maciste a quarto. propaganda interventista nei film di ambientazione risorgimentale (1915) [2014]

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Maciste a Quarto Propaganda interventista nei film di ambientazione risorgimentale (1915) di Denis Lotti 1. Il primo cinema italiano celebra il Risorgimento Nel 1911, in occasione delle celebrazioni del Cinquantenario dal- l’Unità d’Italia, le Case di produzione cinematografiche nazionali presentano al pubblico soggetti risorgimentali. Tra essi: Nozze d’o- ro ambientato durante la Seconda guerra d’indipendenza, diretto da Luigi Maggi e prodotto dall’Ambrosio di Torino; Fucilazione di Ugo Bassi e del garibaldino Giovanni Livraghi (Helios Film); La marchesa Ansperti. Una storia del Risorgimento (Itala Film); Il picco- lo patriota (diretto da Giuseppe De Liguoro, Milano Films). La Ci- nes produce Goffredo Mameli, Stirpe d’eroi e Il tamburino sardo. 1 L’anno successivo l’indirizzo risorgimentale raggiungerà un altro importante vertice con I Mille di Alberto Degli Abbati (Ambrosio). Sono figli ideali di un titolo risalente al 1905 che convenzionalmen- 1 Tra gli studi più recenti sul cinema risorgimentale muto italiano ricordiamo: M. Canosa (a cura di), 1905. La presa di Roma. Alle origini del cinema italiano, Le Mani/Cineteca di Bologna, Recco (GE)/Bologna 2006; i saggi di D. Gherardi e G. Lasi, L’“Inferno”: Grandioso Film d’Arte della Milano Films, M. De Sanctis e A. Marotto, Ritorno all’inferno. L’“Inferno” della Milano Films: documentazione del restauro dell’edizione italiana 1911 e M. Canosa, La celluloide e il bronzo. Un monumento a Dante: l’“Inferno” della Milano Films, pubblicati su “Cinegrafie”, 20, giugno 2007; A. Bellato, W Garibaldi, W il Duce liberatore. Sulla lingua delle didascalie in “La cavalcata ardente” di Carmine Gallone, “Immagine. Note di Storia del Cinema”, IV, 2, 2010; G. Lasi, G. Sangiorgi (a cura di), Il Risorgimento nel cinema italiano. Filmografia a soggetto risorgimentale 1905-2010, Edit, Faenza 2011; G. Perrone: “Le Nozze d’oro” dell’Ambrosio. Dal concorso cinematografico di Torino del 1911 al restauro del 2011, “Immagine. Note di Storia del Cinema”, IV, 3, 2011; G.P. Brunetta, Le molte Italie dello schermo, in P. Favuzzi, A. Metlica (a cura di), Il fantasma dell’Unità. Riletture del Risorgimento tra Grande Guerra e Fascismo, Mimesis, Milano 2012. 32

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Maciste a Quarto

Propaganda interventista nei filmdi ambientazione risorgimentale (1915)

di Denis Lotti

1. Il primo cinema italiano celebra il Risorgimento

Nel 1911, in occasione delle celebrazioni del Cinquantenario dal-l’Unità d’Italia, le Case di produzione cinematografiche nazionali presentano al pubblico soggetti risorgimentali. Tra essi: Nozze d’o-ro ambientato durante la Seconda guerra d’indipendenza, diretto da Luigi Maggi e prodotto dall’Ambrosio di Torino; Fucilazione di Ugo Bassi e del garibaldino Giovanni Livraghi (Helios Film); La marchesa Ansperti. Una storia del Risorgimento (Itala Film); Il picco-lo patriota (diretto da Giuseppe De Liguoro, Milano Films). La Ci-nes produce Goffredo Mameli, Stirpe d’eroi e Il tamburino sardo.1 L’anno successivo l’indirizzo risorgimentale raggiungerà un altro importante vertice con I Mille di Alberto Degli Abbati (Ambrosio). Sono figli ideali di un titolo risalente al 1905 che convenzionalmen-

1 Tra gli studi più recenti sul cinema risorgimentale muto italiano ricordiamo: M. Canosa (a cura di), 1905. La presa di Roma. Alle origini del cinema italiano, Le Mani/Cineteca di Bologna, Recco (GE)/Bologna 2006; i saggi di D. Gherardi e G. Lasi, L’“Inferno”: Grandioso Film d’Arte della Milano Films, M. De Sanctis e A. Marotto, Ritorno all’inferno. L’“Inferno” della Milano Films: documentazione del restauro dell’edizione italiana 1911 e M. Canosa, La celluloide e il bronzo. Un monumento a Dante: l’“Inferno” della Milano Films, pubblicati su “Cinegrafie”, 20, giugno 2007; A. Bellato, W Garibaldi, W il Duce liberatore. Sulla lingua delle didascalie in “La cavalcata ardente” di Carmine Gallone, “Immagine. Note di Storia del Cinema”, IV, 2, 2010; G. Lasi, G. Sangiorgi (a cura di), Il Risorgimento nel cinema italiano. Filmografia a soggetto risorgimentale 1905-2010, Edit, Faenza 2011; G. Perrone: “Le Nozze d’oro” dell’Ambrosio. Dal concorso cinematografico di Torino del 1911 al restauro del 2011, “Immagine. Note di Storia del Cinema”, IV, 3, 2011; G.P. Brunetta, Le molte Italie dello schermo, in P. Favuzzi, A. Metlica (a cura di), Il fantasma dell’Unità. Riletture del Risorgimento tra Grande Guerra e Fascismo, Mimesis, Milano 2012.

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te riteniamo essere il primo film a soggetto italiano, ovvero La pre-sa di Roma. 20 settembre 1870. La pellicola diretta da Filoteo Alberi-ni (Alberini & Santoni) mette in scena la battaglia di Porta Pia. I soggetti risorgimentali segnano, da una parte, la celebrazione del giovane regno sabaudo e, dall’altra, in modo quasi inevitabile se non necessario, rinfocolano sentimenti antiasburgici. La retorica dell’irredentismo, potremmo definirla del “Risorgimento mutila-to”, è sempre presente, e il pensiero va alle terre italofone ancora sotto il dominio di Vienna. Eppure sia Nozze d’oro sia un altro grande titolo del 1911, L’Inferno della Milano Films, conosceranno traversie e mutilazioni censorie, poiché ritenuti sconvenienti e of-fensivi ai tempi della Triplice Alleanza con l’Austria-Ungheria e l’Impero tedesco (1882 – 26 aprile 1915). Le due pellicole vivranno una nuova circolazione all’indomani dell’intervento italiano nella Grande Guerra. Infatti Nozze d’oro, proprio a causa dei contenuti antiasburgici, otterrà il nulla osta soltanto nel 1915;2 il secondo co-noscerà la mutilazione dei fotogrammi finali che ritraggono, a mo’ di apoteosi evocativa, il monumento a Dante, ospitato nella Trento di Francesco Giuseppe.3 Poiché si era in prossimità della guerra ita-lo-turca (1911-12), una censura politica — quella cinematografica sarà istituita nel 1913 — ritenne di non agitare lo spettro dell’irre-dentismo, che avrebbe indisposto il già poco tollerante alleato D’A-sburgo. Nel crepuscolo del 1911, appunto, l’Italia dichiara guerra a un altro impero, quello Ottomano, per la conquista della futura Li-bia. Il cinema anche in questo caso ha una parte importantissima, sia legata alla propaganda interventista,4 sia (nel periodo di guerra

2 Nozze d’oro, visto di censura n. 6183 del 11 gennaio 1915. Fatto curioso in sé, il film circolerà in Germania e in Ungheria già nell’ottobre del 1911. Cfr. A. Bernardini, Archivio del cinema italiano. Il cinema muto, vol. I, Anica, Roma 1991, p. 282.3 Cfr. M. Canosa, La celluloide e il bronzo. Un monumento a Dante: l’“Inferno” della Milano Films, cit.4 Mi permetto di rimandare al mio La guerra allusa. L’imperialismo nel cinema di finzione italiano tra propaganda e speranza (1909-12), “Immagine. Note di Storia del

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guerreggiata) legata all’informazione sulle sorti del conflitto come reportage dal fronte: serie di attualità e “dal vero” che anticipano il cinegiornale. Al proposito, Erasmo Contreras, in un articolo inti-tolato La cinematografia e la storia, scrive, proprio nel 1911:

L’intellettuale critica l’esattezza della riproduzione del pun-to di vista storico e artistico; l’analfabeta […] accetta quel che gli si presenta e batte le mani o disapprova per semplice passionalità. Ed in tal modo quando la film ha di verità sto-rica quanta può esservene in libro di testo ad uso dei semina-rii, in una mente incolta ed imbevuta di falsità, viene ad ag-giungersi altro impasto d’errori.5

Ovvero la guerra italo-turca dà modo alla cinematografia italiana di conoscere, misurare e adattare il mezzo cinematografico alla guerra; ciò sarà di capitale importanza per quanto accadrà prima e durante la prima guerra mondiale.

2. Cinema di propaganda per la IV guerra d’indipendenza

Il rombo dei cannoni della Grande Guerra desta anche nel nostro Paese la produzione di pellicole interventiste. Nel Regno d’Italia, ufficialmente neutrale nonostante il Patto di Londra già firmato in segreto da Vittorio Emanuele III, vengono prodotti alcuni film de-dicati all’irredentismo, senza troppi scrupoli di sorta contro l’or-mai scomodo alleato austriaco. Proprio nel 1915 troviamo, tra gli altri, titoli risorgimentali come Brescia leonessa d’Italia (Romolo Bacchini, Real Film), I martiri di Belfiore (Alberto Carlo Lolli, Au-gusta Film), Il nemico (Giuseppe De Liguoro, Etna Film), Notti ro-mane (Savoia Film), Silvio Pellico (Livio Pavanelli, Alba Film); tra i titoli importanti di quell’anno ricordiamo Romanticismo6 (Carlo

Cinema”, IV, 3, 2011, pp. 9-50.5 E. Contreras, La cinematografia e la storia, “Cinema”, 14, 20 luglio 1911, ora in C. Camerini, R. Redi (a cura di), Tra una film e l’altra. Materiali sul cinema muto italiano. 1907-1920, Marsilio, Venezia 1980, pp. 117-118.6 Riguardo a Romanticismo rimando ai materiali fotografici disponibili sul sito del

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Campogalliani, Ambrosio), purtroppo disperso, e le due riduzioni da Cuore di De Amicis che la Film Artistica “Gloria” di Torino af-fida alla regia di Vittorio Rossi Pianelli, La piccola vedetta lombarda e Il tamburino sardo, in una seconda edizione dopo quella citata del 1911. Sul fronte romano, Emilio Ghione, già noto al pubblico in qualità di attore, dirige due film antiasburgici, Ciceruacchio e Ober-dan, prodotti dalla Tiber-Film. Ciceruacchio7 racconta la drammati-ca vicenda dell’omonimo protagonista, al secolo Angelo Brunetti, già difensore, con Garibaldi, della seconda Repubblica romana e in-fine fucilato col figlio tredicenne dagli austriaci nel 1849. Del film, oggi disperso, rimangono alcune foto di scena pubblicate in una brochure8 che testimoniano la cura filologica rivolta sia all’allesti-mento, sia ai costumi d’epoca.

3. Il caso “Oberdan”

Il giovane Guglielmo Oberdan è espressione vivida, a un tempo, dell’irredentismo giuliano e prova della crudeltà austriaca; egli è im-piccato ventiquattrenne, nel 1882, dopo aver confessato di aver ar-chitettato un attentato, sventato, a Francesco Giuseppe. Di Ober-dan9 si conserva una copia presso la Cineteca Italiana di Milano, pressoché integra. Nell’autobiografia di Ghione del 1928, che ab-biamo ritrovato dopo anni di oblio, il regista scrive:

Museo Nazionale del Cinema <www.museonazionaledelcinema.it>. Tra essi un documento importante è rappresentato da una brochure del Cinema Teatro Massimo di Venezia, datata 10 dicembre 1915, con testo di Isidoro Del Lungo, Stab. G. Scarabellin, Venezia 1915, 14 pp. [P41288].7 Ciceruacchio, regia di E. Ghione, Tiber-Film, Roma 1915, visto di censura n. 9476 del 22 giugno 1915, cfr. A. Bernardini, Archivio del cinema italiano, cit., p. 626.8 Ciceruacchio, Tiber-Film, Roma 1915, 4 pp., brochure conservata presso l’Archivio di Gian Piero Brunetta.9 Oberdan, regia di E. Ghione, Tiber-Film, Roma 1915, visto di censura n. 9899 del 22 giugno 1915, m. 1600, cfr. A. Bernardini, Archivio del cinema italiano, cit., p. 644.

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Misi in cantiere Oberdan che feci interpretare da [Alberto] Collo, il quale creò forse, per l’unica volta, un vero gioiello d’arte. Grande fu la sig.ra Carloni-Talli, che fece vivere la Madre della Grande Vittima, con tanta verità, con sì profon-da angoscia materna, da strappar lacrime e singhiozzi a inte-re platee.10

Oberdan, conosciuto anche con i titoli Guglielmo Oberdan, Il mar-tire di Trieste, Grido di Patria o Il martire della forca imperiale, è presentato in censura il 22 giugno 1915 assieme a Ciceruacchio, sor-ta di instant movies, e debutta in sala per la prima volta a Roma il 20 dicembre 1915. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Santi Sava-rino e il film ha per interpreti Alberto Collo nel ruolo di Oberdan, Ida Carloni-Talli (la madre del protagonista), Vittorina Moneta (l’a-mata Maria) e lo stesso Emilio Ghione, che interpreta il governato-re di Trieste. La frase di lancio recita:

Il forte lavoro che dà palpiti agli spiriti eletti e agli animi ge-nerosi, rievocando l’immortale sacrificio, mai come oggi, mentre le bandiere della Patria sventolano ardite in faccia agli oppressori ed ai barbari, fa misurare agli italiani l’im-mensità etica e spirituale del grande olocausto compiuto dal Martire triestino.11

Oberdan rappresenta una prima connessione conosciuta tra D’An-nunzio e il cinema di propaganda interventista risorgimentale, che ritroveremo alla fine del nostro percorso. Un episodio, in particola-re, è raccontato da Ghione di nuovo nelle Memorie:

Il film fu visionato per inviti, al Salone Margherita di Roma, ed ebbi l’onore d’avere fra gli spettatori il sommo Gabriele d’Annunzio, che al termine della visione, volle conoscermi.

10 E. Ghione, Memorie e Confessioni (15 anni d’Arte Muta), Cinemalia, Milano 1928, ora in E. Ghione (a cura di D. Lotti), Scritti sul cinematografo, AIRSC/Cattedrale, Roma/Ancona 2011, p. 71.11 “Frase di lancio del film” riportata in V. Martinelli, Il cinema muto italiano 1915. I film della Grande Guerra, t. II, Nuova Eri/Centro Sperimentale di Cinematografia, Torino/Roma 1992, p. 74.

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Fu Donna Franca [Florio] che mi presentò, nello stringermi la mano, il Poeta, mi chiese chi era l’autore delle didascalie, al sapere che ne ero io stesso l’estensore, con care parole mi elogiò.12

La visione della copia milanese, restaurata nel 2008, conferma la na-tura propagandistica del soggetto. Il registro drammatico si avverte sin dai primi fotogrammi, nel legame fortissimo di Oberdan con la madre, trasfigurata in simbolo dell’Italia ancora oppressa dallo stra-niero, divisa tra l’orgoglio e la preoccupazione per la sorte del fi-glio; infatti Guglielmo vuole attentare alla vita di Francesco Giu-seppe in visita a Trieste. Pare utile ricordare che il sovrano regna ancora sull’Austria-Ungheria al tempo della produzione del film. Una sorta di montaggio alternato racconta le vicende parallele del protagonista contrappuntandole coll’attesa, che via via diviene an-goscia, della madre, sino al climax cristologico finale. Una madre che, nonostante i pericoli, benedice la missione del figlio, perché la condivide senza riserve. Alla decisione di questi: «Che farò mam-ma? Lascerò questa terra oppressa ed attenderò che il mio sacrificio valga a redimere i fratelli», lei risponde: «Va’! Dilettissimo mio, ri-corda ogni insulto patito, ogni grido di dolore. Fa’ che la patria sia salva». Odio e risentimento espliciti verso l’austriaco accompagna-no la lunga preparazione dell’attentato.La recitazione di Collo e Ida Carloni è partecipe, ridondante, spes-so virtuosistica, come il dramma richiede. L’impianto narrativo evoca l’epilogo tragico sin dalle prime battute, il racconto non fa che accumulare le emozioni dei personaggi, le aspettative, le vane speranze, in un crescendo dalla mimica sempre più didascalica. È un film senz’altro più maturo di altri melodrammi coevi. La regia è descrittiva, sovente il punto di vista è frontale, tranne per qualche movimento di macchina, ma è un punto di vista che volutamente arretra rispetto alla recitazione degli attori, mostrando le gesta e gli episodi in maniera didascalica, che molto ricorda il teatro filmato

12 E. Ghione, Scritti sul cinematografo, cit., p. 72.

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delle origini, vagamente debitrice delle riduzioni cinematografiche da opere teatrali e letterarie della Film d’Arte Italiana. Se la regia la-tita, le locazioni sono invece ambiziose, caratteristica costante nelle produzioni Tiber-Film.13 Molti gli esterni, alcune scene sono girate a bordo di navi, lungo i porti, non manca qualche scena di massa, come la manifestazione di popolo che sfila lungo le strade di Roma brandendo le bandiere italiane, oppure la passeggiata romantica con l’amata Maria tra i celebri Busti e le vedute della capitale dalla ter-razza del Pincio. Anche gli interni sono assai ricercati: la casa ma-terna borghese, solenne e ricca di panneggi che digradano in grigi dando movimento e profondità alla stanza; l’appartamento sobrio e dignitoso che ospita l’irredento a Roma; la sala dei patrioti, ancora nella capitale, caratterizzata da muri rivestiti di carta da parati a ri-ghe verticali sui quali spiccano i Tricolori pencolanti; il ristorante povero e disadorno nel quale Oberdan incontra altri congiurati.L’incontro con Maria, che avviene nella sede dei congiurati, confe-risce nuove note drammatiche al film, nuove emozioni, aspettative che rimarranno tragicamente deluse, instillando nel pubblico nuo-vo sconcerto: «Se non tornassi? – le dice Guglielmo in una didasca-lia – Niun sacrificio è più bello che morire per la Patria». Ogni pas-so di Oberdan è un passo, cosciente, verso il sacrificio, nemmeno l’amore di Maria lo fa desistere: «La Patria sopra ogni altro affetto. Da questa Alma Roma, regina del mondo, parta scintilla che liberi la mia Trieste». Da qui inizia il racconto dei preparativi dell’atten-tato all’imperatore, viene mostrata la borsa misteriosa che accom-pagnerà Oberdan nel suo viaggio di ritorno a Trieste; tutto ciò è contrappuntato dalla disperazione solitaria di Maria. Guglielmo scrive il proprio testamento nella sede dei patrioti, sullo sfondo spicca un cartello dove è scritto a caratteri cubitali “Giornale del dovere” (nella stessa stanza appare anche il manifesto che ritrae Za la Mort, personaggio cinematografico assai celebre, interpretato da

13 Cfr. A. Bernardini, Tiber Film, in Id., Cinema muto italiano. Le imprese di Produzione. Il Centro-Sud, vol. I, Kaplan, Torino 2012, pp. 145-149.

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Ghione, ma totalmente fuori contesto: cosa di per sé curiosa, una sorta di “firma”). Il saluto coi congiurati è frenetico, carico di com-mozione, qualcuno si accascia disperato sul tavolo, mentre Ober-dan esce di scena, di spalle, e va incontro al proprio destino.A metà del film appare un personaggio che diviene importante per l’epilogo del racconto, ovvero il governatore di Trieste, interpreta-to dal regista. La sede del governatorato è sontuosa, i soldati e il go-vernatore stesso sfoggiano divise eleganti. L’atteggiamento dell’uo-mo è sicuro, dinamico. Fino a che non legge una lettera che lo getta nello sconforto. Oberdan valica intanto il confine in una zona re-mota e si dirige verso la sua città natale. Quella lettera è una “soffia-ta” e Oberdan viene arrestato e condotto al cospetto del militare. Il governatore tenta di persuadere il giovane ad abiurare la causa, ma ottiene l’effetto contrario. Guglielmo, chiamati a sé alcuni testimo-ni, dice: «Affermo e giuro di essere venuto a Trieste col preciso sco-po di uccidere il capo infame d’un infame Paese. Ed ora sfido le vo-stre torture». Il governatore, carico di pena per quel giovane ideali-sta, ne conferma l’arresto, ma subito dopo manda a chiamare la ma-dre. Le paventa il calvario e la condanna alla morte che spetta ai traditori dell’impero. La donna comprende che la sorte del figlio è segnata. Durante il processo, Oberdan ribadisce il proprio intento omicida nei confronti dell’imperatore (dalla visione della copia su-perstite, emerge l’esigenza di rimontare questa scena, che contiene molte incongruenze narrative; anche la posizione dei personaggi in campi e controcampi tra essi incoerenti appare sospetta). Il gover-natore tenta di evitare la pena capitale al giovane ma i giudici sen-tenziano morte. La madre è informata direttamente dal governato-re, che la scorta sino alle carceri dov’è detenuto Guglielmo, col quale ha un ultimo, struggente, colloquio, che si conclude con una stretta di mano col governatore che, commosso, saluta il giovane militarmente.Gli ultimi istanti di vita di Oberdan sono raccontati nei dettagli. Il film sembra volere accompagnare passo passo lo spettatore nello

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strazio. Di contrappunto alla disperazione della madre che, soste-nuta dal governatore, lo osserva da dietro le sbarre di un cancello andare incontro alla forca. Le ultime parole del patriota sono acco-rate: «Il grido che l’anima mia vi lancia: l’idea non muore, Viva Trieste italiana, Viva l’Italia…». Il macabro cerimoniale è già inizia-to, rullano i tamburi, il giovane viene strattonato dal boia. L’impic-cagione di Oberdan è solo evocata, ma il sopraggiungere della mor-te è segnalato dal lento aprirsi del cancello dietro il quale era relega-ta la madre. Il governatore trattiene a stento la donna che si lancia sul corpo del figlio, riverso ai piedi della forca. La donna, folle di dolore, abbraccia il corpo esanime, in una citazione della pietà evangelica, mentre alle loro spalle il governatore si strugge osser-vandoli e, furente, tenta invano di spezzare la propria spada. Quin-di indica, carico di indignazione, la mesta scena. Dopodiché, in ra-pida sequenza, riappaiono la forca, il corpo senza vita di Oberdan omaggiato da una pioggia di rose, di nuovo la forca, ora in fiamme. Infine, da una siepe spunta il Tricolore, sventolato per mano di un ignoto sbandieratore. Su questa immagine patriottica si conclude il film, un impegno di vendetta e di liberazione dei fratelli giuliani dal giogo straniero.

4. Garibaldi, D’Annunzio e Maciste a Quarto: l’alba del maggio radioso

L’impegno del cinematografo italiano nel conflitto troverà altri ca-nali di sostegno e propaganda nel cinema di finzione, già sperimen-tati sin dai tempi della guerra italo-turca. Nel 1916 anche Maciste, l’eroe forzuto di Cabiria,14 celeberrimo film del muto italiano, di-viene alpino nell’omonima pellicola,15 protagonista di una comme-dia ambientata in Trentino. Maciste è il testimone d’eccezione, il gigante al servizio delle cause sacrosante, formula un invito, per nulla velato, all’arruolamento. Il tutto sulla scorta dell’interventi-

14 Cabiria, regia di G. Pastrone, Itala Film, Torino 1914.15 Maciste alpino, regia di R.L. Borgnetto e L. Maggi, Itala Film, Torino 1916.

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smo stellare di D’Annunzio.16 E proprio il Vate è protagonista di un legame cultuale fatto di prestiti, citazioni, interventi diretti che legano il kolossal Cabiria, attribuito a D’Annunzio dalla sagace mente del produttore-regista Giovanni Pastrone, in un’ottica di brillante strategia di mercato. In realtà il ruolo nella produzione di Cabiria da parte di D’Annunzio è importante, ma riguarda il suo ambito, ovvero quello letterario. Com’è noto,17 il poeta riscrisse le didascalie già impostate dalla produzione in uno stile aulico, arcaiz-zante e intervenne anche sui nomi dei personaggi. Tra questi, il più celebre diverrà quello di Maciste, che sostituisce il più vago “Erco-le” previsto dall’Itala-Film.18 E il personaggio che riscontra maggio-

16 Scrive Brunetta: «Il cinema diventa per le masse popolari che si affacciano da protagoniste sulla scena della storia il mezzo più rapido ed efficace per acquisire conoscenze storiche e letterarie. E serve anche a innescare le prime forti cariche di spirito nazionalistico e a piantare bene in vista i simboli di una nuova identità na-zionale. In breve tempo si costituisce una filmoteca circolante alla cui creazione concorrono, in egual misura, Dante e Omero, Verdi e De Amicis, Tiziano e Cano-va, Shakespeare e Manzoni, Rossini e Gozzano, Verga, Mascagni e D’Annunzio», G.P. Brunetta, Il cinema muto italiano. Da “La presa di Roma” a “Sole”. 1905-1929, Laterza, Roma/Bari 2008, p. VII.17 Tra i molti interventi sul kolossal di Pastrone rimando, in particolare, agli ultimi studi raccolti in S. Alovisio e A. Barbera (a cura di), Cabiria & Cabiria, Museo Nazionale del Cinema/Il Castoro, Torino/Milano 2006.18 Alberto Farassino sostiene che il nome Maciste sia una crasi tra macigno e arti-sta [cfr. Maciste e il paradigma divistico, in P. Bertetto e G. Rondolino (a cura di), Cabiria e il suo tempo, Il Castoro/Museo Nazionale del Cinema, Milano/Torino 1998, p. 224]; secondo Umberto Albini, il nome Maciste deriverebbe da «mèkistos il superlativo di macròs che vuol dire “grande”» (cfr. M. Giordano, Giganti buoni, Gremese, Roma 1998, p. 31). Eppure, dopo nostre ricerche, possiamo sostenere che la soluzione al dilemma la offre proprio il Vate, troppo spesso derubricato quale elemento evocativo o vago. Il poeta nell’autografo di Cabiria (Cabiria. Testo definitivo [1913], ms., Archivio del Museo Nazionale del Cinema, GP18-A913), in-fatti scrive:

Novo compagno strapotenteè un liberto, del paese prodedei Marsi, nomato Maciste

(che è un antichissimo sopranno_me del semidio Ercole).

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re simpatia nel pubblico è proprio il forzuto Maciste, che in questa veste diverrà un vero e proprio divo cinematografico.A proposito di divismo:

Al di fuori del cinema, ma con una perfetta consapevolezza del potere dei mass media di moltiplicare e imporre un’im-magine, Gabriele D’Annunzio, fino alla vigilia della guerra, durante e dopo, inventa, con una fantasia inesauribile, una serie di ruoli divistici destinati a diffondersi anche nel cine-ma come modelli di un’ideologia generale della vita, teorica-mente “inimitabile”, in realtà, moltiplicabile e riproducibile, sia pure su scala ridotta, in modo assai facile.19

In questo protagonismo del poeta si innesca un cortocircuito tra la celebrità del divo Maciste e la fama del divo Gabriele. Il secondo incontro tra i due, ancorché virtuale, avviene nel 1915 in un mo-mento storico cruciale per la nostra nazione, che decreta simbolica-mente l’inizio del “maggio radioso”. L’occasione è data dall’inaugu-razione del Monumento ai Mille di Quarto: spetta a D’Annunzio celebrare il 5 maggio 1860 cinquantacinque anni dopo. Il poeta che torna in Italia dall’esilio, causato dai troppi debiti accumulati, si so-vrappone alla figura del Garibaldi che torna dal Sud America per mettersi al servizio della causa nazionale. Simbolismi, calligrafismi, sovrimpressioni si susseguono senza soluzione di continuità, e l’i-naugurazione del monumento a Quarto è un’occasione che va colta senza troppi scrupoli o distinzioni sulla causa dell’esilio. Come sot-tolinea Isnenghi, nella teatralizzazione della politica portata avanti

In effetti, nel Dizionario portatile delle favole «compilato da Chompré e […] da A. L. Millin […] riveduto […] da Celestino Massucco», stampato dai Remondini di Bassano, oggi del Grappa, nel 1804 (p. 157) troviamo che alla voce MACISTO si diri-mono i dubbi. La definizione, infatti, recita: «soprannome di Ercole, adorato nella città di tal nome», e la città di Macisto sorgeva nella Trifilia, nel Peloponneso occi-dentale. Di sicuro la successiva accezione di Macisto per Eracle, ci riporta a stretto contatto con l’attribuzione di D’Annunzio al personaggio che Pastrone aveva chiamato in prima istanza per l’appunto Ercole, forse per rendere immediate le qualità da attribuire al personaggio.19 G.P. Brunetta, Il cinema muto italiano, cit., pp. 82-83.

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da D’Annunzio e Cesare Battisti in quei giorni, si può ritrovare il precedente di Garibaldi «per tanti anni lui pure personaggio in sce-na da ogni balcone d’Italia».20

Il progetto del monumento, opera dello scultore Eugenio Baroni, è ispirato all’Inno di Garibaldi di Luigi Mercantini:

Si scopron le tombe, si levano i morti;I martiri nostri son tutti risorti:

Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,La fiamma ed il nome — d’Italia sul cor.21

Gli eroi garibaldini infatti sono rappresentati in un gruppo compat-to di uomini nudi, capeggiati dal Generale colto nell’atto solenne di scrutare l’orizzonte, verso il mare, mentre su di loro emerge la per-sonificazione della Gloria che li incorona.22 Un dipinto di Plinio Nomellini coglie l’estemporaneità del momento in cui il grande drappo rosso rivela il monumento tra due ali di folla festanti, e ne riporta la dimensione vivida, lontana dalla desolazione e dalla soli-tudine che i monumenti paiono talvolta trasmettere. Sembra d’in-travedere anche l’euforia interventista, la medesima che D’Annun-zio capta e traduce nella sua orazione. Il discorso inaugurale del poeta è intitolato Orazione per la Sagra dei Mille, nel quale il vate descrive ogni particolare del monumento e lo interpreta, lo accosta idealmente alle statue michelangiolesche. Non si riferisce mai al

20 M. Isnenghi, La messa in scena dell’intervento nelle giornate del “maggio radioso”, in Gabriele D’Annunzio grandezza e delirio nell’industria dello spettacolo, Atti del Convegno Internazionale, Costa & Nolan, Torino 1989, p. 247.21 L. Mercantini, Inno di Garibaldi, in G. Berchet, Poesie. Unica edizione completa, con altre poesie originali italiane, Italia 1861, p. 142.22 In occasione del Centocinquantenario dall’Unità sono stati pubblicati alcuni volumi relativi al restauro del Monumento ai Mille e allo scoglio di Quarto. Cfr. ad esempio Il memoriale in cui è incisa la nostra storia. Quarto 5 maggio 1860, Gangemi, Roma 2011 e in particolare rimandiamo al volume M.F. Giubilei e C. Olcese Spingardi (a cura di), Garibaldi il mito. Da Rodin a D’Annunzio: un Monumento ai Mille per Quarto, Giunti, Firenze 2007.

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Generale con il suo nome, bensì lo chiama “duce nel bronzo”,23 epi-teto che preannuncia con forza tempi di là da venire. Nella rievoca-zione storica dannunziana sorge «l’analogia fra gli interventisti e i volontari garibaldini, l’odierna e l’antica partenza per la guerra»24 e, infine, traccia l’imminente entrata dell’Italia nel conflitto mondiale, trasfigurando nell’anelata IV guerra d’indipendenza il sogno di Uni-tà tracciato dai Mille. L’aspetto che più interessa il nostro tragitto, e che chiude il cortocircuito dannunziano-cinematografico, è pro-prio la fisicità di un Garibaldi, rappresentato come un colosso mi-chelangiolesco, con un occhio di riguardo all’esperienza di Rodin, dando forma a un’iconologia garibaldina più unica che rara. Appe-na D’Annunzio giunge a decantare il corpo imponente del Garibal-di bronzeo ne descrive le braccia «d’artiere terribili».25

Fu Bartolomeo Pagano, il futuro interprete di Maciste, a posare nel 1910 per il corpo del condottiero, così come testimonia l’intellet-tuale spezino Ettore Cozzani, collaboratore di Baroni e ispiratore del monumento stesso, nonché intermediario tra lo scultore e il vate.26 Pagano, originario di Sant’Ilario ligure, dunque poco lonta-no da Quarto, si può ritrovare in un’ulteriore interpretazione bronzea. La stessa postura del Generale rievoca quella del liberto di Cabiria, che attraversa il kolossal mostrando i muscoli e tenendo la schiena dritta come Garibaldi. Al di là della curiosità e della coinci-denza, l’incontro preannuncia la doppia via divistica aperta da un lato da D’Annunzio e dall’altro, grazie alla macchina mitopoietica ch’è il cinema, dalla fisicità statuaria di Maciste/Pagano. Un cer-chio che si ricongiungerà e si fonderà nella gestualità stereotipata

23 G. D’Annunzio, Per la più grande Italia. Orazioni e messaggi di Gabriele D’Annunzio, Treves, Milano 1920, p. 22.24 M. Isnenghi, La messa in scena dell’intervento nelle giornate del “maggio radioso”, cit., p. 251.25 G. D’Annunzio, Per la più grande Italia. Orazioni e messaggi di Gabriele D’Annunzio, cit., p. 16.26 Cfr. E. Cozzani, Come giungemmo alla Sagra dei Mille, L’Eroica, Milano 1963, p. 44.

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del superuomo, nell’oratoria incisiva ed evocativa, nel mito della forza e della potenza, qualità che hanno reso immortali l’eloquio e la fisicità di un nuovo duce, anche se non “nel bronzo”. In questo percorso futuro, così grave e decisivo per la storia patria, c’è di più di una banale coincidenza.

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Immagini dell’inaugurazione del Monumento ai Mille di Quarto tratte dal periodico francese “J’ai Vu” del 15 maggio 1915

Bartolomeo Paganointerprete di Macistein Cabiria, Itala-Film 1914

Eugenio Baroni,Monumento ai Mille,1915, Quarto di Genova