la disciplina del partito politico. un confronto coi modelli tedesco e spagnolo
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI
FEDERICO II
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA IN GIURISPRUDENZA
TESI DI LAUREA IN
DIRITTO PUBBLICO COMPARATO
LA DISCIPLINA DEL PARTITO
POLITICO.
UN CONFRONTO COI MODELLI
TEDESCO E SPAGNOLO
Relatore: Ch.mo Prof. Salvatore Prisco
Candidato: Giulia Musella Matr.: 991009373
Anno Accademico 2012/2013
II
Dedico questo lavoro ai miei genitori ed a mio fratello Ciro Marco.
Ringrazio il professor Prisco per i suoi preziosi insegnamenti.
Ringrazio tutti gli amici che mi hanno accompagnata in questo percorso.
Un grazie particolare va a Silvia, Valerio, Simona, Lucia, Stefano (sic!), Alessandro ed Antonio.
III
INDICE
I 1
1. Il partito politico in età liberale: il partito dei notabili 1
2. L’avvento dei partiti di massa 3
3. Il ventennio fascista e la fase precostituente: la proposta Mortati 12
4. I lavori dell’Assemblea Costituente 17
II 25
1. L’articolo 49 della Costituzione: la centralità del pluralismo partitico. Analogie e differenze con l’articolo 18 25
2. Il significato del «metodo democratico» 28
3. Partiti politici, forma di governo e legge elettorale 34
4. L’ordinanza 79/2006 della Corte Costituzionale 47
III 58
1. La disciplina dei partiti politici in Spagna e Germania 58
2. La disciplina dei partiti in Spagna 59
3. La nuova legge spagnola sui partiti 6/2002 66
4. Partiti politici in Germania: l’articolo 21 della Grundgesetz 72
5. La legge sui partiti tedeschi 76
6. Spagna e Germania: modelli a confronto. Verso lo Statuto Europeo dei partiti politici 81
IV 85
1. Il finanziamento pubblico alla politica: il nodo gordiano con la democratizzazione della vita dei partiti 85
2. La legge 195/74 sul finanziamento pubblico e successive modifiche 88
3. Dopo il referendum: le leggi di rimborso delle spese elettorali 96
4. Rimborso delle spese elettorali e regolamentazione dell’attività dei partiti: la disciplina attuale 103
5. L’avvento del Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali 109
IV
6. La Relazione finale del Gruppo di lavoro sulle proposte istituzionali 113
7. La proposta di legge Finocchiaro – Zanda 117
8. Il disegno di legge A.C. 1554 123
9. Il finanziamento alla politica in Spagna 128
10. Il finanziamento ai partiti in Germania 132
11. Le Stiftungen 138
CONCLUSIONI 140
BIBLIOGRAFIA 145
1. Libri e saggi 145
2. Webliografia 148
1
I
1. Il partito politico in età liberale: il partito dei notabili
Il principio di rappresentanza, baluardo ideologico dello Stato liberale,
trovò attuazione solo parziale nel Parlamento del Regno d’Italia. Lo Statuto
Albertino garantiva l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e li
ammetteva a godere «egualmente» dei diritti civili e politici1. La Costituzione
del 1848 demandava però alla legge ordinaria di disciplinare puntualmente le
regole del suffragio. Bisognerà attendere il 1912 perché la legge garantisse a
tutti gli italiani di sesso maschile l’esercizio del diritto di voto (per i minori di
30 anni però era ancora necessario il conseguimento della licenza elementare)
ed il 1946 perché lo stesso diritto fosse esteso anche alle donne.
Il suffragio elettorale ristretto limitava la partecipazione politica ad un
ambito sociale assai omogeneo ed oligarchico. Il partito era un’«associazione
di persone che professano la stessa dottrina politica» 2.
1 Regio Decreto del 4 marzo 1848, articolo 24: « I regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi» 2 B. CONSTANT, Cours de politique constitutionelle, II, Paris,1861, 285 (traduzione di chi scrive)
2
Secondo la classificazione di Duverger, il tipico partito dell’epoca
liberale è il partito dei notabili. Quelli che componevano il partito ed il
Parlamento erano allo stesso tempo eletti ed elettori: si occupavano di
raccogliere voti grazie ai loro rapporti personali, senza bisogno di proselitismo
ed iscritti, grazie anche al sistema elettorale maggioritario uninominale3. Il
tessuto connettivo del partito era l’affinità ideologica, l’idem sentire de re publica
(nel senso di “cosa pubblica”, “istituzioni rappresentative”: che erano
beninteso quelle di un Regno) in cui si riconoscevano i notabili medesimi. Se
da un lato dunque essi erano espressione di quelle società «parziali» di cui
parlava Rousseau, d’altro canto seppero mitigare la loro parzialità assumendosi
l’onere della rappresentanza dell’intera Nazione, così stabilendo già all’epoca il
divieto di mandato imperativo: era l’idea marxiana della borghesia (all’epoca in
un compromesso iniziale col residuo, ancorché depotenziati socialmente, ceto
nobiliare) come “classe generale”.
Il diritto di partecipazione ad un partito non era del resto autonomo,
ma si fondeva col più generale diritto di associazione, peraltro affermatosi solo
in prassi: pesavano sull’assetto formale l’interdizione ideologica della
Rivoluzione Francese verso le “comunità intermedie”, che frammentavano
l’unità dello Stato e lo spirito individualistico; così, il testo originario dello
3 O. MASSARI, I partiti politici nelle democrazie contemporanee, Roma - Bari, 2004, 66 ss.
3
Statuto Albertino ammetteva la riunione, in quanto incontro temporaneo di
individui, ma non l’associazione4. I partiti non erano garantiti in norme, ma
frutto solo della libertà d’azione, d’opinione e di riunione5, senza dunque
specialità, né velleità di essere “altro” rispetto a dei semplici consessi di
borghesi.
2. L’avvento dei partiti di massa
L’affermazione di un più allargato suffragio nei primi anni del XX
secolo ha contribuito alla nascita dei partiti di massa. Secondo la distinzione
classica6, questi partiti nacquero all’esterno di quel consesso borghese che in
epoca liberale faceva pressoché coincidere gli eletti con gli elettori e del quale
si è accennato. I partiti di massa fondarono la loro forza sul numero di iscritti,
in maggioranza appartenenti a classi sociali fino ad allora tagliate fuori dalla
dialettica politica. Secondo la ricostruzione di Perticone7, l’individuo singolo o
isolato cerca nel partito di massa protezione ed appoggio; il tessuto connettivo
non è più quell’idem sentire de re publica di memoria liberale, ma un’ideologia ben
4Articolo 32. «E' riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz'armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l'esercizio nell'interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia»
5 In questo senso P. RIDOLA, Partiti politici, voce, in Enciclopedia del Diritto, vol. XXXII, Milano, 1982, 66 e ss. 6 M. DUVERGER, I partiti politici, Milano, 1975, 17 e ss. 7 G. PERTICONE, Partito politico, voce, in Novissimo Digesto Italiano, vol. XII, Torino, 1965, 522 e ss.
4
definita che accompagna l’iscritto non solo nell’attività politica, ma anche in
spazi (appunto “di partito”) di socializzazione culturale.
L’attività dirigenziale di coordinamento e aggregazione non può più
fare affidamento sui soli rapporti personali dei notabili liberali, ma necessita di
strutture organizzative stabili, in grado di mobilitare le grandi masse di iscritti.
Il dirigente di partito diventa una professionista, in quanto tale retribuito. La
teorizzazione di questo passaggio si deve alla tradizione élitista, che emerge in
Italia e in Germania tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. La
«teoria delle élites» fonda proprio nell’avvento del suffragio universale la nascita
delle oligarchie burocratiche di partito, poiché il potere politico di prendere e
d’imporre, anche ricorrendo in ultima istanza alla forza, decisioni valevoli per
tutti i membri del gruppo, è sempre nelle mani di una cerchia ristretta di
persone8. Mentre la riflessione tedesca deve molto all’apporto di Max Weber,
cui risale la prima teorizzazione del lavoro intellettuale come professione e fu
poi approfondita da molti autorevoli studiosi nel periodo della Costituzione di
Weimar, capofila del gruppo degli Italiani fu Gaetano Mosca, siciliano, giurista
e poi funzionario della Camera dei Deputati. Fu in questa esperienza che
Mosca maturò le sue osservazioni sulla crisi del parlamentarismo e
8 In questo senso N. BOBBIO così come riportato da M. BASSANI, S. B. GALLI e F. LIVORSI, Da Platone a Rawls. Lineamenti di storia del pensiero politico, Torino, 2012, 337
5
scollamento tra governati e governanti, espressione appunto di una realtà
élitaria profondamente diversa da quella dei loro elettori. Dopo Mosca, anche
Vilfredo Pareto e Roberto Michels si soffermarono sulla dicotomia massa –
élite nel neonato avvento del suffragio universale. Nella sua riflessione
politologica (la scienza moderna così denominata era più precisamente
“giovane” e quest’Autore fu un uomo di molteplici e trasversali esperienze
professionali ed intellettuali), Pareto analizza come anche il modificarsi dei
gruppi di potere non muta però i rapporti sociali di tipo gerarchico tra la
massa e le élites. Così come nelle sue teorie economiche, egli definisce la
condizione di equilibrio del corpo sociale, che si verifica laddove le élites sono
in equilibrio tra loro fino a creare e a gestire meccanismi di ricambio interno.
Quando viene meno questo equilibrio il corpo sociale viene scosso dalla
rivoluzione9.
Fu peraltro all’epoca Max Weber, come si diceva, a descrivere il nuovo
ruolo che all’interno della politica si ritagliavano i «politici di professione». In
una delle sue opere più note Weber rifletteva: «Vi son due modi di render la
politica una professione. Si vive “per” la politica, oppure “di politica”. Non si
tratta menomamente di un’alternativa. Anzi, di regola, per lo meno
idealmente, ma per lo più anche materialmente, si fa l’una e l’altra cosa: chi
9 M. BASSANI, S. B. GALLI e F. LIVORSI, Op. cit., 340
6
vive “per” politica, fa di questa, in senso interiore, la propria vita[...] “Di”
politica come professione vive chi tenda a farne una duratura fonte di
guadagno»10.
La burocratizzazione degli apparati consente così anche a chi non
dispone di risorse proprie di arrivare ai ranghi dirigenziali, segnando un
cambio di passo rispetto alla realtà dei notabili, che sovvenzionavano loro
stessi i partiti d’appartenenza. I funzionari retribuiti però diventeranno col
tempo ed ovviamente portatori di interessi propri, tanto da far parlare anche
di partito burocratico di massa11. Secondo autorevole dottrina, in quest’ottica il
«gregario» è assorbito negli ingranaggi del partito. L’ideologia è abbandonata a
favore delle posizioni indicate volta per volta dal gruppo dirigente, in cui i
valori condivisi non fungono che da mera «premessa remota ed oscura di un
impegno tattico concreto»12.
A queste riflessioni si affiancò anche quella di Roberto Michels, come
pure si rammentava in precedenza. Allievo di Max Weber, lo studioso tedesco
effettuò i suoi studi sulla base dell’osservazione del Partito Socialdemocratico
tedesco e teorizzò che le dinamiche che muovevano un partito erano le stesse
10 M WEBER, Il lavoro intellettuale come professione – Due saggi, tradotto da A. GIOLITTI , Torino,1945, 93 11 O. MASSARI, I partiti politici nelle democrazie contemporanee, 2004, 60 e ss. 12 G. PERTICONE, op. cit., 522 e ss.
7
che su più ampia scala si riproponevano anche nell’intero assetto statale,
rinvenibile nei sistemi organizzativi di carattere verticistico che portano alla
formazione di oligarchie, paradigmaticamente – in particolare - nelle allora
nascenti “aziende” capitalistiche13.
Già nel primo ventennio del Novecento il partito inizia dunque una
sua lenta mutazione. La centralità dell’ideologia lascia spazio alla centralità
dell’apparato che unisce diversi classi sociali nell’impegno politico. L’assetto
dei partiti procede inesorabilmente verso quello che Otto Kirchheimer
chiamerà poi il «partito pigliatutto». Con questa definizione si intende quella
«combinazione di fattori, che hanno come risultato finale visibile l’attrazione
del massimo numero di elettori. In vista di questo obiettivo, il partito
pigliatutto deve entrare in milioni di menti, come un oggetto familiare che
svolge in un campo politico un ruolo analogo a quello di una marca ben nota
di un articolo di consumo di massa, universalmente necessario e altamente
standardizzato. Indipendentemente dagli aspetti specifici della linea a cui deve
il successo nell’ambito del partito, il dirigente, una volta scelto, deve adattare
rapidamente il suo comportamenti ai requisiti medi. È necessario differenziare
la marca in modo sufficiente a far riconoscere facilmente l’articolo, ma il
13 M. BASSANI, S. B. GALLI e F.LIVORSI, op.cit., 341
8
grado di differenziazione non deve mai essere tanto grande da far temere al
consumatore potenziale di uscire dai confini».
Come può allora vedersi, riflessioni di sociologia politica che risalgono
a un clima culturale non recente sono fondamentali per capire anche il modo
di essere e di presentarsi odierno del fenomeno, in cui è sempre più frequente
nel linguaggio giornalistico e in genere nel dibattito pubblico leggere
espressioni come “brand” di un partito, “partito-azienda”, “marketing politico”
e in cui la differenza di appeal spesso deriva in modo determinante da strategie
politiche che si fondano su tecniche di comunicazione mercantili e sul
controllo dei mass media: si “testa” il prodotto con sondaggi sui desiderî dei
cittadini, si utilizzano anche politicamente modalità di relazioni col “pubblico”
(ad esso venendo assimilato l’elettorato di riferimento, la constituency che si
intende intercettare) tipiche del mercato. Si ciò, peraltro, si dirà meglio oltre.
Il clima dei rapporti tra il partito pigliatutto e i gruppi di interesse è
definitivamente cambiato dai giorni migliori del partiti di integrazione di
massa, classista o confessionale. Sia il partito sia i gruppi di interesse sono
diventati sempre più indipendenti. Il partito teso a far presa sul maggior
numero di elettori possibile deve articolare i suoi rapporti con il gruppo di
interessi in modo da non scoraggiare gli elettori potenziali che si identificano
con altri interessi. In questo compito di trascendere gli interessi di gruppo e di
9
creare una fiducia generale, il partito pigliatutto gode di vantaggi, ma al tempo
stesso soffre di un male. La sua mancanza di “settarismo” (è in sostanza e per
dirlo in altro modo interclassista) aumenta le sue possibilità di reclutamento in
termini elettorali, ma condiziona inevitabilmente l’intensità di impegno che
esso può prevedere. «La trasformazione espone il partito a tutte le incertezze
dei fornitori di beni di consumo non durevoli: la concorrenza di una marca
che presenta in modo più attraente un prodotto quasi identico»14. Si inizia
dunque già a profilare quella tendenza che porterà nella metà degli anni
Novanta all’affermazione del partito personale, dove la capacità carismatica
del leader incide sulle sorti elettorali quasi più dello stesso programma di
governo.
Inoltre, l’avvento dei partiti di massa stimolò il dibattito della dottrina
in merito all’indirizzo politico. Se, infatti, lo Stato liberale non aveva avuto
necessità di analizzare il rapporto tra governanti e governati, poiché l’assenza
del suffragio elettorale rendeva i due gruppi sostanzialmente coincidenti, i
partiti di massa erano invece i partiti «dei governati», che pretendevano di
riportare la varietà delle loro istanze nelle aule parlamentari.
14 G. SIVINI (a cura di), Sociologia dei partiti politici - Le trasformazioni nelle democrazie rappresentative, Bologna, 1972, così come riportato da G. GALLI, Storia delle dottrine politiche, Milano, 2000, 254
10
Il risultato fu quello di una vera e propria frattura istituzionale. Una
metà della Camera, quella formata dal vecchio blocco liberale, continuò a
pensare le relazioni interne al Parlamento, nonché l’interazione tra questo e
l’Esecutivo secondo l’antica e familiare logica del governo di gabinetto, in base
alla quale la tenuta di un Ministero, creato attraverso maggioranze liquide e
trasversali, non era garantita tanto da un preciso programma, quanto piuttosto
dalla visione politica, dall’autorevolezza e dall’onorabilità dei suoi componenti,
in primis del presidente del Consiglio.
L’altra metà della Camera, rappresentata dai partiti di massa, ragionava
invece secondo la logica precipua del governo parlamentare tipico del
cosiddetto Parteienstaat, che prevedeva maggioranze politiche preparate
attraverso accordi e mediazioni tra i partiti, per giungere poi alla redazione di
un programma di governo e alla scelta condivisa delle personalità che di
questo avrebbero dovuto far parte15.
Alla dottrina dell’epoca si pose dunque un compito arduo: conciliare il
pluralismo dei partiti di massa con l’unità politica che doveva tradursi in
attività di Governo. I maggiori fautori di queste teorie furono in Italia
Costantino Mortati dei primi dei primi anni Trenta, e poi, sul finire del
decennio, Vezio Crisafulli e Carlo Lavagna. Mortati individuò nell’indirizzo
15 M. GREGORIO, Partito politico e forma di governo, 2012, www. Treccani.it, 2012
11
politico una vera e propria quarta funzione dello Stato, costruì la funzione di
governo come categoria generale, considerando lo Stato «come unità politica
di un popolo» e prendendo atto, pertanto, che sua prima fondamentale
funzione doveva essere quella di «porre in modo concreto le direttive generali
della sua azione, di predeterminare il suo programma»16. Vezio Crisafulli,
invece, vede nell’ indirizzo politico un momento «precedente» alla legge,
poiché « prima ancora della stessa legislazione, vi è un momento dell’attività
statale nel quale si opera la scelta delle finalità da conseguire e, nelle linee più
generali, dei mezzi a ciò reputati più idonei, momento che può dirsi pertanto,
in questo senso e sotto questo aspetto, prelegislativo»17. In questo senso,
dunque, i principî di matrice illuministica del dualismo Stato-individuo ed il
primato della legge vengono superati per la teorizzazione dell’indirizzo
politico, nozione che verrà poi recepita dai Padri costituenti all’articolo 95
della Costituzione18.
16 C. MORTATI, L'ordinamento del governo nel nuovo diritto pubblico italiano, 1931, 9, così come riportato da M- GREGORIO, op. cit., numero di pagina 17 F. CRISAFULLI, Per una teoria giuridica dell’indirizzo politico, Urbino, 1939, 44
18 Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all'ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l'organizzazione dei ministeri.
12
3. Il ventennio fascista e la fase precostituente: la proposta Mortati
Il ventennio fascista segna il blocco di quel processo di allargamento
di partecipazione alla vita democratica che il suffragio universale e l’avvento
dei partiti di massa sembravano aver iniziato nei primi decenni del XX secolo.
Lo stesso Partito Nazionale Fascista è un partito tipicamente di massa, benché
intriso di leaderismo fino al culto della personalità, dunque un partito unico di
massa, in grado di permeare nella vita degli iscritti aldilà della sfera politica.
L’avvento delle leggi “fascistissime” del 1926, dopo il delitto Matteotti, segnò
un irrigidimento della possibilità di libera associazione dei cittadini.
L’ampliamento dei poteri dei Prefetti conferì loro la potestà di disporre, con
decreto, «lo scioglimento delle associazioni, enti o istituti costituiti od operanti
nel regno che svolgono una attività contraria agli ordinamenti politici costituiti
nello Stato»19, laddove già un anno prima, col decreto 2029, si erano obbligati
partiti e sindacati a consegnare su richiesta dell’autorità di pubblica sicurezza
statuti ed elenchi degli iscritti.
A queste previsioni si aggiunse nel 1928 la costituzionaliz-zazione del
Gran Consiglio del Fascismo, che divenne «organo supremo, che coordina e
integra tutte le attività del Regime sorto dalla Rivoluzione dell’ottobre 1922.
19 R.D. 1848/1926, Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, art 210
13
Esso ha funzioni deliberative nei casi stabiliti dalla legge, e dà inoltre parere su
ogni altra questione politica, economica o sociale di interesse nazionale, sulla
quale sia interrogato dal Capo del Governo».20
L’organo dirigenziale del partito fascista divenne anche organo
supremo dello Stato, creando una sovrapposizione tra dirigenti di partito ed
istituzioni di un Regno che non aveva più una sua conformazione autonoma
ma che coincideva con lo stato maggiore del partito che ne era alla guida. Si
assiste così ad una differenziazione di trattamento, da parte del legislatore,
fascista dei partiti politici: tutti, tranne il PNF, vengono messi fuori legge
attraverso un meccanismo di regolamentazione arbitrario che, unito alla
repressione violenta, ne segna di fatto la fine. Dall’altro lato - e come si diceva
- unicamente il Partito fascista diventa partito non solo regolare, ma
costituzionale, con amplissime funzioni consultive e deliberative.
All’indomani della fine del regime nasce dunque una duplice esigenza:
da un lato riconsegnare spazi di libertà politica e democratica ai cittadini,
dall’altro disciplinare la vita dei partiti. Quelli sciolti dall’autorità in precedenza
avevano continuato ad operare in clandestinità nel Ventennio, spesso con
direzioni estere, nel mondo del c.d. “fuoruscitismo” (anch’esso peraltro
20 Legge 2693/1928, art 1
14
attraversato da conflitti, talora decimato da tradimenti e delazioni) e ora si
riorganizzavano apertamente ed anzi, nel CNL, si ponevano come fondamenti
del nuovo Stato da costruire, traghettatori della fase provvisoria verso
l’obiettivo della Costituente. L’intento di regolarne la vita era dettato in questo
caso dalla volontà di scongiurare nuove derive dittatoriali.
Il regime era infatti nato proprio all’interno di un partito che aveva
fatto della violenza e della sopraffazione la sua bandiera ideologica ed aveva
poi avuto la forza di tramutare i suoi ideali nelle Istituzioni, facendo questo
nella piena legalità formale. Era dunque necessario garantire anche dalla legge
stessa il neonato assetto democratico: anche da qui la necessità di una
Costituzione rigida. Costantino Mortati propose di regolamentare la vita dei
partiti ancor prima che questa necessità fosse espressa in sede di Assemblea
Costituente. Il progetto di legge elaborato per le elezioni del 2 giugno 1946
non divenne mai concreto, ma per la sua modernità è stato più volte
richiamato in seguito, nei dibattiti italiani sulle elezioni primarie.
Il giurista calabrese nel suo progetto di legge21 prevedeva un minimo
di 5mila iscritti per i partiti intenzionati a presentare le liste di candidati per le
elezioni. Lo statuto contenente «norme relative al numero, al modo di
21 V. GAMBINO (a cura di), Elezioni primarie e rappresentanza politica, Roma, 1995, 183 e ss.
15
formazione, alla competenza e funzionamento degli organi, nonché alle
modalità di ammissione dei soci» doveva essere depositato presso un organo
composto dal primo presidente della Corte di Cassazione, dal Presidente della
Camera e da quello del Senato, dai presidenti del Consiglio di Stato e della
Corte dei Conti, nonché da quattro docenti universitari di diritto, che entro 10
giorni ne avrebbe decretato l’ammissibilità. A questo punto il raggruppamento
poteva provvedere alla formazione delle liste mediante un sistema di «primarie
chiuse»22 attraverso la convocazione degli iscritti in ogni sezione in assemblea
plenaria. «La notizia della convocazione deve essere fatta conoscere, oltre che
con i varî mezzi che si palesino idonei a darle la massima pubblicità, con
apposita inserzione nella Gazzetta Ufficiale ed in uno dei giornali letti nella
circoscrizione». Nei venti giorni successivi gruppi di elettori «non inferiori a
trenta» e non necessariamente iscritti al partito avrebbero avuto facoltà di
presentare liste di candidature. Le proposte «devono essere trasmesse alle
direzioni dei raggruppamenti per il tramite del sindaco» accertando la qualità
di elettori dei promotori e provvedendo «alla cancellazione dei nomi dei
sottoscrittori che non si trovino nelle condizioni richieste». Le proposte valide
dovevano essere trasmesse alla direzione di partito che a sua volta poteva
formulare proposte di candidatura. Le votazioni sarebbero dovute avvenire
22 In questo senso L. TENTONI, La regolamentazione giuridica del partito politico in Italia, in dirittoditutti.giuffre.it
16
nelle singole sezioni alla presenza di un notaio e di almeno un terzo degli
iscritti. I promotori di liste non iscritti al partito potevano partecipare
all’assemblea ma dovevano abbandonare il consesso al momento del voto. Ai
sensi dell’articolo 12 era validamente inserito nella lista, da sottoporre poi
all’ulteriore votazione della direzione del raggruppamento, quel candidato che
avesse raccolto la maggioranza assoluta dei voti dei presenti. Il numero dei
candidati da includere nella lista non poteva superare la metà dei seggi
attribuiti alla circoscrizione. Nella stessa assemblea di sezione dovevano essere
eletti, sempre ai sensi dell’articolo 12, i delegati in proporzione del 2% degli
iscritti. «I delegati eletti con il procedimento dell'articolo 12 devono riunirsi,
senza uopo di apposita convocazione, nella mattina della prima domenica
successiva nella città dove ha sede la direzione del raggruppamento della
circoscrizione (…). Alla riunione devono partecipare non meno di un terzo
dei membri della direzione circoscrizionale del raggruppamento, nonché un
numero non superiore a dieci di membri della direzione centrale». A questo
punto si procedeva ad una seconda votazione delle liste, questa volta
effettuata congiuntamente da delegati delle sezioni e membri della direzione.
Le liste non formate secondo tale procedimento sarebbero state
automaticamente escluse dalla tornata elettorale.
17
4. I lavori dell’Assemblea Costituente
Il testo attuale dell’articolo 49 della Costituzione recita, com’è noto:
«Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per
concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».
La norma è frutto del prevalere in sede costituente delle posizioni di
quanti vedevano lo spettro della limitazione alla libertà nella possibilità del
rinvio alla legge ordinaria per una regolamentazione della vita interna dei
partiti politici.
Tutti i costituenti, al di là delle posizioni personali, avevano chiaro il
ruolo centrale che i partiti dovevano recuperare per la riconquista degli spazi
democratici. Come ebbero a sottolineare gli onorevoli Umberto Merlin e
Pietro Mancini nella relazione alla loro proposta di stesura della norma, «Se
(…) tutti coloro che vollero sopprimere la libertà cominciarono col colpire i
partiti, vuol dire che la esistenza dei partiti è condizione di vita della
democrazia e nello stesso tempo è la più sicura barriera contro ogni
dittatura»23.
23 Relazione Merlin - Mancini sulle libertà politiche, Atti dell’Assemblea Costituenye, Commissione per la Costituzione, I sottocommissione, in archivio.camera.it
18
I Costituenti affrontarono il tema della disciplina dei partiti politici in
sede di Prima Sottocommissione alla Costituzione. Come giustamente rileva la
dottrina24, la scelta di inserire la norma (all’epoca rubricata col 47) nel Titolo
dedicato ai rapporti politici, e non in quello relativo all’organizzazione dello
Stato, evidenzia la volontà dell’Assemblea di non conferire ai partiti un ruolo
pienamente istituzionale.
D’altra parte la previsione non voleva essere mera specificazione
dell’articolo 18, nonostante l’opinione contraria in sede di Assemblea
Costituente dell’onorevole Lucifero25. Nelle sedute del novembre ‘46 all’esame
della Sottocommissione furono sottoposte principalmente due proposte. La
prima ebbe come firmatari gli onorevoli Merlin e Mancini. Il testo concordato
dai due esponenti DC – PSI era:
«I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si
formino con metodo democratico e che rispettino la dignità e la personalità
umana, secondo i principi di libertà ed uguaglianza. Le norme per tale
organizzazione saranno dettate con legge particolare».
La proposta dell’onorevole Lelio Basso (PSI) invece era articolata in
due commi:
24 in questo senso P. RIDOLA, I partiti politici, voce cit., 66 e ss. 25 Atti Assemblea Costituente, seduta di giovedì 22 maggio 1947
19
«Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e
democraticamente in partito politico, allo scopo di concorrere alla
determinazione della politica del Paese.
Ai partiti politici, che nelle votazioni abbiano raccolto non meno di
cinquecentomila voti, sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni
di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali
e sulla stampa, ed altre leggi».
Le attribuzioni a cui faceva riferimento Basso erano molteplici, tra cui
la formalizzazione della prassi delle consultazioni e la possibilità da parte dei
partiti di presentare ricorso alla Corte Costituzionale
La proposta Merlin – Mancino attirò da subito le critiche degli
esponenti del PCI. Concetto Marchesi osservò: «Anche un Governo con basi
democratiche potrebbe, servendosi dell’articolo in esame, mettere senz’altro il
partito comunista fuori legge». A lui fece eco Palmiro Togliatti: «Un domani
potrebbe svilupparsi in Italia, un movimento nuovo, anarchico, per esempio, e
lo si dovrebbe combattere sul terreno della competizione politica (…), ma non
si potrà negargli il diritto di esistere e di svilupparsi».
Il presidente di Sottocommissione Umberto Tupini propose un
emendamento alla proposta Basso: «Il diritto di organizzarsi in partiti che
20
accettino il metodo democratico della lotta politica è garantito a tutti i
cittadini», sostituendo al «democraticamente» del primo comma la formula
«con metodo democratico». Di fronte a questa proposta di modifica fu lo
stesso relatore PSI a far notare che certamente era necessario un riferimento
alla difesa della democrazia, «ma in base alla formula proposta dal Presidente,
domani si potrebbe dire, per esempio, che il partito socialista non adotta il
metodo democratico». Eppure nell’attuale formulazione dell’articolo 49 resta
la nozione di «metodo democratico», ma, come sottolineato da numerosi
autori, il senso da dare a questa definizione è puramente «esterno» e non
attinente alla vita interna dei partiti26.
La proposta Basso suscitò qualche perplessità in Sottocommissione:
nella seduta del 20 maggio 1946 l’onorevole Ottavio Mastrojanni sottolineò
come il riferimento al numero di voti rafforzasse i partiti di massa che in
questo modo avrebbero influito costantemente sulle istituzioni. A questo fece
eco Giuseppe Dossetti il quale, pur ammettendo che il criterio del numero di
voti raccolti fosse il più oggettivo dei parametri di valutazione, sottolineò la
«pericolosità» di tale criterio: «la norma – osservò l’esponente democristiano –
26 così G. PERTICONE, Partito politico voce, in Novissimo Digesto Italiano, vol. XII, 1965, 522 e ss. Dello stesso avviso P. RIDOLA, I partiti politici, voce cit. , in Enciclopedia del Diritto, 1982, 109. Al contrario G.D. FERRI, Studi sui partiti politici, Roma, 1950, 140, per il quale l’articolo si riferisce alla vita interna dei partiti
21
può portare a conseguenze più vaste di quelle previste (…) poiché essa non
determina quali debbono essere le funzioni dei partiti, e nello stesso tempo fa
pensare che le sue applicazioni possano essere così vaste da escludere dalla
vita politica tutti gli altri partiti (…)».
Diversamente Togliatti evidenziò come non fosse possibile mettere
sullo stesso piano tutti i partiti, «perché se non fosse fatta alcuna differenza tra
essi, qualunque esigua associazione di persone potrebbe affermare di essere un
partito e di voler godere del diritto di avere funzioni costituzionali». Il
segretario del PCI ritenne che il criterio proposto da Basso fosse anche un
incentivo alla partecipazione alla vita democratica, caldeggiando inoltre la
proposta di costituzionalizzare la prassi delle consultazioni.
In ogni caso in sede di Sottocommissione si arrivò ad un nulla di fatto.
Non senza qualche critica si propose una discussione congiunta con la
Seconda Sottocommissione che però si occupava dell’ordinamento della
Repubblica, ma la riunione congiunta non avvenne mai.
L’articolo venne discusso direttamente in Assemblea Costituente nel
novembre del 1947. In questa sede Costantino Mortati, ritirando un suo
primo emendamento, si unì alla proposta del socialista Carlo Ruggiero: «Tutti i
cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al
22
metodo democratico nell’organizzazione interna e nell’azione diretta alla
determinazione della politica nazionale». Ruggiero, riferendosi alle parole di
Togliatti sulla necessità di combattere solo sul piano politico un’ipotetica forza
antidemocratica, controbatté: «Se (…) ci troviamo di fronte ad un diritto che è
un diritto particolare, cioè il particolare diritto all’esistenza da parte
dell’associazione antidemocratica, si vede come questo principio
automaticamente si pone in una posizione di antitesi, di conflitto, di dissidio
con l’interesse generale, cioè con l’interesse della collettività; perché l’interesse
della collettività è quello di vedere rispettato il principio della libertà. Il
principio che viene adottato dalla singola formazione è un principio
particolare che deve essere considerato in rapporto al principio generale; per
cui non possiamo non far valere quella grande affermazione di diritto secondo
la quale tutti i principi particolari ed individuali, anche quando meritano la
tutela e la garanzia della legge, devono cedere se si trovano in contrasto con
quello che è il diritto della collettività, che è un diritto veramente sovrano ed
intangibile».
Si aggiunse quindi l’emendamento del liberale Girolamo Bellavista:
«Le leggi della Repubblica vietano la costituzione di partiti che abbiano come
mira la instaurazione della dittatura di un uomo, di una classe o di un gruppo
sociale, o che organizzino formazioni militari o paramilitari».
23
In aula tutte le proposte di regolamentazione puntuale della disciplina
dei partiti trovarono non solo le già espresse perplessità del PCI, ma anche
l’opposizione compatta del gruppo della DC. Emilio Colombo ed Aldo Moro
si opposero alle formulazioni proposte da Mortati e da Bellavista, esprimendo
il timore dell’arbitrio del futuro legislatore.
L’articolo 49 nasce dunque dalla convergenza dei due partiti
politicamente più distanti in quell’arco parlamentare. La tragica esperienza
fascista era forse ancora troppo vicina per poter lasciare ampia possibilità di
interpretazione in materia. Esisteva inoltre enorme fiducia che i partiti
avrebbero ben saputo gestire la libertà che in quella sede si conferiva loro, ma
al tempo stesso (e lo si vide poi nella parte organizzativa della Costituzione,
meno innovativa, che risentì della diffidenza reciproca tra formazioni pur tutte
intenzionate a trovare collocazione nel nuovo assetto politico-istituzionale)
residuava un riflesso di prudenza.
Infine, ci si deve chiedere come si concilia questo clima di assoluta
neutralità dello Stato verso i partiti con la XII Disposizione transitoria27. Il
primo comma fu approvato all’unanimità già in sede di Sottocommissione.
27 «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»
24
Sull’apparente contraddizione tra il principio alla base dell’articolo 49 e
la disposizione in esame è certamente condivisibile l’opinione espressa da uno
studioso. Riportando anche la testimonianza di Mortati, egli sottolinea come i
Costituenti avessero l’esigenza di «arretrare i limiti generali alla libertà dei
partiti al di qua del limite ideologico, e ad un tempo di recuperare quest’ultimo
nei confronti di un’esperienza storica verso la quale si intendeva precludere al
nuovo ordinamento costituzionale una posizione di neutralità».
Un’eccezione, dunque, alla regola generale di Stato super partes che
però risponde alla stessa ratio della regola generale: la funzione di difesa
preventiva rivestita dalla Costituzione rigida come argine ad ogni potere
antidemocratico, anche se lo “strabismo” del divieto antitotalitario solo verso
destra è indicativo tanto della vicenda nazionale dalla quale si usciva, quanto
della fase storica che allora si viveva, in quanto i comunisti (benché inseriti in
un assetto allora ancora staliniano, cioè teorizzatore e realizzatore della
dittatura del proletariato attraverso il partito unico) avevano partecipato alla
Resistenza e all’elaborazione della Costituzione e, per l’abilità di Togliatti, che
adattò le direttive di Stalin alla situazione di un Paese come l’Italia dopo Yalta,
alleata degli Stati Uniti e in concreto cerniera fra l’Europa filo-atlantica e
quella dell’Est, non furono coinvolti nell’insurrezionalismo che invece li aveva
fatti reprimere e decimare in Grecia nel medesimo periodo.
25
II
1. L’articolo 49 della Costituzione: la centralità del pluralismo partitico. Analogie e differenze con l’articolo 18
Il testo attuale dell’articolo 49 «Tutti i cittadini hanno diritto di
associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a
determinare la politica nazionale», già prima riportato, è apparso ad alcuni una
formula vuota, quasi una clausola di stile. Un esame attento dei lavori
preparatorî del testo costituzionale, come quello appena concluso, suggerisce
invece una lettura complessa della norma che volutamente resta all’apparenza
vaga, affidando con lungimiranza – come accade per molti altri casi, quanto a
principî e norme costituzionali – all’evoluzione consuetudinaria,
convenzionale e della prassi la precisazione del senso in cui sarebbe stata
possibile la sua applicazione effettiva.
Dopo lunga discussione Umberto Merlin, già relatore di una proposta
di disciplina più particolareggiata della vita interna dei partiti, ebbe ad
osservare infatti in Assemblea Plenaria: «Non preoccupiamoci di scrivere nella
Costituzione tutto quello che su ciascun argomento può essere detto. Qui
26
affermiamo il principio del riconoscimento dei partiti. Venire poi
all’applicazione di questo riconoscimento e vedere l’ampiezza che avrà, sarà
compito importante del legislatore futuro».28 I Costituenti però certamente
non immaginavano il potere che i partiti ed i loro dirigenti avrebbero
accumulato e esercitato nel corso del tempo.29
Quello che gli autori della Costituzione vollero scongiurare con la
formulazione dell’articolo 49 era il rischio di nuovi totalitarismi. Da qui la
centralità del pluralismo partitico, evidente nel richiamo nel testo di legge al
principio del «concorso» ed al «metodo democratico».
La tutela del principio del concorso risiede innanzitutto nel garantire
una posizione paritaria nella competizione politica, nel senso della eguaglianza
delle chances.30 Il metodo del concorso, oltre a tutelare l’esistenza dei partiti,
assicura anche l’eguale possibilità di partecipare alla formazione degli organi
rappresentativi. In questo assetto lo Stato svolge un ruolo di arbitro neutrale
ed i partiti restano dunque in una condizione «prestatuale».31 Tale concezione
è confermata anche dalla collocazione dell’articolo 49 nel titolo riservato ai
28 Atti Assemblea Costituente, mercoledì 21 maggio 1947 29 In questo senso G. PASQUINO, I rapporti politici, voce, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. BRANCA, Bologna, 1992, 27
30 In questo senso P.RIDOLA, op. cit, 66 ss. ed E. ROSSI, I partiti politici, voce, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, Milano, volume XXXII 2006, 4146 e ss.
31 Così C. MORTATI, Note introduttive a uno studio sui partiti politici nell’ordinamento italiano, in Scritti in memoria di V. E. Orlando, Padova, 1957, 114 e ss.
27
rapporti politici e non in quello relativo all’organizzazione dello Stato,
ponendoli dunque come corpo intermedio tra la società e le istituzioni e
rimandando alla disciplina dei Gruppi parlamentari le regole del concreto agire
dei partiti in Parlamento32.
A differenza che in Italia invece, in Germania la Costituzione
configura i partiti come veri e propri organi istituzionali. La teoria dello «Stato
dei partiti» (Parteienstaat) fu formulata per la prima volta da Gerhard Leibholz.
Abbandonando del tutto la visione liberale per cui lo Stato ed i partiti
dovevano essere entità distinte, il giurista tedesco constatò l’integrazione tra
Stato e partiti e la centralità di questi nello sviluppo della vita democratica,
fino a definirli «parte integrante della struttura costituzionale» ed «organi dello
Stato».
Già nel primo decennio del XX secolo Heinrich Triepel aveva
individuato quattro fasi che condussero da un atteggiamento di ostilità dello
Stato nei confronti del partito politico (Bekämpfung), seguito da uno stadio di
indifferenza del diritto costituzionale (Ignorierung), al riconoscimento giuridico
dei partiti (Anerkennung und Legalisierung), ed infine all’inserimento di essi
nell’organizzazione statale (Incorporation)33.
32 G. F. CIAURRO, I gruppi parlamentari, in Le istituzioni parlamentari, Milano, 1982, 243
33 P. RIDOLA, op. cit., 66 e ss.
28
I partiti politici assumono anche in Italia una loro specificità rispetto
alle associazioni così come disciplinate dall’articolo 1834 della Costituzione,
sebbene trovino certamente un fondamento nell’articolo sulla libertà
associativa. Le norme dell’articolo 18 infatti sono da intendere come
preliminari «e forse prioritarie rispetto al diritto riconosciuto ai cittadini di
costituire (o costituirsi in) partiti politici. Norme che, comunque, incidono
anche sul (e si debbono applicare al) tipo di partiti politici che possono essere
legittimamente e costituzionalmente riconosciuti: non per fini legati dalla legge
penale, non con vertici (o strutture) segreti, non con strumentazioni di
carattere militare»35.
2. Il significato del «metodo democratico»
Un punto cruciale nell’esegesi dell’articolo 49 della Costituzione è
l’analisi del richiamo al «metodo democratico». Nonostante il significato
letterale delle parole, sembra che non si possa intendere questa parte della
norma come una regola imposta dalla Costituzione per il funzionamento
interno dei partiti politici. Sia i lavori dell’Assemblea Costituente, sia la
34 «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare 35 in questo senso G. PASQUINO, op. cit.
29
dottrina maggioritaria36 suggerirebbero che il metodo democratico debba
essere inteso solo dal punto di vista “esterno” dei rapporti tra i partiti politici,
quasi come una specificazione del principio del concorso. Come già prima
rilevato, anche il minimo richiamo alle libertà fondamentali o all’ordine
pubblico come limite all’azione dei partiti fu avvertito dai Costituenti come un
potenziale attentato alla libertà.
Allo stesso tempo, però, se da un lato l’articolo 49 pare riproporre i
limiti già individuati dall’articolo 18, sembra che la norma in esame abbia
inteso porre ai partiti un limite ulteriore rispetto a quelli stabiliti per le
associazioni.
Per comprendere appieno questo tema si deve fare riferimento a una
dottrina37 che distingue all’interno dell’attività partitica funzioni “sistemiche” e
funzioni “partigiane”. Le prime sono quelle che i partiti svolgono a favore del
sistema nel suo complesso: presentazioni di alternative elettorali, selezione dei
candidati alle cariche elettive pubbliche. Le funzioni partigiane invece sono
quelle svolte dai partiti a beneficio dei loro iscritti, dei loro militanti, «dei loro
attuali o potenziali elettori», costituite innanzitutto dalla selezione e
promozione dei dirigenti e dalla formazione della linea politica.
36 in questo senso V. COSENTINO, F. FALZONE, F. PALERMO, La Costituzione della Repubblica Italiana Illustrata con i lavori preparatori e corredata di note e riferimenti, 1969, Roma, 308 37 G. PASQUINO, I rapporti politici, voce, in Commentario alla Costituzione, 1992, 18
30
Se dunque per le funzioni partigiane i limiti imposti sembrano essere
solo quelli già proprî dell’articolo 18, per quelle attività con le quali il partito
mira ad incidere direttamente sulla vita delle istituzioni «può esser dubbio che
ai partiti sia precluso dall’articolo 49 il solo uso della violenza, e non anche,
più in generale, quell’opera di “sabotaggio” degli istituti democratici (…)
nell’accertamento della quale non potrebbe prescindersi, ad esempio, dalla
valutazione delle decisioni ufficiali di ciascun partito o dai vincoli di disciplina
che esso pone ai propri aderenti o ai propri parlamentari»38.
Risulta dunque innegabile che sono le attività partigiane ad influenzare
quelle sistemiche e che perciò il metodo democratico non può che estendersi
anche alle attività interne dei partiti, soprattutto in una condizione, come
quella attuale, che vede i partiti politici sempre meno protagonisti della vita
politico – sociale e sempre più quali ingranaggi della vita delle istituzioni
democratiche.
Una tale lettura non poteva essere prospettata nel 1946: troppi i timori
di ingabbiare la dialettica politica. Eppure, ben presto la prassi della vita
istituzionale repubblicana suggerì a commentatori e politici un cambio di
rotta.
38 P. RIDOLA, op. cit,, 66 e ss.
31
I partiti rappresentati in Parlamento divennero rapidamente
protagonisti non solo della dialettica politica, ma anche delle attività più
strettamente burocratico – istituzionali, così come previsto dalla Costituzione.
Dalla Corte Costituzionale al CSM fino ad arrivare in tempi più recenti alle
Authorities, l’impianto generale ha individuato nei partiti una sorta di “grandi
elettori” a garanzia di una seppur indiretta rappresentatività anche di organi
che per loro natura non richiedono come caratteristica fondante un rapporto
diretto con la base elettorale. L’assenza di un controllo sulla vita interna dei
partiti ha però rischiato di rendere questa garanzia oggetto di dubbi sulla sua
effettività ed efficacia. Inoltre lo spostamento della presenza dei partiti dalla
sfera societaria a quella dell’esercizio quotidiano del potere ha
progressivamente acuito il loro distacco dalla società civile39.
Già poco tempo dopo l’avvento della Costituzione repubblicana, la
necessità di una regolamentazione della vita interna dei partiti fu sentita con
urgenza dai commentatori politici.
Così, nel 1952, Giuseppe Maranini conia il termine “partitocrazia”,
destinato a grandissima fortuna anche giornalistica. Nella prolusione di
apertura dell’anno accademico dell’università di Firenze, egli denunciò lo
39 in questo senso P.RIDOLA, op. cit.
32
strapotere delle segreterie di partito, a dispetto del divieto del mandato
imperativo. «La nostra Costituzione vieta ogni mandato imperativo – disse
allora – che leghi il rappresentate alla volontà degli elettori; ma allo stesso
tempo la Costituzione e le leggi elettorali creano presupposti di un ben più
temibile mandato imperativo, il quale subordina gli eletti ai loro veri
committenti, i quali non sono più gli elettori bensì le direzioni dei partiti. Il
Parlamento controlla il Governo ma le direzioni di partiti controllano il
Parlamento e, attraverso il Parlamento, il Governo, se poi direzione di partiti e
governo s’identificano, il controllato diventa controllore, con evidente
eversione di ogni schema di governo parlamentare»40.
Nasce ben presto la logicamente connessa questione del
finanziamento all’attività elettorale dei partiti: nel 1958 Luigi Sturzo formula
un testo di legge – mai approvato in sede parlamentare – che ancora una volta
si poneva l’obiettivo di regolamentare la vita interna dei partiti politici. Il
disegno di legge presentato dal fondatore del PPI impegnava i partiti ad una
rendicontazione annua di entrate ed uscite da presentare presso la cancelleria
del tribunale dove il partito si era precedentemente costituito mediante il
deposito dello statuto41.
40 G. MARANINI, Governo parlamentare e partitocrazia, in Rassegna di diritto pubblico,1951, 18 e ss. 41 Articolo 1 ddl Sturzo: «È fatto obbligo ai cittadini che si associano in partito per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, di depositare il proprio statuto e le successive variazioni con
33
Il testo di legge ancora una volta, come si è anticipato, non trovò il
favore del Parlamento. Così come era successo in sede di Assemblea
Costituente, l’opposizione al testo di legge vide uniti i partiti più distanti
dell’arco parlamentare, riavvicinati dal timore di essere sottoposti a controlli
liberticidi, o perché, secondo alcuni, «ricevevano ingenti somme dall’estero e
sarebbero stati messi in imbarazzo dando pubblicità alla cosa (e non si parla
solo dei comunisti)».42
Qualche anno dopo, su Nord e Sud, la rivista diretta da Francesco
Compagna, Vittorio de Caprariis osservò: «I partiti odierni si frappongono fra
il parlamento ed il paese e tendono ad assumere essi l’intera rappresentatività
di questo e a depotenziare quello, rivendicando per sé il privilegio del
controllo politico (…) se è vero che essi tendono ad assumersi l’intera
rappresentatività del paese, a mescolarsi all’amministrazione, se è vero che le
loro funzioni sono diventate decisive della vita di tutta la società (…) non è
più possibile assimilarsi ai tradizionali gruppi intermedi e si deve anzi ritenere
che la libertà sia meglio garantita da una loro regolamentazione piuttosto che
le firme autenticate del presidente e del segretario generale, alla cancelleria del tribunale civile del luogo dove è fissata la sede centrale. I trasferimenti saranno notificati anche alla cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione si trova la nuova sede. Dalla data del deposito dello statuto il partito acquista personalità giuridica», da L. Sturzo, Scritti di carattere giuridico, Soveria Mannelli, 2007, 370 42 A. MARIUZZO, 1958: quando Don Sturzo chiese (senza successo) la trasparenza dei bilanci dei partiti, in Linkiesta.it
34
da una assenza di regole».43 Allo storico napoletano fece eco pochi mesi dopo
Paolo Ungari, che osservò: «Usando una figura familiare ai giuristi, diremo che
il diritto dei partiti attende ancora il suo Domat e il suo Pothier. E,
aggiungeremo, il Domat del droit public «e non solo quello delle Lois civiles».44
3. Partiti politici, forma di governo e legge elettorale
Un’analisi della disciplina dei partiti politici non sarebbe completa
senza una congiunta analisi della forma di governo. E’ evidente, infatti, che
l’assetto partitico ha un ruolo fondamentale nel plasmare la forma di governo
e la legge elettorale.
In Italia, all’indomani del secondo conflitto mondiale, la forma
parlamentare fu ritenuta una scelta quasi obbligata per il numero dei partiti
italiani e per le tensioni provocate dalla loro disomogeneità. Accanto ad un
sistema che dunque riproponeva in sede parlamentare le fratture che
attraversavano il Paese, non furono però previsti “correttivi”, tesi a garantire
stabilità ed efficienza dell’esecutivo: non fu accolta né la proposta Mortati per
una durata minima biennale dei governi, né quella Tosato che anticipava una
43 V. DE CAPRARIIS, Problemi istituzionali della democrazia moderna, in Nord e Sud, Giugno 1959, 17 44 P. UNGARI, Il diritto dei partiti, in Nord e Sud, dicembre 1959, 15 e ss.
35
formula particolare di sfiducia costruttiva45, seppure l’approvazione di un
ordine del giorno proposto da Perassi segnalò la consapevolezza di evitare le
degenerazioni del parlamentarismo, che all’epoca già palesemente affliggevano
la coeva IV Repubblica francese e facessero temere la crisi che poi sfociò nel
1858 nella Costituzione gauliana della V.
Furono dunque introdotti solo alcuni accorgimenti di
razionalizzazione “debole”. Tra questi lo scioglimento delle Camere da parte
del Presidente della Repubblica, con l’eccezione del cosiddetto “semestre
bianco”, poi rivisitato ed integrato (articolo 88) e la razionalizzazione del voto
fiduciario (articolo 94). Eppure, secondo i commentatori più attenti, questi
strumenti, che avrebbero dovuto conferire maggiore stabilità all’ Esecutivo,
non sono invece riusciti a sottrarre il Governo alle tensioni dei partiti. «Tali
previsioni [...] hanno finito con il dare vita ad un modello di “governo
debole”, dominato dai partiti politici, nei quali si è andato via via
concentrando il potere di fare o disfare i governi, vale a dire il “potere di
crisi”, condizione necessaria della garanzia reciproca che i partiti, in tal modo,
si sono reciprocamente assicurati, grazie anche alla legge elettorale
proporzionale (operante fino al 1993 e nuovamente dal 2005, sia pure con
45 L. ELIA, L’evoluzione della forma di governo, Relazione al Convegno su “Lo Stato della Costituzione italiana e l’avvio della Costituzione europea” organizzato dall’Accademia nazionale dei Lincei , Roma 14 – 15 luglio 2003, in Astrid-online.it
36
modalità del tutto irrazionali da fare assumere una sua illegittimità
costituzionale), un ruolo forte in Parlamento».46
A fronte di tale assetto, la mancanza di regolamentazione della vita dei
partiti appare più che mai necessaria poiché «la logica delle coalizioni ha finito
col consegnare ai partiti politici un potere eccessivo (non previsto dalla
Costituzione), che ha portato fino al controllo dell’intero circuito delle
istituzioni rappresentative e di governo».47
Analizzando invece la struttura della legge elettorale ci si può riferire
ad una classificazione che si fonda sulle funzioni di rappresentanza, cioè è
possibile distinguere un sistema di parlamentarismo “responsabile” ed uno
“rappresentativo”.
Nel primo caso, i meccanismi elettorali consentono agli elettori una
scelta quasi diretta dei membri del governo, con un assetto molto simile negli
effetti a quello degli elettori che votano in un sistema presidenziale. Viceversa,
nella fattispecie rappresentativa gli elettori delegano ai rappresentanti la scelta
del governo.
46 S.GAMBINO, Il ruolo dei partiti politici e la legge elettorale, fra storia costituzionale del paese ed attualità, da associazionedeicostituzionalisti.it, 2/2013 47 ibidem
37
Parte della dottrina colloca il caso italiano nella sua più recente
evoluzione, assieme a quello spagnolo e tedesco, in un modello intermedio,
che si può definire neo-parlamentare, nel quale il corpo elettorale è messo in
condizione di pronunciarsi contemporaneamente su programmi e
schieramenti, ma anche sul Capo del governo.
Al contempo però, le esperienze di questi tre Paesi non consentono
un ricorso al sistema elettorale maggioritario puro proprio per la presenza di
molti partiti nel panorama politico.
Si è dunque scelta «una forma intermedia che coniughi elementi sia del
sistema rappresentativo che di quello responsabile, cercando di adattare
un’organizzazione partitico-elettorale tipica delle democrazie mediate alle
esigenze della democrazia immediata, sfruttando l’unico canale di
legittimazione dei governanti di cui dispone il governo parlamentare». 48
È fatto noto però che la legge elettorale vigente in Italia nulla abbia a
che vedere, ad esempio, con l’equivalente tedesco. In Germania la legge
elettorale, così come modificata nel maggio 2013 prevede una particolare
forma di doppio suffragio, in cui l’elettore sceglie prima il candidato nel
collegio uninominale, successivamente la lista (articolo 4), anche con voto
48 G. CARBONI, Forme di governo e forme di opposizione, da Introduzione allo studio dell’opposizione politico – parlamentare nella forma di governo italiana, da dirittoestoria.it, numero 3, maggio 2004, 21
38
disgiunto. Ogni lista ha diritto ad un numero di seggi proporzionale al numero
di voti ottenuti su scala nazionale, ma, contemporaneamente, non inferiore al
numero di candidati eletti nei singoli collegi uninominali.49 Laddove una lista
abbia ottenuto più seggi nei singoli collegi che su scala nazionale, otterrà dei
cosiddetti seggi in eccedenza, in modo da portare in Parlamento tutti i
candidati eletti, modificando dunque il numero minimo di deputati, fissato ad
un iniziale 598. Inoltre, le recenti modifiche alla legge elettorale stabiliscono
che i seggi in eccedenza devono comunque essere distribuiti rispettando la
proporzionalità su scala federale, consentendo quindi l’elezione anche dei non
eletti col primo voto. Il sistema è stato corretto dal Parlamento su indicazione
della Corte Costituzionale Federale50, secondo cui la vecchia legge falsava in
modo ingiustificabile il risultato proporzionale espresso nel secondo voto.51
Non sono mancate sul punto voci critiche di chi temeva un aumento
sconsiderato del numero di seggi totale. In realtà l’esito elettorale unito alla
nuova legge, confermando la coalizione del Cancelliere uscente, consente
un’ampia coalizione che appare quanto mai auspicabile, dopo il terzo mandato
a governare conferito dai cittadini tedeschi alle forze della CDU - CSU.
49 M. LUCIANI, Prospettive attuali del sistema elettorale in Italia, Intervento all’Assemblea del CRS del 28 ottobre 2010, da centroriformastato.org, consultato nel settembre 2013 50 sentenza 25 luglio 2012
51 A. De Petris, Cambiare tutto perché resti com’era? La nuova legge elettorale del Bundestag con un’intervista al professor Friedrich Pukelsheim, da Federalismi.it, 4 settembre 2013
39
La legge elettorale italiana 207/2005 prevede un premio di
maggioranza conferito al partito che ottiene più voti su base nazionale alla
Camera e su base circoscrizionale al Senato. La norma ha fino ad oggi
comportato grande ingovernabilità, soprattutto in casi di risultati elettorali
incerti così come è avvenuto nelle ultime elezioni. Se a questo si unisce la
presenza di liste bloccate e l’impossibilità di scelta dei parlamentari da parte
dei cittadini appare chiaro come la norma, unita all’assenza di
regolamentazione della vita dei partiti, abbia avuto un ruolo chiave nel
produrre il momento di grave crisi istituzionale che sta attraversando il Paese.
Senza procedere in questa sede ad una completa disamina della normativa,
onde non allontanarsi troppo dal tema centrale di questo lavoro, basti qui
ricordare che come segnalato da attenta dottrina, la vigente legge elettorale
reintroduce de facto il proporzionalismo, seppur forzandolo molto con la
previsione di premi ai partiti che si coalizzano e alla maggioranza vittoriosa,
ma accanto a queste previsioni non contiene soglie di sbarramento per
l’elezione così come avviene in Germania, dove è necessario conseguire
almeno il 5% dei voti validi, «col risultato che potrebbe essere anche
legittimata oltre misura semplicemente la più forte delle minoranze. [...]
L’articolo 49, che rende i cittadini soggetti della partecipazione politica e i
partiti meramente strumentali al perseguimento di questo obbiettivo, nonché
40
gli articoli 56, comma I e 57, comma I, per entrambi i quali l’elezione delle
Camere - rispettivamente quella dei Deputati e il Senato - avviene a suffragio
universale e diretto, appaiono dunque clamorosamente violati».52
Certamente, se la si osserva in relazione all’assetto dei partiti, c’è da
notare come la norma fu frutto di lavori parlamentari forse troppo affrettati,
portati avanti alla vigilia di elezioni politiche nelle quali i maggiori partiti
italiani avrebbero voluto “traghettare” il sistema verso un assetto bipolare più
per la loro conduzione personalistica che perché questo fosse il reale sentire
collettivo.
L’intero arco parlamentare ad oggi sembra convinto della necessità di
modificare la norma, ma non è ancora stato trovato un testo condiviso.
Peraltro, le fibrillazioni dell’attuale maggioranza, che mette insieme partiti
storicamente avversari, fanno sì che alcune forze politiche usino la necessità
della modifica della legge come arma di ricatto all’intera coalizione,
minacciando la crisi di governo prima che la norma venga cambiata, e dunque
condannando a nuova ingovernabilità anche un’eventuale XVIII legislatura,
laddove il Presidente della Repubblica dovesse arrendersi all’impossibilità di
formare un nuovo governo di coalizione.
52 S.PRISCO, La nuova legge elettorale per le Camere tra profili di incostituzionalità e prospettive di rimodellamento del sistema politico, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, anno
41
Non resta che attendere l’intervento della Corte Costituzionale, a cui è
stata proposta la questione di legittimità, che dovrebbe pronunciarsi nel
prossimo ottobre, quantomeno per correggere le parti più evidentemente
viziate della norma e dettare linee guida per la formazione di un nuovo testo,
come del resto la Corte ha già fatto intravedere. Il rinvio alla Consulta è stata
opera del giudice di legittimità. La Corte di Cassazione, infatti, ha disposto con
l’ordinanza 12060/2013 il rinvio alla Corte Costituzionale dopo che sia il
Tribunale di Milano sia la Corte d’Appello avevano rigettato la domanda per
inammissibilità.
Nello specifico la questione era nata nel 2009 davanti al tribunale meneghino,
poiché un cittadino – a cui poi se ne sono aggiunti altri venticinque ad
adiuvandum – aveva citato in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri
ed il Ministero dell’Interno poiché riteneva che a seguito dell’entrata in vigore
della legge 270/2005 il suo diritto di esercitare un voto «personale, eguale,
libero e segreto» ex articolo 48 della Costituzione e «a suffragio universale
diretto» ex 56 fosse stato compresso. In particolare il ricorrente riteneva che
fossero due previsioni della nuova legge elettorale a violare i suddetti principi.
Il primo è quello contenuto all’articolo 1 della legge del 2005, che consente
all’elettore solo un voto di lista e non un voto per il singolo candidato,
«attribuendo dunque rilevanza all’ordine di inserimento dei candidati nella
42
medesima lista», con l’effetto di affidare agli organi di partiti la designazione di
coloro che devono essere nominati, «con la conseguente creazione di un
effettivo e concreto vincolo di mandato dell’eletto nei confronti degli organi di
partiti che lo hanno prescelto».53 Il secondo punto della norma oggetto delle
doglianze è quello per cui il premio di maggioranza ex articolo 4 viene
attribuito per l’elezione del Senato su base regionale, con l’effetto secondo il
ricorrente di violare il principio dell’uguaglianza del voto, poiché il voto
espresso dall’elettore residente nelle lezioni più popolose avrebbe un peso
maggiore di quello espresso nelle regioni meno popolose. Così come aggiunto
dagli stessi ricorrenti in sede di impugnazione della decisione di appello, la
norma accorda il premio di maggioranza non a chi ottiene più voti su base
nazionale, ma semplicemente ottiene più voti nelle regioni più popolose,
trasformando di fatto il premio di maggioranza in un “premio di minoranza”.
A fronte di ciò, i ricorrenti hanno richiesto di ripristinare il loro
diritto di voto secondo modalità conformi a Costituzione, eccependo in via
incidentale l’illegittimità costituzionale.
Mentre il primo grado ha dichiarato inammissibile la questione per
carenza di interesse, la Corte d’Appello ha invece motivato il suo rigetto
53 Corte di Cassazione, I sezione Civile, ordinanza 12060/2013
43
sottolineando come l’introduzione di liste bloccate non comprimesse il diritto
del cittadino di scegliere tra l’una e l’altra lista, non imponendo la Costituzione
il voto con preferenza, ed ha anche evidenziato che l’uguaglianza del voto è
tale laddove è garantito che un voto è uguale agli altri quale che sia il censo, il
sesso o altra connotazione del votante, non ostando a questo principio la
previsione di un premio di maggioranza su base regionale.
La Corte di Cassazione, invece, ha ritenuto di poter accogliere le
istanze dei cittadini ricorrenti, affermando sia l’interesse ad agire che il fatto
che la questione posta dal gruppo di cittadini non è mera litis ficta.
Il giudice delle leggi ha ritenuto che vi fosse interesse ad agire poiché
ha ritenuto più ampia la latitudine dell’interesse ad agire «della legittimazione e
della facoltà di azione concessa ad ogni elettore»54, in ragione della rilevanza
del riconoscimento della pienezza del diritto di voto in conformità della
disciplina costituzionale, quale diritto politico di rilevanza primaria.
La I Sezione civile ha anche negato la possibilità che i ricorrenti aggirassero il
divieto di ricorso diretto alla Consulta, sottolineando che nel caso di specie si
è di fronte non tanto ad un’azione di mero accertamento «bensì ad una sorta
di azione di accertamento costitutivo, dal momento che il contenzioso attiene
54 Corte di Cassazione, sentenza 4103/1982
44
alla presunta realizzazione di un concreto pregiudizio del quale si chiede la
rimozione al giudice a quo [...] la Corte di Cassazione mostra di essere del tutto
consapevole, dal momento che la natura pregiudiziale della questione di
costituzionalità può risultare preservata solo ove si riconosca che l’eventuale
pronuncia di accoglimento non consuma per intero la tutela richiesta al
giudice remittente. La Cassazione in proposito precisa che soltanto la sua
decisione può essere in grado, all’indomani di una dichiarazione di
incostituzionalità ma autonomamente da quest’ultima, di accertare l’avvenuta
lesione del diritto e di ripristinare quest’ultimo nella pienezza della sua
espansione».55
Già prima del rinvio operato dal giudice di legittimità non sono
mancati da parte della Consulta richiami al legislatore sulla necessità di
modificare la legge elettorale mediante degli obiter dictum. La Corte
costituzionale, nella sentenza numero 15/2008, si pronunciò in ordine
all’ammissibilità di un referendum abrogativo riguardante la legge elettorale.
Essa si guardò bene dall’entrare nel merito dei profili di costituzionalità,
ribadendo la propria giurisprudenza nel senso che «un giudizio anticipato sulla
situazione normativa risultante dall'avvenuta, in ipotesi, abrogazione
55 F. DEL CANTO, La legge elettorale dinanzi alla Corte Costituzionale: verso il superamento di una zona franca?, da forumcostituzionale.it, 14 giugno 2013
45
referendaria, verterebbe su norme future e incerte, in palese violazione delle
regole del processo costituzionale italiano, che vietano al giudice delle leggi di
procedere allo scrutinio di costituzionalità senza che la questione sia sorta in
occasione di una concreta vicenda applicativa della norma censurata». La
Corte, comunque, ebbe ad aggiungere che «l'impossibilità di dare, in questa
sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia
questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare
con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina
l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia
minima di voti e/o di seggi». Cinque anni dopo, la Corte è stata nuovamente
chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità di un altro referendum abrogativo
riguardante la legge elettorale, questa volta avente ad oggetto l’abrogazione
integrale della legge, con l’obiettivo di far rivivere, mediante tale abrogazione,
la legge elettorale precedente. In quella sede (sentenza 13/2012) la Corte ha
ribadito, anche di fronte ad esplicite affermazioni dei soggetti presentatori del
referendum, l’impossibilità di pronunciarsi sui profili di incostituzionalità,
respingendo l’ipotesi che tali questioni risultassero pregiudiziali alla definizione
del giudizio. E tuttavia anche questa volta la motivazione ha ripetuto la
medesima formula utilizzata nelle due occasioni precedenti, ricordando che già
nel 2008 era stata segnalata al Parlamento «l’esigenza di considerare con
46
attenzione gli aspetti problematici della legislazione prevista nel 2005, con
particolare riguardo all’attribuzione di un premio di maggioranza, sia alla
Camera dei deputati che al Senato della Repubblica, senza che sia raggiunta
una soglia minima di voti e/o di seggi».56
Chiamata oggi ad affrontare direttamente la questione di legittimità,
non è facile prevedere che posizione prenderà la Consulta. Oltre ai dubbi già
avanzati e sciolti – sebbene per alcuni commentatori in maniera un po’
lacunosa57 – dalla Corte di Cassazione, ci si chiede anche quale potrebbe
essere l’effetto di un’eventuale pronuncia di incostituzionalità della legge sul
Parlamento che si è formato seguendo il procedimento di cui alla legge 270.
«L’eventuale pronuncia di incostituzionalità della legge elettorale, ancorché
limitatamente all’attribuzione del premio di maggioranza senza soglia minima,
potrebbe/dovrebbe comportare l’annullamento delle elezioni? Certamente la
risposta potrà dipendere dal tipo di dispositivo che la Corte vorrà (o potrà)
adottare: e tuttavia non credo si debba escludere un effetto diretto o indiretto
56 E. ROSSI, La Corte Costituzionale e la legge elettorale: un quadro in tre atti e dall’epilogo incerto, da federalismi.it, numero 12/2013 57 in questo senso DEL CANTO, ibidem, scrive: «Non è ben chiaro, a dire il vero, in cosa si sostanzi, in concreto, quella “portata più ampia” che dovrebbe riconoscersi alla decisione della Corte di cassazione rispetto alla “naturale portata” della pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale»
47
sulla legislatura in corso, con conseguente obbligo per il Presidente della
Repubblica di scioglimento anticipato delle Camere».58
4. L’ordinanza 79/2006 della Corte Costituzionale
Non sono state molte le occasioni in cui la Corte Costituzionale si è
pronunciata sul tema della disciplina dei partiti politici. La più recente ed
organica pronuncia in tema del ruolo che per i giudici costituzionali assumono
i partiti nell’assetto repubblicano risale al 2006. L’ordinanza numero 79 di
quell’anno della Consulta rigetta il ricorso per conflitto di attribuzioni tra
poteri dello Stato presentato dall’associazione politica La rosa nel pugno –
Laici socialisti liberali radicali.
In occasione della tornata elettorale, questa forza politica sollevava in
riferimento agli articoli 3 e 49 della Costituzione conflitto di attribuzione nei
confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, in relazione
alle allora recentemente introdotte disposizioni della legge elettorale che
prevedevano la raccolta di firme anche per La rosa nel pugno, pur non
essendo questa una forza politica tecnicamente “nuova”, ma originata
dall’unione di due partiti già esistenti, uno dei quali già presente in Parlamento
58 ibidem
48
nella precedente legislatura. Il partito paventava «il rischio della esclusione
dalla competizione elettorale in numerose circoscrizioni, stante lo strettissimo
lasso di tempo a disposizione per la raccolta delle firme e la necessità di
definire le candidature in anticipo rispetto alle altre formazioni politiche, con
conseguente lesione del diritto di parteciparvi in condizioni di parità con gli
altri partiti, ai sensi dell'articolo 49 della Costituzione».
Nel ricorso, La rosa nel pugno fondava la sua legittimazione attiva
sulla tesi secondo cui «i partiti politici sono titolari di attribuzioni
costituzionali nei procedimenti per l'elezione delle assemblee, con
conseguente qualificazione di poteri dello Stato allorché lamentino la lesione
di quelle attribuzioni», traendo tale definizione proprio dalla giurisprudenza
costituzionale in tema di conflitti giustiziabili tra poteri dello Stato.
In questa occasione infatti la Corte Costituzionale aveva definito i
comitati promotori dei referendum abrogativi quali soggetti legittimati a
proporre conflitto di attribuzione perché «per configurare un potere dello
Stato è sufficiente la titolarità di attribuzioni costituzionali il cui esercizio sia
essenziale per il funzionamento degli organi costituzionali, restando
secondario se il soggetto sia o meno organo dello Stato in senso proprio»;59 a
59 Sentenza Corte Costituzionale 69/1978
49
ragione di ciò i ricorrenti deducevano che «sono legittimati i partiti, non dotati
di vita effimera».
Per completezza di esposizione va segnalato che autorevole dottrina
aveva altresì tracciato la linea di demarcazione tra partito politico e comitati
referendari. I primi hanno la loro cifra specifica nella capacità integratrice e
nella loro responsabilità nei meccanismi formalmente riconosciuti dal
processo politico, mentre i comitati referendari, così come i gruppi di
pressione, sono rappresentanti di interessi omogenei e tesi ad influenzare delle
decisioni politiche senza però la volontà di governare, la cui azione,
diversamente da quella de partiti, si esaurisce nel procedimento elettorale.60
La Corte, nel rigettare il ricorso per difetto di legittimazione, fondò a
sua volta la motivazione proprio sulla stessa sentenza del 1978, affermando
che «il principio suddetto non può essere riferito ai partiti politici, mancando il
presupposto per la sua applicazione, consistente nella previsione della titolarità
di uno specifico potere da parte della Costituzione, laddove l'articolo 75 della
Costituzione riconosce espressamente ad una frazione del corpo elettorale –
della quale i promotori sono competenti a dichiarare la volontà – la titolarità
del potere di iniziativa».
60 P. RIDOLA, I partiti politici, voce, in Enciclopedia del Diritto, 1982, 66 e ss.
50
La Consulta motivò tale tesi sulla considerazione della natura dei
partiti politici, fondandola proprio su una particolare esegesi dell’articolo 49
della Costituzione: «l’articolo 49 attribuisce ai partiti politici la funzione di
concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale e non
specifici poteri di carattere costituzionale; al riguardo, è decisivo rilevare che i
partiti politici sono garantiti dalla Carta costituzionale – nella prospettiva del
diritto dei cittadini di associarsi – quali strumenti di rappresentanza di interessi
politicamente organizzati; diritto di associazione al quale si ricollega la garanzia
del pluralismo; che le funzioni attribuite ai partiti politici dalla legge ordinaria
al fine di eleggere le assemblee – quali la «presentazione di alternative
elettorali» e la «selezione dei candidati alle cariche elettive pubbliche» – non
consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni costituzionali, ma
costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha ritenuto di raccordare il
diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di associarsi in una
pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per concorrere
nell’ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello
stesso articolo 49».
La Corte nella sua motivazione faceva anche riferimento ai lavori
preparatori dell’Assemblea costituente ed in particolare alla scelta dei
Costituenti di rigettare le proposte di disciplina della vita interna dei partiti.
51
Essa definiva dunque i partiti come «organizzazioni proprie della società civile,
alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non
come poteri dello Stato ai fini dell'articolo 134».
L’ordinanza, se da un lato ha chiarito la posizione della Consulta sulla
disciplina dei partiti, d’altra parte ha attirato non poche critiche dalla dottrina,
sebbene la posizione non abbia destato particolare meraviglia: da tempo la
dottrina aveva escluso che i partiti fossero legittimati a sollevare conflitto di
attribuzioni61, osservando però che «è pur vero che parte della stessa dottrina
ha negato tale legittimazione per così dire legibus sic stantibus, cioè fintantoché
non venissero ai partiti conferite specifiche funzioni pubbliche, analoghe a
quelle previste – il riferimento è comune – dall’ordinamento tedesco».62
Ad alcuni commentatori è sembrato che l’osservazione della Corte
sull’assenza in seno ai partiti di specifiche attribuzioni puntuali da parte della
Costituzione, tali da poterli fare qualificare come organi dello Stato, riduca il
portato dell’articolo 49 alle garanzie già contenute nell’articolo 18.
L’ordinanza «accoglie, in definitiva, un'interpretazione dell'articolo 49
e della funzione dei partiti politici più conforme ai principi dello Stato liberale
61 M. MAZZIOTTI, I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, Milano, vol. I, 1972, 330 ss.
62 S. CURRERI, Non varcate quella soglia! (prime considerazioni sull'ordinanza n. 79/2006 della Corte costituzionale circa l'inammissibilità del conflitto di attribuzioni sollevato da un partito politico), in forumcostituzionale.it, 18 aprile 2006
52
– che distingueva nettamente l’attività politica svolta nell'ambito della società
da quella, caratterizzata dalla sovranità, compiuta all’interno dello Stato – che a
quelli del vigente ordinamento repubblicano.
La politica nazionale trascende, invece, l’attività politica che si svolge
nell’ambito della società e si identifica con quella compiuta all'interno
dell’organizzazione costituzionale dello Stato, nella quale i partiti operano in
via immediata per mezzo dei propri candidati eletti, riuniti in gruppi
parlamentari. Solo in tal modo trova giustificazione l’esclusività della funzione,
altrimenti inconcepibile in una società e in un ordinamento pluralisti, che
l’articolo 49 riserva ai partiti politici. La formale presenza dei partiti in
parlamento non si desume soltanto da un’interpretazione coordinata dei
principi e delle norme costituzionali (articoli 1, 49, 72), ma anche da decisioni
normative, contenute nelle leggi ordinarie e nei regolamenti parlamentari (…)
». È possibile sul punto elencare alcuni esempi: «L’articolo 3 della legge 195
del 1974 stabiliva infatti al comma 1 che “A titolo di contributo per
l’esplicazione dei propri compiti e per l’attività funzionale dei relativi partiti i
gruppi parlamentari hanno diritto a finanziamenti...”; e all’ultimo comma
aggiunge che “I presidenti dei gruppi parlamentari sono tenuti a versare ai
rispettivi partiti una somma non inferiore al 95 per cento del contributo
riscosso”. Il comma 3 dello stesso articolo qualificava inoltre i gruppi
53
parlamentari come “rappresentanze parlamentari dei partiti”, mentre l’articolo
14, comma 2, RC (poi ripreso nel suo contenuto normativo dall’articolo 14,
comma 5, RS) consente a determinate condizioni la costituzione in gruppo
parlamentare di un numero di deputati inferiore a venti, “purché questo
rappresenti un partito organizzato nel Paese”: rapporto rappresentativo tra
gruppo parlamentare e partito che, alla luce delle disposizioni legislative sopra
indicate, deve essere interpretato riconducendo il primo all’organizzazione
interna del secondo. Benché l’articolo 3 della legge 195 del 1974 sia stato poi
abrogato, restano intatte le implicazioni che ne scaturiscono in ordine al
rapporto tra partiti e gruppi parlamentari».63
Lo stesso autore definisce dunque i gruppi parlamentare come organi
interni dei rispettivi partiti e giunge a considerare che «di conseguenza, a meno
di non ritenere costituzionalmente illegittime le disposizioni sopra richiamate,
i partiti, per mezzo dei rispettivi gruppi parlamentari, assumono la titolarità
effettiva dei poteri legislativi, di indirizzo politico e di controllo, che la
costituzione e i regolamenti parlamentari attribuiscono alle camere, ai rispettivi
organi interni, ai loro singoli componenti».
63 A. MANNINO, I partiti politici davanti alla Corte costituzionale, da Quaderni Costituzionali, da forumcostituzionale.it, 3 maggio 2006
54
Altra dottrina, sulla stessa linea d’onda, aggiunge: «In definitiva, per la
Corte, i partiti politici sarebbero soggetti costituzionalmente garantiti, che
però non esercitano attribuzioni costituzionali sol perché non espressamente
previste dall'articolo 49: il che mi sembra una vera e propria contraddizione in
termini che svuota di contenuto la stessa disposizione costituzionale.(…) La
stessa formulazione dell’articolo 49, cui non è estranea una comprensibile
difficoltà ad enucleare una compiuta definizione di partito politico, comune
peraltro ai legislatori costituzionali europei, non toglie nulla alla
consapevolezza dei costituenti circa la natura costituzionale delle funzioni
svolte dai partiti».64
Le motivazioni avanzate dalla Corte hanno trovato insomma concorde
molta dottrina nella critica ad una posizione che sembra spostare all’indietro le
considerazioni svolte negli anni anche sugli stessi lavori preparatori
dell’articolo 49, che non sembrano escludere in nessun punto la possibilità di
riconoscere ai partiti un ruolo che vada aldilà di quello sociale né tantomeno la
possibilità di una regolamentazione della loro vita interna. Ciononostante
ancor oggi, quando da più parti della politica e della società si avverte con
ancora maggiore urgenza la necessità di una disciplina più puntuale della vita
interna dei partiti e in Parlamento vengono da anni depositati disegni di legge
64 S. CURRERI, op. cit.
55
in tal senso, la giurisprudenza costituzionale sembra negare la possibilità di
una simile riforma, ancora una volta rifacendosi ai lavori preparatori della
Costituzione: «i nostri padri costituenti (…) sottolineano innanzitutto che
«[riunirsi in partiti politici è] un diritto, e che questo diritto deve potersi
esercitare liberamente».
In proposito al ddl Finocchiaro – Zanda che prevedeva la costituzione
dei partiti nelle forme dell’associazione riconosciuta65, l’ex presidente della
Corte Costituzionale Pietro Alberto Capotosti ha ritenuto che la norma si
rifaccia al modello previsto dall'articolo 39 per i sindacati, ma questo contrasta
appunto con quanto previsto esplicitamente per i partiti. È solo per i sindacati,
e non per i partiti, che la nostra Costituzione prevede l'obbligo dello statuto
che fissi un ordinamento interno, a base democratica».66
Se è vero che a differenza dell’articolo 39 – peraltro mai applicato per
l’opposizione dei sindacati – l’articolo 49 non prevede il dovere di costituzione
nella forma dell’associazione riconosciuta ai partiti politici, è anche vero che
non è rintracciabile in alcun punto dei lavori preparatori della Costituzione il
65 Disegno di legge d’iniziativa dei senatori Finocchiaro, Zanda ed altri comunicato alla Presidenza il 22 marzo 2013, Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione in materia di democrazia interna e trasparenza dei partiti politici
66M. A. CALABRÒ Capotosti: "Vietare elezioni ai movimenti è anticostituzionale”, in Corriere della Sera, 20 maggio 2013, 2
56
divieto che questi possano assumere tale forma, né tantomeno che il
legislatore ordinario non possa intervenire in questo senso: la primaria
preoccupazione dei Costituenti era piuttosto che questi non fossero sottoposti
al potere esecutivo. Solo in questo senso dunque è fondato il timore di chi
vede concretarsi proprio questo disegno nelle disposizioni che vorrebbero in
tempi recenti i partiti politici costituiti nelle forme dell’associazione
riconosciuta.
Ai sensi del decreto 361 del 2000, infatti, sebbene non sia più
necessario il decreto prefettizio perché le associazioni assumano la personalità
giuridica, il registro delle associazioni resta comunque custodito presso le
Prefetture.67 Inoltre, al di là delle valutazioni sostanziali, come sostenuto da
autorevole dottrina, dal punto di vista formale rimettere tutto alla disciplina
civilistica «sembra sfociare in un assetto, per così dire, contrattuale (…). Quel
che di tale ricostruzione lascia perplessi non è invero l’accentuazione del
profilo associativo nella considerazione del fenomeno partitico», punto sul
quale per altro si sottolinea come trovi «esplicita sottolineatura a livello
costituzionale e garantisce la posizione strumentale dei partiti (…), ma la
67 art.1 dpr 361/00: «(…) le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, istituito presso le prefetture»
57
completa scissura, che essa implica, fra la posizione costituzionale dei partiti
ed una componente di disciplina pubblicistica».68
68 P. RIDOLA, I partiti politici, voce, in Enciclopedia del Diritto, 1982, 66 e ss.
58
III
1. La disciplina dei partiti politici in Spagna e Germania
Ai fini di un’analisi della disciplina dei partiti politici che possa dirsi
completa ed attuale non può prescindersi dal volgere lo sguardo anche verso
le esperienze di altri Paesi e di organi sovranazionali quali l’Unione Europea.
La scelta della Spagna e della Germania come termini di raffronto
dell’esperienza italiana risponde ad esigenze di comparabilità degli assetti
istituzionali: l’esperienza spagnola e quella tedesca rappresentano due delle
esperienze di parlamentarismo europeo razionalizzate più originali e
maggiormente innovative, ma anche forme di governo parlamentare stabili e
con maggiore rendimento istituzionale, sia in termini di stabilità dei governi sia
in termini di coesione interna del relativo indirizzo politico.69
La presenza di una Corte Costituzionale dotata di potere di controllo
di legittimità delle leggi e dell’esercizio dei poteri degli organi dello Stato rende
69 S. GAMBINO, Il ruolo de partiti politici e la legge elettorale, fra storia costituzionale del Paese ed attualità, da rivistaaic.it numero 2/2013
59
agevole la comparazione, sebbene le forme di governo delle tre nazioni siano
diverse e nonostante il fatto che in Italia viga il bicameralismo perfetto – ma
per quanto ancora?
A fronte della necessità di elementi comuni agli ordinamenti giuridici
oggetto di comparazione perché l’analisi sia efficace non si può non avanzare
qualche dubbio rispetto al richiamo ormai costante negli ultimi anni da parte
di forze politiche italiane ad istituti propri soprattutto delle tradizioni
costituzionali nordamericana ed inglese. Sebbene certamente strumenti quali le
primarie di partito siano “esportabili”, è bene ricordare come le differenze
storiche, culturali e soprattutto istituzionali non rendano possibile
un’applicazione pedissequa dell’istituto, che deve dunque essere modellato sul
vigente sistema politico e costituzionale per assumere quella stessa efficacia
istituzionale e sociale.
2. La disciplina dei partiti in Spagna
La disciplina dei partiti politici in Spagna risulta di particolare interesse
ai fini di un’analisi comparata per le peculiarità storiche e geografiche di questa
nazione. La persistenza delle forze separatiste basche ed i lunghi anni di
sanguinoso terrorismo hanno necessariamente coinvolto anche la dialettica dei
60
partiti, dal momento che non sono mancati nel panorama partitico iberico
forze politiche che facessero espresso riferimento ad ideali separatisti e
violenti.
La Costituzione Spagnola disciplina all’articolo 670 i partiti politici. E’
subito evidente la prima differenza con l’analoga disciplina dell’articolo 49
della Costituzione italiana: la norma fondamentale spagnola fissa dei caratteri
inderogabili di costituzionalità e legalità in maniera espressa ed inequivocabile,
per quanto la flessibilità della Carta fondamentale spagnola dia un significato
del tutto diverso e peculiare a quelle parole rispetto al senso che vi si darebbe
nel nostro ordinamento. Appare necessario evidenziare in via preliminare che
la Costituzione spagnola è modificabile in tutte le sue parti, con il solo limite
del rispetto delle procedure fissate nel combinato disposto degli articoli 167 e
168 della stessa. 71
70 I partiti politici esprimono il pluralismo politico, concorrono alla formazione e manifestazione della volontà popolare e sono strumento fondamentale per la partecipazione politica. La loro creazione e l’esercizio della loro attività sono libere nel rispetto della Costituzione e della legge. La loro struttura interna e il loro operare dovranno essere democratici 71 Art. 167. I progetti di revisione costituzionale dovranno essere approvati da una maggioranza dei tre quinti di ciascuna delle Camere. Se non vi sarà accordo fra di esse, si cercherà di ottenerlo mediante la creazione di una commissione composta in egual numero di deputati e senatori, la quale presenterà un testo che sarà votato dal Congresso e dal Senato. Se non si otterrà l'approvazione mediante il procedimento di cui al comma precedente, e sempre che il testo abbia ottenuto il voto favorevole della maggioranza assoluta del Senato, il Congresso, con la maggioranza dei due terzi, potrà approvare la riforma. Approvata la riforma dalle Cortes, questa sarà sottoposta a referendum per la sua ratifica quando lo richieda, entro i quindici giorni successivi alla sua approvazione, la decima parte dei membri di una qualsiasi delle Camere. Art. 168. Qualora si intenda promuovere la revisione completa della Costituzione o una revisione parziale riguardante: il Titolo preliminare; il Capitolo II, Sezione I, del Titolo I; o il Titolo II, si procederà all'approvazione di tale delibera a maggioranza dei due terzi di ciascuna Camera, e allo scioglimento
61
Inoltre l’articolo 6 opera anche un rinvio alla legge ordinaria per la
disciplina del funzionamento dei partiti: l’articolo 49 non vieta al legislatore
ordinario di operare in materia, ma i Padri costituenti non hanno
espressamente delegato alla fonte ordinaria poteri in materia, a causa dei
timori sulle possibili ingerenze del potere esecutivo.
La disciplina contenuta all’articolo 6 della Costituzione spagnola va
anche collegata con quella dell’articolo 22 della stessa Carta costituzionale, che
nel garantire la libertà di associazione vieta la costituzione di associazioni
segrete e di carattere paramilitare.
La prima legge spagnola in materia di partiti politici risale al 1978. La
legge numero 54 prevedeva una disciplina assai scarna, che faceva riferimento
alla libertà costituzionalmente garantita di associazione. La procedura di
iscrizione dei partiti politici negli appositi registri custoditi presso le sedi
ministeriali prevedeva che i promotori, preventivamente identificati,
presentassero lo statuto del partito presso gli uffici del Ministero degli Interni
che avrebbe proceduto al riconoscimento nei venti giorni successivi.
immediato delle Cortes. Le Camere elette dovranno ratificare la decisione e procedere allo studio del nuovo testo costituzionale, che dovrà essere approvato a maggioranza dei due terzi di entrambe le Camere. Una volta approvata dalle Cortes, la revisione sarà sottoposta a referendum per la sua ratifica
62
Per quanto riguarda i principi a cui il partito politico doveva
conformarsi l’articolo 5 della legge del 1978 prevedeva che l’autorità
giudiziaria competente potesse sciogliere un partito nei casi seguenti:
1) qualora i partiti incorressero in fattispecie tipiche delle associazioni
illecite secondo il Codice penale ex articolo 51572;
2) qualora la loro organizzazione o attività fossero contrarie ai principi
democratici.
L’analisi dei due parametri è stato oggetto di lunghi e critici dibattiti da
parte della dottrina spagnola. In particolare73 alcuni studiosi hanno rilevato
come nel 1978 il legislatore abbia voluto creare «un’esigenza ibrida», non
costituzionalmente prevista. Infatti i partiti dovevano conformarsi da un lato
alla costituzione e la legge e dall’altro lato rispettare norme burocratico–
amministrative disciplinanti la struttura interna. I dubbi di costituzionalità di
72 Sono punibili le associazioni illecite:
1. Quando il loro obiettivo è di commettere un reato o dopo la costituzione, promuovere la loro commissione, nonché volto commettere o favorire la commissione di reati di un organizzato, coordinato e coerente. 2. Quando, pur avendo uno scopo legittimo, impiegano mezzi violenti o alterazione o controllo della personalità per il loro raggiungimento. 4. Le organizzazioni paramilitari. 5. Quando istigano alla discriminazione, all'odio o alla violenza contro le persone, gruppi o associazioni a causa della loro ideologia, religione o convinzioni personali, l'appartenenza dei suoi membri o di uno di essi ad un gruppo etnico, razza o nazione, genere, l'orientamento sessuale, la situazione familiare, malattia o disabilità, o incitano esso.
73 R.L. BLANCO VALDES, Costituzione, illegalità dei partiti politici e difesa dello Stato democratico in Spagna, in Democrazia e Sicurezza, da democraziaesicurezza.it, anno III, n.1, 2013
63
questa disposizione sono stati agevolmente risolti con un richiamo ai principi
fondamentali contenuti nella Costituzione.
Il punto della norma che maggiormente ha dato luogo a dubbi è stato
il secondo parametro individuato dall’articolo 5.2, ovvero la violazione dei
principi democratici. La dottrina ha rilevato come in questo punto il
legislatore differenziasse la disciplina delle associazioni da quella dei partiti: le
prime potevano essere sciolte solo dopo essere state dichiarate penalmente
illecite, i secondi anche senza aver violato la legge penale. Diversi risultano
dunque anche gli effetti dello scioglimento. Costante giurisprudenza ha
interpretato l’articolo nel senso di affermare che «il mancato rispetto da parte
dei partiti politici nelle loro attività (o nella loro organizzazione) dei principi
democratici determina solo lo scioglimento (o sospensione) come partito,
ossia, come associazione che gode dei benefici previsti dall’ordinamento
spagnolo», non ostando dunque al proseguimento dell’attività come mera
associazione.
A tal fine risultano interessanti due pronunce della giurisprudenza
spagnola in ordine alle richieste di applicazione della clausole di scioglimento
alla forza politica Herri Batasuna, partito indipendentista considerato il
braccio politico del gruppo terroristico basco ETA.
64
Nel 1984 la magistratura dell’Audiencia Nacional ha annullato il
diniego di registrazione emesso della Direzione Generale di Politica Interna
del Ministero dell'Interno nei confronti di HB. Il Ministero considerava motivo
ostativo all’iscrizione la mancanza all’interno dello statuto del partito di
un’adesione esplicita ai principi costituzionali. Il Tribunale e successivamente
anche la Corte di Cassazione74 hanno invece consentito l’iscrizione del partito
basco sulla base di due argomentazioni. I giudici rilevarono come la legge del
1978 non prevedesse che i regolamenti facessero esplicito richiamo ai principi
costituzionali. Inoltre per la Corte la violazione dei principi costituzionali non
poteva desumersi dal mancato richiamo agli stessi, quanto da azioni concrete
che violassero i diritti dei cittadini.
Ancora una volta dopo due anni la questione della legittimità dello
statuto di HB finì davanti ai giudici del Trinunal Supremo. In questa occasione
la Corte si è pronunciata introducendo un’interessante novità nella valutazione
dei regolamenti. Per i giudici la conformità all’ordinamento era da verificarsi
nell’ambito delle attività dell’ organizzazione radicale basca.
I due presupposti di legittimità contenuti nella norma del 1978 dunque
non sono risultati sufficienti per arginare i rischi legati alla presenza di partiti
74 sent. 23/5/1984, III sez.
65
politici legati ad associazioni terroristiche. «Non si poteva applicare il primo
presupposto perché l'articolo 515 del Codice penale spagnolo, nel tipizzare i
casi di associazione illecita, non considera tutte le associazioni contrarie alla
Costituzione; infatti, mentre per l'articolo 22 CE va dichiarata illegale –
attraverso una risoluzione giudiziale motivata – una associazione che
"persegua fini o utilizzi mezzi tipizzati come delitto", viceversa non rientrano
nella tipizzazione offerta dall'articolo 515 c.p. e quindi non possono essere
sciolte tramite questa via, associazioni (o partiti) che commettano il delitto di
apologia del terrorismo, qualora queste (è il caso del partito in questione) non
presentino nel proprio statuto o non dichiarino apertamente una finalità
illecita, oppure non impieghino mezzi violenti o che implichino una
compressione della libertà di manifestazione del pensiero dei propri associati.
Non si poteva neppure applicare il secondo presupposto previsto dalla LPP
54/1978, stante la possibilità di sindacare la democraticità dei partiti solo
formalmente e senza intaccarne il diritto di auto-organizzazione (STC
56/1995)». 75
75 P.P. SABATELLI, Spagna: La nuova legge sui partiti: il "caso" Batasuna, in Forum di Quaderni Costituzionali, da forumcostituzionale.it
66
E’ risultato dunque necessario un nuovo intervento legislativo e la
modifica della legge di disciplina dei partiti politici perché il braccio politico
dell’ETA fosse messo al bando.
3. La nuova legge spagnola sui partiti 6/2002
La nuova legge organica sui partiti politici in Spagna è frutto della
votazione di una maggioranza schiacciante che ha messo d’accordo
trecentoquattro su trecentocinquanta deputati del Parlamento spagnolo76 ed
ha incontrato il favore della pubblica opinione. Non sono mancate però le
critiche da parte di una dottrina più attenta alla particolareggiata disciplina
dettata dalla nuova fonte normativa.
Già nel preambolo introduttivo alla legge appare chiaro l’intento del
legislatore del 2002 di irreggimentare la vita dei partiti al fine di evitare storture
quali quella introdotta nel sistema costituzionale dalla forza basca HB. Infatti,
si legge nel preambolo, «sebbene i partiti politici non siano organi
costituzionali, ma enti associativi privati, sono una parte essenziale
dell'architettura costituzionale e svolgono funzioni di primaria rilevanza
istituzionale e democratica (…) la legge sui partiti politici sviluppa le
76 Fonte: congreso.es, consultato nel Luglio 2013
67
disposizioni essenziali di cui agli articoli 1, 6, 22 e 23 della nostra Costituzione
(…) conciliando con estrema cautela la libertà ed il più alto grado di
pluralismo, con il rispetto dei diritti umani e la tutela della democrazia (…) ai
fini di evitare comportamenti di legalizzazione isolati (…) prevedendo invece
una reiterazione o accumulo di azioni che rivelano chiaramente un intero
percorso teso al fallimento della democrazia e offensivo per i valori
costituzionali, per il metodo democratico ed i diritti dei cittadini».
La disciplina varata nel 2002 prevede innanzitutto regole ferree per
l’organizzazione interna della vita del partito sul modello tedesco, fugando
dunque del tutto i dubbi di «esigenza ibrida» sorti con la prima
regolamentazione del 1978. L’articolo 7 obbliga il partito a formare
un’assemblea direttiva di iscritti che potrà agire direttamente o tramite i suoi
delegati la cui azione sarà regolamentata dagli statuti. Vengono previste anche
forme di controllo democratico dei dirigenti eletti.
Di particolare rilievo ai fini degli obiettivi posti dal legislatore nel
preambolo è l’articolo 9 della 6/2002. La disciplina dell’attività di partito e
soprattutto dei limiti alla stessa ricomprende una grande quantità di fattispecie
lesive di diritti costituzionalmente garantiti. Nel secondo comma l’articolo
specifica come tali attività assumano particolare rilevanza quando siano
esercitate in maniera «ripetuta e grave» (articolo 9.2); vengono individuati
68
come comportamenti antidemocratici tutti quelli tesi a violare le libertà
personali, il diritto di uguaglianza, l’istigazione alla violenza o la sua
giustificazione, nonché il sostegno all’azione «delle organizzazioni terroristiche
per raggiungere il loro obiettivo di sovvertire l'ordine costituzionale o
gravemente disturbante la pace pubblica». Il comma successivo della norma
specifica che sono altresì rilevanti ai fini dell’istanza di scioglimento l’espresso
o tacito sostegno politico al terrorismo (lettera a), nonché l’ inclusione
regolare nella leadership di partito o nelle liste elettorali di persone condannate
per reati di terrorismo che non hanno rifiutato pubblicamente i mezzi
terroristici (lettera c). Appare limitata anche la scelta di simboli o slogan
elettorali quando questi facciano richiamo al terrorismo o alla violenza ed i
comportamenti ad esso associati (lettera d). Rientra infine tra le cause di
scioglimento anche il mancato rispetto degli articoli 7 e 8 sull’organizzazione
interna del partito. L’articolo continua con una disposizione di chiusura, in cui
si sottolinea come ai fini della valutazione di illegittimità verrà considerato
l’intero «percorso» di un partito politico, «anche se ha cambiato nome, (…)
Devono anche essere prese in considerazione le sanzioni amministrative
imposte ai partiti politici o ai suoi membri e le condanne penali inflitte a
leader, candidati, rappresentanti o affiliati eletti, per i reati ai sensi dei Titoli
69
XXI77 e XXIV78 del codice penale, nonché i provvedimenti disciplinari presi
contro di loro che portano alla loro espulsione».
I commi indicati sono frutto di un’importante opera di riforma
rispetto alla prima stesura del progetto di legge. Infatti, così come sottolineato
da alcuni studiosi, 79 «i suoi redattori avevano mescolato fattispecie penali e
cause correlate ad attività (lesive, o meno, dei principi democratici) non
prefiguranti reato (…). E tutto questo con l'abuso continuo di concetti
giuridici indeterminati e clausole legali aperte che coinvolgevano in maniera
estremamente pericolosa la certezza del diritto per quanto riguarda la messa al
bando e la scioglimento dei partiti politici». Solo un successivo intervento ha
reso le fattispecie ivi contemplate puntuali e puramente riferibili a condotte
giuridiche e dunque lesive della libertà espressiva e di pensiero. Nonostante le
modifiche però non manca chi si esprime ancora criticamente sul portato della
legge, evidenziando come «si pone il dubbio preliminare in ordine
all'ammissibilità di una LPP così strutturata in un sistema costituzionale come
quello spagnolo, in cui non esiste neppure implicitamente una clausola di
intangibilità che, come nel caso della Costituzione tedesca o di quella
portoghese, obblighi i partiti politici a conformarsi ai principi ed ai valori
77 artt. 472 e ss. Crimini contro la Costituzione 78 artt. 605 e ss. Crimini contro la Comunità Internazionale 79 tra cui il già citato R.L. BLANCO VALDES
70
contenuti nella stessa (…)”. Inoltre viene rilevato come le clausole di illegalità
tengano in considerazione anche comportamenti di singoli individui che,
invece di rimanere nella sfera del soggetto, possono portare allo scioglimento
dell’intero partito. Aspramente criticata è anche la disposizione di cui alla
lettera a) del comma terzo dello stesso articolo80, che pare introdurre «una
nuova figura di delitto: l'appoggio silente al terrorismo, il delitto commesso
anche da chi non dica nulla».81
Punto centrale della nuova disciplina è l’articolo 11, che individua i
soggetti legittimati alla richiesta di dichiarazione di illegalità di un partito
politico. Attualmente l’iniziativa può essere promossa dal Governo o da un
qualsiasi Pubblico ministero, nonché dal Congresso e dal Senato che invitano
il Governo a recapitare l’istanza presso la Sala Especial del Tribunal Supremo,
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il progetto di legge iniziale
prevedeva che quest’ultima possibilità di iniziativa rendesse necessario che
l’istanza al Governo fosse presentata da almeno 50 deputati ed altrettanti
senatori unitamente alla Procura dello Stato. La limitazione numerica fu
duramente contestata in Parlamento soprattutto dal PSOE, considerato che in
questo modo i maggiori partiti della scena politica avrebbero sempre avuto la
80 «Dare sostegno politico tacito o espresso al terrorismo»
81 in questo senso P.P. SABATELLI, Spagna: La nuova legge sui partiti: il "caso" Batasuna, in Forum di Quaderni Costituzionali, da forumcostituzionale.it
71
possibilità numerica di dare luogo all’istanza. Non è mancato nel panorama
partitico chi ha condivisibilmente sostenuto che sarebbe stato più opportuno
attribuire il diritto d’iniziativa ad un organo più neutrale, quale ad esempio
l’Avvocatura dello Stato, sebbene sia stato notato come includere il Governo
tra gli organi legittimati ad agire non aggiunge nulla di giuridicamente
sostanziale, poiché esso può sempre ricorrere al Procuratore generale dello
Stato che promuove presso i tribunali i procedimenti relativi alla tutela
dell'interesse pubblico.82 Ancora, voci critiche si sono levate rispetto alla scelta
di conferire la competenza non alla Corte Costituzionale ma alla Sala Especial
del Tribunal Supremo83.
L’effetto della sentenza di dichiarazione di illegalità è la liquidazione
patrimoniale – il cui residuo è destinato ad attività di promozione sociale – e la
cessazione immediata di ogni attività del disciolto partito politico. La sentenza
è inappellabile ma solo ricorribile tramite recurso de amparo presso la Corte
Costituzionale.
82 R.L. BLANCO VALDES, Costituzione, illegalità dei partiti politici e difesa dello Stato democratico in Spagna, in Democrazia e Sicurezza, anno III, n.1, 2013 83 vedi oltre
72
4. Partiti politici in Germania: l’articolo 21 della Grundgesetz
L’ordinamento tedesco contiene una disciplina organica dei partiti
chiara e puntuale, resa completa in ogni sua fattispecie da un’applicazione
giurisprudenziale della Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht)
coerente con l’impianto generale delineato dalla Costituzione.
La materia trova innanzitutto nella Carta fondamentale una norma che
definisce finalità e limiti dell’azione dei partiti, demandando al legislatore
ordinario la stesura di una disciplina più puntuale84.
Già ad una prima lettura della norma della Grundgestz emerge la
caratteristica del diritto tedesco di essere un diritto militante. La dottrina ha così
infatti definito la tendenza del diritto tedesco di prevedere dei meccanismi di
difesa da ogni surrettizia pratica di “legalizzazione” di movimenti
antidemocratici e illiberali. Questo impianto è teso a scongiurare l’emergere di
nuove esperienze totalitarie come quelle vissute dalla Germania nel recente
84 Articolo 21: I partiti concorrono alla formazione della volontà politica del popolo, la loro fondazione è libera. Il loro ordinamento interno dev’essere conforme ai principi fondamentali della democrazia. Essi devono tenere conto pubblicamente della provenienza e dell’utilizzazione dei loro mezzi finanziari e dei loro beni. I partiti, che per la loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti si prefiggono di attentare all’ordinamento costituzionale democratico e liberale, o di sovvertirlo, o di mettere in pericolo l’esistenza della Repubblica Federale di Germania sono incostituzionali. Sulla questione dell’incostituzionalità decide il Tribunale Costituzionale Federale. I particolari sono stabiliti dalla legge federale.
73
passato e trova un suo corrispondente anche nei sistemi di controllo propri
dell’assetto istituzionale italiano. Eppure in materia di disciplina dei partiti la
stessa necessità ha dato luogo a due risultati diametralmente opposti: da un
lato la fiducia che solo una legge di regolamentazione dettagliata e tassativa
potesse arginare i rischi di nuovi totalitarismi; dall’altro quasi il timore della
legge e del rischio che un legislatore esponente della stessa parte politica
dell’esecutivo potesse prendere il sopravvento a discapito del pluralismo, della
parità di chance e della libertà di espressione85.
E’ possibile notare il diverso rilievo assunto dai partiti
nell’ordinamento tedesco ed in quello italiano. In Germania, così come anche
in Spagna, sono i partiti ad essere i soggetti della norma e non, così come
avviene nel corrispettivo italiano, i cittadini. Muta dunque profondamente la
prospettiva. I partiti assumono una rilevanza istituzionale che fuga ogni
dubbio rispetto ad una possibile ridondanza della disciplina partitica rispetto a
quella delle associazioni, contenuta anche nella GG all’articolo 986. E sebbene
85G. MORBIDELLI inserisce per questo motivo la Germania tra le cc.dd. «democrazie che si difendono, le quali si caratterizzano per il difetto di legittimità del dissenso che si manifesti rispetto a norme fondamentali della costituzione», da Diritto pubblico comparato, 2009, 128
86 Tutti i tedeschi hanno diritto di formare unioni e società. Le associazioni, i cui scopi, o la cui attività contrastino con le leggi penali, o siano dirette contro l'ordinamento costituzionale, o contro il principio della comprensione fra i popoli, sono proibite. II diritto di formare associazioni per la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni economiche e del lavoro è garantito ad ognuno e ad ogni professione. Gli accordi, che tentano di limitare od escludere tale diritto, sono nulli; mentre sono illegali i provvedimenti indirizzati a tale scopo. I provvedimenti di cui agli artt. 12 a, 35 II e III comma, 84 IV comma e 91 non possono indirizzarsi contro i conflitti di lavoro, che sono
74
oggi, a differenza che in sede di Assemblea Costituente dove pure qualcuno
considerò l’articolo sui partiti politici una “replica” della disciplina sulle
associazioni, non pare vi possano essere dubbi sul fatto che anche nel nostro
ordinamento i partiti abbiano una loro specificità, la Consulta ancora in tempi
recenti ha negato il loro rilievo istituzionale, cancellando con un’ordinanza
anni di riflessione sul tema della disciplina dei partiti politici. 87
I limiti indicati ai primi commi dell’articolo 21 impongono il rispetto
dei «principi fondamentali della democrazia», individuati altresì nei principi
contenuti negli articoli dal primo al ventesimo del GG che ai sensi dell’articolo
79.3 della stessa sono immodificabili. 88 Il riferimento al comma secondo al
rispetto dell’ordinamento costituzionale libero e democratico è stato nel corso
del tempo enucleato dal Tribunale Costituzionale federale in una serie di
principi, tra cui l’esistenza dello Stato di diritto, il rispetto dei diritti
condotti dalle associazioni, di cui al primo alinea del presente comma, per la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni economiche e del lavoro.
87 Ordinanza 79/06, vedi capitolo II 88 La Legge fondamentale può essere modificata solo da una legge che modifichi o integri espressamente il testo della Legge fondamentale stessa. In caso di trattati internazionali, che hanno per oggetto una regolazione di pace, la preparazione di una regolazione di pace o l'abolizione di un regime di occupazione, oppure che sono stabiliti per servire alla difesa della Repubblica Federale, un'integrazione del testo della Legge fondamentale può limitarsi alla dichiarazione con cui si precisa che le disposizioni della Legge fondamentale non contrastano con la stipulazione e l'entrata in vigore dei trattati. Una tale legge necessita dell'assenso dei due terzi dei membri del Bundestag e dei due terzi dei voti del Bundesrat. Non è ammissibile una modifica della presente Legge fondamentale che tocchi l'articolazione del Bund in Länder la partecipazione, in via di massima, dei Länder alla legislazione o i principi enunciati negli artt. 1 e 20.
75
fondamentali dell’uomo, della personalità e della vita, la sovranità popolare, la
divisione dei poteri, la responsabilità del Governo e la legalità
dell’amministrazione, l’indipendenza dei giudici, il principio di maggioranza e
ed diritto di opposizione. I due commi sono stati considerati dalla
giurisprudenza costituzionale tedesca di applicazione diretta, ed hanno dato
luogo allo scioglimento prima del Sozialistische Reichpartei – SRP e
successivamente del Kommunistische Partei Deutschlands – KPD. In entrambi i casi
la Corte sciolse i partiti perché li ritenne pericolosi: sebbene questi non
propugnassero apertamente un’ideologia antisistema, la Corte ritenne che la
loro pericolosità non stesse solo nelle posizioni ideologicamente espresse, ma
nel comportamento «aggressivo» verso l’ordinamento. Inoltre il
Bundesverfassungsgericht nel caso del Partito Socialista del Reich si soffermò
particolarmente sulla gestione interna del partito, evidenziandone gli elementi
di incostituzionalità nella tendenza al dispotismo ed alla tirannia della
conduzione del SRP. Invece nella sentenza che decretò lo scioglimento del
Partito comunista tedesco i giudici misero in luce come il determinismo
sotteso all’ideologia comunista contrastasse col principio generale di libertà. 89
89 R. FERRUCCI, Considerazioni in merito all’interdizione del partito comunista tedesco, in Dem.
Diritto, 1967, 295
76
La disposizione di cui all’articolo 21 va altresì collegata con quella
contenuta all’articolo 38 GG, che come nel nostro ordinamento dispone il
divieto di mandato imperativo per i parlamentari.90
5. La legge sui partiti tedeschi
Che in Germania i partiti politici abbiano rilevanza istituzionale è
sottolineato anche nel primo articolo della legge sui partiti politici del 1967 e
successivamente modificata nel 2004. Il primo comma definisce il partito
come una «componente necessaria, sotto il profilo giuridico-costituzionale,
dell’ordinamento democratico e liberale. Essi adempiono, con la loro libera e
continua collaborazione alla formazione della volontà politica del popolo, una
funzione pubblica a cui sono tenti a norma della Legge fondamentale e che è
da questa garantita». Il Titolo primo della legge si apre con una serie di
disposizioni generali che definiscono il partito «associazione di cittadini che,
nell’ambito della federazione o di un Land, si propongono di influire
permanentemente o per un lungo periodo di tempo sulla formazione della
90 Articolo 38. I deputati del Bundestag sono eletti con elezioni generali, dirette, libere, uguali e segrete. Essi sono i rappresentanti di tutto il popolo, non sono vincolati da mandati o da istruzioni e sono soggetti soltanto alla loro coscienza. Ha diritto al voto chi ha compiuto il 18° anno di età; è eleggibile chi ha raggiunto la maggiore età. I particolari sono regolati da una legge federale.
77
volontà politica e di concorrere alla rappresentanza del popolo nel Bundestag
tedesco o in un Landtag»; seguono le indicazioni riferite al nome, che deve
distinguersi chiaramente da quello dei partiti già esistenti. L’articolo 5
garantisce parità di trattamento «quando una pubblica autorità mette a
disposizione dei partiti attrezzature o concede loro altre prestazioni», anche se
l’entità della concessione può rispecchiare l’importanza del partito che viene
misurato «anche in base ai risultati delle elezioni», per quanto «i mezzi concessi
ad un partito rappresentato al Bundestag non possono essere inferiori alla metà
di quelli dati ad ogni altro partito».
Il titolo secondo regola in maniera minuziosa la vita interna del
partito, imponendo anzitutto la presenza di un programma e di uno statuto
(articolo 6) che disciplini le procedure di ammissione e dimissione degli iscritti
oltre che diritti e doveri degli stessi (numeri 1 e 2), la composizione ed i poteri
della Presidenza e degli altri organi (numero 7) e le regole di convocazione
delle assemblee di iscritti e delegati e della pubblicità delle deliberazioni
(numero 9).
La legge articola la struttura interna in unità territoriali (articolo 7),
ognuna necessariamente fornita di un’assemblea degli iscritti, ai fini di dare al
singolo iscritto la possibilità di «contribuire adeguatamente alla formazione
della volontà del partito».
78
La norma lascia libero il consesso degli iscritti nella definizione degli
organi necessari alla vita di partito (articolo 8.2), come pure demanda agli
statuti le norme sulla presentazione delle liste dei candidati, imponendo però
come minimum la Presidenza e l’assemblea degli iscritti, eventualmente anche
costituita attraverso delegati purché questi siano eletti per un massimo di due
anni dalle assemblee di iscritti o di delegati delle unità sott’ordinate (articolo
8.1), rispecchiando così in pieno la struttura federale in cui è articolato il
Paese.
In ossequio ai principi di pluralismo e di democrazia interna il
successivo articolo 9 definisce l’assemblea generale «organo supremo»
dell’unità territoriale del partito. L’assemblea assume il nome di «congresso di
partito» nelle unità territoriali di livello superiore. Il congresso deve essere
riunito necessariamente almeno una volta ogni due anni (articolo 9) al fine di
deliberare programma, statuto, quote di iscrizione, di eleggere il Presidente
delle unità territoriali ed i delegati nelle assemblee superiori. Inoltre vota la
relazione che la Presidenza, composta da almeno tre membri, redige per
esporre la sua attività. Anche i deputati possono ricoprire tale ruolo.
Alla disciplina minuziosa delle unità territoriali del partito la norma fa
seguire la disciplina di composizione delle assemblee di delegati, eletti a
79
scrutinio segreto, nonché dei collegi arbitrali. E’ altresì riconosciuto al partito
di rigettare una richiesta di iscrizione senza esprimere le ragioni del diniego.
Lo statuto così redatto congiuntamente con i nomi dei membri della
Presidenza del partito e di quelle delle Presidenze delle unità dei Land deve
essere comunicato all’Ufficio elettorale federale (articolo 6.3).
I Titoli quarto e quinto disciplinano in maniera precisa il rimborso
delle spese elettorali.91
Occorre in questa fase soffermarsi sul Titolo sesto, che tratta della
disciplina sui partiti incostituzionali ai sensi dell’articolo 21.2 GG. La disciplina
a cui si deve fare riferimento è quella contenuta agli articoli 43 e seguenti della
Legge sul Tribunale Costituzionale Federale (BverfGG).92
91 Vedi oltre 92 Articolo 43. La domanda di determinare se un partito è incostituzionale (art. 21 comma 2 della Costituzione), può essere fornito dal Bundestag, il Bundesrat o del governo federale. Il governo del Land può presentare domanda solo contro un partito la cui organizzazione è limitata al territorio del loro paese. Articolo 44. I rappresentati del partito sono individuati dalla legge o, in alternativa, dal suo statuto. Se il mandatario non è rilevabile o non presente o è stato modificato dopo il ricevimento della richiesta alla Corte costituzionale federale, si considerano autorizzate a rappresentare il partito le persone che hanno effettivamente svolto l'attività del partito. Articolo 45. La Corte costituzionale federale deve dare al rappresentante autorizzato (ex articolo 44) la possibilità di presentare le sue osservazioni entro un termine stabilito e poi decide se il ricorso deve essere respinto in quanto infondato o inammissibile in quanto non sufficientemente, oppure se il giudizio può proseguire. Articolo 46. Qualora la domanda si dimostri fondata, la Corte costituzionale dichiara il partito politico incostituzionale. La dichiarazione può essere anche limitata ad una parte legalmente o organizzativamente indipendente di un partito. La sentenza deve contenere l’ordine di scioglimento del partito o della sezione autonoma dello stesso e il divieto di creare un'organizzazione sostituzione di aderire. La Corte costituzionale federale può pronunciare la
80
La legittimazione attiva all’azione è conferita ai sensi dell’articolo 43 al
Bundestag, al Bundesrat o al Governo federale così come nella legge spagnola.
Anche in questo caso così come in Spagna non sono mancate le critiche di
quanti hanno ritenuto che la legittimazione attiva conferita ad organismi
politici rischiasse di consegnare lo strumento giudiziario a strategie elettorali o
peggio al potere esecutivo. Anche in questo caso va ricordato come la
legittimazione attiva compete al Bundestag, al Bundesrat o al Governo come
istituzioni nella loro totalità. Inoltre nel caso tedesco la competenza della
Corte Costituzionale offre ancora maggiore garanzia di equidistanza dai partiti,
anche grazie alle equilibrate regole della legge sul Tribunale costituzionale
federale che dispongono della sua composizione. 93
Dopo una valutazione di fondatezza della domanda, il procedimento
si svolge nei confronti del rappresentante di partito.
confisca dei beni del partito o della sezione autonoma del partito a favore dello Stato federale o statale a scopi benefici. 93 Articolo 2. La Corte costituzionale federale si compone di due giurie. In ogni giuria sono eletti otto giudici. Tre giudici di ogni giuria sono eletti tra i giudici del Supremo Tribunale Federale di Giustizia. Possono essere eletti solo i giudici che hanno prestato almeno tre anni di servizio presso una corte federale suprema di giustizia. Articolo 5. La metà dei giudici di ogni giuria è eletto dal Bundestag e per l'altra metà dal Bundesrat. Tra quelli selezionati tra i giudici del Supremo Tribunale Federale di Giustizia uno è eletto da uno degli organi elettorali e due dall'altro, e dei tre giudici rimanenti sono eletti da un organo e due dall'altro. Ogni giudice dev’essere eletto almeno tre mesi prima della scadenza del mandato del suo predecessore o, se il Parlamento federale è sciolto al momento, entro un mese dalla prima riunione del Bundestag. Se un giudice rinuncia al suo ufficio prematuramente il suo successore sarà eletto entro un mese dallo stesso organo che ha eletto il suo predecessore.
81
Particolarmente rilevanti anche ai fini parlamentari risultano gli effetti
della dichiarazione di incostituzionalità del partito politico. La giurisprudenza
del Bundesverfassungsgericht ha infatti sentenziato che in questo caso anche i
deputati eletti nelle liste del partito incostituzionale decadono dal loro ruolo,
poiché si è ritenuto che né i membri di un partito incostituzionale potessero
rappresentare la nazione, né tantomeno i cittadini avessero diritto di farsi
rappresentare da membri di partiti dichiarati incostituzionali. La Corte con
questa sua posizione ha dunque derogato all’articolo 38 GG che, imponendo
il divieto di vincolo di mandato per i parlamentari, vieta che questi lascino il
loro scranno laddove abbandonino il partito nelle cui file siano stati eletti. La
deroga risponde ad un più ampio principio di salvaguardia dei diritti di libertà
e democraticità della vita politica.
6. Spagna e Germania: modelli a confronto. Verso lo Statuto Europeo dei partiti politici
I modelli sinora esposti hanno certamente molto in comune. Senza
dubbio condividono la ratio sottesa alle scelte e del costituente e del legislatore
ordinario: la volontà di impedire a forze antisistema di concorrere alla guida
del paese senza però scadere in prese di posizione ideologiche e liberticide. Ad
una presa di posizione che si può definire di teorica del diritto si è anche unita
82
la necessità di arginare in concreto forze che per la storia di quei Paesi
rischiavano di far deflagrare la democrazia tanto faticosamente costruita.
Le similitudini tra i due modelli hanno fatto sì che molti studiosi li
confrontassero e soprattutto ponessero in luce la maggiore differenza tra i due
testi di legge, ovvero la competenza a giudicare sull’incostituzionalità dei
partiti, conferita in Spagna alla Sala Especial del Tribunal Supremo, in Germania
alla Corte Costituzionale Federale.
In particolare si è criticata la scelta del legislatore iberico perché i
soggetti legittimati all’azione sono il Parlamento ed il Governo, e molti hanno
ritenuto che se la Corte Costituzionale fosse stata munita di giurisdizione in
materia si sarebbe edulcorato il rischio di uno strapotere della maggioranza.
Oltretutto c’è anche chi ha notato come dare competenza al Parlamento
potesse violare la Costituzione spagnola dal momento in cui secondo la Legge
fondamentale il Parlamento è competente in materia legislativa, «esercita il
controllo dell'attività finanziaria e di quella del Governo, nonché nelle
rimanenti materie previste dalla Costituzione» tra le quali non è espressamente
prevista la possibilità di proporre domanda giudiziale per la dichiarazione di
incostituzionalità di un partito politico94.
94 In questo senso P.P. SABATELLI, Spagna: La nuova legge sui partiti: il "caso" Batasuna, in Forum di Quaderni Costituzionali, da forumcostituzionale.it
83
Sul punto è però necessario fare due notazioni. Innanzitutto, come
specificato dalla stessa dottrina autrice della critica, l'articolo 53.2 CE
individua nei tribunali ordinari i soggetti chiamati a giudicare in ordine alle
violazioni dei diritti fondamentali, facendo poi salvo il diritto di adire il
Tribunal Constitucional attraverso il Recurso de amparo.
Inoltre risulta necessario notare come la legge spagnola che disciplina
la composizione della Corte Costituzionale non conferisce le stesse garanzie di
quella tedesca. Infatti in Tribunale costituzionale è composto da dodici
componenti, formalmente nominati dal Re. Otto sono votati dalle due
Camere, dei quali quattro sono su proposta del Senato ed altri quattro dal
Congreso, due sono eletti dal Governo ed altri due dal Consiglio generale del
potere giudiziario95. Oltretutto anche l’opinione pubblica ha sempre visto nella
composizione del Tribunale costituzionale lo specchio della lottizzazione delle
nomine dei partiti96.
Risulta infine interessante analizzare la questione anche da un punto di
vista comunitario. Il regolamento 2004/2003 ha disciplinato la materia dei
partiti politici soprattutto ai fini della regolamentazione dei finanziamenti
95 Articolo 159
96 in questo senso R.L. BLANCO VALDES, Costituzione, illegalità dei partiti politici e difesa dello Stato democratico in Spagna, in Democrazia e Sicurezza, da democraziaesicurezza.it, anno III, n.1, 2013
84
elettorali. Oltre che rispettare i principi condivisi dell’Unione, è considerato
partito politico a livello europeo ogni partito che abbia personalità giuridica
nello Stato membro in cui ha sede; sia rappresentato, in almeno un quarto
degli Stati membri, da membri del Parlamento europeo o nei parlamenti
nazionali o regionali o nelle assemblee regionali, oppure abbia ricevuto, in
almeno un quarto degli Stati membri, almeno il 3 % dei voti espressi in
ognuno di tali Stati membri in occasione delle ultime elezioni del Parlamento
europeo, abbia partecipato alle elezioni al Parlamento europeo o abbia
espresso l'intenzione di farlo.
A fronte di una disciplina non particolarmente dettagliata, nel 2006 il
Parlamento ha votato con larga maggioranza la relazione del tedesco Jo
Leinen (PSE) sui partiti politici europei, con la quale si chiede «un vero e
proprio statuto dei partiti politici europei» che definisca i loro diritti e doveri e
dia loro la possibilità di ottenere una personalità giuridica basata sul diritto
comunitario, valida anche negli Stati membri, in un tentativo di uniformare la
disciplina dei partiti attraverso lo strumento del diritto comunitario.
85
IV
1. Il finanziamento pubblico alla politica: il nodo gordiano con la democratizzazione della vita dei partiti
La disciplina relativa al finanziamento pubblico ai partiti è stata
oggetto di travagliate vicende nel corso della vita della Repubblica. Dalla
nascita del primo Parlamento repubblicano, infatti, per lungo tempo la teoria
della “non ingerenza” dei poteri pubblici nella vita dei partiti ha fatto del tutto
escludere la possibilità di forme di finanziamento statali, nonostante già nel
1958 Don Sturzo proponesse una legge sul finanziamento pubblico ai partiti
unitamente ad una regolamentazione della vita interna degli stessi. Anche la
dottrina dell’epoca si interrogava sulla necessità di una sovvenzione pubblica
alla politica97.
Se da un lato il rischio di un sistema di finanziamento pubblico alla
politica è quello di ridurre i partiti ad apparati burocratici, pertanto sordi alle
necessità dei cittadini, la sua assenza può configurare partiti appannaggio solo
dei potentati economici la cui gestione delle risorse non è trasparente.
97 Vedi capitolo II
86
L’esigenza che spinge i paesi democratici alla sovvenzione della vita
politica mediante finanziamento trova la propria ragion d’essere nella tutela
dell’autonomia politica dei partiti stessi, ovvero nella necessità di sottrarli ai
condizionamenti provenienti dai gruppi di pressione e dalle organizzazioni
economiche.98
Tra i due rischi si scelse di correre il secondo, a parere di molti anche
perché, in piena Guerra fredda, la pubblicità dei bilanci avrebbe creato non
pochi imbarazzi in entrambi gli emicicli del Parlamento99.
Lo scandalo dei petroli scoppiato nel 1974, che vide coinvolti politici
ed industriali in un giro di tangenti e finanziamenti illeciti ai partiti, riportò al
centro del dibattito politico la necessità di trasparenza dei bilanci delle forze
politiche.
La legge varata nello stesso anno dunque fu frutto non tanto di una
scelta politicamente maturata di tornare ai testi di Don Sturzo, quanto una
risposta anche mediatica agli scandali che avevano colpito i maggiori partiti
italiani. Quel nodo gordiano già evidenziato da Sturzo tra la regolamentazione
della vita dei partiti e finanziamento pubblico fu sciolto dando vita ad una
98 in questo senso P. RIDOLA, Partiti politici, voce, in Enciclopedia del Diritto, vol. XXXI, 1982, 66 e ss.
99 in questo senso A. MARIUZZO 1958: quando don Sturzo chiese (senza successo) la trasparenza dei bilanci dei partiti, da linkiesta.it, 4 aprile 2012
87
disciplina monca sin dalla nascita. L’iter delle riforme affastellatesi nel tempo
evidenzia sempre lo stesso limite: il finanziamento pubblico o, come si vedrà,
il rimborso delle sole spese elettorali, viene sempre percepito dai cittadini
come un privilegio della politica e non come uno strumento di tutela della
stessa dai “poteri forti”. Questo accadrà finché alle regole su bilancio e
rendicontazione non si affiancheranno anche regole sulla gestione
democratica dei partiti stessi. Appare necessaria una disciplina che riconduca
l’intera vita dei partiti a regole chiare, democratiche, tese alla partecipazione
degli iscritti e alla responsabilizzazione dei candidati attraverso sistemi di
votazione interna, senza con questo infrangere il divieto di mandato
imperativo. In questo modo si legittimerebbe il finanziamento alla politica alla
luce dei costi necessariamente connessi alla vita democratica.
Per molti anni il legislatore ha ritenuto non necessaria una
regolamentazione che percorresse questa strada, ed ha nel contempo fatto
lievitare i costi della politica, talvolta in maniera irragionevole. Il risultato è
stato quello di allontanare ancor più i cittadini dalla politica. Una politica che
dopo la caduta delle motivazioni ideologiche, fino agli anni Ottanta principale
collante fra base ed eletti100, non è stata in grado di assumere una veste di
100 P. SCOPPOLA, La Repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico 1945-1996, 1997, da C. CASSINARI, Democrazia interna e trasparenza nei partiti: una riforma non più rinviabile, da La Costituzione in officina. Il primo intervento urgente, a cura di F. RIGANO, 2013, 27
88
modernità capace di coinvolgere l’elettorato attraverso sistemi di
partecipazione che spostassero l’asse decisionale dalle segreterie di partito
(magari anche ai nuovi spazi offerti dalla rivoluzione tecnologica), tenendo
sempre presente il ruolo centrale che l’articolo 49 della Costituzione
conferisce ai partiti politici. Questo atteggiamento quasi di arroccamento della
politica a logiche non più attuali ha fatto sì che quegli spazi siano stati
conquistati da chi volutamente si professa un “non – partito”, con questo
svilendo il portato dell’articolo 49 ed aprendo la vita delle istituzioni a logiche
lontane da quelle immaginate dai Padri costituenti.
2. La legge 195/74 sul finanziamento pubblico e successive modifiche
Nel 1974 vide la luce la norma numero 195 sul finanziamento
pubblico ai partiti. La legge prevedeva una duplice tipologia di contributi: per
il rimborso delle spese elettorali e per l'attività ordinaria dei partiti. Per il
rimborso elettorale era previsto che il partito dovesse superare, onde
accedervi, una soglia di partecipazione (per numero di collegi) alla
competizione elettorale nonché di voti validi conseguiti. 101
101 Articolo 1: «(…)Hanno diritto al contributo i partiti politici che abbiano presentato, con il medesimo contrassegno, proprie liste di candidati per l'elezione della Camera dei deputati in più dei due terzi dei collegi elettorali ed abbiano ottenuto, ai sensi dell'articolo 83 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo
89
Per l'attività ordinaria, il contributo era previsto a favore dei Gruppi
parlamentari (in misura in parte eguale, in parte differenziata sulla base della
loro consistenza), e da questi devoluto ai partiti102.
Ai sensi dell’articolo 2 i contributi per il rimborso delle spese elettorali
erano versati ai partiti politici, su domanda dei rispettivi segretari politici
indirizzata al Presidente della Camera. Il 15% della somma stanziata era
ripartita in misura uguale tra tutti i partiti che avessero raggiunto 300mila voti
di lista validi, ovvero una cifra nazionale non inferiore al 2% dei voti
validamente espressi, mentre la somma residua era ripartita tra gli stessi in
proporzione ai voti ottenuti nelle elezioni politiche della Camera dei deputati.
Già nella legge del 1974 era previsto un obbligo di rendicontazione da
parte dei segretari dei partiti politici, tenuti a pubblicare entro il 31 gennaio di
ogni anno, sul giornale ufficiale del partito e su un quotidiano di diffusione
nazionale, il bilancio finanziario consuntivo del partito, approvato dall’organo
di partito competente e redatto secondo il modello allegato alla legge. Copia
del bilancio del partito e dei giornali doveva essere trasmessa al Presidente
della Camera dei deputati.
1957, n. 361, almeno un quoziente in una circoscrizione ed una cifra elettorale nazionale di almeno 300.000 voti di lista validi, ovvero una cifra nazionale non inferiore al 2 per cento dei voti validamente espressi»
102 Servizio studi della Camera, Note sul disegno di legge approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati giugno 2012 n. 364
90
Il Presidente della Camera dei deputati, d’intesa con il Presidente del
Senato, controllava la regolarità della redazione del bilancio avvalendosi di
revisori ufficiali dei conti (articolo 8).
Fulcro della nuova legge era la previsione di cui all’articolo 7, tutt’ora
vigente nonostante gli innumerevoli interventi in materia. La norma
introdusse per la prima volta nell’ordinamento il reato di finanziamento
illecito ai partiti, vietando a società pubbliche o a partecipazione pubblica di
effettuare erogazioni a vantaggio delle forze politiche, o anche finanziamenti
da società private non regolarmente deliberati dall’organo competente103. La
pena da 4 mesi a 6 anni è inflitta a chiunque finanzi illecitamente così come a
chi riceve il finanziamento illecito.
103 Sono vietati i finanziamenti o i contributi, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi modo erogati, da parte di organi della pubblica amministrazione, di enti pubblici, di società con partecipazione di capitale pubblico superiore al 20 per cento o di società controllate da queste ultime, ferma restando la loro natura privatistica, a favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative e di gruppi parlamentari. Il divieto di cui al precedente periodo si applica anche alle società con partecipazione di capitale pubblico pari o inveriore al 20 per cento, nonché alle società controllate da queste ultime, ove tale partecipazione assicuri comunque al soggetto pubblico il controllo della società. Sono vietati altresì i finanziamenti o i contributi sotto qualsiasi forma, diretta o indiretta, da parte di società non comprese tra quelle previste nel comma precedente in favore di partiti o loro articolazioni politico-organizzative o gruppi parlamentari, salvo che tali finanziamenti o contributi siano stati deliberati dallo organo sociale competente e regolarmente iscritti in bilancio e sempre che non siano comunque vietati dalla legge. Chiunque corrisponde o riceve contributi in violazione dei divieti previsti nei commi precedenti, ovvero, trattandosi delle società di cui al secondo comma, senza che sia intervenuta la deliberazione dell'organo societario o senza che il contributo o il finanziamento siano stati regolarmente iscritti nel bilancio della società stessa, e' punito, per ciò solo, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e con la multa fino al triplo delle somme versate in violazione della presente legge.
91
La norma del 1974 è stata successivamente emendata nel 1981. La
legge numero 659 ha esteso il sistema di finanziamento anche alle forze
politiche concorrenti alle elezioni regionali e al Parlamento europeo. 104
La nuova norma all’articolo 4, disposizione tutt’ora vigente, integra le
previsioni sanzionatorie già previste dall’articolo 7 della legge del 1974.
Accanto al reato infatti ed alla sanzione a carico dei soggetti colpevoli del
finanziamento, la legge prevede anche una decurtazione del contributo statale
pari al doppio delle somme illecitamente percepite. All’obbligo già introdotto
dalla legge 195 di redigere un bilancio da sottoporre poi al controllo del
Presidente della Camera d'intesa con il Presidente del Senato, si aggiunse
l’obbligo di rendicontazione obbligatoria di proprietà immobiliari,
partecipazioni del partito a società commerciali, titolarità di imprese e redditi
comunque derivanti da attività economiche.
Inoltre, al comma secondo dello stesso articolo, si prevede che
laddove vi siano erogazioni di privati superiori a 50mila euro, le parti debbano
provvedere ad un’autocertificazione congiunta di società erogatrice e di partito
104 Per le prime l’articolo 1 disponeva che il contributo per ciascuna elezione regionale venisse determinato, nell’ambito di un ammontare globale di venti miliardi di lire poi elevato a quaranta del 1985, in base alla proporzione fra la popolazione del territorio regionale interessato e la popolazione del territorio nazionale. Avevano diritto al contributo i partiti che abbiano avuto almeno un proprio candidato eletto e, in caso di elezioni concomitanti, almeno un proprio candidato eletto in una delle regioni. Nel 1995 è stato altresì disposto che il calcolo del contributo così definito dovesse essere determinato il contributo di cui al secondo comma del presente articolo, e' nella misura risultante dalla moltiplicazione dell'importo di lire 1.200 per il numero degli abitanti.
92
o singolo candidato ricevente, pena l’ammenda da due a sei volte l’illecito
dichiarato e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Le regole, però, non sono bastate ad evitare l’enorme mole di scandali
che si è abbattuta sul sistema partitico del Paese. Come suggerisce attenta
dottrina, le norme che si sono succedute fino all’esplosione di Tangentopoli
non erano efficaci per arginare la corruzione, anzi, forse «non era estranea, in
tutti i partiti, la preoccupazione che la regolamentazione potesse mettere in
discussione quelle fonti occulte di finanziamento che sarebbero poi state
disvelate nella stagione di Tangentopoli».105 Altresì si è ritenuto che anche la
previsione della sanzione penale non fungesse realmente da disincentivo,
poiché chi è a conoscenza del reato ha interesse ad occultarlo. 106
Ancora una volta il punto della questione era (ed è tuttora) la
regolamentazione della vita interna dei partiti. Le decisioni di bilancio,
sebbene sottoposte ad oneri di pubblicità, quando non sono prese in seno ad
un consesso democratico o quantomeno in una camera di vetro, non sono
realmente controllabili. Ancora maggiore garanzia sarebbe quella che le
decisioni fossero prese da organi tout court istituzionali, sottoposti dunque ai
105 A. BARBERA, La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, Relazione al Convegno organizzato dal CESIFIN “Alberto Predieri” e dal Centro di studi politici e costituzionali Piero Calamandrei - Paolo Barile - Rettorato Università di Firenze, 19 ottobre 2007, da Forumcostituzionale.it 106 G MOR, La disciplina giuridica dei partiti in Italia, 1993, 522
93
controlli di cui all’articolo 100 della Costituzione. Ma come hanno avuto a
notare alcuni autori, le leggi succedutesi fino all’avvento del referendum
hanno volutamente aggirato il controllo della Corte dei Conti sui
finanziamenti pubblici – avutosi solo in epoche relativamente recenti –
corrispondendo ai gruppi parlamentari in maniera non continuativa delle
somme che poi gli stessi gruppi rimettevano ai relativi partiti in una quota non
inferiore al 90%. Un meccanismo di scatole cinesi che sembrava teso solo a
sottrarre quei finanziamenti al controllo dei magistrati contabili, che vigilano
esclusivamente sui contributi statali erogati con continuità e che in quel caso
oltretutto si trovavano di fronte il limite dell’autonomia dei gruppi
parlamentari.
Le norme che si sono affastellate nel tempo si sono sempre limitate a
disciplinare il finanziamento pubblico o il rimborso alle spese elettorali, «ma
esplicitamente escludendo forme di regolamentazione dei partiti e limitandosi
a prevedere controlli (peraltro di dubbia efficacia, come si sarebbe visto
successivamente) sui loro bilanci». Il problema fu posto già all’atto
dell’approvazione della legge del 1974 ma la risposta fu che non era necessaria
alcuna apposita regolamentazione e che i partiti avrebbero potuto essere
sottoposti alla disciplina codicistica delle associazioni non riconosciute.
Ricorda la dottrina come il «relatore della legge 195, Giovanni Galloni,
94
contrario alla disciplina, si sarebbe fatto promotore, negli anni successivi, di
una proposta volta a considerare atti pubblici (con l’applicazione delle
conseguenti sanzioni penali) le deliberazioni più rilevanti degli organi di
partito», ma le sue proposte rimasero tali. 107 Oltretutto, anche le forme di
regolamentazione e controllo così come introdotte dalla legge hanno attirato
non poche critiche da parte della dottrina108, ed hanno da sempre attirato le
critiche della pubblica opinione in ordine alla opacità e poca intelligibilità dei
meccanismi di finanziamento.
Il primo referendum che propose l’abrogazione della legge sul
finanziamento pubblico fu proposto dal Partito Radicale nel 1978. Il PR
raccolse in realtà le firme su otto quesiti: quattro furono bocciati dalla
Consulta, ed altri due (sulla legge Basaglia e sulle Commissioni di Inchiesta)
furono sottratti al vaglio degli elettori perché il legislatore intervenne a
modificare il testo di legge oggetto di referendum. Il tentativo di sottrarre alla
scelta dei cittadini anche il quesito sulla legge Reale fu però bloccato da una
storica pronuncia della Corte Costituzionale, che accolse il conflitto di
attribuzione sollevato dai promotori referendari, dichiarando incostituzionale
107 A. BARBERA, La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, Relazione al Convegno organizzato dal Cesifin “Alberto Predieri”e dal Centro di studi politici e costituzionali Piero Calamandrei - Paolo Barile - Rettorato Università di Firenze, 19 ottobre 2007, da forumcostituzionale.it 83 ancora G. MOR, critico anche sugli oneri di pubblicità dei bilanci, op. cit., 521
95
l’articolo 39 della legge 352 del 1970, nella parte in cui prevedeva che il blocco
delle operazioni referendarie si producesse anche quando la sopravvenuta
abrogazione fosse accompagnata dalla emanazione di altra normativa che
regoli la stessa materia apportando solo innovazioni formali o di dettaglio,
senza modificare né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, né i
principi ispiratori della complessa disciplina sottoposta a referendum109.
La consultazione popolare raggiunse il quorum, ma i due quesiti non
vennero abrogati dagli elettori, per quanto il risultato di quella votazione
(56,4% contrari all’abrogazione e 43,6% favorevoli) squarciò il velo della
necessarietà del finanziamento pubblico, che nelle promesse dei partiti
avrebbe dovuto arginare i casi di corruzione.
Ebbero dunque ancor più facile presa i referendari quando,
all’indomani degli scandali di Tangentopoli, riproposero lo stesso quesito. Il
referendum, ancora una volta promosso dal Partito Radicale, abrogò con una
maggioranza schiacciante del 90,30% le previsioni di cui agli articoli 3 e 9 della
legge del 1974, che regolavano finanziamenti per il funzionamento ordinario
dei partiti politici, lasciando dunque inalterata la norma nella parte in cui
prevedeva il rimborso delle spese elettorali.
109 Corte Costituzionale, sentenza 69/1978
96
3. Dopo il referendum: le leggi di rimborso delle spese elettorali
Il referendum del 1993 aveva dunque lasciato inalterata la legge del
1974 nella parte in cui prevedeva la corresponsione di rimborsi per le spese
elettorali sostenute. L’accumulo nel tempo di nuove norme in materia di
rimborsi elettorali ha fatto spesso parlare di “tradimento” al risultato
referendario del 1993. In realtà il legislatore era in pieno diritto di modificare
parametri e regole del testo di legge non interessato dall’abrogazione. Quello
che è stato tradito è stato semmai lo spirito che il voto referendario aveva
espresso, e cioè la volontà di un minor coinvolgimento del ruolo pubblico
nelle sovvenzioni ai partiti.
Le continue modifiche dei parametri di rimborso delle spese elettorali
hanno di fatto aumentato esponenzialmente la cifra corrisposta dallo Stato ai
partiti, sebbene non a titolo di finanziamento ma di rimborso. Alla percepita
opacità delle operazioni di finanziamento – peraltro segnalata anche dalla
Corte dei Conti in alcune relazioni110 – per lungo tempo non ha fatto seguito
alcun tentativo concreto di regolamentare la vita dei partiti, anzi la tendenza
alla personalizzazione della politica ha quasi fatto percepire come pleonastica e
frutto di burocratizzazione ogni processo di democratizzazione partitica.
110 vedi oltre
97
All’indomani dell’esito referendario dunque il Parlamento varò la legge
515, che disciplinò ulteriormente la materia del rimborso delle spese sostenute
dai partiti assieme alla regolamentazione dell’accesso ai mezzi di
comunicazione durante le campagne elettorali.
La nuova norma introduce un tetto di spesa per il singolo partito o
movimento. Infatti ai sensi dell’articolo 10 le spese elettorali dei partiti o
formazioni politiche che partecipano alle elezioni per il rinnovo delle Camere
non possono superare la somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo
di 1 euro per il numero complessivo dei cittadini iscritti nelle liste elettorali
delle circoscrizioni (o collegi) in cui il partito o il movimento o la lista presenta
candidature, a tal fine sommando le iscrizioni nelle liste elettorali per la
Camera e quelle per il Senato.
Viene poi specificato un obbligo di rendicontazione distinto a seconda
che gravi sul singolo candidato ovvero sul partito. Pur disciplinando il
rimborso delle spese elettorali, l’articolo 9 ai commi 2 e 3 prevede comunque
che il calcolo venga effettuato in proporzione ai voti ottenuti111. Introduce
111 Articolo 9.2. Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato della Repubblica e' ripartito su base regionale. A tal fine il fondo è suddiviso tra le regioni in proporzione alla rispettiva popolazione. La quota spettante a ciascuna regione è ripartita tra i gruppi di candidati e i candidati non collegati ad alcun gruppo in proporzione ai voti conseguiti in ambito regionale. Partecipano alla ripartizione del fondo i gruppi di candidati che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto nella regione o che abbiano conseguito almeno il 5 per cento dei voti validamente espressi in ambito regionale. Partecipano altresì alla ipartizione del fondo i candidati non collegati ad alcun gruppo che risultino eletti o che conseguano nel rispettivo collegio almeno il 15 per cento dei voti validamente espressi.
98
altresì nuovi organi di controllo: per il candidato, il Collegio regionale di
garanzia elettorale, presso la Corte d'appello o, in mancanza, presso il
tribunale del capoluogo di Regione; per il partito, un apposito Collegio
elettorale presso la Corte dei conti (articolo 12). Così come previsto già prima
dell’avvento della nuova disciplina da parte di attenta dottrina, l’avvento del
controllo della Corte dei Conti sui consuntivi delle spese sostenute e dei
finanziamenti raccolti per le campagne elettorali, dai partiti, movimenti, liste e
gruppi di candidati è stato un contributo prezioso non solo per il tipo
controllo, assimilabile a quello previsto ex 100 della Costituzione, esercitato
dai magistrati contabili, ma anche e soprattutto per i rilievi che in sede di
relazione al controllo hanno delineato ancora una volta un carattere di poca
trasparenza nei metodi di rendicontazione. Nel 2008, ad esempio, la Corte in
ordine ai rendiconti delle spese sostenute per le elezioni politiche del 5 e 6
aprile dello stesso anno rileva: «manca nella disciplina un criterio di calcolo
volto ad abbinare il contributo finanziario statale al rimborso delle spese
sostenute; criterio che meglio avrebbe aderito all'esito del referendum
3. Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il rinnovo della Camera dei deputati e' ripartito, in proporzione ai voti conseguiti per la attribuzione della quota di seggi da assegnare in ragione proporzionale, tra i partiti e movimenti che abbiano superato la soglia del 4 per cento dei voti validamente espressi ovvero abbiano ottenuto almeno un eletto a loro collegato nei collegi uninominali e abbiano conseguito almeno il 3 per cento dei voti validamente espressi in ambito nazionale. Il verificarsi di tale ultima condizione non e' necessario per l'accesso al rimborso da parte dei partiti o movimenti che abbiano presentato proprie liste o candidature esclusivamente in circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela delle minoranze linguistiche. Per il calcolo del rimborso spettante a tali partiti e movimenti si attribuisce a ciascuno di essi, per ogni candidato eletto nei collegi uninominali, una cifra pari al rimborso medio per deputato risultante dalla ripartizione di cui al primo periodo del presente comma.
99
abrogativo del 1993 sul finanziamento ai partiti politici. La Corte ha più volte
segnalato come la correlazione fra contributo statale finanziario e rimborso
delle spese elettorali sia soltanto formale, dal momento che il diritto al
contributo e la sua misura sono parametrati in proporzione ai voti conseguiti
dalla singola formazione politica che abbia superato le soglie legali di
preferenze espresse per il rinnovo del Senato e della Camera (articolo 9,
commi 2 e 3, della legge n. 515 del 1993) e non alle spese effettivamente
sostenute (e riconosciute regolari). Seppure non possa ritenersi totalmente
priva di coerenza la previsione di un premio elettorale per le formazioni
maggiormente rappresentative dell'elettorato, esso andrebbe comunque
limitato ad una sola parte del contributo spettante, l'altra invece andrebbe
parametrata in stretto collegamento con la spesa sostenuta e contabilmente
giustificata.112 “La Corte ha anche stigmatizzato la presenza di spese forfetarie
nella redazione del rendiconto.
La successiva legge del 1997 ha introdotto nuovi oneri a carico del
tesoriere di partito, tenuto a redigere annualmente il rendiconto di Esercizio,
la relazione sulla situazione economico-patrimoniale e la gestione e la nota
integrativa.
112 Corte dei Conti, Referto ai Presidenti delle Camere sui consuntivi delle spese e sui relativi finanziamenti riguardanti le formazionii politiche che hanno sostenuto la campagna per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica del 13-14 aprile 2008, 15 e ss.
100
La stessa legge ha introdotto la possibilità di destinazione del quattro
per mille dell'IRPEF ai partiti politici, cercando di aderire in questo modo
all’esito referendario e prevedendo così un maggiore spazio al finanziamento
privato dei partiti in sostituzione dell’abrogato contributo pubblico. La
destinazione era a favore non del singolo partito ma di un fondo unitario, poi
ripartito tra i partiti aventi almeno un eletto in Parlamento, in proporzione ai
voti validi espressi in ambito nazionale.
La previsione è stata però abrogata dalla disposizione varata nel 1999.
Infatti il sistema di contribuzione privata immaginato dal legislatore si è
scontrato con «la scarsa propensione degli italiani verso forme di
finanziamento pubblico dei partiti (…) divenuta poi aperta ostilità»113 che ha
portato pochissimi italiani nel 1997 a destinare una quota dell’imposta sulle
persone fisiche al fondo per i partiti. Tanto che con la successiva legge del
1999 il legislatore abolì tale disposizione, mantenendo ferma però la
detraibilità delle donazioni di persone fisiche e società commerciali.
La legge del 1999 rimodulò il metodo di contribuzione, prevedendo
quattro distinti fondi di contribuzione statale per le spese elettorali, per le
elezioni di Camera, Senato, Parlamento europeo, Consigli regionali – nonché
113 Così la definisce A. BARBERA in La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, Relazione al Convegno organizzato dal CESIFIN “Alberto Predieri”e dal Centro di studi politici e costituzionali Piero Calamandrei – Paolo Barile – Rettorato Università di Firenze, 19 ottobre 2007, da Forumcostituzionale.it
101
una contribuzione ai comitati promotori di referendum dichiarati ammissibili e
raggiungenti il quorum di validità di partecipazione al voto. La quota di
rimborso, disposto con decreti del Presidente della Camera dei deputati, a
carico del bilancio interno della Camera, è data dalla moltiplicazione
dell’importo di base unitario che la legge fissava a 4mila lire114 per il numero di
cittadini iscritti nelle liste elettorali.
Ai sensi dell’articolo 1 della legge del 1999 i rimborsi sarebbero dovuti
essere corrisposti con cadenza annuale, entro il 31 luglio di ciascun anno, per
gli anni di legislatura. Interventi legislativi successivi hanno modificato la
portata di tale norma, consentendo l’erogazione del 40% della somma nel
primo anno di legislatura, e del 15% per ciascun anno restante, prevedendo
però che lo scioglimento anticipato interrompesse l'erogazione.
Nei primi anni duemila gli interventi legislativi hanno portato a quello
che nell’opinione pubblica è significato il “tradimento” del risultato
referendario del 1993. I costi della politica sono lievitati a dismisura, e pur
lasciando invariato l’impianto generale della norma, mantenendo vivi dunque
tutti i sistemi di controllo sebbene con i loro limiti intrinsechi già segnalati, i
continui aggiustamenti dell’importo di base unitario nonché la previsione della
114 La legge 515/93 fissava l’importo di base unitario a 1600lire, ex articolo 9.1
102
corresponsione del rimborso anche nel caso di legislazioni anticipatamente
interrotte hanno aumentato il malcontento popolare nei confronti di un
istituto che invece dovrebbe essere garanzia di trasparenza e legalità.
La legge numero 156 del 2002 (articolo 2, comma 1, lettera a)),
ancorché diminuisse (da 4mila lire a 1 euro) l'importo unitario da moltiplicare
per il numero degli elettori della Camera onde ottenere l'importo di ciascuno
dei quattro fondi, stabiliva che l'importo dei fondi fosse riferito non all'intera
legislatura bensì a ciascun anno della legislatura in tal modo divenendo
l'importo unitario da moltiplicare per cinque, e dunque pari a 5 euro.
La legge numero 51 del 2006 ha introdotto la previsione (articolo 39
quater decies) per cui la contribuzione statale si abbia per tutti i cinque anni
della legislatura, anche in caso di scioglimento anticipato (laddove la legge del
1999 circoscriveva la contribuzione alla effettuale durata della legislatura)115.
Negli anni successivi il Parlamento ha tentato di contrarre la spesa per
il finanziamento delle spese elettorali. La legge numero 244 del 2007 ha infatti
ridotto di 20 milioni di euro – a decorrere dal 2008 – l’autorizzazione di spesa
destinata all’erogazione dei rimborsi delle spese elettorali e referendarie
(articolo 2, comma 275).
115 Servizio studi della Camera, Note sul disegno di legge approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati (A.S. n. 3321) giugno 2012
103
Successivamente, il decreto-legge numero 78 del 2010 (articolo 5.4) ha
ridotto del 10% (a decorrere dalla seguente legislatura) l'importo unitario di 1
euro che, ai sensi della legge del 1999 (come successivamente modificata),
dev'essere moltiplicato per il numero di iscritti nelle liste elettorali per le
elezioni della Camera. Inoltre, esso ha abrogato – con effetto dal seguente
rinnovo delle Camere – la disposizione che consentiva il versamento delle
quote annuali anche in caso di scioglimento anticipato del Senato o della
Camera.
Il decreto legge 98 del 2011 (articolo 6) ha ridotto di un ulteriore 10%
quell'importo, con effetto dal seguente rinnovo delle Camere. Ha reso invece
immediato l'effetto dell'abrogazione della prosecuzione del versamento, in
caso di scioglimento anticipato.
4. Rimborso delle spese elettorali e regolamentazione dell’attività dei partiti: la disciplina attuale
Dopo le vicende dei primi anni Duemila, nei quali si è assistito ad una
crescita sensibile – ed irragionevole – della contribuzione pubblica alla vita dei
partiti, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un tentativo di diminuzione
dei cosiddetti “costi della politica”. Lo stesso legislatore ha evidenziato come i
fondi a favore dei partiti si sono quadruplicati, passando dai 70,4 milioni di
104
euro attuali nel 1994 ai quasi 292 milioni del 2008. 116 La crisi economica
globale che non ha risparmiato l’Italia unita ai movimenti antipolitici che
hanno stigmatizzato aspramente gli sprechi di denaro pubblico, fino a rendersi
più credibili dei partiti stessi e ottenendo grande successo in termini elettorali,
hanno spinto il legislatore non solo a ridimensionare la spesa ma anche a
cercare soluzione per ridare nuova credibilità ad una classe politica che troppo
spesso è sembrata più occupata a rendicontare spese forfetarie che attenta alle
esigenze dei cittadini.
A tal fine c’è da segnalare un’interessante inversione di tendenza nelle
proposte avanzate nelle aule parlamentari: i tentativi di modifica al sistema del
finanziamento alla politica non si sono più fermati alla mera fissazione di tetti
di spesa, oneri di pubblicità e norme per una corretta rendicontazione; il
legislatore ha sempre nelle sue più recenti proposte affiancato ad una
disciplina più snella di finanziamento anche una corposa disciplina di
organizzazione interna del partito, cogliendo dunque quell’elemento di
necessarietà tra i due aspetti della vita di questi organismi.
E’ stata soprattutto durante XVI legislatura che la I Commissione
Affari Costituzionali ha affrontato a più riprese il tema dell’attuazione
116 Relazione introduttiva al disegno di legge del Governo numero 1154, 5 giugno 2013
105
dell’articolo 49 e la conseguente modifica del sistema di finanziamento alle
spese sostenute in campagna elettorale.
La maggior parte dei testi sottoposti all’esame della Commissione
aveva in comune la previsione di costituzione dei partiti mediante uno statuto,
da pubblicare in Gazzetta Ufficiale, che contenesse un minimum di
informazioni inderogabili, tra cui la definizione degli organismi dirigenti, le
procedure di iscrizione e le modalità di svolgimento dei procedimento
deliberativi votati al raggiungimento del massimo grado di democrazia interna
attraverso la tutela delle minoranze, la tutela del diritto alla partecipazione,
l’informazione sugli atti interni ed al conferimento delle cariche a tempo
determinato. Alcune proposte (tra queste la A.C. 3809 ed A.C. 4194)
prevedevano una disciplina particolareggiata per le primarie. La prima delle
due proposte le rende obbligatorie per la scelta dei candidati di partito ad ogni
tipo di elezioni eccetto quelle amministrative. La seconda proposta le
considera invece facoltative definendone parzialmente le modalità di
svolgimento. Appare interessante inoltre nella proposta 3809 la presenza di
una norma (l’articolo 5) che disciplina le fondazioni politico – culturali sul
modello delle Stiftungen tedesche117.
117 vedi oltre
106
Particolarmente interessante per il contenuto innovativo è sembrato la
proposta 244 Turco – Beltrandi ed altri. La norma prevedeva innanzitutto che
i partiti si costituissero necessariamente nella forma delle associazioni
riconosciute, anche se sul punto la dottrina si è mostrata molto critica118. Per
quanto riguarda invece la disciplina del rimborso delle spese elettorali
prevedeva un modello del tutto innovativo rispetto a quello proposto nelle
leggi che si sono susseguite dopo il referendum del 1993. Facendo salvi i
quattro fondi così come istituiti dalla 157/99 ma prevedendone un
ammontare predeterminato, la 244 prevedeva che il valore del fondo unitario
dovesse essere moltiplicato non per il numero degli aventi diritto al voto ma
per il numero dei votanti effettivi. In questo modo i fondi destinati al
rimborso sarebbero sempre stati usati in maniera parziale119.
Le vicende alterne che hanno coinvolto la XVI Legislatura hanno però
fatto sì che la Commissione abbandonasse il progetto di regolamentare
congiuntamente la vita interna dei partiti e la disciplina del loro finanziamento,
per dare invece priorità ad una nuova legge sul finanziamento alla politica. Il
procedimento seguito dal Parlamento è stato spedito ed in tempi brevi ha
portato all’adozione della legge 96/2012.
118 vedi oltre
119 Sul punto il Dossier della Camera dei Deputati AC0629 sottolinea come la bozza di legge manchi di individuare la destinazione dei fondi non utilizzati
107
La norma prevede un taglio del 50% dei contributi pubblici destinati al
rimborso elettorale. Oltretutto il 30% dei fondo destinato a tale fine è
corrisposto a titolo di cofinanziamento, così come accade per i partiti tedeschi,
con un contributo annuo pari a 50 centesimi di euro per ogni euro ricevuto a
titolo di quote associative e di erogazioni liberali annuali da parte di persone
fisiche o enti. Ai fini del calcolo del contributo da destinare sono prese in
considerazione, imponendo un tetto massimo pari a 10mila euro all’anno per
ogni persona fisica o ente, le quote d’iscrizione o le erogazioni liberali
percepite (articolo 2). Ai sensi dell’articolo 6 della legge condizione necessaria
per usufruire del rimborso è l’elezione di almeno un candidato. Il fondo per il
rimborso delle spese elettorali per il rinnovo del Senato è ripartito su base
regionale. La quota spettante a ciascuna regione è ripartita tra i partiti, i
movimenti politici e i gruppi di candidati, in proporzione ai voti conseguiti in
ambito regionale, a condizione che abbiano ottenuto almeno un candidato
eletto nella regione. Il fondo per il rimborso delle spese elettorali per il
rinnovo della Camera è invece ripartito in proporzione ai voti conseguiti, tra i
partiti e i movimenti politici che abbiano ottenuto almeno un candidato eletto.
L’articolo modifica la norma contenuta nella legge 515/93, laddove per
partecipare alla ripartizione del fondo per l’elezione al Senato era sufficiente
108
anche solo l’aver ottenuto il 5% dei voti validamente espressi nella regione,
mentre per la Camera era sufficiente il 4% dei voti.
La legge, recependo in parte le proposte di legge sulla
regolamentazione interna dei partiti, subordina la possibilità di accedere ai
rimborsi elettorali alla redazione di un atto costitutivo e di uno statuto
costituiti in atto pubblico, da trasmettere in copia al Presidente del Senato
della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati entro
quarantacinque giorni dalla data di svolgimento delle elezioni. Ai sensi
dell’articolo 5 della legge, lo statuto deve conformarsi ai principi democratici,
con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e
ai diritti degli iscritti. La norma è scarna e certo non procede a quei progetti di
attuazione dell’articolo 49 della Costituzione così come formulati in seno alla I
Commissione. E’ comunque apprezzabile lo sforzo del legislatore di fare un
passo avanti lungo la strada della normazione della vita interna, per quanto
sembra quasi che il legislatore facendo leva sul finanziamento pubblico ai
partiti “forzi” la regolamentazione interna120.
La norma disciplina anche nuove forme di controllo, imponendo ai
partiti di sottoporre i bilanci a società di revisione iscritte nell'albo speciale
120 S. ILLARI, La disciplina giuridica dei partiti politici: facoltà del legislatore ordinario ovvero necessità di regole costituzionali, da La Costituzione in officina - il primo intervento urgente, a cura di F. RIGANO, 2013, 20
109
tenuto dalla Commissione nazionale per le società e la borsa. Viene altresì
istituita la Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei
partiti e dei movimenti politici, a cui viene affidato il compito di controllo di
regolarità e di conformità alla legge del rendiconto, così come inteso ai sensi
dell’articolo 8 della legge 2/1997, che riporti la gestione dell’attività
patrimoniale, completa di una relazione sulla situazione economico–
patrimoniale del partito, nota integrativa e dei bilanci delle eventuali società
partecipate. La Corte dei Conti continua ad esercitare il controllo contabile sul
rendiconto delle sole spese elettorali (articolo 12 legge 515/1993). Ai sensi
dell’articolo 9 della recente legge, la Commissione di controllo deve essere
composta da cinque componenti, di cui uno designato dal Primo presidente
della Corte di cassazione, uno designato dal Presidente del Consiglio di
Stato e tre designati dal Presidente della Corte dei conti.
5. L’avvento del Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali
Le alterne vicende che hanno segnato l’inizio della XVII legislatura
sono state emblema della debolezza che contraddistingue i partiti così come
configurati nell’assetto attuale. Anche quei partiti che hanno individuato le
candidature al Parlamento attraverso elezioni primarie non solo non hanno
110
ottenuto tanti voti quanti l’affluenza alle primarie aveva fatto sperare, ma
hanno dimostrato tutta la loro frammentarietà interna nel corso delle trattative
per la formazione della coalizione di Governo, evidenziando come anche le
primarie a nulla potessero se non precedute da un confronto interno sulla
linea politica.
Peraltro sulla questione delle elezioni primarie appare interessante
notare come la stessa definizione di elezioni sia una distorsione. Infatti
un’elezione concorre a preporre un individuo ad una carica, non
necessariamente una carica pubblica ma anche una carica interna ad un
partito. Le primarie così come oggi configurate sono piuttosto un referendum,
espressione di un voto per consigliare una candidatura a chi ne ha il potere sia di
fatto che giuridico. «In questo modo la peculiarità propria delle primarie è
quella di deresponsabilizzare politicamente il gruppo dirigente, perché in caso
di un risultato elettorale deludente il gruppo dirigente può sempre giustificarsi
affermando di aver seguito la volontà del popolo delle primarie». Inoltre la
scelta di primarie di tipo aperto, a cui tutti possono partecipare purché ci si
iscriva nei metodi prestabiliti, fa sì che chiunque possa con una propria scelta
interferire anche giuridicamente su qualcosa che invece chi è iscritto ad un
partito politico ha come posizione giuridica soggettiva anche tutelabile di
fronte alla giurisdizione. Tutti i partiti che prevedono le primarie nel loro
111
statuto vorrebbero istituirle a livello nazionale come obbligatore. «E’ una
previsione populistica perché in questo modo viene considerato alla stregua di
prova regina di democraticità. Invece le primarie possono essere un elemento
di democraticità ma non sono la prova regina. Una visione di questo tipo
contribuisce a banalizzare il discorso della democraticità interna dei partiti
sotto una spinta populista».121
Anche il Gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali voluto dal
Presidente della Repubblica all’inizio della legislatura ha evidenziato la
necessità rilegittimare i partiti politici «come strumento a disposizione di tutti i
cittadini per partecipare alla vita politica del Paese». Peraltro la stessa
istituzione di questo consesso di “Saggi” ha evidenziato la fragilità dei partiti,
incapaci di far fronte alla difficile situazione che si è andata a configurare
all’esito del risultato elettorale. La coesistenza in Parlamento di tre gruppi di
forze di consistenza numerica fra loro ravvicinata, di cui uno dichiaratamente
anti – sistema, ha reso difficile la creazione di una coalizione di Governo tra i
due maggiori partiti da sempre avversari. L’iniziativa del Capo dello Stato ha
evidenziato due punti da valutare alla luce dell’intero assetto istituzionale:
121 in questo senso P. MARSOCCI nel suo intervento nella giornata di studi in memoria di Giuseppe Florida, Napoli, 4 luglio 2013
112
sarebbe opportuno trarre dalle vicende della crisi politico istituzionale
un insegnamento per il futuro: ripensare – secondo proposte già avanzate in
passato – il necessariamente combinato disposto tra “semestre bianco” e
rielezione del Presidente della Repubblica, nel senso di abolire il primo e di
introdurre il divieto della seconda, in modo da lasciare sempre al Capo dello
Stato un’arma non scarica di pressione, per consentire di giungere alla
formazione di un governo non esposto a vita fragile e stentata, nonché di
durata prevedibilmente corta.
Le vicende che hanno portato alla formazione del Gruppo di lavoro
per le riforme istituzionali e poi all’avvento del Governo attualmente in carica
hanno addirittura fatto pensare ad un ormai intervenuto, palese mutamento di
fatto della forma di governo italiana, che la crisi irrisolta del “politico” disegna
come una finora inedita forma di governo parlamentare a direzione
presidenziale, dove l’aggettivo si riferisce non al Presidente del Consiglio, cioè
a una classica premiership, ma a quello della Repubblica. A tal fine per
preservare il ruolo di arbitro imparziale conferito dalla nostra Carta
costituzionale al Presidente della Repubblica, pare opportuno modificare il
nostro sistema elettorale introducendo un maggioritario a doppio turno di
collegio per le Camere (con eventuale ballottaggio aperto ai primi tre
classificati, se il terzo risultasse al primo turno oltre una certa soglia) e più
113
incisivi poteri formali della Presidenza della Repubblica, anziché virare verso
una riforma presidenziale o semipresidenziale122.
6. La Relazione finale del Gruppo di lavoro sulle proposte istituzionali
Già il primo capitolo della relazione del Gruppo di lavoro ha
evidenziato la necessità di una riforma che democratizzasse la vita dei partiti.
La relazione evidenzia come anche la previsione di cui all’articolo 5 della legge
96/2012 che subordina la corresponsione del contributo per le spese elettorali
alla costituzione tramite statuto sia generica «e rischi di dar luogo ad incertezze
e contenziosi». A tal fine la roadmap che è stata segnata propone una disciplina
più particolareggiata, che introduca negli statuti, per rispondere ai requisiti di
democraticità richiesti dalla Costituzione: a) gli organi dirigenti elettivi; b) le
procedure deliberative che prevedano adeguata interazione tra iscritti e
dirigenti nella formazione degli indirizzi politici; c) gli organi di garanzia e di
giustizia interni; d) la istituzione dell’anagrafe degli iscritti e le condizioni per
l’accesso, che dovrebbe essere garantito a tutti gli iscritti; e) l’equilibrio di
genere negli organi collegiali e nella formazione delle candidature; f) le
122 in questo senso S. PRISCO, A futura memoria: il nuovo assetto del sistema dei partiti e l’evoluzione della forma di Governo, da rivistaaic.it, 5 aprile 2013
114
garanzie per le minoranze; g) le procedure per modificare statuto, nome e
simbolo del partito.
Il Gruppo ha poi affrontato il nodo cruciale della forma di governo,
ritenendo in ogni caso preferibile il sistema parlamentare, (nonostante
Gaetano Quagliariello, uno dei membri del consesso, abbia invece sostenuto
l’ipotesi del semipresidenzialismo)123, prevedendo però uno snellimento della
procedura di conferimento della fiducia al Presidente del Consiglio e
prevedendo l’introduzione di un sistema di sfiducia costruttiva. «Dopo le
elezioni, il candidato alla Presidenza del Consiglio, nominato dal Presidente
della Repubblica sulla base dei risultati elettorali, si presenta alla sola
Camera dei Deputati (nel presupposto della riforma dell’attuale
bicameralismo paritario) per ottenerne la fiducia; il giuramento e il successivo
insediamento avvengono dopo aver ottenuta la fiducia della Camera; al
Presidente del Consiglio che abbia avuto e conservi la fiducia della Camera,
spetta il potere di proporre al Capo dello Stato la nomina e la revoca dei
ministri; il Presidente del Consiglio può essere sfiduciato solo con
123 «Il componente del Gruppo che ha sostenuto l’opzione semipresidenziale, ha invece sottolineato come l’attuale grave crisi del nostro sistema istituzionale richieda una riforma più profonda che, proprio grazie all’elezione diretta del Presidente, garantisca una forte legittimazione democratica e, al contempo, un’adeguata capacità di decisione. In questa prospettiva ha fatto rilevare che, in questa fase della vita politica, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica sia più efficace nel fronteggiare la crisi di legittimazione della politica, rafforzando la democrazia, coniugando rappresentatività ed efficienza istituzionale», Relazione finale del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, 11
115
l’approvazione a maggioranza assoluta, da parte della Camera, di una mozione
di sfiducia costruttiva, comprendente l'indicazione del nuovo Presidente del
Consiglio; il Presidente del Consiglio in carica è titolare del potere di chiedere
al Presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato della Camera dei
deputati, ma solo se non è già stata presentata una mozione di sfiducia
costruttiva»124.
Per quanto riguarda il finanziamento pubblico ai partiti, la relazione
evidenzia come costituisca un fattore ineliminabile per la correttezza della
competizione democratica e per evitare che le ricchezze private possano
condizionare impropriamente l’attività politica, a patto che il finanziamento sia
corrisposto «in forma adeguata» e con verificabilità delle singole spese. A tal
fine ne propone una riforma tesa a garantire una corrispondenza tra le spese
ed il rimborso, coordinando altresì le disposizioni in materia con una più
attenta disciplina del conflitto di interessi e del fenomeno delle lobbies125.
Infatti, nella misura in cui si contrae l’erogazione di finanziamenti da parte
dello Stato, aumenta la “sensibilità” dei partiti alle forme di pressione poste in
essere dalle lobbies.
124 Relazione finale del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali, 12 125 col termine lobbies possiamo definire tutta una serie di gruppi sociali di diverso genere e portatori di interessi disparati che influiscono (o cercano comunque di influire) in vari modi sulle scelte dei pubblici poteri di cui sono in maggior misura interessati, in questo senso De Marco, Pasquino, Trupia e Petrillo
116
La questione delle lobbies era stata fino alla redazione di questo
documento quasi un tabù per le istituzioni italiane. Occorre notare un
interessante spunto posto da attenta dottrina: con la crisi dei partiti politici,
tradizionali mediatori degli interessi della società civile presso le istituzioni
pubbliche, tale fenomeno ha assunto una dimensione maggiore, ed è sembrato
configurarsi quale “succedaneo” della rappresentanza politica, se non
addirittura alternativa a essa. La necessità di una regolamentazione è dunque
urgente, anche perché il legislatore, costretto a scontrarsi con materie sempre
più tecniche, ha sempre più bisogno dei rappresentanti di interessi. La stessa
dottrina inoltre ha notato come i Paesi nei quali si è deciso di regolamentare la
disciplina delle lobbies sono sistemi in cui il Parlamento è “forte” – nel senso
che gioca un ruolo chiave nei processi politici; all’opposto, al Parlamento
debole corrispondono interessi oscuri126.
A tal fine il Gruppo propone una soluzione modulata su quella degli
Stati Uniti, istituendo presso la Camera, il Senato e presso le Assemblee
regionali l’albo dei portatori di interessi. Gli iscritti dovrebbero avere diritto a
essere ascoltati nella istruttoria legislativa relativa a provvedimenti che
incidono su interessi da loro rappresentati. Per garantire una decisione più
democratica, il decisore deve rendere esplicite nella relazione al
126 T.E. FROSINI, La democrazia e le sue lobbies, da dirittoestoria.it 3/2012
117
provvedimento le ragioni della propria scelta e deve evitare ogni possibile
situazione di potenziale o attuale conflitto di interesse.
7. La proposta di legge Finocchiaro – Zanda
Il 22 marzo di quest’anno un gruppo di senatori del PD ha presentato
un disegno di legge sull’attuazione dell’articolo 49 dei partiti oggetto di grandi
polemiche. In realtà il disegno di legge Finocchiaro – Zanda non faceva che
riproporre un testo i legge che già era stato oggetto della discussione in I
Commissione nel 2012.
Cifra specifica del discusso disegno di legge era l’obbligo per i partiti
politici di costituzione secondo le forme dell’associazione riconosciuta ai fini
dell’accesso al finanziamento pubblico e della partecipazione alle competizioni
elettorali. La norma, all’articolo 3, imponeva la costituzione mediante statuto.
Ai sensi dello stesso articolo lo statuto avrebbe dovuto disciplinare gli organi
direttivi e i metodi per la loro elezione, le procedure richieste per
l’approvazione degli atti che impegnano il partito, i metodi per garantire la
partecipazione degli iscritti.
Particolarmente interessante alla lettera b) dello stesso articolo era la
previsione per cui lo stesso atto statutario deve individuare i casi di
118
incompatibilità tra cariche dirigenziali all’interno del partito e incarichi, o
nomine, a livello istituzionale e delle amministrazioni pubbliche nazionali e
locali. La norma assegnava ad una società di revisione iscritta all’albo della
CONSOB il controllo dei rendiconti di esercizio, (già la legge 96/2012
prevedeva il controllo del bilancio da parte delle stesse società).
L’articolo 4 del progetto di legge prevedeva altresì come obbligatorie
le primarie. Entro quattro mesi dalla scadenza del termine per la presentazione
delle candidature, il legale rappresentante di un partito politico ovvero i legali
rappresentanti di più partiti tra loro coalizzati possono richiedere all’ufficio
elettorale competente di indire elezioni primarie per la selezione dei propri
candidati a sindaco e a presidente di regione, alla carica di Presidente del
Consiglio dei ministri e per la selezione dei propri candidati alle assemblee
rappresentative.
La norma ha attirato aspre critiche ed è stata definita “legge anti –
movimenti”, poiché negava il rimborso elettorale e la possibilità di
partecipazione alle elezioni a quelle forze che non si fossero costituite secondo
la forma dell’associazione riconosciuta. A molti commentatori la norma è
sembrata confezionata ad hoc per mettere all’angolo il Movimento 5 Stelle. Il
movimento antipolitico infatti si dichiara fieramente «non associazione» al
primo articolo del suo statuto, definendosi altresì «una piattaforma ed un
119
veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo
epicentro nel blog beppegrillo.it», con una formula che si può definire
quantomeno oscura e mostrando totale sfiducia in ogni possibile
regolamentazione della vita de partiti politici.
Inoltre anche la dottrina si è mostrata critica rispetto alla previsione
dell’obbligo di costituzione secondo le forme dell’associazione riconosciuta.
Alcuni hanno ritenuto che il progetto normativo è «irrimediabilmente in
contrasto con la nostra Costituzione» poiché imporrebbe un vincolo – la
costituzione in associazione riconosciuta – che darebbe vita ad «un’arbitraria
limitazione dei diritti dei cittadini sotto un duplice profilo. Non solo si
verrebbe a restringere in maniera irragionevole e sproporzionata il diritto di
elettorato passivo garantito dall’articolo 51 della Costituzione, ma anche la
libera formazione dell’opinione pubblica e l’autodeterminazione dei cittadini al
momento del voto. Agli elettori, infatti, non sarebbe consentito esprimere la
propria preferenza in favore dei soggetti politici che rifiutino – magari
programmaticamente – di assumere la forma imposta dalla legge»127.
Alla luce di una lettura evolutiva dell’articolo 49 della Costituzione
però tale posizione sembra parzialmente non condivisibile. E’ stato già altrove
127 C. CASSINARI, Democrazia interna e trasparenza nei partiti politici: una riforma non più rinviabile, da La Costituzione in officina, il primo intervento urgente, a cura di F. Rigano, 2013, 29
120
evidenziato come il silenzio dei Padri Costituenti sul tema della disciplina
interna dei partiti sembri più legato a ragioni storiche che giuridiche.
Oltretutto è già da tempo che la dottrina sottolinea la necessità – e la
possibilità – di una legge di regolamentazione della vita dei partiti politici.
Appare necessario restituire ai partiti quel ruolo di raccordo fra i cittadini e le
istituzioni, che è fondamentale in una democrazia pluralista, e che, proprio per
questo motivo, non può più essere sottratto ad una regolazione dei partiti in
forme autenticamente democratiche ed aperte al controllo dell’opinione
pubblica se non della legge.128 Inoltre, autorevole dottrina nota come la
distinzione fra “metodo democratico”, previsto per i partiti, e “base
democratica”, prevista per i soli sindacati, è stato un argomento utilizzato per
evitare lo scoglio della regolamentazione. Ma è un argomento divenuto
sempre più debole, per due ragioni.
Intanto perché la regolamentazione dovrebbe essere riservata ai partiti
che accedono al finanziamento pubblico, come onere per gli stessi. E perché,
inoltre, in altra direzione vanno le esperienze di altri Paesi, le cui Costituzioni
più recenti tendono a prevedere (ultima la revisione costituzionale portoghese
del 1997), insieme, la base democratica dei partiti e il loro finanziamento. Da
tempo, comunque, molti ordinamenti prevedono forme di regolazione dei
128 in questo senso T.E FROSINI, E’ giunta l’ora di una legge sui partiti politici?, da dirittoestoria.it, n.2, marzo 2003
121
partiti, tanto che allorché nel 2001 il Parlamento europeo ha discusso dello
Statuto dei partiti europei, da ammettere al finanziamento, ha dovuto fare i
conti con la eccezione italiana, che non prevede la loro personalità giuridica129.
Piuttosto l’obbligo di costituzione nella forma dell’associazione
riconosciuta pone dei dubbi di natura diversa. Muovere da una concezione
rigorosamente «privatistica», il rapporto tra partiti e Stato sembra sfociare in
un assetto, per così dire, contrattuale, «nel quale i primi aderiscono alla forma
del meccanismo costituzionale per aggirarlo e svuotarlo dall’interno con la
loro azione politica, ed il secondo si appaga di tutelare dall’esterno le
condizioni in cui si svolge la lotta politica»130. Non dunque un’adesione
pedissequa alle forme del diritto privato, bensì forme nuove, di impianto
pubblicistico.
In questa prospettiva, occorre considerare quell’indirizzo di pensiero
che, movendo dalla constatazione che nello Stato contemporaneo «l’area del
pubblico si è dilatata ben al di là dell’esercizio dei poteri autoritativi che essa
appare vieppiù intrecciata con la sfera del sociale, ha suggerito una
ricostruzione della natura giuridica del partiti che, prescindendo dalle categorie
129 A. BARBERA, La democrazia “dei” e “nei” partiti, tra rappresentanza e governabilità, Relazione al Convegno organizzato dal CESIFIN “Alberto Predieri”e dal Centro di studi politici e costituzionali Piero Calamandrei – Paolo Barile – Rettorato Università di Firenze, 19 ottobre 2007, da forumcostituzionale.it 130 G.U. RESCIGNO, Gruppi parlamentari, in Enciclopedia del Diritto, vol. XIX, 1970, 795
122
tradizionali del diritto privato e dell’incorporazione nell’apparato statale,
sarebbe la risultate della compenetrazione tra uno status di libertà e di
eguaglianza dei partiti con uno spiccatamente pubblicistico». Fatte queste
considerazioni, non può che giungersi alla conclusione per cui «lo status dei
partiti è apparso inseparabile da una misura di responsabilità che per i partiti
medesimi, a differenza che per le altre forme di espressione dell’opinione
pubblica e per i gruppi di interesse, deriverebbe dall’esigenza di sottostare
periodicamente ad una verifica elettorale della legittimazione della loro linea
politica».131
Appare dunque più convincente tornare a quelle proposte, ad esempio
A.C. 5553 del 1999, che prevedevano regole di costituzione ad hoc dei partiti
politici, come la costituzione in un apposito registro dei partiti istituito presso
la Corte d’Appello. Questo eviterebbe altresì il deposito presso le Prefetture,
dove vengono conservati i registri delle associazioni riconosciute, laddove
potrebbe configurarsi anche solo in astratto un controllo del potere esecutivo
sugli statuti partitici.
131 P. RIDOLA, Partiti politici, voce, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXII, 125
123
8. Il disegno di legge A.C. 1554
A seguito delle polemiche e dei dubbi di incostituzionalità che lo
hanno riguardato, il ddl Finocchiaro – Zanda è stato ritirato dai suoi
promotori. Pochi mesi dopo però è stato il Governo in un disegno di legge di
sua iniziativa ad affrontare il tema della regolamentazione della vita dei partiti.
Il disegno di legge di iniziativa governativa A.C. 1554 ha il merito di
disciplinare congiuntamente la materia dell’ordinamento dei partiti e quella del
finanziamento della loro attività. Rispetto alle proposte di legge già presentate
in materia però, il testo proposto dal Governo appare meno incisivo in
materia di democratizzazione dei partiti e piuttosto concentrato su un disegno
di progressiva abolizione di ogni forma di sovvenzione pubblica ai partiti.
Nonostante infatti il Gruppo per le riforme istituzionali avesse sottolineato
come costituisse «un fattore ineliminabile per la correttezza della
competizione democratica», il Governo in carica si propone la totale
abolizione del finanziamento. Tra gli estensori della proposta c’è anche
l’attuale Ministro per le Riforme Costituzionali, già membro del consesso dei
Saggi.
L’articolo 2 del disegno di legge definisce i partiti libere associazioni
attraverso le quali i cittadini concorrono,con metodo democratico, a
124
determinare la politica nazionale prevedendo che siano dotati di uno statuto
(non più costitutivo così come voluto dalla legge del 2012) che riporti anche
indicazioni su organi deliberativi, diritti e doveri degli iscritti e modalità di
selezione delle candidature (articolo 3). L’articolo successivo prevede altresì
l’istituzione di un registro dei partiti politici, custodito dalla Commissione già
istituita ai sensi dell’articolo 9 della legge 96/2012, la cui iscrizione è
subordinata alla verifica di conformità dello statuto alle regole imposte
dall’articolo 3.
Oltre ad una serie di previsioni che non fanno che ampliare le regole
di trasparenza dei bilanci già contenute nella legge del 2012, il fulcro della
disciplina è al Capo III, dove viene affrontato il nodo della contribuzione
volontaria e della contribuzione indiretta ai partiti politici. La disciplina così
come configurata dovrebbe entrare in vigore dopo quattro anni
dall’approvazione della legge, lasciando spazio ad un regime transitorio di
progressivo abbandono del sistema di finanziamento statale.
Per la nuova disciplina, i partiti iscritti al registro di cui all’articolo 4
hanno diritto ad accedere a due tipi di finanziamento: al finanziamento privato
in regime fiscale agevolato ex articolo 9 e delle risorse rinvenienti dalla
destinazione da parte dei contribuenti del due per mille dell’imposta sul
reddito delle persone. Per essere beneficiari del primo tipo di finanziamento i
125
partiti devo aver ottenuto almeno un candidato eletto nelle elezioni alla
Camera, al Senato, al Parlamento europeo o Consigli regionali e delle province
autonome. In mancanza di eletti, è sufficiente aver presentato candidati in
almeno 3 circoscrizioni per le elezioni della Camera o in 3 regioni per le
elezioni del Senato o in un consiglio regionale o delle province autonome o in
almeno una circoscrizione per le europee (art. 8, comma 1, lett. a).
Il comma 2 dell’articolo 9 modula le detrazioni a favore delle persone
fisiche in due tipologie: per le piccole donazioni, da 50 e 5.000 euro annui la
detrazione spettante è del 52%, mentre rimane al 26% per gli importi superiori
fino a 20.000 euro. L’assoggettare ad una detrazione di importo maggiore le
erogazioni di minor entità (fino a 5.000 euro), ha lo scopo di stimolare i
contribuenti a beneficiarne.
Il comma 3 estende la detrazione dal reddito IRPEF, per un importo
pari al 52%, anche per le quote di iscrizione a scuole o corsi di formazione
politica (sempre che siano organizzati da partiti iscritti al registro) per un
importo massimo di 500 euro per ciascuna annualità.
Relativamente ai finanziamenti erogati da società, in base al comma 4,
queste possono detrarre un importo pari al 26% (attualmente è del 19%) per
126
gli importi tra 50 a 100.000 euro (attualmente i limiti minimo e massimo sono
pari a 51,65 euro e 103.291,38 euro).132
La seconda forma di contribuzione prevede i partiti come beneficiari
della destinazione del due per mille dell’ imposta sul reddito delle persone
fisiche ex articolo 10. I partiti possono beneficiare di tali fondi laddove
nell’ultima consultazione elettorale abbiano ottenuto almeno un candidato
eletto sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo del Senato della
Repubblica, della Camera dei deputati o dei membri del Parlamento europeo.
Laddove il singolo contribuente non voglia effettuare la destinazione a
favore dei partiti le risorse restano all’erario ai sensi del comma 6.
Le disposizioni transitorie disciplinano un iter di abolizione del
finanziamento pubblico a favore di un regime completamente privatistico.
L’articolo 14 infatti prevede una riduzione progressiva del finanziamento negli
anni di esercizio successivi all’entrata in vigore del testo di legge, fino a cessare
del tutto dal quarto anno (articolo 14 comma 2).
Ad oggi la discussione del disegno di legge si è bloccata alla Camera.
In particolare, il punto su cui i partiti non riescono a trovare un punto di
132 Servizio studi Camera dei Deputati, documentazione per l’esame di progetti di legge, 17 giugno 2013, numero 26
127
incontro è il tetto massimo di donazioni private imposto dalla legge, che parte
del centrodestra vorrebbe del tutto abolire assieme alla previsione del solo
illecito amministrativo, e non più del reato, in caso di finanziamento illecito ai
partiti. Nel frattempo gli emendamenti al testo di legge sono già quasi 200.
Oltre che previsioni di aggiustamenti delle aliquote di detrazione, o anche di
entrata in vigore del regime privatistico immediata, molte sono le proposte
che prevedono la soppressione dell’articolo 14 e dunque della totale
abolizione delle sovvenzioni pubbliche.
Le notazioni che preme fare sin da ora, riservandosi osservazioni più
precise a seguito del dibattito parlamentare e della eventuale approvazione,
sono due. Innanzitutto il legislatore italiano si avvia all’abolizione del
finanziamento pubblico ai partiti o quantomeno del rimborso delle spese
elettorali percorrendo una strada divergente non solo con la legislazione degli
altri Paesi europei, ma con le stesse linee direttive che il Gruppo di lavoro per
le riforme istituzionali aveva dato all’avvio dell’attuale legislatura.
Il disegno di legge inoltre prevede la progressiva sostituzione del
finanziamento pubblico con strumenti di finanziamento privato. Un
esperimento simile fu fatto, come ricordato, nel 1997, ma pochi anni dopo il
legislatore dovette abbandonare il progetto perché furono pochi i cittadini che
contribuirono versando una quota dell’IRPEF ai partiti. Appare singolare
128
come oggi, in piena crisi economica e di fiducia dell’elettorato, il Governo
voglia tornare a percorrere quella strada, peraltro senza prima rinsaldare i
rapporti coi cittadini con una legge di regolamentazione dei partiti politici.
9. Il finanziamento alla politica in Spagna
L’ordinamento spagnolo prevede una forma di finanziamento alla
politica sin dal 1987. Recentemente la disciplina è stata modificata al fine di
garantire maggiore trasparenza. Il legislatore spagnolo ritiene però
fondamentale il finanziamento alla politica.
Questo emerge anche dal preambolo della nuova legge in materia di
finanziamento pubblico ai partiti del 2007: «La libertà dei partiti sarebbe lesa
se la formula di finanziamento consentito fosse ispirata ad un modello di
piena privatizzazione perché, se così fosse, si potrebbe sempre dubitare della
possibile influenza che i contributi dei privati potrebbero aver esercitato, tanto
da spezzare il ruolo dei partiti politici come istituzioni e canale di formazione
della volontà popolare».
Il finanziamento pubblico spagnolo configura un sistema misto
pubblico – privato. Mentre per il primo tipo di finanziamento, a sua volta
suddiviso in rimborso elettorale e finanziamento alla vita del partito, la legge
129
impone – in particolare per le spese elettorali – un tetto di spesa, la nuova
disposizione del 2007 non individua invece un limite alle donazioni dei
soggetti privati, innovando dunque la disciplina rispetto a quella contenuta
nella legge del 1987133.
La nuova legge individua, all’articolo 2, cinque forme di finanziamento
pubblico a partiti politici, federazioni, coalizioni o gruppi di elettori:
1)le sovvenzioni pubbliche conferite a titolo di rimborso delle spese
elettorali, nei termini previsti dalla Legge organica del 19 giugno 1985, numero
5 (Ley organica del Régimen Electoral general), a livello statale, e dalle leggi
regionali sui procedimenti elettorali delle singole Comunità autonome;
2)le sovvenzioni statali annuali per le spese generali di funzionamento;
3)le sovvenzioni annuali stabilite dalle Comunità autonome e, se del
caso, dagli enti locali, per le spese generali di funzionamento nel proprio
ambito territoriale;
4)le sovvenzioni straordinarie per la realizzazione di campagne di
propaganda in occasione dello svolgimento di referendum;
133 F.M. LEIVA, Financiamiento y fiscalizaciòn de los recursos de los partidos polìticos en Espana, da bibliojuridicas.unam.mx, consultato nel settembre 2013, tradotto da chi scrive
130
5)gli apporti che i partiti politici, se del caso, possono ricevere dai
gruppi parlamentari delle Camere, delle Assemblee legislative delle Comunità
autonome e dai gruppi di rappresentanza negli organi degli enti locali134.
Per quanto riguarda il rimborso delle spese per le campagne elettorali,
la legge prevede dei tetti di spesa. La condizione di accesso a tale fondo è
l’aver ottenuto almeno un eletto. Il limite di spesa è ottenuto moltiplicando
trentasette centesimi di euro per il numero di elettori di ogni circoscrizione.
Accanto ai fondi per il funzionamento del partito politico resta
invariata la previsione già presente nella legge del 1978 di rimborsi parziali
delle spese sostenute in campagna elettorale.
Condizione di accesso al finanziamento è l’avere almeno un eletto nel
Congresso dei Deputati ex articolo 3 comma 1.
Accanto a tali disposizioni, il legislatore spagnolo disciplina anche il
finanziamento privato da parte di persone fisiche o giuridiche, ad esclusione di
enti a partecipazione pubblica o di fondazioni private che ricevono fondi
pubblici (articolo 4 lettera d). Le donazioni effettuate dai singoli vengono
valutati alla stregua di donazioni a favore di enti no profit. Anche in Spagna
dunque vige un regime di favore per i finanziamenti privati ai partiti.
134 Servizio studi Camera dei Deputati, Documentazioni per le commissioni, aprile 2011, numero 23
131
La norma prevede inoltre una minuziosa disciplina di rendicontazione
che grava sul tesoriere di partito, tenuto ad aggiornare libri contabili,
inventario e stato patrimoniale ex articolo 14 ed a redigere il bilancio
consolidato del partito nazionale riunendo in un’unica scrittura contabile i
bilanci delle sedi regionali, distrettuali e provinciali. Sarà unico anche l’atto che
espone la situazione patrimoniale di federazioni di partiti.
Il bilancio così formalizzato è inviato alla Corte dei Conti ai sensi del
comma settimo dello stesso articolo. La magistratura contabile effettua un
controllo economico finanziario unito ad un controllo di legalità delle somme
sia pubbliche che private percepite dal partito, nonché della regolarità
contabile delle attività svolte (articolo 15).
La Corte emette una relazione entro sei mesi in cui si pronuncia sulla
regolarità e congruità della rendicontazione. In caso di irregolarità può anche
infliggere sanzioni pecuniarie al partito politico. Le condanne possono
ammontare al doppio del finanziamento percepito quando è stata violata la
disposizione che vieta la corresponsione di somme ad aziende a
partecipazione pubblica o ad enti stranieri, o anche al blocco dei fondi
pubblici laddove il partito abbia omesso di presentare il rendiconto. Il partito
è tenuto a dare pubblicità alla relazione della Corte, inserendola nella
documentazione consultabile del proprio sito web.
132
10. Il finanziamento ai partiti in Germania
E’ la stessa Costituzione tedesca a prevedere un regime di pubblicità
per la gestione dei fondi dei partiti politici. L’articolo 21 della GG infatti
prevede che i partiti «devono tenere conto pubblicamente della provenienza e
dell’utilizzazione dei loro mezzi finanziari e dei loro beni». La disciplina
tedesca consente solo il rimborso delle spese elettorali a tutti i partiti,
prevedendo infatti bassissime soglie di sbarramento elettorale per accedere a
tali fondi. Ad essere invece finanziate nelle loro attività sono altresì le
fondazioni di partito135.
Nel disciplinare l’interventismo statale nei confronti dei partiti politici,
ruolo di grande importanza ha avuto la Corte Costituzionale Federale. Le
frequenti pronunce della Bundesverfassungsgericht hanno avuto il merito di
delineare la disciplina in modo da improntarla a criteri di eguaglianza e parità
di chances.
Una prima pronuncia risale al 1966, quando la Corte dichiarò
l’incostituzionalità delle sovvenzioni che non fossero spese elettorali, in virtù
di un generale principio di uguaglianza tra i partiti. Il legislatore, recependo la
posizione del Tribunale Costituzionale, disciplinò la materia nella legge sui
135 vedi oltre
133
partiti varata nell’anno successivo, prevedendo al titolo IV non solo una
dettagliata disciplina sui criteri di rimborso, ma anche regole precise per la
stesura di una rendicontazione pubblica e per la tenuta delle scritture contabili.
Nel corso del tempo il legislatore tedesco ha provveduto a introdurre
nella disciplina sistemi di controllo dei bilanci, dando notevoli poteri al
presidente del Bundestag.
Dopo aver più volte richiamato l’attenzione sul fatto che il rimborso,
se erogato in via continuativa, diventava di fatto finanziamento e dunque
violava le previsioni costituzionali, la Bundesverfassungsgericht nel 2004 è
intervenuta a gamba tesa sulla disciplina appena varata dal legislatore tedesco.
La nuova legge, varata all’indomani di scandali che coinvolsero la
politica tedesca, modifica i criteri di determinazione di rimborso, prevedendo
un rimborso di settanta centesimi di euro purché il partito avesse ottenuto
almeno lo 0,5% di voti su scala nazionale in occasione delle elezioni per il
Bundestag o per il Parlamento europeo, ovvero l'1% in un Land in occasione
del rinnovo del Landtag136. A questa previsione se ne affiancava un’altra: i
partiti che nelle ultime elezioni per il Bundestag e per il Parlamento Europeo
abbiano raccolto meno dello 0,5% dei voti validamente espressi possono
136 G. REPETTO, Nuove disposizioni in tema di finanziamento pubblico dei partiti in Germania, da Rivista dell’associazione Italiana dei Costituzionalisti, 26 settembre 2002
134
accedere al finanziamento pubblico solamente ove gli stessi partiti abbiano
percepito nelle tre più recenti elezioni per il rinnovo di Parlamenti regionali
almeno l’1%, o in una di esse almeno il 5% dei voti validamente espressi137. La
clausola di sbarramento fu definita Drei-Länder-Quorum, così chiamata perché
l’unica chance di più facile raggiungimento del quorum per i partiti minori era
la presentazione di liste nelle città-stato di Amburgo, Berlino e Brema.
La norma fu oggetto dell’impugnazione di due partiti minori, il DIE
GRAUEN – Graue Panther, che ha come riferimento gli elettori pensionati ed
appartenenti alla terza età, e la Ökologisch-Demokratische Partei, Partito
Democratico – Ecologista. La Corte, accogliendo le istanze delle due forze
politiche, ha emesso due sentenze storiche con le quali ha precisato con
grande chiarezza i principi che dovevano ispirare il rimborso delle spese
elettorali.
La Bundesverfassungsgericht ha evidenziato come lo sbarramento limitasse
«la sostanziale lealtà del processo politico tutelata sul piano costituzionale. Dal
momento che l’ordinamento tedesco» si legge nella sentenza «si caratterizza
come una democrazia fondata sul multipartitismo, la citata equità del sistema
politico si realizza proprio grazie alla possibilità di fondare in ogni momento
137 A. DE PETRIS, Soldi pubblici e Chancengleicheit: il Tribunale Costituzionale tedesco precisa i criteri del finanziamento statale ai partiti, da Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 12 novembre 2004
135
nuove organizzazioni partitiche, finalizzate ad offrire ad inediti orientamenti la
possibilità di affermarsi con successo nel processo popolare di formazione
della volontà politica: in altre parole, l’accesso al “mercato della politica” deve
essere aperto a tutti.
Anche i partiti di piccole dimensioni rivestono una loro importanza
riguardo al processo ed il panorama politico. Su un arco di tempo medio-
lungo, la concorrenza tra partiti può produrre effetti solo se essa non è
limitata ad una competizione tra le formazioni già esistenti e premiate dal
voto, ma ampliata, intensificata e favorita dall’ingresso di nuovi concorrenti e
dalla perdurante sfida allo status quo lanciata dai soggetti politici di nicchia138».
La norma dunque è stata espunta dal testo della nuova legge, che ha
previsto come condizione per l’ammissione ai contributi solo il
raggiungimento di un quorum del 0,5% del totale dei voti validi (per le
elezioni europee e del Bundestag) o all’1% dei voti validi (per le elezioni dei
Parlamenti dei Länder).
All’articolo 2 la norma prevede che alle formazioni politiche
vengano annualmente corrisposto (art. 18, comma 3):
138 A. DE PETRIS, Soldi pubblici e Chancengleicheit: il Tribunale Costituzionale tedesco precisa i criteri del finanziamento statale ai partiti, da Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 12 novembre 2004
136
1) un contributo proporzionale ai voti ricevuti pari ad ottantacinque
centesimi di euro per ogni voto valido, fino a 4 milioni di voti e a settanta
centesimi di euro per ogni voto ulteriore ottenuto da ciascuna formazione
nelle ultime elezioni per il Bundestag, per il Parlamento europeo e per i
Parlamenti del Länder.;
2) un contributo calcolato sulla quota di
autofinanziamento di trentotto centesimi di euro per ogni euro che il singolo
partito abbia ricevuto come donazione o a titolo di quota di iscrizione da una
persona fisica139.
La norma prevede altresì un limite all’ammontare dei contributi totali.
Inoltre, il contributo che ciascun partito può ricevere non può superare
l’importo annuale ottenuto dal partito stesso tramite i contributi d’iscrizione,
donazioni spontanee di sostenitori ed iscritti, in virtù dell’istituto di matrice
tedesca del cofinanziamento, che il legislatore italiano ha introdotto nella più
recente legge.
Anche le indennità parlamentari rientrano nei computo del
finanziamento alla politica. Gli statuti di tutti i partiti obbligano i propri
rappresentanti a versare una cospicua somma al partito (Parteisteuer). Di fatto,
139 Servizio studi Camera dei Deputati, Documentazioni per le commissioni, aprile 2011, numero 23
137
dunque, nell’indennità ai parlamentari si nasconde in parte un ulteriore e
indiretto contributo al partito.
Come nelle leggi di altri Paesi, anche in Germania esistono limitazioni
per le donazioni di società a partecipazione pubblica e soggetti stranieri, a
meno che non provengano da un cittadino tedesco, dell’Unione europea, da
un’impresa a prevalente proprietà tedesca o comunque la donazione non
superi i mille euro.
Tutte le donazioni devono essere comunicate al Presidente
del Bundestag che ha cura di renderli noti tramite la pubblicazione della
Rendicontazione.
Prima di essere presentata al Presidente del Bundestag, la
rendicontazione deve essere verificata preventivamente da un revisore dei
conti o da una società di revisione contabile ai sensi dell’articolo 23 comma 3
della stessa legge. Al termine della valutazione del Presidente, i rendiconti dei
partiti e le relative note di verifica sono pubblicati come atti del Bundestag.
Spetterà poi alla Corte federale dei Conti il compito di verificare che il
Presidente del Bundestag, nella sua qualità di amministratore dei fondi erogati
dallo Stato, abbia provveduto al rimborso delle spese elettorali.
138
11. Le Stiftungen
Particolare attenzione merita infine il fenomeno delle fondazioni
legate ai partiti. In Germania i partiti politici hanno iniziato a creare
fondazioni sin dagli anni ‘50. La prassi e la giurisprudenza costituzionale
hanno relegato l’attività delle stesse in un ruolo di sviluppo della cultura
politica e di conservazione della memoria storica dei singoli partiti, evitando
dunque che si rivelassero la longa manus della politica, o, peggio ancora, una
fonte di finanziamento occulta.
L’esempio tedesco è particolarmente rilevante per il nostro Paese,
dove negli ultimi anni sono proliferate le fondazioni dei “big” di partito. Sul
punto non mancano voci critiche di chi crede che la fondazione, aldilà dei
propositi ecologisti – culturali – sociali, nasconda ben altro. «A ciascuno il suo
think tank insomma. Fondazioni, laboratori, centri studi si moltiplicano o si
potenziano, parallelamente, spesso trasversalmente ai partiti. Organizzano
convegni, stabiliscono legami con le università, fanno lobbyng, nel senso
anglosassone. Il motivo del successo? Avere una Fondazione fa fine e,
soprattutto, non impegna. Aiuta il leader a muoversi più agilmente tra le
139
trappole di un sistema politico sempre più caotico e scivoloso. E, cosa non
secondaria, facilita le manovre tra regole fiscali e societarie».140
Nel 1962 il Bundestag iniziò a contribuire finanziariamente alle attività
delle fondazioni. Ad oggi non esiste una norma ad hoc, ma di fatto la loro
natura giuridica, la loro attività ed i rapporti con il partito politico di
riferimento sono modellati sulle linee guida tracciate dalla Corte
Costituzionale Federale nel 1986.
I giudici costituzionali hanno stabilito che i finanziamenti alle
fondazioni politiche sono legittimi purché queste siano giuridicamente
indipendenti dai partiti. Pertanto, il presidente e il portavoce del direttivo, i
dirigenti amministrativi e il tesoriere di una fondazione non possono
svolgere alcuna funzione comparabile all’interno del partito ai cui ideali e alla
cui storia la fondazione si riferisce141.
La Bundesverfassungsgericht ha altresì delimitato i compiti che la
fondazione politica può svolgere alle sole attività culturali, vietando invece
ogni coinvolgimento nell’attività elettorale del partito di riferimento.
140 A. SARDONI, Rifondare la politica? Per ora siamo alle fondazioni, da Il venerdì di Repubblica, 5 dicembre 2005 141 Servizio studi Camera dei Deputati, Documentazioni per le commissioni, aprile 2011, numero 23
140
CONCLUSIONI
Con questo breve lavoro di tesi si è cercato di dimostrare l’urgenza
con cui è necessario agire perché il principio di rappresentanza torni ad essere
il fulcro della vita democratica. Perché questo accada è necessario che si
prenda atto del ruolo dei partiti, che non è e non può essere meramente
“sociale”, ma che si pone all’interno dell’assetto delle istituzioni democratiche.
I compiti affidati dalla stessa Costituzione e poi dalla legge ordinaria alle forze
politiche, infatti, le rendono protagoniste della vita istituzionale. In quanto tali,
i partiti politici dovrebbero conformarsi a quei principi di legalità e trasparenza
che regolano – o dovrebbero regolare – l’operato dell’intera amministrazione.
Questa esigenza, avvertita dalla dottrina sin dai primi anni ’50, è
oramai divenuta centrale anche per l’opinione pubblica. Ne sono stati segnali
inequivocabili già il referendum abrogativo di parte della legge sui
finanziamenti pubblici alla politica del 1993, nonché il successivo flop della
previsione del quattro per mille da destinare ai partiti. Oggi il boom elettorale di
movimenti dichiaratamente «antipolitici» pone la politica “tradizionale” ancora
una volta di fronte alla necessità dei cittadini di democratizzare la vita dei
partiti.
141
Come attenta dottrina ha suggerito, i movimenti – ed in particolare la
forza politica in esame – nascono proprio come reazione al modo di fare
politica dei partiti tradizionali. Nel caso italiano, massima centralità è stata data
dal movimento proprio alla democratizzazione delle decisioni del gruppo. Gli
strumenti tecnologici diffusi capillarmente hanno consentito un
coinvolgimento dell’elettorato in ogni decisone. Premono però una serie di
considerazioni a proposito.
La grande opportunità offerta dalle moderne tecnologie è certamente
un formidabile strumento nelle mani dei cittadini per ampliare quel concetto
di «concorso» già enunciato proprio dall’articolo 49. D’altra parte però è
fondamentale non confondere il fine con il mezzo. Non è la mera pubblicità o
conoscibilità delle dinamiche interne di un partito politico a renderlo per ciò
stesso democratico. Oltretutto anche i metodi di consultazione online per
individuare testi di mozioni e candidati danno vita ad una democraticità solo
formale quando sono frutto di regole imposte da una sola parte, (o meglio
ancora gestite da società private di comunicazione web). Lo stesso discorso,
come anticipato, vale per quelle primarie di partito che ad oggi hanno più il
valore di un referendum consultivo che di una vera e propria elezione
popolare.
142
Inoltre, sebbene il coinvolgimento di più ampi strati di popolazione
nelle decisioni politiche sia sempre da lodare nei sistemi democratici, c’è da
chiedersi se la costante consultazione attraverso metodi informali – e non, ad
esempio, con referendum – non rischi di diventare da un lato uno strumento
atto a scaricare le responsabilità delle scelte politiche sull’elettorato, talvolta
col rischio di banalizzare e semplificare decisioni complesse, dall’altro crei un
pericoloso rapporto di mandato tra elettore ed eletto.
Infine, non può che suscitare qualche perplessità la tendenza di questi
gruppi che, pur essendo ormai parte integrante delle istituzioni grazie al
grande consenso elettorale raccolto, continuano a mantenere un assetto ed a
rivendicare un ruolo più consono ad un gruppo di pressione che ad un gruppo
politico rappresentato nelle istituzioni. Questo è evidente dal fatto che l’intero
movimento fa costante riferimento ad un leader che oltre a non aver alcun
ruolo pubblico – ma questo non appare il reale problema – esprime
costantemente considerazioni antisistemiche che rendono difficile conciliare la
linea politica con le necessità ed i doveri istituzionali.
E’ necessario però non gettare il bambino con l’acqua sporca e
cogliere le istanze urgenti e pressanti che provengono da tali realtà. I partiti
tradizionali sono dunque posti dinanzi ad un bivio: o continuare a perdere
consenso a favore di forze antisistema, o accogliere la domanda di democrazia
143
e trasparenza che a seguito della caduta delle ideologie diviene il fulcro della
fiducia politica.
Oltretutto è evidente che l’istanza di democratizzazione venga forte
anche da quella parte della politica che fino ad oggi sembrava essere sorda ai
richiami della democratizzazione delle dinamiche interne, poiché stretta
attorno alla figura di un leader carismatico. Ma, come già anticipato dai teorici
del partito pigliatutto, in questo caso sono le regole del mercato e non quelle
del ricambio democratico a dettare i cambi di leadership. Sebbene sarebbe
illusorio pensare di fermare l’inarrestabile tendenza alla “breandizzazione” anche
dei fenomeni democratici senza cadere in ideologie anacronistiche, pare
necessario che le dinamiche democratiche vengano quanto più possibile
tutelate dal marketing.
In questa direzione sembra andare in particolare non solo la relazione
conclusiva del Gruppo di lavoro per le riforme istituzionali, ma soprattutto
una proposta di legge presentata al Senato e non ancora oggetto di
discussione. Nel disegno di legge Compagna – Corsini – Albertini sembra
chiaro ai tre senatori (due dei quali sono degli storici, il che non sembra
casuale) il ruolo che ad oggi a fronte di una lettura evolutiva dell’articolo 49 i
partiti politici devono avere. A tal fine la proposta di legge, riprendendo il
testo di Mortati, suggerisce la fondazione dei partiti mediante statuto
144
costitutivo da depositare presso il Tribunale competente nel luogo della
costituzione e un meccanismo di primarie obbligatorie in cui il diritto di voto
è limitato ai soli iscritti. Si legge nella relazione al testo di legge: «Il partito
dev’essere la sede “istituzionale” in cui i cittadini si ritrovano per concorrere a
determinare gli indirizzi e le scelte della comunità. Ma per riportare i cittadini
alla politica occorre offrire loro sedi di dibattito trasparente, garantite, in cui
ognuno possa vedere realizzato il proprio contributo. E pensare a
un’autoriforma dei partiti e a un recupero della militanza senza una
regolamentazione giuridica che assicuri l’effettivo rispetto della democrazia
interna, riduca il peso degli apparati e limiti le scelte di vertice, attraverso
l’obbligo di ricorso alle elezioni primarie per la designazione dei candidati, è
puramente illusorio».
145
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