siaccordi con nomi di materia: «si dice meno “gliù paène”, “gliù quàèso”, “gliù vino” ecc. che “lò pàèno”, “lòquàèso”, “lo vino”» (MATTEJ 1978: 67).

15 Vd. VERBALI: II 556.16 Cfr. SCHANZER (1989: 173-4); AVOLIO (1992: 313). 17 Cfr. da ultimo AVOLIO (2010).18

Tale posizione è stata recentemente messa in discussione in AVOLIO (2013), di cui si attende la stampa.19 Tale affermazione non comporta indebite annessioni di dialetti meridionali al dominio mediano: infatti, nono-

stante la categoria morfologica del (neo)neutro sia notoriamente diffusa ben oltre i confini dell’Italia mediana,peraltro escludendo l’area perimediana (cfr. AVOLIO 1995: 52; LOPORCARO 2009: 135), esiste «una soluzione dicontinuità tra il neutro di tipo “napoletano” (che ha ll e rafforza) e il neutro di tipo “mediano” (che ha l scem-pia e non rafforza)» (FORMENTIN 1994: 211). Quanto ai dialetti della Campania settentrionale, dove, «con unadiatopia da indagare» (DEL PUENTE e FANCIULLO 2004: 156), è perlopiù assente modernamente l’opposizionemaschile ≠ neo neutro (DE BLASI 2006: 34-35), si rileva che casi come quelli di Gallo (CE) e Cerreto Sannita(BN), su cui vd. BARBATO (2002: 35 e bibl. ivi cit.), confermano che, «almeno per il passato, il territorio nord-occidentale della regione [sc. Campania] appare piuttosto solidale con le zone costiere del Lazio meridionale»(CIAMPAGLIA 2010: 80-81), ma, ovviamente, non implicano in alcun modo una loro medianità attuale. In termi-ni di cronologia assoluta la convergenza di -U e -O finali latine in -o in area lepina dovrà essere anteriore al XIIsecolo nel caso in cui la solidarietà nel vocalismo atono finale fra le varietà campanine e il romanesco risalgagià al tempo dell’iscrizione di San Clemente: «colo palo» (RAFFAELLI 1987). Sulla palatalizzazione della late-rale indotta da -u (e da -i) in area mediana vd. CAPOTOSTO (2011); per esempî di provenienza casertana vd. DE

BLASI (2006: 59-60); per il Sannio beneventano MATURI (2002: 96). Sulla cronologia della delateralizzazione di[ʎː] a Roma e nel contado vd. LOPORCARO (2012: 109-113).

20 Per il quale d’ora in avanti è da considerarsi implicito il riferimento a SCHANZER (1989).21 A Lenola è possibile la centralizzazione di -E (AVOLIO 1992: 299).22 Con possibile ritrazione dell’accento sul primo elemento.23 Con possibile ritrazione dell’accento sul primo elemento.24 Gli esempî sono tratti da: http://www.poetidelparco.it/index.php?pag=9&id_profilo=797.25 Tuttavia a San Felice «la vocale atona indistinta tende ad essere sostituita qua e là dalla vocale letteraria»

(VERBALI: 553-554); perlopiù si realizza distinta la -a.26 Cfr. DI CARA (1983: 17-18). Sul dittongo -wé- in luogo di -wó- vd. LOPORCARO (1988: 48-50).27 San Felice Circeo è il punto ALI n. 695; l’inchiesta è stata condotta da Giacomelli sulla base di tre informatori

fra il sette e il tredici ottobre 1953 (VERBALI: 553-554).28 Questi due centri sono significativamente ubicati lungo l’itinerario della via pedemontana, che, in seguito all’im-

paludamento del Decennovius dell’Appia, costituisce il principale asse viario della regione pontina (cfr. DELOGU

1990: 20). Il tracciato della pedemontana «uni[sce] Velletri, Norba, Setia, Privernum, Anxur [e] rima[ne] in uso,come via consolare, fino al ripristino dell’Appia antica da parte di Pio VI» (cfr. COSTE 1996: 489). Il collega-mento con Roma è assicurato dal tratto Roma-Velletri dell’Appia fino al XIII secolo, quando comincia adaffiancarglisi una direttrice alternativa Roma-Marino-Velletri, a sua volta insidiata «al più tardi nel Seicento»(COSTE 1996: 501) dalla strada postale Roma-Napoli, che abbrevia il viaggio da Roma a Terracina evitando iltransito per Cisterna e Ninfa. Sulla cronologia relativa fra le metafonesi per innalzamento e per dittongazionevd. almeno LOPORCARO (2011: 130-5) e BARBATO (2008).

29 «Ancora oggi, in città [sc. a Latina], si sente spesso parlare veneto o un dialetto settentrionale variamente colo-rito di accenti e forme “forestiere”», cioè romanesche (cfr. STEFINLONGO 2003: 86). Al contrario a BorgoHermada «le generazioni più anziane [sono] ormai le uniche che si possano considerare dialettofone» (MAZZER

2013: 84). Se fosse lecito generalizzare, si potrebbe affermare che nelle città nuove della piana i dialetti setten-trionali portati dalla prima ondata migratoria si sono conservati più che nei borghi gravitanti attorno a centri difondazione antica o medievale, come suggerisce MAZZER (2013: 82).

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30 Il numero fra parentesi tonde indica la pagina di MAZZER (2013) da cui le forme sono state estrapolate. La gran-de maggioranza degli informatori che fa uso di forme metafonetiche è significativamente oriunda del Vicentino.

31 Per l’armonia vocalica nei Monti Aurunci vd. SCHIRRU (2012); per la palatalizzazione di -à- a Sperlonga e Itri eper l’assimilazione permansiva a Fondi e Monte S. Biagio vd. AVOLIO (1992: 296-9).

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