locutio in hominis fabrica. il contributo di girolamo fabrici d'acquapendente

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Traguardi e prospettive nelle scienze del linguaggio Riflessioni con Federico Albano Leoni a cura di Francesca M. Dovetto, Valeria Micillo e Elda Morlicchio

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Traguardi e prospettivenelle scienze del linguaggio

Riflessioni con Federico Albano Leoni

a cura di

Francesca M. Dovetto, Valeria Micilloe Elda Morlicchio

Copyright © MMXIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, /A–B Roma()

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

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Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: luglio

Traguardi e prospettive nelle scienze del linguaggioISBN 978-88-548-4906-8DOI 10.4399/97888548490688pag. 165–196 (luglio 2012)

Locutio in hominis fabrica

Il contributo di Girolamo Fabrici di Acquapendente

S G

. . . ad solam duntaxat observationem vosremitto

. Anatomista e chirurgo di fama internazionale, allievo edal successore di Falloppio nel Gymnasium Patavinum,esponente di primo piano di quella filosofia naturale distampo aristotelico che trovava a Padova la sua sede privi-legiata, Girolamo Fabrici di Acquapendente (–) siimpegna nei primi anni del Seicento nella redazione di tretrattatelli (De larynge , De locutione , De brutorumloquela ) che rappresentano un contributo sistematico

. Dedico con piacere questo lavoro all’amico e collega Federico AlbanoLeoni, che ci ha insegnato a capire l’importanza della storia della fonetica,in una chiave che ci riporta agli interrogativi teorici centrali della ricercalinguistica e semiologica.

. Per informazioni biografiche su Fabrici sono ancora utili le sintesisettecentesche, in particolare M (: –) e T(: –). Uno stringato ma puntuale portrait recente è Smith et al.(). Per un profilo d’insieme della personalità scientifica fabriciana siveda Cunningham (). Le più importanti edizioni dell’opera anatomicasono quella (parziale) di Padova (), quella di Lipsia () e infine quelladi Leida, Lugduni Batavorum (). A quest’ultima raccolta ricorriamo per ilDe larynge (), mentre utilizziamo la raccolta del per il De locutione() e la stampa originale () per il De brutorum loquela.

Stefano Gensini

e per molti versi originale allo studio delle basi biologichee del funzionamento del linguaggio. Eppure il suo nomee la sua opera, ovviamente centrali in ogni storia dellamedicina e della scienza della prima modernità (Fabrici ènoto soprattutto per le sue ricerche embriologiche e pergli innovativi studi sulle valvole venose) si cercherebberoinvano nei repertori di storia delle idee e delle ricerchelinguistiche. Sembra dunque di un certo interesse presen-tare sommariamente i contenuti di questa parte del lavoroscientifico fabriciano, importanti sia in chiave storica (perquanto essi innovarono un terreno di studio tradizionaleappannaggio di grammatici e filologi), sia in chiave teori-ca (per l’impostazione in certo senso ‘filosofica’ data aglistudi anatomici e di conseguenza per l’approccio naturali-sticamente unitario con cui guardò alla parola umana e aimezzi di comunicazione degli altri animali).

Un’osservazione preliminare: Fabrici si colloca risoluta-mente all’interno di quel rapporto organico fra medicinae filosofia che, oltre ad essere il lascito della grande tradi-zione aristotelica, era il programma di lavoro delle grandiuniversità italiane — Padova, Bologna, Pavia — più im-pegnate in senso naturalista. Questa scelta di campo perun verso lo induce a segnalare il suo distacco, quando di-scute il problema linguistico, dagli approcci grammaticali

. Meritevoli eccezioni sono M ([a cura di] : XXVIII–XXXIV), S () e ora l’articolo sistematico di T ().Il volume curato dalla Maraschio contiene anche una ristampa anastatica delDe locutione.

. Per un quadro dell’aristotelismo (e dei suoi rapporti con la medici-na) nelle università italiane del Rinascimento cfr. Schmitt () e l’ottavocapitolo, Natural Philosophy, di Grendler (). Sulla tradizione medicacfr. inoltre Siriasi (), mentre, con particolare riferimento alla ricerca diambito zoologico, si veda Perfetti (). Klestinec () è un’interessantericostruzione della vita accademica e di insegnante di Fabrici.

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largamente diffusi, rivendicando a sé stesso un percor-so squisitamente anatomico; per altro verso, fa sì che laricerca anatomica, fondata in prima istanza sulla pratica dis-settoria, non si fermi al livello della descrizione degli organi(che era l’oggetto della naturalis historia in senso proprio),ma si inveri nella comprensione delle funzioni inerenti aciascun organo o complesso di organi, ovvero del princi-pio formale che li governa e consente loro di raggiungereil proprio télos. Una lettura anche trasversale del maggiorprecedente di Fabrici, le Observationes anatomicae () delmaestro Falloppio, fa risaltare subito la differenza: laddovequesti procede cumulativamente, descrivendo i passaggi«dum secat», e via via correggendo gli errori di descri-zione di Galeno, in Fabrici il nesso struttura–funzione èpermanente; alla discussione in chiave strettamente tecni-ca degli assunti di Aristotele e Galeno si salda quella dellefinalità del linguaggio (negli umani e negli animali nonumani) in quanto proprietà definitorie di specifici esseriviventi. Il modello di rapporto gerarchico fra psicologiae zoologia tipico del De anima (che si basa sull’unità inse-parabile di materia e forma, e fa della seconda il principioorganizzatore della prima) è dunque assunto da Fabricicome chiave di lettura generale. La complessa socialità dellinguaggio (diversamente modulata nei vari tipi di anima-le, uomo incluso), connessa a gradi più o meno sofisticatidi attività conoscitiva, diviene in questo quadro una parteintegrante del discorso anatomico, indirizzando quest’ulti-mo verso una vera e propria filosofia naturale. Esattamentequesto nesso sarà spezzato, poco più di trent’anni dopo,dal dualismo cartesiano, che oltre a ridurre il linguaggioa mero strumento di un Pensiero formatosi del tutto in-dipendentemente, e svincolato dalle leggi del corpo, nemarginalizzerà l’importanza in termini, appunto, filosofici.

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Anche da questo punto di vista, una rilettura d’insieme delprogetto fabriciano si rivela stimolante, per quanto di essoandò perduto, o forse solo smarrito, sotto il peso di unaalternativa teorica vincente.

. Il primo passaggio del percorso si situa nell’analisianatomico–funzionale della laringe, che già Aristotele ave-va indicato come organo preposto alla produzione dellavoce. Nelle tre parti del De laringe vocis instrumento. Laryn-gi dissecti historia, Fabrici rivede analiticamente il quadroanatomico offerto in proposito da Galeno nel De usu par-tium, studiando in particolare i dispositivi che trasformanoil processo della inspirazione ed espulsione dell’aria (pro-cesso essenziale alla vita e che avviene senza interventodella volontà) in una attività fisica volontaria e strettamen-te connessa alla elaborazione di materiale psichico (gliaffectus). In questo quadro assume un ruolo essenzialela glottide, che già Galeno aveva ritenuta specificamentecoinvolta nella produzione della voce, ma a tale conclu-sione era giunto — per così dire — per via negativa, nonriuscendo a trovare nulla di simile (la descrive, con parti-colare riferimento al maiale, come «membranosa simulet adiposa et glandulosa») nel resto del corpo; Fabrici, la-vorando direttamente sul corpo umano, intuisce che larimula definita dalle due membrane costituenti la glottide(dette in seguito ‘corde vocali’) deve essere la chiave dellatrasformazione del soffio d’aria pompato dai polmoni e

. I luoghi aristotelici più frequentemente menzionati da Fabrici sonoDe anima, B , b–a; Historia animalium, IV, per intero; De partibusanimalium B , b –b , e ovviamente il celeberrimo Politica, A ,b –a, sino a fine. Fabrici conosceva bene il greco, ma almeno perle citazioni dai libri sugli animali fa riferimento alla famosa versione latinadi Teodoro Gaza (sul quale è da vedere B & G ).

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veicolato dalla trachea (arteria aspera) in un suono caratte-rizzato da sonorità e suscettibile di modulazione ora graveora acuta. A valle del movimento coordinato dei polmonie dei muscoli del torace e dell’addome, che consentonol’efflatio seu exsufflatio dell’aria (non ancora voce, dunque,ma ‘materia’ di questa), la lingula della glottide si chiudeora più ora meno, determinando una compressione dell’a-ria e quasi una sua solidificazione, fino a lasciarla passare«cum impetu & violentia» (/: ), processo chedà origine alla voce propriamente detta. A una maggiorechiusura corrisponde una maggiore acutezza della voce eviceversa. Nel corso della respirazione, invece, la lingularesta a riposo e non si determina quella tensione che è labase della produzione vocale. Ecco come Fabrici riassumele sue conclusioni:

vox fit, ubi rimula laryngis angustatur, quo tempore etiamthorax et abdomen constringuntur, et exsufflationem efficiunt,quae est proxima vocis materia, siquidem ex thoracis et ab-dominis compressione contingit, pulmones deprimi et con-stringi, et diaphragma versus thoracis cavitatem incurvari,quo maxime arctetur cavitas. Ex quibus fit, ut spiritus totusex pulmonibus exeat, et sursum ad asperam arteriam, qua percollum perreptat, et unica est, feratur, aque inibi tum infernatum superna violentia in arctum concludatur, ac statum solidicorporis ex compressione quodam adipiscatur, tum per angu-stam rimam cum impetu et violentia extrusus, ita demum voxefformetur (/: ).

Il tassello mancante al quadro fabriciano è ovviamentequello della vibrazione delle pliche vocaliche, i cui ciclidi frequenza, sollecitati dalla spinta dell’aria, determinano

. Avverto che citerò i testi fabriciani sciogliendo le abbreviazioni eammodernando, dove utile, la punteggiatura.

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la modulazione della voce; ma ci vorranno esattamentecentoquarant’anni perché la scienza medico–anatomicaarrivi al punto decisivo, grazie al lavoro di Antoine Ferrein(–), nella memoria De la formation de la voix del’homme ().

Compiuto — nei suoi precisi limiti storici — il disegnoanatomico, Fabrici prende in considerazione le utilitatesdella laringe, consistenti non solo nella produzione di voce,ma anche nella collaborazione prestata per lo spurgo delleimpurità del cervello e nella modulazione della quantitàdi aria necessaria nelle varie fasi e contingenze della re-spirazione (capitoli e della seconda parte del trattato).La peculiare utilitas rappresentata dalla voce è esposta inriferimento al famoso paragrafo del I libro della Politica incui Aristotele spiega che la phoné negli animali è destinata,e necessaria, alla espressione del piacere e del dolore. (Illogos, come si ricorderà, entra invece nella sfera dell’espres-sione del giudizio morale, di quel che è giusto o ingiusto).Fabrici elabora il dettato aristotelico in chiave semiotica,presentando la voce come il veicolo percepibile ai sensi permezzo del quale «affectus sensibiles fiunt» (/: ),e insieme, anticipando temi del De brutorum, suggerisceche le articolazioni specie–specifiche della voce siano ilcorrispettivo di forme di attività psichica diverse da speciea specie, giacché esse «pro variis animi affectibus in variasspecies formantur» (/: ), e in tal senso non di-pendono da un mero automatismo animale o dall’istinto,ma avvengono «denique ad arbitrium» (ibidem). Nel capi-tolo XI della terza parte, Fabrici riprende il tema, spiegan-

. La si può leggere in Histoire de l’Académie Royale des Sciences, annéeMDCCXLI, avec les Mémoires de Mathématique et de Physique pour la mêmeannée, à Paris, de l’Imprimerie Royale MDCCXIV, pp. –.

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do che la diversificazione della voce, che fa sì che ciascunaspecie abbia il suo mezzo di espressione, inconfondibilecon quello delle altre, è funzionale sia alla conservazionedella specie stessa, sia a una più facile manifestazione di«conceptus atque affectus». La possibile modulazione dellavoce in termini di grande o piccola, sonora o roca, graveo acuta, suggerita da Aristotele nel libro Beta del De anima,fa parte di questo schema di provvidenza naturale. NelDe brutorum lo scienziato tornerà a discutere la questione,in parte ampliando, in parte modificando i suoi argomen-ti, per sostenere che la varietà delle manifestazioni vocalidegli animali non umani in numerosi casi eccede la di-mensione della voce, investendo il territorio della loquelaovvero della voce articolata, e, corrispondentemente, ec-cede la dimensione psicologica elementare proposta nelgià menzionato luogo della Politica. Lo vedremo in segui-to. Per ora, notiamo che, coerentemente ai suoi assunti,il possesso della voce è dichiarato utile anche all’uomogià in quanto animale, rimanendo cioè nei confini anatomi-co–funzionali sottesi al dispositivo laringeo: con la voce egrazie alla voce

homines maxime tum perficiuntur, tum conservantur. Hacenim societates et amicitias constituimus, hac auxilia mutua pe-timus, hac denique disciplinas omnes capessimus (/:).

Da tale punto di vista Fabrici può concludere che la vocetanto giova alla conservazione, al decoro e alla perfezionedegli uomini e degli altri animali che Dio non avrebbepotuto dar loro niente di più e niente di meglio.

. Il De locutione et eius instrumentis liber, trattatello in

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capitoli per fogli di stampa, esce un anno dopo il Delarynge e fin dall’attacco (cap. I) si presenta come una orga-nica continuazione del suo tema. Così come, nell’ambitodella respirazione, l’emissione di aria funge da materiadella voce, e ha diverse utilitates, fra cui quella della mani-festazione degli affectus, così la voce funge da materia dellalocutio, la parola umana, che, di tutte le azioni dipendentidalla estromissione dell’aria, è insieme l’ultima e la finalità(«postrema est, & finis»). L’architettura logica di questoassunto è ricercata negli argomenti di Aristotele, che nelcapitolo secondo del quarto libro del De partibus animaliumpresenta come capacità singolarissima della natura quelladi rendere utili al vivente anche i materiali residui espulsidal corpo; nel capitolo sesto del De locis affectis di Galeno,dove le cinque operazioni della espirazione, della emissio-ne d’aria senza rumore, della emissione accompagnata darumore, della produzione di voce e di loquela sono dispostein sequenza di reciproca implicazione da sinistra a destra,talché l’eventuale danneggiamento (poniamo) della voceimpedisce la parola, ma non le tre operazioni precedenti,e così via; infine (e la citazione ha un suo significato, se sipensa alla implicita selezione in chiave naturalista di unaparte specifica del lascito platonico) nel capitolo XXXIIIdel Timeo, dove apprendiamo che «[v]erborum effluxioministra prudentiae [phronesis nell’originale greco], efflu-xionum omnium optima est, & pulcherrima». Una sintesidi fonti, dunque, molto significativa, tale da incardinare lafacoltà tradizionalmente privilegiata della parola (in Fabri-ci torna sovente l’adagio ciceroniano dell’«oratio mentisinterpres») in una solida infrastruttura filosofico–naturale,

. Se ho ben visto, la versione latina del Timeo che Fabrici adoperavaera quella, peraltro notissima, di Marsilio Ficino.

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senza peraltro abdicare a toni in qualche modo umanistici,testificati dall’allegazione platonica.

Base della trattazione (cap. II) è la celeberrima defini-zione della dialektos, latinamente locutio, come «vocis perlinguam dearticulatio (diarthrosis)»: definizione risalenteal libro quarto, capitolo nono del De historia animalium,forse la pagina più completa della ricchissima zoosemio-tica aristotelica. Fabrici muove di qui per distanziare ladimensione anatomico–funzionale della parola da quelladella voce (dipendente come sappiamo dalla laringe) e perfissare il principio che l’azione della lingua nel processodi articolazione implica una modificazione (affectio) dellavoce, consistente in una sua «interceptio seu divisio, seudistinctio, seu intercisio» (/: ), insomma nelladiscretizzazione di qualcosa che, a livello di laringe, escecome «fusa» e «continuata» e che, grazie alla lingua, vienemodificata, al modo stesso in cui i forellini presenti sullacanna del flauto, quando vengono tappati dalle dita del suo-natore, modulano e articolano il suono musicale. Né que-sto processo di articolazione va in una sola direzione: essoimplica insieme una suddivisione e una ricomposizioneo combinazione, proprio al modo in cui le ossa (secondoquanto insegna Galeno nel De ossibus) si articolano, nelsenso che danno luogo a una «compositio»; di qui, osservaFabrici, il senso metaforico in cui si parla comunementee in lingue diverse di articolazione linguistica (dearticulatiolocutionis). Notevole è che l’autore fin da subito, lavorandosull’analogia col flauto, proponga di estendere anche a

. Il termine occorre nel testo in alternanza sinonimica con sermo, oratioe ovviamente loquela.

. La formazione di questa metafora nella tradizione medica e poifilosofico–linguistica greca è studiata in Laspia (). Di particolare interesseil capitolo su Voce e voce articolata nella trattatistica ippocratica.

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«moltissimi animali» non umani il possesso di una loquela:ciò in contrasto con quanto Aristotele dice (nella Politica)circa la proprietà esclusiva del loqui da parte dell’uomo,ma in accordo con altri suoi passi, qui già ricordati, del Deanima e dell’Historia animalium. Mentre dunque si prepa-ra l’argomentazione del De brutorum, Fabrici lega il temadell’articolazione al funzionamento di quel che oggi chia-meremmo tratto sopralaringeo: la faringe e il tratto oralesaranno infatti i protagonisti dei capitoli VII e seguenti. Icapitoli III–VI si occupano invece di fare chiarezza sullecaratteristiche strutturali delle articolazioni linguistiche.

Un primo punto concerne la definizione delle artico-lazioni linguistiche come litterae. Si trattava di un temaspinoso, non solo terminologicamente. Osserva giusta-mente Fabrici che la parola littera (gr. gramma) è equivoca,in quanto l’etimo rimanda evidentemente alla lettura dicaratteri scritti («a legendo ductam esse volunt», e il riferi-mento è alle Institutiones di Prisciano, I, , ), ma il termineviene spesso utilizzato sia come sinonimo di entità fone-tiche, effettivamente pronunciate, sia dei corrispondentigrafematici. Una difficoltà seria sorgeva qui dall’uso cheAristotele, nel De partibus animalium (libro Beta, ai capp.–) e altrove, aveva fatto di grammata per indicare quelche il logos esprime «mediante la voce» e dal fatto che lascrivibilità di questi ultimi è posta come discrimine fra illinguaggio umano e quello degli animali non umani. Glianimali sono infatti agrammata (Hist. anim. I, ), e produ-cono agrammatoi psophoi (De int. a, –). Come è statoacutamente osservato, l’oscillare della nozione di grammafra realizzazione fonica e realizzazione scritta del logos hanello Stagirita un senso teorico, giacché la scrivibilità dellevoci prodotte dall’uomo è assunta come controprova della

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loro articolatezza specie–specifica. La scrivibilità non èpertanto un semplice mezzo di resa grafica del linguag-gio, ma una sua giustificazione interna. In Fabrici questaambiguità viene risolutamente, e non casualmente, sciolta.Persuaso della estendibilità del concetto di loquela a unaparte almeno del mondo animale non–umano, l’istanzadella scrivibilità perdeva interesse e prevaleva ovviamen-te l’interesse per la dimensione parlata, concretamentefonetica, della parola: «Nos autem hoc loco alijs litteraesignificationibus reiectis, in eo significatu litteras sumimus;ut eas intelligamus, quae proferuntur» (/: ). NelDe brutorum la non scrivibilità degli articuli bestiali sarà,simmetricamente, ridotta a fatto tecnico, sarà vista cioècome un problema delicato, ma non insolubile in via diprincipio; mentre nel prosieguo del De locutione Fabriciprende la via di un’analisi delle litterae in chiave squisi-tamente articolatoria, attenta cioè alle cause efficienti diciascuna littera all’interno del tratto sopralaringeo.

La classificazione muove, ancora una volta, da noti luo-ghi aristotelici, galianei e priscianei, distinguendo anzi-tutto i suoni vocalici (Aristotele: phoneenta), che «per sesonant», dalle consonanti (symphona) che sono «sine sono»e «sonant autem quatenus Vocali adiunguntur» (/:). Le consonanti giungono all’articolazione (nel caso dellalingua italiana) grazie al sussidio di una e, e in base al fattoche essa le preceda nell’articolazione (come in F, L, M, N,R, S) o le segua (come in B, C, D, G) si perviene alla ulte-riore distinzione delle consonanti in ‘mute’ e ‘semivocali’.A questo punto, però, Fabrici prova a reinterpretare tuttala tematica dal suo punto di vista naturale, una prospetti-

. Mi riferisco alla interpretazione di Franco L P (: –),tenuta ampiamente presente in questo lavoro.

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va che è necessario assumere, spiega, affinché la ricercanon resti meramente grammaticale, ma si faccia filosofica(/: ). Delle sette questioni qui sollevate ci limitia-mo a riferire la prima, che ha a che fare con la distinzionestessa tra consonanti e vocali. La mancanza di sonorità deisuoni consonantici potrebbe suscitare il sospetto che esseabbiano uno statuto di litterae incerto o ambiguo: mal’obiezione si scioglie, ancora una volta, tenendo assiemei due capi del ragionamento, quello anatomico, relativostavolta al punto di articolazione, e quello funzionale, checi assicura della assoluta necessità delle consonanti all’e-secuzione del compito preposto alla loquela, quello cioè(secondo la consueta suggestione della Politica) di «animiaffectus conceptusque manifestare». Orbene, se la loquelafosse fatta solo di vocali, ovvero di elementi fonici autosuf-ficienti, cinque nel caso dei Latini, cioè degli Italiani, comesi potrebbe sovvenire all’esigenza di significare in modoadeguato l’enorme varietà delle affezioni dell’animo? Èdunque filosoficamente necessario che i suoni vocalici, arti-colati nella faringe (ci torneremo) ma sostanziati di voce,siano modificati, mediante un momentaneo ritagliamento(intercisio), dalle consonanti, sorta di forme che giungonoa esistenza nel momento preciso in cui si aggregano lamateria vocalica, modulandola mediante accostamento(appulsus) della lingua alle diverse parti del tratto orale(labbra, denti, palato). [XXXX] In quell’istante e solo inquell’istante la piena sonorità della vocale viene sospesadall’intervento articolatorio della lingua. In conclusione,

. Dal fatto che le consonanti hanno il compito di interrompere la vocedelle vocali, Fabrici deduce che «da questo punto di vista (hoc nomine) leconsonanti sono del tutto estranee al consorzio della parola e delle lette-re» (/: ). Il loro status di litterae si realizza nel momento in cui,coordinandosi alla materia vocalica, divengono pronunciabili.

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Fabrici vede in questo fenomeno una riprova della intrinse-ca razionalità del processo naturale: la locutio non resta maipriva di voce, perché se ciò accadesse non ottempererebbepiù alle sue funzioni comunicative; le vocali dismettono lavoce solo in modo momentaneo allorché questa si trasfe-risce alle consonanti permettendo loro di operare; d’altraparte le consonanti non restano mai, propriamente par-lando, a vuoto di materia, perché è solo col riempimentogarantito dalle vocali che esse effettivamente funzionano,col potenziamento di risorse espressive che ne consegue.

. Gli ultimi capitoli del De locutione sono un compattotrattatello di fonetica articolatoria, condotto con un occhioalla diretta esperienza dissettoria e con un altro al quadrofonogenetico (e alla terminologia) degli antichi. Alla basedelle considerazioni via via svolte Fabrici colloca il riferi-mento sia alla già ricordata definizione della locutio come«vocis per linguam dearticulatio», sia a una celebre paginadel De carnibus, caposaldo del Corpus Hyppocraticum, in cuiè spiegato che nel processo di inspirazione–espirazioneconnesso alla produzione del linguaggio,

[Spiritus] vero foras procurrens per inane, strepitum facit. Ca-put enim resonat, lingua vero articulat occurrens in faucibus;appellensque [gr. prosballousa] et occurrens ad palatum et addentes, facit clarescere. Si enim lingua simper occurrens nonarticularet, non possemus utiq(ue) clare seu perspicue loqui,sed singula essent a natura monophona, hoc est unius voci(cit. in /: ).

Questo passo, che rappresenta «in qualche modo l’atto

. Fabrici utilizza la traduzione latina del francese Anutius Foesius(–), curatore degli Hyppocratis Opera omnia (cfr. Ippocrate di Cos).

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di nascita della linguistica in Occidente» (Laspia : ),è secondo Fabrici alla base della definizione di Aristotele edi quella di Galeno nel quarto libro, capitolo del De locisaffectis. Si tratta dunque di discutere la funzione articolato-ria svolta dalla lingua mediante il suo movimento e il suoripetuto accostamento alle varie parti del tratto orale. Unsecondo elemento in gioco, anch’esso com’è noto evocatoda Aristotele, sono le labbra, organi elastici e umidi eviden-temente coinvolti nell’articolazione di alcune consonanti.Ma prima ancora si tratta di chiarire la distribuzione diruoli fra laringe e faringe, termini (osserva Fabrici) spessoconfusi da Aristotele, ma anche da Galeno: dove i terminigreci larinx e farinx sembrano sinonimicamente riferirsialla laringe, il latino e l’esperienza dei moderni distinguo-no fra guttur (per indicare il punto terminale della trachea)e fauces (per indicare il tratto immediatamente superiore,posto fra la laringe e la base della lingua). Non per casol’eminente traduttore (interpres) dell’opera animalistica diAristotele, Teodoro Gaza, rende con guttur tutti e due itermini usati dallo Stagirita. La questione posta è tutt’al-tro che solo terminologica. Infatti, se per le consonantiil punto di articolazione è evidentemente il tratto orale,per le vocali la questione è più complicata. Essendo cosìdirettamente connesse alla fase di produzione della voce,sembrerebbe che esse debbano dipendere dalla laringe (ein questo senso va il ben noto passo di Historia anima-lium); ma se si ammette, come occorre ammettere, cheesse sono litterae, ovvero linguaggio articolato, bisogna in-vocare il ruolo del segmento immediatamente successivo,ovvero della faringe. Sicché Fabrici sente di doversi sepa-rare dall’autorità del Filosofo («Sed aliter rem se haberepostea comperi»). La faringe è un candidato qualificatoalla articolazione delle vocali perché, essendo queste la

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condizione di possibilità delle consonanti, la loro ‘materia’,devono necessariamente articolarsi in un punto retrostan-te all’implesso lingua–palato–denti; d’altra parte, che levocali rechino nella loro struttura fonetica un primo li-vello di articolazione (ad esempio, il fatto che in italianosiano cinque, a, e, i o, u) richiede che vi sia un sia purelimitato apporto della lingua, essenziale come si sa a talfine. L’ipotesi fabriciana, appoggiata al passo del De carni-bus, è che la radice della lingua sia il segmento preposto aquesto processo, mentre l’apice della stessa è quello che,mediante appulsus, contribuisce all’articolazione delle con-sonanti. Ovviamente, la motilità della lingua nel suo trattoiniziale è molto ridotta rispetto alla punta, ma tuttavia c’èed è ben visibile («exiguus quidem, sed tamen evidens»,/: ). Trattandosi, sia nel caso dei muscoli dellafaringe, sia della lingua, di organi controllabili dalla vo-lontà («organa arbitraria sunt», /: ), siamo nelpieno delle specifiche della locutio; e per di più sembraal professore padovano di riconciliarsi in tal modo conAristotele, che — come si è ricordato — affidava principal-mente alla lingua l’onere della diarthrosis. Tuttavia, da quelfine fonetista che era, Fabrici non poteva non accorgersiche all’articolazione delle vocali contribuisce anche l’asset-to della parte terminale del canale fonatorio: ad esempio,osserva, il suo arrotondamento favorisce l’articolazionedella o, così come l’adattamento a ‘figure’ ovali e allungate,ovvero ovali e trasversali, favorisce quella della a e della e;ma confina il tema in margine al capitolo undecimo e lolascia subito cadere, non osando prendere posizione su unargomento a suo dire difficilissimo e non comprovato dal-l’esperienza. È facile dedurre che il riconoscimento di talecircostanza avrebbe scombinato il quadro interpretativo finqui delineato, che spiegava il rapporto vocali–consonanti

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secondo un criterio sequenziale pienamente rispecchiatodall’ordine degli organi fonatori.

Non ci dilunghiamo in questa sede sulla classificazionedei suoni consonantici proposta nel testo. Va comunquerilevata l’attenzione con cui Fabrici distingue le operazionimotorie e di accostamento promosse dalla lingua in di-rezione del palato, dei denti e delle labbra da quelle chepresiedono alla masticazione, alla deglutizione e alle primefunzioni digestive. Lo scienziato è colpito dalla contiguitàdelle due funzioni cui l’apparato orale deve assolvere efa ampi commenti sulla particolare sottigliezza, velocità,persino eleganza degli appulsus miranti all’articolazionelinguistica, nella quale egli ovviamente non vede, comeoggi vedremmo, un adattamento evolutivo di un basilareorgano di sopravvivenza, bensì una vera e propria desti-nazione primaria inerente alla ‘qualità’ dell’essere umani.Accanto al punto di articolazione, un ruolo importanteviene riservato all’energia articolatoria, ora maggiore oraminore, che spiegherebbe la differenza fra coppie di conso-nanti come p e b, t e d: in assenza di informazioni precisesul funzionamento delle pliche vocaliche, era questo unmodo per circoscrivere l’evidente istanza della sordità osonorità di certi elementi fonetici.

Da ultimo Fabrici si sofferma sul tema della varietà del-le lingue, discussa — in coerenza con i suoi assunti — dalsolo punto di vista delle differenze fonetiche. Posto, in li-nea generale, che le maggiori differenze fra gli idiomi nondipendano dal numero e dal tipo di suoni utilizzati (che,avendo una base naturale, sembrerebbero di numero piut-

. «Quia vero hae litterae essentiali differentia, quae a varietate partiumdesumitur, non differunt; sed tantum secundum maiorem, minoremqueaeris impulsionem, quae pronunciationem fere non variat, & cognatumsonum, articulumque retinent» (/: ).

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tosto circoscritto), bensì dalla loro combinazione in sillabee parole (/: ), è un fatto che si registrano oscilla-zioni di tipo dialettale all’interno di una medesima linguae variazioni più consistenti fra una lingua e l’altra, dovutealla preferenza per certi suoni anziché altri, alla maggioreo minore forza articolatoria, e così via. Fabrici sfiora quitemi ampiamente discussi nella celebre ‘questione dellalingua’ che, apertasi fra Roma, Firenze, Siena e Venezianel –, aveva trovato nella trattazione dell’Hercolano diBenedetto Varchi () un punto di arrivo nutrito, peral-tro, di potenti succhi aristotelici. Sia nella celebre Epistoladi Giangiorgio Trissino con cui si era aperto il dibattitoortografico (), sia nei rigorosi interventi del Tolomei,dapprima col Polito () e molti anni dopo col Cesano dela lingua toscana (), le tensioni fra realizzazione oralee scritta della lingua, la presenza di notevoli varianti rea-lizzative all’interno della stessa Toscana, e naturalmentela priorità del parlato sullo scritto erano state esplicitate

. Varchi aveva letto e commentato Aristotele a Padova negli anniTrenta del Cinquecento, al tempo della sua affiliazione all’Accademia degliInfiammati; la sua fine conoscenza delle opere biologiche dello Stagirita ein particolare delle sue posizioni linguistiche è attestata da tutta la primaparte dell’Hercolano, che (anche se sia tutta da verificare l’ipotesi di uninflusso diretto, in linea di principio possibile) per forza di cose presentadiverse affinità con l’opera fabriciana. Rimando in proposito a Gensini(). Moltissime notizie sulla cultura linguistica del Varchi si trovanonella Introduzione di Antonio Sorella alla sua recente edizione dell’Hercolano(V []).

. È appena il caso di ricordare che la pubblicazione del Cesano avvenneall’insaputa dell’autore, che l’aveva scritto in buona parte nel , e inseguito rielaborato senza però ritenerlo abbastanza definito per darlo allestampe (ampia informazione e bibliografia in C P ).Nonostante ciò, la critica è unanime nel ritenere questo libro uno dei puntipiù rilevanti del dibattito linguistico cinquecentesco. Sui dibattiti ortograficidel Cinquecento, evidentemente importanti per il nostro tema, si rimandaal fondamentale R ().

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in termini sia teorici sia descrittivi. Sull’ultimo punto inparticolare il Varchi, fondamentale figura di mediazionefra l’aristotelismo padovano, la lezione del Bembo (di cuipromuove la prima edizione fiorentina) e, appunto, il cotémediceo e l’Accademia fiorentina dei Gelli e dei Giam-bullari, aveva detto una parola in certo modo definitiva.Anche di qui, dunque, poteva aver derivato il Fabrici la suasensibilità a quelle singolari commutazioni di suoni legate al-l’affinità dei medesimi e a modalità articolatorie diverse daluogo a luogo (onde i Romandioli dicono «lezere» anziché«leggere», i Bresciani «signur» anziché «signor», e così via).Lo stesso problema aveva attirato anni prima John DavidRhys (Rhoesus) (–?), singolare figura di medicoe letterato gallese, esule in Italia dai primi anni Sessanta,e divenuto tra Pistoia, Firenze e Siena espertissimo di to-scano, che proprio a Padova, presso l’editore di Fabrici,il Pasquati, aveva pubblicato un De italica pronunciatione,& Ortographia Libellus () destinato in particolare aglistranieri desiderosi di apprendere la corretta pronunciadella nostra lingua. Il volumetto, sul quale ha opportuna-mente insistito Nicoletta Maraschio, e ricchissimo di anno-tazioni differenziali toscano–dialetti e toscano–altre lingueeuropee, partiva da questa indicazione programmatica:

Nollem te ignorare lector nonnullas voces huius formae repe-riri quarum prolationem variant nomine pro locorum atq(ue)idiomatum varietatem (: v = Maraschio : ).

A circa trent’anni di distanza, nel De locutione è cercatauna spiegazione fisiologico–naturale di questa evidentevarietas ed essa è trovata, prevedibilmente, nelle rifrazio-ni a livello respiratorio e articolatorio delle differenze dicomplessione fisica dei popoli, connesse queste ultime

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al gioco mutevole degli umori e dei temperamenti nellesvariate regioni climatiche del mondo conosciuto. Conesplicita citazione del De temperamentis di Galeno (un te-sto ben presente anche al medico–filosofo spagnolo JuanHuarte, teorico della varietà degli ingegni e delle dispo-sizioni umane), Fabrici suggerisce che il diverso caloreinterno influisca sulla respirazione, e questa a sua voltasulla propensione a realizzare con più o meno forza i suo-ni, ad esempio inducendo a proferire p e non b, f e non ve così via. Affiora a questo punto una polarizzazione fratemperamenti e lingue settentrionali e meridionali cheavrà enorme circolazione nei dibattiti sei–settecenteschisul ‘genio’ dei popoli e delle lingue, trovando la sua formaclassica negli Entretiens d’Ariste et d’Eugène di DominiqueBouhours (). Argomenta dunque il nostro autore:

[H]omines Septentrionales, quia robusti sunt, robustamquehabent linguam: iccirco robustiores litteras, hoc est, eas adquarum prolationem robustior tum lingua, tum exsufflatiorequiritur, eligunt et proferunt. Unde eorum sermo asperior,et rigidior esse videtur. Hi autem neque Itali sunt, qui placideloquuntur, neque Hispani, qui suaviter; neque Galli qui leni-ter; neque Graeci, quibus dedit ore rutundo Musa loqui; sedtantum, uti dictum est, qui Septentrionalem plagam incolen-tes, linguam ceteris suis actionibus respondenem habent. Ita-que vehementes sunt, rigidique ac severi: itemque ex Galenoanimosi, audaces (/: ).

E torna, ovviamente, il ricordo dell’aneddoto intorno aCarlo V, che (in una delle diverse versioni circolanti) soste-neva di parlare tedesco se voleva minacciare, francese se

. Ricordiamo il suo Examen de ingenios para las ciencias (), un’operadestinata a grande fortuna e a traduzioni nelle maggiori lingue europee,e tanto in odore di materialismo da venire forzosamente espurgata nellaseconda edizione ().

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voleva blandire e sedurre, italiano per compiacere gli ami-ci, spagnolo per interloquire con Nostro Signore. Fabricioffriva dunque i suoi argomenti, in verità meno aggres-sivi di altri, alla querelle linguistico–nazionale del secolo,che avrebbe in seguito proposto, a seconda dei contestidi provenienza, immagini ora più ora meno lusinghieredei singoli idiomi. L’italiano, ad esempio, sarebbe statoridimensionato in quanto lingua sospirosa («les Italienssoupirent...»), da poetastri sonettanti e oziosi, o addiritturacome parlata farsesca, da maschera di carnevale. Mentreal tedesco converranno a lungo ritratti piuttosto brutali:idioma ‘ragliante’ per Bouhours, idioma ‘per la caserma’ancora in pieno Settecento, secondo il grande Voltaire.

. La trattazione fabriciana del problema linguistico siconclude con la pubblicazione nel del De brutorumloquela, un saggio in sei capitoli, per ventisette pagine distampa. Era argomento insieme vecchio e nuovo: vecchiose si riflette sulla grande tradizione animalista dell’antichi-tà e tarda antichità, dove il topos delle capacità conoscitiveed espressive delle bestie, saldamente impostato da Ari-stotele, aveva trovato illustri sostenitori, fra i quali Lucre-zio, Plutarco e Sesto Empirico tenevano il posto d’onore;nuovo se consideriamo che nel corso del Cinquecento lazoologia aveva avuto uno sviluppo più lento e accidentatodi altri filoni della ricerca naturalistica, e che in particolareil problema della comunicazione animale doveva risulta-re piuttosto decentrato in un clima permeato dalla lodeumanistica de hominis dignitate. Ecco perché Fabrici senteil bisogno, in apertura, di giustificare col peso dell’auto-

. Acuti riferimenti alla dimensione europea di questa vera e propriaquerelle des langues si leggono in F ().

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rità aristotelica la sua decisione di occuparsi del tema, ene sottolinea con forza il senso filosofico, nello spirito diuna filosofia che non si contenta di indagare la causa e ilprincipio delle cose (come nel De coelo e nel De generatio-ne), ma vuol conoscere gli sviluppi e la ramificazioni dellavoro della Natura, in tutte le sue forme. L’indice dellatrattazione, che di seguito riportiamo,

Primum: an detur loquela brutorum et quae qualisve sit. Se-cundum: in quo conveniat, in quoque differat loquela hominis,a caeteris animalibus, tum vero aliorum animalium inter se.Tertium: quae nam est utilitas loquelae caeterorum anima-lium. Quartum: quot modis animalia [] animi affectus interse manifestant. Quintum: quomodo sit intelligenda, seu per-cipienda loquela brutorum ab hominibus. Sextum: quod sitinstrumentum locutionis in brutis animalibus, et quae in eoprincipalis pars, quove modo articuli a brutis formentur,

illustra bene la sistematicità dell’approccio di Fabrici, chenon tralascia nessuno dei punti caldi lasciati aperti dal di-battito aristotelico e postaristotelico e insieme proponeun originale programma di ricerca (per dirla in termi-ni attuali) zoosemiotica, includente l’analisi delle formeanimali di conoscenza, la descrizione dei linguaggi di sin-gole specie, la possibilità di intenderne scientificamente ilfunzionamento.

Rimandando ad altra sede un’analisi più dettagliata,schematizziamo le risposte date dall’autore ai singoli inter-rogativi sollevati nel sommario, corrispondenti ciascunoa un capitolo del testo: () Diversamente da quanto scriveAristotele, i bruti non hanno solo phoné, ma loquela, cioèvoce articolata (e di conseguenza vanno chiamate articulile loro manifestazioni espressive); ogni specie ne ha sortita

. Cfr. G ().

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una particolare al fine di sopperire alle esigenze di espres-sione e comunicazione utili alla propria conservazione, ele loquelae sono opportunamente diverse affinché l’ordinenaturale non sia scompigliato dalla confusione delle specie;() Umani e altri animali non si distinguono dunque per ilfatto di avere loquela, ma per la diversa complessità di que-sta: il linguaggio animale (in relazione a capacità fisiche diarticolazione molto meno ricche e flessibili) è in generemolto più semplice e ristretto di quello umano, ma soprat-tutto è solo naturale, mentre le lingue, naturali quanto ailoro elementi costitutivi, le litterae, sono ad placitum neimodi di comporle e coniare entità più sofisticate, sillabe,parole e frasi; () l’utilitas, cioè la funzione biologica dellaloquela nei bruti è, generalmente parlando, quella suggeritadalla tradizione, vale a dire la manifestazione ai conspecifi-ci di certi affectus; ma la tradizione, per quanto autorevole,sorvola sulla varietà e ricchezza di questi affectus, mala-mente riducibili alle categorie del piacevole e del molestoevocate nel libro Alfa della Politica. Pertanto bisogna sia ()indagare le diverse modalità con le quali la comunicazioneavviene («aspectu, motu seu corporis gestu, sono, voce etloquela; qui eo ordine quo sunt enumerati certitudinemet perfectionem minorem maioremque obtinent» :–) e raccogliere materiale osservazionale relativamentea ciò, specie per specie, sia () imparare a scomporre i dueprincipali affectus in una gamma di situazioni psicologi-

. Un tipico argomento, dedotto da Historia animalium, riguarda lascarsa mobilità della lingua e la mancanza di labbra elastiche e morbidecome ulteriore veicolo articolatorio.

. Questa la definizione generale offerta da Fabrici: «Affectus animaedefinietur esse comprehensio seu cognitio phantasmatis sub ratione iucundiet molesti sive boni et mali, ut alterum assequatur, alterum fugiat» (:).

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che più ricca e flessibile, adatta a rappresentare la varietàdi comportamenti cui gli animali ci mettono davanti, seli osserviamo senza pregiudizi. Così, posto che i quattroaffectus principali siano «Voluptas, Cupiditas, Molestia, Me-tus. Voluptas enim est phantasia sive opinio praesentisboni, Cupiditas futuri boni, Molestia praesentis mali, Me-tus futuri mali» (: ), ad esempio il primo di questi,Voluptas, sarà distinguibile in «Amor, Gaudium, Laetitia,Delectatio, Malevolentia et Iactatio» e il terzo, Molestia,darà luogo a ben tredici sottotipi: «Invidentia, Aemulatio,Obtrectatio, Misericordia, Angor, Luctus, Moeror, Aerum-na, Lamentatio, Dolor, Afflictio, Solicitudo et Desperatio»,uno per uno identificabili — ad esempio — nei comporta-menti di un cane, ma in parte anche in quelli di bestie piùsemplici, come la familiare gallina.

Su questi presupposti Fabrici propone il suo metodo percondurre l’osservazione della loquela brutorum al fine dicomprenderne il funzionamento e il significato. Esso sibasa sulla istituzione di relazioni fra il contesto dell’os-servazione (nel quale un certo animale è coinvolto), lasituazione psicologica che verosimilmente ne consegue (eche può essere complessa, implicando la immediata conse-cuzione, o talvolta la compresenza, di diversi e moltepliciaffectus), gli articuli emessi in quel determinato contesto ein quella condizione psicologica. Gli articuli vanno in talmodo, a seguito di sistematiche e ripetute osservazioni, acomporsi in un quadro unitario, tale da definire il linguag-gio di una specie. Infine, all’ultima questione proposta,Fabrici risponde () che non la laringe, deputata come sisa alla produzione della voce, ma la faringe è l’organopreposto alla realizzazione delle articolazioni bestiali. Ibruti non hanno infatti la necessità, tipica degli umani, diformare vere e proprie litterae, possono dunque riservare

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la bocca, con tutte le sue componenti, alla prensione e allamasticazione del cibo; la faringe d’altra parte ha una suffi-ciente elasticità, grazie ai muscoli che la definiscono, permodulare la voce in modi diversi, imponendole una arti-colazione più elementare di quella che, insieme alla linguae alle labbra, coi loro appulsus, conduce alla formazione divocali e consonanti. In sintesi:

Loquelae igitur brutorum instrumento, quod scholastici adae-quatum dicunt, invento, succedit partem, quae in faucibuspraecipua est locutionis pars, inquirere. Hanc non difficile asse-quemur. Si sciamus fauces cavitatem oblongam angustamqueesse, unde “isthmos” graece dicitur, et eam quidem mobilem,quod modo quidem amplietur, modo contrahatur, in latus,forte etiam modo brevietur, modo producatur: qui motus om-nino voluntarii sunt, et a musculis circum fauces constitutisfacti. His igitur musculis datam esse hanc praerogativam, utinter faucium corpora praecipua efformandorum articulorumcausa sint, iure quidem existimandum est; cum articuli et lo-quela munus volontarium et absolute liberum sit, ideoquemusculis prorsus, non alteri dicandum (: ).

Fabrici insiste nell’ultimo capitolo del trattatello sul ca-rattere libero, volontario della emissione delle articolazionida parte dei bruti. È dunque esclusa ogni sua riduzione afatto istintuale, a pura meccanicità, come accadeva entrola tradizione stoica, e tornerà ad accadere nel Discours de laméthode e nell’imponente filone di pensiero che ne discen-derà. Bisogna aggiungere che nel quadro, qui riassunto, diaccreditamento di piene capacità comunicative agli animalinon umani, Fabrici delinea tuttavia una gamma di livellientro cui situare le singole specie in rapporto alla lorocomplessità biologica e, di conseguenza, alle loro esigenzedi ‘manifestazione’ affettiva. Sul gradino inferiore stannole specie che, come le formiche o i vermi, non sono state

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dotate neppure di voce, ma che ricorrono al tatto per co-municarsi i loro misteriosi messaggi, che pure certamenteci sono, anche se a noi restano ignoti. Quanto ai pesci (la-sciando dunque da parte il caso straordinario dei delfini,che già colpiva Aristotele), anch’essi sono muniti di formedi comunicazione, mediante suoni che hanno il compitodi trasmettere informazione a distanza, nelle profonditàdel mare. Un’analoga funzione di comunicazione a distan-za si rinviene negli uccelli, che attraversano grandi spazidi cielo e coi loro gridi interagiscono fra loro; mentre agliuccelli canori compete vera e propria loquela, in rapportoa una maggiore ‘perspicacia’, pari in qualche caso ai canie ai gatti: presso animali del genere si rinvengono anchevariazioni sub–specifiche della loquela, come attesta poeti-camente il mito di Filomela («Tu, Philomela, potes vocumdiscrimina mille/ Mille vales varios rite referre modos»),fascinoso anche linguisticamente in quanto attesta i tenta-tivi umani di dare ai diversi linguaggi dei bruti un nomeche ne esprima in qualche modo la fisionomia:

Tigrides indomita raccant, rugiuntque leonesPanther caurit amans, pardus hiando felit,dum linces orcando fremunt, ursus ferus uncat,atque lupus ululat, frendit agrestus aper.Et barrus barrit, cervi glocitant et onagri:Ac taurus mugit, et celeber hinnit equus. . .

In sostanza, Fabrici, movendo dai suoi presupposti ri-gorosamente naturalistici, propone una concezione conti-nuista del linguaggio, distribuito in tutte le specie animali

. Fabrici riteneva erroneamente, com’era convinzione diffusa ai suoitempi, che si trattasse di un testo ovidiano. Al Carmen, il testo n. nell’Anthologia latina sive poesis latinae supplementum curata da Alexander Rie-se, come pure all’elenco di Svetonio nel Liber de naturis rerum, ha dedicatobelle osservazioni B (). I passi citt. in R (: e ).

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con caratteristiche e complessità mutevoli in ragione dellacomplessità biologica e psicologica delle singole specie.Gli esseri umani rappresentano ovviamente il livello piùalto di questa serie, ma, è il caso di ribadirlo, situandosinella serie e non semplicemente sopra o al di fuori di essa.Come spiega alla fine del IV capitolo, certo, vi sono uccellicome i corvi e i pappagalli cui è stato dato di parlare, entrocerti limiti, lingue umane

cum tamen homines exactissimam prae caeteris animalibusloquelam habeant, et variam, quod animi affectus plures etexactiores hominibus sint. Atque hoc respiciens Aristoteles lo-qui proprium hominis esse voluit; ob eamque caussam loquelahominis Graece appellata est μερωψ, quasi partes, hoc est arti-culos exactiores et clariores, et magis distinctos obtinens (:).

Come i comparativi usati nel testo confermano, si trattadunque di una differenza dal meno al più, non di uno staccodi tipo qualitativo. E per quanto Fabrici comprensibilmentechiami a tutela l’autorità di Aristotele, in nessun puntocome in questo, forse, è dato misurare la sua autonomiadall’approccio al linguaggio che fu del Filosofo.

. Guardando all’insieme della ricerca fabriciana intor-no al linguaggio, sembra che sia proprio il terzo e ultimotrattato a iscriverlo pleno iure non solo nella storia dellafonetica, come nel caso del De larynge e del De locutione,ma anche in quella della filosofia del linguaggio. Non è,beninteso, un problema di affiliazioni disciplinari, quantomai inappropriate se applicate a uomini di tempi remoti,in cui lo status anche accademico della filosofia e dellascienza in genere era completamente diverso dal nostro;si tratta della rilevanza oggettiva del contributo offerto,

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e delle prospettive teoriche e applicative che esso, dallaspecola di un insegnamento di anatomia e chirurgia, ecomunque di un approccio di filosofia naturale, aprivaagli studi linguistici successivi. Il De brutorum inauguravainfatti una visione della comunicazione animale su baseosservativa e sperimentale quale non aveva precedenti, perquanto sappiamo, nell’Europa moderna. Il tema era rien-trato in circuito da relativamente poco tempo, soprattuttograzie ai commentari all’opera zoologica di Aristotele ealla lettura, ora anche in latino umanistico, di opere chiavecome il De abstinentia di Porfirio e le Pyrrhonianae Institu-tiones di Sesto Empirico. L’Apologie de Raymond Sebonddi Montaigne (prima ed. ) era stata il vettore entro cuiquelle tematiche avevano non solo trovato assorbimento,ma avevano assunto una forma tale da garantire persuasivi-tà letteraria e ideologica, e forza espansiva. Non è un casose Descartes (nella nota lettera al marchese di Newcastledel novembre ) citerà proprio Montaigne (assiemeallo Charron di De la sagesse) come sostenitori esemplaridi quell’accreditamento delle capacità conoscitive, moralie linguistiche dei bruti al quale vorrà radicalmente oppor-si. Ma in Montaigne, a ben vedere, quell’accreditamento,per quanto convinto e suggestivo, restava nei limiti di unapolemica moralistica, intesa a scopi molto lontani da quelli— naturalistici — di chi operava sul campo: come era statoil caso, ovviamente, di Aristotele e degli altri grandi osser-vatori dell’antichità, di Alberto Magno col suo imponente

. Del l’edizione veneziana di Porfirio, curata da Giovanni Ber-nardo Feliciano (del l’edizione del testo greco, a cura di Pier Vettori);l’edizione in latino a cura di Henri Estienne degli Schizzi Pirroniani è del, mentre l’editio princips del testo greco segue solo nel .

. Vedila nel volume IV dell’ed. Adam–Tannery delle opere diDescartes, alle pp. –.

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De animalibus, e in anni recenti era il caso di Ulisse Aldro-vandi, di Conrad Gesner nell’Historia animalium (), eda ultimo, con molta originalità, di Girolamo Fabrici.

Una possibile inchiesta sulla fortuna seicentesca dellericerche linguistiche di Fabrici rivelerebbe, credo, tracceabbastanza consistenti del De locutione, la cui analisi dellahominis fabrica poteva convivere senza troppe difficoltà siacon il paradigma fisico tardo–scolastico, sia con quello, benpiù aggressivo, del cartesianesimo. Diverso il caso del Debrutorum, del quale si faticano a trovare echi a valle delSyntagma gassendiano (inteso a una importante sintesi ditemi epicurei e lucreziani con le classiche fonti aristoteli-che): non sarà un caso se il tema del linguaggio animalescompare o quasi nelle interminabili discussioni sull’âmedes bêtes e trova spazio solo nella riflessione clandestinadel Theophrastus redivivus (ca. ), per riapparire in tut-t’altro contesto filosofico, a metà Settecento, nell’opera diCondillac.

Sia il quadro epistemologico proposto dal De brutorum,sia l’abbozzo, che in esso si trova, di un metodo di ‘osser-vazione’ dei comportamenti comunicativi degli animalinon umani sono dunque un lascito di singolare profon-dità e modernità, che l’etologia e la zoosemiotica attuali,di ispirazione non più aristotelica, ma darwiniana, posso-no e debbono riconoscere come un punto di riferimentoimportante della propria tradizione.

. Riferimenti al linguaggio sono pressoché inesistenti anche nellericchissime voci Rorarius e Sennert del Dictionnaire bayliano.

. Per informazioni sugli interessi animalistici degli autori citati siapermesso rimandare a G & F (), contenente anche una sceltadi testi d’epoca.

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. Opera omnia anatomica et physiologica, hactenus variis locisac formis edita; nunc vero certo ordine digesta, & in unum Volu-men redacta, una cum praefatione Johannis Bohnii, P.P. Lip-siensis. Lipsiae: Sumptibus Johannis Friderici Gleditschii.

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Stefano Gensini“Sapienza” Università di Roma