l’“eterno viaggiatore”. jean-jacques rousseau

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Dal catalogo Aude Lancelin, Marie Lemonnier I filosofi e l’amore L’eros da Socrate a Simone de Beauvoir Stefano Poggi La vera storia della Regina di Biancaneve Dalla Selva Turingia a Hollywood Pierre Riffard I filosofi: vita intima

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Dal catalogo

Aude Lancelin, Marie LemonnierI filosofi e l’amore

L’eros da Socrate a Simone de Beauvoir

Stefano PoggiLa vera storia della Regina

di BiancaneveDalla Selva Turingia a Hollywood

Pierre RiffardI filosofi: vita intima

I viaggi dei filosofi

A CURA DIMARIA BETTETINI E STEFANO POGGI

CopertinaStudio CReE

ISBN 978-88-6030-350-9© 2010 Raffaello Cortina Editore

Milano, via Rossini 4

Prima edizione: 2010

Stampato daGalli Thierry stampa, Milano

per conto di Raffaello Cortina Editore

Ristampe

0 1 2 3 4 52010 2011 2012 2013 2014 2015

www.raffaellocortina.it

Introduzione VIIMARIA BETTETINI, STEFANO POGGI

Veleggiando tra isole,scuole e santuari. I viaggi dei filosofi antichi 1GIUSEPPE CAMBIANO

Tunisi - Brianza -Tunisi. Agostino di Ippona 21MARIA BETTETINI

Dalle corti di Persia alla ricerca delle fontidella sapienza. Avicenna e al-Ghazali 39MASSIMO CAMPANINI

Tra Napoli e la rive gauche. Tommaso d’Aquino 57PASQUALE PORRO

La Cina e il viaggio di Matteo Ricci 73FILIPPO MIGNINI

I labirinti del pensiero e la tela della diplomazia.Gottfried Wilhelm Leibniz 95FRANCESCO PIRO

A Parigi! A Parigi!Gli illuministi milanesi e la Francia 113GIANNI FRANCIONI

V

Indice

L’“eterno viaggiatore”. Jean-Jacques Rousseau 135BARBARA CARNEVALI

Fra camere e torri, in vista di se stessi.Maine de Biran, Xavier de Maistre e Henri Beyle 159MARCO PIAZZA

L’immaginario viaggio di Platone in Italia.Vincenzo Cuoco e il suo romanzo filosofico 177GIUSEPPE CACCIATORE

Dal Tamigi al Neckar, dalla Nevaalla Sprea. Snob britannici e agitatori russinella Germania dell’Ottocento 195STEFANO POGGI

Da Torino a Röcken. Friedrich Nietzsche 219MAURIZIO FERRARIS

VI

Indice

L’“eterno viaggiatore”.Jean-Jacques Rousseau

BARBARA CARNEVALI

GINEVRA

MEUDON

ERMENONVILLE

SPALDING

CHISWICK

LONDRA

WOOTTON

YVERDONLOSANNA

MÔTIERS

VENEZIA

MONTPELLIER

GRENOBLE

PARIGITRIEMONTMORENCY

NEUCHÂTEL

CHAMBÉRYANNECY

LIONE

TORINO

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Una valigia sempre pronta

Quando Rousseau fu soprannominato “eterno viaggiatore”era il 1768, ed era scoppiato l’ennesimo scandalo. Un cer-

to Thévenin, conciatore di pelli a Neuchâtel, pretendeva la re-stituzione di un prestito dal filosofo, che in quel momento sinascondeva in esilio, ed esibiva come garanzia una cambiale fir-mata “Le Voyageur perpétuel”. Rousseau interpretò la richie-sta come un nuovo segno del complotto universale che crede-va ordito alle proprie spalle. E si difese veementemente ap-pellandosi, tra l’altro, all’insensatezza della formula: “È assur-do dare il nome di ‘eterno viaggiatore’”, scrisse nella corri-spondenza del periodo, “a un uomo che ha fatto un solo viag-gio in diciott’anni”.

Eppure Rousseau ci ha lasciato testimonianze di altro tonoa proposito del suo rapporto con i viaggi. “La vita ambulanteè quella che fa per me”, afferma infatti la voce autobiograficadelle Confessioni, rievocando con nostalgia le gioie dei viaggigiovanili. Primo fra tutti quello verso Torino attraverso le Al-pi, che viene introdotto così nel secondo libro dell’opera: “L’i-dea di un grande viaggio lusingava la mia mania ambulante, chegià cominciava a manifestarsi”. Questo primo “grande viaggio”lasciò un ricordo indelebile nella memoria di Rousseau, cheper molti anni coltivò il sogno di ripeterlo: “Per lungo tempo,a Parigi, ho cercato due compagni dai miei stessi gusti dispo-sti a sacrificare cinquanta Luigi della loro borsa e un anno delloro tempo per girare insieme a piedi tutta l’Italia”. Ancora: inuna lettera del 1765 all’amico Du Peyrou, compagno di pas-

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seggiate e di erborizzazioni, Rousseau scrive: “Le parlo deimiei viaggi perché a forza di abitudine gli spostamenti sono di-ventati per me bisogni. Durante la bella stagione mi è impossi-bile restare più di due o tre giorni nello stesso posto, senza do-vermi costringere e soffrire”. Irrequietezza che ritroviamo de-scritta con parole simili nell’ottava delle Fantasticherie: “Nonero mai del tutto contento né degli altri né di me stesso. Il tu-multo del mondo mi stordiva, la solitudine mi annoiava, ave-vo continuamente bisogno di cambiar posto e non stavo bene danessuna parte”.

La mobilità è uno dei più appariscenti Leitmotiv della vitadi Rousseau. Le sue manifestazioni non solo hanno impressio-nato i contemporanei, come pretesto di scherno per i nemici edi preoccupazione per gli amici, ma in tempi a noi più vicinihanno incuriosito persino gli psichiatri. Esattamente un seco-lo fa, nel 1910, in un momento in cui le interpretazioni psico-patologiche di opere di filosofia e letteratura erano all’ordinedel giorno e proliferavano studi dedicati alla “malattia” o alla“follia” rousseauiane (spesso finalizzati a screditarne le idee:chi può prendere sul serio le teorie politiche di un pazzo?), unprofessore dell’Università di Bordeaux, Emmanuel Régis, pro-nunciò una conferenza sulla “dromomania” di Rousseau. Lalezione si aprì con le seguenti parole: “Esiste una tendenza inqualche modo costituzionale alla fuga impulsiva, alla dromo-mania, tendenza spesso ereditaria, precoce, duratura, parossi-stica, la quale, durante le crisi, dà luogo a un particolare statomentale, che si adatta alle complicazioni deliranti intercorren-ti, quando ne insorgono. Nessun esempio illumina e illustraquesta forma costituzionale di dromomania meglio di quello diJean-Jacques Rousseau”.

La dromomania (dal greco dromos, corsa), detta anche Wan-dertrieb, “automatismo ambulatorio”, “poriomania” (dal gre-co poreia, viaggio), indica nel lessico psichiatrico la sindromedella mobilità compulsiva. La storia di questa strana malattiamerita senz’altro una breve parentesi. Come ha mostrato lo sto-rico e filosofo della scienza Ian Hacking, essa è una tipica “ma-lattia mentale transitoria”, una sindrome, cioè, manifestantesi

solo all’interno di particolari circostanze culturali e sociali chene rappresentano le condizioni di possibilità (la transitorietànon riguarda dunque il fatto che la follia sia intermittente nelsingolo paziente, ma che esista solo in certi periodi e in certiluoghi, all’interno di determinate “nicchie ecologiche”). Nellospecifico, il primo caso di automatismo ambulatorio fu dia-gnosticato in Francia nel 1887 – e significativamente proprionella città di Bordeaux – a un certo Albert Dadas: un impiega-to del gas che, travolto da raptus irresistibili, scompariva all’im-provviso per lunghissimi viaggi (arrivò a piedi fino a Costanti-nopoli e Mosca!) di cui poi non serbava memoria. Seguì il suoesempio una lunga schiera di “viaggiatori folli”, per lo più fran-cesi, che furono oggetto di studi scientifici e di cure psichiatri-che particolarmente accanite. L’epidemia durò circa un de-cennio, in un clima culturale segnato dal positivismo, dall’in-teresse scientifico per il movimento e per l’educazione fisica.Quindi la malattia scomparve misteriosamente com’era nata, econ essa, a poco a poco, si spense la letteratura relativa.

Diagnosticando la dromomania di Rousseau alla fine del pri-mo decennio del XX secolo, dunque, il dottor Régis stava caval-cando una moda psichiatrica ormai in via di esaurimento. Lasua analisi si dilunga su episodi della biografia rousseauiana,dando prova di un’ermeneutica a tratti raffinata, che percorre iluoghi obbligati della scienza del tempo, come l’insistenza sul-l’ereditarietà familiare (il padre e gli zii di Rousseau sarebberostati a loro volta “dromomani”) e sull’ereditarietà locale (nellaconferenza si allude al noto “temperamento viaggiatore” dei gi-nevrini, che viene evocato anche dallo stesso Rousseau in unironico brano delle Confessioni). Ne risulta un documento mol-to interessante per la storia della ricezione del rousseauismo– termine con cui intenderemo d’ora in poi quella fusione diidee e di atteggiamenti esistenziali che caratterizza la filosofia diRousseau. La lettura psicopatologica finisce infatti per ricalca-re i contorni di quella romantica, e in filigrana alla figura del“maniaco ambulante” emerge quella, più affascinante da unpunto di vista filosofico, del Wanderer, il viandante irrequieto:un mito che ha alimentato la cultura ottocentesca.

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In fuga da tutti, ma non da se stessi

L’individualismo romantico e la psicopatologia hanno segnatonel profondo l’immagine storica di Rousseau, muovendo da unpresupposto comune: la tendenza a fare della psiche il fattoredecisivo nella spiegazione dei fenomeni morali, la prima e lapiù essenziale delle forze che agiscono nel mondo umano. Lostesso Rousseau ha nutrito e legittimato questa visione panpsi-cologistica, insistendo incessantemente nei suoi scritti sulla ne-cessità di liberare l’io dalle maglie della realtà storico-sociale, diisolarne il nucleo più autentico, più naturale e originario, perpreservarne l’autonomia e farne il centro propulsore del com-portamento individuale.

A ben guardare, però, la mobilità di Rousseau ha un rap-porto solo relativo con le inquietudini metafisiche del Wande-rer, e meno ancora si riduce a una forma di malattia mentale. Iviaggi rousseauiani andrebbero sempre interpretati all’internodi una fitta rete di questioni, che oltrepassano e inglobano lasfera della psiche, senza ovviamente negare la sua rilevanza:l’io, in altre parole, andrebbe inteso come una sola delle po-tenze che agiscono all’interno di un complesso campo, cui ap-partengono non solo passioni, pulsioni incontrollabili e nevro-si soggettive, ma anche influenze, pressioni e censure sociali,scomuniche religiose, persecuzioni politiche, necessità econo-miche. È evidente, per fare solo l’esempio più eclatante, che apartire dalla doppia condanna dell’Emilio e del Contratto so-ciale nel 1762, condanna che vide unite le autorità cattolichefrancesi e quelle protestanti ginevrine, non ha alcun senso par-lare di una dromomania di Rousseau. Lo stesso concetto di“viaggio”, che sottintende una spontaneità e un’intenzione po-sitiva, una volontà di partire, si rivela parzialmente inadatto aspiegare quella che, piuttosto, andrebbe definita come una fu-ga da pericoli esterni e oggettivi.

Oltre a essere una fondamentale chiave di accesso alla bio-grafia e alla psicologia dell’uomo Rousseau, il viaggio è dunqueun contenuto altrettanto fondamentale della sua opera. Nonsolo gli scritti letterari, ma anche quelli teorici contengono pa-

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gine memorabili su questo problema, che può essere conside-rato filosofico in senso proprio. Partendo dunque da questo in-treccio inestricabile di vita e pensiero, ricostruiremo una tipo-logia ideale dei viaggi rousseauiani. Ogni figura rimanderà auna fase della biografia e dell’esperienza del pensatore, mo-strando, a un tempo, un significato più universale.

Il primo viaggio di Rousseau risale al 1728. Per la sua natu-ra paradigmatica potrebbe essere definito la “figura delle figu-re di viaggio” e merita di essere raccontato nei dettagli. Rous-seau ha 16 anni; orfano di madre e, di fatto, anche di padre, vi-ve con la famiglia di uno zio a Ginevra, lavorando come ap-prendista per un incisore. Una domenica di marzo, al ritorno dauna giornata di giochi trascorsa in compagnia di altri ragazzi,trova chiuse le porte della città, che pratica il coprifuoco, e de-cide seduta stante di andarsene per sempre. Vagabonda qual-che giorno nei dintorni di Ginevra finché un curato cattolico,che vive nei pressi della roccaforte calvinista per convertire iprotestanti, lo raccomanda a Madame de Warens, una giovanenobildonna neoconvertita e pensionata del re di Sardegna. L’in-contro con “Maman”, a Annecy il giorno della domenica dellepalme, sarà per Rousseau il più importante della sua vita. Su ri-chiesta della donna, egli riparte subito verso Torino per farsibattezzare, attraversando il Moncenisio a piedi, con grande en-tusiasmo: “Andare in Italia così giovane, aver già visto tanti po-sti, seguire Annibale attraverso i monti, mi sembrava una glo-ria superiore alla mia età. Aggiungete a tutto questo soste fre-quenti e gradevoli, un grande appetito e di che soddisfarlo […].Non ricordo di aver goduto in tutto il corso della mia vita d’u-na pausa più perfettamente esente da preoccupazioni e da pe-ne come quei sette o otto giorni che impiegammo nel viaggio”.

A Torino, entrato all’Ospizio dei catecumeni, Rousseau siconverte in pochi giorni al cattolicesimo. Quindi gironzola perla città, si innamora di un’albergatrice, e dopo varie avventureviene assunto come lacchè presso i Gouvon, una famiglia dinobili piemontesi. Promosso da servitore a segretario in segui-to a un imprevisto exploit culturale, il piccolo plebeo si vede al-lora promettere una carriera folgorante (questi episodi delle

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Confessioni ispireranno lo Stendhal del Rosso e il nero). Ma al-l’improvviso, una nuova sorpresa e un nuovo viaggio. Rous-seau si infatua di un vagabondo ginevrino, conosciuto per stra-da, e non esita a seguirlo: “Decisi di partire, abbandonando sen-za rimpianti il mio protettore, il mio precettore, gli studi, lesperanze e l’attesa di un successo quasi sicuro per cominciareuna vita da vero vagabondo”. È la rinuncia istantanea a ogni so-gno di gloria e di ascesa sociale: “Addio capitale, addio corte,ambizione, vanità, amore e tutte le grandi avventure la cui spe-ranza mi aveva condotto là un anno prima. Parto con la miafontanella e il mio amico Bâcle, la borsa leggera ma il cuore sa-turo di gioia, pensando solo a godermi la felicità ambulante cuiavevo improvvisamente ridotto i miei brillanti progetti”.

Oltre che per le sue notevoli qualità romanzesche, questoepisodio è prezioso per la sua ricchezza simbolica, in quantocontiene in nuce, riuniti armonicamente come in attesa di svi-luppo, alcuni dei più importanti motivi che distingueranno lespecifiche tipologie di viaggio. Sarà dunque il “tema” da cui svi-lupperemo le diverse figure, come in una variazione musicale.

Partire senza una meta

Durante la giovinezza, tra il 1712 e il 1740 circa, prima di intra-prendere ufficialmente la carriera intellettuale, Rousseau viag-giò intensamente, spostandosi tra la Svizzera, la Savoia e il Suddella Francia: Ginevra, Bossey, Annecy, Torino, Chambéry, Lio-ne, Friburgo, Losanna, Neuchâtel, Berna, Parigi, Besançon, LesCharmettes, Grenoble, il Pont du Gard, Nîmes, Montpellier…L’esperienza del viaggio contò enormemente in questo periododella sua vita e, una volta sublimata dalla memoria e abbellitadall’idealizzazione letteraria, si caricò di una forte valenza filo-sofica. All’interno del sistema simbolico del rousseauismo, ilviaggio diventerà infatti sinonimo di libertà: l’espressione dellavitalità spontanea e dell’indipendenza che sono proprie del-l’uomo nello stato di natura, il segno di un rapporto ancora in-nocente, sereno e immediato tra l’individuo e il mondo.

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Questa concezione filosofica del viaggiare si incarna nella fi-gura di un nomadismo privo di scopo e di meta: il “piacere diandare” contro il “bisogno di arrivare”, un viaggio che è fine ase stesso, un “viaggiare per viaggiare”. Fondamentale per ilviaggiatore è la possibilità di determinare a piacere sequenza,ritmo e direzione degli spostamenti, a seconda della casualitàdegli incontri, delle condizioni meteorologiche e dell’umoredel giorno. Il vagabondaggio è infatti un viaggio anarchico, sen-za regola e senza legge, da compiersi preferibilmente a piedi, li-mitando i mezzi di trasporto (“le delizie dei viaggi a piedi”), insolitudine o insieme a pochi compagni scelti, con un bagaglioleggero per assaporare pienamente il piacere della marcia. Nelquarto libro delle Confessioni Rousseau dipinge questo mododi vita come un godimento idilliaco: “Mi piace camminare li-beramente, e fermarmi quando mi piace. […] Camminare apiedi con il bel tempo, in un bel paese, senza fretta, avendo co-me meta un oggetto piacevole: fra tutti i modi di vivere, eccoquello più di mio gusto”.

Grande importanza ha la contemplazione della natura, cherende l’esperienza del viaggiare inseparabile da quella esteticadel paesaggio: “Si sa già cosa intendo per bel paese. Mai paesedi pianura, per bello che fosse, parve tale ai miei occhi. Mi oc-corrono torrenti, rupi, abeti, boschi oscuri, montagne, sentieriscabrosi da salire e scendere, precipizi ai miei fianchi che mifacciano paura”. Nell’immaginario rousseauiano, il “bel paese”coincide dunque con lo sfondo drammatico delle Alpi, con la si-nuosità dei laghi o della campagna collinare – luoghi ormai per-cepiti con una sensibilità poetica preromantica – mentre il pae-saggio urbano conserverà una connotazione negativa agli occhidi un viaggiatore che è anche critico della civiltà moderna. Al-tre tipologie di veduta pittoresca, come per esempio quelle deicanali e del mare di Venezia, che Rousseau ha potuto contem-plare negli stessi anni del Canaletto e di Bernardo Bellotto, sem-brano lasciarlo del tutto indifferente.

Nel viaggio a piedi la natura viene avvicinata e come attra-versata metafisicamente dall’interno: il viandante vi si immer-ge, vi sprofonda, estasiandosi davanti allo spettacolo della sua

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bellezza e liberandosi dalle costrizioni fisiche e morali della ci-viltà. L’intimità con l’ordine cosmico risveglia nella coscienzaquel “sentimento dell’esistenza”, analogo al “sentimento ocea-nico” di cui ha parlato recentemente Pierre Hadot, grazie a cuil’individuo rientra in se stesso per ritrovare la propria identitàsingolare, e allo stesso tempo riconoscersi parte di un ordinesuperiore, comprendendone e accettandone le leggi. Nasconocosì, nella congiunzione tra soggettività e natura, le idee intel-lettuali. Come una specie di prolungato esercizio spirituale, incui la ginnastica del pensiero agisce in sintonia con quella delcorpo, il viaggio diventa non solo fonte di ispirazione e di ri-flessione, ma metodo di ricerca filosofica: “Non posso medita-re che camminando”, afferma la voce delle Confessioni. “Nonho mai pensato tanto, vissuto tanto, non sono mai esistito né so-no stato maggiormente me stesso, oserei dire, quanto in queiviaggi che ho compiuto da solo e a piedi.” Nell’attività del cam-minare la creazione intellettuale è favorita anche a livello fisio-logico; la sua cadenza asseconda dolcemente quella della me-ditazione: “La marcia ha qualcosa che anima e ravviva le mieidee: non posso quasi pensare quando resto fermo, bisogna cheil mio corpo sia in moto per dar l’abbrivio alla mia mente”.Mentre il contatto con gli elementi naturali, attraverso la me-diazione dei sensi, stimola la libertà e la creatività interiore: “Lavista della campagna, il susseguirsi di piacevoli spettacoli, l’a-ria aperta, il grande appetito, la buona salute che acquisto cam-minando, la libertà dell’osteria, la lontananza da tutto quelloche mi fa sentire la mia dipendenza, da tutto quello che mi ri-corda la mia situazione, affranca la mia anima, mi dà una piùgrande audacia nel pensare, mi lancia, in certo modo, nell’im-mensità degli esseri per combinarli, sceglierli, appropriarmenea piacimento, senza fastidio e senza timori”. Il viaggio promet-te la felicità: “Dispongo da padrone dell’intera natura. Il miocuore, errando da un oggetto all’altro, si unisce, si identificacon quelli che lo lusingano, si circonda di immagini affasci-nanti, s’inebria di sentimenti deliziosi”.

Rousseau afferma che, per preservare la libertà e l’intensitàdi queste effervescenze creative, non scrisse mai i pensieri con-

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cepiti in viaggio. (La condanna della scrittura è un tema ricor-rente nella sua opera, e ha suscitato le note riflessioni critichedi Jacques Derrida, nella Grammatologia.) Pensato per un pub-blico, il testo scritto è un atto di comunicazione sociale, me-diato e finalizzato al giudizio degli uomini: un gesto necessa-riamente alienante, secondo le categorie del sistema rous-seauiano. Il pensiero autentico, al contrario, deve nascere neldialogo silenzioso e immediato tra la coscienza e la “voce” del-la natura. Un viaggio autenticamente filosofico non può com-portare scrittura.

A questa prima tipologia di viaggio si può ricondurre la fi-gura della passeggiata. Nella biografia adulta di Rousseau, essasvolgerà un ruolo speculare a quello del vagabondaggio giova-nile, associandosi alla rêverie, la fantasticheria senza ordine emetodo, flusso di immagini intessute di pensiero che si svilup-pa come susseguirsi di associazioni spontanee. Va ricordato poiche l’episodio decisivo per la genesi della filosofia rousseauia-na, la cosiddetta “illuminazione di Vincennes”, coincise conun piccolo viaggio pedestre (da Parigi al torrione in cui era im-prigionato Diderot) e che, durante la composizione del Di-scorso sulla disuguaglianza, Rousseau cercò di ricreare le sug-gestioni legate all’immersione nomade nella natura, vagandoper una settimana tra i sentieri della foresta di Saint-Germain,in cerca di ispirazione.

Della figura del viaggio sociale, antitetica a quella del viag-gio solitario a piedi nel contesto naturale di boschi, torrenti emontagne, possono essere distinte due modalità corrispondentia due particolari momenti della vita di Rousseau.

Professione: uomo di lettere

La trasferta, o missione professionale, è il tipo di viaggio cheRousseau intraprese nella seconda parte della sua giovinezza,dal 1740 al 1749 circa, quando interruppe i suoi vagabondag-gi spensierati per tentare la carriera di homme de lettres. Tra il1740 e il 1741 fece il precettore per la famiglia Mably, a Lione.

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Poi, munito delle doverose lettere di raccomandazione, sbarcòa Parigi, dove inizialmente cercò di sfondare come musicista.Entrò nel circolo dei piccoli intellettuali squattrinati che fre-quentavano la società mondana, ricavandone diverse umilia-zioni (è l’ambiente bohémien che sarà immortalato da Diderotnel Nipote di Rameau, e da cui, secondo lo storico Robert Darn-ton, usciranno molti dei futuri rivoluzionari). Dall’estate del1743 a quella del 1744 si trasferì invece a Venezia, dove lavoròcome segretario dell’ambasciata francese: durante i viaggi diandata e di ritorno, fece sosta a Marsiglia, Tolone, Genova, Mi-lano, Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza, Padova, vide il LagoMaggiore (dove ammirò le Isole Borromee), lasciata l’Italiatoccò Sion, Ginevra e Lione. Infine tornò a Parigi, dove ac-cettò l’incarico di segretario di Monsieur de Francueil, inten-dente delle finanze.

A differenza del viaggio-vagabondaggio, che si compie suuno sfondo interamente naturale ed è fine a se stesso, il viaggio-missione attraversa lo spazio sociale e ha uno scopo economi-co: l’intellettuale deve spostarsi frequentemente per trovare la-voro nei centri amministrativi e produttivi della “Repubblicadelle Lettere”. La geografia, essenzialmente urbana, gravita in-torno alla grande capitale del Regno francese, Parigi, che di-venterà il baricentro, tanto positivo che negativo, anche dellavita letteraria di Rousseau.

Insieme al contesto cambia il punto di vista individuale: l’e-sperienza del viaggiatore non è più descritta nel segno della li-bertà e dell’anarchia, ma in quello di una sofferta dipendenza.A metà del Settecento ancora non esistevano i diritti d’autore,che permetteranno agli intellettuali di vivere autonomamentegrazie ai proventi delle loro opere (verranno introdotti solo al-la fine del secolo). Lo scrittore di umili origini, se non posse-deva una rendita o una pensione, doveva accettare il compro-messo di un impiego pubblico o privato.

Riprendendo una tesi di Bronisław Baczko, lo storico DanielRoche ha proposto di leggere questa variante della mobilità diRousseau nel segno della marginalità sociale settecentesca e dicontrapporla alla stabilità altrettanto esemplare di Voltaire che,

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più ricco e costantemente in cerca di integrazione e riconosci-mento da parte delle élite, si stabilì nelle aristocratiche dimoreginevrine delle Délices e del castello di Ferney. In questa pro-spettiva storica, l’interpretazione romantica e quella psicopa-tologica del rousseauismo non possono che essere radicalmen-te ridimensionate. L’instabilità di Rousseau perde molto delsuo carattere eccentrico e appare come il sintomo più di unapatologia sociopolitica (la condizione proletarizzata dei picco-li intellettuali illuministi) che di un’idiosincrasia individuale.

Certamente, comunque, l’esperienza della precarietà sti-molò in Rousseau un malessere profondo, che nutrì non solo ilsuo risentimento ma anche la sua consapevolezza morale e in-tellettuale. Fu proprio durante i vari viaggi di lavoro che egli co-minciò a prendere coscienza dei propri meriti, della propriadignità di “uomo del Terzo Stato”. Questo aspetto è partico-larmente evidente nelle pagine delle Confessioni dedicate al pe-riodo veneziano, durante il quale Rousseau dovette confron-tarsi con l’ignorante ma presuntuoso conte di Montaigu, l’am-basciatore che, pur avendo bisogno del suo segretario per leg-gere e decifrare anche i documenti più semplici, continuava atrattarlo in pubblico come un servitore. Sentendosi ignorato,Rousseau decise di lasciare bruscamente Venezia, ripetendo ilgesto di quelle rotture repentine che avevano inaugurato i suoiliberatori viaggi di gioventù.

Senonché, per quanto priva di autonomia e di spontaneità,anche la trasferta lavorativa è un viaggio di conoscenza. A pro-durre il sapere non è più l’immersione idilliaca nella natura,ma l’esperienza degli uomini: conflittuale, mediata e dunquesempre difficile da interpretare, dolorosa, ma sempre illumi-nante. Fu in veste di precettore a Lione, alle prese con due al-lievi viziati e capricciosi, che Rousseau concepì alcune idee fon-danti dell’Emilio. Fu nei salotti parigini, dove era costretto a fa-re la corte ai potenti e a brillare per emergere, che comprese l’i-pocrisia, la corruzione e la violenza delle moderne relazioni so-ciali. Il viaggio a Venezia coincise poi con una scoperta assolu-tamente decisiva, quella della centralità della politica, e conl’abbozzo dell’idea originaria del Contratto sociale: “Ne avevo

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concepito il progetto […] quando, a Venezia, avevo avuto qual-che occasione di notare i difetti di quel governo così decanta-to […]. Avevo visto che tutto dipendeva radicalmente dalla po-litica e che, da qualunque lato si affrontasse il problema, nes-sun popolo sarebbe mai stato altro che quello che la natura delsuo governo lo avrebbe fatto essere”.

Ritroveremo questo tema importante – il rapporto tra viag-gio, antropologia comparata e teoria politica – nella riflessionesul viaggio educativo. Ma prima di considerarla dobbiamo esa-minare la seconda figura del viaggio nella società, che rappre-senta la continuazione ideale della missione del letterato.

Commensale di principi e contadini

Tra l’illuminazione di Vincennes, nel 1749, e la condanna del-l’Emilio e del Contratto sociale, nel 1762, Rousseau conobbe unperiodo di relativa stabilità, vivendo a Parigi (o nei dintorni),dove si compì il suo trionfo letterario. Con la pubblicazionedei due Discorsi lo sconosciuto homme de lettres divenne im-provvisamente un personaggio famoso, e per far fronte a que-sta impegnativa notorietà pubblica e dimostrarsi coerente coni princìpi espressi nelle opere di denuncia, mise in atto la fa-mosa “riforma” del suo stile di vita: abbandonò l’orologio, ivestiti di corte, la parrucca e gli altri vistosi simboli della civi-lizzazione, lasciò il posto di segretario e cominciò a mantener-si autonomamente, copiando musica “un tanto alla pagina”.La conversione morale comprese anche un viaggio altamentesimbolico a Ginevra, al fine di recuperarne legalmente la citta-dinanza (è in questa fase della sua vita che Rousseau cominciòa farsi chiamare “cittadino di Ginevra”, e a firmare in tal mo-do le sue opere), e un’altra impegnativa decisione di stile di vi-ta: il trasloco in campagna (prima all’Ermitage, poi a Mont-morency), in polemica con la corruzione cittadina.

Ma alla stabilità nello spazio geografico non corrispose quel-la nello spazio sociale. Se consideriamo la traiettoria sociologi-ca di Rousseau, non possiamo infatti non restare attoniti: nel-

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lo spazio di pochi anni, il figlio di un modesto orologiaio scalòun’altezza vertiginosa, se non addirittura l’intera piramide del-la società d’Ancien Régime, come rivendicano fieramente leConfessioni: dallo stato di apprendista a quello di vagabondo,poi di domestico, mantenuto, seminarista, impiegato al catasto,insegnante di musica, precettore, piccolo musicista in cerca disuccesso, segretario di ambasciatori e finanzieri, aspirante mon-dain nei salotti delle grandi dame e, infine, scrittore più celebredella sua generazione.

Questa esperienza rappresentò, da un primo punto di vista,il compimento delle aspirazioni personali di Rousseau, quel suc-cesso che una parte di sé – quella più nutrita di amor proprio,più assetata di conferme e di approvazione sociale – aveva ago-gnato fin dai tempi dell’apprendistato di Torino. Per quantoquest’immagine strida con il modello esemplare di autenticitàpropagandato dalla sua “riforma”, Rousseau manifesta una for-te ambivalenza nei confronti delle attestazioni sociali: è la ten-sione tra “romanticismo” e “riconoscimento” che attraversa tut-ta la sua esistenza, così come il suo pensiero.

In una diversa prospettiva, il percorso sociale ha fornito aRousseau le basi della nuova dottrina politica, conferendole lasua caratteristica radicalità e l’altrettanto caratteristica ambi-zione totalizzante. Solo chi ha sperimentato in prima personatutte le condizioni, ma non si è legato stabilmente a nessuna diesse, può infatti relativizzare la gerarchia sociale e arrivare a co-noscere quell’essenza eterna dell’uomo che costituisce l’unicofondamento legittimo di un ordine politico giusto. (“L’uomo èlo stesso in tutti gli stati sociali. Se questo è vero, gli stati più nu-merosi meritano maggiore rispetto”, scriverà nel quarto librodell’Emilio, identificando la natura umana universale con il con-cetto di “popolo”.) Questo è il privilegio conoscitivo che Rous-seau non ha smesso di rivendicare, e di cui possiamo leggereuna testimonianza molto significativa in un fondamentale fram-mento autobiografico: “Se l’esperienza e l’osservazione conta-no qualcosa, io mi trovo, sotto questo aspetto, nella condizionepiù vantaggiosa in cui forse si è mai trovato un mortale, poiché,senza avere uno stato mio, ho conosciuto tutti gli stati; ho vissuto

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in tutti, dal più basso al più elevato, escludendo il trono”. I potenticonoscono solo i potenti, i poveri conoscono solo i poveri, el’essenza comune agli uni e agli altri – la natura dell’uomo –sfugge a tutti allo stesso modo. Ma il viaggiatore Rousseau, at-traversando tutte le condizioni sociali, l’ha riconosciuta dovun-que: “Li osservavo liberamente; quando smettevano di fingere,potevo confrontare l’uomo all’uomo, lo stato allo stato. Non es-sendo nulla, non volendo nulla, non imbarazzavo né importu-navo nessuno. Entravo dovunque senza tenere a niente, pran-zando talvolta coi principi e cenando la sera coi contadini”.

Gli storici hanno confermano la veridicità di quest’affer-mazione: Rousseau fu un autentico cosmopolita sociale, la cuifrequentazione di aristocratici e celebri intellettuali andò di pa-ri passo, e per tutta la vita, con quella di mercanti, contadini,donne, giovani, curati, pastori e vagabondi. Ed è anche in que-sta esperienza che vanno ricercate le radici vissute della sua fi-losofia di radicale ispirazione democratica.

Le persecuzioni, l’esilio, il ritorno

Nella primavera del 1762 ebbe inizio la fase più movimentatadella vita di Rousseau, che fu costretto a lasciare precipitosa-mente il suo eremo di Montmorency in seguito al mandato dicattura emesso contro di lui per le sue opere. L’esilio si pro-trasse per circa otto anni, e può essere suddiviso in tre fasi:

1. Il rifugio in Svizzera (1762-1765): Rousseau lasciò la Fran-cia e fuggì a Yverdon, poi a Môtiers, a Bienne e all’Isola diSaint-Pierre. Poiché predicavano contro di lui, i pastori prote-stanti lo fecero cacciare dai balivi.

2. Il passaggio inglese (1765-1767): venuto a conoscenza del-le difficoltà di Rousseau, Hume si offrì di aiutarlo, procuran-dogli asilo in Inghilterra – il viaggio toccherà Londra, Chiswick,Wootton, Spalding – e una pensione offerta da re Giorgio III.Ma Rousseau, sempre più esasperato e sospettoso, fece scop-piare una lite irreparabile.

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3. Il ritorno in Francia (1767-1770): grazie anche alla me-diazione di potenti protettori che negoziarono il suo ritornocon le autorità, Rousseau poté rientrare in Francia, sotto il fal-so nome di Renou. Toccò successivamente Amiens, Fleury,Meudon, Trie-Château, Bourgoin, e infine si stabilì nuova-mente a Parigi.

È in questi anni che Rousseau sviluppò una paranoia persecu-toria e quella forma di instabilità patologica che gli valse l’epi-teto di “eterno viaggiatore”. I suoi “nemici” (ossia gli intellet-tuali illuministi della “cricca holbachiana”) sembravano averordito un complotto da cui nessuno era escluso, nemmeno ilbonario Hume o un amico fedele come Du Peyrou. Ogni ma-linteso era motivo di una nuova rottura, ogni incidente prete-sto per una nuova partenza: i segni del delirio sono evidentinegli ultimi, strazianti libri delle Confessioni, nei Dialoghi, nel-le Fantasticherie e nella corrispondenza del periodo.

E tuttavia risulta difficile e senza dubbio ingiusto liquidarela mobilità rousseauiana solo come una forma di follia: perchési possa parlare di dromomania in senso clinico – come preci-sava lo stesso dottor Régis nella sua conferenza – il viaggio nondeve avere alcuna motivazione razionale; l’impulso alla fugadeve essere vissuto come una forza interna, oscura, violenta eincontrollabile. Rousseau, al contrario, fu per tanti versi vitti-ma di un vero ostracismo, di un’autentica persecuzione. Unacorretta interpretazione della sua irrequietezza dovrebbe tenerconto di vari fattori: la realtà della censura e delle varie formedi controllo (minacce, pressioni, denunce, imprigionamenti)che nel Settecento il potere esercitava nei confronti della cul-tura; la dipendenza degli intellettuali dal mecenatismo (duran-te l’esilio Rousseau fu costretto ad affidarsi a grandi aristocra-tici, come i duchi di Luxembourg o il principe di Conti; e que-sto esacerbò sia il suo desiderio di autonomia sia i suoi sensi dicolpa, suscitati dalla consapevolezza di smentire i propri princì-pi egualitari, e di trovarsi in contraddizione accettando questeofferte di ospitalità e protezione); la reale ostilità filosofica checircondava le opere e il pensiero rousseauiani, ostilità in cui va

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letta, come ha sostenuto persuasivamente Ernst Cassirer, la rea-zione difensiva dell’ambiente illuministico alla violenta de-nuncia formulata nei due Discorsi. Rousseau, in poche parole,era consapevole di aver contestato i valori fondamentali delsuo tempo e di aver suscitato un serissimo conflitto culturale:con la sua paranoia, “somatizzava” la sua ribellione.

Ma consideriamo gli aspetti più interessanti del problema daun punto di vista filosofico. Durante l’esilio, Rousseau concepìla necessità di spostarsi come un’imposizione violenta dei suoi“nemici”, un viaggio non più scelto ma subito, che lo costrin-geva alla povertà e a una dipendenza sempre più umiliante. Laprecarietà, che un tempo egli ricercava intenzionalmente, di-venta nell’immaginario di questo periodo un valore negativo,come attesta quest’amara palinodia dell’inno giovanile al va-gabondaggio: “I grattacapi della vita ambulante e quelli di unaquantità di circostanze aggiuntive hanno assorbito tutto il miotempo, fino a quando non sono riuscito a ottenere un asilo unpo’ tranquillo”, leggiamo in una lettera del 1767. Il tema ritor-na nelle Confessioni: “Tormentato, abbattuto da ogni sorta ditempeste, affaticato dai viaggi e dalle persecuzioni ormai da mol-ti anni, sentivo vivamente bisogno del riposo, di cui i miei bar-bari amici si facevano gioco di privarmi”.

Questa nuova rappresentazione persecutoria del viaggio sicarica di significati simbolici giudaico-cristiani. Quando, peresempio, al castello di Trie, ospite del principe di Conti, Rous-seau assume lo pseudonimo di Jean-Joseph Renou, e fa passa-re la compagna Thérèse per sua sorella, il suo comportamentoricorda quello tenuto in Egitto da Abramo nei confronti di Sa-ra, nell’episodio di Genesi 12. Quanto alla figura di Cristo, leallusioni abbondano in tutti gli scritti autobiografici di questoperiodo: Rousseau si identifica esplicitamente con il ruolo delsalvatore incompreso e tradito. Nella lettera all’arcivescovoBeaumont, l’esilio viene per esempio descritto come un viaggiodi dolore, una vera e propria “passione”: “Il difensore dellacausa di Dio, infamato, proscritto, perseguitato di Stato in Sta-to, di asilo in asilo, senza riguardo per la sua indigenza, senzapietà per le sue infermità”. Altre riconoscibili posture evange-

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liche sono la ricerca dello scandalo e gli atteggiamenti sacrifi-cali da capro espiatorio. Invece di mimetizzarsi e di adottarel’incognito, come ci si aspetterebbe ragionevolmente da un uo-mo braccato, Rousseau persevera nella direzione della sua rifor-ma esistenziale, richiamando l’attenzione pubblica con com-portamenti anticonformistici e provocatori: come un martiredella fede, egli vuole incarnare la propria diversità, la propriafedeltà al vero, distinguendosi dalla massa degli uomini. In que-sta strategia di testimonianza si inscrive la sua scelta, da moltiritenuta dissennata, di indossare un abito armeno, segno diun’irriducibile diversità: “Fui ammonito dal pulpito, chiamatol’Anticristo, e perseguitato nella campagna come un lupo man-naro. Il mio abito armeno serviva di richiamo alla marmaglia.Sentivo crudelmente quanto fosse d’impaccio, ma lasciarlo inquelle circostanze mi sembrava una viltà”. La tentazione di com-piacere questa volontà di martirio fu irresistibile per gli abi-tanti della cittadina di Môtiers, che cercarono addirittura di la-pidarlo: “Passeggiavo tranquillo per il paese con il mio caffet-tano e il mio berretto di pelliccia, circondato dalle urla della ca-naglia e a volte dai suoi sassi. In più occasioni, passando di-nanzi alle case, sentii dire dagli abitanti: ‘Datemi il fucile che glisparo’. Non per questo affrettavo il passo: ed essi diventavanosempre più furiosi”.

Dal racconto di questo episodio si evince anche quanto la ri-volta di Rousseau si sia nutrita, oltre che di reminescenze bi-bliche, dello spirito della filosofia cinica. Chi più di Diogene diSinope, infatti, aveva fatto della vita errante, della ricerca si-stematica della provocazione e dello scandalo la cifra di unostile filosofico, di una filosofia come modo di vita? Nel cinismoRousseau può aver trovato un modello di critica non solo pen-sata ma “vissuta”, in cui il rifiuto di una fissa dimora incarnasimbolicamente la vicinanza del filosofo allo stato di natura e lasua eccentricità rispetto all’ordine sociale. Seguire questa pistaaprirebbe un altro capitolo interessante nella storia del rap-porto tra i filosofi e il viaggio.

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Un sentiero solitario e la gloria

Negli ultimi otto anni della sua vita, Rousseau visse stabilmen-te a Parigi compiendo, nella campagna che circonda la città, lesuggestive escursioni descritte nelle Fantasticherie del passeg-giatore solitario. Queste passeggiate, ovviamente, non posso-no essere considerate veri e propri viaggi: il tragitto è breve, esi compie in giornata; la disponibilità del viandante ad avven-ture rocambolesche lascia spazio alla passione più tranquilla econtemplativa per la botanica. Ma il modo in cui queste inten-se e solitarie immersioni nella natura stimolano la coscienza aconcentrarsi in se stessa per ritrovare la normatività naturale cipermette di considerarle una variazione in miniatura del vaga-bondaggio giovanile: “Queste ore di solitudine e di meditazio-ne sono le sole della giornata in cui sono pienamente me stes-so e mi appartengo senza distrazioni, senza ostacolo, e in cuiposso veramente dire di essere ciò che la natura ha voluto”.

Fu al rientro di una di queste passeggiate che Rousseau morìil 2 luglio 1778, al castello di Ermenonville in Piccardia, dovesi trovava ospite di un nuovo amico e protettore aristocratico,il marchese di Girardin. Per ironia della sorte, quasi a confer-ma del soprannome con cui lo dileggiavano i suoi “nemici”, lavita dell’eterno viaggiatore si è conclusa lontano da casa. Ma èlecito chiedersi se, in fondo, Rousseau ne abbia mai avuta una.

Fino al trasferimento al Panthéon deciso durante la Rivolu-zione francese, le sue spoglie restarono a Ermenonville, che di-venne così meta di fanatici viaggi da parte degli adepti del rous-seauismo, tra cui la regina Maria Antonietta. Già in vita Rousseauaveva ricevuto molte visite di ammiratori, che attraversavanol’Europa per vedere con i propri occhi l’uomo famoso, porgliqualche domanda e magari potersene poi vantare in un diario diviaggio, come fece nel 1764 lo scozzese James Boswell, che nonsi imbarazzò a visitare, subito dopo, anche il grande rivale Vol-taire. La morte in esilio consacrò la leggenda rousseauiana e con-tribuì a creare quella nuova pratica del “viaggio dei fans”, pelle-grinaggio sui luoghi non della santità religiosa ma della celebritàmediatica, che oggi impera nella società dello spettacolo.

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Viaggiare è un po’ capire

L’ultima figura di viaggio non può essere sovrapposta a una fa-se precisa della biografia di Rousseau, ma distilla gli insegna-menti essenziali della sua intera esistenza.

Nel quinto e ultimo libro dell’Emilio – nel contesto, dunque,dell’educazione dell’“uomo nuovo” – troviamo la sezione Deiviaggi, un piccolo trattato di “arte apodemica”, il genere lette-rario che insegna a viaggiare. Rousseau vi discute il problemadella forma più efficace di istruzione. Qual è il modo miglioreper imparare le cose utili alla vita? Bisogna studiare tanti libri?O è forse meglio fare esperienza da soli, viaggiando?

Sulla scia dei Saggi di Montaigne e del Discorso sul metododi Cartesio, Rousseau risponde rifiutando la cultura libresca edifendendo il valore dell’esperienza diretta, della cultura “vi-va”. Ai fini educativi, infatti, la conoscenza del grande libro delmondo deve essere preferita a quella di tutti i testi di erudizio-ne e la capacità di “vedere” con i propri occhi anteposta a quel-la di “leggere”. Giunto dunque al termine del suo percorsoeducativo, il precettore di Emilio prescriverà all’allievo un lun-go viaggio di formazione attraverso l’Europa, offrendo un’im-portante reinterpretazione democratica di quel Grand Tour chele usanze del tempo riservavano ai ricchi gentiluomini. Grazieanche alla mediazione dell’opera di Rousseau, il viaggio edu-cativo diverrà un tema centrale della cultura dell’Ottocento,soprattutto di quella tedesca, che lo ripenserà alla luce del con-cetto filosofico di Bildung: la trilogia del Wilhelm Meister diGoethe dovrà moltissimo alla riflessione dell’Emilio, ma pos-siamo rintracciare il tema anche nella cultura popolare con-temporanea: per esempio, nella consuetudine degli studenti te-deschi di compiere gli studi in più di un’università.

Ma se l’esperienza in prima persona è la forma, qual è inve-ce l’oggetto specifico della conoscenza fornita dal viaggio?Questo oggetto, secondo Rousseau, sono i costumi, le diverseincarnazioni che la natura umana può assumere in luoghi etempi diversi. Per arrivare a conoscerli nel modo più corretto,l’allievo deve tenere a mente alcune regole fondamentali. La

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prima è l’osservazione diretta. È inutile leggere relazioni diviaggio (precetto però parzialmente smentito dallo stesso Rous-seau, le cui teorie antropologiche del Discorso sulla disugua-glianza devono molto, per esempio, all’Histoire générale desvoyages dell’abate Prévost): bisogna invece “guardare da soli”,studiando i popoli all’interno del loro Paese, nel quadro del lo-ro contesto culturale. La seconda regola prescrive di evitarescrupolosamente le capitali, dove gli uomini si somigliano tut-ti (un giudizio ripreso oggi da chi critica le forme di vita “glo-balizzate” delle grandi metropoli), e visitare le province na-scoste, le campagne “dove i costumi si conservano puri”. Ingenerale, il principio essenziale del “saper viaggiare” è la ca-pacità di sbarazzarsi dei pregiudizi che ci impediscono di rap-portarci all’alterità, giudicando gli altri attraverso il filtro deinostri valori. Nella sua ricerca di un punto di vista neutro e“straniato” per l’osservazione e la comprensione antropologi-ca, Rousseau sviluppa originalmente uno dei più importantivalori della cultura illuministica, che aveva ispirato, in partico-lare, le Lettere persiane di Montesquieu. Ed è anche in virtù diqueste pagine sul viaggio che Lévi-Strauss ha potuto definireRousseau il fondatore dell’etnologia moderna.

È importante però precisare come i costumi siano solo unastazione provvisoria verso quello che resta il vero e unico og-getto della conoscenza antropologica: la natura umana, nellasua forma eterna e universale. L’etnologia comparata, cioè, do-vrebbe essere interpretata nello stesso spirito con cui Rous-seau ha distillato la propria esperienza sociale: a partire dallecondizioni specifiche in cui si declina l’umanità (i diversi “sta-ti” nello spazio verticale della società, e i diversi “costumi”nello spazio orizzontale del mondo), bisogna giungere all’uo-mo di cui, al termine del suo viaggio pedagogico, Emilio do-vrebbe poter dire, con le stesse parole autobiografiche diRousseau: “L’ho riconosciuto dovunque”. Non stupisce per-ciò che la sezione sui viaggi si concluda con un riassunto deiprincìpi del Contratto sociale, l’opera che, dalla conoscenzauniversale della natura umana, sviluppa la teoria normativadell’ordine politico giusto.

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Il viaggio di istruzione teorizzato nell’Emilio (e messo in pra-tica anche dall’eroe della Nuova Eloisa, Saint-Preux, che accre-scerà le sue conoscenze viaggiando prima a Parigi e poi in un gi-ro intorno al mondo di diversi anni) è dunque, essenzialmente,un viaggio sociale e culturale, da leggere in parallelo a quello il-lustrato nella terza figura: si compie in mezzo agli uomini ed èfinalizzato alla conoscenza filosofica del mondo umano. Ma nelconcludere il suo capolavoro filosofico Rousseau non potevaomettere un omaggio all’altro tipo di viaggio, destinato ugual-mente alla conoscenza filosofica, ma in un rapporto esclusivocon la natura. E così, ben prima che cominci la sezione esplici-tamente apodemica, all’inizio del libro quinto, ritroviamo unelogio del viaggio a piedi, da svolgersi lontano dalle città, in co-munione solitaria con il paesaggio naturale. In un contesto for-temente romanzesco, Rousseau immagina che Emilio e il suoprecettore lascino la casa dove hanno vissuto insieme durantemolti anni per andare in cerca di Sofia, la donna ideale da spo-sare. Curiosamente però, questo viaggio verso la felicità amo-rosa non ha la forma di una vera e propria ricerca né l’affannodi una corsa verso un traguardo, ma assomiglia a quel placido“viaggiare per viaggiare”, “a piedi con il bel tempo, in un belpaese, senza fretta, avendo come meta un oggetto piacevole”, incui consiste il caratteristico modo di vita dei vagabondi. Ed ècon la ripresa di questo tema gioioso e spensierato che si con-cluderanno le nostre variazioni:

“Non concepisco che un modo di viaggiare che sia più piace-vole di andare a cavallo: l’andare a piedi. Si parte a proprio gra-dimento, ci si ferma quando si vuole, si fa l’esercizio che si de-sidera. Si osserva tutta la regione; ci si volge a destra, a sinistra,si esamina tutto ciò che ci attira, ci si ferma in ogni punto di os-servazione. Scorgo un fiume? Lo costeggio. Un bosco folto?Mi riparo alla sua ombra. Una grotta? La visito. Una cava? Nestudio i minerali. Mi fermo dovunque mi piace. Nel momentoin cui mi annoio, me ne vado. Non dipendo da cavalli e posti-glioni. Non ho bisogno di scegliere sentieri già battuti, stradecomode; passo dovunque un uomo possa passare; vedo tutto

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ciò che uomo possa vedere; e non dipendendo che da me stes-so, godo di tutta la libertà di cui possa godere un uomo. […]Viaggiare a piedi significa viaggiare come Talete, Platone, Pi-tagora. Fatico a comprendere come, privandosi dell’opportu-nità di studiare le ricchezze che la terra prodiga ai suoi occhi,un filosofo possa voler viaggiare diversamente”.

Letture

BACZKO B., Giobbe amico mio: promesse di felicità e fatalità del male. Tr. it.manifestolibri, Roma 1999.

BOSWELL, J., Visita a Rousseau e a Voltaire. Tr. it. Adelphi, Milano 1973.CARNEVALI, B., Romanticismo e riconoscimento. Figure della coscienza in

Rousseau. il Mulino, Bologna 2004.CASSIRER, E., DARNTON, R., STAROBINSKI, J., Tre letture di Rousseau. Tr. it. La-

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