nascita e diffusione di una rara iconografia dell’immacolata concezione: da figino e caravaggio a...

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39 Nascita e diffusione di una rara iconografia dell’Immacolata Concezione: da Figino e Caravaggio a Bourdon e Quellinus II STEFANO PIERGUIDI Nel 1929 Roberto Longhi, individuato nella Madonna del serpe di Ambrogio Figino, attualmente nell’oratorio dell’Immacolata presso Sant’Antonio Abate a Milano (fig. 1, tavv. 5, 7), il prece- dente iconografico della Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio (Roma, Galleria Borghese; fig. 5, tav. 6, 8), commentava: E quel motivo [il piede di Cristo che preme su quello di Maria] è troppo singolare, ripeto, perché si possa pensare a una coincidenza; tanto meno alla ripetizione di un esemplare iconografico general- mente diffuso; ché anzi non so dove se ne potranno indicare altri, all’infuori di questo del Figino che fu prima, e quello del Caravag- gio, poi 1 . Tre anni dopo Emile Mâle avrebbe in realtà segnalato altri esempi di pieno Seicento di quella soluzione iconografica 2 , ma Longhi non si sbagliava nel riconoscere un rapporto di dipendenza diretta di Caravaggio da Figino: proprio a quest’ultimo si deve infatti l’in- venzione del tema, e quella del Merisi ne era la più antica ripresa. Il soggetto di entrambe le pale era l’Immacolata Concezione, un tema da sempre assai discusso, e particolarmente scottante in pie- na Controriforma. È probabile che il dipinto presso Sant’Antonio Abate fosse inizialmente destinato alla chiesa di San Fedele: i ge- suiti lo avrebbero rifiutato a causa della sua iconografia equivoca, che certo giocò un ruolo importante anche nella sfortunata vicen- da della Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio, rimasta sull’altare dedicato a sant’Anna in San Pietro una settimana appena. In se- guito quella medesima soluzione iconografica venne adottata per fini diametralmente opposti: in Francia per manifestare il rifiuto protestante del culto di Maria e di sant’Anna, e nei Paesi Bassi spa- gnoli per diffondere il culto dell’Immacolata Concezione. Nel suo Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura del 1584 Giovanni Paolo Lomazzo, dopo aver lodato Figino, il suo allievo più importante, segnalava in San Fedele a Milano un’opera del pittore, ovvero «la Vergine co’l figliuolo appresso che calca con un piede il collo dell’antico serpente» 3 . Quest’ultima doveva essere, con ogni probabilità, un’altra pala d’altare, perduta o non ancora identificata, raffigurante lo stesso soggetto di quella dell’oratorio dell’Immacolata Conce- zione. L’originaria destinazione di quest’ultima, peraltro, non è nota: sappiamo solo che essa venne lasciata alla chiesa di San- t’Antonio Abate da Ercole Bianchi, nipote ed erede del pittore, nel 1637 4 . Da un passo de Il Figino, overo del fine della pittura di Gregorio Comanini, pubblicato a Mantova nel 1591, si de- sumerebbe che quel dipinto fosse nella casa del pittore già a quella data: ha egli [il Comanino] voluto fare memoria di una tavola (che forse è questa che io qui [nella casa del pittore, dove è ambientato il dia- logo stesso] veggo alla parete appoggiata), dentro la quale voi, Figi- no, avete effiggiata la Vergine che preme il serpente col piede (con- cetto cavato dalla Genesi in quelle parole Ipsa conteret caput tuum) 5 . La critica non si è mai chiesta per quale ragione Figino avesse in casa, nel 1591, la Madonna del serpe, e perché essa fosse ancora lì nel 1608, quando il pittore morì. Nel 1637 Ercole Bianchi la- sciò alla chiesa di Sant’Antonio Abate anche una Natività di Ma- ria che, per ragioni stilistiche, è stata datata alla fase estrema dell’attività di Figino 6 . Si poteva trattare di un dipinto che l’arti- sta non era riuscito a consegnare prima di morire, mentre è più difficile spiegare perché la Madonna del serpe, che sembra risalire Desidero ringraziare Alessandra Galizzi per le sue acute osservazioni. 1 R. LONGHI, «Quesiti caravaggeschi. II. I precedenti», Pinacotheca, I (1929/5- 6), 314, ripubblicato in R. LONGHI, Opere complete, IV, “Me pinxit” e Quesiti caravaggeschi: 1928-1934, Firenze 1968, 133-134. Cfr. anche, da ultimo, A. SPIRITI, L’immagine dell’Immacolata a Milano, in L’Immacolata nei rapporti tra l’Italia e la Spagna, a cura di A. Anselmi, Roma 2008, 451. 2 E. MÂLE, L’art religieux après le Concile de Trente: étude sur l’iconographie de la fin du XVI e siècle, du XVII e et du XVIII e siècle en Italie, en France, en Espagne et en Flandre, Paris 1932, 39-40. 3 G. P. LOMAZZO, Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura, Milano 1584, 434; G. P. LOMAZZO, Scritti sulle arti, a cura di R. P. Ciardi, 2 voll., Fi- renze 1973-1975, II, 382. 4 S. COPPA, «Due opere di Ambrogio Figino in una donazione del 1637», Arte Lombarda, 47/48 (1977), 143-144; A. PERRISI TORRINI, Disegni del Figino, Mila- no 1987, 20; G. BERRA, «Contributo per la datazione della natura morta di pesche di Ambrogio Figino», Paragone, XL, 469 (1989), 10, nota 9; R. P. CIARDI, Figino, Ambrogio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 47, Roma 1997, 555-556. 5 G. COMANINI, Il Figino, overo del fine della pittura, Mantova 1591, 10-12; Trattati d’arte del Cinquecento fra manierismo e controriforma, a cura di P. Ba- rocchi, 3 voll., Bari 1960-1962, III, 248. Cfr. anche COPPA, 1977, 143-144. 6 R. P. CIARDI, Giovan Ambrogio Figino, Firenze 1968, 112-113; COPPA, 1977, 43-44.

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Nascita e diffusione di una rara iconografia dell’Immacolata Concezione: da Figino e Caravaggio a Bourdon e Quellinus II

STEFANO PIERGUIDI

Nel 1929 Roberto Longhi, individuato nella Madonna del serpedi Ambrogio Figino, attualmente nell’oratorio dell’Immacolatapresso Sant’Antonio Abate a Milano (fig. 1, tavv. 5, 7), il prece-dente iconografico della Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio(Roma, Galleria Borghese; fig. 5, tav. 6, 8), commentava:

E quel motivo [il piede di Cristo che preme su quello di Maria] ètroppo singolare, ripeto, perché si possa pensare a una coincidenza;tanto meno alla ripetizione di un esemplare iconografico general-mente diffuso; ché anzi non so dove se ne potranno indicare altri,all’infuori di questo del Figino che fu prima, e quello del Caravag-gio, poi1.

Tre anni dopo Emile Mâle avrebbe in realtà segnalato altri esempidi pieno Seicento di quella soluzione iconografica2, ma Longhinon si sbagliava nel riconoscere un rapporto di dipendenza direttadi Caravaggio da Figino: proprio a quest’ultimo si deve infatti l’in-venzione del tema, e quella del Merisi ne era la più antica ripresa.Il soggetto di entrambe le pale era l’Immacolata Concezione, untema da sempre assai discusso, e particolarmente scottante in pie-na Controriforma. È probabile che il dipinto presso Sant’AntonioAbate fosse inizialmente destinato alla chiesa di San Fedele: i ge-suiti lo avrebbero rifiutato a causa della sua iconografia equivoca,che certo giocò un ruolo importante anche nella sfortunata vicen-da della Madonna dei Palafrenieri di Caravaggio, rimasta sull’altarededicato a sant’Anna in San Pietro una settimana appena. In se-guito quella medesima soluzione iconografica venne adottata perfini diametralmente opposti: in Francia per manifestare il rifiutoprotestante del culto di Maria e di sant’Anna, e nei Paesi Bassi spa-gnoli per diffondere il culto dell’Immacolata Concezione.

Nel suo Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architetturadel 1584 Giovanni Paolo Lomazzo, dopo aver lodato Figino, ilsuo allievo più importante, segnalava in San Fedele a Milanoun’opera del pittore, ovvero «la Vergine co’l figliuolo appressoche calca con un piede il collo dell’antico serpente»3.

Quest’ultima doveva essere, con ogni probabilità, un’altrapala d’altare, perduta o non ancora identificata, raffigurante lostesso soggetto di quella dell’oratorio dell’Immacolata Conce-zione. L’originaria destinazione di quest’ultima, peraltro, nonè nota: sappiamo solo che essa venne lasciata alla chiesa di San-t’Antonio Abate da Ercole Bianchi, nipote ed erede del pittore,nel 16374. Da un passo de Il Figino, overo del fine della pitturadi Gregorio Comanini, pubblicato a Mantova nel 1591, si de-sumerebbe che quel dipinto fosse nella casa del pittore già aquella data:

ha egli [il Comanino] voluto fare memoria di una tavola (che forseè questa che io qui [nella casa del pittore, dove è ambientato il dia-logo stesso] veggo alla parete appoggiata), dentro la quale voi, Figi-no, avete effiggiata la Vergine che preme il serpente col piede (con-cetto cavato dalla Genesi in quelle parole Ipsa conteret caput tuum)5.

La critica non si è mai chiesta per quale ragione Figino avesse incasa, nel 1591, la Madonna del serpe, e perché essa fosse ancoralì nel 1608, quando il pittore morì. Nel 1637 Ercole Bianchi la-sciò alla chiesa di Sant’Antonio Abate anche una Natività di Ma-ria che, per ragioni stilistiche, è stata datata alla fase estremadell’attività di Figino6. Si poteva trattare di un dipinto che l’arti-sta non era riuscito a consegnare prima di morire, mentre è piùdifficile spiegare perché la Madonna del serpe, che sembra risalire

Desidero ringraziare Alessandra Galizzi per le sue acute osservazioni.

1 R. LONGHI, «Quesiti caravaggeschi. II. I precedenti», Pinacotheca, I (1929/5-6), 314, ripubblicato in R. LONGHI, Opere complete, IV, “Me pinxit” e Quesiticaravaggeschi: 1928-1934, Firenze 1968, 133-134. Cfr. anche, da ultimo, A.SPIRITI, L’immagine dell’Immacolata a Milano, in L’Immacolata nei rapporti tral’Italia e la Spagna, a cura di A. Anselmi, Roma 2008, 451.2 E. MÂLE, L’art religieux après le Concile de Trente: étude sur l’iconographie de lafin du XVIe siècle, du XVIIe et du XVIIIe siècle en Italie, en France, en Espagne eten Flandre, Paris 1932, 39-40.3 G. P. LOMAZZO, Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura, Milano

1584, 434; G. P. LOMAZZO, Scritti sulle arti, a cura di R. P. Ciardi, 2 voll., Fi-renze 1973-1975, II, 382. 4 S. COPPA, «Due opere di Ambrogio Figino in una donazione del 1637», ArteLombarda, 47/48 (1977), 143-144; A. PERRISI TORRINI, Disegni del Figino, Mila-no 1987, 20; G. BERRA, «Contributo per la datazione della natura morta di peschedi Ambrogio Figino», Paragone, XL, 469 (1989), 10, nota 9; R. P. CIARDI, Figino,Ambrogio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 47, Roma 1997, 555-556.5 G. COMANINI, Il Figino, overo del fine della pittura, Mantova 1591, 10-12;Trattati d’arte del Cinquecento fra manierismo e controriforma, a cura di P. Ba-rocchi, 3 voll., Bari 1960-1962, III, 248. Cfr. anche COPPA, 1977, 143-144. 6 R. P. CIARDI, Giovan Ambrogio Figino, Firenze 1968, 112-113; COPPA,1977, 43-44.

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all’inizio degli anni ottanta7, stazionasse da circa venti anni nellostudio del pittore. Nasce quindi il sospetto che si trattasse di unapala d’altare rifiutata dalla committenza e tornata in possessodell’artista. Considerato che Lomazzo segnalava una Madonna

del serpe di Figino in San Fedele, è bene analizzare la storia delladecorazione della cappella dedicata a Maria, nella quale quel di-pinto era stato collocato: anche la pala dell’oratorio dell’Imma-colata poteva essere stata eseguita per il medesimo altare.

Pur avendone ceduto il giuspatronato, i gesuiti di San Fedeleavevano mantenuto il diritto a dirigere la decorazione della cap-pella, che secondo il testamento del 2 ottobre 1569 di Paola Torellicontessa della Guastalla, sarebbe stata condotta «nel modo arbi-trario alli reverendi clerici della Compagnia del Jesù»8. I documen-ti attestano che Figino era stato pagato per la decorazione dellacappella, che prevedeva in tutto cinque dipinti (accanto alla palad’altare erano quattro piccoli quadretti laterali, ancora in situ), inquattro tranches: nel 1581 «per il quadro dell’ancona compresoqualche altro piccolo ornato», nel 1583 «per pitture nella cappelladella Madonna», e nel 1586-1587. La pala d’altare venne sostitui-ta molto presto dai gesuiti: sebbene Lomazzo avesse descritto unaMadonna del serpe, già le fonti secentesche segnalavano al suo po-sto un’Incoronazione della Vergine, sempre di Figino, identificabilecon quella che si trova oggi nell’antisacrestia della chiesa, e che eraancora sull’altare della cappella nel 18169. Nel 1588, in un quadrocomplessivo delle spese sostenute, venivano però stranamentemenzionati «sei quadri»10. Cinque sono naturalmente identifica-bili con l’Incoronazione della Vergine e i quattro ancora in situ,mentre è molto improbabile che il sesto fosse la Madonna del serpein casa di Figino a partire almeno dal 1591: se i gesuiti lo avesseropagato ne sarebbero infatti divenuti i legittimi proprietari, e nonlo avrebbero restituito al pittore. Quando la pala di Caravaggiovenne ritirata dall’altare in San Pietro per il quale era stata com-missionata, la congregazione dei Palafrenieri non la restituì al pit-tore, che era già stato pagato, ma la vendette a Scipione Borghe-se11. Quando la Morte della Vergine (1604-1605; Parigi, Louvre),sempre di Caravaggio, venne rifiutata dai carmelitani di Santa Ma-ria della Scala, rimase di proprietà del committente, il Cherubini,che nel 1607 riuscì a venderla al duca di Mantova Vincenzo Gon-zaga, al quale l’aveva segnalata Rubens12. In quei casi i commit-tenti avevano accettato i dipinti, che erano stati poi rifiutati dallechiese a cui erano destinati. Quando, invece, lo stesso Rubens sioffrì nel 1608 di rifare la pala dell’altare maggiore di Santa Mariain Vallicella a Roma, che non aveva incontrato il favore degli ora-toriani, egli rientrò in possesso della prima versione; e l’ordine pa-gò solo la cifra già pattuita nel primo contratto. Dopo aver inva-no cercato di venderla al duca Vincenzo Gonzaga, nel 1610 Ru-bens si risolse a collocare la prima pala nell’abbazia di San Michele

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7 La corretta datazione del dipinto al 1581-1583, suggerita da Ciardi nel 1968,è stata spostata in avanti fino al 1586 circa dalla Perrisi Torrini in ragione delfatto che nel disegno preparatorio di Windsor sono compresi studi ricollegabiliforse all’Orazione nell’Orto di Santa Maria della Passione a Milano (CIARDI,1968, 93-94; PERRISI TORRINI, 1987, 20-21; cfr. anche CIARDI, 1997, 555). Iltermine post quem per la datazione di quest’ultima è però il 1589, quando icommittenti del dipinto ottennero il giuspatronato della cappella (CIARDI,1968, 105). Datosi che Figino ricevette il saldo per i suoi lavori in San Fedelenel 1587 (CIARDI, 1968, 94), non è possibile accogliere le argomentazioni dellaPerrisi Torrini. 8 S. DELLA TORRE - R. SCHOFIELD, Pellegrino Tibaldi architetto e il S. Fedele di

Milano: invenzione e costruzione di una chiesa esemplare, Milano 1994, 221.9 CIARDI, 1968, 94-95.10 DELLA TORRE - SCHOFIELD, 1994, 222-228.11 L. SPEZZAFERRO, La Pala dei Palafrenieri, in Colloquio sul tema: Caravaggioe i caravaggeschi, atti del convegno (Roma, Accademia Nazionale dei Lincei,12-14 febbraio 1973), Roma 1974, 125-137; cfr. da ultimo L. SPEZZAFERRO,Nuove riflessioni sulla pala dei Palafrenieri, in La Madonna dei Palafrenieri diCaravaggio nella collezione di Scipione Borghese, a cura di A. Coliva, Venezia1998, 51. 12 F. BOLOGNA, L’incredulità del Caravaggio e l’esperienza delle «cose naturali»,nuova edizione accresciuta, Torino 2006, 69.

1. Ambrogio Figino: Madonna del serpe. Milano, chiesa di Sant’Antonio abate,oratorio dell’Immacolata.

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ad Anversa in memoria della madre defunta (il dipinto è oggi aGrenoble, Musée de Peinture et de Sculpture)13.

Il sesto dipinto pagato a Figino dai gesuiti dovrebbe quindiessere identificato con un’altra versione del medesimo tema ese-guita dall’artista e, almeno in un primo tempo, accettata dai ge-suiti. La conferma sembra essere fornita dalla canzone che il Co-manini legge nel dialogo Il Figino:

Quinci l’imago diva / di colei, che col piede / preme irato serpente,ond’ei s’annoda: / dolce e d’orgoglio schiva / mentre ancor calca esiede / di beltà, ma pudica, altri sì loda. / Spira amor, par che goda/ il fanciulletto ignudo, / che col fier Drago scherza; / ma così poilo sferza, / che de le squame sue non val lo scudo. / Oh spettacolosanto, / che trae dagli occhi a viva forza il pianto14.

Nel dipinto che nel 1591 era in casa di Figino, identificabile conquello oggi presso Sant’Antonio Abate, Gesù aiuta Maria aschiacciare il serpente, ma nella canzone del Comanini si dice che«il fanciulletto ignudo [...] col fier Drago scherza, ma così poi losferza». Se ne deduce che Gesù vi era raffigurato nell’atto di fru-stare, senza nessuna violenza («col fier Drago scherza»), il serpentesotto il piede della Madonna: dovevano quindi esistere due ver-sioni del medesimo tema. È infatti molto improbabile che i versidi Comanini si riferissero unicamente al dipinto allora in casa diFigino e oggi nell’oratorio dell’Immacolata. Per avere un terminedi confronto, si leggano quelli di Marzio Milesi relativi alla Ma-donna dei Palafrenieri, dai quali si deduce immediatamente chein quella pala sia Maria che il Figlio calpestano il serpente:

Onde quel, che cagion fiero serpente / fu del peccar, calcato vieneoppresso / da la gran madre et dal figlio, et la gran Veglia / de la ma-dre de Dio madre, ch’appresso / loro tu vedi humile, riverente15.

La pala di Figino, come abbiamo visto, venne presto sostituitadall’Incoronazione della Vergine dello stesso pittore: i pagamentidel 1586-1587 si riferiscono presumibilmente all’Incoronazionedella Vergine oggi nell’antisacrestia della chiesa16. La Madonnadel serpe già in San Fedele andò quindi incontro a qualche pro-blema, tanto da essere rimossa dall’altare dedicato a Maria dopopoco più di due anni, ed è possibile che anche la pala oggi nel-l’oratorio dell’Immacolata fosse stata dipinta per i gesuiti, chel’avevano rifiutata chiedendo al pittore una seconda versione delmedesimo soggetto. Ma per ragioni a noi ignote, l’ordine decisedi sostituire anche la seconda versione della Madonna del serpe,ritirata presumibilmente nella casa professa e oggi dispersa, op-tando infine per un soggetto del tutto diverso.

La Madonna del serpe di Figino costituisce un capitolo di ri-lievo nel plurisecolare dibattito intorno all’Immacolata Concezio-ne. Nel dicembre del 1570 Pio V, domenicano, e quindi per tra-dizione legato al partito maculista, aveva proibito la discussioneintorno a quel culto, ribadendo la posizione assunta dalla Chiesaal termine del Concilio di Trento: nessuna proclamazione deldogma dell’Immacolata Concezione – per la quale si sarebbe do-vuto aspettare fino al 1854 – bensì la semplice dichiarazione cheMaria era esente dal peccato originale17. Pio V ribadiva così la fer-ma intenzione della Chiesa a non proclamare ufficialmente unculto che, godendo di un larghissimo favore popolare, non pote-va neanche essere soppresso. Da un punto di vista teologico,quindi, la bolla non costituiva nulla di nuovo nel plurisecolare di-battito intorno all’Immacolata Concezione. In una precedentebolla del pontefice, del 17 settembre 1569, relativa al culto dellaMadonna del Rosario, si leggeva: «…Gloriosae Virginis MariaeAlmae Dei genitricis, quae germine suo tortuosi serpentis caputobtrivit, et cunctas haereses sola interemit»18. Secondo Emile Mâ-le questo passo andrebbe interpretato come un tentativo di tro-vare un accordo nella controversia tra cattolici e luterani circal’interpretazione di un celebre versetto della Genesi: «Ipsa conteretcaput tuum» (II, 15). I primi leggevano in Ipsa la Vergine, asse-gnando quindi a lei il merito di aver schiacciato il serpente, men-tre i secondi sostituivano Ipsa con Ipse, e di conseguenza la Vergi-ne con il Figlio19. Lo studioso ricollegò alla bolla del 1569 l’ico-nografia del dipinto di Caravaggio, identificando nel serpente ilsimbolo dell’eresia, e leggendolo quindi alla luce dei contrasti tracattolici e luterani20: le pale di Figino e Caravaggio sarebberoquindi un’ortodossa raffigurazione del contenuto di quella bol-la21. In realtà, però, il testo affermava che la Vergine aveva schiac-ciato il serpente grazie al suo frutto («germine suo», in ablativoassoluto), e che da sola aveva trionfato su tutte le eresie: era prati-camente impossibile raffigurare fedelmente un passo tanto com-plesso teologicamente. E di certo Pio V non intendeva suggerireche Gesù avesse aiutato Maria a schiacciare il serpente22, bensìche la Vergine aveva sconfitto il peccato per merito del suo frutto,ovvero di Gesù stesso. Il dipinto di Figino, inoltre, deve essereprima di tutto letto in relazione all’altra bolla, quella che proibivaulteriori discussioni sul culto dell’Immacolata Concezione, poi-ché quello era il suo soggetto: la pala si trovava infatti in un pic-colo oratorio dedicato all’Immacolata Concezione. Già al tempodella donazione a Sant’Antonio Abate nel 1637, Giovanna Ver-gara Bianchi, vedova di Ercole Bianchi, si riferiva esplicitamenteal dipinto come ad una «Concezione della Beatissima Vergine»23.

Nascita e diffusione di una rara iconografia dell’Immacolata Concezione: da Figino e Caravaggio a Bourdon e Quellinus II

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13 M. JAFFÈ, Rubens and Italy, Oxford 1977, 91 e 97. 14 Trattati d’arte..., III, 1962, 246.15 G. FULCO, «Ammirate l’altissimo pittore: Caravaggio nelle rime inedite diMarzio Milesi», Ricerche di Storia dell’Arte, 10 (1980), 87.16 Figino ricevette L. 718 nel 1581, L. 203,8 nel 1583, L. 846,8 nel 1586 eL.197,16 nel 1587: grossomodo i primi due pagamenti devono riferirsi allaprima pala d’altare (ovvero, dopo il rifiuto della prima versione, verosimilmen-te nel 1582-1583, alla seconda, che venne accettata), e gli ultimi due all’Inco-ronazione della Vergine, cfr. CIARDI, 1968, 49-50 e 93-95; DELLA TORRE -

SCHOFIELD, 1994, 224.17 Magnum bullarium Romanum a Beato Leone Magno usque ad S.D.N. Bene-dictum XIII, II, Luxembourg 1742, 343-344.18 Magnum bullarium Romanum…, 1742, 305.19 MÂLE, 1932, 38.20 MÂLE, 1932, 39.21 M. CALVESI, Le realtà del Caravaggio, Torino 1990, 33 e 346.22 CALVESI, 1990, 346.23 COPPA, 1977, 144.

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24 G. P. LOMAZZO, Rime di Gio. Paolo Lomazzo milanese pittore divise in settelibri, Milano 1587. 25 M. CALVESI, Tanto contenta di mirar sua figlia, in La Madonna dei Palafre-nieri…, 1998, 37-38; R. FERRARIO, scheda in Il Cinquecento lombardo. Da Leo-nardo a Caravaggio, catalogo della mostra, a cura di F. Caroli, Milano 2000,442.26 È noto come i primi sostenitori dell’Immacolata Concezione, in opposizioneai domenicani, fossero stati i francescani, ma nel Cinque e Seicento furono so-prattutto i gesuiti a perorare la causa contro i maculisti; cfr. M. WARNER, Aloneof All Her Sex: The Myth and the Cult of the Virgin Mary, New York 1976, 243-249; G. SÖLL, Storia dei dogmi mariani, Roma 1981, 327-328.27 Sul rapporto della decorazione interna del Gesù Nuovo con l’ImmacolataConcezione, cfr. T. WILLETTE - M. A. CONELLI, The Tribune Vault of the GesùNuovo in Naples: Stanzione’s Frescos and the Doctrine of the Immaculate Concep-tion, in Ricerche sul ’600 napoletano, Milano 1989, 169-182.28 Cfr. nota 3.29 Il dipinto venne commissionato a Rubens da Don Diego Mexía, marchesedi Leganés, al tempo del secondo soggiorno dell’artista a Madrid, e già nel1636 era nella collezione di Filippo IV; cfr. S. L. STRATTON, The ImmaculateConception in Spanish art, New York 1994, 96; A. VERGARA, Rubens and hisSpanish patrons, Cambridge 1999, 94.

30 Sebbene non documentato, un soggiorno di Rubens a Milano è attestato dauna copia dal Cenacolo di Leonardo; cfr. JAFFÈ, 1977, 29. 31 L. SALVIUCCI INSOLERA, «Le illustrazioni per gli esercizi spirituali intorno al1600», Archivum Historicum Societatis Jesu, LX (1991), 186 nota 54; A. CO-STAMAGNA, “La più bella et superba occasione di tutta Roma...”: Rubens per l’altarmaggiore di S. Maria in Vallicella, in La regola e la fama. San Filippo Neri e l’ar-te, catalogo della mostra, Milano 1995, 151.32 La Trinità eseguita per i Gonzaga e già nella Chiesa dei Gesuiti di Mantova(1604-1605) è oggi conservata, in stato frammentario, nel Palazzo Ducale dellastessa città; la Circoncisione (1606) è ancora sull’altare maggiore dei gesuiti diGenova, cfr. JAFFÈ, 1977, 69. Cfr. anche SALVIUCCI INSOLERA, 1991, 184-186;COSTAMAGNA, 1995, 151.33 Sulla pala eseguita per Roma nel 1622, oggi al Norton Simon Museum di Pa-sadena, cfr. Corpus Rubenianum Ludwig Burchard, VIII, H. VLIEGHE, Saints, 2voll., London 1972-1973, II, 68-72; U. KÖNIG-NORDHOFF, Ignatius von Loyola:Studien zur Entwicklung einer neuen Heiligen-Ikonographie im Rahmen einer Ka-nonisationskampagne um 1600, Berlin 1982, 221-224. Sul celebre e grandioso ci-clo decorativo realizzato da Rubens nella chiesa dei gesuiti ad Anversa nel 1620, eandato interamente perduto, cfr. Corpus Rubenianum Ludwig Burchard, I, J. R.MARTIN, The Ceiling Paintings for the Jesuit Church in Antwerp, London 1968. 34 CIARDI, 1968, 77-78.

Pio V, che era nato e si era formato nel ducato di Milano, erastato eletto papa grazie prima di tutto all’appoggio dell’arcivescovodi quella città, Carlo Borromeo. E proprio nel ducato di Mila-no, giusto al tempo della pubblicazione della bolla del 1570, ve-niva commissionata a Lomazzo la Madonna del serpe tra san Mi-chele e san Paolo già in San Romano a Lodi, nota attraverso unacopia in Santa Maria in Piazza a Busto Arsizio che reca la data1571. La pala era così descritta dallo stesso Lomazzo nelle sueRime del 1587: «la gran madre e’l figlio in braccio. / Ei discopreil suo piede al rio serpente, / et ella co’l piè suo gli preme il col-lo»24. Il dipinto di Lomazzo, quindi, pur raffigurando la Ma-donna in piedi che schiaccia da sola il serpente tenendo in brac-cio il Figlio, alludeva anche al ruolo centrale di quest’ultimo,che protende in avanti il proprio piede per calpestare Satana. Einfatti sulla destra san Paolo esibisce un passo della sua Letteraai Romani (XVI, 20) che recita: «Il Dio della pace stritolerà benpresto satana sotto i vostri piedi. La grazia del Signor nostro Ge-sù Cristo sia con voi»25. Quando nei primi anni ottanta i gesui-ti, i maggiori sostenitori del culto dell’Immacolata Concezioneal tempo della Controriforma26, commissionarono a Figino unapala d’altare raffigurante quel tema, egli non fece altro che svi-luppare l’invenzione del suo maestro, mostrando Gesù che aiutala Madre a calpestare il serpente. Si trattava di una formula ico-nografica allo stesso tempo più efficace, ma anche più ambigua:la Madonna e il Bambino ora schiacciano il serpente contem-poraneamente, ma si potrebbe anche pensare che senza l’aiutodel Figlio Maria non riuscirebbe a sconfiggerlo. A Figino vennequindi presumibilmente richiesta una seconda versione, quelladescritta nella canzone del Comanini, in cui Gesù Bambinosferzava il serpente. I gesuiti, naturalmente, pur sostenendo ilculto dell’Immacolata Concezione, non rinunciavano a sottoli-neare il ruolo salvifico del Figlio: nel 1601, ad esempio, l’ordi-ne avrebbe dedicato a Gesù e all’Immacolata il nuovo grandio-so tempio costruito a Napoli (più noto come Gesù Nuovo)27.

Il dipinto venne quindi pagato dall’ordine e collocato sull’altaredella cappella in San Fedele: dalla descrizione di Lomazzo, chedoveva essere stato ben ragguagliato (essendo egli cieco ormaida oltre dieci anni), si deduce infatti che in quel dipinto solo laVergine calpestava il serpente: «la Vergine co’l figliuolo appressoche calca [non ‘calcano’] con un piede il collo dell’antico ser-pente»28.

Un altro indizio a favore dell’ipotesi che Figino avesse dipin-to una Madonna del serpe per San Fedele in cui Gesù sferzava ilserpente è fornito dall’iconografia di un’Immacolata Concezionedi Peter Paul Rubens al Prado (1628-1629; fig. 2)29. In essa sivede un angioletto che, con una palma, sembra stia ‘scherzando’con il serpente schiacciato dalla Madonna, ma evidentementelo sta anche ‘sferzando’. Si trattava, probabilmente, dello stessomotivo iconografico: Rubens poteva aver visto il dipinto di Fi-gino, a quel tempo già ritirato nella casa professa dei gesuitipresso San Fedele, nel corso di una sua visita a Milano all’iniziodel Seicento30. A quel tempo la chiesa era stata da poco termi-nata e costituiva uno degli edifici più prestigiosi della città. Èfacile ipotizzare che Rubens avesse compiuto una visita appro-fondita di quell’importante fabbrica gesuita: egli aveva ricevutola sua educazione classica ad Anversa in un collegio che dipen-deva dalla Compagnia del Gesù, ed in seguito lavorò in nume-rose occasioni per quell’ordine31. Il maestro fiammingo eseguìdue importanti dipinti per le chiese dei gesuiti di Mantova e diGenova nel corso del suo soggiorno italiano (1600-1608), e an-che i disegni preparatori per le incisioni con la vita di Ignazio,commissionategli dai gesuiti di Roma nel 1605-160632. Quan-do era ormai da tempo tornato ad Anversa, Rubens venne ad-dirittura chiamato ad eseguire la pala d’altare raffigurante San-t’Ignazio che il Gesù di Roma commissionò in occasione dellacanonizzazione del fondatore dell’ordine (1622)33. Si deve poiricordare che il dialogo di Comanini era stato pubblicato nel1591 proprio a Mantova34, dove Rubens viveva al servizio dei

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Gonzaga: il nome di Figino era probabilmente già familiare algiovane pittore fiammingo.

Dopo il rifiuto di una pala d’altare, Figino si sarebbe certamen-te consultato con i suoi committenti in merito all’iconografia diuna seconda versione dello stesso soggetto: per quale ragione,quindi, i gesuiti avrebbero deciso di rimuovere anche quella paladopo poco più di due anni? È probabile che qualcuno, esternoall’ordine, avesse ritenuto che il significato del dipinto, pur menoambiguo della precedente Madonna del serpe, potesse comunqueessere equivocato. Si potrebbe pensare allo stesso Carlo Borromeo,arcivescovo di Milano, che aveva sostenuto finanziariamente la co-

struzione di San Fedele, e che naturalmente vigilava sull’ortodossiadelle pale d’altare della sua diocesi. Sappiamo, ad esempio, chenelle istruzioni rivolte ai predicatori nel Sinodo del 1573 egli avevaribadito la proibizione a discutere l’Immacolata Concezione diMaria, rifacendosi esplicitamente alla bolla di Pio V35. Sebbenefosse stato proprio lui a introdurre i gesuiti a Milano, la Compa-gnia aveva avuto dei contrasti con la figura del grande riformatorelombardo36. Il Borromeo sarebbe scomparso solo nell’ottobre del1584, e avrebbe quindi potuto vedere quell’ipotetica seconda ver-sione della Madonna del serpe collocata in San Fedele. La pala, cosìcome possiamo ricostruirla attraverso la descrizione di Comanini,poteva essere giudicata un’interpretazione dell’Immacolata Con-cezione diversa, sia sul piano della composizione sia soprattutto suquello dei contenuti, da quella formula che si stava pian piano im-ponendo in Italia e in Spagna, secondo la quale la Madonna, cono senza il Bambino in braccio, trionfava sul crescente lunare e, avolte, sullo stesso serpente37. Opere fedeli a quell’iconografia ve-nivano collocate sugli altari delle chiese italiane, senza incontrarenessun problema, proprio in quegli stessi anni: si pensi solo allecelebri pale di Federico Barocci alla Galleria Nazionale delle Mar-che di Urbino (proveniente dalla chiesa di San Francesco dellastessa città, 1575 circa) e di Ludovico Carracci alla Pinacoteca Na-zionale di Bologna (proveniente dalla chiesa degli scalzi della stessacittà, 1590 circa). In qualche modo, invece, Figino e i gesuiti ave-vano contravvenuto alla bolla di Pio V che vietava di discuterel’Immacolata Concezione. Nella pala di Rubens al Prado, dipintaper un committente spagnolo che intendeva farne dono al re Fi-lippo IV, il più acceso sostenitore della causa a favore della procla-mazione del dogma, non era più Gesù a ‘sferzare’ il serpente, maun angioletto; il Figlio di Maria, coerentemente alla tradizione ico-nografica spagnola, non era raffigurato affatto. Rubens mise inmano all’angioletto un ramo di palma, allusione alla Spagna, chesecondo la monaca concezionista Marìa de Jesús de Ágreda (1602-1665) si era meritata «la palma sopra tutte le Nazioni e Regnidell’Universo nella venerazione, culto e devozione pubblica dellaGran Regina e Signora del Cielo»38.

Il dipinto di Figino, esposto al pubblico a partire presumibil-mente dal 1637 in Sant’Antonio Abate, venne visto dal milaneseCarlo Francesco Nuvolone, che dieci anni dopo ne riprese l’ico-nografia in una grande pala d’altare per la chiesa dei cappuccinidi Parma intitolata a Santa Maria della Neve raffigurante l’Im-macolata Concezione e i santi Carlo Borromeo e Felice da Canta-lice (Parma, Galleria Nazionale; fig. 3)39. L’invenzione venne

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35 Acta Ecclesiae Mediolanensis a Carolo cardinali S. Praxedis archiepiscopo condi-ta, Federici card. Borromaei archiepiscopi Mediolani iussu, undique diligentius col-lecta et edita, Milano 1599, 483; M. L. GATTI PERER, Per la definizione dell’ico-nografia della Vergine del Rosario, in Carlo Borromeo e l’opera della «Grande Ri-forma». Cultura, religione e arti del governo nella Milano del pieno Cinquecento, acura di F. Buzzi e D. Zardin, Cinisello Balsamo 1997, 198 e 208 nota 97.36 DELLA TORRE - SCHOFIELD, 1994, 318.37 Si veda la sezione La codificazione dell’immagine. Dal Seicento alla proclama-zione del dogma nel catalogo della mostra Una donna vestita di sole. L’Immaco-lata Concezione nelle opere dei grandi maestri, a cura di G. Morello, V. Francia e

R. Fusco, Milano 2005, 215-275.38 STRATTON, 1994, 113; M. MORETTI, La Concezione di Maria in Spagna:profili storici e iconografici, in Una donna vestita di sole..., 2005, 88. 39 F. M. FERRO, Nuvolone: una famiglia di pittori nella Milano del ’600, Sonci-no 2003, 199-200.La medesima iconografia si ritrova anche in una statua marmorea di GiuseppeRusnati databile entro il 1689 (SPIRITI, 2008, 457) e in una lignea, anonima,nei Santi Pietro e Paolo di Saronno, commissionata nel 1712 (L. FACCHIN, Ladevozione all’Immacolata Concezione nell’area nord-occidentale dello Stato di Mi-lano: da Varese a Novara, in L’Immacolata nei rapporti…, 2008, 479).

2. Peter Paul Rubens: Immacolata Concezione. Madrid, Museo del Prado.

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replicata in altre occasioni dall’artista, ma incontrò forse qual-che problema: in una pala di provenienza sconosciuta oggi alMuseo de Arte di Ponce (Puerto Rico; fig. 4) il piede di GesùBambino non spinge su quello della Madre, ma gli è semplice-mente accanto40.

Caravaggio, a Milano fino al 1592, e a bottega di SimonePeterzano dal 1584 al 1588, ebbe evidentemente modo di ve-dere la pala con la Madonna del serpe rimasta in casa di Figino,e anche quella versione che probabilmente era stata esposta perpoco più di due anni in San Fedele. Egli, quindi, doveva cono-scere quella che era stata la sorte di quei dipinti, ed in partico-lare di quello che era tornato, definitivamente, nelle mani del-l’artista. Eppure fu proprio l’iconografia di quel dipinto rifiuta-to dai gesuiti che egli riprese in una pala d’altare destinata niente

di meno che alla chiesa più importante di tutta la cattolicità(fig. 5, tavv. 6, 8). Le ricerche hanno dimostrato che, a dispettodelle tante ipotesi circa le ragioni che portarono al ‘rifiuto’ deldipinto di Caravaggio, questo venne in realtà allontanato daSan Pietro prima di tutto perché Paolo V, nel contesto della ri-costruzione e ridefinizione della basilica, privò la confraternitadei Palafrenieri dell’altare sul quale aveva esercitato i propri di-ritti fino al 1606. Sembrerebbe infatti che i Palafrenieri, per as-sicurarsi un altare nella nuova San Pietro, avessero cercato diforzare la mano al pontefice, commissionando una grande emoderna pala d’altare in sostituzione di quella ormai antiquatadi Leonardo da Pistoia e Jacopino del Conte (1538 circa; Ro-ma, San Pietro, cappella dei Canonici), ancor prima che fosserostati riconfermati i loro diritti41. Non si può però escludere

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3. Carlo Francesco Nuvolone: Immacolata Concezione con i santi Carlo Borro-meo e Felice da Cantalice. Parma, Galleria Nazionale.

4. Carlo Francesco Nuvolone: Immacolata Concezione con san Francesco. Ponce,Museo de Arte.

40 Museo de Arte de Ponce, Fundación Luis A. Ferré. Catalogue: Paintings andSculpture of the European and American Schools, Ponce 1984, 228. Il dipintonon è citato nella recente monografia dedicata ai Nuvolone, dove sono men-zionati altri dipinti raffiguranti l’Immacolata Concezione secondo la soluzioneiconografica ideata da Figino; cfr. FERRO, 2003, 201.

41 SPEZZAFERRO, 1974, 125-137; L. RICE, The Altars and Altarpieces of New St.Peter’s: Outfitting the Basilica, 1621-1666, Cambridge 1997, 43-45; M. BEL-TRAMME, «La pala dei Palafrenieri: precisazioni storiche e ipotesi iconografichesu uno degli ultimi rifiuti romani di Caravaggio», Studi Romani, XLIX(2001/1-2), 72-79.

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l’ipotesi che l’iconografia non proprio ortodossa del dipinto diCaravaggio, collocato in tutta fretta in San Pietro, avesse in re-altà avuto l’effetto, del tutto contrario alle aspettative dei Pala-frenieri, di esacerbare Paolo V. Questi nel 1617 avrebbe pro-mulgato una bolla per riconfermare quanto già stabilito da PioV nel 1570, respingendo poi le pressioni di una missione diplo-matica spagnola che chiedeva la proclamazione del dogma del-l’Immacolata Concezione42.

È stato sottolineato come un passo della Dichiaratione piùcopiosa de la dottrina christiana di Roberto Bellarmino (Roma1598), pubblicata sotto gli auspici di Clemente VIII, costitui-sca un’importante concessione verso i più accesi sostenitori delculto dell’Immacolata Concezione. L’iconografia della Madon-na dei Palafrenieri sarebbe stata quindi elaborata in un mo-mento in cui non erano chiare le direttive teologiche del ne-oeletto Paolo V43. Non bisogna però sopravvalutare l’impor-tanza di quel passo, che era lungi dal costituire una bolla uffi-ciale della Chiesa. Bellarmino, da gesuita, non faceva altro chesostenere il culto dell’Immacolata Concezione come era nellatradizione del suo ordine. Clemente VIII, che da giovane ave-va avuto come consigliere spirituale Filippo Neri, fondatoredegli oratoriani, non abbracciava necessariamente tutte le po-sizioni dei gesuiti. Ma soprattutto, che motivo avrebbero avu-to i Palafrenieri di entrare nel vivo del dibattito intorno al-l’Immacolata Concezione, adottando un’iconografia tantoanomala? La santa a cui era intitolato il loro altare era Anna,ed il soggetto della precedente pala di Leonardo da Pistoia eJacopino del Conte era una tradizionale raffigurazione del-l’Anna Metterza tra i santi Pietro e Paolo, un soggetto che giàalludeva, per tradizione, alla purezza di Maria44. L’ipotesi piùprobabile è quindi che i Palafrenieri avessero commissionatoal pittore una semplice Anna Metterza senza imporre una pre-cisa soluzione iconografica. Certo fu di Caravaggio la scelta diadottare l’invenzione elaborata da Figino, perché solo lui, aRoma, poteva conoscerla. Naturalmente è probabile che icommittenti fossero preventivamente informati della scelta diCaravaggio, e che non ne valutassero attentamente i rischi im-pliciti. Ma quelle che qui interessano di più sono le motiva-zioni che indussero Caravaggio a suggerire e poi adottare l’ico-nografia del dipinto di Figino. Non sono noti rapporti signi-ficativi del Merisi con l’ordine dei gesuiti45 che, come già det-to, all’inizio del Seicento era il maggiore sostenitore del cultodell’Immacolata Concezione. È possibile che Caravaggio,semplicemente, ricordasse quella formula originale e la propo-nesse ai suoi committenti, senza per questo voler entrare nelmerito del dibattito teologico intorno all’Immacolata Conce-zione. Ma non si può escludere del tutto la possibilità, peral-tro ardita, che egli avesse raffigurato il motivo del doppio pie-de che schiaccia il serpente proprio per quelle stesse ragioniche avevano portato i gesuiti a rifiutare il dipinto di Figino,ragioni che egli poteva conoscere. Con quell’iconografia, cioè,Caravaggio avrebbe sottolineato come fosse merito del Salva-tore la redenzione dell’umanità dal peccato originale, ribaden-do così la natura squisitamente umana della Vergine, proprio

come nella più o meno contemporanea Morte della Vergine,non a caso anch’essa rifiutata46. La Madonna dei Palafrenieripotrebbe quindi essere il documento più straordinario di quel-lo che Ferdinando Bologna, fin dal 1973, ha indicato come ilcosciente, mancato allineamento di Caravaggio alle direttivedi ortodossia e conformismo dettate dalla Chiesa post-triden-tina47. Non si sarebbe trattato, naturalmente, di una presa diposizione venata di luteranesimo, poiché Caravaggio non met-teva in discussione il ruolo della Chiesa cattolica, o i suoi dog-mi, ma solo l’Immacolata Concezione di Maria, che la Chiesastessa avrebbe proclamato ufficialmente solo oltre due secolidopo. La figura della Vergine nella pala dei Palafrenieri è stata

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5. Caravaggio: Madonna dei Palafrenieri. Roma, Galleria Borghese.

42 STRATTON, 1994, 78-87.43 BELTRAMME, 2001, 81. 44 STRATTON, 1994, 20-34; M. AMATURO - P. CASTELLANI, L’Immacolata Con-cezione: cicli decorativi a Roma tra Cinquecento e Ottocento, in Ianua Coeli. Di-segni di Cristoforo Roncalli e Cesare Maccari per la cupola della Basilica di Loreto,catalogo della mostra, a cura di L. Polichetti, Roma 2001, 105-106.45 BOLOGNA 2006, 93-107.46 Cfr. a questo proposito SPEZZAFERRO, 1974, 136-137.47 F. BOLOGNA, Il Caravaggio nella cultura e nella società del suo tempo, in Col-loquio sul tema…, 1974, in particolare 162-163 (ripubblicato, con aggiorna-menti, in BOLOGNA, 2006).

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vista come un’allusione diretta alla Chiesa48, ma è più proba-bile che al contrario Caravaggio intendesse solo entrare nelmerito del culto dell’Immacolata Concezione. Egli doveva sa-pere bene che solo quello era il tema del dipinto che aveva vi-sto in casa di Figino: ad esso infatti, lo ricordiamo ancora, nel1637, Giovanna Vergara Bianchi si riferiva esplicitamente co-me ad una «Concezione della Beatissima Vergine».

Della Madonna dei Palafrenieri, che divenne uno dei vantidella Galleria di Scipione Borghese, non è nota nessuna copia,né a olio né a stampa49. Il dipinto era comunque celebre, e vennecertamente visto da Sébastien Bourdon (1616-1671), pittorefrancese di fede protestante, presente a Roma tra il 1634 e il1637. Tornato a Parigi egli realizzò una stampa, databile intornoal 1645-1647, evidentemente ispirata al dipinto di Caravaggio,in cui però è solo Gesù a calpestare il serpente, mentre la Verginesi limita ad osservare la scena (fig. 6)50. Una volta compreso il si-gnificato dell’incisione, non sorprende che la sant’Anna del di-pinto di Caravaggio sia sostituita dalla profetessa Anna, poichécome è noto i protestanti non riconoscevano come santa la ma-dre di Maria. Si confermavano così i timori dei gesuiti di San Fe-dele, che avevano respinto la Madonna del serpe di Figino giudi-candola un’opera dal significato ambiguo: quell’invenzione, nataper raffigurare l’Immacolata Concezione, con una piccola mo-difica aveva finito per essere impiegata come manifesto del rifiu-to protestante del culto di Maria. E non si può escludere l’ipotesiche Bourdon avesse avuto l’idea di elaborare una variante dellaMadonna dei Palafrenieri in chiave esplicitamente protestante,perché a Roma aveva appreso che alla radice del rifiuto della paladi Caravaggio era stata proprio la sua iconografia ambigua. Adun altro incisore francese, Gregoire Huret (1606-1670), si deveuna raffigurazione fedele, non datata, della soluzione iconogra-fica elaborata da Figino51. Nella produzione grafica del franceseabbondano le invenzioni religiose di carattere allegorico dal si-gnificato complesso, e sappiamo che Huret in qualche occasionelavorò per i gesuiti all’inizio della sua carriera52. È quindi possi-bile che il soggetto di quell’incisione sia stato suggerito ad Huret,che trascorse quasi tutta la sua esistenza a Parigi senza mai recarsiin Italia, dai gesuiti stessi, che forse volevano rispondere allastampa protestante di Bourdon. Huret incise un altro foglio, an-ch’esso non datato, in cui Gesù Bambino è accanto alla Madre eschiaccia il serpente con la croce53. Quest’invenzione da una par-te si lega alla stampa di Bourdon, in cui la Vergine non prendeparte all’azione, e dall’altra si ricollega ad una tradizione icono-grafica nata in Spagna alla fine del Quattrocento, in cui Gesù,

in braccio alla Madre che calpesta il serpente, schiaccia a sua vol-ta il Demonio con una lunga croce54.

Quest’ultima formula si diffuse nel Seicento nei Paesi Bassimeridionali55, e di essa avrebbe tenuto conto anche ErasmusQuellinus per la grande pala d’altare (cm 500 × 287) eseguitanel 1665 per San Michele a Lovanio, legata per altri versi alla so-luzione iconografica elaborata da Figino56. Nel dipinto, infatti,Gesù aiuta la madre a calpestare il serpente, ma alza anche mi-naccioso un bastone con la mano destra, proprio come nelle raf-figurazioni appena ricordate. Quellinus, che negli anni trenta erastato spesso impiegato da Rubens come suo collaboratore, nel1639 aveva già realizzato un’incisione con l’Immacolata Conce-zione rifacendosi, grossomodo, ad un dipinto del maestro del

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6. Sébastien Bourdon: Madonna col Bambino e sant’Anna. Parigi, BibliothèqueNationale de France.

48 «Né a motivare il rifiuto possono essere state eventuali interferenze con ildibattuto tema dell’Immacolata Concezione: che riguarda Maria come perso-na, concepita senza la macchia del peccato originale; qui invece Maria sta perla chiesa, che annulla (rimette) i peccati del fedele, e si tratta di problemi di-versi»; cfr. CALVESI, 1998, 37.49 A. MOIR, Caravaggio and His Copysts, New York 1976, 98.50 MÂLE, 1932, 40; J. THUILLIER, Sébastien Bourdon 1616-1671: catalogue cri-tique et chronologique de l’œuvre complet, Paris 2000, 259, n. 118.51 MÂLE, 1932, 40; R.-A. WEIGERT, Inventaire du fonds français: graveurs du

XVIIe siècle, 7 voll., Paris 1939-1976, V, 1968, 302, n. 29. 52 E. BRUGEROLLES - D. GUILLET, «Grégoire Huret, dessinateur et graveur»,Revue de l’art, 117 (1997), 9-13.53 MÂLE, 1932, 40; WEIGERT, 1968, 302, n. 28.54 MORETTI, 2005, 80.55 MÂLE, 1932, 40; La sculpture au siècle de Rubens dans les Pays-Bas méridionauxet la principauté de Liège, catalogo della mostra, Bruxelles 1977, 34-35 e 179.56 J.-P. DE BRUYN, Erasmus II Quellinus, 1607-1678: de schilderijen met cata-logue raisonné, Freren 1988, 259-264.

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1626-1628 dall’iconografia assolutamente tradizionale57. Al 1651risale la sua prima raffigurazione, firmata e datata, di un’Imma-colata Concezione secondo l’iconografia elaborata da Figino(Mannheim, Städt. Reiss-Museum). Le figure di Maria e di Gesùsono incorniciate da una ghirlanda di fiori opera dello specialistaJan Philips van Thielen (1618-1667), che appose la sua firma alpari di Quellinus, suo cognato58. Agli anni quaranta, cinquanta esessanta sono variamente datate numerose altre versioni della me-desima composizione opera di Quellinus e di un altro specialistadi fiori, Daniel Seghers (si veda, ad esempio, quella del Museumvoor Schone Kunsten di Gand; fig. 7)59. È a quest’ultimo che,forse, si deve l’importazione nei Paesi Bassi spagnoli di quella so-luzione iconografica. Seghers (1590-1661) si era iscritto alla gildadei pittori di Anversa nel 1611, dichiarandosi allievo di Jan Brue-ghel il Vecchio, che nel primo decennio del Seicento, collaboran-do con pittori quali Hendrick van Balen e lo stesso Rubens, avevadato vita a quel particolare genere di dipinti di carattere devozio-nale: le Madonne con Bambino incorniciate da ghirlande di fio-ri60. Nel 1614 Seghers entrò nell’ordine dei gesuiti, specializzan-dosi in quel genere di pittura; a partire dal 1625 iniziò a firmarsicome Daniel Seghers Societatis Jesu. Attraverso Brueghel egli di-venne amico di Rubens, del quale dipinse un ritratto postumocircondato come sempre da una ghirlanda di fiori (Princeton,University Art Museum)61. Seghers fu a Roma dal 1625 al 1627,e tornato in patria, ad Anversa, eseguì molti dipinti in collabora-zione con Erasmus Quellinus. Van Thielen, entrato nella gildadei pittori di Anversa nel 1641-1642, fu allievo di Seghers: èquindi naturale ipotizzare che l’Immacolata Concezione di Man-nheim, datata 1651, sia stata preceduta da qualcuno degli altriesemplari opera di Seghers e Quellinus. Seghers, gesuita e amicodi Rubens, che era anche stato a Roma e poteva aver visto la Ma-donna dei Palafrenieri di Caravaggio, avrebbe quindi suggerito aQuellinus quella soluzione iconografica62.

È anche interessante notare come Ercole Bianchi, nipote ederede del Figino, fosse un importante collezionista di pitturafiamminga. A lui, che agiva anche come intermediario per il car-dinale Federico Borromeo, sono indirizzate molte lettere di JanBrueghel il Vecchio e di Rubens che vanno dal 1606 fino allamorte di Brueghel, nel 162563. In esse sono spesso menzionati

dipinti raffiguranti Madonne col Bambino all’interno di ghir-lande di fiori, e non si può escludere del tutto la possibilità cheuna di esse raffigurasse proprio l’iconografia della pala di Figino.Questa poteva essere stata suggerita da Bianchi, che doveva co-noscerla bene e ne sarebbe entrato in possesso nel 1608. Bianchiera certamente ad Anversa nel 160664. Seghers, quindi, avrebbepotuto conoscere quella particolare iconografia anche prima di

Nascita e diffusione di una rara iconografia dell’Immacolata Concezione: da Figino e Caravaggio a Bourdon e Quellinus II

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7. Erasmus Quellinus II e Daniel Seghers: Immacolata Concezione. Gand, Mu-seum voor Schone Kunsten.

57 J.-P. DE BRUYN, Voorstellingen van de Immaculata Conceptio in het oeuvre vanErasmus II Quellinus, in Rubens and his world, a cura di A. Balis, Antwerpen1985, 291-292; M. JAFFÉ, Rubens. Catalogo completo, Milano 1989, 300, n.883.58 J.-P. DE BRUYN, «De samenwerking van Daniël Seghers en Erasmus IIQuellinus», Jaarboek. Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, 1980, 308; DE

BRUYN, 1985, 293. 59 DE BRUYN, 1980, 305-308, nn. 18-19; DE BRUYN, 1985, 293-295; DE

BRUYN, 1988, 56 e 149, n. 75; J.-P. DE BRUYN, «Erasmus II Quellinus (1607-1678): addenda en corrigenda III», Jaarboek. Koninklijk Museum voor SchoneKunsten, 1994, 194, n. 7; J.-P. DE BRUYN, «Erasmus II Quellinus (1607-1678):addenda en corrigenda IV», Jaarboek. Koninklijk Museum voor Schone Kunsten,1997, 433.60 D. FREEDBERG, «The Origins and Rise of the Flemish Madonnas in FlowerGarlands. Decoration and Devotion», Münchener Jahrbuch der bildenden Kunst,

32 (1981), 115-150; A. VAN SUCHTELEN, schede in Rubens & Brueghel: AWorking Friendship, catalogo della mostra, a cura di A. Woollett e A. vanSuchtelen, Los Angeles 2006, 116-121, 152-155.61 J. R. MARTIN, «A portrait of Rubens by Daniel Seghers», Record. PrincetonUniversity, Art Museum, 17 (1958), 2-19.62 Quellinus avrebbe dipinto altre versioni del medesimo soggetto servendosi,come specialista per le ghirlande, di Jan van Kessel I (1626-1679); cfr. DE

BRUYN, 1985, 293-295.63 G. CRIVELLI, Giovanni Brueghel pittor fiammingo, o Sue lettere e quadretti esi-stenti presso l’Ambrosiana, Milano 1868, 60; S. BEDONI, Jan Brueghel in Italia eil collezionismo del Seicento, Firenze 1983, 112 e 141-142 (cfr. anche 126, 146e ad indicem); B. AGOSTI, Collezionismo e archeologia cristiana nel Seicento: Fe-derico Borromeo e il Medioevo artistico tra Roma e Milano, Milano 1996, 160nota 70, e 168.64 BEDONI, 1983, 112.

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recarsi in Italia. È però probabile che solo a partire dalla fine de-gli anni quaranta le raffigurazioni dell’Immacolata Concezionecircondate da ghirlande di fiori cominciassero ad essere prodotteda Seghers in collaborazione con Quellinus. Nel 1642 UrbanoVIII aveva compilato una lista delle feste di precetto senza inclu-dere quella dell’Immacolata Concezione; immediata era stata lareazione in Spagna, e nel 1645 Madrid ottenne la proclamazionedella festività (non ancora di precetto) «in Regnis Hispaniarumtantum», e quindi anche nei Paesi Bassi meridionali65. FilippoIV istituì quindi un’altra Real Junta, la quarta, con l’obiettivo distudiare la questione e premere affinché Roma proclamasse ildogma; la causa immacolista era, ancora una volta, portata avan-ti soprattutto dai gesuiti66. Con il pontificato di Alessandro VIIarrivarono finalmente i primi risultati tangibili: con una bolla

del 1656 venne concesso alla Spagna il patronato dell’Immaco-lata Concezione, che tra il dicembre 1664 e l’ottobre 1665 sa-rebbe divenuta festa di precetto prima in Spagna e poi, via via, aNapoli, in Sicilia e Sardegna e infine in Borgogna e nelle Fian-dre67. La pala di Quellinus, commissionata proprio in quell’annodai gesuiti di Lovanio, celebrava il riconoscimento sempre piùampio accordato al culto dell’Immacolata Concezione. L’epocadei duri scontri fra immacolisti e maculisti, ovvero tra francesca-ni e domenicani prima, e tra gesuiti e domenicani poi, volgevaormai al termine: scomparivano quindi i divieti e i sospetti, e di-ventava possibile adottare, per una colossale pala d’altare espostanella città-roccaforte del cattolicesimo nei Paesi Bassi spagnoli,una soluzione iconografica che quarant’anni prima sarebbe forsestata giudicata ambigua.

Arte Lombarda | STEFANO PIERGUIDI

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65 STRATTON, 1994, 99-100.66 STRATTON, 1994, 101-102.67 STRATTON, 1994, 104; MORETTI, 2005, 88.

Referenze fotografiche

1: da A. COLIVA, Caravaggio. La Madonna dei Palafrenieri, Cinisello Balsamo2003, 6; 2: da VERGARA, 1999, 95, fig. 44; 3: da FERRO, 2003, 83, tav. XXXV;4: da Museo de Arte…, 1984, 228; 5, tavv. 6, 8: Archivio Fotografico Soprin-tendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico eper il Polo Museale della città di Roma; 6: da THUILLIER, 2000, 259, n. 118; 7:da DE BRUYN, 1980, 306, fig. 23; tavv. 5, 7: Università Cattolica del SacroCuore, Milano (foto Adolfo Bezzi, Bergamo).

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