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Rassegna di Archeologia 22B/2006 Elizabeth J. Shepherd LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE Nelle fornaci del Vingone si producevano laterizi da copertura (tegole, coppi, coppi con antefisse), da costruzione (mattoni di varie forme), da rivestimen- to strutturale (mattoni da pavimentazione, lastre per intonaco) e decorativo (terrecotte architettoniche). La certezza della produzione in loco è data dalla ge- nerale omogeneità degli impasti ceramici, identificati come locali in base alle analisi archeometriche 1 , e dalla presenza di numerosi elementi malcotti e scarti di fornace. Nella descrizione dei laterizi ho cercato, per quanto possibile, di creare quel “catalogo dei difetti” e degli indicatori delle singole operazioni produttive, recentemente auspicato per lo studio degli impianti produttivi antichi 2 . L’IMPASTO L’impasto con cui vennero foggiati i laterizi è definito come Gruppo 6 nell’analisi effettuata da G. de Marinis e P. Pallecchi, cui rimando per una più approfondita descrizione archeo- metrica 3 . L’analisi macroscopica permette di suddividere l’impasto in due sottotipi, definiti 6.1 e 6.2, che si distinguono per una diversa consistenza del corpo ceramico e un diverso colore. Il sottotipo 6.1, generalmente rosso-arancio (Munsell 5 Y.R 5/8-6/8), è caratterizzato da un corpo ceramico com- patto, duro, ricco di inclusi di colore diverso (bruni, neri, rossi, bianchi) molto ben selezionati per quanto riguarda le dimensioni, con poca porosità apparente e una frattura netta. Il sottotipo 6.2, rosso-violaceo (Munsell 2.5 YR 5/8), è invece caratterizzato da una grande varietà di inclusi, soprattutto dal punto di vista dimensionale; è caratteristica di questo gruppo, oltre a fitti inclusi medi e grandi nei colori già elencati, la presenza di piccoli ciottoli arrotondati, spesso superiori al centimetro e oltre. Ne consegue, per questo impasto, un corpo ceramico poco compatto, ricco di cavità e facile alla sfaldatura, con fratture irregolari, frastagliate. Con 6.1 var. e 6.2 var. si sono indicati poi due varianti, au- topticamente molto simili ai sottotipi principali e dal corpo sostanzialmente identico, ma caratterizzati da una maggiore quantità di inclusi; nel sottotipo 6.2 var. gli inclusi più fitta- mente presenti sono quelli di grandi dimensioni (Fig. 131). Impasto 6.1 = compatto, inclusi ben assortiti Impasto 6.1 var. = compatto, con molti inclusi medi emer- genti Impasto 6.2 = granuloso, con inclusi medi ben assortiti e alcuni inclusi grandi Impasto 6.2 var. = granuloso, con molti inclusi grandi Dall’analisi autoptica è emerso che l’impasto 6.1 è quello con cui si realizza la maggior parte delle tegole (65 su un campione di 96) 4 , e all’interno di questo nucleo, la mag- gioranza delle tegole bollate (32 su un campione di tegole bollate pari a 52) 5 . Il sottotipo 6.1 var. caratterizza 19 tegole, di cui 8 bollate. Con l’impasto 6.2 sono realizzate 13 tegole su 96, tutte bollate. Passando agli altri tipi di laterizi, con l’impasto 6.1 sono realizzati tutti i mattoni circolari, alcuni coppi e mattoni da colonna (Fig. 132.1); con 6.1 var. la maggior parte dei coppi, molte lastre da intonaco, la maggior parte dei mattoni da colonna (15 su 26), alcuni sesquipedali e praticamente tutti i mattoni da pavimentazione (spicatum) (Fig. 132.2). L’impasto 6.2-6.2 var. sembra caratteristico soprattutto dei mattoni, di cui molti con gli stessi bolli che compaiono su tegole nello stesso impasto. L’impasto 6.2 caratterizza, oltre ai mattoni da colonna, anche tutti i mattoni di formato “speciale”, quali quelli da nervatura e da pozzo (Fig. 132.3); il sottotipo 6.2 var. è riservato invece alla formatura dei mattoni sesquipedali, in particolare tutti quelli bollati (Fig. 132.4). Impasti con differente concentrazione di inclusi corrispon- dono a laterizi di impiego diverso: a quelli destinati alla co- pertura dei tetti si richiede resistenza alle intemperie, pioggia e gelo in particolar modo, e quindi una consistenza molto compatta; i laterizi da costruzione, normalmente inglobati nelle murature poi rivestite dall’intonaco, si contraddistin- guono piuttosto per il maggior spessore e per le asperità della superficie, vantaggiose per l’adesione della malta. Ancora nel 1828 l’architetto Giuseppe Valadier, descrivendo «il modo di cavare e preparare le crete alla lavorazione di mattoni, ed altri oggetti inservienti alle fabriche», scriveva: «la creta…viene accumulata… in varie masse, divise per qualità: con le meno pure si fanno i mattoni; con le migliori tegole e canali; con le più pure di tutte condotti, vasi, ecc.» 6 . 1 DE MARINIS et ALII, 1994; DE MARINIS-PALLECCHI, Caratterizzazione, infra. 2 GIANNICHEDDA, 2003, p. 175. 3 V. nota 1. 4 Non sono stati considerati i laterizi ipercotti. 5 Su 96 tegole conservate durante lo scavo, 52 sono bollate; 44 non presentano bollo. 6 VALADIER, 1828, pp. 92, 96.

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Rassegna di Archeologia 22B/2006

Elizabeth J. Shepherd

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE

Nelle fornaci del Vingone si producevano laterizi da copertura (tegole, coppi, coppi con antefisse), da costruzione (mattoni di varie forme), da rivestimen-to strutturale (mattoni da pavimentazione, lastre per intonaco) e decorativo (terrecotte architettoniche). La certezza della produzione in loco è data dalla ge-nerale omogeneità degli impasti ceramici, identificati come locali in base alle analisi archeometriche1, e dalla presenza di numerosi elementi malcotti e scarti di fornace.

Nella descrizione dei laterizi ho cercato, per quanto possibile, di creare quel “catalogo dei difetti” e degli indicatori delle singole operazioni produttive, recentemente auspicato per lo studio degli impianti produttivi antichi2.

L’IMPASTO

L’impasto con cui vennero foggiati i laterizi è definito come Gruppo 6 nell’analisi effettuata da G. de Marinis e P. Pallecchi, cui rimando per una più approfondita descrizione archeo-metrica3. L’analisi macroscopica permette di suddividere l’impasto in due sottotipi, definiti 6.1 e 6.2, che si distinguono per una diversa consistenza del corpo ceramico e un diverso colore. Il sottotipo 6.1, generalmente rosso-arancio (Munsell 5 Y.R 5/8-6/8), è caratterizzato da un corpo ceramico com-patto, duro, ricco di inclusi di colore diverso (bruni, neri, rossi, bianchi) molto ben selezionati per quanto riguarda le dimensioni, con poca porosità apparente e una frattura netta. Il sottotipo 6.2, rosso-violaceo (Munsell 2.5 YR 5/8), è invece caratterizzato da una grande varietà di inclusi, soprattutto dal punto di vista dimensionale; è caratteristica di questo gruppo, oltre a fitti inclusi medi e grandi nei colori già elencati, la presenza di piccoli ciottoli arrotondati, spesso superiori al centimetro e oltre. Ne consegue, per questo impasto, un corpo ceramico poco compatto, ricco di cavità e facile alla sfaldatura, con fratture irregolari, frastagliate.Con 6.1 var. e 6.2 var. si sono indicati poi due varianti, au-topticamente molto simili ai sottotipi principali e dal corpo sostanzialmente identico, ma caratterizzati da una maggiore

quantità di inclusi; nel sottotipo 6.2 var. gli inclusi più fitta-mente presenti sono quelli di grandi dimensioni (Fig. 131).

Impasto 6.1 = compatto, inclusi ben assortitiImpasto 6.1 var. = compatto, con molti inclusi medi emer-gentiImpasto 6.2 = granuloso, con inclusi medi ben assortiti e alcuni inclusi grandiImpasto 6.2 var. = granuloso, con molti inclusi grandi

Dall’analisi autoptica è emerso che l’impasto 6.1 è quello con cui si realizza la maggior parte delle tegole (65 su un campione di 96)4, e all’interno di questo nucleo, la mag-gioranza delle tegole bollate (32 su un campione di tegole bollate pari a 52)5. Il sottotipo 6.1 var. caratterizza 19 tegole, di cui 8 bollate. Con l’impasto 6.2 sono realizzate 13 tegole su 96, tutte bollate.Passando agli altri tipi di laterizi, con l’impasto 6.1 sono realizzati tutti i mattoni circolari, alcuni coppi e mattoni da colonna (Fig. 132.1); con 6.1 var. la maggior parte dei coppi, molte lastre da intonaco, la maggior parte dei mattoni da colonna (15 su 26), alcuni sesquipedali e praticamente tutti i mattoni da pavimentazione (spicatum) (Fig. 132.2).L’impasto 6.2-6.2 var. sembra caratteristico soprattutto dei mattoni, di cui molti con gli stessi bolli che compaiono su tegole nello stesso impasto. L’impasto 6.2 caratterizza, oltre ai mattoni da colonna, anche tutti i mattoni di formato “speciale”, quali quelli da nervatura e da pozzo (Fig. 132.3); il sottotipo 6.2 var. è riservato invece alla formatura dei mattoni sesquipedali, in particolare tutti quelli bollati (Fig. 132.4).Impasti con differente concentrazione di inclusi corrispon-dono a laterizi di impiego diverso: a quelli destinati alla co-pertura dei tetti si richiede resistenza alle intemperie, pioggia e gelo in particolar modo, e quindi una consistenza molto compatta; i laterizi da costruzione, normalmente inglobati nelle murature poi rivestite dall’intonaco, si contraddistin-guono piuttosto per il maggior spessore e per le asperità della superficie, vantaggiose per l’adesione della malta. Ancora nel 1828 l’architetto Giuseppe Valadier, descrivendo «il modo di cavare e preparare le crete alla lavorazione di mattoni, ed altri oggetti inservienti alle fabriche», scriveva: «la creta…viene accumulata… in varie masse, divise per qualità: con le meno pure si fanno i mattoni; con le migliori tegole e canali; con le più pure di tutte condotti, vasi, ecc.»6.

1 DE MARINIS et ALII, 1994; DE MARINIS-PALLECCHI, Caratterizzazione, infra.2 GIANNICHEDDA, 2003, p. 175.3 V. nota 1.4 Non sono stati considerati i laterizi ipercotti.5 Su 96 tegole conservate durante lo scavo, 52 sono bollate; 44 non presentano bollo.6 VALADIER, 1828, pp. 92, 96.

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Fig. 131 – Vingone. Produzione laterizia in rapporto agli impasti.

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Fig. 132.1 – Vingone. Produzione laterizia in impasto 1.

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Fig. 132.2 – Vingone. Produzione laterizia in impasto 1 var.

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Fig. 132.3 – Vingone. Produzione laterizia in impasto 2.

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Fig. 132.4 – Vingone. Produzione laterizia in impasto 2 var. Fig. 133 – Vingone. Bolli su laterizi in rapporto agli impasti.

Anticipando qualche dato offerto dai bolli, esaminati in seguito, si può dire che l’esame della corrispondenza tra impasto, tipo di laterizio e bollo, oltre a confermare l’impie-go specializzato dell’impasto 6.1 per le tegole e di 6.2 per i mattoni, fa intravedere anche qualche dinamica produttiva

(Fig. 133). Nelle fornaci del Vingone esisteva una clientela che richiedeva/produceva esclusivamente laterizi da co-pertura: il bollo Sex. Avidi Maxsimi viene apposto solo su tegole di impasto del gruppo 6.1 e 6.1 var (16 esemplari in 6.1, 5 in 6.1 var.), mentre CAS (su 4 es.), CA (su 2 es.) e

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quasi tutti i bolli attestati singolarmente (6 su 7) compaiono esclusivamente su tegole con impasto di gruppo 6.1. Un bollo tuttavia è apposto su tegole di entrambi i gruppi: CASSI viene preferibilmente impresso su tegole in impasto 6.2 (6 es.), ma talvolta anche in impasto 6.1 (2 es.), e ciò potrebbe corrispondere a due commissioni distanziate nel tempo.Esiste poi un gruppo di bolli impressi sia su tegole che su mattoni sesquipedali; di questi CAH viene impresso o su tegole in impasto 6.2 (7 es.), o su mattoni di impasto 6.2 var (2 es.), che compaiono assieme in uno scarico unitario di scarti di cottura7 (v. infra) e attestano la contemporanea fabbricazione di forme diverse con lo stesso impasto, che nel caso dei mattoni viene arricchito degli inclusi idonei. I bolli dei Volasennae sono impressi o su tegole di impasto 6.1 e 6.1 var (2+1 es.), o su mattoni di impasto 6.2 var (1 es.); la tegola inv. 169416, in particolare, è stata trovata nello stesso scarico appena citato; poiché l’impasto è di tipo 6.1 ciò sembrerebbe dimostrare anche la possibilità di una scelta dell’impasto a seconda della committenza (se non da parte della committenza stessa). Infine, il bollo CACA compare solo su un mattone in impasto 6.2 var. In questi casi, oltre alla testimonianza della diversificazione nell’uso dell’impasto a seconda del materiale richiesto, si ha anche quella di una committenza articolata, che provvede a costruzioni di impegno diverso. Il ritrovamento ottocen-tesco nel centro di Firenze di un mattone con bollo CAC8, verosimilmente lo stesso attestato dal mattone vingonese CACA, sembra indicare varie possibilità per l’identificazione sociale dei committenti e la destinazione dei materiali con i loro bolli. In via di ipotesi, si potrebbe pensare che mentre chi bolla solo materiale di copertura è impegnato nella co-struzione di un insediamento della limitrofa centuriazione, chi bolla anche laterizi da costruzione potrebbe essere un committente di maggior respiro, implicato nelle forniture per la costruzione degli edifici di Florentia.

LATERIZI DA COPERTURA

TEGOLE PIANE

Nel descrivere una tegola definisco “ala” ciascuno dei due bordi laterali rilevati; “parte” e/o “margine superiore e inferiore” della tegola la parte e/o i margini orizzontali, così come identificabili osservando una tegola nella posizione di messa in opera sul tetto; “su-perficie superiore” e “inferiore” l’intera superficie piana che rimane esposta alle intemperie e quella sottostante che aderisce alla struttura del tetto (Fig. 134).

Le 96 tegole recuperate dai sondaggi del Vingone sono tutte del tipo rettangolare con sistema di as-semblaggio “ad incasso”, cioè per sovrapposizione9. L’incasso, di forma grosso modo parallelepipeda,

Fig. 135 – Vingone. Tegole ad incasso.

Fig. 134 – Vingone. Tegola piana: nomenclatura.

è ricavato nella parte esterna, più spessa dell’ala, in corrispondenza del solo spigolo inferiore e per metà altezza dell’ala stessa; è quindi invisibile ove si osservi la tegola di prospetto (Fig. 135, 1). La sovrapposizione fa sì che l’incasso della tegola su-periore combaci con la parte terminale dell’ala della tegola sottostante, garantendone una connessione ad incastro (Fig. 135, 2).

Le tegole vingonesi mostrano poche varianti nelle dimensioni, strettamente legate a quelle della cassa-forma lignea in cui venivano modellate. Le cassefor-me lignee, o mòdani, ripetevano infatti un modello di tegola rettangolare fortemente standardizzato, caratterizzato da ali spesse, dall’asportazione della loro estremità superiore (c.d. ritaglio) e dall’incasso sub-parallelepipedo nello spigolo inferiore esterno. Nelle fornaci vingonesi la misura base sembra esse-re di due piedi di lunghezza (59,2) per un piede e mezzo di larghezza (44,4); l’ala alta un palmo (7,4); lo spessore due digiti (3,6). Si riscontrano però alcu-ne oscillazioni, in media contenute tra <0,5 e ≤ 2,

7 V. infra (materiali da saggio M, 50).8 Per il bollo fiorentino v. SHEPHERD, Catalogo dei bolli, infra, s.v. CACA.9 V. più in dettaglio SHEPHERD, Appunti, infra.

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Fig. 136.1 – Vingone. Tegole: lunghezza.

Fig. 136.2 – Vingone. Tegole: altezza delle ali.

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attribuibili al naturale ritiro dell’argilla nella fase di asciugatura e di cottura10, e pochi casi di variazioni più importanti, dovute a casseforme di misura mi-nore (ad es. lu. 51 o 54) o maggiore (ad es. lu. 62 o 65). Minime variazioni secondarie, soprattutto nello spessore delle ali e nei dettagli di formatura e rifinitura, sono attribuibili semplicemente alla diversa manualità degli artigiani.

Negli esemplari in cui le dimensioni sono misura-bili, si constata che la lunghezza varia tra un minimo di 51 e un massimo di 65, con esemplari intermedi lunghi 54, 57-57,5; 59-59,5 (2 piedi); 60-62 (Fig. 136.1). La larghezza è invece regolarmente attestata sui 45-45,5 (± 1 cubitus o sesquipes = 1 piede e mezzo); solo eccezionalmente si hanno misure inferiori (35,7 e 42) e superiori (46 e 48). L’altezza dell’ala oscilla tra

6 e 7 (±1 palmus), con una maggiore attestazione di 6,8-7, ed eccezionalmente valori inferiori pari a 5,5 e superiori pari a 7,5 e 8,5 (Fig. 136.2). Lo spessore delle tegole, misurato nella parte mediana, varia tra 1,8 e 3,6 (rispettivamente 1 e 2 digiti), con la maggior parte delle attestazioni relative a valori compresi tra 2,2 e 3, passando per scarti di un millimetro, e la prevalenza di esemplari spessi 3 (Fig. 136.3).

Le differenze nelle dimensioni trovano spiega-zioni diverse a seconda dell’entità dello scarto tra i valori. Assumendo come misura base due piedi per un piede e mezzo, le variazioni inferiori contenute entro uno o due centimetri si possono spiegare con il ritiro dell’argilla in asciugatura e in cottura; le variazioni superiori devono invece necessariamente essere derivate dall’impiego di casseforme più grandi, così come le variazioni inferiori che superino i due centimetri (cioè ± 1 digitus) deriveranno dall’impie-go di casseforme più piccole. Dimensioni diverse possono essere motivate dalla richiesta di tegole di vario modulo in relazione al tipo e all’estensione del-la superficie da coprire, ma possono anche dipendere da un impiego diverso da quello della copertura (ad es. foderatura di canalette, pavimentazioni, ecc.)11.

Le misure più standardizzate sono in genere la lunghezza e la larghezza, cioè le misure che deter-minano l’area della tegola; ciò pare avvalorare la funzione di unità di misura anche patrimoniale, che com’è noto veniva attribuita alle tegole di copertura degli edifici12.

10 La percentuale di ritiro può oscillare tra il 10 e il 20%. VALADIER, 1828, p. 106 (20%); STEINBY 1973-1974, p. 125 (10% ca.); MATIJAŠIĆ, 1987, p. 500 (20%); CORSI, 1991, p. 24 (almeno 10%); KNOOP, 1992, pp. 222-223; WIKANDER, 1993, pp. 67, 105 (almeno 10%). Si veda anche CAMPAGNOLI, 1997, pp. 173-174, note 19 e 20; CAMPAGNOLI, 2000, p. 220, nota 23; e le conside-razioni metodologiche in WARRY, 2006, pp. 38-40.

11 STEINBY, 1973-1974, pp. 128-133; nel caso vingonese non è possibile pensare a differenze di modulo dipendenti da una diversa cronologia. Un chiaro esempio dell’impiego coevo di tegole di dimensioni anche molto diverse per usi differenziati è noto a Tarquinia: CIAGHI, 1993, p. 204; CIAGHI, 1999, pp. 9-10.

12 MINGAZZINI, 1956-1958, pp. 76-79; CRAWFORD, 1996, pp. 304, 310 (Lex Tarentina, ll. 26-32), 404, 438-439 (Lex Coloniae Genetivae, LXXVI); p. 304, con rif. alla tassa sulle proprietà del 43 a.C (Dio., XLVI, 31,3). V. anche STEINBY, 1973-1974, p. 125; CE-LUZZA, 1985, p. 33; GARNSEY, 1998, pp. 71-76; WARRY, 2006, p. 131.

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 169

13 SHEPHERD, Appunti, infra; WARRY, 2006, pp. 22-28, 58-73.14 Sulle varie tecniche di realizzazione dell’incasso o della risega (a mano libera con una lama, oppure previsto in cassaforma): STEINBY,

1973-1974, p. 124; ROOK, 1979, pp. 298-301; CELUZZA, 1985, p. 33; BERTI, 1987, pp. 901-912; UBOLDI, 1991, p. 147; CAPEC-CHI, 1994-1995, p. 507; WARRY, 2006, pp. 22-28.

15 In età postclassica sono noti anche modani di ferro, ugualmente conformati: v. ad es. il modano per tegole conservato nel Museo di Roma, datato al XVIII secolo, riprodotto in GIUSTINI, 1997, p. 64, fig. 24 (inv. 14562; fotografato capovolto).

16 «una cappia di spago grosso», «(tegola) sformata con lo spago girato all’intorno»: VALADIER, 1828, p. 106; BERTI, 1987, pp. 901-902 e fig. 4; CARNASCIALI-RONCAGLIA, 1986, tav. a p. 90; MENICALI, 1992, pp. 93-95. In ROOK, 1979, pp. 300-301, e WARRY, 2006, p. 28 e passim, si cita unicamente la tecnica di lavorazione e distacco per mezzo di un filo metallico in tensione, che però – credo – dovrebbe essere successiva alla rivoluzione industriale; le fonti rinascimentali parlano solo di spago: RONCAGLIA, Fornaci laterizie, infra.

Fig. 138 – Modano per tegole (Museo di Marsciano, PG).

Fig. 137 – Vingone. Incasso: criteri di misura.

Incasso e ritaglio; metodo di formatura

L’incasso, ricavato nella parte esterna, più spessa dell’ala, in corrispondenza del solo spigolo inferiore (Fig. 137), costituisce la caratteristica determinante per l’inquadramento tipologico delle tegole13. La lunghezza della cavità è di norma tra 7 e 8, con una maggioranza di attestazioni di 7,5-8; un unico caso presenta una misura inferiore (5,7) e due casi una misura superiore (9). Non sembra esserci un rapporto preciso tra dimensione dell’incasso e dimensione della tegola, dato che la tegola più piccola (lu. 51) ha l’incasso più lungo (9), mentre gli incassi più corti sono su tegole di dimensioni considerevoli (lu. 59,5); ciò potrebbe dipendere dalla necessità di un saldo ancoraggio tra tegole più piccole e leggere, mentre per le più grandi ciò veniva assicurato dal loro stesso peso. L’incasso delle tegole del Vingone è sempre previsto in cassa-forma14; l’analisi delle tracce sulle tegole, unita al confronto con la tecnica tradizionale di formatura artigianale, permette di stabilire la sequenza di lavorazione con una certa sicurezza. La cassaforma da tegole è costituita da quattro assi di legno, unite agli angoli probabilmente con giunti ad incastro; le assi laterali (a destra e sinistra) sono più alte di quelle orizzontali (in alto e in basso), poiché corrispondono all’altezza delle ali della tegola, così come le assi orizzontali corrispondono all’al-tezza del piano15 (Fig. 138). Le assi orizzontali, in prossimità degli angoli, presentano due tasselli parallelepipedi, larghi quanto lo spessore dell’ala che si vuole ottenere; la larghezza dei tasselli è maggiore nella parte anteriore della tegola, dove l’ala è più spessa, e minore dalla parte opposta, dove l’ala è più sottile. Una cordicella chiusa con un nodo, abbastanza lunga, passa dentro alla cassaforma (Fig. 139). Il lavorante, al momento iniziale della stesura dell’argilla nella cassaforma, inseriva due parallelepipedi di legno mobili, po-nendoli aderenti alle assi laterali, in corrispondenza degli spigoli interni della parte anteriore, quella più vicina a lui; stendeva quindi l’argilla ai lati, iniziando a formare le ali con l’aiuto di un regolo di legno. Questo, fermato dall’ostacolo rappresentato dai piccoli parallelepipedi posti sopra le assi orizzontali, for-mava l’ala pressandola contro il bordo laterale della cassaforma (Fig. 140). Successivamente l’ala veniva lisciata superiormente con le mani bagnate (Fig. 141.1); la solcatura che spesso viene rilevata alla base interna dell’ala spesso non è altro che il segno leggermente incavato lasciato dal regolo o dalla rifinitura manuale (ad es. inv. 255803). Le ali generalmente decrescono in altezza e spessore man mano che ci si avvicina all’estremità posteriore, dove possono terminare leggermente arretrate grazie all’asportazione (c.d. ritaglio) della parte finale. Al momento della sformatura, il filo veniva passato lungo tutto il margine della cassaforma, così da agevolare il distac-co della tegola16 (Fig. 141.2); la cassaforma veniva quindi

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Fig. 139 – Attrezzi per fabbricare tegole (da VALADIER, 1828).

Fig. 140 – Modo di fabbricazione delle tegole (da MENI-CALI, 1992).

sfilata dall’alto (Fig. 141.3). Successivamente si asportava manualmente l’estremità più sottile delle ali, così da ottenere i ritagli; le sagome degli incassi venivano quindi sfilati con un movimento orizzontale, strisciandoli sul piano di posa. Poiché la lavorazione della tegola veniva fatta a terra17, il movimento di sfilatura poteva causare qualche deformazione. Le tracce di compressione lungo il margine esterno inferiore del piano d’appoggio della tegola e anche degli spigoli interni degli incassi rivelano che il pezzo veniva quindi distaccato dal terreno per mezzo di un’altra cordicella, tenuta tesa con entrambe le mani18, così da evitare che aderisse eccessivamen-te al piano di posa (ad es. inv. 169420, 169459), ed infine lasciato ad asciugare.

La certezza che gli incassi fossero prodotti con l’ausilio di piccole sagome lignee è data dall’osservazione delle tracce lasciate dalla lavorazione, così come sopra descritta. Queste consistono nell’impronta delle fibre del legno con cui erano realizzate le sagome19 e, in un esemplare in cui l’argilla è penetrata un poco sotto alla sagoma, nella piccola cresta a rilievo così formatasi (Fig. 142, inv. 255842). Le sagome lignee dell’incasso erano di forma parallelepipeda, regolare (incasso tipo 2: Fig. 143, 2) oppure con la faccia superiore inclinata verso il basso (incasso tipo 1: Fig. 143, 1). Que-st’ultimo è il tipo assolutamente prevalente nella produzione vingonese. I ritagli parrebbero invece ricavati sezionando con una lama l’estremità superiore dell’ala e poi piegandola verso l’esterno; con un rapido ritocco manuale si lisciavano poi le tracce dell’asportazione (Fig. 144). È attestata anche, in tre casi20, la rifinitura manuale dell’estremità effettuata con il semplice smusso dell’ala, fino a raggiungere il piano.

Forma e profilo delle ali

È consuetudine, nelle peraltro rare edizioni di laterizi da copertura, pubblicare tavole di profili (o sezioni) dell’ala. Si tratta di una specie di tipologia “estrema”, che permette di

17 Al Vingone questo è certo: tegole di dimensioni così grandi e di peso così considerevole (27 kg ca. ciascuna, considerando che si tratta di argilla ancora umida) non possono essere state formate su un piano sollevato e poi posate ad asciugare, pena l’inevitabile distorsione dei pezzi; v. CARNASCIALI-RONCAGLIA, 1986, tav. a p. 88.

18 Gli spigoli inferiori della tegola, compressi dal filo che viene fatto passare sotto la tegola tenendolo teso con le due mani, presentano una sorta di smussatura obliqua, che non deve essere confusa con un ritocco successivo a lama metallica. Diverso è il caso del taglio obliquo dell’ala, che è un accorgimento tecnico per la sovrapposizione e lascia tracce ben più vistose: BRODRIBB, 1987, p. 13; CAPECCHI, 1994-1995, pp. 523-524; v. inoltre SHEPHERD, Appunti, infra.

19 V. esempi elencati in Fig. 147.20 Inv. 255826, 255842, 255841.

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 171

Fig. 142 – Vingone. Fuoriuscita dell’impasto sotto il cuneo per l’incasso (inv. 255803).

Fig. 143 – Vingone. Tipologia dei cunei e degli incassi.

Fig. 141.1 – Fabbricazione dell’ala (da CARNASCIALI-RONCAGLIA, 1986).

Fig. 141.2 – Distacco con la corda (da CARNASCIALI-RONCAGLIA, 1986).

Fig. 141.3 – Sfilamento della cassaforma (da CARNASCIA-LI-RONCAGLIA, 1986).

Fig. 144 – Vingone. Traccia della lavorazione del ritaglio (inv. 169453).

descrivere almeno una delle caratteristiche di questi oggetti anche quando, come spesso accade al materiale di scavo, nessuno dei tratti distintivi (lunghezza, larghezza, forma) sopravvive. Per lo stesso motivo si è a suo tempo teorizzata la possibilità di redigere tipologie sulla base dei soli spessori; in archeologia classica quest’ultimo tratto morfologico ha goduto di una certa attenzione nell’archeologia del costruito,

ELIZABETH J. SHEPHERD172

Fig. 145 – Vingone. Sezioni (profili) dell’ala di una stessa tegola.

Fig. 146 – Vingone. Sezioni (profili) delle ali (1. inv. 169453; 2. 255827; 3. 255803; 4. 169463; 5. 169459; 6. 169460; 7. 169457; 8. 169452; 9. 169458; 10. 169462).

21 Il criterio, ormai definitivamente superato, si basava sulla constatazione che lo spessore dei laterizi è spesso l’unica delle dimensioni originarie rilevabile nelle murature, soprattutto per la consuetudine di usare materiali fratti: LUGLI, 1957. Totalmente diverso è il caso delle dimensioni dei mattoni usate come criterio fondamentale per la stesura delle curve mensiocronologiche: v. da ultimo CAGNANA, 2000, p. 109-112.

22 KNOOP, 1992, p. 91; WIKANDER, 1993, pp. 27-29; WARRY, 2006, p. 3; inoltre CAMPAGNOLI, 1997, p. 183 e nota 19. Il profilo dell’ala assume invece un significato quando lo si veda insieme alla forma generale della tegola; infatti, unito all’altezza e all’incli-nazione dell’ala rispetto al piano, può fornire indizi anche (molto latamente) cronologici: STEINBY, 1973-1974, p. 125; WIKANDER, 1993, pp. 30-31; CICERONI, 1997, p. 89, con bibl. Sul problema dell’utilità dei profili anche CAPECCHI, 1994-1995, pp. 506-508; sul metodo di analisi: CAPECCHI, cit., pp. 518-520.

23 In teoria, per ottenere tavole di profili significativi in quanto rappresentativi della mano di un singolo lavorante si dovrebbero sezio-nare le ali sempre nello stesso punto, cosa che evidentemente non è quasi mai realizzabile, data l’estrema variabilità di conservazione dei frammenti di tegola nelle stratificazioni archeologiche; ma che potrebbe dare qualche risultato in più ove la si applicasse con rigore in tutti i casi di tegole intere (per es. quelle impiegate nelle canalizzazioni, nelle coperture a cappuccina, ecc.).

24 Per i quali v. infra.25 REBUFFAT, 2000, p. 164.

fin dal tempo della teorizzazione di moduli che fossero validi anche come base cronologica21.Considerata la tecnica di formatura delle ali, così come abbiamo visto poco sopra, Knoop e Wikander – e recentis-simamente Warry – a ragione hanno sostenuto che il profilo dell’ala non possa costituire di per sé la base di una tipologia (né, si potrebbe aggiungere, essere utile come confronto nel-l’attività di classificazione); la variabilità delle forme è infatti altissima, dato che le ali sono rifinite manualmente pezzo per pezzo e prive, per loro natura, di particolari caratterizzanti utilizzabili come spia di una produzione rispetto ad un’al-tra22. Anche all’interno di una stessa produzione accertata (in genere si tratta di una fornace o area di fornaci, come appunto a Vingone) non è agevole individuare la mano dei singoli lavoranti neppure sui singoli pezzi; una riprova che si è condotta, sezionando la stessa ala in tre punti diversi, ha dato infatti tre profili che in altre situazioni di scavo verrebbero considerati appartenenti ad esemplari diversi (Fig. 145). In considerazione del fatto che al Vingone ci si trova davanti a uno dei rari casi di produzioni ipoteticamente omogenee, ho scelto di proporre ugualmente una tavola dei profili at-testati (Fig. 146), che ovviamente mostrano un’innegabile aria di famiglia23. Tra i dati prestabiliti dalla cassaforma è stata misurata l’altezza delle ali, sempre nel tratto C/I laddove possibile, così da porre a confronto dati omogenei; vanno considerate infatti

le variazioni possibili nella stessa ala, una struttura che non rimane rigidamente uniforme, ma spesso tende ad assotti-gliarsi e a incurvarsi nel decrescere tra le estremità (si veda ad es. il prospetto laterale della tegola inv. 169456: Fig. 158, 2). Dall’analisi delle altezze delle ali emerge una netta prevalenza dei valori 6 e 7, e all’interno di questa una prevalenza dei 7, che può essere ritenuta l’altezza standard della gran parte della produzione vingonese (Fig. 136.2).

Trattamento delle superfici

La superficie superiore delle tegole è sempre ben lisciata, talvolta con tracce longitudinali lasciate dal regolo (tracce lineari, rigide) o dalla mano bagnata del lavorante (tracce ampie, spesso curvilinee); la superficie inferiore è sempre scabra e ingloba la sabbia sparsa sul piano di posa.

Solcature, ditate, impronte e tracce di lavorazione (Fig. 147)

Su 25 tegole (pari al 6% del campione conservato), ma anche su alcuni mattoni24, sono state riscontrate solcature semicircolari (in 2 casi ogivali), tracciate con uno, due, tre o quattro dita unite, sempre in corrispondenza del margine inferiore (settore F)25 (Fig. 148). La funzione di questi segni è dibattuta: vi si sono voluti riconoscere dei veri e propri marchi di fabbrica, delle sigle per il riconoscimento degli artigiani,

Fig. 147 – Vingone. Solcature, impressioni di polpastrello e tracce di lavorazione sui laterizi.

Inv., supporto (* = scarto) Provenienza Posizione di solcature, segni Bolli Fig.Ditate rettilinee

169443, tegola D, 28 Doppia ditata rettilinea, sopra il bollo C. Volasennae / Romani 148, a; 149169437, tegola I, 41 Ditata rettilinea, sotto il bollo Sex. Avidi. Maxsimi

Impressione a C

255887, mattone da nervatura PNR Una ditata ricurva 148, b; 1841 solcatura semicircolare

169459, tegola C, 15 Solcatura di forma ogivale 148, c; 159, 2169457, tegola C, 16 CAS 148, e; 158, 1255801*, tegola D, 27 Profonda ditata centrale entro l’arco della solcatura169418, tegola D, 38 Ditata a due dita, sul margine Sex. Avidi. Maxsimi255797, tegola Tr. 7-8, 47 Solcatura sotto il bollo Cassi

2 solcature semicircolari

169453, tegola C, 16; I, 41 Solcature di forma ogivale Sex. Avidi. Maxsimi 148, d; 159, 1169460*, tegola C, 14 148, f; 160, 1169568, tegola D, 39255795, tegola D, 39169463, tegola Fornace, 51169573, tegola M, 50 Ditata centrale entro le solcature CAH255875*, mattone sesq. M, 50 Solcatura sopra al bollo CAH

3 solcature semicircolari

255827*, tegola A, 1 148, g; 161, 2169567, tegola C, 13169456, tegola C, 19 CAS 158, 2169452, tegola D, 28 Sex. Avidi. Maxsimi255847, tegola D, 28 Abbassamenti di piano fatti con strumento rigido169446, tegola D, 38 [- - -]aeni O (sive corona)255799, tegola D, 39 Ditata centrale entro le solcature Sex. Avidi. Maxsimi255811, tegola L, 43255810, tegola L, 43

4 solcature semicircolari

169447, tegola D, 28 Bollo rett. liscio 148, h169429, tegola Fornace, 42 CAH169566, tegola I, 40 Ditata centrale entro le solcature 150169420, tegola M, 50 Traccia del margine del punzone CAH255833, tegola Superf.

Impressione del polpastrello

255801*, tegola D, 27 Profonda, centrale entro l’arco della solcatura169418, tegola D, 38 A due dita, sul margine inf. Sex. Avidi. Maxsimi169573, tegola M, 50 Centrale entro 2 solcature CAH255799, tegola D, 39 Centrale entro 3 solcature Sex. Avidi. Maxsimi169566, tegola I, 40 Centrale entro 4 solcature, doppia 150255829, tegola Superf. 166, b255830, tegola Superf.255856, coppo Superf.255857, coppo Superf. 166, a

Tracce di lavorazione: fabbricazione

169416, tegola M, 50 Tracce del regolo C. Volasennae / Romani255881, mattone sesq. Vi 0 Abbassamento di piano ad andamento semicircolare255841, tegola Superf. Ditata per spianare255793, tegola Tr. 7-8, 47 3-4 unghiate a cuneo Cassi

Tracce di lavorazione: cassaforma

169453, tegola C; I, 16; 41 Solcatura longitudinale su ala est. Sex. Avidi. Maxsimi169459, tegola C, 15 Traccia verticale vicino all’incasso; solcature longitudinali 151255826*, tegola PNR Traccia verticale vicino all’incasso255813, tegola PNR-G Traccia verticale a 39,5 cm da C Volasennae255803, tegola Fornace, 51 Fuoriuscita dell’impasto sotto il cuneo per l’incasso 142

Tracce di lavorazione: sfilatura dei cunei per l’incasso

169419, tegola I, 41 Ditata all’incasso per sfilatura del cuneo Sex. Avidi. Maxsimi 152169444, tegola Superf. Tre ditate all’incasso per sfilatura del cuneo CAH255814, tegola PNR-G Ditata all’incasso per sfilatura del cuneo [---]mmuni

Tracce di lavorazione: sfilatura della cassaforma

255800*, tegola D, 27 Grosse ditate sul margine e sull’estremità dell’ala255910*, mattone D, 37 Ditate di sollevamento sul margine255895, mattone D, 39 Ditate per sformatura169565, mattone M, 50 Ditate per sformatura

Tracce di lavorazione: realizzazione del ritaglio

255809, tegola Fornace, 51 Asportazione manuale di estremità dell’ala 144Tracce di lavorazione: bollatura

169420, tegola M, 50 Traccia del bordo del punzone (la. 7, sp. 0,3) CAH 153, 1255815, tegola PNR Traccia del bordo del punzone (lu. 2,6) Cassi 153, 2255816, tegola PNR Traccia del bordo del punzone (lu. 2,6) Cassi

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Fig. 148 – Vingone. Solcature (v. fig. 147).

Fig. 149 – Vingone. Solcatura a due dita sopra al bollo di C. Volasenna (tegola inv. 169443).

per il computo degli esemplari, per la distinzione delle singole partite26. Si è sostenuto che la solcatura venga sempre impressa prima del bollo27: nel contesto vingonese però esistono casi in cui la solcatura è stata impressa dopo il bollo (Fig. 149)28, confermando il ruolo di test di essiccatura e forse anche di contrassegno interno al processo di formatura. Una tegola e un mattone presentano, al posto della solcatura manuale, un abbassamento del piano ad andamento semicircolare operato con uno strumento, forse lo stesso regolo per la lisciatura29. In alcuni laterizi vingonesi compare inoltre l’impressione di un polpastrello a metà del margine inferiore (settore F), a 2,5-3-3,5 dal bordo, in una posizione che viene ad essere centrata alla base delle solcature; in un unico caso

26 In generale: BRODRIBB, 1979; BRODRIBB, 1987, pp. 99-101; WARRY, 2006, pp. 14-16, 90-91. Esempi: GOULPEAU-LE NY, 1989; UBOLDI, 1991, 148, tav. CCV, nn. 1-8; FACCHINI, 1992; BASSI, 1995, p. 97; REBUFFAT, 2000, pp. 164-168 (su mattoni: «un moyen de classification ou de repérage»); JONCHERAY-JONCHERAY, 2004, pp. 53, 128-133. Le solcature sono talvolta dette “marcature”: Pistoia II, 1987, pp. 97, 296-299, 778 (G. Capecchi); CAPECCHI, 1994-1995, p. 530 con bibl. Di tipo diverso e di forma molto più varia ed articolata sono le solcature sui mattoni crudi in Mesopotamia ed Asia Centrale, per le quali è più facilmente intuibile un uso amministrativo-contabile: LECUYOT-RAPIN, 2000, pp. 37-38; LERICHE, 2000, pp. 25-27.

27 BRODRIBB, 1979, pp. 211-212.28 Tegola inv. 169443; mattone inv. 255875.29 Tegola inv. 255847; mattone inv. 255881.30 P. Warry interpreta questa impressione, che nelle tegole britanniche da lui esaminate è però sempre collocata all’altra estremità della

tegola, come “foro cieco” in previsione del fissaggio con un chiodo alla struttura lignea del tetto; le tegole con questa impressione sarebbero pertanto tegole di gronda, destinate ad essere collocate nella prima fila, sul margine esterno del tetto, e il foro sarebbe stato aperto solo al momento della messa in opera: WARRY, 2006, p. 17. Al Vingone l’impressione compare però all’estremità opposta (dove le tegole non si inchiodano) e al culmine dei coppi, per i quali non esiste attestazione (né possibilità) di chiodatura.

31 Da ultimo WARRY, 2006, p. 15.

l’impressione è fatta con due dita unite (Fig. 150)30. L’impres-sione singola compare anche su alcuni coppi (Fig. 166, a). La presenza non costante delle solcature e delle impres-sioni di polpastrello viene in genere spiegata con l’ipotesi che solo la fila più esterna delle tegole stese ad asciugare venisse marcata (tutta o in parte)31; dai carichi di materiale

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 175

Fig. 150 – Vingone. Solcatura a quattro dita e doppia impressione di polpastrelli (inv. 169566).

da costruzione su relitti sappiamo però che in almeno due casi (Roches d’Aurelle e Calanque de l’Âne), ammontanti a diverse centinaia di tegole, tutte presentavano solcature, ma purtroppo si ignorano il numero di solchi e la loro presenza percentuale32. A questo proposito un dato interessante è fornito dall’analisi del materiale recuperato nel saggio M, strato 50, uno scarico unitario di scarti di cottura. In esso sono presenti tre tegole (impasto 6.2) e un mattone sesquipedale (impasto 6.2 var.), tutti bollati con la sigla CAH; di questi, due tegole presentano 4 solcature, una tegola e il mattone 2 solcature; la tegola a 2 solcature presenta anche un’impressione di polpastrello, centrata. Trattandosi dello scarico di un’unica infornata, avremmo qui la testimonianza che nel carico di tegole e mattoni bollate CAH erano presenti contemporaneamente solcature a 2 e a 4 solchi, con o senza impressione (e anche, a latere, che nella stessa infornata erano presenti tegole bollate da più personaggi: CAH e C. Volasennae Romanus). Consi-derata la presenza di vari gradi di penetrazione dei solchi e delle impressioni nella superficie delle tegole, e di solchi in numero diverso, l’ipotesi più verosimile è che si tratti di test dello stadio di asciugatura, effettuati forse anche a più riprese in corrispondenza di operazioni successive33. Sembrerebbe infatti che in una prima fase si verificasse lo stadio di essic-camento in modo da poter imprimere il bollo; poi ancora, in una o più fasi intermedie, in modo da poter arrivare a disporre le tegole di taglio per completarne l’asciugatura, prima di avviarle alla fornace. Le solcature potevano quindi essere impresse solo quando le tegole erano stese per terra. In teoria, ad ogni controllo poteva essere aumentato di una unità il numero di solcature parallele, effettuandole su una tegola sempre diversa. Si sarebbe ottenuto così anche una semplice ma immediata forma di registrazione visiva dello

32 Relitti: BERATO et ALII, 1986, pp. 191-216; POLLINO et ALII, 1987; XIMÉNÈS-MOERMAN, 1994; JONCHERAY-JON-CHERAY, 2004. V. anche SHEPHERD, Appunti, infra.

33 CRAM-FULFORD, 1979, p. 206. 34 Ad es. WARRY, 2006, pp. 14-16, ritiene che le solcature siano un vero e proprio marchio di riconoscimento dell’artigiano che fabbrica

la tegola; si avrebbero quindi squadre di almeno quattro artigiani che contrassegnano il proprio lavoro con 1, 2, 3, 4 o più solcature. È evidente che in assenza di considerazioni statistiche estese a campioni numericamente consistenti, su base sovraregionale, il problema della funzione delle solcature è destinato a rimanere irrisolto.

35 WARRY, 2006, p. 35, ritiene che tracce simili sull’ala esterna siano causate dai movimenti di sformatura della cassaforma. Non sembra essere il caso vingonese, dove le impronte sono sempre linee rette. Linee curve derivanti dalla sformatura sono invece visibili in Fig. 151, sulla metà destra.

36 VALADIER, 1828, p. 106.

Fig. 151 – Vingone. Tracce di lavorazione sul margine esterno dell’ala (inv. 255813).

Fig. 152 – Vingone. Tracce della presa manuale dei pezzi (inv. 255800).

stato di asciugatura, e del tempo ancora necessario per l’av-vio alla cottura. Ma in questo caso, man mano che le ditate passavano da una a quattro, le relative impressioni avrebbero dovuto essere sempre più leggere, in conseguenza del maggior grado di asciugatura raggiunto dall’impasto; fenomeno che però non pare verificarsi così regolarmente34. Le assi della cassaforma potevano lasciare tracce impresse sul lato esterno delle ali (venature del legno, impronte di chiodi). Alcune impressioni verticali possono essere la traccia di giunzioni nelle assi, o del filo che doveva poi servire per la sformatura35 (Fig. 151).Su numerosi esemplari, di tegole come di mattoni, sono presenti inoltre tracce della presa manuale dei pezzi (per es. nelle operazioni di sformatura: Fig. 152) o della rifinitura fi-nale di piccole imperfezioni. Può essere interessante, a questo riguardo, riportare quanto notava il Valadier: «affinché venga il piano e le sue sponde più uguale e netto vi si adoprerà una riga, detta dai fabbricatori la stecca (le sponde devono restare un po’ più grosse alla base dove poggiano)…si leva la forma e si assestano le teste dei bordi con le dita, dando loro un poco di smusso, affinché siano meno soggetti a rompersi»36.

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Inv. Provenienza Posizione Tipo Supporto Fig. 169453 C, 16; I,41 A-I 8 impronte di cane tegola Fig. 159.1255826 PNR A, D, G Impronta di cane tegola255858 PNR-G Impronta di cane coppo255793 Tr. 7-8, 47 D/F Impronta (cane?) tegola255803 Fornace, 51 A, D-E, G-I 2 impronte di cane tegola Fig. 161.1169458 C, 18 A-I Impronta di riccio? tegola255888 PNR - Impronta di roditore (topo?) mattone da nervatura

Fig. 154 – Vingone. Impronte animali su laterizi.

Fig. 153 – Vingone. Tracce dei punzoni per imprimere i bolli (1. inv. 169420, bollo CAH; 2. 255815, bollo Cassi).

Infine, si sono conservate alcune tracce dei punzoni usati per imprimere i bolli. In un caso (su tegola inv. 169420, con bollo CAH) il punzone è stato appoggiato di taglio, col lato lungo a contatto con la superficie: l’impressione che ne risulta sembra indicare la presenza di una lamina metallica ripiegata alle due estremità del punzone, forse su un’anima di legno (Fig. 153.1). Sul lato breve destro di due bolli Cassi (su tegole inv. 255815, 255816) è invece visibile la traccia dell’estremità ripiegata del punzone, impressasi più profon-damente nel momento di sollevarlo (Fig. 153.2). Impronte animali L’analisi delle impronte lasciate da animali sui laterizi stesi ad asciugare costituisce un interessante valore aggiunto nello studio del paesaggio in cui si collocavano le attività delle fornaci37. Un nucleo di laterizi provenienti dallo scavo delle terme romane di Piazza della Signoria, a Firenze, presentava numerose impronte di cani, volpi, pecore, caprioli che, as-sociati a quelle di foglie di quercia, lasciavano intravedere la localizzazione delle figline di origine ai margini dei boschi, che dovevano allora essere numerosi sui rilievi circostanti la città38. Nel caso dell’area del Vingone si hanno prevalen-temente tracce di animali domestici (cani di taglia media, in un caso in corsa; un gatto) (Fig. 154; Fig. 159, 1; Fig. 161, 1). Impronte su una tegola e su un mattone, non ben leggibili perché lasciate sull’argilla già abbastanza asciutta, appartengono forse a un riccio e a un piccolo roditore. Sono assenti invece tracce di animali selvatici di grande taglia o

da allevamento; ciò fa pensare ad un’area ben custodita per mezzo di recinzioni, dove anche il cane avrà svolto la sua parte a garanzia della sicurezza notturna dell’opificio.

CATALOGO DELLE TEGOLE PIANE

Il catalogo consiste nella schedatura individuale di 9 esem-plari integri o lacunosi che conservano le dimensioni e gli espedienti tecnici utili per l’inquadramento tipologico, cui si aggiunge una tabella (Fig. 155) dove sono analizzati tutti gli esemplari recuperati nello scavo. Per la schedatura delle tegole e dei coppi ho fatto riferimento allo schema propo-sto dalla tabella Prodotti laterizi e coroplastica architettonica dell’ICCD, secondo la quale l’oggetto è sottoposto ad una griglia standardizzata, contrassegnata dalle lettere da A a I, che permette il riferimento immediato alla parte conser-vata39 (Fig. 156, 1). Però, sulla scorta delle osservazioni di metodo proposte da G. Capecchi40, uso un disegno di base ribaltato rispetto a quello dello schema ICCD che, senza alcuna motivata ragione, raffigura una tegola capovolta rispetto alla realtà della messa in opera. Nella realtà la parte destinata all’incastro viene a trovarsi in basso rispetto a chi guarda, mentre quella destinata ad essere coperta dalla tegola superiore è, di necessità, in alto (Fig. 156, 2). Le dimensioni sono sempre espresse in centimetri, il peso in chili. Ove necessario, viene fatto riferimento alla griglia

37 CRAM-FULFORD, 1979; BRODRIBB, 1979, p. 215; CAMPAGNOLI, 2000, p. 95, tav. 3.3-8. Per le tracce su coppi e mattoni, v. anche infra.

38 SHEPHERD, 1985, p. 56 (esame delle impronte: C. Corridi).39 Norme ICCD, pp. 72-75. Lo schema è simile a quello proposto da DI STEFANO MANZELLA, 1987, pp. 171-176, p. 173 fig. 207

(schema di codificazione n. 2 per specchio epigrafico quadrilatero trapezoidale, suddiviso in nove porzioni).40 CAPECCHI, 1994-1995, p. 519, nota 26.

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 177

Fig. 155 – Vingone. Tegole (* = deformate, ipercotte o scarti) (segue).

Inv.(* = scarto)

Saggio Parte conservata

Lu. La. Ala h Sp. Incasso tipo 1 Incasso tipo 2 Ritaglio Munsell Bollo e annotazioni

255827* A, 1 B-C,D-F,H-I >51 46 6,5 3 7x3 - 4x2,5-3,5 - - 5 YR 6/2255828 A, 1-2 E >10,8 >6,5 - 2,7 - - - 5 YR 6/6 M. Umbric[i - - -]255822* A, 5 E >13 >11 - 2,8 - - - Gley 2 5/10b M. R +[- - -]

255805 A, 5 + I, 41 E >14,5 >18 - 2,3 - - - 2.5 YR 5/6 Sex. Avidi Maxsimi

169462 B, 17 G-I 61 >25 6,8 3 - 7,5x5-4,5x2,5 6,5x2,5x2 2.5 YR 6/8255804 B, 17 E >28 >14 - 2,3 - - - 5 YR 5/8255808 B, 17 C, F, I >26 47 7 2,9 8x6x2,5 - - 2.5 YR 5/6255824 B, 17 E >10,5 >8 - 2,5 - - - 5 YR 6/6 CA169567 C, 13 C, F, I >25 45 7 3 7,5x5,5-3,5x3 - - 5 YR 6/8 Rotta in antico

255802* C, 13 E - - - - - - - Gley 2 4/10B

Gruppo 13x21x18 di 4 tegole frr. vetri-ficate (aderenti a mattone da spicatum)

169428 C, 13 E >13 >10,5 - 3 - - - 5 YR 6/8 CAS255812 C, 13/1 E-F >10,5 >10,5 - 2,6 - - - 2.5 YR 5/8 Cassi169460 C, 14 D-I 59 42 7 2,6 7x4 – 3,5x 3-2,5 - 7x4,5x2 5 YR 6/6169459 C, 15 A-B, D-E, G-H 59,5 46 6,9 2,7 7x5 – 3,5x4-3 - 7x4,5x2 2.5 YR 6/4169457 C, 16 A-I 60 45 6,4 2,4 7,5x3-5x2,5 - 7,5x4x2,5 5 YR 6/8 CAS169458 C, 18 A-I 54 45 6,9 3 8x5–3,5x3,5 - - 5 YR 6/8 CA169456 C, 19 A-I 65 45,5 6,8 2,7 7,5x5-3,5x3 - 7x3x2 5 YR 6/6 CAS 169427 * D, 21 F >17,5 >5 - 2,7 – 2,4 - - - 5 YR 6/8 CAH255800 * D, 27 A >26 >23 6 3 - - 6x4x2,5 2.5 YR 4/3255801 * D, 27 F, I >16 >23 ±7 2,8 7x5x2,5 - - Gley 1 4/N255806 D, 28 E >13 >7 - 2,5 - - - 5 YR 6/8255846 D, 28 E >11 >14 - 2,2 - - - 5 YR 6/8255847 D, 28 D-I >15 >9,5 - 2,8 - - - 2.5 YR 6/8

169443 D, 28 C-F >20,5 >19 6 2,7 5,7x4 – 3,2x2 - - 7.5 YR 6/8 C. Volasennae / Romani

169438 D, 28 E >8 >11 - 3 - - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

169450 D, 28 E >13,8 >17 - 2,4 - - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

169452 D, 28 B-C; E-I 51 45 6 2,3 – 2,5 9x3x2,5 - - 5 YR 6/8 – 5/8 Sex. Avidi Maxsimi

169569 D, 28 E >12,5 >9,3 - 2,2 - - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

169445 D, 28 E >7,5 <7,5 - 1,8 - - - 5 YR 6/8 L. Comm[- - -]

169447 D, 28 F >12 <13 - 2,5 - - - 5 YR 6/8 Rettangolare illeggibile

169454 D, 29 E >12,5 >10 - 2,2 - - - 5 YR 6/8 [- - -]us

169451 D, 36 E >10 >8 - 2,1 - - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

255848 D, 36 E >6,5 >5,5 - 2,5 - - - 5 YR 6/6 Sex. Avidi Maxsimi

169418 D, 38 B-C,E-F,H-I >26,2 >38,5 - 3,5 8 - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

169446 D, 38 E-F, H-I >32,5 >24,5 8 3,6 7x5,5-4x2,5 - - 5 YR 6/8 ]aeni O sive corona

169568 D, 39 F >10,7 >13 - 1,9 - - - 2.5 YR 6/8255795 D, 39 E >7,5 >8,5 - 1,9 – 2,2 - - - 5 YR 5/8255796 D, 39 I >5,5 >5 - >2,5 - - - 5 YR 6/8

169440 D, 39 E >15 >18,5 - 2,8 - - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

169441 D, 39 E >12 >15 - 1,8 - - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

255799 D, 39 C, F, I >35,7 45 5,5 2,4 7x5,5-4x2,5 - - 2.5 YR 5/8 Sex. Avidi Maxsimi

169429 Fornace, 42 F >23,5 >21,5 - 2,5 - - - 5 YR 6/8 CAH169571 Fornace, 42 D/F >16,6 >15 - 3 - - - 2.5 YR 6/6

255794 Fornace, 42 E >13 >12,3 - 2,5 – 2,8 - - - 5 YR 6/6 Sex. Avidi Maxsimi

ELIZABETH J. SHEPHERD178

Fig. 155 – Vingone. Tegole (* = deformate, ipercotte o scarti).

Inv.(* = scarto)

Saggio Parte conservata

Lu. La. Ala h Sp. Incasso tipo 1 Incasso tipo 2 Ritaglio Munsell Bollo e annotazioni

255803 Fornace, 51 A, D-E, G-I 57,5 45 7,5 2,5 7,5x5x2,5 - 7,5x3,5x2,5 2.5 YR 5/4169461 * Fornace, 51 A-B,D-E,G- H >36,8 45 7 2,8 7x5x2,5 - 6x4x2,5 5 YR 6/6169463* Fornace, 51 A, D,G-I 57 44 7 2,6 8x5x3 - - 2.5 YR 5/4255809 * Fornace, 51 D-E,G-H >36 39,5> 8,5 3 – 3,7 - - 6x3,2x2 10 R 5/8

169449 G, 26 E >12 >13,5 - 1,8 - - - 5 YR 6/6 Sex. Avidi Maxsimi

169566 I, 40 C, F, I >28,5 48 7 3,3 - 7,5x4,5-3,5x3 - 5 YR 6/8

169436 I, 41 E, H-I >40 >24 6 2,7 8x4-3x3 - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

169419 I, 41 B-C >31 >20 6,5 3,5 7,5x4x2,5 - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

169437 I, 41 E >9 >15 - 2,8 - - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

169453 I,41 + C,16 A-I 62 45,5 6 2,5 - 2 - 8x4,5x3 7,5-8x3x2 5 YR 6/8 – 5/8 Sex. Avidi Maxsimi

255811 L, 43 F >11 >7,5 - 2,5 - - - 2.5 YR 6/8255810 L, 43 E, F >9,5 >10 - 2,2 - - - 2.5 YR 6/8169420* M, 50 F, I >22,5 >27,5 7 3 8x4,5x2,5–4,5 - - 5 YR 6/8 CAH

169416 M, 50 E >12,5 >20 - 2,8 – 3 - - - 5 YR 7/6 C. Volasennae / Romani

255798 M, 50 E >11 >9,5 - 3,1 - - - 5 YR 6/8169573 M, 50 E-F >10,8 >14,5 - 2,6 - - - 10 R 5/6 CAH255845 PNR B/H >21 >22 6,5 2 - - - 5 YR 6/8256009* PNR G >31 >17 6,5 2,5 ±5x3x1,5 2.5 YR 5/4255793 Tr. 7-8, 47 F >25 >32 - 3 - - - 5 YR 6/8 Cassi255797 Tr. 7-8, 47 F >17,5 >15,7 - 3 - - - 5 YR 5/8 Cassi169444 Vi 0 I >26,5 >17,3 7 3 7,5x5 – 2,5x2,5 - - 5 YR 6/6 CAH

169442 Vi 0 E >25,5 >32,5 - 3,3 - - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

169455 Vi 0 I >24 >16,5 6,8 3,1 9x5,5-4x2 - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

255823 Vi 0 E >14 >8 - 3,5 - - - 5 YR 5/6 CAS

255807 Vi 0 F, I >00 >00 7 2,3 9x4x2,5 - - 2.5 YR 4/8 Sex. Avidi Maxsimi

255819 PNR B,E >27 >26,5 7 3 - - - 2.5 YR 5/8 Cassi255816 PNR E-F >26,3 >17,8 - 2,4 – 2,9 - - - 5 YR 6/8 Cassi255826* PNR A, D, G >26 44 7 3 - - 7x3x3 2.5 YR 5/8255815 PNR E >11,5 >12,2 - 3 - - - 10 R 5/6 Cassi255820 PNR E >9 >10 - 2,8 - - - 2.5 YR 5/6 Cassi255821 PNR E >8 >6,5 - 1,9 - - - 2.5 YR 6/8 Cassi

255825 PNR E >5 >5,5 - 2,5 - - - 5 YR 6/8 Sex. Avidi Maxsimi

255831 PNR I >11 >11,5 7 2,5 7,5x4-3,5x3 - - 5 YR 6/8255832 PNR G >17 >10 6,5 2 – 2,5 - - 6,5x3,5x2 5 YR 6/8255833 PNR F >12 >20 5 3 - - - 2.5 YR 6/8255834* PNR G, H >43 >27 6 – 5 3 - - 5,5x3,5x2,3 2.5 YR 5/4255835 PNR C >28 >12 7,5 3,5 - 8x5,7x2,5 - 5 YR 5/8255836* PNR I >39 >15 7 3,3 7x5-3x4,5-2,5 - - 2.5 YR 4/6255837* PNR I >15,5 >12 6,5 3 8x3,5x4-2 - - 2.5 YR 4/4255838 PNR I >28,5 >16 6,5 3,5 7,5x3-4,5x3-4 - - 5 YR 6/8255839* PNR C >35 >19 6 3 7x3-4,5x1,5-3 - - 5 YR 5/2255840 PNR C >26 >25 7 3 7x3-5x3-4,5 - - 5 YR 6/8255841 PNR A >21 >33,5 7,5 2,5 - - 7x3,5x2,5 5 YR 6/8255842 PNR G >21 >14 7 3 - - 8x4x2,5 5 YR 6/8255843* PNR C >35 >32 6,5 3 - 7x3-4,5x3-3,5 - 2.5 YR 5/2255844* PNR G >20 >19 7,5 3,5 - - - 5 YR 4/2255813 PNR-G B,C,E,F >41 >25,5 7,5 2,5 7,5x6-4,5x2 - - 5 YR 6/8 Duo Volasennae255814 PNR-G E-F, H-I >27,5 >25 6 3 7,5x3,5-1,5x3 - - 5 YR 5/6 [- - -]mmunis 255817* PNR-G E-F >11 >13 - 2,9 7x5-3x±2,5 - - 5 YR 5/6 CAH255818* PNR-G F, I 6,5 2,2 - - - 5 YR 5/6 CAH255829 PNR-G F - 2,5 - 3 - - - 5 YR 6/6255830 PNR-G F >13 - 2,5 - 3 - - - 5 YR 6/8

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 179

Fig. 156 – Schema di suddivisione di una tegola (1. da Manuale ICCD, 1986; tegola capovolta; 2. realistico, tegola dritta).

Fig. 157 – Incasso: schema delle misure.

(per es. “la. A-G” è la larghezza del margine superiore, nella porzione che comprende A, D, G, quindi nella sua interezza). Le misure dell’incasso e del ritaglio (l’asportazione dell’estre-mità superiore dell’ala) sono date nell’ordine della lunghezza, altezza, larghezza (Fig. 157). I bolli sono più ampiamente descritti nel catalogo loro dedicato, infra. Tegola (Fig. 158, 1)C, 16. Inv. 169457. Intera, in 4 frr. Lu. 60; la. A-G: 45; la. C-I: 45; sp. D: 2,4; sp. F: 2,4; alt. ala 6,4; incasso 7×3-5×2,5; ritaglio 7,5×4×2,5. Peso 14,20.Tracce della cassaforma lignea sulla superficie esterna delle ali, con solco verticale all’attacco della parte piana. Incasso tipo 1. Bollo in E, senza cartiglio, a lettere incavate; la. 3,7. Testo: CAS, impresso diritto; alt. lettere 1,8. Una solcatura semicircolare al margine F.Impasto 6.1 (Munsell 5 YR 6/6-6/8-5/8).Tegola (Fig. 158, 2)C, 19. Inv. 169456. Lacunosa, in 8 frr. Scarto di fornace, malcotto, spezzato in antico. Lu. 65; la. A-G: 45,5; la. C-I: 45,5; sp. D: 2,7; sp. F: 2,7; alt. ala 6,8; incasso 7,5×5-3,5×2,5-3; ritaglio 7×3×2. Peso 14,20.

Incasso tipo 1. Bollo in E, senza cartiglio, a lettere incavate; la. 4. Testo: CAS, impresso diritto; alt. lettere 1,8. Tre sol-cature concentriche al margine F. Impasto 6.1 (Munsell 5 YR 6/6). Tegola (Fig. 159, 1)C, 16; I, 41. Inv. 169453. Intera, in 4 frr. Lu. 62; la. A-G: 45,5; la. C-I: 45,5; sp. D: 2,5-2; sp. F: 2,5-2; alt. ala 6; incasso 8×4,5×3; ritaglio 7,5-8×3×2. Peso 14,76.Incasso tipo 2. Due bolli in C ed in E, in cartiglio a ferro di cavallo; a) testo: SEX.AVIDI.MAXSIMI, lettere a rilievo; impresso capovolto, legg. obliquo verso H; la. alla base 10; alt. lettere 1,8; b) liscio, da punzone molto consunto, im-presso con la base parallela all’ala in C; la. alla base 10. Tre solcature concentriche, di forma ogivale, al margine F. Tracce della cassaforma; tracce del ritaglio alle estremità superiori delle ali; solcatura longitudinale sull’ala G-I. Otto impronte di cane sulla superficie superiore, in varie direzioni. Impasto 6.1 (Munsell 5 YR 6/8-5/8).Tegola (Fig. 159, 2)C, 15. Inv. 169459. Lacunosa (parte G-H), in 11 frr; inte-grata. Deformata per eccessiva cottura. Lu. 59,5; la. A-G: 46; la. C-I: 46; sp. D: 2,7; sp. F: 2,7; alt. ala 6,9; incasso 7×5-3,5×4-3; ritaglio 7×4,5×2.Incasso tipo 1. Tracce della cassaforma lignea sulla superficie esterna delle ali, con solco verticale all’attacco della parte piana; compressione da filo sugli spigoli inferiori. Solcatura piccola, ogivale, in F. Impasto 6.1 (Munsell 2.5 YR 6/4-6/6).TegolaC, 18. Inv. 169458. Lacunosa (manca la sommità di A, D, G), in 10 frr. Lu. 54; la. A-G: 45; C-I: 45; alt. ala 6,9; sp. 3; incasso 8×5-3,5×3,5. Incasso tipo 1. Bollo in E, senza cartiglio, a lettere incavate; la. 2,8; alt. lettere 1,8. Testo: CA; impresso diritto. Impronta di uccello o roditore, poco impressa.Impasto 6.1 (Munsell 5 YR 6/8).Tegola (Fig. 160, 1)C, 14. Inv. 169460. Lacunosa (parte A-C), in 2 frr. Lu. 59; la. A-G: 42; la. C-I: 42; sp. D: 2,6; sp. F: 2,6; alt. ala 7; incasso 7×4-3,5×3-2,5; ritaglio 7×4,5×2.

ELIZABETH J. SHEPHERD180

Fig. 158 – Vingone. Tegole (1. inv. 169457; 2. inv. 169456).

Fig. 159 – Vingone. Tegole (1. inv. 169453; 2. inv. 169459).

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 181

Fig. 160 – Vingone. Tegole (1. inv. 169460; 2. inv. 169463).

Fig. 161 – Vingone. Tegole (1. inv. 255803; 2. inv. 255827).

ELIZABETH J. SHEPHERD182

Inv. (* = scarto) Provenienza Parte conservata h Lu. La. (corda) Sp. Superficie Lisciatura sup. Fig.255855 PNR B, E, H 9,7 >45,5 19 1,5-2 5 YR 6/8255853* I, 40 A-B, D-E, H 9 >41,5 19 2,1 5 YR 6/6 163, 4255852 D, 39 B/H >7,5 >23 >12,8 1,4-1,8 5 YR 6/8 163, 1255851 D, 39 B/H >9 >22,7 >10 1,9 5 YR 5/6 Striature a ventaglio 163, 2; 165, 1255850 D, 39 A/I >9,5 >22,5 >6,5 2-2,4 2.5 YR 5/6 Striature vert. parallele 163, 3; 166255856 PNR-G D/F >10 >20,5 >13 2-2,5 2.5 YR 6/8 Striature vert. parallele255860* PNR A/H >6,3 >18 >7 2 5 YR 5/3255863 PNR C/G >9,5 >16 >6 2 2.5 YR 7/8 Striature vert. parallele255859* PNR A/I >10 >15 >14 2,3 5 YR 6/8255861 PNR B/H >9 >15 >7 2 2.5 YR 4/6255866* PNR A/I >10 >14,5 >7 2 2.5 YR 4/4255849* C, 13 E >10,5 >13,5 - 2,1 7.5 YR 5/3255868 PNR B/H - >12,5 >15 1,7 5 YR 6/8255865 PNR E >11 >12 >16 2,5 7.5 YR 5/3255864* PNR E >11,5 >9 >7,5 1,7 5 YR 5/4255862 PNR B/H >9,5 >9 >10,5 2 5 YR 6/8255867* PNR C/G >10,5 >8,5 >12 1,5 2.5 YR 3/6255857 PNR-G D/F >8 >8 >13 1,7-2 2.5 YR 7/8 Striature vert. parallele255854* I, 40 D/F - >6,5 >8 1,9 5 YR 5/6255858 PNR-G E >7,5 >4,5 >7 2 2.5 YR 6/8

Fig. 162 – Vingone. Coppi (* = deformati, ipercotti o scarti).

Incasso tipo 1. Due solcature concentriche al margine F. Impasto 6.1 (Munsell 5 YR 6/6-6/8-5/8).Tegola (Fig. 160, 2)Fornace, 51. Inv. 169463. Lacunosa (parte B-C, F), in 10 frr. Cottura eccessiva. Lu. 57; la. A-G: 44; sp. 2,6; alt. ala 7; incasso 0×0,0×0,0.Incasso tipo 1. Impasto 6.1 (Munsell 2.5 YR 5/4, 7.5 YR 5/3).Tegola (Fig. 161, 1)Fornace, 51. Inv. 255803. Lacunosa (B, C, F), in 10 frr. Cottura eccessiva. Lu. 57,5; la. A-G: 45; sp. 2,5; alt. ala 7,5; incasso 7,5×5×2,5; ritaglio 7,5×3,5×2,5.Superficie inferiore molto irregolare, deformata e rigonfia in D/E. La tegola presenta una sorta di sbavatura, sporgente lungo tutto il margine inferiore (impasto fuoriuscito dalla cassaforma?). Incasso tipo 1. Due impronte di cane in G nei pressi del-l’ala. Impasto 6.1 var (Munsell 2.5 YR 5/4, 7.5 YR 5/3).Tegola (Fig. 161, 2)A, 1. Inv. 255827. Lacunosa (B-C, D-F, H-I). Ipercotta e contorta a ponte. Lu. >51; la. C-I: 46; alt. ala 6,5; sp. 3; incasso 7×3-4×2,5-3,5. Incasso tipo 1. Tre solcature concentriche al margine F. Impasto 6.1 (Munsell 5 YR 6/2).

COPPI

Nessun coppo (Fig. 162) è conservato per intero o permette di ricostruire la lunghezza; in due casi (inv. 000164, 000087; Fig. 163, 4) è conservata la misura della corda41 (cm 19) e l’altezza al culmine (cm 9-9,7). Si tratta del tipo più semplice di coppo, derivato dal tipo Acquarossa I, introdotto in Etruria nel VII secolo a.C. e in uso ancora ai giorni nostri42. Fanno eccezione due frammenti, il cui margine non termina tangente alla superficie di appoggio, ma si incurva piegandosi per 3 cm all’interno (Fig. 163, 1). Non è possibile dire se si tratti di elementi volutamente formati, o di errori di manifattura, av-venuti durante lo scivolamento della lastra di argilla sulla forma semicilindrica in legno (Fig. 164)43.

I margini della lastra sono in genere più spessi di circa 0,5. La superficie superiore dei coppi è sempre lisciata con la mano bagnata; l’operazione lascia tracce irregolari a ventaglio o solcature longitudinali parallele (Fig. 165). La superficie inferiore è sempre scabra, ed ingloba in quantità più o meno notevoli la sabbia grossa posta sul piano di lavoro; in un solo caso la sabbia è fine e bianca44.

41 Cioè della distanza tra i due margini che aderiscono al piano.42 WIKANDER, 1993, pp. 46, 54.43 Inv. 255852 e 255860. Per la manifattura dei coppi: VALADIER, 1828, pp. 107-109; HAMPE-WINTER, 1965; MENICALI,

1992, p. 94; CARNASCIALI-RONCAGLIA, 1986, pp. 98-102, tutti con ricca documentazione visuale. Legato a particolari tecniche locali: WARRY, 2006, pp. 36-37.

44 Inv. 255850. I nn. inv. 255854, 255851, 255852 presentano sulla sup. superiore una diffusa e sottile incrostazione calcarea, la cui formazione è incerto se sia avvenuta durante l’uso o in fase post-deposizionale. È da escludere che si tratti di un residuo di malta.

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 183

Fig. 164 – Fabbricazione dei coppi (da HAMPE-WINTER, 1965).

Fig. 165 – Vingone. Coppi. Striature sulla superficie (inv. 255851, 255850).

Fig. 166 – Vingone. Coppo e tegola con impressione di polpastrello (inv. 255861, 255829).

Fig. 163 – Vingone. Coppi (1. inv. 255852; 2. 255851; 3. 255850; 4. 255853).

In alcuni esemplari compare l’impressione di un polpastrello al culmine del margine inferiore (Fig. 166), a 1,5 dal margine45. Lo stesso tipo di impressio-ne compare anche su alcune tegole piane (Fig. 150); potrebbe trattarsi di un test dello stadio di asciugatura del pezzo e anche di una forma di computo; non pare possibile invece che si tratti di un foro cieco per l’eventuale inserimento di un chiodo46.

Un esemplare ancora in fase di asciugatura è stato calpestato da un cane, che lo ha schiacciato deformandolo; ciò nonostante il pezzo è stato ugualmente cotto47.

Coppo (Fig. 163, 4) I, 40. Inv. 255853. Parte conservata: AB, DE, H48. 5 frr.Lu. >41,5; corda in BEH: 19; alt. 7; sp. 2,1.Striature longitudinali sulla superficie sup., causate dalla liscia-tura manuale. Traccia del filo di resezione su tutto il margine sinistro; grumo di argilla nei pressi dello spigolo A.Impasto 6.2 (Munsell 5 YR 6/6).

45 Inv. 255856, 255857.46 V. quanto detto supra, s.v. Tegole piane, al paragrafo Solcature, ditate, ecc. Considerata la tecnica di realizzazione dei coppi, l’ipotesi

che si tratti dell’esito delle «operazioni di distacco dallo stampo» (CELUZZA, 1985, p. 38) è anch’essa da scartare. 47 Inv. 255858. Per la presenza di animali negli impianti produttivi, vedi supra, s.v. Tegole piane.48 Nella schedatura dei coppi si è seguita la stessa griglia usata per le tegole piane (Fig. 156), considerando la base maggiore in basso.

ELIZABETH J. SHEPHERD184

Fig. 167 – Vingone. Tipologia dei laterizi da costruzione.

LATERIZI DA COSTRUZIONE

I materiali da costruzione prodotti al Vingone permettono di individuarne la destinazione nel-l’impiego in realizzazioni architettoniche di alto livello o di destinazione pubblica (mura, terme, infrastrutture legate all’adduzione e allo smaltimento dell’acqua) e privata (costruzione di basamenti mu-rari per alzati in mattoni di argilla, pisé o graticcio) (Fig. 167). Questi due distinti tipi di impiego, l’uno in architetture formali, l’altro in architetture tradizionali, permettono di confrontare la tradizione edilizia fiorentina tardo-repubblicana/augustea con quella della Cisalpina romana49. Non so però se la rispondenza sia così stretta come appare allo stato attuale dell’indagine, in cui certo pesa la maggiore attenzione dedicata a questi problemi dagli studiosi che si sono occupati delle regioni transappenniniche: soluzioni architettoniche distinte a seconda della committenza, della destinazione e delle tradizioni edilizie erano certamente altrettanto diffuse in tutta l’Etruria romana, con modi e applicazioni che po-tranno essere individuati solo a seguito di una seria analisi delle attestazioni e della loro distribuzione sul territorio50.

È stato notato che nei territori transappenninici il vero materiale da costruzione di impiego “popolare”, generalizzato e polifunzionale, è costituito non dai mattoni ma dalle tegole, utilizzabili sia intere sia fratte in quasi tutti gli impieghi dell’edilizia oltre a quello classico di copertura degli edifici51. I mattoni sono infatti usati quasi esclusivamente in costruzioni di maggiore impegno architettonico52, oppure solo nei punti di elevata sollecitazione statica (testate, angoli, contrafforti, innesti) delle murature in materiale de-peribile su basamento in pietra o laterizio53; mentre i

49 ADAM, 2001, pp. 64-65; ORTALLI, 1995, pp. 155-157; GEORGE, 1997, pp. 31-35; CAGNANA, 2000, pp. 81-122; BUSANA, 2002, pp. 3-21; BACCHETTA, 2003, pp. 119-132, con bibl.

50 In mancanza di uno studio specifico non è ancora possibile delineare le linee generali di tendenza dell’edilizia dell’Etruria romana; ad uno sguardo cursorio esse sembrano seguire più tradizioni. Per gli edifici di alto livello, frequenti lungo la costa e sulle isole, si impone la tradizione costruttiva di importazione urbana (per es. villa di Settefinestre, villa delle Grotte all’Elba, villa di Agrippa a Pianosa, villa dei Domizi a Giannutri, ecc.) che in parte coesiste con la tradizione edilizia preromana nell’uso di materiali disponibili localmente o deperibili (ancora Settefinestre; villa di Campo all’Aia, Scansano, GR). Gli edifici rustici e quelli dell’Etruria interna vedono invece la predominanza della tradizione edilizia preromana (ad es. fattoria di Poggio Bacherina, Chiusi; fattoria di Giardino Vecchio, Orbetello, GR), soprattutto nell’uso frequente della pietra per le fondazioni e i basamenti delle murature, e degli elevati in materiali deperibili. Va comunque sottoli-neato che la tradizione edilizia preromana in materiali deperibili è nota anche per Roma, come riferito dalle fonti (Vitr., 2, 8, 18-20; Svet. Aug. 28, 3; Cic., de divin. , II, 99; Dio. 39, 61, 22: v. la discussione in BELELLI MARCHESINI, 1996, p. 211; COARELLI, 2000; e le osservazioni in MUZZIOLI, 2001, p. 9 e nota 12). Per i casi sopra citati si vedano REGOLI, 1985; CELUZZA, 1985, pp. 34-35, tav. 2.2-3; 106-107 (Settefinestre); CASABURO, 1997 (Elba); Scansano, 2002; PAOLUCCI, 1992 (Poggio Bacherina); Paesaggi d’Etruria, 2002, pp. 142-144 (Giardino Vecchio).

51 CAMPAGNOLI, 1997, p. 172; CAMPAGNOLI, 2000, p. 95.52 Mura urbiche: RIGHINI, 1999, pp. 125-157; GUARNIERI, 2000; BACCHETTA, 2003, p. 38.53 ORTALLI, 1995, pp. 158, 160, 163; CAMPAGNOLI, 1997, pp. 173, 182; CAMPAGNOLI, 2000, pp. 91-94; BACCHETTA,

2003, pp. 79-80. In Cisalpina i sesquipedali trovano impiego anche come elementi da pavimentazione: CAMPAGNOLI, 1997, pp. 172, 176; Tesoro nel pozzo, 1994, p. 157, fig. 137 (II-I secolo a.C.).

mattoni di impiego canonico nelle costruzioni termali (soprattutto i mattoni per le pilae di sostruzione negli ipocausti, ma anche bipedali e tubuli) costituiscono una fornitura specializzata, di tipo quasi prefabbri-cato, di chiara impronta (quando non importazione)

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 185

urbana54. Anche il mattone crudo sopravvive a lungo nell’edilizia tradizionale, ed è elemento indispensabile nella costruzione delle fornaci.

MATTONI CRUDI

MATTONI RETTANGOLARI

Scarichi di mattoni di questo tipo vennero individuati nei saggi A, D, G55. Si conservano sei grossi elementi (misure max. >30×>28,5; Fig. 168), nessuno dei quali integro, ca-ratterizzati dal forte spessore (in media 9-10 cm, ma fino a un massimo di 16) e dall’impasto molto grossolano, ricco di inclusi vegetali (identificabili dai resti carboniosi)56. Si tratta certamente di mattoni usati per la costruzione delle pareti o degli elementi di supporto del piano forato delle fornaci57, da attribuire probabilmente a strutture demolite, due delle quali furono intraviste in traccia nei saggi D e M, e identici a quelli ancora in situ nell’unica fornace conserva-tasi58 (Fig. 169). Il colore rossiccio è dovuto all’esposizione al forte calore e non alla cottura preventiva; talvolta uno dei margini, presumibilmente quello esposto al calore diretto, è fortemente annerito. Mattoni di grandi dimensioni, metrologicamente classifica-bili come sesquipedali, sono noti da molte fornaci di età romana, tra le quali ricordiamo quelle di Gropello (Pavia), Marzabotto, Montericco (Imola), Galeata (Forlì), Santo Marino-Poggio Berni (Rimini), Mirandola-fondo Bellaria, Cesenatico-Ca’ Turci, Cesena, Riolo Terme59; in Umbria, la fornace di Valfabbrica60.

Fig. 168 – Vingone. Mattoni crudi.

Fig. 169 – Vingone. Muratura di base della fornace, in mattoni crudi.

Inv. Saggio Dimensioni Sp. approx. Peso Superficie255869 A, 8 >24×>22 9 4 5 YR 5/4255870 A, 8 >19×>15 9,5 3,17 5 YR 6/6255871 A, 8 >18,5×>17 10 3,25 5 YR 6/6255872 D, 33 >30×>28,5 8-11 7,15 2.5 YR 5/4-5/6255873 D, 33 >20×>14 16 5,15 7.5 YR 6/2255874 D, 33 >9×>9 6 0,44 7.5 YR 6/2

MATTONI COTTI

I mattoni, di qualsiasi forma, sono realizzati in cassaforma. Le superfici sono trattate come di consueto: quella superiore è lisciata, quella inferiore è scabra e ingloba parte della sabbia stesa sul piano di lavorazione. Per la lisciatura vale citare ancora una volta Valadier che, dopo aver detto che nella lavorazione tradizionale le superfici a vista dei mattoni ven-gono spianate con le mani e con l’acqua, aggiunge: «quando si volesse adoperare una cautela maggiore potrebbe rasarsi sopra la stampa con una riga, cosa che nelle gran migliaja di pezzi porterebbe troppo a lungo, ed all’opposto i lavoranti ben pratici li fanno a mano come se fossero cilindrati (…)»61. Quest’ultima annotazione dimostra quanto fossero ritenuti importanti, e meritevoli di citazione in un trattato pratico, quei minimi ritocchi individuabili solo mediante un’accurata analisi delle tracce di lavorazione.

54 L’esistenza di forniture specializzate per la costruzione di impianti termali è ben illustrata dal relitto di Capo Carbonara (Villasimius, CA; prima metà del I secolo d.C.) che trasportava un carico di provenienza urbana, composto da mattoni bessali e bipedali con bolli dei Domitii (CIL, XV 999 g, 1105 var.), tubuli, tegole del tipo “a risega” con il bollo a ferro di cavallo di M. Procilius Meleager (CIL, XV 1387): ZUCCA, 1987, p. 666; SALVI, 1996. Anche la villa elbana delle Grotte dimostra, grazie ai laterizi con bolli urbani e alle analisi delle argille, l’importazione di un carico specializzato per la costruzione dell’impianto termale: CASABURO, 1997, pp. 29-30.

55 I mattoni dal saggio G, pari a un metro cubo, non sono stati conservati.56 Cfr. l’impasto dei mattoni crudi di Perugia, citati in PERNIER, 1920, p. 188: «impasto impuro, contenente schegge di selce e paglia;

superfici scabrose irregolari». LUGLI, 1957, pp. 529-541; GIULIANI, 1990, p. 152; ORTALLI, 1995, p. 160; CAMPAGNOLI, 1997, p. 183, nota 14, con bibl.; MEDICI, 1997, pp. 175-176; BACCHETTA, 2003, pp. 35-42, con bibl.

57 CUOMO DI CAPRIO, 1971-1972, pp. 400, 427; RIGHINI, 1990, pp. 268, 272.58 Per queste strutture: DE MARINIS-SHEPHERD, Lo scavo, supra; PATERA, Le strutture produttive, supra.59 Marzabotto: 42×27×11; 45×30×10; Montericco (V secolo a.C.): 45×30×20; Mirandola, fondo Bellaria (età repubblicana): BER-

MOND MONTANARI, 1962, p. 163, 200; DE MARIA, 1978, p. 83, fig. 28; CAVAZZONI, 1983, p. 76; CAMPAGNOLI, 1997, p. 182, nota 4, con bibl.; GIORDANI, 2000, p. 360. Per le fornaci del Ravennate: MAIOLI, 1998; RIGHINI, 1999, p. 139 (Cesenatico e fornaci del Modenese: Magreta, Formigine, Maranello).

60 MASSERIA, 1982-1983: mattoni trapezoidali per la costruzione degli archi di sostegno, 25×20-30×9; parallelepipedi, per i muri della camera di cottura: 20×25×6-8; 28×45×7,5.

61 VALADIER, 1828, p. 100. V. la corrispondente documentazione visuale in CARNASCIALI-RONCAGLIA, 1986, p. 94.

ELIZABETH J. SHEPHERD186

Su molti esemplari di mattone sono evidenti le impronte lasciate sui margini dalla cassaforma lignea, e dal filo di resezione per il distacco dal piano di lavorazione e/o di asciugatura (Fig. 170). Quest’ultima traccia è costituita dalla smussatura continua dello spigolo inferiore esterno. Per le altre tracce riscontrabili (solcature, ditate, tracce di presa manuale) rimando a quanto già detto per le tegole e, infra, al commento alle singole forme; in generale si constata che l’uso di praticare le solcature sembra meno frequente sui mattoni rispetto a quanto verificato per le tegole.

MATTONI SESQUIPEDALI RETTANGOLARI

Dal punto di vista metrologico questi mattoni sono gli eredi dei mattoni crudi descritti da Vitruvio (2, 3, 3), e in

Fig. 170 – Vingone. Mattoni da colonna. Traccia della resezione per mezzo della corda (in alto; i mattoni sono capovolti per evidenziarla).

particolare del lidio, che misurava un piede per un cubito, ossia un piede e mezzo (30×45 cm) ed era caratterizzato dal forte spessore (in media tra i 6 e gli 8 cm, ma attestato fino a 14)62 (Fig. 167, 1; Figg. 171-172). In età preromana il mattone sesquipedale venne impiegato crudo in varie città dell’Etruria e, cotto, nella costruzione delle mura di Arezzo, ricordate da Vitruvio e da Plinio63.Il mattone sesquipedale rettangolare si diffonde nell’Italia padana con la romanizzazione del II secolo a.C., fino a diventarne tipico64, mentre è ignoto alla tradizione edilizia urbana, dove il mattone sesquipedale è invece di formato quadrato (un cubito ossia un piede e mezzo di lato, 45×45)65. Spesso è presente il c.d. manubrio, una presa a maniglia ovale, più o meno arcuata, ricavata nei pressi di uno dei lati minori tramite l’asportazione di circa metà spessore per una lunghezza limitata. Questo accorgimento viene generalmente interpretato come funzionale al sollevamento dei mattoni, particolarmente pesanti66 (al Vingone in media kg 8-10 ciascuno). Si è anche ritenuto che, dato il loro fre-quente impiego nella copertura di canalizzazioni interrate, la maniglia potesse risultare funzionale al sollevamento per le necessarie ispezioni67. A Firenze, mattoni manubriati di dimensione 28×44×7 e 30×43×6 vennero impiegati nella costruzione delle mura cittadine, risalenti alla fondazione della colonia68. In questa struttura vennero anche impiegati mattoni parallelepipedi di misura leggermente inferiore ai sesquipedali (29×42×4,569 e 30×43×670) e, nelle strutture curvilinee, mattoni manubriati trapezoidali misuranti 25-30×43×6-7, con il lato maggiore nel paramento a faccia vista71 (Fig. 173). Sesquipedali ret-tangolari manubriati furono impiegati nella costruzione dei condotti fognari del decumanus maximus nell’area forense, in corrispondenza dell’odierna via degli Speziali72 (Fig. 174; Fig. 175); un sesquipedale con il bollo CAC, probabilmente lo stesso del bollo CACA attestato anche sui sesquipedali

62 LUGLI, 1957, pp. 530-532; BOËTHIUS, 1978, pp. 34-35; GIULIANI, 1990, pp. 152, 154; RIGHINI, 1990, pp. 271-275.63 Città dell’Etruria: BOËTHIUS, 1978, cit.; WENDT, 1986, pp. 58-60, con bibl.; RIGHINI, 1990, pp. 264, 268; BACCHETTA,

2003, p. 42, con bibl. Marzabotto: BERTANI, 1990, p. 21; BRIQUEL, 1997. Arezzo: Vitr. 2, 8, 9; Plin., n.h., 35, 173; PERNIER, 1920; LUGLI, 1957, pp. 534-536; COARELLI, 2000, p. 93.

64 LUGLI, 1957, p. 548; RIGHINI, 1970, pp. 50-52; MANNONI, 1984, p. 400; Modena, 1989, p. 124 (J. Chiesi); GIULIANI, 1990, p. 158, fig. 7.4; RIGHINI, 1990, pp. 272, 275, 278-284; NEGRINO, 1993, p. 220 (Genova); BASSI, 1995, p. 82 (Trento); FAC-CHINI, 1995, p. 519 (Angera); CAMPAGNOLI, 1997, p. 174; FILIPPI, 1997, p. 88, nota 3; CAMPAGNOLI, 2000, p. 92 e nota 4, 95; MEDICI, 1996, p. 140; MEDICI, 1997, pp. 173-174; RIGHINI, 1999, pp. 125-127; CALZOLARI, 2001, pp. 47-50; BACCHETTA, 2003, p. 42, con bibl.; MONTEVECCHI, 2004, p. 20, fig. 6. Per la probabile precoce introduzione da parte degli Etruschi: RIGHINI, 1999, p. 150; BACCHETTA, 2003, cit.

65 GIULIANI 1990, pp. 158, 160. V. anche i mattoni della villa di San Rocco, Francolise (42×42×2): COTTON-METRAUX, 1985, p. 167. Il formato quadrato è noto anche per i mattoni delle mura di Ravenna, di tradizione greca.

66 CAMPAGNOLI, 1993a, p. 22 (pesi medi 10-12 kg).67 MEDICI, 1998, p. 566, V.184, da Calvatone (Cr), Bedriacum; Trento, piazza C. Battisti, sesquipedali manubriati a copertura di

condotti fognari romani (inediti), che ho potuto esaminare direttamente grazie alla cortesia di E. Cavada.68 Per la datazione delle mura: MAETZKE, 1941, pp. 26-27; DE MARINIS, 1994, pp. 668-669 (primissimi anni di Augusto); tratto di

via del Proconsolo: Alle origini di Firenze, 1996, p. 51, fig. 14. Mattoni sesquipedali delle mura: MILANI, 1898, p. 116; MOSCHELLA, 1944, p. 256, con riferimento alla porta settentrionale contra Aquilonem o Episcopi (venuta in luce nel 1895 durante i lavori per l’arretramento della facciata del Palazzo Arcivescovile), affiancata da due torri circolari, di cui una venne poi ricostruita nel cortile maggiore del Museo Archeologico di Firenze (MILANI 1912, p. 271); MAETZKE, 1941, p. 26 (resti delle mura nella zona di Porta Rossa).

69 MOSCHELLA, 1944, p. 256.70 MAETZKE, 1941, p. 26.71 «mattoni centinati»: MILANI, 1898, p. 167, nota 151; MILANI, 1912, p. 271, i; MOSCHELLA, 1944, p. 256.72 Firenze antica, 1976, fig. 68 (C. Corinti): mattoni manubriati (la. 37, sp. 7,5) impiegati spezzati nelle spallette del fognolo.

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 187

Fig. 171 – Vingone. (a) Mattoni sesquipedali (* cottura eccessiva). (b) Sottomisure.

Inv. Provenienza Larghezza Lunghezza Spessore Peso Superficie Bollo169439* D, 27 30 >16,5 4,2-5 >4,360 10 R 4/8-2.5 YR 5/8 CACA255875* M, 50 >23 >21 6-7 >2,420 2.5 YR 5/4-6/2 CAH255876* M, 50 >23 >10 5,5 >1,220 2.5 YR 6/6 CAH255877* D, 28 >27,5 >19 6,5 >5,870 10 R 5/4255878* D, 38/3 >13 >12,5 5-6 >1,330 2.5 YR 5/8 C.Volasennae/R[- - -]255879 L, 43 >29 >17 6,5 - 2.5 YR 6/8255880* Vi 0 >16 >16 8,5 >2,230 2.5 YR 6/8255881 Vi 0 >20,3 >19,5 6 >3,640 2.5 YR 5/6255882 Vi 0 >27,2 >23,5 7 >5,250 5 YR 6/6255883 PNR >22,5 >18,3 5 - 2.5 YR 6/8

a.

255884* PNR 14 >32 7 5,45 7.5 YR 5/3255885 L, 43 >13 15 6,6 - 2.5 YR 6/8

b.

Inv. La. Lu. Prof. max. N. dita169439 8 2 4 1255877* 7 - - -255882 >15 2 3,5 1255881 >13 1,7 2,5 1255885 - - - 3

Fig. 172 – Vingone. Sesquipedali: dimensioni del manubrio (* = obliterato da grumo di argilla).

Fig. 173 – Firenze, 28 agosto 1895. Mura romane: resti di una delle torri circolari della porta ad Aquilonem, costruita in mattoni sesquipedali.

Fig. 174 – Corinto Corinti, 3 maggio 1927. Cartolina con le “antichità romane in Firenze nell’area di via degli Speziali e delle case adiacenti” scavate alla fine dell’Ottocento (part.). Da Firenze Antica, 1976.

Fig. 175 – Firenze, MAF, cortile dei Fiorentini. Mattone sesquipedale dagli scavi ottocenteschi di Firenze.

ELIZABETH J. SHEPHERD188

Fig. 176 – Vingone. Mattone sesquipedale con bollo CACA (inv. 169439).

Fig. 177 – Vingone. Mattone sesquipedale, sottomisura (inv. 255879).

prodotti al Vingone (Fig. 176), venne recuperato durante gli scavi nel centro di Firenze negli anni 1891-189273. Il tipo sesquipedale è anche ben attestato a Pistoia74. Al Vingone, come a Pistoia, sono presenti anche i mezzi sesquipedali (semilateres), uno dei quali ipercotto e defor-mato75. Si tratta di metà formato nel senso della lunghezza (46,9×15,3-15,5×7,3) (Fig. 167, 2; Fig. 177) o della larghez-za (29×20,6×7,5); sono sia ricavati col taglio di un mattone intero, sia previsti in cassaforma76. È attestata inoltre una sottomisura manubriata (la. 15)77. La maggior parte dei sesquipedali recuperati nello scavo del Vingone hanno subito una cottura eccessiva, causa di frequenti distorsioni, anche gravi, e presumibilmente anche del loro scarto. La composizione dell’impasto (impasto 2 var.) è la stessa per tutti gli esemplari, generalmente molto ricco di inclusi con qualche variante nell’aggiunta di smagranti78. Le superfici sono, come di regola, lisciate superiormente e scabre inferiormente, in corrispondenza del piano d’appog-gio sabbiato. Le tracce della cassaforma sono quasi sempre evidenti nell’impressione in negativo lasciata dalle assi sui margini del mattone e in un caso (inv. 255883) nella sba-vatura dell’argilla al di sotto delle assi. Gli spigoli inferiori sono sempre appiattiti dal passaggio del filo di resezione; in un caso (inv. 255878) è appiattito anche lo spigolo supe-

riore, probabilmente per una rifinitura del tipo descritto da Valadier: «Posata la stampa in terra si leverà dal mattone, e colla stampa medesima si darà una piccola toccata in piano sulli bordi, per abbassare quella rialzatura che si forma nel levar la stampa medesima»79. Il n. inv. 255879 mostra, nella faccia inferiore, la traccia di una resezione mal riuscita, con andamento circolare.L’esemplare inv. 255875 presenta sulla faccia superiore una larga solcatura a due dita, tracciata successivamente all’ap-posizione del bollo, di cui oblitera parzialmente il margine sinistro; il n. inv. 255881 presenta, al posto della solcatura, un abbassamento di piano ad andamento semicircolare. Il manubrio, presente sui nn. inv. 169439, 255877, 255881, 255882, 255885, è praticato nel mattone fresco con una (inv. 255881) o tre (inv. 169439, 255885) dita unite; nel caso del n. inv. 255887 il manubrio è solo abbozzato e obliterato da un grosso grumo di argilla. I margini esterni del manubrio del n. inv. 255881 sono stati successivamente spianati.

MATTONI BESSALI

I mattoni quadrati con lato pari a un bes, cioè 19,7 cm, sembrano destinati quasi esclusivamente all’impiego nelle costruzioni termali, dove vengono usati per formare le pilae

73 SBAT, RCE (inv. 13210): «mattoncione fr. con bollo rettangolare GAG, 30×23», senza indicazione di provenienza. Fa parte di un nucleo di laterizi compreso tra i nn. inv. 13200 e 13213, per i primi dei quali sono riportate provenienze da vari cantieri fiorentini del 1891-1892; dal n. 13207 in poi sono inventariati solo laterizi con bollo, senza indicazione di provenienza. Poiché il nucleo inventariato è compreso entro i materiali dagli sventramenti ottocenteschi del centro di Firenze, è lecito dedurre che anche i laterizi senza provenienza siano stati recuperati allora. V. anche SHEPHERD, Catalogo dei bolli, infra, s.v. Caca[---].

74 Pistoia II, 1987, pp. 99-100 (la. 30, sp. 7,1); pp. 296-298 (26, 5-31×41,6-44,1, sp. 6,1-7,8; 29-31,5×42-44×6,9-7,9; 29×43×6,8, manubriato); pp. 777-778; inoltre, materiale inedito proveniente dagli scavi della Cattedrale (sui quali CAPECCHI-DE TOMMASO, 1982), con misure 30×45-46×6,5-8.

75 Inv. 000105, 000106. I semilateres sono ricordati da Vitruvio (2, 3, 4). MEDICI, 1996, p. 140 (45×15); CAMPAGNOLI, 1997, pp. 174-175, con bibl. (mezzo sesquipedale nel senso della lunghezza, da cassaforma); RIGHINI, 1999, p. 128.

76 Pistoia II, p. 297. Attestati anche in Emilia (Calderara di Reno, BO, Cave Nord): CAMPAGNOLI, 2000, p. 95, tav. 2.4 (42×15×6,7).

77 Inv. 255885.78 Ad es., nei mattoni inv. 169439 e 255887 compaiono rari inclusi bianchi molto grandi, 2×2; nel n. inv. 255880 neri, 1×0,5. Per gli

impasti in esame, v. supra nel testo; DE MARINIS-PALLECCHI, Caratterizzazione, infra.79 VALADIER, 1828, p. 100.

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 189

Fig. 178 – Firenze, 1892. Terme romane “a tergo del Cam-pidoglio”, scavo degli ambienti riscaldati.

Fig. 179 – Firenze, MAF, sala dei Florentini. L’ipocausto delle terme romane del Campidoglio ricostruito nell’allesti-mento di L.A. Milani.

Fig. 180 – Firenze, Piazza della Signoria, scavo 1984-1985. Mattoni bessali.

che sostengono i pavimenti degli ambienti riscaldati80. A Fi-renze vennero usati nelle pilae delle terme del Campidoglio81 (Fig. 178; Fig. 179) e delle terme di Piazza della Signoria

(Fig. 180)82; a Fiesole nelle terme romane, sia nelle pilae del caldarium che nei muretti dei fornelli nel praefurnium83. Al Vingone ne è stato recuperato un solo esemplare.

80 LUGLI, 1957, pp. 541-544, 579; ADAM, 2001, pp. 288-295; CELUZZA, 1985, p. 35, tav. 2.5; GIULIANI, 1990, pp. 158, 160; CAMPAGNOLI, 1997, p. 175 (Bassa Modenese); CALZOLARI, 2001, p. 51, n. 10 (S. Lorenzo di Quingentole, MN); COTTON-ME-TRAUX, 1985, p. 167 (San Rocco, Francolise).

81 MILANI, 1912, p. 274; MAETZKE, 1941, p. 67; forse MOSCHELLA,1944, p. 255 (lato 18, sp. 4); Firenze antica, 1976, figg. 92, 95-98 (lato 23); BINI, 1982, figg. 9-10.

82 SHEPHERD, 1985 (pilae del calidarium: lato 21, sp. 5,5-6, peso 4,13; lato 20,5, sp. 4,5, peso 3,08; 19×20, sp. 4; lato 18,5, sp. 4,5, peso 2,45); v. anche SHEPHERD, 1989, p. 425, tav. 112.2.

83 Nelle pilae fiesolane costituiscono solo l’elemento sommitale (lato 19, sp. 4) della colonnetta, costituita altrimenti da mattoni otta-gonali: MOSCHELLA, 1944, p. 254; Terme Fiesole, 1984, pp. 37, 43.

ELIZABETH J. SHEPHERD190

Inv. Saggio La. base La. max. opposta Lu. Sp. Peso Superficie255886+ Fornace, 42 ≥16,5 ≥13,5 >20 7 2,85 2.5 YR 6/8255887++ PNR 20,5 16 >18,2 4 1,95 5 YR 6/8255888++ PNR 20 14,5 >15 4,7 1,78 7.5 YR 5/4

a.

Inv. a b c d e255886 >13,5 >2,3 2,2 7 3255887 15 5 2 4 2,7; 3255888 14 5,5 2 4 2,5

b.Fig. 181 – Vingone. (a) Mattoni da nervatura (+ rettango-lare; ++ trapezoidale). (b) Misure.

Mattone bessale (Fig.167, 3)B, 17. Inv. 255891. Intero.19,2×19; sp. 4,5 (6 al centro). Peso 3,550.Superficie superiore parzialmente lisciata, che si stacca a scaglie; inferiore scabra, irregolare. Profilo inferiore accentua-tamente convesso; traccia di cassaforma su un margine.Impasto 6.2 (Munsell 5 YR 5/8-6/8).

MATTONI DA NERVATURA

Nei rari monumenti in cui sono stati trovati in opera o nel crollo degli alzati, i mattoni di questa caratteristica forma (Fig. 167, 7; Figg. 181-182) sono usati in associazione con lastre di terracotta (le tegulae sine marginibus di Vitruvio, 5, 10, 3) per costruire archi autoportanti nei soffitti voltati degli edifici termali con tetto ad armatura lignea84. Si tratta di una delle varianti del sistema delle volte a inter-capedine, descritto da Vitruvio, una cui applicazione con elementi in ferro è stata individuata nelle terme di Piazza della Signoria a Firenze85. Mattoni simili a quelli vingonesi, variamente articolati mediante la presenza di incassi o aggetti di diversa forma e misura, sono stati riscontrati in Britannia, Africa, Portogallo, Spagna, ma soprattutto in Gallia (Aqui-tania e Narbonense) in edifici termali datati tra la seconda metà del I e il IV secolo d.C.86 (Fig. 183). La quantità di esemplari trovati in quest’ultima provincia, unita all’apparen-

te assenza nei contesti italiani, ha fatto sostenere ad A. Bouet la paternità gallica di questa soluzione tecnica87. Oltre a questa del Vingone, esistono però almeno altre due attestazioni italiane, di recente individuazione, che non solo confutano l’origine gallica del sistema costruttivo, ma mo-strano anche che questo tipo di soluzione ingegneristica era nota da tempo e sperimentata in più varianti. L’applicazione più antica del sistema (III secolo a.C.) è stata riconosciuta nelle terme di Fregellae, dove furono messi in opera elementi di terracotta di grandi dimensioni, sostanzialmente identifi-cabili come sezioni di nervature88 (Fig. 183, 6). Un’ulteriore applicazione del sistema è nota dalle terme pubbliche di Albenga, dove parrebbe potersi attribuire alla fase di co-struzione del I secolo d.C.89 (Fig. 183, 4). In questo caso si tratta di elementi parallelepipedi di terracotta con un doppio intacco laterale interpretato come sede di travetti metallici, ma più probabilmente destinato ad accogliere le tegulae sine marginibus, così come esemplificato dai ritrovamenti di Badalona e Thamusida90 (Fig. 183, 5). I mattoni prodotti nelle fornaci del Vingone, in due diversi formati, confermano l’uso precoce in ambiente italiano. Per quanto lacunosi di un’estremità, essi sono inquadrabili nei gruppi Rivière A = Bouet 1 a, di forma rettangolare, e Bouet 1 b, di forma trapezoidale; tutti sono forniti di estremità laterali sporgenti, definibili come tenoni91. A differenza degli esemplari narbonesi, i mattoni vingonesi presentano

84 In letteratura sono definiti in più modi: briques à crochet, briques claveaux à tenons, tuiles à épaulement, voussoirs à encoches, ladrillos-dovela, armchair brick, ecc., v. RIVIÈRE, 1986, p. 251, nota 1. Per la tipologia: HOFMANN, 1975, p. 119; WEBSTER, 1979, p. 289; FINCKER, 1986; RIVIÈRE, 1986; BOUET, 1999, pp. 84-113, figg. 47-48. Esempi di nervature ancora parzialmente in opera sono noti a Tarragona, Cimiez, Fréjus (v. nota 86; inoltre BOUET, 1999, fig. 49). In alcune applicazioni più complesse (per es. in Britannia, a Chester) sembrano usati anche per creare condotti di deflusso dell’aria calda: WEBSTER, 1979, p. 288, fig. 15; FINCKER, 1986, p. 146, fig. 5. Secondo BOUET, 1999, p. 111, il sistema poteva essere applicato anche a volte in muratura.

85 SHEPHERD, 1989; HOFFMANN, 1991, p. 100, fig. 1. 86 Britannia: WEBSTER, 1979, cit.; BRODRIBB, 1987, p. 47. Africa (Marocco): HOFMANN, 1975, p. 119 (Banasa); FINCKER, 1986, p.

145 (Cotta, Gandori); CAMPOREALE, 2004-2005, pp. 36-37, figg. 25-27 (Thamusida, Banasa, Sala, Cotta, Gandori). Portogallo: FINCKER, 1986, p. 145, fig. 3 (Mirobriga, dove mattoni di questo tipo sono impilati a formare le pilae di un ipocausto, in un evidente uso secondario, databile al I-II secolo d.C.). Hispania: ÉTIENNE-MAYET, 1971, p. 61 (Belo, fine III secolo d.C.); GUITART DURAN, 1976, pp. 72-73 (Baetulo, prima età imperiale); HOFMANN, 1975, p. 119 (Tarraco); RICO, 2000, p. 184 (Los Zamorales). Aquitania: FINCKER, 1986, p. 144 (Montmaurin, ecc.). Gallia Narbonensis: FINCKER, 1986, p. 145 (Cimiez; Fréjus; ecc.); LE NY, 1988, p. 36, fig. 18.1; LAUBENHEIMER, 1990, pp. 101-104 (Sallèles d’Aude, fornaci attive 10 a.C.-III secolo d.C.); BOUET, 1999, cit.; BOUET, 2003, pp. 178-180.

87 BOUET, 1999, p. 113: «ce matériau demeure inconnu en Italie». FINCKER, 1986, pp. 143-144, ne notava l’assenza dai maggiori manuali di architettura romana «parce qu’elles n’ont pas été découvertes en Italie romaine».

88 TSIOLIS, 2003, pp. 106-110, in part. nota 89; COARELLI, 2004.89 MASSABO’, 2002, pp. 143-144, fig. 4. 90 GUITART DURAN, 1976, pp. 72-73, fig. 9.91 FINCKER, 1986, p. 144, fig. 1; RIVIÈRE, 1986, tipo A; BOUET, 1999, pp. 84-88; figg. 50 (tipo 1 a), 51 (tipo 1 b).

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 191

Fig. 182 – Vingone. Mattoni da nervatura. 1. trapezoidale, inv. 000121; 2. rettangolare, inv. 000075.

Fig. 183 – Sistemi di costruzione di intercapedini voltate.

ELIZABETH J. SHEPHERD192

un incavo semicircolare, centrato nel lato di base92. La lun-ghezza originaria non è ricostruibile né è possibile dire come fosse conformata l’estremità opposta ai tenoni. I due formati sono diversi anche nelle misure: il mattone rettangolare (Fig. 182, 1) è di dimensioni maggiori (larghezza alla base 33 ca., spessore 7) rispetto a quello trapezoidale (larghezza alla base 20-20,5; spessore 4-4,7)93 (Fig. 182, 2). Inoltre, a differenza dei mattoni aquitani e narbonesi che spesso sono a forma di cuneo94, i mattoni vingonesi sono perfettamente piatti.L’impasto impiegato (tipo 6.2) è ricco di inclusi medi, con qualche raro incluso di grandi dimensioni (1,2×1, bianchi). In tutti gli esemplari la superficie superiore è lisciata, con striature longitudinali; la superficie inferiore è scabra, con impronta del piano d’appoggio sabbiato; lo spigolo inferiore è schiacciato dal passaggio del filo impiegato per il distacco

Fig. 184 – Vingone. Mattone da nervatura, inv. 255887. Fig. 185 – Vingone. Mattone da nervatura, inv. 255888.

Inv. Provenienza D. sup.-inf. Sp. Peso Superficie Misura base169565 M, 50 21,5-23 4,8 3,500 5 YR 6/8 ½ cubito255889 PNR 21,4 – 22,8 3,8 0,78 5 YR 6/8 ½ cubito255890 PNR 22,8-23 4,5 >1 5 YR 5/6 ½ cubito

Fig. 186 – Vingone. Mattoni circolari e semicircolari.

dalla cassaforma; una solcatura a C è impressa sul piano con un dito (n. inv. 255887; Fig. 184). Le estremità aggettanti sono evidentemente un punto debole, facile a deformarsi all’atto della sformatura e comunque interessate da vistose impronte di polpastrelli (nn. inv. 255886, 255888, 255887; Fig. 185). Il n. inv. 255888, oltre che deformato, è ipercotto, e ciò deve averne motivato lo scarto95.

MATTONI CIRCOLARI E/O SEMICIRCOLARI

La destinazione prevalentemente termale dei mattoni circolari (Fig. 167, 4; Fig. 186) è dimostrata dal loro frequente, per quanto non esclusivo, rinvenimento nelle pilae delle interca-pedini degli ambienti riscaldati, come a Firenze nelle Terme presso il Campidoglio96 (Fig. 179, pila isolata a sin.); in casi

92 Un incasso rettangolare è presente nei mattoni da nervatura di Badalona; si tratta però di un elemento ricavato a mano, successivamente alla cottura dei mattoni, e diversamente disposto: GUITART DURAN, 1976, p. 72 e fig. 9. I mattoni narbonesi presentano spesso fori centrali, di varia forma e misura: LE NY, 1988, p. 36, fig. 18.2-3; BOUET, 1999, fig. 47 e passim. Un solo esemplare, incompleto, mostra però un’impressione semicircolare di dimensioni e posizione corrispondenti all’incavo vingonese: BOUET, 1999, fig. 64, b.

93 Gli esemplari citati da RIVIÈRE, 1986, tipo A, misurano lu. 33×la. 21 (ai tenoni), 27 (agli incassi), sp. 4,5 (tenoni), 3,7 (incassi). RICO, 2000, p. 184: due formati (grande: lu. 30×la. 16, sp. 6; piccolo: lu. 29×la. 12, sp. 5). BOUET, 2003, pp. 178-180: due formati (grande: lu. 40,3×la. 33, sp. 4-4,9; piccolo: lu. 27,7×la. 24, sp. 2,9-3,6). Le misure dei mattoni vingonesi potrebbero essere riconducibili a multipli o sottomultipli del piede: 1 piede e 2 palmi nell’esemplare di formato maggiore, 9 palmi nell’esemplare minore. Il confronto migliore per il formato trapezoidale è con i mattoni dalla villa di Seviac, che però sono cunei.

94 V. nota precedente.95 Sulla superficie presenta anche due impronte allungate, molto leggere, di un piccolo animale con piedi dalle dita unghiate non meglio

identificabile.96 Terme del Campidoglio (dette anche terme di S. Donato dei Vecchietti), elementi circolari: MILANI, 1912, tav. CXIV, 2; forse gli

stessi di d. 18, sp. 5 citati da MOSCHELLA, 1944, p. 255; BINI, 1982, figg. 9-10; Firenze Antica, 1976, figg. 95, 98 (C. Corinti); SBAT, AF, neg. 1378. In generale: LUGLI, 1957, pp. 551, 581, fig. 122; GIULIANI, 1990, p. 158, 160. Mattoni circolari sono attestati ad Alba

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 193

meno frequenti possono costituire il nucleo di colonne lateri-zie, come nella basilica di Pompei97. Potevano essere realizzati con appositi modani, oppure ricavati a martellina da laterizi preesistenti (mattoni o tegole) e quindi rifiniti, sempre a mar-tellina oppure anche per arrotatura98. Questo secondo tipo di lavorazione non avveniva in fornace bensì direttamente nel cantiere di costruzione; nel sito del Vingone, ovviamente, sono presenti solo laterizi interi, accidentalmente fratti per incidenti di lavorazione, durante lo scarto o in fase postdeposizionale. La forma dei mattoni vingonesi non è perfettamente cilindrica, ma tendente al troncoconico, con la base maggiore in basso. Nel-l’esemplare inv. 169565 all’atto della sfilatura della cassaforma sono rimaste impresse due impronte di polpastrelli. I mattoni inv. 255889 e 255890, conservati per meno della metà, potrebbero anche essere stati a semicerchio (Fig. 167, 5), del tipo usato per costruire pilae negli edifici termali ma anche per mattoni da colonna99.

MATTONI A QUARTO O A SETTORE DI CERCHIO

L’uso di mattoni appositamente formati per la costruzione di colonne (Fig. 167, 6; Fig. 187) sembra essere caratteristico dell’età tardorepubblicana e coincidere con l’introduzione dell’opus testaceum100. Solo il livello ancora molto parziale degli studi sulla diffusione di questi elementi sembra indi-carne un uso prevalente in ambito centro-settentrionale101, piuttosto che in ambito centro-italico o a Roma, dove le

colonne portanti degli edifici sono realizzate, generalmente, con elementi ricavati dal taglio di tegole, di forma irrego-lare tranne nella faccia vista curva, rifinita a martellina o a sabbia, e in genere di spessore non elevato102. Studi recenti mostrano però che i mattoni a quarto di cerchio formati in cassaforma sono impiegati a Pompei per la costruzione di semicolonne e colonne già dal II secolo a.C.103 e a Poggio Gramignano (Lugnano in Teverina, Terni), in ambito gra-vitante su Roma, alla fine del I secolo a.C.104. In alcuni casi (generalmente di piena età imperiale) i due modi di realizzare elementi da colonna coesistono, come a Milano e a Geno-va105; a Firenze, nelle terme di Piazza della Signoria (Fig. 188), dove si hanno mattoni di minor spessore formati in cassaforma e mattoni più massicci ricavati da sesquipedali106; a San Giovanni di Ruoti, in Basilicata107. La base statistica disponibile non consente di dire se si tratti di materiale di recupero reimpiegato.La cassaforma per questo tipo di mattoni poteva essere sin-gola o multipla, e prevedere fino a quattro pezzi, venendo così a corrispondere al diametro esterno della colonna da costruire (Fig. 189)108. È verosimile che le misure adot-tate rispettassero delle misure architettoniche standard, presumibilmente basate sul piede romano109. I mattoni così ricavati avevano due lati retti che risultavano leggermente più corti del raggio della colonna; lo spazio occupato dai setti divisori della cassaforma doveva d’altronde corrispon-dere, in seguito, a quello necessario per la malta legante110.

(FILIPPI, 1997, p. 89, nota 136; p. 159, fig. 68); Calvatone (CR): MEDICI, 1998, p. 566, n. V.185; Bassa Modenese: CAMPAGNOLI, 1997, p. 175, fig. 2.1; Calderara di Reno (BO), Cave Nord e territorio: CAMPAGNOLI, 2000, pp. 95-98, tav. 3.1; p. 215, tav. 1.1-2, tabella 2; Settefinestre, grandi bagni: CELUZZA, 1985, p. 35, tav. 2.6; San Rocco, Francolise: COTTON-METRAUX, 1985, p. 167; S. Giovanni di Ruoti (Basilicata): SMALL, 1994, p. 136. Francia: BOUET, 1999, pp. 151-162.

97 LUGLI, 1957, p. 574, figg. 120.1, 120.3; ADAM, 2001, p. 168, fig. 370. Anche nei ritrovamenti di Cave Nord (Calderara di Reno, BO) questo tipo di mattoni non è associato a strutture termali, come sottolineato in CAMPAGNOLI, 2000, pp. 95, 215. I mattoni circolari di grande formato trovati a Milano (d. 58,5 e 42, sp. 10-11) e a Cividate Camuno (BS; d. 42,5, sp. 10,5) saranno anch’essi serviti per usi diversi da quelli termali: UBOLDI, 1991, p. 150. Incerto l’impiego del mattone circolare (d. 18, sp. 4) trovato fuori contesto a Poggio Gramignano (Terni): MARTIN, 1999, p. 378.

98 A Milano sono noti mattoni circolari da cassaforma (d. 30, sp. 8) ma anche ricavati da sesquipedali (d. 29,5, sp. 7): UBOLDI, 1991, p. 150.

99 Uso nelle pilae a Milano, da strati di distruzione di un ipocausto: UBOLDI, 1991, p. 150 (d. 28, sp. 8,5). Mattoni da colonna: Bassa Modenese: CAMPAGNOLI, 1997, p. 175, fig.2, A-B; Calvatone (CR), Bedriacum; MEDICI, 1998, p. 566, n. V.186; Calderara di Reno (BO), Cave Nord e territorio: CAMPAGNOLI, 2000, p. 98, tav. 3.2; p. 213, tav. 1.3-6, tab. 2. Altre occorrenze di mattoni semicircolari in UBOLDI, 1991, cit.; BOUET, 1999, pp. 162-165; BRODRIBB, 1987, p. 55 (Fishbourne, Gran Bretagna).

100 WALLAT, 1993, pp. 355-356.101 Sirmione, Grotte di Catullo: LUGLI, 1957, p. 548; CAMPAGNOLI, 1997, p.175; Calvatone: MEDICI, 1997, p. 175; Postumia;

Parma, colonne della Domus degli Stucchi, tarda età imperiale: CATARSI DALL’AGLIO, 2004, pp. 18, 36; Le Camerelle, territorio di Chianciano Terme: MASCI-NALDI-PAOLUCCI, 1992, pp. 109-111; Pistoia: Pistoia II, p. 297; Firenze, terme di Piazza della Signoria: SHEPHERD, 1985, p. 49 (v. nota 96).

102 Corrispondente a quello del piano delle tegole, quindi compreso tra i 2 e i 4 cm. LUGLI, 1957, pp. 574-575; COTTON-METRAUX, 1985, p. 167, fig. 32.8 (San Rocco, Francolise).

103 Impiegati per semicolonne nella Casa dei Fiori (primo quarto II secolo a.C.); per colonne nella Casa del Fauno e nella Casa dei Mosaici (ultimo quarto II secolo a.C.), nella Casa del Labirinto (nelle due fasi datate 100-89 a.C. e 70-60 a.C.). Mattoni pentagonali e circolari sono usati nelle colonne della Basilica (130-120 a.C.). ADAM, 2001, pp. 168-169; WALLAT, 1993, pp. 355-356, tav. 76.1-2; GUIDOBALDI, 2006, p. 6.

104 MARTIN, 1999, pp. 377-378, fig. 273, tavv. 42, 43, 44. 105 Milano, mattoni ricavati da sesquipedali: UBOLDI, 1991, p. 150. Genova: NEGRINO, 1993, pp. 208, 219, 220.106 Mattoni formati: lato >10,5, sp. 4,5, peso kg 1,06 (fig. 188,1). Mattoni ricavati da sesquipedali e rifiniti a martellina: lati variabili

tra 11,5 e 22, sp. 7-8, peso variabile tra 2,08 e 3,90 (fig. 188,2). SHEPHERD, 1985, p. 49, figg. 42-43.107 SMALL, 1994, pp. 141-142.108 BERTI, 1987, pp. 904-905 e fig. 6.109 GIULIANI, 1976; GIULIANI, 1990, p. 153; AYLWARD, 1999; TAYLOR, 2003, pp. 36-42.110 BERTI, 1987, p. 905; GIULIANI, 1990, p. 158, fig. 7.4.

ELIZABETH J. SHEPHERD194

Fig. 188 – Firenze, Piazza della Signoria, scavo 1984-1985. Mattoni da colonna.

Fig. 189 – Vingone. Mattoni da colonna (in senso orario da sin. in alto: 255903, 255898, 255894, 255896).

Inv. Saggio Lati effettivi Raggio previsto Diam. ric. effettivo Spessore Peso Superficie Misura base255893 Tr.5, 48 16; 15 15,5 31 5 1,650 5 YR 6/8 pes? 13 unciae?255894 D, 37 16,5; 16,5 17,7 35,4 5,3-5,7 2,000 2.5 YR 6/6 palmipes255895 D, 39 20; 20 20 40 6 3,700 5 YR 6/8 2 besses255896* PNR-G 20,7; >20,5 20 40 5,5 5 YR 6/8 2 besses255897* PNR-G 20,5; >6 20 40 5,5-6 5 YR 6/8 2 besses255898* PNR-G 20,5; 20,5 22 44 5 3,400 5 YR 6/8 cubitus

a.

169434 G, 30 16,8; 10 19,3 38,6 5,3 1,600 ? 2 besses255899 D, 37 15; 15 19,5 39 5,5-5,8 1,630 5 YR 6/8 2 besses255900 D, 37 16,5; 16,5 20 40 5 1,150 5 YR 6/8 2 besses255901 PNR 15,5; >12 20,9 41,8 5 17 unciae? cubitus?

b.

255902* PNR 15,2; 14,5 14 28 4 1,480 pes255903* PNR 20,5; 20,5 17,4 34,8 5,5 2 septunces

c.

255904 PNR >12; >11 12,5 25 4,5 dextans255905 PNR >12; (14) 19,5 29 5,5 pes255906 PNR >13,5; >12 14,7 29,4 4,5 pes255907* D, 39 >10; (10,5) 16,7 33,4 5 - 5 YR 6/8 2 septunces255908 PNR >13; (17) 18,4 36,8 5 palmipes255909 PNR >12; (18,5) 18,7 37,4 5,5 palmipes255910* D, 37 >9,5; (15,5) 19 38 5 0,980 2 besses255911 PNR >9,5; (13,5) 19,6 39,2 5,5 2 besses255912 PNR >7; (10,5) 23,2 46,4 5,5 19 unciae 255913 PNR >10; (12,8) 24 48 5 20 unciae255914 PNR >19; (20) 24,4 48,8 5,5 20 unciae255915 PNR >9; (12,5) 25 50 5,5 7 palmi255916* PNR >6,8; (?) 27,5 55 5,5 23 unciae255917 PNR >25,5; ≥ 23 30 60 6-7 2 pedes

d.

Fig. 187 – Vingone. Mattoni da colonna (* scarti o bruciati). (a) Mattoni a quarto di cerchio . (b) Mattoni a settore di cerchio con lati minori del raggio calcolato. (c) Mattoni a settore di cerchio con lati maggiori del raggio calcolato. (d) Mattoni a settore di cerchio di tipo non id. per dimensioni incomplete (tra parentesi misure max. disponibili).

Anche la corona risultava leggermente inferiore alla misura della circonferenza finale; solo con la stesura degli strati di arriccio, intonaco o stucco si raggiungeva la misura prevista nel progetto architettonico. In base alle dimensioni dei due lati è possibile suddividere le forme dei mattoni in quarti di cerchio (con lati di uguali

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 195

Fig. 191 – Vingone. Mattoni da colonna di raggio > o < del cerchio.

Fig. 190 – Vingone. Mattoni da colonna a quarto di cerchio.

111 Le corrispondenze tra misure romane (nei sistemi con divisione in dodicesimi e in sedicesimi) e le misure decimali moderne sono basate su GIULIANI, 1976, fig. 173. Sui problemi del valore delle misure lineari antiche (in particolare il piede romano), così come ci sono note, e sulla relatività della loro restituzione nel sistema metrico decimale si veda, da ultimo, AYLWARD, 1999.

Misura romana Cm Palmi Unciae Pedes Misure mattoni Vingone (R=raggio; D=diametro)Sextans 4,9 2 Spessore minoreQuadrans, Palmus 7,4 1 3 Spessore massimo

Quincunx 12,3 5 = R di colonna da un dextans Semis 14,8 2 6 ½ pes = R di colonna da un pesSeptunx 17,2 7 = R di colonna da un pes + 2 unciaeBes 19,7 8 = R di colonna da due besDodrans 22,2 3 9 ½ cubitus = R di colonna da un cubitus o sesquipedalis

Dextans 24,7 10 = D di colonna da un dextans Pes 29,6 4 12 = D di colonna da un pes (R 14,8-semis)

13 = D di colonna da 13 unciae? 34,4 14 = D di colonna da un pes + 2 unciae, o 2 septunces (R 17,2-septunx)

Palmipes 36,9-37 5 15 1 pes + 1 palmus = D di colonna da un pes + un palmus (R 18,5-semis + 1/2 palmus)Doppio bes 39,3 16 = D di colonna da due bes (R 19,7-bes)

41,8 17 = D di colonna da 17 unciae?Cubitus, sesquipes 44,4 6 18 1 + 1/2 pes = D di colonna da un cubitus (R 22,2-dodrans)

46,7 19 = D di colonna da 19 unciae? 49,2 20 = D di colonna da 20 unciae? 51,6-51,8

7 21 = D di colonna da 21 unciae (R 25,9-dodrans + 1/2 palmus)

Bipedalis 59,2 8 24 2 pedes = D di colonna da due piedi (R 29,6-pes)

Fig. 192 – Vingone. Misure dei mattoni da colonna.

dimensioni, in cui 4 mattoni costituiscono un cerchio completo: Fig. 190) e in settori di cerchio (con i due lati di misure diverse, che a loro volta possono essere inferiori o superiori al raggio ricostruibile: Fig. 191). Non è chiaro quale fosse l’impiego specifico previsto per questi ultimi, che pure doveva essere il motivo della produzione diversificata. Forse venivano usati per realizzare colonne non intere (ad es. semicolonne, lesene curvilinee, colonne angolari).

I mattoni circolari, a quarto di cerchio e a settore di cer-chio prodotti al Vingone sono stati ricavati da modani le cui misure erano basate sul piede (pes: 29,6 cm), con sottomultipli e multipli calcolati sia sul palmus (7,4 cm) sia sull’uncia (2,46 cm)111 (Fig. 192). Data la pezzatura varia-bile dei mattoni in esame, i calcoli sono stati eseguiti, ove possibile, partendo dalla ricostruzione del diametro e del raggio della colonna che sarebbe stata realizzata con ogni

ELIZABETH J. SHEPHERD196

Fig. 195 – Firenze, MAF, cortile maggiore. Resti romani degli scavi ottocenteschi nel centro della città: al centro, il pozzo ricostruito.

Fig. 196 – Vingone. Mattone a settore di corona (“da pozzo”).

Fig. 194 – Vingone. Mattoni da colonna: spessori.

0

1

2

3

4

5

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7

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01

765,555,44

Fig. 193 – Vingone. Diametri delle colonne costruibili con i mattoni vingonesi.

112 V. nota 10.113 In epoca postclassica è stata spesso rilevata un’intenzionalità fraudolenta nella riduzione delle misure, dovute alla ricerca di maggior

guadagno da parte dei fornaciai che evitavano di rispettare le misure standard imposte dagli enti di controllo, riducendo intenzionalmente le misure dei modani. Non è possibile per ora dire se questa condizione sia presente anche in età più antica, non disponendo di studi accurati sulle murature laterizie che consentano un calcolo di tipo mensiocronologico. Sull’argomento si veda MANNONI, 1984, p. 400; MANNONI-MILANESE, 1988, pp. 383-387; CAGNANA, 2000, pp. 109-112.

singolo elemento, e sui quali era ovviamente basata anche la misura dei modani.Va tenuto conto però che il prodotto laterizio, una volta estratto dal modano, si ritirava; una prima volta durante l’asciugatura all’aria, ulteriormente poi durante la cottura nella fornace. È stato calcolato che la contrazione di volume conseguente alla cottura risultava in un ritiro del volume compreso tra il 15-20%, del peso fino al 46%112; il che permette di ipotizzare, ad esempio, che da un modano di mattone a quarto di cerchio con lato di un semis (14,8 cm) si ottenesse in realtà un mattone cotto di lato compreso tra i 13,6 e i 13,2. Naturalmente la contrazione poteva essere controllata, sia con un accorto calcolo del comportamento in asciugatura e in cottura dell’impasto argilloso fresco (dovuto in gran parte al tipo e alla quantità degli inclusi immessi nell’impasto), sia con l’uso di modani leggermente più grandi113.

Nei mattoni vingonesi i diametri ricostruibili variano me-diamente tra i 29 (= 1 pes) e i 60 cm (= 2 pedes), con un numero maggiore di attestazioni dei diametri 40 e 41 (= 2 besses) (Fig. 193); gli spessori variano tra i 4-4,5 cm dei mattoni usati per una colonna di un piede di diametro e i 7 cm (= 1 palmus) di quelli per una colonna di due piedi; le attestazioni più numerose sono però relative a spessori di 5-5,5 cm (= 1 sextans) (Fig. 194). Molti dei mattoni conservano tracce della cassaforma lignea (inv. 255900, 255893) e del filo usato per la resezione (nn.

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4,7)

2 pe

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(59 ,

2)

2 se

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(34 ,

4)

cubi

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(44,

4)

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(36,

9)

pes

(29,

6)

2 be

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(39,

3)

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 197

pozzo costruito in età tiberiana il cui uso è perdurato fino al V secolo d.C.120; moltissimi, infine, erano impiegati nei pozzi dell’area veneta, emiliana e romagnola121.Mattone da pozzo, manubriato (Fig.196)PNR. Inv. 255892. Ricomposto da 2 frr.; scheggiato uno spigolo. Corda maggiore 35; corda minore 27,5; la. 16,5-17; sp. 7. Diametro interno ric. 93; esterno 126. Manubrio: lu. 15,5; la. 3,5; prof. 3,5. Peso kg 5,640. Superfici lisciate. Tracce della cassaforma su uno dei margini brevi, e del filo per la resezione su tutto lo spigolo inferiore. Manubrio ricavato con l’asportazione dell’argilla fresca per mezzo di due dita, che hanno lasciato la netta impronta dei polpastrelli all’affondo; il bordo della cavità è stato successivamente spianato. Una ditata retta, obliqua, è stata impressa trasversalmente al manubrio, successivamente alla sua realizzazione (prova di essiccamento?)122. Impasto 6.2 (Munsell 5 YR 6/6).

LATERIZI DA RIVESTIMENTO STRUTTURALE

MATTONI DA PAVIMENTAZIONE

I mattoni c.d. da spicatum (Fig. 167, 10-11; Fig. 197) venivano comunemente impiegati per realizzare pavi-mentazioni a spina di pesce, destinate ad ambienti rustici, produttivi o esposti all’aperto123; sono anche impiegati nella pavimentazione di vasche usate per la lavorazione dell’argilla, poste in aree attrezzate legate a fornaci per laterizi124. Si co-noscono però impieghi dell’opus spicatum anche con orditura diversa dalla spina di pesce, per esempio messo in opera di piatto: così a Firenze, nel pavimento dell’impluvium della domus sotto le terme del Campidoglio, la cui costruzione è attribuita alla fondazione coloniale di età augustea125, e nella villa/fattoria di Porto Recanati, dove costituisce un ammatto-nato a forma di tappeto ad intreccio, datato ai primi decenni

inv. 255894, 255910; talvolta anche sullo spigolo superiore, inv. 255900, secondo la tecnica di rifinitura già descritta per i sesquipedali). Impressioni dei polpastrelli durante la sformatura, con profonde ditate sui margini, sono presenti sui nn. inv. 255895 e 255910. L’impasto dei mattoni (tipo 6.1 var.) è generalmente ricco di inclusi ben assortiti, con l’eccezione del n. inv. 255845 che ingloba grossi inclusi (1,2×0,5; 2,5×1) simili a quelli caratteristici dell’impasto dei grossi mattoni sesquipedali (tipo 6.2 var.). Nella Fig. 187 vengono elencati tutti gli esemplari recuperati al Vingone. Seguendo i criteri sopra esposti, si riportano le misure effettive dei lati, seguite dal diametro (ricostruito sulla base della porzione di circonferenza conservata) e dal raggio corrispondente. Nella tabella il raggio ricostruito precede il diametro sulla cui base è stato calcolato, in modo da consentire un immediato raffronto con le misure effettive dei lati.

MATTONI A SETTORE DI CORONA

Questo tipo di mattone, spesso manubriato, era impiegato per costruire la camicia interna dei pozzi e sembra caratteristico di molti impianti romani di nuova fondazione (Fig. 167, 8). Un pozzo foderato con mattoni di questo tipo fu trovato presso il Capitolium fiorentino, durante gli scavi del 1891, e parzialmente ricostruito dal Milani nel cortile maggiore del Museo Archeologico di Firenze (Fig. 195)114. Un mat-tone da pozzo (sp. 6,5), poi rilavorato e reimpiegato come mattone da colonna, proviene dalle terme romane di Piazza della Signoria115. Mattoni della stessa forma erano in uso a Pistoia116; un pozzo costruito con questi elementi è noto in loc. Le Camerelle, nel territorio di Chianciano117. La ricchezza di studi sul territorio cisalpino consente di indi-viduare un’ampia diffusione di mattoni di questa forma, an-che di misure diversificate118. Esemplari sono stati individuati a Milano, reimpiegati in strutture di prima età imperiale119, e negli scavi dell’antica Bedriacum (Calvatone, CR), in un

114 MILANI, 1912, p. 273; Firenze antica, 1976, figg. 38 (D) e 39; SBAT, AF, neg. 19091/4.115 SHEPHERD, 1985, p. 50.116 Pistoia II, 1987, p. 297 (corda maggiore 27; sp. 4,4).117 MASCI-NALDI-PAOLUCCI, 1992, p. 51, fig. 3; p. 112-113 (corda maggiore 45; sp. 9,7).118 GELICHI, 1994; CAMPAGNOLI, 1997, pp. 175-176, fig. 2, A-D; MASSEROLI, 1997; Pozzo romano, 1998; SENA CHIESA,

2003, p. 214, fig. 14.119 UBOLDI, 1991, pp. 150-151 (corda maggiore 41; sp. 9,5); altri esempi da Milano e Lombardia, ibid.120 MEDICI, 1998, p. 566, n. V.187 (corda maggiore 40; sp. 10); Optima via, 1998, p. 356, fig. 16.121 Martellago (VE), I secolo d.C.: ZERBINATI, 1986, pp. 275-276, figg. 47-52; Rovigo, ante I secolo d.C.: ZERBINATI, cit., pp.

270-276, figg. 15-46 (corda maggiore 40; sp. 10); Parma: CATARSI DALL’AGLIO, 2004, p. 18 (corda maggiore ca. 40; sp. ca. 8); Bassa Modenese: CAMPAGNOLI, 1997, cit.; Calderara di Reno (BO): CAMPAGNOLI, 2000, p. 98 e tav. 2.5-7 (corda maggiore 44-46,8; sp. 8,3-10,5); Bazzano (BO): Pozzo romano, 1998, pp. 69, 78 (J. Ortalli); Cattolica: Pozzo romano, 1998, p. 17 (M. Campagnoli); altri esempi in Emilia Romagna: Pozzo romano, pp. 58-59 (M. G. Maioli), 68-69 (J. Ortalli).

122 Mattoni da pozzo manubriati sono presenti in Emilia, impiegati in strutture datate tra la fine del I secolo a.C. e i primi del I secolo d.C.: ZERBINATI, 1986, cit.; CAMPAGNOLI, 1997, cit. e p. 183, nota 24; CAMPAGNOLI, 2000, cit., dove il mattone a tav. 2.6 mostra una lavorazione del manubrio identica a quella dell’esemplare vingonese.

123 GIULIANI, 1990, p. 158, fig. 7.4.; STOPPIONI, 1993, p. 107; CAMPAGNOLI, 1997, pp. 176-179; BOUET, 1999, pp. 169-173; MARTIN, 1999, p. 379 con bibl.; CAMPAGNOLI, 2000, p. 216.

124 CAVAZZONI, 1983, pp. 68-71 (vasca di decantazione dell’argilla, con tre gradini per la discesa sul fondo foderati da sesquipedali, nel complesso produttivo di Santo Marino – Poggio Berni, Rimini).

125 CIAMPOLTRINI-RENDINI, 2005, fig. 5 e p. 825.

ELIZABETH J. SHEPHERD198

Fig. 197 – Vingone. (a) Mattoni da pavimentazione tipo 1 (* = scarti o bruciati). (b) Mattoni da pavimentazione tipo 2.

Fig. 198 – Vingone. Mattoni da pavimentazione. 1. tipo 1; 2. tipo 2.

Inv. Provenienza La. Lu. Sp Peso Superficie Decorazione a pettine

169433 PNR >6 >6,5 1,9 0,11 5 YR 6/6 4 rebbi255918 PNR >13 >7 2 0,20 5 YR 5/8 12 rebbi 255919 PNR >12,5 >8,3 2 0,18 5 YR 6/6 4 rebbi255920 D, 27 >11,5 >8,5 2,2 0,25 5 YR 7/8-6/8 4 rebbi

Fig. 199 – Vingone. Lastre per intonaco.

del I secolo d.C.126. È noto poi almeno un caso in cui l’opus spicatum costituisce il rivestimento di pareti in elevato127. A Firenze sono stati trovati mattoni di dimensione 6×11×3,5 impiegati nella pavimentazione di un edificio datato al I secolo d.C.128. Esemplari di vari formati sono noti a Pistoia e in loc. Le Camerelle presso Chianciano129. Anche le fornaci vingonesi produssero questi mattoni in almeno due formati, quasi senza eccezione con impasto di tipo 6.1 var. Mattoni da pavimentazione formato 1 (Fig. 198, 1)Il formato maggiormente rappresentato è 10,5×4,7×1,5; le variazioni rimangono comunque entro il mezzo centimetro per le due dimensioni, e di 2 millimetri per lo spessore130. Realizzati in cassaforma, i mattoni di questo tipo talvolta as-sumono una forma troncopiramidale rovescia131. Sul margine allo spigolo superiore si riscontrano sovente tracce di polpa-strelli, impresse involontariamente durante la sformatura.Mattoni da pavimentazione formato 2 (Fig. 198, 2)Otto esemplari di mattone restituiscono un formato legger-

126 MERCANDO, 1979, pp. 280, figg. 103-104.127 Necropoli di Porto all’Isola Sacra, Tomba della Mietitura:

LUGLI, 1957, p. 578; BALDASSARRE et ALIAE, 1996, p. 155.128 Edificio romano in corrispondenza di via dei Pecori: GALLI,

1923, p. 240, fig. 2; MOSCHELLA, 1944, p. 255. 129 Pistoia II, 1987, pp. 779, in due formati (11×5,6×2,6-2,8;

11,5×4,6×3,4); MASCI-NALDI-PAOLUCCI, 1992, pp. 136-137, in due formati (A: 9-9,5×5-5,2×1,5-1,7; B: 8–8,5×5–5,3×1,5).

130 Sulle minime variazioni dimensionali di questi mattoni: CAMPAGNOLI, 1997, p. 178; CAMPAGNOLI, 2000, p. 220.

131 Lo stesso fenomeno è stato riscontrato in esemplari emiliani vicini al formato 2, per i quali si ipotizza che la forma tronca fosse «un accorgimento che consentiva alla malta di allettamento di penetrare anche fra le singole mattonelle, in modo da assicurare un saldo ancoraggio al sottofondo pavimentale»: CAMPAGNOLI, 2000, p. 220, nota 22.

Inv. saggio la lu sp Munsell Peso; n.ex.169423 Trincea 5, 48/1 10,7 5,2 1,4 5 YR 6/8 -255934 a Superf. 10,7 5,2 1,4 5 YR 6/8 0,150255934 b Superf. 10,7 5 1,2 5 YR 6/8 0,120255934 c Superf. 10,7 5 1,6 5 YR 6/8 0,145255933 Tr. 6, 49 10,7 4,9 1,6 5 YR 6/8 0,145169415* L, 43 5 1,3 5 YR 6/8 0,140255931 Tr. 6, 49 10,5 5 1,5 5 YR 6/8 0,140255932 a Superf. 10,5 5 1,5 5 YR 6/8 0,135255932 b-d Superf. 10,5 4,8 1,5 2.5 YR 5/4 0,150; 3 ex.169421 Trincea 5, 48/1 10,5 4,7 1,3 5 YR 6/8 0,145169422 Trincea 5, 48/1 10,5 4,7 1,5 5 YR 6/8 0,150255932 e-f Superf. 10,5 4,7 1,3 5 YR 6/6 0,130; 2 ex.255930 a Superf. 10,3 4,8 1,5 5 YR 6/8 0,120255930 b-c Superf. 10,3 4,7 1,2 5 YR 6/8 0,100; 2 ex.255930 d Superf. 10,3 4,7 1,5 5 YR 6/8 0,110255929 a Superf. 10,2 5 1,5 5 YR 6/8 0,120255929 b Superf. 10,2 4,8 1,2 2.5 YR 5/8 0,110255929 c-d Superf. 10,2 4,7 1,4 10 YR 6/6 0,120; 2 ex.255928* I, 40 10 4,7 1,9 2.5 YR 5/6 0,125255929 e-f Superf. 10 4,5 1,3 5 YR 6/3 0,130; 2 ex.169578 I, 40 >6,6 5,2 1,5 7.5 YR 6/6 -169576 D, 36 >6,1 5,1 1,4 7.5 YR 6/6 -169575 D, 39 >7,2 5 1,5 7.5 YR 6/6 -169574 D, 36 >6,5 5 1,6 7.5 YR 6/6 -255923 Tr. 6, 49 >7,1 4,8 1,5 5 YR 6/8 -169431 PNR >7 4,8 1,5 5 YR 6/8 -169577 Fornace, 42 >6,5 4,8 1,3 7.5 YR 6/6 -169425 Trincea 5, 48/1 >6 4,8 1,4 2.5 YR 5/8 -169426 Trincea 5, 48/1 >9 4,7 1,4 5 YR 6/8 -169430 PNR >5,5 4,7 1,5 5 YR 6/8 -255925 Fornace, 42 >3,9 4,5 1,1 7.5 YR 6/6 -169424 Trincea 5, 48/1 >7,2 4,1 1,4 2.5 YR 5/8 -169432 PNR >5 4 1,5 2.5 YR 6/8 -255926 b D, 38/3 - 5 1,7 5 YR 6/8 -255927.1-5 Superf. - 5 1,5 5 YR 6/8 5 ex.255926 a D, 38/3 - 5 1,4 5 YR 6/8 -255927 r-v Superf. - 5 1,2 5 YR 6/8 5 ex.255927 e-g Superf. - 4,8 1,9 5 YR 6/6 3 ex.255927 q Superf. - 4,8 1,8 5 YR 6/8 -255927 h-l Superf. - 4,8 1,7 5 YR 6/8 3 ex.255927 a-d Superf. - 4,8 1,5 10 YR 6/6 4 ex.255927 m-p Superf. - 4,8 1,3 5 YR 6/8 4 ex.255927.6-7 Superf. - 4,8 1,2 5 YR 6/8 2 ex.255926 d D, 38/3 - 4,7 1,6 5 YR 6/8 -255926 c D, 38/2 - 4,7 1,5 5 YR 6/8 -255927.8 Superf. - 4,7 1 5 YR 6/8 -255924 a-b Superf. - 4,5 1,3 5 YR 6/3 2 ex.255923 c Tr. 6, 49 - - 1,6 5 YR 6/8 -255923 d-i Tr. 6, 49 - - 1,5 5 YR 6/8 6 ex.255923 a-b Tr. 6, 49 - - 1,4 5 YR 6/8 2 ex

a. Mattoni da pavimentazione tipo 1 (* = scarti o bruciati).

Inv. saggio la lu sp Munsell peso169577 a M, 50 14 6,5 2,3 5 YR 6/8 0,032169572 M, 50 13,5 6,6 2,1 5 YR 6/8 -255936 L, 43 12 7 3,4 2.5 YR 6/8 0,440255937 a PNR 12 6,5 3,4 2.5 YR 6/6 0,430255937 b PNR 12 6,5 3,4 2.5 YR 6/6 0,460255935 Superf. 12 5,5 2 2.5 YR 5/4 0,400169570 Tr. 6, 49 11,7 6 3,4 2.5 YR 6/8 0,435255927.9 Superf. - 6,2 1,2 2.5 YR 5/8 -

b. Mattoni da pavimentazione tipo 2.

LATERIZI DA COPERTURA E DA COSTRUZIONE 199

132 Pistoia II, 1987, p. 779 (11,5×4,6×3,4).133 Nell’esemplare vingonese inv. 255918 il foro, a profilo tron-

coconico rovescio, ha un diametro superiore di cm 1,5.134 CELUZZA, 1985, p. 36. Di tipo diverso ma di funzione

simile i sottili laterizi decorati a pettine da Calvatone: MEDICI, 1997, p. 174.

135 CASABURO, 1997, p. 30, tav. 3.2 a-b; p. 38, tav. 15.54.136 COTTON-METRAUX, 1985, p. 167, fig. 32.6-7.

Fig. 201 – Vingone. Oggetti non identificati (1. inv. 169448; 2. inv. 255921; 3. inv. 255922).

Fig. 200 – Vingone. Lastre per intonaco.

mente più grande del precedente (all’incirca 12×6-7×3,4). Le superfici sono sempre lisciate superiormente e scabre nella faccia inferiore; sono presenti le tracce della cassaforma. Mattoni di dimensioni vicine sono attestati a Firenze e a Pistoia132.

LASTRE DA RIVESTIMENTO PARIETALE

Applicate sulla muratura per favorire l’adesione degli strati di intonaco, le lastre di questo tipo sono da associare ad alzati in argilla o materiali deperibili (craticium, legno). Formate in cassaforma, le superfici lisciate venivano incise a crudo con un pettine, così da favorire l’adesione dell’intonaco al momento della messa in opera (Fig. 167, 9; Figg. 199-200). L’adesione al muro retrostante veniva assicurata con l’ausilio di chiodi, fatti passare attraverso fori appositamente praticati a crudo nei pressi degli angoli della lastra133.Per quanto da collegarsi a tipologie edilizie di tipo tradi-zionale, nondimeno il loro impiego lascia intuire una certa ricercatezza dei rivestimenti parietali, presumibilmente in-tonaci dipinti. Sottili lastre di questo tipo sono state infatti trovate nella villa di Settefinestre, negli ambienti del primo piano, in relazione a murature in argilla pressata rivestite di intonaci riccamente decorati134; nella villa elbana delle Grotte, in relazione a stucchi decorativi135; nella villa di San Rocco a Francolise, nell’area del peristilio136. L’impasto delle lastre vingonesi è di tipo 6.1 var. o 6.2, con prevalenza del primo.

ELIZABETH J. SHEPHERD200

LATERIZI DI TIPO NON IDENTIFICATO

Lastra con elemento troncoconico applicato (Fig. 201, 2)H, 34. Inv. 255921. 1 fr.10×9; sp. 1,5. Elemento troncoconico: alt. 3,5; d. imbocca-tura 7,5; sp. 1,5; d. foro 1,5-2. Lastra piana di terracotta, affine alle tegole per tipo di impasto e spessore, cui è stato saldato un elemento troncoconico forato, realizzato al tornio. Il foro passante centrale doveva servire per l’introduzione di un chiodo. Potrebbe trattarsi quindi di un tipo di tegola mammata, peraltro priva di confronti puntuali137.Impasto 6.1 (5 YR 6/8).Elemento parallelepipedo (Fig. 201, 3)Inv. 255922. Alt. 6; la. 7,7; sp. 5. Modellato a mano e lisciato a stecca.Si tratta di un elemento applicato (piede di coperchio di dolio? piede di fornello?), distaccatosi durante l’asciugatura. La superficie di adesione al pezzo mancante è obliqua.

Non è da escludere un uso secondario come sostegno dei materiali in cottura all’interno delle fornaci. Impasto 6.1 var (2.5 YR 6/8).Elemento cilindrico (Fig. 201, 1)PNR. Inv. 169448. NE 1.Alt. 7; d. base 5; d. foro 0,9 (base) – 1,2 (fusto).Cilindro forato su base troncoconica a fondo leggermente convesso, compressa su due punti opposti. Spezzato all’estre-mità opposta alla base. Due gocce di invetriatura bianca sulla sup. est.Le gocce di invetriatura potrebbero essere casuali, dovute all’ipercottura di qualche incluso, oppure segnalare l’ap-partenenza del reperto a produzioni postclassiche, dato che si accorderebbe anche con la particolare depuratezza dell’impasto. La funzione dell’oggetto è per ora ignota: potrebbe trattarsi di un distanziatore (simile a quelli delle tegulae mammatae138). Impasto molto depurato, simile a quello usato per le cera-miche fini (Munsell 5 YR 7/4).

137 Si confrontino, ad es., gli esemplari da Suasa: CAMPAGNOLI, 1988, pp. 140-141, fig. 28.6, e da Castellu (Corsica): PACETTI, 1989, p. 109, tipo fig. 238.

138 V. ad es. GIULIANI, 1990, pp. 154, 157.