la filosofia dell'espressione di giorgio colli: tra aristotele e nietzsche

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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE Corso di laurea triennale in filosofia LA FILOSOFIA DELL’ESPRESSIONE DI GIORGIO COLLI: TRA ARISTOTELE E NIETZSCHE RELATORE: Prof . G. Chiurazzi CANDIDATO: Luca Torrente Matricola: 746589 Anno accademico 2013 / 2014

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1

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA E SCIENZE

DELL’EDUCAZIONE

Corso di laurea triennale in filosofia

LA FILOSOFIA DELL’ESPRESSIONE DI GIORGIO

COLLI: TRA ARISTOTELE E NIETZSCHE

RELATORE: Prof . G. Chiurazzi

CANDIDATO: Luca Torrente

Matricola: 746589

Anno accademico 2013 / 2014

2

Indice

Avvertenza .................................................................................................... 3

Introduzione .................................................................................................. 4

La filosofia dell’espressione ............................................................................ 8

1.1 La rappresentazione come dato. ............................................................... 8

1.2 L’ipotesi metafisica del mondo come espressione. ................................. 12

1.3 L’espressione è la sostanza del mondo. .................................................. 14

1.4 L’immediatezza. .................................................................................... 16

1.5 Il contatto. ............................................................................................. 20

1.6 I cammini dell’espressione. ................................................................... 23

1.7 Flusso e riflusso. .................................................................................... 26

Il confronto con Aristotele sul logos astratto. .............................................. 30

2.1 La rete delle categorie............................................................................ 30

2.2 La categoria dell’essere. ........................................................................ 32

2.3 L’essere come verità. ............................................................................. 35

2.4 Le categorie modali. .............................................................................. 38

2.5 Il principio modale. ............................................................................... 40

2.6 Lo scacco della ragione. ........................................................................ 42

Colli dopo Nietzsche ...................................................................................... 45

3.1 Dialogo tra due inattuali. ....................................................................... 45

3.2 Nietzsche e i Greci. ............................................................................... 47

3.3 La metafisica. ........................................................................................ 50

3.4 La critica del soggetto............................................................................ 53

3.5 La doppia verità in Nietzsche................................................................. 56

3.6 La crisi della ragione. ............................................................................ 58

Bibliografia ................................................................................................. 62

3

Avvertenza

Si riporta qui di seguito la legenda delle sigle utilizzate per le citazioni delle

opere di Giorgio Colli.

AD = Apollineo e dionisiaco

DN = Dopo Nietzsche

FE = Filosofia dell’espressione

NF = La nascita della filosofia

PHK = Physis kryptesthai philei

RE = La ragione errabonda

SG I = La sapienza greca I

SN = Scritti su Nietzsche

4

Introduzione

Giorgio Colli è conosciuto e apprezzato internazionalmente come curatore,

assieme a Mazzino Montinari, dell’edizione critica dell’opera di Nietzsche. Tuttavia,

a trentacinque anni di distanza dalla sua morte, pochi sono gli studiosi che hanno

provato ad accostarsi alle sue opere filosofiche. Difatti, oltre ad essere un eccellente

filologo, le traduzioni dell’Organon aristotelico1 e della Critica della ragion pura

2 ne

sono un esempio, Colli è stato anche un filosofo originale, condensando i lineamenti

del suo pensiero nel volume Filosofia dell’espressione. C’è ancora un ultimo aspetto

della personalità di Colli che non va dimenticato, ossia l’essere stato un educatore.

Attraverso l’insegnamento presso l’Università di Pisa e le grandi “azioni culturali”

quali l’«Enciclopedia di autori classici» e le Opere complete di Nietzsche, Colli è

riuscito a creare «una ideale comunità di lettori fedeli»3. In lui le tre figure del

filologo, filosofo ed educatore coesistono in perfetta armonia, poiché tutti

discendono dal comune presupposto di un conoscere come essenza e culmine della

vita.

In particolare, in questa tesi si tenterà di operare una chiarificazione di alcune

questioni appartenenti alla filosofia dell’espressione di Colli. A partire dal dato

rappresentativo si interpreta il mondo come espressione di qualcosa d’altro che esula

dal dominio del conoscibile, ponendo così le basi per una filosofia che ha caratteri

metafisici. In questa metafisica, però, non si ricerca la cosa in sé o un ente supremo,

il quale possa dare senso al mondo finito, bensì una nuova possibile relazione tra vita

e ragione. Possiamo dunque affermare con Tusell che tutto il pensiero di Colli ha

come obiettivo quello di formare una filosofia affermativa che sia capace di

instaurare un nesso di unione con la radice della vita4.

Al centro della riflessione del filosofo torinese c’è il problema della nascita e

della natura del logos. Per questo motivo si è deciso di analizzare il confronto

1 Cfr. I. Düring, Recensione alla traduzione dell’Organon di Aristotele, in «Gnomon», 28

(1956), pp. 204-210. 2 Cfr. E. De Angelis, Colli traduttore di Kant, in Giorgio Colli incontro di studio (atti del

convegno di Pisa del 16-1-1981), a cura di S. Barbera e G. Campioni, Milano, 1983, pp. 77-80. 3 M. Montinari, Ricordo di Giorgio Colli, in Giorgio Colli incontro di studio, cit., p. 14. 4 Cfr. N. Aragay Tusell, Origen y decadencia del logos. Giorgio Colli y la afirmación del

pensamento tragico, Barcelona, Anthropos, 2003, p. 269.

5

instaurato da Colli con due filosofi che hanno influenzato profondamente il suo

pensiero: Aristotele e Nietzsche. Il primo suscitò in lui un profondo interesse per la

logica che lo portò poi ad approfondire la specificità del logos in generale. Inoltre, il

primo abbozzo di Filosofia dell’espressione risale al 1959 e consiste in un breve

scritto logico molto probabilmente stimolato dalla traduzione dell’Organon

aristotelico conclusa pochi anni prima5. Il secondo invece può essere considerato il

costante punto di riferimento e di confronto per Colli, il quale seguendo la strada

aperta da Nietzsche costituisce un pensiero privo di implicazioni morali e con un

forte carattere inattuale. Attraverso questo dialogo, il filosofo torinese ha costruito un

altro pensiero, la sua filosofia, che si domanda tanto dell’autolegittimazione della

filosofia quanto della validità dei fondamenti razionali della conoscenza e dell’ordine

del mondo in generale.

Il lettore che desidera accostarsi alla filosofia di Colli incontrerà sulla propria

strada non poche difficoltà. Innanzitutto l’opera Filosofia dell’espressione è

estremamente ardua alla lettura, resa inoltre ancora più complessa dall’utilizzo di

«uno stile aforistico particolarmente e volutamente oscuro ed enigmatico»6. In questo

modo Colli intendeva stabilire una sorta di iniziazione per coloro i quali avrebbero

preteso occuparsi della sua filosofia, e di evitare così una banalizzazione delle sue

intuizioni. In Filosofia dell’espressione vengono negate al lettore indicazioni relative

allo sviluppo dei pensieri presentati o note esplicative in cui si dichiarino i propri

riferimenti filosofici. Proprio per questo motivo appare ancora più importante

stabilire un confronto con Aristotele e Nietzsche, i due principali interlocutori del suo

pensiero.

Nel primo capitolo sono analizzati gli elementi fondamentali della filosofia di

Colli. Lo sviluppo dell’argomentazione ripercorre la prima parte di Filosofia

dell’espressione, ricorrendo di frequente ai passi dei quaderni pubblicati postumi dal

figlio Enrico che possono spiegare con maggiore chiarezza la genesi del pensiero

colliano. Si sono giudicati imprescindibili alcuni accenni alle filosofie di

Schopenhauer, per il suo concetto di Vorstellung, e di Kant, per quanto riguarda il

5 Cfr. RE, [8]. 6 F. Montevecchi, Giorgio Colli. Biografia intellettuale, Torino, Bollati-Boringhieri, 2004, p.

126.

6

problema della cosa in sé. Infine si seguono le strade percorse dall’espressione a

partire dal suo allontanarsi dall’immediatezza fino ad arrivare alla creazione di un

mondo di oggetti.

Nel secondo capitolo viene presa in considerazione la parte centrale di Filosofia

dell’espressione. Qui Colli si confronta con la logica aristotelica e mentre da una

parte riprende intuizioni geniali, come ad esempio la trattazione che riguarda

l’essere, dall’altra corregge gran parte della sillogistica, limitando le figure di

sillogismi validi a tre. Sono inoltre analizzate nello specifico le categorie dell’essere

e della verità e le categorie modali. Infine, a seguito dell’assunzione del principio

modale come arché dell’intera logica, si scopre che nel momento in cui si applica

questo principio c’è uno scacco della ragione.

Il confronto con Nietzsche viene invece sviluppato nel terzo capitolo. Si

mettono inizialmente in relazione i due pensatori inattuali riguardo alla loro comune

passione verso gli antichi Greci. In seguito si analizzano le grandi questioni lasciate

irrisolte da Nietzsche e riprese da Colli, quali la metafisica, la critica del soggetto e il

problema della verità. Infine, come si è già detto, si tratta del problema centrale della

filosofia dell’espressione, ovvero della ragione e della sua crisi. Per Colli c’è, però, la

possibilità di un uso sano della ragione e questo non può che essere in relazione alla

radice della vita, quindi all’immediatezza. Si ricerca allora «il recupero non

anacronistico di un’oralità dialettica che si contrapponga alla persuasione»7,

contrastando l’univocità di un logos che si crede autonomo e che ha costruito il vuoto

attorno a sé.

Attraverso questi continui confronti e rimandi speriamo di aver indagato più a

fondo le questioni che vengono poste in Filosofia dell’espressione. Siamo inoltre

convinti della necessità di una riscoperta di questo autore ingiustamente lasciato da

parte e caduto nell’oblio, in particolare per quanto riguarda la sua riflessione

originale. La mira di Colli è stata, per l’intera durata della sua vita, la ricerca della

verità, anche per questo si dovrebbe prestare ascolto alle parole contenute nelle sue

opere.

7 G. Auteri, Giorgio Colli e l’enigma greco, Catania, CUECM, 2000, p. 13.

7

Bello, senza riserve, è l’amore per la verità. Esso porta lontano, ed è

difficile giungere al termine del cammino. Più difficile però è la via

del ritorno, quando si vuol dire la verità. Voler mostrare la verità

nuda è meno bello, poiché turba come una passione. Quasi tutti i

cercatori di verità hanno sofferto di questa malattia, da tempo

immemorabile8.

8 PHK, p. 13.

8

La filosofia dell’espressione

1.1 La rappresentazione come dato.

L’intero pensiero di Giorgio Colli, e quindi anche di Filosofia dell’espressione,

parte da un assunto fondamentale, cioè che «il mondo in cui viviamo sia

un’apparenza, un’illusione, con la consistenza di un sogno»1. Tale conoscenza si

acquisisce attraverso l’intuizione che permette di cogliere tutto ciò che è come una

«festa della conoscenza»2; il mondo infatti «lo capisce solo chi lo vede come

fenomeno – il mondo ha senso solo per essere contemplato poiché in sé non è altro

che rappresentazione»3.

Lo studio delle rappresentazioni deve partire, secondo Colli, dall’oggetto e mai

dal soggetto, sempre «viscido e inafferrabile»4. Questo fa sì che, se da un lato la

filosofia moderna si è illusa di poter entrare nell’intimo del soggetto e in generale ha

«psicologizzato la filosofia teoretica»5, dall’altro si dovrà allora recuperare la

tradizione greca, ingiustamente ritenuta ingenua per la mancanza di centralità del

soggetto. Difatti l’intero «mondo che si offre ai nostri occhi, quello che tocchiamo e

quello che pensiamo, è rappresentazione, come dalle Upanishad antiche e da

Parmenide in poi ha compreso ogni speculazione penetrante»6.

Per Colli la rappresentazione è un qualcosa che «ha la virtù di poter essere

assunto come “dato”, dato indefinibile (come del resto già avveniva in Kant), ma

1 FE, p. 10. 2 RE, [239]. 3 Ibid. 4 FE, p. 5. 5 Ibid. 6 Ivi., p. 9.

9

ineludibile»7; d’altro canto, «non è possibile definire la rappresentazione, troppo

vasto è il suo campo. Il sentimento più interiore, l’attimo di Goethe o l’estasi di

Plotino è già una rappresentazione, come il pensiero più astratto e universale […]

Insomma la rappresentazione è l’unico dato primitivo»8.

In questi passi è evidente il richiamo a Schopenhauer e alla sua idea secondo cui

«il mondo è una mia rappresentazione»9 (Die Welt ist meine Vorstellung); all’interno

di questa prospettiva tutto ciò che vediamo, pensiamo o esperiamo è in rapporto a noi

in quanto lo rappresentiamo. L’influenza che il pensiero del filosofo tedesco ebbe su

Colli fu forte, anche grazie alla valorizzazione della filosofia di Schopenhauer messa

in atto da Martinetti per la sua «affinità del conoscere con l’intuizione mistica ed

artistica, ma anche […] contro la separazione tra conoscenza mistica e conoscenza

razionale»10

. Non si deve dimenticare, però, che, sebbene le premesse possano essere

simili, è altresì vero che in poco tempo Colli si distaccherà sempre più da

Schopenhauer, in particolare nelle conclusioni a cui perviene la sua filosofia11

.

In Schopenhauer si possono riscontrare due differenti definizioni di

rappresentazione: la prima intende la rappresentazione come il «primo fatto di

coscienza, la cui forma […] essenziale è la divisione in oggetto e soggetto»12

; in

questa accezione le due metà che la costituiscono sono coessenziali; la seconda,

invece, indica una prospettiva privilegiata nei confronti del soggetto, poiché «tutto

ciò che esiste, non esiste che in funzione di un soggetto»13

e inoltre lo svanire del

soggetto comporterebbe lo svanire del mondo come rappresentazione.

Questa prevalenza data al soggetto, definito anche come «sostegno del

mondo»14

, si può rintracciare nel termine tedesco per rappresentazione. ‘Vorstellung’

difatti ha come verbo corrispettivo ‘vorstellen’, che significa ‘mettere avanti’, ma

7 C. La Rocca, La filosofia dell’espressione di Giorgio Colli, in «Giornale di metafisica», 30

(2008), n. 1, Genova, p. 77. 8 FE, p. 9. 9 A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, Lipsia, Brockhaus, 1859; tr. it. di N.

Palanga, Il mondo come volontà e rappresentazione, Milano, Mursia, 2004, p. 39. 10 S. Barbera, Una filosofia della comunicazione, in Giorgio Colli incontro di studio, cit., p. 42. 11 Cfr. AD, p. 43, dove Colli dice che «non è possibile senza prima aver penetrato a fondo il

sistema di Schopenhauer seguirci sulla nostra via di ricerca». Confronti critici con il filosofo tedesco

si possono trovare in FE, p. 47; RE [91] e [124-125]; DN, pp. 20-22. 12 A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit., p. 71. 13 Ibid. 14 Ibid.

10

anche ‘presentare’ e ‘rappresentare’; nel sostantivo rimane dunque il significato di

qualcosa che viene posto davanti a sé. Questo spiega anche perché Schopenhauer non

dica ‘il mondo è rappresentazione’, bensì «il mondo è una mia rappresentazione»15

.

Inoltre, una volta lasciata svanire la rappresentazione, il soggetto continuerebbe ad

esistere come spettatore del mondo in quanto volontà, poiché senza oggetto il

soggetto continua a sussistere, mentre senza soggetto non si può dare oggetto. Due

sono le prospettive sul soggetto: l’una lo vede come uno dei due termini della

rappresentazione, accanto all’oggetto e inseparabile da esso, quindi essenzialmente

come termine della relazione ‘soggetto-oggetto’; l’altra, invece, concepisce la

rappresentazione come Vorstellung, dando in tal modo una preminenza al soggetto

che viene inteso come condizione stessa della rappresentazione.

Colli si fa interprete della prima prospettiva, che è propria di un sentimento

d’illusorietà del mondo. La rappresentazione è dunque per lui «una semplice

relazione, un rapporto fluttuante tra due termini – provvisoriamente chiamati

soggetto e oggetto – instabili, cangianti, di volta in volta mutevoli, trasformantisi

l’uno nell’altro, per cui ciò che in una rappresentazione è soggetto diventa oggetto in

un’altra»16

. Cade quindi la rappresentazione intesa come Vorstellung, ovvero come

un qualcosa posto dal soggetto, poiché quest’ultimo, per Colli, in sé non è nulla17

, o

comunque è un termine sempre comprimibile ed «è possibile ogni volta risolvere il

soggetto in puri termini di oggetto»18

. Infatti ogni soggetto può essere conosciuto da

un ulteriore soggetto e quindi diventare oggetto. Il mondo è dunque rappresentazione

in quanto «viene subordinato alla categoria della relazione, del »19

, intesa nel

significato espresso da Aristotele nelle Categorie. Questo rimando rende anche più

agevole la comprensione della convertibilità che sussiste all’interno della

rappresentazione tra soggetto e oggetto, in quanto «tutte le nozioni relative si

riferiscono al termine con cui si convertono»20

.

Se si va a vedere più in profondità, però, ci si accorge che la stessa definizione

di rappresentazione come « “oggetto per un soggetto” è impropria, poiché i termini

15 Ivi., p. 39. 16 FE, pp. 9-10. 17 Ivi, p. 49. 18 Ivi, p. 7. 19 RE, [356]. 20 Aristotele, Organon, tr. it. di G. Colli, Torino, Einaudi, 1955, p. 23.

11

oggetto e soggetto sono derivati rispetto a quello di rappresentazione, sono delle

astrazioni, non sono i suoi elementi essenziali»21

, ed infatti lo stesso Colli ci mette in

guardia precisando che «è lecito […] parlare di rapporto soggetto-oggetto solo

provvisoriamente»22

.

Infatti, sebbene dal punto di vista categoriale la rappresentazione sia intesa come

relazione, e quindi risulti superata la concezione schopenhaueriana per la mancanza

della categoria di possesso riferita al soggetto, tuttavia una tale definizione non potrà

essere sufficiente e quindi «sarà possibile soltanto una sua determinazione come

‘rievocazione’, ossia una spiegazione metafisica del suo significato»23

. Colli difatti

parla di «Repræsentatio nel senso di rievocazione»24

quando intende definire

l’essenza della rappresentazione.

La parola ‘rappresentazione’ usata qui non è da intendersi come

traduzione della tedesca Vorstellung […] quanto piuttosto nel

significato primitivo di un ‘far riapparire di fronte’, insomma di una

‘rievocazione’. L’accento non cade quindi sull’oggetto per un

soggetto, ma sulla funzione ‘ripresentante’, che implica memoria e

tempo25

.

In realtà, attraverso il rifiuto del termine tedesco Vorstellung, Colli «non nega la

relazione ‘orizzontale’ tra soggetto e oggetto che caratterizza la rappresentazione

[…] ma afferma che tale relazione non ne coglie l'essenza»26

, in quanto la presenza

di qualcosa è in primo luogo solamente ripresentazione di ciò che era nel passato. Il

risultato a cui si perviene in questa prima analisi è duplice: da un lato «si mostra che

l’ “affrontamento” rappresentativo è nella sua realtà più autentica “memoria”, cioè

conservazione nella conoscenza di qualcosa che non è conoscenza»27

, dall’altro lato

21 RE, [363]. 22 FE, p. 7. 23 Ivi, p. 9. 24 RE, [322]. 25 FE, p. 6. 26 A. Pistoia, Misura e dismisura. Per una rappresentazione di Giorgio Colli, Genova, Erga,

1999, p. 62. 27 L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, Bari, Dedalo,

1984, p. 28.

12

si perviene ad illuminare la traccia di una realtà “altra”, che la rappresentazione

semplicemente rievoca.

1.2 L’ipotesi metafisica del mondo come espressione.

È attraverso la stessa analisi della rappresentazione che si giunge a formulare

l’ipotesi metafisica del mondo come espressione di un qualcosa di nascosto. Di fatto

«ogni rappresentazione sorge da un ricordare, e quindi da un esprimere qualcosa che

rappresentazione non è»28

. La relazione con il passato, appartenente all’essenza della

rappresentazione, dunque, «appartiene altresì alla natura dell’espressione»29

.

Nel momento in cui si sospende una parte intrinseca alla rappresentazione intesa

come relazione, cioè il suo essere tale per un soggetto, e la si considera come uno

«spettacolo che prescinde dagli spettatori»30

, ci si apre alla possibilità di cogliere il

suo valore manifestativo: «tutto ciò che si offre (che può offrirsi) al conoscere di un

soggetto è – prima e più originariamente che rappresentazione per un tale soggetto –

manifestazione di altro»31

. Se quindi la rappresentazione è un dato, l’espressione è

un’ipotesi, ed è l’interpretazione del dato.

La conoscenza che rimane chiusa nella singola rappresentazione

è dunque un’illusione nell’illusione; sganciata invece dalla

prospettiva di un soggetto particolare, cioè considerata non

dall’interno, ma anzitutto secondo il complesso delle prospettive,

come rappresentabilità, e poi dall’esterno, come accenno,

manifestazione di qualcos’altro, in un contesto metafisico, è più

giusto che la conoscenza, anziché rappresentazione, venga chiamata

espressione32

.

28 RE, [249]. 29 Ivi, [374]. 30 FE, p. 20. 31 C. La Rocca, La filosofia dell’espressione di Giorgio Colli, cit., p. 78. 32 FE, p. 19.

13

A tal riguardo Colli parla del mondo dell’espressione come «Gegenstück

[riscontro] di quello della rappresentazione»33

per il fatto che «ogni elemento

dell’espressione è un punto di rappresentabilità»34

, il quale può diventare oggetto di

molteplici rappresentazioni a seconda del variare dei soggetti. Difatti possono esserci

«espressioni che non riescono a diventare rappresentazioni» per la mancanza di un

soggetto, e tutto ciò perché il mondo, come rappresentazione, «non coincide con

quello come espressione, bensì è più ristretto»35

.

Questo nuovo sguardo ha una valenza metafisica e difatti l’espressione viene

definita come «un’interpretazione, un’ipotesi»36

, che però viene giustificata dal

meccanismo della memoria, il cui prodotto è condizionato dalla «persistenza, dalla

comunanza con un’immediatezza extrarappresentativa di qualcosa che ‘era’ prima ed

è ancora dopo, sia pure in un’altra forma»37

. Il ricordo non coincide con la cosa

ricordata. Questa è l’essenza della memoria: essere la conservazione attenuata di

qualcosa che è più vivo rispetto al ricordo e sfugge alla polarità soggetto-oggetto.

La memoria per Colli possiede sia il significato di mneme che di anamnesis38

.

«La potenza conservante propria della mneme è interpretata come traccia e riflesso,

quindi espressione, di una vita immutabile e sottratta al tempo che la memoria, nella

sua funzione di anamnesis, si sforza di recuperare»39

. Si vede in questo modo come

l’analisi della memoria sia «la vera chiave di volta del labirinto colliano»40

, punto di

incontro e di transito tra piano dell’ontologia e piano logico, e tutto ciò perché la

memoria, qui trattata, non è da intendersi come una semplice facoltà soggettiva,

bensì come la struttura di base di tutto il nostro mondo rappresentativo41

.

La nostra coscienza è soltanto ricordo, mai vera immediatezza. Anche

le nostre sensazioni, le impressioni sensoriali, non sono altro che

33 RE, [326]. 34 Ibid. 35 Ivi, [276]. 36 Ivi, [374]. 37 FE, p. 22. 38 Cfr. sulla differenza tra i due significati nella tradizione classica Platone, Filebo, tr. it. di M.

Migliori, Milano Rusconi, 1995, p. 119. 39 F. Montevecchi, Giorgio Colli. Biografia intellettuale, cit., p. 146. 40 L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, cit., p. 53. 41 Cfr. L. Cimmino, Giorgio Colli e la crisi della ragione, in «La Nottola», II (1983), nn. 3-4,

pp. 63-80.

14

ricordo. Non solo, ma il tessuto intero della coscienza, tutto quello

che sentiamo, conosciamo, operiamo, la nostra anima e le stelle, non

è altro che concatenazione di ricordi42

.

Questo mondo allora si prospetta come “interpretazione” di un qualcosa che si è

vissuto in modo immediato e che solo come espressione può essere conosciuto. È

proprio il ricordo ad essere la traccia che permette di ripercorrere i cammini

dell’espressione fino ad arrestarsi di fronte a ciò che è fuori dalla rappresentazione;

«la memoria conserva qualcosa e lo manifesta: è appropriato chiamare ciò

espressione di quello che era prima»43

. L’espressione è, dunque, una “rievocazione”,

un ricordo che indica qualcosa che non era ricordo.

1.3 L’espressione è la sostanza del mondo.

La sostanza prima, secondo Aristotele, è qualcosa che “sta sotto” e «non si dice

di un qualche sostrato, né è in un qualche sostrato»44

, ma può solo ricevere delle

predicazioni, cioè fa da soggetto. Il problema è che «questo star sotto, se viene

introdotto nel contesto discorsivo, non sta più sotto» ed è per questo che per Colli

«ciò che veramente sta sotto non si può dire sostanza, perché a esso non spetta

nessun nome»45

. La sostanza così intesa allora è una categoria, cioè un predicato, una

rappresentazione che indica la natura di un’immediatezza, di un , il quale è

fuori dalla rappresentazione. Si può affermare, dunque, che il carattere proprio della

sostanza sia quello di indicare ( l’essere di “altro”47

. Il confronto con

Aristotele appare decisivo nel caso in cui si prenda un passo delle Categorie dove si

dice: «pare d’altronde che ogni sostanza debba esprimere un oggetto immediato […]

nel caso delle sostanze prime è incontestabilmente vero che la sostanza esprime un

42 RE, [266]. 43 FE, p. 22. 44 Aristotele, Organon, cit., p. 8. 45 FE, p. 21. 46 Cfr. per la traduzione di con “oggetto immediato” Aristotele, Organon, cit., pp. 738-

740. 47 Cfr. RE, [366] e [372]

15

oggetto immediato»48

. Risulta a tal punto evidente che l’espressione sostituisce la

sostanza, in quanto strumento di conservazione che allude a qualcosa di nascosto; il

mondo quale si presenta ai nostri occhi è dunque, come sostanza, «un’espressione di

qualcosa di ignoto»49

.

In questa prospettiva, con l’attribuzione di un valore “semantico” alla sostanza,

si comprende come l’intero mondo dei simboli e delle forme, e quindi del “senso”,

debba essere riportato al contesto non antropomorfico e più ampio dell’espressione,

che viene inteso «come lo sceverarsi ermeneutico dei segni da una primordiale e

inesauribile ricchezza di infiniti punti di immediatezza»50

. Se allora il carattere

essenziale della sostanza è di essere espressione, «ogni cosa del mondo ne esprime

un’altra, e ogni cosa che è espressa da un’altra a sua volta esprime altro ancora.

Scandagliando la natura delle cose percorriamo il cammino dell’espressione […]. In

questa strada verso il profondo si arriva spesso a un punto in cui non è possibile

andare oltre»51

.

L’espressione rivela due caratteri essenziali della sua natura metafisica nello

sceverarsi in catene espressive. Si tratta anzitutto «della povertà, della mancanza,

dell’insufficienza, dello scadimento, della degradazione appartenenti a ciò che

manifesta» l’immediatezza. È nella natura dell’espressione il «dover lasciar cadere

qualcosa», lo «svelare in modo incompiuto e imperfetto»52

. In secondo luogo, questa

insufficienza e mancanza si ripercuote nella tendenza ad esprimersi ulteriormente,

quindi l’altro suo carattere consiste «nell’acquisizione in rappresentabilità rispetto a

ciò che è espresso, in un guadagno, in un accrescimento, in un’estensione rispetto

alle forme e alle dimensioni dell’apparenza»53

. L’espressione tenta così di equilibrare

lo scadimento congenito alla sua natura mediante un dominio sempre più ampio nella

sfera della quantità.

In seguito all’assunzione dell’ipotesi metafisica dell’espressione, si può ritornare

all’asserzione iniziale per cui il mondo ha la consistenza di un sogno. Più

48 Aristotele, Organon, cit., p. 12. 49 FE, p. 21. 50 L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, cit., p. 39. 51 RE, [803]. 52 FE, p. 23. 53 Ibid.

16

precisamente ora si potrà dire che il mondo è apparenza di qualcosa, piuttosto che

semplice illusione, in quanto è presente una direzione indicante un punto d’origine.

Per questo il pensiero di Colli «rifugge tanto da una considerazione immanentista del

mondo quanto dalla postulazione di una realtà trascendente»54

: entrambe le categorie

sono per lui delle creazioni che hanno origini equivoche e «non è giusto che chi vede

il mondo come spettacolo illusorio venga accusato di trascendenza»55

.

Il valore attribuito all’illusione non è quindi quello di una versione fallace di un

“aldilà” metafisico più vero e reale, bensì è sostanziale, in quanto apparenza di

qualcosa. Si può difatti definire illusoria la realtà «perché siamo avvezzi a intendere

per realtà vera qualcosa per sé […] Ma ciò che ha diritto di chiamarsi realtà è

appunto solo questa realtà illusoria. Al mondo nascosto, se un accenno ad esso ha

senso, non spetta l’attributo della realtà, poiché non spetta nessun attributo»56

.

La concezione metafisica di Colli risente del pensiero orfico e dell’immagine del

‘dio allo specchio’ che rimanda al mito di Dioniso, il quale guardandosi in uno

specchio vi vede il mondo57

. In queste visioni il mondo dell’apparenza non sorge in

seguito a una creazione, ma per un mutamento di prospettiva, per un rispecchiamento

che rende molteplice il dio unitario58

. Proprio per questo motivo «tra espresso ed

espressione non c’è un abisso, c’è una continuità»59

e sarebbe del tutto fuorviante

porre un rapporto di trascendenza tra i due termini.

1.4 L’immediatezza.

Quando nelle prime pagine di Filosofia dell’espressione si parla dell’intuizione

del mondo come rappresentazione e quindi come apparenza, si accenna allo stesso

tempo a una dimensione ‘altra’ senza mai nominarla. Uno degli assunti fondamentali

54 G. A. Lauro, Percorsi dell’espressione: Giorgio Colli e la sapienza greca, tesi di laurea,

relatore Giuliano Campioni, Università di Pisa 2007-2008, p. 43. 55 RE, [240]. 56 FE, p. 12. 57 Cfr. SG I, p. 42. 58 Cfr. RE, [343]. 59 SG I, p. 39.

17

di Colli è infatti che «la conoscenza è soltanto memoria, mai vera immediatezza»60

,

questo perché un ipotetico principio originario che preceda la rappresentazione

sarebbe inconoscibile in quanto extrarappresentativo. È tuttavia anche vero che

«l’immediatezza noi la possediamo, senza saperlo. Sono i ricordi che lo

testimoniano: essa è l’origine della memoria, ma sta totalmente fuori dalla

coscienza»61

. Ciò che la rappresentazione rievoca è qualcosa di eterogeneo ad essa: si

accenna a qualcosa «che sta ‘prima’ della mediazione rappresentativa operata dal

conoscere: a un im-mediato»62

.

Se «dove c’è rappresentazione, non c’è più l’immediato»63

, allora il termine

scelto per designare il ‘principio’ extrarappresentativo, pur restando improprio e

inadeguato, sarà immediatezza. Si tenta così una definizione attraverso una sorta di

teologia negativa o procedimento apofatico; saranno allora proprie

dell’immediatezza l’inattingibilità (nessun nome può designarla positivamente) e

l’ambiguità (può essere pensata come comprendente tutte le determinazioni o come

dimensione dell’assenza assoluta di ogni determinazione).

Per comprendere meglio questo passaggio Colli propone di considerare un

ricordo primitivo, ovvero un caso in cui si ha memoria dell’irrappresentabile.

Un uomo ricorda, al di fuori della sfera sensoriale, un momento di

immediatezza, e accenna a questa esperienza interiore: “ho sentito un

ostacolo”. La designazione è qui simbolica, poiché ‘ostacolo’ implica

determinazioni spaziali e temporali che ineriscono alla

rappresentazione, mentre il contenuto dell’esperienza è

extrarappresentativo. Quell’uomo tuttavia sa di aver vissuto in un

certo modo, anche se, quando viveva questo, egli non sapeva di

viverlo. Si può vivere qualcosa senza saperlo, e questo è appunto il

caso dell’immediatezza64

.

60 FE, p. 35. 61 Ibid. 62 M. Cacciari, Della cosa ultima, Milano, Adelphi, 2004, p. 449. 63 RE, [285]. 64 FE, p. 36.

18

In questo esempio è evidente che è la rappresentazione stessa, in quanto ricordo,

a indicare la direzione verso l’irrappresentabile. Alla separatezza ed eterogeneità che

sussiste tra immediatezza e rappresentazione si coniuga, d’altro canto, una certa

continuità, data dal concetto stesso di espressione e, come si vedrà in seguito,

dall’immagine di Dioniso allo specchio.

È importante precisare come l’immediatezza non sia una realtà, un oggetto o un

ente, ma una sorta di riferimento imposto dal pensiero quando si avventura

nell’«oceano vasto e tempestoso»65

che per Kant delimita l’orizzonte rappresentativo

della terra della verità. Si noterà qui che una parte consistente della riflessione

sull’immediatezza sembra rifarsi alla Critica della ragione pura, in particolare alla

prima edizione, «dove la necessità di riferirsi a una dimensione noumenica emerge

con forza»66

. Infatti nella traduzione di Colli, che rende il tedesco Erscheinung con

apparenza, si legge che «l’apparenza non può essere nulla per se stessa, all’infuori

del nostro modo di rappresentazione» e ciò cui l’apparenza rinvia «dev’essere un

qualcosa, cioè un oggetto indipendente dalla sensibilità»67

. Questo qualcosa però non

può essere definito come Gegenstand, bensì è quella ‘x’, totalmente indeterminata, di

cui non si può sapere nulla.

L’immediatezza può essere collegata ad un altro riferimento, ovvero al

di Aristotele, che Colli traduce con oggetto immediato, termine che vuole indicare

‘qualcosa’ in contrapposizione a tutte quante le categorie, in quanto «il è

estraneo alla sfera della predicazione»68

e può venire espresso solo dalla sostanza.

Si ritrova qui il tema del passaggio dall’immediato al mediato, passaggio che

però risulta inconoscibile, in quanto dove c’è rappresentazione non c’è più

l’immediato. Viene in aiuto, nel chiarimento del rapporto tra immediatezza ed

espressione, l’immagine dello specchio di Dioniso secondo la tradizione orfica, a cui

già si è fatto cenno. Dioniso fanciullo viene attirato dai Titani con vari giocattoli, tra

cui uno specchio, e proprio mentre osserva l’immagine che lo specchio gli rimanda,

non la sua, ma quella varia e diversa del mondo, i Titani lo uccidono e dilaniano le

65 I. Kant, Kritik der reinen Vernunft; tr. it. di G. Colli, Critica della ragione pura, Torino,

Einaudi, 1957, p. 311. 66 F. Montevecchi, Giorgio Colli. Biografia intellettuale, cit., p. 135. 67 I. Kant, Critica della ragione pura, cit., p. 324. 68 Aristotele, Organon, cit., p. 739.

19

sue carni. «Dioniso si guarda allo specchio, e vede il mondo! […] Specchiarsi,

manifestarsi, esprimersi, nient’altro che conoscenza. Ma questa conoscenza del dio è

proprio il mondo che ci circonda, siamo noi»69

. Questo mito mostra che il legame tra

l’apparenza e ciò di cui essa è apparenza è un legame di continuità nella separatezza,

cioè l’apparenza si manifesta come un riflesso simultaneo al dio che si specchia e

ciononostante da essa distinto e separato. Si elimina in questo modo ogni possibile

sospetto sia di trascendenza, poiché immediatezza ed espressione non costituiscono

due mondi differenti ma uno solo, sia di immanenza, dal momento che l’oggetto e il

suo riflesso non coincideranno mai completamente.

Il mito si configura quindi come un racconto sull’origine della conoscenza in cui

noi vediamo attraverso lo specchio, simbolo dell’illusione, solo un riflesso della

realtà. «Inganno e conoscenza vengono così strettamente intrecciati: il mondo

(l’apparenza) è il conoscersi di Dioniso, ma un conoscersi ingannevole»70

, poiché il

riflesso dello specchio non ne riflette la figura. «Lo specchio non soltanto è

un’indicazione della natura illusoria del mondo, ma dalla nascita di questo esclude

ogni idea di creazione, di volontà, di azione»71

. Questo perché lo specchiarsi del dio

è simultaneo al comparire del riflesso, quindi il rapporto sussistente tra immediatezza

e mondo non è storicizzabile né può essere progressivo; difatti «tutto è fermo: la vita

e il fondo della vita sono un dio che si guarda allo specchio»72

. Inoltre, la mancanza

di una qualsivoglia volontà o atto di creazione elimina ogni prospettiva teleologica.

Con la mancanza di una finalità cade anche la possibilità di formulare un’etica: la

metafisica colliana «non presenta alcuna implicazione morale, ma descrive solo la

situazione così come essa è, come un fatto, senza progressione alcuna»73

.

L’espressione dell’immediatezza incontra una certa difficoltà a manifestarsi,

poiché «nell’abisso dell’immediatezza c’è una resistenza, un ostacolo, una

contrazione (parliamo simbolicamente), e l’espressione porta con sé tutto questo»74

.

Colli affida al binomio giuoco-violenza il compito di esprimere il carattere proprio

dell’immediatezza, la quale non può essere mai del tutto manifesta, altrimenti ciò che

69 SG I, pp. 42-43. 70 L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, cit., p. 174. 71 FE, p. 52. 72 Ibid. 73 G. A. Lauro, Percorsi dell’espressione: Giorgio Colli e la sapienza greca, cit., p. 96. 74 FE, p. 48.

20

viene espresso coinciderebbe con la sua espressione, con l’esito di rendere superflua

l’espressione. Simboli mitici di questo sforzo ostacolato, di questa ambivalenza del

profondo, sono due dèi greci: «Dioniso manifesta, nella violenza, il giuoco; Apollo,

nel giuoco, la violenza […] la diade Dioniso-Apollo costituisce l’espressione di quel

differire originario dell’immediato che è la trama complessiva dell’esistenza»75

.

Ulteriore modo per descrivere il rapporto tra immediatezza ed espressione è

l’eterno ritorno di cose uguali. Se si parte dal presupposto per cui è impossibile che

un unico punto di immediatezza si esprima in una catena determinata e irripetibile di

espressioni, si dovrebbe altrimenti attribuire una volontà all’immediatezza, il che è

assurdo e allora si scoprirà che la natura dell’espressione è di ripetersi eternamente.

Questo perché l’espressione «non è che la ripercussione, lo specchio, le cui immagini

– come dice Plotino – “si gettano nel tempo”, di qualcosa che è fuori del tempo, che

non si muove, né sta fermo, né vuole»76

. Quindi ripetersi eternamente significa

esprimersi con continuità nel tempo, e poiché il tempo stesso nel suo complesso

esprime la sfera atemporale dell’immediatezza, le catene espressive dell’apparenza

richiederanno un eterno ritorno77

.

1.5 Il contatto.

Per esprimere in modo immediato ciò che è immediato nella vita si può usare il

termine contatto. Si tratta di un tentativo di designare l’immediatezza soltanto

allusivo, in quanto si cerca di riprodurre quella condizione che precede la

rappresentazione come un incontro tra soggetto e oggetto, «contatto sarà qualcosa

dove soggetto e oggetto non si distinguono, e più precisamente, ciò di cui

un’espressione primitiva è espressione»78

. Il contatto allora esprime quel ricordo

primitivo che Colli identifica con l’attimo, il quale viene inteso come un ricordo in

75 L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, cit., p. 149. 76 FE, p. 25 77 Cfr. N. Aragay Tusell, Origen y decadencia del logos. Giorgio Colli y la afirmación del

pensamiento tragico, cit., pp. 215-221. 78 FE, p. 39.

21

quanto ha comunque un’estensione temporale, e tuttavia offre un’indicazione

espressiva primordiale dell’immediatezza79

.

Leggendo gli appunti pubblicati postumi nel volume La ragione errabonda si

può scoprire che in un primo momento, almeno fino al 1964, Colli considera il

contatto come «impressione sensoriale e tutto ciò che viene espresso senza essere a

sua volta espressione di altro ( )»80

. In un altro frammento si legge: «la base è

l’impressione sensoriale, dove non c’è distinzione tra soggetto e oggetto. Contatto-

immediatezza- »81

. Questa concezione sarà poi riconsiderata, tanto che in

Filosofia dell’espressione si nega la possibilità che la sensazione possa essere

equiparata al contatto, e ciò perché «l’impressione sensoriale, sia pure non ancora

organizzata nelle forme del tempo e dello spazio, già appartiene alla

rappresentazione e rimanda a qualcosa di più primitivo»82

. La percezione sensibile

risulta allora molto lontana dal contatto in quanto è «il punto terminale di serie

convergenti di espressioni che partono da una molteplicità di contatti»83

. Una certa

‘parentela’ tra contatto e sensazione va tuttavia ancora rivendicata, poiché da questa

espressione terminale si potrebbe partire e proseguire «attraverso una memoria

retrocedente verso l’immediatezza»84

.

Allo stesso modo viene negata una qualsiasi pretesa di immediatezza al concetto

di volontà, come è invece in Schoephauer, perché la volontà «è nel tempo e nello

spazio, cioè appartiene alla rappresentazione, e poi perché della rappresentazione è

un tipico prodotto derivato e fuorviante, un’illusione nell’illusione»85

.

Si deve tenere sempre a mente che «il contatto, come elemento metafisico,

dev’essere comunque soltanto un limite inconoscibile, postulato dalla struttura

dell’apparenza, e al quale l’espressione, analizzata, rimanda»86

. Colli propone allora

un’analogia con il procedimento matematico dell’interpolazione, secondo il quale, se

non si è a conoscenza dell’espressione analitica di una funzione, ma solo di un certo

79 Cfr. Ivi, pp. 38-39. 80 RE, [144]. 81 Ivi, [126]. 82 Ivi, [251]. 83 FE, p. 46. 84 Ivi, p. 47. 85 Ibid. 86 Ivi, p. 40.

22

insieme di valori numerici, è possibile talora calcolare valori di x intermedi fra quelli

in corrispondenza dei quali la funzione è nota. Nel caso dell’interpolazione

metafisica, quindi, «se ogni dato è rappresentazione e se ogni rappresentazione

considerata come sostanza è espressione, allora, quando un’espressione esprima

qualcosa che non risulta una rappresentazione, chiameremo contatto questo

qualcosa»87

.

Un ulteriore tentativo per definire il contatto sarebbe farlo coincidere con il

punto di contatto, ma ciò per Colli è impossibile, in quanto in sé «il punto inesteso è

un assurdo razionale»88

, poiché ogni quantità continua è sempre divisibile. Inoltre, in

ambito metafisico, questo comporterebbe un riemergere di soggetto e oggetto, e il

punto non potrebbe che appartenere all’uno o all’altro, ma abbiamo visto in

precedenza come nel contatto questi due elementi debbano coesistere in maniera

indistinta, nel senso che non si può capire dove inizi l’oggetto e finisca il soggetto.

Premesso che per Colli, se si considera la sfera della rappresentazione sotto la

categoria della quantità, risulta postulato il concetto di continuità come fondamento

quantitativo della rappresentazione89

, si deve comprendere in cosa consista la sua

critica verso ogni tentativo di dominare razionalmente il continuo; pretesa che

nasconde in sé l’ambizione di conferire al mondo il carattere della compattezza e

della realtà. In Filosofia dell’espressione si dice che «vano è pensare, con Aristotele

e Dedekind, all’unificazione delle parti ( ) o al termine di separazione, per

presentare una quantità continua dominabile razionalmente»90

. In Aristotele infatti il

contatto si riduce sempre a punto di contatto91

, e anche il postulato della continuità di

Dedekind92

presuppone la presenza di un punto, il quale porta sempre a delle

contraddizioni insuperabili. Difatti nel caso in cui si consideri il punto come qualcosa

87 Ibid. 88 RE, [378]. 89 Cfr. FE, 41 e RE, [253]. 90 RE, [271]. 91 Cfr. Aristotele, Metafisica; tr. it. di G. Reale, Milano, Rusconi, 1997, p. 539. 92 Ricordiamo brevemente il postulato: «Se un segmento di retta AB è diviso in due parti, in

guisa che: 1) ogni punto del segmento AB appartenga ad una delle due parti; 2) l’estremo A

appartenga alla prima parte, e B alla seconda; 3) un punto qualunque della prima parte preceda un

punto qualunque della seconda, nell’ordine AB del segmento: esiste un punto C del segmento AB (che

può appartenere all’una o all’altra parte), tale che ogni punto di AB che precede C appartiene alla

prima parte, ed ogni punto di AB che consegue a C appartiene alla seconda parte della divisione

stabilita».

23

di esteso e quindi divisibile, non potrà più essere uno, nel caso inverso, invece, in cui

lo si consideri come inesteso e dunque indivisibile, non potrà essere contenuto nella

retta, in quanto non sarà nello spazio93

.

Per Colli allora non rimane che pensare il contatto come

divisione tra due segmenti in cui si spezza una linea […] Con il taglio

di una linea continua, che è una rappresentazione, si accenna quindi a

qualcosa che alla rappresentazione non appartiene, e che

simbolicamente chiamiamo contatto, toccamento, congiungimento

[…] Il contatto è così l’indicazione di un nulla rappresentativo, di un

interstizio metafisico, che però è un certo nulla, poiché ciò che esso

non è, il suo intorno rappresentativo, gli dà una determinazione

espressiva94

.

Quindi nel momento in cui si analizza la rappresentazione si trova

l’irrappresentabile95

, così come analizzando lo spazio geometrico si trova ciò che non

ha spazio (il punto inesteso), e analizzando il tempo quantitativo si trova ciò che non

ha tempo (il l’ora, l’adesso). Si può dire dunque che il punto, il , il contatto

siano elementi metafisici trascendenti che, però, in quanto tali, non possono essere

introdotti in una teoria razionale della rappresentazione.

1.6 I cammini dell’espressione.

Il contatto è risultato essere il vertice che dà inizio, dal basso96

, alle espressioni

primitive e poi secondo serie di espressioni a tutto il mondo rappresentativo. Come si

è potuto notare, Colli risolve la totalità in una struttura conoscitiva; il mondo è

dunque espressione, memoria, apparenza, conoscenza. In un tale contesto

interpretativo la realtà si viene a configurare come costituita da una fitta rete di

cammini convergenti e divergenti delle espressioni. I primi, «partendo da una

93 Cfr. FE, pp. 228-230. 94 FE, pp. 41-42. 95 Cfr. RE, [271]. 96 Cfr. Ivi, [227] e [244].

24

molteplicità definita di punti d’immediatezza extrarappresentativa tendono, per

mezzo di altrettante serie espressive, verso una sola rappresentazione»97

, mentre i

secondi, i cammini divergenti, si irradiano da un unico punto d’immediatezza in un

numero indeterminabile di rappresentazioni, le quali possono propagarsi a loro volta

in ulteriori serie espressive. In entrambi i casi il punto di partenza risiede nella sfera

extrarappresentativa dei contatti, i quali si esprimono nell’impressione sensoriale,

che a sua volta si propagherà in infinite catene determinate di serie di

rappresentazioni.

Un esempio di convergenza di serie espressive è l’uomo come organismo.

Secondo Colli, per spiegare un tale fenomeno, non è necessaria l’introduzione di una

concezione finalistica. Accade infatti che un insieme di punti di immediatezza,

attraverso altrettante serie, si raccolga infine in un fuoco, centro di convergenza che

si configura come un’unità. Questa rappresentazione di un organismo, però, «non

viene presupposta nella sfera dell’immediatezza, ma appartiene totalmente alla

rappresentazione»98

. L’uomo come organismo allora è sempre l’esempio di una

convergenza espressiva di un gran numero di serie, e così lo stesso principium

individuationis, che quindi non ha una natura extrarappresentativa, ma è un aspetto

interno al mondo rappresentativo.

I cammini espressivi non sono, però, esclusivamente convergenti e divergenti:

nella struttura conoscitiva dell’apparenza infatti ci sono anche cammini ascendenti e

discendenti delle espressioni99

. Per spiegare un’impressione sensoriale tattile come

espressione la si deve dedurre da una certa rappresentazione di mano e per fare

questo si deve discendere tutto il cammino che l’apparenza ha salito.

Sia ad esempio il cammino ascendente: impressione tattile – più

impressioni tattili simili mediante la memoria – oggetto integrato,

presentato come causa delle impressioni – più oggetti come causa di

una facoltà delle impressioni – molte specie di impressioni come

cause di molte specie di oggetti integrati – molti oggetti di molte

97 FE, p. 24. 98 Ivi, p. 26. 99 Cfr. N. Aragay Tusell, Origen y decadencia del logos. Giorgio Colli y la afirmación del

pensamiento tragico, cit. pp. 215-216 e L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su

Giorgio Colli, cit., p. 42.

25

specie di oggetti integrati come cause di molte facoltà di impressioni

– molte facoltà di impressioni come cause di una totalità costante di

oggetti – una totalità di oggetti come causa di una totalità di facoltà

(soggetto empirico) – il soggetto come causa di indefiniti oggetti –

ogni gruppo di questi indefiniti oggetti come causa di una parte del

soggetto empirico (corpo e le sue parti) – una parte del soggetto

(mano) agisce su un certo oggetto (che viene ricordato identico a quel

primitivo oggetto integrato prodotto dall’impressione tattile)100

.

Ora occorre osservare che percorrendo questa stessa serie ascendente in

direzione contraria si dedurrà come espressione quella primitiva impressione tattile,

la quale viene ritrovata come l’equivalente espressivo di quella certa

rappresentazione della mano. Nel cammino ascendente dell’espressione avviene

l’intreccio di due causalità contrapposte, la prima attraverso la memoria produce

l’oggetto integrato partendo dalle impressioni immediate, la seconda presenta

illusoriamente questo oggetto come causa delle facoltà del soggetto e viene chiamata

da Colli causalità invertita. Nel complesso «è presente un movimento verso la

determinazione, attraverso il meccanismo della memoria e della somiglianza, che

conduce a ciò che, nell’ordine della rappresentazione, viene considerato primo e

“concreto”: la parte del corpo sede di una rappresentazione»101

. Quindi, volendo

schematizzare, si può dire che l’impressione sensoriale è la prima delle espressioni e

l’ultima delle rappresentazioni, in quanto l’espressione sale dall’immediatezza

mentre la rappresentazione discende sino all’espressione iniziale di tale

immediatezza.

In una tale prospettiva non può sussistere una vera e propria distinzione tra

conoscenza sensibile e conoscenza astratta, poiché gli aggettivi sensibile e astratto si

riferiranno piuttosto a momenti del cammino ascendente dell’astrazione

rappresentativa. La distinzione qualitativa tra conoscenza sensibile e astratta è per

Colli un vecchio errore medievale sorto da un fraintendimento della filosofia greca:

100 RE, [316]. 101 L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, cit., p. 43.

26

non si può infatti dire il punto in cui cessa la prima e comincia la seconda, poiché la

più concreta tra le sensazioni è già un’astrazione102

.

1.7 Flusso e riflusso.

Il cammino ascendente sopra descritto, quindi il momento di formazione

dell’oggetto come effetto di più cause connesse fra di loro, fa parte di ciò che Colli

chiama il flusso dell’espressione. A partire dagli attimi iniziali, prime forme

rappresentative e testimonianti il contatto, si sviluppano delle catene espressive di

ricordi o rappresentazioni. Si può dire anche che i singoli attimi, cioè le espressioni

prime, siano causa dell’oggetto, se si intende questo nesso produttivo come una

causalità primitiva, un nesso precategoriale che «congiunge i ricordi agglutinandoli

lungo una serie produttiva»103

. Il punto cruciale nel momento del flusso è proprio la

formazione dell’oggetto integrato, «qui il nesso causale va delineandosi e

affermandosi in un momento prelinguistico […] il linguaggio interviene con la

designazione della singolarità, quando l’oggetto aggregato si è già costituito»104

.

Ogni catena espressiva nel suo cammino in verticale ha al suo interno un nesso,

il quale indica un processo di oggettivazione a discapito del soggetto. Infatti «nel

primo ricordo viene ricordato l’oggetto del contatto e una parte del soggetto», non

tutto poiché altrimenti non si potrebbe compiere il ricordo, «nel secondo ricordo

viene ricordato l’oggetto del primo (= oggetto del contatto più una parte del soggetto)

più una parte del soggetto ricordante»105

finché giunti al vertice dell’astrazione il

soggetto tenderà allo zero senza raggiungerlo. In un certo senso la via

dell’espressione e quindi il cammino ascendente è la via dell’annullamento del

soggetto.

In un dato momento, però, a questo nesso in verticale si accompagna un nesso in

orizzontale, capace di mettere in comunicazione molteplici catene espressive106

.

102 RE, [269]. 103 FE, p. 80. 104 Ibid. 105 RE, [411]. 106 FE, p. 79.

27

Grazie a questo nesso avviene l’aggregazione e la convergenza di più ricordi che

danno così l’illusione di qualcosa di unitario. Si viene così a creare l’oggetto

aggregato, il quale corrisponde a ciò che comunemente chiamiamo singolo oggetto

della realtà, ma che non è ancora un oggetto considerato come esterno all’organismo

soggettivo, in quanto in questa convergenza le rappresentazioni mantengono un loro

polo soggettivo e uno oggettivo, e non si può parlare in senso proprio di un oggetto

esterno, di un Gegenstand. Questo oggetto, dunque, non può essere ancora

considerato come un ente separato dal soggetto conoscente, ma è invece ancora

condizionato dalla correlazione i due poli della rappresentazione.

Nel riferirsi all’oggetto aggregato o all’oggetto integrato non si intende

esattamente la stessa cosa, in quanto questi appaiono come due momenti distinti nella

costituzione dell’oggetto e inoltre sembra che l’integrazione costituisca un passo

ulteriore rispetto all’aggregazione. Come si è appena visto l’oggetto aggregato è

formato dall’azione della causalità primitiva che connette tra loro le rappresentazioni

finali di ogni serie espressiva. Il momento dell’integrazione, invece, permette di

considerare il complesso rappresentativo, costituito nell’aggregazione, come

organico, e quindi unitario e individuale. In quest’ultimo processo si verifica

un’inversione rispetto al momento aggregativo, e per questo Colli parla proprio di

“causalità invertita”. Infatti, «ciò che dà all’oggetto così aggregato la sua plasticità,

ne fa un oggetto integrato e semplice, è il suddetto meccanismo dell’inversione, che

tosto comprime all’indietro in termini congiunti, nella direzione della

concretezza»107

. In questa illusione dell’individualità e della primordialità

dell’oggetto integrato, si è assistito al mutamento di direzione della causalità in senso

opposto a quello dell’aggregazione, tanto che l’oggetto può essere addirittura inteso

come causa e non più come effetto di quegli attimi primitivi.

Che un impressione uditiva abbia come causa la vibrazione dell’aria è

dunque falso. Piuttosto noi ricostruiamo tali vibrazioni come cause

dell’impressione in una fase evoluta e mediata della conoscenza

mediante un’inversione dell’originario rapporto causale. È solo

perché abbiamo avuto impressioni uditive che noi possiamo

107 FE, pp. 80-81.

28

rappresentare le vibrazioni dell’aria come causa di esse, e non certo

perché abbiamo rappresentato delle vibrazioni dell’aria che noi

possiamo avere delle impressioni uditive108

.

Questa inversione segna il momento del riflusso, cioè del ritorno in direzione

opposta e del rafforzamento dei nessi creati dal flusso, e «non è che […] sia

produttiva di un nuovo oggetto, ma ripercuote, completa la funzione oggettivante

della causalità primitiva»109

. L’inversione del flusso si determina nell’organismo

come “fuoco” di rappresentazioni concatenate da un cammino convergente. Come si

è già visto, è nella natura di ogni espressione cercare di accrescere l’ampiezza di ciò

che viene espresso, per questo nel momento in cui molte serie convergono in

un’espressione organica e questa spinta risulta ostacolata, «si apre allora una via

sussidiaria, mediante cui il guadagno in estensione si produce all’interno dell’oggetto

rappresentativo con una sua moltiplicazione, anziché, come avveniva prima,

mediante il suo allargamento. Tale è la continuazione umana del mondo come

espressione»110

. L’uomo è quindi il momento del riflusso dell’apparenza,

l’organismo complesso in cui lo sforzo espressivo, minacciato di arrestarsi, si

inverte, «il centro irradiante di serie espressive secondarie che costituiscono

l’universo linguistico e categoriale dell’astratto»111

.

Nell’azione integrante del riflusso, che prende le mosse dall’organismo umano,

si ha una vera e propria oggettivazione degli oggetti aggregati. Il soggetto, per la

prima volta nel costituirsi del mondo rappresentativo, si sente come contrapposto a

degli oggetti “esterni”112

, i quali hanno una loro plasticità e, una volta perse le

componenti soggettive, non sono più inscindibili dal soggetto, possono quindi essere

definiti come Gegen-stände. Risulta ormai chiaro come il riflusso, ripercorrendo per

il cammino inverso la convergenza aggregante del flusso, faccia in modo che si

configurino «le condizioni per un mondo fatto di cose fisiche ed esseri viventi. In

questo modo la causalità primitiva viene trasformata in causalità illusoria»113

.

108 RE, [229]. 109 FE, p. 81. 110 Ivi, p. 27. 111 L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, cit., p. 50. 112 RE, [251]. 113 FE, p. 82.

29

Partendo dal dato primitivo e ineludibile della rappresentazione, la quale è stata

interpretata come repræsentatio, si è fatta poi l’ipotesi di un mondo che fosse

espressione di un’immediatezza nascosta ed inconoscibile. È venuta così a costituirsi

l’impalcatura della metafisica colliana, la quale alla sua base ha il “contatto”, come

simbolo dell’immediatezza, in cui risultano indistinguibili soggetto e oggetto, e che

si sviluppa secondo molteplici serie espressive verso un incremento del mondo

rappresentativo. Rimane ora da vedere come si costituisca l’espressione nel suo

tendere al vertice dell’astrazione e quali nuove implicazioni ciò comporterà nella

costruzione metafisica di Filosofia dell’espressione.

30

Il confronto con Aristotele sul logos astratto.

2.1 La rete delle categorie.

Se già nel primo capitolo, in cui si sono delineati gli aspetti fondamentali della

filosofia dell’espressione, era apparsa molto incisiva la presenza della filosofia di

Aristotele nella trattazione di Colli, si noterà ora, in un questo secondo capitolo,

come si instauri un vero e proprio dialogo con lo Stagirita riguardo alle questioni

capitali del pensiero astratto.

Le categorie, per Colli, non sono «i generi dei predicati, né le divisioni

dell’essere, né le funzioni logiche dei giudizi, ma semplicemente le rappresentazioni

come nessi, in quanto espresse nel linguaggio»1. Quindi le categorie non esprimono

gli universali o i “generi sommi”, bensì il loro connettivo, sono relazioni costruite

dalla ragione mediante la memoria. Allo stesso tempo viene scartata l’ipotesi

kantiana delle categorie come forme insite a priori nel nostro pensiero. Si tratta di

un’interpretazione del meccanismo rappresentativo; dunque la teoria delle categorie,

per quanto possibile, sarà una teoria decostruttiva dell’astrazione2.

In altre parole la funzione delle categorie – tra cui rientrano la causalità, l’essere,

il vero – è di indicare nel linguaggio quello che, in un momento prelinguistico, è il

nesso rappresentativo costituito dalla memoria. Il loro compito non è quindi di

costituire gli oggetti, ma di accennare alla loro costituzione precategoriale. Ed è

proprio questo il significato di “categoria” che Colli ricava da Aristotele quando

1 FE, p. 69. 2 Cfr. RE, [244] e L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli,

cit., p. 74.

31

esamina il passo delle Categorie da cui prende spunto per riformulare la sua idea di

sostanza e su cui ci siamo prima soffermati.

Le categorie, in quanto legómena, sono legate al linguaggio, il quale appare

simultaneamente al primo formarsi della rappresentazione astratta, ma esse «non

sono produzione autonoma del linguaggio, in quanto analizzano il contenuto

prelinguistico delle rappresentazioni concrete»3. Dal momento che sono già presenti

all’origine della rappresentazione, ovvero nel magma sensoriale, le categorie, con

l’emergere del linguaggio, vengono solo più consolidate dall’uso linguistico e rese

razionali.

Quando un animale scansa nella sua corsa un albero, girandovi

attorno, oppure fugge dinanzi a un altro animale o lo insegue, quando

un infante tende opportunamente la mano per afferrare qualcosa, nella

conoscenza di questi individui si manifestano già le rappresentazioni,

espresse dalla causalità e dall’unità, prima che il linguaggio le

costituisca come categorie. La rappresentazione in quanto nesso, che

si esprime verbalmente nella categoria, è infatti già presente talora in

un momento prelinguistico, come nel costituirsi di un oggetto

integrato4.

In questo senso le categorie sono quelle forme che, nel linguaggio, significano

sotto vari punti di vista il nesso che è alla base dell’oggetto rappresentato. Difatti nel

momento linguistico l’oggetto è già aggregato e viene riconosciuto come unico e

identico a se stesso; le parole presuppongono un mondo di oggetti integrati5. Si

potrebbe parlare allora, con precise limitazioni, di una origine animale e istintuale del

linguaggio; il dire e la parola non esprimono più nessun soggetto “razionale”, ma si

ricollegano invece a qualcosa la cui natura non è verbale, infatti «la ragione non è

indipendente dall’animalità, ma rivela appunto questa»6.

Tra tutte le categorie, quella che indica il processo di connessione che dà vita

all’oggetto aggregato è la categoria della causalità, la quale inoltre esprime l’azione

3 RE, [364]. 4 FE, p. 70. 5 Cfr. Ivi, p. 80. 6 DN, p. 50.

32

della memoria nella costituzione dell’oggetto. Colli individua, oltre alla causalità, le

categorie di essere, non essere, vero, falso, tempo, spazio; le categorie della quantità,

in cui rientrano molteplicità, infinito, totalità; e le categorie della modalità, di cui

fanno parte necessario e contingente. Sebbene il filosofo torinese giunga a formulare

una sorta di elenco delle rappresentazioni come nessi, si critica la pretesa dei

moderni di codificare una classificazione conclusa delle categorie, in quanto si tratta

di un’impresa utopistica, poiché i loro nessi sono inesplorabili7. Non casualmente,

infatti, gli antichi consideravano fluttuante questa materia e lo stesso Aristotele non

ci ha tramandato una classificazione unitaria.

2.2 La categoria dell’essere.

Secondo Colli «dopo Aristotele non ci si è preoccupati a sufficienza in filosofia

di indagare che cosa vogliamo esprimere, quando diciamo “essere”»8; piuttosto si è

partiti dalla parola “essere” e le si sono dati i più svariati contenuti e significati. In

questo modo, però, il linguaggio è diventato creatore di filosofia e si è rimasti fermi

alle parole, dimenticandosi che esse sono semplici simboli, mezzi mnemonici per

richiamare oggetti mentali su cui tutti si intendono.

L’essere, per il filosofo torinese, «è la categoria che esprime la rappresentazione

del nesso – come unione interna all’oggetto semplice o composto – in quanto riferito

al contatto metafisico»9. Il primo chiarimento di cui necessita questa definizione è

comprendere che qui non si parla del nesso costitutivo dell’oggetto mediante ciò che

si esprime nella causalità, bensì del nesso inteso come unificazione raggiunta, come

fermezza di un acquietamento. Questa rappresentazione del nesso interno all’oggetto

viene indicata dalla categoria dell’unità. L’essere allora esprime ciò che è espresso

dall’unità e qualcosa in più: il richiamo al contatto extrarappresentativo. L’affinità tra

essere e unità inoltre era stata già messa in evidenza da Platone nel Parmenide e poi

7 Cfr. RE, [289]. 8 FE, p. 74. 9 Ivi, p. 71.

33

in maniera decisiva da Aristotele in un passo del libro Γ della Metafisica10

, che si

ritrova anche negli appunti, pubblicati postumi, di Colli11

.

Il di più che l’essere esprime, rispetto all’unità, è il riferimento diretto e intuitivo

al contenuto del corrispondente contatto metafisico, dunque «l’essere significa il

nesso tra l’oggetto astratto e il contatto»12

. Tutto questo viene espresso dall’ “è” che

compare nel giudizio “A è” oppure “A è B”. Il significato di “è” risulta identico,

quindi, sia nel giudizio che è espressione verbale di un oggetto semplice, come nel

caso di “Socrate è”; sia in quello che si riferisce ad un oggetto composto, ad esempio

“la diagonale è incommensurabile”. Non si dà, infatti, nessuna distinzione tra essere

copulativo ed essere esistenziale e ciò, secondo Colli, valeva anche per Aristotele. Di

seguito si proporrà l’analisi colliana di un passo del De interpretatione, in cui verrà

chiarita l’insussistenza di questa distinzione e in cui si potrà notare la matrice

aristotelica della categoria di essere qui presentata.

Nelle prime pagine del libro Dell’espressione – questa è la traduzione scelta da

Colli del titolo greco basandosi sul commento di Waitz − si trova

la distinzione tra ònoma e rēma: il nome è l’indicazione dell’oggetto, il verbo è

l’indicazione della determinazione14

. Inoltre il verbo, anche se considerato di per sé è

un nome, esprime soltanto una determinazione e non un oggetto. Il fatto acquisisce

rigore e rilevanza nel momento in cui si prende in considerazione il verbo più

universale, cui si riducono tutti gli altri, cioè l’essere. Difatti “Socrate cammina”

equivale a “Socrate è camminante”, quindi ogni verbo si sdoppia in un oggetto e

nella determinazione che consegue a ogni oggetto, ossia nell’è. Risulta così

universalmente giustificata la sintesi del giudizio: è possibile congiungere in ogni

caso un oggetto a una determinazione, in quanto ogni determinazione si risolve in un

10 Cfr. Aristotele, Metafisica, cit., pp. 133-134: «l’essere e l’uno sono la medesima cosa ed una

realtà unica, in quanto si implicano reciprocamente l’un l’altro […] anche se non sono esprimibili con

un'unica nozione […] e non si dice nulla di diverso raddoppiando l’espressione “un uomo” in

quest’altra “è un uomo». 11 Cfr. RE, [19]. 12 L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, cit., p. 76. 13 Cfr. Aristotele, Organon, cit., p. 729. 14 Ivi, pp. 58-59.

34

nuovo oggetto congiunto all’è, e questo “è” si riporta necessariamente al primo

oggetto, portando con sé, nella sua attività sintetica, l’oggetto da cui è sorto15

.

Aristotele, poco dopo, afferma che «l’essere o non essere non costituisce un

segno dell’oggetto, neppure quando tu dica per sé, semplicemente come tale: ciò che

è. Ciò che è, difatti, in sé non è nulla»16

. “Ciò che è” (tò on) indica ogni oggetto cui

tocca la determinazione “è”, quindi a sua volta non potrà ricevere nessuna

determinazione, in quanto se “è” viene posto come oggetto non si saprà più se “è” è

oppure non è, poiché l’è sarà contemporaneamente nome e verbo. Risulta ormai

chiaro come l’essere esprima in realtà una pura determinazione che rende possibile

pensare il sostrato come oggetto, proprio perché non potendo accogliere nessuna

determinazione, come oggetto, in sé non è nulla.

Per Colli, il distinguere nella logica aristotelica l’essere copulativo dall’essere

esistenziale non ha alcun fondamento. Questo non perché nel filosofo greco sia

presente un’ingenua indistinzione, bensì per il fatto che, nei suoi scritti, si può

ritrovare una concezione fondamentalmente e coscientemente unitaria riguardo al

concetto di essere17

. L’analisi del giudizio ha portato a stabilire, come suoi elementi,

da un lato l’oggetto e dall’altro la determinazione, e poiché l’unica determinazione

pura risulta l’essere, «in ogni caso il giudizio consiste nel riversarsi dell’è

sull’oggetto»18

. Tale oggetto può poi essere semplice o composto: questa per Colli è

l’unica distinzione tra i giudizi in cui l’è risulta copulativo e quelli in cui esso si dice

esistenziale, tuttavia il significato dell’essere è identico in entrambi i casi. Infatti un

nome – Socrate ad esempio – non indica un oggetto fino a che non si afferma:

“Socrate è”. Questo giudizio viene chiamato esistenziale in modo improprio, poiché

non significa “Socrate esiste”, ma vuol dire che ciò che chiamiamo con il nome

“Socrate” risulta un oggetto per il pensiero discorsivo. Un tale oggetto semplice può

diventare in seguito composto quando diciamo: “Socrate è bianco”. In questo caso

l’oggetto “Socrate”, determinato dall’essere, e l’oggetto “bianco”, anch’esso

determinato dall’essere, si aggregano insieme, formando un oggetto composto;

sebbene le funzioni delle due parti siano differenti, in quanto “bianco”, oltre che

15 Cfr. Ivi, p. 762. 16 Ivi, p. 59. 17 Cfr. Ivi, pp. 762-763. 18 Ivi, p. 763.

35

oggetto, conserva un valore di determinazione. In conclusione, «per un verso

l’oggetto integrato fa già parte dell’astrazione e quindi il suo esistere è appunto il suo

essere, […] e per l’altro la funzione copulativa dell’essere non ha alcuna base»19

,

poiché l’essere non congiunge ciò che è staccato, ma esprime un’unione già

conseguita, che ha le radici nell’immediato.

La vera natura dell’essere si riduce a una determinazione pura e soltanto

mediatamente essa riflette un nesso tra due oggetti. Il valore copulativo dell’essere,

quindi, viene trattato come un aspetto accidentale. Secondo Colli, si può ritrovare il

valore di essere come determinazione in tutti i quattro significati dell’essere esposti

nella Metafisica20

. Ci soffermeremo ora, però, solamente sul significato dell’essere

come verità, in quanto l’interpretazione del pensiero aristotelico sarà alla base del

concetto di verità presente in Filosofia dell’espressione.

2.3 L’essere come verità.

In un passo dei Primi Analitici Aristotele afferma che “è” equivale a “è vero”21

;

si deve ora comprendere come ciò sia possibile e in quale modo venga spiegata

questa affinità tra le due categorie. Ritornando all’interpretazione colliana del De

interpretatione22

, il filosofo torinese coglie un’importante differenza nell’uso di

pragma da parte di Aristotele. Lo Stagirita utilizzerebbe questo termine

fondamentalmente in due significati diversi; da un lato, esso indicherebbe un

“oggetto” che prescinde dal pensiero discorsivo; dall’altro, significherebbe un

“oggetto” che può ricevere una determinazione, ossia un oggetto in relazione al

pensiero discorsivo. Colli chiama “oggetto assoluto” il primo e “oggetto pensabile” il

secondo, tenendo presente che il secondo significato conterrà evidentemente il

primo, dato che l’oggetto assoluto può essere pensato.

Posto ciò, l’esame dei passi aristotelici riguardanti il vero e il falso ci autorizza

ora a precisare ulteriormente l’analisi prima svolta riguardo alla categoria dell’essere:

19 FE, 72. 20 Cfr. Aristotele, Organon, cit., pp. 764-774. 21 Ivi, p. 200: «l’espressione: è vero, ha la stessa funzione del verbo: è». 22 Cfr. Ivi, pp. 768-773.

36

«la funzione determinante dell’ “è” consiste nel pensare un “oggetto pensabile” come

“oggetto assoluto”»23

. Per chiarire questa formulazione si deve prendere l’inizio del

De interpretazione. Qui viene spiegato che nomi e verbi sono segni ( ) delle

nozioni ( ), e queste ultime sono immagini degli oggetti. Se si prende ora

l’esempio, fatto da Aristotele, dell’ircocervo, si vedrà come questo termine significa

pur qualcosa, ma non indica alcunché di vero o di falso, se non è stato aggiunto

l’essere o il non essere24

. L’ircocervo è quindi un oggetto pensabile a cui può toccare

una determinazione, così come si dice oggetto, in quanto può ricevere predicazioni,

“ciò che non è”, in un passo delle Confutazioni sofistiche molto importante per la

questione ora analizzata25

. Qui dunque si arriva al punto cruciale: si può dire “ ciò

che non è” “è opinabile”, ma non si può dire “ciò che non è” “è”; l’essere un

alcunché di determinato non è difatti la stessa cosa dell’essere semplicemente. In

altre parole si può dire che ogni oggetto pensabile è qualcosa, ma non si può dire che

ogni oggetto pensabile è semplicemente.

Il passo preso in esame, tratto dal De interpretatione, si chiude con la tesi per

cui un oggetto pensabile si dice vero, se è semplicemente, e si dice falso, se non è.

Allo scopo di comprendere per quale ragione si verifichi l’una o l’altra possibilità,

Colli suggerisce un rimando a un passo della Metafisica in cui si tratta proprio del

vero e del falso, prima rispetto agli oggetti composti e poi rispetto a quelli non

composti26

. Per quanto riguarda questi ultimi, gli asỳntheta, la verità consiste nel

“toccare e dire”, mentre non coglierli significa non conoscerli. Con il verbo “toccare”

( ) Aristotele designa la conoscenza immediata, sia dell’aist ēsis che del n s27

,

difatti l’oggetto non composto che si dica essere semplicemente e quindi essere vero,

sarà il tode ti o l’arché; entrambi oggetti assoluti, poiché la loro natura prescinde dal

pensiero discorsivo. Riguardo invece agli oggetti composti il vero consiste nella

congiunzione delle parti, mentre il falso nella loro separazione. Tenendo presente

23 Ivi, p. 769. 24 Cfr. Ivi, pp. 57-58. 25 Cfr. Ivi, p. 655: «I paralogismi riguardanti la duplice prospettiva secondo cui si può

considerare una determinazione, cioè il suo valore assoluto, oppure limitato e riflettente un significato

improprio, si verificano quando la determinazione particolare viene prospettata come assoluta, quando

si afferma, ad esempio, che se ciò che non è oggetto di opinione, allora ciò che non è è. L’essere

alcunché non è invero la stessa cosa dell’essere assolutamente». 26 Aristotele, Metafisica, cit., pp. 427-429. 27 Cfr. Ivi, p. 431 e p. 565.

37

l’insussistenza della distinzione tra essere copulativo ed essere esistenziale, si può

affermare che la natura dell’oggetto composto è analoga a quella dell’oggetto

semplice, difatti l’oggetto composto, di cui si può dire che è, costituisce un’unità28

.

Nel giudizio “uomo è animale”, ad esempio, l’essere non congiunge le due nozioni,

ma è la determinazione che pone l’oggetto pensabile “uomo – animale” come

oggetto assoluto. Dunque si può dare un’unica definizione dell’essere, in riferimento

sia agli oggetti semplici sia agli oggetti composti, cioè «determinazione di un oggetto

pensabile come oggetto assoluto»29

.

Vediamo ora la definizione di vero e di falso che compare in Filosofia

dell’espressione: «la verità è la categoria che esprime il possesso di un riferimento al

contatto metafisico; il falso è la categoria che esprime la mancanza di un riferimento

al contatto metafisico»30

. Quindi, se è vero esclusivamente ciò che deriva da un

contatto, allora l’immediatezza sensoriale deve per forza essere inserita fin dall’inizio

nel tessuto della logica, in quanto i concetti di “vero” e “falso” possono essere

introdotti solo con un riferimento all’immediatezza31

. Sono poste qui le basi per la

critica colliana verso la logica-matematica moderna32

, in quanto scienza della pura

forma che si illude di essere autonoma, dimenticando che anche le cose più astratte

della ragione esprimono sempre una primordiale immediatezza33

.

Infine si nota come le tre categorie di essere, verità e unità siano intimamente

connesse, e poiché l’essere, in quanto esprime il nesso interno all’oggetto è unità, e

in quanto esprime un riferimento all’immediato è verità, si può dire che preceda e

condizioni le altre due categorie. Più precisamente si sosterrà che le due categorie di

unità e verità esprimono due differenti aspetti della categoria fondamentale

dell’essere34

.

28 Cfr. Ivi, p. 429. 29 Aristotele, Organon, cit., p. 771. 30 FE, p. 77. 31 Cfr. RE, [145] e [332]. 32 A tal riguardo, in L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio

Colli, cit., p. 99, si definisce, a mio avviso correttamente, la logica di Colli come una “logica impura”. 33 Cfr. RE, [390]. 34 Cfr. FE, p. 77.

38

2.4 Le categorie modali.

La modalità esprime la rappresentazione come nesso, a prescindere dall’oggetto.

Le sue specie sono due: la categoria del necessario e quella del contingente. Una

prima definizione di queste si può dare per via negativa: il necessario è il non

contingente; il contingente è il non necessario. La seconda definizione che di esse ci

dà Colli si richiama invece all’ambito metafisico:

il necessario è la categoria esprimente la rappresentazione come

nesso, in quanto manifesta nel logos la natura di violenza delle

espressioni prime; il contingente è la categoria esprimente la

rappresentazione come nesso, in quanto manifesta la natura di giuoco

delle espressioni prime35

.

Difatti nel contatto metafisico necessità e contingenza sono congiunte e non c’è

incompatibilità tra loro. Da una parte l’insufficienza e l’incompiutezza contenute nel

contatto rivelano l’intuizione del contingente: «il caso è nelle radici delle cose, ogni

conoscenza immediata è anche diversa»36

; dall’altra lo slancio propulsivo che cerca

una strada per esprimersi rivela l’intuizione del necessario: ogni conoscenza è

immutabile, ferrea, non può essere altrimenti da come è. Attraverso queste ulteriori

determinazioni giungiamo alla terza definizione delle due categorie:

il necessario è la categoria che esprime la rappresentazione come

nesso, in quanto indicazione del carattere oggettivante, consolidante,

estensivo dell’espressione; il contingente è la categoria che esprime la

rappresentazione come nesso, in quanto indicazione del carattere

insufficiente, precario, manchevole dell’espressione37

.

A queste indicazioni circa la natura delle categorie modali si deve aggiungere la

presenza di un legame che tiene insieme l’essere e la necessità, dunque «dove si

35 Ivi, p. 90. 36 RE, [38]. 37 FE, p. 90.

39

scopre l’essere, si trova il necessario»38

. Tra le due categorie quella del necessario è

costitutiva dell’altra, poiché senza necessità non c’è essere, infatti l’essere o il non

essere riguardano la struttura di un oggetto già costituito, mentre le categorie modali

condizionano la formazione stessa degli oggetti astratti39

. Proprio per questo motivo

Colli parla di una preminenza della modalità rispetto alle categorie della qualità

(essere e non essere) e rispetto a quelle della quantità. Secondo il suo pensiero la

qualità è il contenuto della modalità, mentre la modalità può anche essere considerata

da sola, come puro nesso, senza la qualità. Infatti risulterebbe impossibile enunciare

il principio di contraddizione o del terzo escluso senza far ricorso a concetti modali,

che soli danno senso al principio e ai rapporti della qualità. Inoltre si può tentare una

dimostrazione per assurdo di questa tesi. Se si danno i tre casi: o preminenza della

modalità, o preminenza della qualità, o equilibrio tra le due; risulterà in maniera

evidente che è impossibile enunciare delle leggi per il secondo e il terzo caso

prescindendo dalla categoria del necessario, poiché dimostrare significa, appunto,

porre qualcosa come necessario40

.

Per la subordinazione della qualità alla modalità, si rimanda ad un passo dei

Primi Analitici41

, in cui vede che il “conseguire”, ovvero l’yparchein42

, può essere

necessario o contingente. Nonostante questo, Colli rimprovera ad Aristotele di aver

taciuto la legge parmenidea “o necessario o contingente” e di aver introdotto

premesse assertorie accanto a quelle contingenti e necessarie43

. Una sillogistica in cui

l’assertorio è mescolato al modale è assolutamente ingiustificata, per questo motivo

vengono eliminati tutti i sillogismi di cui almeno una premessa sia assertoria. Inoltre,

rispetto alle centinaia di forme di sillogismi presenti in Aristotele, in Filosofia

dell’espressione i sillogismi ritenuti validi sono limitati a tre, di cui solo due specie

vengono ritenute autonome, cioè quelle in Barbara e in Celarent, con entrambe le

premesse necessarie44

.

38 RE, [139]. 39 Cfr. FE, p. 91 e RE, [173a]. 40 Cfr. RE, [329]. 41 Aristotele, Organon, cit., pp. 219-220. 42 Colli individua in questo termine la relazione pura e la considera equivalente alla disgiunzione

del necessario e del contingente. Cfr. Aristotele, Organon, cit., p. 861. 43 Cfr. Aristotele, Organon, cit., p. 862. 44 Cfr. FE, pp. 141-145 e RE, [185].

40

2.5 Il principio modale.

Ancora più in alto, in direzione del vertice dell’astrazione, viene il momento in

cui tutto è lasciato cadere, eccetto l’estrema condizione della rappresentazione, ossia

la relazione. Il mondo come rappresentazione scopre, alla fine del suo riflusso

espressivo, che la relazione è la categoria suprema, la quale esprime la

rappresentazione come nesso in generale45

. Proprio perché il nesso, nel senso di

fulcro, precede l’oggetto, la relazione «è l’essenza astratta di ogni cosa: la

rappresentazione come tale»46

. Inoltre, è la categoria più universale, poiché ogni

espressione è una relazione e ogni relazione è un’espressione. Un’espressione, però,

in quanto si determina la sua prospettiva, è una rappresentazione. Quindi anche ogni

rappresentazione è una relazione, e ogni relazione è una rappresentazione.

Si è detto che la relazione è la categoria suprema che esprime la

rappresentazione come nesso in generale, si tratta ora di precisare tale relazione

suprema. Attraverso la via del riflusso e lungo il filo degli universali e delle

categorie, si è tentato di recuperare l’immediatezza. Il punto in cui il cuneo del

riflusso penetra al di là di ogni involucro rappresentativo «è il culmine dell’arché,

che significa appunto “comando” e “cominciamento”, ma anche in senso metafisico,

semplicemente “il principio”, in quanto proiezione astratta sconfinante – come

esigenza – nell’immediato»47

. Commentando un passo dei Topici48

, Colli osserva che

«il “principio” è per Aristotele un oggetto semplice, unitario»49

, infatti come oggetto

di una conoscenza immediata, l’arché è per il n s ciò che il tode ti è per l’aist ēsis.

Quindi il principio è l’immediatezza guadagnata al culmine dello sviluppo delle serie

espressive verso l’astrazione. Proprio il riferimento dell'arché a una dimensione

extrarappresentativa sembra comparire nei Secondi Analitici, dove si legge che il

principio dell’arte e della scienza è una «unità al di là della molteplicità»50

, oltre alla

sicura reminescenza che c’è in Colli dell’Uno plotiniano.

45 Cfr. Ivi, p. 94. 46 Ibid. 47 Ivi, p. 97. 48 Aristotele, Organon, cit., p. 622. 49 Ivi, p. 999. 50 Ivi, p. 401.

41

L’arché è dunque la forma suprema di relazione, cioè l’alternativa come puro

nesso, la quale si formula verbalmente in “aut aut”. Questo principio viene definito

modale proprio «perché la sua formulazione contiene implicitamente le categorie

modali e perché si è dimostrato che la relazione modale è quella preminente»51

. La

sua applicazione si formulerà nella proposizione: «un oggetto esprime o il necessario

o il contingente»52

. Il principio modale, quindi, contiene in sé necessità e

contingenza, in questo modo riflette inoltre «la primordiale ambivalenza di gioco e

violenza nella commistione delle categorie modali»53

. L’alternativa espressa

dall’arché racchiude dunque congiuntamente il gioco, l’indecisione,

l’indeterminatezza che è del contingente e la violenza, il comando, l’imperiosità che

è del necessario.

Dal vertice dell’astrazione, che è il principio modale “o necessario o

contingente”, ha inizio un nuovo riflusso espressivo che prende il nome di

“controriflusso”. Questo terzo cammino espressivo si muove in direzione

discendente verso il concreto, ovvero nella stessa direzione in cui si muoveva il

flusso primitivo che si esprime dall’immediatezza. È opportuno ricordare che,

parlando di concretezza, Colli non intende l’originarietà degli attimi iniziali, bensì

quella illusoria degli oggetti aggregati, che era stata prodotta dal movimento di

astrazione del flusso. Dall’arché il cammino espressivo scende, dunque, verso le

espressioni prime a connettere i termini delle serie discendenti attraverso il vincolo

della necessità; prende così il nome di deduzione, di dimostrazione54

.

Alla formulazione del principio modale sopra enunciata, cioè “o necessario o

contingente”, si devono aggiungere due corollari del principio. Il primo afferma che

è «impossibile congiungere necessario e contingente»55

; il secondo, invece, è la

definizione negativa delle categorie modali: il necessario è il non contingente e il

contingente è il non necessario.

51 FE, p. 98. 52 Ivi, pp. 102-103. 53 B. Negroni, Odissea della ragione. (Modalità e incontradditorietà), Chieti, Marino Solfanelli

Editore, 1984, p. 26. 54 Cfr. FE, p. 99. 55 Ibid.

42

2.6 Lo scacco della ragione.

Dall’enunciazione del principio modale deriva quella che Colli chiama la “legge

qualitativa”, per la quale, data l’alternativa di necessario e contingente, si dirà

«oggetto necessario quello che esprime un vincolo causale e produttivo tra

rappresentazioni, e oggetto contingente quello che esprime un intreccio casuale tra

rappresentazioni»56

. In altri termini si definirà l’oggetto necessario come quello che

“o è o non è”, e l’oggetto contingente come quello che “è e non è”57

. La prima parte

della legge si può anche formulare in questo modo: un oggetto necessario o è vero o

è falso, e designa in modo corretto il principio aristotelico del terzo escluso. Inoltre

corollario della proposizione è che risulta impossibile, per un oggetto necessario,

essere e non essere; ci troviamo quindi di fronte al principio di non contraddizione.

Da questa analisi è allora risultato che «i principi del terzo escluso e di non

contraddizione, quali sono formulati da Aristotele stesso e poi dalla tradizione sino ai

giorni nostri, risultano inaccettabili, in quanto sono riferiti a un giudizio […]

modalmente indeterminato»58

. È evidente che nessuno dei due principi si può

applicare al giudizio contingente, quindi perché possano avere un significato e una

validità è indispensabile restringere la loro applicazione al solo giudizio necessario.

Secondo Colli è difficile imputare questa svista, il non comprendere che il principio

modale viene prima ed è alla base dei principi di contraddizione e del terzo escluso,

ad Aristotele, il quale, in realtà, con l’indeterminatezza modale, voleva forse

“coprire” i paradossi della ragione che ora andremo ad esaminare.

Il primo risultato “paradossale” della logica colliana è la “contraddizione

triangolare” che consiste in ciò: due giudizi, fra di loro contraddittori, risultano –

assurdamente – entrambi contraddittori di un terzo giudizio. Analizziamo ora

l’argomentazione proposta da Colli. Un oggetto, tanto se è, quanto se non è, esprime

o il necessario o il contingente (applicazione del principio modale). Quindi se un

oggetto è, ed è necessariamente, non è contingente (risoluzione del principio

modale); mentre un oggetto contingente è e non è (seconda parte della legge

56 Ivi, p. 103. 57 Per quanto riguarda la seconda parte della legge si fa riferimento a quanto viene detto in:

Aristotele, Organon, p. 121. Cfr. Ivi, p. 814, dove c’è l’analisi del passo aristotelico da parte di Colli. 58 FE, pp. 104-105.

43

qualitativa). Dunque se l’oggetto che è, ed è necessario, non è contingente, allora non

sarà contingente neanche lo stesso oggetto che non è: infatti, se l’oggetto dato, in

quanto non è, fosse contingente, esso risulterebbe contingente anche in quanto è.

D’altro lato, per un oggetto necessario che è, viene escluso che esso non sia

(risoluzione della legge qualitativa). Si giunge allora alla conclusione per cui un

oggetto necessario che è, da un lato esclude che esso non sia contingente, dall’altro

esclude che esso non sia necessario, ossia si arriva all’assurda e contraddittoria

conclusione per cui l’oggetto, che necessariamente è, esclude due oggetti che si

escludono a vicenda59

.

È però evidente che due giudizi contraddittori di uno stesso giudizio non posso

essere tra loro contradditori. La ragione qui subisce uno scacco e questo avviene

perché nella contraddizione triangolare c’è un anello debole. Ora, poiché la

contraddizione tra giudizio necessario affermativo e giudizio contingente negativo, e

quella tra giudizio contingente negativo e giudizio necessario negativo sono

ineccepibili, poiché discendono direttamente dall’applicazione del principio modale,

non resta che sospettare della contraddizione tra giudizio necessario affermativo e

giudizio necessario negativo60

.

Tale contraddizione, che discende dal principio aristotelico del terzo

escluso, viene evidentemente in conflitto con le altre due proprio per

la formulazione data sopra alla prima parte della legge qualitativa: un

oggetto necessario o è o non è. Se la modalità restasse indeterminata,

come nella formulazione tradizionale del principio del terzo escluso

[…], la contraddizione triangolare non si presenterebbe. Questo è

quanto Aristotele voleva “coprire”61

.

La contraddizione triangolare mina la struttura stessa della ragione, nella misura

in cui l’introduzione di un oggetto contingente indebolisce la contraddizione tra

l’oggetto necessario che è e quello che non è. Infatti viene mostrato come da un

“oggetto necessario che è” si possa derivare un “oggetto necessario che non è”, in

quanto i due oggetti necessari sono accomunati dal loro essere entrambi

59 Cfr. Ivi, pp. 104-109 e RE, [351]. 60 Cfr. B. Negroni, Odissea della ragione. (Modalità e incontradditorietà), cit., pp. 39-40. 61 FE, p. 107.

44

contraddittori rispetto all’oggetto contingente. Di conseguenza si potrà affermare,

secondo la “legge generale della deduzione” formulata da Colli62

, che «un oggetto, se

è, per necessità non è; se non è, per necessità è»63

. Con ciò la legge della deduzione

non annienta la legge qualitativa, in quanto ciò che è e ciò che non è non sono detti

qui identici, bensì deducibili uno dall’altro. D’altra parte, però, la legge generale

della deduzione distrugge l’oggetto necessario regolato dalla legge qualitativa. Le

spese le fa qui soprattutto l’oggetto necessario, con il quale «crolla l’illusione

costruttiva del logos»64

.

Lo scacco in cui la ragione si trova in questo momento non è tanto un errore di

percorso o il sintomo di un’inesattezza logica, quanto un destino connaturato alla

ragione stessa. In altre parole, il logos, in virtù del suo valore espressivo, risente della

manchevolezza rispetto all’immediatezza. L’essere e la verità, ad esempio, nel

movimento discendente e deduttivo, vanno perdendo il primitivo carattere di

istantaneità, e il loro richiamo all’immediatezza risulta sempre più sbiadito e

sfocato65

. In particolare è la spinta del necessario che porta a falsificare la natura

dell’espressione, spogliandola dai suoi elementi di gioco e casualità. Proprio nel

momento di massima astrazione, però, la ragione si mette sotto scacco e crolla

nell’assurdità dei paradossi.

Nello scacco alla ragione c’è un trionfo postumo del giuoco: la

sospensione dell’arché riemerge in basso, in fondo alla cascata della

violenza, e il potere soverchiante della necessità, proprio nella sua

tracotanza compiaciuta, viene equilibrato, in una sospensione finale66

.

62 Cfr. FE, pp. 149-150 e L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio

Colli, cit., pp. 145-146 per una dimostrazione accurata della legge. 63 FE, p. 149. 64 Ivi, p. 152. 65 Ivi, p. 115. 66 Ivi, p. 153.

45

Colli dopo Nietzsche

3.1 Dialogo tra due inattuali.

L’intera opera di Colli ripercorre in filigrana, seguendo un lungo percorso, tutta

l’opera di Nietzsche: in alcuni casi ampliando determinate tesi, in altri casi

correggendo sue affermazioni con l’intento di giungere a nuove conclusioni1. In

generale, il filosofo tedesco è considerato da Colli come l’ultima grande figura del

pensiero occidentale, per questo occorre rispondere ai quesiti rimasti irrisolti o

inascoltati presenti nelle sue opere e porsi nuovamente le medesime domande di

Nietzsche.

Grazie all’edizione critica condotta con l’aiuto di Mazzino Montinari2, Colli ha

avuto per primo la possibilità di instaurare un confronto con il filosofo di Röcken

sulla base di una lettura integrale di testi stabiliti in maniera certa e restituiti nel loro

contesto storico. In questo si rispecchia la sua formazione personale, in cui filosofia e

filologia risultano intimamente connesse, pretendendo il confronto e la verifica diretti

delle ipotesi interpretative sui testi3.

Nella premessa editoriale alla pubblicazione Adelphi delle Opere di Friedrich

Nietzsche, si legge:

Nietzsche non ha bisogno di essere interpretato in nessun modo, di

essere cioè determinato concettualmente secondo l’una o l’altra

direzione, proprio perché la sua azione sulla vita individuale è diretta.

1 Cfr. N. Aragay Tusell, Origen y decadencia del logos. Giorgio Colli y la afirmación del

pensamiento tragico, cit. p. 59. 2 Per un’accurata storia della vicenda editoriale si veda G. Campioni, Leggere Nietzsche. Alle

origini dell’edizione critica Colli-Montinari, Pisa, ETS, 1992. 3 Cfr. F. Montevecchi, Giorgio Colli. Biografia intellettuale, cit., pp. 16-17.

46

Basta soltanto accoglierlo, non secondo frammenti casuali o

variamente suggestivi, ma nella sua totalità e unità. Questa via più

laboriosa dovrà privarlo di una falsa popolarità; in compenso la sua

azione – quella che egli ha voluto – si manifesterà per la prima volta,

e se essa sarà salutare o dannosa, nessuno può dirlo4.

Per comprendere Nietzsche non si deve fare altro che prestare ascolto, senza

intermediari, alle suo opere e ai frammenti postumi. Ovviamente la condizione

primaria, a tal fine, è che lo si “possa” capire, ma non trascurabile è la condizione

ulteriore, che cioè lo si “voglia” intendere5. Come vedremo, quindi, la lettura colliana

di Nietzsche è libera da ogni interpretazione già data e si caratterizza per

l’atteggiamento fortemente teoretico con cui avviene questo incontro6. Addirittura si

legge nei quaderni postumi che «la problematica di Nietzsche può essere superata

solo dal punto di vista teoretico»7, questo perché la speculazione morale è stata

percorsa dal filosofo tedesco sino in fondo, e non si può dire nulla contro di lui

partendo dalla sfera del pensiero morale. Oltre a ciò, quello di Colli vuole essere un

confronto diretto, senza le devozioni del nietzscheano, difatti «le debolezze di

Nietzsche devono essere scoperte con malvagità, senza indulgenza, perché così lui ha

fatto con gli altri»8, il che comporta una lettura complessa del movimento e del

percorso del suo pensiero.

Il confronto sembra prendere la forma di un dialogo tra i due filosofi che,

fortemente critici verso il mondo attuale giudicato “decadente”, hanno individuato

nella sapienza dei presocratici l’apice del pensiero dell’Occidente. Nietzsche ci parla

da una dimensione lontana, distante e poi attacca Socrate come se fosse vivo, come

se lo vedesse di fronte a sé: questo è il grande fascino della sua inattualità9. Ciò gli fu

anche imposto dalla sua vocazione letteraria che gli permetteva di mostrare le cose

più astratte come vive e palpitanti. Allo stesso modo Colli può essere definito un

pensatore inattuale per il suo atteggiamento di disinteresse verso la filosofia a lui

4 SN, p. 13. 5 Cfr. DN, p. 26. 6 Cfr. S. Giametta, Nietzsche e i suoi interpreti. Oltre il nichilismo, Venezia, Marsilio, 1995, p.

71. 7 RE, [298]. 8 DN, pp. 196-197. 9 Cfr. ivi, pp. 32-33.

47

contemporanea, sempre proteso verso l’antica Grecia, seguendo la direzione indicata

da Nietzsche. Entrambi sentono la loro inattualità come un «essere fuori del tempo,

ma avvicinare il passato, trattare l’assente come il presente»10

.

Se è possibile, secondo Colli, discutere dialetticamente con Nietzsche, come se

fosse una persona ancora vivente, si dovranno allora ripercorrere i grandi problemi

posti dalla sua filosofia e rimasti irrisolti per compiere dei passi avanti dal punto di

vista teoretico. Per il filosofo torinese seguire le tracce di Nietzsche non può voler

dire solamente comprenderlo, perché « il vero “capire” è “fare” qualcosa nella sua

direzione»11

.

3.2 Nietzsche e i Greci.

Per capire il modo in cui Colli affronta Nietzsche, bisogna prendere le mosse

dall’opera Physis kryptesthai philei, dedicata al filosofo di Röcken, e in cui si legge

che «ben poco di vitale è stato compreso della Grecia all’infuori di quanto hanno

detto Nietzsche e Burckhardt»12

. Nietzsche è degno di lode, poiché è stato capace di

penetrare la visione greca del mondo, creando così le condizioni per un

affrancamento da quella cristiana. La Weltanschauung greca non ha difatti nessuna

pretesa morale, ma esprime in modo descrittivo e fattuale «il trionfo

dell’esistenza»13

: questo è il vantaggio nei confronti del Cristianesimo. Al pensiero

greco appartiene, dunque, una visione metafisica che si presenta come una lettura

del mondo libera da qualsiasi giudizio o prescrizione morale.

Nietzsche opera una netta cesura rispetto alla tradizione classicista mettendo in

crisi l’immagine della “serenità greca” attraverso il recupero della figura di

Dioniso14

. Il principio del dionisiaco, infatti, valorizza gli istinti più oscuri e

10 Ivi, p. 32. 11 RE, [75]. 12 PHK, p. 14. 13 F. Nietzsche, Die philosophie im tragischem Zeitalter der Griechen. Nachgelassene Schriften

1870-1873, in Werke. Kritische Gesamtausgabe, Berlin/New York, de Gruyter, 1967; La visione

dionisiaca del mondo, in La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti 1870-1873, in ‘Opere

complete’ III/2, tr. it. di G. Colli, Milano, Adelphi, 1973, p. 56. 14 Cfr. N. Aragay Tusell, Origen y decadencia del logos. Giorgio Colli y la afirmación del

pensamiento tragico, cit. pp. 67-68.

48

irrazionali del mondo greco. Il solo modo per resistere di fronte a questa visione

terrificante dell’esistenza è di porvi davanti la bella illusione creata dal dominio

apollineo. Si vede fin da subito come nell’interpretazione nietzscheana il richiamo

alla metafisica di Schopenhauer sia influente e come la coppia Apollo-Dioniso

rispecchi lo schema Vorstellung-Wille.

Ne La nascita della tragedia, unico libro pubblicato dal Nietzsche filosofo

dedicato ai Greci, si trova l’intuizione geniale della coppia di principi estetici e

metafisici, che si rifanno a due divinità greche, ovvero l’apollineo e il dionisiaco, che

permettono una nuova interpretazione dell’origine della tragedia. Da una parte

«Apollo […] è il dio delle rappresentazioni di sogno. Egli è in tutto e per tutto il

risplendente: nella sua radice più profonda è il dio del sole e della luce, che si

manifesta nel fulgore»15

. Inoltre, si configura nella tradizione come dio vaticinante,

come padrone dell’oracolo, la sua azione è inganno e “bella illusione” allo stesso

tempo, si potrebbe definire Apollo «come la magnifica immagine divina del

principium individuationis, dai cui gesti e sguardi ci parla tutta la gioia e la saggezza

della “parvenza”, insieme alla sua bellezza»16

. Dall’altra parte c’è Dioniso, il dio

dell’arte come eccesso o come ebbrezza, il quale ha un carattere al tempo stesso

terrificante e gioioso. Egli è il fondamento oscuro dell’illusione apollinea e grazie

all’esperienza estatica è capace di strappare il velo di Maya e spezzare il principium

individuationis, così da far svanire l’elemento soggettivo.

Per Nietzsche la tragedia è il culmine dell’arte greca in quanto in essa il

dionisiaco traspare attraverso l’apollineo, è il momento della riconciliazione, in cui i

due impulsi coesistono e si compenetrano rafforzandosi17

. Secondo Colli, però,

questa affermazione, cioè che la tragedia greca è una tensione fra l’apollineo e il

dionisiaco, implica la dimenticanza che l’unità di Apollo e Dioniso precede di gran

lunga l’espressione artistica tragica. La tragedia stessa, questa è la differenza più

vistosa da Nietzsche, non è da considerarsi come espressiva del momento alto della

spiritualità greca, ma come «un fenomeno di decadenza […] in quanto misticismo

15 F. Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei greci e scritti 1870-1873, cit., p. 50. 16 F. Nietzsche, Die Geburt der Tragödie, in Werke. Kritische Gesamtausgabe, Berlin/New

York, de Gruyter, 1967; La nascita della tragedia, in ‘Opere complete’ III/1, tr. it. di S. Giametta,

Milano Adelphi, 1972, p. 24. 17 Cfr. ivi, p. 61.

49

che rinnega se stesso, che cessa di essere iniziazione, estendendosi senza

discriminazioni al demos»18

. In questo senso Colli, partendo da un’accusa mossa a

Eschilo in cui si afferma che il poeta profanò i misteri creando la tragedia, teorizza la

derivazione della tragedia dai riti eleusini, rifacendosi in questo alle tesi di A.

Dieterich esposte nell’Origine della tragedia19

.

L’intuizione fondamentale di Nietzsche rispetto al pensiero greco rimane

comunque la scoperta dei principi dell’apollineo e del dionisiaco. A tal riguardo Colli

nega una netta contrapposizione tra le due divinità, in quanto per lo stretto

riferimento di entrambe alla sapienza c’è tra loro una profonda affinità20

. Questo

errore deriva dal fatto che Nietzsche, nel tracciare il concetto di apollineo, ha

considerato aspetti che sebbene siano autentici sono tuttavia parziali e unilaterali.

C’è un aspetto fondamentale di Apollo che non traspare nella dottrina

di Nietzsche, quello del dio terribile, saettante, imprevedibile,

lontano, vendicativo, annientatore, selvaggio dominatore e

sterminatore di lupi […] il Licio dall’arco assordante, l’asiatico,

l’Iperboreo estatico, sciamanico21

Inoltre, l’apice del culto di Apollo, cioè l’arte della divinazione, discende dalla

follia, come dice chiaramente Platone nel Fedro, quando sostiene che la mantica

derivi, etimologicamente e per essenza, dalla mania22

. In tal modo è sfuggito a

Nietzsche, sotto l’aspetto dell’invasamento, della possessione mistica, il legame

vitale che sussiste tra Apollo e Dioniso. Le due divinità greche si rifanno a uno

sfondo comune, in quanto la mania non è appannaggio del solo Dioniso sotto forma

di ebbrezza, ma appartiene anche al carattere mantico di Apollo. Se si decide di

mantenere queste due divinità come principi che illuminano le origini del pensiero

greco, e questa è la scelta di Colli, allora non si troverà assurda l’affermazione che

«la follia è la matrice della sapienza»23

. D’altronde la sapienza estatica, che ha il suo

18 DN, p. 136. 19 Cfr. L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, cit., pp.

169-171. 20 Cfr. SG I, p. 24 e NF, pp. 15-21. 21 DN, p. 40. 22 Platone, Fedro, tr. it. di R. Velardi, Milano, Rizzoli, 2006, pp. 177-179. 23 NF, p. 21.

50

vertice nei misteri eleusini, e la sapienza mantica, con il centro ideale presso

l’oracolo di Delfi, sono forme di sapere legate all’ispirazione divina e quindi, per il

popolo greco, alla follia.

L’analisi nietzscheana della visione greca del mondo attraverso la coppia

Apollo-Dioniso ha dunque affascinato e influenzato in maniera evidente la

riflessione di Colli e questo anche per quanto riguarda la sua speculazione filosofica.

Rileggendo gli scritti giovanili ci si può accorgere di come il rapporto tra espressione

e immediatezza, quale è teorizzato in Filosofia dell’espressione, ricalchi il confronto

tra le due divinità greche e del tentativo operato da Colli di «allargare la concezione

di apollineo e di dionisiaco, sia in senso storico […] sia in un ulteriore sviluppo

estetico e filosofico»24

.

3.3 La metafisica.

Nietzsche rappresenta per Colli la persona che, oltre ad avere illuminato grazie

alle sue intuizioni il pensiero dell’antica Grecia, ha smascherato una volta per tutte le

pretese e le illusioni sistematiche della filosofia. Nelle sue opere viene schernito

l’uomo sistematico che come un arbitrario architetto innalza un edificio «con parole

che hanno ricevuto un solo significato, legate assieme da un ordine, da una necessità

che solo un tracotante legislatore ha sancito»25

. Il “sistema” resta come un surrogato

di una ragione che inizialmente era discussione, discorso comune e infine si è

trasformata in una sorta di retorica priva di emozionalità. Inoltre se leggiamo i

Frammenti postumi troviamo dichiarazioni esplicite di Nietzsche in questo senso:

diffido di tutti i sistemi e i sistematici, e mi allontano da loro […] La

volontà di sistema presso un filosofo, in termini morali, è una

corruzione più sottile, una malattia del carattere, e in termini non

24 AD, p. 75. 25 DN, p. 25.

51

morali, è la sua volontà di presentarsi come più stupido di quanto

sia26

.

Questo rifiuto netto di fronte al sistema filosofico avrà come conseguenza un

particolare stile di scrittura sia per Nietzsche che per Colli. Nasce l’aforisma, o

comunque la scrittura discontinua, e questa mutazione stilistica traduce una conquista

conoscitiva non indifferente27

. Il pensiero di questi due autori si impone come un

lampeggiamento e per lo più viene comunicato nella sua vibrazione immediata.

Inoltre, se vi si aggiunge un’argomentazione, questa rimane interna al pensiero

stesso, non preoccupandosi affatto della continuità e della coerenza di un’esposizione

più vasta.

La critica alla tendenza sistematica va di pari passo, in Nietzsche, con la critica

alla metafisica, massima espressione delle filosofia della décadence. Secondo il

filosofo di Röcken le costruzioni della metafisica non sarebbero altro che astrazioni a

cui si è dato il valore di verità. L’uomo ha sempre cercato di trovare delle

spiegazioni, ovvero delle cause, dietro agli effetti che gli apparivano. In questo, però,

era operante quella che Nietzsche chiama la “logica del sogno”, la quale attraverso la

fantasia non ha affatto scoperto alcuna vera causa, bensì ha dedotto una presunta

causa dall’effetto28

.

Neppure Schopenhauer si salva nella critica alla metafisica, sebbene il suo Wille

metta in crisi la tradizione precedente, in quanto principio che ribalta lo schema etico

tradizionale. Eppure per Nietzsche l’intuizione del mondo come apparenza di una

volontà unica, violenta e irrazionale continua rimanere valido. C’è qui una continuità

con la filosofia di Schopenhauer che Colli ricorderà più volte nel corso dei suoi

scritti, per mostrare come la critica nietzscheana nei confronti della metafisica non

sia sempre così sicura e netta. Si veda per esempio un passo di Umano, troppo

umano, testo che ricordiamo appartenere al cosiddetto periodo illuministico, in cui

26 F. Nietzsche, Nachgelassene Schriften 1887-1888, in Werke. Kritische Gesamtausgabe,

Berlin/New York, de Gruyter, 1967; Frammenti postumi 1887-1888, in ‘Opere complete’ VIII/2, tr. it.

di S. Giametta, Milano, Adelphi, 1971, 9 [188]. 27 Cfr. DN, pp. 133-134. 28 Cfr. F. Nietzsche, Menschliches, Allzumenschliches, in Werke. Kritische Gesamtausgabe,

Berlin/New York, de Gruyter, 1967; Umano, troppo umano, I e Frammenti postumi 1876-1878, in

‘Opere complete’ IV/2, tr. it. di S. Giametta, Milano, Adelphi, 1965, pp. 22-24.

52

Nietzsche afferma: «è vero potrebbe esserci un mondo metafisico; l’assoluta

possibilità di esso non può essere contestata»29

. Rimane comunque la certezza che di

un tale mondo metafisico «non si potrebbe predicare null’altro che un essere altro, un

essere altro a noi inaccessibile e incomprensibile»30

. In queste ultime parole sembra

riecheggiare l’intenzione filosofica di Colli, il quale pone in essere una metafisica,

con l’affermazione dell’esistenza dell’extrarappresentativo, ma allo stesso tempo

descrive l’immediatezza solamente attraverso le sue caratteristiche di essere altro,

cioè in maniera negativa.

Colli farà attenzione a evidenziare questa continuità di Nietzsche con la

filosofia di Schopenhauer, in primo luogo affermando la parentela della volontà di

potenza con il principio schopenhaueriano della volontà di vivere31

, e in secondo

luogo mostrando come «tutta la dottrina del 'prospettivismo'[…] si rivela, se

analizzata nei suoi elementi, una nuova esposizione, in chiave più spericolata, della

teoria schopenhaueriana della 'rappresentazione'»32

. Ecco perché Colli ci dice che

«Nietzsche attacca la metafisica e fa lui stesso il metafisico»33

, accentuando il primo

atteggiamento nei testi destinati alla stampa e il secondo negli scritti personali.

Questa apparente contraddizione viene risolta se si presta ascolto alla distinzione che

può essere posta tra esoterico ed essoterico nei testi di Nietzsche. Mentre gli scritti

esoterici ricercano una comunicazione maggiormente divulgativa, quelli esoterici, di

cui fanno parte tutti i frammenti postumi, tendono ad un approfondimento segreto e

personale del suo pensiero34

.

Un’altra grande contraddizione che investe la problematica metafisica in

Nietzsche è l’opposizione tra una visione immanente e una trascendente35

. Riguardo

alla prima, in molti scritti si afferma il cosiddetto “senso della terra” che consiste nel

pensare il mondo che vediamo e percepiamo intorno a noi come l’unico mondo. In

tale direzione si riscontra la critica frequente che viene rivolta a coloro che giudicano

il nostro mondo come apparente e vi pongono dietro delle sostanze occulte.

29 Ivi, p. 19. 30 Ivi, p. 20. 31 SN, p. 163. 32 Ivi, pp. 163-164. 33 Ivi, p. 165. 34 Cfr. ivi, 161. 35 Cfr. N. Aragay Tusell, Origen y decadencia del logos. Giorgio Colli y la afirmación del

pensamiento tragico, cit. pp. 58-59.

53

«Dividere il mondo in un mondo “vero” e un mondo “apparente” è una suggestione

della decadenza»36

, ma con la morte di Dio non c’è più possibilità di alcuna

trascendenza.

Per quanto concerne la seconda visione, secondo Colli, Nietzsche si è illuso

troppo in fretta di aver creato una filosofia immanente, mentre alcuni suoi aspetti

tradiscono una visione ancora trascendente. Seguendo il ragionamento di Colli

esposto in Dopo Nietzsche, se per il filosofo tedesco non c’è un sostrato, «allora il

mondo coincide con la conoscenza che abbiamo di esso, o comunque viene riflesso

da questa»37

. Però poi Nietzsche aggiunge che ogni conoscenza è menzogna e che le

forme del nostro conoscere sono nient’altro che falsificazioni. Queste dichiarazioni,

che hanno una radicalità inaudita, lo portano verso una conclusione opposta a quella

voluta dell’immanenza. «Difatti, che differenza c’è tra un mondo completamente

risolto in menzogna e un mondo considerato sin dal principio come “apparenza”?»38

.

Se, quindi, dichiarare qualcosa una menzogna significa contrapporlo a verità, sembra

ricomparire la divisione tra due mondi in qualche modo separati. Questa

contraddizione tra immanenza e trascendenza sarà superata poi da Colli in Filosofia

dell’espressione con l’immagine di Dioniso allo specchio, come si è visto nel primo

capitolo.

3.4 La critica del soggetto.

Un ulteriore confronto con Nietzsche si instaura a partire dalla problematica del

soggetto. A più riprese, nei frammenti postumi, il filosofo tedesco tenta infatti di

disgregarne l’individualità. In prima luogo ne viene contestata l’unità complessiva,

sostenendo ora la presenza di più persone39

, le quali vengono definite maschere40

, ora

36 F. Nietzsche, Nachgelassene Schriften 1888-1889, in Werke. Kritische Gesamtausgabe,

Berlin/New York, de Gruyter, 1967; Frammenti postumi 1888-1889, in ‘Opere complete’ VIII/2, tr. it.

di S. Giametta, Milano, Adelphi, 1974, 14 [168]. 37 DN, p. 176. 38 Ibid. 39 Cfr. F. Nietzsche, Nachgelassene Schriften 1884, in Werke. Kritische Gesamtausgabe,

Berlin/New York, de Gruyter, 1967; Frammenti postumi 1884, in ‘Opere complete’ VIII/2, tr. it. di M.

Montinari, Milano, Adelphi, 1976, 25 [363]. 40. Cfr. ivi, 26 [73].

54

una pluralità di forze, ordinate secondo una gerarchia nell’individuo41

. In secondo

luogo si contesta la fissità del soggetto, in quanto di per sé è sempre in divenire.

Inoltre, l’individuo sarebbe una creazione del pensiero, quindi «una finzione

regolativa, col cui aiuto, si inventa, in un mondo del divenire, una specie di

stabilità»42

. In realtà, quindi, il soggetto non è un dato primitivo, bensì una finzione:

è il pensiero che pone l’io43

.

Colli fa suoi questi elementi di critica, rimproverando però a Nietzsche di aver

recuperato il mito della volontà, e quindi dell’individuo, con il Wille zur Macht.

Infatti, se da un lato il soggetto agente è ridotto a massa fluida e indeterminata,

dall’altro viene di fatto reintrodotto con la volontà di potenza. Essendo di fatto la

volontà una facoltà del soggetto, allora non avrebbe più motivo di esistere, una volta

che è stato rifiutato, definendolo come una mera costruzione, il soggetto agente.

Sembra dunque che Nietzsche abbia criticato la realtà del soggetto,

dell’individuazione, della volontà stessa, ma nella fase matura del suo

pensiero non abbia saputo evadere da questa sfera, e abbia in

definitiva considerato l’individuo come qualcosa di essenziale44

.

Si deve ora analizzare come si sviluppi in Colli la critica al soggetto che ha la

pretesa di andare oltre la concezione nietzscheana. Come si è già visto nel primo

capitolo, la prospettiva che si delinea nel filosofo torinese afferma la necessità di

abbandonare l’opposizione soggetto-oggetto, nella teoria della conoscenza, e di

ritornare ai filosofi greci che ignoravano il soggetto conoscente, trattando i problemi

gnoseologici in termini di oggetti. Innanzitutto lo stesso termine ‘soggetto’ è

fuorviante poiché «deriva, attraverso varie distorsioni, dallo hypokeimenon

aristotelico»45

. Per lo stagirita, infatti, hypokeimenon possedeva il significato di un

sostrato su cui poggiano le predicazioni, inteso non in senso assoluto, bensì come

indicante la funzione di essere suscettibile di predicazione. Con il passaggio dal

41 Cfr. F. Nietzsche, Nachgelassene Schriften 1884-1885, in Werke. Kritische Gesamtausgabe,

Berlin/New York, de Gruyter, 1967; Frammenti postumi 1884-1885, in ‘Opere complete’ VIII/2, tr. it.

di S. Giametta, Milano, Adelphi, 1975, 34 [123]. 42 Ivi, 35 [35]. 43 Ivi, 38 [3]. 44 DN, p. 108. 45 RE, [257].

55

termine greco a quello latino subjectum si è trasferito un senso assoluto al termine

‘soggetto’ attraverso la mediazione dell’ousia. In tale modo si è giunti a un soggetto

inteso in termini sostanziali.

Il soggetto nella prospettiva colliana cessa di costituire il vertice luminoso da cui

la modernità costruisce le sue strutture pratico-conoscitive e così

la polemica contro il soggettivismo […] è intesa non solo a superare

la malattia storica della filosofia post-cartesiana, l’obiezione

solipsistica […], ma soprattutto a dimensionare epocalmente la

fondazione trascendentale del logos, riconducendolo alle sue radici

extrasoggettive ed extrapsicologiche46

.

Si è già visto in precedenza come Colli non rifiuti in assoluto il soggetto nel

momento in cui si confronta con Schopenhauer e come si possa parlare di un

soggetto nella rappresentazione, inteso come funzione interna alla relazione

rappresentativa (§ 1.1). In questa prospettiva il soggetto moderno come organismo

risulta composto dalla somma aggregata dei soggetti presenti in ciascuna

rappresentazione, a cui sono stati sottratti gli oggetti aggregati. Difatti, posto che

rappresentazione significa innanzitutto un ricordare qualcosa, «allora si dovrà dire

che una ‘parte’ del soggetto presente nella rappresentazione […] diventa, nella

rappresentazione che la conserva, ‘oggetto’ di tale rappresentazione»47

. In maniera

progressiva una ‘parte’ del soggetto ‘ricordante’ diventa oggetto e così l’ambito del

soggetto va restringendosi sempre di più48

. Si può dare ora un nuovo significato alle

definizioni di soggetto come «viscido e inafferrabile»49

e dotato di un carattere

fluttuante50

, in quanto il soggetto di una rappresentazione può sempre diventare

oggetto di un’ulteriore rappresentazione.

In modo proprio, comunque, il soggetto rimane il polo relativo presente nella

singola rappresentazione, che svanisce nel momento in cui si intende questa come

espressione e quindi come sostanza. Per una maggiore comprensione del problema si

46 L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, cit., p. 73. 47 Ivi, p. 72. 48 cfr. FE, pp. 48-49 e RE, [411]. 49 FE, p. 5. 50 Ivi, p. 15.

56

devono introdurre nel discorso i riferimenti che Colli fa ai termini cogitatio, cogito e

cogitans. La cogitatio equivale alla conoscenza espressiva la cui funzione

conoscitiva interna alla rappresentazione è il cogito. Il cogitans, invece, si riferisce

ad un soggetto che sarebbe causa esterna della cogitatio, esprime l’atto di produzione

di un pensiero. Così se da un lato il cogito può essere inteso come elemento non

originario ma costituito dalla cogitatio, dall’altro non avrebbe senso parlare di una

cogitatio costituente un cogitans, semmai si dovrebbe sostenere l’opposto. L’intento

di Colli non è dunque quello di eliminare la funzione stessa del soggetto, ma di

intendere quest’ultimo come cogito piuttosto che cogitans.

Non è il soggetto che crea la realtà, non è il cogito a creare il sum,

perché ogni rappresentazione contiene il soggetto, ma non è creata

dal soggetto […] è la cogitatio a creare il cogito, non il cogitans a

creare la cogitatio: ossia esiste una cogitatio senza cogito, ma non

viceversa51

.

In queste parole si sente ancora risuonare l’eco nietzscheana, sebbene il passo

sia inserito nella filosofia dell’espressione. Nei Frammenti postumi del 1885 si legge

un aforisma che non poteva essere sconosciuto a Colli:

È il pensiero che pone l’«io»; ma si è finora creduto, come crede il

«popolo», che nell’«io penso» ci fosse qualcosa di immediatamente

certo e che questo «io» fosse la causa data del pensiero52

.

3.5 La doppia verità in Nietzsche.

Una delle ossessioni costanti di Nietzsche, per tutta la sua opera, è stato il

problema della verità. Secondo Colli «Nietzsche usa il termine “verità” in due sensi,

riferendolo ora a un contenuto, cioè al nocciolo del mondo, alla radice della vita, ora

a una forma, a una certa espressione verbale»53

. La verità riferita al contenuto

51 RE, [281]. 52 F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885, cit., 35 [35]. 53 DN, p. 174.

57

riguarda la conoscenza del dolore, secondo quanto professato da Buddha e

Schopenhauer. Curiosamente questo primo senso è un qualcosa di assunto

pacificamente, che non subisce alterazioni né modificazioni negli anni. Al contrario,

l’altro senso si riferisce alla verità intesa come maschera creata dal pensatore per

occultare l’orrore della prima verità. Si tratta quindi di un gioco illusorio, di «un

mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi […] di cui si è dimenticata

la natura illusoria»54

.

Per Colli questa concezione di una doppia verità è una trappola che imprigiona

Nietzsche e ciò a causa dell’uomo morale che è in lui. Il presupposto che sta alla base

di questa visione prescrive infatti che l’uomo possessore della verità debba poi anche

esprimerla. Eppure, sempre secondo Colli, «chi conosce la verità “non può” dirla,

perché peccherebbe contro la vita, inducendo a rifiutarla»55

. Sembra dunque

configurarsi un conflitto morale tra il dover dire la verità e il dover affermare la vita

contrastando il dolore56

. Con Nietzsche questa contraddizione si risolve in favore

della vita: la moralità della vita è più importante della moralità della sincerità. Per

questo motivo il filosofo si converte in artista, dovendo imporre delle verità più

blande che sappiano celare il fondo tragico dell’esistenza.

Riguardo a questo conflitto, Colli afferma invece che «di fronte alla verità del

profondo cessa ogni moralità e ogni antropomorfismo»57

. Inoltre, non si pone alcun

problema morale di dire la verità, poiché la verità profonda della vita è ineffabile,

mentre la verità che può venire espressa è verità solo nel momento in cui viene

pronunciata. Cade quindi il problema, poiché dove c’è verità c’è già anche il dire. In

realtà, per Colli quella della verità è «una questione tranquilla e ben concreta […] La

verità è una categoria della conoscenza: basta indagare a cosa si applica e cosa

significa questa categoria»58

; come si è già dimostrato nel primo capitolo.

54 F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, in La filosofia nell’epoca tragica dei

greci e scritti 1870-1873, cit., p. 233. 55 DN, p. 175. 56 Cfr. N. Aragay Tusell, Origen y decadencia del logos. Giorgio Colli y la afirmación del

pensamiento tragico, cit. p. 55. 57 DN, p. 175. 58 Ivi, pp. 84-85.

58

3.6 La crisi della ragione.

L’idea che la facoltà dell’unificazione, ovvero la ragione, sia entrata in crisi nel

mondo contemporaneo non sorprende più di tanto, poiché dalle istituzioni ai principi

delle scienze, sembra che ogni ambito del sapere abbia subito una profonda

alterazione interna. Questo comporta che, secondo Colli, «il mito del predominio

della ragione, anche se in apparenza domina, in sostanza è stato debellato»59

.

Quando si parla di crisi della ragione, però, non si può non fare riferimento

anche all’opera di Nietzsche. Il filosofo tedesco viene definito «profetico»60

da Colli

proprio per questo aspetto, cioè per aver previsto il tramonto del predominio della

ragione. Infatti, in più opere di Nietzsche si possono leggere affermazioni che hanno

come intento quello di «demolire le pretese sistematiche, dogmatiche, ottimistiche

della ragione»61

. Contrariamente a questo aspetto, però, traspare in altre opere un

Nietzsche «fanatico assertore della ragione»62

, che a tratti sembra un autentico

positivista. Si prendano in considerazione, ad esempio, due aforismi contenuti ne La

gaia scienza, i quali hanno entrambi come argomento la scienza. Nel numero 373 si

criticano astiosamente le velleità della ricerca scientifica63

, mentre nel numero 293 se

ne dà un riconoscimento, sebbene in maniera sfumata e sottile, per il suo rigore64

. Da

queste indecisioni e contraddizioni si deduce che la critica della ragione non fu

qualcosa di pacifico per il filosofo di Röcken e che anzi alcuni procedimenti, come

quello genealogico, sembrano rifarsi proprio a una ragione di stampo illuministico.

Da una parte, dunque, Nietzsche svela le pretese sistematiche e ottimistiche

della ragione; in tutto ciò, però, non ne ricerca la genesi teoretica e non si chiede

quale potrebbe essere un uso sano di questa. Dall’altra parte adotta la ragione come

arma distruttiva e la dirige contro le convinzioni, le opinioni e i dogmi; senza

59 RE, [112]. 60 Ibid. 61 DN, p. 31. 62 RE, [573]. 63 Cfr. F. Nietzsche, Die fröhliche Wissenschaft, in Werke. Kritische Gesamtausgabe,

Berlin/New York, de Gruyter, 1967; La gaia scienza, in ‘Opere complete’ V/2, tr. it. di M. Montinari,

Milano, Adelphi, 1965, pp. 252-253. 64 Ivi, pp. 170-171.

59

dirigerla verso se stessa, per porla sotto una investigazione radicale65

. Per Colli,

quindi, l’ultimo mito che Nietzsche non è riuscito ad abbattere è quello della ragione.

Anche la sua frase fatale “Dio è morto” lascia trasparire qualcosa di

illuministico, tradisce un altro fanatismo, quello della ragione. Ma in

realtà quello che è morto è il Dio gelido che era prodotto (e ucciso)

dalla ragione […] Noi oggi rompiamo un’altra antica e nuova tavola

della legge. Poiché sappiamo ora che “la ragione è morta”66

.

La demolizione della ragione effettuata e concretizzata da Colli si riferisce a

quello che lui definisce “logos spurio”, mentre c’è per il filosofo torinese la

possibilità di un uso sano della ragione. Inoltre, è la genesi teoretica che deve essere

indagata per scoprire in che modo la ragione ha perso la sua autenticità.

Innanzitutto, si deve pensare che il logos autentico non sia il prodotto di una

riflessione solitaria, ovvero che non può essere stato elaborato da una sola interiorità

e poi imposto agli altri soggetti. In secondo luogo, è impensabile allo stesso modo

che gli universali nella loro massima astrattezza si possano formare in maniera

identica e indipendente nei vari soggetti per poi essere comunicati come tali. Per

Colli, dunque, «l’essenza della ragione, ossia il logos autentico, è lo sceverarsi della

componente violenta che sta nell’immediato attraverso il vincolo del necessario»67

.

Tutto ciò avviene attraverso la parola, ossia grazie all’interazione di più soggetti che

costruiscono il linguaggio. In questo momento, però, si instaura il logos oggettivo,

cioè il dare nomi agli universali e creare nessi di sensi e significati che siano

rappresentati da una pluralità di soggetti per poi esserne dominati.

Il momento storico in cui la ragione […] accenna a diventare

oggettiva si ha quando le parole e il logos, che erano stati foggiati

come strumenti espressivi dell’individuazione, in vista dell’agire ed

eventualmente di un dominio dell’uomo sull’uomo, nel loro affinarsi

65 Cfr. DN, p. 85 e N. Aragay Tusell, Origen y decadencia del logos. Giorgio Colli y la

afirmación del pensamiento tragico, cit. pp. 48-49. 66 RE, [573]. 67 FE, p. 164.

60

diventano oggetto di un interesse primario […] sono considerati come

espressioni autonome68

.

Si viene a conformare allora un agonismo tra gli uomini, i quali si scontrano in

dispute sulla ragione astratta che comprendono discussioni sugli universali e i loro

nessi, sulle parole, le argomentazioni, le obiezioni: tutto questo è stato fatto in Grecia

e ha ricevuto il nome di dialettica. La massima affermazione del logos spurio si avrà

poi con la nascita della scienza a partire da Platone. La scienza, infatti, «è il logos

che taglia ogni legame alle sue spalle, ogni derivazione, ogni richiamo

all’immediatezza»69

.

Nel momento sorgivo delle espressioni, però, c’è la possibilità di cogliere il

logos autentico. Come abbiamo visto, la ragione, è la ripercussione della violenza del

necessario che è già presente nell’immediato. Per Colli i filosofi greci intendevano la

ragione come un “discorso” su qualcos’altro, «un logos la cui natura è di esprimere

un qualcosa diverso da sé»70

. In questo senso, si può parlare di un uso sano della

ragione. Difatti, la parola e in generale il logos, sono legati ed esprimono sempre un

qualcosa che procede dall’immediato, attraverso i cammini espressivi. Eppure tale

origine è stata dimenticata e si è considerato il logos come se avesse un valore

autonomo, creando, appunto, il soprannominato logos spurio. Nel momento in cui si

è colta la ragione nella sua origine, si ha l’impressione che essa appaia, nel bene o

nel male, come un incidente. La ragione, infatti, appartiene all’uomo in quanto sua

manifestazione, «ma averla posta al vertice dell’interesse, averne gonfiato e vantato

smisuratamente le capacità […] è un fatto incidentale, episodico, aberrante»71

.

Abbiamo visto che ricercando le origini del logos si incontra l’immediatezza. La

ragione, dunque, è la configurazione plastica del mondo, il riflesso astratto della

radice della vita. L’intenzione della filosofia dell’espressione è allora quella di

instaurare una nuova relazione tra vita e ragione72

, in cui la seconda non sia

68 Ivi, p. 165. 69 Ivi, p. 213. 70 Ivi, p. 183. 71 Ivi, p. 172. 72 Cfr. N. Aragay Tusell, Origen y decadencia del logos. Giorgio Colli y la afirmación del

pensamiento tragico, cit. p. 269.

61

indipendente né dalla prima, né dall’animalità73

, ma riveli entrambe. Per

comprendere cosa intenda Colli quando parla di vita, ci si deve riferire ancora una

volta a Nietzsche, inteso qui come «dispositivo per superare una serie di opposizioni

che caratterizzano la cultura filosofica dell’occidente»74

. Il filosofo di Röcken,

infatti, è stato colui che ha privato di senso la tradizionale opposizione tra l’uomo,

inteso come “animale razionale”, e l’animale, inteso come pura negatività. Nietzsche

è stato l’unico che ha seguito sino in fondo gli esiti cui conduce la filosofia di

Schopenhauer, fino ad arrivare ad affermare l’animalità come essenza dell’uomo75

.

L’uomo non è l’animale razionale che proprio per la sua ragione è

superiore agli animali, e l’uomo più alto non è quello che annulla e

sottovaluta tutto il resto per essere soltanto ragione. Piuttosto l’uomo

è superiore agli altri animali per una maggiore intensità di vita, cioè

di quel comune patrimonio che è sostanza di lui e degli altri animali:

la ragione non è altro che l’espressione visibile di questa maggiore

intensità, ma la natura della ragione non è indipendente

dall’animalità, ma manifesta appunto questa76

.

La filosofia dell’espressione si configura, allora, come una filosofia affermativa

che cerca di stabilire una connessione con la radice dell’immediato. La vita viene

esaltata da Colli come “festa della conoscenza”, come gioco, o ancora come

rispecchiamento di Dioniso. In questa visione non vi è traccia di pessimismo: «fuori

di noi non esiste la morte, né dentro di noi, poiché essa è soltanto un’espressione. In

generale, la conoscenza dell’apparente è ottimistica, o meglio gioiosa»77

.

73 Cfr. DN, p. 50. 74 L. Anzalone, G. Minichiello, Lo specchio di Dioniso. Saggi su Giorgio Colli, cit., p. 94. 75 Cfr. DN, p. 103. 76 RE, [111]. 77 Ivi, [240].

62

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