la disciplina del partito politico. un confronto coi modelli tedesco e spagnolo

154
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA TESI DI LAUREA IN DIRITTO PUBBLICO COMPARATO LA DISCIPLINA DEL PARTITO POLITICO. UN CONFRONTO COI MODELLI TEDESCO E SPAGNOLO Relatore: Ch.mo Prof. Salvatore Prisco Candidato: Giulia Musella Matr.: 991009373 Anno Accademico 2012/2013

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI

FEDERICO II

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA

TESI DI LAUREA IN

DIRITTO PUBBLICO COMPARATO

LA DISCIPLINA DEL PARTITO

POLITICO.

UN CONFRONTO COI MODELLI

TEDESCO E SPAGNOLO

Relatore: Ch.mo Prof. Salvatore Prisco

Candidato: Giulia Musella Matr.: 991009373

Anno Accademico 2012/2013

II

Dedico questo lavoro ai miei genitori ed a mio fratello Ciro Marco.

Ringrazio il professor Prisco per i suoi preziosi insegnamenti.

Ringrazio tutti gli amici che mi hanno accompagnata in questo percorso.

Un grazie particolare va a Silvia, Valerio, Simona, Lucia, Stefano (sic!), Alessandro ed Antonio.

III

INDICE

I 1

1. Il partito politico in età liberale: il partito dei notabili 1

2. L’avvento dei partiti di massa 3

3. Il ventennio fascista e la fase precostituente: la proposta Mortati 12

4. I lavori dell’Assemblea Costituente 17

II 25

1. L’articolo 49 della Costituzione: la centralità del pluralismo partitico. Analogie e differenze con l’articolo 18 25

2. Il significato del «metodo democratico» 28

3. Partiti politici, forma di governo e legge elettorale 34

4. L’ordinanza 79/2006 della Corte Costituzionale 47

III 58

1. La disciplina dei partiti politici in Spagna e Germania 58

2. La disciplina dei partiti in Spagna 59

3. La nuova legge spagnola sui partiti 6/2002 66

4. Partiti politici in Germania: l’articolo 21 della Grundgesetz 72

5. La legge sui partiti tedeschi 76

6. Spagna e Germania: modelli a confronto. Verso lo Statuto Europeo dei partiti politici 81

IV 85

1. Il finanziamento pubblico alla politica: il nodo gordiano con la democratizzazione della vita dei partiti 85

2. La legge 195/74 sul finanziamento pubblico e successive modifiche 88

3. Dopo il referendum: le leggi di rimborso delle spese elettorali 96

4. Rimborso delle spese elettorali e regolamentazione dell’attività dei partiti: la disciplina attuale 103

5. L’avvento del Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali 109

IV

6. La Relazione finale del Gruppo di lavoro sulle proposte istituzionali 113

7. La proposta di legge Finocchiaro – Zanda 117

8. Il disegno di legge A.C. 1554 123

9. Il finanziamento alla politica in Spagna 128

10. Il finanziamento ai partiti in Germania 132

11. Le Stiftungen 138

CONCLUSIONI 140

BIBLIOGRAFIA 145

1. Libri e saggi 145

2. Webliografia 148

1

I

1. Il partito politico in età liberale: il partito dei notabili

Il principio di rappresentanza, baluardo ideologico dello Stato liberale,

trovò attuazione solo parziale nel Parlamento del Regno d’Italia. Lo Statuto

Albertino garantiva l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e li

ammetteva a godere «egualmente» dei diritti civili e politici1. La Costituzione

del 1848 demandava però alla legge ordinaria di disciplinare puntualmente le

regole del suffragio. Bisognerà attendere il 1912 perché la legge garantisse a

tutti gli italiani di sesso maschile l’esercizio del diritto di voto (per i minori di

30 anni però era ancora necessario il conseguimento della licenza elementare)

ed il 1946 perché lo stesso diritto fosse esteso anche alle donne.

Il suffragio elettorale ristretto limitava la partecipazione politica ad un

ambito sociale assai omogeneo ed oligarchico. Il partito era un’«associazione

di persone che professano la stessa dottrina politica» 2.

1 Regio Decreto del 4 marzo 1848, articolo 24: « I regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi» 2 B. CONSTANT, Cours de politique constitutionelle, II, Paris,1861, 285 (traduzione di chi scrive)

2

Secondo la classificazione di Duverger, il tipico partito dell’epoca

liberale è il partito dei notabili. Quelli che componevano il partito ed il

Parlamento erano allo stesso tempo eletti ed elettori: si occupavano di

raccogliere voti grazie ai loro rapporti personali, senza bisogno di proselitismo

ed iscritti, grazie anche al sistema elettorale maggioritario uninominale3. Il

tessuto connettivo del partito era l’affinità ideologica, l’idem sentire de re publica

(nel senso di “cosa pubblica”, “istituzioni rappresentative”: che erano

beninteso quelle di un Regno) in cui si riconoscevano i notabili medesimi. Se

da un lato dunque essi erano espressione di quelle società «parziali» di cui

parlava Rousseau, d’altro canto seppero mitigare la loro parzialità assumendosi

l’onere della rappresentanza dell’intera Nazione, così stabilendo già all’epoca il

divieto di mandato imperativo: era l’idea marxiana della borghesia (all’epoca in

un compromesso iniziale col residuo, ancorché depotenziati socialmente, ceto

nobiliare) come “classe generale”.

Il diritto di partecipazione ad un partito non era del resto autonomo,

ma si fondeva col più generale diritto di associazione, peraltro affermatosi solo

in prassi: pesavano sull’assetto formale l’interdizione ideologica della

Rivoluzione Francese verso le “comunità intermedie”, che frammentavano

l’unità dello Stato e lo spirito individualistico; così, il testo originario dello

3 O. MASSARI, I partiti politici nelle democrazie contemporanee, Roma - Bari, 2004, 66 ss.

3

Statuto Albertino ammetteva la riunione, in quanto incontro temporaneo di

individui, ma non l’associazione4. I partiti non erano garantiti in norme, ma

frutto solo della libertà d’azione, d’opinione e di riunione5, senza dunque

specialità, né velleità di essere “altro” rispetto a dei semplici consessi di

borghesi.

2. L’avvento dei partiti di massa

L’affermazione di un più allargato suffragio nei primi anni del XX

secolo ha contribuito alla nascita dei partiti di massa. Secondo la distinzione

classica6, questi partiti nacquero all’esterno di quel consesso borghese che in

epoca liberale faceva pressoché coincidere gli eletti con gli elettori e del quale

si è accennato. I partiti di massa fondarono la loro forza sul numero di iscritti,

in maggioranza appartenenti a classi sociali fino ad allora tagliate fuori dalla

dialettica politica. Secondo la ricostruzione di Perticone7, l’individuo singolo o

isolato cerca nel partito di massa protezione ed appoggio; il tessuto connettivo

non è più quell’idem sentire de re publica di memoria liberale, ma un’ideologia ben

4Articolo 32. «E' riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz'armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l'esercizio nell'interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia»

5 In questo senso P. RIDOLA, Partiti politici, voce, in Enciclopedia del Diritto, vol. XXXII, Milano, 1982, 66 e ss. 6 M. DUVERGER, I partiti politici, Milano, 1975, 17 e ss. 7 G. PERTICONE, Partito politico, voce, in Novissimo Digesto Italiano, vol. XII, Torino, 1965, 522 e ss.

4

definita che accompagna l’iscritto non solo nell’attività politica, ma anche in

spazi (appunto “di partito”) di socializzazione culturale.

L’attività dirigenziale di coordinamento e aggregazione non può più

fare affidamento sui soli rapporti personali dei notabili liberali, ma necessita di

strutture organizzative stabili, in grado di mobilitare le grandi masse di iscritti.

Il dirigente di partito diventa una professionista, in quanto tale retribuito. La

teorizzazione di questo passaggio si deve alla tradizione élitista, che emerge in

Italia e in Germania tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. La

«teoria delle élites» fonda proprio nell’avvento del suffragio universale la nascita

delle oligarchie burocratiche di partito, poiché il potere politico di prendere e

d’imporre, anche ricorrendo in ultima istanza alla forza, decisioni valevoli per

tutti i membri del gruppo, è sempre nelle mani di una cerchia ristretta di

persone8. Mentre la riflessione tedesca deve molto all’apporto di Max Weber,

cui risale la prima teorizzazione del lavoro intellettuale come professione e fu

poi approfondita da molti autorevoli studiosi nel periodo della Costituzione di

Weimar, capofila del gruppo degli Italiani fu Gaetano Mosca, siciliano, giurista

e poi funzionario della Camera dei Deputati. Fu in questa esperienza che

Mosca maturò le sue osservazioni sulla crisi del parlamentarismo e

8 In questo senso N. BOBBIO così come riportato da M. BASSANI, S. B. GALLI e F. LIVORSI, Da Platone a Rawls. Lineamenti di storia del pensiero politico, Torino, 2012, 337

5

scollamento tra governati e governanti, espressione appunto di una realtà

élitaria profondamente diversa da quella dei loro elettori. Dopo Mosca, anche

Vilfredo Pareto e Roberto Michels si soffermarono sulla dicotomia massa –

élite nel neonato avvento del suffragio universale. Nella sua riflessione

politologica (la scienza moderna così denominata era più precisamente

“giovane” e quest’Autore fu un uomo di molteplici e trasversali esperienze

professionali ed intellettuali), Pareto analizza come anche il modificarsi dei

gruppi di potere non muta però i rapporti sociali di tipo gerarchico tra la

massa e le élites. Così come nelle sue teorie economiche, egli definisce la

condizione di equilibrio del corpo sociale, che si verifica laddove le élites sono

in equilibrio tra loro fino a creare e a gestire meccanismi di ricambio interno.

Quando viene meno questo equilibrio il corpo sociale viene scosso dalla

rivoluzione9.

Fu peraltro all’epoca Max Weber, come si diceva, a descrivere il nuovo

ruolo che all’interno della politica si ritagliavano i «politici di professione». In

una delle sue opere più note Weber rifletteva: «Vi son due modi di render la

politica una professione. Si vive “per” la politica, oppure “di politica”. Non si

tratta menomamente di un’alternativa. Anzi, di regola, per lo meno

idealmente, ma per lo più anche materialmente, si fa l’una e l’altra cosa: chi

9 M. BASSANI, S. B. GALLI e F. LIVORSI, Op. cit., 340

6

vive “per” politica, fa di questa, in senso interiore, la propria vita[...] “Di”

politica come professione vive chi tenda a farne una duratura fonte di

guadagno»10.

La burocratizzazione degli apparati consente così anche a chi non

dispone di risorse proprie di arrivare ai ranghi dirigenziali, segnando un

cambio di passo rispetto alla realtà dei notabili, che sovvenzionavano loro

stessi i partiti d’appartenenza. I funzionari retribuiti però diventeranno col

tempo ed ovviamente portatori di interessi propri, tanto da far parlare anche

di partito burocratico di massa11. Secondo autorevole dottrina, in quest’ottica il

«gregario» è assorbito negli ingranaggi del partito. L’ideologia è abbandonata a

favore delle posizioni indicate volta per volta dal gruppo dirigente, in cui i

valori condivisi non fungono che da mera «premessa remota ed oscura di un

impegno tattico concreto»12.

A queste riflessioni si affiancò anche quella di Roberto Michels, come

pure si rammentava in precedenza. Allievo di Max Weber, lo studioso tedesco

effettuò i suoi studi sulla base dell’osservazione del Partito Socialdemocratico

tedesco e teorizzò che le dinamiche che muovevano un partito erano le stesse

10 M WEBER, Il lavoro intellettuale come professione – Due saggi, tradotto da A. GIOLITTI , Torino,1945, 93 11 O. MASSARI, I partiti politici nelle democrazie contemporanee, 2004, 60 e ss. 12 G. PERTICONE, op. cit., 522 e ss.

7

che su più ampia scala si riproponevano anche nell’intero assetto statale,

rinvenibile nei sistemi organizzativi di carattere verticistico che portano alla

formazione di oligarchie, paradigmaticamente – in particolare - nelle allora

nascenti “aziende” capitalistiche13.

Già nel primo ventennio del Novecento il partito inizia dunque una

sua lenta mutazione. La centralità dell’ideologia lascia spazio alla centralità

dell’apparato che unisce diversi classi sociali nell’impegno politico. L’assetto

dei partiti procede inesorabilmente verso quello che Otto Kirchheimer

chiamerà poi il «partito pigliatutto». Con questa definizione si intende quella

«combinazione di fattori, che hanno come risultato finale visibile l’attrazione

del massimo numero di elettori. In vista di questo obiettivo, il partito

pigliatutto deve entrare in milioni di menti, come un oggetto familiare che

svolge in un campo politico un ruolo analogo a quello di una marca ben nota

di un articolo di consumo di massa, universalmente necessario e altamente

standardizzato. Indipendentemente dagli aspetti specifici della linea a cui deve

il successo nell’ambito del partito, il dirigente, una volta scelto, deve adattare

rapidamente il suo comportamenti ai requisiti medi. È necessario differenziare

la marca in modo sufficiente a far riconoscere facilmente l’articolo, ma il

13 M. BASSANI, S. B. GALLI e F.LIVORSI, op.cit., 341

8

grado di differenziazione non deve mai essere tanto grande da far temere al

consumatore potenziale di uscire dai confini».

Come può allora vedersi, riflessioni di sociologia politica che risalgono

a un clima culturale non recente sono fondamentali per capire anche il modo

di essere e di presentarsi odierno del fenomeno, in cui è sempre più frequente

nel linguaggio giornalistico e in genere nel dibattito pubblico leggere

espressioni come “brand” di un partito, “partito-azienda”, “marketing politico”

e in cui la differenza di appeal spesso deriva in modo determinante da strategie

politiche che si fondano su tecniche di comunicazione mercantili e sul

controllo dei mass media: si “testa” il prodotto con sondaggi sui desiderî dei

cittadini, si utilizzano anche politicamente modalità di relazioni col “pubblico”

(ad esso venendo assimilato l’elettorato di riferimento, la constituency che si

intende intercettare) tipiche del mercato. Si ciò, peraltro, si dirà meglio oltre.

Il clima dei rapporti tra il partito pigliatutto e i gruppi di interesse è

definitivamente cambiato dai giorni migliori del partiti di integrazione di

massa, classista o confessionale. Sia il partito sia i gruppi di interesse sono

diventati sempre più indipendenti. Il partito teso a far presa sul maggior

numero di elettori possibile deve articolare i suoi rapporti con il gruppo di

interessi in modo da non scoraggiare gli elettori potenziali che si identificano

con altri interessi. In questo compito di trascendere gli interessi di gruppo e di

9

creare una fiducia generale, il partito pigliatutto gode di vantaggi, ma al tempo

stesso soffre di un male. La sua mancanza di “settarismo” (è in sostanza e per

dirlo in altro modo interclassista) aumenta le sue possibilità di reclutamento in

termini elettorali, ma condiziona inevitabilmente l’intensità di impegno che

esso può prevedere. «La trasformazione espone il partito a tutte le incertezze

dei fornitori di beni di consumo non durevoli: la concorrenza di una marca

che presenta in modo più attraente un prodotto quasi identico»14. Si inizia

dunque già a profilare quella tendenza che porterà nella metà degli anni

Novanta all’affermazione del partito personale, dove la capacità carismatica

del leader incide sulle sorti elettorali quasi più dello stesso programma di

governo.

Inoltre, l’avvento dei partiti di massa stimolò il dibattito della dottrina

in merito all’indirizzo politico. Se, infatti, lo Stato liberale non aveva avuto

necessità di analizzare il rapporto tra governanti e governati, poiché l’assenza

del suffragio elettorale rendeva i due gruppi sostanzialmente coincidenti, i

partiti di massa erano invece i partiti «dei governati», che pretendevano di

riportare la varietà delle loro istanze nelle aule parlamentari.

14 G. SIVINI (a cura di), Sociologia dei partiti politici - Le trasformazioni nelle democrazie rappresentative, Bologna, 1972, così come riportato da G. GALLI, Storia delle dottrine politiche, Milano, 2000, 254

10

Il risultato fu quello di una vera e propria frattura istituzionale. Una

metà della Camera, quella formata dal vecchio blocco liberale, continuò a

pensare le relazioni interne al Parlamento, nonché l’interazione tra questo e

l’Esecutivo secondo l’antica e familiare logica del governo di gabinetto, in base

alla quale la tenuta di un Ministero, creato attraverso maggioranze liquide e

trasversali, non era garantita tanto da un preciso programma, quanto piuttosto

dalla visione politica, dall’autorevolezza e dall’onorabilità dei suoi componenti,

in primis del presidente del Consiglio.

L’altra metà della Camera, rappresentata dai partiti di massa, ragionava

invece secondo la logica precipua del governo parlamentare tipico del

cosiddetto Parteienstaat, che prevedeva maggioranze politiche preparate

attraverso accordi e mediazioni tra i partiti, per giungere poi alla redazione di

un programma di governo e alla scelta condivisa delle personalità che di

questo avrebbero dovuto far parte15.

Alla dottrina dell’epoca si pose dunque un compito arduo: conciliare il

pluralismo dei partiti di massa con l’unità politica che doveva tradursi in

attività di Governo. I maggiori fautori di queste teorie furono in Italia

Costantino Mortati dei primi dei primi anni Trenta, e poi, sul finire del

decennio, Vezio Crisafulli e Carlo Lavagna. Mortati individuò nell’indirizzo

15 M. GREGORIO, Partito politico e forma di governo, 2012, www. Treccani.it, 2012

11

politico una vera e propria quarta funzione dello Stato, costruì la funzione di

governo come categoria generale, considerando lo Stato «come unità politica

di un popolo» e prendendo atto, pertanto, che sua prima fondamentale

funzione doveva essere quella di «porre in modo concreto le direttive generali

della sua azione, di predeterminare il suo programma»16. Vezio Crisafulli,

invece, vede nell’ indirizzo politico un momento «precedente» alla legge,

poiché « prima ancora della stessa legislazione, vi è un momento dell’attività

statale nel quale si opera la scelta delle finalità da conseguire e, nelle linee più

generali, dei mezzi a ciò reputati più idonei, momento che può dirsi pertanto,

in questo senso e sotto questo aspetto, prelegislativo»17. In questo senso,

dunque, i principî di matrice illuministica del dualismo Stato-individuo ed il

primato della legge vengono superati per la teorizzazione dell’indirizzo

politico, nozione che verrà poi recepita dai Padri costituenti all’articolo 95

della Costituzione18.

16 C. MORTATI, L'ordinamento del governo nel nuovo diritto pubblico italiano, 1931, 9, così come riportato da M- GREGORIO, op. cit., numero di pagina 17 F. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, Urbino, 1939, 44

18 Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri.

12

3. Il ventennio fascista e la fase precostituente: la proposta Mortati

Il ventennio fascista segna il blocco di quel processo di allargamento

di partecipazione alla vita democratica che il suffragio universale e l’avvento

dei partiti di massa sembravano aver iniziato nei primi decenni del XX secolo.

Lo stesso Partito Nazionale Fascista è un partito tipicamente di massa, benché

intriso di leaderismo fino al culto della personalità, dunque un partito unico di

massa, in grado di permeare nella vita degli iscritti aldilà della sfera politica.

L’avvento delle leggi “fascistissime” del 1926, dopo il delitto Matteotti, segnò

un irrigidimento della possibilità di libera associazione dei cittadini.

L’ampliamento dei poteri dei Prefetti conferì loro la potestà di disporre, con

decreto, «lo scioglimento delle associazioni, enti o istituti costituiti od operanti

nel regno che svolgono una attività contraria agli ordinamenti politici costituiti

nello Stato»19, laddove già un anno prima, col decreto 2029, si erano obbligati

partiti e sindacati a consegnare su richiesta dell’autorità di pubblica sicurezza

statuti ed elenchi degli iscritti.

A queste previsioni si aggiunse nel 1928 la costituzionaliz-zazione del

Gran Consiglio del Fascismo, che divenne «organo supremo, che coordina e

integra tutte le attività del Regime sorto dalla Rivoluzione dell’ottobre 1922.

19 R.D. 1848/1926, Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, art 210

13

Esso ha funzioni deliberative nei casi stabiliti dalla legge, e dà inoltre parere su

ogni altra questione politica, economica o sociale di interesse nazionale, sulla

quale sia interrogato dal Capo del Governo».20

L’organo dirigenziale del partito fascista divenne anche organo

supremo dello Stato, creando una sovrapposizione tra dirigenti di partito ed

istituzioni di un Regno che non aveva più una sua conformazione autonoma

ma che coincideva con lo stato maggiore del partito che ne era alla guida. Si

assiste così ad una differenziazione di trattamento, da parte del legislatore,

fascista dei partiti politici: tutti, tranne il PNF, vengono messi fuori legge

attraverso un meccanismo di regolamentazione arbitrario che, unito alla

repressione violenta, ne segna di fatto la fine. Dall’altro lato - e come si diceva

- unicamente il Partito fascista diventa partito non solo regolare, ma

costituzionale, con amplissime funzioni consultive e deliberative.

All’indomani della fine del regime nasce dunque una duplice esigenza:

da un lato riconsegnare spazi di libertà politica e democratica ai cittadini,

dall’altro disciplinare la vita dei partiti. Quelli sciolti dall’autorità in precedenza

avevano continuato ad operare in clandestinità nel Ventennio, spesso con

direzioni estere, nel mondo del c.d. “fuoruscitismo” (anch’esso peraltro

20 Legge 2693/1928, art 1

14

attraversato da conflitti, talora decimato da tradimenti e delazioni) e ora si

riorganizzavano apertamente ed anzi, nel CNL, si ponevano come fondamenti

del nuovo Stato da costruire, traghettatori della fase provvisoria verso

l’obiettivo della Costituente. L’intento di regolarne la vita era dettato in questo

caso dalla volontà di scongiurare nuove derive dittatoriali.

Il regime era infatti nato proprio all’interno di un partito che aveva

fatto della violenza e della sopraffazione la sua bandiera ideologica ed aveva

poi avuto la forza di tramutare i suoi ideali nelle Istituzioni, facendo questo

nella piena legalità formale. Era dunque necessario garantire anche dalla legge

stessa il neonato assetto democratico: anche da qui la necessità di una

Costituzione rigida. Costantino Mortati propose di regolamentare la vita dei

partiti ancor prima che questa necessità fosse espressa in sede di Assemblea

Costituente. Il progetto di legge elaborato per le elezioni del 2 giugno 1946

non divenne mai concreto, ma per la sua modernità è stato più volte

richiamato in seguito, nei dibattiti italiani sulle elezioni primarie.

Il giurista calabrese nel suo progetto di legge21 prevedeva un minimo

di 5mila iscritti per i partiti intenzionati a presentare le liste di candidati per le

elezioni. Lo statuto contenente «norme relative al numero, al modo di

21 V. GAMBINO (a cura di), Elezioni primarie e rappresentanza politica, Roma, 1995, 183 e ss.

15

formazione, alla competenza e funzionamento degli organi, nonché alle

modalità di ammissione dei soci» doveva essere depositato presso un organo

composto dal primo presidente della Corte di Cassazione, dal Presidente della

Camera e da quello del Senato, dai presidenti del Consiglio di Stato e della

Corte dei Conti, nonché da quattro docenti universitari di diritto, che entro 10

giorni ne avrebbe decretato l’ammissibilità. A questo punto il raggruppamento

poteva provvedere alla formazione delle liste mediante un sistema di «primarie

chiuse»22 attraverso la convocazione degli iscritti in ogni sezione in assemblea

plenaria. «La notizia della convocazione deve essere fatta conoscere, oltre che

con i varî mezzi che si palesino idonei a darle la massima pubblicità, con

apposita inserzione nella Gazzetta Ufficiale ed in uno dei giornali letti nella

circoscrizione». Nei venti giorni successivi gruppi di elettori «non inferiori a

trenta» e non necessariamente iscritti al partito avrebbero avuto facoltà di

presentare liste di candidature. Le proposte «devono essere trasmesse alle

direzioni dei raggruppamenti per il tramite del sindaco» accertando la qualità

di elettori dei promotori e provvedendo «alla cancellazione dei nomi dei

sottoscrittori che non si trovino nelle condizioni richieste». Le proposte valide

dovevano essere trasmesse alla direzione di partito che a sua volta poteva

formulare proposte di candidatura. Le votazioni sarebbero dovute avvenire

22 In questo senso L. TENTONI, La regolamentazione giuridica del partito politico in Italia, in dirittoditutti.giuffre.it

16

nelle singole sezioni alla presenza di un notaio e di almeno un terzo degli

iscritti. I promotori di liste non iscritti al partito potevano partecipare

all’assemblea ma dovevano abbandonare il consesso al momento del voto. Ai

sensi dell’articolo 12 era validamente inserito nella lista, da sottoporre poi

all’ulteriore votazione della direzione del raggruppamento, quel candidato che

avesse raccolto la maggioranza assoluta dei voti dei presenti. Il numero dei

candidati da includere nella lista non poteva superare la metà dei seggi

attribuiti alla circoscrizione. Nella stessa assemblea di sezione dovevano essere

eletti, sempre ai sensi dell’articolo 12, i delegati in proporzione del 2% degli

iscritti. «I delegati eletti con il procedimento dell'articolo 12 devono riunirsi,

senza uopo di apposita convocazione, nella mattina della prima domenica

successiva nella città dove ha sede la direzione del raggruppamento della

circoscrizione (…). Alla riunione devono partecipare non meno di un terzo

dei membri della direzione circoscrizionale del raggruppamento, nonché un

numero non superiore a dieci di membri della direzione centrale». A questo

punto si procedeva ad una seconda votazione delle liste, questa volta

effettuata congiuntamente da delegati delle sezioni e membri della direzione.

Le liste non formate secondo tale procedimento sarebbero state

automaticamente escluse dalla tornata elettorale.

17

4. I lavori dell’Assemblea Costituente

Il testo attuale dell’articolo 49 della Costituzione recita, com’è noto:

«Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per

concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

La norma è frutto del prevalere in sede costituente delle posizioni di

quanti vedevano lo spettro della limitazione alla libertà nella possibilità del

rinvio alla legge ordinaria per una regolamentazione della vita interna dei

partiti politici.

Tutti i costituenti, al di là delle posizioni personali, avevano chiaro il

ruolo centrale che i partiti dovevano recuperare per la riconquista degli spazi

democratici. Come ebbero a sottolineare gli onorevoli Umberto Merlin e

Pietro Mancini nella relazione alla loro proposta di stesura della norma, «Se

(…) tutti coloro che vollero sopprimere la libertà cominciarono col colpire i

partiti, vuol dire che la esistenza dei partiti è condizione di vita della

democrazia e nello stesso tempo è la più sicura barriera contro ogni

dittatura»23.

23 Relazione Merlin - Mancini sulle libertà politiche, Atti dell’Assemblea Costituenye, Commissione per la Costituzione, I sottocommissione, in archivio.camera.it

18

I Costituenti affrontarono il tema della disciplina dei partiti politici in

sede di Prima Sottocommissione alla Costituzione. Come giustamente rileva la

dottrina24, la scelta di inserire la norma (all’epoca rubricata col 47) nel Titolo

dedicato ai rapporti politici, e non in quello relativo all’organizzazione dello

Stato, evidenzia la volontà dell’Assemblea di non conferire ai partiti un ruolo

pienamente istituzionale.

D’altra parte la previsione non voleva essere mera specificazione

dell’articolo 18, nonostante l’opinione contraria in sede di Assemblea

Costituente dell’onorevole Lucifero25. Nelle sedute del novembre ‘46 all’esame

della Sottocommissione furono sottoposte principalmente due proposte. La

prima ebbe come firmatari gli onorevoli Merlin e Mancini. Il testo concordato

dai due esponenti DC – PSI era:

«I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si

formino con metodo democratico e che rispettino la dignità e la personalità

umana, secondo i principi di libertà ed uguaglianza. Le norme per tale

organizzazione saranno dettate con legge particolare».

La proposta dell’onorevole Lelio Basso (PSI) invece era articolata in

due commi:

24 in questo senso P. RIDOLA, I partiti politici, voce cit., 66 e ss. 25 Atti Assemblea Costituente, seduta di giovedì 22 maggio 1947

19

«Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e

democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla

determinazione della politica del Paese.

Ai partiti politici, che nelle votazioni abbiano raccolto non meno di

cinquecentomila voti, sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni

di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali

e sulla stampa, ed altre leggi».

Le attribuzioni a cui faceva riferimento Basso erano molteplici, tra cui

la formalizzazione della prassi delle consultazioni e la possibilità da parte dei

partiti di presentare ricorso alla Corte Costituzionale

La proposta Merlin – Mancino attirò da subito le critiche degli

esponenti del PCI. Concetto Marchesi osservò: «Anche un Governo con basi

democratiche potrebbe, servendosi dell’articolo in esame, mettere senz’altro il

partito comunista fuori legge». A lui fece eco Palmiro Togliatti: «Un domani

potrebbe svilupparsi in Italia, un movimento nuovo, anarchico, per esempio, e

lo si dovrebbe combattere sul terreno della competizione politica (…), ma non

si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi».

Il presidente di Sottocommissione Umberto Tupini propose un

emendamento alla proposta Basso: «Il diritto di organizzarsi in partiti che

20

accettino il metodo democratico della lotta politica è garantito a tutti i

cittadini», sostituendo al «democraticamente» del primo comma la formula

«con metodo democratico». Di fronte a questa proposta di modifica fu lo

stesso relatore PSI a far notare che certamente era necessario un riferimento

alla difesa della democrazia, «ma in base alla formula proposta dal Presidente,

domani si potrebbe dire, per esempio, che il partito socialista non adotta il

metodo democratico». Eppure nell’attuale formulazione dell’articolo 49 resta

la nozione di «metodo democratico», ma, come sottolineato da numerosi

autori, il senso da dare a questa definizione è puramente «esterno» e non

attinente alla vita interna dei partiti26.

La proposta Basso suscitò qualche perplessità in Sottocommissione:

nella seduta del 20 maggio 1946 l’onorevole Ottavio Mastrojanni sottolineò

come il riferimento al numero di voti rafforzasse i partiti di massa che in

questo modo avrebbero influito costantemente sulle istituzioni. A questo fece

eco Giuseppe Dossetti il quale, pur ammettendo che il criterio del numero di

voti raccolti fosse il più oggettivo dei parametri di valutazione, sottolineò la

«pericolosità» di tale criterio: «la norma – osservò l’esponente democristiano –

26 così G. PERTICONE, Partito politico voce, in Novissimo Digesto Italiano, vol. XII, 1965, 522 e ss. Dello stesso avviso P. RIDOLA, I partiti politici, voce cit. , in Enciclopedia del Diritto, 1982, 109. Al contrario G.D. FERRI, Studi sui partiti politici, Roma, 1950, 140, per il quale l’articolo si riferisce alla vita interna dei partiti

21

può portare a conseguenze più vaste di quelle previste (…) poiché essa non

determina quali debbono essere le funzioni dei partiti, e nello stesso tempo fa

pensare che le sue applicazioni possano essere così vaste da escludere dalla

vita politica tutti gli altri partiti (…)».

Diversamente Togliatti evidenziò come non fosse possibile mettere

sullo stesso piano tutti i partiti, «perché se non fosse fatta alcuna differenza tra

essi, qualunque esigua associazione di persone potrebbe affermare di essere un

partito e di voler godere del diritto di avere funzioni costituzionali». Il

segretario del PCI ritenne che il criterio proposto da Basso fosse anche un

incentivo alla partecipazione alla vita democratica, caldeggiando inoltre la

proposta di costituzionalizzare la prassi delle consultazioni.

In ogni caso in sede di Sottocommissione si arrivò ad un nulla di fatto.

Non senza qualche critica si propose una discussione congiunta con la

Seconda Sottocommissione che però si occupava dell’ordinamento della

Repubblica, ma la riunione congiunta non avvenne mai.

L’articolo venne discusso direttamente in Assemblea Costituente nel

novembre del 1947. In questa sede Costantino Mortati, ritirando un suo

primo emendamento, si unì alla proposta del socialista Carlo Ruggiero: «Tutti i

cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al

22

metodo democratico nell’organizzazione interna e nell’azione diretta alla

determinazione della politica nazionale». Ruggiero, riferendosi alle parole di

Togliatti sulla necessità di combattere solo sul piano politico un’ipotetica forza

antidemocratica, controbatté: «Se (…) ci troviamo di fronte ad un diritto che è

un diritto particolare, cioè il particolare diritto all’esistenza da parte

dell’associazione antidemocratica, si vede come questo principio

automaticamente si pone in una posizione di antitesi, di conflitto, di dissidio

con l’interesse generale, cioè con l’interesse della collettività; perché l’interesse

della collettività è quello di vedere rispettato il principio della libertà. Il

principio che viene adottato dalla singola formazione è un principio

particolare che deve essere considerato in rapporto al principio generale; per

cui non possiamo non far valere quella grande affermazione di diritto secondo

la quale tutti i principi particolari ed individuali, anche quando meritano la

tutela e la garanzia della legge, devono cedere se si trovano in contrasto con

quello che è il diritto della collettività, che è un diritto veramente sovrano ed

intangibile».

Si aggiunse quindi l’emendamento del liberale Girolamo Bellavista:

«Le leggi della Repubblica vietano la costituzione di partiti che abbiano come

mira la instaurazione della dittatura di un uomo, di una classe o di un gruppo

sociale, o che organizzino formazioni militari o paramilitari».

23

In aula tutte le proposte di regolamentazione puntuale della disciplina

dei partiti trovarono non solo le già espresse perplessità del PCI, ma anche

l’opposizione compatta del gruppo della DC. Emilio Colombo ed Aldo Moro

si opposero alle formulazioni proposte da Mortati e da Bellavista, esprimendo

il timore dell’arbitrio del futuro legislatore.

L’articolo 49 nasce dunque dalla convergenza dei due partiti

politicamente più distanti in quell’arco parlamentare. La tragica esperienza

fascista era forse ancora troppo vicina per poter lasciare ampia possibilità di

interpretazione in materia. Esisteva inoltre enorme fiducia che i partiti

avrebbero ben saputo gestire la libertà che in quella sede si conferiva loro, ma

al tempo stesso (e lo si vide poi nella parte organizzativa della Costituzione,

meno innovativa, che risentì della diffidenza reciproca tra formazioni pur tutte

intenzionate a trovare collocazione nel nuovo assetto politico-istituzionale)

residuava un riflesso di prudenza.

Infine, ci si deve chiedere come si concilia questo clima di assoluta

neutralità dello Stato verso i partiti con la XII Disposizione transitoria27. Il

primo comma fu approvato all’unanimità già in sede di Sottocommissione.

27 «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»

24

Sull’apparente contraddizione tra il principio alla base dell’articolo 49 e

la disposizione in esame è certamente condivisibile l’opinione espressa da uno

studioso. Riportando anche la testimonianza di Mortati, egli sottolinea come i

Costituenti avessero l’esigenza di «arretrare i limiti generali alla libertà dei

partiti al di qua del limite ideologico, e ad un tempo di recuperare quest’ultimo

nei confronti di un’esperienza storica verso la quale si intendeva precludere al

nuovo ordinamento costituzionale una posizione di neutralità».

Un’eccezione, dunque, alla regola generale di Stato super partes che

però risponde alla stessa ratio della regola generale: la funzione di difesa

preventiva rivestita dalla Costituzione rigida come argine ad ogni potere

antidemocratico, anche se lo “strabismo” del divieto antitotalitario solo verso

destra è indicativo tanto della vicenda nazionale dalla quale si usciva, quanto

della fase storica che allora si viveva, in quanto i comunisti (benché inseriti in

un assetto allora ancora staliniano, cioè teorizzatore e realizzatore della

dittatura del proletariato attraverso il partito unico) avevano partecipato alla

Resistenza e all’elaborazione della Costituzione e, per l’abilità di Togliatti, che

adattò le direttive di Stalin alla situazione di un Paese come l’Italia dopo Yalta,

alleata degli Stati Uniti e in concreto cerniera fra l’Europa filo-atlantica e

quella dell’Est, non furono coinvolti nell’insurrezionalismo che invece li aveva

fatti reprimere e decimare in Grecia nel medesimo periodo.

25

II

1. L’articolo 49 della Costituzione: la centralità del pluralismo partitico. Analogie e differenze con l’articolo 18

Il testo attuale dell’articolo 49 «Tutti i cittadini hanno diritto di

associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a

determinare la politica nazionale», già prima riportato, è apparso ad alcuni una

formula vuota, quasi una clausola di stile. Un esame attento dei lavori

preparatorî del testo costituzionale, come quello appena concluso, suggerisce

invece una lettura complessa della norma che volutamente resta all’apparenza

vaga, affidando con lungimiranza – come accade per molti altri casi, quanto a

principî e norme costituzionali – all’evoluzione consuetudinaria,

convenzionale e della prassi la precisazione del senso in cui sarebbe stata

possibile la sua applicazione effettiva.

Dopo lunga discussione Umberto Merlin, già relatore di una proposta

di disciplina più particolareggiata della vita interna dei partiti, ebbe ad

osservare infatti in Assemblea Plenaria: «Non preoccupiamoci di scrivere nella

Costituzione tutto quello che su ciascun argomento può essere detto. Qui

26

affermiamo il principio del riconoscimento dei partiti. Venire poi

all’applicazione di questo riconoscimento e vedere l’ampiezza che avrà, sarà

compito importante del legislatore futuro».28 I Costituenti però certamente

non immaginavano il potere che i partiti ed i loro dirigenti avrebbero

accumulato e esercitato nel corso del tempo.29

Quello che gli autori della Costituzione vollero scongiurare con la

formulazione dell’articolo 49 era il rischio di nuovi totalitarismi. Da qui la

centralità del pluralismo partitico, evidente nel richiamo nel testo di legge al

principio del «concorso» ed al «metodo democratico».

La tutela del principio del concorso risiede innanzitutto nel garantire

una posizione paritaria nella competizione politica, nel senso della eguaglianza

delle chances.30 Il metodo del concorso, oltre a tutelare l’esistenza dei partiti,

assicura anche l’eguale possibilità di partecipare alla formazione degli organi

rappresentativi. In questo assetto lo Stato svolge un ruolo di arbitro neutrale

ed i partiti restano dunque in una condizione «prestatuale».31 Tale concezione

è confermata anche dalla collocazione dell’articolo 49 nel titolo riservato ai

28 Atti Assemblea Costituente, mercoledì 21 maggio 1947 29 In questo senso G. PASQUINO, I rapporti politici, voce, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. BRANCA, Bologna, 1992, 27

30 In questo senso P.RIDOLA, op. cit, 66 ss. ed E. ROSSI, I partiti politici, voce, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, Milano, volume XXXII 2006, 4146 e ss.

31 Così C. MORTATI, Note introduttive a uno studio sui partiti politici nell’ordinamento italiano, in Scritti in memoria di V. E. Orlando, Padova, 1957, 114 e ss.

27

rapporti politici e non in quello relativo all’organizzazione dello Stato,

ponendoli dunque come corpo intermedio tra la società e le istituzioni e

rimandando alla disciplina dei Gruppi parlamentari le regole del concreto agire

dei partiti in Parlamento32.

A differenza che in Italia invece, in Germania la Costituzione

configura i partiti come veri e propri organi istituzionali. La teoria dello «Stato

dei partiti» (Parteienstaat) fu formulata per la prima volta da Gerhard Leibholz.

Abbandonando del tutto la visione liberale per cui lo Stato ed i partiti

dovevano essere entità distinte, il giurista tedesco constatò l’integrazione tra

Stato e partiti e la centralità di questi nello sviluppo della vita democratica,

fino a definirli «parte integrante della struttura costituzionale» ed «organi dello

Stato».

Già nel primo decennio del XX secolo Heinrich Triepel aveva

individuato quattro fasi che condussero da un atteggiamento di ostilità dello

Stato nei confronti del partito politico (Bekämpfung), seguito da uno stadio di

indifferenza del diritto costituzionale (Ignorierung), al riconoscimento giuridico

dei partiti (Anerkennung und Legalisierung), ed infine all’inserimento di essi

nell’organizzazione statale (Incorporation)33.

32 G. F. CIAURRO, I gruppi parlamentari, in Le istituzioni parlamentari, Milano, 1982, 243

33 P. RIDOLA, op. cit., 66 e ss.

28

I partiti politici assumono anche in Italia una loro specificità rispetto

alle associazioni così come disciplinate dall’articolo 1834 della Costituzione,

sebbene trovino certamente un fondamento nell’articolo sulla libertà

associativa. Le norme dell’articolo 18 infatti sono da intendere come

preliminari «e forse prioritarie rispetto al diritto riconosciuto ai cittadini di

costituire (o costituirsi in) partiti politici. Norme che, comunque, incidono

anche sul (e si debbono applicare al) tipo di partiti politici che possono essere

legittimamente e costituzionalmente riconosciuti: non per fini legati dalla legge

penale, non con vertici (o strutture) segreti, non con strumentazioni di

carattere militare»35.

2. Il significato del «metodo democratico»

Un punto cruciale nell’esegesi dell’articolo 49 della Costituzione è

l’analisi del richiamo al «metodo democratico». Nonostante il significato

letterale delle parole, sembra che non si possa intendere questa parte della

norma come una regola imposta dalla Costituzione per il funzionamento

interno dei partiti politici. Sia i lavori dell’Assemblea Costituente, sia la

34 «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare 35 in questo senso G. PASQUINO, op. cit.

29

dottrina maggioritaria36 suggerirebbero che il metodo democratico debba

essere inteso solo dal punto di vista “esterno” dei rapporti tra i partiti politici,

quasi come una specificazione del principio del concorso. Come già prima

rilevato, anche il minimo richiamo alle libertà fondamentali o all’ordine

pubblico come limite all’azione dei partiti fu avvertito dai Costituenti come un

potenziale attentato alla libertà.

Allo stesso tempo, però, se da un lato l’articolo 49 pare riproporre i

limiti già individuati dall’articolo 18, sembra che la norma in esame abbia

inteso porre ai partiti un limite ulteriore rispetto a quelli stabiliti per le

associazioni.

Per comprendere appieno questo tema si deve fare riferimento a una

dottrina37 che distingue all’interno dell’attività partitica funzioni “sistemiche” e

funzioni “partigiane”. Le prime sono quelle che i partiti svolgono a favore del

sistema nel suo complesso: presentazioni di alternative elettorali, selezione dei

candidati alle cariche elettive pubbliche. Le funzioni partigiane invece sono

quelle svolte dai partiti a beneficio dei loro iscritti, dei loro militanti, «dei loro

attuali o potenziali elettori», costituite innanzitutto dalla selezione e

promozione dei dirigenti e dalla formazione della linea politica.

36 in questo senso V. COSENTINO, F. FALZONE, F. PALERMO, La Costituzione della Repubblica Italiana Illustrata con i lavori preparatori e corredata di note e riferimenti, 1969, Roma, 308 37 G. PASQUINO, I rapporti politici, voce, in Commentario alla Costituzione, 1992, 18

30

Se dunque per le funzioni partigiane i limiti imposti sembrano essere

solo quelli già proprî dell’articolo 18, per quelle attività con le quali il partito

mira ad incidere direttamente sulla vita delle istituzioni «può esser dubbio che

ai partiti sia precluso dall’articolo 49 il solo uso della violenza, e non anche,

più in generale, quell’opera di “sabotaggio” degli istituti democratici (…)

nell’accertamento della quale non potrebbe prescindersi, ad esempio, dalla

valutazione delle decisioni ufficiali di ciascun partito o dai vincoli di disciplina

che esso pone ai propri aderenti o ai propri parlamentari»38.

Risulta dunque innegabile che sono le attività partigiane ad influenzare

quelle sistemiche e che perciò il metodo democratico non può che estendersi

anche alle attività interne dei partiti, soprattutto in una condizione, come

quella attuale, che vede i partiti politici sempre meno protagonisti della vita

politico – sociale e sempre più quali ingranaggi della vita delle istituzioni

democratiche.

Una tale lettura non poteva essere prospettata nel 1946: troppi i timori

di ingabbiare la dialettica politica. Eppure, ben presto la prassi della vita

istituzionale repubblicana suggerì a commentatori e politici un cambio di

rotta.

38 P. RIDOLA, op. cit,, 66 e ss.

31

I partiti rappresentati in Parlamento divennero rapidamente

protagonisti non solo della dialettica politica, ma anche delle attività più

strettamente burocratico – istituzionali, così come previsto dalla Costituzione.

Dalla Corte Costituzionale al CSM fino ad arrivare in tempi più recenti alle

Authorities, l’impianto generale ha individuato nei partiti una sorta di “grandi

elettori” a garanzia di una seppur indiretta rappresentatività anche di organi

che per loro natura non richiedono come caratteristica fondante un rapporto

diretto con la base elettorale. L’assenza di un controllo sulla vita interna dei

partiti ha però rischiato di rendere questa garanzia oggetto di dubbi sulla sua

effettività ed efficacia. Inoltre lo spostamento della presenza dei partiti dalla

sfera societaria a quella dell’esercizio quotidiano del potere ha

progressivamente acuito il loro distacco dalla società civile39.

Già poco tempo dopo l’avvento della Costituzione repubblicana, la

necessità di una regolamentazione della vita interna dei partiti fu sentita con

urgenza dai commentatori politici.

Così, nel 1952, Giuseppe Maranini conia il termine “partitocrazia”,

destinato a grandissima fortuna anche giornalistica. Nella prolusione di

apertura dell’anno accademico dell’università di Firenze, egli denunciò lo

39 in questo senso P.RIDOLA, op. cit.

32

strapotere delle segreterie di partito, a dispetto del divieto del mandato

imperativo. «La nostra Costituzione vieta ogni mandato imperativo – disse

allora – che leghi il rappresentate alla volontà degli elettori; ma allo stesso

tempo la Costituzione e le leggi elettorali creano presupposti di un ben più

temibile mandato imperativo, il quale subordina gli eletti ai loro veri

committenti, i quali non sono più gli elettori bensì le direzioni dei partiti. Il

Parlamento controlla il Governo ma le direzioni di partiti controllano il

Parlamento e, attraverso il Parlamento, il Governo, se poi direzione di partiti e

governo s’identificano, il controllato diventa controllore, con evidente

eversione di ogni schema di governo parlamentare»40.

Nasce ben presto la logicamente connessa questione del

finanziamento all’attività elettorale dei partiti: nel 1958 Luigi Sturzo formula

un testo di legge – mai approvato in sede parlamentare – che ancora una volta

si poneva l’obiettivo di regolamentare la vita interna dei partiti politici. Il

disegno di legge presentato dal fondatore del PPI impegnava i partiti ad una

rendicontazione annua di entrate ed uscite da presentare presso la cancelleria

del tribunale dove il partito si era precedentemente costituito mediante il

deposito dello statuto41.

40 G. MARANINI, Governo parlamentare e partitocrazia, in Rassegna di diritto pubblico,1951, 18 e ss. 41 Articolo 1 ddl Sturzo: «È fatto obbligo ai cittadini che si associano in partito per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, di depositare il proprio statuto e le successive variazioni con

33

Il testo di legge ancora una volta, come si è anticipato, non trovò il

favore del Parlamento. Così come era successo in sede di Assemblea

Costituente, l’opposizione al testo di legge vide uniti i partiti più distanti

dell’arco parlamentare, riavvicinati dal timore di essere sottoposti a controlli

liberticidi, o perché, secondo alcuni, «ricevevano ingenti somme dall’estero e

sarebbero stati messi in imbarazzo dando pubblicità alla cosa (e non si parla

solo dei comunisti)».42

Qualche anno dopo, su Nord e Sud, la rivista diretta da Francesco

Compagna, Vittorio de Caprariis osservò: «I partiti odierni si frappongono fra

il parlamento ed il paese e tendono ad assumere essi l’intera rappresentatività

di questo e a depotenziare quello, rivendicando per sé il privilegio del

controllo politico (…) se è vero che essi tendono ad assumersi l’intera

rappresentatività del paese, a mescolarsi all’amministrazione, se è vero che le

loro funzioni sono diventate decisive della vita di tutta la società (…) non è

più possibile assimilarsi ai tradizionali gruppi intermedi e si deve anzi ritenere

che la libertà sia meglio garantita da una loro regolamentazione piuttosto che

le firme autenticate del presidente e del segretario generale, alla cancelleria del tribunale civile del luogo dove è fissata la sede centrale. I trasferimenti saranno notificati anche alla cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione si trova la nuova sede. Dalla data del deposito dello statuto il partito acquista personalità giuridica», da L. Sturzo, Scritti di carattere giuridico, Soveria Mannelli, 2007, 370 42 A. MARIUZZO, 1958: quando Don Sturzo chiese (senza successo) la trasparenza dei bilanci dei partiti, in Linkiesta.it

34

da una assenza di regole».43 Allo storico napoletano fece eco pochi mesi dopo

Paolo Ungari, che osservò: «Usando una figura familiare ai giuristi, diremo che

il diritto dei partiti attende ancora il suo Domat e il suo Pothier. E,

aggiungeremo, il Domat del droit public «e non solo quello delle Lois civiles».44

3. Partiti politici, forma di governo e legge elettorale

Un’analisi della disciplina dei partiti politici non sarebbe completa

senza una congiunta analisi della forma di governo. E’ evidente, infatti, che

l’assetto partitico ha un ruolo fondamentale nel plasmare la forma di governo

e la legge elettorale.

In Italia, all’indomani del secondo conflitto mondiale, la forma

parlamentare fu ritenuta una scelta quasi obbligata per il numero dei partiti

italiani e per le tensioni provocate dalla loro disomogeneità. Accanto ad un

sistema che dunque riproponeva in sede parlamentare le fratture che

attraversavano il Paese, non furono però previsti “correttivi”, tesi a garantire

stabilità ed efficienza dell’esecutivo: non fu accolta né la proposta Mortati per

una durata minima biennale dei governi, né quella Tosato che anticipava una

43 V. DE CAPRARIIS, Problemi istituzionali della democrazia moderna, in Nord e Sud, Giugno 1959, 17 44 P. UNGARI, Il diritto dei partiti, in Nord e Sud, dicembre 1959, 15 e ss.

35

formula particolare di sfiducia costruttiva45, seppure l’approvazione di un

ordine del giorno proposto da Perassi segnalò la consapevolezza di evitare le

degenerazioni del parlamentarismo, che all’epoca già palesemente affliggevano

la coeva IV Repubblica francese e facessero temere la crisi che poi sfociò nel

1858 nella Costituzione gauliana della V.

Furono dunque introdotti solo alcuni accorgimenti di

razionalizzazione “debole”. Tra questi lo scioglimento delle Camere da parte

del Presidente della Repubblica, con l’eccezione del cosiddetto “semestre

bianco”, poi rivisitato ed integrato (articolo 88) e la razionalizzazione del voto

fiduciario (articolo 94). Eppure, secondo i commentatori più attenti, questi

strumenti, che avrebbero dovuto conferire maggiore stabilità all’ Esecutivo,

non sono invece riusciti a sottrarre il Governo alle tensioni dei partiti. «Tali

previsioni [...] hanno finito con il dare vita ad un modello di “governo

debole”, dominato dai partiti politici, nei quali si è andato via via

concentrando il potere di fare o disfare i governi, vale a dire il “potere di

crisi”, condizione necessaria della garanzia reciproca che i partiti, in tal modo,

si sono reciprocamente assicurati, grazie anche alla legge elettorale

proporzionale (operante fino al 1993 e nuovamente dal 2005, sia pure con

45 L. ELIA, L’evoluzione della forma di governo, Relazione al Convegno su “Lo Stato della Costituzione italiana e l’avvio della Costituzione europea” organizzato dall’Accademia nazionale dei Lincei , Roma 14 – 15 luglio 2003, in Astrid-online.it

36

modalità del tutto irrazionali da fare assumere una sua illegittimità

costituzionale), un ruolo forte in Parlamento».46

A fronte di tale assetto, la mancanza di regolamentazione della vita dei

partiti appare più che mai necessaria poiché «la logica delle coalizioni ha finito

col consegnare ai partiti politici un potere eccessivo (non previsto dalla

Costituzione), che ha portato fino al controllo dell’intero circuito delle

istituzioni rappresentative e di governo».47

Analizzando invece la struttura della legge elettorale ci si può riferire

ad una classificazione che si fonda sulle funzioni di rappresentanza, cioè è

possibile distinguere un sistema di parlamentarismo “responsabile” ed uno

“rappresentativo”.

Nel primo caso, i meccanismi elettorali consentono agli elettori una

scelta quasi diretta dei membri del governo, con un assetto molto simile negli

effetti a quello degli elettori che votano in un sistema presidenziale. Viceversa,

nella fattispecie rappresentativa gli elettori delegano ai rappresentanti la scelta

del governo.

46 S.GAMBINO, Il ruolo dei partiti politici e la legge elettorale, fra storia costituzionale del paese ed attualità, da associazionedeicostituzionalisti.it, 2/2013 47 ibidem

37

Parte della dottrina colloca il caso italiano nella sua più recente

evoluzione, assieme a quello spagnolo e tedesco, in un modello intermedio,

che si può definire neo-parlamentare, nel quale il corpo elettorale è messo in

condizione di pronunciarsi contemporaneamente su programmi e

schieramenti, ma anche sul Capo del governo.

Al contempo però, le esperienze di questi tre Paesi non consentono

un ricorso al sistema elettorale maggioritario puro proprio per la presenza di

molti partiti nel panorama politico.

Si è dunque scelta «una forma intermedia che coniughi elementi sia del

sistema rappresentativo che di quello responsabile, cercando di adattare

un’organizzazione partitico-elettorale tipica delle democrazie mediate alle

esigenze della democrazia immediata, sfruttando l’unico canale di

legittimazione dei governanti di cui dispone il governo parlamentare». 48

È fatto noto però che la legge elettorale vigente in Italia nulla abbia a

che vedere, ad esempio, con l’equivalente tedesco. In Germania la legge

elettorale, così come modificata nel maggio 2013 prevede una particolare

forma di doppio suffragio, in cui l’elettore sceglie prima il candidato nel

collegio uninominale, successivamente la lista (articolo 4), anche con voto

48 G. CARBONI, Forme di governo e forme di opposizione, da Introduzione allo studio dell’opposizione politico – parlamentare nella forma di governo italiana, da dirittoestoria.it, numero 3, maggio 2004, 21

38

disgiunto. Ogni lista ha diritto ad un numero di seggi proporzionale al numero

di voti ottenuti su scala nazionale, ma, contemporaneamente, non inferiore al

numero di candidati eletti nei singoli collegi uninominali.49 Laddove una lista

abbia ottenuto più seggi nei singoli collegi che su scala nazionale, otterrà dei

cosiddetti seggi in eccedenza, in modo da portare in Parlamento tutti i

candidati eletti, modificando dunque il numero minimo di deputati, fissato ad

un iniziale 598. Inoltre, le recenti modifiche alla legge elettorale stabiliscono

che i seggi in eccedenza devono comunque essere distribuiti rispettando la

proporzionalità su scala federale, consentendo quindi l’elezione anche dei non

eletti col primo voto. Il sistema è stato corretto dal Parlamento su indicazione

della Corte Costituzionale Federale50, secondo cui la vecchia legge falsava in

modo ingiustificabile il risultato proporzionale espresso nel secondo voto.51

Non sono mancate sul punto voci critiche di chi temeva un aumento

sconsiderato del numero di seggi totale. In realtà l’esito elettorale unito alla

nuova legge, confermando la coalizione del Cancelliere uscente, consente

un’ampia coalizione che appare quanto mai auspicabile, dopo il terzo mandato

a governare conferito dai cittadini tedeschi alle forze della CDU - CSU.

49 M. LUCIANI, Prospettive attuali del sistema elettorale in Italia, Intervento all’Assemblea del CRS del 28 ottobre 2010, da centroriformastato.org, consultato nel settembre 2013 50 sentenza 25 luglio 2012

51 A. De Petris, Cambiare tutto perché resti com’era? La nuova legge elettorale del Bundestag con un’intervista al professor Friedrich Pukelsheim, da Federalismi.it, 4 settembre 2013

39

La legge elettorale italiana 207/2005 prevede un premio di

maggioranza conferito al partito che ottiene più voti su base nazionale alla

Camera e su base circoscrizionale al Senato. La norma ha fino ad oggi

comportato grande ingovernabilità, soprattutto in casi di risultati elettorali

incerti così come è avvenuto nelle ultime elezioni. Se a questo si unisce la

presenza di liste bloccate e l’impossibilità di scelta dei parlamentari da parte

dei cittadini appare chiaro come la norma, unita all’assenza di

regolamentazione della vita dei partiti, abbia avuto un ruolo chiave nel

produrre il momento di grave crisi istituzionale che sta attraversando il Paese.

Senza procedere in questa sede ad una completa disamina della normativa,

onde non allontanarsi troppo dal tema centrale di questo lavoro, basti qui

ricordare che come segnalato da attenta dottrina, la vigente legge elettorale

reintroduce de facto il proporzionalismo, seppur forzandolo molto con la

previsione di premi ai partiti che si coalizzano e alla maggioranza vittoriosa,

ma accanto a queste previsioni non contiene soglie di sbarramento per

l’elezione così come avviene in Germania, dove è necessario conseguire

almeno il 5% dei voti validi, «col risultato che potrebbe essere anche

legittimata oltre misura semplicemente la più forte delle minoranze. [...]

L’articolo 49, che rende i cittadini soggetti della partecipazione politica e i

partiti meramente strumentali al perseguimento di questo obbiettivo, nonché

40

gli articoli 56, comma I e 57, comma I, per entrambi i quali l’elezione delle

Camere - rispettivamente quella dei Deputati e il Senato - avviene a suffragio

universale e diretto, appaiono dunque clamorosamente violati».52

Certamente, se la si osserva in relazione all’assetto dei partiti, c’è da

notare come la norma fu frutto di lavori parlamentari forse troppo affrettati,

portati avanti alla vigilia di elezioni politiche nelle quali i maggiori partiti

italiani avrebbero voluto “traghettare” il sistema verso un assetto bipolare più

per la loro conduzione personalistica che perché questo fosse il reale sentire

collettivo.

L’intero arco parlamentare ad oggi sembra convinto della necessità di

modificare la norma, ma non è ancora stato trovato un testo condiviso.

Peraltro, le fibrillazioni dell’attuale maggioranza, che mette insieme partiti

storicamente avversari, fanno sì che alcune forze politiche usino la necessità

della modifica della legge come arma di ricatto all’intera coalizione,

minacciando la crisi di governo prima che la norma venga cambiata, e dunque

condannando a nuova ingovernabilità anche un’eventuale XVIII legislatura,

laddove il Presidente della Repubblica dovesse arrendersi all’impossibilità di

formare un nuovo governo di coalizione.

52 S.PRISCO, La nuova legge elettorale per le Camere tra profili di incostituzionalità e prospettive di rimodellamento del sistema politico, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, anno

41

Non resta che attendere l’intervento della Corte Costituzionale, a cui è

stata proposta la questione di legittimità, che dovrebbe pronunciarsi nel

prossimo ottobre, quantomeno per correggere le parti più evidentemente

viziate della norma e dettare linee guida per la formazione di un nuovo testo,

come del resto la Corte ha già fatto intravedere. Il rinvio alla Consulta è stata

opera del giudice di legittimità. La Corte di Cassazione, infatti, ha disposto con

l’ordinanza 12060/2013 il rinvio alla Corte Costituzionale dopo che sia il

Tribunale di Milano sia la Corte d’Appello avevano rigettato la domanda per

inammissibilità.

Nello specifico la questione era nata nel 2009 davanti al tribunale meneghino,

poiché un cittadino – a cui poi se ne sono aggiunti altri venticinque ad

adiuvandum – aveva citato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri

ed il Ministero dell’Interno poiché riteneva che a seguito dell’entrata in vigore

della legge 270/2005 il suo diritto di esercitare un voto «personale, eguale,

libero e segreto» ex articolo 48 della Costituzione e «a suffragio universale

diretto» ex 56 fosse stato compresso. In particolare il ricorrente riteneva che

fossero due previsioni della nuova legge elettorale a violare i suddetti principi.

Il primo è quello contenuto all’articolo 1 della legge del 2005, che consente

all’elettore solo un voto di lista e non un voto per il singolo candidato,

«attribuendo dunque rilevanza all’ordine di inserimento dei candidati nella

42

medesima lista», con l’effetto di affidare agli organi di partiti la designazione di

coloro che devono essere nominati, «con la conseguente creazione di un

effettivo e concreto vincolo di mandato dell’eletto nei confronti degli organi di

partiti che lo hanno prescelto».53 Il secondo punto della norma oggetto delle

doglianze è quello per cui il premio di maggioranza ex articolo 4 viene

attribuito per l’elezione del Senato su base regionale, con l’effetto secondo il

ricorrente di violare il principio dell’uguaglianza del voto, poiché il voto

espresso dall’elettore residente nelle lezioni più popolose avrebbe un peso

maggiore di quello espresso nelle regioni meno popolose. Così come aggiunto

dagli stessi ricorrenti in sede di impugnazione della decisione di appello, la

norma accorda il premio di maggioranza non a chi ottiene più voti su base

nazionale, ma semplicemente ottiene più voti nelle regioni più popolose,

trasformando di fatto il premio di maggioranza in un “premio di minoranza”.

A fronte di ciò, i ricorrenti hanno richiesto di ripristinare il loro

diritto di voto secondo modalità conformi a Costituzione, eccependo in via

incidentale l’illegittimità costituzionale.

Mentre il primo grado ha dichiarato inammissibile la questione per

carenza di interesse, la Corte d’Appello ha invece motivato il suo rigetto

53 Corte di Cassazione, I sezione Civile, ordinanza 12060/2013

43

sottolineando come l’introduzione di liste bloccate non comprimesse il diritto

del cittadino di scegliere tra l’una e l’altra lista, non imponendo la Costituzione

il voto con preferenza, ed ha anche evidenziato che l’uguaglianza del voto è

tale laddove è garantito che un voto è uguale agli altri quale che sia il censo, il

sesso o altra connotazione del votante, non ostando a questo principio la

previsione di un premio di maggioranza su base regionale.

La Corte di Cassazione, invece, ha ritenuto di poter accogliere le

istanze dei cittadini ricorrenti, affermando sia l’interesse ad agire che il fatto

che la questione posta dal gruppo di cittadini non è mera litis ficta.

Il giudice delle leggi ha ritenuto che vi fosse interesse ad agire poiché

ha ritenuto più ampia la latitudine dell’interesse ad agire «della legittimazione e

della facoltà di azione concessa ad ogni elettore»54, in ragione della rilevanza

del riconoscimento della pienezza del diritto di voto in conformità della

disciplina costituzionale, quale diritto politico di rilevanza primaria.

La I Sezione civile ha anche negato la possibilità che i ricorrenti aggirassero il

divieto di ricorso diretto alla Consulta, sottolineando che nel caso di specie si

è di fronte non tanto ad un’azione di mero accertamento «bensì ad una sorta

di azione di accertamento costitutivo, dal momento che il contenzioso attiene

54 Corte di Cassazione, sentenza 4103/1982

44

alla presunta realizzazione di un concreto pregiudizio del quale si chiede la

rimozione al giudice a quo [...] la Corte di Cassazione mostra di essere del tutto

consapevole, dal momento che la natura pregiudiziale della questione di

costituzionalità può risultare preservata solo ove si riconosca che l’eventuale

pronuncia di accoglimento non consuma per intero la tutela richiesta al

giudice remittente. La Cassazione in proposito precisa che soltanto la sua

decisione può essere in grado, all’indomani di una dichiarazione di

incostituzionalità ma autonomamente da quest’ultima, di accertare l’avvenuta

lesione del diritto e di ripristinare quest’ultimo nella pienezza della sua

espansione».55

Già prima del rinvio operato dal giudice di legittimità non sono

mancati da parte della Consulta richiami al legislatore sulla necessità di

modificare la legge elettorale mediante degli obiter dictum. La Corte

costituzionale, nella sentenza numero 15/2008, si pronunciò in ordine

all’ammissibilità di un referendum abrogativo riguardante la legge elettorale.

Essa si guardò bene dall’entrare nel merito dei profili di costituzionalità,

ribadendo la propria giurisprudenza nel senso che «un giudizio anticipato sulla

situazione normativa risultante dall'avvenuta, in ipotesi, abrogazione

55 F. DEL CANTO, La legge elettorale dinanzi alla Corte Costituzionale: verso il superamento di una zona franca?, da forumcostituzionale.it, 14 giugno 2013

45

referendaria, verterebbe su norme future e incerte, in palese violazione delle

regole del processo costituzionale italiano, che vietano al giudice delle leggi di

procedere allo scrutinio di costituzionalità senza che la questione sia sorta in

occasione di una concreta vicenda applicativa della norma censurata». La

Corte, comunque, ebbe ad aggiungere che «l'impossibilità di dare, in questa

sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia

questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare

con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina

l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia

minima di voti e/o di seggi». Cinque anni dopo, la Corte è stata nuovamente

chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità di un altro referendum abrogativo

riguardante la legge elettorale, questa volta avente ad oggetto l’abrogazione

integrale della legge, con l’obiettivo di far rivivere, mediante tale abrogazione,

la legge elettorale precedente. In quella sede (sentenza 13/2012) la Corte ha

ribadito, anche di fronte ad esplicite affermazioni dei soggetti presentatori del

referendum, l’impossibilità di pronunciarsi sui profili di incostituzionalità,

respingendo l’ipotesi che tali questioni risultassero pregiudiziali alla definizione

del giudizio. E tuttavia anche questa volta la motivazione ha ripetuto la

medesima formula utilizzata nelle due occasioni precedenti, ricordando che già

nel 2008 era stata segnalata al Parlamento «l’esigenza di considerare con

46

attenzione gli aspetti problematici della legislazione prevista nel 2005, con

particolare riguardo all’attribuzione di un premio di maggioranza, sia alla

Camera dei deputati che al Senato della Repubblica, senza che sia raggiunta

una soglia minima di voti e/o di seggi».56

Chiamata oggi ad affrontare direttamente la questione di legittimità,

non è facile prevedere che posizione prenderà la Consulta. Oltre ai dubbi già

avanzati e sciolti – sebbene per alcuni commentatori in maniera un po’

lacunosa57 – dalla Corte di Cassazione, ci si chiede anche quale potrebbe

essere l’effetto di un’eventuale pronuncia di incostituzionalità della legge sul

Parlamento che si è formato seguendo il procedimento di cui alla legge 270.

«L’eventuale pronuncia di incostituzionalità della legge elettorale, ancorché

limitatamente all’attribuzione del premio di maggioranza senza soglia minima,

potrebbe/dovrebbe comportare l’annullamento delle elezioni? Certamente la

risposta potrà dipendere dal tipo di dispositivo che la Corte vorrà (o potrà)

adottare: e tuttavia non credo si debba escludere un effetto diretto o indiretto

56 E. ROSSI, La Corte Costituzionale e la legge elettorale: un quadro in tre atti e dall’epilogo incerto, da federalismi.it, numero 12/2013 57 in questo senso DEL CANTO, ibidem, scrive: «Non è ben chiaro, a dire il vero, in cosa si sostanzi, in concreto, quella “portata più ampia” che dovrebbe riconoscersi alla decisione della Corte di cassazione rispetto alla “naturale portata” della pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale»

47

sulla legislatura in corso, con conseguente obbligo per il Presidente della

Repubblica di scioglimento anticipato delle Camere».58

4. L’ordinanza 79/2006 della Corte Costituzionale

Non sono state molte le occasioni in cui la Corte Costituzionale si è

pronunciata sul tema della disciplina dei partiti politici. La più recente ed

organica pronuncia in tema del ruolo che per i giudici costituzionali assumono

i partiti nell’assetto repubblicano risale al 2006. L’ordinanza numero 79 di

quell’anno della Consulta rigetta il ricorso per conflitto di attribuzioni tra

poteri dello Stato presentato dall’associazione politica La rosa nel pugno –

Laici socialisti liberali radicali.

In occasione della tornata elettorale, questa forza politica sollevava in

riferimento agli articoli 3 e 49 della Costituzione conflitto di attribuzione nei

confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in relazione

alle allora recentemente introdotte disposizioni della legge elettorale che

prevedevano la raccolta di firme anche per La rosa nel pugno, pur non

essendo questa una forza politica tecnicamente “nuova”, ma originata

dall’unione di due partiti già esistenti, uno dei quali già presente in Parlamento

58 ibidem

48

nella precedente legislatura. Il partito paventava «il rischio della esclusione

dalla competizione elettorale in numerose circoscrizioni, stante lo strettissimo

lasso di tempo a disposizione per la raccolta delle firme e la necessità di

definire le candidature in anticipo rispetto alle altre formazioni politiche, con

conseguente lesione del diritto di parteciparvi in condizioni di parità con gli

altri partiti, ai sensi dell'articolo 49 della Costituzione».

Nel ricorso, La rosa nel pugno fondava la sua legittimazione attiva

sulla tesi secondo cui «i partiti politici sono titolari di attribuzioni

costituzionali nei procedimenti per l'elezione delle assemblee, con

conseguente qualificazione di poteri dello Stato allorché lamentino la lesione

di quelle attribuzioni», traendo tale definizione proprio dalla giurisprudenza

costituzionale in tema di conflitti giustiziabili tra poteri dello Stato.

In questa occasione infatti la Corte Costituzionale aveva definito i

comitati promotori dei referendum abrogativi quali soggetti legittimati a

proporre conflitto di attribuzione perché «per configurare un potere dello

Stato è sufficiente la titolarità di attribuzioni costituzionali il cui esercizio sia

essenziale per il funzionamento degli organi costituzionali, restando

secondario se il soggetto sia o meno organo dello Stato in senso proprio»;59 a

59 Sentenza Corte Costituzionale 69/1978

49

ragione di ciò i ricorrenti deducevano che «sono legittimati i partiti, non dotati

di vita effimera».

Per completezza di esposizione va segnalato che autorevole dottrina

aveva altresì tracciato la linea di demarcazione tra partito politico e comitati

referendari. I primi hanno la loro cifra specifica nella capacità integratrice e

nella loro responsabilità nei meccanismi formalmente riconosciuti dal

processo politico, mentre i comitati referendari, così come i gruppi di

pressione, sono rappresentanti di interessi omogenei e tesi ad influenzare delle

decisioni politiche senza però la volontà di governare, la cui azione,

diversamente da quella de partiti, si esaurisce nel procedimento elettorale.60

La Corte, nel rigettare il ricorso per difetto di legittimazione, fondò a

sua volta la motivazione proprio sulla stessa sentenza del 1978, affermando

che «il principio suddetto non può essere riferito ai partiti politici, mancando il

presupposto per la sua applicazione, consistente nella previsione della titolarità

di uno specifico potere da parte della Costituzione, laddove l'articolo 75 della

Costituzione riconosce espressamente ad una frazione del corpo elettorale –

della quale i promotori sono competenti a dichiarare la volontà – la titolarità

del potere di iniziativa».

60 P. RIDOLA, I partiti politici, voce, in Enciclopedia del Diritto, 1982, 66 e ss.

50

La Consulta motivò tale tesi sulla considerazione della natura dei

partiti politici, fondandola proprio su una particolare esegesi dell’articolo 49

della Costituzione: «l’articolo 49 attribuisce ai partiti politici la funzione di

concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale e non

specifici poteri di carattere costituzionale; al riguardo, è decisivo rilevare che i

partiti politici sono garantiti dalla Carta costituzionale – nella prospettiva del

diritto dei cittadini di associarsi – quali strumenti di rappresentanza di interessi

politicamente organizzati; diritto di associazione al quale si ricollega la garanzia

del pluralismo; che le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria

al fine di eleggere le assemblee – quali la «presentazione di alternative

elettorali» e la «selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche» – non

consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali, ma

costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il

diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una

pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere

nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello

stesso articolo 49».

La Corte nella sua motivazione faceva anche riferimento ai lavori

preparatori dell’Assemblea costituente ed in particolare alla scelta dei

Costituenti di rigettare le proposte di disciplina della vita interna dei partiti.

51

Essa definiva dunque i partiti come «organizzazioni proprie della società civile,

alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non

come poteri dello Stato ai fini dell'articolo 134».

L’ordinanza, se da un lato ha chiarito la posizione della Consulta sulla

disciplina dei partiti, d’altra parte ha attirato non poche critiche dalla dottrina,

sebbene la posizione non abbia destato particolare meraviglia: da tempo la

dottrina aveva escluso che i partiti fossero legittimati a sollevare conflitto di

attribuzioni61, osservando però che «è pur vero che parte della stessa dottrina

ha negato tale legittimazione per così dire legibus sic stantibus, cioè fintantoché

non venissero ai partiti conferite specifiche funzioni pubbliche, analoghe a

quelle previste – il riferimento è comune – dall’ordinamento tedesco».62

Ad alcuni commentatori è sembrato che l’osservazione della Corte

sull’assenza in seno ai partiti di specifiche attribuzioni puntuali da parte della

Costituzione, tali da poterli fare qualificare come organi dello Stato, riduca il

portato dell’articolo 49 alle garanzie già contenute nell’articolo 18.

L’ordinanza «accoglie, in definitiva, un'interpretazione dell'articolo 49

e della funzione dei partiti politici più conforme ai principi dello Stato liberale

61 M. MAZZIOTTI, I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, Milano, vol. I, 1972, 330 ss.

62 S. CURRERI, Non varcate quella soglia! (prime considerazioni sull'ordinanza n. 79/2006 della Corte costituzionale circa l'inammissibilità del conflitto di attribuzioni sollevato da un partito politico), in forumcostituzionale.it, 18 aprile 2006

52

– che distingueva nettamente l’attività politica svolta nell'ambito della società

da quella, caratterizzata dalla sovranità, compiuta all’interno dello Stato – che a

quelli del vigente ordinamento repubblicano.

La politica nazionale trascende, invece, l’attività politica che si svolge

nell’ambito della società e si identifica con quella compiuta all'interno

dell’organizzazione costituzionale dello Stato, nella quale i partiti operano in

via immediata per mezzo dei propri candidati eletti, riuniti in gruppi

parlamentari. Solo in tal modo trova giustificazione l’esclusività della funzione,

altrimenti inconcepibile in una società e in un ordinamento pluralisti, che

l’articolo 49 riserva ai partiti politici. La formale presenza dei partiti in

parlamento non si desume soltanto da un’interpretazione coordinata dei

principi e delle norme costituzionali (articoli 1, 49, 72), ma anche da decisioni

normative, contenute nelle leggi ordinarie e nei regolamenti parlamentari (…)

». È possibile sul punto elencare alcuni esempi: «L’articolo 3 della legge 195

del 1974 stabiliva infatti al comma 1 che “A titolo di contributo per

l’esplicazione dei propri compiti e per l’attività funzionale dei relativi partiti i

gruppi parlamentari hanno diritto a finanziamenti...”; e all’ultimo comma

aggiunge che “I presidenti dei gruppi parlamentari sono tenuti a versare ai

rispettivi partiti una somma non inferiore al 95 per cento del contributo

riscosso”. Il comma 3 dello stesso articolo qualificava inoltre i gruppi

53

parlamentari come “rappresentanze parlamentari dei partiti”, mentre l’articolo

14, comma 2, RC (poi ripreso nel suo contenuto normativo dall’articolo 14,

comma 5, RS) consente a determinate condizioni la costituzione in gruppo

parlamentare di un numero di deputati inferiore a venti, “purché questo

rappresenti un partito organizzato nel Paese”: rapporto rappresentativo tra

gruppo parlamentare e partito che, alla luce delle disposizioni legislative sopra

indicate, deve essere interpretato riconducendo il primo all’organizzazione

interna del secondo. Benché l’articolo 3 della legge 195 del 1974 sia stato poi

abrogato, restano intatte le implicazioni che ne scaturiscono in ordine al

rapporto tra partiti e gruppi parlamentari».63

Lo stesso autore definisce dunque i gruppi parlamentare come organi

interni dei rispettivi partiti e giunge a considerare che «di conseguenza, a meno

di non ritenere costituzionalmente illegittime le disposizioni sopra richiamate,

i partiti, per mezzo dei rispettivi gruppi parlamentari, assumono la titolarità

effettiva dei poteri legislativi, di indirizzo politico e di controllo, che la

costituzione e i regolamenti parlamentari attribuiscono alle camere, ai rispettivi

organi interni, ai loro singoli componenti».

63 A. MANNINO, I partiti politici davanti alla Corte costituzionale, da Quaderni Costituzionali, da forumcostituzionale.it, 3 maggio 2006

54

Altra dottrina, sulla stessa linea d’onda, aggiunge: «In definitiva, per la

Corte, i partiti politici sarebbero soggetti costituzionalmente garantiti, che

però non esercitano attribuzioni costituzionali sol perché non espressamente

previste dall'articolo 49: il che mi sembra una vera e propria contraddizione in

termini che svuota di contenuto la stessa disposizione costituzionale.(…) La

stessa formulazione dell’articolo 49, cui non è estranea una comprensibile

difficoltà ad enucleare una compiuta definizione di partito politico, comune

peraltro ai legislatori costituzionali europei, non toglie nulla alla

consapevolezza dei costituenti circa la natura costituzionale delle funzioni

svolte dai partiti».64

Le motivazioni avanzate dalla Corte hanno trovato insomma concorde

molta dottrina nella critica ad una posizione che sembra spostare all’indietro le

considerazioni svolte negli anni anche sugli stessi lavori preparatori

dell’articolo 49, che non sembrano escludere in nessun punto la possibilità di

riconoscere ai partiti un ruolo che vada aldilà di quello sociale né tantomeno la

possibilità di una regolamentazione della loro vita interna. Ciononostante

ancor oggi, quando da più parti della politica e della società si avverte con

ancora maggiore urgenza la necessità di una disciplina più puntuale della vita

interna dei partiti e in Parlamento vengono da anni depositati disegni di legge

64 S. CURRERI, op. cit.

55

in tal senso, la giurisprudenza costituzionale sembra negare la possibilità di

una simile riforma, ancora una volta rifacendosi ai lavori preparatori della

Costituzione: «i nostri padri costituenti (…) sottolineano innanzitutto che

«[riunirsi in partiti politici è] un diritto, e che questo diritto deve potersi

esercitare liberamente».

In proposito al ddl Finocchiaro – Zanda che prevedeva la costituzione

dei partiti nelle forme dell’associazione riconosciuta65, l’ex presidente della

Corte Costituzionale Pietro Alberto Capotosti ha ritenuto che la norma si

rifaccia al modello previsto dall'articolo 39 per i sindacati, ma questo contrasta

appunto con quanto previsto esplicitamente per i partiti. È solo per i sindacati,

e non per i partiti, che la nostra Costituzione prevede l'obbligo dello statuto

che fissi un ordinamento interno, a base democratica».66

Se è vero che a differenza dell’articolo 39 – peraltro mai applicato per

l’opposizione dei sindacati – l’articolo 49 non prevede il dovere di costituzione

nella forma dell’associazione riconosciuta ai partiti politici, è anche vero che

non è rintracciabile in alcun punto dei lavori preparatori della Costituzione il

65 Disegno di legge d’iniziativa dei senatori Finocchiaro, Zanda ed altri comunicato alla Presidenza il 22 marzo 2013, Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione in materia di democrazia interna e trasparenza dei partiti politici

66M. A. CALABRÒ Capotosti: "Vietare elezioni ai movimenti è anticostituzionale”, in Corriere della Sera, 20 maggio 2013, 2

56

divieto che questi possano assumere tale forma, né tantomeno che il

legislatore ordinario non possa intervenire in questo senso: la primaria

preoccupazione dei Costituenti era piuttosto che questi non fossero sottoposti

al potere esecutivo. Solo in questo senso dunque è fondato il timore di chi

vede concretarsi proprio questo disegno nelle disposizioni che vorrebbero in

tempi recenti i partiti politici costituiti nelle forme dell’associazione

riconosciuta.

Ai sensi del decreto 361 del 2000, infatti, sebbene non sia più

necessario il decreto prefettizio perché le associazioni assumano la personalità

giuridica, il registro delle associazioni resta comunque custodito presso le

Prefetture.67 Inoltre, al di là delle valutazioni sostanziali, come sostenuto da

autorevole dottrina, dal punto di vista formale rimettere tutto alla disciplina

civilistica «sembra sfociare in un assetto, per così dire, contrattuale (…). Quel

che di tale ricostruzione lascia perplessi non è invero l’accentuazione del

profilo associativo nella considerazione del fenomeno partitico», punto sul

quale per altro si sottolinea come trovi «esplicita sottolineatura a livello

costituzionale e garantisce la posizione strumentale dei partiti (…), ma la

67 art.1 dpr 361/00: «(…) le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture»

57

completa scissura, che essa implica, fra la posizione costituzionale dei partiti

ed una componente di disciplina pubblicistica».68

68 P. RIDOLA, I partiti politici, voce, in Enciclopedia del Diritto, 1982, 66 e ss.

58

III

1. La disciplina dei partiti politici in Spagna e Germania

Ai fini di un’analisi della disciplina dei partiti politici che possa dirsi

completa ed attuale non può prescindersi dal volgere lo sguardo anche verso

le esperienze di altri Paesi e di organi sovranazionali quali l’Unione Europea.

La scelta della Spagna e della Germania come termini di raffronto

dell’esperienza italiana risponde ad esigenze di comparabilità degli assetti

istituzionali: l’esperienza spagnola e quella tedesca rappresentano due delle

esperienze di parlamentarismo europeo razionalizzate più originali e

maggiormente innovative, ma anche forme di governo parlamentare stabili e

con maggiore rendimento istituzionale, sia in termini di stabilità dei governi sia

in termini di coesione interna del relativo indirizzo politico.69

La presenza di una Corte Costituzionale dotata di potere di controllo

di legittimità delle leggi e dell’esercizio dei poteri degli organi dello Stato rende

69 S. GAMBINO, Il ruolo de partiti politici e la legge elettorale, fra storia costituzionale del Paese ed attualità, da rivistaaic.it numero 2/2013

59

agevole la comparazione, sebbene le forme di governo delle tre nazioni siano

diverse e nonostante il fatto che in Italia viga il bicameralismo perfetto – ma

per quanto ancora?

A fronte della necessità di elementi comuni agli ordinamenti giuridici

oggetto di comparazione perché l’analisi sia efficace non si può non avanzare

qualche dubbio rispetto al richiamo ormai costante negli ultimi anni da parte

di forze politiche italiane ad istituti propri soprattutto delle tradizioni

costituzionali nordamericana ed inglese. Sebbene certamente strumenti quali le

primarie di partito siano “esportabili”, è bene ricordare come le differenze

storiche, culturali e soprattutto istituzionali non rendano possibile

un’applicazione pedissequa dell’istituto, che deve dunque essere modellato sul

vigente sistema politico e costituzionale per assumere quella stessa efficacia

istituzionale e sociale.

2. La disciplina dei partiti in Spagna

La disciplina dei partiti politici in Spagna risulta di particolare interesse

ai fini di un’analisi comparata per le peculiarità storiche e geografiche di questa

nazione. La persistenza delle forze separatiste basche ed i lunghi anni di

sanguinoso terrorismo hanno necessariamente coinvolto anche la dialettica dei

60

partiti, dal momento che non sono mancati nel panorama partitico iberico

forze politiche che facessero espresso riferimento ad ideali separatisti e

violenti.

La Costituzione Spagnola disciplina all’articolo 670 i partiti politici. E’

subito evidente la prima differenza con l’analoga disciplina dell’articolo 49

della Costituzione italiana: la norma fondamentale spagnola fissa dei caratteri

inderogabili di costituzionalità e legalità in maniera espressa ed inequivocabile,

per quanto la flessibilità della Carta fondamentale spagnola dia un significato

del tutto diverso e peculiare a quelle parole rispetto al senso che vi si darebbe

nel nostro ordinamento. Appare necessario evidenziare in via preliminare che

la Costituzione spagnola è modificabile in tutte le sue parti, con il solo limite

del rispetto delle procedure fissate nel combinato disposto degli articoli 167 e

168 della stessa. 71

70 I partiti politici esprimono il pluralismo politico, concorrono alla formazione e manifestazione della volontà popolare e sono strumento fondamentale per la partecipazione politica. La loro creazione e l’esercizio della loro attività sono libere nel rispetto della Costituzione e della legge. La loro struttura interna e il loro operare dovranno essere democratici 71 Art. 167. I progetti di revisione costituzionale dovranno essere approvati da una maggioranza dei tre quinti di ciascuna delle Camere. Se non vi sarà accordo fra di esse, si cercherà di ottenerlo mediante la creazione di una commissione composta in egual numero di deputati e senatori, la quale presenterà un testo che sarà votato dal Congresso e dal Senato. Se non si otterrà l'approvazione mediante il procedimento di cui al comma precedente, e sempre che il testo abbia ottenuto il voto favorevole della maggioranza assoluta del Senato, il Congresso, con la maggioranza dei due terzi, potrà approvare la riforma. Approvata la riforma dalle Cortes, questa sarà sottoposta a referendum per la sua ratifica quando lo richieda, entro i quindici giorni successivi alla sua approvazione, la decima parte dei membri di una qualsiasi delle Camere. Art. 168. Qualora si intenda promuovere la revisione completa della Costituzione o una revisione parziale riguardante: il Titolo preliminare; il Capitolo II, Sezione I, del Titolo I; o il Titolo II, si procederà all'approvazione di tale delibera a maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera, e allo scioglimento

61

Inoltre l’articolo 6 opera anche un rinvio alla legge ordinaria per la

disciplina del funzionamento dei partiti: l’articolo 49 non vieta al legislatore

ordinario di operare in materia, ma i Padri costituenti non hanno

espressamente delegato alla fonte ordinaria poteri in materia, a causa dei

timori sulle possibili ingerenze del potere esecutivo.

La disciplina contenuta all’articolo 6 della Costituzione spagnola va

anche collegata con quella dell’articolo 22 della stessa Carta costituzionale, che

nel garantire la libertà di associazione vieta la costituzione di associazioni

segrete e di carattere paramilitare.

La prima legge spagnola in materia di partiti politici risale al 1978. La

legge numero 54 prevedeva una disciplina assai scarna, che faceva riferimento

alla libertà costituzionalmente garantita di associazione. La procedura di

iscrizione dei partiti politici negli appositi registri custoditi presso le sedi

ministeriali prevedeva che i promotori, preventivamente identificati,

presentassero lo statuto del partito presso gli uffici del Ministero degli Interni

che avrebbe proceduto al riconoscimento nei venti giorni successivi.

immediato delle Cortes. Le Camere elette dovranno ratificare la decisione e procedere allo studio del nuovo testo costituzionale, che dovrà essere approvato a maggioranza dei due terzi di entrambe le Camere. Una volta approvata dalle Cortes, la revisione sarà sottoposta a referendum per la sua ratifica

62

Per quanto riguarda i principi a cui il partito politico doveva

conformarsi l’articolo 5 della legge del 1978 prevedeva che l’autorità

giudiziaria competente potesse sciogliere un partito nei casi seguenti:

1) qualora i partiti incorressero in fattispecie tipiche delle associazioni

illecite secondo il Codice penale ex articolo 51572;

2) qualora la loro organizzazione o attività fossero contrarie ai principi

democratici.

L’analisi dei due parametri è stato oggetto di lunghi e critici dibattiti da

parte della dottrina spagnola. In particolare73 alcuni studiosi hanno rilevato

come nel 1978 il legislatore abbia voluto creare «un’esigenza ibrida», non

costituzionalmente prevista. Infatti i partiti dovevano conformarsi da un lato

alla costituzione e la legge e dall’altro lato rispettare norme burocratico–

amministrative disciplinanti la struttura interna. I dubbi di costituzionalità di

72 Sono punibili le associazioni illecite:

1. Quando il loro obiettivo è di commettere un reato o dopo la costituzione, promuovere la loro commissione, nonché volto commettere o favorire la commissione di reati di un organizzato, coordinato e coerente. 2. Quando, pur avendo uno scopo legittimo, impiegano mezzi violenti o alterazione o controllo della personalità per il loro raggiungimento. 4. Le organizzazioni paramilitari. 5. Quando istigano alla discriminazione, all'odio o alla violenza contro le persone, gruppi o associazioni a causa della loro ideologia, religione o convinzioni personali, l'appartenenza dei suoi membri o di uno di essi ad un gruppo etnico, razza o nazione, genere, l'orientamento sessuale, la situazione familiare, malattia o disabilità, o incitano esso.

73 R.L. BLANCO VALDES, Costituzione, illegalità dei partiti politici e difesa dello Stato democratico in Spagna, in Democrazia e Sicurezza, da democraziaesicurezza.it, anno III, n.1, 2013

63

questa disposizione sono stati agevolmente risolti con un richiamo ai principi

fondamentali contenuti nella Costituzione.

Il punto della norma che maggiormente ha dato luogo a dubbi è stato

il secondo parametro individuato dall’articolo 5.2, ovvero la violazione dei

principi democratici. La dottrina ha rilevato come in questo punto il

legislatore differenziasse la disciplina delle associazioni da quella dei partiti: le

prime potevano essere sciolte solo dopo essere state dichiarate penalmente

illecite, i secondi anche senza aver violato la legge penale. Diversi risultano

dunque anche gli effetti dello scioglimento. Costante giurisprudenza ha

interpretato l’articolo nel senso di affermare che «il mancato rispetto da parte

dei partiti politici nelle loro attività (o nella loro organizzazione) dei principi

democratici determina solo lo scioglimento (o sospensione) come partito,

ossia, come associazione che gode dei benefici previsti dall’ordinamento

spagnolo», non ostando dunque al proseguimento dell’attività come mera

associazione.

A tal fine risultano interessanti due pronunce della giurisprudenza

spagnola in ordine alle richieste di applicazione della clausole di scioglimento

alla forza politica Herri Batasuna, partito indipendentista considerato il

braccio politico del gruppo terroristico basco ETA.

64

Nel 1984 la magistratura dell’Audiencia Nacional ha annullato il

diniego di registrazione emesso della Direzione Generale di Politica Interna

del Ministero dell'Interno nei confronti di HB. Il Ministero considerava motivo

ostativo all’iscrizione la mancanza all’interno dello statuto del partito di

un’adesione esplicita ai principi costituzionali. Il Tribunale e successivamente

anche la Corte di Cassazione74 hanno invece consentito l’iscrizione del partito

basco sulla base di due argomentazioni. I giudici rilevarono come la legge del

1978 non prevedesse che i regolamenti facessero esplicito richiamo ai principi

costituzionali. Inoltre per la Corte la violazione dei principi costituzionali non

poteva desumersi dal mancato richiamo agli stessi, quanto da azioni concrete

che violassero i diritti dei cittadini.

Ancora una volta dopo due anni la questione della legittimità dello

statuto di HB finì davanti ai giudici del Trinunal Supremo. In questa occasione

la Corte si è pronunciata introducendo un’interessante novità nella valutazione

dei regolamenti. Per i giudici la conformità all’ordinamento era da verificarsi

nell’ambito delle attività dell’ organizzazione radicale basca.

I due presupposti di legittimità contenuti nella norma del 1978 dunque

non sono risultati sufficienti per arginare i rischi legati alla presenza di partiti

74 sent. 23/5/1984, III sez.

65

politici legati ad associazioni terroristiche. «Non si poteva applicare il primo

presupposto perché l'articolo 515 del Codice penale spagnolo, nel tipizzare i

casi di associazione illecita, non considera tutte le associazioni contrarie alla

Costituzione; infatti, mentre per l'articolo 22 CE va dichiarata illegale –

attraverso una risoluzione giudiziale motivata – una associazione che

"persegua fini o utilizzi mezzi tipizzati come delitto", viceversa non rientrano

nella tipizzazione offerta dall'articolo 515 c.p. e quindi non possono essere

sciolte tramite questa via, associazioni (o partiti) che commettano il delitto di

apologia del terrorismo, qualora queste (è il caso del partito in questione) non

presentino nel proprio statuto o non dichiarino apertamente una finalità

illecita, oppure non impieghino mezzi violenti o che implichino una

compressione della libertà di manifestazione del pensiero dei propri associati.

Non si poteva neppure applicare il secondo presupposto previsto dalla LPP

54/1978, stante la possibilità di sindacare la democraticità dei partiti solo

formalmente e senza intaccarne il diritto di auto-organizzazione (STC

56/1995)». 75

75 P.P. SABATELLI, Spagna: La nuova legge sui partiti: il "caso" Batasuna, in Forum di Quaderni Costituzionali, da forumcostituzionale.it

66

E’ risultato dunque necessario un nuovo intervento legislativo e la

modifica della legge di disciplina dei partiti politici perché il braccio politico

dell’ETA fosse messo al bando.

3. La nuova legge spagnola sui partiti 6/2002

La nuova legge organica sui partiti politici in Spagna è frutto della

votazione di una maggioranza schiacciante che ha messo d’accordo

trecentoquattro su trecentocinquanta deputati del Parlamento spagnolo76 ed

ha incontrato il favore della pubblica opinione. Non sono mancate però le

critiche da parte di una dottrina più attenta alla particolareggiata disciplina

dettata dalla nuova fonte normativa.

Già nel preambolo introduttivo alla legge appare chiaro l’intento del

legislatore del 2002 di irreggimentare la vita dei partiti al fine di evitare storture

quali quella introdotta nel sistema costituzionale dalla forza basca HB. Infatti,

si legge nel preambolo, «sebbene i partiti politici non siano organi

costituzionali, ma enti associativi privati, sono una parte essenziale

dell'architettura costituzionale e svolgono funzioni di primaria rilevanza

istituzionale e democratica (…) la legge sui partiti politici sviluppa le

76 Fonte: congreso.es, consultato nel Luglio 2013

67

disposizioni essenziali di cui agli articoli 1, 6, 22 e 23 della nostra Costituzione

(…) conciliando con estrema cautela la libertà ed il più alto grado di

pluralismo, con il rispetto dei diritti umani e la tutela della democrazia (…) ai

fini di evitare comportamenti di legalizzazione isolati (…) prevedendo invece

una reiterazione o accumulo di azioni che rivelano chiaramente un intero

percorso teso al fallimento della democrazia e offensivo per i valori

costituzionali, per il metodo democratico ed i diritti dei cittadini».

La disciplina varata nel 2002 prevede innanzitutto regole ferree per

l’organizzazione interna della vita del partito sul modello tedesco, fugando

dunque del tutto i dubbi di «esigenza ibrida» sorti con la prima

regolamentazione del 1978. L’articolo 7 obbliga il partito a formare

un’assemblea direttiva di iscritti che potrà agire direttamente o tramite i suoi

delegati la cui azione sarà regolamentata dagli statuti. Vengono previste anche

forme di controllo democratico dei dirigenti eletti.

Di particolare rilievo ai fini degli obiettivi posti dal legislatore nel

preambolo è l’articolo 9 della 6/2002. La disciplina dell’attività di partito e

soprattutto dei limiti alla stessa ricomprende una grande quantità di fattispecie

lesive di diritti costituzionalmente garantiti. Nel secondo comma l’articolo

specifica come tali attività assumano particolare rilevanza quando siano

esercitate in maniera «ripetuta e grave» (articolo 9.2); vengono individuati

68

come comportamenti antidemocratici tutti quelli tesi a violare le libertà

personali, il diritto di uguaglianza, l’istigazione alla violenza o la sua

giustificazione, nonché il sostegno all’azione «delle organizzazioni terroristiche

per raggiungere il loro obiettivo di sovvertire l'ordine costituzionale o

gravemente disturbante la pace pubblica». Il comma successivo della norma

specifica che sono altresì rilevanti ai fini dell’istanza di scioglimento l’espresso

o tacito sostegno politico al terrorismo (lettera a), nonché l’ inclusione

regolare nella leadership di partito o nelle liste elettorali di persone condannate

per reati di terrorismo che non hanno rifiutato pubblicamente i mezzi

terroristici (lettera c). Appare limitata anche la scelta di simboli o slogan

elettorali quando questi facciano richiamo al terrorismo o alla violenza ed i

comportamenti ad esso associati (lettera d). Rientra infine tra le cause di

scioglimento anche il mancato rispetto degli articoli 7 e 8 sull’organizzazione

interna del partito. L’articolo continua con una disposizione di chiusura, in cui

si sottolinea come ai fini della valutazione di illegittimità verrà considerato

l’intero «percorso» di un partito politico, «anche se ha cambiato nome, (…)

Devono anche essere prese in considerazione le sanzioni amministrative

imposte ai partiti politici o ai suoi membri e le condanne penali inflitte a

leader, candidati, rappresentanti o affiliati eletti, per i reati ai sensi dei Titoli

69

XXI77 e XXIV78 del codice penale, nonché i provvedimenti disciplinari presi

contro di loro che portano alla loro espulsione».

I commi indicati sono frutto di un’importante opera di riforma

rispetto alla prima stesura del progetto di legge. Infatti, così come sottolineato

da alcuni studiosi, 79 «i suoi redattori avevano mescolato fattispecie penali e

cause correlate ad attività (lesive, o meno, dei principi democratici) non

prefiguranti reato (…). E tutto questo con l'abuso continuo di concetti

giuridici indeterminati e clausole legali aperte che coinvolgevano in maniera

estremamente pericolosa la certezza del diritto per quanto riguarda la messa al

bando e la scioglimento dei partiti politici». Solo un successivo intervento ha

reso le fattispecie ivi contemplate puntuali e puramente riferibili a condotte

giuridiche e dunque lesive della libertà espressiva e di pensiero. Nonostante le

modifiche però non manca chi si esprime ancora criticamente sul portato della

legge, evidenziando come «si pone il dubbio preliminare in ordine

all'ammissibilità di una LPP così strutturata in un sistema costituzionale come

quello spagnolo, in cui non esiste neppure implicitamente una clausola di

intangibilità che, come nel caso della Costituzione tedesca o di quella

portoghese, obblighi i partiti politici a conformarsi ai principi ed ai valori

77 artt. 472 e ss. Crimini contro la Costituzione 78 artt. 605 e ss. Crimini contro la Comunità Internazionale 79 tra cui il già citato R.L. BLANCO VALDES

70

contenuti nella stessa (…)”. Inoltre viene rilevato come le clausole di illegalità

tengano in considerazione anche comportamenti di singoli individui che,

invece di rimanere nella sfera del soggetto, possono portare allo scioglimento

dell’intero partito. Aspramente criticata è anche la disposizione di cui alla

lettera a) del comma terzo dello stesso articolo80, che pare introdurre «una

nuova figura di delitto: l'appoggio silente al terrorismo, il delitto commesso

anche da chi non dica nulla».81

Punto centrale della nuova disciplina è l’articolo 11, che individua i

soggetti legittimati alla richiesta di dichiarazione di illegalità di un partito

politico. Attualmente l’iniziativa può essere promossa dal Governo o da un

qualsiasi Pubblico ministero, nonché dal Congresso e dal Senato che invitano

il Governo a recapitare l’istanza presso la Sala Especial del Tribunal Supremo,

previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il progetto di legge iniziale

prevedeva che quest’ultima possibilità di iniziativa rendesse necessario che

l’istanza al Governo fosse presentata da almeno 50 deputati ed altrettanti

senatori unitamente alla Procura dello Stato. La limitazione numerica fu

duramente contestata in Parlamento soprattutto dal PSOE, considerato che in

questo modo i maggiori partiti della scena politica avrebbero sempre avuto la

80 «Dare sostegno politico tacito o espresso al terrorismo»

81 in questo senso P.P. SABATELLI, Spagna: La nuova legge sui partiti: il "caso" Batasuna, in Forum di Quaderni Costituzionali, da forumcostituzionale.it

71

possibilità numerica di dare luogo all’istanza. Non è mancato nel panorama

partitico chi ha condivisibilmente sostenuto che sarebbe stato più opportuno

attribuire il diritto d’iniziativa ad un organo più neutrale, quale ad esempio

l’Avvocatura dello Stato, sebbene sia stato notato come includere il Governo

tra gli organi legittimati ad agire non aggiunge nulla di giuridicamente

sostanziale, poiché esso può sempre ricorrere al Procuratore generale dello

Stato che promuove presso i tribunali i procedimenti relativi alla tutela

dell'interesse pubblico.82 Ancora, voci critiche si sono levate rispetto alla scelta

di conferire la competenza non alla Corte Costituzionale ma alla Sala Especial

del Tribunal Supremo83.

L’effetto della sentenza di dichiarazione di illegalità è la liquidazione

patrimoniale – il cui residuo è destinato ad attività di promozione sociale – e la

cessazione immediata di ogni attività del disciolto partito politico. La sentenza

è inappellabile ma solo ricorribile tramite recurso de amparo presso la Corte

Costituzionale.

82 R.L. BLANCO VALDES, Costituzione, illegalità dei partiti politici e difesa dello Stato democratico in Spagna, in Democrazia e Sicurezza, anno III, n.1, 2013 83 vedi oltre

72

4. Partiti politici in Germania: l’articolo 21 della Grundgesetz

L’ordinamento tedesco contiene una disciplina organica dei partiti

chiara e puntuale, resa completa in ogni sua fattispecie da un’applicazione

giurisprudenziale della Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht)

coerente con l’impianto generale delineato dalla Costituzione.

La materia trova innanzitutto nella Carta fondamentale una norma che

definisce finalità e limiti dell’azione dei partiti, demandando al legislatore

ordinario la stesura di una disciplina più puntuale84.

Già ad una prima lettura della norma della Grundgestz emerge la

caratteristica del diritto tedesco di essere un diritto militante. La dottrina ha così

infatti definito la tendenza del diritto tedesco di prevedere dei meccanismi di

difesa da ogni surrettizia pratica di “legalizzazione” di movimenti

antidemocratici e illiberali. Questo impianto è teso a scongiurare l’emergere di

nuove esperienze totalitarie come quelle vissute dalla Germania nel recente

84 Articolo 21: I partiti concorrono alla formazione della volontà politica del popolo, la loro fondazione è libera. Il loro ordinamento interno dev’essere conforme ai principi fondamentali della democrazia. Essi devono tenere conto pubblicamente della provenienza e dell’utilizzazione dei loro mezzi finanziari e dei loro beni. I partiti, che per la loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti si prefiggono di attentare all’ordinamento costituzionale democratico e liberale, o di sovvertirlo, o di mettere in pericolo l’esistenza della Repubblica Federale di Germania sono incostituzionali. Sulla questione dell’incostituzionalità decide il Tribunale Costituzionale Federale. I particolari sono stabiliti dalla legge federale.

73

passato e trova un suo corrispondente anche nei sistemi di controllo propri

dell’assetto istituzionale italiano. Eppure in materia di disciplina dei partiti la

stessa necessità ha dato luogo a due risultati diametralmente opposti: da un

lato la fiducia che solo una legge di regolamentazione dettagliata e tassativa

potesse arginare i rischi di nuovi totalitarismi; dall’altro quasi il timore della

legge e del rischio che un legislatore esponente della stessa parte politica

dell’esecutivo potesse prendere il sopravvento a discapito del pluralismo, della

parità di chance e della libertà di espressione85.

E’ possibile notare il diverso rilievo assunto dai partiti

nell’ordinamento tedesco ed in quello italiano. In Germania, così come anche

in Spagna, sono i partiti ad essere i soggetti della norma e non, così come

avviene nel corrispettivo italiano, i cittadini. Muta dunque profondamente la

prospettiva. I partiti assumono una rilevanza istituzionale che fuga ogni

dubbio rispetto ad una possibile ridondanza della disciplina partitica rispetto a

quella delle associazioni, contenuta anche nella GG all’articolo 986. E sebbene

85G. MORBIDELLI inserisce per questo motivo la Germania tra le cc.dd. «democrazie che si difendono, le quali si caratterizzano per il difetto di legittimità del dissenso che si manifesti rispetto a norme fondamentali della costituzione», da Diritto pubblico comparato, 2009, 128

86 Tutti i tedeschi hanno diritto di formare unioni e società. Le associazioni, i cui scopi, o la cui attività contrastino con le leggi penali, o siano dirette contro l'ordinamento costituzionale, o contro il principio della comprensione fra i popoli, sono proibite. II diritto di formare associazioni per la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni economiche e del lavoro è garantito ad ognuno e ad ogni professione. Gli accordi, che tentano di limitare od escludere tale diritto, sono nulli; mentre sono illegali i provvedimenti indirizzati a tale scopo. I provvedimenti di cui agli artt. 12 a, 35 II e III comma, 84 IV comma e 91 non possono indirizzarsi contro i conflitti di lavoro, che sono

74

oggi, a differenza che in sede di Assemblea Costituente dove pure qualcuno

considerò l’articolo sui partiti politici una “replica” della disciplina sulle

associazioni, non pare vi possano essere dubbi sul fatto che anche nel nostro

ordinamento i partiti abbiano una loro specificità, la Consulta ancora in tempi

recenti ha negato il loro rilievo istituzionale, cancellando con un’ordinanza

anni di riflessione sul tema della disciplina dei partiti politici. 87

I limiti indicati ai primi commi dell’articolo 21 impongono il rispetto

dei «principi fondamentali della democrazia», individuati altresì nei principi

contenuti negli articoli dal primo al ventesimo del GG che ai sensi dell’articolo

79.3 della stessa sono immodificabili. 88 Il riferimento al comma secondo al

rispetto dell’ordinamento costituzionale libero e democratico è stato nel corso

del tempo enucleato dal Tribunale Costituzionale federale in una serie di

principi, tra cui l’esistenza dello Stato di diritto, il rispetto dei diritti

condotti dalle associazioni, di cui al primo alinea del presente comma, per la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni economiche e del lavoro.

87 Ordinanza 79/06, vedi capitolo II 88 La Legge fondamentale può essere modificata solo da una legge che modifichi o integri espressamente il testo della Legge fondamentale stessa. In caso di trattati internazionali, che hanno per oggetto una regolazione di pace, la preparazione di una regolazione di pace o l'abolizione di un regime di occupazione, oppure che sono stabiliti per servire alla difesa della Repubblica Federale, un'integrazione del testo della Legge fondamentale può limitarsi alla dichiarazione con cui si precisa che le disposizioni della Legge fondamentale non contrastano con la stipulazione e l'entrata in vigore dei trattati. Una tale legge necessita dell'assenso dei due terzi dei membri del Bundestag e dei due terzi dei voti del Bundesrat. Non è ammissibile una modifica della presente Legge fondamentale che tocchi l'articolazione del Bund in Länder la partecipazione, in via di massima, dei Länder alla legislazione o i principi enunciati negli artt. 1 e 20.

75

fondamentali dell’uomo, della personalità e della vita, la sovranità popolare, la

divisione dei poteri, la responsabilità del Governo e la legalità

dell’amministrazione, l’indipendenza dei giudici, il principio di maggioranza e

ed diritto di opposizione. I due commi sono stati considerati dalla

giurisprudenza costituzionale tedesca di applicazione diretta, ed hanno dato

luogo allo scioglimento prima del Sozialistische Reichpartei – SRP e

successivamente del Kommunistische Partei Deutschlands – KPD. In entrambi i casi

la Corte sciolse i partiti perché li ritenne pericolosi: sebbene questi non

propugnassero apertamente un’ideologia antisistema, la Corte ritenne che la

loro pericolosità non stesse solo nelle posizioni ideologicamente espresse, ma

nel comportamento «aggressivo» verso l’ordinamento. Inoltre il

Bundesverfassungsgericht nel caso del Partito Socialista del Reich si soffermò

particolarmente sulla gestione interna del partito, evidenziandone gli elementi

di incostituzionalità nella tendenza al dispotismo ed alla tirannia della

conduzione del SRP. Invece nella sentenza che decretò lo scioglimento del

Partito comunista tedesco i giudici misero in luce come il determinismo

sotteso all’ideologia comunista contrastasse col principio generale di libertà. 89

89 R. FERRUCCI, Considerazioni in merito all’interdizione del partito comunista tedesco, in Dem.

Diritto, 1967, 295

76

La disposizione di cui all’articolo 21 va altresì collegata con quella

contenuta all’articolo 38 GG, che come nel nostro ordinamento dispone il

divieto di mandato imperativo per i parlamentari.90

5. La legge sui partiti tedeschi

Che in Germania i partiti politici abbiano rilevanza istituzionale è

sottolineato anche nel primo articolo della legge sui partiti politici del 1967 e

successivamente modificata nel 2004. Il primo comma definisce il partito

come una «componente necessaria, sotto il profilo giuridico-costituzionale,

dell’ordinamento democratico e liberale. Essi adempiono, con la loro libera e

continua collaborazione alla formazione della volontà politica del popolo, una

funzione pubblica a cui sono tenti a norma della Legge fondamentale e che è

da questa garantita». Il Titolo primo della legge si apre con una serie di

disposizioni generali che definiscono il partito «associazione di cittadini che,

nell’ambito della federazione o di un Land, si propongono di influire

permanentemente o per un lungo periodo di tempo sulla formazione della

90 Articolo 38. I deputati del Bundestag sono eletti con elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete. Essi sono i rappresentanti di tutto il popolo, non sono vincolati da mandati o da istruzioni e sono soggetti soltanto alla loro coscienza. Ha diritto al voto chi ha compiuto il 18° anno di età; è eleggibile chi ha raggiunto la maggiore età. I particolari sono regolati da una legge federale.

77

volontà politica e di concorrere alla rappresentanza del popolo nel Bundestag

tedesco o in un Landtag»; seguono le indicazioni riferite al nome, che deve

distinguersi chiaramente da quello dei partiti già esistenti. L’articolo 5

garantisce parità di trattamento «quando una pubblica autorità mette a

disposizione dei partiti attrezzature o concede loro altre prestazioni», anche se

l’entità della concessione può rispecchiare l’importanza del partito che viene

misurato «anche in base ai risultati delle elezioni», per quanto «i mezzi concessi

ad un partito rappresentato al Bundestag non possono essere inferiori alla metà

di quelli dati ad ogni altro partito».

Il titolo secondo regola in maniera minuziosa la vita interna del

partito, imponendo anzitutto la presenza di un programma e di uno statuto

(articolo 6) che disciplini le procedure di ammissione e dimissione degli iscritti

oltre che diritti e doveri degli stessi (numeri 1 e 2), la composizione ed i poteri

della Presidenza e degli altri organi (numero 7) e le regole di convocazione

delle assemblee di iscritti e delegati e della pubblicità delle deliberazioni

(numero 9).

La legge articola la struttura interna in unità territoriali (articolo 7),

ognuna necessariamente fornita di un’assemblea degli iscritti, ai fini di dare al

singolo iscritto la possibilità di «contribuire adeguatamente alla formazione

della volontà del partito».

78

La norma lascia libero il consesso degli iscritti nella definizione degli

organi necessari alla vita di partito (articolo 8.2), come pure demanda agli

statuti le norme sulla presentazione delle liste dei candidati, imponendo però

come minimum la Presidenza e l’assemblea degli iscritti, eventualmente anche

costituita attraverso delegati purché questi siano eletti per un massimo di due

anni dalle assemblee di iscritti o di delegati delle unità sott’ordinate (articolo

8.1), rispecchiando così in pieno la struttura federale in cui è articolato il

Paese.

In ossequio ai principi di pluralismo e di democrazia interna il

successivo articolo 9 definisce l’assemblea generale «organo supremo»

dell’unità territoriale del partito. L’assemblea assume il nome di «congresso di

partito» nelle unità territoriali di livello superiore. Il congresso deve essere

riunito necessariamente almeno una volta ogni due anni (articolo 9) al fine di

deliberare programma, statuto, quote di iscrizione, di eleggere il Presidente

delle unità territoriali ed i delegati nelle assemblee superiori. Inoltre vota la

relazione che la Presidenza, composta da almeno tre membri, redige per

esporre la sua attività. Anche i deputati possono ricoprire tale ruolo.

Alla disciplina minuziosa delle unità territoriali del partito la norma fa

seguire la disciplina di composizione delle assemblee di delegati, eletti a

79

scrutinio segreto, nonché dei collegi arbitrali. E’ altresì riconosciuto al partito

di rigettare una richiesta di iscrizione senza esprimere le ragioni del diniego.

Lo statuto così redatto congiuntamente con i nomi dei membri della

Presidenza del partito e di quelle delle Presidenze delle unità dei Land deve

essere comunicato all’Ufficio elettorale federale (articolo 6.3).

I Titoli quarto e quinto disciplinano in maniera precisa il rimborso

delle spese elettorali.91

Occorre in questa fase soffermarsi sul Titolo sesto, che tratta della

disciplina sui partiti incostituzionali ai sensi dell’articolo 21.2 GG. La disciplina

a cui si deve fare riferimento è quella contenuta agli articoli 43 e seguenti della

Legge sul Tribunale Costituzionale Federale (BverfGG).92

91 Vedi oltre 92 Articolo 43. La domanda di determinare se un partito è incostituzionale (art. 21 comma 2 della Costituzione), può essere fornito dal Bundestag, il Bundesrat o del governo federale. Il governo del Land può presentare domanda solo contro un partito la cui organizzazione è limitata al territorio del loro paese. Articolo 44. I rappresentati del partito sono individuati dalla legge o, in alternativa, dal suo statuto. Se il mandatario non è rilevabile o non presente o è stato modificato dopo il ricevimento della richiesta alla Corte costituzionale federale, si considerano autorizzate a rappresentare il partito le persone che hanno effettivamente svolto l'attività del partito. Articolo 45. La Corte costituzionale federale deve dare al rappresentante autorizzato (ex articolo 44) la possibilità di presentare le sue osservazioni entro un termine stabilito e poi decide se il ricorso deve essere respinto in quanto infondato o inammissibile in quanto non sufficientemente, oppure se il giudizio può proseguire. Articolo 46. Qualora la domanda si dimostri fondata, la Corte costituzionale dichiara il partito politico incostituzionale. La dichiarazione può essere anche limitata ad una parte legalmente o organizzativamente indipendente di un partito. La sentenza deve contenere l’ordine di scioglimento del partito o della sezione autonoma dello stesso e il divieto di creare un'organizzazione sostituzione di aderire. La Corte costituzionale federale può pronunciare la

80

La legittimazione attiva all’azione è conferita ai sensi dell’articolo 43 al

Bundestag, al Bundesrat o al Governo federale così come nella legge spagnola.

Anche in questo caso così come in Spagna non sono mancate le critiche di

quanti hanno ritenuto che la legittimazione attiva conferita ad organismi

politici rischiasse di consegnare lo strumento giudiziario a strategie elettorali o

peggio al potere esecutivo. Anche in questo caso va ricordato come la

legittimazione attiva compete al Bundestag, al Bundesrat o al Governo come

istituzioni nella loro totalità. Inoltre nel caso tedesco la competenza della

Corte Costituzionale offre ancora maggiore garanzia di equidistanza dai partiti,

anche grazie alle equilibrate regole della legge sul Tribunale costituzionale

federale che dispongono della sua composizione. 93

Dopo una valutazione di fondatezza della domanda, il procedimento

si svolge nei confronti del rappresentante di partito.

confisca dei beni del partito o della sezione autonoma del partito a favore dello Stato federale o statale a scopi benefici. 93 Articolo 2. La Corte costituzionale federale si compone di due giurie. In ogni giuria sono eletti otto giudici. Tre giudici di ogni giuria sono eletti tra i giudici del Supremo Tribunale Federale di Giustizia. Possono essere eletti solo i giudici che hanno prestato almeno tre anni di servizio presso una corte federale suprema di giustizia. Articolo 5. La metà dei giudici di ogni giuria è eletto dal Bundestag e per l'altra metà dal Bundesrat. Tra quelli selezionati tra i giudici del Supremo Tribunale Federale di Giustizia uno è eletto da uno degli organi elettorali e due dall'altro, e dei tre giudici rimanenti sono eletti da un organo e due dall'altro. Ogni giudice dev’essere eletto almeno tre mesi prima della scadenza del mandato del suo predecessore o, se il Parlamento federale è sciolto al momento, entro un mese dalla prima riunione del Bundestag. Se un giudice rinuncia al suo ufficio prematuramente il suo successore sarà eletto entro un mese dallo stesso organo che ha eletto il suo predecessore.

81

Particolarmente rilevanti anche ai fini parlamentari risultano gli effetti

della dichiarazione di incostituzionalità del partito politico. La giurisprudenza

del Bundesverfassungsgericht ha infatti sentenziato che in questo caso anche i

deputati eletti nelle liste del partito incostituzionale decadono dal loro ruolo,

poiché si è ritenuto che né i membri di un partito incostituzionale potessero

rappresentare la nazione, né tantomeno i cittadini avessero diritto di farsi

rappresentare da membri di partiti dichiarati incostituzionali. La Corte con

questa sua posizione ha dunque derogato all’articolo 38 GG che, imponendo

il divieto di vincolo di mandato per i parlamentari, vieta che questi lascino il

loro scranno laddove abbandonino il partito nelle cui file siano stati eletti. La

deroga risponde ad un più ampio principio di salvaguardia dei diritti di libertà

e democraticità della vita politica.

6. Spagna e Germania: modelli a confronto. Verso lo Statuto Europeo dei partiti politici

I modelli sinora esposti hanno certamente molto in comune. Senza

dubbio condividono la ratio sottesa alle scelte e del costituente e del legislatore

ordinario: la volontà di impedire a forze antisistema di concorrere alla guida

del paese senza però scadere in prese di posizione ideologiche e liberticide. Ad

una presa di posizione che si può definire di teorica del diritto si è anche unita

82

la necessità di arginare in concreto forze che per la storia di quei Paesi

rischiavano di far deflagrare la democrazia tanto faticosamente costruita.

Le similitudini tra i due modelli hanno fatto sì che molti studiosi li

confrontassero e soprattutto ponessero in luce la maggiore differenza tra i due

testi di legge, ovvero la competenza a giudicare sull’incostituzionalità dei

partiti, conferita in Spagna alla Sala Especial del Tribunal Supremo, in Germania

alla Corte Costituzionale Federale.

In particolare si è criticata la scelta del legislatore iberico perché i

soggetti legittimati all’azione sono il Parlamento ed il Governo, e molti hanno

ritenuto che se la Corte Costituzionale fosse stata munita di giurisdizione in

materia si sarebbe edulcorato il rischio di uno strapotere della maggioranza.

Oltretutto c’è anche chi ha notato come dare competenza al Parlamento

potesse violare la Costituzione spagnola dal momento in cui secondo la Legge

fondamentale il Parlamento è competente in materia legislativa, «esercita il

controllo dell'attività finanziaria e di quella del Governo, nonché nelle

rimanenti materie previste dalla Costituzione» tra le quali non è espressamente

prevista la possibilità di proporre domanda giudiziale per la dichiarazione di

incostituzionalità di un partito politico94.

94 In questo senso P.P. SABATELLI, Spagna: La nuova legge sui partiti: il "caso" Batasuna, in Forum di Quaderni Costituzionali, da forumcostituzionale.it

83

Sul punto è però necessario fare due notazioni. Innanzitutto, come

specificato dalla stessa dottrina autrice della critica, l'articolo 53.2 CE

individua nei tribunali ordinari i soggetti chiamati a giudicare in ordine alle

violazioni dei diritti fondamentali, facendo poi salvo il diritto di adire il

Tribunal Constitucional attraverso il Recurso de amparo.

Inoltre risulta necessario notare come la legge spagnola che disciplina

la composizione della Corte Costituzionale non conferisce le stesse garanzie di

quella tedesca. Infatti in Tribunale costituzionale è composto da dodici

componenti, formalmente nominati dal Re. Otto sono votati dalle due

Camere, dei quali quattro sono su proposta del Senato ed altri quattro dal

Congreso, due sono eletti dal Governo ed altri due dal Consiglio generale del

potere giudiziario95. Oltretutto anche l’opinione pubblica ha sempre visto nella

composizione del Tribunale costituzionale lo specchio della lottizzazione delle

nomine dei partiti96.

Risulta infine interessante analizzare la questione anche da un punto di

vista comunitario. Il regolamento 2004/2003 ha disciplinato la materia dei

partiti politici soprattutto ai fini della regolamentazione dei finanziamenti

95 Articolo 159

96 in questo senso R.L. BLANCO VALDES, Costituzione, illegalità dei partiti politici e difesa dello Stato democratico in Spagna, in Democrazia e Sicurezza, da democraziaesicurezza.it, anno III, n.1, 2013

84

elettorali. Oltre che rispettare i principi condivisi dell’Unione, è considerato

partito politico a livello europeo ogni partito che abbia personalità giuridica

nello Stato membro in cui ha sede; sia rappresentato, in almeno un quarto

degli Stati membri, da membri del Parlamento europeo o nei parlamenti

nazionali o regionali o nelle assemblee regionali, oppure abbia ricevuto, in

almeno un quarto degli Stati membri, almeno il 3 % dei voti espressi in

ognuno di tali Stati membri in occasione delle ultime elezioni del Parlamento

europeo, abbia partecipato alle elezioni al Parlamento europeo o abbia

espresso l'intenzione di farlo.

A fronte di una disciplina non particolarmente dettagliata, nel 2006 il

Parlamento ha votato con larga maggioranza la relazione del tedesco Jo

Leinen (PSE) sui partiti politici europei, con la quale si chiede «un vero e

proprio statuto dei partiti politici europei» che definisca i loro diritti e doveri e

dia loro la possibilità di ottenere una personalità giuridica basata sul diritto

comunitario, valida anche negli Stati membri, in un tentativo di uniformare la

disciplina dei partiti attraverso lo strumento del diritto comunitario.

85

IV

1. Il finanziamento pubblico alla politica: il nodo gordiano con la democratizzazione della vita dei partiti

La disciplina relativa al finanziamento pubblico ai partiti è stata

oggetto di travagliate vicende nel corso della vita della Repubblica. Dalla

nascita del primo Parlamento repubblicano, infatti, per lungo tempo la teoria

della “non ingerenza” dei poteri pubblici nella vita dei partiti ha fatto del tutto

escludere la possibilità di forme di finanziamento statali, nonostante già nel

1958 Don Sturzo proponesse una legge sul finanziamento pubblico ai partiti

unitamente ad una regolamentazione della vita interna degli stessi. Anche la

dottrina dell’epoca si interrogava sulla necessità di una sovvenzione pubblica

alla politica97.

Se da un lato il rischio di un sistema di finanziamento pubblico alla

politica è quello di ridurre i partiti ad apparati burocratici, pertanto sordi alle

necessità dei cittadini, la sua assenza può configurare partiti appannaggio solo

dei potentati economici la cui gestione delle risorse non è trasparente.

97 Vedi capitolo II

86

L’esigenza che spinge i paesi democratici alla sovvenzione della vita

politica mediante finanziamento trova la propria ragion d’essere nella tutela

dell’autonomia politica dei partiti stessi, ovvero nella necessità di sottrarli ai

condizionamenti provenienti dai gruppi di pressione e dalle organizzazioni

economiche.98

Tra i due rischi si scelse di correre il secondo, a parere di molti anche

perché, in piena Guerra fredda, la pubblicità dei bilanci avrebbe creato non

pochi imbarazzi in entrambi gli emicicli del Parlamento99.

Lo scandalo dei petroli scoppiato nel 1974, che vide coinvolti politici

ed industriali in un giro di tangenti e finanziamenti illeciti ai partiti, riportò al

centro del dibattito politico la necessità di trasparenza dei bilanci delle forze

politiche.

La legge varata nello stesso anno dunque fu frutto non tanto di una

scelta politicamente maturata di tornare ai testi di Don Sturzo, quanto una

risposta anche mediatica agli scandali che avevano colpito i maggiori partiti

italiani. Quel nodo gordiano già evidenziato da Sturzo tra la regolamentazione

della vita dei partiti e finanziamento pubblico fu sciolto dando vita ad una

98 in questo senso P. RIDOLA, Partiti politici, voce, in Enciclopedia del Diritto, vol. XXXI, 1982, 66 e ss.

99 in questo senso A. MARIUZZO 1958: quando don Sturzo chiese (senza successo) la trasparenza dei bilanci dei partiti, da linkiesta.it, 4 aprile 2012

87

disciplina monca sin dalla nascita. L’iter delle riforme affastellatesi nel tempo

evidenzia sempre lo stesso limite: il finanziamento pubblico o, come si vedrà,

il rimborso delle sole spese elettorali, viene sempre percepito dai cittadini

come un privilegio della politica e non come uno strumento di tutela della

stessa dai “poteri forti”. Questo accadrà finché alle regole su bilancio e

rendicontazione non si affiancheranno anche regole sulla gestione

democratica dei partiti stessi. Appare necessaria una disciplina che riconduca

l’intera vita dei partiti a regole chiare, democratiche, tese alla partecipazione

degli iscritti e alla responsabilizzazione dei candidati attraverso sistemi di

votazione interna, senza con questo infrangere il divieto di mandato

imperativo. In questo modo si legittimerebbe il finanziamento alla politica alla

luce dei costi necessariamente connessi alla vita democratica.

Per molti anni il legislatore ha ritenuto non necessaria una

regolamentazione che percorresse questa strada, ed ha nel contempo fatto

lievitare i costi della politica, talvolta in maniera irragionevole. Il risultato è

stato quello di allontanare ancor più i cittadini dalla politica. Una politica che

dopo la caduta delle motivazioni ideologiche, fino agli anni Ottanta principale

collante fra base ed eletti100, non è stata in grado di assumere una veste di

100 P. SCOPPOLA, La Repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico 1945-1996, 1997, da C. CASSINARI, Democrazia interna e trasparenza nei partiti: una riforma non più rinviabile, da La Costituzione in officina. Il primo intervento urgente, a cura di F. RIGANO, 2013, 27

88

modernità capace di coinvolgere l’elettorato attraverso sistemi di

partecipazione che spostassero l’asse decisionale dalle segreterie di partito

(magari anche ai nuovi spazi offerti dalla rivoluzione tecnologica), tenendo

sempre presente il ruolo centrale che l’articolo 49 della Costituzione

conferisce ai partiti politici. Questo atteggiamento quasi di arroccamento della

politica a logiche non più attuali ha fatto sì che quegli spazi siano stati

conquistati da chi volutamente si professa un “non – partito”, con questo

svilendo il portato dell’articolo 49 ed aprendo la vita delle istituzioni a logiche

lontane da quelle immaginate dai Padri costituenti.

2. La legge 195/74 sul finanziamento pubblico e successive modifiche

Nel 1974 vide la luce la norma numero 195 sul finanziamento

pubblico ai partiti. La legge prevedeva una duplice tipologia di contributi: per

il rimborso delle spese elettorali e per l'attività ordinaria dei partiti. Per il

rimborso elettorale era previsto che il partito dovesse superare, onde

accedervi, una soglia di partecipazione (per numero di collegi) alla

competizione elettorale nonché di voti validi conseguiti. 101

101 Articolo 1: «(…)Hanno diritto al contributo i partiti politici che abbiano presentato, con il medesimo contrassegno, proprie liste di candidati per l'elezione della Camera dei deputati in più dei due terzi dei collegi elettorali ed abbiano ottenuto, ai sensi dell'articolo 83 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo

89

Per l'attività ordinaria, il contributo era previsto a favore dei Gruppi

parlamentari (in misura in parte eguale, in parte differenziata sulla base della

loro consistenza), e da questi devoluto ai partiti102.

Ai sensi dell’articolo 2 i contributi per il rimborso delle spese elettorali

erano versati ai partiti politici, su domanda dei rispettivi segretari politici

indirizzata al Presidente della Camera. Il 15% della somma stanziata era

ripartita in misura uguale tra tutti i partiti che avessero raggiunto 300mila voti

di lista validi, ovvero una cifra nazionale non inferiore al 2% dei voti

validamente espressi, mentre la somma residua era ripartita tra gli stessi in

proporzione ai voti ottenuti nelle elezioni politiche della Camera dei deputati.

Già nella legge del 1974 era previsto un obbligo di rendicontazione da

parte dei segretari dei partiti politici, tenuti a pubblicare entro il 31 gennaio di

ogni anno, sul giornale ufficiale del partito e su un quotidiano di diffusione

nazionale, il bilancio finanziario consuntivo del partito, approvato dall’organo

di partito competente e redatto secondo il modello allegato alla legge. Copia

del bilancio del partito e dei giornali doveva essere trasmessa al Presidente

della Camera dei deputati.

1957, n. 361, almeno un quoziente in una circoscrizione ed una cifra elettorale nazionale di almeno 300.000 voti di lista validi, ovvero una cifra nazionale non inferiore al 2 per cento dei voti validamente espressi»

102 Servizio studi della Camera, Note sul disegno di legge approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati giugno 2012 n. 364

90

Il Presidente della Camera dei deputati, d’intesa con il Presidente del

Senato, controllava la regolarità della redazione del bilancio avvalendosi di

revisori ufficiali dei conti (articolo 8).

Fulcro della nuova legge era la previsione di cui all’articolo 7, tutt’ora

vigente nonostante gli innumerevoli interventi in materia. La norma

introdusse per la prima volta nell’ordinamento il reato di finanziamento

illecito ai partiti, vietando a società pubbliche o a partecipazione pubblica di

effettuare erogazioni a vantaggio delle forze politiche, o anche finanziamenti

da società private non regolarmente deliberati dall’organo competente103. La

pena da 4 mesi a 6 anni è inflitta a chiunque finanzi illecitamente così come a

chi riceve il finanziamento illecito.

103 Sono vietati i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di società controllate da queste ultime, ferma restando la loro natura privatistica, a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari. Il divieto di cui al precedente periodo si applica anche alle società con partecipazione di capitale pubblico pari o inveriore al 20 per cento, nonché alle società controllate da queste ultime, ove tale partecipazione assicuri comunque al soggetto pubblico il controllo della società. Sono vietati altresì i finanziamenti o i contributi sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, da parte di società non comprese tra quelle previste nel comma precedente in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dallo organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio e sempre che non siano comunque vietati dalla legge. Chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti nei commi precedenti, ovvero, trattandosi delle società di cui al secondo comma, senza che sia intervenuta la deliberazione dell'organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della società stessa, e' punito, per ciò solo, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge.

91

La norma del 1974 è stata successivamente emendata nel 1981. La

legge numero 659 ha esteso il sistema di finanziamento anche alle forze

politiche concorrenti alle elezioni regionali e al Parlamento europeo. 104

La nuova norma all’articolo 4, disposizione tutt’ora vigente, integra le

previsioni sanzionatorie già previste dall’articolo 7 della legge del 1974.

Accanto al reato infatti ed alla sanzione a carico dei soggetti colpevoli del

finanziamento, la legge prevede anche una decurtazione del contributo statale

pari al doppio delle somme illecitamente percepite. All’obbligo già introdotto

dalla legge 195 di redigere un bilancio da sottoporre poi al controllo del

Presidente della Camera d'intesa con il Presidente del Senato, si aggiunse

l’obbligo di rendicontazione obbligatoria di proprietà immobiliari,

partecipazioni del partito a società commerciali, titolarità di imprese e redditi

comunque derivanti da attività economiche.

Inoltre, al comma secondo dello stesso articolo, si prevede che

laddove vi siano erogazioni di privati superiori a 50mila euro, le parti debbano

provvedere ad un’autocertificazione congiunta di società erogatrice e di partito

104 Per le prime l’articolo 1 disponeva che il contributo per ciascuna elezione regionale venisse determinato, nell’ambito di un ammontare globale di venti miliardi di lire poi elevato a quaranta del 1985, in base alla proporzione fra la popolazione del territorio regionale interessato e la popolazione del territorio nazionale. Avevano diritto al contributo i partiti che abbiano avuto almeno un proprio candidato eletto e, in caso di elezioni concomitanti, almeno un proprio candidato eletto in una delle regioni. Nel 1995 è stato altresì disposto che il calcolo del contributo così definito dovesse essere determinato il contributo di cui al secondo comma del presente articolo, e' nella misura risultante dalla moltiplicazione dell'importo di lire 1.200 per il numero degli abitanti.

92

o singolo candidato ricevente, pena l’ammenda da due a sei volte l’illecito

dichiarato e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Le regole, però, non sono bastate ad evitare l’enorme mole di scandali

che si è abbattuta sul sistema partitico del Paese. Come suggerisce attenta

dottrina, le norme che si sono succedute fino all’esplosione di Tangentopoli

non erano efficaci per arginare la corruzione, anzi, forse «non era estranea, in

tutti i partiti, la preoccupazione che la regolamentazione potesse mettere in

discussione quelle fonti occulte di finanziamento che sarebbero poi state

disvelate nella stagione di Tangentopoli».105 Altresì si è ritenuto che anche la

previsione della sanzione penale non fungesse realmente da disincentivo,

poiché chi è a conoscenza del reato ha interesse ad occultarlo. 106

Ancora una volta il punto della questione era (ed è tuttora) la

regolamentazione della vita interna dei partiti. Le decisioni di bilancio,

sebbene sottoposte ad oneri di pubblicità, quando non sono prese in seno ad

un consesso democratico o quantomeno in una camera di vetro, non sono

realmente controllabili. Ancora maggiore garanzia sarebbe quella che le

decisioni fossero prese da organi tout court istituzionali, sottoposti dunque ai

105 A. BARBERA, La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, Relazione al Convegno organizzato dal CESIFIN “Alberto Predieri” e dal Centro di studi politici e costituzionali Piero Calamandrei - Paolo Barile - Rettorato Università di Firenze, 19 ottobre 2007, da Forumcostituzionale.it 106 G MOR, La disciplina giuridica dei partiti in Italia, 1993, 522

93

controlli di cui all’articolo 100 della Costituzione. Ma come hanno avuto a

notare alcuni autori, le leggi succedutesi fino all’avvento del referendum

hanno volutamente aggirato il controllo della Corte dei Conti sui

finanziamenti pubblici – avutosi solo in epoche relativamente recenti –

corrispondendo ai gruppi parlamentari in maniera non continuativa delle

somme che poi gli stessi gruppi rimettevano ai relativi partiti in una quota non

inferiore al 90%. Un meccanismo di scatole cinesi che sembrava teso solo a

sottrarre quei finanziamenti al controllo dei magistrati contabili, che vigilano

esclusivamente sui contributi statali erogati con continuità e che in quel caso

oltretutto si trovavano di fronte il limite dell’autonomia dei gruppi

parlamentari.

Le norme che si sono affastellate nel tempo si sono sempre limitate a

disciplinare il finanziamento pubblico o il rimborso alle spese elettorali, «ma

esplicitamente escludendo forme di regolamentazione dei partiti e limitandosi

a prevedere controlli (peraltro di dubbia efficacia, come si sarebbe visto

successivamente) sui loro bilanci». Il problema fu posto già all’atto

dell’approvazione della legge del 1974 ma la risposta fu che non era necessaria

alcuna apposita regolamentazione e che i partiti avrebbero potuto essere

sottoposti alla disciplina codicistica delle associazioni non riconosciute.

Ricorda la dottrina come il «relatore della legge 195, Giovanni Galloni,

94

contrario alla disciplina, si sarebbe fatto promotore, negli anni successivi, di

una proposta volta a considerare atti pubblici (con l’applicazione delle

conseguenti sanzioni penali) le deliberazioni più rilevanti degli organi di

partito», ma le sue proposte rimasero tali. 107 Oltretutto, anche le forme di

regolamentazione e controllo così come introdotte dalla legge hanno attirato

non poche critiche da parte della dottrina108, ed hanno da sempre attirato le

critiche della pubblica opinione in ordine alla opacità e poca intelligibilità dei

meccanismi di finanziamento.

Il primo referendum che propose l’abrogazione della legge sul

finanziamento pubblico fu proposto dal Partito Radicale nel 1978. Il PR

raccolse in realtà le firme su otto quesiti: quattro furono bocciati dalla

Consulta, ed altri due (sulla legge Basaglia e sulle Commissioni di Inchiesta)

furono sottratti al vaglio degli elettori perché il legislatore intervenne a

modificare il testo di legge oggetto di referendum. Il tentativo di sottrarre alla

scelta dei cittadini anche il quesito sulla legge Reale fu però bloccato da una

storica pronuncia della Corte Costituzionale, che accolse il conflitto di

attribuzione sollevato dai promotori referendari, dichiarando incostituzionale

107 A. BARBERA, La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, Relazione al Convegno organizzato dal Cesifin “Alberto Predieri”e dal Centro di studi politici e costituzionali Piero Calamandrei - Paolo Barile - Rettorato Università di Firenze, 19 ottobre 2007, da forumcostituzionale.it 83 ancora G. MOR, critico anche sugli oneri di pubblicità dei bilanci, op. cit., 521

95

l’articolo 39 della legge 352 del 1970, nella parte in cui prevedeva che il blocco

delle operazioni referendarie si producesse anche quando la sopravvenuta

abrogazione fosse accompagnata dalla emanazione di altra normativa che

regoli la stessa materia apportando solo innovazioni formali o di dettaglio,

senza modificare né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, né i

principi ispiratori della complessa disciplina sottoposta a referendum109.

La consultazione popolare raggiunse il quorum, ma i due quesiti non

vennero abrogati dagli elettori, per quanto il risultato di quella votazione

(56,4% contrari all’abrogazione e 43,6% favorevoli) squarciò il velo della

necessarietà del finanziamento pubblico, che nelle promesse dei partiti

avrebbe dovuto arginare i casi di corruzione.

Ebbero dunque ancor più facile presa i referendari quando,

all’indomani degli scandali di Tangentopoli, riproposero lo stesso quesito. Il

referendum, ancora una volta promosso dal Partito Radicale, abrogò con una

maggioranza schiacciante del 90,30% le previsioni di cui agli articoli 3 e 9 della

legge del 1974, che regolavano finanziamenti per il funzionamento ordinario

dei partiti politici, lasciando dunque inalterata la norma nella parte in cui

prevedeva il rimborso delle spese elettorali.

109 Corte Costituzionale, sentenza 69/1978

96

3. Dopo il referendum: le leggi di rimborso delle spese elettorali

Il referendum del 1993 aveva dunque lasciato inalterata la legge del

1974 nella parte in cui prevedeva la corresponsione di rimborsi per le spese

elettorali sostenute. L’accumulo nel tempo di nuove norme in materia di

rimborsi elettorali ha fatto spesso parlare di “tradimento” al risultato

referendario del 1993. In realtà il legislatore era in pieno diritto di modificare

parametri e regole del testo di legge non interessato dall’abrogazione. Quello

che è stato tradito è stato semmai lo spirito che il voto referendario aveva

espresso, e cioè la volontà di un minor coinvolgimento del ruolo pubblico

nelle sovvenzioni ai partiti.

Le continue modifiche dei parametri di rimborso delle spese elettorali

hanno di fatto aumentato esponenzialmente la cifra corrisposta dallo Stato ai

partiti, sebbene non a titolo di finanziamento ma di rimborso. Alla percepita

opacità delle operazioni di finanziamento – peraltro segnalata anche dalla

Corte dei Conti in alcune relazioni110 – per lungo tempo non ha fatto seguito

alcun tentativo concreto di regolamentare la vita dei partiti, anzi la tendenza

alla personalizzazione della politica ha quasi fatto percepire come pleonastica e

frutto di burocratizzazione ogni processo di democratizzazione partitica.

110 vedi oltre

97

All’indomani dell’esito referendario dunque il Parlamento varò la legge

515, che disciplinò ulteriormente la materia del rimborso delle spese sostenute

dai partiti assieme alla regolamentazione dell’accesso ai mezzi di

comunicazione durante le campagne elettorali.

La nuova norma introduce un tetto di spesa per il singolo partito o

movimento. Infatti ai sensi dell’articolo 10 le spese elettorali dei partiti o

formazioni politiche che partecipano alle elezioni per il rinnovo delle Camere

non possono superare la somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo

di 1 euro per il numero complessivo dei cittadini iscritti nelle liste elettorali

delle circoscrizioni (o collegi) in cui il partito o il movimento o la lista presenta

candidature, a tal fine sommando le iscrizioni nelle liste elettorali per la

Camera e quelle per il Senato.

Viene poi specificato un obbligo di rendicontazione distinto a seconda

che gravi sul singolo candidato ovvero sul partito. Pur disciplinando il

rimborso delle spese elettorali, l’articolo 9 ai commi 2 e 3 prevede comunque

che il calcolo venga effettuato in proporzione ai voti ottenuti111. Introduce

111 Articolo 9.2. Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato della Repubblica e' ripartito su base regionale. A tal fine il fondo è suddiviso tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione. La quota spettante a ciascuna regione è ripartita tra i gruppi di candidati e i candidati non collegati ad alcun gruppo in proporzione ai voti conseguiti in ambito regionale. Partecipano alla ripartizione del fondo i gruppi di candidati che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto nella regione o che abbiano conseguito almeno il 5 per cento dei voti validamente espressi in ambito regionale. Partecipano altresì alla ipartizione del fondo i candidati non collegati ad alcun gruppo che risultino eletti o che conseguano nel rispettivo collegio almeno il 15 per cento dei voti validamente espressi.

98

altresì nuovi organi di controllo: per il candidato, il Collegio regionale di

garanzia elettorale, presso la Corte d'appello o, in mancanza, presso il

tribunale del capoluogo di Regione; per il partito, un apposito Collegio

elettorale presso la Corte dei conti (articolo 12). Così come previsto già prima

dell’avvento della nuova disciplina da parte di attenta dottrina, l’avvento del

controllo della Corte dei Conti sui consuntivi delle spese sostenute e dei

finanziamenti raccolti per le campagne elettorali, dai partiti, movimenti, liste e

gruppi di candidati è stato un contributo prezioso non solo per il tipo

controllo, assimilabile a quello previsto ex 100 della Costituzione, esercitato

dai magistrati contabili, ma anche e soprattutto per i rilievi che in sede di

relazione al controllo hanno delineato ancora una volta un carattere di poca

trasparenza nei metodi di rendicontazione. Nel 2008, ad esempio, la Corte in

ordine ai rendiconti delle spese sostenute per le elezioni politiche del 5 e 6

aprile dello stesso anno rileva: «manca nella disciplina un criterio di calcolo

volto ad abbinare il contributo finanziario statale al rimborso delle spese

sostenute; criterio che meglio avrebbe aderito all'esito del referendum

3. Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo della Camera dei deputati e' ripartito, in proporzione ai voti conseguiti per la attribuzione della quota di seggi da assegnare in ragione proporzionale, tra i partiti e movimenti che abbiano superato la soglia del 4 per cento dei voti validamente espressi ovvero abbiano ottenuto almeno un eletto a loro collegato nei collegi uninominali e abbiano conseguito almeno il 3 per cento dei voti validamente espressi in ambito nazionale. Il verificarsi di tale ultima condizione non e' necessario per l'accesso al rimborso da parte dei partiti o movimenti che abbiano presentato proprie liste o candidature esclusivamente in circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela delle minoranze linguistiche. Per il calcolo del rimborso spettante a tali partiti e movimenti si attribuisce a ciascuno di essi, per ogni candidato eletto nei collegi uninominali, una cifra pari al rimborso medio per deputato risultante dalla ripartizione di cui al primo periodo del presente comma.

99

abrogativo del 1993 sul finanziamento ai partiti politici. La Corte ha più volte

segnalato come la correlazione fra contributo statale finanziario e rimborso

delle spese elettorali sia soltanto formale, dal momento che il diritto al

contributo e la sua misura sono parametrati in proporzione ai voti conseguiti

dalla singola formazione politica che abbia superato le soglie legali di

preferenze espresse per il rinnovo del Senato e della Camera (articolo 9,

commi 2 e 3, della legge n. 515 del 1993) e non alle spese effettivamente

sostenute (e riconosciute regolari). Seppure non possa ritenersi totalmente

priva di coerenza la previsione di un premio elettorale per le formazioni

maggiormente rappresentative dell'elettorato, esso andrebbe comunque

limitato ad una sola parte del contributo spettante, l'altra invece andrebbe

parametrata in stretto collegamento con la spesa sostenuta e contabilmente

giustificata.112 “La Corte ha anche stigmatizzato la presenza di spese forfetarie

nella redazione del rendiconto.

La successiva legge del 1997 ha introdotto nuovi oneri a carico del

tesoriere di partito, tenuto a redigere annualmente il rendiconto di Esercizio,

la relazione sulla situazione economico-patrimoniale e la gestione e la nota

integrativa.

112 Corte dei Conti, Referto ai Presidenti delle Camere sui consuntivi delle spese e sui relativi finanziamenti riguardanti le formazionii politiche che hanno sostenuto la campagna per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica del 13-14 aprile 2008, 15 e ss.

100

La stessa legge ha introdotto la possibilità di destinazione del quattro

per mille dell'IRPEF ai partiti politici, cercando di aderire in questo modo

all’esito referendario e prevedendo così un maggiore spazio al finanziamento

privato dei partiti in sostituzione dell’abrogato contributo pubblico. La

destinazione era a favore non del singolo partito ma di un fondo unitario, poi

ripartito tra i partiti aventi almeno un eletto in Parlamento, in proporzione ai

voti validi espressi in ambito nazionale.

La previsione è stata però abrogata dalla disposizione varata nel 1999.

Infatti il sistema di contribuzione privata immaginato dal legislatore si è

scontrato con «la scarsa propensione degli italiani verso forme di

finanziamento pubblico dei partiti (…) divenuta poi aperta ostilità»113 che ha

portato pochissimi italiani nel 1997 a destinare una quota dell’imposta sulle

persone fisiche al fondo per i partiti. Tanto che con la successiva legge del

1999 il legislatore abolì tale disposizione, mantenendo ferma però la

detraibilità delle donazioni di persone fisiche e società commerciali.

La legge del 1999 rimodulò il metodo di contribuzione, prevedendo

quattro distinti fondi di contribuzione statale per le spese elettorali, per le

elezioni di Camera, Senato, Parlamento europeo, Consigli regionali – nonché

113 Così la definisce A. BARBERA in La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, Relazione al Convegno organizzato dal CESIFIN “Alberto Predieri”e dal Centro di studi politici e costituzionali Piero Calamandrei – Paolo Barile – Rettorato Università di Firenze, 19 ottobre 2007, da Forumcostituzionale.it

101

una contribuzione ai comitati promotori di referendum dichiarati ammissibili e

raggiungenti il quorum di validità di partecipazione al voto. La quota di

rimborso, disposto con decreti del Presidente della Camera dei deputati, a

carico del bilancio interno della Camera, è data dalla moltiplicazione

dell’importo di base unitario che la legge fissava a 4mila lire114 per il numero di

cittadini iscritti nelle liste elettorali.

Ai sensi dell’articolo 1 della legge del 1999 i rimborsi sarebbero dovuti

essere corrisposti con cadenza annuale, entro il 31 luglio di ciascun anno, per

gli anni di legislatura. Interventi legislativi successivi hanno modificato la

portata di tale norma, consentendo l’erogazione del 40% della somma nel

primo anno di legislatura, e del 15% per ciascun anno restante, prevedendo

però che lo scioglimento anticipato interrompesse l'erogazione.

Nei primi anni duemila gli interventi legislativi hanno portato a quello

che nell’opinione pubblica è significato il “tradimento” del risultato

referendario del 1993. I costi della politica sono lievitati a dismisura, e pur

lasciando invariato l’impianto generale della norma, mantenendo vivi dunque

tutti i sistemi di controllo sebbene con i loro limiti intrinsechi già segnalati, i

continui aggiustamenti dell’importo di base unitario nonché la previsione della

114 La legge 515/93 fissava l’importo di base unitario a 1600lire, ex articolo 9.1

102

corresponsione del rimborso anche nel caso di legislazioni anticipatamente

interrotte hanno aumentato il malcontento popolare nei confronti di un

istituto che invece dovrebbe essere garanzia di trasparenza e legalità.

La legge numero 156 del 2002 (articolo 2, comma 1, lettera a)),

ancorché diminuisse (da 4mila lire a 1 euro) l'importo unitario da moltiplicare

per il numero degli elettori della Camera onde ottenere l'importo di ciascuno

dei quattro fondi, stabiliva che l'importo dei fondi fosse riferito non all'intera

legislatura bensì a ciascun anno della legislatura in tal modo divenendo

l'importo unitario da moltiplicare per cinque, e dunque pari a 5 euro.

La legge numero 51 del 2006 ha introdotto la previsione (articolo 39

quater decies) per cui la contribuzione statale si abbia per tutti i cinque anni

della legislatura, anche in caso di scioglimento anticipato (laddove la legge del

1999 circoscriveva la contribuzione alla effettuale durata della legislatura)115.

Negli anni successivi il Parlamento ha tentato di contrarre la spesa per

il finanziamento delle spese elettorali. La legge numero 244 del 2007 ha infatti

ridotto di 20 milioni di euro – a decorrere dal 2008 – l’autorizzazione di spesa

destinata all’erogazione dei rimborsi delle spese elettorali e referendarie

(articolo 2, comma 275).

115 Servizio studi della Camera, Note sul disegno di legge approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati (A.S. n. 3321) giugno 2012

103

Successivamente, il decreto-legge numero 78 del 2010 (articolo 5.4) ha

ridotto del 10% (a decorrere dalla seguente legislatura) l'importo unitario di 1

euro che, ai sensi della legge del 1999 (come successivamente modificata),

dev'essere moltiplicato per il numero di iscritti nelle liste elettorali per le

elezioni della Camera. Inoltre, esso ha abrogato – con effetto dal seguente

rinnovo delle Camere – la disposizione che consentiva il versamento delle

quote annuali anche in caso di scioglimento anticipato del Senato o della

Camera.

Il decreto legge 98 del 2011 (articolo 6) ha ridotto di un ulteriore 10%

quell'importo, con effetto dal seguente rinnovo delle Camere. Ha reso invece

immediato l'effetto dell'abrogazione della prosecuzione del versamento, in

caso di scioglimento anticipato.

4. Rimborso delle spese elettorali e regolamentazione dell’attività dei partiti: la disciplina attuale

Dopo le vicende dei primi anni Duemila, nei quali si è assistito ad una

crescita sensibile – ed irragionevole – della contribuzione pubblica alla vita dei

partiti, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un tentativo di diminuzione

dei cosiddetti “costi della politica”. Lo stesso legislatore ha evidenziato come i

fondi a favore dei partiti si sono quadruplicati, passando dai 70,4 milioni di

104

euro attuali nel 1994 ai quasi 292 milioni del 2008. 116 La crisi economica

globale che non ha risparmiato l’Italia unita ai movimenti antipolitici che

hanno stigmatizzato aspramente gli sprechi di denaro pubblico, fino a rendersi

più credibili dei partiti stessi e ottenendo grande successo in termini elettorali,

hanno spinto il legislatore non solo a ridimensionare la spesa ma anche a

cercare soluzione per ridare nuova credibilità ad una classe politica che troppo

spesso è sembrata più occupata a rendicontare spese forfetarie che attenta alle

esigenze dei cittadini.

A tal fine c’è da segnalare un’interessante inversione di tendenza nelle

proposte avanzate nelle aule parlamentari: i tentativi di modifica al sistema del

finanziamento alla politica non si sono più fermati alla mera fissazione di tetti

di spesa, oneri di pubblicità e norme per una corretta rendicontazione; il

legislatore ha sempre nelle sue più recenti proposte affiancato ad una

disciplina più snella di finanziamento anche una corposa disciplina di

organizzazione interna del partito, cogliendo dunque quell’elemento di

necessarietà tra i due aspetti della vita di questi organismi.

E’ stata soprattutto durante XVI legislatura che la I Commissione

Affari Costituzionali ha affrontato a più riprese il tema dell’attuazione

116 Relazione introduttiva al disegno di legge del Governo numero 1154, 5 giugno 2013

105

dell’articolo 49 e la conseguente modifica del sistema di finanziamento alle

spese sostenute in campagna elettorale.

La maggior parte dei testi sottoposti all’esame della Commissione

aveva in comune la previsione di costituzione dei partiti mediante uno statuto,

da pubblicare in Gazzetta Ufficiale, che contenesse un minimum di

informazioni inderogabili, tra cui la definizione degli organismi dirigenti, le

procedure di iscrizione e le modalità di svolgimento dei procedimento

deliberativi votati al raggiungimento del massimo grado di democrazia interna

attraverso la tutela delle minoranze, la tutela del diritto alla partecipazione,

l’informazione sugli atti interni ed al conferimento delle cariche a tempo

determinato. Alcune proposte (tra queste la A.C. 3809 ed A.C. 4194)

prevedevano una disciplina particolareggiata per le primarie. La prima delle

due proposte le rende obbligatorie per la scelta dei candidati di partito ad ogni

tipo di elezioni eccetto quelle amministrative. La seconda proposta le

considera invece facoltative definendone parzialmente le modalità di

svolgimento. Appare interessante inoltre nella proposta 3809 la presenza di

una norma (l’articolo 5) che disciplina le fondazioni politico – culturali sul

modello delle Stiftungen tedesche117.

117 vedi oltre

106

Particolarmente interessante per il contenuto innovativo è sembrato la

proposta 244 Turco – Beltrandi ed altri. La norma prevedeva innanzitutto che

i partiti si costituissero necessariamente nella forma delle associazioni

riconosciute, anche se sul punto la dottrina si è mostrata molto critica118. Per

quanto riguarda invece la disciplina del rimborso delle spese elettorali

prevedeva un modello del tutto innovativo rispetto a quello proposto nelle

leggi che si sono susseguite dopo il referendum del 1993. Facendo salvi i

quattro fondi così come istituiti dalla 157/99 ma prevedendone un

ammontare predeterminato, la 244 prevedeva che il valore del fondo unitario

dovesse essere moltiplicato non per il numero degli aventi diritto al voto ma

per il numero dei votanti effettivi. In questo modo i fondi destinati al

rimborso sarebbero sempre stati usati in maniera parziale119.

Le vicende alterne che hanno coinvolto la XVI Legislatura hanno però

fatto sì che la Commissione abbandonasse il progetto di regolamentare

congiuntamente la vita interna dei partiti e la disciplina del loro finanziamento,

per dare invece priorità ad una nuova legge sul finanziamento alla politica. Il

procedimento seguito dal Parlamento è stato spedito ed in tempi brevi ha

portato all’adozione della legge 96/2012.

118 vedi oltre

119 Sul punto il Dossier della Camera dei Deputati AC0629 sottolinea come la bozza di legge manchi di individuare la destinazione dei fondi non utilizzati

107

La norma prevede un taglio del 50% dei contributi pubblici destinati al

rimborso elettorale. Oltretutto il 30% dei fondo destinato a tale fine è

corrisposto a titolo di cofinanziamento, così come accade per i partiti tedeschi,

con un contributo annuo pari a 50 centesimi di euro per ogni euro ricevuto a

titolo di quote associative e di erogazioni liberali annuali da parte di persone

fisiche o enti. Ai fini del calcolo del contributo da destinare sono prese in

considerazione, imponendo un tetto massimo pari a 10mila euro all’anno per

ogni persona fisica o ente, le quote d’iscrizione o le erogazioni liberali

percepite (articolo 2). Ai sensi dell’articolo 6 della legge condizione necessaria

per usufruire del rimborso è l’elezione di almeno un candidato. Il fondo per il

rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato è ripartito su base

regionale. La quota spettante a ciascuna regione è ripartita tra i partiti, i

movimenti politici e i gruppi di candidati, in proporzione ai voti conseguiti in

ambito regionale, a condizione che abbiano ottenuto almeno un candidato

eletto nella regione. Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il

rinnovo della Camera è invece ripartito in proporzione ai voti conseguiti, tra i

partiti e i movimenti politici che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto.

L’articolo modifica la norma contenuta nella legge 515/93, laddove per

partecipare alla ripartizione del fondo per l’elezione al Senato era sufficiente

108

anche solo l’aver ottenuto il 5% dei voti validamente espressi nella regione,

mentre per la Camera era sufficiente il 4% dei voti.

La legge, recependo in parte le proposte di legge sulla

regolamentazione interna dei partiti, subordina la possibilità di accedere ai

rimborsi elettorali alla redazione di un atto costitutivo e di uno statuto

costituiti in atto pubblico, da trasmettere in copia al Presidente del Senato

della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati entro

quarantacinque giorni dalla data di svolgimento delle elezioni. Ai sensi

dell’articolo 5 della legge, lo statuto deve conformarsi ai principi democratici,

con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e

ai diritti degli iscritti. La norma è scarna e certo non procede a quei progetti di

attuazione dell’articolo 49 della Costituzione così come formulati in seno alla I

Commissione. E’ comunque apprezzabile lo sforzo del legislatore di fare un

passo avanti lungo la strada della normazione della vita interna, per quanto

sembra quasi che il legislatore facendo leva sul finanziamento pubblico ai

partiti “forzi” la regolamentazione interna120.

La norma disciplina anche nuove forme di controllo, imponendo ai

partiti di sottoporre i bilanci a società di revisione iscritte nell'albo speciale

120 S. ILLARI, La disciplina giuridica dei partiti politici: facoltà del legislatore ordinario ovvero necessità di regole costituzionali, da La Costituzione in officina - il primo intervento urgente, a cura di F. RIGANO, 2013, 20

109

tenuto dalla Commissione nazionale per le società e la borsa. Viene altresì

istituita la Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei

partiti e dei movimenti politici, a cui viene affidato il compito di controllo di

regolarità e di conformità alla legge del rendiconto, così come inteso ai sensi

dell’articolo 8 della legge 2/1997, che riporti la gestione dell’attività

patrimoniale, completa di una relazione sulla situazione economico–

patrimoniale del partito, nota integrativa e dei bilanci delle eventuali società

partecipate. La Corte dei Conti continua ad esercitare il controllo contabile sul

rendiconto delle sole spese elettorali (articolo 12 legge 515/1993). Ai sensi

dell’articolo 9 della recente legge, la Commissione di controllo deve essere

composta da cinque componenti, di cui uno designato dal Primo presidente

della Corte di cassazione, uno designato dal Presidente del Consiglio di

Stato e tre designati dal Presidente della Corte dei conti.

5. L’avvento del Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali

Le alterne vicende che hanno segnato l’inizio della XVII legislatura

sono state emblema della debolezza che contraddistingue i partiti così come

configurati nell’assetto attuale. Anche quei partiti che hanno individuato le

candidature al Parlamento attraverso elezioni primarie non solo non hanno

110

ottenuto tanti voti quanti l’affluenza alle primarie aveva fatto sperare, ma

hanno dimostrato tutta la loro frammentarietà interna nel corso delle trattative

per la formazione della coalizione di Governo, evidenziando come anche le

primarie a nulla potessero se non precedute da un confronto interno sulla

linea politica.

Peraltro sulla questione delle elezioni primarie appare interessante

notare come la stessa definizione di elezioni sia una distorsione. Infatti

un’elezione concorre a preporre un individuo ad una carica, non

necessariamente una carica pubblica ma anche una carica interna ad un

partito. Le primarie così come oggi configurate sono piuttosto un referendum,

espressione di un voto per consigliare una candidatura a chi ne ha il potere sia di

fatto che giuridico. «In questo modo la peculiarità propria delle primarie è

quella di deresponsabilizzare politicamente il gruppo dirigente, perché in caso

di un risultato elettorale deludente il gruppo dirigente può sempre giustificarsi

affermando di aver seguito la volontà del popolo delle primarie». Inoltre la

scelta di primarie di tipo aperto, a cui tutti possono partecipare purché ci si

iscriva nei metodi prestabiliti, fa sì che chiunque possa con una propria scelta

interferire anche giuridicamente su qualcosa che invece chi è iscritto ad un

partito politico ha come posizione giuridica soggettiva anche tutelabile di

fronte alla giurisdizione. Tutti i partiti che prevedono le primarie nel loro

111

statuto vorrebbero istituirle a livello nazionale come obbligatore. «E’ una

previsione populistica perché in questo modo viene considerato alla stregua di

prova regina di democraticità. Invece le primarie possono essere un elemento

di democraticità ma non sono la prova regina. Una visione di questo tipo

contribuisce a banalizzare il discorso della democraticità interna dei partiti

sotto una spinta populista».121

Anche il Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali voluto dal

Presidente della Repubblica all’inizio della legislatura ha evidenziato la

necessità rilegittimare i partiti politici «come strumento a disposizione di tutti i

cittadini per partecipare alla vita politica del Paese». Peraltro la stessa

istituzione di questo consesso di “Saggi” ha evidenziato la fragilità dei partiti,

incapaci di far fronte alla difficile situazione che si è andata a configurare

all’esito del risultato elettorale. La coesistenza in Parlamento di tre gruppi di

forze di consistenza numerica fra loro ravvicinata, di cui uno dichiaratamente

anti – sistema, ha reso difficile la creazione di una coalizione di Governo tra i

due maggiori partiti da sempre avversari. L’iniziativa del Capo dello Stato ha

evidenziato due punti da valutare alla luce dell’intero assetto istituzionale:

121 in questo senso P. MARSOCCI nel suo intervento nella giornata di studi in memoria di Giuseppe Florida, Napoli, 4 luglio 2013

112

sarebbe opportuno trarre dalle vicende della crisi politico istituzionale

un insegnamento per il futuro: ripensare – secondo proposte già avanzate in

passato – il necessariamente combinato disposto tra “semestre bianco” e

rielezione del Presidente della Repubblica, nel senso di abolire il primo e di

introdurre il divieto della seconda, in modo da lasciare sempre al Capo dello

Stato un’arma non scarica di pressione, per consentire di giungere alla

formazione di un governo non esposto a vita fragile e stentata, nonché di

durata prevedibilmente corta.

Le vicende che hanno portato alla formazione del Gruppo di lavoro

per le riforme istituzionali e poi all’avvento del Governo attualmente in carica

hanno addirittura fatto pensare ad un ormai intervenuto, palese mutamento di

fatto della forma di governo italiana, che la crisi irrisolta del “politico” disegna

come una finora inedita forma di governo parlamentare a direzione

presidenziale, dove l’aggettivo si riferisce non al Presidente del Consiglio, cioè

a una classica premiership, ma a quello della Repubblica. A tal fine per

preservare il ruolo di arbitro imparziale conferito dalla nostra Carta

costituzionale al Presidente della Repubblica, pare opportuno modificare il

nostro sistema elettorale introducendo un maggioritario a doppio turno di

collegio per le Camere (con eventuale ballottaggio aperto ai primi tre

classificati, se il terzo risultasse al primo turno oltre una certa soglia) e più

113

incisivi poteri formali della Presidenza della Repubblica, anziché virare verso

una riforma presidenziale o semipresidenziale122.

6. La Relazione finale del Gruppo di lavoro sulle proposte istituzionali

Già il primo capitolo della relazione del Gruppo di lavoro ha

evidenziato la necessità di una riforma che democratizzasse la vita dei partiti.

La relazione evidenzia come anche la previsione di cui all’articolo 5 della legge

96/2012 che subordina la corresponsione del contributo per le spese elettorali

alla costituzione tramite statuto sia generica «e rischi di dar luogo ad incertezze

e contenziosi». A tal fine la roadmap che è stata segnata propone una disciplina

più particolareggiata, che introduca negli statuti, per rispondere ai requisiti di

democraticità richiesti dalla Costituzione: a) gli organi dirigenti elettivi; b) le

procedure deliberative che prevedano adeguata interazione tra iscritti e

dirigenti nella formazione degli indirizzi politici; c) gli organi di garanzia e di

giustizia interni; d) la istituzione dell’anagrafe degli iscritti e le condizioni per

l’accesso, che dovrebbe essere garantito a tutti gli iscritti; e) l’equilibrio di

genere negli organi collegiali e nella formazione delle candidature; f) le

122 in questo senso S. PRISCO, A futura memoria: il nuovo assetto del sistema dei partiti e l’evoluzione della forma di Governo, da rivistaaic.it, 5 aprile 2013

114

garanzie per le minoranze; g) le procedure per modificare statuto, nome e

simbolo del partito.

Il Gruppo ha poi affrontato il nodo cruciale della forma di governo,

ritenendo in ogni caso preferibile il sistema parlamentare, (nonostante

Gaetano Quagliariello, uno dei membri del consesso, abbia invece sostenuto

l’ipotesi del semipresidenzialismo)123, prevedendo però uno snellimento della

procedura di conferimento della fiducia al Presidente del Consiglio e

prevedendo l’introduzione di un sistema di sfiducia costruttiva. «Dopo le

elezioni, il candidato alla Presidenza del Consiglio, nominato dal Presidente

della Repubblica sulla base dei risultati elettorali, si presenta alla sola

Camera dei Deputati (nel presupposto della riforma dell’attuale

bicameralismo paritario) per ottenerne la fiducia; il giuramento e il successivo

insediamento avvengono dopo aver ottenuta la fiducia della Camera; al

Presidente del Consiglio che abbia avuto e conservi la fiducia della Camera,

spetta il potere di proporre al Capo dello Stato la nomina e la revoca dei

ministri; il Presidente del Consiglio può essere sfiduciato solo con

123 «Il componente del Gruppo che ha sostenuto l’opzione semipresidenziale, ha invece sottolineato come l’attuale grave crisi del nostro sistema istituzionale richieda una riforma più profonda che, proprio grazie all’elezione diretta del Presidente, garantisca una forte legittimazione democratica e, al contempo, un’adeguata capacità di decisione. In questa prospettiva ha fatto rilevare che, in questa fase della vita politica, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica sia più efficace nel fronteggiare la crisi di legittimazione della politica, rafforzando la democrazia, coniugando rappresentatività ed efficienza istituzionale», Relazione finale del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, 11

115

l’approvazione a maggioranza assoluta, da parte della Camera, di una mozione

di sfiducia costruttiva, comprendente l'indicazione del nuovo Presidente del

Consiglio; il Presidente del Consiglio in carica è titolare del potere di chiedere

al Presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato della Camera dei

deputati, ma solo se non è già stata presentata una mozione di sfiducia

costruttiva»124.

Per quanto riguarda il finanziamento pubblico ai partiti, la relazione

evidenzia come costituisca un fattore ineliminabile per la correttezza della

competizione democratica e per evitare che le ricchezze private possano

condizionare impropriamente l’attività politica, a patto che il finanziamento sia

corrisposto «in forma adeguata» e con verificabilità delle singole spese. A tal

fine ne propone una riforma tesa a garantire una corrispondenza tra le spese

ed il rimborso, coordinando altresì le disposizioni in materia con una più

attenta disciplina del conflitto di interessi e del fenomeno delle lobbies125.

Infatti, nella misura in cui si contrae l’erogazione di finanziamenti da parte

dello Stato, aumenta la “sensibilità” dei partiti alle forme di pressione poste in

essere dalle lobbies.

124 Relazione finale del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, 12 125 col termine lobbies possiamo definire tutta una serie di gruppi sociali di diverso genere e portatori di interessi disparati che influiscono (o cercano comunque di influire) in vari modi sulle scelte dei pubblici poteri di cui sono in maggior misura interessati, in questo senso De Marco, Pasquino, Trupia e Petrillo

116

La questione delle lobbies era stata fino alla redazione di questo

documento quasi un tabù per le istituzioni italiane. Occorre notare un

interessante spunto posto da attenta dottrina: con la crisi dei partiti politici,

tradizionali mediatori degli interessi della società civile presso le istituzioni

pubbliche, tale fenomeno ha assunto una dimensione maggiore, ed è sembrato

configurarsi quale “succedaneo” della rappresentanza politica, se non

addirittura alternativa a essa. La necessità di una regolamentazione è dunque

urgente, anche perché il legislatore, costretto a scontrarsi con materie sempre

più tecniche, ha sempre più bisogno dei rappresentanti di interessi. La stessa

dottrina inoltre ha notato come i Paesi nei quali si è deciso di regolamentare la

disciplina delle lobbies sono sistemi in cui il Parlamento è “forte” – nel senso

che gioca un ruolo chiave nei processi politici; all’opposto, al Parlamento

debole corrispondono interessi oscuri126.

A tal fine il Gruppo propone una soluzione modulata su quella degli

Stati Uniti, istituendo presso la Camera, il Senato e presso le Assemblee

regionali l’albo dei portatori di interessi. Gli iscritti dovrebbero avere diritto a

essere ascoltati nella istruttoria legislativa relativa a provvedimenti che

incidono su interessi da loro rappresentati. Per garantire una decisione più

democratica, il decisore deve rendere esplicite nella relazione al

126 T.E. FROSINI, La democrazia e le sue lobbies, da dirittoestoria.it 3/2012

117

provvedimento le ragioni della propria scelta e deve evitare ogni possibile

situazione di potenziale o attuale conflitto di interesse.

7. La proposta di legge Finocchiaro – Zanda

Il 22 marzo di quest’anno un gruppo di senatori del PD ha presentato

un disegno di legge sull’attuazione dell’articolo 49 dei partiti oggetto di grandi

polemiche. In realtà il disegno di legge Finocchiaro – Zanda non faceva che

riproporre un testo i legge che già era stato oggetto della discussione in I

Commissione nel 2012.

Cifra specifica del discusso disegno di legge era l’obbligo per i partiti

politici di costituzione secondo le forme dell’associazione riconosciuta ai fini

dell’accesso al finanziamento pubblico e della partecipazione alle competizioni

elettorali. La norma, all’articolo 3, imponeva la costituzione mediante statuto.

Ai sensi dello stesso articolo lo statuto avrebbe dovuto disciplinare gli organi

direttivi e i metodi per la loro elezione, le procedure richieste per

l’approvazione degli atti che impegnano il partito, i metodi per garantire la

partecipazione degli iscritti.

Particolarmente interessante alla lettera b) dello stesso articolo era la

previsione per cui lo stesso atto statutario deve individuare i casi di

118

incompatibilità tra cariche dirigenziali all’interno del partito e incarichi, o

nomine, a livello istituzionale e delle amministrazioni pubbliche nazionali e

locali. La norma assegnava ad una società di revisione iscritta all’albo della

CONSOB il controllo dei rendiconti di esercizio, (già la legge 96/2012

prevedeva il controllo del bilancio da parte delle stesse società).

L’articolo 4 del progetto di legge prevedeva altresì come obbligatorie

le primarie. Entro quattro mesi dalla scadenza del termine per la presentazione

delle candidature, il legale rappresentante di un partito politico ovvero i legali

rappresentanti di più partiti tra loro coalizzati possono richiedere all’ufficio

elettorale competente di indire elezioni primarie per la selezione dei propri

candidati a sindaco e a presidente di regione, alla carica di Presidente del

Consiglio dei ministri e per la selezione dei propri candidati alle assemblee

rappresentative.

La norma ha attirato aspre critiche ed è stata definita “legge anti –

movimenti”, poiché negava il rimborso elettorale e la possibilità di

partecipazione alle elezioni a quelle forze che non si fossero costituite secondo

la forma dell’associazione riconosciuta. A molti commentatori la norma è

sembrata confezionata ad hoc per mettere all’angolo il Movimento 5 Stelle. Il

movimento antipolitico infatti si dichiara fieramente «non associazione» al

primo articolo del suo statuto, definendosi altresì «una piattaforma ed un

119

veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo

epicentro nel blog beppegrillo.it», con una formula che si può definire

quantomeno oscura e mostrando totale sfiducia in ogni possibile

regolamentazione della vita de partiti politici.

Inoltre anche la dottrina si è mostrata critica rispetto alla previsione

dell’obbligo di costituzione secondo le forme dell’associazione riconosciuta.

Alcuni hanno ritenuto che il progetto normativo è «irrimediabilmente in

contrasto con la nostra Costituzione» poiché imporrebbe un vincolo – la

costituzione in associazione riconosciuta – che darebbe vita ad «un’arbitraria

limitazione dei diritti dei cittadini sotto un duplice profilo. Non solo si

verrebbe a restringere in maniera irragionevole e sproporzionata il diritto di

elettorato passivo garantito dall’articolo 51 della Costituzione, ma anche la

libera formazione dell’opinione pubblica e l’autodeterminazione dei cittadini al

momento del voto. Agli elettori, infatti, non sarebbe consentito esprimere la

propria preferenza in favore dei soggetti politici che rifiutino – magari

programmaticamente – di assumere la forma imposta dalla legge»127.

Alla luce di una lettura evolutiva dell’articolo 49 della Costituzione

però tale posizione sembra parzialmente non condivisibile. E’ stato già altrove

127 C. CASSINARI, Democrazia interna e trasparenza nei partiti politici: una riforma non più rinviabile, da La Costituzione in officina, il primo intervento urgente, a cura di F. Rigano, 2013, 29

120

evidenziato come il silenzio dei Padri Costituenti sul tema della disciplina

interna dei partiti sembri più legato a ragioni storiche che giuridiche.

Oltretutto è già da tempo che la dottrina sottolinea la necessità – e la

possibilità – di una legge di regolamentazione della vita dei partiti politici.

Appare necessario restituire ai partiti quel ruolo di raccordo fra i cittadini e le

istituzioni, che è fondamentale in una democrazia pluralista, e che, proprio per

questo motivo, non può più essere sottratto ad una regolazione dei partiti in

forme autenticamente democratiche ed aperte al controllo dell’opinione

pubblica se non della legge.128 Inoltre, autorevole dottrina nota come la

distinzione fra “metodo democratico”, previsto per i partiti, e “base

democratica”, prevista per i soli sindacati, è stato un argomento utilizzato per

evitare lo scoglio della regolamentazione. Ma è un argomento divenuto

sempre più debole, per due ragioni.

Intanto perché la regolamentazione dovrebbe essere riservata ai partiti

che accedono al finanziamento pubblico, come onere per gli stessi. E perché,

inoltre, in altra direzione vanno le esperienze di altri Paesi, le cui Costituzioni

più recenti tendono a prevedere (ultima la revisione costituzionale portoghese

del 1997), insieme, la base democratica dei partiti e il loro finanziamento. Da

tempo, comunque, molti ordinamenti prevedono forme di regolazione dei

128 in questo senso T.E FROSINI, E’ giunta l’ora di una legge sui partiti politici?, da dirittoestoria.it, n.2, marzo 2003

121

partiti, tanto che allorché nel 2001 il Parlamento europeo ha discusso dello

Statuto dei partiti europei, da ammettere al finanziamento, ha dovuto fare i

conti con la eccezione italiana, che non prevede la loro personalità giuridica129.

Piuttosto l’obbligo di costituzione nella forma dell’associazione

riconosciuta pone dei dubbi di natura diversa. Muovere da una concezione

rigorosamente «privatistica», il rapporto tra partiti e Stato sembra sfociare in

un assetto, per così dire, contrattuale, «nel quale i primi aderiscono alla forma

del meccanismo costituzionale per aggirarlo e svuotarlo dall’interno con la

loro azione politica, ed il secondo si appaga di tutelare dall’esterno le

condizioni in cui si svolge la lotta politica»130. Non dunque un’adesione

pedissequa alle forme del diritto privato, bensì forme nuove, di impianto

pubblicistico.

In questa prospettiva, occorre considerare quell’indirizzo di pensiero

che, movendo dalla constatazione che nello Stato contemporaneo «l’area del

pubblico si è dilatata ben al di là dell’esercizio dei poteri autoritativi che essa

appare vieppiù intrecciata con la sfera del sociale, ha suggerito una

ricostruzione della natura giuridica del partiti che, prescindendo dalle categorie

129 A. BARBERA, La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, Relazione al Convegno organizzato dal CESIFIN “Alberto Predieri”e dal Centro di studi politici e costituzionali Piero Calamandrei – Paolo Barile – Rettorato Università di Firenze, 19 ottobre 2007, da forumcostituzionale.it 130 G.U. RESCIGNO, Gruppi parlamentari, in Enciclopedia del Diritto, vol. XIX, 1970, 795

122

tradizionali del diritto privato e dell’incorporazione nell’apparato statale,

sarebbe la risultate della compenetrazione tra uno status di libertà e di

eguaglianza dei partiti con uno spiccatamente pubblicistico». Fatte queste

considerazioni, non può che giungersi alla conclusione per cui «lo status dei

partiti è apparso inseparabile da una misura di responsabilità che per i partiti

medesimi, a differenza che per le altre forme di espressione dell’opinione

pubblica e per i gruppi di interesse, deriverebbe dall’esigenza di sottostare

periodicamente ad una verifica elettorale della legittimazione della loro linea

politica».131

Appare dunque più convincente tornare a quelle proposte, ad esempio

A.C. 5553 del 1999, che prevedevano regole di costituzione ad hoc dei partiti

politici, come la costituzione in un apposito registro dei partiti istituito presso

la Corte d’Appello. Questo eviterebbe altresì il deposito presso le Prefetture,

dove vengono conservati i registri delle associazioni riconosciute, laddove

potrebbe configurarsi anche solo in astratto un controllo del potere esecutivo

sugli statuti partitici.

131 P. RIDOLA, Partiti politici, voce, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXII, 125

123

8. Il disegno di legge A.C. 1554

A seguito delle polemiche e dei dubbi di incostituzionalità che lo

hanno riguardato, il ddl Finocchiaro – Zanda è stato ritirato dai suoi

promotori. Pochi mesi dopo però è stato il Governo in un disegno di legge di

sua iniziativa ad affrontare il tema della regolamentazione della vita dei partiti.

Il disegno di legge di iniziativa governativa A.C. 1554 ha il merito di

disciplinare congiuntamente la materia dell’ordinamento dei partiti e quella del

finanziamento della loro attività. Rispetto alle proposte di legge già presentate

in materia però, il testo proposto dal Governo appare meno incisivo in

materia di democratizzazione dei partiti e piuttosto concentrato su un disegno

di progressiva abolizione di ogni forma di sovvenzione pubblica ai partiti.

Nonostante infatti il Gruppo per le riforme istituzionali avesse sottolineato

come costituisse «un fattore ineliminabile per la correttezza della

competizione democratica», il Governo in carica si propone la totale

abolizione del finanziamento. Tra gli estensori della proposta c’è anche

l’attuale Ministro per le Riforme Costituzionali, già membro del consesso dei

Saggi.

L’articolo 2 del disegno di legge definisce i partiti libere associazioni

attraverso le quali i cittadini concorrono,con metodo democratico, a

124

determinare la politica nazionale prevedendo che siano dotati di uno statuto

(non più costitutivo così come voluto dalla legge del 2012) che riporti anche

indicazioni su organi deliberativi, diritti e doveri degli iscritti e modalità di

selezione delle candidature (articolo 3). L’articolo successivo prevede altresì

l’istituzione di un registro dei partiti politici, custodito dalla Commissione già

istituita ai sensi dell’articolo 9 della legge 96/2012, la cui iscrizione è

subordinata alla verifica di conformità dello statuto alle regole imposte

dall’articolo 3.

Oltre ad una serie di previsioni che non fanno che ampliare le regole

di trasparenza dei bilanci già contenute nella legge del 2012, il fulcro della

disciplina è al Capo III, dove viene affrontato il nodo della contribuzione

volontaria e della contribuzione indiretta ai partiti politici. La disciplina così

come configurata dovrebbe entrare in vigore dopo quattro anni

dall’approvazione della legge, lasciando spazio ad un regime transitorio di

progressivo abbandono del sistema di finanziamento statale.

Per la nuova disciplina, i partiti iscritti al registro di cui all’articolo 4

hanno diritto ad accedere a due tipi di finanziamento: al finanziamento privato

in regime fiscale agevolato ex articolo 9 e delle risorse rinvenienti dalla

destinazione da parte dei contribuenti del due per mille dell’imposta sul

reddito delle persone. Per essere beneficiari del primo tipo di finanziamento i

125

partiti devo aver ottenuto almeno un candidato eletto nelle elezioni alla

Camera, al Senato, al Parlamento europeo o Consigli regionali e delle province

autonome. In mancanza di eletti, è sufficiente aver presentato candidati in

almeno 3 circoscrizioni per le elezioni della Camera o in 3 regioni per le

elezioni del Senato o in un consiglio regionale o delle province autonome o in

almeno una circoscrizione per le europee (art. 8, comma 1, lett. a).

Il comma 2 dell’articolo 9 modula le detrazioni a favore delle persone

fisiche in due tipologie: per le piccole donazioni, da 50 e 5.000 euro annui la

detrazione spettante è del 52%, mentre rimane al 26% per gli importi superiori

fino a 20.000 euro. L’assoggettare ad una detrazione di importo maggiore le

erogazioni di minor entità (fino a 5.000 euro), ha lo scopo di stimolare i

contribuenti a beneficiarne.

Il comma 3 estende la detrazione dal reddito IRPEF, per un importo

pari al 52%, anche per le quote di iscrizione a scuole o corsi di formazione

politica (sempre che siano organizzati da partiti iscritti al registro) per un

importo massimo di 500 euro per ciascuna annualità.

Relativamente ai finanziamenti erogati da società, in base al comma 4,

queste possono detrarre un importo pari al 26% (attualmente è del 19%) per

126

gli importi tra 50 a 100.000 euro (attualmente i limiti minimo e massimo sono

pari a 51,65 euro e 103.291,38 euro).132

La seconda forma di contribuzione prevede i partiti come beneficiari

della destinazione del due per mille dell’ imposta sul reddito delle persone

fisiche ex articolo 10. I partiti possono beneficiare di tali fondi laddove

nell’ultima consultazione elettorale abbiano ottenuto almeno un candidato

eletto sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo del Senato della

Repubblica, della Camera dei deputati o dei membri del Parlamento europeo.

Laddove il singolo contribuente non voglia effettuare la destinazione a

favore dei partiti le risorse restano all’erario ai sensi del comma 6.

Le disposizioni transitorie disciplinano un iter di abolizione del

finanziamento pubblico a favore di un regime completamente privatistico.

L’articolo 14 infatti prevede una riduzione progressiva del finanziamento negli

anni di esercizio successivi all’entrata in vigore del testo di legge, fino a cessare

del tutto dal quarto anno (articolo 14 comma 2).

Ad oggi la discussione del disegno di legge si è bloccata alla Camera.

In particolare, il punto su cui i partiti non riescono a trovare un punto di

132 Servizio studi Camera dei Deputati, documentazione per l’esame di progetti di legge, 17 giugno 2013, numero 26

127

incontro è il tetto massimo di donazioni private imposto dalla legge, che parte

del centrodestra vorrebbe del tutto abolire assieme alla previsione del solo

illecito amministrativo, e non più del reato, in caso di finanziamento illecito ai

partiti. Nel frattempo gli emendamenti al testo di legge sono già quasi 200.

Oltre che previsioni di aggiustamenti delle aliquote di detrazione, o anche di

entrata in vigore del regime privatistico immediata, molte sono le proposte

che prevedono la soppressione dell’articolo 14 e dunque della totale

abolizione delle sovvenzioni pubbliche.

Le notazioni che preme fare sin da ora, riservandosi osservazioni più

precise a seguito del dibattito parlamentare e della eventuale approvazione,

sono due. Innanzitutto il legislatore italiano si avvia all’abolizione del

finanziamento pubblico ai partiti o quantomeno del rimborso delle spese

elettorali percorrendo una strada divergente non solo con la legislazione degli

altri Paesi europei, ma con le stesse linee direttive che il Gruppo di lavoro per

le riforme istituzionali aveva dato all’avvio dell’attuale legislatura.

Il disegno di legge inoltre prevede la progressiva sostituzione del

finanziamento pubblico con strumenti di finanziamento privato. Un

esperimento simile fu fatto, come ricordato, nel 1997, ma pochi anni dopo il

legislatore dovette abbandonare il progetto perché furono pochi i cittadini che

contribuirono versando una quota dell’IRPEF ai partiti. Appare singolare

128

come oggi, in piena crisi economica e di fiducia dell’elettorato, il Governo

voglia tornare a percorrere quella strada, peraltro senza prima rinsaldare i

rapporti coi cittadini con una legge di regolamentazione dei partiti politici.

9. Il finanziamento alla politica in Spagna

L’ordinamento spagnolo prevede una forma di finanziamento alla

politica sin dal 1987. Recentemente la disciplina è stata modificata al fine di

garantire maggiore trasparenza. Il legislatore spagnolo ritiene però

fondamentale il finanziamento alla politica.

Questo emerge anche dal preambolo della nuova legge in materia di

finanziamento pubblico ai partiti del 2007: «La libertà dei partiti sarebbe lesa

se la formula di finanziamento consentito fosse ispirata ad un modello di

piena privatizzazione perché, se così fosse, si potrebbe sempre dubitare della

possibile influenza che i contributi dei privati potrebbero aver esercitato, tanto

da spezzare il ruolo dei partiti politici come istituzioni e canale di formazione

della volontà popolare».

Il finanziamento pubblico spagnolo configura un sistema misto

pubblico – privato. Mentre per il primo tipo di finanziamento, a sua volta

suddiviso in rimborso elettorale e finanziamento alla vita del partito, la legge

129

impone – in particolare per le spese elettorali – un tetto di spesa, la nuova

disposizione del 2007 non individua invece un limite alle donazioni dei

soggetti privati, innovando dunque la disciplina rispetto a quella contenuta

nella legge del 1987133.

La nuova legge individua, all’articolo 2, cinque forme di finanziamento

pubblico a partiti politici, federazioni, coalizioni o gruppi di elettori:

1)le sovvenzioni pubbliche conferite a titolo di rimborso delle spese

elettorali, nei termini previsti dalla Legge organica del 19 giugno 1985, numero

5 (Ley organica del Régimen Electoral general), a livello statale, e dalle leggi

regionali sui procedimenti elettorali delle singole Comunità autonome;

2)le sovvenzioni statali annuali per le spese generali di funzionamento;

3)le sovvenzioni annuali stabilite dalle Comunità autonome e, se del

caso, dagli enti locali, per le spese generali di funzionamento nel proprio

ambito territoriale;

4)le sovvenzioni straordinarie per la realizzazione di campagne di

propaganda in occasione dello svolgimento di referendum;

133 F.M. LEIVA, Financiamiento y fiscalizaciòn de los recursos de los partidos polìticos en Espana, da bibliojuridicas.unam.mx, consultato nel settembre 2013, tradotto da chi scrive

130

5)gli apporti che i partiti politici, se del caso, possono ricevere dai

gruppi parlamentari delle Camere, delle Assemblee legislative delle Comunità

autonome e dai gruppi di rappresentanza negli organi degli enti locali134.

Per quanto riguarda il rimborso delle spese per le campagne elettorali,

la legge prevede dei tetti di spesa. La condizione di accesso a tale fondo è

l’aver ottenuto almeno un eletto. Il limite di spesa è ottenuto moltiplicando

trentasette centesimi di euro per il numero di elettori di ogni circoscrizione.

Accanto ai fondi per il funzionamento del partito politico resta

invariata la previsione già presente nella legge del 1978 di rimborsi parziali

delle spese sostenute in campagna elettorale.

Condizione di accesso al finanziamento è l’avere almeno un eletto nel

Congresso dei Deputati ex articolo 3 comma 1.

Accanto a tali disposizioni, il legislatore spagnolo disciplina anche il

finanziamento privato da parte di persone fisiche o giuridiche, ad esclusione di

enti a partecipazione pubblica o di fondazioni private che ricevono fondi

pubblici (articolo 4 lettera d). Le donazioni effettuate dai singoli vengono

valutati alla stregua di donazioni a favore di enti no profit. Anche in Spagna

dunque vige un regime di favore per i finanziamenti privati ai partiti.

134 Servizio studi Camera dei Deputati, Documentazioni per le commissioni, aprile 2011, numero 23

131

La norma prevede inoltre una minuziosa disciplina di rendicontazione

che grava sul tesoriere di partito, tenuto ad aggiornare libri contabili,

inventario e stato patrimoniale ex articolo 14 ed a redigere il bilancio

consolidato del partito nazionale riunendo in un’unica scrittura contabile i

bilanci delle sedi regionali, distrettuali e provinciali. Sarà unico anche l’atto che

espone la situazione patrimoniale di federazioni di partiti.

Il bilancio così formalizzato è inviato alla Corte dei Conti ai sensi del

comma settimo dello stesso articolo. La magistratura contabile effettua un

controllo economico finanziario unito ad un controllo di legalità delle somme

sia pubbliche che private percepite dal partito, nonché della regolarità

contabile delle attività svolte (articolo 15).

La Corte emette una relazione entro sei mesi in cui si pronuncia sulla

regolarità e congruità della rendicontazione. In caso di irregolarità può anche

infliggere sanzioni pecuniarie al partito politico. Le condanne possono

ammontare al doppio del finanziamento percepito quando è stata violata la

disposizione che vieta la corresponsione di somme ad aziende a

partecipazione pubblica o ad enti stranieri, o anche al blocco dei fondi

pubblici laddove il partito abbia omesso di presentare il rendiconto. Il partito

è tenuto a dare pubblicità alla relazione della Corte, inserendola nella

documentazione consultabile del proprio sito web.

132

10. Il finanziamento ai partiti in Germania

E’ la stessa Costituzione tedesca a prevedere un regime di pubblicità

per la gestione dei fondi dei partiti politici. L’articolo 21 della GG infatti

prevede che i partiti «devono tenere conto pubblicamente della provenienza e

dell’utilizzazione dei loro mezzi finanziari e dei loro beni». La disciplina

tedesca consente solo il rimborso delle spese elettorali a tutti i partiti,

prevedendo infatti bassissime soglie di sbarramento elettorale per accedere a

tali fondi. Ad essere invece finanziate nelle loro attività sono altresì le

fondazioni di partito135.

Nel disciplinare l’interventismo statale nei confronti dei partiti politici,

ruolo di grande importanza ha avuto la Corte Costituzionale Federale. Le

frequenti pronunce della Bundesverfassungsgericht hanno avuto il merito di

delineare la disciplina in modo da improntarla a criteri di eguaglianza e parità

di chances.

Una prima pronuncia risale al 1966, quando la Corte dichiarò

l’incostituzionalità delle sovvenzioni che non fossero spese elettorali, in virtù

di un generale principio di uguaglianza tra i partiti. Il legislatore, recependo la

posizione del Tribunale Costituzionale, disciplinò la materia nella legge sui

135 vedi oltre

133

partiti varata nell’anno successivo, prevedendo al titolo IV non solo una

dettagliata disciplina sui criteri di rimborso, ma anche regole precise per la

stesura di una rendicontazione pubblica e per la tenuta delle scritture contabili.

Nel corso del tempo il legislatore tedesco ha provveduto a introdurre

nella disciplina sistemi di controllo dei bilanci, dando notevoli poteri al

presidente del Bundestag.

Dopo aver più volte richiamato l’attenzione sul fatto che il rimborso,

se erogato in via continuativa, diventava di fatto finanziamento e dunque

violava le previsioni costituzionali, la Bundesverfassungsgericht nel 2004 è

intervenuta a gamba tesa sulla disciplina appena varata dal legislatore tedesco.

La nuova legge, varata all’indomani di scandali che coinvolsero la

politica tedesca, modifica i criteri di determinazione di rimborso, prevedendo

un rimborso di settanta centesimi di euro purché il partito avesse ottenuto

almeno lo 0,5% di voti su scala nazionale in occasione delle elezioni per il

Bundestag o per il Parlamento europeo, ovvero l'1% in un Land in occasione

del rinnovo del Landtag136. A questa previsione se ne affiancava un’altra: i

partiti che nelle ultime elezioni per il Bundestag e per il Parlamento Europeo

abbiano raccolto meno dello 0,5% dei voti validamente espressi possono

136 G. REPETTO, Nuove disposizioni in tema di finanziamento pubblico dei partiti in Germania, da Rivista dell’associazione Italiana dei Costituzionalisti, 26 settembre 2002

134

accedere al finanziamento pubblico solamente ove gli stessi partiti abbiano

percepito nelle tre più recenti elezioni per il rinnovo di Parlamenti regionali

almeno l’1%, o in una di esse almeno il 5% dei voti validamente espressi137. La

clausola di sbarramento fu definita Drei-Länder-Quorum, così chiamata perché

l’unica chance di più facile raggiungimento del quorum per i partiti minori era

la presentazione di liste nelle città-stato di Amburgo, Berlino e Brema.

La norma fu oggetto dell’impugnazione di due partiti minori, il DIE

GRAUEN – Graue Panther, che ha come riferimento gli elettori pensionati ed

appartenenti alla terza età, e la Ökologisch-Demokratische Partei, Partito

Democratico – Ecologista. La Corte, accogliendo le istanze delle due forze

politiche, ha emesso due sentenze storiche con le quali ha precisato con

grande chiarezza i principi che dovevano ispirare il rimborso delle spese

elettorali.

La Bundesverfassungsgericht ha evidenziato come lo sbarramento limitasse

«la sostanziale lealtà del processo politico tutelata sul piano costituzionale. Dal

momento che l’ordinamento tedesco» si legge nella sentenza «si caratterizza

come una democrazia fondata sul multipartitismo, la citata equità del sistema

politico si realizza proprio grazie alla possibilità di fondare in ogni momento

137 A. DE PETRIS, Soldi pubblici e Chancengleicheit: il Tribunale Costituzionale tedesco precisa i criteri del finanziamento statale ai partiti, da Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 12 novembre 2004

135

nuove organizzazioni partitiche, finalizzate ad offrire ad inediti orientamenti la

possibilità di affermarsi con successo nel processo popolare di formazione

della volontà politica: in altre parole, l’accesso al “mercato della politica” deve

essere aperto a tutti.

Anche i partiti di piccole dimensioni rivestono una loro importanza

riguardo al processo ed il panorama politico. Su un arco di tempo medio-

lungo, la concorrenza tra partiti può produrre effetti solo se essa non è

limitata ad una competizione tra le formazioni già esistenti e premiate dal

voto, ma ampliata, intensificata e favorita dall’ingresso di nuovi concorrenti e

dalla perdurante sfida allo status quo lanciata dai soggetti politici di nicchia138».

La norma dunque è stata espunta dal testo della nuova legge, che ha

previsto come condizione per l’ammissione ai contributi solo il

raggiungimento di un quorum del 0,5% del totale dei voti validi (per le

elezioni europee e del Bundestag) o all’1% dei voti validi (per le elezioni dei

Parlamenti dei Länder).

All’articolo 2 la norma prevede che alle formazioni politiche

vengano annualmente corrisposto (art. 18, comma 3):

138 A. DE PETRIS, Soldi pubblici e Chancengleicheit: il Tribunale Costituzionale tedesco precisa i criteri del finanziamento statale ai partiti, da Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 12 novembre 2004

136

1) un contributo proporzionale ai voti ricevuti pari ad ottantacinque

centesimi di euro per ogni voto valido, fino a 4 milioni di voti e a settanta

centesimi di euro per ogni voto ulteriore ottenuto da ciascuna formazione

nelle ultime elezioni per il Bundestag, per il Parlamento europeo e per i

Parlamenti del Länder.;

2) un contributo calcolato sulla quota di

autofinanziamento di trentotto centesimi di euro per ogni euro che il singolo

partito abbia ricevuto come donazione o a titolo di quota di iscrizione da una

persona fisica139.

La norma prevede altresì un limite all’ammontare dei contributi totali.

Inoltre, il contributo che ciascun partito può ricevere non può superare

l’importo annuale ottenuto dal partito stesso tramite i contributi d’iscrizione,

donazioni spontanee di sostenitori ed iscritti, in virtù dell’istituto di matrice

tedesca del cofinanziamento, che il legislatore italiano ha introdotto nella più

recente legge.

Anche le indennità parlamentari rientrano nei computo del

finanziamento alla politica. Gli statuti di tutti i partiti obbligano i propri

rappresentanti a versare una cospicua somma al partito (Parteisteuer). Di fatto,

139 Servizio studi Camera dei Deputati, Documentazioni per le commissioni, aprile 2011, numero 23

137

dunque, nell’indennità ai parlamentari si nasconde in parte un ulteriore e

indiretto contributo al partito.

Come nelle leggi di altri Paesi, anche in Germania esistono limitazioni

per le donazioni di società a partecipazione pubblica e soggetti stranieri, a

meno che non provengano da un cittadino tedesco, dell’Unione europea, da

un’impresa a prevalente proprietà tedesca o comunque la donazione non

superi i mille euro.

Tutte le donazioni devono essere comunicate al Presidente

del Bundestag che ha cura di renderli noti tramite la pubblicazione della

Rendicontazione.

Prima di essere presentata al Presidente del Bundestag, la

rendicontazione deve essere verificata preventivamente da un revisore dei

conti o da una società di revisione contabile ai sensi dell’articolo 23 comma 3

della stessa legge. Al termine della valutazione del Presidente, i rendiconti dei

partiti e le relative note di verifica sono pubblicati come atti del Bundestag.

Spetterà poi alla Corte federale dei Conti il compito di verificare che il

Presidente del Bundestag, nella sua qualità di amministratore dei fondi erogati

dallo Stato, abbia provveduto al rimborso delle spese elettorali.

138

11. Le Stiftungen

Particolare attenzione merita infine il fenomeno delle fondazioni

legate ai partiti. In Germania i partiti politici hanno iniziato a creare

fondazioni sin dagli anni ‘50. La prassi e la giurisprudenza costituzionale

hanno relegato l’attività delle stesse in un ruolo di sviluppo della cultura

politica e di conservazione della memoria storica dei singoli partiti, evitando

dunque che si rivelassero la longa manus della politica, o, peggio ancora, una

fonte di finanziamento occulta.

L’esempio tedesco è particolarmente rilevante per il nostro Paese,

dove negli ultimi anni sono proliferate le fondazioni dei “big” di partito. Sul

punto non mancano voci critiche di chi crede che la fondazione, aldilà dei

propositi ecologisti – culturali – sociali, nasconda ben altro. «A ciascuno il suo

think tank insomma. Fondazioni, laboratori, centri studi si moltiplicano o si

potenziano, parallelamente, spesso trasversalmente ai partiti. Organizzano

convegni, stabiliscono legami con le università, fanno lobbyng, nel senso

anglosassone. Il motivo del successo? Avere una Fondazione fa fine e,

soprattutto, non impegna. Aiuta il leader a muoversi più agilmente tra le

139

trappole di un sistema politico sempre più caotico e scivoloso. E, cosa non

secondaria, facilita le manovre tra regole fiscali e societarie».140

Nel 1962 il Bundestag iniziò a contribuire finanziariamente alle attività

delle fondazioni. Ad oggi non esiste una norma ad hoc, ma di fatto la loro

natura giuridica, la loro attività ed i rapporti con il partito politico di

riferimento sono modellati sulle linee guida tracciate dalla Corte

Costituzionale Federale nel 1986.

I giudici costituzionali hanno stabilito che i finanziamenti alle

fondazioni politiche sono legittimi purché queste siano giuridicamente

indipendenti dai partiti. Pertanto, il presidente e il portavoce del direttivo, i

dirigenti amministrativi e il tesoriere di una fondazione non possono

svolgere alcuna funzione comparabile all’interno del partito ai cui ideali e alla

cui storia la fondazione si riferisce141.

La Bundesverfassungsgericht ha altresì delimitato i compiti che la

fondazione politica può svolgere alle sole attività culturali, vietando invece

ogni coinvolgimento nell’attività elettorale del partito di riferimento.

140 A. SARDONI, Rifondare la politica? Per ora siamo alle fondazioni, da Il venerdì di Repubblica, 5 dicembre 2005 141 Servizio studi Camera dei Deputati, Documentazioni per le commissioni, aprile 2011, numero 23

140

CONCLUSIONI

Con questo breve lavoro di tesi si è cercato di dimostrare l’urgenza

con cui è necessario agire perché il principio di rappresentanza torni ad essere

il fulcro della vita democratica. Perché questo accada è necessario che si

prenda atto del ruolo dei partiti, che non è e non può essere meramente

“sociale”, ma che si pone all’interno dell’assetto delle istituzioni democratiche.

I compiti affidati dalla stessa Costituzione e poi dalla legge ordinaria alle forze

politiche, infatti, le rendono protagoniste della vita istituzionale. In quanto tali,

i partiti politici dovrebbero conformarsi a quei principi di legalità e trasparenza

che regolano – o dovrebbero regolare – l’operato dell’intera amministrazione.

Questa esigenza, avvertita dalla dottrina sin dai primi anni ’50, è

oramai divenuta centrale anche per l’opinione pubblica. Ne sono stati segnali

inequivocabili già il referendum abrogativo di parte della legge sui

finanziamenti pubblici alla politica del 1993, nonché il successivo flop della

previsione del quattro per mille da destinare ai partiti. Oggi il boom elettorale di

movimenti dichiaratamente «antipolitici» pone la politica “tradizionale” ancora

una volta di fronte alla necessità dei cittadini di democratizzare la vita dei

partiti.

141

Come attenta dottrina ha suggerito, i movimenti – ed in particolare la

forza politica in esame – nascono proprio come reazione al modo di fare

politica dei partiti tradizionali. Nel caso italiano, massima centralità è stata data

dal movimento proprio alla democratizzazione delle decisioni del gruppo. Gli

strumenti tecnologici diffusi capillarmente hanno consentito un

coinvolgimento dell’elettorato in ogni decisone. Premono però una serie di

considerazioni a proposito.

La grande opportunità offerta dalle moderne tecnologie è certamente

un formidabile strumento nelle mani dei cittadini per ampliare quel concetto

di «concorso» già enunciato proprio dall’articolo 49. D’altra parte però è

fondamentale non confondere il fine con il mezzo. Non è la mera pubblicità o

conoscibilità delle dinamiche interne di un partito politico a renderlo per ciò

stesso democratico. Oltretutto anche i metodi di consultazione online per

individuare testi di mozioni e candidati danno vita ad una democraticità solo

formale quando sono frutto di regole imposte da una sola parte, (o meglio

ancora gestite da società private di comunicazione web). Lo stesso discorso,

come anticipato, vale per quelle primarie di partito che ad oggi hanno più il

valore di un referendum consultivo che di una vera e propria elezione

popolare.

142

Inoltre, sebbene il coinvolgimento di più ampi strati di popolazione

nelle decisioni politiche sia sempre da lodare nei sistemi democratici, c’è da

chiedersi se la costante consultazione attraverso metodi informali – e non, ad

esempio, con referendum – non rischi di diventare da un lato uno strumento

atto a scaricare le responsabilità delle scelte politiche sull’elettorato, talvolta

col rischio di banalizzare e semplificare decisioni complesse, dall’altro crei un

pericoloso rapporto di mandato tra elettore ed eletto.

Infine, non può che suscitare qualche perplessità la tendenza di questi

gruppi che, pur essendo ormai parte integrante delle istituzioni grazie al

grande consenso elettorale raccolto, continuano a mantenere un assetto ed a

rivendicare un ruolo più consono ad un gruppo di pressione che ad un gruppo

politico rappresentato nelle istituzioni. Questo è evidente dal fatto che l’intero

movimento fa costante riferimento ad un leader che oltre a non aver alcun

ruolo pubblico – ma questo non appare il reale problema – esprime

costantemente considerazioni antisistemiche che rendono difficile conciliare la

linea politica con le necessità ed i doveri istituzionali.

E’ necessario però non gettare il bambino con l’acqua sporca e

cogliere le istanze urgenti e pressanti che provengono da tali realtà. I partiti

tradizionali sono dunque posti dinanzi ad un bivio: o continuare a perdere

consenso a favore di forze antisistema, o accogliere la domanda di democrazia

143

e trasparenza che a seguito della caduta delle ideologie diviene il fulcro della

fiducia politica.

Oltretutto è evidente che l’istanza di democratizzazione venga forte

anche da quella parte della politica che fino ad oggi sembrava essere sorda ai

richiami della democratizzazione delle dinamiche interne, poiché stretta

attorno alla figura di un leader carismatico. Ma, come già anticipato dai teorici

del partito pigliatutto, in questo caso sono le regole del mercato e non quelle

del ricambio democratico a dettare i cambi di leadership. Sebbene sarebbe

illusorio pensare di fermare l’inarrestabile tendenza alla “breandizzazione” anche

dei fenomeni democratici senza cadere in ideologie anacronistiche, pare

necessario che le dinamiche democratiche vengano quanto più possibile

tutelate dal marketing.

In questa direzione sembra andare in particolare non solo la relazione

conclusiva del Gruppo di lavoro per le riforme istituzionali, ma soprattutto

una proposta di legge presentata al Senato e non ancora oggetto di

discussione. Nel disegno di legge Compagna – Corsini – Albertini sembra

chiaro ai tre senatori (due dei quali sono degli storici, il che non sembra

casuale) il ruolo che ad oggi a fronte di una lettura evolutiva dell’articolo 49 i

partiti politici devono avere. A tal fine la proposta di legge, riprendendo il

testo di Mortati, suggerisce la fondazione dei partiti mediante statuto

144

costitutivo da depositare presso il Tribunale competente nel luogo della

costituzione e un meccanismo di primarie obbligatorie in cui il diritto di voto

è limitato ai soli iscritti. Si legge nella relazione al testo di legge: «Il partito

dev’essere la sede “istituzionale” in cui i cittadini si ritrovano per concorrere a

determinare gli indirizzi e le scelte della comunità. Ma per riportare i cittadini

alla politica occorre offrire loro sedi di dibattito trasparente, garantite, in cui

ognuno possa vedere realizzato il proprio contributo. E pensare a

un’autoriforma dei partiti e a un recupero della militanza senza una

regolamentazione giuridica che assicuri l’effettivo rispetto della democrazia

interna, riduca il peso degli apparati e limiti le scelte di vertice, attraverso

l’obbligo di ricorso alle elezioni primarie per la designazione dei candidati, è

puramente illusorio».

145

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