il «nuovo» lavoro autonomo - fondazione prof
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E STORIA DEL DIRITTO
CORSO DI DOTTORATO IN DIRITTO COMPARATO, PRIVATO,
PROCESSUALE CIVILE E DELL’IMPRESA
XXXI ciclo
IL «NUOVO» LAVORO AUTONOMO
QUALIFICAZIONE E TUTELE DOPO IL D.LGS. N. 81/2015 E LA L. N. 81/2017
DIRITTO DEL LAVORO
IUS/07
Tutor e Coordinatrice del corso di dottorato:
Chiar.ma Prof.ssa Maria Teresa Carinci
Dottorando:
Gionata Golo Cavallini
Matricola n. R11294
Anno Accademico 2017/2018
3
Era, fin dall’adolescenza, rimasto privo de’ parenti, ed esercitava
la professione di filatore di seta, ereditaria, per dir così, nella sua
famiglia; professione, negli anni indietro, assai lucrosa; allora
già in decadenza, ma non però a segno che un abile operaio non
potesse cavarne di che vivere onestamente. Oltre di questo,
possedeva Renzo un poderetto che faceva lavorare e lavorava
egli stesso, quando il filatoio stava fermo; di modo che, per la sua
condizione, poteva dirsi agiato. E quantunque quell’annata fosse
ancor più scarsa delle antecedenti, e già si cominciasse a provare
una vera carestia, pure il nostro giovine, che, da quando aveva
messi gli occhi addosso a Lucia, era divenuto massaio, si trovava
provvisto bastantemente, e non aveva a contrastar con la fame.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi
A mio papà
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INDICE SOMMARIO
Note introduttive ........................................................................................................ 11
CAPITOLO I
IL LAVORO AUTONOMO
NEL SECOLO DELLA SUBORDINAZIONE
1. Premessa: ambiguità e polivalenza della nozione di «lavoro autonomo» ............ 15
2. Le ragioni di una ricerca diacronica preliminare ................................................. 18
3. Il lavoro autonomo nel diritto del lavoro degli albori .......................................... 19
4. Il lavoro autonomo nella codificazione del 1942 e nella prima età repubblicana 24
5. L’espansione dell’area della subordinazione e la parallela restrizione dell’area del
lavoro autonomo .................................................................................................. 29
6. La (limitata) estensione delle garanzie lavoristiche al lavoro «parasubordinato» 33
7. La “crisi” della subordinazione e la “riscoperta” del lavoro autonomo ............... 37
8. La risposta normativa del lavoro a progetto ......................................................... 43
9. Dalla presa d’atto dei limiti della disciplina del lavoro a progetto alla “stretta” sul
lavoro autonomo realizzata con la l. 92/2012 ...................................................... 47
CAPITOLO II
LE FATTISPECIE DEL LAVORO AUTONOMO
TRA SUBORDINAZIONE E IMPRENDITORIALITÀ
1. Premessa: i “confini”, interni ed esterni, del lavoro autonomo ............................ 53
2. Il lavoro autonomo come lavoro «non subordinato». Attualità e rilevanza della
«grande dicotomia». ............................................................................................. 58
2.1. L’irrigidimento della nozione di subordinazione nella giurisprudenza delle
Corti superiori .................................................................................................. 61
2.2. Alcune tendenze nella giurisprudenza di merito e di legittimità, nel segno
della continuità ................................................................................................. 64
3. La risposta legislativa del lavoro «etero-organizzato» ......................................... 68
3.1. La natura giuridica delle «collaborazioni organizzate dal committente»
nella lettura della dottrina… ............................................................................ 68
3.2. … e in quella della prima giurisprudenza formatasi nel vigore del Jobs Act
......................................................................................................................... 72
3.3. Le ipotesi derogatorie di cui al secondo comma ....................................... 75
6
3.4. Una possibile chiave di lettura: l’etero-organizzazione come posizione di
potere unilaterale “di fatto” dell’imprenditore (come tale però incompatibile
con gli schemi del lavoro autonomo genuino) ................................................. 80
3.5. Applicazione integrale o selettiva della disciplina del lavoro subordinato?
.......................................................................................................................... 85
4. Il lavoro coordinato e continuativo non più “a progetto” ..................................... 87
4.1. Gli elementi della fattispecie: continuità, coordinamento e prevalente
personalità della prestazione ............................................................................ 88
4.1.1. La continuità della prestazione lavorativa .......................................... 89
4.1.2. Il coordinamento come attività contrattuale bilaterale e la differenza
(qualitativa) rispetto al potere unilaterale (giuridico o di fatto) di organizzare
la prestazione lavorativa ............................................................................... 92
4.1.3 La prevalente personalità della prestazione e l’ambiguo rapporto tra
lavoro (autonomo) «prevalentemente personale» e (piccola) impresa. Cenni
e rinvio ......................................................................................................... 99
4.2. La condizione di “dipendenza” o “debolezza” del prestatore come
elemento della fattispecie? ............................................................................. 101
5. Il lavoro autonomo «non imprenditoriale». L’ambiguo confine (esterno) tra
lavoro autonomo e impresa e il senso dell’esclusione di cui all’art. 1, l. 81/2017.
............................................................................................................................ 104
5.1. Lavoratore autonomo vs. piccolo imprenditore nella prospettiva del
contratto: contratto d’opera vs. appalto. ......................................................... 107
5.2. Lavoratore autonomo vs. piccolo imprenditore nella prospettiva
dell’organizzazione. La strumentalità dell’organizzazione al lavoro personale
come criterio di individuazione del lavoro autonomo «non imprenditoriale» 110
5.3. Una duplice nozione di lavoro esclusivamente personale? ..................... 112
5.4. Il lavoro autonomo «non imprenditoriale» ammette un (limitato e
strumentale) ricorso al lavoro altrui ............................................................... 114
CAPITOLO III
LA TUTELA DEL LAVORO AUTONOMO
«NON IMPRENDITORIALE»
i. Premessa. Dalla disciplina codicistica dei contratti d’opera alla tutela «statutaria»
dei rapporti di lavoro autonomo ......................................................................... 121
ii. Opzione metodologica: un esame per nuclei tematici delle “nuove” tutele per il
“nuovo” lavoro autonomo .................................................................................. 124
7
Sezione I
LA TUTELA CONTRATTUALE
1. Premessa: il lavoratore autonomo come “contraente debole” e gli influssi del
“nuovo” diritto civile sullo Statuto del lavoro autonomo .................................. 127
2. Forma e contenuto del contratto, tra (apparente) libertà delle forme, obblighi di
trasparenza e abusività del rifiuto del committente di stipulare il contratto in
forma scritta ....................................................................................................... 130
3. Le clausole abusive: generalità .......................................................................... 134
3.1. Il divieto di ius variandi: le proposte di un’interpretazione correttiva e il
nodo degli Accordi Economici Collettivi degli agenti e rappresentanti di
commercio ...................................................................................................... 135
3.2. La disciplina statutaria del recesso e l’(apparente) arretramento rispetto
alla disciplina codicistica. .............................................................................. 138
3.3. La disciplina rimediale delle clausole abusive, tra invalidità e risarcimento
del danno ........................................................................................................ 142
4. Le condotte abusive: l’estensione del divieto di abuso di dipendenza economica
ai rapporti di lavoro autonomo «non imprenditoriale» ...................................... 142
4.1. La legge sulla subfornitura come modello di riferimento per la tutela
civilistica del contraente “debole” ................................................................. 143
4.2. Il carattere sostanzialmente innovativo dell’espressa estensione ai rapporti
di lavoro autonomo del divieto di abuso di dipendenza economica, nonostante
la sua natura di norma “transtipica” ............................................................... 145
4.3. Il carattere “economico-relazionale” della “dipendenza economica” di cui
all’art. 9, l. 192/1998: differenze e spazi di sovrapposizione con la dipendenza
“economico-reddituale” tipica del lavoro autonomo “economicamente debole”
....................................................................................................................... 149
4.4. Le fattispecie, tipizzate e non, dell’abuso vietato, con particolare
riferimento a quelle di interesse lavoristico ................................................... 150
4.5. I rimedi esperibili e la natura della responsabilità .................................. 155
4.6. Profili processuali, forma della domanda e giudice competente ............. 157
4.7. Una chiosa finale sulle potenzialità insite nell’estensione del divieto di
abuso di dipendenza economica ai rapporti di lavoro autonomo «non
imprenditoriale»… ......................................................................................... 158
5. L’estensione della disciplina in materia di ritardi di pagamento ....................... 159
6. La tutela degli apporti originali e delle invenzioni del lavoratore autonomo .... 161
7. La tutela della stabilità del rapporto: possibilità di sospensione e di sostituzione
soggettiva ........................................................................................................... 163
7.1. Le ipotesi di sospensione del rapporto («salvo il venir meno dell’interesse
del committente») .......................................................................................... 164
7.2. La sostituzione soggettiva in caso di gravidanza «previo consenso del
committente» .................................................................................................. 166
8
8. Il nodo dell’equo compenso per i lavoratori autonomi ...................................... 168
8.1. «Equo compenso» e «retribuzione proporzionata e sufficiente»: il
controverso rapporto tra l’art. 36 Cost. e il lavoro autonomo ........................ 170
8.2. L’equità del compenso nell’abrogata disciplina del lavoro a progetto.... 172
8.3. Le ipotesi di «equo compenso» attualmente previste dalla legge ........... 174
8.3.1. L’«equo compenso» dei giornalisti .................................................. 174
8.3.2. L’«equo compenso» per (alcuni) avvocati e (altri) liberi
professionisti.. ............................................................................................ 176
8.3.3. Verso il riconoscimento della subordinazione negli studi
professionali? ............................................................................................. 179
Sezione II
LE TUTELE FUORI DAL RAPPORTO
1. L’anima welfaristica e promozionale dello Statuto ........................................... 181
2. Le tutele previdenziali tra unità e differenziazione delle discipline ................... 182
2.1. La tutela contro la disoccupazione .......................................................... 185
2.2. La tutela della genitorialità ...................................................................... 188
2.3. Le tutele in caso di malattia e infortunio e la disciplina in materia di salute
e sicurezza sul lavoro ..................................................................................... 191
3. Le disposizioni promozionali di carattere fiscale. Cenni ................................... 193
4. Le altre disposizioni promozionali ..................................................................... 195
4.1. Il nuovo «sportello dedicato al lavoro autonomo» presso i centri per
l’impiego ........................................................................................................ 195
4.2. L’accesso agli appalti pubblici, ai fondi europei e ai bandi per
l’assegnazione di incarichi e appalti privati. .................................................. 197
4.3. Il tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo ............. 199
Sezione III
LE TUTELE COLLETTIVE
1. Premessa: un nodo problematico ....................................................................... 202
2. La prospettiva interna: le tutele collettive dalla fase espansiva… ..................... 206
3. … al nodo dello «sciopero» dei lavoratori autonomi ......................................... 208
4. La prospettiva sovranazionale: il problema della compatibilità della
contrattazione collettiva relativa al mondo del lavoro autonomo con la disciplina
antitrust .............................................................................................................. 214
5. Quali modelli organizzativi per il «sindacato» dei lavoratori autonomi? .......... 218
9
CAPITOLO IV
IL BANCO DI PROVA DELLA GIG ECONOMY
1. Premessa: le ragioni di una ricerca .................................................................... 223
2. Introduzione: il lavoro “digitale” nell’economia “delle piattaforme” ................ 225
3. “Nuove forme” di lavoro nella gig economy: “work-on-demand-via-app” vs.
“crowdwork”… .................................................................................................. 229
4. … e “vecchi” schemi contrattuali: le independent contractor clauses .............. 232
5. La gig economy nella prima giurisprudenza d’oltreoceano e d’oltremanica...... 235
... 5.1. «Square pegs into round holes». Genesi e sviluppi del contenzioso negli
Stati Uniti ....................................................................................................... 235
5.2. Il ricorso al tertium genus nella giurisprudenza britannica: gli autisti di
Uber come workers ........................................................................................ 238
5.3. Il contenzioso in altre giurisdizioni extraeuropee. Cenni ........................ 240
6. Il contenzioso in Europa continentale e a livello eurounitario: l’originaria
prospettiva di competition law ........................................................................... 241
7. Le prospettive nel segno della riqualificazione del rapporto in Italia ................ 244
7.1. Il caso Foodora ........................................................................................ 245
7.2. Il nodo della qualificazione dei rider ...................................................... 247
7.3. Le posizioni della dottrina nell’attesa del pronunciamento del Tribunale di
Torino. ........................................................................................................... 248
7.4. La lunga vita della giurisprudenza in materia di pony express ............... 249
7.5. La decisione del Tribunale di Torino ...................................................... 251
8. Oltre la riqualificazione: la tutela civilistica del platform worker ..................... 255
8.1. Il nodo del recesso................................................................................... 256
8.2. La misura del compenso e la sua esigibilità ............................................ 259
9. Le prospettive dell’intervento legislativo e la promozione della regolamentazione
di carattere collettivo .......................................................................................... 260
10. Una considerazione conclusiva .......................................................................... 264
Note conclusive ......................................................................................................... 265
Bibliografia ............................................................................................................... 267
Indice della giurisprudenza citata .......................................................................... 309
11
NOTE INTRODUTTIVE
La presente ricerca mira a rispondere a due quesiti che sorgono per così dire
spontaneamente a un “primo impatto” con il nuovo formante normativo
risultante dagli interventi legislativi che hanno caratterizzato la stagione – forse
appena conclusa – dei Jobs Act, secondo una linea che parte idealmente dal
decreto legislativo n. 81 del 2015, recante la disciplina organica dei contratti di
lavoro per culminare nella legge n. 81 del 2017, recante misure per la tutela del
lavoro autonomo «non imprenditoriale».
L’intreccio tra le novità introdotte da tali interventi ha prodotto – come è
stato da più parti osservato – un piccolo “sisma” nell’ambito del diritto del
rapporto di lavoro.
Se in riferimento ai primi decreti attuativi del Jobs Act – e, in particolare al
decreto che ha novellato la disciplina dei licenziamenti – è stato rilevato un vero
e proprio «mutamento di paradigma» impresso dalla Riforma al diritto del lavoro
statutario, non minore, anche se meno appariscente, pare essere stato l’impatto
delle riforme sul precario equilibrio raggiunto dal diritto vivente sulle questioni
relative alla qualificazione del rapporto di lavoro e, in seconda battuta, sulle
tecniche di tutela del lavoro personale prestato senza vincolo di subordinazione.
Le novità rappresentate dalla discussa riconduzione alla disciplina del lavoro
subordinato dei rapporti di collaborazione c.d. etero-organizzata (art. 2, d.lgs.
81/2015), dalla successiva ma parallela norma di interpretazione autentica della
nozione di coordinamento, introdotta in calce all’art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 15, l.
81/2017) e dal contestuale riconoscimento di forme di lavoro subordinato
organizzato per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo
di lavoro (art. 18, l. 81/2017) impongono una rimeditazione delle nozioni
tradizionali in quanto finiscono per innestare sulla (pur sempre fondamentale)
summa divisio tra lavoro subordinato e autonomo una serie di ulteriori partizioni,
che si declinano secondo un continuum i cui confini interni ed esterni risultano
di non agevole individuazione. Per converso, la previsione di forme di tutela
destinate a rispondere alle esigenze del lavoro autonomo «non imprenditoriale»,
impone di interrogarsi sul senso dell’etichetta adoperata dal legislatore e di
esplorare la linea di confine intercorrente tra mondo del lavoro (autonomo) e
mondo della (piccola) impresa.
Si tratta dunque innanzitutto, questo il primo itinerario di ricerca, di
individuare i confini esterni della fattispecie del lavoro autonomo,
tradizionalmente raffigurato come un’area residuale compressa tra il mondo del
lavoro salariato e quello della piccola impresa, nonché i confini interni tra il
lavoro autonomo “puro” e quello variamente coordinato, su base più o meno
consensuale, rispetto a un committente principale. Tale operazione richiede
12
inoltre di interrogarsi sulla persistente attualità della grande dicotomia
autonomia-subordinazione – a tutt’oggi oggetto di una giurisprudenza che fatica
a trovare punti di riferimento più solidi che non siano le copiose massime
tralatizie, tanto rigorose quanto circolari – e di chiedersi se le recenti riforme
abbiano individuato partizioni interne al sistema del lavoro autonomo (lavoro
autonomo etero-organizzato, lavoro autonomo coordinato e continuativo, lavoro
autonomo non coordinato ma continuativo, lavoro autonomo “puro”), per
consentire una graduazione delle tutele, ovvero se esse abbiano solo spostato la
linea di confine tra rapporti di lavoro soggetti alla disciplina protettiva del lavoro
subordinato e rapporti che ne sono esclusi.
Al contempo, se l’attrazione nella disciplina della subordinazione delle
collaborazioni organizzate ha rappresentato una misura necessaria per fare fronte
alla contestuale abrogazione la disciplina del lavoro a progetto, e indurre a più
miti consigli – con la “carota” degli sgravi contributivi – i committenti che vi
facevano ricorso in modo abusivo, la successiva introduzione su base
universalistica di una disciplina a tutela del lavoro autonomo «non
imprenditoriale», modellata sulla falsariga delle regole e dei principi che
presiedono alla tutela civilistica del contraente debole, si candida, quantomeno
nelle intenzioni del legislatore, a riempire lo spazio vuoto in cui il decreto di
riordino dei contratti di lavoro aveva lasciato i collaboratori «genuini».
Sorge in ogni caso l’impressione che si sia, quantomeno in parte, realizzato
quel ripensamento dell’«universo cognitivo del diritto del lavoro» da tempo
auspicato da chi sollecitava a farlo «aprendo il sistema all’universo contermine
dell’autonomia ed escogitando tutele parallele e finanche coincidenti».
Sullo sfondo di tale processo evolutivo si colloca il formidabile sviluppo
tecnologico che modifica esponenzialmente, nel bene e nel male, i modi di
lavorare e di produrre, producendo i propri effetti tanto nel mondo del lavoro
subordinato (dove il dipendente acquisisce crescenti dosi di autonomia esecutiva
e organizzativa), quanto nel mondo del lavoro autonomo, oggi rappresentato
plasticamente dal fenomeno (rectius, dai diversi fenomeni) del lavoro su
piattaforma digitale, che ha dato luogo a un’ulteriore generazione di lavoratori
(formalmente) autonomi, quantomeno quando i relativi modelli contrattuali e
organizzativi riescano a superare le – invero sempre più benevole – maglie del
giudizio di accertamento della natura subordinata del rapporto.
È nell’intreccio di queste diverse dimensioni di «novità» – vale a dire gli
elementi di innovazione normativa e quelli di evoluzione fenomenologica della
figura – che si spiegano la scelta del titolo Il «nuovo» lavoro autonomo e quella
di articolare il lavoro nei quattro capitoli che lo compongono.
Nel primo capitolo, dopo avere svolto alcune riflessioni introduttive sul
concetto di «autonomia» e sulla sua caratterizzazione normativa in termini
13
negativi impressa dalla codificazione del 1942, si tenta di effettuare una
ricostruzione genealogica dell’istituto oggetto dell’indagine, per apprezzare
come nel secolo breve il lavoro autonomo tenda a muoversi nel “solco” del
lavoro subordinato, compresso dapprima dalla cosiddetta «tendenza espansiva»
del diritto del lavoro e quindi da un approccio regolativo concepito in termini
che rimarranno a lungo di carattere spiccatamente antiabusivo, di repressione
cioè del «falso» lavoro autonomo.
Tale indugio preliminare sulla genealogia e sugli sviluppi dell’istituto
richiederà inevitabilmente di dare conto, sia pure per sommi capi, della speculare
evoluzione della figura del contratto di lavoro subordinato, nelle cui pieghe il
lavoro autonomo è stato dapprima fagocitato, fino quasi a scomparire, e quindi
riemerso, orfano di tutele, richiedendone le più svariate, a tratti con grida e più
spesso sottovoce.
Nel secondo capitolo si cerca invece di ricostruire i tratti caratterizzanti la
fattispecie posta ad oggetto dell’indagine e, in particolare, i suoi confini esterni
e interni. A tal fine, dopo avere dato conto della perdurante attualità del binomio
autonomia–subordinazione e dell’assetto attualmente raggiunto
dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, il lavoro prosegue in una sorta
di climax, passando in rassegna le partizioni interne al mondo dell’autonomia –
lavoro etero-organizzato e coordinato, delle quali vengono analizzati gli
elementi costitutivi – per poi soffermarsi sul confine esterno rappresentato
dall’universo contermine dell’imprenditorialità, la cui analisi si rende necessaria
in virtù dell’espressa esclusione dei piccoli imprenditori dal novero dei
beneficiari delle nuove tutele statutarie.
Il terzo capitolo, dedicato alle tutele del «nuovo» lavoro autonomo, si articola
in tre sezioni, aventi ad oggetto tre nuclei concettuali, e, in particolare: i) la tutela
contrattuale del lavoro autonomo disegnata dal nuovo Statuto, che attinge a piene
mani dagli approdi raggiunti del diritto civile di “seconda generazione” nella
tutela dei rapporti negoziali caratterizzati dallo squilibrio di forza contrattuale
delle parti; ii) le tutele “fuori dal rapporto”, vale a dire quelle di carattere
previdenziale, fiscale e promozionale introdotte dalla novella, rispetto alle quali
si cercherà di accompagnare l’analisi puntuale delle disposizioni rilevanti
all’individuazione del fil rouge che le lega; iii) le tutele collettive, rispetto alle
quali pare opportuno valutare, anche in riferimento ai vincoli provenienti dal
diritto europeo, gli spazi di agibilità sindacale e le potenzialità nei diversi modelli
di associazionismo delle varie categorie di lavoratori autonomi.
I primi due nuclei individuano, pur senza sovrapporvisi, le principali
direttrici d’intervento dello Statuto, anche se vi saranno ricomprese questioni
trascurate dallo stesso (come il nodo dell’equo compenso, che verrà invece
affrontato anche alla luce delle ultime novità relative al mondo del lavoro libero
14
professionale); l’ultimo è invece dalla novella quasi del tutto omesso, nonostante
le mai sopite sollecitazioni sul punto lo rendano oggi un oggetto di studio
obbligato nell’ambito di una ricerca sulle tutele del lavoro autonomo.
Il quarto e ultimo capitolo, infine, ha ad oggetto il fenomeno della gig
economy, sul quale gli interpreti si affaticano ormai da qualche anno a questa
parte. Nell’ambito di una ricerca dedicata al tema del lavoro autonomo, la scelta
di dedicare un capitolo al tema del lavoro nella gig economy potrebbe apparire
l’indice della precisa scelta di campo di ricondurre senza riserve il variopinto
mondo dei rapporti di lavoro che si instaurano nell’“economia delle piattaforme”
all’area dell’autonomia – o, ancor peggio, all’area del lavoro non protetto –
disattendendo così le numerose voci che si sono levate in senso contrario. Chi
scrive, tuttavia, intende invece muoversi in una prospettiva di sano agnosticismo,
cui è spinto soprattutto dalla convinzione che le questioni di qualificazione del
rapporto richiedono inevitabilmente di confrontarsi con le specifiche
caratteristiche di ogni caso concreto.
In questa prospettiva, la scelta di destinare il capitolo conclusivo al tema del
lavoro “digitale” si spiega con il fatto che esso, nella misura in cui viene
ricondotto, a ragione o a torto, al mondo dell’autonomia – opzione per nulla
scontata, ma pare sia questa la direzione imboccata dalla nostra giurisprudenza
– si candida a costituire il prototipo di quel lavoro economicamente debole, che,
orfano delle tutele del lavoro a progetto (in primis in materia di compenso), non
può che guardare alle nuove tutele statutarie, rappresentando, in altri termini, un
privilegiato “banco di prova” per saggiare le potenzialità applicative di queste
ultime.
15
CAPITOLO I
IL LAVORO AUTONOMO
NEL SECOLO DELLA SUBORDINAZIONE
SOMMARIO: 1. Premessa: ambiguità e polivalenza della nozione di «lavoro autonomo».
– 2. Le ragioni di una ricerca diacronica preliminare. – 3. Il lavoro autonomo nel
diritto del lavoro degli albori. – 4. Il lavoro autonomo nella codificazione del 1942 e
nella prima età repubblicana. – 5. L’espansione dell’area della subordinazione e la
parallela restrizione dell’area del lavoro autonomo. – 6. La (limitata) estensione delle
garanzie lavoristiche al lavoro «parasubordinato». – 7. La “crisi” della
subordinazione e la “riscoperta” del lavoro autonomo. – 8. La risposta normativa del
lavoro a progetto – 9. Dalla presa d’atto dei limiti della disciplina del lavoro a
progetto alla “stretta” sul lavoro autonomo realizzata con la l. 92/2012.
1. Premessa: ambiguità e polivalenza della nozione di «lavoro autonomo»
Esaminare genesi, natura e funzioni di un qualsivoglia istituto giuridico,
inteso come complesso di norme che disciplinano una serie di fenomeni e di
comportamenti della vita, richiederebbe, in via preliminare, di individuare gli
elementi della fattispecie che costituisce l’oggetto dell’indagine. Pur nel contesto
di una progressiva «crisi della fattispecie» come criterio di imputazione della
norma giuridica1 – che la nota «crisi della subordinazione»2 aveva anticipato a
partire dagli anni ’80 del secolo scorso – il binomio fattispecie–effetti continua
a innervare l’ordinamento nella misura in cui, tanto più nel diritto del lavoro,
l’individuazione delle fattispecie rappresenta un passaggio ineludibile3.
Sennonché, l’individuazione della fattispecie «lavoro autonomo» non è
affatto compito agevole. La stessa espressione, come è stato osservato, rimanda
più a un’esperienza che a un determinato soggetto della realtà economico-
sociale4. Un’esperienza, inoltre, che si presenta estremamente variegata, se è
vero che le indagini statistiche ricomprendono nel mondo della «occupazione
indipendente» anche forme di lavoro «prevalentemente personale» proprie della
1 N. IRTI, La crisi della fattispecie, in Riv. dir. proc., 2014, n. 1, p. 36 e ss. 2 Infra, § 7. 3 R. PESSI, Fattispecie ed effetti nel diritto del lavoro, in M. MARTONE (a cura di), Contratto di
lavoro e organizzazione, I, Contratto e rapporto di lavoro, in M. PERSIANI, F. CARINCI (diretto
da), Trattato di diritto del lavoro, IV, Cedam, Padova, 2012, p. 53 ss.; M. ROCCELLA, Manuale
di diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 2010, p. 29 s. 4 A. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, Giuffrè, Milano,
1996, p. 3.
16
realtà dei piccoli imprenditori e dei commercianti5, e le ricerche di carattere
sociologico rilevano la continua emersione di «nuove generazioni» di lavoratori
autonomi6.
Se la storia della filosofia ci offre una nozione di «autonomia» in positivo,
etimologicamente intesa quale «capacità di un soggetto di dare a sé stesso le
leggi che ne regolano il comportamento»7, la nozione giuridica, invece, viene
individuata dalla legge in negativo8, caratterizzandosi più per ciò che essa non è
– vale a dire la subordinazione («senza vincolo di subordinazione», art. 2222
c.c.; «non a carattere subordinato» art. 409, n. 3, c.p.c.) – che non per gli elementi
di segno positivo che la contraddistinguono9; rispetto ad essi, infatti, la comunità
dei giuslavoristi ha dedicato un’attenzione, se non proprio scarsa, non certo
5 Da ultimo, C. DE GREGORIO ET AL., L’occupazione indipendente alla luce di fonti integrate:
eterogeneità, dinamica e trasformazioni, in ISTAT, Il mercato del lavoro. Verso una lettura
integrata, Roma, 2017, p. 85 ss.; C. RANCI, Il lavoro indipendente nella struttura sociale ed
economica del nostro paese, in ID. (a cura di), Partite Iva. Il lavoro autonomo nella crisi italiana,
Il Mulino, Bologna, 2012, p. 41 ss. 6 Dalla «seconda generazione» di lavoratori autonomi emersa negli scenari produttivi di stampo
post-fordista, individuata da S. BOLOGNA, A. FUMAGALLI (a cura di), Il lavoro autonomo di
seconda generazione. Scenari del post-fordismo in Italia, Feltrinelli, Milano, 1997; P. BARBIERI,
Lavoro autonomo «di seconda generazione»: problemi e prospettive, in Polis, 1999, n. 2, p. 263
ss., alla «terza generazione» di lavoratori autonomi, figlia delle trasformazioni sociali,
economiche e organizzative del «capitalismo biocognitivo», secondo la definizione di A.
FUMAGALLI, Le trasformazioni del lavoro autonomo tra crisi e precarietà: il lavoro autonomo
di III generazione, in Quad. ric. art., 2015, n. 2, spec. p. 241 ss. 7 S. DE LUCA, voce Autonomia/eteronomia, in G. BEDESCHI (diretto da), Filosofia, Treccani,
Roma, 2010, p. 95, ove riferimenti alle differenti letture del termine nell’ambito della filosofia
politica (con particolare riferimento a Rousseau e Kant). 8 In tal senso A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 3, secondo cui il concetto di lavoro
autonomo costituisce «il risultato di un procedimento argomentativo a contrario, calibrato sulla
contrapposta fattispecie di lavoro subordinato»; E. GHERA, La subordinazione fra tradizione e
nuove proposte (1988), ora in ID., Il nuovo diritto del lavoro. Subordinazione e lavoro flessibile,
Giappichelli, Torino, 2006, p. 212, il quale osserva che «proprio l’assenza del vincolo della
subordinazione è il connotato distintivo, in confronto al lavoro subordinato, del contratto d’opera
o di lavoro autonomo». Da ultimi, F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione.
L’interferenza delle collaborazioni a progetto, Bononia University Press, Bologna, 2012, p. 28
s; D. MEZZACAPO, Il lavoro autonomo. Il contratto d’opera e il contratto d’opera intellettuale,
in G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale,
7° ed., Utet, Milano, 2017, p. 96. 9 Da ultimo, G. COLAVITTI, “Fondata sui lavori”. Tutela del lavoro autonomo ed equo compenso
in una prospettiva costituzionale, in Rivista AIC, 2018, n. 1, p. 22 s., secondo cui solo «di rado
si è cercato di coglierne i pur peculiari e consistenti tratti fisionomici». Il rilievo vale anche per
altri ordinamenti: v. ad es. B. GUTIÉRREZ-SOLAR CALVO, J. LAHERA FORTEZA, Ámbito y fuentes
de regulación del trabajo autónomo, en J. CRUZ VILLALÓN, F. VALDÉS DAL-RÉ (Dirs.), El
estatuto del trabajo autónomo, Wolters Kluwer España, Las Rozas, 2008, p. 72, nel senso che è
stato a lungo eluso «il compito di definire positivamente ciò che debba intendersi per lavoratore
autonomo».
17
paragonabile (quantomeno fino agli anni ’90 del secolo scorso10) a quella
prestata alla contrapposta figura del lavoro dipendente11.
D’altronde, come è stato osservato, il diritto del lavoro «è diventato
maggiorenne allorché ha acquisito i profili di un sistema normativo che aveva
definitivamente sancito […] la marginalità del lavoro autonomo»12, e solo in
tempi recenti si è cominciato a riconoscere che è stato un vero e proprio «limite»
del diritto del lavoro “storico” «l’aver estromesso dal proprio raggio d’azione il
lavoro autonomo»13.
In questo contesto, ecco che il buon proposito del tesista di procedere senza
indugio a enucleare gli “elementi costitutivi della fattispecie”, per poi passare a
esaminarne la relativa disciplina, si presenta come una «brutta gatta da pelare»14.
Parte delle difficoltà derivano dalla stessa formulazione legislativa, oltre che
dell’impianto ideologico, contenuta nel codice del 1942, il quale pur
annoverando il «lavoro autonomo» tra le figure previste nel libro V del codice
significativamente dedicato al «lavoro», non solo non ne ha fornito la relativa
nozione – contrariamente a quanto è avvenuto in relazione alla figura del
«lavoratore subordinato» (art. 2094 c.c.) e dell’«imprenditore» (art. 2082 c.c.) –
preferendo fare riferimento al contratto (rectius, ai contratti) ove viene dedotto
un facere per altri senza vincolo di subordinazione15, ma ha anche individuato il
carattere fondamentale del rapporto obbligatorio in un termine negativo, nella
10 A. PERULLI, Locatio operis e lavoro «sans phrase» nella prospettiva di un nuovo statuto
giuridico dei lavori, in AA. VV., Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli, in QDLRI,
n. 21, 1998, p. 73, il quale evoca «decenni di sostanziale abbandono in una terra di nessuno». 11 Osservano L. NOGLER, A. PERULLI, Il lavoro autonomo. Presentazione, in LD, 1997, n. 2, p.
170, che «il giuslavorista di qualunque parte d’Europa si occupa delle forme di prestazione
distinte dal lavoro dipendente solo se la disciplina di queste sia pervasa (o potrebbe esserlo, in
via di interpretazione estensiva), anche in minima parte, da una logica protettiva […] lo studioso
del diritto del lavoro si occupa del lavoro subordinato e dei suoi “dintorni”, ma non di ciò che è
altro rispetto al lavoro dipendente». Nello stesso senso M. MARTONE, La subordinazione: una
categoria del Novecento, in ID. (a cura di), Contratto di lavoro e organizzazione, cit., p. 4, ove
si rileva che il percorso giuridico che attraversa il ‘900 mostra «l’ispirazione manichea di un
diritto del lavoro che […] si disinteressa di chi è pronto a scommettere sulla propria autonomia,
e quindi sulle proprie forze, per ottenere un compenso legato al risultato di volta in volta
pattuito». 12 U. ROMAGNOLI, Il diritto del lavoro nel prisma del principio d’eguaglianza, in RTDPC, 1997,
n. 3, p. 536. 13 Così F. MARTELLONI, I rimedi nel “nuovo” diritto del lavoro autonomo, in LD, 2017, n. 3-4,
p. 518. 14 Volendo mutuare l’efficace immagine utilizzata da M. PEDRAZZOLI, La parabola della
subordinazione: dal contratto allo status. L. Barassi e il suo dopo, in M. NAPOLI (a cura di), La
nascita del diritto del lavoro. «Il contratto di lavoro» di Lodovico Barassi cent’anni dopo.
Novità, influssi, distanze, Vita e pensiero, Milano, 2003, p. 379. 15 Come osserva da ultimo G. SANTORO PASSARELLI, voce Lavoro Autonomo, in ED Ann., V,
Giuffrè, Milano, 2012, p. 711.
18
assenza cioè del vincolo di subordinazione nei confronti del committente (art.
2222 c.c.)16.
In questo senso, prima che il legislatore del 2017 intervenisse con la norma,
da alcuni ritenuta di interpretazione autentica17, inserita in calce all’art. 409, n.
3, c.p.c., era pressoché assente nel sistema una definizione in positivo
dell’autonomia del prestatore d’opera, che (solo) oggi il legislatore individua
nella circostanza che il collaboratore «organizza autonomamente l'attività
lavorativa» «nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune
accordo dalle parti» (art. 409, n. 3, c.p.c., come modificato dall’art. 15, l.
81/2017).
2. Le ragioni di una ricerca diacronica preliminare
Nel secolo «lungo» del diritto del lavoro subordinato – che potremmo
idealmente far decorrere dalla prima edizione del Contratto di Ludovico Barassi
(1901) al complesso degli interventi che vanno sotto il nome di Jobs Act,
culminati, per la dimensione che qui interessa, nel vero e proprio “terremoto”
determinato dall’intreccio tra l’abrogazione della disciplina del lavoro a progetto
con la parallela riconduzione all’area della subordinazione delle collaborazioni
c.d. etero-organizzate (artt. 2 e 52, d.lgs. 81/2015), da un lato, e dall’introduzione
dello «Statuto del lavoro autonomo non imprenditoriale» (artt. 1-17, l. 81/2017),
dall’altro18 – il lavoro autonomo tende a muoversi nel “solco” di quest’ultima,
compresso dapprima dalla cosiddetta «tendenza espansiva» del diritto del lavoro
(subordinato), resa possibile dalla codificazione del 194219 e dall’esigenza di
16 Secondo una tecnica definita «di stile oracolare» da U. ROMAGNOLI, Arriva un bastimento
carico di «A.», in M. D’ANTONA (a cura di), Politiche di flessibilità e mutamenti del diritto del
lavoro: Italia e Spagna, Esi, Napoli, 1990, p. 36. 17 G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro eterorganizzato e l’interpretazione autentica del lavoro
coordinato ex art. 15 d.lgs. [sic] n. 81 del 2017, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di),
Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, Wolters Kluwer-
Cedam, Milano, 2018, spec. p. 437 s. Nel senso che la previsione costituisce una «nozione
legale» C. PISANI, La nozione legale di coordinamento introdotta dall’articolo 15 della legge n.
81/2017, in DRI, 2018, n. 3, p. 823 ss. Sul punto infra, Cap. II, § 4.1.2. 18 In tal senso A. PERULLI, Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile: come cambiano i concetti di
subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di),
Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 43, che parla di un «sisma le cui
onde d’urto interessano l’intero sistema giuslavoristico». Adopera la stessa immagine R. VOZA,
La modifica dell’art. 409, n. 3, c.p.c., nel disegno di legge sul lavoro autonomo, in WP
C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 318/2017, p. 9, che fa riferimento «all’esito del moto
tellurico delle riforme». 19 Infra, § 4. Merita, tuttavia, anticipare le considerazioni di M. PALLINI, Gli incerti confini
dell’ambito di applicazione dello Statuto del lavoro autonomo, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a
cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 230, secondo cui il codice
del 1942 « appare fotografare una realtà in cui la prestazione di lavoro personale, se effettuata in
modo continuativo e in seno alla organizzazione dell'impresa, non potesse che svolgersi con le
modalità del lavoro subordinato».
19
apprestare la più ampia tutela al lavoro che saranno proprie dell’esperienza post-
costituzionale, e quindi da un approccio regolativo concepito in termini che
rimarranno a lungo di carattere spiccatamente antiabusivo, di repressione cioè
del «falso» lavoro autonomo20.
Durante questo «secolo lungo» della subordinazione, l’attributo
«autonomo», pressoché incapace di presentare un significato suo proprio
suscettibile di assumere senso e valore indipendentemente dal suo opposto, cioè
la subordinazione, viene a essere traducibile esclusivamente nell’attributo (di
carattere negativo) «non subordinato»21.
In questa prospettiva, il rapporto tra autonomia e subordinazione, da un
punto di vista logico, è tanto di complementarietà quanto di reciproca esclusione:
una prestazione di lavoro può essere dedotta alternativamente o in un contratto
di lavoro subordinato o in un contratto di lavoro autonomo, conformemente alla
tralatizia premessa giurisprudenziale secondo cui «ogni attività umana
economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro
subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo»22, tertium non datur.
Un indugio sulla genealogia e sugli sviluppi dell’istituto posto a oggetto
dell’indagine pare quindi opportuno per potere affacciare ipotesi ricostruttive;
con la precisazione che tale esame richiederà inevitabilmente di dare conto, sia
pure senza pretesa di esaustività, della speculare evoluzione della figura del
contratto di lavoro subordinato, nelle cui pieghe il lavoro autonomo è stato
dapprima fagocitato, fino quasi a scomparire, e quindi riemerso, orfano di tutele,
richiedendone le più svariate, a tratti con grida e più spesso sottovoce.
3. Il lavoro autonomo nel diritto del lavoro degli albori
Se è ormai dato acquisito che la summa divisio tra locatio operis e locatio
operarum, contrariamente a quanto trasmesso dalla tradizione pandettistica, non
20 S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo: commento al capo I della legge n. 81/2017, in
DLRI, 2017, n. 3, p. 473; A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi: nuove (e vecchie) tutele per il
lavoro autonomo non imprenditoriale, in RIDL, 2017, I, p. 178; ID., Il lavoro autonomo tradito
e il perdurante equivoco del lavoro a progetto, in DRI, 2013, n. 1, p. 1 ss.; A. VALLEBONA, La
riforma del lavoro 2012, Giappichelli, Torino, 2012, p. 33. 21 E. GHERA, La subordinazione fra tradizione e nuove proposte, cit., p. 212. 22 Tra le più recenti nella giurisprudenza di legittimità, Cass. 27 marzo 2018, n. 7587; Cass. 13
ottobre 2017, n. 24193; Cass. 17 agosto 2016; n. 17127; tutte in DeJure. L’orientamento è
risalente (ex plurimis, Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728, in GCM, 2010, n. 2, p. 167; Cass. 10 luglio
1991, n. 7608; in Giust. civ., 1992, I, p. 108, con nota di L. NOGLER, Osservazioni su
accertamento e qualificazione del rapporto di lavoro, e in RIDL, 1992, II, p. 370, con nota di B.
VIGANÒ, Sulla subordinazione la giurisprudenza di merito si allinea con quella di Cassazione)
e trovava un riferimento dottrinale già in L. MENGONI, Il contratto di lavoro nel diritto italiano,
in AA. VV., Il contratto di lavoro nel diritto dei paesi membri delle C.E.C.A., Giuffrè, Milano,
1965, p. 431. Sul punto, anche per ulteriori riferimenti, P. ICHINO, Il contratto di lavoro, I,
Giuffré, Milano, 2000, p. 284 ss.
20
era effettivamente presente nel diritto romano23 – ove quello che potremmo
definire l’equivalente funzionale del lavoro salariato era rappresentata
innanzitutto nella manodopera schiavile24 e lo sporadico utilizzo di schemi
locativi al lavoro (manuale)25 degli uomini liberi fungeva appena da espediente
per evitare «di porre il lavoratore libero sullo stesso piano del servus»26 – tale
dicotomia segnò comunque il punto di partenza dello sviluppo del diritto del
lavoro italiano, al punto che colui che ne è tradizionalmente ritenuto il padre la
23 Nel senso che i romani non distinguessero affatto tra i tre tipi della locatio rei, locatio operis
e locatio operarum, ma un contratto unico in cui «una delle parti (il locatore) mette nella
materiale disposizione dell'altra (il conduttore) una certa cosa che questa si obbliga a restituire
dopo averla goduta per un certo tempo o dopo averla manipolata o trasportata nel modo
convenuto», già V. ARANGIO-RUIZ, Corso di istituzioni di diritto romano, I, Jovene, Napoli,
1921, p. 235 ss.; U. BRASIELLO, L’unitarietà del concetto di locazione nel diritto romano, I. in
Rivista italiana di scienza giuridiche, 1927, p. 529 ss., spec. 539. Sulle distorsioni operate dalla
pandettistica intorno alla giurisprudenza romana in tema di locationes, successivamente, anche
L. AMIRANTE, Ricerche in tema di locazione, in Bollettino di istituzioni di diritto romano, 1959,
LXII, p. 9 ss.; L. SPAGNUOLO VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro. Problemi storico-
critici, Morano, Napoli, 1967, 76 ss., nonché, più di recente, G. ZILIO GRANDI, Rapporti di lavoro
e attività gestoria nel diritto romano e nelle prime codificazioni, in RIDL, 2001, n. 1, I, p. 139
ss. 24 Lo ricorda, tra gli altri, D. NAPOLETANO, Il lavoro subordinato, Giuffrè, Milano, 1955, p. 5, il
quale osserva che poiché gli schiavi non erano personae ma res, quella che sarebbe poi stata
chiamata locatio operarum nasceva in realtà come servum locare, e che più propriamente, «per
molto tempo, anzi, la locatio operarum dava luogo ad una obbligazione di dare, a differenza
della locatio operis che assumeva sempre la forma delle obligationes in faciendi» (p. 48). 25 L. AMIRANTE, voce Locazione (in generale), in NNDI, IX, Utet, Torino, 1963, p. 994, secondo
cui era escluso potessero formare oggetto di locazione le operae liberales, le quali venivano rese
al di fuori di un rapporto obbligatorio, nel quale l’honorarium altro non era che un “risarcimento”
degli sforzi intellettuali del prestatore, al punto che, secondo Ulpiano (D. 50, 13, 1), gli
emolumenti relativi all’esercizio delle arti liberali non trovavano tutela nell’actio locati, ma in
un procedimento di extraordinaria cognitio, e secondo Bartolo (Ad leg. I. D. si mensor, II, 6)
«inter advocatum et clientulum, medicum et infirmos, doctores et scholares non potest dici
locatio». Sullo sviluppo del lavoro autonomo intellettuale nel diritto storico, A. PERULLI, Il
lavoro autonomo, cit., p. 360 ss.; G. MUSOLINO, Contratto d’opera professionale. Artt. 2229-
2238, in F.D. BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, Giuffrè, Milano, 2009, p.
77 ss. 26 F. SANTORO PASSARELLI, Spirito del diritto del lavoro, in Dir. lav., 1948, I, p. 275, alludendo
all’origine dell’istituto nella conductio di uomini liberi da parte del magistrato – che era
conductor operarum, in quanto li conduceva con sé – per lo svolgimento servigi che non si
volevano affidati a schiavi (R. MONTESSORI, G. TASSINARI, E. ALBERTARIO, voce Locazione, in
Enciclopedia Italiana, 1934, reperibile in treccani.it). Uno schema, dunque, che poco aveva a
che spartire con quello della locatio operis, nel quale il committente, in veste di locatore, forniva
al prestatore la materia necessaria all’opus faciendum affinché questi, che ne diventava
conduttore, provvedesse a trasformarla o manipolarla (A. TORRENT RUIZ, voz Locatio-conductio
operis, in Diccionario de derecho romano, Edisofer, Madrid, 2005, p. 655). Con ciò peraltro si
spiega la ragione per cui il lavoratore subordinato ante litteram è locator (operarum), mentre il
lavoratore autonomo è invece conductor (operis), come sottolinea V. DEVILLA, voce Locazione
(diritto romano), in NDI, VII, Utet, Torino, 1938, p. 999.
21
avrebbe individuata da subito come «la grande, la più importante distinzione che
si fa in materia di contratto di lavoro»27.
Essa, d’altronde, poggiava su una solida base normativa: già il primo codice
del Regno d’Italia del 1806 (art. 1711) distingueva, con disposizione che non
sarebbe stata mutuata nella codificazione postunitaria del 1865, tra la
«prestazione d’opere», definita come «locazione del lavoro o del servizio» e
«l’impresa di un’opera», ricondotta invece all’istituto dell’appalto e del cottimo.
Il successivo art. 1779, introduceva poi quella fortunata tripartizione tra la
locazione «per cui le persone che obbligano la propria opera all’altrui servizio»,
quella di coloro «s’incaricano del trasporto delle persone o delle cose» e «quella
degli imprenditori di opere ad appalto o cottimo», che sarebbe stata invece
replicata senza ritocchi nell’art. 1627 del codice civile postunitario.
È su questo formante normativo che si sviluppa l’opera barassiana, capace,
pur nel superamento degli schemi locativi, di ricondurre a giuridica unità28 le
plurime espressioni del facere per altri che si affacciano nel contesto urbano di
inizio secolo, ivi comprese quelle di carattere intellettuale29; di concepire, cioè,
una «categoria generale»30, costruita su quella «parte immutabile»31 del diritto
del lavoro, che si contrappone alla parte «moderna, contingente, che imprime
tutto un indirizzo speciale al contratto di lavoro»32, rappresentata dalla
legislazione sociale, in cui sono istanze politiche – o, se si preferisce, “di classe”
– a trovare un embrionale riconoscimento33.
27 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), a cura di M. NAPOLI,
Vita e pensiero, Milano, 2003, p. 22. 28 Nella concezione di Barassi, il contratto di lavoro è infatti un contenitore amplissimo,
comprendente tutte le figure contrattuali «aventi per oggetto un’attività retribuita di qualunque
specie, sia subordinata che autonoma», come ricorda L. MENGONI, Il contratto di lavoro nel
diritto italiano, cit., p. 472. 29 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), cit., p. 153 ss., dove
Barassi osserva provocatoriamente che il superamento della tradizione romanistica è ormai nella
pratica degli affari: «noi non sappiamo se ai tempi di Pothier era usanza offrire agli avvocati, a
guisa di onorario, il Thesaurus di Meermann: è certo che oggi si usa dar loro dei biglietti di
banca» (p. 157). 30 L. MENGONI, L’evoluzione del pensiero di L. Barassi dalla prima alla seconda edizione del
«Contratto di lavoro», in M. NAPOLI (a cura di), La nascita del diritto del lavoro, cit., p. 19, che
ravvisa nell’aspirazione «che il contratto di lavoro, pur avendo una sua autonomo struttura
normativa, doveva essere ricollocato in una categoria generale» il punto d’incontro con la diversa
prospettiva di F. CARNELUTTI, Studi sulle energie come oggetto dei rapporti giuridici, in Riv.
dir. comm., 1913, I, p. 354 ss., di fare riferimento alla disciplina della vendita. 31 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), cit., p. 4, subito dopo il
celebre passaggio per cui il contratto di lavoro «è oggi nella sua struttura intima quello che era
ieri, quello che era duemila anni or sono». 32 Ibidem. 33 Sugli influssi della legislazione sociale sulla costruzione della fattispecie e della disciplina
giuridica del contratto di lavoro, L. GAETA, Un breve profilo storico, in L. GAETA, P. TESAURO,
Il rapporto di lavoro: subordinazione e costituzione, I, La subordinazione, Torino, Utet, 1993,
22
Ma tale legislazione sociale «non si preoccupa del lavoro autonomo»34, come
preciserà Barassi, in un passo quasi profetico che anticipa gli sviluppi della
materia nei decenni a venire. Nondimeno, il lavoro autonomo (termine la cui
paternità si deve allo stesso Barassi, posto che agli inizi nessun altro autore lo
utilizza35) partecipa del processo evolutivo che accompagna la nascita della
nuova categoria generale del «contratto di lavoro», che si affranca
progressivamente dai precedenti schemi locatizi36.
Ciò che preme evidenziare, nell’economia di questo breve excursus – che
non ha certo l’ambizione di esplorare la genesi della nozione di subordinazione
nell’opera barassiana37 e nel contesto di inizio secolo38 –, è che in tale dialettica
tra unitarietà dello schema contrattuale e differenziazione dei rapporti
obbligatori che vi sono ricondotti, i criteri per la definizione delle fattispecie,
sono individuati in positivo sia per quanto concerne la locatio operarum sia per
quanto concerne la locatio operis, la prima avente ad oggetto «il lavoro che si
compie nella sfera d’attività del committente e immediatamente perché questi
abbia a utilizzarlo per il raggiungimento de’ suoi scopi», la seconda quello
«compiuto entro la sfera d’azione di chi se lo è assunto»39.
L’autonomia del prestatore è dunque qualcosa di più che non la semplice
assenza del vincolo di subordinazione. Essa è piuttosto cifra dell’intelligenza
dell’artifex che è in grado di trasformare la realtà materiale o immateriale, di
“manipolarla” rimanendo all’interno di una sfera d’azione che rimane sua
propria. D’altronde anche altra dottrina di poco successiva avrebbe l’oggetto del
locatio operis nella «modificazione od elaborazione della cosa corporale od
incorporale, cui l’attività od il lavoro umano dà vita e configurazione speciale»40,
secondo un’interpretazione influenzata dalla codificazione germanica ove
p. 20 ss.; L. CASTELVETRI, Il diritto del lavoro delle origini, Giuffrè, Milano, 1994, spec. p. 286
ss. 34 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, I, Società Editrice Libraria,
Milano, 1915, p. 617. 35 Lo rileva M. PEDRAZZOLI, La parabola della subordinazione, cit. p. 361. 36 In modo radicale e quasi violento nella prospettiva di F. CARNELUTTI, Studi sulle energie come
oggetto dei rapporti giuridici, cit., p. 388, secondo cui «il concetto e il nome della locazione
d’opera va distaccandosi dai libri e dai codici come una foglia secca dall’albero»; in modo più
sfumato in quella della seconda edizione dell’opera barassiana, ove si legge che la categoria della
locazione è «ancor oggi così palpitante di vita» (L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto
positivo italiano (1915), cit., p. 622). 37 Su cui si vedano i numerosi saggi raccolti da M. NAPOLI (a cura di), La nascita del diritto del
lavoro, cit. 38 G. PINO, Il contesto di inizio secolo e la discussione sul contratto di lavoro, in M. PEDRAZZOLI
(a cura di), Lavoro subordinato e dintorni. Comparazioni e prospettive, Il Mulino, Bologna,
1989, p. 28 ss. 39 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), cit., p. 25. 40 L. ABELLO, Della locazione, II, Locazione di opere, Marghieri – Unione Tipografica Torinese,
Napoli – Torino 1910, p. 43.
23
l’oggetto del Dienstvertrag, è rinvenuto precisamente nella «produzione o
alterazione di una cosa» o in un «altro risultato di lavoro o di servizio» (art. 631
BGB)41.
Peraltro, nella ricostruzione barassiana, così come la subordinazione viene
fermamente ancorata a dati non di carattere economico-sociale, bensì
rigorosamente giuridico formali42 – alla circostanza cioè che «il creditore del
lavoro è a contatto col lavoro, lo dirige, lo sorveglia, lo indirizza a quei risultati
cui egli, mercé le prestazioni del debitore, intenda arrivare»43 (con la
significativa precisazione che «questo avviene così per l’operario come per il
direttore di Banca»44) – allo stesso modo la categoria della locazione d’opera pur
attagliandosi a una serie di modelli economico-sociali anche molto diversi tra
loro, che Barassi aveva ben in mente (l’artigiano, l’architetto, l’avvocato), è
individuata sulla base di una dato del tutto svincolato dalle rifuggite «nebbie
della cosiddetta sociologia»45, vale a dire nel fatto che «all’opera di elaborazione
provveda con indirizzo proprio il debitore di lavoro»46.
E tuttavia, in cauda venenum, poiché quello stesso approccio teorico che
consente di arrivare alla conclusione che la locatio operararum prescinde del
tutto dalla condizione di debolezza del prestatore – o, volendo mettere i piedi nel
piatto di allora, dalla sua appartenenza alla classe operaia – conduce
inevitabilmente a ritenere che sia parimenti irrilevante che il conductor operis
versi in una situazione di «subordinazione economica» nei confronti di un
committente principale cui «devolve l’opera propria stabilmente»47, circostanza
che comincerà ad assumere una (limitata) valenza selettiva solo dopo la riforma
del 197348.
L’adozione di schemi discretivi di carattere squisitamente formale, alieni al
sostrato economico-sociale dei rapporti oggetto di classificazione, da un lato ha
certo consentito la progressiva espansione della nozione di subordinazione (e del
41 Sulle influenze della cultura giuridica tedesca sull’opera barassiana, L. GAETA, Lodovico
Barassi, Philipp Lotmar e la cultura giuridica tedesca, in DLRI, 2001, n. 2, p. 165 ss. 42 Per le ragioni di carattere sistematico e ideologico evidenziate nelle insuperabili pagine di L.
MENGONI, Il contratto individuale di lavoro, in DLRI, 2000, n. 2, p. 182 ss., nonché, più di
recente, F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione, cit., p. 19 ss. 43 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), cit., p. 29. 44 Ibidem. Ha rilevato M. NAPOLI, Ritornare a Barassi?, ivi, p. XIX s., come il passo sconfessi
quella lettura dell’art. 2094 «basata sull’equivoco dell’identità tra fordismo e subordinazione»,
che aveva aleggiato sul dibattito di fine millennio (cfr. AIDLASS, Il diritto del lavoro alla fine del
secolo. Atti delle giornate di studio di Ferrara, di Ferrara, 11-13 maggio 2000, Giuffré, Milano,
2002). 45 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), cit., p. VII. Sul rapporto
tra Barassi e i c.d. socialisti della cattedra, in una prospettiva anche biografica, L. GAETA,
Ludovico Barassi (1873-1961), in LD, 1997, p. 521 ss. 46 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), cit., p. 25. 47 ID., Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1915), cit., p. 648. 48 Infra, § 6.
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relativo statuto protettivo) verso fattispecie non caratterizzate da un’esigenza di
protezione. Dall’altro, tuttavia, essa ha parimenti determinato l’esclusione da
tale statuto protettivo di fattispecie nelle quali, difettando il vincolo di
subordinazione, pure tale esigenza protettiva si poteva ravvisare pienamente,
giungendo così a negare ogni tutela – e anzi a trattare come veri e propri
imprenditori, secondo una linea che dai barrocciai dei primi del ‘90049, passando
per i pony express dei ruggenti anni ’8050, arriva idealmente agli odierni
lavoratori della platform economy51 – anche quegli che allora erano «uomini di
fatica che non andando a padrone, con umilissima attrezzatura e con le proprie
mani, per misera mercede spesso discrezionalmente elargita dalla controparte,
creano beni di poco conto e offrono servigi non qualificati»52, così inoculando
nel diritto del lavoro uno «strabismo precoce che lo porta a concedere tutela a
chi non ne ha bisogno e a negarla a chi invece ne avrebbe»53.
4. Il lavoro autonomo nella codificazione del 1942 e nella prima età
repubblicana
Con la codificazione del 1942 la dialettica tra autonomia e subordinazione si
atteggia diversamente e comincia quel percorso di «compressione» della prima
a tutto vantaggio della seconda, ormai avviata lungo una direttrice di
«espansione» che la accompagnerà per i decenni successivi.
La tendenza, peraltro, non è solo conseguenza della precisa impostazione
prescelta dagli estensori del codice di cui si dirà appresso, ma si rinviene anche
nella realtà economico-sociale del tardo periodo corporativo, se è vero che, come
aveva osservato la dottrina a ridosso della codificazione del 1942, «il lavoro
49 Pret. I Mandamento di Livorno, 2 marzo 1909, in Il Contratto di Lavoro, 1909, p. 145 ss.,
citata da R. VOZA, Il lavoro e le piattaforme digitali: the same old story?, in WP C.S.D.L.E.
“Massimo D’Antona”.IT – 336/2017, p. 7, nt. 22. 50 Qualificati come lavoratori autonomi da Trib. Milano 10 ottobre 1987, in RIDL, 1987, II, p.
688, con nota redazionale – che ribaltò le conclusioni raggiunte dal Pretore (Pret. Milano 20
giugno 1986, in RIDL, 1987, II, p. 70, con nota di P. ICHINO, Libertà formale e libertà materiale
del lavoratore nella qualificazione della prestazione come autonoma o subordinata, e in OGL,
1986, p. 978, con nota di L. SPAGNUOLO VIGORITA, Subordinazione e impresa), sulla base
dell’accertamento che i fattorini erano liberi di decidere se e quando prestare la propria attività
– e, successivamente, da richiama Cass. 10 luglio 1991, n. 7608, cit., e Cass. 25 gennaio 1993,
n. 811, in RIDL, 1993, II, p. 425, con nota redazionale, nonché, da ultimo, da Cass. 20 gennaio
2011, n. 1238, in DeJure. 51 Per il momento, Trib. Torino 7 maggio 2018, n. 778, in RIDL, 2018, n. 2, II, p. 283, con nota
di P. ICHINO, Subordinazione, autonomia e protezione del lavoro nella gig-economy (p. 294 ss.),
che non a caso richiama alcuni dei precedenti di legittimità citati alla nota precedente. Sul punto,
infra, Cap. IV, spec. § 7.5. 52 E. ZANELLI, La nozione di oggetto sociale, Giuffrè, Milano, 1962, p. 157, secondo cui trattasi
di soggetti che rientrano nella nozione di impresa adottata dal codice civile. Sull’ambiguo
confine tra lavoro autonomo e piccola impresa v. infra, Cap. II, § 5 ss. 53 Così G. GHEZZI, U. ROMAGNOLI, Il rapporto di lavoro, Zanichelli, Bologna, 1984, p. 23.
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subordinato di impresa si è andato sempre più sviluppando a discapito del lavoro
autonomo»54. Già nella ricostruzione dottrinale precedente al codice, infatti,
«separata dalle matrici sociologiche […] e riferita alle modalità della prestazione
dedotta in contratto, la subordinazione è divenuta un concetto elastico che ha
eroso progressivamente la fascia dei rapporti contigui»55.
Non stupirà quindi che in tale contesto il codice del 1942 assegni un ruolo
preminente alla figura del lavoratore subordinato nell’impresa, codificato
nell’art. 2094 c.c., e destini una funzione residuale al contratto d’opera, cui
vengono dedicati appena sette articoli56.
Quest’ultimo, in quanto non si concreti nei modelli, socialmente prevalenti
e storicamente definiti57, del contratto d’opera intellettuale (art. 2229 ss. c.c.),
ovvero dei singoli tipi del libro IV, parrebbe essere preso in considerazione dagli
estensori del codice quasi più per una logica di tipo estetico, «l’ésprit de
géométrie di un legislatore illusionista»58, che offre uno schema tanto prototipico
dal punto di vista teorico59 quanto lontano, nella realtà dei fatti, dall’esperienza
della realtà sociale60, dove tutt’al più esso può candidarsi a regolare il lavoro
artigiano61.
A ciò si aggiunga che, se già in riferimento al tipo enucleato nell’art. 2094
c.c. si ravvisa un’evoluzione rispetto alla nozione di subordinazione barassiana
– posto che «il codice ha trasformato in archetipo […] quello che per Barassi era
54 P. GRECO, Il contratto di lavoro, in F. VASSALLI (diretto da), Trattato di diritto civile, VII,
Utet, Torino, 1939, p. 59. 55 L. MENGONI, Il contratto individuale di lavoro, cit., p. 185. 56 Lo sottolinea U. ROMAGNOLI, Arriva un bastimento carico di «A.», cit., p. 34, secondo cui
«fatto sta che, sia pure senza volerlo, gli autori del codice civile sono gli affossatori del contratto
d’opera – manuale – e perciò i più accesi supporters del contratto di lavoro subordinato». 57 L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo in generale, in A. SCIALOJA, G. BRANCA (a cura
di), Commentario del codice civile, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma, 1963, p. 164. 58 A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 5. 59 Nel senso che «il contratto d’opera è lo strumento negoziale fornito dal legislatore per
consentire la realizzazione di un rapporto di lavoro autonomo», v. G. GIACOBBE, voce Lavoro
autonomo, in ED, XXIII, Giuffrè, Milano, 1973, p. 430. Nella stessa prospettiva già F. SANTORO
PASSARELLI, voce Opera (Contratto di), in NNDI, XI, Utet, Torino, 1965, p. 985, secondo cui
«il contratto d’opera è quello che presenta, nel suo aspetto più elementare, la caratteristica
essenziale del tipo: lo scambio tra il compimento di un opus e il corrispettivo». Successivamente,
G. GIACOBBE, D. GIACOBBE, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera. Artt. 2222-2228, in F.D.
BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, 2° ed., Giuffrè, Milano, 2009, p. 7,
secondo i quali il lavoro autonomo, «quale categoria generale di qualificazione giuridica […] si
esplica e trova concreta attuazione attraverso, appunto, il contratto d’opera». 60 Al punto che rileva A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 63, che è in realtà il contratto
d’opera professionale (art. 2229 c.c.), tradizionalmente considerato un sottotipo del contratto
d’opera (O. CAGNASSO, voce Opera (contratto di), in Dig. Disc. Priv. Sez. Comm., X, Utet,
Torino, 1994, p. 326), a dover fungere da prototipo di riferimento per l’individuazione della
fattispecie del lavoro autonomo, candidandosi «al ruolo guida nella ricerca di regole consone
alla disciplina di figure contrattuali atipiche nei settori della produzione e dei servizi». 61 Lo rileva F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione, cit. p. 29.
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un sotto-tipo (contratto di lavoro industriale), benché riferito all’ipotesi
socialmente prevalente del lavoro nell’impresa»62 – tale discostamento
dall’elaborazione precedente è altrettanto marcata quanto ai caratteri della
locatio operis, posto che il contratto d’opera viene individuato, oltre che dagli
elementi (positivi) della prestazione di lavoro personale, dell’opera o del servizio
e del corrispettivo, in ragione dell’elemento (negativo) dato dall’assenza del
vincolo di subordinazione («senza vincolo di subordinazione», art. 2222 c.c.)63.
Nel contempo, il lavoro autonomo partecipa insieme con il contratto di
lavoro subordinato della definitiva emancipazione dagli schemi locativi, ormai
inadeguati a disciplinare i diversi fenomeni di esplicazione di un’attività
produttiva inscindibile dalla persona del lavoratore64, e trova collocazione nel
libro del lavoro per il fatto di presentare, contrariamente agli altri tipi derivati
dalla locatio operis «un particolare profilo sociale», come evidenziato dalla
stessa Relazione del Guardasigilli, (n. 914) ove si evidenza che «la nuova figura
del contratto d’opera è più ristretta della figura romana della locatio operis.
Infatti non tutti i contratti che hanno per oggetto la prestazione di un opus sono
disciplinati nel titolo III, ma solo il tipo di locatio operis più elementare, in cui
il conductor operis presta un lavoro esclusivamente o prevalentemente proprio
[…] è infatti solo questo elementare tipo di locatio operis quello che presenta un
particolare profilo sociale, che ne giustifica la collocazione nel libro dedicato al
lavoro». Non a caso, il successivo n. 915 precisa che la disciplina del contratto
d’opera coincide solo parzialmente con quella dell’appalto, discostandosene
quanto «a quegli aspetti tipici del contratto che sono in funzione del carattere
prevalentemente personale della prestazione».
L’introduzione di una disciplina dedicata alle professioni intellettuali (art.
2229-2238 c.c.), inoltre, segnala l’attenzione del legislatore del codice verso un
tipo ben delineato nella realtà sociale, in grado di sopravvivere indenne dal
«paventato prevalere dell’industrialismo»65. Il lavoro intellettuale viene attratto
pienamente, quale species del genus lavoro autonomo, nella disciplina
62 L. MENGONI, Il contratto individuale di lavoro, cit., p. 185 s. 63 Sul carattere negativo della nozione di lavoro autonomo nel codice civile, v. gli autori citati
supra, nt. 8. 64 F. SANTORO PASSARELLI, Spirito del diritto del lavoro, cit., p. 276, e successivamente, ID.,
voce Opera (contratto di), cit., p. 983, ove osserva che «ciò è più evidente nel lavoro subordinato,
in cui il prestatore collabora nell’impresa alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore,
ma è vero anche nel lavoro autonomo, in cui si ha pure esplicazione di un’attività personale
produttiva, su specifica commissione di un altro soggetto e per soddisfare l’interesse di questo a
un determinato risultato». In tal senso anche L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, cit.,
p. 151, nonché, successivamente, G. GIACOBBE, voce Lavoro autonomo, cit., p. 418 s. secondo
cui lo schema locativo è «oggi non più accettabile, non soltanto sul piano dei valori etico-sociali,
ma anche di quelli giuridici desumibili dalla Costituzione e dal sistema che ne è derivato tra la
persona del lavoratore e le prestazioni lavorative da questo esplicate». 65 G. MUSOLINO, Contratto d’opera professionale, cit., p. 100 s.
27
codicistica «del lavoro», affrancandosi così in modo pressoché definitivo dagli
schemi del mandato66, secondo una linea evolutiva che trova un solido
fondamento nell’opera di Barassi. Quest’ultimo si era infatti mostrato fortemente
critico verso la riconduzione del lavoro intellettuale allo schema del mandato –
che caratterizzandosi per la gratuità, non elevava l’honararium a elemento del
sinallagma, considerandolo appena un benevolo “risarcimento” del tempo spese
dal professionista67 – riconduzione che viene giudicata figlia di una concezione
pagana68, che non trova più riscontro nella pratica degli affari69.
Tuttavia, nella dottrina successiva alla codificazione del 1942, la
riconducibilità del lavoro autonomo alla materia del diritto del lavoro, ormai
distaccatasi con sufficiente nitidezza dal diritto comune70 – anche se la materia
rimarrà «la cenerentola delle cattedre di giurisprudenza» per molto tempo a
venire71–, non è accolta in termini univoci.
Lo stesso Barassi, che fino alla seconda edizione del Contratto di lavoro
aveva accolto, come si è rilevato, una concezione unitaria di contratto di lavoro
suscettibile di abbracciare ogni forma di facere per altri, nel proprio manuale del
1949 parrebbe ricredersi, arrivando a sostenere, alla luce del mutato contesto
normativo, l’esclusione del lavoro autonomo dal diritto del lavoro in senso
proprio, ammettendone l’inclusione solo ove quest’ultimo sia inteso in senso
puramente letterale72, secondo una linea interpretativa che viene reputata come
maggioritaria nella dottrina coeva73, anche da parte di chi, al contrario, si mostra
66 Sul punto G. ZILIO GRANDI, Rapporti di lavoro e attività gestoria tra autonomia,
subordinazione e nuove proposte, in RIDL, 2001, I, p. 399. 67 R.T. TROPLONG, De l’èchange et du louage, in ID., Le droit civil expliqué suivant l’ordre des
articles du Codes, Wahlen, Bruxelles, 1842, n. 791 ss., spec. p. 306 s., che si rifà ampiamente
alla ricostruzione di G. POTHIER, Traité du contrat de mandat, Paris, 1835, n. 26 ss., che già
sappiamo provenire dalla tradizione romanistica (cfr. supra, nt. 25). 68 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), cit., p. 88, rileva che «il
principio per cui ogni lavoro merita una mercede è stato disconosciuto dai giuristi romani, rimasti
sotto l’influenza della filosofia pagana di Platone e Aristotele, per i quali il lavoro non nobilita
ma deprezza l’uomo, avvicinandolo allo schiavo». 69 Ivi, p. 156: «noi non sappiamo se ai tempi di Pothier era usanza offrire agli avvocati, a guisa
di onorario, il Thesaurus di Meermann: è certo che oggi si usa dar loro dei biglietti di banca». 70 Per tutti, G. CAZZETTA, Scienza giuridica e trasformazioni sociali. Diritto e lavoro in Italia
tra Otto e Novecento, Giuffrè, Milano, 2007, spec. p. 171 ss. 71 Secondo la formula coniata da G. ARDAU, La Cenerentola delle cattedre di giurisprudenza, in
Dir. Lav., 1947, I, p. 243 ss. Sul punto v. anche la testimonianza di Renato Scognamiglio in P.
ICHINO (a cura di), Il diritto del lavoro nell’Italia Repubblicana, Giuffrè, Milano, 2008, p. 522. 72 L. BARASSI, Il diritto del lavoro, I, Giuffrè, Milano, 1949, p. 243 s., il quale tuttavia ricorda
che «io, in altri tempi, ho potuto tentare la ricostruzione giuridica – al lume del diritto comune –
del contratto di lavoro appunto in questa sua latissima portata, abbracciante anche il lavoro
autonomo». 73 Ivi, p. 244, ove si osserva come «la dottrina sia oggi unanime nel senso che il “diritto del
lavoro” deve essere inteso in senso più angusto, come riguardante non già il lavoro autonomo,
ma unicamente il lavoro subordinato». Nel senso di una latitudine ristretta della nozione di
«diritto del lavoro», a ridosso e all’indomani della codificazione, P. GRECO, Il contratto di
28
contrario a ricondurre il lavoro autonomo esclusivamente ai pur «capaci fianchi»
del diritto civile, propugnando la necessità di «un diritto del lavoro che non
ripudia da sé i lavoratori autonomi»74.
Lo scarto che si era ormai venuto a creare tra lavoro autonomo e lavoro
subordinato «nell’impresa», caratterizzato dall’inserimento della persona e della
prestazione del lavoratore nell’organizzazione gerarchica dell’imprenditore –
che comincia a prendere forma quale criterio di individuazione della fattispecie
del lavoro subordinato già in epoca corporativa75, stabilizzandosi nel vigore della
Costituzione repubblicana76, e che riscuoterà poi, come vedremo, grande fortuna
nella dottrina successiva – portò addirittura parte della dottrina, all’indomani
della codificazione, a sollevare obiezioni contro l’opzione del legislatore di
collocare nel libro V le norme disciplinanti il rapporto di lavoro autonomo
(rectius, del contratto d’opera e del contratto d’opera intellettuale), sostenendo
che esse avrebbero trovato una migliore collocazione, nel libro IV, accanto a
quelle disciplinanti gli altri contratti derivati dallo schema della locatio operis77.
Sorprende, tuttavia, quanto poco abbia influito su tale dibattito l’avvento
della Costituzione repubblicana e la rifondazione dello Stato democratico-
sociale sul fondamento laburista. La dottrina di età repubblicana, fino almeno
agli ai tardi anni ’60, mostrerà una sostanziale continuità rispetto
all’impostazione consolidatasi in epoca corporativa, limitandosi la manualistica,
in alcuni casi, appena a sostituire il termine «ordinamento corporativo» con
lavoro, cit., p. 94; G. D’EUFEMIA, Sul concetto di diritto del lavoro, in Riv. it. sc. giur., 1935, p.
307; G. ARDAU, Corso di diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 1947, p. 96; F. PERGOLESI, Diritto
del lavoro, Upep, Bologna, 1949, p. 12, il quale aveva invece in precedenza ammesso, sia pure
in ipotesi eccezionali e di stretta interpretazione, la possibilità di estendere parte della
legislazione del lavoro anche al lavoro autonomo (ID., Introduzione. Nozione, sistema, fonti del
diritto del lavoro, in U. BORSI, F. PERGOLESI (diretto da), Trattato di diritto del lavoro, I, Cedam,
Padova, 1938, p. 34). 74 C. LEGA, Il diritto del lavoro e il lavoro autonomo, in Dir. lav., 1950, I, rispettivamente, p.
116 e 120 s., ove, con sorprendente modernità, si sostiene che «vi deve essere, perciò, un nucleo
centrale di ampio respiro che giustifichi e la denominazione e i limiti di un diritto del lavoro che
non ripudia da sé i lavoratori autonomi; un nucleo intorno al quale deve ruotare tutto
l’ordinamento giuridico del lavoro e che informa di sé i vari istituti, pur senza livellarli entro un
unico schema o legarli a uno stesso principio, ma anzi presentandoli differenziati, a seconda che
debbano rispondere alle diverse esigenze dei rapporti economico-sociali, cosicché si possano
considerare germinati da un unico tronco». Nel senso della “comprensività” del diritto del lavoro
rispetto al lavoro autonomo anche L.A. MIGLIORANZI, Comprensività del diritto del lavoro, in
Dir. lav., 1943, I, p. 169. 75 G. D’EUFEMIA, Sul concetto di diritto del lavoro, cit., p. 321, che fa già riferimento alla
«dipendenza organizzativa nascente dal fatto di prestare lavoro in un’estranea organizzazione
economica». 76 C. LEGA, Il diritto del lavoro e il lavoro autonomo, cit., p. 117, che osserva come la disciplina
del lavoro subordinato «fa perno, anzitutto, sull’inserimento del lavoratore nell’impresa del
creditore del lavoro ove il primo si trova, rispetto a questo, in posizione di subordinazione». 77 P. GASPARRI, Il rapporto di lavoro autonomo, in Dir. lav., 1942, I, p. 110.
29
«ordinamento giuridico»78, e ad affiancare il nuovo art. 35 Cost. all’art. 2060 c.c.
quando si tratti di rilevare quegli elementi di unitarietà della tutela sottostanti al
sistema del diritto del lavoro79, destinati tuttavia a scolorire dinnanzi alle
tendenze che si svilupperanno nei decenni successivi.
5. L’espansione dell’area della subordinazione e la parallela restrizione
dell’area del lavoro autonomo
A partire dagli anni ’60 si registra, in dottrina80 e in giurisprudenza81, una
spiccata valorizzazione degli elementi organizzativi, latenti nella nozione
codicistica del «collaborare nell’impresa», che conduce ad un’estensione
dell’area della subordinazione – anche oltre le fattispecie caratterizzate da una
marcata eterodirezione della prestazione del lavoratore da parte del datore di
lavoro – la quale verrà etichettata quale «tendenza espansiva del diritto del
lavoro»82.
L’assurgere dell’«inserimento nell’organizzazione dell’imprenditore» a
criterio distintivo per l’individuazione della fattispecie del lavoro subordinato
78 L. GAETA, Ludovico Barassi, cit., p. 527. 79 V. ad. Es. L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, cit., 151 s., secondo cui la
disposizione costituzionale altro non farebbe che «ispirarsi» alla quella codicistica. 80 V. soprattutto M. PERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, Cedam, Padova, 1966, e L.
SPAGNUOLO VIGORITA, Subordinazione e diritto del lavoro, cit. Nel senso che «l’inserzione del
lavoratore nell’azienda (altrui) costituisce la concreta essenza del rapporto di lavoro subordinato
e la causa ed il fondamento propri di tale specie di rapporto» già però D. NAPOLETANO, Il lavoro
subordinato, cit., p. 225. 81 Si veda per un esempio emblematico App. Milano 7 luglio 1961, in Rep. giust. civ., 1963, voce
Lavoro (rapp. di), n. 24, secondo cui «per negare ad un rapporto di lavoro il carattere di lavoro
subordinato non sono valide le circostanze di fatto secondo cui il lavoratore svolgeva la sua
attività soltanto per la durata di un’ora o al massimo di due ore al giorno e che il medesimo era
libero di effettuare tale servizio nell’ora della giornata che preferiva, senza alcun orario stabilito
dall’imprenditore […] L’estremo della subordinazione […] non deve intendersi nel senso di un
assoggettamento integrale del lavoratore all’imprenditore […] Perché gli elementi della
subordinazione e della collaborazione integrino il rapporto di lavoro subordinato, è sufficiente
che i medesimi siano tali da realizzare, come nel caso in esame, un permanente inserimento
dell’energia lavorativa del prestatore d’opera nella organizzazione dell’azienda». Per riferimenti
a quella giurisprudenza che valorizza l’elemento dell’inserimento nell’impresa, L. SPAGNUOLO
VIGORITA, Riflessioni in tema di continuità, impresa, rapporto di lavoro, in AA. VV., Studi in
onore di Francesco Santoro Passarelli, V, Jovene, Napoli, 1972, p. 1025 ss., spec. nt. 1, 14 e
31, e, successivamente, L. MENGHINI, Subordinazione e dintorni: itinerari della giurisprudenza,
in AA. VV., Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli, cit., p. 150 ss., ove si osserva
che nel periodo che va dagli anni ’50 agli anni ’80 del secolo scorso la giurisprudenza abbia
elasticizzato, dilatandola, la nozione di subordinazione, dapprima attenuando il rilievo
dell’eterodirezione e quindi valorizzando i c.d. criteri secondari della subordinazione (vincolo di
orario, modalità della retribuzione, possibilità per il lavoratore di farsi sostituire, pluralità di
committenti), lasciati alla discrezionalità dei pretori. 82 Sul valore polisenso della formula U. ROMAGNOLI, La prestazione di lavoro nel contratto di
società, Giuffrè, Milano, 1967, p. 162 ss.
30
indica «lo sforzo costantemente compiuto dai giudici per cogliere, nella fluida
realtà dei casi oggetto della loro decisione, gli elementi che, di volta in volta,
consentano la massima estensione della tutela predisposta per il lavoro
subordinato»83, al punto che già vi è chi denuncia che ormai «va profilandosi il
rischio di configurare il rapporto di lavoro [leggi «subordinato»] nei più
impensati rapporti della vita sociale»84.
Si realizza così uno «spregiudicato svuotamento del criterio della
subordinazione» a vantaggio di criteri diversi, «evocatori di una prospettiva
senza alcun dubbio più ampia, se non addirittura diversa, di quella segnata dalla
soggezione al potere di direzione e di controllo dell’altra parte»85.
Per effetto di tale estensione la subordinazione viene (ulteriormente) a
«perdere i caratteri dell’antico droit ouvrier e viene in sostanza a coprire un’area
interclassista: la piccola borghesia impiegatizia dapprima e gradatamente […] la
nuova classe dei managers»86. Se tuttavia l’inerenza del rapporto di lavoro
all’organizzazione diventa criterio di identificazione della natura subordinata del
rapporto, specularmente «la mancata inserzione della prestazione lavorativa
nell’organizzazione del creditore di lavoro viene considerata automaticamente
un indice dell’autonomia della stessa prestazione lavorativa»87.
Su questo humus si consolida la riconduzione al lavoro subordinato di
categorie di rapporti caratterizzati da un’ampia autonomia del prestatore per
quanto attiene alle modalità spazio-temporali di esecuzione della prestazione,
come le qualifiche dirigenziali88, peraltro ricondotte alla locatio operarum già
83 M. PERSIANI, Riflessioni sulla giurisprudenza in tema di individuazione della fattispecie del
lavoro subordinato, in AA. VV., Studi in onore di Francesco Santoro Passarelli, cit., p. 857. 84 G. PERA, Nota a Cass. 11 settembre 1965, n. 1989, in Foro it., 1966, I, c. 697, il quale aggiunge
che «è una tendenza invero discutibile, gravemente contrastante con le più svariate e non
frodatorie esigenze di vita; una tendenza fra l’altro culturalmente miope, quasi che negli schemi
del codice possa stare tutta intera, senza residui, la multiforme vicenda intersubiettiva e quasi
che nel codice vi siano tanti cassettini con la possibilità di sistemare in qualcuno di essi ogni più
impensabile rapporto, obliando quanto di vitalmente atipico vi sia nella realtà rispetto agli
schemi». 85 M. PERSIANI, Riflessioni sulla giurisprudenza, cit., p. 867 s., il quale conclude nel senso che
«in questo contesto l’assoggettamento a tale potere non costituisce più, come pure poteva
sembrare a prima vista, il principale elemento di discriminazione tra la fattispecie del lavoro
autonomo e quelle analoghe, ma soltanto un profilo, non sempre essenziale, di una situazione
più complessa». 86 G. GIUGNI, voce Lavoro (diritto del), in Enciclopedia del Novecento, Treccani Roma, 1978,
III, p. 947. 87 G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», Franco Angeli, Milano, 1979, p. 41. 88 Nel senso che «è proprio in questo essere inserito nell’organizzazione che risiede […] la
ragione per cui i dirigenti devono essere considerati lavoratori subordinati», M. PERSIANI,
Riflessioni sulla giurisprudenza, cit., p. 879, e, successivamente e funditus, P. TOSI, Il dirigente
d’azienda. Tipologia e disciplina del rapporto di lavoro, Franco Angeli, Milano, 1974, ove la
natura subordinata del rapporto di lavoro dirigenziale si giustifica essenzialmente in ragione di
un approccio tipologico alla questione del metodo di qualificazione. Ad esiti non dissimili,
peraltro, era già pervenuta la dottrina precedente in riferimento alla questione della compatibilità
31
nella ricostruzione barassiana89, anche se non sarebbero poi mancate in dottrina
voci propense a stigmatizzare l’attrazione della figura del dirigente nell’orbita
del lavoro subordinato90.
Nel contempo, e parallelamente, è lo stesso legislatore a intervenire sul piano
della fattispecie, dissipando gli equivoci sorti in dottrina sulla natura del rapporto
di lavoro a domicilio nel vigore della l. 264/195891, e consacrando nell’art. 1, co.
2, l. 877/1973 un’ipotesi legale espressa di «subordinazione attenuata»,
configurabile cioè «in deroga a quanto stabilito dall’articolo 2094 del codice
civile» quando «il lavoratore a domicilio è tenuto ad osservare le direttive
dell'imprenditore circa le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti
del lavoro da svolgere nella esecuzione parziale, nel completamento o nell'intera
lavorazione di prodotti oggetto dell'attività dell'imprenditore committente»92.
In questo contesto, nel quale anche le ricerche sociologiche registrano una
progressiva «salarizzazione» dei lavoratori93, non stupirà che l’attenzione della
giurisprudenza e della dottrina per il lavoro autonomo sia «ai minimi storici». Se
si esclude il problema relativo alla qualificazione del rapporto di lavoro – che
del rapporto societario con quello di lavoro subordinato, cfr. L. MONTUSCHI, Socio,
amministratore di società e rapporto di lavoro subordinato, in Il diritto dell’economia, 1969, p.
479 ss.; P. PETINO, Rapporto di amministrazione e rapporto di lavoro subordinato, Giuffré,
Milano, 1968, spec. 222 ss. Sul punto v. anche infra, Cap. II, § 2.1, nt. 265, per le posizioni della
più recente giurisprudenza delle Sezioni unite. 89 Si è già visto come l’etero-direzione in senso tecnico-giuridico prefigurata da Barassi si potesse
configurare nei medesimi termini «così per l’operario come per il direttore di Banca» (L.
BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), cit., p. 29). 90 A. ZOPPOLI, Managerialità, dirigenza e contratto di lavoro, in LD, 1993, spec. p. 301, il quale
osserva che «il dirigente è da considerare lavoratore subordinato soltanto perché così è scritto
nell’art. 2095 c.c., una norma emanata cinquant’anni fa, in una fase storica profondamente
diversa». 91 Su cui, in generale, A. D’HARMANT FRANÇOIS, voce Lavoro a domicilio, in ED, XXIII,
Giuffrè, Milano, 1973, p. 440 ss.; G. ARDAU, I lavoratori a domicilio sono autonomi o
subordinati?, in MGL, 1953, p. 212 ss. Nel senso che il rapporto di lavoro a domicilio, pur
presentando prevalentemente i tratti del lavoro autonomo, avesse sussunto per motivi di ordine
sociale parte della disciplina propria del lavoro subordinato, v. L. RIVA SANSEVERINO,
Dell’impresa in generale, in A. SCIALOJA, G. BRANCA (a cura di), Commentario del codice civile,
Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma, 1969, p. 581. Nel senso che la legge del 1958 avesse
fondato una presunzione a favore della natura subordinata del lavoro a domicilio, isolatamente,
G. PETRACCONE, Il lavoro a domicilio e la nuova legge 13 marzo 1958, n. 264 per la sua
disciplina, in RGL, 1959, I, p. 157. Nel senso che il lavoro a domicilio potesse essere ricompreso
nel lavoro autonomo come in quello subordinato secondo le caratteristiche del caso concreto C.
LEGA, Contratto d’opera, in U. BORSI, F. PERGOLESI (a cura di), Trattato di diritto del lavoro, I,
Cedam, Padova, 1960, p. 551, insieme alla giurisprudenza maggioritaria: Cass. 9 luglio 1959, n.
2212, in RGL, 1959, II, p. 543; Cass. 21 febbraio 1963, n. 590, RDL, 1963, II, p. 122. 92 Per tutti, L. NOGLER, Il lavoro a domicilio. Art. 2128, in P. SCHLESINGER (diretto da), Il Codice
Civile. Commentario, Giuffrè, Milano, 2000. 93 E. REYNERI, Sociologia del mercato del lavoro, II, Le forme dell’occupazione, Il Mulino,
Bologna, 2005, Cap. 8, § 3; I. FELLINI, Una mappa analitica, in C. RANCI (a cura di), Partite Iva,
cit., p. 105.
32
continua ad affollare le aule giudiziarie94, come continuerà a farlo nei decenni
successivi95 – non si assiste a significativi sviluppi per quanto concerne i
meccanismi di tutela del lavoro autonomo, «debole» e non.
Tale direttrice di tutela viene invero affidata all’ampliamento della nozione
di subordinazione, con effetti tuttavia distorsivi in termini di razionalità96,
mentre al lavoro autonomo che non riesce a entrare nelle pur allargate maglie
della subordinazione vengono vieppiù negate la gran parte di quelle tutele che si
ritiene la Costituzione riservi al lavoro «in senso stretto», cioè subordinato. Solo
con l’importante eccezione rappresentata dall’orientamento estensivo della
giurisprudenza costituzionale, in materia di sciopero97, la giurisprudenza in
materia di lavoro autonomo si porrà «in sintonia con l’allora dominante tendenza
espansiva del diritto del lavoro (ma anche del diritto sindacale) in una fase di
piena egemonia del modello fordista, che dalla fabbrica si estendeva alla società,
sino allo Stato»98, mentre sul versante della disciplina del rapporto, fatto salvo
un richiamo di stile agli artt. 4 e 35 Cost., la dottrina maggioritaria99 (sia pure
con importanti eccezioni)100 così come la giurisprudenza101, reputeranno
inapplicabile al lavoro autonomo la garanzia della retribuzione sufficiente di cui
all’art. 36 Cost., secondo una linea interpretativa che incontrerà, quantomeno in
via tendenziale, il favore della stessa Corte costituzionale102, e finirà per
94 L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, cit., p. 158, dove l’Autrice rileva, quanto agli
esiti di tale mole di procedimenti, che «ripetutamente risulta un orientamento a favore della
qualificazione di lavoro subordinato». 95 M.T. CARINCI, Il contratto d’opera, in G. GITTI, M. MAUGERI, M. NOTARI (a cura di), I
contratti per l’impresa, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 189. 96 M. PEDRAZZOLI, La parabola della subordinazione, cit., p. 371 ss. 97 Corte cost. 8 luglio 1975, n. 222, in Foro it., 1975, I, c. 1569, con nota di richiami, e in RGL,
1975, II, p. 981, con nota di P. GIORDANO, che dichiarò l'illegittimità costituzionale dell'art. 506,
in relazione all'art. 505, del codice penale, per contrasto con l’art. 40 Cost., nella parte in cui
puniva la sospensione del lavoro effettuata per protesta dagli esercenti di piccole aziende
industriali o commerciali che non hanno lavoratori alla loro dipendenza. Sul punto G. GIUGNI,
voce Sciopero (ordinamento italiano), in EGT, XXVIII, Treccani, Roma, 1992, spec. p. 4. Per
una più approfondita trattazione delle questioni relative allo “sciopero” dei lavoratori autonomi,
infra, Cap. III, Sez. III, § 3. 98 Così B. CARUSO, G. NICOSIA, Il conflitto collettivo post moderno: lo “sciopero” dei lavoratori
autonomi, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 43/2006, p. 14. 99 A. TORRENTE, F. JANNELLI, C. RUPERTO, Del lavoro, in AA. VV., Commentario del Codice
Civile, V, I, Utet, Torino 1961, p. 150; L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, cit., p. 175;
F. SANTORO PASSARELLI, voce Opera (Contratto di), cit., p. 987; R. SCOGNAMIGLIO, voce
Lavoro I) Disciplina costituzionale, in EGT, XVIII, Treccani, Roma, 1989, p. 10 ss. 100 C. LEGA, Principi costituzionali in tema di compenso del lavoro autonomo, in Giur. it., 1960,
I, p. 343; G. GIACOBBE, voce Lavoro autonomo, cit., p. 431 s. In riferimento al lavoro
parasubordinato, con diverse precisazioni, G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro
«parasubordinato», cit., spec. p. 23 s. 101 A partire da Cass. 4 luglio 1963, n. 1796, in MGC, 1963, p. 852. 102 Corte cost. 7 luglio 1964, n. 75, in GCost, 1964, p. 751, e in RTDPC, 1973, p. 1643, con nota
di P. PALAZZO, La prestazione d’opera professionale e l’art. 36 della Costituzione, in riferimento
alla questione di costituzionalità – dichiarata infondata – di una norma speciale che aveva
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consolidarsi nel diritto vivente, propenso ad escludere dal novero dei beneficiari
della garanzia costituzionale tutti i lavoratori autonomi103.
Comincia così a maturare una sensibilità critica verso la costruzione
dicotomica concepita in termini di «tutto o nulla»104, che a distanza di pochissimi
anni dalla riforma processuale del 1973, di cui si dirà appresso, parte della
dottrina individuerà con l’efficace immagine del «deserto» delle tutele del lavoro
autonomo contrapposto alla «giungla» del diritto del lavoro subordinato105.
6. La (limitata) estensione delle garanzie lavoristiche al lavoro
«parasubordinato»
Solo con la riforma del processo del lavoro realizzata con la l. 533/1973
alcune garanzie proprie del rapporto di lavoro subordinato vengono estese anche
ai «rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale e ad altri rapporti di
collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e
coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato»106
(art. 409, n. 3, c.p.c., come modificato dalla l. 533/1973).
Se il riferimento al contratto di agenzia – la cui aggiunta al testo iniziale
individuava una fattispecie negoziale tipica già identificata come modello
sociale prevalente di collaboratori nell’impresa ricondotti contrattualmente alla
locatio operis107 (a seguito di un percorso di fuoriuscita dalle file del mondo
previsto, per determinate categorie di atti notarili, un dimezzamento del compenso dovuto al
notaio; Corte cost. 23 aprile 1965, n. 30, in Giur. cost., 1965, p. 283, con nota di D. SERRANI,
Brevi note in tema di libertà contrattuale e principi costituzionali, in riferimento
all’inapplicabilità dell’art. 36 Cost., «concernente i rapporti di lavoro subordinato», ai rapporti
«fra contrapposte categorie di imprenditori»; Corte cost. 20 maggio 1970, n. 75, in Giur cost.,
1970, p. 1014, in riferimento alla questione di legittimità costituzionale – anch’essa dichiarata
infondata – dell’art. 1751 c.c. previgente, nella parte in cui disponeva che l’indennità prevista a
favore dell’agente in caso di cessazione del rapporto fosse dovuta solo se il contratto si fosse
sciolto per fatto non imputabile a quest’ultimo. 103 Come si avrà modo di evidenziare infra, Cap. III, Sez. I, § 8.1. 104 In tal senso A.C. JEMOLO, Prestazione professionale e lavoro subordinato, in Riv. dir. civ.,
1968, II, p. 407, che già avverte quel «tutto o nulla che stanno ai due lati di questa sottilissima,
spesso invisibile, linea discriminatoria». 105 G. GIUGNI, La giungla e il deserto, in Pol. dir., 1977, n. 4, p. 349 ss. 106 V. sin d’ora G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit.; M. PEDRAZZOLI,
voce Opera (prestazioni coordinate e continuative), in NNDI, app. V, Utet, Torino, 1984, p. 472
ss.; M.V. BALLESTRERO, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, in LD, 1987, n. 1, p. 41
ss. 107 G. GHEZZI, Del contratto di agenzia, in A. SCIALOJA, G. BRANCA (a cura di), Commentario
del codice civile, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma, 1970; E. ZANELLI, Storia e teoria
del rapporto di agenzia, in Studi urbinati, XXXII, 1963, il quale definisce l’agente «un locator
operarum senza retribuzione» (p. 173). Sul punto, v. in seguito A. PERULLI, Il lavoro autonomo,
cit., p. 135 ss., e G. FERRARO, Dal lavoro subordinato al lavoro autonomo, in AIDLASS, Impresa
e nuovi modi di organizzazione del lavoro. Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro di
Salerno, 22-23 maggio 1998, Giuffrè, Milano, 1999, p. 35, ove si rileva che «il contratto di
34
impiegatizio che si era consolidato già in epoca corporativa108) – anche il
riferimento ai «rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni
d’opera continuativa e coordinata», non era del tutto inedito.
Esso era già presente nel disegno di legge Rubinacci per una legge
sindacale109, ove era stato proposto di prevedere (art. 24) che le associazioni
sindacali registrate potessero stipulare «accordi economici collettivi per la
disciplina dei rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione
d’opera coordinata e continuativa»110, nonché, successivamente, nella legge
Vigorelli (l. 741/1959), la quale aveva ricompreso nell’ambito del sistema volto
a garantire minimi di trattamento economico e normativo applicabili erga omnes
mediante il recepimento dei contratti e accordi collettivi sottoscritti in
precedenza anche i «rapporti di associazione agraria, di affitto a coltivatore
diretto e […] di collaborazione che si concretino in prestazione d'opera
continuativa e coordinata» (art. 2, l. 741/1959)111.
Con la riforma del 1973, la categoria di rapporti indicati dalla disposizione
processuale – che comprende sia rapporti di prestazione d’opera tipici (agenzia
e rappresentanza commerciale) che atipici («altri» rapporti di collaborazione
agenzia rappresenta il vero modello alternativo al lavoro subordinato, in quanto
morfologicamente abbastanza comparabile allo stesso, e al tempo stesso speculare per quanto
concerne la natura del rapporto giuridico e le modalità organizzative». Nel senso che il contratto
di agenzia rappresenti il «prototipo legislativo della categoria dei rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa», anche successivamente, E. GHERA, Il lavoro autonomo nella riforma
del diritto del lavoro, in RIDL, 2014, I, p. 511. 108 Lo rileva G. GHEZZI, Del contratto di agenzia, cit. p. 10, richiamando W. BIGIAVI, Sul
concetto di agente di commercio, in Studi urbinati, n. 3-4, 1931, p. 38 ss. Sul punto, G. ZILIO
GRANDI, Lavoro gestorio e subordinazione. Una ricostruzione storico-critica, Cedam, Padova,
2007. 109 Ddl 4 dicembre 1951 (doc. n. 2380), Disposizioni per la disciplina giuridica dei rapporti di
lavoro, che può leggersi, unitamente alla Relazione di accompagnamento, in RDL, 1951, III, p.
86 ss. 110 La Relazione al disegno di legge testimonia come il concetto di parasubordinazione fosse già
noto nei primissimi anni ’50 laddove adduce tra le ragioni che hanno indotto a prevedere la
possibilità di stipulare «accordi economici collettivi» anche in relazione a lavoratori non
subordinati nel fatto che «vi sono, però, particolari rapporti che, pur intercorrendo tra datori di
lavoro, hanno una speciale fisionomia, sono cioè caratterizzati dalla soggezione di una delle due
parti contraenti all’altra. Tale è il caso degli agenti e rappresentanti di commercio o degli agenti
di assicurazione, il cui rapporto con le rispettiva imprese preponenti di concreta nella esecuzione
di un lavoro strettamente coordinato alle direttive impartite e alle quali l’agente deve conformarsi
nella propria gestione tecnica, amministrativa e organizzativa. L’agente pertanto, pur rivestendo
la qualifica di datore di lavoro, sia pure in potenza, viene a trovarsi nei confronti dell’impresa
preponente, in uno stato di soggezione paragonabile, sotto certi aspetti, al lavoro subordinato».
Sul punto, R. PURPURA, Lavoratori autonomi e liberi professionisti nel disegno di legge
sindacale, in RDL, 1952, I, p. 241 ss.; C. LEGA, Disciplina intersindacale dei rapporti economici
collettivi, in Dir. lav., 1953, I, p. 91 ss., spec. p. 94 ss. 111 I suddetti accordi economici relativi alle imprese industriali ed alle imprese commerciali sono
stati recepiti, rispettivamente, nei DPR 16 gennaio 1961, n. 145 e 26 dicembre 1960, n. 1842.
Sul punto G. GIUGNI, La disciplina del trattamento minimo di categoria, in RTDPC, 1959, p.
863 ss.; L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, cit., p. 162.
35
coordinata e continuativa), ma in ogni caso di natura autonoma112 – viene
investita di due ordini di tutele, processuali e sostanziali. Innanzitutto
l’applicazione del nuovo rito del lavoro, ispirato ad un’attenuazione dei
formalismi propri del processo civile ordinario e al rafforzamento dei poteri
istruttori del magistrato del lavoro. In secondo luogo, l’applicazione del
novellato art. 2113 c.c., volto a impedire la dismissione, da parte del contraente
debole del rapporto, dei diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge o
dei contratti (e soprattutto, per quanto qui interessa, accordi) collettivi.
Se pure l’introduzione della categoria di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. assumeva
un rilievo di natura essenzialmente processuale113, parte della dottrina formatasi
all’indomani della riforma non mancò di scorgere nella riforma il segno di una
ulteriore estensione della disciplina lavoristica, al di là dei rapporti di
subordinazione in senso tecnico, arrivando a scorgere nella «dipendenza
economica» del prestatore d’opera coordinata e continuativa – concetto che si
riteneva presupposto, ancorché implicito, della previsione codicistica114 – il
cardine di una disciplina a tutela del lavoro personale non subordinato che si
sarebbe potuta arricchire con l’applicazione analogica di disposizioni
lavoristiche anche diverse da quelle esplicitamente richiamate dal legislatore115,
sulla scorta di una loro interpretazione orientata alle previsioni costituzionali116.
Altri invece, tutto all’opposto, hanno ravvisato nel dettato nell’art. 409, n. 3,
c.p.c., una funzione di argine della tendenza espansiva del diritto del lavoro117,
112 Al punto che v’è chi aveva giudicato “superfluo” l’inciso «anche se non a carattere
subordinato», A. PROTO PISANI, Controversie individuali di lavoro, Utet, Torino, 1993, p. 38,
ove si osserva come si tratti di rilievo diffuso. 113 Come rivelano già i primi contributi, attenti soprattutto all’individuazione dell’ambito di
applicazione soggettivo delle nuove previsioni del codice di rito, e dunque dei rapporti di lavoro
non subordinato ad esse soggetti: A. CESSARI, Sul campo soggettivo di applicazione del nuovo
rito del lavoro, in Dir. lav., 1974, I, p. 17 ss.; G. GHEZZI, I rapporti di diritto privato soggetti al
nuovo rito, in AA. VV., Il nuovo processo del lavoro, Atti della tavola rotonda di Firenze, 2
febbraio 1974, Giuffrè, Milano, 1977, p. 37 ss.; G. PERA, Rapporti cosiddetti di
parasubordinazione e rito del lavoro, in RDP, 1974, p. 422 ss. Sulla funzione essenzialmente
processuale della disposizione di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., da ultimo, D. BORGHESI, La l. n.
81/2017 inserisce nell’art. 409 c.p.c. una norma omeopatica, in Lav. giur., 2017, n. 8-9, p. 737
s. 114 Sulla scorta di un’interpretazione coerente con la ratio sottesa all’emersione della categoria
dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nella legislazione precedente, v. supra
nt. 110. 115 G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit., spec. p. 23 ss. e 95 ss., ove si
propende per l’applicazione ai rapporti di lavoro parasubordinato dei principi di cui all’art. 36
Cost., della normativa degli artt. 2126 e 2049 c.c., di quella relativa alla prescrizione e alla
rivalutazione dei crediti di lavoro. 116 A.M. GRIECO, Lavoro parasubordinato e diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 1983, che pur
partendo da premesse divergenti da quelle dell’A. citato alla nota precedente, approda ad esiti
parzialmente analoghi. 117 M. PEDRAZZOLI, Collaborazione autonoma e rito del lavoro (riflessioni sulla portata
sistematica dell’art. 409, n. 3, c.p.c., in RIDL, 1984, I, p. 506 ss.; ID., Voce Opera (prestazioni
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sottolineando come ciò che la dottrina denomina lavoro «parasubordinato» sia,
per espressa previsione del legislatore, lavoro «non subordinato» e che anzi con
la norma processuale il legislatore abbia ascritto al lavoro autonomo «fattispecie
che, in difetto di questa qualificazione, gli interpreti avrebbero potuto ricondurre
al tipo lavoro subordinato»118.
Così evidenziate le due chiavi di lettura del lavoro parasubordinato si può
apprezzare appieno la latente ambiguità funzionale della previsione di cui all’art.
409, n. 3, c.p.c., la quale «se da una parte aspira a delimitare l’area della
dipendenza assorbendone alcuni valori, da un’altra parte contiene delle costanti
potenzialità di erosione degli spazi di tutela di soggetti sostanzialmente integrati
nel processo produttivo»119.
In ogni caso, la giurisprudenza generalmente non ha dubitato (all’indomani
della novella del 1973 così come nei decenni successivi) che il lavoro
parasubordinato – ancorché sovente bisognoso di una tutela in parte analoga a
quella prevista per il lavoro dipendente, alla luce della riconosciuta condizione
di «subordinazione socio-economica» in cui versa il collaboratore120 – dovesse
essere ricondotto con nettezza al mondo del lavoro autonomo121, giungendo ad
affermare, in modo per vero abbastanza lapidario, che «il carattere di
parasubordinazione rileva ai soli fini processuali e non a fini sostanziali»122.
Una nozione di parasubordinazione valevole a fini non inerenti alla
disciplina del rapporto sarebbe poi stata introdotta, una dozzina di anni dopo la
riforma del processo del lavoro, dal legislatore fiscale, il quale ai fini della
qualificazione dei redditi delle persone fisiche avrebbe affiancato ad una serie di
coordinate e continuative), cit., p. 488, ove si sostiene che «è da sottoporre a critica lo stesso
assunto consueto, per cui l’art. 409, n. 3 costituirebbe una nuova tappa della cosiddetta tendenza
espansiva del diritto del lavoro […] a me pare che il senso prevalente della norma sia piuttosto
quello di porle un limite rigoroso». In senso adesivo, sia pure con diverse precisazioni, M.V.
BALLESTRERO, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, cit., p. 44 ss. 118 Ivi, p. 48. 119 G. FERRARO, Dal lavoro subordinato al lavoro autonomo, cit., p. 91. 120 Così Corte cost. 19 febbraio 1976, n. 29, in Foro it., 1976, I, c. 508, la quale ha affermato,
mediante sentenza interpretativa di rigetto, che l’art. 409, n. 3, c.p.c., può trovare applicazione
anche al lavoro nautico, avendo la riforma del processo del lavoro proceduto all’abrogazione
tacita, per quanto concerne i rapporti di collaborazioni coordinata e continuativa, dell’art. 603
cod. nav. e delle norme collegate che individuavano la competenza speciale del comandante di
porto. 121 Particolarmente esplicita Corte cost. 24 luglio 1995, n. 365, in Giur. cost., 1995, p. 2708 ss.,
secondo cui i rapporti di parasubordinazione (nel caso di specie, prestazioni di trasporto
coordinato e continuativo) «restano nell'area del lavoro autonomo», con la conseguenza che non
trova applicazione il regime prescrizionale dei crediti dal lavoro subordinato, senza che ciò
comporti una violazione degli artt. 3 e 35 Cost. 122 Cass. 2 marzo 1995, n. 2426, in NGL, 1995, p., 529, la quale in parte motiva offre
un’interessante panoramica della giurisprudenza che aveva in precedenza negato ai rapporti di
agenzia e di collaborazione coordinata e continuativa le garanzie lavoristiche non espressamente
estese a tali categorie di rapporti.
37
ipotesi tipiche (quali gli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società,
associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, la collaborazione a
giornali, riviste, enciclopedie e simili, la partecipazione a collegi e commissioni)
anche una categoria generale rappresentata dagli «altri rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa» (art. 49, comma 2, d.p.r. 917/1986), precisando
tuttavia che «si considerano tali i rapporti aventi per oggetto la prestazione di
attività, non rientranti nell'oggetto dell’arte o professione esercitata da
contribuente […], che pur avendo contenuto intrinsecamente artistico o
professionale sono svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un
determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza
impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita». Si tratta,
come è stato osservato123, di una nozione più ristretta e non sovrapponibile a
quella prevista dall’art. 409, n. 3, c.p.c., dalla quale si differenzia soprattutto per
quanto concerne il carattere esclusivamente personale della prestazione, benché
il legislatore abbia successivamente definito anche tali rapporti come di
«parasubordinazione» (art. 5 d.lgs. 38/2000).
Rinviando ad altra sede per quanto concerne la fisionomia attuale dei rapporti
di collaborazione coordinata e continuativa124, può qui provvisoriamente
concludersi che, con l’introduzione della categoria dei rapporti di
parasubordinazione, il tema del lavoro autonomo e delle sue tutele – siano esse
da costruire in termini identici, simili o diametralmente opposti rispetto a quelle
del lavoro subordinato – torna ad essere al centro delle attenzioni della dottrina,
per quanto la categoria del lavoro parasubordinato paia interessare più che altro
perché essa si colloca nei «dintorni»125 del lavoro dipendente.
7. La “crisi” della subordinazione e la “riscoperta” del lavoro autonomo
A partire dalla seconda metà degli anni ‘80 quella che abbiamo sinora
definito «tendenza espansiva» del diritto del lavoro (subordinato) segna una
battuta d’arresto. Le trasformazioni dei modelli organizzativi e produttivi che
accompagnano il decennio, unitamente a quelle emergenti nella società civile,
impongono una rimeditazione della nozione e della funzione della
subordinazione quale porta d’accesso alle garanzie del lavoro subordinato.
La giurisprudenza, per parte sua, si dimostra più propensa ad accogliere le
suggestioni, provenienti da una parte della dottrina126, volte ad attribuire
123 L. NOGLER, La doppia nozione giuslavoristica di parasubordinazione, in MGL, 2000, n. 10,
p. 1024 ss. 124 Infra, Cap. II, § 4 e ss. 125 Il riferimento è evidentemente a M. PEDRAZZOLI (a cura di), Lavoro subordinato e dintorni,
cit. 126 Soprattutto P. ICHINO, Subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, Giuffrè, Milano,
1989, spec. cap. I; ID., Autonomia privata individuale e qualificazione del rapporto di lavoro, in
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maggiore rilevanza alla volontà individuale delle parti nel processo di
qualificazione del rapporto di lavoro127, assegnando al nomen iuris una valenza
discretiva, quantomeno nei casi in cui l’utilizzo degli altri indici sino ad allora
elaborati conducesse a risultati equivoci128, e ciò tanto più quando
l’accertamento del carattere subordinato del rapporto venisse richiesto dall’ente
previdenziale, piuttosto che dal lavoratore interessato129.
In quella stessa giurisprudenza pare arrestarsi la spinta espansiva della
fattispecie «subordinazione», che viene (o torna) a essere intesa in senso
maggiormente restrittivo, quale «assoggettamento del lavoratore al potere
organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro al potere
organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro»130 – e sin qui nulla di
(troppo) nuovo131 – il quale tuttavia, secondo un filone particolarmente rigoroso
emerso in quegli anni, «deve estrinsecarsi nell'emanazione di ordini specifici,
oltre che nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo
nell'esecuzione delle prestazioni lavorative, e deve essere concretamente
apprezzato con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al
modo della sua attuazione»132, non considerandosi sufficiente ai fini della
configurazione di un rapporto di lavoro subordinato l’esistenza di «direttive
AA. VV., Autonomia negoziale e prestazioni di lavoro, Giuffrè, Milano, 1993, p. 2 ss.; ID.,
Libertà formale e libertà materiale del lavoratore nella qualificazione della prestazione come
autonoma o subordinata, cit., p. 76 ss. (in relazione alla nota vicenda dei pony espress). 127 Che si tratti di un orientamento sviluppatosi in tempi (allora) recenti lo rileva F. LUNARDON,
La subordinazione, in C. CESTER (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e
svolgimento, in F. CARINCI (diretto da), Diritto del lavoro, II, Utet, Torino, 1998, p. 16. 128 Tra le apripista, già nella prima metà degli anni ’80, v. Cass. 20 aprile 1983 n. 2728, in RIDL,
1984, II, p. 302, secondo cui «il principio per cui, ai fini della distinzione fra rapporto di lavoro
autonomo e rapporto di lavoro subordinato è necessario avere riguardo all'effettivo contenuto del
rapporto stesso, indipendentemente dal nomen iuris usato dalle parti, non implica che la
dichiarazione di volontà di queste in ordine alla fissazione di tale contenuto o di un elemento di
esso, qualificante ai fini della suddetta distinzione, debba essere stralciata nell'interpretazione
del precetto contrattuale e che non debba tenersi conto del relativo reciproco affidamento delle
parti». In termini, nella giurisprudenza successiva, Cass. 25 febbraio 1987, n. 2011, GCM, 1987,
n. 2; Cass. 19 maggio 1987, n. 4565, GCM, 1987, n. 5; Cass. 16 luglio 1987, n. 6284, GCM,
1987, n. 7. 129 V. ad es. Cass. 17 novembre 1994, n. 9718, in Inf. prev., 1995, p. 108. 130 Ex plurimis, Cass. 20 aprile 1983, n. 2728, cit.; Cass. 3 giugno 1985, n. 3310, in Giur. it.,
1986, n, 1, I, p. 1061; Cass. 10 luglio 1991, n. 7608, cit. 131 Come rileva L. MENGHINI, Subordinazione e dintorni: itinerari della giurisprudenza, cit., p.
171. 132 Tra le prime Cass. 10 luglio 1991, n. 7608, cit.; Cass. 14 luglio 1993, n. 7796, in RIDL, 1994,
II, p. 317, con nota di L. NOGLER, Forza contrattuale delle parti e qualificazione del rapporto
di lavoro del direttore generale di una s.p.a. con società collegate; Cass. 1 febbraio 1993, n.
1182; Cass. 17 novembre 1994, n. 9718, cit.; Cass. 16 gennaio 1996, n. 326, in Rep. Foro it.,
1996, voce Lavoro (rapporto), n. 416.
39
programmatiche e prescrizioni predeterminate ovvero un controllo estrinseco
dell’attività del prestatore di lavoro, attinente al risultato della medesima»133.
Al di là dell’evoluzione della giurisprudenza, pur sempre capace di risolvere,
sia pure in modo inappagante, le questioni in materia qualificazione del
rapporto134, a partire dagli anni ’80 si registra in dottrina un senso di crescente
smarrimento, se non di vera e propria «disperazione»135, rispetto al problema
della subordinazione, secondo almeno due direttive fondamentali.
In primo luogo, come dato di fattispecie136 caratterizzante la collaborazione
di cui all’art. 2094 c.c., la nozione di subordinazione pare sempre più
inafferrabile di fronte ai «nuovi lavori»137 che si pongono all’attenzione degli
interpreti, figli di modelli di organizzazione del lavoro (già allora) facilitati dalla
rivoluzione tecnologica (si pensi al nutrito contenzioso in materia di pony
express138, oggi da più parti richiamato nel contesto del dibattito sul lavoro nella
gig economy139), complici oltretutto l’incertezza circa le preliminari opzioni
metodologiche140.
Né troppa fortuna sortirà la pur autorevole prospettiva, volta a individuare
l’essenza della nozione della subordinazione non già nell’etero-direzione, ormai
133 Circostanze ritenute compatibili con l’autonomia del prestatore da Cass. 3 aprile 1990, n.
2680, in RGL, 1991, II, p. 196. 134 Al punto che ancora alla fine degli anni ’80 osserva M. D’ANTONA, La subordinazione e oltre.
Una teoria giuridica per il lavoro che cambia, in M. PEDRAZZOLI (a cura di), Lavoro subordinato
e dintorni, cit., p. 43, che «se dovessimo giudicare dai repertori della giurisprudenza, dovremmo
dire che il problema della subordinazione non esiste, o almeno che non esiste oggi in modo
sostanzialmente diverso da ieri o l’altro ieri». 135 Scriveva Giuseppe Pera nel 1987, con la consueta sintetica efficacia che caratterizza le sue
Noterelle, che il tema del rapporto tra lavoro autonomo e lavoro subordinato solleva «molta
diatriba con accenti di disperazione nella constatata impossibilità di una linea distintiva sicura»
(oggi in G. PERA, Noterelle. Diario di un ventennio, a cura di V.A. POSO, Giuffrè, Milano, 2004,
p. 33). 136 Nel senso di «sintesi dei criteri che valgono a qualificare un rapporto di lavoro come rapporto
di lavoro subordinato» (M. D’ANTONA, La subordinazione e oltre, cit., p. 43 s.) ovvero di
«contenuto, elemento o dato strutturale, discretivo di una fattispecie negoziale e atto a distinguere
un (sotto)tipo di contratto di lavoro da un altro» (M. PEDRAZZOLI, La parabola della
subordinazione, cit., p. 378). 137 G. DEODATO, E. SINISCALCHI (a cura di), Autonomia e subordinazione nelle nuove figure
professionali del terziario. Atti del Convegno CSDN di Milano,10 ottobre 1987, Milano,
Giuffrè, 1988. 138 Supra, nt. 50. 139 Per il momento, M. BIASI, Dai pony express ai riders di Foodora. L’attualità del binomio
subordinazione autonomia (e del relativo metodo d’indagine) quale alternativa all’affannosa
ricerca di inedite categorie, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo
Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 67 ss. Sul punto infra, Cap. IV. § 7.4. 140 Sul delicato problema del metodo, su cui non è possibile soffermarsi in questa sede, L.
NOGLER, Metodo tipologico e qualificazione dei rapporti di lavoro subordinato, in RIDL, 1990,
I, p. 182 ss.; L. MENGONI, Il contratto individuale di lavoro, cit., spec. p. 192 ss., anche per gli
ulteriori riferimenti alla diatriba consumatasi tra i sostenitori del metodo tipologico e quelli del
metodo sussuntivo. Per una panoramica recente, R. SCIOTTI, La subordinazione come fattispecie
unitaria complessa, Giappichelli, Torino, 2014, p. 41 ss.
40
divenuta criterio di difficilissima utilizzazione, ma piuttosto nella condizione di
“doppia alienità” in cui versa il lavoratore subordinato141, che la successiva
giurisprudenza costituzionale avrebbe ravvisato nell’alienità «del risultato per il
cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata» e nell’alienità
«dell’organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce»142. Non solo
infatti va ricordato che la celebre sentenza estesa da Luigi Mengoni ebbe l’effetto
pratico di negare piena cittadinanza lavoristica al lavoro associato143 (secondo
una linea che sarebbe stata sconfessata dal legislatore pochi anni più tardi con la
l. 142/2001144), ma soprattutto pare che, con alcune eccezioni, la tesi, nonostante
l’autorevolezza dello scranno, abbia alquanto faticato a trovare affermazione, in
una giurisprudenza ancora (e tuttora) tesa a ricercare i tratti dell’etero-direzione
della prestazione lavorativa, al punto che vi è chi ha denunciato che alla
pronuncia de qua «sia solitamente riservata la stessa attenzione che si potrebbe
dedicare all’opinione di un Tribunale di provincia»145.
Ma soprattutto, si osserva, la subordinazione non rappresenta più un
appagante criterio di selezione146 dei destinatari delle tutele di un diritto del
lavoro concepito nella diade oppositiva dell’all or nothing, rilevandosi da più
parti che il suo utilizzo come «criterio pratico discriminante tra lavoro protetto e
lavoro non protetto»147 aveva finito per consentire, da un lato, «generose
141 A partire da U. ROMAGNOLI, La prestazione di lavoro nel contratto di società, cit., spec. p.
197; L. MENGONI, Lezioni sul contratto di lavoro, Celuc, Milano, 1971, p. 42; L. MARIUCCI, Il
lavoro decentrato. Discipline legislative e contrattuali, Franco Angeli, Milano, 1979, p. 90,
secondo cui «è proprio questa separazione dal prodotto del lavoro e dalla organizzazione in cui
questo è inserito che segna la discriminante con il lavoro autonomo». 142 Il riferimento è ovviamente a Corte cost. 5 febbraio 1996, n. 30, oggi anche in L. MENGONI,
Contratto di lavoro, a cura di M. NAPOLI, Vita e pensiero, Milano, 2004, p. 149 ss. 143 Lo rileva puntualmente F. MARTELLONI, Uno statuto del lavoro oltre la subordinazione nel
solco del disegno costituzionale, in A. PERULLI (a cura di), L’idea del diritto del lavoro, oggi. In
ricordo di Giorgio Ghezzi, Wolters Kluwer-Cedam, Assago, 2016, p. 236. 144 La quale come noto ha codificato la regola della coesistenza del rapporto associativo con
quello di lavoro. Per tutti, L. IMBERTI, Il socio lavoratore di cooperativa. Disciplina giuridica
ed evidenze empiriche, Giuffrè, Milano, 2012, spec. p. 140 ss. 145 M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, cit., p. 45. Sul punto anche ID., Lavoro
subordinato e lavoro autonomo, oggi, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 65/2008,
spec. p. 34 s. 146 E cioè «come elemento che riconduce, non a tutti i lavori, ma a certi lavori, un ordinamento
garantistico, un insieme di normative protettive» (ancora M. D’ANTONA, La subordinazione e
oltre, cit., p. 44), come «criterio di imputazione della legislazione sociale alla fattispecie, ovvero,
dopo e più modernamente, quale gate keeper delle normative protettive di diritto del lavoro»
(ancora M. PEDRAZZOLI, La parabola della subordinazione, cit., p. 379, il quale riconduce a
Barassi la sovrapposizione tra subordinazione-fattispecie e subordinazione-criterio di
imputazione. 147 L. MENGONI, Il contratto individuale di lavoro, cit., p. 194.
41
gratificazioni di ‘portoghesi’»148, e dall’altro, per negare i «tortellini» a «non
pochi poveracci, che avevano veramente fame»149.
Si comincia quindi a discorrere diffusamente di una «crisi della
subordinazione»150, talvolta traendone l’auspicio di una «rinascita del lavoro
autonomo»151 e si moltiplicano le proposte di manutenzione del sistema, le quali,
nel corso degli anni ’90, «una volta tipizzate e disciplinate dalla legge le forme
atipiche più importanti nell’area della subordinazione»152, daranno luogo a
proposte di riforma, concentrate soprattutto sulla ridefinizione della linea di
confine tra autonomia e subordinazione e sui modelli contrattuali (e sulle relative
tutele) da destinare agli abitanti della “zona grigia”, che si succederanno negli
anni con diversi contenuti e ispirazioni153.
In generale, poi, si assiste a una «riscoperta del lavoro autonomo» quale
mezzo di autoimpiego, più o meno sostenuto dall’intervento pubblico «a
sostegno dei processi di riorganizzazione produttiva ed alle ricorrenti crisi di
alcuni settori industriali»154.
Il lavoro autonomo, e lo schema elementare del contratto d’opera in
particolare, paiono costituire l’ossatura idonea a costruire uno zoccolo minimo
148 L. GAETA, Intervento sul tema: Il lavoro e i lavori, in LD, 1989, p. 217. 149 Secondo l’immagine concepita a fini didattici, con la consueta arguzia, da M. PEDRAZZOLI,
La parabola della subordinazione, cit. p. 371, nt. 43. 150 AA. VV., Le trasformazioni del lavoro. La crisi della subordinazione e l'avvento di nuove
forme di lavoro, Franco Angeli, Milano, 1999; R. DE LUCA TAMAJO, R. FLAMMIA, M. PERSIANI,
La crisi della subordinazione e della sua idoneità selettiva dei trattamenti garantistici. Prime
proposte per un nuovo approccio sistematico in una prospettiva di valorizzazione di un tertium
genus: il lavoro coordinato, in AA. VV., Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli,
cit., p. 331; E. GHERA, Prospettive del contratto individuale di lavoro (1999), ora in ID., Il nuovo
diritto del lavoro, cit., p. 167 ss.; L. MONTUSCHI, Sulla discussa “centralità” della fattispecie
“contratto di lavoro”, in AA. VV., Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, II,
Milano, Giuffrè, p. 1025 e ss.; M. BIAGI, Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2001,
p. 87 ss.; M. D’ANTONA, La subordinazione e oltre, cit. 151 A. PERULLI, Il diritto del lavoro tra crisi della subordinazione e rinascita del lavoro
autonomo, in LD, 1997, n. 2, p. 173 ss., ove l’invito ad aprire «l’universo cognitivo del diritto
del lavoro […] all’universo contermine dell’autonomia […] escogitando tutele parallele e
finanche coincidenti». 152 R. DEL PUNTA, Il diritto del lavoro fra due secoli. Dal Protocollo Giugni al decreto Biagi, in
P. ICHINO (a cura di), Il diritto del lavoro nell’Italia Repubblicana, cit, p. 357. 153 Per alcune panoramiche sulle diverse proposte de iure condendo degli anni ’90 – alcune delle
quali raccolte in AA. VV., Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli, cit., p. 285 ss. –
delle quali non è né possibile né necessario dare conto analiticamente in questa sede, cfr. G.
GHEZZI (a cura di), La disciplina del mercato del lavoro. Proposte per un Testo Unico, Ediesse,
Roma, 1996; M. PEDRAZZOLI, Consensi e dissensi sui recenti progetti di ridefinizione dei
rapporti di lavoro, in AA. VV., Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli, cit., p. 9
ss.; A. PERULLI, Il diritto del lavoro tra crisi della subordinazione e rinascita del lavoro
autonomo, cit.; R. DEL PUNTA, Il diritto del lavoro fra due secoli, cit., 357 ss. In una prospettiva
comparata, A. SUPIOT, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, DRI, 2000, n. 2, p. 217 ss., spec.
230 ss. 154 G. FERRARO, Dal lavoro subordinato al lavoro autonomo, cit., p. 8.
42
di tutele da destinare al lavoro «senza aggettivi» («sans phrase»)155, secondo una
prospettiva in linea con alcune proposte provenienti d’oltralpe, dove si profila
l’introduzione di un «droit de l’activité, qu’elle soit»156 e coerente d’altronde
con le ricorrenti riflessioni circa la necessità di tutelare il lavoro autonomo con
disposizioni «che non siano quelle proprie di qualsiasi contratto tra privati»157.
Il dibattito giuridico intorno al «problema» del lavoro autonomo, peraltro,
non rappresenta solo una risposta alla denunciata «crisi» della subordinazione,
nelle diverse accezioni che si sono rilevate, e alla contestuale «fuga» dal diritto
del lavoro (subordinato)158, ma risulta altresì incalzato dalle ricerche
sociologiche159, le quali mostrano da un lato la crescita esponenziale degli
appartenenti ai mondi delle professioni tradizionali e dall’altro la proliferazione
di nuove figure professionali, esito della frammentazione dell’impresa post-
fordista, che cominciano ad affollare un bacino, neppure troppo «grigio», ma
certamente bisognoso di tutele anche diverse da quelle proprie del lavoro
subordinato e destinate a trovare applicazione non solo nei confronti della
controparte contrattuale ma anche delle autorità pubbliche (in primis quelle
tributarie e previdenziali)160. Insomma: si cominciano a profilare le istanze per
la definizione di uno statuto concettuale (prima ancora che giuridico) del lavoro
autonomo161.
Certo è che, sul finire del Novecento, si sono ormai gettate distintamente le
basi per il superamento di quella «sineddoche mendace»162 che vuole che il
diritto del lavoro si esaurisca nel diritto del lavoro subordinato, e che il lavoro
dipendente non rappresenta più la forma esclusiva, ma solo il modello dominante
del “lavoro per altri” giuridicamente tutelato come tale163. Se è vero che
155 A. PERULLI, Locatio operis e lavoro «sans phrase», cit., p. 73 ss. 156 G. LYON-CAEN, Le droit du travail non salarié, Sirey, Paris, 1990; T. PRIESTLEY, À propos
du «contrat d’activité» proposé par le rapport Boissonat, in Droit social, 1995, p. 955 ss. 157 G. GHEZZI, Proposte per un «Testo Unico» in tema di mercato del lavoro, in Lav. giur., 1995,
p. 232. 158 F. LISO, La fuga dal diritto del lavoro, in Ind. Sind., 1998, n. 28, p. 1 ss. 159 S. BOLOGNA, A. FUMAGALLI (a cura di), Il lavoro autonomo di seconda generazione. Scenari
del post-fordismo in Italia, cit.; P. BARBIERI, Lavoro autonomo «di seconda generazione»:
problemi e prospettive, cit., p. 263 ss. Per una recente indagine di lungo periodo, C. RANCI, Come
cambiano le figure: uno sguardo di lungo periodo, in ID., Partite Iva, cit., spec. p. 89 ss. 160 R. SEMENZA, A. MORI, P. BORGHI, Alla ricerca di cittadinanza: il lavoro autonomo
professionale in Italia, Germania e Regno Unito, in Quad. Rass. Sind., 2017, 18, 1, p. 41 ss. 161 S. BOLOGNA, Dieci tesi per la definizione di uno Statuto del lavoro autonomo, in S. BOLOGNA,
A. FUMAGALLI (a cura di), Il lavoro autonomo di seconda generazione, cit., p. 13 ss., che per
«statuto» del lavoro autonomo intende «non solo la definizione esatta delle sue caratteristiche e
delle sue modalità di esistenza, che lo rendono una figura socialtipica distinta nettamente da altre
figure, ma anche la sua riconoscibilità». 162 L’espressione è di M. PEDRAZZOLI, Dal lavoro autonomo al lavoro subordinato, in AIDLASS,
Impresa e nuovi modi di organizzazione del lavoro, cit., p. 98 e 103. 163 R. CASTEL, Travail et utilité au monde, in A. SUPIOT (dir.), Le travail en perspectives, LGDJ,
Paris, 1998, p. 16.
43
l’universo cognitivo del diritto del lavoro si comincia ad aprire «all’universo
contermine dell’autonomia»164, mentre ormai sono già salpati non pochi
«bastimenti carichi di A.»165, la traduzione di tale apertura da parte del
legislatore, tuttavia, non si rivelerà all’altezza delle aspettative.
8. La risposta normativa del lavoro a progetto
Alle prese con la «brutta gatta da pelare»166 rappresentata dalla già
denunciata sovrapposizione tra subordinazione come dato di fattispecie e
subordinazione come gate keeper delle tutele del diritto del lavoro, all’alba del
nuovo millennio il legislatore, rifacendosi alle ultime tra le proposte maturate in
ambiente politico-dottrinale167, rispondeva delegando il governo a intervenire
sulla disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative prevedendone la
stipulazione mediante un atto scritto da cui ne risultasse la durata, determinata o
determinabile, nonché la riconducibilità «a uno o più progetti o programmi di
lavoro o fasi di esso, resi con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di
subordinazione» (art. 4, l. 30/2003).
In adempimento di tale delega, veniva emanato il d.lgs. 276/2003, che
avrebbe profondamente segnato il decennio successivo – meritando un posto da
protagonista (nel bene e nel male) nel dibattito giuridico, politico e sociale,
mostrandosi segno tangibile di quella condizione di “precarietà” del lavoro,
termine che comincia a diffondersi proprio in quegli anni168 – fino alla sua
parziale abrogazione e riscrittura da parte del d.lgs. 81/2015, rispetto al quale i
primi commentatori non mancarono di evidenziare gli elementi indicanti
l’emersione di un “nuovo” mercato del lavoro169, destinando tuttavia anche
critiche severe all’opzione di politica del diritto sottesa170.
Come noto, il decreto Biagi, per quanto qui interessa, aveva previsto che i
rapporti di collaborazione di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., avrebbero dovuto
«essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi
164 A. PERULLI, Il diritto del lavoro tra crisi della subordinazione e rinascita del lavoro
autonomo, cit., p. 199. 165 U. ROMAGNOLI, Arriva un bastimento carico di «A.», cit., p. 31. 166 M. PEDRAZZOLI, La parabola della subordinazione, cit., p. 379. 167 Cfr. T. TREU, Politiche del lavoro, Bologna, 2001, p. 317 ss.; M. BIAGI, Competitività e
risorse umane: modernizzare la regolazione dei rapporti di lavoro, in RIDL, 2001, I, p. 257 ss. 168 L. GALLINO, Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Laterza, Roma-Bari, 2007; A.
ACCORNERO, San Precario lavora per noi, Rizzoli, Milano, 2006. 169 M. PEDRAZZOLI (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276,
Zanichelli, Bologna, 2004; R. DE LUCA TAMAJO, G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), Il nuovo
mercato del lavoro. Commentario al D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 («Riforma Biagi»),
Cedam, Padova, 2007. 170 G. GHEZZI (a cura di), Il lavoro tra progresso e mercificazione. Commento critico al decreto
legislativo n. 276/2003, Ediesse, Roma, 2004.
44
di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore
in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione
del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione
della attività lavorativa» (art. 61, d.lgs. 276/2003, nella versione originaria).
Con le successive previsioni del capo I del Titolo VII del decreto,
disciplinanti i diversi momenti della costituzione, dello svolgimento e della
cessazione del rapporto di lavoro a progetto (un rapporto necessariamente a
termine, di durata determinata o determinabile), oltre che le conseguenze
sanzionatorie in caso di mancata individuazione del progetto, il legislatore
introduceva un corpus normativo che fotografava la «fisionomia dominante»171
dei rapporti di lavoro autonomo coordinato, divenuto “a progetto” e quindi
finalmente munito di un vero e proprio «tipo contrattuale»172, nella quale alle
istanze regolative del lavoro parasubordinato – ormai affermatosi nel tessuto
occupazionale del paese, soprattutto a partire dalla riforma previdenziale del
1995173 – si affiancava una spiccata finalità antielusiva, di repressione del bogus
self-employment, che il progetto avrebbe dovuto, nelle esplicite intenzioni del
legislatore174, contribuire a debellare175.
171 F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione, cit., p. 119 172 M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, Cedam, Padova, 2013, p. 79. Nel senso
che i rapporti di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., delineassero invece una «fattispecie a-negoziale»,
M. PEDRAZZOLI, Il mondo variopinto delle collaborazioni coordinate e continuative, in ID. (a
cura di), Il nuovo mercato del lavoro, cit., p. 633, e G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro etero-
organizzato, coordinato, agile e telelavoro: un puzzle non facile da comporre nell’impresa in
via di trasformazione, in DRI, 2017, n. 3, p. 772, secondo cui nell’art. 409, n. 3, c.p.c. (a
differenza che nell’art. 61, d.lgs. 276/2003) il legislatore non individua un tipo legale ma «una
categoria di rapporti di varia origine […] accomunati da modalità di esecuzione della prestazione
lavorativa». 173 M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, cit., p. 53; G. SANTORO PASSARELLI, Opinioni
sul lavoro a progetto, in DLRI, 2006, n. 2, p. 389, secondo il quale l’aumento «in misura
abnorme» delle collaborazioni coordinate e continuative è dipeso dall’aliquota contributiva del
14% previsto dalla riforma Dini (l. 335/1995), di gran lunga meno onerosa rispetto a quella
dovuta per i compensi di lavoro subordinato, oltre che dalla non applicazione della disciplina sui
licenziamenti individuali. 174 Di «fine dell’abuso delle collaborazioni coordinate e continuative» parlava la relazione di
accompagnamento la relazione con cui il Governo presentò al Parlamento il testo che verrà poi
emanato come d.lgs. 276/2003, nella quale si esplicitava come le adottande misure «superano la
farisaica accettazione» delle diffuse pratiche di abuso delle collaborazioni e «riconducono le
attuali co.co.co. o al lavoro subordinato o al lavoro a progetto, forma di lavoro autonomo che
non può dare luogo alle facili elusioni riscontrate pena la trasformazione in rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato». 175 Sulla ratio eminentemente antielusiva della nuova disciplina A. PERULLI, Opinioni sul lavoro
a progetto, in DLRI, 2006, n. 2, p. 376, che la reputava comunque inidonea rispetto al fine
prefissato (spec. p. 389, ove si auspicava «una diversa razionalizzazione della materia, lasciando,
com’è naturale, al giudice il compito di riqualificare il contratto a fronte di un utilizzo
fraudolento della fattispecie, comunque essa venga legislativamente riformulata»; G. SANTORO
PASSARELLI, Opinioni sul lavoro a progetto, cit., p. 390 s., e già ID., Prime chiose alla disciplina
del lavoro a progetto, in ADL, 2004, n. 1, p. 27, il quale rileva come la disciplina del lavoro a
45
Non è questa la sede per un’approfondita disamina di una disciplina cui,
prima della sua recente abrogazione ad opera del d.lgs. 81/2015, sono state
dedicate diverse indagini monografiche da parte di chi vi aveva scorto il
riconoscimento giuridico della figura del lavoro autonomo economicamente
dipendente176, ovvero la “fisionomia dominante” del lavoro autonomo
coordinato177, ovvero ancora la presa d’atto da parte del legislatore della
dimensione progettuale del lavoro post-fordista, che si afferma tanto sul versante
del lavoro autonomo coordinato quanto all’interno dello stesso lavoro
subordinato178. Alcuni dei fondamentali momenti di tale abrogata disciplina,
comunque, verranno presi in considerazione più avanti, quando nell’affrontare
alcuni punti critici della disciplina attualmente vigente – con particolare
riferimento al tema del recesso del committente179 e dell’equo compenso per il
collaboratore180, ma non solo181 – si andranno a verificare gli elementi di
continuità e, soprattutto, di rottura rispetto al regime precedente.
Merita tuttavia sin d’ora soffermarsi, ai fini della ricostruzione genealogica
delle fattispecie del lavoro autonomo coordinato, sul significato da attribuire alle
nozioni di «progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso» – tanto più
oggi che il legislatore ha precisato che anche il lavoro subordinato (“agile”) può
essere organizzato per «fasi, cicli e obiettivi» (art. 18, l. 81/2017) – nonché alla
natura della regola della conversione sancita in calce al capo relativo all’istituto
in questione, la quale stabiliva che «i rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto,
programma di lavoro o fase di esso […] sono considerati rapporti di lavoro
subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto».
Quanto alle nozioni di «progetto», «programma» e «fase»182, mentre una
parte della dottrina e della giurisprudenza ha letto i primi due termini come
un’endiadi, espressiva della tensione dell’attività verso quel risultato che
progetto si ponesse in controtendenza rispetto alle altri parti del decreto volte a “flessibilizzare”
la normativa del lavoro subordinato. 176 M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, cit., ma già ID., Il lavoro a progetto,
ritorno al futuro?, in ID., (a cura di), Il lavoro a progetto in Italia ed in Europa, Il Mulino,
Bologna, 2003, p. 93 ss. 177 F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione, cit. 178 M. BORZAGA, Lavorare per progetti. Uno studio su contratti di lavoro e nuove forme
organizzative di impresa, Cedam, Padova, 2012. 179 Infra, Cap. III, Sez. I, § 3.2. 180 Infra, Cap. III, Sez. I, § 8 e ss. 181 Si pensi alle nuove discipline della sospensione del rapporto per gravidanza, malattia e
infortunio (infra, Cap. III, Sez. I, § 7.1) e di quella in materia di invenzioni del lavoratore
autonomo (infra, Cap. III, Sez. I, § 6), le quali riprendono previsioni già contenute nella
disciplina del lavoro a progetto. 182 Su cui amplius G. PROIA, Riflessioni sulla nozione di coordinazione e sul rapporto tra il
progetto, il programma e la fase, in G. SANTORO PASSARELLI, G. PELLACANI (a cura di),
Subordinazione e lavoro a progetto, Utet, Torino, 2009, p. 141 ss.
46
costituisce l’oggetto vero e proprio del rapporto negoziale183, altri hanno
osservato come mentre il progetto rappresenta l’opus perfectum la cui
realizzazione è dedotta in contratto, il programma allude alla reiterazione di più
opera che vanno così a costituire un «servizio»184, che costituisce anch’esso un
risultato deducibile nello schema contrattuale della locatio operis («compiere
un’opera o un servizio», art. 2222 c.c.).
L’interpretazione data dalla nota circolare ministeriale emanata all’indomani
della riforma185, peraltro, avrebbe in parte depotenziato l'attitudine del
«progetto» a distinguere il lavoro coordinato genuino dal lavoro subordinato –
non a caso, del resto, il lavoro a progetto nasceva in Francia come tipologia
contrattuale destinata a collocarsi nell’alveo del lavoro subordinato186 – laddove
nel definire il progetto come «attività produttiva ben identificabile e
funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore
partecipa direttamente con la sua prestazione» e il programma o fase come «tipo
di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale […]
caratterizan[dosi] per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad
essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati
parziali», dava una descrizione che, in fondo, «ben si adatterebbe ad indicare le
mansioni esigibili da qualsiasi lavoratore subordinato (al punto da rendere
indistinguibile l’oggetto del contratto nelle due ipotesi)»187.
Quanto invece alla natura e alla portata della regola di cui all’art. 69, d.lgs.
276/2003188, gli interpreti si sono spaccati tra chi in dottrina assegnava alla
disposizione una valenza di presunzione assoluta189, tesa, anche in conformità
183 G. PROIA, Lavoro a progetto e modelli contrattuali di lavoro, in ADL, 2003, p. 665; M.
PEDRAZZOLI, Riconduzione a progetto delle collaborazioni coordinate e continuative, lavoro
occasionale e divieto di collaborazioni semplici: il cielo diviso per due, in ID. (a cura di), Il
nuovo mercato del lavoro, cit., p. 684 ss. In tal senso, nella giurisprudenza, Trib. Genova 7 aprile
2006, in ADL, 2007, n. 3, p. 736, con nota di M. MARAZZA, Il concetto di progetto e programma
di lavoro nel confronto con la giurisprudenza; Trib. Genova 5 maggio 2006 in RIDL, 2007, n.
1, II, p. 40, con nota di S. BARTOLOTTA, Il lavoro a progetto senza progetto: una critica
all’interpretazione «morbida» dell’art. 69, d.lgs. n. 276/2003; Trib. Milano 20 agosto 2014, in
DeJure. 184 G. SANTORO PASSARELLI, Prime chiose alla disciplina del lavoro a progetto, cit.; M.
MARAZZA, Il concetto di progetto e programma di lavoro nel confronto con la giurisprudenza,
cit., p. 736, e ivi riferimenti alla prima giurisprudenza di merito maturata sul decreto Biagi. 185 Circolare Ministero del lavoro e delle politiche sociali 8 gennaio 2004, n. 1, p. 3. 186 M. PEDRAZZOLI, Prefazione a F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione, cit., p.
9, nt. 2; A. PERULLI, Opinioni sul lavoro a progetto, cit., p. 377. 187 M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, cit., p. 60. 188 Sul punto, amplius, F. MARTELLONI, La zona grigia tra subordinazione e autonomia e il
dilemma del lavoro coordinato nel diritto vivente, in DRI, 2010, n. 3, 647 ss., spec. 657 ss., ove
ampi riferimenti alle posizioni dottrinali e giurisprudenziali. 189 G. SANTORO PASSARELLI, La nuova figura del lavoro a progetto, in ADL, 2005, p. 109; A.
PERULLI, Opinioni sul lavoro a progetto, cit., p. 385 e 387, che sottolinea come l’espressione «si
considera» rimandava all’esperienza della l. 1369/1960 in tema di imputazione coattiva del
rapporto di lavoro all’effettivo utilizzatore.
47
alla sua ratio antielusiva190, a ricondurre nell’ambito della subordinazione le
collaborazioni prive dell’indicazione dello specifico progetto, programma o fase
di lavoro, e chi invece in sede amministrativa e giudiziaria intendeva attribuirle
valenza di presunzione iuris tantum, superabile dalla prova, da parte del
committente, «della esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente
autonomo»191.
Peraltro, anche tra i sostenitori della tesi della presunzione assoluta – rimedio
senz’altro “forte”, ma significativamente indebolito dal gioco delle esclusioni di
cui allo stesso art. 61, d.lgs. 276/2003, a partire dagli agenti e rappresentanti di
commercio – non si mancò di segnalare serie riserve circa la ragionevolezza di
una tecnica normativa che toglieva ogni rilievo sia alla lex contractus sia alla
possibilità per il giudice di indagare le effettive modalità di esecuzione del
rapporto contrattuale192, secondo una già maturata prospettiva critica rispetto
all’utilizzo delle presunzioni legali nel campo del diritto del lavoro193, arrivando
anche a avanzare dubbi di legittimità costituzionale della nuova disciplina per
contrasto con il principio di indisponibilità del tipo194.
9. Dalla presa d’atto dei limiti della disciplina del lavoro a progetto alla
“stretta” sul lavoro autonomo realizzata con la l. 92/2012
A prescindere dalle numerose problematiche, di ordine teorico e pratico,
sorte in relazione alla disciplina del lavoro a progetto – con notevoli strascichi e
190 In tal senso R. DE LUCA TAMAJO, Profili di rilevanza del potere direttivo del datore di lavoro,
in ADL, 2005, n. 2, p. 480. 191 Così la citata Circolare Ministero del lavoro e delle politiche sociali 8 gennaio 2004, n. 1, p.
6. In tal senso, in giurisprudenza, Trib. Torino, 5 aprile 2005, in Lav. giur., 2005, p. 660, con
nota di V. FILÌ, Il lavoro a progetto in una pronuncia pioniera della giurisprudenza di merito (p.
665 ss.); Trib. Ravenna 24 novembre 2005, in MGL, 2006, p. 149, con nota di G. PELLACANI, Il
contratto di lavoro a progetto al vaglio della giurisprudenza; Trib. Pisa 21 luglio 2008, in ADL,
2009, n. 3, p. 911, con nota di I. ALVINO, Il lavoro a progetto tra individuazione della fattispecie
e presunzione di subordinazione. 192 A. PERULLI, Opinioni sul lavoro a progetto, cit., p. 385 e s.; in tal senso anche Trib. Torino 5
aprile 2005, cit., secondo cui la presunzione assoluta comporta «un grave vulnus al principio di
uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, potendo arrivare a imporre specifiche tutele del
lavoro subordinato ad attività che in nessun modo abbiano concretamente presentato le
caratteristiche che tali garanzie giustificano». 193 L. NOGLER, Sull’inutilità delle presunzioni legali relative in tema di qualificazione dei
rapporti di lavoro, in RIDL, 1997, I, p. 311 ss. 194 A. VALLEBONA, La riforma dei lavori, Cedam, Padova, 2004, p. 22; R. DE LUCA TAMAJO,
Dal lavoro parasubordinato al lavoro “a progetto”, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT
– 9/2003, p. 20; M. PEDRAZZOLI, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali, in Id. (a cura
di), Il nuovo mercato del lavoro, cit., p. 745. Sul punto, M. PANCI, La conversione ex art. 69,
comma 1, del d.lgs. n. 276/2003: la compressione dell’autonomia privata individuale fra dubbi
di legittimità costituzionale e «interpretazioni correttive», in RIDL, 2011, I, p. 221 ss.
48
complicazioni soprattutto in determinati settori, come in quello dei call center195,
che hanno funto da “capofila” (o, se si preferisce, da “cavia”) per i progetti
legislativi successivi196, al punto da meritare un ruolo anche nella cultura
popolare e nel cinema197 – sul finire del primo decennio del nuovo millennio
poteva dirsi diffusa la considerazione che tale disciplina non avesse raggiunto i
suoi scopi. Né quello antielusivo, considerata la consistenza ancora significativa
dei fenomeni di misguided employment relationship, né tantomeno quello
regolativo, posto che nel mondo del lavoro autonomo economicamente debole
ma genuino – categoria che si insisterà nel differenziare dal “falso” lavoro
autonomo198 – residuano istanze ed esigenze di tutela cui la disciplina del
progetto non è capace di dare risposte soddisfacenti.
Tornano a moltiplicarsi, come già un decennio addietro, le proposte di
manutenzione del sistema e, in particolare, di predisposizione di un apparato di
tutele del lavoro autonomo animate da un ambizioso respiro statutario199, anche
sulla scorta della coeva esperienza legislativa spagnola200, che getteranno le basi
dei successivi interventi legislativi portati a compimento con la l. 81/2017.
195 M. MARAZZA, Il mercato del lavoro dopo il caso Atesia. Percorsi alternativi di rientro dalla
precarietà, in ADL, 2007, n. 2, p. 327 ss., il quale rileva come quello dei call center sia stato il
settore economico che ha visto la più massiccia concentrazione di collaboratori (quantomeno
formalmente) autonomi (p. 329); V. DI BELLA, Call center e co.co.pro, in DPL, 2007, p. 1459;
A. MARESCA, L. CAROLLO, Il contratto di collaborazione a progetto nel settore call center, in
DRI, 2007, n. 3, p. 675; M. ROCCELLA, Lavoro subordinato e lavoro autonomo, oggi, cit., p. 27
ss. Da ultimo, v. L. IMBERTI, L’eccezione è la regola?! Gli accordi collettivi in deroga alla
disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente, in DRI, 2016, n. 2, p. 393 ss., spec.
p. 428 s. 196 Il riferimento è alla disciplina di legge relativa alle c.d. attività out bound (dall’art. 24-bis,
comma 7, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, che aveva operato
un’aggiunta all’art. 61 d.lgs 276/2003), poi superata dalle previsioni di cui all’art. 2, d.lgs.
81/2015 (infra, Cap. II, § 3.3). 197 Si pensi alla bella pellicola Tutta la vita davanti (2008), di Paolo Virzì, parte di quel fortunato
filone letterario e cinematografico di cui parla M.R. SERRA, Generazione call center, in D – La
Repubblica, 3 ottobre 2013, secondo cui «il call center è assurto a luogo simbolo, scenografia
perfetta per dare corpo a queste storie spesso dalle forti tinte autobiografiche, che rincorrono un
nuovo realismo e sembrano solleticare anche l’interesse del pubblico». 198 G. SANTORO PASSARELLI, Falso lavoro autonomo e lavoro autonomo economicamente
debole ma genuino: due nozioni a confronto, in RIDL, 2013, I, p. 103 ss. 199 M. MAGNANI, Quale «Statuto» per il lavoro autonomo?, in DRI, 2010, n. 3, p. 597 ss.; T.
TREU, Uno Statuto per il lavoro autonomo, ivi, p. 603 ss.; A. PERULLI, Per uno statuto del lavoro
autonomo, ivi, p. 621 ss. 200 Per apprezzare gli influssi dell’esperienza spagnola su quella italiana, v. F. VALDÉS DAL-RÉ,
A. VALDÉS ALONSO, Lo Statuto del lavoro autonomo nella legislazione spagnola, con
particolare riferimento al lavoro autonomo economicamente dipendente, in DRI, 2010, n. 3, p.
705 ss.; J. CRUZ VILLALÓN, Il lavoro economicamente dipendente in Spagna, in DLM, 2013, p.
287 ss.; O. RAZZOLINI, Lavoro economicamente dipendente e requisiti quantitativi nei progetti
di legge nazionali e nell’ordinamento spagnolo, in DLRI, 2011, p. 645 ss. Sulla nozione di
«dipendenza economica» nella legislazione spagnola v. infra, Cap. II, § 4.2.
49
Prima dello Statuto, tuttavia, l’azione del legislatore sul versante della
disciplina delle tipologie contrattuali autonome era saldamente rimasta
improntata ad «un’ottica antielusiva, piuttosto che regolativa del lavoro
autonomo»201. Al punto che vi era chi aveva parlato persino di «tradimento» del
lavoro autonomo (debole ma genuino)202 in riferimento all’intervento operato
con la c.d. riforma Fornero (l. 92/2012), che aveva apportato numerose
modifiche alla disciplina del lavoro a progetto al fine di contenere il più possibile
il ricorso alle tipologie contrattuali diverse da quel contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato – «forma comune dei rapporti di lavoro» –
che era stato nel frattempo reso più appetibile grazie a robusti apporti di
flessibilità in uscita realizzati con la riscrittura dell’art. 18 St. lav.203.
In primo luogo, la “stretta” sul lavoro autonomo204 veniva realizzata
recependo alcuni degli orientamenti restrittivi emersi nella giurisprudenza. Con
le norme di interpretazione autentica contenute nell’art. 1, cc. 24 e 27, l. 92/2012,
veniva stabilito che l’art. 69, d.lgs 276/2003, avrebbe dovuto essere interpretato
«nel senso che l’individuazione di uno specifico progetto costituisce elemento
essenziale di validità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, la
cui mancanza determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato», e che l’esclusione contenuta nell’art. 61, d.lgs. 276/2003,
concernente le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria
l’iscrizione in appositi albi professionali, si interpreta nel senso che essa riguarda
solo le collaborazioni «il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività
professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione»,
mentre «l’iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza
idonea di per sé a determinare l’esclusione dal campo di applicazione» della
disciplina del lavoro a progetto.
Parimenti, veniva soppresso l’inciso «programmi di lavoro o fasi di esso», di
modo da isolare il progetto come unico elemento idoneo a evitare la
riconduzione delle collaborazioni all’alveo del lavoro subordinato (art. 1, c. 23,
lett. a), l. 92/2012) ed evitare che la riferibilità della collaborazione ad un
programma o fase di lavoro potesse consentirne la piena fungibilità rispetto al
201 M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione, coordinazione nel gioco delle presunzioni, in
ADL, 2013, p. 798. In senso adesivo A. DE SALVIA, La presunzione sul lavoro autonomo cd. «a
partita iva»: una norma antifraudolenta o una nuova fattispecie di lavoro autonomo
economicamente dipendente?, in M.T. CARINCI (a cura di), Dall’impresa a rete alle reti
d’impresa. Scelte organizzative e diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2015, p. 409 ss. 202 Così A. PERULLI, Il lavoro autonomo tradito e il perdurante equivoco del lavoro a progetto,
cit., p. 1 ss. 203 Nel senso che la riforma fosse animata dall’intento di realizzare «un improbabile scambio tra
norme espansive della c.d. flessibilità in uscita e norme restrittive della flessibilità in entrata»,
v., criticamente, E. GHERA, Il lavoro autonomo nella riforma del diritto del lavoro, cit., spec.
542 s. 204 Ivi, p. 542.
50
lavoro dipendente, in accoglimento di un rilievo critico puntualmente
espresso205. Sulla stessa linea, la riforma precisava che il progetto «non può
consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente» né
«comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi».
La novità più dirompente, tuttavia, della riforma Fornero venne da più parti
ravvisata nella previsione di cui all’art. 69-bis, d.lgs. 276/2003, con cui il
legislatore, nel prevedere una presunzione relativa di sussistenza di una
collaborazione coordinata e continuativa in relazione alle «prestazioni lavorative
rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore
aggiunto» in presenza di una serie di fattori indicativi di una dipendenza
organizzativa ed economico-reddituale nei confronti di un committente
principale206, introduceva un «gioco delle presunzioni»207 capace, tramite un
«doppio salto qualificatorio»208, di assorbire nell’area della subordinazione la
serie eterogenea di rapporti c.d. a partita iva instaurati senza l’individuazione di
uno specifico progetto ai sensi della presunzione (contestualmente resa assoluta)
di cui all’art. 61, d.lgs. 276/2003,
In relazione a tale ultima previsione, la repentina abrogazione dell’istituto ha
inevitabilmente troncato di netto il dibattito sviluppatosi in riferimento alla
natura giuridica della previsione di cui all’art. 69bis citato, vale a dire se si
trattasse di norma (solo) antielusiva209 ovvero (anche) di una “norma di
fattispecie” tale da determinare da un lato il riconoscimento giuridico della
205 M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, cit., p. 60. 206 Vale la pena di ricordare che la presunzione operava laddove ricorressero almeno due tra i
seguenti presupposti individuati dalla legge: «a) che la collaborazione con il medesimo
committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi;
b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti
riconducibili al medesimo centro d'imputazione di interessi, costituisca più dell'80 per cento dei
corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco di due anni solari
consecutivi; c) che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle
sedi del committente». Per una disamina degli elementi indiziari previsti dalla disposizione, v.
per tutti G. FERRARO, Il lavoro autonomo, in M. CINELLI, G. FERRARO, O. MAZZOTTA, Il nuovo
mercato del lavoro dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, Giappichelli, Torino,
2013, p. 139 ss. 207 La fortunata espressione si deve a M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione, coordinazione,
cit., p. 797. 208 M. NOVELLA, Lavoro subordinato, lavoro a progetto, lavoro autonomo. La legge n. 92/2012
ridefinisce le fattispecie?, in LD, 2012, p. 582. 209 Ivi, p. 583 s.; A. PERULLI, Il lavoro autonomo e parasubordinato nella riforma Monti, in LD,
2012, p. 562 s., secondo cui «l’impiego del nuovo criterio non è affatto funzionale alla
costituzione di una categoria/fattispecie di lavoro autonomo economicamente dipendente […]
ma rappresenta un mero indizio di una co.co.co. da ricondursi automaticamente alla
subordinazione in mancanza di progetto».
51
fattispecie del lavoro autonomo “economicamente dipendente”210, e, dall’altro,
un’estensione della nozione stessa di subordinazione211.
Il dilemma interpretativo, d’altronde si presentava in termini non troppo
dissimili rispetto a quello che oggi si ripropone con accentuata prepotenza di
fronte alla regola della riconduzione alla subordinazione delle collaborazioni c.d.
etero-organizzate (art. 2, d.lgs. 81/2015)212, ancorché vada rilevato che il coro di
critiche rivolto alla presunzione relativa di cui all’art. 69bis citato, relative
all’(in)opportunità della stretta sul lavoro autonomo operata dal legislatore del
2012213 e alla sua (il)legittimità costituzionale214, parrebbe essere stato
risparmiato alla soluzione dell’etero-organizzazione prescelta dal Jobs Act.
Ma questa è storia recente, che si avrà modo di esaminare nel prossimo
capitolo.
210 F. CARINCI, Complimenti, dottor Frankenstein: il disegno di legge governativo in materia di
riforma del mercato del lavoro, in Lav. giur., 2012, p. 541. 211 M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, cit., p. 77, secondo cui il legislatore
sarebbe giunto «a riscrivere per addizione la stessa nozione di lavoro subordinato nel nostro
ordinamento», ma pure A. PERULLI, Il lavoro autonomo tradito e il perdurante equivoco del
lavoro a progetto, cit., p. 30, il quale ipotizza l’emersione, sia pure in via sanzionatoria, di «una
fattispecie derogatoria di lavoro subordinato che può di fatto non presentare le caratteristiche
tipologiche della subordinazione». 212 Infra, Cap. II. § 3 e ss. 213 V. ad es. A. VALLEBONA, La riforma del lavoro 2012, cit., p. 33, il quale parla di «folle
crociata contro il lavoro autonomo»; M. MARAZZA, Il lavoro autonomo dopo la riforma del
Governo Monti, in ADL, 2012, p. 878; E. GHERA, Il lavoro autonomo nella riforma del diritto
del lavoro, cit., spec. 549 s. Di «fantasioso contenitore reso stringente da un sistema pervasivo
di presunzioni, sanzioni, conversioni di tutto ciò che da tale improbabile e astruso contenitore
eccedeva» parlerà, all’indomani dell’abrogazione della relativa disciplina, G. BRONZINI, Il futuro
(giuridico) del lavoro autonomo nell’era della share-economy, in RIDL, 2016, n. 1, III, p. 85. 214 M. PERSIANI, Considerazioni sulla nuova disciplina delle collaborazioni non subordinate, in
RIDL, 2013, I, p. 843, secondo cui la regola «viola il principio di indisponibilità del tipo e
comporta una intollerabile invasione dell’autonomia privata»; G. FERRARO, Il lavoro autonomo,
cit., p. 154 s., che rileva l’eccessivo condizionamento della «libertà/diritto al lavoro e della libertà
d’impresa, costituzionalmente garantiti (artt. 2, 3, 4, 35, 41 e 42 Cost.)».
53
CAPITOLO II
LE FATTISPECIE DEL LAVORO AUTONOMO
TRA SUBORDINAZIONE E IMPRENDITORIALITÀ
SOMMARIO: 1. Premessa: i “confini”, interni ed esterni, del lavoro autonomo. – 2. Il
lavoro autonomo come lavoro «non subordinato». Attualità e rilevanza della «grande
dicotomia». – 2.1. L’irrigidimento della nozione di subordinazione nella
giurisprudenza delle Corti superiori. – 2.2. Alcune tendenze nella giurisprudenza di
merito e di legittimità, nel segno della continuità. – 3. La risposta legislativa del
lavoro «etero-organizzato». – 3.1. La natura giuridica delle «collaborazioni
organizzate dal committente» nella lettura della dottrina… – 3.2. … e in quella della
prima giurisprudenza formatasi nel vigore del Jobs Act. – 3.3. Le ipotesi derogatorie
di cui al secondo comma. 3.4. Una possibile chiave di lettura: l’etero-organizzazione
come posizione di potere unilaterale “di fatto” dell’imprenditore (come tale però
incompatibile con gli schemi del lavoro autonomo genuino). – 3.5. Applicazione
integrale o selettiva della disciplina del lavoro subordinato? – 4. Il lavoro coordinato
e continuativo non più “a progetto”. – 4.1. Gli elementi della fattispecie: continuità,
coordinamento e prevalente personalità della prestazione. – 4.1.1. La continuità della
prestazione lavorativa. – 4.1.2. Il coordinamento come attività contrattuale bilaterale
e la differenza (qualitativa) rispetto al potere unilaterale (giuridico o di fatto) di
organizzare la prestazione lavorativa. – 4.1.3. La prevalente personalità della
prestazione e l’ambiguo rapporto tra lavoro (autonomo) «prevalentemente personale»
e (piccola) impresa. Cenni e rinvio. – 4.2. La condizione di “dipendenza” o
“debolezza” del prestatore come elemento della fattispecie? – 5. Il lavoro autonomo
«non imprenditoriale». L’ambiguo confine (esterno) tra lavoro autonomo e impresa
e il senso dell’esclusione di cui all’art. 1, l. 81/2017. – 5.1. Lavoratore autonomo vs.
piccolo imprenditore nella prospettiva del contratto: contratto d’opera vs. appalto. –
5.2. Lavoratore autonomo vs. piccolo imprenditore nella prospettiva
dell’organizzazione. La strumentalità dell’organizzazione al lavoro personale come
criterio di individuazione del lavoro autonomo «non imprenditoriale». – 5.3. Una
duplice nozione di lavoro esclusivamente personale? – 5.4. Il lavoro autonomo «non
imprenditoriale» ammette un (limitato e strumentale) ricorso al lavoro altrui.
1. Premessa: i “confini”, interni ed esterni, del lavoro autonomo
Secondo una formula di taglio didattico senz’altro efficace, «il lavoro
autonomo confina a Nord con l’impresa ed a Sud con il lavoro subordinato»215.
215 O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, in G. IUDICA, P. ZATTI (a cura di), Trattato di diritto
privato, 6° ed., Giuffrè, Milano, 2016, p. 84, il quale osserva come ««la nozione di lavoratore
autonomo viene come schiacciata nell’interstizio fra l’imprenditorialità e la subordinazione».
Nello stesso senso, in precedenza, G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato»,
Franco Angeli, Milano, 1979, p. 80, che specifica che «il lavoro autonomo occupa un’area
intermedia economicamente debole tra piccola impresa e lavoro subordinato», nonché, più di
recente, ID., voce Lavoro Autonomo, in ED Ann., V, Giuffrè, Milano, 2012, p. 712, secondo cui
54
I confini esterni della fattispecie del lavoro autonomo, in effetti, non possono
che essere fissati, da un lato, a ridosso dell’universo della subordinazione – limes
da sempre tanto incerto quanto battuto dagli interpreti, per le evidenti
implicazioni in termini di diversità di tutele applicabili – e, dall’altro, a ridosso
dell’universo dell’impresa, nelle sue multiformi e talvolta oscure declinazioni
(che tanto affaticano gli amici giuscommercialisti216), confine, questo, non
altrettanto esplorato, almeno da quando uscirono sconfitte le tesi bigiaviane sul
carattere necessariamente (piccolo-)imprenditoriale della locatio operis217,
complice la minor rilevanza della differenze in punto di disciplina, che anzi,
soprattutto nella prospettiva del diritto europeo, tendono a diventare
evanescenti218.
L’esame dei confini esterni della fattispecie del lavoro autonomo richiede
dunque, in primo luogo, di misurarsi con lo “stato dell’arte” in materia di
qualificazione del rapporto di lavoro, tanto nella prospettiva giurisprudenziale –
la quale, pur rimanendo fedele alle proprie massime, talvolta tralatizie, non ha
mancato di esprimere anche spunti di novità, come evidenziato dalle periodiche
rassegne in argomento219 – quanto in quella dottrinale – inevitabilmente
rinfocolata dall’introduzione della nuova categoria legale di lavoro etero-
organizzato220 – tenendo in debito conto come entrambe le prospettive debbano
essere sondate anche in relazione alla loro attitudine a rispondere alle
sollecitazioni provenienti dall’evoluzione tecnologica, non solo in relazione alla
vexata quaestio della qualificazione dei lavoratori della c.d. gig economy, che
«l’area del lavoro autonomo è delimitata, da un lato, dall’impresa e, dall’altro, dal lavoro
subordinato». 216 Lo ricordano A. PERULLI, L’idea del diritto del lavoro, oggi, in ID. (a cura di), L’idea del
diritto del lavoro, oggi. In ricordo di Giorgio Ghezzi, Wolters Kluwer-Cedam, Assago, 2016, p.
LIV ss., e M. BARBERA, L’idea di impresa Un dialogo con la giovane dottrina giuslavorista, ivi,
p. 674 s., che rileva che «la nozione ampia e omnicomprensiva d’impresa descritta dal codice
civile del 1942 si è dissolta in “cinquanta sfumature di impresa”», richiamando l’irriverente titolo
di una recente collettanea di studi giuscommercialistici (G. OLIVERI, G. PRESTI (a cura di),
Cinquanta sfumature di impresa, Il Mulino, Bologna, 2014). 217 Il riferimento, che sarà sviluppato nel prosieguo, è evidentemente a W. BIGIAVI, La piccola
impresa, Giuffrè, Milano, 1947, spec. p. 94 ss. e p. 102 ss., il quale non esitava a ravvisare anche
nel lavoratore autonomo che svolge la propria attività in modo esclusivamente personale un
piccolo imprenditore. 218 Sul punto, infra, § 5 e Cap. III, Sez. III, § 4. 219 Ultima delle quali, a quanto consta, è quella di S. D’ASCOLA, Non solo autonomia e
subordinazione: uno sguardo alla giurisprudenza sulla qualificazione del contratto di lavoro, in
ADL, 2017, n. 1, p. 277 ss. 220 Infra, § 3 e ss.
55
formerà oggetto di specifica trattazione221, ma anche ai temi legati a Industry 4.0
e al riconoscimento legislativo del c.d. lavoro agile222.
La disamina delle posizioni giurisprudenziali e dottrinali in relazione al tema
della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, tuttavia, non
esaurisce l’actio finium regundorum. Anche quello che si è poc’anzi indicato
come il confine settentrionale della locatio operis, vale a dire quello con
l’universo dell’imprenditorialità, richiederà di essere esaminato con altrettanta
(se non maggiore) attenzione, non solo per accontentare le richieste di un ésprit
de géométrie che vuole simmetrica la ricostruzione, ma soprattutto per
soddisfare l’esigenza pratica di chiarire il senso dell’espressione legale di nuovo
conio «lavoro autonomo non imprenditoriale» (art. 1, comma 1, l. 81/2017).
Questa, infatti, in combinato disposto con l’esplicita esclusione dei piccoli
imprenditori dal novero dei beneficiari della nuova legge (art. 1, comma 2, l.
81/2017), costituisce la chiave di volta che presiede all’applicazione delle tutele
previste dal novello Statuto.
Oltre al problema di delimitare i confini esterni della fattispecie, tuttavia, le
recenti riforme hanno fatto emergere di prepotenza il nodo relativo alle partizioni
interne al mondo del lavoro autonomo.
Esso, lungi dal presentarsi come una realtà unitaria, si declina e sfuma in una
pluralità di fattispecie che si differenziano lungo più direttrici. Da un lato, esse
variano secondo il contenuto del sinallagma contrattuale, dovendosi distinguere,
all’interno della «famiglia negoziale» del lavoro autonomo223, non solo il
contratto d’opera da quello d’opera intellettuale, ma questi dai tipi del libro IV,
nei quali pure si declina, inevitabilmente «al plurale»224, come riconosciuto dallo
stesso legislatore del nuovo Statuto225, l’esperienza del lavoro autonomo.
221 Il tema verrà analizzato nell’apposito Capitolo IV. Merita tuttavia rilevare come la rilevanza
del problema, nell’ambito di una ricostruzione sul lavoro autonomo, emerga anche dalla struttura
di un recente Commentario alla l. 81/2017 (G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario
breve allo Statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, Wolters Kluwer-Cedam, Milano,
2018), che dedica la prima corposa parte non già al commento analitico delle previsioni della
legge, quanto ai temi del lavoro nel “capitalismo delle piattaforme”, con particolare attenzione
al nodo qualificazione, ma non solo. 222 In questo senso P. ICHINO, Le conseguenze dell’innovazione tecnologica sul diritto del lavoro,
in RIDL, 2017, n. 4, I, p. 525 ss.; R. DEL PUNTA, Un diritto per il lavoro 4.0, in A. CIPRIANI, A.
GRAMOLATI, G. MARI (a cura di), Il lavoro 4.0. La quarta rivoluzione industriale e le
trasformazioni delle attività lavorative, Firenze University Press, Firenze, 2018, p. 225 ss. 223 A. PERULLI, Il diritto del lavoro tra crisi della subordinazione e rinascita del lavoro
autonomo, in LD, 1997, n. 2, p. 174. 224 ID., Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, Giuffrè, Milano, 1996,
p. 76 s. 225 Il quale, come rileva O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente
personale. L’ambito di applicazione della legge n. 81/2017, in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura
di), Il jobs act del lavoro autonomo e del lavoro agile, Giappichelli, Torino, 2018, p. 18, prende
atto della molteplicità dei tipi contrattuali nei quali si può dedurre un facere per altri senza
vincolo di subordinazione individuando l’ambito di applicazione della l. 81/2017 nei «rapporti
56
Dall’altro, però, le fattispecie del lavoro autonomo si differenziano anche a
seconda dell’intensità del rapporto intercorrente con il committente, dovendosi
distinguere tra il lavoro autonomo “puro”, cioè né coordinato né continuativo (e
chiedersi sino a che punto possano trovarvi applicazione le nuove tutele
statutarie), il lavoro autonomo (solo) continuativo226, il lavoro autonomo
coordinato e continuativo (come precisato dalla norma di interpretazione
autentica di cui all’art. 15, l. 81/2017227) e, secondo una ricostruzione che non si
mancherà di esaminare criticamente nel prosieguo, il lavoro (autonomo?) etero-
organizzato.
È questo il problema di quelli che potremmo definire i confini interni della
fattispecie del lavoro autonomo, che si presenta oggi in termini piuttosto
dissimili rispetto al passato, quando era sufficiente verificare se il rapporto di
collaborazione autonoma presentasse o meno i caratteri di cui all’art. 409, n. 3,
c.p.c. per valutare la possibilità di applicare le poche disposizioni lavoristiche
estese dal legislatore al mondo della parasubordinazione (rito del lavoro e
disciplina delle rinunce e delle transazioni)228 e, in seguito, la disciplina prevista
per il lavoro a progetto229.
All’esito del «moto tellurico delle riforme»230, invece, l’interprete che voglia
ricostruire le diverse nozioni di lavoro autonomo previste dalla legge in funzione
della predisposizione di una determinata gamma si ritrova davanti un puzzle di
non agevole ricostruzione, reso ancor più complesso dalle interferenze con
(vecchie e nuove) modalità di svolgimento della prestazione all’interno dell’area
della subordinazione, come il lavoro a domicilio, il telelavoro e, infine, il lavoro
agile231.
Dalla riconducibilità di uno specifico rapporto all’uno o all’altro tassello (o
a più d’uno dei tasselli) del puzzle derivano importanti conseguenze in termini
di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro quinto del codice civile, ivi inclusi i rapporti di
lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell’art. 2222 del codice civile»,
il quale rinvia, per l’appunto, ai rapporti che hanno «una disciplina particolare nel libro IV». 226 La l. 81/2017, infatti, destina alcune importanti disposizioni ai rapporti di lavoro autonomo
che abbiano natura continuativa, ancorché non coordinata: in materia di recesso (art. 3, comma
1, l. 81/2017, su cui infra, Cap. III, Sez. I, § 3.2) e di sospensione del rapporto in caso di
gravidanza, malattia e infortunio (art. 14, comma 1, l. 81/2017, su cui infra, Cap. III, Sez. I, §
7.1). 227 G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro eterorganizzato e l’interpretazione autentica del lavoro
coordinato ex art. 15 d.lgs. [sic] n. 81 del 2017, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di),
Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, Wolters Kluwer-
Cedam, Milano, 2018, spec. p. 437 s. Sul punto infra, § 4.1.2. 228 Supra, Cap. I, § 6. 229 Supra, Cap. I, § 7 e 8. 230 R. VOZA, La modifica dell’art. 409, n. 3, c.p.c., nel disegno di legge sul lavoro autonomo, in
WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 318/2017, p. 9. 231 G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro etero-organizzato, coordinato, agile e telelavoro: un puzzle
non facile da comporre nell’impresa in via di trasformazione, in DRI, 2017, n. 3, p. 771 ss.
57
di disciplina applicabile, non senza il rischio che si producano spazi di
sovrapposizione tra discipline contrastanti232, tanto più considerato che per
alcuni rapporti di lavoro autonomo (leggi: agenzia233) le fonti di riferimento
comprendono anche, con un ruolo affatto marginale, quelle elaborate dalla
contrattazione collettiva (rectius, gli accordi economici collettivi)234.
Obiettivo del presente capitolo, pertanto, sarà quindi in primo luogo quello
di effettuare un’actio finium regundorum per così dire esterna della fattispecie
del lavoro autonomo, tanto lungo il crinale della summa divisio tra lavoro
subordinato e lavoro autonomo quanto lungo gli «incerti confini»235 che
separano quest’ultimo dall’universo dell’imprenditorialità. In secondo luogo, si
cercherà di esaminare i confini interni della fattispecie «lavoro autonomo»,
privilegiando tuttavia all’analisi differenziale dei vari contratti nei quali si
estrinseca un facere personale per altri senza vincolo di subordinazione – per la
quale, in assenza di innovazioni legislative, al di là dei richiami che si
svolgeranno nel testo, pare sufficiente rinviare alle classiche trattazioni236 –
l’analisi differenziale dei vari rapporti che possono instaurarsi tra prestatore e
committente, che la legge individua lungo un continuum scandito dal grado di
coordinazione e/o di continuità della prestazione rispetto all’organizzazione del
committente, anche per capire la collocazione sistematica (di confine “interno”
o di confine “esterno”) dell’«ambiguo confine»237 tra etero-organizzazione e
coordinamento.
232 Si pensi al potenziale contrasto tra la disciplina statutaria e quella codicistica del recesso
(infra, Cap. III, Sez. I, § 3.2), denunciato da subito da A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi:
nuove (e vecchie) tutele per il lavoro autonomo non imprenditoriale, in RIDL, 2017, I, p. 186 s. 233 Ma sulla natura (potenzialmente) imprenditoriale dell’agente, v. infra, cap. III, Sez. I, § 3.1. 234 Ci si riferisce qui al potenziale contrasto, neppure troppo latente, tra l’art. 3, comma 1, l.
81/2017, che considera abusive e prive di effetto le clausole che attribuiscono al committente
uno ius variandi, e le previsioni degli accordi collettivi degli agenti che invece lo ammettono,
bilanciandolo con alcune garanzie a favore dell’agente (infra, Cap. III, Sez. I, § 3.1). Sul punto,
per il momento, F.M. PUTATURO DONATI, Agenti e Jobs Act degli autonomi: contraddittorietà
sistemiche e incertezze applicative, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve
allo Statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, cit., spec. p. 257 ss 235 M. PALLINI, Gli incerti confini dell’ambito di applicazione dello Statuto del lavoro autonomo,
in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo,
cit., p. 229. 236 A. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, Giuffrè,
Milano, 1996, p. 85 ss.; G. GIACOBBE, D. GIACOBBE, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera.
Artt. 2222-2228, in F.D. BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, 2° ed., Giuffrè,
Milano, 2009, p. 71 ss. 237 A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal
committente, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 272/2015, p. 30.
58
2. Il lavoro autonomo come lavoro «non subordinato». Attualità e
rilevanza della «grande dicotomia».
Lavoro autonomo significa, innanzitutto, lavoro «non a carattere
subordinato», secondo il criterio di individuazione in negativo che traspare con
tutta evidenza dal dettato dell’art. 2222 c.c.238
A distanza di oltre un secolo dall’opera barassiana, la «grande dicotomia»239,
parrebbe essere rimasta ancora la grande, la più importante distinzione che si fa
in materia di contratto di lavoro»240. L’attualità del binomio «lavoro autonomo
vs. lavoro subordinato» persiste241, persino rafforzato dai recenti interventi
legislativi, che hanno accentuato l’impianto rigorosamente dicotomico della
materia242, decretando il definitivo superamento delle prospettive del tertium
238 Sul carattere «negativo» della nozione, supra, Cap. I, § 1, e i riferimenti alla nt. 8. 239 Ricordano F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione. L’interferenza delle
collaborazioni a progetto, Bononia University Press, Bologna, 2012, p. 17, nt. 7, e O. RAZZOLINI,
Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p. 17, nt. 21, che si deve a M.
PEDRAZZOLI, Consensi e dissensi sui recenti progetti di ridefinizione dei rapporti di lavoro, in
AA. VV., Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli, in QDLRI, 1998, n. 21, p. 15 ss.,
qui p. 17, nonché ID., Dal lavoro autonomo al lavoro subordinato, in AIDLASS, Impresa e nuovi
modi di organizzazione del lavoro. Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro di Salerno,
22-23 maggio 1998, Giuffrè, Milano, 1999, p. 98 s., spec. nt. 10, l’esportazione nel campo del
diritto del lavoro della fortunata espressione di N. BOBBIO, La grande dicotomia (1974), in ID.,
Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Edizioni di Comunità, Milano,
1977, p. 145 ss. 240 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), a cura di M. NAPOLI,
Vita e pensiero, Milano, 2003, p. 22. 241 Di persistente attualità del binomio autonomia subordinazione parla M. BIASI, Dai pony
express ai riders di Foodora. L’attualità del binomio subordinazione autonomia (e del relativo
metodo d’indagine) quale alternativa all’affannosa ricerca di inedite categorie, in G. ZILIO
GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 67
ss. 242 S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo: commento al capo I della legge n. 81/2017, in
DLRI, 2017, n. 3, p. 472; ID., Prime osservazioni sul disegno di legge del Governo in materia di
lavoro autonomo non imprenditoriale, in MGL, 2016, n. 4, p. 245; R. VOZA, La modifica dell’art.
409, n. 3, c.p.c., cit., p. 3 s., O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente
personale, cit., p. 17.
59
genus243 così come anche la logica del continuum244, che avevano animato il
dibattito dottrinale a partire dagli anni ’90 del secolo scorso245.
Sui caratteri distintivi delle due fattispecie la dottrina e la giurisprudenza si
sono affaticate per oltre un secolo, come si è cercato di evidenziare nel capitolo
precedente, assestandosi oggi su una serie di tralatizie premesse comuni246, non
senza tuttavia essere ancora in grado di esprimere elementi di differenziazione.
Non può essere questa la sede per un approfondito esame dei criteri di
differenziazione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, né per una rassegna
delle posizioni dottrinali e giurisprudenziali che si sono dibattute sul tema nel
corso dei decenni247 (alle quali si è comunque fatto riferimento, sia pure per
sommi capi, nel capitolo precedente). Si finirebbe, altrimenti, per cadere nella
“trappola” di mutare l’oggetto dell’indagine, e trasformare la presenta trattazione
in una ricerca sul lavoro subordinato.
Basterà rilevare come, secondo l’orientamento oggi prevalente in
giurisprudenza, che risente della ricostruzione barassiana della subordinazione
243 A una vera e propria «sconfitta, probabilmente definitiva, della tesi del tertium genus» fa
riferimento L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015: alla ricerca dell’«autorità
del punto di vista giuridico», in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 267/2015, p. 19 s.;
di «definitivo abbandono» parla L. FIORILLO, Un diritto del lavoro per il lavoro che cambia:
primi spunti di riflessione, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 368/2018, p. 13. In tal
senso anche A. PERULLI, Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile: come cambiano i concetti di
subordinazione e autonomia nel diritto del lavoro, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di),
Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 52, secondo cui il legislatore «ha
optato per una sostanziale riduzione, se non azzeramento, della terra di mezzo rappresentata dalle
collaborazioni coordinate e continuative», sicché, a prescindere dalla ricorrente difficoltà di
individuare in pratica la nuova linea di confine tra coordinamento e etero-organizzazione,
«tertium non datur» (così F. CARINCI, Prefazione, ivi p. VII). 244 O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente. Prime
considerazioni, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 266/2015, p. 4. 245 Supra, Cap. I, § 7. 246 Prima tra tutte, quella, da sempre ribadita, per cui ««ogni attività umana economicamente
rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro
autonomo» (per i riferimenti v. supra, Cap. I, § 2, nt. 20), dalla quale, peraltro, si è recentemente
fatto discendere che è del tutto irrilevante, ai fini del riconoscimento della natura subordinata del
rapporto, che il lavoratore ricorrente alleghi di avere svolto mansioni identiche a quelle di altro
lavoratore subordinato (Cass. 22 gennaio 2015, n. 1178, in RIDL, 2015, n. 3, II, p. 684, con nota
di F. GADALETA, In tema di prova dell’eterodirezione: mansioni ed indici della subordinazione. 247 Per le panoramiche ricostruttive più recenti, oltre alla già citata rassegna di S. D’ASCOLA,
Non solo autonomia e subordinazione, cit., v. anche G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro
subordinato. L’identificazione della fattispecie, in ID. (a cura di), Diritto e processo del lavoro e
della previdenza sociale, 7° ed., Utet, Milano, 2017, p. 20 ss.; A. LEPORE, Gli indici
giurisprudenziali di identificazione della fattispecie lavoro subordinato, ivi, p. 62 ss.; F.
LUNARDON, La subordinazione, in C. CESTER (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato:
costituzione e svolgimento, I, in F. CARINCI (diretto da), Diritto del lavoro, II, 2° ed., Utet,
Torino, 2007, p. 1 ss.
60
come eterodirezione248, elemento fondamentale del rapporto di lavoro
subordinato è l’«assoggettamento del lavoratore al potere direttivo,
organizzativo e disciplinare del datore di lavoro»249.
In questa prospettiva, l’individuazione della categoria dei rapporti «senza
vincolo di subordinazione» dipende dall’autonomia operativa del conductor
operis. Il lavoratore autonomo può essere destinatario solo di istruzioni attinenti
alle caratteristiche dell’opus o del servizio dedotto in contratto e non potrà invece
vedersi impartire quegli «ordini specifici, reiterati e intrinsecamente inerenti la
prestazione di lavoro» richiesti dalla giurisprudenza più rigorosa250, con l’avallo
di una parte della dottrina251, per la configurabilità di un rapporto di lavoro
subordinato.
In questo modo, parrebbe che la giurisprudenza non abbia solo arrestato quel
processo espansivo, reso possibile dalla valorizzazione dell’elemento
dell’inserimento nell’organizzazione d’impresa, che aveva caratterizzato
l’esperienza della fase che va dagli anni ’60 agli anni ’80 del secolo scorso252,
ma abbia nel contempo mostrato più che una chiusura rispetto a quegli
orientamenti, che ancora emergevano sporadicamente nel corso degli ultimi
decenni, volti a riconoscere forme di subordinazione maggiormente attenuata del
prestatore253, anche per rispondere alle continue trasformazioni dei modelli
248 «Quando il creditore del lavoro è a contatto col lavoro, lo dirige, lo sorveglia, lo indirizza a
quei risultati cui egli, mercé le prestazioni del debitore, intenda arrivare, vi è locazione di opere»
(L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (1901), cit., p. 22). 249 Così, da ultimo, la prima sentenza emessa quest’anno dalla Sezione Lavoro della S.C., Cass.
2 gennaio 2018, n. 1, in Foro it., 2018, n. 2, I, c. 492. In termini, tra le più recenti, Cass. 2 ottobre
2017, n. 22984, in D&G, 3 ottobre 2017; Cass. 16 maggio 2016, n. 10004, in Foro it., 2016, n.
7-8, I, c. 2416; Cass. 11 maggio 2016, n. 9681, in DeJure. 250 Cass. 29 gennaio 2015, n. 1692, in Ilgiuslavorista, 21 maggio 2015, con nota di A. SIMONETTI,
Associazione in partecipazione: autonomia e subordinazione, requisiti; Cass. 4 dicembre 2012,
n. 21715, in DeJure; Cass. 7 ottobre 2004, n. 20002, in Foro it., 2005, I, c. 2429. 251 R. DE LUCA TAMAJO, Profili di rilevanza del potere direttivo del datore di lavoro, in ADL,
2005, n. 2, p. 467 ss. 252 P. ICHINO, Il contratto di lavoro, I, Giuffré, Milano, 2000, p. 274; L. MENGHINI,
Subordinazione e dintorni: itinerari della giurisprudenza, in AA. VV., Subordinazione e
autonomia: vecchi e nuovi modelli, cit., p. 150 ss. Sul punto, anche per riferimenti a quella
giurisprudenza, supra, Cap. I, § 5. 253 Tra le pronunce ancora propense a riconoscere la natura subordinata del rapporto nei casi in
cui, anche senza eterodirezione dell’attività lavorativa, quest’ultima risulti modellata
«sull’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore di lavoro secondo le mutevoli esigenze di
tempo e di luogo dell’organizzazione imprenditoriale», cfr. Cass. 26 agosto 2013, n. 19568, in
Pluris; Cass. 15 giugno 2009, n. 13858, in Lav. giur., 2009, n. 11, p. 1167. Nel senso della
sufficienza di direttive «programmatiche» e «non necessariamente continue, dettagliate e
strettamente vincolanti», Cass. 21 maggio 2004, n. 9764, MGC, 2004, p. 5; Cass. 5 agosto 2010,
n. 18271, in MGL, 2011, p. 153. Ancor più esplicitamente Cass. 6 luglio 2001, n. 9167, in RIDL,
2002, II, p. 274, con nota di M. AGOSTINI, Subordinazione e metodo di qualificazione del
rapporto di lavoro, secondo cui «il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo […]
diviene, con l’evolversi dei sistemi di organizzazione del lavoro […] sempre meno significativo
della subordinazione». Sul punto, per ulteriori riferimenti, F. MARTELLONI, Lavoro coordinato
61
organizzativi prodotti dall’evoluzione tecnologica254, ovvero tesi a valorizzare la
condizione di doppia alienità del lavoratore255, che pur trovava autorevole
fondamento nella giurisprudenza costituzionale256.
In questo contesto, che pure è tutto sommato ampiamente noto, ci si potrebbe
legittimamente chiedere: «si può ancora dire qualcosa di (relativamente) nuovo
in tema di qualificazione dei rapporti di lavoro?»257
La risposta che si tenterà di dare nel prosieguo della presente sezione è che
sì, qualcosa si può (tentare di) dire, evidenziando da un lato quello che
parrebbero essere gli elementi di novità nell’approccio giurisprudenziale al tema
e soprattutto, dall’altro, l’impatto che le recenti riforme vi hanno impresso
introducendo la nuova nozione di lavoro etero-organizzato e specificando le
caratteristiche della coordinazione che contraddistingue i rapporti di lavoro
parasubordinato (autonomo) di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c.
2.1. L’irrigidimento della nozione di subordinazione nella
giurisprudenza delle Corti superiori
Nello scenario giurisprudenziale appena succintamente descritto, parrebbe
innanzitutto doversi registrare in giurisprudenza un ulteriore irrigidimento della
nozione di subordinazione quale eterodirezione della prestazione lavorativa, dal
quale deriva, inevitabilmente, un’espansione dell’area del lavoro «non
subordinato» e dunque, «autonomo».
Persino la giurisprudenza costituzionale, cui si era dovuta negli anni ‘90
l’apertura a una nozione più elastica e funzionale di subordinazione, contestuale
alle note sentenze che avevano consacrato il principio di indisponibilità del tipo
contrattuale258, sembrerebbe essere in parte tornata sui propri passi, non solo sui
e subordinazione, cit. p. 94 s., il quale però osserva che «nemmeno quest’orientamento
giurisprudenziale, molto enfatizzato in dottrina, è peraltro riuscito a consolidarsi, né si posto un
argine, per questa via, all’eccessiva espansione del lavoro parasubordinato osservata nel
decennio precedente» 254 Sul punto ampi riferimenti in O. RAZZOLINI, La nozione di subordinazione alla prova delle
nuove tecnologie, in DRI, 2014, n. 4, p. 974 ss., spec. p. 981 s. 255 Che solo sporadicamente riappare in alcune pronunce (v. ad es. Cass. 13 giugno 2017, n.
14660, in DeJure; Cass. 16 gennaio 2007, n. 820, in RGL, 2007, II, p. 658 ss., con nota di A.
ALLAMPRESE, Subordinazione e doppia alienità: la Cassazione batte un colpo; Cass. 9 ottobre
2006, n. 21646, in RGL, 2007, n. 2, II, p. 144, con nota di M. ROCCELLA, Spigolature in tema di
subordinazione. Lo strano caso del sig. B (p. 131 ss.); 256 Il riferimento è ovviamente a Corte cost. 5 febbraio 1996, n. 30, oggi anche in L. MENGONI,
Contratto di lavoro, a cura di M. NAPOLI, Vita e pensiero, Milano, 2004, p. 149 ss. 257 M. ROCCELLA, Spigolature in tema di subordinazione. Lo strano caso del sig. B, cit., p. 131. 258 Corte cost. 29 marzo 1993, n. 121, tra l’altro in Foro it., 1993, I, c. 2432, e Corte cost. 31
marzo 1994, n. 115, tra l’altro in RIDL, 1995, II, p. 227, con nota di A. AVIO, La subordinazione
ex lege non è costituzionale, secondo cui, rispettivamente, «non sarebbe comunque consentito al
legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che
oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l'inapplicabilità delle norme inderogabili
62
caratteri della subordinazione, ma anche sullo stesso principio di indisponibilità
del tipo.
Il riferimento è in particolare alla pronuncia n. 76 del 2015, relativa alla
qualificazione del rapporto di lavoro degli infermieri incaricati dagli istituti di
prevenzione e pena259, con la quale la Corte ha ritenuto infondata la questione di
legittimità costituzionale della normativa che non consente di qualificare i
rapporti di lavoro di tali infermieri come rapporti di lavoro subordinato e limita
il corrispettivo spettante a un compenso orario, con espressa esclusione di ogni
altra indennità e di ogni trattamento previdenziale e assicurativo260.
Senza entrare nel merito della questione, ma senza neppure tacere le critiche
che la suddetta decisione ha suscitato in dottrina261, deve essere in questa sede
rilevato come la Corte abbia attuato un netto bouleversement rispetto ai propri
precedenti sia per quanto attiene i criteri di individuazione della fattispecie del
lavoro subordinato, sia soprattutto per quanto concerne la compatibilità con il
sistema costituzionale di una norma di legge che fa espresso divieto al giudice
del lavoro di verificare – in concreto – la sussistenza dei caratteri della
subordinazione.
La Corte infatti, quasi “assunte le vesti” di un giudice di prime cure, entra
nel merito della qualificazione dei rapporti di lavoro in questione per negare
recisamente la sussistenza dell’assoggettamento dell’infermiere al potere
direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, sulla base dei rilievi
che le direttive del personale medico hanno natura solo tecnica; che quelle del
previste dall'ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla
Costituzione a tutela del lavoro subordinato» e «a maggior ragione non sarebbe consentito al
legislatore di autorizzare le parti ad escludere direttamente o indirettamente, con la loro
dichiarazione contrattuale, l'applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela dei
lavoratori a rapporti che abbiano contenuto e modalità di esecuzione propri del rapporto di lavoro
subordinato». 259 Corte cost. 7 maggio 2015, n. 76, in Giur. cost., 2015, n. 3, p. 680, con nota di E. GHERA, La
Corte alle prese con una norma di dubbia compatibilità con il c.d. principio di "indisponibilità
del tipo" (p. 690 ss.); in ADL, 2016, n. 2, p. 318, con nota di S. BERTOCCO, Indisponibilità del
tipo legale tra certezze della giurisprudenza e nuovi orientamenti dogmatici; in RGL, 2016, n.
1, II, p. 10, con nota di G. FERRARO, La Corte costituzionale nel vortice delle teorie della
subordinazione. 260 Art. 53, l. 740/1970. 261 Si veda, in particolare, l’opinione di E. GHERA, La Corte alle prese con una norma di dubbia
compatibilità con il c.d. principio di “indisponibilità del tipo”, cit., p. 690 ss., che denuncia «la
mancata censura di una norma che, onestamente, non sembra altro che un (odioso) privilegio
della pubblica amministrazione» (p. 695). In senso critico rispetto alla decisione al percorso
motivazionale della Corte anche L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015, cit., p.
20, e F. MARTELLONI, I rimedi nel “nuovo” diritto del lavoro autonomo, in LD, 2017, n. 3/4, p.
525, che parla di «infelice pronuncia». Contra, tuttavia, A. VALLEBONA, Sulla natura
parasubordinata di medici e infermieri occupati nelle strutture carcerarie, in MGL, 2016, n. 1/2,
p. 170, secondo la Corte ha distinto correttamente il lavoro autonomo parasubordinato da quello
subordinato, escludendo “egregiamente” l’assoggettamento degli infermieri al potere direttivo
della struttura carceraria.
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direttore del carcere si spiegano con la peculiarità del contesto in cui si svolge la
prestazione; che nella determinazione dei turni, nella vigilanza esercitata
sull’operato degli infermieri e nell’obbligo di comunicare i giorni di assenza «si
estrinseca il necessario coordinamento con l’attività dell’amministrazione […]
piuttosto che l’autonomia decisionale e organizzativa del datore di lavoro»;
valorizzando, infine, anche il nomen iuris, che, ci dice la Corte, «non può essere
del tutto pretermesso e rileva come elemento sussidiario».
Ciò che sorprende maggiormente, poi, è che la Corte non lascia al giudice di
merito alcuno spazio per addivenire a una conclusione diversa in relazione alle
caratteristiche del caso concreto, smentendo l’approccio che aveva segnato le
proprie pronunce degli anni ‘90262.
Insomma, gli infermieri delle carceri sono autonomi. Punto.
Ma vi è di più. Nel fare proprio l’orientamento più rigoroso della
giurisprudenza di legittimità per cui la subordinazione deve estrinsecarsi in una
direzione e un controllo quasi polizieschi263, la pronuncia pare volere anche
indirizzare la giurisprudenza lavoristica verso una nozione particolarmente
angusta di subordinazione264, con l’effetto di soffocare ulteriormente gli
orientamenti più “aperti” cui si è fatto riferimento.
Un analogo percorso di irrigidimento, peraltro, sembrerebbe segnare anche
la nozione di coordinamento proprio dei rapporti di lavoro parasubordinato.
In una recente pronuncia, le Sezioni unite hanno infatti fatto propria una
lettura di quest’ultima nozione che pare appiattita su quella stessa nozione di
eterodirezione intesa in senso forte, arrivando ad affermare – con singolare
nonchalance – che la prestazione coordinata è comunque «sinonimo di attività
262 In tal senso E. GHERA, La Corte alle prese con una norma di dubbia compatibilità con il c.d.
principio di “indisponibilità del tipo”, cit., p. 693, ricordando che sia Corte cost. 29 marzo 1993,
n. 121, cit., che Corte cost. 31 marzo 1994, n. 115, cit., pur nella diversità strutturale – sentenza
di accoglimento parziale la prima, sentenza interpretativa di rigetto la seconda – non si erano
affatto ingerite nell’accertamento della natura del rapporto effettuata dai giudici remittenti,
limitandosi a stabilire che ove di fatto vi è subordinazione, la relativa tutela non può essere negata
né dalle parti né dal legislatore. 263 La pronuncia afferma infatti che la subordinazione deve estrinsecarsi «nell’emanazione di
ordini specifici, inerenti alla particolare attività svolta e diversi dalle direttive d’indole generale,
in una direzione assidua e cogente, in una vigilanza e in un controllo costanti, in un’ingerenza,
idonea a svilire l’autonomia del lavoratore». 264 L’invito sembrerebbe essere stato raccolto da Cass. 24 aprile 2017, n. 10189, in DeJure, che
estende le conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale sugli infermieri anche al rapporto di
lavoro dei medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e di pena, il quale, ai sensi dell’art.
51 l. 740/1970, è di tipo autonomo «atteso che le modalità concrete del relativo svolgimento - in
particolare, l'organizzazione del lavoro secondo il modulo dei turni, l'obbligo di attenersi alle
direttive impartite dal direttore del carcere e dal dirigente sanitario - non integrano indici della
subordinazione, ma sono espressione del necessario coordinamento, che caratterizza il rapporto,
con l'attività dell'Amministrazione e con la complessa realtà del carcere».
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in qualche misura eterodiretta o, comunque, soggetta ad ingerenze o direttive
altrui»265.
Sebbene lo scopo di negare la qualificazione di collaborazione coordinata
continuativa ai rapporti, come tali formalizzati, intercorrenti tra amministratore
e società di capitali, fosse funzionale a evitare l’applicazione della relativa
disciplina protettiva – nel caso di specie si trattava della parziale impignorabilità
dei compensi (art. 545, comma 4, c.p.c.), ma si tratta di una linea interpretativa
che la giurisprudenza di merito ha già raccolto ad altri scopi, e in riferimento a
figure affini266 – il valore sistematico resta notevole.
Mentre la subordinazione si “accartoccia” in una nozione sempre più
ristretta, fondata sul dato di fatto di un’eterodirezione in senso estremamente
“forte”, piuttosto lontana dalle esigenze di agilità e intelligenza che si sviluppano
nello stesso mondo del lavoro subordinato (di cui è testimone, peraltro, anche la
nuova disciplina del lavoro agile), anche lo stesso coordinamento di cui all’art.
409 c.p.c. viene ricondotto, in modo un po’ confuso267, alle dinamiche del potere
di direzione, in aperto contrasto peraltro con la nuova nozione di coordinamento
quale attività consensuale bilaterale, esplicitata dalla novella del 2017 (art. 15, l.
81/2017)268.
2.2. Alcune tendenze nella giurisprudenza di merito e di legittimità, nel
segno della continuità
L’irrigidimento della nozione di subordinazione sembrerebbe caratterizzare
anche la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, che arroccatasi su
265 Cass. Sez. Un. 20 gennaio 2017, n. 1545, in RIDL, 2017, n. 3, II, p. 538, con nota di S.
NAIMOLI, Il rapporto tra amministratore e società di capitali: la svolta "antilavorista" delle
Sezioni Unite, e in RGL, 2017, n. 3, p. 399, con nota di S. BOLOGNA, Sulla natura giuridica del
rapporto tra amministratore e società per azioni, la quale nel superare il precedente
orientamento che riteneva configurabile tra l’amministratore e la società per azioni un rapporto
di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409, n. 3, c.p.c. (indirizzo che si era affermato
a partire da Cass. Sez. Un. 14 dicembre 1994, n. 10680, in Foro it., 1995, n. 5, I, c. 1486, con
ampia nota redazionale), ha affermato che in tali tipologie di rapporti difetta non solo l’elemento
della subordinazione, ma anche l’elemento della coordinazione, da intendersi appunto come
«sinonimo di attività in qualche misura eterodiretta». Il che non significa, però, che accanto al
rapporto societario non possa sussistere un rapporto di lavoro subordinato, come evidenziato,
anche dopo le Sezioni Unite del 2017, da M. MARAZZA, Il bancario “ibrido” nell’economia
collettiva (nuove proposte dall’autonomia collettiva), in DRI, 2017, n. 3, p. 791 ss., spec. 796 ss. 266 Trib. Venezia 27 giugno 2017, n. 404, in DeJure, secondo cui nonostante la formalizzazione
nelle forme del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, il rapporto tra liquidatore
e società non può essere definito di parasubordinazione, sicché è esclusa l’operatività della
norma di cui all’art. 806, comma 2 c.p.c. in materia di arbitrato. 267 Lo rileva A. VALLEBONA, Le Sezioni Unite sull’insussistenza della parasubordinazione (409
n. 3, c.p.c.) nel rapporto tra società e amministratori, in MGL, 2017, n. 3, p. 141, secondo cui la
pronuncia «non distingue […] bene il lavoro parasubordinato da quello subordinato». 268 Infra, § 4.1.2.
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un approccio estremamente rigoroso, nei termini anzidetti, non pare più molto
propensa ad accogliere le aperture verso una nozione elastica di subordinazione
che avevano contraddistinto la sua giurisprudenza nei primi anni di questo
secolo269.
Ciò non significa che la giurisprudenza non faccia più ricorso ai tradizionali
indici sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di
erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario, la presenza di una pur
minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un reale potere di
autorganizzazione in capo al prestatore270.
Il ricorso a tali indici, tuttavia, in mancanza della prova dell’eterodirezione a
carico del lavoratore, viene perlopiù ammesso solo nei casi in cui le mansioni
inerenti alla prestazione siano elementari, monotone, ripetitive e predeterminate
nelle modalità di esecuzione271, ovvero in quelli, diametralmente opposti, in cui
le mansioni, per lo più di carattere intellettuale, si caratterizzino per un elevato
grado di professionalità e creatività272, come avviene nei casi, da sempre
emblematici, del lavoro dirigenziale273 e del lavoro giornalistico274, nel quale
269 Supra, nt. 253 e 255. 270 Ex plurimis, Cass. 11 ottobre 2017, n. 23846, in D&G, 12 ottobre 2017; Cass. 26 settembre
2014, n. 20367, in DeJure; Cass. 15 giugno 2016, n. 12330, ivi; Cass. 27 dicembre 2011, n.
28982, ivi. Sul punto A. LEPORE, Gli indici giurisprudenziali di identificazione della fattispecie
lavoro subordinato, cit., p. 72 ss.; F. LUNARDON, La subordinazione, cit., p. 14 ss.; R. SCIOTTI,
La subordinazione come fattispecie unitaria complessa, Giappichelli, Torino, 2014, p. 102 ss. 271 V. ad es. Cass. 4 luglio 2017, n. 16377, in GDir, 2017, n. 39, p. 54, relativa a un caso di
fattorini addetti alla consegna a domicilio di pizze; Cass. 10 aprile 2017, n. 9157, in DeJure,
relativa al caso di addetti alla consegna di quotidiani; Cass. 19 luglio 2013, n. 17718, ivi, relativa
al caso di un addetto ad un’agenzia di scommesse ippiche; Cass. 2 dicembre 2011, n. 25811, ivi,
relativa al caso di un fattorino archivista. Nella giurisprudenza di merito, Trib. Bari 20 aprile
2018, in Ilgiuslavorista, 28 giugno 2018, in riferimento al caso di una barista; Trib. Milano 8
settembre 2017, n. 20146, in DeJure, per il caso di un imbianchino; Trib. S. Maria Capua Vetere,
13 luglio 2017, n. 2029, ivi, per il caso di una commessa. 272 A partire da Cass., Sez. Un. 30 giugno 1999, n. 379, in GCM, 1999, p. 1517, relativa al caso
di un docente universitario. 273 Da ultimo, Cass., Sez. I, 10 maggio 2016, n. 9463, in GDir., 2016, n. 36, p. 78, secondo cui
nel rapporto di lavoro dirigenziale «il lavoratore gode di ampi margini di autonomia ed il potere
di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma,
essenzialmente, nell'emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con
la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente», sicché «il giudice di merito
deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l'esistenza di una situazione di
coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell'organizzazione aziendale, idonea a
ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell'ambito di un
contesto caratterizzato dalla c.d. subordinazione attenuata». In termini; Cass. 15 maggio 2012, n.
7517, in Giust. civ., 2013, n. 5-6, I, p. 1098, con nota redazionale, e, nella giurisprudenza di
merito, Trib. Forlì 11 aprile 2017, n. 133; Trib. Milano 30 aprile 2013, n. 1403, entrambe in
DeJure. Sul punto v. supra, Cap. I, § 5, spec. nt. 85 e 87, nonché, da ultimo, M. BIASI, Brevi
riflessioni sula categoria dirigenziale all'indomani del "Jobs Act", in DRI, 2016, n. 3, p. 760 ss. 274 Nel senso che la subordinazione in campo giornalistico si atteggia come «costante
disponibilità» del lavoratore, piuttosto che come rigida eterodirezione, da ultimo, Cass. 3 maggio
2017, n. 10685, in ADL, 2017, n. 6, p. 1568, con nota di S. D’ASCOLA, Sul rapporto di lavoro
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peraltro si può registrare la significativa enucleazione da parte dei soggetti
collettivi di puntuali criteri di distinzione tra subordinazione e autonomia275, ma
anche nel campo di altri lavori “creativi”276.
La stessa giurisprudenza di legittimità, pur ammettendo che un elemento
quale la continuità del rapporto – «indice essenziale esterno», secondo una
ricostruzione dottrinale277 - non sia necessariamente indispensabile per
caratterizzare la natura subordinata del rapporto278, giudica irrilevante che il
lavoratore del cui status si controverta abbia svolto con continuità mansioni
identiche a quelle di altri lavoratori presenti in azienda inquadrati come
subordinati279.
Anche la giurisprudenza di merito, tradizionalmente più propensa a mitigare
con il ricorso al metodo tipologico il rigore della sussunzione280, sembrerebbe
avere raccolto l’invito ad assestarsi su un indirizzo più rigoroso, come si evince
dalla recente pronuncia torinese relativa al c.d. caso Foodora, di cui si tratterà
ampiamente nel prosieguo, la quale insiste in più passaggi della parte motiva
sulla circostanza che la subordinazione «discende dall’emanazione di ordini
del collaboratore fisso. Nello stesso senso, inter alia, Cass. 3 agosto 2016, n. 16210, in D&G, 4
agosto 2016, con nota di M. TONETTI, La subordinazione nei lavori creativi; Cass. 17 maggio
2016, n. 10048, ivi, 18 maggio 2016, con nota di M. CORRADO, Quella del settore giornalistico
non è una subordinazione come le altre; Cass. 24 febbraio 2016, n. 3647, in DeJure; Cass. 9
gennaio 2014, n. 290, in Lav. giur., 2014, n. 4, p. 406, con nota di G. TREGLIA. Nella
giurisprudenza di merito, Trib. Roma 9 gennaio 2017, n. 19; Trib. Roma 5 ottobre 2016, n. 8395;
Trib. Milano17 ottobre 2014, n. 38792, tutte in DeJure. Sul punto, per una panoramica ragionata
della giurisprudenza, S. CHIUSOLO, M. BORALI, Il contratto nazionale di lavoro giornalistico,
Quaderni dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Milano, 2010, p. 15 ss., nonché, in una
prospettiva diacronica, P. ZANELLI (a cura di), Il contratto dei giornalisti, Zanichelli, Bologna,
1980, spec. p. 44 ss.; G. GIUGNI, voce Lavoro giornalistico, in ED, XXIII, Giuffrè, Milano, 1973,
p. 448 ss. 275 V. Accordo tra FIEG e FNSI sul lavoro autonomo sottoscritto in data 19 giugno 2014, allegato
al CNLG 2013-2016, ove si individuano, all’art. 1, gli «elementi caratterizzanti della
collaborazione coordinata e continuativa di natura giornalistica», essenzialmente, oltre che nella
ovvia «assenza di assoggettamento all’etero direzione da parte dell’editore (lett. a)), nella
«assenza di obblighi di esclusiva» (lett. b)), nella «esclusione dalle strutture organizzative
gerarchiche aziendali» (lett. c)), e nella «esclusione dell’assoggettamento a vincoli di orario»
(lett. f)). 276 Per un interessante caso relativo a una web designer, v. Trib. Bari 4 ottobre 2017, n. 8041, in
DeJure. 277 F. LUNARDON, La subordinazione, cit., p. 12. 278 Cass. 3 ottobre 2017, n. 23056, in RGL, 2018, n. 1, II, p. 11, con nota di O. LA TEGOLA,
L’eterodirezione della prestazione come criterio selettivo della subordinazione, secondo cui
infatti «il concetto di subordinazione di cui all’art. 2094 c.c. non postula necessariamente una
continuità giornaliera della prestazione lavorativa, potendo le parti esprimere una volontà, anche
con comportamenti di fatto concludenti, di svolgimento del rapporto con modalità che prevedano
una prestazione con tempi alternati o diversamente articolati rispetto alla prestazione giornaliera
o anche con messa in disponibilità del lavoratore a richiesta del datore di lavoro». 279 Cass. 22 gennaio 2015, n. 1178, cit. 280 F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione, cit. p. 37 s.
67
specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo
dell’esecuzione delle prestazioni lavorative»281.
Certo la giurisprudenza si mostra più rigorosa, oltre che più propensa ad
attribuire rilievo alla volontà negoziale delle parti espressa nel nomen iuris,
quando l’accertamento del carattere subordinato del rapporto venga richiesto
dall’ente previdenziale282, mentre è tuttora disposta a valorizzare il dato
dell’inserimento nell’impresa, nelle sue diverse declinazioni degli indici
sussidiari (svolgimento della prestazione nei locali aziendali, con strumenti
messi a disposizioni dall’imprenditore, in fasce orarie prestabilite e con
indicazione di obiettivi minimi da raggiungere), quando esso formi oggetto di
domanda giudiziale da parte del lavoratore interessato283, tanto più quando
manchi una formalizzazione del rapporto lavorativo (casi di lavoro “al nero”)284,
quand’anche a fronte di prestazioni piuttosto saltuarie285.
Il che non significa che la stessa giurisprudenza di legittimità non sia in grado
di addivenire a risultati nuovi e anche sorprendenti, come in un recente caso
relativo al settore dei lavoratori delle agenzie ippiche in cui la Cassazione –
merita segnalarlo, contro il parere del procuratore generale – ha affermato
«l'irrilevanza, ai fini della subordinazione, del fatto che il singolo lavoratore sia
libero di accettare o non accettare l'offerta, di presentarsi o non presentarsi al
lavoro e senza necessità di giustificazione, nonché, con il preventivo consenso
del datore di lavoro, di farsi sostituire da altri»286.
Salve queste eccezioni, non si può non rilevare, tuttavia, nella giurisprudenza
più recente un approccio «metodologicamente conservatrice»287, tale da
determinare, di fatto, una restrizione dell’area della subordinazione e –
parallelamente – l’avallo di ricostruzioni volte a inserire rapporti aventi ad
281 Trib. Torino 7 maggio 2018, n. 778, in RIDL, 2018, n. 2, II, p. 283, con nota di P. ICHINO,
Subordinazione, autonomia e protezione del lavoro nella gig-economy (p. 294 ss.). 282 Cass. 28 aprile 2017, n. 10583, in DeJure; Cass. 18 aprile 2007, n. 9264, in Foro it., 2007, n.
10, I, c. 2726, con nota di V. FERRARI, Rischio contrattuale e alea nella qualificazione non
giuslavoristica delle prestazioni di lavoro. In una prospettiva non dissimile, in riferimento alla
previgente disciplina del progetto, v. ad es. Cass. 16 ottobre 2017, n. 24379, in De Jure. 283 Ancora emblematico il settore dei call center, che continua a dare luogo a un nutrito
contenzioso: v. Cass., sez. VI, 27 novembre 2017, n. 28190, in D&G, 27 novembre 2017; Cass.
21 luglio 2017, n. 18018, in Foro it., 2017, 10, I, c. 3021. Sul lavoro nei call center, al centro del
dibattito nei primi anni 2000, v. supra, Cap. I, § 9, nt. 191-193. 284 Cass. 11 ottobre 2017, n. 23846, in D&G, 12 ottobre 2017; Trib. Milano 8 settembre 2017, n.
2046; Trib. S. Maria Capua Vetere, 13 luglio 2017, n. 2029; Trib. Roma 3 maggio 2017, n. 4117,
tutte in DeJure. 285 Cass. 3 ottobre 2017, n. 23056, cit. 286 Cass. 13 febbraio 2018, n. 3457, in DeJure, che si colloca nel solco del particolare
orientamento emerso nell’ambito del lavoro nelle agenzie ippiche, maturato in relazione a
procedimento promossi dall’INPS, a partire da Cass. 1 luglio 1999, n. 6761, in GCM, 1999, p.
1535, e consolidatosi con Cass. 5 maggio 2005, n. 9343, ivi, 2005, n. 5. 287 S. D’ASCOLA, Non solo autonomia e subordinazione, cit., p. 296.
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oggetto la prestazione di lavoro personale continuativamente integrato
nell’impresa nell’ampliato contenitore del lavoro che, per il momento, non
possiamo che limitarci a etichettare come lavoro «a carattere non subordinato».
3. La risposta legislativa del lavoro «etero-organizzato»
Con la riforma del 2015 tutta la drammaticità della distinzione tra autonomia
e subordinazione si stempera – o, se si preferisce, si trasla – sul nuovo «ambiguo
confine»288 che corre tra il coordinamento genuino, di cui al novellato art. 409
n. 3, c.p.c., e la c.d. etero-organizzazione di cui all’art. 2, d. lgs. 81/2015.
Come ormai noto, la disposizione, secondo una tecnica legislativa non
dissimile da quella adoperata dal legislatore della riforma del 1973289, prevede
in via generale al primo comma che «a far data dal 1° gennaio 2016, si applica
la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di
collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente
personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal
committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro», salvo
prevedere, al secondo comma, che si verta in una delle ipotesi derogatorie
previste dal secondo comma, sulle quali ci si soffermerà nel prosieguo.
3.1. La natura giuridica delle «collaborazioni organizzate dal
committente» nella lettura della dottrina…
Nell’economia del presente lavoro, prima di esaminare i tratti caratteristici
della fattispecie cui fa riferimento la diposizione appena citata, è necessario
domandarsi se essa individui un (ulteriore) “confine interno” al mondo del lavoro
autonomo – rappresentando quindi una species di quest’ultimo, cui il legislatore
ha tuttavia ritenuto di destinare una tutela identica (o pressoché identica) a quella
del lavoro subordinato – ovvero se essa non finisca piuttosto per delineare un
nuovo “confine esterno” alla fattispecie del lavoro autonomo, che accavallandosi
e intersecandosi a quello tradizionale che corre tra l’area dell’autonomia e quella
288 A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal
committente, cit., p. 30. 289 Di «grossolana assonanza con l’incipit dell’art. 409, n. 3, c.p.c.» si parla ivi, p. 6. Nel senso
che nell’art. 2, così come nell’art. 409, n. 3, c.p.c., il legislatore individua non un tipo contrattuale
ma «una categoria di rapporti di varia origine […] accomunati da modalità di esecuzione della
prestazione lavorativa», v. G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro etero-organizzato, coordinato,
agile e telelavoro, cit., p. 772. V. tuttavia M. MARAZZA, Collaborazioni organizzate e
subordinazione: il problema del limite (qualitativo) di intensificazione del potere di istruzione,
in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 315/2016, p. 2, secondo cui «potremmo dire che
le collaborazioni organizzate sono un tipo contrattuale, nella misura in cui a questo rapporto
l’ordinamento riconduce uno specifico effetto».
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della subordinazione (rectius, dell’etero-direzione), marca una nuova linea di
demarcazione tra autonomia e subordinazione.
La questione – di rilevanza tutt’altro che esclusivamente teorica, come si
vedrà trattando delle deroghe di cui al secondo comma dell’art. 2 cit. – ricalca
l’ormai nota alternativa «norma di fattispecie vs. norma di disciplina»290, su cui,
nell’ambito di quella che è stata definita una «battaglia interpretativa senza
precedenti»291, la dottrina ha profuso i propri sforzi all’indomani della riforma
del 2015292.
Un primo filone ricostruttivo, ha ravvisato nella disposizione una norma di
disciplina293, come tale non incidente sulle nozioni codicistiche contenute
290 Profilata per primo in questi termini da R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, 7° ed., Giuffrè,
Milano, 2015, p. 371. 291 Così O. MAZZOTTA, Lo strano caso delle «collaborazioni organizzate dal committente», in
Labor, 2016, n. 1-2, p. 7, che rileva come essa abbia mobilitato «pressoché l’intera accademia
giuslavoristica», come testimoniano le ben settantotto opinioni raccolte in A. VALLEBONA (a
cura di) Il lavoro parasubordinato organizzato dal committente, in Colloqui giuridici sul lavoro,
Il Sole 24 Ore, 2015. Nello stesso senso G. BRONZINI, Il futuro (giuridico) del lavoro autonomo
nell’era della share-economy, in RIDL, 2016, n. 1, III, p. 86, il quale usa l’immagine del
«crescendo rossiniano di contributi su posizioni tra loro opposte e piuttosto inconciliabili». 292 Senza ambizioni di completezza, e senza ripetere gli autori citati, anche indirettamente, nella
nota che precede, v., in in rigoroso ordine alfabetico, S. CIUCCIOVINO, Le “collaborazioni
organizzate dal committente” nel confine tra autonomia e subordinazione, in RIDL, 2016 n. 3,
I, p. 321 ss.; R. DIAMANTI, Il lavoro etero-organizzato e le collaborazioni coordinate e
continuative, in DRI, 2018, n. 1, p. 105 ss.; G. FERRARO, Collaborazioni organizzate dal
committente, in RIDL, 2016, n. 1, I, p. 53 ss.; V. FILÌ, Le collaborazioni organizzate dal
committente nel d.lgs. n. 81/2015, in Lav. giur., 2015, n. 12, p. 1091 ss.; G.P. GOGLIETTINO,
“Jobs Act”: i limiti del lavoro autonomo parasubordinato e le plausibili azioni risolutive, in
DRI, 2016, n. 2, p. 431 ss.; M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione, coordinazione nel d.lgs.
n. 81/2015, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 294/2016; M. MARAZZA,
Collaborazioni organizzate e subordinazione, cit.; L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. n.
81 del 2015, cit.; V. NUZZO, Il lavoro personale coordinato e continuativo tra riforme e
prospettive di tutela, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 280/2015; M. PALLINI, Dalla
eterodirezione alla eteroorganizzazione: una nuova nozione di subordinazione?, in RGL, 2016,
n. 1, I. p. 65 ss.; M. PERSIANI, Note sulla disciplina di alcune collaborazioni coordinate, in ADL,
2015, n. 6, p. 1257 ss.; ID., Ancora note sulla disciplina di alcune collaborazioni coordinate, ivi,
2016, n. 2, I, p. 313 ss.; A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le
prestazioni organizzate dal committente, cit.; R. PESSI, Il tipo contrattuale: autonomia e
subordinazione dopo il Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 282/2015; O.
RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente, cit.; G.
SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente e le
collaborazioni continuative e coordinate ex art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 2), in F. CARINCI (a cura
di), Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, Adapt
University Press, 2015, p. 9 ss.; ID., I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Una
fattispecie in via di trasformazione?, Jovene, Napoli, 2015; P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d. lgs. n.
81/2015: una norma apparente?, in ADL, 2015, n. 6, p. 1117 ss.; T. TREU, In tema di Jobs Act.
Il riordino dei tipi contrattuali, in DLRI, 2015, n. 2, p. 155 ss.; A. ZOPPOLI, La collaborazione
eterorganizzata: fattispecie e disciplina, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 296/2016. 293 In tal senso, sia pure con diverse sfumature, R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, cit., p. 371; A.
PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal
committente, cit., spec. p. 11 ss.; ID., Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile, cit., p. 52 ss.; S.
70
nell’art. 2094 e nell’art. 2222 c.c., volta a estendere la disciplina del lavoro
subordinato a rapporti che, pur rimanendo di lavoro autonomo, sarebbero stati
ritenuti dal legislatore meritevoli di un’eguale livello di tutela in ragione della
debolezza del prestatore294.
Il legislatore avrebbe quindi raccolto «una precisa istanza sociale»295, in ciò
spinto plausibilmente anche dalla preoccupazione di fornire un armamentario
anti-elusivo a fronte dell’abrogazione della disciplina del lavoro a progetto296, la
quale, sbandierata come eliminazione di impopolari forme di lavoro precario297,
aveva comunque «precipita[to] tutte le collaborazioni nel regno delle
contrattazioni di mercato, senza protezioni di alcun tipo»298.
In questa prospettiva, come è stato sostenuto, «la disposizione in esame non
interviene sull’art. 2094 c.c., né identifica una fattispecie additiva di
subordinazione, perché la collaborazione etero-organizzata non rientra nello
schema legale-tipico della subordinazione ex art. 2094 c.c. (neppure in una sua
versione evolutiva), ma costituisce una diversa figura, gravitante nella soglia tra
subordinazione e autonomia, che viene ricondotta per l’effetto nell’area della
subordinazione, senza che essa sia tipologicamente qualificabile come tale,
ovvero che ne venga disposta una “conversione automatica”, o ancora che operi
una presunzione assoluta di subordinazione»299.
Un diverso orientamento, al contrario, aveva valorizzato gli effetti della
novella sul piano della nozione stessa di subordinazione, di cui avrebbe
CIUCCIOVINO, Le “collaborazioni organizzate dal committente”, cit., spec. p. 322 ss.; M.
MARAZZA, Collaborazioni organizzate e subordinazione, cit., spec. p. 2 ss.; S. GIUBBONI, Il Jobs
act del lavoro autonomo, cit., p. 478; G.P. GOGLIETTINO, “Jobs Act”: i limiti del lavoro
autonomo parasubordinato, cit., spec. p. 441 s.; A. ZOPPOLI, La collaborazione eterorganizzata,
cit., p. 6; M. BIASI, Brevi riflessioni sulla categoria dirigenziale, cit. p. 785; R. VOZA, La
modifica dell’art. 409, n. 3, c.p.c., cit., p. 3. 294 In tal senso, significativamente, M. DEL CONTE, Premesse e prospettive del Jobs Act, in DRI,
2015, n. 4, p. 955, secondo cui l’estensione della disciplina del lavoro subordinato «è la risposta
del legislatore italiano del 2015 al problema della debolezza contrattuale dei collaboratori privi
di una reale autonomia organizzativa della propria attività». 295 A. ZOPPOLI, La collaborazione eterorganizzata, cit., p. 24. 296 G.P. GOGLIETTINO, “Jobs Act”: i limiti del lavoro autonomo parasubordinato, cit., spec. 432;
M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione, coordinazione, p. 22, la quale parla di «persistente
finalità antielusiva della nuova normativa»; O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle
collaborazioni organizzate dal committente, cit., p. 2, la quale ravvisa nel duplice elemento del
carattere esclusivamente personale della collaborazione e nell’etero-organizzazione
(contrapposta al coordinamento) un «nuovo filtro selettivo» per separare le collaborazioni
autonome genuine da quelle false. 297 Annulliamo cococo, cocopro e quella roba lì, intervista a Matteo Renzi, La Repubblica, 30
novembre 2014. 298 Così G. BRONZINI, Il futuro (giuridico) del lavoro autonomo nell’era della share-economy,
cit, p. 87, secondo cui la norma è «strettamente connessa alla cancellazione del lavoro a progetto
e delle connesse ipotesi di repressione dei comportamenti elusivi». 299 Così A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni
organizzate dal committente, cit., p. 11.
71
determinato un allargamento, vuoi attraverso l’introduzione di una presunzione
assoluta di subordinazione300, vuoi attraverso il recepimento per via legislativa
di orientamenti già emersi nella giurisprudenza301, tale da incidere– quantomeno
“di fatto”302 – sulla nozione di subordinazione di cui all’art. 2094, che si
estenderebbe accomunando il lavoro etero-organizzato al lavoro etero-diretto303.
In questa prospettiva, quindi, «sembra preferibile ricondurre al lavoro
subordinato la categoria dei rapporti di collaborazione organizzati dal
committente, e non qualificarli autonomi o parasubordinati»304.
Non è poi mancato chi, provocatoriamente, ha ritenuto il nuovo art. 2, d.lgs.
81/2015 «privo di efficacia propriamente normativa», bollandolo come una
«norma apparente» che si limita a codificare indici sussidiari (tempo e luogo
della prestazione, vale a dire: osservanza di un orario di lavoro e inserimento
della prestazione nell’organizzazione d’impresa della controparte contrattuale
del lavoratore) già ampiamente utilizzati dalla giurisprudenza ai fini della
qualificazione dei rapporti di lavoro305, tanto più in un contesto in cui da tempo,
300 L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015, cit., spec. p. 16 s. 301 G. FERRARO, Collaborazioni organizzate dal committente, cit., p. 62, secondo cui il legislatore
avrebbe sposato «una concezione estensiva della subordinazione, imperniata innanzitutto sui
requisiti interdipendenti della personalità e della continuità della prestazione a favore di terzi,
nell'ambito della quale si prende atto di una certa vaporizzazione del tradizionale potere direttivo
di stampo gerarchico che va stemperandosi in un più ampio ed eterogeneo potere di
organizzazione delle modalità esecutive della prestazione di lavoro». Sembrerebbe porsi nello
stesso senso G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro etero-organizzato, coordinato, agile e telelavoro,
cit., p. 774, secondo cui la formula «finisce per normativizzare una serie di indici sussidiari come
il luogo e il tempo di lavoro già accolti dalla giurisprudenza per stabilire la natura subordinata o
autonoma del rapporto». 302 La notazione assume un particolare rilievo nella ricostruzione di M. PALLINI, Dalla
eterodirezione alla eteroorganizzazione: una nuova nozione di subordinazione, spec. p. 78, il
quale, partendo dalla valorizzazione del nesso inscindibile tra fattispecie ed effetti, osserva che
«potrà anche dirsi che il lavoro subordinato in senso stretto continua a identificarsi nel solo
lavoro eterodiretto, ma se al lavoro eteroorganizzato è destinata a tutti i fini e per tutti gli aspetti
la medesima disciplina, il risultato prodotto sul piano pratico è coincidente con quello che si
sarebbe potuto perseguire violando la sacralità dell’art. 2094 c.c.». 303 O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente, cit.,
spec. p. 4 ss.; EAD., Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p. 16 s.; T.
TREU, In tema di Jobs Act. Il riordino dei tipi contrattuali, cit., p. 163 e s. V. tuttavia, nonché F.
CARINCI, Prefazione, cit., p. VII, secondo cui la norma incide sulla fattispecie della
subordinazione, con l’effetto però di «restringere la stessa ‘definizione’ di cui all’art. 2094 c.c.». 304 Così G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente, cit.,
p. 20. 305 P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 81/2015: una norma apparente?, cit., p. 1117 ss., secondo
cui anzi la disposizione delinea una fattispecie più ristretta di quella delineata dall’art. 2094 c.c.
Opinione non dissimile quella espressa da R. DIAMANTI, Il lavoro etero-organizzato e le
collaborazioni coordinate e continuative, cit., p. 105 ss., e da O. MAZZOTTA, Lo strano caso
delle «collaborazioni organizzate dal committente», cit., spec. p. 9 e s., il quale si chiede
retoricamente «come potrebbe negarsi allora che un lavoratore che dedichi la propria opera
esclusiva e continuativa a favore di un committente che ne organizza la prestazione,
imponendogli di prestare l’attività presso la sede dell’impresa con l’osservanza di un orario di
lavoro, si collochi entro lo spazio coperto dall’art. 2094 c.c.?».
72
come è stato osservato, non risultava più prevalente il «modello del lavoro
spazialmente e temporalmente etero-diretto»306.
3.2. … e in quella della prima giurisprudenza formatasi nel vigore del
Jobs Act
La giurisprudenza, per parte sua, non si è mostrata troppo sensibile alla
querelle, continuando a ricorrere con una certa disinvoltura all’utilizzo del
termine «etero-organizzazione» quale sinonimo di «etero-direzione»307 o
comunque utilizzando i dati di fatto riconducibili alla nozione di etero-
organizzazione come indici della sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato nei casi dubbi, come le collaborazioni negli studi professionali308,
secondo una linea interpretativa emersa nella giurisprudenza di legittimità in
riferimento alle collaborazioni negli studi professionali309.
Tuttavia, la scarsa giurisprudenza di merito che già ha avuto modo di fare
espresso riferimento all’art. 2, d.lgs. 23/2015 – quand’anche per obiter dicta,
trattandosi di fattispecie precedenti al 1 gennaio 2016 – si sta assestando su
posizioni per nulla univoche.
Una prima linea interpretativa, emersa in un paio di pronunce del Tribunale
di Roma dovute alla penna dello stesso estensore310, sembrerebbe porsi tra le fila
dei fautori della tesi della «norma di fattispecie». Esse, infatti, dapprima
criticano quell’orientamento, cui si è già fatto riferimento, che richiede che
l’eterodirezione «sia qualificata da caratteri di assiduità e specificità», e quindi
concludono nel senso che oggi, «perché vi sia subordinazione basta quindi» o
306 Così già M. PEDRAZZOLI, Lavoro sans phrase e ordinamento dei lavori. Ipotesi sul lavoro
autonomo, in RIDL, 1998, I, p. 49 ss. 307 Trib. Novara 9 gennaio 2018, n. 125, in DeJure, secondo cui la subordinazione può intendersi
«come etero-determinazione spaziale e temporale della prestazione lavorativa». Sulla stessa
linea Trib. Udine 10 novembre 2016, n. 1306, ivi; Trib. Udine 26 gennaio 2017, n. 29, ivi,
secondo cui «subordinazione e parasubordinazione sono di difficile distinzione nella pratica in
quanto caratterizzate entrambe da forme di eterodirezione e/o eterorganizzazione (seppur a
diversi livelli: più forti e totalizzanti nel rapporto subordinato, più ridotte e blande nella
parasubordinazione)». Sul punto, osserva C. PISANI, Le collaborazioni coordinate e continuative
a rischio estinzione, in RIDL, 2018, n. 3, I, p. 43 ss., che anche Corte cost. 7 maggio 2015, n. 76,
cit. «fa indistintamente riferimento anche al potere organizzativo del datore di lavoro,
confermando la fungibilità dei due termini nel linguaggio giuslavorista» 308 V. ad es. Trib. Milano 11 marzo 2017, n. 740, in DeJure; Trib. Cuneo 13 dicembre 2017, n.
280, ivi, secondo cui «la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in
relazione alla intensità della etero-organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se
l'organizzazione sia limitata al coordinamento dell'attività del professionista con quella dello
studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e
continuativamente dall'interesse dello stesso studio». 309 Cass. 14 febbraio 2011, n. 3594, in Foro it., 2011, n. 10, I, c. 2788; Cass. 11 maggio 2005 n.
9894, ivi, 2005, n. 5; Cass. 07 marzo 2003, n. 3471, ivi. 2003, n. 4, p. 490. 310 Trib. Roma 8 maggio 2017, n. 4219; Trib. Roma 12 marzo 2018, n. 1841, entrambe in DeJure.
73
l’etero-organizzazione, «ossia che la prestazione sia retta dalle regole
dell'organizzazione del “committente” nel cui contesto produttivo il prestatore
sia pienamente inserito, ovvero che il prestatore non abbia apprezzabili margini
di autonomia organizzativa» oppure l’eterodirezione, da intendere «nel mero
senso di stabile disponibilità nel tempo alle mutevoli esigenze dell'impresa, che
implica di per sé una condizione di assoggettamento al potere direttivo riferibile
alla previsione dell'art. 2094 c.c.»311.
Un’operazione ermeneutica alquanto diversa è invece contenuta nella
sentenza torinese relativa alla qualificazione dei rider di Foodora312, cui si è già
fatta menzione nel rilevare l’irrigidimento della nozione di subordinazione ad
opera della più recente giurisprudenza313 e cui si farà ancora riferimento nel
prosieguo, trattando dei profili giuridici del lavoro nella c.d. gig economy314.
In uno dei passaggi più controversi della motivazione, il giudice piemontese
osserva – forse un po’ troppo sbrigativamente315 – che se anche nelle intenzioni
del legislatore l’art. 2, d.lgs. 81/2015, avrebbe dovuto ampliare l’ambito della
subordinazione, in modo da includervi delle fattispecie rientranti in precedenza
nel «generico campo della collaborazione continuativa […] così non è stato». Il
Tribunale, infatti, sposa appieno quella ricostruzione dottrinale316, secondo cui
la disposizione «non ha un contenuto capace di produrre nuovi effetti giuridici
sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro»,
sconfessando così quella diversa ricostruzione che aveva invece scorto nella
riconduzione alla subordinazione delle collaborazioni etero-organizzate uno
strumento idoneo ad apprestare un’efficace tutela a favore dei lavoratori su
piattaforma317.
Anzi, aggiunge la sentenza, poiché l’art. 2 d.lgs. 81/2015 richiederebbe che
il potere direttivo e organizzativo del datore si estrinsechi anche in riferimento
ai tempi e al luogo di lavoro – e non anche soltanto con riferimento a essi – «così
311 Con la precisazione che l’etero-direzione «non muta natura per il fatto che tale potere sia nei
fatti esercitato con direttive generali o ordini specifici, di frequente o occasionalmente, cose che
dipendono dalla natura delle mansioni, dal margine di autonomia dei quali anche i lavoratori
subordinati solitamente dispongono, […]; e dalla natura dei processi produttivi, che tanto più
rigorosamente sono predefiniti dal committente, tanto più rendono solo occasionale la necessità
del suo intervento conformativo». 312 Trib. Torino 7 maggio 2018, cit. 313 Supra, § 2.1. 314 Infra, Cap. IV. 315 Così P. TULLINI, Prime riflessioni dopo la sentenza di Torino sul caso Foodora, in LDE,
2018, n. 1, p. 7. Rilevano «più di una perplessità» sulla sentenza M. DEL CONTE, O. RAZZOLINI,
La gig economy alla prova del giudice: la difficile reinterpretazione della fattispecie e degli
indici denotativi, in DLRI, 2018, n. 3, p. 674 s. 316 P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 81/2015: una norma apparente?, cit., p. 1117. 317 A. ALOISI, Il lavoro “a chiamata” e le piattaforme “online” della “collaborative economy”:
nozioni e tipi legali in cerca di tutele, in L&LI, n. 2, p. 46 s.
74
come è stata formulata, la norma viene ad avere addirittura un ambito di
applicazione più ristretto di quello dell’art. 2094 c.c.»318.
Si realizza così appieno quel “paradosso apparente” che la dottrina più
attenta alle dinamiche “zona grigia” non aveva mancato di preconizzare319, per
cui con la riforma del 2015 la nozione di lavoro subordinato «risulta, sul piano
tecnico-giuridico, non già allargata bensì ristretta entro confini angusti dai quali
la giurisprudenza più progressiva la stava, faticosamente, affrancando: quelli del
lavoro eterodiretto in senso forte, e cioè sottoposto a direttive assidue e
specifiche del datore di lavoro, e dal medesimo sorvegliato attraverso penetranti
misure di controllo»320.
Vale la pena di rilevare, peraltro, come per escludere la sussistenza del dato
dell’etero-organizzazione (quantomeno temporale) della prestazione lavorativa
dei rider di Foodora non fosse necessario sposare un’interpretazione così
riduttiva della novella del 2015, posto che in fondo essa poteva dirsi comunque
esclusa in ragione della riconosciuta libertà in capo al lavoratore di decidere l’an,
il quando e il quantum della prestazione321.
Di fronte ad una tale molteplicità di letture, tentare di fornire un’ipotesi
ricostruttiva non è un’impresa semplice. Per tentare di farlo, tuttavia, pare
necessario innanzitutto esaminare le ipotesi derogatorie previste dal secondo
comma dell’art. 2, d.lgs. 81/2015, e verificare inoltre se l’applicazione della
disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate sia o
meno integrale, oltre che escludente dell’applicazione della normativa in materia
di lavoro autonomo (oltre alla disciplina del singolo tipo contrattuale, quella
contenuta nello Statuto del lavoro autonomo).
Occorrerà, in seconda battuta, anticipare una disamina delle caratteristiche
del coordinamento “genuino” di cui al novellato art. 409, n. 3, c.p.c., (a mente
del quale la collaborazione si intende coordinata – e, dunque, non etero-
organizzata – quando «il collaboratore organizza autonomamente l’attività
lavorativa»), posto che solo all’esito di una tale analisi differenziale potrà essere
possibile tentare di sciogliere il nodo relativo alla collocazione sistematica delle
collaborazioni «organizzate dal committente».
318 Come era stato osservato da P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 81/2015: una norma
apparente?, cit., p. 1120, e F. CARINCI, Prefazione, cit., p. VII. 319 F. MARTELLONI, I rimedi nel “nuovo” diritto del lavoro autonomo, cit., p. 517 ss. 320 Ivi, p. 521. 321 In questo senso Trib. Milano 10 settembre 2018, n. 1853, inedita, in riferimento alla
qualificazione del rapporto di lavoro dei rider di Glovo, secondo cui «le modalità di esecuzione
della prestazione, per quanto precedentemente evidenziato, non possono ritenersi ‘organizzate
dal committente con riferimento ai tempi […] di lavoro’, poiché la scelta fondamentale in ordine
ai tempi di lavoro e di riposo era rimessa all’autonomia del ricorrente, che la esercitava nel
momento in cui manifestava la propria disponibilità a lavorare in determinati giorni e orari e non
in altri».
75
3.3. Le ipotesi derogatorie di cui al secondo comma
La regola della riconduzione alla subordinazione delle collaborazioni
organizzate dal committente, per espressa previsione dell’art. 2, comma 2, d.lgs.
81/2015, «non trova applicazione» con riferimento a cinque specifiche
fattispecie derogatorie – tra loro disomogenee322 ma accomunate dal fatto di
riprendere alcune tra quelle già previste dall’art. 61 d.lgs 276/2015323, ma non
tutte324 – ricorrendo le quali il legislatore sottrae alla disciplina del lavoro
subordinato collaborazioni che pure sono di carattere esclusivamente personale
e «organizzate dal committente».
Si tratta, in particolare, delle collaborazioni «per le quali gli accordi collettivi
nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti
il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze
produttive ed organizzative del relativo settore» (lett. a)); delle «collaborazioni
prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria
l'iscrizione in appositi albi professionali» (lett. b)); delle «attività prestate
nell'esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di
amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e
commissioni» (lett. c)); delle «collaborazioni rese a fini istituzionali in favore
delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni
sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione
sportiva riconosciuti dal C.O.N.I.» (lett. d))325.
Le deroghe ammesse alle lettere b), c) e d), riprendono alla lettera quelle già
previste dall’art. 61, comma 3, d.lgs. 276/2003326. Alcune (soprattutto quelle sub
322 M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione, coordinazione, cit., p. 16; A. ZOPPOLI, La
collaborazione eterorganizzata, cit., p. 26. 323 Lo rilevano O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal
committente, cit., p. 20, e M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione, coordinazione, cit., p. 16. 324 Non vengono infatti incluse nell’ambito della deroga le collaborazioni con i beneficiari di
trattamenti pensionistici di vecchiaia. Sul punto, v. i dubbi di G.P. GOGLIETTINO, “Jobs Act”: i
limiti del lavoro autonomo parasubordinato, cit., p. 441, che ricorda che essi erano stati avanzati
già dal sen. Sacconi nella relazione alla Commissione Lavoro del Senato del 16 aprile 2015 (nt.
81). 325 Sono state poi aggiunte le ipotesi di cui alla lettera d-bis), relativa alle collaborazioni prestate
nell'ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli da parte di alcune fondazioni
musicali di diritto privato, e da ultimo quelle di cui alla lettera d-ter), relativa alle collaborazioni
svolte a favore del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico e del Club alpino italiano. 326 Con la conseguenza, come osserva A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni
coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, cit. p. 22, che la deroga di cui alla lett.
b) deve essere letta alla luce della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 1, comma 27,
l. 92/2012 (a mente del quale l’esclusione dal campo di applicazione della disciplina del lavoro
a progetto «riguarda le sole collaborazioni coordinate e continuative il cui contenuto concreto
sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria
l'iscrizione in appositi albi professionali»), sicché anche in riferimento all’art. 2, d.lgs. 81/2015,
76
b) e c)) trovano la loro ratio nella presunta inesistenza di una condizione di
debolezza del collaboratore327, peraltro tutta da verificare, quantomeno con
riferimento al mondo libero professionale, che pullula di figure (praticanti,
tirocinanti, collaboratori che si trovano fuori dalla «ristretta cerchia dei
partners»328) che prestano la propria attività spesso in condizioni di assoluta
dipendenza economica e organizzativa329, ma che, nonostante l’attenzione delle
cronache330 e delle scienze sociali331, non hanno ricevuto pressoché alcuna
risposta dal legislatore332. Altre (soprattutto quelle sub d), d-bis) e d-ter)) si
fondano su opzioni di politica del diritto che trovano riscontro anche in altri
settori dell’ordinamento333, e come tali non hanno dato luogo a significativi
problemi di carattere interpretativo, ancorché non siano mancate richieste di
interpello al Ministero334.
È invece la deroga prevista dalla lettera a), che autorizza gli accordi collettivi
nazionali stipulati da associazioni comparativamente più rappresentative a
escludere l’applicazione dell’art. 2, d.lgs. 81/2015, ad avere destato maggiore
l'iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza di per sé idonea a escludere
l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato. 327 Soprattutto con riferimento alle ipotesi di cui alla lettera c), rispetto alla quale già M.
ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 2010, p. 54, osservava che si
tratta di figure professionali «per le quali sarebbe ictu oculi del tutto incongruo porre il problema
dell’estensione di tutele lavoristiche, neppure reclamate dai diretti interessati». 328 M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, cit., p. 100. 329 O. RAZZOLINI, La nozione di subordinazione alla prova delle nuove tecnologie, cit., p. 982,
spec. nt. 38, dove si osserva che «le modalità tecnico-organizzative con cui operano oggi i grandi
studi professionali rendono difficile immaginare che perdurino reali ragioni per sostenere […]
che l’attività intellettuale svolta dai professionisti collaboratori senza una propria clientela non
possa presentare i tratti tipici della subordinazione». Nello stesso senso, da ultimo, C. ROMEO,
L’avvocato in regime di monocommittenza: tra autonomia e subordinazione, in Lav. giur., 2018,
n. 8-9, p. 774 ss. 330 V. ad es. D. DI VICO, Il calvario dei giovani avvocati senza welfare e senza clienti, in CdS,
22 ottobre 2009, p. 39. 331 S. BOLOGNA, V. BANFI, Vita da freelance. I lavoratori della conoscenza e il loro futuro,
Feltrinelli, Milano, 2011, spec. p. 130 ss. 332 Sul punto v. comunque infra, Cap. III, Sez. I, § 8.3.2 ss., per l’esame delle novità in tema di
equo compenso per (alcuni) avvocati e altri liberi professionisti e delle iniziative legislative in
materia di subordinazione negli studi professionali. 333 Con riferimento all’ipotesi prevista alla lettera d), rispetto alla quale merita rilevare che
l’esclusione risponde alla medesima ratio di incentivazione che sta alla base del trattamento
fiscale di favore concesso ai redditi cui danno luogo le collaborazioni sportive dilettantistiche. 334 V. Risposta a interpello 20 gennaio 2016, n. 5, con il quale il Ministero ha escluso dall’ambito
di applicazione dell’art. 2, d.lgs. 81/2015, i rapporti di collaborazione tra produttori/intermediari
assicurativi e impresa di assicurazione, sulla base del rilievo essenziale che per espressa
disposizione del Codice delle Assicurazioni Private tali collaboratori «operano senza obblighi di
orario o di risultato» (art. 109, d.lgs. 209/205); Risposta a interpello 27 gennaio 2016, n. 6, ove
viene specificato che tra le collaborazioni escluse in forza della lettera d) dell’art. 2 cit. devono
essere ricomprese anche quelle rese in favore del CONI, delle Federazioni Sportive nazionali e
di altri enti pur non espressamente menzionati dalla disposizione.
77
attenzione da parte della dottrina335, e, ancor prima, le preoccupazioni da parte
delle organizzazioni imprenditoriali rappresentative dei settori caratterizzati da
un ricorso per così dire strutturale al lavoro parasubordinato336, come quello, da
sempre paradigmatico, dei call center337.
Non a caso, la previsione di cui alla lettera a) richiama immediatamente la
speciale disciplina che era stata apprestata per gli operatori di call center in
modalità outbound dall’art. 24-bis, comma 7, d.l. 22 giugno 2012, n. 83
(convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134), che aveva operato un’aggiunta all’art. 61
d.lgs 276/2003, al fine di ricomprendere tra le collaborazioni coordinate e
continuative escluse dalla disciplina del lavoro a progetto anche «le attività di
vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center 'outbound' per
le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base
del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di
riferimento»338.
Il riferimento ai (soli) servizi di call center in modalità outbound339 si
spiegava considerando che la differenza tra servizi in bound e out bound aveva
funto nella normazione ministeriale da criterio di distinzione principe tra le
attività che non possono che essere svolte in regime di subordinazione (cioè
quelle in bound) e quelle che possono invece essere svolte (anche) mediante
contratti a progetto (cioè quelle out bound)340, secondo una linea ricostruttiva
335 L. IMBERTI, L’eccezione è la regola?! Gli accordi collettivi in deroga alla disciplina delle
collaborazioni organizzate dal committente, in DRI, 2016, n. 2, p. 393 ss.; C. SANTORO, La
delega “in bianco” alla contrattazione collettiva sulle collaborazioni “etero-organizzate” e
prime applicazioni concrete, ivi, 2015, n. 4, p. 1165 ss.; M. MAGNANI, Autonomia,
subordinazione, coordinazione, cit., p. 17; A. ZOPPOLI, La collaborazione eterorganizzata, cit.,
p. 26. 336 Si vedano i comunicati stampa emanati, all’indomani della legge delega n. 183/2014 e della
relativa “stretta” sulla collaborazioni a progetto, dalle organizzazioni rappresentative delle
aziende del settore delle ricerche di mercato, dei call center outbound e del recupero crediti,
riportati in L. IMBERTI, L’eccezione è la regola?!, cit., p. 397 s. 337 Già oltre un decennio addietro M. MARAZZA, Il mercato del lavoro dopo il caso Atesia.
Percorsi alternativi di rientro dalla precarietà, in ADL, 2007, n. 2, p. 329, rilevava come quello
dei call center fosse il settore economico che aveva visto la più massiccia proliferazione di
collaborazioni coordinate e continuative (p. 529). Sul punto supra, Cap. I, § 9, nt. 191-193. 338 Sul punto, S. CASSAR, La nuova prestazione di lavoro a progetto nei call center: “a passo di
gambero” sul tortuoso percorso interpretativo della disciplina speciale. Il ruolo delle parti
sociali, in DRI, 2014, n. 1, p. 159 ss. 339 Vale a dire le attività di campagna promozionale svolte da operatori che effettuano chiamate
in uscita (contrapposti ai servizi inbound, in cui gli operatori rispondono alle chiamate in entrata
e non possono quindi organizzare liberamente l’attività lavorativa). 340 Circolare Ministero del Lavoro 14 giugno 2006, n. 17, la quale chiariva che mentre «è
senz’altro configurabile un genuino progetto, programma di lavoro o fase di esso, con riferimento
alle campagne out bound nell'ambito delle quali il compito assegnato al collaboratore è quello di
rendersi attivo nel contattare, per un arco di tempo predeterminato, l'utenza», nelle attività in
bound, al contrario, «l'operatore non gestisce, come nel caso dell'out bound, la propria attività,
né può in alcun modo pianificarla giacché la stessa consiste prevalentemente nel rispondere alle
chiamate dell'utenza, limitandosi a mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie
78
che si era consolidata nonostante le perplessità avanzate da una parte della
dottrina341, con il conforto di alcune pronunce propense a ribadire la natura non
vincolante delle indicazioni ministeriali342, ancorché non fossero mancate
pronunce che le avevano trovate convincenti343.
Con l’ipotesi derogatoria di cui alla lettera a) dell’art. 2 cit., dunque, il
legislatore estende l’esperienza dei call center a tutti i settori economici per i
quali la contrattazione collettiva nazionale preveda «discipline specifiche
riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari
esigenze produttive ed organizzative del relativo settore», in modo tale da
consentire «in un contesto di “traghettamento forzoso”, da uno statuto protettivo
debole ad uno statuto protettivo forte […] la promozione “morbida” di passaggi
convenzionali, modulati nelle tempistiche e nelle discipline di gestione del
rapporto, con l’evidente esigenza di garantire la salvaguardia delle imprese, e,
quindi, della occupazione»344.
La norma, tuttavia, per come formulata, solleva numerose questioni e dubbi
applicativi.
In primo luogo, quanto ai soggetti abilitati a escludere l’applicazione della
disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate, il
riferimento agli «accordi collettivi nazionali» ha portato parte della dottrina a
ritenere che il legislatore abbia operato un’abrogazione parziale indiretta della
normativa in materia di contrattazione di prossimità345 – la quale, come noto, a
seguito dell’introduzione dell’art. 8, d.l. 138/2011, è autorizzata, a determinate
condizioni, a derogare anche alle disposizioni di legge in svariati ambiti346 –
ovvero che, comunque, in materia non possano intervenire accordi derogatori ad
opera della contrattazione aziendale o territoriale347.
psicofisiche per un dato periodo di tempo». Con successiva Circolare 31 marzo 2008, n. 8, il
Ministero aveva ulteriormente irrigidito i requisiti delle collaborazioni autonome nel settore dei
call center, ma, a seguito dell’insediamento del Governo Berlusconi IV nella primavera del 2008,
il Ministero è prontamente tornato sui propri passi con la Nota Ministeriale 3 dicembre 2008, n.
17286. 341 M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, cit., p. 60, che giudicava la distinzione
artificiosa e inidonea a contrastare l’abuso delle collaborazioni a progetto nel settore. 342 Trib. Milano 18 gennaio 2007, in DPL, 2007, p. 1264. 343 Trib. Roma 3 dicembre 2008, in DPL, 2009, p. 1887, che accoglie invece le indicazioni delle
circolari giudicando genuinamente autonomo il rapporto di un operatore out bound. 344 Così R. PESSI, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, cit., p. 14. 345 In tal senso, molto esplicitamente, G.P. GOGLIETTINO, “Jobs Act”: i limiti del lavoro
autonomo parasubordinato, cit., p. 447. 346 Per tutti, A. PERULLI, La contrattazione collettiva “di prossimità”: teoria, comparazione e
prassi, in RIDL, 2013, n. 4, I, p. 919 ss.; A. TURSI, L’articolo 8 della legge n. 148/2011 nel
prisma dei rapporti tra legge e autonomia collettiva, in DRI, 2013, n. 4, p. 977 ss. 347 L. IMBERTI, L’eccezione è la regola?!, cit., p. 421 s.; M.V. BALLESTRERO, G. DE SIMONE,
Diritto del lavoro, Giappichelli, 2015, p. 135. Contra, A. LASSANDARI, Risposta, in A.
VALLEBONA (a cura di), Il lavoro parasubordinato organizzato dal committente, cit., p. 67 s.; F.
MARTELLONI, Risposta, ivi, p. 73, e ID, I rimedi nel “nuovo” lavoro autonomo, cit., p. 532,
79
Per altro verso, il riferimento “a” (anziché “alle”) «associazioni
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale», se da un lato
“strizza l’occhio” agli accordi separati348, dall’altro ripropone ancora una volta
la vexata quaestio circa i criteri di individuazione del sindacato
“comparativamente più rappresentativo”, mai del tutto risolta nonostante
l’avallo giurisprudenziale delle indicazioni ministeriali in materia349.
Ulteriori dubbi interpretativi suscita, poi, il duplice riferimento alle
«particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore», e alla
previsione di «discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e
normativo» dei collaboratori etero-organizzati esclusi dalla disciplina della
subordinazione. Rispetto ad esse, infatti, non ci si può che domandare se la
verifica della sussistenza delle esigenze produttive sottostanti alla deroga, così
come quella dell’adeguatezza delle discipline di fonte contrattual-collettiva, sia
integralmente rimessa alle stesse parti sociali ovvero se essa possa invece
formare oggetto di sindacato giudiziale.
La dottrina, in attesa di un pronunciamento giurisprudenziale sul punto, nel
prendere atto della genericità dei limiti posti dalla norma alla contrattazione
collettiva350, non ha potuto che augurarsi che «a fronte di un’esplicitazione delle
esigenze del settore ad opera dei contraenti collettivi e di una definizione di un
trattamento non solo economico, ma appunto anche normativo, il giudice eserciti
un opportuno self-restraint, soprattutto se si tiene conto che deputati a graduare
fattispecie e tutele sono solo sindacati particolarmente qualificati»351.
Sullo sfondo, come da subito da più parti rilevato352, il nodo del potenziale
contrasto con il principio di indisponibilità del tipo contrattuale, che anche nella
secondo cui sarebbe sarebbero ammesse anche deroghe ad opera della contrattazione di
prossimità. 348 Lo osserva A. ZOPPOLI, La collaborazione eterorganizzata, cit., p. 30, che rileva
l’utilizzazione della preposizione semplice “da” in luogo di quella articolata “dalle” per
individuare il soggetto negoziale abilitato alla deroga. 349 Cfr. da ultimo, proprio in riferimento alla disposizione in esame, la risposta a interpello del
Ministero del lavoro 15 dicembre 2015, n. 27, che richiamando la propria Nota 9 novembre 2010,
prot. n. 25/I/0018931/MA002.A007.1452, e le proprie circolari 6 marzo 2012, prot. n. 37
0004610/MA003.A001, e 5 giugno 2012, n. 13 – la cui legittimità è stata confermata da TAR
Lazio, sez. III bis, 7 agosto 2014, n. 8865, e TAR Lazio, sez. III bis, 30 giugno 2015, n. 8765 –
individua quali “indici sintomatici” della maggiore rappresentatività comparativa: 1) il numero
complessivo dei lavoratori occupati; 2) il numero complessivo delle imprese associate; 3) la
diffusione territoriale; 4) il numero dei contratti collettivi nazionali sottoscritti. 350 M.V. BALLESTRERO, G. DE SIMONE, Diritto del lavoro, cit., p. 135, le quali considerano il
limite delle esigenze produttive e organizzative «insufficiente a circoscrivere il potere
dell’autonomia collettiva di tenere collaborazioni, anche compiutamente etero-organizzate, al di
fuori della applicazione della disciplina del lavoro subordinato». 351 Così M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione, coordinazione, cit., p. 18 s. 352 Sul punto in particolare O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate
dal committente. Prime considerazioni, p. 20 ss.; M.V. BALLESTRERO, G. DE SIMONE, Diritto
80
ricostruzione di chi risolve il problema ritenendo di essere alle prese con una
tipologia interna al mondo del lavoro autonomo353, non manca di riproporsi sotto
altri termini: quelli del giudizio di ragionevolezza della differenziazione di
trattamento tra i collaboratori etero-organizzati attratti nell’orbita della
(disciplina della) subordinazione e quelli che invece ne vengono esclusi da parte
della contrattazione collettiva354.
Allargando lo sguardo alla dimensione europea, invece, la validità degli
accordi in parola potrebbe scontrarsi con le previsioni del diritto della
concorrenza355, che nella lettura datane dalla Corte di giustizia sembrerebbe non
ammettere alcun tipo di “accordi di tariffa” relativi al mondo dei lavoratori
“genuinamente autonomi”356.
3.4. Una possibile chiave di lettura: l’etero-organizzazione come
posizione di potere unilaterale “di fatto” dell’imprenditore (come
tale però incompatibile con gli schemi del lavoro autonomo genuino)
Anticipando in parte quanto potrà essere apprezzato dal confronto con la
fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa non etero-organizzata,
così come precisata oggi dall’art. 15, l. 81/2017357, non pare che ci si possa
esimere dal prendere una posizione rispetto alla questione relativa alla
collocazione sistematica delle collaborazioni di cui all’art. 2, d.lgs. 81/2015.
del lavoro, cit., p. 138 s.; A. ZOPPOLI, La collaborazione eterorganizzata, cit., p. 26 ss.; L.
IMBERTI, L’eccezione è la regola?!, cit., p. 422 s. 353 Ad esempio A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni
organizzate dal committente, cit., p. 14 s., secondo cui anzi le deroghe di cui al comma 2
costituiscono “l’indizio decisivo” a favore della riconduzione del lavoro etero-organizzato al
mondo del lavoro autonomo. In senso adesivo, A. ZOPPOLI, La collaborazione eterorganizzata,
cit., p. 27. In effetti, gli autori che ritengono invece che l’art. 2 comporti un’estensione della
fattispecie faticano alquanto a giustificare la presenza delle ipotesi derogatorie, vuoi ipotizzando
«l’esistenza nel nostro ordinamento di una nozione di subordinazione parzialmente disponibile»
(O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni, cit., p. 22), vuoi sulla base del rilievo
che «in quei settori non sussiste una situazione patologica di lavoro subordinato mascherato» (L.
NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015, cit., p. 25). 354 Lo rileva M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione, coordinazione, cit. p. 12, secondo cui
«il problema rimane immutato, sia che si qualifichi il rapporto come subordinato, sia che lo si
qualifichi come autonomo, con applicazione della disciplina del lavoro subordinato». Nello
stesso senso M.V. BALLESTRERO, G. DE SIMONE, Diritto del lavoro, cit., p. 138 s. 355 Sollevano la questione V. NUZZO, Il lavoro personale coordinato e continuativo, cit., p. 14
s., e L. IMBERTI, L’eccezione è la regola?!, cit., p. 424 s. 356 Come si avrà modo di vedere approfonditamente infra, Cap. III, Sez. III, § 4. 357 Il quale, come si è già avuto modo di rilevare, introduce in calce all’art. 409, n. 3, c.p.c., la
norma di interpretazione autentica (così G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro eterorganizzato e
l’interpretazione autentica del lavoro coordinato ex art. 15 d.lgs. n. 81 del 2017, cit., spec. 437
s.), secondo cui la collaborazione si intende coordinata (e, quindi, non etero-organizzata)
«quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il
collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa».
81
Innanzitutto, pare cogliere nel segno la definizione di etero-organizzazione
nei termini, più che di una posizione giuridica, di una situazione fattuale, che
ricorre nell’ipotesi in cui «di fatto al collaboratore non resta alcun apprezzabile
margine di autonomia su come, dove e quando svolgere la propria attività»
perché «le principali modalità esecutive […] sono di fatto determinate dal
committente […] anche attraverso il semplice inserimento del collaboratore nei
consolidati meccanismi organizzativi dell’azienda di cui il committente è
titolare»358.
Si tratta quindi di «una condizione fattuale che si impone al
collaboratore»359, nell’ambito della quale il committente «incide
organizzativamente sulle modalità esecutive della prestazione, nonché sui tempi
e sul luogo di esercizio dell’attività prestatoria “formattando” il substrato
materiale della prestazione»360.
Se così è, però, appare davvero arduo, se non proprio impossibile, sostenere
il carattere genuinamente autonomo di rapporti di collaborazione
(“nell’impresa”) che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente
personali, continuative, le cui modalità di esecuzione sono organizzate dalla
controparte con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, senza quindi che il
collaboratore possa organizzare autonomamente l’attività lavorativa nel rispetto
di modalità di coordinamento, anche spazio-temporali, definite di comune
accordo tra le parti (giacché in questo caso, a mente del nuovo art. 409, n. 3,
c.p.c., si verterebbe in un’ipotesi di coordinamento “genuino”).
In altri termini, se oggi il coordinamento è (rectius, si realizza mediante)
un’attività contrattuale bilaterale361, l’etero-organizzazione, pur non
corrispondendo a una vera e propria prerogativa giuridicamente tutelata
dell’imprenditore, assume inevitabilmente le caratteristiche di una posizione di
potere unilaterale di fatto362, dalla quale discende comunque la possibilità di
imporre unilateralmente le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa,
corrispondendo quindi al «dato oggettivo/fattuale dei vincoli spazio-temporali
dati dall’organizzazione del committente cui il lavoratore (eteroorganizzato) è
tenuto necessariamente ad adeguarsi»363.
358 R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, cit., p. 370. 359 M. PALLINI, Gli incerti confini dell’ambito di applicazione dello Statuto del lavoro autonomo,
cit., p. 240 s. 360 A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi: nuove (e vecchie) tutele per il lavoro autonomo non
imprenditoriale, cit., p. 173. 361 Per il momento, O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale,
cit., p. 17. Sul punto infra, § 4.1.2. 362 In tal senso sembrerebbe porsi G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro etero-organizzato,
coordinato, agile e telelavoro, cit., p. 776, il quale parla di un “potere organizzativo”, che «ha lo
stesso oggetto del potere direttivo e cioè le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa». 363 M. PALLINI, Dalla eterodirezione alla eteroorganizzazione, cit., p. 83.
82
Ma dove vi è potere unilaterale dell’imprenditore di determinare (rectius,
imporre di fatto) il dove e il quando della prestazione – ancorché possa difettare
il potere di variare l’oggetto della prestazione rispetto al contenuto dell’accordo
originario delle parti, o di imporre sanzioni disciplinari – non pare esservi spazio
per un rapporto di lavoro genuinamente autonomo, neppure coordinato364.
Il che non significa che l’art. 2, d.lgs. 81/2015 sia una norma apparente, in
quanto è comunque possibile distinguere – quantomeno dal punto di vista teorico
– la posizione di potere (di fatto) che contraddistingue la fattispecie della
collaborazione etero-organizzata dal potere (giuridico) di conformazione spazio-
temporale della prestazione, che già rappresenta un elemento che concorre a
costituire l’etero-direzione propria del lavoro subordinato365.
Tempo (leggi: osservanza di un orario di lavoro) e luogo (leggi: inserimento
nella struttura fisica dell’imprenditore) della prestazione, rappresentano infatti
da tempo degli indici sussidiari utilizzati dalla giurisprudenza in materia di
qualificazione del rapporto di lavoro nei casi dubbi. L’inserimento del lavoratore
nell’organizzazione d’impresa ha sempre assunto il rango di “indice essenziale”,
per quanto esterno366, nell’accertamento della natura subordinata del rapporto, al
punto da fungere da strumento concettuale idoneo a consentire la vis expansiva
della subordinazione oltre i casi di stringente etero-direzione della prestazione
lavorativa367. D’altra parte, la libertà in capo al lavoratore di decidere il quando
della prestazione ha assolto la funzione di criterio principe per individuare la
natura autonoma del rapporto in casi emblematici, dai pony express degli anni
’80 e ’90368 ai rider delle piattaforme on-line di consegna immediata a domicilio
364 In tal senso O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit.,
p. 17, secondo cui «laddove vi sia lavoro autonomo non ci può essere un potere (direttivo o
organizzativo) unilaterale; se tale potere esiste non c’è autonomia ma subordinazione i cui
confini sono allargati oltre l’eterodirezione in senso stretto». 365 Osservava già A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 201, che l’etero-direzione è idealmente
scomponibile «negli aspetti del potere di conformazione della prestazione dovuta e di
coordinamento spazio-temporale della prestazione medesima con l’organizzazione di cui essa è
parte». 366 F. LUNARDON, La subordinazione, cit., p. 11. 367 Il tema è stato affrontato supra, nel § 2.2 e nel Cap, I, § 5, ove riferimenti alla giurisprudenza
che individua l’essenza del vincolo di subordinazione, nel caso di mansioni dall’elevato
contenuto professionale ovvero, al contrario, di carattere monotono e ripetitivo, nella «costante
disponibilità» del prestatore all’organizzazione d’impresa. 368 Trib. Milano 10 ottobre 1987, in RIDL, 1987, II, p. 688, con nota redazionale, ribaltò
l’accertamento della natura subordinata del rapporto effettuato dal Pretore (Pret. Milano 20
giugno 1986, in RIDL, 1987, II, p. 70, con nota di P. ICHINO, Libertà formale e libertà materiale
del lavoratore nella qualificazione della prestazione come autonoma o subordinata, e in OGL,
1986, p. 978, con nota di L. SPAGNUOLO VIGORITA, Subordinazione e impresa), proprio sulla
base della circostanza che i fattorini erano liberi di decidere se e quando prestare la propria
attività.
83
che sfrecciano oggi per le strade dei nostri centri urbani369, passando per la
complessa vicenda del lavoro parasubordinato nei call center, cui si è già fatto
in parte riferimento370.
Già prima della riforma del 2015, d’altronde, era stato osservato che, in molti
ordinamenti europei, mentre l’etero-direzione non appare più un elemento
imprescindibile per addivenire alla qualificazione di un rapporto di lavoro come
subordinato, «la etero-organizzazione sembra invece elevarsi a nuovo elemento
assolutamente indispensabile, associato alla natura continuativa della
prestazione di lavoro»371.
Non a caso, tempo e luogo della prestazione vengono presi in considerazione
ai fini della qualificazione del rapporto – e non solo in via meramente
“sussidiaria” – anche dalla giurisprudenza dalla Corte di Giustizia, assestatasi
nel senso che lo status di lavoratore, ai sensi del diritto dell’Unione, ricorre
qualora una persona «agisca sotto la direzione del suo datore di lavoro, per
quanto riguarda in particolare la sua libertà di scegliere l’orario, il luogo e il
contenuto del suo lavoro […] e sia integrata nell’impresa di detto datore di lavoro
per la durata del rapporto di lavoro»372.
369 Trib. Torino 7 maggio 2018, n. 778, cit., secondo cui la circostanza per cui «i rider avevano
la facoltà di stabilire se e quando dare la propria disponibilità ad essere inseriti nei turni di
lavoro» (corsivi di chi scrive) vale tanto a escludere la sussistenza della etero-direzione quanto
della etero-organizzazione della prestazione. In termini non dissimili, d’altronde, in riferimento
alla piattaforma Deliveroo, anche Cour d’Appel de Paris 22 novembre 2017, n. 16/12875, in
RIDL, 2018, n. 1, II, p. 46, con nota di A. DONINI, La libertà del lavoro sulle piattaforme digitali
(p. 63 ss.), secondo cui è sufficiente a escludere la sussistenza di une relation salariale la «liberté
totale de travailler ou non dont a bénéficié [il lavoratore] qui lui permettait, sans avoir à en
justifier, de choisir chaque semaine ses jours de travail et leur nombre sans être soumis à une
quelconque durée du travail ni à un quelconque forfait horaire ou journalier mais aussi par voie
de conséquence de fixer seul ses périodes d’inactivité ou de congés et leur durée». Sul punto
infra, Cap. IV, § 7.5. 370 Proprio sull’autonomia temporale si concentravano le citate circolari ministeriali in materia
(supra, nt. 340), che riconoscevano, anche nella versione più soft, il carattere autonomo della
prestazione dell’operatore solo allorché questi potesse decidere liberamente «a) se eseguire la
prestazione ed in quali giorni; b) a che ora iniziare ed a che ora terminare la prestazione
giornaliera; c) se e per quanto tempo sospendere la prestazione giornaliera», con la conseguenza
che «l'assenza non deve mai essere giustificata e la presenza non può mai essere imposta» (così
la citata Circolare Ministero del Lavoro 14 giugno 2006, n. 17). 371 M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, cit., p. 23, ove riferimenti alla esperienze
tedesca, britannica, francese e spagnola, rispetto alle quali l’A. rileva la distanza con il rigore
formalistico della giurisprudenza di legittimità italiana. Sul punto, con particolare riferimento
all’esperienza francese – dove però conseguenza dell’inserimento della prestazione nell’ambito
di un sérvice unilateralement organizé par autrui è la subordinazione – v. anche le osservazioni
di O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente, cit., p.
12 ss., e quelle, di taglio critico, di F. MARTELLONI, I rimedi nel “nuovo” diritto del lavoro
autonomo, cit., p. 521. 372 Così da ultimo CGUE 4 dicembre 2014, C-413/13, FNV Kunsten Informatie en Media v. Staat
der Nederlanden, in RIDL, 2015, II, p. 566, con nota di P. ICHINO, Sulla questione del lavoro
non subordinato ma sostanzialmente dipendente nel diritto europeo e in quello degli Stati
membri, e in RGL, 2015, II, p. 301, con nota di S. ZITTI, Contrattazione collettiva e concorrenza:
84
Tuttavia, giustapporre l’etero-organizzazione spazio-temporale cui fa
riferimento l’art. 2 cit. al potere di conformazione del datore di lavoro,
significherebbe procedere sostanzialmente a un’interpretatio abrogans della
novella, posto che certamente già prima della riforma del 2015 andava ricondotto
all’ambito ricoperto dall’art. 2094 c.c. il lavoratore che «dedichi la propria opera
esclusiva e continuativa a favore di un committente che ne organizza la
prestazione, imponendogli di prestare l’attività presso la sede dell’impresa con
l’osservanza di un orario di lavoro»373.
Per “salvare” le potenzialità applicative della regola in materia di
collaborazioni etero-organizzate pare dunque necessario dare una lettura diversa
dell’elemento dell’etero-organizzazione, che si differenzi tale da abbracciare i
casi in cui la posizione del committente non si estrinsechi nel potere (giuridico)
di determinare l’orario e il luogo di lavoro, ma nel potere (di fatto) di imporre un
ritmo di lavoro in virtù dei moduli organizzativi prescelti; ciò che la dottrina ha
denominato «formattazione del substrato materiale della prestazione»374.
Tuttavia, se dal punto di vista teorico la distinzione risulta abbastanza chiara,
dal punto di vista pratico essa non è affatto di agevole individuazione, posto che,
anche in virtù del principio sottesso alla previsione di cui all’art. 2126 c.c., ciò
che conta ai fini della qualificazione non è tanto e solo la sussistenza ab origine
di una posizione di potere giuridico in capo al datore di lavoro, quanto l’esistenza
della situazione di fatto in cui il lavoratore si trova a essere vincolato dalle regole
dell’altrui organizzazione d’impresa375.
In questa prospettiva, ad avviso di chi scrive, anche a volere rilevare la
differenza strutturale tra potere di conformazione ed etero-organizzazione,
permane comunque l’impossibilità di «postulare la natura genuinamente
autonoma di un’attività personale e continuativa, iscritta in un’organizzazione
altrui, unilateralmente predisposta dal suo titolare, anche con riguardo a luoghi
il “prezzo” dell'armonia, punto 36, che richiama CGUE 13 gennaio 2004, C-256/01, Allonby;
CGUE 14 dicembre 1989, C-3/87, Agegate; CGUE 16 settembre 1999, C-22/98, Becu, in Foro.
it., 2000, IV, c. 525, con nota di C. BRUSCO, La Corte di giustizia cambia opinione sul lavoro
portuale?. Sulle nozioni comunitarie di autonomia e subordinazione, elaborate soprattutto in
riferimento alla disciplina in materia di libera circolazione (art. 45 TFUE) e di coordinamento
della previdenza (regolamento n. 883/2004), da ultimo, S. GIUBBONI, Autonomia e
subordinazione nel diritto del lavoro dell’Unione Europea, in ID., Diritto del lavoro europeo.
Una introduzione critica, Cedam-Wolters-Kluwer, Milano, 2017, p. 121 ss. 373 O. MAZZOTTA, Lo strano caso delle «collaborazioni organizzate dal committente», cit., spec.
p. 9 e s. Nel senso che la collaborazione etero-organizzata si inserisce in una più ampia nozione
di subordinazione, R. DIAMANTI, Il lavoro etero-organizzato e le collaborazioni coordinate e
continuative, cit. p. 105 ss. 374 Ancora A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi: nuove (e vecchie) tutele per il lavoro
autonomo non imprenditoriale, cit., p. 173. 375 Ricordano infatti L. MENGONI, La questione della subordinazione in due trattazioni recenti,
in RIDL, 1986, n. 1, I, 5 ss., e G. GIUGNI, La dottrina giuslavoristica nel 1989, in DLRI, 1990,
838, che i poteri datoriali, sono effetti, e non già requisiti, della fattispecie della subordinazione.
85
e tempi di lavoro del collaboratore»376, con la conseguenza che, in un eventuale
giudizio promosso da un collaboratore etero-organizzato escluso dalle tutele del
lavoro subordinato in forza di una delle deroghe di cui al secondo comma
dell’art. 2, d.lgs. 81/2015, le stesse non dovrebbero reggere il vaglio di
costituzionalità del giudice delle leggi. Peraltro, non stupirebbe che se la Corte,
ponendosi nel solco del già denunciato l’irrigidimento nell’approccio alla
“questione subordinazione”377, finisse per salvare le possibilità di deroga, magari
riservando l’indisponibilità del tipo ai soli rapporti caratterizzati da una
stringente etero-direzione della prestazione lavorativa378.
3.5. Applicazione integrale o selettiva della disciplina del lavoro
subordinato?
Dalla conclusione provvisoriamente raggiunta nel paragrafo che precede
discende una risposta univoca alla questione relativa al quantum di disciplina del
lavoro subordinato applicabile alle collaborazioni etero-organizzate: non
potendosi parlare di rapporti di lavoro autonomo, l’applicazione della disciplina
del lavoro subordinato non potrà che essere integrale e dunque estesa alla
dimensione previdenziale e assicurativa.
Nel solco dell’orientamento che riconduce le collaborazioni etero-
organizzate nell’alveo del lavoro autonomo, invece, non era mancato chi, prima
delle indicazioni ministeriali, aveva dubitato della possibilità di applicare a tali
rapporti anche la disciplina previdenziale, assistenziale e amministrativa del
lavoro subordinato379, ovvero l’aveva radicalmente esclusa380.
376 Secondo l’esito, solo apparentemente paradossale, cui conduce l’art. 2, d.lgs. 81/2015, nella
lettura di F. MARTELLONI, I rimedi nel “nuovo” diritto del lavoro autonomo, cit., p. 521. 377 Supra, § 2.1. Nel senso dell’indisponibilità del tipo contrattuale anche ad opera della
contrattazione collettiva, peraltro, v. anche Cass. 11 agosto 1994, n. 7374, in RIDL, 1995, II, p.
480, con nota di A. LASSANDARI, Qualificazione del rapporto di lavoro, oneri probatori e rilievo
della volontà della parti (p. 483 ss.). La tesi contraria, invece, risale a M. PEDRAZZOLI,
Democrazia industriale e subordinazione, Giuffré, Milano, 1985, spec. p. 366 s. 378 Parzialmente in tal senso, O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate
dal committente, cit., p. 22, secondo la quale «se verrà accolta l’ipotesi per cui l’art. 2, comma 1
incide sulla fattispecie della subordinazione, la legittimità costituzionale delle successive
esclusioni potrà venire salvata soltanto ammettendo l’esistenza nel nostro ordinamento di una
nozione di subordinazione parzialmente disponibile». 379 A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal
committente, cit., p. 15, il quale auspicava quindi «una norma di interpretazione autentica, ovvero
un’indicazione da parte degli istituti pensionistici ed ispettivi [che sarebbe poi arrivata di lì a
poco], o ancora, in ultima istanza, la verifica giurisprudenziale». 380 R. PESSI, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, cit., p. 14 s., che
reputa applicabile «la disciplina del lavoro subordinato quanto ai profili amministrativi e
previdenziali […] quella del lavoro autonomo quanto ai profili gestionali». Nello stesso senso,
con specifico riferimento alla disciplina previdenziale, M. PERSIANI, Note sulla disciplina di
alcune collaborazioni coordinate, in ADL, 2015, n. 6, p. 1266; V. FILÌ, Le collaborazioni
organizzate dal committente nel d.lgs. n. 81/2015, in Lav. giur., 2015, n. 12, p. 1091 ss.; S.
86
Sotto altro profilo, non era mancata la preoccupazione che l’estensione della
(disciplina della) subordinazione potesse finire per danneggiare il prestatore,
espandendone oltremodo la posizione debitoria – sottoponendolo ad obblighi cui
non avrebbe potuto ritenere di essere soggetto, in primis obbligo di fedeltà e di
obbedienza, ed esponendolo al potere disciplinare e a uno ius variandi per giunta
significativamente ampliato dallo stesso d.lgs. 81/2015 – sicché da più parti si
era propeso per effettuare un (per vero non semplice) giudizio di compatibilità
tra gli obblighi propri del lavoratore subordinato e la peculiare posizione
giuridica del collaboratore etero-organizzato381.
Tali dubbi e perplessità non sono stati fugati dalle successive precisazioni di
fonte ministeriale secondo cui la norma, «di per sé generica, lascia intendere
l’applicazione di qualsivoglia istituto, legale o contrattuale (ad es. trattamento
retributivo, orario di lavoro, inquadramento previdenziale, tutele avverso i
licenziamenti illegittimi ecc.), normalmente applicabile in forza di un rapporto
di lavoro subordinato»382.
Sebbene una parte della dottrina abbia fatto proprie tali conclusioni383, anche
dopo la pubblicazione della circolare non è mancato chi ha ribadito la propria
posizione di contrarietà all’estensione integrale della disciplina del lavoro
subordinato a quello etero-organizzato, ancora una volta sia in riferimento ai
profili previdenziali e assicurativi, sia in riferimento alla sovraesposizione
debitoria del collaboratore etero-organizzato384.
CIUCCIOVINO, Le “collaborazioni organizzate dal committente”, cit., p. 338. Contra, A.
ANDREONI, La nuova disciplina per i collaboratori etero-organizzati: prime osservazioni, in
RDSS, 2015, p. 740; A. SGROI, La tutela previdenziale delle collaborazioni organizzate dal
committente, in RGL, 2016, n. 1, I, p. 104. 381 U. CARABELLI, Il d.lgs. n. 81/2015. Introduzione, in RGL, 2016, n. 1, I, p. 8; S. CIUCCIOVINO,
Le collaborazioni organizzate dal committente, cit., p. 338; M. FERRARESI, L’eredità del lavoro
a progetto nel dibattito sul lavoro autonomo coordinato e continuativo, in VTDL, 2016, p. 303.
In tal senso, da ultimo, R. VOZA, La modifica dell’art. 409, n. 3, c.p.c., cit., p. 4 382 Circolare Ministero del Lavoro 1 febbraio 2016, n. 3, che prosegue precisando che
l’applicazione dell’art. 2, d.lgs. 81/2015, «comporterà altresì l’irrogazione delle sanzioni in
materia di collocamento (comunicazioni di assunzione e dichiarazione di assunzione) i cui
obblighi, del resto, attengono anch’essi alla disciplina del lavoro subordinato». 383 G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro etero-organizzato, coordinato, agile e telelavoro, cit., p.
776; M. MAGNANI, Autonomia, subordinazione, coordinazione, cit., p. 13 s., secondo i quali non
è consentito all’interprete di graduare discrezionalmente l’applicazione della disciplina del
lavoro subordinato. 384 M. PERSIANI, Ancora note sulla disciplina di alcune collaborazioni coordinate, in ADL, 2016,
n. 2, p. 313 ss., secondo cui «il collaboratore «sarebbe assoggettato a gravi limitazioni della sua
libertà ancorché non le abbia mai volute come, invece, sarebbe stato se avesse stipulato un
contratto di lavoro subordinato o avesse accettato di dissimularlo». Nello stesso senso, A.
ZOPPOLI, La collaborazione eterorganizzata, cit., p. 22 s., secondo la tesi ministeriale «ha tutta
l’aria di ledere la libertà e la dignità dell’individuo espresse nella scelta del lavoro da prestare,
così violando già i primi quattro articoli della nostra Costituzione».
87
4. Il lavoro coordinato e continuativo non più “a progetto”
A quello che è stato definito efficacemente lo «spacchettamento»385 delle
collaborazioni autonome, realizzato mediante il «traghettamento forzoso»386
nell’area della subordinazione delle collaborazioni coordinate e continuative
«organizzate dal committente», ha fatto da pendant l’abrogazione integrale, da
parte dello stesso d.lgs. 81/2015, della disciplina del lavoro a progetto (cfr. art.
52, d.lgs. 81/2015). Una disciplina che, seppure alcuni hanno visto abrogare
«senza rimpianti»387, aveva a partire dal 2003, pur con le sue numerose criticità,
predisposto un corredo minimale di tutele a favore dei collaboratori coordinati e
continuativi di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c.
All’indomani della riforma del 2015, i collaboratori autonomi di cui alla
disposizione del codice di rito – espressamente fatta salva dall’art. 52, comma 2,
d.lgs. 81/2015 – si sono dunque trovati «di fronte a un bivio»388: quelli le cui
modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, nei termini che si è
avuto modo di precisare nei paragrafi che precedono, vengono ricondotti alla
(disciplina della) subordinazione; quelli che non presentano tali caratteristiche,
invece, quantomeno fino all’introduzione dello Statuto del lavoro autonomo, due
anni più tardi, si sono visti «precipitare nell’arena delle contrattazioni di
mercato»389, privati di quelle pur minime tutele – con particolare riferimento alla
disciplina dell’equità del compenso e del recesso – che erano state loro
apprestate dalla disciplina del lavoro a progetto390.
Un salto indietro di oltre un decennio, dunque, che rende necessario tornare
ad esaminare isolatamente la disposizione dell’art. 409, n. 3, c.p.c., sulla cui
origine nell’ambito della riforma del processo del lavoro del 1973 (e, ancor
prima, nella legge Vigorelli) si è già detto391, per identificarne gli elementi
costitutivi e quindi poter apprezzare la portata della novella che ha precisato la
nozione di coordinamento (cfr. art. 15, l. 81/2017), al fine precipuo di
individuare una linea di distinzione tra la nozione di collaborazione (solo)
coordinata (art. 409, n. 3, c.p.c.) e quella (invece) etero-organizzata (art. 2, d.lgs.
385 O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente, cit., p.
2. 386 R. PESSI, Il tipo contrattuale: autonomia e subordinazione dopo il Jobs Act, cit., p. 14. 387 M. MISCIONE, Le collaborazioni autonome dopo il Jobs Act, in DPL, 2015, n. 14, p. 863. 388 R. VOZA, La modifica dell’art. 409, n. 3, c.p.c., cit., p. 2. 389 G. BRONZINI, Il futuro (giuridico) del lavoro autonomo nell’era della share-economy, cit., p.
85. 390 Sui contenuti dell’abrogata disciplina del lavoro a progetto si rinvia nuovamente a M.
PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, cit., spec. p. 79 ss.; F. MARTELLONI, Lavoro
coordinato e subordinazione, cit., spec. p. 119 ss.; M. BORZAGA, Lavorare per progetti. Uno
studio su contratti di lavoro e nuove forme organizzative di impresa, Cedam, Padova, 2012, spec.
p. 132 ss. 391 Supra, Cap. I, § 6.
88
81/2015); due categorie che pure, come è stato condivisibilmente osservato,
«insistono su una stessa area fenomenica o su aree comunque assai contigue, con
apie sovrapposizioni pratiche e concettuali»392.
4.1. Gli elementi della fattispecie: continuità, coordinamento e
prevalente personalità della prestazione
Si è già avuto modo di rilevare che mentre con l’introduzione della disciplina
del lavoro a progetto il legislatore aveva aggiunto un nuovo contratto al novero
di quelli tipici, con la riforma del 1973 il legislatore aveva piuttosto individuato
una categoria “a-negoziale” come tale comprensiva di una serie di rapporti
eterogenei e «variopinti»393 (agenzia, rappresentanza commerciale e «altri
rapporti di collaborazione […] non a carattere subordinato») ritenuti meritevoli
di ricevere la medesima tutela processuale del lavoro subordinato e la (limitata)
estensione di alcune previsioni di natura sostanziale.
La prima dottrina formatasi nel vigore della disposizione, al di là delle
notevoli distanze d’opinione quanto alla sua valenza sistematica394, non aveva
tardato a individuare, sulla scorta del suo tenore letterale, gli elementi costitutivi
della fattispecie nella continuità della prestazione lavorativa, nel coordinamento
(o nella coordinazione)395 della stessa con l’organizzazione del committente e
nel carattere prevalentemente personale della prestazione lavorativa396.
392 S. GIUBBONI, Il Jobs Act del lavoro autonomo, cit., p. 480. 393 Così M. PEDRAZZOLI, Il mondo variopinto delle collaborazioni coordinate e continuative, in
ID. (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs 10 settembre 2003, n. 276, Zanichelli, Bologna,
2004, p. 633. In tal senso, più recentemente, F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e
subordinazione, cit., spec. p. 81; G. AMOROSO ET AL. (a cura di), Diritto del lavoro, IV, Il
processo, 3° ed., Giuffrè, Milano, 2016, p. 37; D. BORGHESI, La l. n. 81/2017 inserisce nell’art.
409 c.p.c. una norma omeopatica, in Lav. giur., 2017, n. 8-9, p. 737 s. In giurisprudenza, Cass.
Sez. Un. 30 ottobre 1998, n. 10906, in Foro it., 2002, I, c. 1198, secondo cui «la collaborazione
cui fa riferimento la norma sembra prescindere dalla causa del contratto o di un determinato
contratto e riguardare, invece, l’obbiettivo modo di essere della prestazione personale di
un’opera coordinata e continuativa». 394 Ulteriore riprova, per alcuni, della vis expansiva del diritto del lavoro subordinato (G.
SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit.; A.M. GRIECO, Lavoro
parasubordinato e diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 1983); per altri, argine a tale tendenza
espansiva, e anzi indice della possibilità di configurare collaborazioni integrate nell’impresa
anche fuori dell’area della subordinazione (M. PEDRAZZOLI, Prestazione d’opera e
parasubordinazione (riflessioni sulla portata sistematica dell’art. 409, n. 3, c.p.c.), in RIDL,
1984, I, p. 506; M.V. BALLESTRERO, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, in LD,
1987, n. 1, p. 44). Sul punto supra, Cap. I, § 6. 395 Si ritiene di poter utilizzare indifferentemente i due termini, come d’altronde avviene in
dottrina e in giurisprudenza. 396 G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit., p. 59 ss.; M.V. BALLESTRERO,
L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, cit., p. 57 ss; M. PEDRAZZOLI, Voce Opera
(prestazioni coordinate e continuative), in NNDI, app. V, Utet, Torino, 1984, p. 472 ss. Per una
89
Procedendo per ordine, pare opportuno esaminare in primo luogo l’elemento
della continuità della collaborazione, rispetto alla quale non sono intervenute
negli ultimi decenni particolari innovazioni della lettura già datane all’indomani
della riforma del 1973, passando poi a esaminare il nodo più delicato, vale a dire
quello relativo al significato da attribuirsi alla nozione di coordinamento, e al
suo rapporto con le nozioni di subordinazione e di etero-organizzazione, e quindi
accennare alla questione della prevalente personalità della prestazione, che verrà
poi sviluppata ulteriormente laddove ci si preoccuperà di effettuare l’actio finium
regundorum tra lavoro autonomo e mondo dell’impresa.
4.1.1. La continuità della prestazione lavorativa
Autorevole dottrina, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, aveva
introdotto la fortunata distinzione tra continuità in senso tecnico-giuridico e
continuità in senso atecnico, o materiale, della prestazione lavorativa, quale
elemento idoneo, per quanto non necessariamente sufficiente, a distinguere tra
rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo397.
In particolare, secondo tale ricostruzione – che pure ha formato oggetto di
rilievi critici da chi vi ha scorto una riproposizione della distinzione tra
obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato398, da tempo accantonata399 –
la continuità in senso tecnico-giuridico corrisponde alla prestazione
illimitatamente divisibile ratione temporis in relazione all’interesse del
recente panoramica sui tre elementi qualificatori in esame, M. BORZAGA, Lavorare per progetti,
cit., p. 60 ss. 397 P. ICHINO, Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, I, Milano, Giuffrè, 1984, p. 21
ss.; ID., Libertà formale e libertà materiale del lavoratore nella qualificazione della prestazione
come autonoma o subordinata, cit. (in riferimento alla già accennata vicenda dei pony express).
Da ultimo, anche per una panoramica delle opinioni succedutesi nel frattempo, ID., Il contratto
di lavoro, I, cit., spec. p. 268, 286 e 295. 398 L. NOGLER, Metodo tipologico e qualificazione dei rapporti di lavoro subordinato, cit., p.
197 ss. In termini non dissimili A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 186, il quale osserva «la
diversa funzione del tempo nelle fattispecie di lavoro autonomo e di lavoro subordinato è una
mera variante logica del criterio basato sull’alternativa mezzi/risultato». 399 A partire da L. MENGONI, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni “di mezzi”, in Riv. dir.
comm., 1954, n. 5-6, p. 185 ss. (parte I) e n. 7-8, p. 280 ss. (parte II). Sull’inidoneità della
distinzione a fini qualificatori, da ultimo, A. LEPORE, Gli indici giurisprudenziali di
identificazione della fattispecie lavoro subordinato, cit., p. 66.
90
creditore400, ed è caratteristica indispensabile, benché non esclusiva401, del
rapporto di lavoro subordinato402.
La continuità in senso atecnico, o materiale, invece, indica null’altro che «il
mero protrarsi di fatto dell’attività lavorativa nel tempo; con l’effetto di
ricomprendere nella fattispecie […] anche la prestazione avente per oggetto
un’unica opera o servizio (in sé indivisibile) che richieda un’attività lavorativa
preparatoria particolarmente estesa nel tempo; e forse persino […] la serie
“continua” di prestazioni d’opera giuridicamente indipendenti l’una dall’altra in
quanto oggetto di altrettante obbligazioni contrattuali, ma legate fra loro in linea
di fatto da un’apprezzabile frequenza del loro succedersi nel tempo»403.
Anche senza far propria tale ricostruzione, pur implicitamente accolta nelle
premesse da una parte della giurisprudenza404, la dottrina assolutamente
prevalente non dubita che il requisito della continuità cui fa riferimento l’art.
409, n. 3, c.p.c. non possa che intendersi in senso atecnico405 (il che, ovviamente,
400 P. ICHINO, Il contratto di lavoro, cit., p. 268. 401 E ciò in quanto il codice civile contempla contratti di lavoro autonomo – ad esempio l’agenzia,
ma anche, in generale, il contratto d’opera intellettuale (ma non il contratto d’opera avente ad
oggetto un opus indivisibile in ragione del tempo) – che sono «suscettibili di avere per oggetto
anche un’obbligazione a esecuzione continuativa in senso tecnico» (ivi). In precedenza, tuttavia,
lo stesso A. aveva operato una distinzione tra carattere di durata della prestazione quale «idoneità
delle singole parti della prestazione a soddisfare parzialmente l’interesse specifico del creditore
in ragione del tempo» (ID., Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, cit., p. 21), che può
contraddistinguere anche il rapporto di lavoro autonomo, e il carattere della continuità, quale
illimitata divisibilità ratione temporis nel senso sopra precisato, proprio del solo lavoro
subordinato (ivi, p. 28). 402 Dal che deriva che «dall’eventuale carattere non continuativo della prestazione lavorativa può
dedursi senz’altro il suo non assoggettamento a eterodirezione» (ID., Il contratto di lavoro, cit.,
p. 287). 403 Ivi, p. 296. 404 Cass. 23 dicembre 2004, n. 23897, in Lav. giur., 2005, p. 486, secondo cui «per la sussistenza
della cosiddetta parasubordinazione non è necessario che la continuità delle prestazioni sia stata
convenzionalmente stabilita, ben potendo tale requisito essere accertato a posteriori, in base alla
reiterazione di fatto delle prestazioni»; Cass. 8 agosto 1998, n. 7799, in Leggiditalia, secondo
cui «il carattere della continuità va però tenuto distinto da quello della stabilità (che si verifica
quando la prestazione si ripete periodicamente nel tempo, non soltanto di fatto, ma anche in
osservanza di un impegno contrattuale, come nel caso del rapporto di agenzia […]), con la
conseguenze che l'attività del procacciatore d'affari, pur non corrispondendo ad una "necessita"
giuridica, […] e non potendo perciò, in tal senso, qualificarsi come "stabile", può tuttavia di fatto
svolgersi periodicamente nel tempo e presentare perciò il carattere della continuità richiesto dal
citato art. 409». 405 G. GHEZZI, I rapporti di diritto privato soggetti al nuovo «rito del lavoro», in RGL, 1974, I,
p. 99 ss.; A. CESSARI, Sul campo soggettivo di applicazione del nuovo rito del lavoro, in Dir.
lav., 1974, I, p. 6 ss.; G. PERA, Rapporti c.d. di parasubordinazione e rito del lavoro, in RDP,
1974, p. 422 ss.; G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro parasubordinato, cit., p. 59 s.; A.M.
GRIECO, Lavoro parasubordinato e diritto del lavoro, cit., p. 18 s.; M. PEDRAZZOLI, Prestazione
d’opera e parasubordinazione, cit., p. 519 ss.; P. SANDULLI, Il lavoro autonomo. Disposizioni
generali, in P. RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto privato, XV, Utet, Torino, 1986, p. 1419;
M.V. BALLESTRERO, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, cit., p. 60; A. PERULLI, Il
91
non significa che il requisito non sia integrato in presenza di rapporti di lavoro
autonomo caratterizzati dalla continuità in senso tecnico406). D’altronde, come è
stato osservato, «che una “prestazione d’opera” sia “continuativa” è espressione
che non stride nel linguaggio comune, ma anfibiologica, se non contraddittoria,
nel linguaggio tecnico della scienza giuridica»407. In questo senso, si ritiene che
il requisito difetti nei soli casi di rapporti a esecuzione istantanea che non
richiedono una fase preparatoria e/o esecutiva di durata apprezzabile e che non
si reiterino nel tempo408.
Anche la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi sovente sulla competenza
del giudice del lavoro ovvero sull’applicabilità della disciplina in materia di
rivalutazione e interessi dei crediti di lavoro (art. 429 c.p.c.)409 – ben più spesso,
per la verità, che non su quella in materia di rinunzie e transazioni (art. 2113 c.c.)
– riconosce il carattere della continuità ogni qualvolta «la prestazione non sia
occasionale ma perduri nel tempo ed importi un impegno costante del prestatore
a favore del committente»410, quindi anche nei casi di reiterazione di incarichi
volti a perseguire interessi durevoli del committente411, e persino in caso di
unicità dell’opus, «quando la sua realizzazione implichi un’interazione tra le
lavoro autonomo, cit., p. 220 s., che pure accoglie la nozione fattuale di continuità «con qualche
riserva, data l’incertezza che una simile valutazione della ‘durata’ del rapporto può ingenerare». 406 Ipotesi la cui possibilità è esplicitamente ammessa da G. SANTORO PASSARELLI, voce Lavoro
autonomo, in EGT, XVIII, Treccani, Roma, 1990, p. 14, e P. ICHINO, Il contratto di lavoro, cit.,
p. 268, nonché, sia pure implicitamente, da A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 260. In alcuni
ordinamenti la possibilità è espressamente prevista dalla legge, come nel caso dell’Estatuto
spagnolo, che ammette (art. 7) che il contratto potrà essere stipulato «per il compimento di
un’opera o di una serie di opere, per la prestazione di uno o più servizi, e avrà la durata
concordata dalle parti (cfr. I. SAGARDOY DE SIMÓN, Forma y duración del contrato, en A.V.
SEMPERE NAVARRO, J.A. SAGARDOY BENGOCHEA (Dirs.), Comentarios al Estatuto del Trabajo
Autónomo, Aranzadi, Cizur Menor, 2010, p. 141 ss.; M. DE LOS REYES MARTÍNEZ BARROSO,
Régimen profesional común del trabajador autónomo, en G.L BARRIOS BAUDOR (Dir.), Tratado
del trabajo autónomo, 2° ed., Aranzadi, Cizur Menor, 2010, p. 123 s.). 407 Così M. PEDRAZZOLI, voce Opera (prestazioni coordinate e continuative), cit., p. 476. 408 Ritiene la conclusione ormai «opinione condivisa» M.T. CARINCI, Il contratto d’opera, cit.,
p. 187. 409 Applicabile anche alle collaborazioni di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. (ma non agli altri rapporti
di lavoro autonomo) secondo l’insegnamento di Corte cost. 10 maggio 1978, n. 65, tra l’altro in
Riv. dir. civ., 1978, II, p. 586, con nota di C.A. JEMOLO, Contro il lavoro autonomo, e Corte cost.
26 maggio 1981, n. 76, tra l’altro in Foro it., 1981, I, c. 1779. 410 Così da ultimo Trib. Chieti 9 febbraio 2017, n. 15, in Ilgiuslavorista, 5 dicembre 2017, con
nota di D. FARGNOLI; Cass., sez. trib., 30 dicembre 2015, n. 2606, in DeJure; Cass., sez. II, 29
novembre 2013, n. 26856, ivi. Nello stesso senso già Cass. 9 febbraio 2009, n. 3113, in Lav.
giur., 2009, n. 6, p. 624; Trib. Torino 20 maggio 2005, in Giur. piem., 2006, n. 1, p. 95; Cass. 19
aprile 2002, n. 5698, in Lav. giur., 2002, n. 12, p. 1164, con nota di G. GIRARDI, Requisiti per la
sussistenza del rapporto di subordinazione. 411 Cass. 23 dicembre 2004, n. 23897, cit.; Cass. 8 agosto 1998, n. 7799, cit.; Cass. 26 agosto
1990, n. 10382, in Leggiditalia.
92
parti, protratta dopo la conclusione del contratto»412; sulla falsariga, d’altronde,
del progressivo superamento del brocardo baldiano una mercantia non facit
mercatorem, sed professio ed exercitium ad opera della dottrina
giuscommercialistica413.
4.1.2. Il coordinamento come attività contrattuale bilaterale e la
differenza (qualitativa) rispetto al potere unilaterale (giuridico
o di fatto) di organizzare la prestazione lavorativa
Si è già avuto modo di fare riferimento in più passaggi, soprattutto laddove
si è esaminata la nuova fattispecie delle collaborazioni organizzate dal
committente, alla novella con cui il legislatore ha precisato che il coordinamento
di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., ricorre quando «nel rispetto delle modalità di
coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza
autonomamente l’attività lavorativa» (art. 15, l. 81/2017).
Dopo avere confermato la “grande dicotomia” e allargato l’ambito di
applicazione della disciplina della subordinazione, il legislatore ha quindi inteso
precisare e rafforzare i confini dell’autonomia, specificando, con norma che
parrebbe doversi qualificare di interpretazione autentica414, dal contenuto per
certi versi “omeopatico”415, che il coordinamento compatibile con l’autonomia
del rapporto cui fa riferimento l’art. 409, n. 3, c.p.c., «si distingue oggi da un
punto di vista qualitativo, non quantitativo, dal potere unilaterale di
412 Così Cass. 24 luglio 1998, n. 7288, in DPL, 1999, p. 211, in relazione ad un accordo di
consulenza con il quale il prestatore si era impegnato ad eseguire il disegno del modello di un
prodotto e a curarne la realizzazione, assumendo altresì l'obbligo di prestare la propria
consulenza durante tutta la fase di produzione industriale. Nello stesso senso anche Cass. 15
aprile 1991, n. 4030, in Mass. giur. it, 1991, in relazione all'attività di consulenza svolta da un
avvocato nelle fasi di progettazione e realizzazione di una rilevante iniziativa economica
dell'imprenditore. 413 Per tutti, V. BUONOCORE, voce Imprenditore (diritto privato), in ED, XX, Giuffrè, Milano,
1970, p. 518. 414 G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro eterorganizzato e l’interpretazione autentica del lavoro
coordinato ex art. 15 d.lgs. [sic] n. 81/2015, cit., p. 433 ss. Da tale ricostruzione, che pare
condivisibile, deriva peraltro la possibilità di attribuire alla previsione efficacia retroattiva. 415 D. BORGHESI, La l. n. 81/2017 inserisce nell’art. 409 c.p.c. una norma omeopatica, cit., p.
737
93
eterorganizzazione che seleziona la disciplina del lavoro subordinato»416,
costituendo infatti null’altro che «un’attività contrattuale bilaterale»417.
Nel senso che il coordinamento non rappresenta semplicemente un quid
minoris rispetto all’etero-direzione, dalla quale dunque si differenzia in termini
qualitativi, si era posta prima delle recenti riforme una parte della dottrina418, già
propensa a ricostruire il coordinamento come esito di un’attività bilaterale419, se
non addirittura di una condotta (il coordinarsi) posta in essere dallo stesso
collaboratore420.
Non erano tuttavia mancate ricostruzioni diverse, propense a configurare
anche il coordinamento come una forma di potere unilaterale del committente,
come tale solo quantitativamente diverso dal potere direttivo421, secondo una
lettura fatte propria da una parte della dottrina422 e dalla giurisprudenza423 e
416 O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p. 13. Nello
stesso senso G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente,
cit., p. 20, che anche facendo riferimento al «potere di conformazione» del committente, vi
ravvisa rispetto al potere direttivo «una differenza di ordine qualitativo e non quantitativo»,
ancorché altrove (ID., voce Lavoro subordinato, in Enciclopedia del Diritto on line, Treccani,
2015), precisi che in alcuni rapporti di lavoro autonomo (segnatamente, l’agenzia) «le direttive
impartite dal committente […] si differenziano, talvolta, soltanto per la loro maggiore o minore
intensità e cioè sulla base di un criterio squisitamente quantitativo». 417 O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p. 17. 418 L. MARIUCCI, Il lavoro decentrato, Franco Angeli, Milano, 1979, p. 89; A. PERULLI, Il lavoro
autonomo, cit., p. 207 e 253 ss. 419 L. NOGLER, Ancora su “tipo” e rapporto di lavoro subordinato nell’impresa, in ADL, 2002,
p. 128 s. 420 Sulla scorta di M. PEDRAZZOLI, voce Opera (prestazioni coordinate e continuative), cit., p.
472 ss., insiste sul punto F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione, cit., p. 161 ss.,
ove riferimenti alla giurisprudenza di merito che si è posta su questa linea, seguito da M.
PEDRAZZOLI, Prefazione, ivi, p. 10, secondo cui «l’assunto che il “coordinarsi” è questione
attinente al lavoratore […] può costituire il caposaldo di una reale operazione antifrodatoria». 421 Sul punto, ampiamente, F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione, cit., p. 201 s.;
O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p. 17, nt. 19 e
20; A. PERULLI, Il nuovo art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 15, l. 22 maggio 2017, n. 81, in L. FIORILLO,
A. PERULLI (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 155. 422 Di «potere di coordinamento» parla espressamente F. LUNARDON, Il lavoro a progetto, in C.
CESTER (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, I, p. 57, sulla
scorta di M. PERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, Cedam, Padova, 1966, spec. p. 270
s., e, successivamente, ID., Autonomia, subordinazione e coordinamento nei recenti modelli di
collaborazione lavorativa, in Dir. lav., 1998, spec. p. 210. Nello stesso senso M. MARAZZA,
Saggio sull’organizzazione del lavoro, cit., spec. p. 234 e 249; G. PROIA, Riflessioni sulla
nozione di coordinazione, in G. SANTORO PASSARELLI, G. PELLACANI (a cura di),
Subordinazione e lavoro a progetto, Utet, Torino, 2009, p. 152, e già P. SANDULLI, Il lavoro
autonomo, cit., p. 1420, che fa riferimento a un potere di conformazione della prestazione. 423 Particolarmente esplicita Cass. 22 dicembre 2009, n. 26986, in Giur. it., 2010, n. 7, p. 1637,
secondo cui «l'organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive - ove le stesse non
siano assolutamente pregnanti ed assidue, traducendosi in un'attività di direzione costante e
cogente atta a privare il lavoratore di qualsiasi autonomia - costituisce una modalità di
coordinamento e di eterodirezione propria di qualsiasi organizzazione aziendale e si configura
quale semplice potere di sovraordinazione e di coordinamento, di per sé compatibile con altri
tipi di rapporto, e non già quale potere direttivo». Di «potere organizzativo del committente […]
94
riproposta, sia pure con alcune precisazioni, anche a seguito della novellazione
dell’art. 409, n. 3, c.p.c.424
La questione della distinzione (qualitativa o quantitativa) tra eterodirezione
e coordinamento si ripropone oggi, in termini non dissimili, in riferimento alla
linea di demarcazione tra quest’ultimo e l’etero-organizzazione di cui all’art. 2,
d.lgs. 81/2015, distinzione rispetto alla quale, tuttavia, sembrerebbe che la
dottrina maggioritaria non dubiti che si tratti di una differenza di carattere
qualitativo425, nei termini sopra precisati426, secondo un orientamento che esce
rafforzato dalla precisazione contenuta nell’art. 15, l. 81/2017427.
Due sono gli elementi che concorrono a distinguere il coordinamento dal
potere di organizzazione e direzione proprio del rapporto di lavoro etero-
organizzato e subordinato: l’autonomia organizzativa del prestatore e l’accordo
tra le parti circa le modalità di esecuzione della prestazione.
Quanto al primo elemento, dal carattere piuttosto sfuggente, benché intuitivo
e adoperato in funzione discretiva del lavoro autonomo rispetto a quello
subordinato già ben prima della riforma del 1973 – osservava Mengoni che il
lavoratore autonomo «organizza il suo programma di prestazione»428 – può
essere rilevato che si tratta di un requisito che poteva ricavarsi già da una lettura
in negativo dell’art. 409, n. 3, previgente, e ancor più dall’abrogato art. 62, lett.
finalizzato a realizzare un mero coordinamento» parla Cass. 14 febbraio 2011, n. 3594, cit. Da
ultimo, v. Cass. S.U. 20 gennaio 2017, n. 1545, cit. (su cui supra, § 2.1) secondo cui la
coordinazione costituisce un «sinonimo di attività in qualche misura eterodiretta». 424 C. PISANI, La nozione legale di coordinamento introdotta dall’articolo 15 della legge n.
81/2017, in DRI, 2018, n. 3, p. 823 ss., secondo cui «se la nuova nozione di coordinamento
dovesse essere intesa come impeditiva dell'esercizio di qualsivoglia potere di coordinamento non
concordato da parte del committente riguardo alla organizzazione dell'attività del collaboratore,
rischia di sparire questa “terra di mezzo” tra subordinazione e autonomia», e M. MARAZZA,
Collaborazioni organizzate e subordinazione, cit., p. 7 s., secondo cui, in riferimento alla
rapporto di agenzia «è confermato che esiste una soglia quantitativa di intensificazione del potere
di istruzione superata la quale quel potere andrebbe qualificato come potere direttivo». In senso
critico, tuttavia, O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit.,
p. 17 e ivi nt. 20, secondo cui non è possibile che «qualche forma di potere del committente potrà
essere recuperata rifugiandosi nel “potere di istruzione” che non è generalizzabile ma resta
circoscritto a determinate e tassative fattispecie negoziali». 425 G. FERRARO, Collaborazioni organizzate dal committente, cit., p. 69, in adesione alla tesi di
O. RAZZOLINI, La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente, cit., p. 20
ss.; L. NOGLER, La subordinazione nel d.lgs. n. 81 del 2015, cit., p. 19; A. PERULLI, Il lavoro
autonomo, le collaborazioni coordinate e le prestazioni organizzate dal committente, cit., p. 44
s. 426 Supra, § 3.4. 427 R. VOZA, La modifica dell’art. 409, n. 3, c.p.c., cit., p. 7; O. RAZZOLINI, Jobs Act degli
autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p. 13. Secondo M. PALLINI, Gli incerti confini
dell’ambito di applicazione dello Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 241 s., tuttavia, «la tecnica
di intervento non è felice perché […] sarebbe stato preferibile intervenire sull’art. 2 del d.lgs. n.
81 del 2015 al fine di delineare più chiaramente i tratti distintivi della eterorganizzazione». 428 L. MENGONI, Il contratto di lavoro nel diritto italiano, in AA.VV., Il contratto di lavoro nel
diritto dei paesi membri delle C.E.C.A., Giuffrè, Milano, 1965, p. 436.
95
d), d.lgs. 276/2003, che specificava che le forme di coordinamento che dovevano
essere indicate nel contratto di lavoro a progetto non potevano in ogni caso
«essere tali da pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione della prestazione
lavorativa»429.
Sul punto, tuttavia, ciò che preme evidenziare è che tale autonomia
organizzativa non deve essere confusa con l’autonomia esecutiva del prestatore,
intesa come insussistenza di una cogente etero-direzione della prestazione, la
quale ben può sussistere nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, con
riguardo, come si è visto, sia ad attività caratterizzate da un elevato contenuto
professionale sia a mansioni elementari, monotone e ripetitive430.
Quanto al secondo elemento, vale a dire l’accordo tra le parti circa le
modalità del coordinamento, già la prima dottrina formatasi nel vigore della
norma del codice di rito aveva messo in luce la natura contrattuale-bilaterale del
coordinamento, intendendolo come derivazione «di un programma negoziale nel
quale la prestazione si inserisce come mezzo per la realizzazione del programma
medesimo»431, collegandone la nozione «alla richiesta che le parti concordino,
anche se in modo rudimentalissimo o desumibile dal loro comportamento, un
programma nella cui realizzazione la prestazione si inserisce come mezzo»432,
ammettendo tuttavia che il prestatore possa determinare «d’accordo con l’altra
parte le modalità, il luogo e il tempo di esecuzione della prestazione»433.
La riforma dell’art. 409, n. 3, c.p.c. parrebbe dunque recuperare tale
attenzione originaria verso un’accezione negoziale di coordinamento, priva
come tale dei «crismi di autorità» che le sarebbero stati attribuiti dalla dottrina
successiva434, sancendo definitivamente l’accoglimento di una nozione di
coordinamento che si fonda sull’attività negoziale bilaterale posta in essere tra
due soggetti – committente e prestatore – collocati su un piano di parità non solo
429 Per entrambi questi rilievi R. VOZA, La modifica dell’art. 409, n. 3, c.p.c., cit., p. 6. 430 Supra, § 2.2, spec. nt. 271 e ss. Sul punto, sempre attuale il monito di M. ROCCELLA, Manuale
di diritto del lavoro, cit., p. 38, di non attribuire eccessivo rilievo all’autonomia relativa alla fase
esecutiva della prestazione lavorativa. 431 Così M.V. BALLESTRERO, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, cit., p. 59 s. 432 Così M. PEDRAZZOLI, voce Opera (prestazioni coordinate e continuative), cit., p. 475, che
richiama (nt. 25) la prima giurisprudenza di legittimità che aveva letto l’elemento della
coordinazione come «programmazione negoziale, anche se per grandi linee e/o implicita, ossia
desumibile dall’assetto negoziale degli interessi» (Cass. 22 luglio 1976, n. 2906, in Foro pad.,
1976, I, p. 146), facendo riferimento a una prestazione «consensualmente programmata» (Cass.
22 dicembre 1978, n. 6167, in Rep. Foro it., 1978, voce Competenza civile, n. 203.) ovvero a un
«programmato inserimento» (Cass. 14 novembre 1980, n. 6102, in Rep. Foro it., 1980, voce
Lavoro e previdenza (controversie), n. 216). 433 G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit., p. 67, che si poneva così in
termini sorprendentemente anticipatori rispetto a quello che sarà l’assetto normativo a seguito
del d.lgs. 81/2015 e della l. 81/2017. 434 L’espressione è di A. PERULLI, Il lavoro autonomo, le collaborazioni coordinate e le
prestazioni organizzate dal committente, cit., p. 44.
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formale, i quali danno vita a una trattativa che deve essere improntata ai requisiti
dell’individualità, della serietà e dell’effettività435. In questo senso, viene ora
precisato che il lavoro coordinato si trova fuori di quello che anche nella
ricostruzione barassiana era «l’ambito in cui l’imprenditore è autorizzato dal
contratto a esercitare la sua autorità, e per converso simmetrico, quello in cui il
debitore è tenuto ad assecondarla»436.
Se dunque la novellazione dell’art. 409, n. 3, c.p.c., non potrà essere certo di
per sé sufficiente a risolvere tutti i problemi di distinzione tra lavoro coordinato
“genuino” dal “falso” lavoro autonomo, essa assume in ogni caso una particolare
rilevanza dal punto di vista sistematico, in quanto consacra il principio per cui il
coordinamento è «in modo oggi del tutto univoco estraneo alla sfera del potere
unilaterale, costituendo la cifra dell’autonomia del prestatore, pur nella
dimensione duratura della collaborazione all’altrui disegno imprenditoriale»437.
Nell’impianto complessivo della l. 81/2017, e nel rapporto con le previsioni
del d.lgs. 81/2015, tuttavia, vi sono anche elementi che acuiscono i problemi di
qualificazione, sollevando non poche incertezze sistemiche e applicative.
In primo luogo, foriera di diversi dubbi pare l’introduzione, contestuale alla
riscrittura dell’art. 409, n. 3, c.p.c., di una modalità di esecuzione della
prestazione di lavoro, espressamente definito come «subordinato», che viene
però «stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione
per fasi, cicli e obiettivi» – secondo la formula già utilizzata per il lavoro a
progetto438 – e «senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro» (art. 18, l.
81/2017)439. In proposito è stato osservato che «nel concreto svolgimento del
rapporto sarà difficile distinguere tra lavoro agile, in cui le modalità di
esecuzione della prestazione sono concordate dalle parti, e collaborazioni
435 Così ID., Il nuovo art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 15, l. 22 maggio 2017, n. 81, cit., p. 155. 436 M. PEDRAZZOLI, La parabola della subordinazione: dal contratto allo status. L. Barassi e il
suo dopo, in M. NAPOLI (a cura di), La nascita del diritto del lavoro. «Il contratto di lavoro» di
Lodovico Barassi cent’anni dopo. Novità, influssi, distanze, Vita e pensiero, Milano, 2003, p.
358. 437 F. MARTELLONI, I rimedi nel “nuovo” diritto del lavoro autonomo, cit., p. 533. Nello stesso
senso A. PERULLI, Il nuovo art. 409, n. 3, c.p.c., cit., p. 153, secondo cui «essendo espressamente
prescritto che le modalità di coordinamento devono essere ‘stabilite di comune accordo tra le
parti’ alcun elemento di unilateralità nella loro predisposizione potrà essere tollerato, pena la
negazione della riconducibilità della fattispecie allo schema legale-tipico di cui al novellato art.
409, n. 3, c.p.c.». 438 Lo rileva G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, il lavoro agile
e il telelavoro, in RIDL, 2017, n. 3, I, p. 391 s. 439 Sulla natura giuridica del c.d. lavoro agile o smart working la letteratura è già corposa. Per
tutti, L. FIORILLO, Il lavoro agile: continua il processo di ridefinizione del Diritto del lavoro, in
L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 165 ss.; G. PROIA,
L’accordo individuale e le modalità di esecuzione e di cessazione della prestazione di lavoro
agile, ivi, p. 177 ss.; M. MARTONE, Il lavoro agile nella l. 22 maggio 2017, n. 81: un
inquadramento, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo Statuto del
lavoro autonomo, cit., p. 461 ss., anche per ulteriori riferimenti.
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coordinate, nelle quali parimenti le modalità di esecuzione della prestazione
sono concordate tra le parti»440. Se così è, per quanto sia agevole sostenere che
vi sono rilevanti differenze tra le due fattispecie dal punto di vista dell’assetto
negoziale – relative alla potenziale riemersione di un potere direttivo “pieno”
nello schema del lavoro agile e non in quello del lavoro autonomo coordinato –
tali elementi di distinzione, in quanto non si estrinsecano nella dimensione
fenomenica del rapporto, arrestandosi alla soglia della potenzialità ideale,
risultano inidonei a fondare un effettivo giudizio di qualificazione della
fattispecie concreta. In questa prospettiva potrebbe persino azzardarsi la tesi che
il legislatore abbia rimesso all’imprenditore la scelta tra due schemi che sono
all’evidenza funzionalmente e strutturalmente identici, quasi che nel lavoro agile
la subordinazione non fosse altro che una complessa alchimia in cui si mescolano
la “riserva” di esercizio pro futuro del potere direttivo; l’opzione verso un
modello più stabile e, all’occorrenza, gerarchicamente improntato di gestione del
personale e, non da ultimo, una dose di favor verso il lavoratore441.
Sotto diverso profilo, inoltre, vi è chi ha ravvisato nella novella del 2017 il
tentativo da parte del legislatore di “disinnescare” alcune delle potenzialità insite
nella regola dell’estensione della disciplina del lavoro subordinato alle
collaborazioni etero-organizzate dal punto di vista spazio-temporale, facendo
salva la possibilità di evitarne l’applicazione ove il coordinamento spazio-
temporale, quand’anche stringente (come nel caso in cui di fatto il prestatore
disponga di una postazione di lavoro e osservi un orario), possa essere coperto
“dall’ombrello” di un accordo tra le parti442.
In effetti, sostenere che non vi sia etero-organizzazione con riguardo al
tempo e al luogo della prestazione laddove l’inserimento spazio-temporale della
prestazione derivi da un accordo (o da una serie di accordi) tra le parti,
depotenzierebbe notevolmente la portata della norma di cui all’art. 2, d.lgs.
81/2015, fino a renderla sostanzialmente inapplicabile ove si arrivasse a
440 G. SANTORO PASSARELLI, Lavoro etero-organizzato, coordinato, agile e telelavoro, cit., p.
783, il quale non nasconde l’impressione che l’art. 15 e l’art. 19 della l. 81/2017 «possano creare
davvero un corto circuito normativo difficilmente risolvibile sul piano interpretativo», e ciò
«soprattutto con riferimento alle prestazioni ad alto contenuto intellettuale, tradizionale “zona
grigia” nell’ambito della c.d. subordinazione attenuata» (così ID., Il lavoro autonomo non
imprenditoriale, cit., p. 392). 441 Sulla falsariga di quanto avviene nel mondo dei contratti di agenzia e rappresentanza
commerciale, dove l’imprenditore può avere interesse a inquadrare come subordinati lavoratori
che ben potrebbero essere qualificati come autonomi, e a pagare il “fio” dei costi aggiuntivi della
subordinazione pur di godere dei vantaggi organizzativi insiti nella garanzia dell’uniformità dei
trattamenti (normativi ed economici) e di sfuggire dal rischio della moltiplicazione dei costi di
transazione derivanti dalla necessità di trattare con una pluralità di controparti indipendenti. 442 M. PALLINI, Gli incerti confini dell’ambito di applicazione dello Statuto del lavoro autonomo,
cit., p. 242 ss., ribadendo il timore già espresso, prima dell’introduzione della l. 81/2017, in ID.,
Dalla eterodirezione alla eteroorganizzazione, cit., p. 84.
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ravvisare un accordo tacito ogniqualvolta il committente chieda al collaboratore
di svolgere la prestazione in un determinato momento e questo non vi dissenta.
Così ragionando, d’altronde, si finirebbe per negare il carattere etero-
organizzato della prestazione a un lavoratore munito di una postazione fissa
nell’impresa e che osservi un vero e proprio orario di lavoro – magari lo stesso
dei colleghi inquadrati come lavoratori subordinati – sol perché all’inizio della
collaborazione abbia “concordato” tale modalità di svolgimento spazio-
temporale della prestazione con il committente. Un tale esito interpretativo,
tuttavia, non solo non pare in linea con la ratio alla base dell’art. 2, d.lgs.
81/2015, ma risulta insostenibile se si considera che in fondo anche il lavoratore
subordinato, a ben vedere, “concorda” un coordinamento spazio-temporale con
il datore di lavoro quanto sottoscrive il contratto che reca indicazione della sede
di lavoro e del relativo orario.
Per salvare l’efficacia della regola in materia di collaborazioni etero-
organizzate, pare pertanto necessario ritenere che il «comune accordo» delle
parti cui fa riferimento il novellato art. 409, n. 3, c.p.c., non possa spingersi sino
a definire obblighi di coordinamento spazio-temporali443, ovvero ritenere che
resti comunque salva la libertà del collaboratore di variare unilateralmente tali
modalità di coordinamento, in modo del tutto discrezionale444, con il solo (ovvio)
limite segnato dai canoni della correttezza e della buona fede.
Come a dire che è genuinamente autonomo (benché coordinato), chi abbia la
piena libertà di svegliarsi la mattina e decidere di non andare al lavoro, non già
con l’obbligo di farne richiesta al committente, bensì solo con l’obbligo di
dargliene informazione, sulla scorta dell’adagio pessoano che individuava nel
datore di lavoro del semi-eteronimo Bernardo Soares nient’altro che «l’ostacolo
occasionale ad essere padrone delle mie ore, nel tempo diurno della mia vita»445.
443 È la conclusione cui giunge ID., Gli incerti confini dell’ambito di applicazione dello Statuto
del lavoro autonomo, cit., p. 243, secondo cui «porre in sintonia il nuovo art. 409 c.p.c. con l'art.
2 del d.lgs. n. 81/2015 impone di ritenere indisponibili nell'accordo tra committente e
collaboratore quantomeno i vincoli spazio-temporali circa le modalità della esecuzione
continuativa. Quest'ultimi non possono essere oggetto dell'’accordo’ sugli obblighi di
coordinamento […] o meglio, ove tali vincoli siano oggetto di detto accordo, il collaboratore
viene attratto nel regime di lavoro subordinato a norma dell'art. 2 d.lgs. n. 81/2015». 444 Così invece S. GIUBBONI, Il Jobs act degli autonomi, cit., p. 481, secondo cui «l’elemento
discretivo decisivo [è] per l’appunto costituito dal fatto che non sia il committente ad esercitare
un siffatto potere unilaterale». 445 F. PESSOA, Livro do desassossego por Bernardo Soares, Tinta-da-China, Lisboa, 2014, p.
445, il quale si domandava infatti, in riferimento al suo datore di lavoro, il signor Vasquez, «que
me é esse homem, salvo o obstáculo ocasional de ser dono das minhas horas, num tempo diurno
da minha vida?», una considerazione che peraltro la giurisprudenza portoghese non ha mancato
di valorizzare a fini discretivi: cfr. Tribunal de Relação de Lisboa 10 ottobre 2012, in dsgi.pt.
99
4.1.3. La prevalente personalità della prestazione e l’ambiguo
rapporto tra lavoro (autonomo) «prevalentemente personale» e
(piccola) impresa. Cenni e rinvio
L’ultimo requisito indicato dall’art. 409, n. 3, c.p.c., nel riferirsi al carattere
«prevalentemente personale» della prestazione d’opera in cui si concreta la
collaborazione, allude a un elemento contenuto sia nella disposizione codicistica
in materia di contratto d’opera, che individua l’obbligo principale del conductor
operis nel compimento di un’opera o di un servizio «con lavoro prevalentemente
proprio» (art. 2222 c.c.), sia in quella che contiene la nozione di piccolo
imprenditore, che è colui che esercita «un’attività professionale organizzata
prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia» (art.
2083 c.c.).
Il riferimento al carattere “prevalentemente” – e non già “esclusivamente” –
personale della prestazione, pertanto, era stato da subito interpretato come segno
dell’intenzione del legislatore di comprendere tra i beneficiari della tutela
processuale e sostanziale destinata al lavoro parasubordinato, oltre ai prestatori
di lavoro autonomo che si avvalgono di collaboratori446, anche i piccoli
imprenditori e gli artigiani447 – a condizione che non operino in forma
societaria448 – nonostante si tratti di soggetti che svolgono la propria attività
valendosi di una (sia pure piccola) organizzazione imprenditoriale.
Quello dell’organizzazione infatti, veniva individuato nella coeva dottrina
commercialistica come l’elemento essenziale idoneo a determinare la qualità di
imprenditore (piccolo o grande), con applicazione (di parte del)449 del relativo
446 G. SANTORO PASSARELLI, I rapporti di collaborazione organizzati dal committente, cit., p.
12 s., e ivi riferimenti alla giurisprudenza. Sulla natura non (necessariamente) imprenditoriale
dell’attività di lavoro autonomo realizzata con l’apporto di lavoro altrui infra § 5.4. 447 Molto esplicitamente, ID., Il lavoro «parasubordinato», cit., p. 77 ss., spec. p. 87; M.
PEDRAZZOLI, voce Opera (collaborazioni coordinate e continuative), cit., 479 s.; M.V.
BALLESTRERO, L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato, cit., p. 63; G. PERONE, Il nuovo
processo del lavoro, Cedam, Padova, 1975, p. 32. In tal senso, più recentemente, O. RAZZOLINI,
Jobs Act degli autonomi, cit., p. 23, spec. nt. 46. In senso contrario, M. PALLINI, Dalla
eterodirezione alla eteroorganizzazione, cit., p. 68. Nella prima giurisprudenza in materia, inter
alia, Cass. 21 febbraio 1985, n. 1580, in RIDL, 1985, II, p. 551, con osservazioni di S. MENCHINI;
Pret. Bassano del Grappa 21 giugno 1979, in RGL, 1979, II, p. 1132. Sul punto S. MENCHINI,
Considerazioni sugli orientamenti giurisprudenziali in tema di art. 409 c.p.c., in RTDPC, 1983,
p. 505 ss. 448 Nel senso che «la controversia avente ad oggetto un rapporto di agenzia nel quale la qualità
di agente è rivestita da una società, sia pure di solo fatto, non rientra nella competenza del pretore,
quale giudice del lavoro, per mancanza del carattere prevalentemente personale della
prestazione», Cass. 18 novembre 1994, n. 9775, in Foro it., 1995, n. 5, I, c. 1487, con nota
redazionale. Nello stesso senso, più di recente, Cass., sez. VI, 21 aprile 2011, n. 9273, in GCM,
2011, n. 4, p. 650; Cass. 28 dicembre 2006, n. 27576, in DeJure. 449 Ricorda infatti A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 38, come la piccola impresa «è
comunque sottratta alla norme che compongono il c.d. statuto generale dell’imprenditore
commerciale (artt. 2202, 2214, 2241 c.c.)».
100
statuto, in chi esercita un’attività economica, per l’appunto, «organizzata» (art.
2082 c.c.)450.
Sui caratteri che tale organizzazione deve assumere per potersi avere
(piccola) impresa anziché lavoro (autonomo) – e, in particolare, sulla questione
se sia sufficiente la mera auto-organizzazione451 ovvero sia necessario un
minimo di organizzazione esterna – si registrano tuttora persistenti incertezze ed
equivoci, sicché in merito alla linea di demarcazione tra lavoro esclusivamente
personale, lavoro prevalentemente personale, piccola e media impresa non è
ancora dato riscontrare una consolidata communis opinio452.
Per quanto qui interessa, e rinviando al prosieguo del presente lavoro per
quanto concerne il senso da attribuire all’espressa esclusione dei piccoli
imprenditori dalla platea dei destinatari dello Statuto del lavoro autonomo (art.
1, l. 81/2017)453, basti rilevare che la prevalente personalità della prestazione ha
consentito di operare un’estensione della tutela del lavoro parasubordinato oltre
i confini del lavoro non imprenditoriale, a riprova del fatto che anche soggetti
muniti di una propria organizzazione possono trovarsi in quella condizione di
debolezza contrattuale nei confronti di un committente principale, che
costituisce la ratio dell’intervento del legislatore del 1973.
Tale ratio, d’altronde, con specifico riferimento al mondo dell’impresa
“debole” o “economicamente debole”, avrebbe trovato un’apposita risposta nella
legislazione dei decenni successivi454, finendo poi per ispirare l’approccio del
legislatore del 2017, che, come vedremo trattando dell’ispirazione teorica delle
nuove tutele che lo Statuto destina al rapporto di lavoro autonomo455, ha poi per
450 V. BUONOCORE, voce Imprenditore (diritto privato), cit., p. 516 s.; G. MINERVINI,
L’imprenditore. Fattispecie e statuti, cit., p. 11 ss. L’orientamento, come noto, è andato
consolidandosi, cfr., per tutti, P. SPADA, voce Impresa, in Digesto priv., Sez. comm., VII, Utet,
Torino, 1992, p. 32 ss.; G. OPPO, voce Impresa e imprenditore, in EGT, XVI, Treccani, Roma,
1989, p. 1 ss. 451 Secondo la tesi, rimasta tuttavia minoritaria, di W. BIGIAVI, La piccola impresa, Giuffrè,
Milano, 1947, spec. p. 94 ss. e p. 102 ss., il quale non esitava a ravvisare anche nel lavoratore
autonomo che svolge la propria attività in modo esclusivamente personale un piccolo
imprenditore, come nei celebri casi del lustrascarpe e del facchino. 452 In generale, O. RAZZOLINI, Piccolo imprenditore e lavoro esclusivamente personale,
Giappichelli, Torino, 2012, passim, secondo la quale gli artt. 2222, 2083, 2082 c.c. e 409, n. 3,
c.p.c., non definiscono figure contrapposte e distinte, ben potendosi avere piccoli imprenditori
che acquistano la qualità di conductor operis quando assumono l’obbligo di compiere un’opera
o un servizio per altri senza vincolo di subordinazione e con lavoro prevalentemente personale.
Sul punto anche A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 28 ss., spec. nt. 82 e 91. 453 Infra, § 5 e ss. 454 Il riferimento è in particolare alla l. 192/1998 in materia di subfornitura industriale, da cui
muoverà la dottrina in materia di contratto asimmetrico o “terzo” contratto, su cui, per il
momento, vd. G. GITTI, G. VILLA (a cura di), Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale
nei rapporti tra imprese, Il Mulino, Bologna, 2008; V. ROPPO, Il contratto del duemila, 3° ed.,
Giappichelli, Torino, 2012, spec. p. 65 ss. 455 Infra, Cap. III, Sez. I, § 1.
101
così dire “chiuso il cerchio” 456, articolando la protezione del lavoro autonomo
sulla falsariga delle «fronde» nel frattempo cresciute nel (nuovo) diritto civile a
partire dalle sue «radici giuslavoristiche», tutte da (ri)scoprire457.
4.2. La condizione di “dipendenza” o “debolezza” del prestatore come
elemento della fattispecie?
Che la situazione di debolezza e/o di dipendenza – cercheremo a brevissimo
di definire meglio i termini – del collaboratore coordinato e continuativo abbia
costituito la ratio storica dell’intervento del legislatore del 1973 è considerazione
unanimemente condivisa dalla dottrina458.
Peraltro, le espressioni “debolezza” e “dipendenza economica”, che come
noto hanno trovato ingresso in alcuni ordinamenti europei quale architrave di un
sistema di protezione del lavoro autonomo “economicamente dipendente”459,
fungendo altresì da ispirazione per le prospettive di riforma degli ultimi
decenni460, si prestano a indicare situazioni tra loro anche estremamente diverse.
I termini “debolezza” e “dipendenza”, infatti, possono alludere in primo
luogo a una generale situazione di debolezza economica e sociale del prestatore
456 A. PERULLI, Il lungo viaggio del lavoro autonomo dal diritto dei contratti al diritto del lavoro,
e ritorno, in LD, 2017, n. 2, p. 251 ss.; ID., Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 181, secondo cui
nelle nuove tutele statutarie è dato ravvisare «meno diritto del lavoro, più diritto dei contratti».
P. ICHINO, Il percorso tortuoso del diritto del lavoro tra emancipazione dal diritto civile e ritorno
al diritto civile, in RIDL, 2012, I, p. 59 ss. 457 L. NOGLER, (Ri)scoprire le radici giuslavoristiche del 'nuovo' diritto civile, in EDP, 2013, n.
4, p. 959 ss. 458 Sia pure con diversità di accenti, G. GHEZZI, I rapporti di diritto privato soggetti al nuovo
«rito del lavoro», cit., p. 99 ss.; A. CESSARI, Sul campo soggettivo di applicazione del nuovo rito
del lavoro, cit., p. 6 ss.; G. PERA, Rapporti c.d. di parasubordinazione e rito del lavoro, cit., p.
422 ss.; G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit., spec. p. 10 ss., ma passim;
A.M. GRIECO, Lavoro parasubordinato e diritto del lavoro, cit., p. 18 s.; M. PEDRAZZOLI, voce
Opera (collaborazioni coordinate e continuative), cit., p. 472 s.; M.V. BALLESTRERO, L’ambigua
nozione di lavoro parasubordinato, cit., spec. p. 42 ss. Da ultimo P. ICHINO, Il contratto di
lavoro, I, cit., p. 301. 459 Il riferimento è ovviamente all’ordinamento spagnolo è alla sezione dell’Estatuto del trabajo
autónomo (Ley 11 luglio 2007, n. 20) dedicata ai trabajadores autónomos económicamente
dependientes, su cui, nell’ambito delle pubblicazioni in lingua italiana, J. CRUZ VILLALÓN, Il
lavoro autonomo economicamente dipendente in Spagna, in DLM, 2013, p. 287 ss.; F. VALDÉS
DAL-RÉ; A. VALDÉS ALONSO, Lo Statuto del lavoro autonomo nella legislazione spagnola, con
particolare riferimento al lavoro autonomo economicamente dipendente, in DRI, 2010, n. 3, p.
705 ss. 460 Cfr. in una prospettiva diacronica che accompagna il parziale recepimento del modello della
soglia quantitativa ad opera dell’ormai abrogato art. 69-bis, d.lgs. 276/2003, O. RAZZOLINI,
Lavoro economicamente dipendente e requisiti quantitativi nei progetti di legge nazionali e
nell’ordinamento spagnolo, in DLRI, 2011, p. 645 ss.; G. SANTORO PASSARELLI, Falso lavoro
autonomo e lavoro autonomo economicamente debole ma genuino: due nozioni a confronto, in
RIDL, 2013, I, p. 103 ss.; A. PERULLI, Un Jobs Act per il lavoro autonomo: verso una nuova
disciplina della dipendenza economica?, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 235/2015.
102
– il quale, privo di altre fonti di reddito, deve il proprio sostentamento al flusso
di reddito che gli può garantire il creditore di lavoro – identificandosi dunque
con quella nozione di subordinazione socio-economica propugnata agli inizi del
secolo scorso dai socialisti della cattedra e fermamente respinta dalla dottrina di
matrice barassiana461.
In un’accezione non del tutto sovrapponibile, in quanto prescinde dalle
condizioni economico-sociali del prestatore, i termini possono fare riferimento
alla situazione di dipendenza reddituale del prestatore, che percepisce una certa
quantità (determinata o determinabile) dei propri redditi da lavoro ad uno stesso
committente – come il trabajador autónomo económicamente dependiente
nell’ordinamento spagnolo462, o il collaboratore a P. IVA nel regime
dell’abrogato art. 69-bis, d.lgs. 276/2003463 – ma che potrebbe, in ipotesi, non
essere affatto economicamente debole, per la disponibilità di altre fonti di
reddito. Si tratta dell’ipotesi che già Barassi aveva denominato «subordinazione
economica», per contrapporla a quella di carattere tecnico-giuridico propria del
lavoro subordinato464.
In un’accezione ancora diversa, i termini possono individuare quella
situazione di debolezza contrattuale – presupposta ad esempio dall’art. 9 della l.
n. 192 del 1998 in materia di abuso di dipendenza economica nelle attività
produttive, norma oggi espressamente applicabile al lavoro autonomo (art. 3,
comma 4, l. 81/2017)465 – in cui, anche a prescindere dall’eventuale regime di
monocommittenza o di committenza prevalente, per la natura dei rapporti
intercorrenti tra due partner commerciali, una parte possa imporre condizioni
particolarmente svantaggiose all’altra parte, che si trova esposta al rischio di
comportamenti opportunistici (c.d. hold-up) da parte del committente466.
461 Supra, Cap. I, § 3. 462 Ai sensi dell’art. 11 dell’Estatuto si considera economicamente dipendente il lavoratore
autonomo che percepisce dallo stesso committente almeno il 75% del proprio reddito da lavoro. 463 Che faceva riferimento alla circostanza che il corrispettivo derivante dalla collaborazione
costituisse «più dell'80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal
collaboratore nell'arco di due anni solari consecutivi». 464 L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano, I, Società Editrice Libraria,
Milano, 1915, p. 648, alludendo al caso «di un lavoratore autonomo che devolve l’opera propria
stabilmente a un dato committente, e si trova in una subordinazione economica a quest’ultimo». 465 Infra, Cap. III, Sez. I, § 4 e ss. 466 Per tale accezione, cfr. G. COLANGELO, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della
concorrenza e diritto dei contratti, Giappichelli, Torino, 2004, spec. p. 42 ss.; E. CAPOBIANCO,
L’abuso di dipendenza economica. Oltre la subfornitura, in Conc. merc., 2012, p. 632 ss. In
giurisprudenza, v. Trib. Milano 16 febbraio 2012, in DeJure, secondo cui il rimedio ex art. 9, l.
n. 192 del 1998, non richiede la sussistenza di una dipendenza “economico-reddituale” della
parte “debole”, ma è esperibile in relazione a tutti i contratti di durata aventi ad oggetto
operazioni economiche caratterizzate da investimenti specifici difficilmente riconvertibili (c.d.
investimenti idiosincratici), effettuati sul presupposto della stabilità degli accordi.
103
È evidente che le tre nozioni cui si è appena fatto riferimento possono
presentarsi congiuntamente sulla base dell’id quod plerumque accidit. Esse,
tuttavia, devono essere tenute concettualmente distinte, in quanto è ben possibile
che un lavoratore versi in una situazione di dipendenza nel senso economico-
reddituale sopra precisato (perché, ad esempio, presta la sua attività in regime di
monocommittenza), ma non, invece, in una situazione di debolezza economica
(perché percepisce altri redditi non da lavoro) e/o di dipendenza economica ai
sensi dell’art. 9, l. 192/1998 (perché munito di una forte professionalità che non
lo espone al rischio di comportamenti opportunistici o ricattatori del
committente).
Tanto premesso quanto all’ambiguità semantica della nozione di dipendenza
economica presupposto dall’art. 409, n. 3, c.p.c., occorre chiedersi se essa
rappresenti (ed eventualmente in quale accezione) un requisito richiesto,
ancorché implicitamente, ai fini della riconducibilità del collaboratore al novero
dei beneficiari delle tutele apprestate in favore dei lavoratori parasubordinati,
ovvero se esso resti estraneo alla fattispecie.
Nel senso della necessaria presenza dell’elemento della debolezza
contrattuale ai fini dell’applicabilità del rito del lavoro e della disciplina dell’art.
2113 c.c. si era posta una parte della dottrina, sulla base del rilievo che i tratti
fisionomici della fattispecie di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. – vale a dire la
continuità, la coordinazione e la prevalente personalità della prestazione –
«diverrebbero presupposto per l’applicazione di una disciplina distinta da quella
propria dei tipi cui le prestazioni appartengono, solo se fosse possibile desumere
[…] anche la debolezza contrattuale del collaboratore continuativo e coordinato
rispetto al datore di lavoro committente»467.
In questa prospettiva, la debolezza contrattuale del prestatore viene elevata a
elemento della fattispecie del lavoro parasubordinato, ad integrazione dei tre
elementi espressamente previsti dall’art. 409, n. 3, c.p.c., i quali, ove non
indicativi di tale debolezza, non sarebbero da soli sufficienti a determinare
l’accesso alle garanzie previste dalla legge.
Sennonché, in senso contrario rispetto alla tesi appena esposta, è stato
efficacemente replicato che non vi è traccia, nella legge, della necessaria
presenza di una qualche posizione di supremazia del committente nei confronti
del prestatore d’opera, sicché «la deduzione che senza disparità o soggezione
467 G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit., p. 18, il quale considera la
debolezza economica nella duplice accezione di debolezza socio-economica e di capacità del
committente «di annullare o di ridurre sensibilmente la libertà contrattuale della controparte»
(ivi, p. 19), nel senso che sarà poi fatto proprio dall’art. 9, l. 192/1998. Nello stesso senso, ma in
riferimento alla debolezza socio-economica del prestatore, L. MONTESANO, F. MAZZIOTTI, Le
controversie del lavoro e della sicurezza sociale, Jovene, Napoli, 1974, p. 31.
104
[…] non sarebbe applicabile la nuova disciplina processuale sarà quindi
statisticamente vera, ma è tipologicamente falsa»468.
In effetti, la legge processuale non menziona in alcun passaggio la debolezza,
o la dipendenza, del prestatore, cui pure il legislatore avrebbe potuto fare
riferimento se lo avesse voluto, anche allo scopo di chiarire in quale delle diverse
possibili accezioni essa avrebbe dovuto intendersi. D’altronde, considerando che
la stessa nozione di subordinazione prescinde dal dato sociale della debolezza
socio-economica del prestatore e persino da qualsiasi valutazione circa la
disparità contrattuale delle parti del contratto di lavoro subordinato469, sembra
condivisibile la conclusione, raggiunta anche dalla giurisprudenza470, che ai fini
dell’inclusione di un determinato rapporto di collaborazione nell’ambito di
operatività dell’art. 409, n. 3, c.p.c., in presenza dei tre requisiti fissati dalla
disposizione, non assuma rilievo la sussistenza o meno di una debolezza
contrattuale (o dipendenza economica), la quale, infatti «rileva come elemento
non del contenuto definitorio della norma, ma della ratio legis»471.
5. Il lavoro autonomo «non imprenditoriale». L’ambiguo confine
(esterno) tra lavoro autonomo e impresa e il senso dell’esclusione di cui
all’art. 1, l. 81/2017.
Lo Statuto del lavoro autonomo, nel fare riferimento sin dalla rubrica alla
tutela del lavoro autonomo «non imprenditoriale» e nell’escludere all’art. 1 «gli
imprenditori, ivi compresi i piccoli imprenditori di cui all'articolo 2083 del
codice civile», individua una nuova e inedita nozione472 – quella di «lavoro
autonomo non imprenditoriale» – che solleva diversi interrogativi.
In particolare occorre chiedersi se la formula utilizzata nella rubrica
rappresenti semplicemente un rafforzativo dell’esclusione degli imprenditori dal
novero dei beneficiari delle tutele statutaria ovvero se, come qualcuno ha già
468 M. PEDRAZZOLI, voce Opera (prestazioni coordinate e continuative), cit., p. 473, che osserva
come l’unico requisito relazionale della fattispecie sia quello della coordinazione e che sebbene
l’intento politico di una legge sia un buon criterio ermeneutico, esso non sempre coincide con la
rilevanza della fattispecie. 469 V. però le osservazioni di G. PERA, Rapporti c.d. di parasubordinazione, cit., p. 424, secondo
cui vi sarebbe una diversità di tecnica definitoria tra l’art. 2094 c.c. e l’art. 409, n. 3, c.p.c., tale
da giustificare, nella lettura di G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit., p. 16
s., una diversa rilevanza dell’elemento della debolezza contrattuale nelle rispettive fattispecie. 470 Cass. 19 maggio 1994, n. 4918, in Foro it., 1995, n. 5, I, c. 1488, con nota redazionale,
secondo cui ai fini della competenza del giudice del lavoro «non è elemento essenziale lo stato
di debolezza del preposto, ma la sussistenza della continuità, della coordinazione e della
personalità della prestazione». 471 Così P. ICHINO, Il contratto di lavoro, I, cit., p. 301, nt. 85. 472 O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p. 22, che
rileva trattarsi di una «espressione per vero mai comparsa nel linguaggio tecnico giuridico».
105
sostenuto473, con essa il legislatore abbia voluto operare una netta distinzione tra
lavoro autonomo esclusivamente personale (che formerebbe l’unico destinatario
delle nuove tutele) e lavoro autonomo solo prevalentemente personale (che ne
sarebbe escluso, pur rimanendo nell’ambito del mondo della locatio operis,
posto che l’art. 2222 c.c. non richiede la personalità esclusiva della prestazione,
così come non la richiede l’art. 409, n. 3, c.p.c.474).
In ogni caso, a prescindere dalla risposta che si voglia dare al quesito che
nasce dalla rubrica del capo I dello Statuto, l’inequivoca esclusione dei piccoli
imprenditori impone comunque di confrontarsi con la mai sopita querelle
relativa alla linea di confine intercorrente tra mondo del lavoro autonomo e
mondo della (piccola) impresa475 – il confine «settentrionale» della fattispecie476
– la cui individuazione assume oggi un rilievo cruciale, posto che da un lato o
dall’altro del limes prendono forma regimi di tutela fortemente differenziati, con
notevoli implicazioni anche sul piano previdenziale e tributario.
Il tema è stato già in parte affrontato laddove nell’esaminare il significato da
attribuirsi al requisito della «prevalente personalità» della prestazione, richiesto
dall’art. 409, n. 3, c.p.c., e previsto altresì dall’art. 2222 c.c. e dall’art. 2083 c.c.,
si è rilevato come la dottrina non avesse dubitato della possibilità di
ricomprendere anche i piccoli imprenditori tra i beneficiari delle tutele apprestate
in favore dei lavoratori parasubordinati, in presenza dei tre requisiti previsti dalla
disposizione del codice di rito477.
Si tratta ora, invece, di effettuare una più precisa actio finium regundorum
tra la categoria di impresa e quella di lavoro autonomo, sia per delimitare
compiutamente la fattispecie oggetto di indagine, sia per poter apprezzare la
portata, anche sistematica, dell’esclusione del mondo (piccolo) imprenditoriale
dallo Statuto del lavoro autonomo.
Il compito, peraltro, è reso più difficile dalla presenza, neanche troppo sullo
sfondo, di un processo di riavvicinamento delle figure del lavoratore autonomo
473 Ivi, spec. p. 22 ss. 474 Come abbiamo visto supra, § 4.1.3. 475 Di «risalente (e mai risolta) querelle giuscommercialistica circa il finium regundorum tra
impresa e lavoro autonomo» parla A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 10. D’altronde, se già
all’indomani della codificazione L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo in generale, in A.
SCIALOJA, G. BRANCA (a cura di), Commentario del codice civile, Zanichelli-Il Foro italiano,
Bologna-Roma, 1963, p. 153, rilevava che «la linea di demarcazione tra piccolo imprenditore è
meno facile a definirsi, tanto è vero che essa risulta ripetutamente messa in discussione», ancora
a mezzo secolo di distanza si osserva che «la distinzione tra lavoro autonomo e piccolo
imprenditore è vieppiù evanescente» (P. MONTALENTI, Il diritto commerciale dalla separazione
dei codici alla globalizzazione, in RTDPC, 2012, p. 379 ss., qui p. 390). 476 Secondo la già richiamata formula di O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, cit., p. 82. 477 Supra, § 4.1.3.
106
e del piccolo imprenditore478, non scevro di sollecitazioni provenienti dal diritto
eurounitario479, per il quale trattasi infatti di figure in gran parte assimilabili ai
fini dell’applicazione delle libertà economiche stabilite dai trattati e della
disciplina della concorrenza480, in quanto nella prospettiva europea entrambi
rappresentano – in qualche misura, al pari del lavoratore subordinato481 – un
opérateur économique sur ce marché482.
Esempio lampante di tale processo di convergenza, ma non certo l’unico483,
si ravvisa nella disciplina di derivazione comunitaria in materia di lotta contro i
ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali – (inutilmente) estesa al
lavoro autonomo «non imprenditoriale» ad opera dell’art. 2, l. 81/2017484 – che
definisce come impresa «ogni soggetto esercente un'attività economica
organizzata o una libera professione, anche se svolta da una sola persona» (art.
478 Rileva sul punto A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi: nuove (e vecchie) tutele per il lavoro
autonomo non imprenditoriale, cit., p. 181, che tale processo «accomuna le due distinte
fattispecie in una inedita prospettiva assiologica di parziale coincidenza tra iniziativa economica
privata e lavoro, rendendo plausibile, ed anzi necessario, riguardare giuridicamente a queste
figure micro-imprenditoriali anche da un punto di vista delle tutele contrattuali e welfaristiche». 479 Lo rilevano O. RAZZOLINI, Perché avviare una riflessione su piccolo imprenditore e lavoro
prevalentemente personale, in DRI, 2013, n. 4, p. 1080 ss., e M. PALLINI, Gli incerti confini
dell’ambito di applicazione dello Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 245 s., secondo cui «da
anni il diritto europeo esercita una pressione sull’ordinamento nazionale in direzione
dell’assimilazione del lavoratore autonomo all’imprenditore ‘individuale’». Entrambi portano
come esempio la l. 180/2011, la quale nell’adeguare l’ordinamento nazionale alle indicazioni
espresse dalla Commissione Europea nello Small Business Act, si definisce all’art. 1 come «lo
statuto delle imprese e dell’imprenditore al fine di assicurare lo sviluppo della persona attraverso
il valore del lavoro, sia esso svolto in forma d’autonomo che d’impresa, e di garantire la libertà
di iniziativa economica privata in conformità agli articoli 35 e 41 della Costituzione». Sul punto
anche M. MAGNANI, Il diritto del lavoro alla prova dello Small Business Act, in MGL, 2010, n.
1-2, p. 23, secondo cui nella politica di promozione europea «sfuma la distinzione tra imprese,
appunto, e lavoratori autonomi». 480 Infra, Cap. III, Sez. III, § 4. 481 S. GIUBBONI, Autonomia e subordinazione nel diritto del lavoro dell’Unione Europea, p. 138
s., dove si osserva che «poiché la nozione di lavoratore di cui all’art. 45 TFUE è definita in
funzione dell’accesso al mercato interno, a differenza di quanto vale per gli ordinamenti
nazionali in definitiva non rileva tanto la distinzione tra lavoro subordinato ed autonomo, visto
che i due tipi normativi godono di garanzie del tutto analoghe ai sensi del Trattato». 482 Così A. SUPIOT, Critique du droit du travail, Puf, Paris, 1994, p. 23. Registrano la
convergenza di lavoratore autonomo e di impresa nel diritto europeo L. NOGLER, Introduzione
al mercato unico delle «attività autonome», in ID. (a cura di), Le attività autonome, in G. AJANI,
A. BENACCHIO (diretto da), Trattato di diritto privato dell’Unione Europea, VI, Giappichelli,
Torino, 2006, p. 1 ss.; R. CATALANO, Profili di convergenza tra “impresa” e “professionista”,
in Rass. Dir. Civ., 2015, n. 4, p. 1173. 483 V. ad esempio l’art. 1, comma 121, l. 281/2015, oggi trasfuso nell’art. 12 l. 81/2017, a mente
del quale «ai fini dell'accesso ai piani operativi regionali e nazionali a valere sui fondi strutturali
europei, i soggetti di cui al presente capo sono equiparati alle piccole e medie imprese», nonché
il nuovo art. 634 c.p.c., come modificato dall’art. 15, l. 81/2017, che estende il valore di prova
scritta ai fini dell0esperibilità del procedimento monitorio le scritture contabili dei lavoratori
autonomi, accanto a quelle degli imprenditori commerciali. 484 Infra, Cap. III, Sez. I, § 5.
107
2, direttiva 2000/35/CE), così mostrando di non riuscire a «cogliere l’essenza
della distinzione tra un’attività di impresa svolta mediante un’organizzazione di
piccole dimensioni e un numero limitato di dipendenti e un’attività lavorativa
svolta in via esclusivamente o personalmente personale da una persona
fisica»485.
In una prospettiva non dissimile, d’altronde, si muovono da tempo le ricerche
di carattere sociologico, che tendono anch’esse a sovrapporre le due figure nella
prospettiva dello studio delle dinamiche occupazionali486, con un occhio di
riguardo alle potenzialità di autoimpiego di quello che è stato efficacemente
definito “capitalismo personale”487.
5.1. Lavoratore autonomo vs. piccolo imprenditore nella prospettiva del
contratto: contratto d’opera vs. appalto.
Si è già avuto modo di rilevare che mentre il codice fornisce una definizione
di lavoratore subordinato (art. 2094 c.c.) e di imprenditore (artt. 2082 e 2083
c.c.), la nozione di lavoratore autonomo viene invece desunta dal contratto
d’opera (art. 2222 c.c.), che ne rappresenta, secondo l’opinione tradizionale488,
il prototipo negoziale di riferimento, ancorché esso occupi, nella sistematica del
codice, una posizione residuale, compressa tra le figure, storicamente definite e
socialmente prevalenti, del contratto d’opera professionale (art. 2229 c.c.) e dei
singoli contratti aventi ad oggetto un facere personale per altri previsti nel Libro
quarto489.
La distinzione tra contratto d’opera e appalto (art. 1655 c.c.) rappresenta,
quindi, la linea di confine tra lo schema negoziale apprestato dal codice in favore
del prestatore d’opera e quello proprio del mondo dell’impresa, da cui è possibile
485 M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la contrattazione collettiva
relativa al lavoro autonomo all’indomani della l. n. 81 del 2017, in WP C.S.D.L.E. “Massimo
D’Antona”.IT – 358/2018, p. 17. 486 C. RANCI (a cura di), Partite Iva. Il lavoro autonomo nella crisi italiana, Il Mulino, Bologna,
2012, passim (ma spec. p. 41 ss.; 69 ss. e 103 ss.); R. SEMENZA, A. MORI, La crescita del lavoro
autonomo e le nuove sfide sociali, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve
allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 13 ss. Per l’utilizzo a fini statistici dell’ampio
contenitore denominato «occupazione indipendente» cfr. da ultimo C. DE GREGORIO ET AL.,
L’occupazione indipendente alla luce di fonti integrate: eterogeneità, dinamica e trasformazioni,
in ISTAT, Il mercato del lavoro. Verso una lettura integrata, Roma, 2017, p. 85 ss. 487 A. BONOMI, E. RULLANI, Il capitalismo personale. Vite al lavoro, Einaudi, Torino, 2005. 488 F. SANTORO PASSARELLI, voce Opera (Contratto di), in NNDI, XI, Utet, Torino, 1965, p. 985,
secondo cui tra i contratti tipici che possono avere ad oggetto un’opera «il contratto d’opera è
quello che presenta, nel suo aspetto più elementare, la caratteristica essenziale del tipo: lo
scambio tra il compimento di un opus e il corrispettivo». In tal senso anche G. GIACOBBE, voce
Lavoro autonomo, in ED, XXIII, Giuffrè, Milano, 1973, p. 430, e, successivamente, G.
GIACOBBE, D. GIACOBBE, Il lavoro autonomo, cit., p. 7. 489 Sul punto, supra, Cap. I, § 4.
108
inferire i caratteri distintivi propri delle rispettive fattispecie soggettive di
riferimento (lavoratore autonomo e imprenditore).
In tale prospettiva, classicamente, la dottrina è solita individuare nella
presenza o meno di un’organizzazione in capo al soggetto obbligato alla
prestazione il principale carattere differenziale tra i due contratti, che pure
scaturiscono entrambi dallo schema contrattuale dell’originaria locatio operis e
condividono il medesimo oggetto (compimento di un’opera o di un servizio)490:
«due tipi, quindi, che si differenziano perché una delle parti è, o non è,
organizzata ad impresa»491.
Sennonché, si è già avuto modo di rilevare come il requisito della «prevalente
personalità» della prestazione non costituisca una caratteristica richiamata in via
esclusiva dall’art. 2222 c.c., concorrendo altresì, nella sistematica del codice, a
definire e differenziare la figura del piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.) da
quella dell’imprenditore medio e medio-grande (art. 2082 c.c.), oltre che la
categoria dei collaboratori parasubordinati (art. 409 c.p.c.).
A ciò si aggiunga che il significato da attribuirsi al termine “organizzazione”
ha formato oggetto di vivace dibattitto in seno alla dottrina commercialistica,
spaccata tra due diverse opzioni interpretative. Da un lato vi era chi tendeva a
svalutare la rilevanza dell’elemento dell’organizzazione, finendo per includere
nel novero degli imprenditori anche i lavoratori autonomi privi di qualsivoglia
organizzazione esterna – in termini di capitali e di collaboratori – ritenendo
quindi sufficiente l’auto-organizzazione del prestatore d’opera ad integrare la
fattispecie di cui all’art. 2083 c.c.492, così da includervi, oltre a lustrascarpe e
facchini493, anche quegli «uomini di fatica che non andando a padrone, con
umilissima attrezzatura e con le proprie mani, per misera mercede spesso
discrezionalmente elargita dalla controparte, creano beni di poco conto e offrono
servigi non qualificati»494. Dall’altro lato, vi era chi reputava indispensabile il
superamento della soglia (qualitativa) della etero-organizzazione di fattori
490 Nel senso che l’appalto e contratto d’opera si distinguono per il fatto che nel primo
l’imprenditore svolge un’attività organizzativa dei mezzi della produzione (capitale e lavoro)
mentre nella seconda il risultato promesso è ottenuto con lavoro “prevalentemente proprio” del
debitore, M. STOLFI, voce Appalto (contratto di), in ED, Giuffré, Milano, II, 1958, p. 631; L.
RIVA-SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, cit., p. 152 s.; F. SANTORO PASSARELLI, voce Opera,
cit., p. 985; G. MINERVINI, L’imprenditore. Fattispecie e statuti, Morano, Napoli, 1966, p. 11
ss.; V. BUONOCORE, voce Imprenditore, cit., p. 516 s.; G. GIACOBBE, voce Lavoro autonomo,
cit., p. 422 s. e 424; G. OPPO, voce Impresa e imprenditore, cit., p. 1 ss.; G. SANTORO
PASSARELLI, voce Lavoro autonomo (1990), cit., p. 2 s.; P. SPADA, voce Impresa, cit., p. 32 ss.
Da ultimo, M.T. CARINCI, Il contratto d’opera, cit., p. 182 s. 491 Così G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Cedam, Padova, 1974, p. 97 s. 492 È la teoria, rimasta minoritaria, di W. BIGAVI, La piccola impresa, cit., passim ma spec. p. 7,
11, 91 ss. e 103 ss. 493 Ivi, p. 94. 494 E. ZANELLI, La nozione di oggetto sociale, Giuffrè, Milano, 1962, p. 157, secondo cui trattasi
di soggetti che rientrano nella nozione di impresa adottata dal codice civile.
109
esterni alla sfera d’azione del prestatore495, distinguendosi invece in termini
quantitativi, o di grado, il piccolo imprenditore dall’imprenditore medio e
medio-grande496.
La seconda tesi avrebbe avuto modo di prevalere nella dottrina successiva497,
e sarebbe stata sposata dalla giurisprudenza, che pure oggi ammette
pacificamente che il piccolo imprenditore possa essere parte di un contratto
d’opera – e non di appalto – ogniqualvolta l’esecuzione della prestazione
avvenga non «mediante una organizzazione di media o grande impresa cui
l’obbligato è preposto» bensì «con il prevalente lavoro di quest’ultimo, pur se
coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore,
secondo il modulo organizzativo della piccola impresa»498.
Secondo tale giurisprudenza, pertanto, «anche l’artigiano e il piccolo
imprenditore possono disporre di un minimo di organizzazione aziendale (che
può manifestarsi nel ricorso all’ausilio di terzi per attività accessorie […] o anche
nell’esecuzione della stessa con mansioni di collaborazione non qualificata),
senza che ciò faccia venir meno la determinante rilevanza della attività diretta
dell’artigiano o del piccolo imprenditore e dei famigliari all’esecuzione della
prestazione commessagli»499, secondo lo schema, dunque dell’art. 2222 c.c.
Se, però, «la disciplina (contrattuale) del lavoro autonomo [è] del tutto
compatibile con lo status di piccolo imprenditore»500, ciò significa che gli artt.
2222 c.c. e art. 2083 c.c. non definiscono secondo la logica del continuum due
495 In tal senso, già prima della codificazione, A. ROCCO, Principi di diritto commerciale. Parte
generale, Utet, Torino, 1928, p. 195 s., secondo cui «elemento costitutivo dell’impresa, nel senso
del codice, è il fatto della organizzazione del lavoro altrui». In seguito, oltre agli autori già citati
supra, nt. 450, v. M. CASANOVA, Impresa e azienda, in F. VASSALLI (diretto da), Trattato di
diritto civile italiano, X, Utet, Torino, 1974, p. 27, ove si rileva che quello di «attività auto-
organizzata è un concetto di per sé contraddittorio ed inaccettabile»; G.F. CAMPOBASSO, La
ricodificazione del piccolo imprenditore, in Riv. dir. civ., 1992, I, p. 348, che fa leva sulla
«comune valutazione sociale che rifiuta di fare un unico fascio di lustrascarpe e imprenditori». 496 G. SANTORO PASSARELLI, voce Lavoro autonomo (1990), cit., p. 2; 497 Lo rileva, da ultimo, O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente
personale, cit., p. 22. In senso contrario rispetto alla possibilità di svalutare l’elemento della
etero-organizzazione ai fini della qualificazione del (piccolo) imprenditore come figura diversa
dal lavoratore autonomo cfr., in particolare, A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 29, secondo
cui ragionando in termini di mera auto-organizzazione, si finirebbe per rinvenire un
“imprenditore” tanto nel facchino della stazione, quanto, aggiunge l’A., nel pony express,
quanto, si potrebbe aggiungere oggi, nel rider di Foodora o nel driver di Uber. 498 Così da ultimo Cass., sez. II, 4 aprile 2017, n. 8700, in DeJure. Nello stesso senso, inter alia,
Cass., sez. II, 7 maggio 2014, n. 9897, ivi; Cass., sez. II, 2 settembre 2010, n. 10914, in D&L,
2010, n. 4, p. 1131, con nota di F. CAPURRO, Ancora sulla qualificazione del contratto d’appalto;
Cass., sez. II, 21 maggio 2010, n. 12519, in GCM, 2010, n. 5, p. 794; Cass., sez. II, 29 dicembre
2008, n. 30407, in GDir. 2009, n. 15, p. 57. 499 In termini, Cass., sez. II, 29 dicembre 2008, n. 30407, cit.; Trib. Parma 20 gennaio 2011, n.
58, in DeJure. 500 A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 48; O. RAZZOLINI, Piccolo imprenditore e lavoro
prevalentemente personale, cit., p. spec. 32 ss.
110
figure non sovrapponibili501, sicché la prospettiva del contratto non pare idonea
a individuare una solida linea di demarcazione.
Allo stesso tempo, tuttavia, non solo «la realtà economico-produttiva, così
come esigenze tipicamente giuridiche, sconsigliano […] di eliminare la
scansione tipologica impresa/piccola impresa/lavoro autonomo»502, ma è oggi
soprattutto l’inequivoco tenore dello Statuto del lavoro autonomo che impone di
individuare una nozione di lavoro autonomo «non imprenditoriale» che non
comprenda i piccoli imprenditori, espressamente esclusi dall’ambito di
applicazione della legge (art. 1, comma 2, l. 81/2017).
5.2. Lavoratore autonomo vs. piccolo imprenditore nella prospettiva
dell’organizzazione. La strumentalità dell’organizzazione al lavoro
personale come criterio di individuazione del lavoro autonomo «non
imprenditoriale»
Se ai fini della distinzione tra lavoro autonomo «non imprenditoriale» e
piccola impresa non sono sufficienti i criteri individuati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza per distinguere tra contratto d’opera e appalto, i quali si fondano
sul criterio quantitativo delle dimensioni della struttura organizzativa coinvolta
nell’adempimento dell’obbligazione, pare necessario esaminare la possibilità di
individuare una distinzione valorizzando il dato dell’organizzazione in termini
qualitativi.
Si tratta quindi di capire la soglia oltre la quale l’insieme dei mezzi adoperati
dal prestatore d’opera possa costituire una (per quanto “piccola”) organizzazione
d’impresa, ovvero, volendo aderire alla tesi che esclude la possibilità di
configurare un imprenditore nel soggetto che si limita ad auto-organizzare la
propria attività, le caratteristiche che consentono di distinguere tale auto-
organizzazione dall’etero-organizzazione dell’imprenditore non soltanto sul
piano quantitativo ma anche qualitativo503.
Occorre, in altri termini, capire la linea di confine tra lavoro autonomo
personale (per alcuni esclusivamente tale504), cui apporre l’etichetta di lavoro
autonomo «non imprenditoriale», e lavoro prevalentemente personale che – pur
compatibile con gli schemi contrattuali del lavoro autonomo (art. 2222 c.c.,
501 Come rilevato da EAD., Perché avviare una riflessione su piccolo imprenditore, cit., p. 1081
s. 502 Ancora A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit. p. 39. 503 G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 373, secondo cui
nell’attuale realtà economico-sociale «esistono una miriade di lavoratori autonomi muniti di una
micro-organizzazione che li distingue non soltanto sul piano quantitativo ma anche qualitativo
da quella dei piccoli imprenditori». 504 È questa la prospettiva adottata da O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro
esclusivamente personale, cit., spec. p. 22 ss.
111
singoli tipi del Libro IV, contratti atipici) e finanche ammesso alle tutele del
lavoro «parasubordinato» – può identificarsi con il lavoro del piccolo
imprenditore.
In tale prospettiva, è stato osservato505 che mentre l’imprenditore, ancorché
piccolo, è comunque titolare di un’azienda, intesa come complesso di beni
organizzati per l’esercizio di un’attività economica (art. 2555 c.c.), il lavoratore
autonomo dispone solo di strumenti, i quali sono peraltro relativamente
impignorabili, ai sensi dell’art. 515, comma 3, c.p.c.506, ma – non a caso – solo
qualora «nelle attività del debitore [non] risulta una prevalenza del capitale
investito sul lavoro»507.
Pare dunque possibile fare riferimento alla diade oppositiva tra «strumenti di
lavoro» e «fattori della produzione» per distinguere i beni strumentali di cui può
servirsi chi pure presta la propria attività in maniera esclusivamente personale e
quelli che invece vanno a costituire un’organizzazione, per quanto piccola, di
fattori esterni al lavoro del soggetto obbligato, e per tracciare di conseguenza
una linea di distinzione tra la fattispecie del lavoro autonomo «non
imprenditoriale» e quella della piccola impresa.
In questo senso, pare condivisibile la tesi di chi ha sostenuto che
l’organizzazione del lavoro autonomo (rectius, l’insieme degli strumenti che gli
consentono di auto-organizzare la propria attività) «si distingue da quella del
piccolo imprenditore perché non è idonea a configurare una produttività
eccedente il lavoro individuale»508.
505 Così già M. GHIDINI, Disciplina giuridica dell’impresa, Giuffrè, Milano, 1950, p. 142 ss.,
richiamato in senso adesivo da A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 39, nt. 116. 506 Il quale si riferisce annovera tra i beni relativamente impignorabili «gli strumenti, gli oggetti
e i libri indispensabili per l'esercizio della professione, dell'arte o del mestiere del debitore». Fino
alle modifiche introdotte dalla l. 24 febbraio 2006, n.52, detti beni erano invece assolutamente
impignorabili ai sensi dell’art. 514, n. 3, c.p.c. 507 La precisazione, aggiunta dalla riforma del 2006, comporta che del beneficio potranno valersi
anche i piccoli imprenditori. Con ciò tuttavia non pare che perda di rilevanza sistematica la
distinzione tra azienda e strumenti di lavoro, posto che la relativa impignorabilità riguarda
comunque solo gli strumenti e gli oggetti indispensabili per l’esercizio della professione,
dell’arte o del mestiere del piccolo imprenditore ma non gli altri beni strumentali che
costituiscono la sua azienda. 508 Così G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 374, il quale
fa riferimento alla cassetta degli attrezzi alla cinghia del facchino di bigiaviana memoria, nonché,
attualizzando, al personal computer, aggiungendo che «il giudice quando si trova di fronte ad
un’organizzazione che presenta una propria autonomia (fondo agricolo coltivato con l’aiuto dei
familiari o dei braccianti, negozio con suppellettili, bottega con macchinari e apprendisti o
familiari) dovrebbe escludere l’applicazione delle tutele del lavoro autonomo. Viceversa
dovrebbe applicarla quando l’organizzazione sia costituita dalla cassetta degli attrezzi
dell’idraulico o dell’elettricista o del sarto che sia pure con l’aiuto dell’apprendista svolge la sua
attività professionale presso il domicilio del cliente».
112
Gli strumenti di lavoro del lavoratore autonomo sono «mezzi materiali
inespressivi»509, in quanto, per utilizzare la formulazione propria dei progetti per
un nuovo codice di commercio susseguitisi negli anni ’20 del secolo scorso, non
consentono al titolare di «superare i limiti del mestiere»510, essendo privi di «una
capacità propria di svolgere un compito diverso e distinto da quello svolto
personalmente dall’imprenditore, così da implicare una distribuzione di compiti
(nel che sta l’organizzazione)»511.
Nel lavoro autonomo, dunque, l’organizzazione si pone in rapporto di
strumentalità e sotto-ordinazione al lavoro personale del prestatore512, il quale
in fondo altro non organizza che non la propria prestazione, gestendo
essenzialmente sé stesso513, laddove il piccolo imprenditore è pur sempre titolare
di un’organizzazione economica che impiega fattori esterni, ancorché la propria
attività organizzativa non si rivolga esclusivamente al coordinamento dei fattori
della produzione, bensì prevalentemente al proprio lavoro personale, rispetto al
quale si pone in rapporto di complementarietà514.
In tal senso si pone anche la giurisprudenza costituzionale, che non ha
mancato di sottolineare come, contrariamente a quella dei piccoli imprenditori
«l’attività svolta dai lavoratori autonomi […] si caratterizza per la preminenza
dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Tale
marginalità assume poi differenti gradazioni a seconda della tipologia di
lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assenza nei casi in cui è più accentuata
la natura intellettuale dell’attività svolta»515.
5.3. Una duplice nozione di lavoro esclusivamente personale?
È dunque nella strumentalità (o marginalità) dell’apparato organizzativo del
lavoratore autonomo – e non già nella sua inesistenza – che può ravvisarsi la
differenza, di carattere qualitativo, rispetto all’organizzazione imprenditoriale
509 A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 41. 510 Cfr. il progetto Vivante del 1922 e il progetto D’Amelio del 1925. 511 M. GHIDINI, Disciplina giuridica dell’impresa, cit., p. 144. 512 A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 40. 513 G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 375. 514 L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo, cit., p. 153. In questo senso pare condivisibile
la notazione di A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 30, secondo cui «la contrapposizione tra
art. 2082 c.c. e art. 2083 c.c. non è meramente quantitativa». 515 Così Corte cost. 6 ottobre 2014, n. 228, tra l’altro in Riv. dir. trib., 2014, n. 6, II, p. 250, con
nota di E. ARTUSO, Finalmente dichiarata incostituzionale la presunzione “prelevamento =
compenso” per i professionisti: prime osservazioni a caldo, la quale ha ritenuto illegittima
l’estensione ai lavoratori autonomi di alcune presunzioni in materia fiscale operanti per le
imprese, sulla base del rilievo che «anche se le figure dell’imprenditore e del lavoratore
autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario, esistono
specificità di quest’ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l’omogeneità di
trattamento».
113
del piccolo imprenditore, la quale è invece complementare all’attività, pur
sempre prevalentemente personale, di quest’ultimo.
In questo senso, pare doversi accogliere con alcune riserve la tesi di chi ha
individuato la caratteristica essenziale del lavoro autonomo «non
imprenditoriale» nell’esclusiva personalità del lavoro prestato, come tale
contrapposta alla prevalente personalità che, se pure consente l’accesso allo
schema contrattuale del contratto d’opera, fa sorgere un piccolo imprenditore,
come tale escluso dall’ambito di applicazione delle nuove tutele statutarie516.
Tale conclusione, seppur condivisibile, richiede – ad avviso di chi scrive –
di essere precisata, posto che la natura «esclusivamente personale» della
prestazione costituisce per espressa disposizione di legge uno degli elementi
costitutivi della fattispecie della collaborazione etero-organizzata prevista
dall’art. 2, d.lgs. 81/2015517, su cui si ha già avuto occasione di soffermarsi518.
Si tratta infatti di chiedersi se, una volta elevata la diade oppositiva lavoro
«esclusivamente personale» vs. lavoro «prevalentemente personale» a criterio di
distinzione tra lavoro autonomo «non imprenditoriale» e prestazione d’opera del
piccolo imprenditore, si debba ritenere anche che sussista una perfetta
coincidenza tra la nozione di «esclusiva personalità» propria delle collaborazioni
etero-organizzate e quella di «non imprenditorialità» propria del lavoro
autonomo disciplinato dal nuovo Statuto, con la rilevante conseguenza di
escludere dall’ambito di applicazione di quest’ultimo tutti quei lavoratori
autonomi che si avvalgano parzialmente dell’opera di collaboratori (si pensi agli
addetti alla segreteria di uno studio professionale, agli eventuali collaboratori,
professionisti o praticanti, che coadiuvano un professionista).
Ad avviso di chi scrive, la risposta deve essere negativa. L’esclusiva
personalità cui fa riferimento l’art. 2, d.lgs. 81/2015 esige che il prestatore svolga
la prestazione valendosi esclusivamente delle proprie energie e delle proprie
competenze, senza poter ricorrere al supporto, nemmeno occasionale, di altri
collaboratori. Tale conclusione appare necessitata non solo se ci si muove nella
prospettiva secondo cui il collaboratore etero-organizzato, a ben vedere, è un
lavoratore subordinato a tutti gli effetti519. Anche se si ammette la natura
tipologicamente autonoma della collaborazione, l’integrale – o pressoché
516 Si è già avuto modo di precisare che si tratta della tesi di O. RAZZOLINI, Jobs Act degli
autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p. 22 ss, secondo cui «deve ritenersi prestatore
d’opera (lavoratore autonomo), ma non anche piccolo imprenditore, colui che svolga un’opera o
un servizio nell’altrui interesse senza avvalersi di alcuna forma di organizzazione ma
esclusivamente del proprio lavoro» (p. 24). 517 Lo rileva G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 373, nt.
11, secondo cui tuttavia il riferimento all’esclusiva personalità nell’art. 2, d.lgs. 81/2015, assolve
«altre finalità». 518 Supra, § 3 ss. 519 È la prospettiva che si è ritenuto di abbracciare supra, § 3.4.
114
integrale – applicazione della disciplina del lavoro subordinato stride
inevitabilmente con la circostanza che il collaboratore possa essere a sua volta
coadiuvato nell’adempimento della prestazione da propri collaboratori.
La nozione di «esclusiva personalità» cui fa riferimento l’art. 2, d.lgs.
81/2015, dunque, a prescindere dalla lettura sistematica che si voglia dare della
disposizione, deve essere intesa nel senso che il collaboratore etero-organizzato
non può valersi della collaborazione di altri soggetti, neppure in via strumentale
od occasionale.
Il lavoratore autonomo, al contrario, potrà essere coadiuvato nel compimento
dell’opera o del servizio da collaboratori, senza che ciò faccia venire meno la
natura «non imprenditoriale» della prestazione – o, se si preferisce,
«esclusivamente personale», ma in un’accezione diversa da quella cui fa
riferimento l’art. 2, d.lgs. 81/2015 –, purché l’apporto dei collaboratori non
configuri una produttività eccedente il lavoro individuale del prestatore520, nei
termini cioè di strumentalità (e non già di complementarietà) del lavoro altrui
rispetto al lavoro del professionista, che si sono già in parte precisati e su cui ci
si soffermerà nel paragrafo seguente.
5.4. Il lavoro autonomo «non imprenditoriale» ammette un (limitato e
strumentale) ricorso al lavoro altrui
Per sostenere la tesi secondo cui il lavoro autonomo «non imprenditoriale»
ammette la sussistenza di un’organizzazione, anche del lavoro altrui, sia pure
entro alcuni limiti, pare possibile fare riferimento ai criteri elaborati dalla
giurisprudenza e dalla prassi tributaria in materia di assoggettabilità all’Irap dei
redditi da lavoro autonomo. In tal senso, peraltro, si è posta anche quella
giurisprudenza richiamata da chi ha suggerito di interpretare la nozione di «non
imprenditorialità» come «esclusiva personalità» del lavoro521, ancorché con esiti
diversi da quelli che si raggiungeranno all’esito di questo paragrafo.
Secondo un orientamento precedente della giurisprudenza tributaria, il
presupposto per l'applicazione dell’Irap, che la legge individua nell’«esercizio
abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo
520 In questo senso parrebbe porsi G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non
imprenditoriale, cit., p. 374 s., secondo cui lo Statuto del lavoro autonomo deve trovare
applicazione «quando l’organizzazione sia costituita dalla cassetta degli attrezzi […] del sarto
che sia pure con l’aiuto di un apprendista svolge la sua attività professionale presso il domicilio
del cliente» e «non è un piccolo imprenditore l’idraulico che, munito di cassetta degli attrezzi, si
reca presso i clienti che lo contattano direttamente al cellulare accompagnato da due
collaboratori che ne coadiuvano genericamente la prestazione» (corsivi di chi scrive). 521 O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p. 25 s.
115
scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi»522, ricorre qualora il
contribuente sia il responsabile dell’organizzazione ed impieghi beni
strumentali, eccedenti per quantità o valore, il minimo generalmente ritenuto
indispensabile per l’esercizio della professione, oppure si avvalga in modo non
occasionale di lavoro altrui523.
In questa prospettiva, qualunque ricorso al lavoro altrui in modo non
occasionale, fatti salvi i rapporti con causa formativa524, farebbero sorgere una
«autonoma organizzazione», a fini tributari, e renderebbero «imprenditoriale» il
lavoro del professionista, con conseguente esclusione dal novero dei beneficiari
dello Statuto.
Sennonché, la giurisprudenza successiva, anche a Sezioni Unite, ha avuto
modo di correggere parzialmente il tiro rispetto alla rilevanza del ricorso al
lavoro altrui ai fini dell’integrazione del requisito della «autonoma
organizzazione», precisando che «lo stesso limite segnato in relazione ai beni
strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo
indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, non può
che valere, armonicamente, per il fattore lavoro, la cui soglia minimale si arresta
all'impiego di un collaboratore»525, sicché fuoriesce dall’ambito di applicazione
dell’imposta il lavoratore autonomo che affidi a eventuali collaboratori
«l’espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive,
522 Art. 2 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. Sulla legittimità costituzionale dell’applicazione
omogenea del tributo tanto agli imprenditori quanto ai professionisti muniti di un’«autonoma
organizzazione» v. Corte cost. 21 maggio 2001, n. 156, la quale precisa comunque che «è
possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o
lavoro altrui». 523 Ex multis, Cass., sez. trib., 13 ottobre 2010, n. 21122, in Riv. dir. trib., 2011, 2, II, p. 83, con
nota di F. ODOARDI, Esclusa l'Irap per i piccoli imprenditori: spunti per una nuova lettura del
presupposto impositivo; Cass., sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3676, 3677, entrambe in GCM,
2007, n. 2; Cass. sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3680, in Foro it., 2007, 3, I, c. 726, secondo cui
il requisito dell'autonoma organizzazione – «che costituisce un «quid pluris […] capace, come
lo studio o i collaboratori, di rendere più efficace o produttiva l’attività» – ricorre «quando il
contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi
inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni
strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per
l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale
di lavoro altrui». 524 Circolare Agenzia delle Entrate 13 giugno 2008, n. 45/E, la quale fa salvo solo il ricorso in
modo non occasionale al lavoro altrui in caso di «svolgimento presso il professionista di un
tirocinio, in quanto lo stesso è in sostanza funzionale alle esigenze formative del tirocinante». 525 Così Cass. Sez. Un. 10 maggio 2016, n. 9451, in Foro it. 2016, 9, I, c. 2813, con nota di A.M.
PERRINO, In tema di imposta regionale sulle attività produttive. In tal senso, successivamente,
Cass, sez. VI, 16 maggio 2018, n. 12027, in DeJure, secondo cui non rileva la circostanza che il
contribuente si avvalga di un agente o di una società organizzatrice di spettacoli; Cass., sez. VI,
19 aprile 2018, n. 9786, ivi, secondo cui non rileva la circostanza che il contribuente si era
avvalso, nell'espletamento della propria attività professionale di medico convenzionato, di una
segreteria; Comm. trib. reg. Firenze, (Toscana), sez. VII, 21 novembre 2017, n. 2438, in DeJure.
116
che rechino all'attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o,
appunto, generico».
Nello stesso senso, d’altronde, si pone anche la prassi tributaria, che
individua da tempo, quale elemento idoneo a distinguere tra redditi d’impresa e
redditi da lavoro autonomo (art. 53 TUIR), la presenza o meno di una
organizzazione idealmente capace di operare sul mercato anche senza l’apporto
del professionista526.
Mutatis mutandis, parrebbe che il nuovo corso della giurisprudenza tributaria
induca a ritenere che il lavoro autonomo «non imprenditoriale» ammette un
ricorso, anche non necessariamente occasionale, al lavoro altrui, nei già precisati
termini di strumentalità dello stesso al lavoro personale del professionista.
Ma la conclusione per cui le tutele di cui alla l. 81/2017 devono trovare
applicazione ai lavoratori autonomi che pure si valgano di collaboratori – almeno
finché il ricorso al fattore lavoro non assuma un valore tale da determinare il
passaggio allo status di piccolo imprenditore – pare obbligata anche in ragione
di almeno due ulteriori ordini di considerazioni.
In primo luogo, sono le stesse disposizioni del codice a sancire la possibilità
che il lavoratore autonomo si valga di collaboratori senza con ciò assumere
necessariamente la qualifica di imprenditore. L’art. 2238 c.c., nel prevedere (al
comma 1) che l'esercizio della professione possa costituire elemento di
un'attività organizzata in forma di impresa (nel qual caso troveranno
applicazione le disposizioni di cui agli artt. 2082 ss. c.c.), stabilisce «in ogni
caso» (e dunque anche se ciò non avvenga), se il professionista «impiega sostituti
o ausiliari», si applicano le disposizioni in materia di prestazione di lavoro
subordinato nell’impresa (comma 2).
Il codice, quindi, ammette implicitamente che il professionista possa essere
coadiuvato nella propria attività da «sostituti o ausiliari» senza che con ciò
l’esercizio della professione costituisca elemento di un’attività organizzata in
forma d’impresa527. Nell’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 2238 c.c., infatti,
l’opera del professionista è strumentale a un’organizzazione d’impresa, del quale
costituisce un elemento, mentre nell’ipotesi di cui al secondo comma
«l’organizzazione […] strumentale all’attività del professionista, non è più
impresa»528.
Sotto diverso profilo, dovrebbe essere altresì debitamente considerato che la
giurisprudenza ha in più occasioni negato ai professionisti gli sgravi e i benefici
526 Circolare Ministero delle Finanze 30 aprile 1977, n. 7/1496. Sul punto V. FICARI, art. 55, in
A. FANTOZZI (a cura di), Commentario breve alle leggi tributarie. TUIR e leggi complementari,
III, Cedam, Padova, 2010, p. 294. 527 Sul punto, G. MUSOLINO, Contratto d’opera professionale. Artt. 2229-2238, in F.D.
BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, Giuffrè, Milano, 2009, p. 579 ss. 528 G. SANTORO PASSARELLI, voce Lavoro autonomo (1990), cit., p. 17.
117
legati a nuove assunzioni, sulla base del rilievo che «la nozione di imprenditore
portata dall'art. 2082 c.c. non comprende il libero professionista, in ragione
dell'assenza, nell’attività da lui svolta, della necessaria componente
organizzativa di un apparato stabile e complesso, formato da beni strumentali e
lavoratori»529. Secondo tale orientamento, gli sgravi contributivi e i benefici
pubblici in genere potranno riconoscersi al professionista «solo ove questi abbia
organizzato la propria attività in modo tale che l'entità dei mezzi impiegati
sovrasti l'apporto consistente nell'attività propria del professionista»530, e dunque
solo quando il sostrato organizzativo cessa di essere meramente strumentale e
non è più circoscritto alle prestazioni d'opera intellettuale, ma richiede una
prevalente azione di organizzazione, ossia di coordinamento e di controllo dei
fattori produttivi, che si affianca all'attività professionale531.
Che il professionista sia contemporaneamente un lavoratore autonomo
quando si tratta di vedersi negati i benefici alle assunzioni, e un imprenditore
quando si tratti di vedersi negate le tutele statutarie, pare non solo un
cortocircuito normativo, ma cozzerebbe altresì con un elementare senso di
giustizia, ancorché sia risalente la tendenza a ricondurre i lavoratori autonomi
alla categoria con meno incentivi e più oneri, nell’ambito delle specifiche
discipline di settore di volta in volta applicabili532. Senza contare che una tale
lettura restrittiva deprimerebbe altresì la capacità del mondo del lavoro
autonomo di essere a sua volta un volano per la stessa occupazione
dipendente533.
529 Cass. 26 giugno 2013, n. 16092, in D&G, 27 giugno 2013, con nota di M. SCOFFERI,
L'avvocato, ancorché strutturato, non è mai imprenditore. In tal senso, inter alia, Cass. sez. trib.,
22 luglio 2004, n. 13677, in DeJure; Cass. 6 agosto 2013, n. 18710, in DeJure. 530 Così Cass., 6 agosto 2013, n. 18710, cit. 531 In tal senso, da ultimo, Cass. 14 marzo 2018, n. 6324, in DeJure; Cons. St., sez. V, 27 gennaio
2016, n. 258, in Foro it., 2016, n. 9, III, c. 457, che ha ritenuto che «lo studio legale organizzato
in forma di associazione di esercenti una professione intellettuale, ove consti dalla mera
sommatoria delle prestazioni professionali dei singoli avvocati, non può essere assimilato a una
piccola impresa e, pertanto, non può essere ammesso a fruire di contributi erogati in virtù di un
bando regionale che esclude esplicitamente le attività dei professionisti». L’orientamento,
benché consolidato (a partire da Cass., sez. I, 28 aprile 1982, n. 2645, in GCM, 1982, n. 4), oggi
si scontra parzialmente con l’espressa previsione di cui all’art. 12, l. 81/2017, che equipara i
lavoratori autonomi alle piccole e medie imprese ai fini dell'accesso ai bandi per l’utilizzo di
fondi strutturali europei (infra, Cap. III, sez. II, § 4.2). 532 Che i freelance fossero ritenuti imprese dal fisco e lavoratori dall’INPS, con il conseguente
salasso sotto entrambi i versanti, anche in assenza di effettiva percezione di reddito, ha costituito
oggetto di ripetuta denuncia da parte delle associazioni di categoria (v. ad es. ACTA, Lettera
aperta al Governo, in actainrete.it, 29 novembre 2011). 533 Ricorda infatti C. RANCI, Il lavoro indipendente nella struttura sociale ed economica del
nostro paese, in ID. (a cura di), Partite Iva, cit., p. 43, che «il ruolo del lavoro indipendente non
può essere apprezzato sino in fondo senza considerare che la sua attività fornisce occupazione a
una parte molto rilevante del lavoro dipendente».
118
Né varrebbe obiettare che la menzionata impossibilità di diventare impresa
sia pure in presenza di dipendenti è stata affermata dalla giurisprudenza in
riferimento alle sole professioni ordinistiche. Infatti, fermo restando che la legge
può prevedere che una determinata professione non possa essere esercitata in
forma d’impresa – come è stato, a lungo, per una serie di professioni in diversi
settori534, secondo una linea di tendenza oggi decisamente superata dal
legislatore535 – rappresenterebbe una palese violazione del principio di
eguaglianza sostenere che, a parità di modello organizzativo (torniamo
all’esempio del piccolo studio professionale con segreteria e un collaboratore),
chi esercita una professione regolamentata si veda applicare le nuove tutele
statutarie e chi invece esercita una professione non regolamentata ne sia escluso.
Si tratterebbe anzi di una violazione del canone della ragionevolezza, posto che
è proprio dal mondo del lavoro autonomo non ordinista che hanno preso le mosse
le sollecitazioni che hanno condotto all’introduzione dello Statuto del lavoro
autonomo536.
Non a caso, come si avrà modo di apprezzare nel prosieguo, l’equiparazione
tra lavoro autonomo e impresa, recisamente negata dalla disposizione
introduttiva dello Statuto, viene poi in parte recuperata in altre previsioni, sulla
base di un approccio di tipo essenzialmente funzionale537.
Ma a ben vedere vi è un’altra ragione, di carattere sistematico, che induce a
leggere la nozione di «non imprenditorialità» necessaria per l’accesso alle tutele
statutarie in senso più ampio rispetto alla nozione di «esclusiva personalità»
abbracciata dall’art. 2, d.lgs. 81/2015.
È infatti considerazione diffusa in dottrina, la quale pure mostra diversità di
vedute quanto all’opportunità dell’opzione legislativa, che nella dialettica tra
534 Si ricorda che l’art. 2, l. 23 novembre 1939, n. 1815, a mente del quale, fuori delle forme dello
studio associato, era vietato «costituire, esercire o dirigere […] società, istituti, uffici, agenzie
od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi,
prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa,
contabile o tributaria», è stato abrogato dall’art. 24 della l. 7 agosto 1997, n. 266. 535 Da ultimo, l’art. 4bis, l. 247/2012 (legge professionale forense), inserito dalla l. 124/2017 e
modificato dalla l. 205/2017, prevede che la professione forense possa essere esercitata in forma
societaria, con una limitata apertura anche all’ingresso di soci di capitali, senza peraltro neppure
riprodurre le precisazioni già contenute nell’art. 5 (per cui i redditi prodotti devono considerarsi
di lavoro autonomo e che l’esercizio della professione societaria «non costituisce attività
d’impresa»), secondo una linea di sviluppo che aveva già interessato le altre professioni a partire
dalla l. 183/2011 (art. 10, commi 3-11). Sul punto P. MONTALENTI, Società tra professionisti,
società tra avvocati, associazioni professionali: la montagna e il topolino, in Giur. comm., 2014,
I, p. 268 ss. 536 Ricorda O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p.
24, il ruolo di advocacy svolto dall’associazione Acta nell’iter di approvazione della l. 81/2017. 537 Emblematico l’art. 12, l. 81/2017, che ribadisce che ai fini dell'accesso ai fondi strutturali
europei, «i soggetti di cui al presente capo sono equiparati alle piccole e medie imprese» (infra,
Cap. III, Sez. II, § 4.2).
119
universalità e selettività delle tutele538 il legislatore statuario abbia effettuato una
precisa scelta in favore della prima opzione, emanando un provvedimento che
ha il suo principale punto di forza (e, specularmente, di debolezza)539 nella
propria ambizione generalista540.
Se così è, come davvero non pare potersi dubitare, risulta difficile sostenere
che l’ambito di applicazione dello Statuto (vale a dire, il lavoro autonomo «non
imprenditoriale») possa essere addirittura più ristretto di quello della disciplina
del lavoro coordinato e continuativo, che come si è visto si caratterizza per la
prevalente (e non già esclusiva) personalità della prestazione.
D’altronde, nei sistemi in cui la regolazione del lavoro autonomo è affidata
a un sistema di centri concentrici, come nel caso dell’Estatuto spagnolo, il
cerchio più esteso comprende fattispecie di lavoro autonomo che ammettono
esplicitamente che il professionista possa avvalersi di lavoro altrui senza con ciò
perdere l’accesso alle tutele «comuni» a tutte le forme di lavoro autonomo541.
In conclusione, l’esclusione dei piccoli imprenditori, che ben si spiega con
la diversa posizione di forza di una categoria storicamente capace di sviluppare
centri di rappresentanza e di pressione politica542, non vale a sottrarre dal novero
538 G. DAVIDOV, The Goals of Regulating Work: Between Universalism and Selectivity, in
University of Toronto Law Journal, 2014, n. 64, p. 1 ss., e, successivamente, ID., A Purposive
Approach To Labour Law, Oxford University Press, Oxford, 2016. 539 S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 474, parlando di «un quadro regolativo
a vocazione generalista», rileva che l’opzione generalista «comporta vantaggi e svantaggi. I
primi […] vanno riconosciuti nell’attitudine del provvedimento a soddisfare l’esigenza, da tempo
avvertita, di delineare un quadro normativo minimo comune a tutto il variegatissimo universo
del lavoro autonomo. I secondi si annidano nella possibile sfasatura tra il raggio universalistico
di applicazione delle norme e le assai differenziate esigenze di tutela che le diverse categorie di
lavoratori autonomi possono esprimere» (p. 483). 540 Nel senso della natura universalistica, o generalista, delle nuove tutele anche A. PERULLI, Il
Jobs Act del lavoro autonomo e agile, cit., p. 11, che pure ravvisa un «errore metodologico»
nella mancata selettività di alcune di esse; ID., Il lungo viaggio del lavoro autonomo dal diritto
dei contratti al diritto del lavoro, e ritorno, cit., p. 251; F. MARTELLONI, I rimedi nel “nuovo”
lavoro autonomo, cit., p. 520; G. ZILIO GRANDI, M. BIASI, Introduzione: la “coda” del Jobs Act
o la “testa” del nuovo diritto del lavoro?, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario
Breve allo Statuto del Lavoro Autonomo e del Lavoro Agile, cit., p. 6; L. FIORILLO, Un diritto
del lavoro per il lavoro che cambia, cit. p. 8 ss. 541 L’art. 1 dell’Estatuto individua l’ambito di applicazione del régimen profesional común del
trabajador autónomo in tutti i lavoratori autonomi – «den o no ocupación a trabajadores por
cuenta ajena» – mentre il requisito di «no tener a su cargo trabajadores por cuenta ajena» è
necessario per accedere alle protezioni aggiuntive riservate ai trabajadores autónomos
económicamente dependientes (cfr. J.A. SAGARDOY BENGOCHEA, J.L. GIL Y GIL, Supuestos
incluidos, en A.V. SEMPERE NAVARRO, J.A. SAGARDOY BENGOCHEA (Dirs.), Comentarios al
Estatuto del Trabajo Autónomo, cit., p. 17 ss.; J.R. MERCADER UGUINA, Los derechos basicos
régimen profesional comun del trabajador autónomo, en J.L. MONEREO PÉREZ, F. VILA TIERNO
(Dirs.), El trabajo autónomo en el marco del Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social,
Comares, Granada, 2017, p. 281 ss.). 542 Lo rileva O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale, cit., p.
25.
120
dei beneficiari delle tutele statutarie i lavoratori autonomi che si avvalgono di
lavoro altrui, nella misura in cui esso resti strumentale all’attività del prestatore,
e non consenta dunque di conseguire una produttività che ecceda il lavoro
personale di quest’ultimo – che potrà comunque definirsi, in questo senso,
esclusivamente personale – che si iscrive nel firmamento dell’art. 35 Cost., più
che in quello dell’art. 41 Cost.543
543 Secondo la prospettiva di G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale,
cit., p. 376, il quale, nel quadro della «crisi della fattispecie» come presupposto per l’applicazione
di una determinata disciplina, suggerisce di fare riferimento alla ricorrenza dei valori
costituzionali incarnati, rispettivamente, negli artt. 35 e 41 Cost.
121
CAPITOLO III
LA TUTELA DEL LAVORO AUTONOMO
«NON IMPRENDITORIALE»
SOMMARIO: i. Premessa. Dalla disciplina codicistica dei contratti d’opera alla tutela
«statutaria» dei rapporti di lavoro autonomo. – ii. Opzione metodologica: un esame
per nuclei tematici delle “nuove” tutele per il “nuovo” lavoro autonomo. – SEZIONE I.
Le tutele nel rapporto. – SEZIONE II. Le tutele fuori dal rapporto. – SEZIONE III. Le
tutele collettive.
i. Premessa. Dalla disciplina codicistica dei contratti d’opera alla tutela
«statutaria» dei rapporti di lavoro autonomo
Con l’introduzione dello Statuto del lavoro autonomo (l. 22 maggio 2017, n.
81) si arricchisce l’insieme delle fonti che disciplinano le «esperienze»544 del
lavoro autonomo.
Alla scarna545 disciplina codicistica dei tipi legali nei quali si deduce la
prestazione di un’attività lavorativa personale «senza vincolo di subordinazione»
(artt. 2222 ss. e 2229 ss. c.c., oltre alle singole discipline previste nel libro IV),
risalente al 1942 e da allora pressoché mai oggetto di intervento del legislatore,
e alle poche previsioni relative al lavoro «parasubordinato» (art. 409, n. 3, c.p.c.,
e norme che vi fanno esplicito o implicito riferimento, anche a fini previdenziali,
assicurativi e fiscali), oggi orfano della disciplina del lavoro a progetto, si
affianca un nuovo e sfaccettato corpus normativo dall’ambizioso respiro
statutario.
L’utilizzo del termine «Statuto», con il quale si è da subito designato il
disegno di legge all’inizio dell’iter parlamentare che portato all’approvazione
della l. 81/2017, è evidentemente oltremodo evocativo.
Già di per sé il termine richiama, in ogni branca del diritto – benché le radici
risalgano al diritto pubblico – un provvedimento particolarmente significativo,
544 A. PERULLI, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera e professioni intellettuali, Giuffrè,
Milano, 1996, p. 3, che così definisce in prima battuta il concetto di «lavoro autonomo»,
ravvisata l’inesistenza di una precisa nozione legale, ricavabile solo a contrario dalla fattispecie
del lavoro subordinato e, deduttivamente, dai tipi legali del contratto d’opera (art. 2222 c.c.) e
del contratto d’opera intellettuale (art. 2229 c.c.). 545 Così, in riferimento ai sette articoli del codice civile dedicati alla disciplina del contratto
d’opera, U. ROMAGNOLI, Arriva un bastimento carico di «A.», in M. D’ANTONA (a cura di),
Politiche di flessibilità e mutamenti del diritto del lavoro: Italia e Spagna, Esi, Napoli, 1990, p.
36, nonché, da ultimo, M.T. CARINCI, Il contratto d’opera, in G. GITTI, M. MAUGERI, M. NOTARI
(a cura di), I contratti per l’impresa, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 176.
122
destinato a fungere in qualche misura da «carta fondamentale» per lo sviluppo
di una determinata disciplina, in quanto «atto formale e solenne, nel quale sono
espressi i principi fondamentali»546. Nel diritto del lavoro poi, il termine
acquisisce una pregnanza ulteriore, se è vero che la disciplina ha raggiunto la
propria maturità, se non addirittura l’apice della propria parabola, con la l.
300/1970547.
Se il termine è dunque indicativo delle ambizioni coltivate dal legislatore,
esso è parso ad alcuni ridondante548, non tanto per la ridotta consistenza della
legge – appena 15 articoli destinati al lavoro autonomo – quanto per la sua
disorganicità.
La novella, infatti, interviene con misure specifiche in ambiti diversi (quello
contrattuale, quello previdenziale, quello fiscale…), senza però una vera e
propria linea di continuità sistemica – se non quella, salutata con favore da parte
della dottrina549, nonché dai diretti interessati550, rappresentata
dall’impostazione «che segna e riflette un cambio culturale»551 nell’approccio
regolativo al lavoro autonomo – e oblitera completamente alcuni profili di
546 E. BESTA, G. ZANOBINI, voce Statuto, in Enciclopedia italiana, Treccani, Roma, 1936,
XXXII, p. 632. 547 Per tutti, M. NAPOLI, Lo Statuto dei lavoratori ha quarant’anni, ben portati, in LD, 2010, n.
1, p. 123 ss. 548 S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo: commento al capo I della legge n. 81/2017, in
DLRI, 2017, n. 3, p. 472, p. 491, il quale osserva che «la nuova legge non delinea […] una
disciplina organica del lavoro autonomo e quindi una sorta di statuto protettivo fondamentale».
Nello stesso senso L. CASANO, Il lavoro (autonomo) tra vecchie tutele e promozione della
professionalità: i limiti della legge n. 81/2017 e l'attualità della legge n. 4/2013, in DRI, 2018,
n. 2, p. 433. 549 M. CALDERONE, Il lavoro autonomo ritrova la sua dignità, in M. LONGONI (a cura di), Il Jobs
Act del lavoro autonomo. Guida giuridica Italia oggi, 17 maggio 2017; S. GIUBBONI, Il Jobs act
del lavoro autonomo, cit., p. 474; ID., Prime osservazioni sul disegno di legge del Governo in
materia di lavoro autonomo non imprenditoriale, in MGL, 2016, n. 4, p. 245 e 250; A. PERULLI,
Il Jobs Act degli autonomi: nuove (e vecchie) tutele per il lavoro autonomo non imprenditoriale,
in RIDL, 2017, I, p. 178; O. RAZZOLINI, Il ddl sul lavoro autonomo: dalla tutela della dipendenza
alla tutela della persona, in nelmerito.com, 6 maggio 2016. 550 A. SORU, Statuto del lavoro autonomo. Il punto di vista di ACTA, associazione dei freelance,
in A. PERULLI (a cura di), Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, Wolters Kluwer-
Cedam, Milano, 2018, p. 159 ss. 551 Così la presidente dell’associazione dei freelance Acta, che si era fatta promotrice
dell’iniziativa legislativa (A. SORU, Lo Statuto del lavoro autonomo è legge!, in actainrete.it, 10
maggio 2017), secondo cui il provvedimento «non è, e non potrebbe essere, risolutivo di tutti i
nostri problemi, ma è un passaggio rilevante. Lo Statuto riconosce che anche i freelance sono
lavoratori e di conseguenza attribuisce loro (alcuni) diritti e tutele».
123
notevole rilevanza, come il nodo dell’equo compenso552 e quello dei margini di
agibilità sindacale dei lavoratori autonomi553.
Si è già avuto modo di vedere554, peraltro, come la prospettiva di apprestare
in favore del lavoro autonomo uno «Statuto», nel segno del superamento della
logica di esclusiva repressione del falso lavoro autonomo555, fosse risalente556,
sicché non sorprende la scelta della comunità degli operatori di designare in tal
modo il primo provvedimento che, sia pure timidamente, raccoglie e realizza
istanze da tempo presenti nella comunità giuslavoristica e nel variegato mondo
dei lavoratori autonomi557.
Tanto premesso quanto alla terminologia impiegata per indicare la l.
81/2017, deve essere precisato, a costo di apparire scontati, che lo Statuto del
lavoro autonomo non rappresenta affatto una fonte normativa che mira a regolare
in via esclusiva il lavoro autonomo, limitandosi piuttosto a introdurre alcune
previsioni aggiuntive e integrative in materia contrattuale, welfaristica e
previdenziale che si aggiungono, senza sostituirle, alle vigenti norme in materia,
che continuano a trovare applicazione. In questo senso, può affermarsi che lo
Statuto ha una natura sussidiaria, nel senso che detta una disciplina generale
comune, dal chiaro respiro universalistico558, per la regolazione di una gamma
diversificata di fattispecie che trovano aliunde la propria disciplina di
552 Lo rilevano A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 187, che lamenta la mancata
attuazione della delega di cui all’art. 1, comma 7, lett. g), l. 183/2014, relativa all’estensione del
salario minimo legale alle collaborazioni autonome, e S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro
autonomo, cit., p. 493, che parla in proposito di una «discutibile elusione». Sul punto infra, in
questa sezione, i § 8 e ss. 553 Cfr., per il momento M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la
contrattazione collettiva relativa al lavoro autonomo all’indomani della l. n. 81 del 2017, in WP
C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 358/2018. Sul punto infra, in questo capitolo, la sezione
III, spec. § 4. 554 Supra, Cap. I, § 7 e 8. 555 G. SANTORO PASSARELLI, Falso lavoro autonomo e lavoro autonomo economicamente
debole ma genuino: due nozioni a confronto, in RIDL, 2013, I, p. 103 ss. 556 M. MAGNANI, Quale «Statuto» per il lavoro autonomo?, in DRI, 2010, n. 3, p. 597 ss.; T.
TREU, Uno Statuto per il lavoro autonomo, ivi, p. 603 ss.; A. PERULLI, Per uno statuto del lavoro
autonomo, ivi, p. 621 ss. Successivamente, ID., Un Jobs Act per il lavoro autonomo: verso una
nuova disciplina della dipendenza economica?, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT –
235/2015. 557 Si vedano, da ultimo, i punti per un “Jobs Acta” proposti da Acta: v. ACTA, I 10 punti del
Jobs Acta per i freelance, in actainrete.it, 5 ottobre 2015. 558 Il rilievo è pressoché unanime: A. PERULLI, Il Jobs Act del lavoro autonomo e agile, cit., p.
11; ID., Il lungo viaggio del lavoro autonomo dal diritto dei contratti al diritto del lavoro, e
ritorno, in LD, 2017, n. 2, p. 251; S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 474; F.
MARTELLONI, I rimedi nel “nuovo” lavoro autonomo, in LD, 2017, n. 3/4., p. 520; G. ZILIO
GRANDI, M. BIASI, Introduzione: la “coda” del Jobs Act o la “testa” del nuovo diritto del
lavoro?, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro
autonomo e del lavoro agile, Wolters Kluwer-Cedam, Milano, 2018., p. 6; L. FIORILLO, Un
diritto del lavoro per il lavoro che cambia: primi spunti di riflessione, in WP C.S.D.L.E.
“Massimo D’Antona”.IT – 368/2018, p. 8 ss.
124
riferimento. Uno schema, dunque, che richiama quello utilizzato anche
dall’Estatuto spagnolo559 – che non a caso ha funto da «punto di partenza» per
le proposte italiane dell’ultimo decennio560 – e in particolare dalla sua parte
generale (recante il Régimen profesional común del trabajador autónomo), che
la dottrina iberica aveva letto come un insieme di normas básicas su cui si
innestano, nel segno della differenziazione, ulteriori fonti di regolazione561.
Così, per quanto concerne la dimensione della tutela contrattuale, le
previsioni dello Statuto che guardano ai lavoratori autonomi come a una nuova
categoria di “contraente debole” – al pari quindi del consumatore e dell’impresa
nei rapporti B2b, al punto che nella dottrina giusprivatistica si è già parlato
dell’emersione di un “quarto contratto”562 – si affiancano alla disciplina propria
dello schema contrattuale, tipico o atipico, impiegato dai contraenti (contratto
d’opera, contratto d’opera intellettuale, singoli contratti del libro IV ove
l’obbligazione di facere venga adempiuta in modo «non imprenditoriale», nei
termini già precisati563).
Di converso, per quanto concerne la dimensione welfaristica e fiscale, le
previsioni statutarie si innestano, anche apportandovi modificazioni, alle vigenti
disposizioni legislative in materia (in primis, il Tuir e, in riferimento agli
autonomi “senza cassa”, la l. 335/1995, ancorché alcune previsioni riguardino
anche le professioni ordinistiche564), che andranno quindi messe “a sistema” con
la nuova normativa.
ii. Opzione metodologica: un esame per nuclei tematici delle “nuove”
tutele per il “nuovo” lavoro autonomo
In questo stratificato quadro normativo, non si ritiene proficuo dilungarsi in
un’esposizione particolareggiata della disciplina contenuta nelle fonti di
riferimento su cui si innestano le novità statutarie, ma si preferisce soffermarsi
su queste ultime, limitando l’esame della disciplina codicistica ai casi in cui ciò
559 Nel senso della sussidiarietà dell’Estatuto, tra gli altri, M. GODINO REYES, Fuentes del
régimen profesional, en A.V. SEMPERE NAVARRO, J.A. SAGARDOY BENGOCHEA (Dirs.),
Comentarios al Estatuto del Trabajo Autónomo, Aranzadi, Cizur Menor, 2010, p. 83 ss.; E.
DESDENTADO DAROCA, Lecciones de trabajo autónomo, Bomarzo, Albacete, 2015, p. 31, 560 Molto esplicitamente A. SORU, Statuto del lavoro autonomo. Il punto di vista di ACTA, cit.,
spec. p. 161 ss. 561 In tal senso F. VALDÉS DAL-RÉ, El marco jurídico general de la Leta, en J. CRUZ VILLALÓN,
F. VALDÉS DAL-RÉ (Dirs.), El estatuto del trabajo autónomo, Wolters Kluwer España, Las
Rozas, 2008, p. 58. 562 Così C. SCOGNAMIGLIO, Il c.d. Jobs Act dei lavoratori autonomi: verso un’ulteriore
articolazione della categoria del contratto?, in Corr. giur., 2017, n. 10, p. 1181 ss. 563 Supra, Cap. II, § 5 ss. 564 Per le quali, tuttavia, lo Statuto rinvia in gran parte alla legislazione delegata (cfr. art. 6, l.
81/2017).
125
consenta di apprezzare la portata – innovativa o meno, e in quali termini – delle
“nuove” tutele del “nuovo” lavoro autonomo.
Così, per rimanere nel campo delle tutele contrattuali, non si ritiene
necessario un esame approfondito della disciplina codicistica del contratto
d’opera, del contratto d’opera intellettuale e dei singoli tipi del libro IV del
codice, già peraltro oggetto di corpose ricostruzioni dottrinali565, anche se non ci
si potrà esimere dal prendere in considerazione le singole disposizioni del codice
rispetto alle quali lo Statuto presenta, direttamente o indirettamente, profili di
innovatività ovvero di incongruità. È il caso, ad esempio, della disciplina del
recesso, ove emerge la necessità di procedere ad una lettura della normativa
codicistica (in primis quella dettata agli artt. 2227 e 2237 c.c.) integrata con
quella statutaria (art. 3, l. 81/2017), la quale sembrerebbe a prima vista
apprestare una protezione persino inferiore alla prima566.
D’altra parte, neppure si vuole condurre la ricerca sulla falsariga di un
commentario alla nuova legge, impresa oltre che risultare pressoché impossibile
data la grande varietà di ambiti toccati (e non toccati) dallo Statuto, si rileverebbe
anche poco proficua, posto che di commentari, più o meno “brevi”, più o meno
“tecnici”, ne sono già usciti alcuni567, e altri non tarderanno ad arrivare.
La tutela del lavoro autonomo «non imprenditoriale», peraltro, coinvolge
anche profili interamente trascurati dallo Statuto, i quali sono tuttavia di
importanza cruciale – come il nodo dell’equo compenso e quello della (portata
della) libertà sindacale dei lavoratori autonomi – ovvero da esso solo
parzialmente toccati – come il profilo relativo alla tutela previdenziale dei
collaboratori iscritti alla gestione separata Inps, oggetto di una vivace evoluzione
giurisprudenziale – rispetto ai quali pare comunque opportuno soffermarsi al fine
565 Tra le ricostruzioni più recenti in materia di contratto d’opera e di contratto d’opera
intellettuale, R. SALOMONE, Le libere professioni intellettuali, Cedam, Padova, 2010; G.
GIACOBBE, D. GIACOBBE, Il lavoro autonomo. Contratto d’opera. Artt. 2222-2228, in F.D.
BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, 2° ed., Giuffrè, Milano, 2009; G.
MUSOLINO, Contratto d’opera professionale. Artt. 2229-2238, in F.D. BUSNELLI (diretto da), Il
Codice Civile. Commentario, 2° ed., Giuffrè, Milano, 2009; S. MAINARDI, A. CARINCI, Lavoro
autonomo e riforma delle professioni, Cedam, Padova, 2008; C. ASSANTI, Le professioni
intellettuali e il contratto d’opera, in P. RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto privato, vol.
15, II, Utet, Torino, 2001; F. DI NUNZIO, Problemi di disciplina del contratto d’opera,
Giappichelli, Torino, 2000; A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., spec. p. 229 ss. e p. 351 ss. 566 A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 186 s., ID., Le tutele civilistiche, cit., p. 38; S.
GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 485. Sul punto infra, § 3.2. 567 L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo e del lavoro agile,
Giappichelli, Torino, 2018; G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo
Statuto del lavoro autonomo, cit.; U. CARABELLI, L. FASSINA (a cura di), Il lavoro autonomo e il
lavoro agile alla luce della legge n. 81/2017, Ediesse, Roma, 2018; M. LONGONI (a cura di), Il
Jobs At del lavoro autonomo, cit. Per un commento sintetico, A. PERULLI, Legge 22 maggio
2017, n. 81, in R. DE LUCA TAMAJO, O. MAZZOTTA (a cura di), Commentario breve alle leggi
sul lavoro, 6° ed., Wolters-Kluwer-Cedam, Milano, 2017, p. 3109 ss.
126
di individuare le tutele applicabili al variegato mondo del lavoro autonomo (o a
parte di esso).
La ricerca, pertanto, verrà condotta isolando i tre nuclei fondamentali in cui
si articola la tutela del lavoro autonomo «non imprenditoriale», ai quali
corrisponderanno altrettante sezioni del presente capitolo: quello delle tutele nel
rapporto, quello delle tutele fuori dal rapporto, con riferimento alle previsioni
di carattere welfaristico, da un lato, e promozionale, dall’altro, e quello delle
tutele collettive.
I primi due nuclei individuano, pur senza sovrapporvisi del tutto, le principali
direttrici d’intervento dello Statuto568, anche se vi saranno ricomprese questioni
obliterate dallo stesso (come appunto il nodo dell’equo compenso); l’ultimo è
invece dalla novella (quasi del tutto, come si avrà modo di vedere) obliterato,
nonostante le mai sopite sollecitazioni sul punto569 – provenienti anche dalle
riflessioni di diritto comparato570, oltre che l’esperienza, anche legislativa, di
alcune realtà europee ed extra-europee, maturate con particolare riferimento al
fenomeno della gig economy571 – lo rendano oggi un oggetto di studio obbligato
nell’ambito di una ricerca sulle tutele del lavoro autonomo.
568 Secondo la convincente ricostruzione di S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit.,
p. 484 ss., ripresa anche nella rassegna introduttiva di G. ZILIO GRANDI, M. BIASI, Introduzione:
la “coda” del Jobs Act o la “testa” del nuovo diritto del lavoro?, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI
(a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 6 ss., e in quella di G.
SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, il lavoro agile e il telelavoro,
in RIDL, 2017, n. 3, I, p. 373 ss., qui p. 376 ss. 569 Cfr., per il momento, al fine di apprezzare la perdurante attualità del tema, A. TOPO, Tutela e
rappresentanza degli interessi collettivi nel lavoro autonomo, in LD, 1997, n. 2, p. 205 ss.; B.
CARUSO, G. NICOSIA, Il conflitto collettivo post moderno: lo “sciopero” dei lavoratori
autonomi, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 43/2006, nonché, da ultimo, M. BIASI,
Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la contrattazione collettiva relativa al
lavoro autonomo, cit. 570 S. PERNICKA, Organizing the Self-Employed: Theoretical Considerations and Empirical
Findings, in EJIR, 2006, n. 2, p. 125 ss.; S. MCCRYSTAL, Designing Collective Bargaining
Frameworks for Self-Employed Workers: Lessons from Australia and Canada, in IJCLLIR,
2014, n. 2, p. 217 ss.; M. AVOGARO, New Perspectives for Workers’ Organizations in a
Changing Technological and Societal Environment, paper presentato alla XVI International
Conference in Commemoration of Professor Marco Biagi: Assessing Worker Performance in a
Changing Technological and Societal Environment: an Interdisciplinary and Multifaceted
Perspective, Modena, 19-20 marzo 2018. 571 Il riferimento è all’esperienza della piattaforma di organizzazione dei freelance Smart, su cui
S. GRACEFFA, Rifare il mondo... del lavoro. Un'alternativa alla uberizzazione dell'economia,
DeriveApprodi, Roma, 2017, e agli interventi operati dal City Council di Seattle nel 2015 e dalla
Loi travail francese del 2017 in riferimento alla libertà sindacale dei lavoratori (autonomi) che
prestano la propria attività mediante piattaforma digitale, su cui infra, Cap. IV, § 9.
127
Sezione I
LA TUTELA CONTRATTUALE
SOMMARIO: 1. Premessa: il lavoratore autonomo come “contraente debole” e gli influssi
del “nuovo” diritto civile sullo Statuto del lavoro autonomo. – 2. Forma e contenuto
del contratto, tra (apparente) libertà delle forme, obblighi di trasparenza e abusività
del rifiuto del committente di stipulare il contratto in forma scritta- - 3. Le clausole
abusive: generalità. – 3.1. Il divieto di ius variandi: le proposte di un’interpretazione
correttiva e il nodo degli Accordi Economici Collettivi degli agenti e rappresentanti
di commercio. – 3.2. La disciplina statutaria del recesso e l’(apparente) arretramento
rispetto alla disciplina codicistica. – 3.3. La disciplina rimediale delle clausole
abusive, tra invalidità e risarcimento del danno. – 4. Le condotte abusive: l’estensione
del divieto di abuso di dipendenza economica ai rapporti di lavoro autonomo «non
imprenditoriale». – 4.1. La legge sulla subfornitura come modello di riferimento per
la tutela civilistica del contraente “debole”. – 4.2. Il carattere sostanzialmente
innovativo dell’espressa estensione ai rapporti di lavoro autonomo del divieto di
abuso di dipendenza economica, nonostante la sua natura di norma “transtipica”. –
4.3. Il carattere “economico-relazionale” della “dipendenza economica” di cui all’art.
9, l. 192/1998: differenze e spazi di sovrapposizione con la dipendenza “economico-
reddituale” tipica del lavoro autonomo “economicamente debole”. – 4.4. Le
fattispecie, tipizzate e non, dell’abuso vietato, con particolare riferimento a quelle di
interesse lavoristico. – 4.5. I rimedi esperibili e la natura della responsabilità. – 4.6.
Profili processuali, forma della domanda e giudice competente. – 4.7. Una chiosa
finale sulle potenzialità insite nell’estensione del divieto di abuso di dipendenza
economica ai rapporti di lavoro autonomo «non imprenditoriale». – 5. L’estensione
della disciplina in materia di ritardi di pagamento. – 6. La tutela degli apporti originali
e delle invenzioni del lavoratore autonomo. – 7- La tutela della stabilità del rapporto:
possibilità di sospensione e di sostituzione soggettiva. – 7.1. Le ipotesi di sospensione
del rapporto («salvo il venir meno dell’interesse del committente»). – 7.2. La
sostituzione soggettiva in caso di gravidanza «previo consenso del committente» – 8.
Il nodo dell’equo compenso per i lavoratori autonomi . – 8.1. «Equo compenso» e
«retribuzione proporzionata e sufficiente»: il controverso rapporto tra l’art. 36 Cost.
e il lavoro autonomo. – 8.2. L’equità del compenso nell’abrogata disciplina del lavoro
a progetto. – 8.3. Le ipotesi di «equo compenso» attualmente previste dalla legge. –
8.3.1. L’«equo compenso» dei giornalisti. – 8.3.2. L’«equo compenso» per (alcuni)
avvocati e (altri) liberi professionisti. – 8.3.3. Verso il riconoscimento della
subordinazione negli studi professionali?
1. Premessa: il lavoratore autonomo come “contraente debole” e gli
influssi del “nuovo” diritto civile sullo Statuto del lavoro autonomo
Prima di addentrarci nell’esame delle disposizioni dello Statuto che è
possibile ricondurre all’ambito della tutela contrattuale del lavoro autonomo, e
di procedere ad una lettura delle stesse integrata con le vigenti disposizioni
codicistiche in materia, è il caso di effettuare una breve premessa per evidenziare
128
il deciso cambio di paradigma che contraddistingue l’approccio del legislatore
statutario rispetto al passato.
L’opzione di politica del diritto sottesa all’introduzione degli artt. 2 (tutela
del lavoratore autonomo nelle transazioni commerciali), 3, commi 1-3 (clausole
e condotte abusive) e 3, comma 4 (divieto di abuso di dipendenza economica), l.
81/2017, può riassumersi con l’efficace formula sintetizzata da autorevole
dottrina nel motto «meno diritto del lavoro, più diritto dei contratti»572.
L’adozione di tale prospettiva non è casuale. Si è già avuto modo di rilevare
che l’innovazione di fondo più pregnante della novella è rappresentata dal
definitivo superamento alla regolazione del lavoro autonomo in termini
esclusivamente o prevalentemente anti-abusivi573, di repressione cioè del “falso”
lavoro autonomo, realizzata mediante la sua riconduzione forzosa all’area della
subordinazione574. Non stupirà dunque che il legislatore, in cerca di tutele
ontologicamente diverse rispetto a quelle del lavoro subordinato575, pur
rifuggendo l’assimilazione tra lavoro autonomo e impresa576, ha trovato un utile
modello di riferimento nel diritto dei contratti stipulati tra imprese in condizioni
di disparità contrattuale, che trova il proprio prototipo di riferimento, a livello
normativo, nella legge sulla subfornitura (l. 192/1998), alla quale – come avremo
modo di vedere – si ispira largamente, mediante rinvio diretto (art. 3, comma 4,
l. 81/2017) o indiretto (art. 3, commi 1-3, l. 81/2017) la tutela contrattuale
prevista dalle disposizioni dello Statuto del lavoro autonomo577.
D’altronde proprio da tale disciplina – la quale non a caso è parzialmente
debitrice dell’approccio regolativo di matrice lavoristica imperniato
sull’inderogabilità della norma protettiva e sulla conseguente limitazione
572 A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 181. 573 Supra, nt. 20. 574 Secondo un approccio, di cui era emblematico l’abrogato art. 69-bis, d.lgs. 276/2003, che
aveva destato le critiche di una gran parte della dottrina, che aveva parlato di «lavoro autonomo
tradito» (A. PERULLI, Le prospettive del mercato del lavoro italiano dopo la legge n. 92/2012
degli assetti contrattuali. Il lavoro autonomo tradito e il perdurante equivoco del lavoro a
progetto, in DRI, 2013, p. 1 ss.) e di «folle crociata contro il lavoro autonomo» (A. VALLEBONA,
La riforma del lavoro 2012, Giappichelli, Torino, 2012, p. 33). Sul punto, supra, Cap. I, § 9. 575 L. FIORILLO, Un diritto del lavoro per il lavoro che cambia: primi spunti di riflessione, in WP
C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 368/2018, p. 13. 576 Supra, Cap. II, § 5 ss. 577 A. PERULLI, Le tutele civilistiche: il ritardo nei pagamenti; le clausole e le condotte abusive
(artt. 2 e 3), in L. FIORILLO, A. PERULLI, Il jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 36, secondo cui
«la matrice di riferimento dell’art. 3 [l. 81/2017] è, senza ombra di dubbio, proprio la legge sulla
subfornitura». In tal senso anche D. GAROFALO, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative,
in AIDLASS, Frammentazione organizzativa e lavoro: rapporti individuali e collettivi. Atti delle
giornate di studio di diritto del lavoro. Cassino, 18-19 maggio 2017, Giuffrè, Milano, 2018, p.
146 s.
129
dell’autonomia privata578 – sono originate le riflessioni della dottrina civilistica
in materia di contratto “asimmetrico”579, o “terzo” contratto580, che hanno
segnato l’emersione di un diritto privato “di seconda generazione”581, smarcatosi
dal canone liberale dell’onnipotenza dell’autonomia negoziale, incarnato dal
celebre adagio di Fouillée «qui dit contractuel, dit juste»582, nel quale le istanze
di tutela del contraente “debole” hanno trovato piena cittadinanza583.
Ciò, peraltro, anche sulla base della valorizzazione di istituti già presenti
nell’ordinamento, come la clausola generale di buona fede oggettiva (art. 1175
e 1375 c.c.)584, che da criterio meramente interpretativo-integrativo del contratto
(art. 1366 c.c.) ha acquisito anche una valenza finanche demolitorio-sostitutiva
delle pattuizioni negoziali585, e, più in generale, del riconoscimento e
dell’interessamento verso le relazioni di potere che soggiacciono alle dinamiche
contrattuali di mercato e, contemporaneamente, ne sono create586.
Il tutto sullo sfondo di un processo di “umanizzazione” del diritto privato che
è dato registrare anche in altri ordinamenti europei587, convergenti nel perseguire
578 Cfr. AIDLASS, Il diritto del lavoro nel sistema giuridico privatistico. Atti del XVII Congresso
nazionale di diritto del lavoro, Parma 4-5 giugno 2010, Giuffrè, Milano 2011. Sull’impronta
lavoristica della legge sulla subfornitura v. anche infra, Cap. III, sez. I, § 4.1. 579 V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria
di potere contrattuale: genesi e sviluppo di un nuovo paradigma, in ID., Il contratto del duemila,
3° ed., Giappichelli, Torino, 2011, p. 65 ss. 580 G. GITTI, G. VILLA (a cura di), Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti
tra imprese, Il Mulino, Bologna, 2008; V. ROPPO, Parte generale del contratto, contratti del
consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul «terzo contratto»), in RDP, 2007, p. 669
ss.; A. GIANOLA, voce Terzo contratto, in Dig. Disc. Priv. Sez. Civ., agg., IV, 2009, p. 571 ss.;
R. FRANCO, Il terzo contratto: da ipotesi di studio a formula problematica. Profili ermeneutici e
prospettive assiologiche, Cedam, Assago, 2010, spec. p. 35 ss. 581 C. CASTRONOVO, Diritto privato generale e diritti secondi. La ripresa di un tema, in A. PLAIA
(a cura di), Diritto civile e diritti speciali. Il problema dell’autonomia delle normative di settore,
Giuffrè, Milano, 2008, p. 14 ss. 582 Sulla cui genesi e influenza nella civilistica successiva v. L. ROLLAND, «Qui dit contractuel,
dit juste.» (Fouillée) ... en trois petits bonds, à reculons, in Mc Gill Law Journal / Revue De
Droit De Mc Gill, 2006, n. 51, p. 765 ss. 583 S. LIEBMAN, Prestazione di attività produttiva e protezione del contraente debole fra sistema
giuridico e suggestioni dell’economia, in AIDLASS, Il diritto del lavoro nel sistema giuridico
privatistico, cit., p. 105 ss. 584 F. DENOZZA, Il lavoro nell’impresa neo-liberale, in M.T. CARINCI (a cura di), Dall'impresa
a rete alle reti d'impresa. Scelte organizzative e diritto del lavoro, Giuffrè, Milano 2015, spec.
p. 75; U. MORELLO, L’abuso del diritto. La difficile via della concretizzazione, in A. GAMBARO,
U. MORELLO (a cura di), Lezioni di diritto civile, 2° ed., Giuffrè, Milano, 2013, p. 685 ss. 585 E. NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo, in Riv. dir.
civ., 2005, n. 5, p. 511. 586 D. GAROFALO, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative, cit., p. 147, secondo cui «il
diritto privato “contemporaneo” si interessa delle relazioni di potere che strutturano il mercato,
non reputando più quest’ultimo come spazio libero nel quale avvengono isolati incontri di
volontà, ma come un luogo che sotto la forma giuridica delle varie fattispecie negoziali si
compone di organizzazioni basate su vincoli di potere e di subordinazione». 587 Per una panoramica L. NOGLER, U. REIFNER (eds.), Life Time Contracts: Social Long-term
Contracts in Labour, Tenancy and Consumer Credit Law, Eleven International Publishing, The
130
la tutela della persona umana in tutti quegli ambiti del diritto dei contratti – non
solo il diritto del lavoro, ma anche il settore delle locazioni e quello del credito
– dove emerge con maggior forza il problema di sottrarre dalla logica di mercato
i «contratti di durata per l'esistenza della persona»588.
Insomma, mentre all’alba del nuovo millennio il diritto del lavoro è segnato
dal noto «cambio di paradigma»589 che marca un deciso ridimensionamento delle
tutele conquistate nel “secolo breve”, il diritto dei contratti, da campo di gioco
(o di battaglia) dell’imperio dell’autonomia negoziale delle parti contraenti – o,
se si preferisce, dell’”imperialismo” della parte più “forte”590 – è diventato,
persino più dello stesso diritto del lavoro591, il terreno fertile per «declinare in
modo adeguato la valutazione etica dei comportamenti che vengono svolti
nell'ambito di un'organizzazione imprenditoriale»592.
È in questa prospettiva, di tutela civilistica del contraente “debole” che può
essere apprezzata la portata, sia sostanziale che soprattutto sistematica, delle
previsioni dello Statuto del lavoro autonomo che, integrandosi con le
disposizioni codicistiche, costituiscono il primo nucleo di quella tutela del lavoro
autonomo «non imprenditoriale», che possiamo definire tutela «contrattuale».
2. Forma e contenuto del contratto, tra (apparente) libertà delle forme,
obblighi di trasparenza e abusività del rifiuto del committente di
stipulare il contratto in forma scritta
Nel silenzio della legge sul punto, la dottrina non dubita che il contratto
d’opera e il contratto d’opera intellettuale non debbano necessariamente essere
stipulati in forma scritta593, potendosi dunque desumere la conclusione del
contratto da comportamenti concludenti delle parti.
Hague, 2014. Sul punto v. anche AA.VV., Il diritto europeo e la «giustizia contrattuale», numero
monografico di EDP, 2015, n. 2. 588 A. NICOLUSSI, Etica del contratto e “contratti di durata per l'esistenza della persona”, in L.
NOGLER, U. REIFNER (eds.), Life Time Contracts, cit., p. 137 ss. 589 La fortunata espressione è di A. PERULLI, Il contratto a tutele crescenti e la Naspi: un
mutamento di “paradigma” per il diritto del lavoro?, in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di),
Contratto a tutele crescenti e Naspi, Giappichelli, Torino, 2015, p. 3 ss., e viene ripresa tra l’altro
in F. CARINCI, Dallo statuto al contratto a tutele crescenti: il “cambio di paradigma”, in Giur.
it., 2016, n. 3, p. 776 ss. 590 Del resto ci ricorda A. LYON-CAEN, Actualité du contrat de travail, in Droit Social, 1988, p.
540, il diritto del lavoro «est né contre l'impérialisme du contrat». 591 Così A. PERULLI, Il controllo giudiziale dei poteri dell’imprenditore tra evoluzione legislativa
e diritto vivente, in RIDL, 2015, n. 1, I, p. 107. 592 A. NICOLUSSI, Etica del contratto e “contratti di durata per l'esistenza della persona”, cit.,
p. 152. 593 G. GIACOBBE, D. GIACOBBE, Il lavoro autonomo, cit., p. 21; G. MUSOLINO, Contratto d’opera
professionale, cit., p. 132 s.; G. SANTORO PASSARELLI, voce Lavoro Autonomo, in ED Ann., V,
Giuffrè, Milano, 2012, p. 717.
131
Sebbene nella disciplina codicistica il contratto nel quale si deduca la
realizzazione di un opus per il tramite di un’attività di lavoro sia a forma libera,
è comunque necessario svolgere due ordini di precisazioni.
In primo luogo, da diversi anni a questa parte, la libertà delle forme viene in
parte compressa, soprattutto in riferimento al contratto d’opera intellettuale, in
ragione del positivo riconoscimento delle istanze di tutela della clientela dei
professionisti. Esso si è tradotto in una serie di normative speciali (di legge o
deontologiche), le quali impongono precisi obblighi di comunicazione in forma
scritta di alcuni elementi essenziali del contratti (come il corrispettivo) e/o di
altre informazioni legate alla natura dell’incarico594.
Così, a seguite delle ultime modifiche, la legge professionale forense (l.
247/2012) prevede oggi che il compenso spettante al professionista sia pattuito
«di regola per iscritto» all'atto del conferimento dell'incarico professionale (art.
13, comma 2) e che il professionista sia tenuto non solo a «a rendere noto al
cliente il livello della complessità dell'incarico, fornendo tutte le informazioni
utili circa gli oneri ipotizzabili» ma anche, soprattutto, «a comunicare in forma
scritta a colui che conferisce l'incarico professionale la prevedibile misura del
costo della prestazione, distinguendo fra oneri, spese, anche forfetarie, e
compenso professionale» (art. 13, comma 5595). Si tratta, peraltro, di obblighi
accessori che la giurisprudenza qualifica come obbligazioni di risultato, per
quanto relativi ad una obbligazione principale tradizionalmente ritenuta di mezzi
(come quella dell’avvocato), con la conseguenza che la loro violazione dà luogo
a un inadempimento a prescindere da qualsiasi verifica circa la diligenza del
prestatore596.
Inoltre, sotto un diverso ma connesso profilo, a seguito della modifica
dell’art. 2233 c.c. ad opera del c.d. Decreto Bersani del 2006597 - che ha abrogato
il sistema tariffario e eliminato l’originario divieto del c.d. patto di quota lite598
– «sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i
594 Rilevava già C. LEGA, Contratto d’opera, in U. BORSI, F. PERGOLESI (diretto da), Trattato di
diritto del lavoro, I, Cedam, Padova, 1955, p. 475 s., che la «assoluta libertà» delle forme trova
un limite nel rispetto delle regole di deontologia professionale. 595 Come modificato dall'articolo 1, comma 141, lettera d), l. 4 agosto 2017, n. 124, che ha
eliminato l’inciso «a richiesta», rendendo obbligatoria la comunicazione per iscritto del
preventivo. 596 Da ultimo, Cass., sez. III, 23 marzo 2017, n. 7410, in Giur. it., 2018, n. 2, p. 330, con nota di
M. TICOZZI, Gli obblighi informativi del professionista sono obbligazioni di risultato. 597 D.l. 4 luglio 2006, n. 233, conv. in l. 4 agosto 2006, n. 248, su cui, per quanto qui interessa,
v., per tutti, G. ALPA, Le tariffe professionali alla luce del decreto Bersani, in Corr. mer., 2007,
n. 1, p. 19 ss. 598 Sul punto, funditus, G, MUSOLINO, Contratto d’opera professionale, cit., spec. p. 283 ss., e,
più di recente, U. PERFETTI, Il compenso dell'avvocato nella recente evoluzione normativa e
deontologica, in Corr. giur., 2014, n. 12, supplemento, p. 31 ss.
132
praticanti abilitati che stabiliscono i compensi professionali» (art. 2233, comma
3, c.c.).
In secondo luogo, e per quanto qui più interessa, lo Statuto del lavoro
autonomo e la legislazione immediatamente successiva in materia di «equo
compenso» per i professionisti (art. 13bis, l. 247/2012, introdotto sul finire del
2017599) intervengono nell’ambito della forma del contratto in cui è dedotta una
prestazione di lavoro autonomo lungo due direttrici: prevedendo, da un lato, la
nullità di una serie di clausole che attribuiscono determinati poteri o benefici al
committente (art. 3, comma 1, l. 81/2017, che fa riferimento alla nozione di
«abusività» delle clausole; art. 13bis, comma 5, l. 247/2012, che ricorre invece
alla categoria della «vessatorietà», propria del diritto consumeristico) e
sancendo, dall’altro, l’abusività della condotta del committente consistente nel
rifiuto di stipulare il contratto in forma scritta (art. 3, comma 2, l. 81/2017),
nonché la vessatorietà della clausola che attribuisca al committente la facoltà di
rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali (art. 13bis,
comma 5, lett. b), l. 247/2012). Con ciò, tuttavia, il legislatore evita di imporre
veri e propri requisiti di forma per la validità dell’accordo, che resta quindi
valido ed efficace quand’anche concluso in forma orale600, secondo un’opzione
in parte mutuata dall’esperienza spagnola, dove la regola della libertà delle
forme è bilanciata dall’attribuzione a ciascuna parte del potere di richiedere –
ma en cualquier momento, al contrario che nella nostra disciplina – la
formalizzazione del contratto601.
La portata del divieto delle clausole abusive verrà esaminata nei paragrafi
seguenti. Ai fini della verifica circa il grado di libertà delle forme che caratterizza
il “nuovo” contratto di lavoro autonomo, tuttavia, vale la pena di rilevare il
deciso “cambio di rotta” realizzato dal legislatore dello Statuto del lavoro
autonomo rispetto alla disciplina del lavoro a progetto. Se quest’ultima
prevedeva una serie di vincoli precisamente individuati in positivo – il relativo
contratto, infatti, doveva essere stipulato in forma scritta e contenere una serie
di elementi individuati dall’abrogato art. 62, d.lgs. 276/2003602 –, delineando
599 Infra, § 8.3.2. 600 Lo rileva S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 485. In senso contrario
sembrerebbe invece porsi A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 39 s., secondo cui la legge
imporrebbe un requisito di forma scritta a pena di nullità. 601 Così l’art. 7 dell’Estatuto, su cui I. SAGARDOY DE SIMÓN, Forma y duración del contrato, en
A.V. SEMPERE NAVARRO, J.A. SAGARDOY BENGOCHEA (Dirs.), Comentarios al Estatuto del
Trabajo Autónomo, cit., p. 141 ss.; M. DE LOS REYES MARTÍNEZ BARROSO, Régimen profesional
común del trabajador autónomo, en G.L BARRIOS BAUDOR (Dir.), Tratado del trabajo
autónomo, 2° ed., Aranzadi, Cizur Menor, 2010, p. 121 s. 602 Che nell’ultima versione precedente all’abrogazione (tuttora operante per le collaborazioni
instaurate in precedenza e non ancora esaurite) prevedeva l’obbligo di contenere: «a) indicazione
della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro; b) descrizione del progetto,
con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende
133
cioè gli elementi che il contratto «deve contenere», la nuova disciplina fa
esattamente l’opposto, limitandosi a individuare in negativo gli elementi che il
contratto «non può contenere» e tacendo “fragorosamente” sul contenuto
minimo che il contratto dovrebbe contenere «per garantire una maggiore
trasparenza e informazione a favore del lavoro autonomo»603.
Quanto all’abusività del rifiuto da parte del committente di stipulare il
contratto in forma scritta e alla relativa responsabilità risarcitoria (art. 3, comma
3, l. 81/2017), le quali non equivalgono affatto alla previsione di un requisito di
forma604, merita appena evidenziare come la norma paia destinata a una
sostanziale non applicazione, sia per le intrinseche complicazioni nel concepire
un danno risarcibile derivante da tale rifiuto605, sia per le difficoltà nel provare
che il committente abbia effettivamente effettuato tale rifiuto606.
In ogni caso, posto che gli estremi della condotta abusiva possono ricorrere
anche nel caso in cui al rifiuto non faccia seguito la stipulazione del contratto607,
la relativa responsabilità risarcitoria potrà essere considerata di natura
precontrattuale, con conseguente parametrazione del quantum debeatur al solo
interesse negativo, sulla falsariga di quanto avviene nelle ipotesi di abuso di
dipendenza economica commesso in assenza di pregressi rapporti tra le parti608.
conseguire; c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità
di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese; d) le forme di coordinamento del lavoratore a
progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in
ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione
dell'obbligazione lavorativa; e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del
collaboratore a progetto». Sul punto, M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, Cedam,
Padova, 2013, p. 185. 603 Così A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 39 s., e ID., Il Jobs Act degli autonomi, cit., p.
188 s., secondo cui si tratta di un silenzio ingiustificato, considerato che la legislazione speciale
a tutela del contraente debole si caratterizza per la presenza di requisiti di forma particolarmente
stringenti (cfr. l’art. 5, comma 2, l. 192/1998, o l’art. 62, comma 2, d.l. 1/2012), cui il legislatore
statutario avrebbe dovuto ispirarsi per imporre almeno l’obbligo di specificazione dei requisiti
del bene o del servizio, del prezzo, dei termini e delle modalità di consegna, di eventuale collaudo
e di pagamento. L’A., tuttavia, conclude sostenendo che in applicazione analogica dei principi
di correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali previsti dal Codice del consumo, il
contratto di collaborazione coordinata e continuativa debba essere stipulato in forma scritta e
contenere espressa indicazione delle principali condizioni contrattuali. 604 S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 485. In senso contrario sembrerebbe
invece porsi A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 39 s. 605 S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 485; M. MATTIONI, La tutela del lavoro
autonomo nelle transazioni commerciali (art. 2) e le clausole e le condotte abusive (art. 3, commi
1-3), in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI, Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit.,
p. 283, secondo cui il danno potrà tuttalpiù derivare dall’eventuale ritardo nella conclusione del
contratto provocato dal rifiuto del committente e nella connessa perdita di altre occasioni
professionali. 606 S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 485. 607 M. MATTIONI, La tutela del lavoro autonomo, cit., p. 279; E. MINERVINI, L’equo compenso
degli avvocati e degli altri liberi professionisti, Giappichelli, Torino, 2018, p. 7. 608 Infra, in questa sezione, il § 4.5.
134
3. Le clausole abusive: generalità
L’art. 3, comma 1, l. 81/2017, individua tre tipi di clausole negoziali
contenute nel contratto in cui venga dedotta la prestazione di un’attività di lavoro
autonomo, le quali vengono considerate «abusive e prive di effetto», oltre che
fonte di una potenziale responsabilità risarcitoria in capo al committente (art. 3,
comma 3, l. 81/2017): i) quelle che «attribuiscono al committente la facoltà di
modificare unilateralmente le condizioni del contratto»; ii) quelle che – ma solo
«nel caso di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa» –
consentono di recedere da esso senza congruo preavviso»; iii) quelle «mediante
le quali le parti concordano tempi di pagamento superiori a sessanta giorni dalla
data del ricevimento da parte del committente della fattura o della richiesta di
pagamento»609.
Le clausole di cui ai punti i) e iii) vengono poi prese in considerazione anche
dal nuovo art. 13bis, l. 247/2012, che ne ribadisce la vessatorietà, introducendo
un ulteriore ventaglio di clausole vessatorie pensate con riferimento specifico
(ma non esclusivo610) alla professione forense611.
Le clausole in materia di ius variandi e di recesso con preavviso ricalcano,
in maniera pressoché integrale, le omologhe disposizioni contenute nella legge
in materia di subfornitura industriale (art. 6, l. 192/1998), la quale – in quanto
prototipo normativo per la tutela dell’impresa “debole” – ha costituito, come si
è già accennato e si avrà ulteriormente modo di vedere612, un prezioso modello
di riferimento per il legislatore statutario, in cerca di tutele ontologicamente
diverse da quelle proprie del lavoro subordinato.
Quella in materia di rispetto dei termini di pagamento, invece, si ricollega
alla previsione statutaria relativa alla tutela del lavoratore autonomo nelle
transazioni commerciali (art. 2, l. 81/2017) e verrà pertanto esaminata
unitamente ad essa.
609 Sulle clausole abusive di cui all’art. 3, comma 1, l. 81/2017, v., in generale, A. PERULLI, Le
tutele civilistiche, cit., p. 27 ss.; M. MATTIONI, La tutela del lavoro autonomo, cit., p. 265 ss. 610 Le previsioni contenute nell’art. 13bis della legge professionale forense trovano infatti
applicazione «in quanto compatibili» a tutte le professioni, ordinistiche e non (così dispone l’art.
19quaterdecies, comma 2, d.l. 148/2017, all’esito delle numerose modificazioni occorse
nell’autunno del 2017). Sull’ambito di applicazione ratione materiae della previsione, infra §
8.3.2. 611 Come quelle che consistono, tra l’altro, nell’attribuzione al cliente della facoltà di pretendere
prestazioni aggiuntive a titolo gratuito (art. 13bis, cit., comma 5, lett. c)); nell’anticipazione delle
spese della controversia a carico dell’avvocato (lett. d)); nella previsione di clausole che
impongono all’avvocato la rinuncia al rimborso delle spese direttamente connesse alla
prestazione dell’attività professionale (lett. f)). Sul punto E. MINERVINI, L’equo compenso degli
avvocati e degli altri liberi professionisti, cit., p. 27 ss. 612 Supra, § I, e infra, § 4.1.
135
3.1. Il divieto di ius variandi: le proposte di un’interpretazione correttiva e
il nodo degli Accordi Economici Collettivi degli agenti e rappresentanti
di commercio
La ratio del divieto di prevedere clausole che attribuiscano al committente
la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto è
plausibilmente da ravvisarsi nell’intento del legislatore «di sventare il rischio
che dietro al ius variandi del committente si celi un effettivo potere direttivo,
sostanzialmente analogo a quello di un datore di lavoro subordinato»613, oltre
che nell’intento di rafforzare la natura del “nuovo” coordinamento di cui all’art.
409, n. 3, c.p.c. come attività contrattuale necessariamente bilaterale614, posto
che il divieto di modifica unilaterale delle «condizioni del contratto» non può
che estendersi anche alle clausole che individuano le modalità di coordinamento
– anche spazio-temporale, nei limiti di quanto si è già avuto modo di osservare
– della prestazione all’organizzazione del committente.
La disposizione di cui all’art. 3, comma 1, l. 81/2017, non ha tuttavia
mancato di sollevare diverse perplessità in dottrina615.
Da un lato, infatti, vi è chi ha giudicato “spropositata” la patente di abusività
attribuita a tale clausola, considerando che la legge sembrerebbe prevederla in
ogni caso, senza distinguere tra i casi in cui l’eventuale potere di modifica
unilaterale delle condizioni contrattuali possa risultare eccessivamente onerosa
per il lavoratore autonomo e quelli in cui essa non incida in senso pregiudizievole
sulla posizione del prestatore616.
In tale prospettiva, si può osservare che il legislatore, anziché vietare in modo
pressoché assoluto ogni clausola attributiva di un potere di modificazione delle
condizioni contrattuali, avrebbe potuto utilmente replicare gli schemi adoperati
in altri settori. Nella disciplina consumeristica, ad esempio, la vessatorietà delle
clausole viene valutata in concreto, sulla base della valutazione relativa alla
circostanza che esse determinino o meno, a carico del consumatore, «un
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto»617;
nella stessa legge sulla subfornitura, è specificato che che il divieto di ius
variandi non si estende agli accordi «che consentano al committente di precisare,
613 Così M. MATTIONI, La tutela del lavoro autonomo, cit., p. 277. 614 O. RAZZOLINI, Jobs Act degli autonomi e lavoro esclusivamente personale. L’ambito di
applicazione della legge n. 81/2017, in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Il jobs act del lavoro
autonomo, cit., p. 17. Sul punto supra, Cap. II, § 4.1.2. 615 A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 41; ID., Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 189 s.;
F.M. PUTATURO DONATI, Agenti e Jobs Act degli autonomi: contraddittorietà sistemiche e
incertezze applicative, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI, Commentario breve allo Statuto del lavoro
autonomo, cit., p. 253 ss.; M. MATTIONI, La tutela del lavoro autonomo, cit., p. 276 s. 616 Ibidem. 617 Art. 33, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.
136
con preavviso ed entro termini e limiti contrattualmente prefissati, le quantità da
produrre ed i tempi di esecuzione della fornitura»618.
Per evitare un eccessivo irrigidimento delle dinamiche contrattuali, peraltro,
una parte della dottrina ha suggerito un’interpretazione correttiva della
disposizione, informata al principio dell’abusività in concreto, che la consideri
come volta a reprimere «soltanto le pattuizioni che, per l’oggetto o per le
modalità di esercizio della facoltà attribuita, appaiano concretamente abusiva a
causa dell’onerosità delle modifiche apportate al contratto»619.
A prescindere dalle valutazioni di opportunità relative alla “drasticità” del
divieto assoluto di ius variandi, deve essere rilevato che, come è stato
osservato620, la disposizione in questione si rivela in ogni caso di non facile
delimitazione in relazione alle fattispecie di lavoro autonomo.
Ancorché la spettanza di uno ius variandi in capo al committente sia da
ritenersi escluso, secondo la dottrina maggioritaria621, nell’ambito della
disciplina del contratto d’opera – nonostante alcuni risalenti tentativi di
addivenire, nel silenzio del codice, ad una sua configurazione tramite la
valorizzazione della preminenza dell’interesse del committente su quello del
prestatore622 ovvero tramite la figura del “recesso modificativo”623 – vi sono
alcuni casi in cui, nell’ambito della disciplina contrattuale dei tipi derivati dalla
locatio operis, un tale ius variandi viene espressamente previsto dalla legge,
come nel caso dei “contrordini modificativi” nel contratto di trasporto (art. 1685
c.c.) e delle “variazioni al progetto” nel contratto di appalto (art. 1661 c.c.).
In tale prospettiva, al fine di conciliare la novella con l’humus codicistico, è
stato proposto di interpretare la prima nel senso che il divieto di ius variandi
riguarda «esclusivamente gli aspetti normativi del programma negoziale, e non
gli aspetti tecnici, sui quali il committente, gradatamente a seconda delle diverse
tipologie contrattuali di riferimento, mantiene una necessaria facoltà di
ingerenza»624.
Sotto diverso profilo, con il divieto di ius variandi di cui all’art. 3, comma 1,
l. 81/2017 il legislatore, forse inavvertitamente, interviene “a gamba tesa” su
materie che, in riferimento a una categoria non certo marginale come quella degli
agenti e dei rappresentanti di commercio, trovano già una disciplina specifica
618 Art. 6, comma 1, l. 192/1998. 619 Ancora M. MATTIONI, La tutela del lavoro autonomo, cit., p. 277. 620 A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 41 621 ID., Il lavoro autonomo, cit., p. 260 ss., anche per ulteriori riferimenti. 622 G.F. MANCINI, Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro. Il recesso ordinario, Giuffrè,
Milano, 1962, p. 219, secondo cui tale preminenza giustifica il potere del committente di
modificare le caratteristiche dell’opus sulla base della propria nuda voluntas. 623 G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene, Napoli, 1963, p. 248. 624 Così A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 41 s.; ID., Il Jobs Act degli autonomi, cit., p.
190.
137
negli Accordi Economici Collettivi (AEC), che da tempo assolvono una
rilevanza e un’efficacia giuridica simile a quella dei contratti collettivi nel lavoro
subordinato625.
L’AEC Industria 30 luglio 2014 (art. 2) e l’AEC Commercio 16 febbraio
2009 (art, 2), infatti, sulla scorta di un’esperienza contrattual-collettiva che risale
agli accordi del 1988, riconoscono al preponente la possibilità di rivedere
discrezionalmente l’ambito di operatività dell’incarico conferito, nonché la
percentuale delle provvigioni, i prodotti oggetto di promozione e la clientela,
ricollegando all’entità delle eventuali modificazioni, analiticamente individuate
dagli AEC in termini quantitativi in relazione all’incidenza sulle provvigioni,
l’applicazione di una specifica disciplina, con riferimento alle modalità di
esercizio dello ius variandi e alla tutela per l’agente che rifiuti le nuove
condizioni contrattuali626.
Peraltro, laddove la disciplina collettiva non trova applicazione, è stata la
giurisprudenza a precisare i limiti di validità ed efficacia delle clausole
contrattuali individuali attributive di un potere di variazione unilaterale,
arrivando in alcuni casi a stabilirne la nullità per la loro natura di condizioni
meramente potestative, ai sensi dell’art. 1355 c.c.627, ovvero per la
indeterminatezza dell’oggetto ai sensi dell’art. 1346 e 1418 c.c.628, o comunque
a sindacare l’esercizio dello ius variandi sulla base dei canoni della correttezza
e della buona fede629.
Così, se nel rapporto tra lo Statuto del lavoro autonomo e il mondo dei
rapporti di agenzia un primo elemento di “contraddittorietà sistemica”630 era dato
dalla circostanza che una parte della dottrina tende a qualificare l’agente in ogni
caso come un imprenditore o un piccolo imprenditore631, piuttosto che come un
625 G. GHEZZI, Del contratto di agenzia, in A. SCIALOJA, G. BRANCA (a cura di), Commentario
del codice civile, Zanichelli-Il Foro italiano, Bologna-Roma, 1970, spec. p. 23 ss. Sul punto
supra, Cap. I, § 6. 626 Sul punto R. BALDI, A. VENEZIA, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il
franchising, Giuffrè, Milano, 2015, p. 83 ss.; L. PERINA, G. BELLIGOLI, Il rapporto di agenzia,
Giappichelli, Torino, 2015, p. 59 ss.; E. SARACINI, F. TOFFOLETTO, Il contratto di agenzia. Artt.
1742-1753, in F.D. BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, Giuffrè, Milano, 2014,
p. 27 ss. 627 Cass. 20 maggio 1997, n. 4504, in OGL, 1998, I, p. 64, con nota di V. POMARES, Clasuola
“cliente direzionale”: una presa di posizione della Corte di cassazione; Trib. Milano 16
dicembre 2005, in ARC, 2006, n. 2, p. 46. 628 Trib. Bari 3 novembre 2010, in ARC, 2011, n. 1, p. 36; Trib. Bologna 11 aprile 2012, ivi,
2012, n. 3, p. 35. 629 Cass. 2 maggio 2000, n. 5467, in Corr. giur., 2000, n. 8, p. 1029, con nota di F. DI CIOMMO,
L'abuso di potere del preponente nel rapporto di agenzia. 630 F.M. PUTATURO DONATI, Agenti e Jobs Act degli autonomi, cit., p. 252 ss. 631 R. VITOLO, Del contratto di agenzia, in D. VALENTINO (a cura di), Dei singoli contratti, in E.
GABRIELLI (diretto da), Commentario del codice civile, Utet, Torino, 2011, p. 515, secondo cui
«non può revocarsi in dubbio […] che l’agente sia sempre imprenditore commerciale […] nel
senso ed agli effetti dell’art. 2195, n. 5, c.c.». In tal senso, sia pure con alcune aperture, E.
138
lavoratore autonomo (con la conseguenza che l’agente sarebbe escluso dal
campo di applicazione dello Statuto632), un ulteriore elemento di tensione
sistemica sembrerebbe doversi ravvisare nella circostanza che il divieto di ius
variandi «rischia di rendere improvvisamente abusive e prive di effetto le
clausole dei contratti individuali di agenzia in tema di variazioni unilaterali,
anche quando rinviano o richiamano gli AEC»633.
3.2. La disciplina statutaria del recesso e l’(apparente) arretramento
rispetto alla disciplina codicistica.
Un analogo problema di disallineamento tra le disposizioni dello Statuto e la
disciplina codicistica può ravvisarsi in riferimento al delicato nodo del recesso.
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, l. 81/2017, si considerano abusive e prive di
effetto anche le clausole che attribuiscono al committente – ma solo «nel caso di
contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa» (per quanto non
necessariamente «coordinata») – la facoltà di recedere dal contratto «senza
congruo preavviso».
Tale disposizione è stata oggetto di critiche in dottrina, da parte di chi634 vi
ha ravvisato un deciso arretramento rispetto alla tutela accordata al prestatore
nella disciplina codicistica, con particolare riferimento a quella del contratto
d’opera (art. 2227 c.c., che in caso di recesso del committente successivo al
principio di esecuzione dell’opera obbliga il recedente a tenere indenne il
prestatore «delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno»)635, ma non
solo636.
Sulla base di tali rilievi, è stato proposto di procedere a un’interpretazione
correttiva della norma, da intendersi aggiuntiva, e non sostitutiva, rispetto alle
SARACINI, F. TOFFOLETTO, Il contratto di agenzia, cit., p. 56, cui si rinvia anche per ulteriori
riferimenti. 632 Lo rileva in senso critico F. TOFFOLETTO, Agenti imprenditori, non lavoratori autonomi, in
S24, 23 maggio 2017; ID., Quel “pasticcaccio” sul Codice Civile, ivi, 7 giugno 2017. 633 F.M. PUTATURO DONATI, Agenti e Jobs Act degli autonomi, cit., p. 259, secondo cui è una
conclusione che si impone, «salvo ricorrere ad accordi da sottoscrivere con l’agente ad
integrazione delle originarie pattuizioni negoziali». 634 A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 186 s., ID., Le tutele civilistiche, cit., p. 38; S.
GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 485; M. MATTIONI, La tutela del lavoro
autonomo, cit., p. 277 s. 635 La ratio della previsione codicistica, originaria del codice del 1865 (art. 1641), è da rinvenire
non solo nel carattere fiduciario del contratto, quanto nella preminenza dell’interesse del
committente, il quale è infatti «investito di un anticipato potere di disposizione sull’opus
destinato a essere suo», secondo la lettura di F. SANTORO PASSARELLI, voce Opera (Contratto
di), in NNDI, XI, Utet, Torino, 1965, cit., p. 989, che richiama G.F. MANCINI, Il recesso
unilaterale, cit., p. 218. Sul punto, funditus, G. GIACOBBE, D. GIACOBBE, Il lavoro autonomo,
cit., p. 243 ss.; A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 320 ss. 636 Si veda infatti l’art. 1671 c.c., per il contratto d’appalto; l’art. 1725 c.c., in materia di revoca
del mandato oneroso; l’art. 2237 c.c. per il contratto d’opera intellettuale.
139
regole generali di cui agli artt. 2222 e ss. c.c.637 (ovvero, aggiungiamo noi, a
quelle del singolo tipo contrattuale nel quale sia dedotta l’attività di lavoro
autonomo).
La considerazione, tuttavia, ad avviso di chi scrive, ri, se si considera che nel
limitare l’ambito di applicazione della previsione in questione il legislatore ha
inteso fare riferimento ai rapporti di lavoro autonomo aventi ad oggetto un facere
continuativo del prestatore – inteso vuoi come compimento di un «servizio» (art.
2222 c.c.), vuoi come reiterazione nel tempo di una serie di opera collegati tra
loro – e dunque, essenzialmente, a un rapporto di durata638. Un rapporto, quindi,
che non ricalca lo schema del contratto d’opera avente ad oggetto, invece, il
compimento dell’opus perfectum, cui si rivolge, nel fare riferimento al «mancato
guadagno» la disciplina di cui all’art. 2227 c.c.
Solo al contratto d’opera avente ad oggetto il compimento di un opus
perfectum, quale contratto ad esecuzione istantanea639, può trovare piena
applicazione l’art. 2227 c.c., che è invece inapplicabile al contratto d’opera di
durata640, avente ad oggetto il compimento (evidentemente «senza vincolo di
subordinazione») di un «servizio», il quale pure è e resta un rapporto di lavoro
autonomo, ma può rientrare nella categoria dei rapporti di durata641, con la
conseguenza che troverà applicazione la disciplina generale applicabile a questi
ultimi, e cioè il regime di libera recedibilità con efficacia ex nunc di cui all’art.
1373 c.c.642
Se così è, non può dirsi che la novella intervenga in senso peggiorativo
rispetto alla disciplina codicistica, in quanto presenta un ambito di applicazione
diverso da quello proprio dell’art. 2227 c.c., stabilendo l’obbligo di «congruo
637 Così A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 38; ID. Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 186. 638 Nel senso che il contratto d’opera può essere costitutivo di un rapporto di durata, molto
esplicitamente, G. SANTORO PASSARELLI, voce Lavoro autonomo, in EGT, XVIII, Treccani,
Roma, 1990, p. 14; P. ICHINO, Il contratto di lavoro, I, Giuffrè, Milano, 2000, p. 268, nonché,
sia pure implicitamente, A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 260, ove si fa riferimento a
«rapporti di lavoro autonomo […] a carattere di durata». In tal senso, in giurisprudenza, in
riferimento alla figura del contratto a progetto, Trib. Torino, 5 aprile 2005, in Lav. giur., 2005,
p. 660, con nota di V. FILÌ, Il lavoro a progetto in una pronuncia pioniera della giurisprudenza
di merito (p. 665 ss.). Sulle possibili accezioni della nozione di continuità nell’ambito delle
collaborazioni di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., supra, Cap. II, § 4.1.1. 639 Il cui adempimento avviene uno actu, nella lettura tradizionale di G. OPPO, I contratti di
durata, in Riv. dir. comm., 1943, n. 5-6, p. 143 ss., n. 7-12, p. 227 ss., e 1944, n. 1, p. 17 ss. 640 In tal senso G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», Franco Angeli, Milano,
1979, p. 107 ss.; e successivamente, ID., voce Lavoro autonomo, cit., p. 14 s. 641 Nel senso individuato da G. OPPO, I contratti di durata, cit., p. 223, per cui «la durata è
determinata solo in funzione del tempo ed essa non incontra il limite dello scopo». Sul punto G.
GIACOBBE, D. GIACOBBE, Il lavoro autonomo, cit., p. 26, secondo cui le obbligazioni del
prestatore d’opera, in caso di contratto d’opera avente ad oggetto il compimento di un servizio,
«devono essere qualificate come obbligazioni di mezzi». 642 Ancora G. OPPO, I contratti di durata, cit., p. 240; G.F. MANCINI, Il recesso unilaterale, cit.,
p. 241 ss.
140
preavviso» nei casi di contratto di collaborazione continuativa a tempo
indeterminato aventi ad oggetto il compimento di un «servizio» o nei contratti
di collaborazione autonoma aventi ad oggetto la prestazione periodica di più
opera643, mentre l’art. 2227 c.c. continua a trovare applicazione in relazione al
singolo contratto d’opera a esecuzione istantanea644.
Anzi, in riferimento al contratto d’opera intellettuale, la novella, per il suo
carattere inderogabile, pare rappresentare un avanzamento del livello di tutela,
posto che la giurisprudenza non ha mai dubitato della natura dispositiva – sia
pure in riferimento alla possibilità di derogare alla disciplina codicistica in senso
più favorevole al professionista – della previsione di cui all’art. 2237 c.c.645
Rimane invece da chiedersi se in caso di collaborazione (continuativa) a
termine il congruo preavviso cui fa riferimento l’art. 3, comma 1, l. 81/2017, sia
sufficiente a legittimare il recesso discrezionale ante tempus del committente, o
se in tal caso debba trovare applicazione la disciplina della mora credendi646.
Si tratta cioè di chiedersi se la novella innovi rispetto a quanto poteva
desumersi dai principi generali, consentendo ora il recesso anticipato in caso di
contratto a termine, anche in assenza di giusta causa (salvo solo il preavviso),
senza quindi che il collaboratore abbia diritto al pagamento dei compensi che gli
sarebbero stati dovuti fino al termine del rapporto.
Ad avviso di chi scrive, si tratta di una conclusione da escludere:
l’apposizione del termine ingenera infatti un legittimo affidamento del prestatore
circa la stabilità del rapporto contrattuale che non può essere compresso in
assenza di una valida ragione, né nel campo del diritto del lavoro subordinato,
né nel campo dei rapporti derivati dallo schema della locatio operis (oltre all’art.
2227 c.c., cfr. l’art. 1651 c.c. e l’art. 1725 c.c.). D’altronde, in termini non
dissimili si poneva la disciplina in materia di recesso anticipato dal contratto di
lavoro a progetto (art. 67, comma 2, d.lgs. 276/2003)647, nel vigore della quale
la giurisprudenza non dubitava che fosse dovuto al collaboratore, accertata
643 In tal senso, sulla base di un’identità di ratio, M. MATTIONI, La tutela del lavoro autonomo,
cit., p. 277. 644 In questo senso pare condivisibile la notazione di A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p.
38; ID., Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 186, secondo cui la novella deve intendersi come
aggiuntiva, e non sostitutiva, rispetto alle regole generali di cui agli artt. 2222 e ss. c.c. 645 Cass., sez. II, 14 agosto 2012 n. 14510, in GCM, 2012, n. 7-8, p. 1038; Cass. 6 maggio 2000,
n. 5738, in D&G, 2000, n. 19, p. 73; Cass. 15 maggio 1996, n. 4501, in DeJure. Nel senso
dell’inderogabilità della disciplina di cui all’art. 2227 c.c., tuttavia, U. GARGIULO, Il recesso nel
lavoro a progetto tra volontà delle parti e diritto dei contratti, in WP C.S.D.L.E. “Massimo
D’Antona”.IT – 26/2004, p. 20. 646 In tal senso si poneva G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit, p. 109,
argomentando a partire dalle riflessioni di G. GHEZZI, Del contratto di agenzia, cit., p. 204. 647 Su cui U. GARGIULO, Il recesso nel lavoro a progetto, cit F. MARTELLONI, Lavoro coordinato
e subordinazione. L’interferenza delle collaborazioni a progetto, Bononia University Press,
Bologna, 2012, p. 189 s., anche per ulteriori riferimenti.
141
l’insussistenza della giusta causa addotta dal committente, il pagamento dei
compensi che gli sarebbero spettati fino alla data di naturale scadenza del
contratto648.
In tale prospettiva, comunque, pare condivisibile la critica di chi ha
lamentato la mancata introduzione di vincoli di carattere causale al recesso,
quantomeno in riferimento al mondo delle collaborazioni coordinate e
continuative, oggi senza progetto, che avrebbe invece costituito un elemento di
effettiva innovazione649.
Se pure in relazione al rapporto tra art. 2227 c.c. e tutela statutaria vi sono
quindi buone ragioni per sostenere che in tema di recesso la novella non
determina un arretramento rispetto alla tutela codicistica, ciò non significa che
essa sia immune da considerazioni critiche.
È infatti dato dubitare della sua effettiva portata innovatrice, posto che la
necessità di un termine di preavviso poteva già farsi discendere dalla sussistenza
degli obblighi generali di buona fede e correttezza650, e ciò tanto più a seguito
dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità in materia di “recesso
abusivo”, secondo cui, persino nell’ambito dei rapporti commerciali tra imprese,
quand’anche il contratto preveda il diritto di recesso ad nutum in favore di una
delle parti, «il giudice del merito non può esimersi […] dal valutare se l'esercizio
di tale facoltà sia stato effettuato nel pieno rispetto delle regole di correttezza e
di buona fede cui deve improntarsi il comportamento delle parti del contratto»651.
Infine, un problema non secondario relativo alla previsione statutaria in
materia di recesso è rappresentato dall’ambiguità della formula adoperata dal
legislatore, che si limita a prevedere la «congruità» del preavviso, senza offrire
alcun elemento utile per la sua quantificazione temporale, contrariamente a
quanto avviene, ad esempio, nella disposizione codicistica in materia di agenzia
(art. 1750 c.c.).
648 Inter alia, Trib. Milano 6 febbraio 2006, n. 356. Sul punto, M. PALLINI, Il lavoro
economicamente dipendente, cit., p. 197 ss., spec. p. 202. 649 A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 38; ID., Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 186. 650 Così già G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit., p. 107. 651 Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, tra l’altro in Foro it., 2010, n. 1, I, c. 85, con nota di A.
PALMIERI, R. PARDOLESI, Della serie “a volte ritornano”: l'abuso del diritto alla riscossa (c. 95
ss.), la quale precisa che «tale sindacato, da parte del giudice di merito, deve pertanto essere
esercitato in chiave di contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti in causa, in una
prospettiva anche di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici». Sul punto, U.
MORELLO, L’abuso del diritto, cit., p. 685 ss.
142
3.3. La disciplina rimediale delle clausole abusive, tra invalidità e
risarcimento del danno
Accanto alla conseguenza dell’inefficacia delle clausole abusive,
espressamente sancita dall’art. 3, comma 1, l. 81/2017, il successivo comma 3
della disposizione prevede che il lavoratore autonomo abbia diritto al
risarcimento del danno «anche promuovendo un tentativo di conciliazione
mediante gli organismi abilitati». La medesima tutela, come si è avuto modo di
vedere, trova applicazione in caso di rifiuto del committente di stipulare il
contratto in forma scritta652.
Anche questa disposizione in materia risarcitoria ha suscitato perplessità in
dottrina, considerato che la comminatoria di inefficacia della clausola abusiva
rende difficile la stessa configurazione di un danno risarcibile.
Lo spazio per invocare la tutela risarcitoria pare dunque doversi limitare ai
casi in cui le parti abbiano dato spontaneamente esecuzione alla clausola
inefficace653: dunque, nei casi in cui il collaboratore abbia subito un recesso
senza preavviso ovvero una modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, ne
conseguirà che la misura del risarcimento potrà essere individuata, nel primo
caso, nel compenso che sarebbe spettato al lavoratore durante il periodo di
«congruo» preavviso (salvo quanto si è detto sull’eventuale applicabilità dell’art.
2227 c.c.), e, nel secondo caso, nella maggior somma che il lavoratore avrebbe
percepito (tenuto conto anche delle eventuali spese sostenute), se non si fosse
visto modificare unilateralmente le condizioni contrattuali.
4. Le condotte abusive: l’estensione del divieto di abuso di dipendenza
economica ai rapporti di lavoro autonomo «non imprenditoriale»
Le condotte abusive sono individuate dallo Statuto, oltre che nel rifiuto del
committente di stipulare il contratto in forma scritta (art. 3, comma 2, l. 81/2017),
del quale ci si è già occupati, anche nell’ipotesi, ben più importante, dell’«abuso
di dipendenza economica» vietato dall’art. 9, l. 192/1998, disposizione che l’art.
3, comma 4, l. 81/2017 estende espressamente ai rapporti di lavoro autonomo
«non imprenditoriale»654.
652 Supra, § 2. 653 In tal senso M. MATTIONI, La tutela del lavoro autonomo, cit., p. 283; G. SANTORO
PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 378, entrambi peraltro scettici sulle
potenzialità del tentativo di conciliazione da promuovere mediante gli organismi abilitati, al
momento, inoltre, accessibili solamente dai collaboratori coordinati e continuativi di cui all’art.
409, n. 3, c.p.c. 654 Sull’art. 3, comma 4, l. 81/2017, v., in generale, A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., spec.
p. 34 ss.; P.P. FERRARO, Professioni intellettuali e abuso di dipendenza economica, in Corriere
Giur., 2018, n. 2, p. 217 ss., e, se vuoi, G. CAVALLINI, Il divieto di abuso di dipendenza
economica e gli strumenti del “nuovo” diritto civile al servizio del lavoro autonomo, in G. ZILIO
143
Il legislatore ha così integralmente trasfuso nel nuovo Statuto – con il solo
limite della compatibilità – una norma appartenente al sistema del diritto dei
contratti commerciali, secondo un’opzione di politica del diritto che si è visto
essere comune alle diverse disposizioni della novella che costituiscono il nucleo
della “tutela contrattuale” del lavoro autonomo, nella quale, infatti, è dato
ravvisare «meno diritto del lavoro, più diritto dei contratti»655.
Prima di esaminare la disposizione cui rinvia la novella, e di valutarne le
potenzialità applicative in riferimento al mondo del lavoro autonomo, meritano
di essere spese alcune parole sulla legge sulla subfornitura, che si è visto avere
costituito il principale modello di riferimento normativo per le tutele contrattuali
del lavoro autonomo656.
4.1. La legge sulla subfornitura come modello di riferimento per la tutela
civilistica del contraente “debole”
La legge sulla subfornitura ha rappresentato una delle prime risposte
legislative allo scenario produttivo dell’impresa “a rete” postfordista, ove la
frammentazione del ciclo produttivo si realizza anche tramite la devoluzione
all’esterno di importanti parti o fasi dell’attività economica delle imprese657.
Non si intende qui effettuare una compiuta analisi della disciplina speciale
dettata dalla l. 192/1998, oggetto, nell’ultimo ventennio, di numerose
ricostruzioni sistematiche da parte della dottrina civilistica e
commercialistica658. Basterà rilevare che in tale testo normativo il legislatore ha
GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo statuto del lavoro autonomo, cit., p. 285
ss. 655 A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 181. 656 ID., Le tutele civilistiche, cit., p. 36. Sul punto supra, § I. 657 La letteratura sul tema è notoriamente sterminata. Nella prospettiva lavoristica, attenta
soprattutto a cogliere i relativi processi di articolazione, trasformazione e flessibilizzazione della
figura datoriale, v., almeno, M.T. CARINCI (a cura di), Dall’impresa a rete alle reti d’impresa.
Scelte organizzative e diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2015; O. RAZZOLINI, Lavoro e
decentramento produttivo nei gruppi di imprese, in M. AIMO, D. IZZI (a cura di),
Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori, UTET, Assago, 2014, p. 677 ss.; I. ALVINO, Il lavoro
nelle reti di imprese: profili giuridici, Giuffrè, Milano, 2014; AIDLASS, La figura del datore di
lavoro. Articolazioni e trasformazioni, Atti del XVI Congresso nazionale di diritto del lavoro,
Catania 21-23 maggio 2009, Giuffrè, Milano 2010; M. BARBERA, Trasformazioni della figura
del datore e flessibilizzazione delle regole del diritto, in DLRI, 2010, p. 203 ss.; L. CORAZZA,
Contractual integration e rapporti di lavoro: uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore,
Cedam, Padova, 2004. 658 Si rinvia pertanto a V. CUFFARO (a cura di), La subfornitura nelle attività produttive, Jovene,
Napoli, 1998; R. LECCESE, voce Subfornitura, in Dig. Disc. Priv. Sez. Comm., Aggiornamento,
Utet, Torino, 2000, p. 744 ss.; M. SUPPA, voce Subfornitura (contratto di), in EGT, XVII,
Treccani, Roma, 2001, p. 1 ss.; F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza
economica: profili ricostruttivi e sistematici, Esi, Napoli, 2002; C. BERTI, B. GRIZZANI, La
disciplina della subfornitura nelle attività produttive, Giuffrè, Milano, 2005. Per una
ricostruzione attenta ai profili lavoristici, v. M. MARINELLI, La subfornitura, in M. BROLLO (a
144
apprestato, in una disciplina organica, una vasta gamma di garanzie a tutela delle
imprese che, trovandosi a fornire beni o servizi destinati a essere integrati nel
ciclo produttivo di un committente principale, possono risultare dipendenti, nei
termini che esamineremo a breve, da quest’ultimo659.
Nella prospettiva della valorizzazione dell’intreccio tra la dimensione
civilistica e quella lavoristica, deve essere evidenziato che nella l. 192/1998 il
legislatore ha adottato la tecnica della limitazione dell’autonomia privata
attraverso la previsione di norme inderogabili a tutela del contraente ritenuto
“debole”. Una tecnica, dunque, «di lunga tradizione»660 – già ampiamente
adoperata nel diritto del lavoro e delle locazioni – la cui esportazione al campo
dei rapporti commerciali ebbe tuttavia del rivoluzionario661, e non mancò di
destare critiche anche severe da parte di chi ritenne «grave» tale intromissione
nella libertà negoziale dei contraenti662.
Tra i tratti di affinità con la normativa lavoristica presenti nella l. n.
192/1998, è emblematica la disposizione di all’art. 2, primo comma, la quale
prevede che in caso di nullità del contratto il subfornitore abbia diritto al
pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute
in buona fede per l’esecuzione, sulla falsariga dell’art. 2126 c.c.663, nonché la
previsione di cui all’art. 10 della legge sulla subfornitura (oggetto tuttavia di
recente abrogazione664), la quale, nel prevedere un tentativo obbligatorio di
conciliazione presso la Camera di commercio, replicava quanto allora stabilito
per le controversie di lavoro.
In questa prospettiva, può apprezzarsi come con il rinvio – diretto o indiretto
– mosso dal nuovo Statuto alla disciplina sulla subfornitura, si realizzi quel
processo di “ritorno” al mondo del lavoro (autonomo), di regole e principi di
originaria derivazione lavoristica, che erano nel frattempo transitati nel diritto
dei contratti “di seconda generazione”665.
cura di), Il mercato del lavoro, in M. PERSIANI. F. CARINCI (diretto da), Trattato di diritto del
lavoro, VI, Cedam, Padova, 2012, p. 1645 ss. 659 Sul significato del termine “dipendenza” nel contesto della l. 192/1998, v. infra, in questa
sezione, il § 4.3. 660 F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura, cit., p. 9. Sugli influssi della tradizione lavoristica
nell’evoluzione del diritto civile L. MENGONI, L’influenza del diritto del lavoro sul diritto civile,
in DLRI, 1990, p. 1 ss. 661 Ivi, p. 678, dove si rileva la «carica innovativa dirompente» della legge sulla subfornitura e
del divieto di abuso di dipendenza economica in particolare. 662 G. DE NOVA, La subfornitura, una legge grave, in Riv. Dir. Priv., 1998, p. 449. 663 Rileva l’analogia M. MARINELLI, La subfornitura, cit., p. 1654. 664 Ad opera dell’art. 5, comma 2, d.lgs. 25 novembre 2016, n. 219, in attuazione della delega
per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio. 665 Cfr. L. NOGLER, (Ri)scoprire le radici giuslavoristiche del 'nuovo' diritto civile, in EDP, 2013,
n. 4, p. 959 ss.; A. PERULLI, Il lungo viaggio del lavoro autonomo dal diritto dei contratti al
diritto del lavoro, e ritorno, cit., p. 251 ss.; P. ICHINO, Il percorso tortuoso del diritto del lavoro
tra emancipazione dal diritto civile e ritorno al diritto civile, in RIDL, 2012, I, p. 59 ss.
145
4.2. Il carattere sostanzialmente innovativo dell’espressa estensione ai
rapporti di lavoro autonomo del divieto di abuso di dipendenza
economica, nonostante la sua natura di norma “transtipica”
L’art. 9, l. 192/1998, originariamente destinato a trovare la propria
collocazione nel corpus della normativa antitrust666, sulla falsariga di quanto
avvenuto nell’ordinamento tedesco e francese667, vieta al primo comma «l’abuso
da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si
trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice».
Se l’applicabilità del divieto ai rapporti di lavoro autonomo «non
imprenditoriale» viene oggi esplicitamente prevista dal legislatore,
l’individuazione dell’ambito di applicazione della disposizione – e, in
particolare, il significato da attribuirsi ai termini «impresa cliente o fornitrice» –
ha rappresentato uno dei punti più controversi nella riflessione dottrinale e
giurisprudenziale sull’istituto.
Già all’indomani dell’introduzione della l. 192/1998 i primi commentatori
avevano intuito come la norma dovesse presentare un ambito applicativo ben più
esteso rispetto a quello delle altre disposizioni della legge sulla subfornitura668,
vuoi per argomenti di carattere letterale (in particolare, l’utilizzo dei termini
666 La disposizione doveva essere introdotta nel corpo della l. 10 ottobre 1990, n. 287, dopo l’art.
3, in tema di abuso di posizione dominante. Tuttavia, l’AGCM, con bollettino n. 25/1995
(reperibile in A. DE NICOLA, L. COLOMBO, La subfornitura nelle attività produttive. Il nuovo
contratto di subfornitura ex Legge 18 giugno 1998, n. 192. Disciplina civilistica e fiscale, Il Sole
24 Ore Norme & Tributi, Milano, 1998, Appendice, p. 162 ss.) aveva rilevato l’improprietà
dell’inserimento nella legge antitrust di una norma destinata a trovare applicazione anche a
prescindere dalla rilevanza concorrenziale dell’abuso. Sul rapporto tra dimensione civilistica e
dimensione antitrust nella genesi della norma v. L. DELLI PRISCOLI, L’abuso di dipendenza
economica nella nuova legge sulla subfornitura: rapporti con la disciplina delle clausole
abusive e con la legge antitrust, in Giur. comm., 1998, I, p. 833 ss.; V. PINTO, L’abuso di
dipendenza economica «fuori dal contratto» tra diritto civile e diritto antitrust, in Riv. dir. civ.,
2000, II, p. 390 ss. 667 Per una recente panoramica comparatistica sul rapporto tra le due anime del divieto, C.
DESOGUS, L’estensione della “regola di convergenza” europea alle norme nazionali sulle
condotte unilaterali, in Giur. Comm., 2014, n. 1, p. 133 ss. Sul punto, nella prospettiva del diritto
eurounitario, P. KËLLEZI, Abuse below the Treshold of Dominance? Market Power, Market
Dominance, and Abuse of Economic Dependence, in M. MACKENRODT ET AL. (eds.), Abuse of
Dominant Position: New Interpretation, New Enforcement Mechanisms?, Springer, Munich,
2008, p. 55 ss. 668 In tal senso, con diverse sfumature, D. MAFFEIS, Abuso di dipendenza economica, in G. DE
NOVA (a cura di), La subfornitura: legge 18 giugno 1998, n. 192, Ipsoa, Milano, 1998, p. 78; F.
PROSPERI, Subfornitura industriale, abuso di dipendenza economica e tutela del contraente
debole, in Rass. Dir. Civ., 1999, p. 665; G. NICOLINI, Subfornitura e attività produttive, Giuffrè,
Milano, 1999, p. 122; V. ROPPO, Il contratto, Giuffrè, Milano, 2001, p. 926; A. BARBA, L’abuso
di dipendenza economica: profili generali, in V. CUFFARO (a cura di), La subfornitura nelle
attività produttive, cit., p. 297.
146
“impresa cliente o fornitrice”, assenti nelle altre disposizioni della legge669), vuoi
soprattutto per ragioni di carattere sistematico, da rinvenire da un lato nella
genesi concorrenziale della norma670 e dall’altro nella la sua natura specificativa
della clausola generale di buona fede671. In tale prospettiva, d’altronde, era
possibile ricollegare il divieto ai principi internazionalmente riconosciuti in
materia di gross disparity672, di excessive benefit or unfair advantage673 e di
unfair exploitation674.
Rispetto alla lettura in chiave estensiva del divieto non erano tuttavia
mancate voci critiche675, le quali deducevano la necessità di un’interpretazione
quanto più restrittiva della norma, adducendo l’argomento, di carattere
topografico, della collocazione in una legge speciale, sia quello relativo al
carattere assolutamente eccezionale di una disposizione autorizzativa di un
inedito controllo giudiziale sull’assetto negoziale convenuto tra le parti.
Un orientamento intermedio, poi, sosteneva la possibilità di applicare il
divieto anche al di là dei rapporti individuati dall’art. 1, l. 192/1998, ma solo ove
assumesse rilievo un fenomeno di integrazione verticale676 analogo a quello che
669 In tal senso R. CASO, R. PARDOLESI, La nuova disciplina del contratto di subfornitura
(industriale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori?, in Riv. dir. priv., 1998,
p. 733, secondo cui il legislatore ha volutamente adoperato «espressioni in grado di comprendere
entità imprenditoriali che vanno dai franchisees agli stessi produttori finali dipendenti dalle c.d.
centrali d’acquisto». 670 F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura, cit., p. 268. 671 In tal senso C.M. BIANCA, Il contratto, 2° ed., Giuffrè, Milano, 2000, p. 405, secondo cui il
divieto in questione «appartiene quindi alla disciplina generale del contratto, in quanto pone un
limite di fondo all’autonomia privata. Esso segna un ulteriore, importante ingresso del principio
di buona fede nelle relazioni tra imprese». 672 Cfr. l’art. 3.2.7 dei principi Unidroit, che attribuisce rilievo alla circostanze che «the other
party has taken unfair advantage of the first party's dependence, economic distress or urgent
needs». Sul punto F. VOLPE, I principi Uidroit e l’eccessivo squilibrio del conenuto contrattuale
(gross disparity), in Riv. dir. priv., 1999, p. 66 ss. 673 Cfr. l’art. 4.109 dei PECL. 674 Cfr. l’art. II-7:207 del Draft Common Frame of Reference. 675 A. MUSSO, La subfornitura, in F. GALGANO, (a cura di), Commentario del codice civile
Scialoja-Branca, Zanichelli – Il Foro italiano, Bologna – Roma, 2003, p. 466, secondo cui se
pure «è indubbio, infatti, che la primitiva finalità di questo istituto fosse orientata senz’altro versa
siffatta finalità […] sembra pure indubbio che il suo definitivo mantenimento all’interno della
legge speciale sulla subfornitura nelle attività produttive – privo di alcun aggancio ad un
riferimento più ampio – imponga una conclusione assai più restrittiva rispetto all’interpretazione
dominante». In tal senso anche R. RINALDI, F.R. TURITTO, L’abuso di dipendenza economica, in
P. SPOSATO, M. COCCIA (a cura di), La disciplina del contratto di subfornitura nella l. n. 192 del
1998, Giappichelli, Torino, 1999, p. 121; A.P. SCARSO, Abuso di dipendenza economica,
autonomia contrattuale e diritto antitrust, in Resp. Civ. e Prev., 2008, I, p. 268. 676 In tal senso V. PINTO, L’abuso di dipendenza economica «fuori dal contratto», cit., p. 399,
che argomenta anche sulla base dei lavori preparatori della legge; R. NATOLI, L’abuso di
dipendenza economica. Il contratto e il mercato, Jovene, Napoli, 2004, p. 98. In giurisprudenza,
Trib. Forlì 27 ottobre 2010, in Foro it., 2011, I, c. 1578, con nota redazionale, che ha escluso
l’abuso poiché le due imprese operavano in settori merceologici diversi, e Trib. Roma 5 febbraio
2008, ivi, 2008, I, c. 2326, che ha escluso l’applicabilità del divieto al rapporto tra un’impresa e
147
si realizza nell’ambito della fornitura industriale, con particolare riferimento ai
rapporti di franchising677 e di concessione di vendita678.
Nonostante il carattere prevalente in dottrina dell’orientamento estensivo,
tuttavia, la giurisprudenza ha alquanto tentennato prima di riconoscere la
generale applicabilità del divieto a tutti i rapporti tra imprese679, secondo un
indirizzo che parrebbe essersi oggi definitivamente consolidato680, anche in virtù
dell’importante avallo delle Sezioni Unite681, le quali hanno affermato, sia pure
per obiter dicta, che «l’abuso configura una fattispecie di applicazione
generale», ancorché continuino a registrarsi tuttora voci contrarie in dottrina682
e in giurisprudenza683.
la banca finanziatrice. In senso esplicitamente contrario, F. PROSPERI, Il contratto di
subfornitura, cit., pag. 273, e E. CAPOBIANCO, L’abuso di dipendenza economica. Oltre la
subfornitura, in Conc. merc., 2012, p. 637. 677 Sulle declinazioni del divieto al franchising v. L. DELLI PRISCOLI, Franchising e tutela
dell’affiliato, Giuffrè, Milano 2000, p. 95 e segg. 678 Sui quali avrebbe poi avuto modo di pronunciarsi Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, cit.,
relativa al celebre caso Renault, che ha rappresentato il più significativo avallo giurisprudenziale
della teoria dell’abuso del diritto (supra). 679 Nel senso della generale applicabilità del divieto, v. la pronuncia pioniera di Trib. Bari 6
maggio 2002, in Foro It., 2002, n. 7-8, I, c. 2178, con note di A. PALMIERI, Rifiuto (tardivo) di
fornitura, vessazione del proponente ed eliminazione delle alternative: un caso limite di
dipendenza economica, e di.C. OSTI, Primo affondo dell'abuso di dipendenza economica (per un
caso di rivendita al dettaglio di capi di abbigliamento); Trib. Roma 5 novembre 2003, ivi, 2003,
I, c. 3439, con osservazioni di G. COLANGELO (per un caso di concessione di vendita); Trib.
Taranto 17 settembre 2003, ivi (per un caso di franchising); Trib. Catania 5 gennaio 2004, in
Danno e Resp., 2004, p. 426, con nota di A. PALMIERI (per una compravendita di prodotti ad uso
medicinale); Trib. Trieste 21 settembre 2006, in Foro It., 2006, I, c. 3513, con osservazioni di
G. COLANGELO e di A. PALMIERI (per un contratto di fornitura telefonica); Trib. Roma 30
novembre 2009, ivi, 2011, I, c. 256 (per un caso di appalto di servizi distributivi); Trib. Torino
12 marzo 2010, ivi, 2011, I, c. 271, con nota di A. PALMIERI, Abuso di dipendenza economica:
c’è ma non si vede (ancora per un rapporto di concessione di vendita); Trib. Vercelli 14 novembre
2014, ivi, 2015, I, c. 3344, con nota redazionale (per un rapporto di agenzia immobiliare); Trib.
Milano17 giugno 2016, ivi, 2016, I, c. 3636, con nota redazionale (per un rapporto intercorrente
tra il colosso informatico Google e una software house); Trib. Roma 24 gennaio 2017, in DeJure
(per un rapporto tra la RAI e una società di audio-descrizione). Nel senso dell’applicabilità del
divieto ai soli rapporti di fornitura, v. Trib. Bari 2 luglio 2002, in Foro it., 2002, I, c. 3207, con
nota di A. PALMIERI, Abuso di dipendenza economica: dal “caso limite” alla (drastica)
limitazione dei casi di applicazione del divieto?; Trib. Taranto 22 dicembre 2003, ivi, 2004, I, c.
262, con osservazioni di G. COLANGELO; Trib. Roma 17 marzo 2010, Trib. Roma 19 febbraio
2010, Trib. Roma 24 settembre 2009, Trib. Roma 5 maggio 2009, tutte ivi, 2011, I, c. 255 ss.,
con nota redazionale. 680 M. LIBERTINI, La responsabilità per abuso di dipendenza economica: la fattispecie, in Contr.
Impr., 2013, n. 1, p. 1 ss.; L. RENNA, L’abuso di dipendenza economica come fattispecie
transtipica, in Contr. Impr., 2013, n. 2, p. 370 ss. 681 Cass. Sez. Un. 25 novembre 2011, n. 24906, tra l’altro in Foro It., 2012, I, c. 805, nonché in
NGCC, 2012, I, p. 298, con nota di V.C. ROMANO, La natura della responsabilità da abuso di
dipendenza economica tra contratto, illecito aquiliano e culpa in contrahendo, secondo cui
«l’abuso configura una fattispecie di applicazione generale». 682 C. CASTRONOVO, Eclissi del diritto civile, Giuffrè, Milano, 2015, p. 105. 683 Trib. Milano 1 luglio 2015, in plusplus24diritto.ilsole24ore.
148
In tale contesto ancora magmatico, pertanto, non pare potersi dubitare
dell’effettiva portata innovatrice dell’estensione, operata dalla novella, del
divieto di abuso di dipendenza economica ai rapporti di lavoro autonomo «non
imprenditoriale»684.
La possibilità di applicare il divieto in questione anche a tali rapporti, infatti,
se pure era stata di recente persuasivamente sostenuta da una parte della
dottrina685, non aveva pressoché686 mai ottenuto consacrazione
giurisprudenziale; sicché si può affermare che, alla peggio, «la consacrazione
legislativa di questa tesi interpretativa rappresenta comunque un passo in
avanti»687.
Ciò tanto più se si considera che il nuovo Statuto si pone in senso negativo
rispetto alla possibilità di individuare spazi di sovrapposizione tra la nozione di
(piccola) impresa e quella di lavoro autonomo688 – non a caso ribattezzato «non
imprenditoriale» – alla luce dell’espressa esclusione dei piccoli imprenditori dal
novero dei beneficiari dello Statuto. In assenza di un’espressa disposizione di
rinvio quale quella di cui all’art. 3, comma 4, l. 81/2017, pertanto, parrebbe oggi
più difficile sostenere in via meramente interpretativa l’estensione ai lavoratori
autonomi di una norma pensata per disciplinare i rapporti tra imprese.
684 V. invece le perplessità di E. MINERVINI, L’equo compenso degli avvocati, cit., p. 10, e di A.
PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 185, secondo cui «l’efficacia transtipica della
disciplina in esame riduce, di conseguenza, la portata realmente innovativa della legge a tutela
del lavoro autonomo», ancorché lo stesso A. parrebbe avere parzialmente “addolcito”
l’obiezione critica (A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 36, ove si parla di un passo in
avanti). 685 Molto esplicitamente, E. CAPOBIANCO, L’abuso di dipendenza economica. Oltre la
subfornitura, cit., p. 640, secondo cui «non appare certo arduo ipotizzare che all'applicazione
della norma possano sottrarsi i piccoli imprenditori, gli imprenditori agricoli, o anche i
professionisti che si pongano in relazioni d'affari con l'impresa che eserciti una dominanza
economica». In tal senso, D. DEL BIONDO, L’abuso di dipendenza economica nei confronti di
lavoratori autonomi, in M.T. CARINCI, Dall’impresa a rete alle reti d’impresa, cit., p. 423; R.
CATALANO, Profili di convergenza tra “impresa” e “professionista”, in Rass. Dir. Civ., 2015,
n. 4, p. 1173. 686 V. infatti Trib. Napoli 19 gennaio 2011, in Assicurazioni, 2011, p. 684, con nota di E.
FERRANTE, Agente di assicurazione e recesso dell'impresa in una nuova prospettiva. Abuso di
dipendenza economica? Abuso del diritto?, che ha riconosciuto l’applicabilità del divieto in
questione anche al rapporto di agenzia (pur escludendo nel caso di specie la sussistenza
dell’abuso). Ma si è già visto che l’orientamento maggioritario tende a ricomprendere in ogni
caso i rapporti di agenzia nell’ambito dell’imprenditorialità (supra, § 2.2., spec. nt. 631). 687 Così A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 36. 688 Come si è avuto modo di vedere supra, Cap. II, § 5 ss.
149
4.3. Il carattere “economico-relazionale” della “dipendenza economica” di
cui all’art. 9, l. 192/1998: differenze e spazi di sovrapposizione con la
dipendenza “economico-reddituale” tipica del lavoro autonomo
“economicamente debole”
È ora possibile esaminare i presupposti di operatività della norma estesa ai
rapporti di lavoro autonomo, vale a dire gli elementi costitutivi della fattispecie
vietata, che la legge individua da un lato nella condizione di dipendenza
economica nella quale versa l’impresa “debole” e dall’altro nell’abuso che di
essa faccia l’impresa “forte”.
Il primo comma dell’art. 9 citato definisce la dipendenza economica come
«la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti
commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di
obblighi», e precisa che essa «è valutata tenendo conto anche della reale
possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative
soddisfacenti».
Il termine “dipendenza economica”, nell’ambito della l. 192/1998, assume
dunque un significato peculiare e parzialmente diverso rispetto a quello
solitamente adoperato quando ci si riferisce alla condizione di “dipendenza
economica” dei lavoratori autonomi689.
La “dipendenza economica” di cui all’art. 9 citato è infatti una situazione di
debolezza contrattuale che deriva dalla circostanza che – anche a prescindere
dall’eventuale regime di monocommittenza o di committenza prevalente – per
la natura dei rapporti intercorrenti tra due imprese, una possa costringere l’altra
a sopportare condizioni particolarmente svantaggiose.
Ciò che il legislatore intende tutelare è dunque non la debolezza “economico-
reddituale” dell’impresa “debole” in quanto tale, ma la posizione dell’impresa
esposta al rischio di ricatto per avere effettuato, al fine di portare avanti il
rapporto con un determinato partner commerciale, una serie di investimenti
specifici difficilmente riconvertibili (c.d. investimenti idiosincratici)690. In tale
689 Sui molteplici significati attribuibili al concetto di “dipendenza economica” e sulla sua
(ir)rilevanza discretiva in riferimento all’individuazione della fattispecie di cui all’art. 409, n. 3,
c.p.c., v. supra, Cap. II, § 4.2, dove si è visto che il termine tende a individuare dipendenza
reddituale del prestatore nei confronti di un committente principale, dal quale ricava un
determinata percentuale delle proprie entrate – il 75% dei propri redditi da lavoro nel caso del
TRADE spagnolo (art. 11, comma 1, Estatuto Estatuto del trabajo autónomo) ovvero l’80% nel
caso dell’abrogato art. 69-bis, d.lgs. 276/2003) – presentandosi quindi come elemento che vale
a distinguere il collaboratore “economicamente dipendente” dal professionista dotato di un
proprio portafoglio di clienti. Sull’accezione in termini quantitativi della dipendenza economica
in tali normative, O. RAZZOLINI, Lavoro economicamente dipendente e requisiti quantitativi nei
progetti di legge nazionali e nell’ordinamento spagnolo, in DLRI, 2011, p. 645 ss. 690 In tal senso, diffusamente, G. COLANGELO, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina
della concorrenza e diritto dei contratti. Un’analisi economica e comparata, Giappichelli,
Torino, 2004, p. 42 ss.; E. CAPOBIANCO, L’abuso di dipendenza economica. Oltre la
150
situazione, infatti, l’impresa “debole”, ormai vincolata all’investimento,
potrebbe essere disposta ad accettare condizioni ingiustificatamente gravose pur
di mantenere in vita il rapporto commerciale, vedendosi così esposta al rischio
di comportamenti opportunistici (hold-up) della controparte691.
Tale distinzione concettuale tra dipendenza “economico-relazionale”
dell’impresa “debole” e dipendenza “economico-reddituale” del lavoratore
autonomo, tuttavia, non deve condurre a svalutare i notevoli spazi di
sovrapposizione tra le due nozioni.
In primo luogo, anche l’investimento eminentemente personale effettuato dal
collaboratore, tanto più in caso di collaborazioni continuative, può avere natura
idiosincratica: il tempo e le energie lavorative profuse per acquisire il bagaglio
di conoscenze e di know-how necessari per coordinarsi con il ciclo produttivo
del committente rappresentano infatti investimenti spesso difficilmente
riconvertibili692. Sotto altro profilo, è evidente che la dipendenza reddituale di
una delle parti, in un rapporto di monocommittenza o di committenza prevalente,
rappresenta un vero e proprio “caso di scuola” di situazione nella quale la parte
“forte” può imporre condizioni eccessivamente squilibrate693.
Se così è, il requisito della “dipendenza economica” presupposto dall’art. 9
citato – su cui si sono affannati schiere di civilisti – potrebbe risultare
agevolmente dimostrabile in relazione alla generalità dei rapporti di lavoro
autonomo, soprattutto quelli a carattere continuativo, e probabilmente addirittura
da presumersi, quantomeno iuris tantum, nel caso di rapporti di lavoro autonomo
“economicamente dipendente” nel senso quantitativo già precisato.
4.4. Le fattispecie, tipizzate e non, dell’abuso vietato, con particolare
riferimento a quelle di interesse lavoristico
A essere vietata dalla disposizione in esame, tuttavia, non è la situazione di
superiorità economica dell’impresa “forte” in quanto tale, ma solamente
«l’abuso che di tale superiorità si fa»694.
subfornitura, cit., p. 632 ss. In giurisprudenza, v. Trib. Milano 16 febbraio 2012, in DeJure,
secondo cui il divieto ex art. 9, l. 192/1998, attiene a tutti i contratti di durata che conferiscono
veste giuridica ad operazioni economiche caratterizzate da investimenti specifici difficilmente
riconvertibili, effettuati sul presupposto della stabilità e remuneratività degli accordi negoziali. 691 In tal senso già R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Jovene, Napoli, 1979, p. 322 ss. 692 Osserva E. CAPOBIANCO, L’abuso di dipendenza economica. Oltre la subfornitura, cit., p.
640, che «è ben possibile, infatti, che anche un libero professionista abbia effettuato investimenti
specifici, difficilmente recuperabili e abbia difficoltà a riutilizzare gli stessi in usi alternativi o
subisca costi di commutazione che in concreto lo rendano ‘prigioniero’ dell'impresa stessa». 693 In tal senso G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 378,
secondo cui è ragionevole ipotizzare che «nel particolare contesto del lavoro autonomo, l’abuso
si faccia più probabile in situazioni di mono-committenza del prestatore». 694 Così L. RENNA, L’abuso di dipendenza economica, cit., p. 377.
151
Al contrario della nozione di “dipendenza economica”, della quale la legge
dà una definizione, quella di “abuso” non è definita dal legislatore, il quale si
limita a tipizzare, al secondo comma dell’art. 9 citato, una serie di condotte poste
in essere dalla controparte che “possono” realizzare l’abuso vietato. Esse sono
individuate nel rifiuto di vendere695, in quello di comprare696 – ipotesi di abuso
che tuttavia secondo una parte della dottrina non superano il filtro della
compatibilità in riferimento ai rapporti di lavoro autonomo697 –,
nell’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o
discriminatorie698, ovvero, ancora, nell’interruzione arbitraria delle relazioni
commerciali in atto699.
695 Ancora attuale la pronuncia pioniera di Trib. Bari 6 maggio 2002, cit., che ha ravvisato l’abuso
nel rifiuto, opposto da un marchio di moda, di vendere a una piccola boutique i capi da tempo
commissionati, come nel caso Rossignol, del 1975, in cui la Corte Federale tedesca aveva
riconosciuto una fattispecie di abuso nel rifiuto, da parte della famosa casa francese produttrice
di strumenti sportivi, di rifornire un piccolo rivenditore di prodotti molto richiesti dalla clientela
e difficilmente sostituibili. Su tale forma di abuso di dipendenza economica, denominata “da
assortimento”, v. P. KËLLEZI, Abuse below the Treshold of Dominance?, cit., p. 62. 696 Secondo Trib. Bassano del Grappa 2 maggio 2013, in Giur. Comm., 2015, n. 4, II, p. 774, con
nota di D. ARCIDIACONO, Abuso di dipendenza economica e mercato rilevante. Il caso della
delocalizzazione produttiva (p. 786 ss.) integra l’abuso la riduzione delle commesse in misura
più che proporzionale rispetto al calo delle vendite sul mercato di riferimento. 697 In tal senso G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 378,
nt. 24, secondo cui le due condotte tipizzate sono incompatibili perché presuppongono
un’obbligazione di dare e non di facere. Ad avviso di chi scrive, tuttavia, i termini “vendere” e
“comprare” ben possono essere interpretati in senso funzionale come equivalenti di “fornire” e
“ricevere”, sicché è ben possibile immaginare obbligazioni accessorie al rapporto (principale) di
lavoro autonomo rispetto alle quali si può ravvisare una piena compatibilità delle ipotesi di cui
all’art. 9, comma 2, l. 192/1998. Si pensi, ad esempio, al caso, presupposto d’altronde dall’art.
2223 c.c., in cui il committente si rifiuti di fornire la materia necessaria per l’esecuzione
dell’opus ovvero a quello in cui il committente rifiuti di accettare, ai sensi e per gli effetti dell’art.
2226 c.c., un’opera priva di vizi. 698 Trib. Massa 26 febbraio 2014 e Trib. Massa 15 maggio 2014, in NGCC, 2015, n. 3, pag. 218,
con nota di V. BACHELET, La clausola squilibrata è nulla per abuso di dipendenza economica e
il prezzo lo fa il giudice: note a margine di un caso pilota (p. 222 ss.) hanno ritenuto
“ingiustificatamente gravosa” la clausola di un rapporto di somministrazione di carburanti che
prevedeva che il prezzo sarebbe stato di volta in volta determinato dal gestore;
“ingiustificatamente gravosa” è stata ritenuta da Trib. Trieste 21 settembre 2006, cit., la
previsione, in un contratto di fornitura telefonica tra una società di call center e la compagnia
telefonica, dell’obbligo di rivolgersi solo a quest’ultima per effettuare lo spostamento
dell’impianto, senza possibilità di contrattare il prezzo dei lavori. 699 È intorno alla questione della legittimità del recesso esercitato ad nutum che si è sviluppata
la gran parte del contenzioso relativo al divieto di abuso di dipendenza economica. Inter alia, tra
le più recenti, v. Trib. Milano 17 giugno 2016, cit., e Trib. Catanzaro 30 aprile 2012, in Dir. Inf.
Inform., 2012, pag. 1174, con nota di G. ARANGUENA, Sospensione di un “account” su “ebay”:
il contratto telematico B2B tra accettazione “point and click” e tutela dell'accesso al mercato
del commercio elettronico; Trib. Messina 7 luglio 2010, in Dir. inf. inf., 2011, p. 118, con nota
di I.P. CIMINO, Sospensione dell'account di vendita nel marketplace di ebay, tutela del contratto
e della libertà di impresa nel commercio elettronico, in relazione a due casi di disattivazione
dell’account da parte della piattaforma di commercio elettronico eBay.
152
Il legislatore ha poi precisato che anche la violazione diffusa e reiterata della
disciplina in materia di ritardo nei pagamenti configura un abuso, peraltro anche
in assenza di una effettiva condizione di dipendenza economica (art. 9, comma
3-bis, l. 192/1998). Considerato che la disciplina in materia di ritardo nei
pagamenti di cui al d. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, è oggi esplicitamente estesa in
blocco ai compensi derivanti da attività di lavoro autonomo (art. 2, l. 81/2017)700,
in tema di ritardo nei pagamenti il lavoratore autonomo gode oggi, grazie al
gioco dei rinvii, di un duplice ordine di protezioni.
La giurisprudenza ha avuto modo di espandere ulteriormente il già ampio
ventaglio delle condotte abusive tipizzate dalla legge, considerando tali anche
comportamenti non espressamente previsti, come l’esercizio da parte del
concedente di vendita della facoltà di conferire incarico di concessione ad altra
impresa nello stesso territorio701, ovvero l’esercizio di forme di autotutela privata
consistenti nella trattenuta dei corrispettivi dovuti dal committente702.
Con riferimento alle ipotesi non tipizzate di abuso che potrebbero essere
commesse a danno dei lavoratori autonomi, la dottrina ha già ipotizzato che
potrebbe costituire un abuso il rifiuto, da parte del committente, di prestare il
proprio consenso, ai sensi e per gli effetti del nuovo art. 14, comma 2, l.
81/2017703, alla sostituzione della lavoratrice autonoma in maternità con altro
lavoratore autonomo di sua fiducia704, nonché la proposizione di comanda di
brevetto effettuata dal committente anticipando il lavoratore che, ai sensi del
nuovo art. 4, l. 81/2017705, sia l’unico titolare dei diritti sull’invenzione706.
Alle «condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose», la cui
imposizione potrebbe costituire un’ipotesi di abuso di dipendenza economica a
danno di alcune categorie di professionisti, parrebbero potersi ricondurre anche
alcune delle clausole “capestro” già denunciate dalle associazioni di categoria707
e oggi espressamente prese in considerazione dal nuovo art. 13bis, l. 242/2017:
come quelle che prevedono che nel caso il giudice liquidi all'avvocato una
somma a titolo di spese legali superiore a quella concordata in convenzione, la
somma eccedente venga incamerata dal committente; o quelle che impongono la
700 Infra 701 Trib. Torino 11 marzo 2010, cit., che ha, tuttavia, rigettato la domanda volta ad ottenere la
caducazione del secondo rapporto di concessione. 702 Trib. Milano 17 giugno 2016, cit. 703 Su cui infra, § 7.2. 704 Così G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 380. 705 Su cui infra, § 6. 706 In tal senso, sia pure senza riferimenti all’istituto in questione, S. D’ASCOLA, Gli apporti
originali e le invenzioni del lavoratore autonomo, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di),
Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 316 707 Cfr. CNF, Equo compenso, in consiglionazionaleforense.it, s.d.; M. CRISAFI, Avvocati in
fuga: in ottomila lasciano la toga. Sono “i nuovi poveri”, in altalex.it, 22 gennaio 2016.
153
gratuità della attività di consulenza e di assistenza accessorie a un mandato
principale.
Parimenti, potrebbero ritenersi abusive tutte le clausole e/o le condotte che
dovessero consentire al committente di recuperare una posizione di potere
organizzativo unilaterale circa le modalità di coordinamento della prestazione.
Si è infatti già avuto modo di evidenziare708 che, come rilevato da una parte della
dottrina, per salvare l’efficacia della regola in materia di collaborazioni etero-
organizzate sia necessaria un’interpretazione correttiva della norma: o nel senso
di ritenere che il «comune accordo» delle parti avente ad oggetto le modalità di
coordinamento della prestazione (art. 409, n. 3, c.p.c.) non possa spingersi sino
a definire obblighi di coordinamento spazio-temporale del prestatore709, o nel
senso di impedire che tale accordo possa pregiudicare la facoltà del prestatore di
variare unilateralmente le modalità di coordinamento in modo discrezionale710.
In questa prospettiva, il lavoratore formalmente autonomo che finisse per versare
in uno stato di etero-organizzazione potrebbe, oltre che agire per l’applicazione
della disciplina del lavoro subordinato, anche “difendere la propria autonomia”
– magari per evitare gli svantaggi della subordinazione (con particolare
riferimento agli obblighi di fedeltà) – e opporre l’inefficacia delle clausole che
pregiudicano la sua libertà di auto-organizzazione spazio-temporale della
prestazione.
Il legislatore ha poi precisato che configura un abuso, vietato peraltro a
prescindere dallo stato di dipendenza economica, anche la violazione diffusa e
reiterata della disciplina in materia di ritardo nei pagamenti di cui al d.lgs. 9
ottobre 2002, n. 231 (art. 9, comma 3-bis, l. n. 192 del 1998). Considerato che
anche tale disciplina viene estesa dalla novella ai rapporti di lavoro autonomo
(art. 2, l. 81/2017)711, in tema di ritardo nei pagamenti il prestatore d’opera gode
oggi, in ragione del gioco dei rinvii, di un duplice ordine di protezioni.
Particolarmente rilevante, nella prospettiva della declinazione lavoristica del
divieto, le ipotesi tipizzate di condotta abusiva consistenti nell’interruzione
arbitraria delle relazioni in atto – la quale si ricollega alla tutela in materia di
«congruo preavviso» in caso di recesso (art. 3, comma 1, l. 81/2017), su cui ci si
è già soffermati712 – nonché nell’imposizione di condizioni contrattuali
«ingiustificatamente gravose».
708 Supra, Cap. II, § 4.1.2. 709 Secondo la prospettiva di M. PALLINI, Gli incerti confini dell’ambito di applicazione dello
Statuto del lavoro autonomo, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo
Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 243, secondo cui i vincoli spazio-temporali circa le modalità
della esecuzione continuativa devono ritenersi indisponibili. 710 Secondo la diversa prospettiva di S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 481. 711 Sul punto v. infra, in questa sezione, il § 5. 712 Supra, § 3.2. In tema di recesso, dunque, oltre alla tutela consistente nel «congruo preavviso»,
il lavoratore gode anche, tramite il divieto di abuso di dipendenza economica, di una tutela
154
Quest’ultima, infatti, ha rappresentato una delle ipotesi più studiate dalla
dottrina civilistica713, la quale, sia pure con importanti eccezioni714, ha avuto
modo di rilevare come per tale via sia possibile estendere il sindacato giudiziale
sull’equilibrio negoziale fino a una verifica della congruità del corrispettivo
pattuito, atteso che l’abuso può anche concernere «l’eccessiva disparità
economica delle prestazioni imposte alla parte debole»715.
Abrogata, con tutta la disciplina del lavoro a progetto, anche la norma che
garantiva ai collaboratori coordinati e continuativi compensi in linea con i
minimi tabellari previsti per i lavori subordinati comparabili (art. 63, comma 2,
d.lgs. n. 276 del 2003), la garanzia di un “equo compenso” per i rapporti di lavoro
autonomo – che rappresenta probabilmente il “grande assente” dello Statuto716
– potrebbe oggi passare, ancorché tortuosamente717, per il tramite del divieto di
abuso di dipendenza economica718, soprattutto in riferimento a quelle
collaborazioni che hanno meritato l’attenzione delle cronache per l’esiguità del
corrispettivo719.
avverso il recesso abusivo, inteso appunto quale «interruzione arbitraria delle relazioni
commerciali in atto», rispetto alla quale si potrà inoltre fare tesoro degli insegnamenti
giurisprudenziali di cui alla citata Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, cit. 713 Lo rileva V. BACHELET, La clausola squilibrata è nulla per abuso di dipendenza economica
e il prezzo lo fa il giudice, cit., p. 223. 714 S. MAZZAMUTO, Note minime in materia di autonomia privata alla luce della Costituzione,
in EDP, 2005, p. 59, ove l’ammonimento secondo cui la valorizzazione dei canoni della
correttezza e della buona fede non vale a configurare «un principio generale di giustizia
contrattuale […] che si tradurrebbe nell’indiviudazione di limiti all’autonomia privata talmente
stringenti da sconfinare nel dirigismo di una politica dei prezzi». 715 Così F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura, cit., p. 307, il quale osserva come tale
conclusione sia pacifica nella giurisprudenza germanica. In tal senso già V. PINTO, L’abuso di
dipendenza economica «fuori dal contratto», cit., p. 389, e A. BARBA, L’abuso di dipendenza
economica, cit., p. 339. Nella giurisprudenza italiana v. Trib. Massa ord. 26 febbraio 2014 e ord.
15 maggio 2014, cit., che si sono spinte fino a stabilire una rimodulazione dell’ammontare del
corrispettivo. 716 In tal senso S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 493; A. PERULLI, Le tutele
civilistiche, cit., p. 42. 717 Di «spiraglio normativo» parla P.P. FERRARO, Le deleghe sulle professioni organizzate in
ordini e collegi e le proposte in discussione in materia di tariffe professionali, in G. ZILIO
GRANDI, M. BIASI, Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., spec. p. 341. 718 In tal direzione sembrerebbe porsi A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 187 s.,
secondo cui il divieto in questione «può riguardare anche l’adeguatezza del compenso. Di
conseguenza, potrà essere invocato l’intervento del giudice in funzione della ridefinizione
giudiziale dei termini dello scambio», da effettuarsi «sulla base di quanto previsto dall’art. 2225
c.c.». In tal senso anche P.P. FERRARO, Professioni intellettuali e abuso di dipendenza
economica, cit., p. 224, secondo cui «in conseguenza della nullità della clausola abusiva o
vessatoria […] il giudice dovrà stabilire il compenso dovuto al professionista in relazione alla
qualità e quantità della sua prestazione, facendo riferimento anzitutto alle tariffe professionali
vigenti e, in mancanza, agli usi, e in via ulteriormente gradata, determinandolo secondo equità». 719 Il riferimento è ai lavoratori della c.d. gig economy, su cui v. infra, Cap. IV, § 8.2. Nel senso
dell’opportunità della valorizzazione delle tutele civilistiche quali per l’appunto il divieto di
abuso di dipendenza economica, particolarmente utile nei casi, invero frequenti, in cui non sia
possibile addivenire ad una riqualificazione del rapporto di lavoro, P. TULLINI, C’è lavoro sul
155
4.5. I rimedi esperibili e la natura della responsabilità
Nella sua formulazione originaria, l’art. 9, comma 3, l. 192/1998, si limitava
a prevedere, quale unico rimedio esperibile per fronteggiare l’abuso, la sanzione
della nullità del «patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza
economica». In proposito, la dottrina non aveva dubitato che si trattasse di
un’ipotesi di nullità parziale (art. 1419 c.c.) della clausola contrattuale attributiva
della posizione di eccessivo vantaggio in capo al contraente “forte”, la cui
declaratoria non avrebbe dunque comportato la nullità dell’intero contratto720.
Era stato da subito osservato, tuttavia, come la norma non si opponesse a
forme di reazione diversa da parte della vittima dell’abuso – segnatamente, sotto
forma di pretese risarcitorie –, considerato che la comminatoria di nullità può
spesso risultare «del tutto ininfluente, nei casi in cui l’abuso non si incarni in atti
negoziali»721.
Sulla scorta di tale considerazione, con successive modifiche apportate
all’art. 9 citato722, è stato opportunamente previsto che tra le possibili azioni
volte alla repressione dell’abuso sono ricomprese anche le azioni inibitorie e
risarcitorie, a riconferma del fatto che, come la fattispecie dell’abuso è per sua
natura “aperta”, altrettanto “aperti” e teleologicamente orientati sono i rimedi
esperibili per la sua repressione, sulla falsariga di quanto avviene nel modello
processuale previsto dall’art. 28 St. lav.723, ovvero in materia di discriminazioni
(art. 28, d.lgs. 150/2011).
D’altronde, la tutela prevista dall’art. 9, l. 192/1998 può essere affidata
(come spesso accade nell’ambito del contenzioso in materia) allo strumento
web?, in L&LI, 2015, n. 1, p. 15, secondo cui «il complesso delle regole antiabuso dettate per il
regime della sub-fornitura potrebbe offrire indicazioni appropriate anche per i lavoratori del
web». In tal senso, nella prospettiva tedesca, W. DÄUBLER, T. KLEBE, Crowdwork: datore di
lavoro in fuga?, in DLRI, 2016, n. 3, spec. p. 489, nonché, se vuoi, G. CAVALLINI, The
Classification of Crowdwork and Work by Platforms: Alternatives and Implications, in E. ALES
ET AL. (eds.), Working in Digital and Smart Organizations. Legal, Economic and Organizational
Perspectives on the Digitalization of Labour Relations, Palgrave Macmillan, 2018, spec. p. 123
ss. 720 A. MAZZIOTTI DI CELSO, Abuso di dipendenza economica, in G. ALPA, A. CLARIZIA (a cura
di), La subfornitura. Commento alla legge 18 giugno 1998 n. 192, Giuffrè, Milano, 1999, p. 258,
che osserva come la caducazione dell’intero contratto vanificherebbe la ratio di tutela del
contraente debole insita nella norma. 721 A. PALMIERI, Abuso di dipendenza economica: dal «caso limite» alla (drastica) limitazione
dei casi di applicazione del divieto?, cit., c. 3209. 722 Ad opera dell’art. 11, comma 1, l. 5 marzo 2001, n. 57. 723 Rispetto al quale ricorda da ultimo M. FALSONE, Tecnica rimediale e art. 28 dello Statuto dei
lavoratori, in LD, 2017, n. 3/4, p. 572, che proprio tale natura «ha permesso di reprimere
comportamenti datoriali non altrimenti tipizzati da leggi ordinarie o da negozi vincolanti,
obliterando la tecnica della legislazione per fattispecie analitiche e avvicinandosi sensibilmente
alla (ma senza coincidere con la) tecnica rimediale del common law, fondata sul concetto di ‘cure
for wrongs’».
156
processuale del ricorso cautelare d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c.724,
nell’ambito del quale assumono particolare rilievo proprio i rimedi di carattere
inibitorio e/o costitutivi (a seconda che ci si trovi in un’ipotesi di interruzione
arbitraria delle relazioni commerciali ovvero di rifiuto di vendere e di comprare),
piuttosto che invalidatori725.
Ciò, peraltro, nonostante l’affermazione della natura contrattuale della
responsabilità del soggetto che abusa dell’altrui dipendenza economica726 – tale
da consentire l’accesso al rimedio costitutivo di cui all’art. 2932 c.c. – sia stata
oggetto di numerose critiche in dottrina (nel sostanziale disinteresse della
giurisprudenza) e non siano mancate ricostruzioni diverse, tese a configurare la
responsabilità in termini aquiliani727.
La responsabilità da abuso di dipendenza economica potrà poi assumere
natura extracontrattuale, nei casi in cui non sia dato ravvisare alcun pregresso
rapporto tra le parti728, ovvero precontrattuale, come nel caso del rifiuto di
contrarre con il new comer che si affacci per la prima volta sul mercato729. In
tale ultimo caso, il danneggiato potrà però accedere a rimedi esclusivamente
risarcitori, e la commisurazione del quantum debeatur dovrà essere effettuata
sulla base dell’interesse negativo (id quod interest contractum non fuisse), in
conformità ai principi generali730, così come dovrebbe avvenire per la condotta
abusiva consistente nel rifiuto da parte del committente di stipulare il contratto
in forma scritta, ove a tale diniego non faccia seguito la sottoscrizione731.
A seconda delle specificità del caso concreto, pertanto, sarà la parte che
reputa di essere stata vittima di un abuso di dipendenza economica a formulare i
petita che meglio rispondano alla sua repressione, eventualmente strutturati
secondo la tecnica delle domande alternative o subordinate.
724 V. VESSIA, Tutela cautelare d’urgenza, obblighi di contrarre e competenza giurisdizionale
nell’abuso di dipendenza economica, in Contr. Impr., 2013, n. 6, p. 1293 ss. 725 P.P. FERRARO, Professioni intellettuali e abuso di dipendenza economica, cit., p. 223. 726 In tal senso, molto esplicitamente, F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura, cit., p. 292 e 296;
F. CORAGGIO, Abuso di posizione dominante e obblighi legali di contrarre, in NGCC, 1997, II,
p. 188. Più di recente, L. RENNA, L’abuso di dipendenza economica, cit., p. 389. 727 R. CASO, R. PARDOLESI, La nuova disciplina del contratto di subfornitura, cit., p. 734; A.
MAZZIOTTI DI CELSO, Abuso di dipendenza economica, cit., p. 261; R. LECCESE, voce
Subfornitura, cit., p. 781, che reputa comunque ammissibile la sanzione dell’inibitoria. 728 V. PINTO, L’abuso di dipendenza economica «fuori dal contratto», cit., pag. 415; E. SCODITTI,
Danni da intesa anticoncorrenziale per una delle parti dell’accordo, in Foro It., 2002, IV, c. 87
ss. 729 Rileva l’importanza delle caratteristiche del caso concreto C. OSTI, Primo affondo dell’abuso
di dipendenza economica, cit., c. 2188 ss., spec. nt. 13 e 20. 730 G. AFFERNI, Buona fede e responsabilità nella formazione del contratto, in A. GAMBARO, U.
MORELLO (a cura di), Lezioni di diritto civile, cit., spec. 17 ss., A. TORRENTE, P. SCHLESINGER,
Manuale di diritto privato, 23° ed., Giuffrè, Milano, p. 551 s. 731 Supra, in questa sezione, il § 2.
157
4.6. Profili processuali, forma della domanda e giudice competente
Il terzo comma dell’art. 9, l. 192/1998, affida la cognizione delle azioni in
materia di abuso di dipendenza economica al «giudice ordinario competente»,
secondo le regole generali.
La natura ibrida del divieto in esame, a cavallo tra diritto dei contratti e diritto
della concorrenza, aveva ingenerato alcuni dubbi quanto all’individuazione del
giudice competente allorché la legge aveva attribuito alle sezioni specializzate
in materia di impresa le controversie aventi ad oggetto fattispecie di
“concorrenza sleale”732, nelle quali sembrava astrattamente potersi
ricomprendere anche l’ipotesi dell’abuso di dipendenza economica.
La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ha precisato, in sede di
regolamento di competenza, che allorché l’abuso lamentato non assuma rilievo
concorrenziale, non sussiste la competenza delle sezioni specializzate in materia
di impresa, ma quella del giudice civile ordinario, trattandosi di ipotesi di natura
estranea al concetto di «abuso di posizione dominante» previsto dalla normativa
antitrust (art. 3, l. 287/1990)733.
Ove tuttavia l’abuso del quale si chiede la repressione si proietti al di là del
singolo rapporto contrattuale in una superiore dimensione concorrenziale,
segnatamente per la natura e le dimensioni della parte convenuta ovvero per la
serialità dell’abuso medesimo, l’allegazione di un abuso di posizione dominante,
oltre che di dipendenza economica, è sufficiente a radicare la competenza delle
sezioni specializzate per tutte le domande proposte734.
Se dunque, fuori dei casi in cui l’abuso realizzi anche un illecito
concorrenziale, le controversie in materia di abuso di dipendenza economica
promosse da imprese sono di competenza del giudice civile ordinario, per quanto
concerne i lavoratori autonomi è necessario effettuare un distinguo.
Nel testo definitivo dello Statuto del lavoro autonomo, infatti, non ha trovato
ingresso, con il rammarico delle associazioni di categoria dei lavoratori
autonomi735, e di parte della dottrina736, quella disposizione, prevista dalla bozza
originaria del disegno di legge737, che avrebbe assoggettato le controversie
aventi ad oggetto tutti i rapporti di lavoro autonomo «non imprenditoriale» alla
competenza del giudice del lavoro.
732 Art. 3, d. lgs. 27 giugno 2003, n. 168. 733 Cass., sez. IV, 4 novembre 2015, n. 22584, in DeJure. 734 In tal senso, molto esplicitamente, Trib. Milano 17 giugno 2016, cit., c. 3638. Nel caso in cui
l’abuso abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, inoltre, il comma 3-bis
dell’art. 9 in esame – che recupera l’afflato concorrenziale originario della norma – affida
all’AGCM il potere di procedere a diffide e sanzioni. 735 A. SORU, Lo Statuto del lavoro autonomo è legge!, cit., nt. 2. 736 P.P. FERRARO, Professioni intellettuali e abuso di dipendenza economica, cit., p. 229. 737 V. l’art. 12 della bozza preliminare del disegno di legge.
158
Ne deriva che solo i titolari di collaborazione coordinata e continuativa
potranno avvalersi del rito del lavoro, ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c.738, mentre
gli altri lavoratori autonomi dovranno invece rivolgersi al giudice civile
ordinario competente secondo le regole generali (art. 18 e ss. c.p.c.), ferma
restando per gli uni e per gli altri la possibilità di rivolgersi al giudice competente
con ricorso cautelare d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c., che si è già visto
rappresentare lo strumento principe per fronteggiare celermente l’abuso in
questione739.
4.7. Una chiosa finale sulle potenzialità insite nell’estensione del divieto di
abuso di dipendenza economica ai rapporti di lavoro autonomo «non
imprenditoriale»
Con l’introduzione nel nostro ordinamento del divieto di abuso di
dipendenza economica, il legislatore del 1998 aveva attribuito al giudice un fino
ad allora inedito potere di sindacato sul sinallagma negoziale, da effettuarsi per
giunta sulla base di (una serie di) clausole generali e aperte740 – «abuso»,
«eccessivo squilibrio», condizioni «ingiustificatamente gravose», interruzione
«arbitraria» – che come tali demandano all’interprete la loro specificazione nella
realtà sociale, secondo una tecnica già adoperata ampiamente nella legislazione
lavoristica dei decenni precedenti741, dove le clausole generali hanno consentito
«un’apertura verso le nuove esigenze di una società in trasformazione […] e […]
l’ingresso nel sistema giuridico di contenuti meta giuridici»742, ma oggi da tempo
in via di sostanziale estinzione743.
In tale prospettiva, il recupero, nello Statuto del lavoro autonomo, di una
norma aperta e teleologicamente orientata al perseguimento della «giustizia
contrattuale» – concetto invero sfuggente, ma comunque munito di una sua
giuridicità744 – potrebbe costituire un valido punto di partenza per la costruzione
738 Con il vantaggio, tra l’altro, di poter adire il giudice nella cui circoscrizione si trova il proprio
domicilio (art. 413, comma 4, c.p.c.). 739 Supra, nt. 724. 740 G. DE NOVA, Una legge grave, cit., p. 449. 741 Per tutti, AIDLASS, Clausole generali e diritto del lavoro. Atti delle Giornate di Studio di
Diritto del Lavoro. Roma, 29-30 maggio 2014, Giuffrè, Milano, 2015. 742 G. LOY, Diritto del lavoro e nozioni a contenuto variabile, ivi, p. 6. 743 Si allude, solo per fare alcuni esempi, all’abbandono del sistema della causali giustificative
nell’ambito dei contratti di lavoro non standard, al depotenziamento del giudizio di
proporzionalità ai fini dell’applicazione della tutela reintegratoria nei licenziamenti disciplinari,
alla commisurazione in termini rigidamente aritmetici della severence pay in caso di
licenziamento illegittimo. 744 Sul tema, oggetto di un’ampia letteratura, v. inter alia, AA.VV., Il diritto europeo e la
«giustizia contrattuale», cit; V. CALDERAI, voce Giustizia contrattuale, in ED Annali, VII,
Giuffrè, Milano, 2014, p. 447 ss.; G. SMORTO, La giustizia contrattuale. Contributo alla
definizione di un concetto, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 2008, n. 1, p. 219
159
di un sistema di tutele del lavoro autonomo di fonte giurisprudenziale, ad
integrazione e specificazione delle previsioni del nuovo Statuto745, nell’ottica di
una lettura di quest’ultimo che voglia scorgere in esso la “testa” di un nuovo
diritto del lavoro746.
5. L’estensione della disciplina in materia di ritardi di pagamento
Se in riferimento all’estensione al mondo del lavoro autonomo del divieto di
abuso di dipendenza economica la consacrazione legislativa degli orientamenti
estensivi già maturati da una parte della giurisprudenza assume tratti di
innovatività, lo stesso non pare potersi dire per la previsione contenuta nell’art.
2, l. 81/2017, che estende “in blocco” «alle transazioni commerciali tra lavoratori
autonomi e imprese, tra lavoratori autonomi e amministrazioni pubbliche […] o
tra lavoratori autonomi» le disposizioni del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, in
materia di «lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali»747.
Tale disciplina, infatti, attuativa come noto della direttiva 29 giugno 2000, n.
2000/35/CE748, non ha mai distinto tra creditori commerciali imprenditori e non
imprenditori, conformemente alla ratio, efficacemente definita di
«moralizzazione» dei rapporti commerciali749, di impedire che il ritardo nel
ss. Per una rassegna delle concretizzazioni giurisprudenziali delle istanze sottese al concetto, G.
CHIODI (a cura di), La giustizia contrattuale: itinerari della giurisprudenza italiana tra otto e
novecento, Giuffré, Milano, 2009; V. ROPPO, Giustizia contrattuale e libertà economiche: verso
una revisione della teoria del contratto?, in Pol. dir., 2007, p. 451 ss. In una prospettiva attenta
alle interferenze tra la dimensione civilistica e quella lavoristica, si vedano i saggi raccolti in
DLM, 2017, n. 2. 745 In tal senso si veda l’invito di A. SORU, Lo statuto del lavoro autonomo è legge!, cit., la quale
ricorda – ai suoi associati, ma anche agli interpreti – che «questo articolo può aprire nuovi spazi
di protezione per il futuro, in quanto potranno essere individuate nuove fattispecie di clausole
abusive», e che comunque «certo le tutele offerte dagli articoli 2 e 3 dovranno anche essere
conquistate sul campo». 746 Sulla falsariga della questione proposta da G. ZILIO GRANDI, M. BIASI, Introduzione, cit., p.
3. In senso decisamente contrario alla possibilità di valorizzare il rimedio in questione nel mondo
del lavoro autonomo, sia pure prima dell’estensione operata dallo Statuto, v. tuttavia G.
FERRARO, Collaborazioni organizzate dal committente, in RIDL, 2016, n. 1, I, p. 75, secondo cui
la disciplina sulla subfornitura «si è rivelata a conti fatti del tutto pretenziosa e sostanzialmente
inoperativa almeno alla luce del contenzioso giudiziale in materia che dopo circa 15 anni risulta
assolutamente marginale». Una considerazione dalla quale, tuttavia, ci si sente di dissentire,
quantomeno per quanto concerne la marginalità del contenzioso, che si è invece visto essere stato
piuttosto consistente e significativo (basti vedere le pronunce citate supra, § 4.2 e 4.4) 747 Sull’estensione in questione, in generale, A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 30 ss.; M.
MATTIONI, La tutela del lavoro autonomo, cit., 265 ss.; 748 Sulla direttiva e sulla sua attuazione, almento, L. MENGONI, La direttiva 2000/35/CE in tema
di mora debendi nelle obbligazioni pecuniarie, in EDP, 2001, p. 73 ss.; P. MENGOZZI, I ritardi
di pagamento nelle transazioni commerciali. L’interpretazione delle norme nazionali di
attuazione delle direttive comunitarie, Cedam, Padova, 2007; G. DE CRISTOFARO (a cura di), La
disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in NLCC, 2004, p. 461 ss. 749 L. MENGONI, La direttiva 2000/35/CE, cit., p. 74.
160
pagamento possa risultare un’alternativa «resa finanziariamente attraente per i
debitori […] per i bassi livelli dei tassi degli interessi di mora e/o dalla lentezza
delle procedure di recupero»750.
Anzi, la stessa direttiva, all’art. 2, comma 1, n. 3, fornisce una nozione
funzionale di impresa comprendente «ogni soggetto esercente un’attività
economica organizzata o una libera professione» precisando che l’attività
economica organizzata è tale «anche se svolta da una sola persona». Sebbene
quest’ultima precisazione non sia stata trasposta nel decreto attuativo, non si può
dubitare, anche in forza della necessaria interpretazione conforme al dettato del
diritto eurounitario, che i lavoratori autonomi rientrassero già pacificamente
nell’ambito di applicazione ratione personae della disciplina in questione751,
nella quale è quindi dato registrare il già accennato processo di convergenza tra
le nozioni di lavoratore autonomo e di piccolo imprenditore752, sicché pare
legittimo revocare in dubbio l’effettiva portata innovativa dell’estensione
operata dall’art. 2, l. 81/2017753, così come della previsione della vessatorietà
della relativa clausola, introdotta nel nuovo art. 13bis, comma 5, lett. f), l.
247/2012.
Quanto alla disciplina, sulla quale non pare necessario dilungarsi – tanto più
considerato che essa, come è stato osservato, risponde più a una logica
concorrenziale e di salvaguardia della competitività delle imprese (ancorché non
le siano aliene preoccupazioni di carattere occupazionale754), che non a una ratio
di tutela del contraente debole in quanto tale755 – basterà rilevare, rinviando ad
altre ben più approfondite trattazioni756, che essa si basa essenzialmente sulla
previsione di termini di pagamento rapidi (di regola trenta giorni: art. 4, comma
2, d.lgs. 231/2003), presidiati dalla sanzione della nullità dei patti contrari (art.
4, comma 3, ma la disposizione viene rafforzata dalla patente di abusività
attribuita ai patti contrari dall’art. 3, comma 1, l. 81/2017) e, soprattutto, dalla
previsione di pesanti interessi moratori, che ai sensi del combinato disposto
750 Così il considerando n. 16 della direttiva. 751 S. BOLOGNINI, Artt. 1-2, in G. DE CRISTOFARO (a cura di), La disciplina dei ritardi di
pagamento nelle transazioni commerciali, cit., p. 471; E. RUSSO, Imprenditore debole,
imprenditore-persona, abuso di dipendenza economica, “terzo contratto”, in Contr. Impr.,
2009, p. 126; U. SCOTTI, Aspetti di diritto sostanziale del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, in Giur.
mer., 2003, p. 610. 752 Supra, Cap. II, § 5. 753 Molto esplicitamente A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit. p. 31, che parla di «una norma
praticamente inutile». In tal senso anche M. MATTIONI, La tutela del lavoro autonomo, cit., p.
266 s. 754 Cfr. il considerando n. 7 della direttiva, secondo cui «i periodi di pagamento eccessivi e i
ritardi di pagamento […] costituiscono una tra le principali cause d'insolvenza e determinano la
perdita di numerosi posti di lavoro». 755 A. PERULLI, Le tutele civilistiche, cit., p. 30. 756 G. DE CRISTOFARO (a cura di), La disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni
commerciali, cit.; P. MENGOZZI, I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, cit.
161
dell’art. 5 e dell’art. 2, comma 1, lett. d), sono determinati nella misura del tasso
di riferimento ministeriale maggiorato di otto punti percentuali.
6. La tutela degli apporti originali e delle invenzioni del lavoratore
autonomo
Un analogo giudizio di “sostanziale non innovatività” parrebbe potersi
esprimere, sia pure con alcune riserve, in riferimento alla previsione di cui all’art.
4, l. 81/2017, a mente della quale «salvo il caso in cui l'attività inventiva sia
prevista come oggetto del contratto di lavoro e a tale scopo compensata, i diritti
di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e a invenzioni realizzati
nell'esecuzione del contratto stesso spettano al lavoratore autonomo», secondo
le previsioni di cui alla legge sul diritto d’autore (l. 22 aprile 1941, n. 633) e al
codice della proprietà industriale (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30) 757.
La norma sembrerebbe infatti limitarsi, come già d’altronde l’art. 65, d.lgs.
276/2003, in materia di invenzioni del collaboratore a progetto758, ad adeguare
alle specificità del lavoro autonomo le regole che presiedono all’allocazione dei
diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno nel campo del lavoro subordinato.
In tale ambito, il codice della proprietà industriale (art. 64) distingue tra le
invenzioni di servizio, le invenzioni d’azienda e le invenzioni libere o
occasionali759, a seconda che l’invenzione sia fatta nel «nell'esecuzione o
nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui
l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale
scopo retribuita»760, ovvero sia fatta «nell'esecuzione o nell'adempimento di un
contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego» nel caso in cui «non è prevista
757 Sulla previsione e, in particolare, sul suo carattere non innovativo, M. MARTONE, Gli apporti
originali e le invenzioni del lavoratore autonomo, in L. FIORILLO, A PERULLI (a cura di), Il jobs
act del lavoro autonomo, cit., p. 43 ss., secondo cui si tratta di una disciplina «che, a ben vedere,
era già stata delineata sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza» (p. 44); S. D’ASCOLA, Gli
apporti originali e le invenzioni del lavoratore autonomo, cit., p. 301 ss., secondo cui, invece, la
disposizione ha «una sua, pur modesta, utilità» (p. 312 s.). Nel senso che la disposizione è «non
particolarmente utile e innovativa», A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 191. 758 A. PALLADINI, S. VISONÀ, V. VALENTINI, Il lavoro parasubordinato o a progetto, in M.
PERSIANI (diretto da), I nuovi contratti di lavoro, Utet-Wolters Kluwer, Assago, 2010, p. 205 s.;
M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, cit., p. 206 ss. 759 Su tale distinzione, S.P. EMILIANI, Invenzioni di servizio e invenzioni di azienda, in ADL,
2006, n. 6, p. 1578 ss. Sulla disciplina delle invenzioni del lavoratore subordinato, che non è
possibile approfondire ulteriormente in questa sede, v. per tutti, M. MARTONE, Contratto di
lavoro e beni immateriali, Cedam, Padova, 2002; G. PELLACANI, La tutela delle creazioni
intellettuali nel rapporto di lavoro, Giappichelli, Torino, 1999; G. AMOROSO, voce Invenzioni
del prestatore di lavoro, in ED, Aggiornamento, II, Giuffrè, Milano, 1998, p. 447 ss. 760 Nel qual caso spetterà al lavoratore solo la paternità dell’invenzione: art. 64, comma 1, d.lgs.
30/2005; art. 2590 c.c.
162
e stabilita una retribuzione, in compenso dell'attività inventiva761, ovvero,
ancora, sia fatta al di fuori di entrambi i casi precedenti762.
Se tale è la tripartizione che opera in riferimento al rapporto di lavoro
subordinato, vi è chi ha evidenziato che la novella, in riferimento ai rapporti di
lavoro autonomo, effettua invece una polarizzazione763, distinguendo (solo) tra i
casi in cui «l'attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto di lavoro
e a tale scopo compensata» e quelli in cui non essa non lo sia.
In riferimento a quest’ultima ipotesi (rispetto alla quale possiamo ancora
continuare a parlare di invenzioni “libere” o “occasionali”, nella consapevolezza
di un utilizzo in senso più ampio rispetto a quello di cui all’art. 64, comma 3,
d.lgs. 30/2005), peraltro, pare necessario chiedersi se possa applicarsi per
analogia la norma che attribuisce al datore di lavoro un diritto di opzione per
l’uso della stessa o per l’acquisto del brevetto (art. 64, comma 3, d.lgs. 30/2005).
In tema, una parte della dottrina si è posta, sia pure cautamente, in senso
positivo rispetto all’applicazione analogica delle disposizioni dettate per il
lavoro subordinato, valorizzando «il riavvicinamento tra le discipline
dell’autonomia e della subordinazione in tema di invenzioni, operato dall’art. 4»,
nonché «la volontà del legislatore di estendere al prestatore d’opera alcune delle
tutele tipiche del lavoratore dipendente, che innerva l’intero provvedimento
normativo»764.
Sennonché, a tale conclusione parrebbe ostare sia la diversa lettura circa
l’inquadramento sistematico delle tutele contrattuali del nuovo Statuto (che
come si è visto, segnano piuttosto un deciso allontanamento dal diritto del lavoro
e un avvicinamento al diritto dei contratti765, decretando inoltre
un’accentuazione del binomio autonomia-subordinazione766), sia l’obiezione
che il diritto di opzione previsto dall’art. 64, comma 3, del codice della proprietà
intellettuale non rappresenta affatto una “tutela” per l’inventore, posto che limita
il suo potere di disposizione sull’invenzione creata.
Il tema, peraltro, è strettamente connesso a quello che si poneva – e
plausibilmente, mutatis mutandis, potrebbe porsi ancora, peraltro con sempre
761 Nel qual caso spetterà al lavoratore anche un «equo premio»: art. 64, comma 2, d.lgs. 30/2005. 762 Nel qual caso ogni diritto spetterà al lavoratore, salvo il diritto di opzione attribuito al datore
di lavoro nel caso in cui si tratti di invenzione industriale che rientra nel suo campo di attività»:
art. 64, comma 3, d.lgs. 30/2005. 763 Così S. D’ASCOLA, Gli apporti originali e le invenzioni, cit., p. 313, secondo cui «l’art. 4 pare
escludere la fattispecie delle invenzioni d’azienda dalla galassia del lavoro autonomo». 764 È la conclusione raggiunta ivi, p. 315. 765 Sulla falsariga del menzionato indirizzo di fondo «meno diritto del lavoro, più diritto dei
contratti» (A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 181). Sul punto supra, § 1. 766 Secondo la lettura che si è visto essere prevalente supra, Cap. II, § 2.
163
maggiore prepotenza767 – in riferimento alla portata del puntuale rinvio operato
dall’art. 65, d.lgs. 276/2003 all’art. 12-bis della legge sul diritto d’autore768, che
prevede tuttora che «salvo patto contrario, il datore di lavoro è titolare del diritto
esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della
banca di dati creati dal lavoratore dipendente nell'esecuzione delle sue mansioni
o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro».
In proposito, la dottrina non aveva mancato di evidenziare come
l’applicabilità della disposizione presupponesse richiedesse la ricorrenza della
ratio di fondo dell’attribuzione al datore di lavoro dei diritti di utilizzazione sulla
creazione intellettuale769, da rinvenirsi, secondo l’assunto tradizionale, nella
circostanza che essa sia stata raggiunta anche grazie agli strumenti messi a
disposizione dal datore di lavoro770.
Alla luce di tali considerazioni, se il tenore testuale dell’art. 4, l. 81/2017,
parrebbe escludere ogni possibilità di applicare al lavoro autonomo (ovviamente
in caso di creazioni “libere”) l’art. 12-bis, l. 633/1941, contrariamente a quanto
avveniva nella disciplina del lavoro a progetto, quella di applicare per analogia
la previsione di cui all’art. 64, comma 3, d.lgs. 30/2005, in materia di diritto di
opzione sulle invenzioni “libere” potrebbe ammettersi con estrema cautela, nei
soli casi in cui l’invenzione o la creazione intellettuale sia stata raggiunta dal
prestatore d’opera con l’apporto determinante degli strumenti messi a
disposizione da parte del committente, circostanza che sarà plausibilmente più
frequente in caso di collaborazione coordinata e continuativa rispetto ai casi di
lavoro autonomo “puro”.
7. La tutela della stabilità del rapporto: possibilità di sospensione e di
sostituzione soggettiva
Al nucleo della “tutela contrattuale” del lavoro autonomo parrebbero potersi
ricondurre anche le previsioni che prevedono ipotesi di sospensione del rapporto
(art. 14, comma 1, l. 81/2017) e di sostituzione soggettiva del prestatore (art. 14,
comma 2)771.
767 Alla luce della notevole diffusione dei fenomeni di esternalizzazione, anche mediante
collaborazione autonoma, delle attività di sviluppo software, che ricadono nell’ambito di
applicazione della legge sul diritto d’autore. 768 Sul punto, V. PINTO, La categoria giuridica delle collaborazioni coordinate e continuative e
il lavoro a progetto, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 34/2005, p. 51 ss. 769 A. PALLADINI, S. VISONÀ, V. VALENTINI, Il lavoro parasubordinato o a progetto, cit., p. 207
s. 770 G. AMOROSO, voce Invenzioni, cit., p. 447. 771 In tal senso sembrerebbe porsi G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non
imprenditoriale, cit., p. 379, che riconduce tali previsioni all’ambito delle «tutele nel rapporto».
164
Con ciò, peraltro, può apprezzarsi come il legislatore abbia inteso tutelare la
posizione del lavoratore, e soprattutto della lavoratrice, autonomi, a fronte di
eventi che possono generare un’impossibilità temporanea della prestazione
(malattia, infortunio, gravidanza), non solo attraverso i meccanismi propri della
tutela previdenziale, ma intervenendo altresì con una disciplina dedicata al
rapporto di lavoro772.
7.1. Le ipotesi di sospensione del rapporto («salvo il venir meno
dell’interesse del committente»)
Le ipotesi di sospensione del rapporto sono previste dall’art. 14, comma 1,
dello Statuto, a mente del quale «la gravidanza, la malattia e l’infortunio dei
lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il
committente non comportano l’estinzione del rapporto di lavoro, la cui
esecuzione, su richiesta del lavoratore, rimane sospesa, senza diritto al
corrispettivo, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno
solare, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente»773.
La norma, che ricalca, pur differenziandosene significativamente, l’omologa
previsione già prevista per il lavoro a progetto (art. 66, d.lgs. 276/2003)774, la cui
estensione oltre i confini della parasubordinazione era stata auspicata anche nella
vigenza del decreto Biagi775, solleva alcuni interrogativi quanto al suo ambito di
applicazione e presenta alcuni profili che potrebbero minarne l’efficacia.
In primo luogo, il riferimento al requisito della continuità, ma non a quello
della coordinazione, lascerebbe supporre che la platea dei destinatari non possa
essere ristretta ai soli titolari di collaborazione coordinata e continuativa ai sensi
dell’art. 409, n. 3, ma debba estendersi a quel cerchio concentrico – intermedio
tra questi ultimi e i lavoratori autonomi “puri” – che connota i lavoratori
772 M.L. VALLAURI, Tutela della salute e sostegno alla genitorialità, in L. FIORILLO, A. PERULLI
(a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 126, che sottolinea che prima della l. 81/2017
il sistema di tutele della genitorialità «è andato costruendosi principalmente intorno alla
posizione previdenziale di tali soggetti mentre sono rimaste relegate […] le disposizioni dedicate
agli effetti della maternità o della paternità sul rapporto di lavoro». Sul punto v. anche R. NUNIN,
Diritti e tutele per i genitori liberi professionisti e lavoratori autonomi, in D. GOTTARDI (a cura
di), La conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, Giappichelli, Torino, 2016, p.
109 ss. 773 Sulla previsione, in generale, v. M.L. VALLAURI, Tutela della salute e sostegno alla
genitorialità, cit., p. 126 ss.; R. NUNIN, La tutela della gravidanza e la sospensione in ipotesi di
maternità, malattia e infortunio, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve
allo statuto del lavoro autonomo, cit., spec. p. 416 ss.; 774 Su cui, tra gli altri, A. BELLAVISTA, Altri diritti del collaboratore a progetto, in E. GRAGNOLI,
A. PERULLI, (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali, Cedam,
Padova, 2004, p. 771 ss.; V. PINTO, La categoria giuridica delle collaborazioni coordinate, cit.
p. 53 ss. 775 G. SANTORO PASSARELLI, voce Lavoro Autonomo (2012), cit., p. 748.
165
autonomi (solo) “continuativi”776, similmente del resto a quanto avviene in
relazione alla disciplina in materia di recesso777, al cui esame si rinvia anche per
dissipare i dubbi relativi alla conciliabilità dello schema della locatio operis con
i rapporti di durata.
Peraltro, in riferimento a tale ultimo profilo, merita segnalare che l’assenza,
nelle disposizioni in materia di tutela in caso di malattia, infortunio e gravidanza
di una previsione in materia di proroga del contratto analoga a quella già
contenuta nell’art. 66, d.lgs. 276/2003, si spiega proprio con il fatto che con
l’abrogazione della disciplina vincolistica del progetto le collaborazioni
continuative non sono più necessariamente a termine, ancorché la regola della
proroga avrebbe potuto essere utilmente riproposta in tutti i casi in cui al rapporto
di lavoro autonomo venga apposto un termine finale778.
Problematica, tuttavia, è soprattutto la clausola di riserva779 che esclude la
sospensione nel caso in cui essa determini «il venir meno dell’interesse del
committente».
Da un lato, come è stato osservato, pare che essa si presti a consentire un
significativo svuotamento del beneficio della sospensione, posto che sembra
davvero difficile che il lavoratore possa realisticamente sindacare la
determinazione del committente che affermi di non avere più interesse alla
permanenza del vincolo780.
Dall’altro, il riferimento al «venir meno dell’interesse del committente»
riecheggia la disciplina generale dell’impossibilità parziale della prestazione
(art. 1464 c.c.), la quale consente, in caso di impossibilità parziale della
prestazione debitoria, il recesso del creditore che «non abbia un interesse
apprezzabile all’adempimento parziale». Se dal confronto con la disciplina
generale potrebbe evincersi a prima vista che il legislatore abbia previsto
implicitamente una nuova ipotesi legale di recesso, ad avviso di chi scrive è
possibile sostenere una lettura diversa.
Dal punto di vista letterale, il «venir meno dell’interesse del committente»
ben può essere interpretato non come un limite all’operatività della regola per
cui la malattia, l’infortunio e la gravidanza «non comportano l’estinzione del
rapporto di lavoro» (art. 14, comma 1, l. 81/2017), ma solo una (l’unica)
legittima eccezione che il committente può opporre al lavoratore che faccia
776 M.L. VALLAURI, Tutela della salute e sostegno alla genitorialità, cit., p. 128, anche per
l’esemplificazione pratica della figura del graphic designer; S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro
autonomo, cit., p. 488. 777 Supra. § 3.2. 778 M.L. VALLAURI, Tutela della salute e sostegno alla genitorialità, cit., p. 131. 779 Che non compariva nella bozza originaria del ddl, come rilevato da S. GIUBBONI, Il Jobs act
del lavoro autonomo, cit., p. 487, nt. 37. 780 R. NUNIN, La tutela della gravidanza e la sospensione, cit. p. 416 s., secondo cui «si continua
a consentire al committente di risolvere sostanzialmente a proprio piacimento il contratto».
166
richiesta di fruire della sospensione «senza diritto al corrispettivo, per un periodo
non superiore a centocinquanta giorni per anno solare». Nel caso in cui l’evento
considerato determini un’impossibilità totale della prestazione, il lavoratore
potrà dunque vedersi rifiutata la sospensione solo per un effettivo «venir meno
dell’interesse del committente»; in caso di impossibilità parziale, invece, si
potrebbe comunque ipotizzare anche l’applicabilità dell’art. 1464 c.c., con la
conseguenza di consentire al prestatore di ottenere una ridefinizione della
prestazione, con conseguente diminuzione del compenso dovuto dal
committente, il quale potrà opporre l’insussistenza di un interesse – che deve
però essere «apprezzabile» – all’adempimento parziale.
Pare infine infelice781 il mancato riferimento, accanto a quella della
gravidanza, alla tutela della maternità e della paternità. Il mancato riferimento
alla maternità davvero non si spiega, neppure con la previsione del comma
successivo ad essa dedicata, posto che si tratta di un evento che storicamente si
affianca agli altri tre considerati dalla norma (art. 2110 c.c.); il mancato
riferimento alla paternità, più comprensibile, segna un ulteriore elemento di
distanza della disciplina statutaria rispetto alle tutele apprestate dal diritto del
lavoro subordinato, caratterizzate da una progressiva espansione nel segno
dell’ampliamento della stessa nozione giuridica di “genitorialità”782.
7.2. La sostituzione soggettiva in caso di gravidanza «previo consenso del
committente»
Se (anche) alla gravidanza è dedicata la disciplina in materia di sospensione
del rapporto, alla tutela della maternità lo Statuto dedica il secondo comma
dell’art. 14, l. 81/2017, prevedendo che «in caso di maternità, previo consenso
del committente, è prevista la possibilità di sostituzione delle lavoratrici
autonome […] da parte di altri lavoratori autonomi di fiducia delle lavoratrici
stesse, in possesso dei necessari requisiti professionali, nonché dei soci, anche
attraverso il riconoscimento di forme di compresenza della lavoratrice e del suo
sostituto»783.
La previsione si innesta sulla parzialmente omologa disposizione contenuta
nel T.U. Maternità, che prevede che il datore di lavoro possa sostituire alcune
781 Così M.L. VALLAURI, Tutela della salute e sostegno alla genitorialità, cit., p. 126. 782 Su cui non è possibile soffermarsi in questa sede. Per tutti, da ultimo, v. i diversi contributi
raccolti in D. GOTTARDI (a cura di), La conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro,
cit., e in particolare quello di M.L. VALLAURI, La lunga marcia dei genitori adottivi e affidatari
verso la parità, ivi, p. 85 ss. 783 Sulla previsione, in generale, v. M.D. FERRARA, La sostituzione nelle prestazioni di lavoro
autonomo in caso di maternità, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve
allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 419 ss., nonché i rilievi di G. SANTORO PASSARELLI, Il
lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 279 s.
167
categorie di lavoratrici autonome, in caso di gravidanza, ricorrendo a contratti di
lavoro subordinato a termine (art. 4, comma 5, d.lgs. 151/2001784).
Merita tuttavia evidenziare che, rispetto alla suddetta disposizione, l’art. 14,
comma 2, l. 81/2017, riguarda una più ampia platea di beneficiarie, considerato
che la norma del T.U. Maternità era espressamente rivolta alle lavoratrici
autonome di cui al capo XI (con la significativa esclusione quindi delle libere
professioniste), ma soprattutto presenta un diverso destinatario, posto che si
rivolge non al committente ma alla stessa lavoratrice autonoma, che assumerà
l’iniziativa relativa alla sostituzione785.
In questo senso, la previsione sembrerebbe essere specificativa della
disciplina generale codicistica, la quale ammette che il professionista possa
valersi di sostituti (oltre che di ausiliari) «se la collaborazione di altri è consentita
dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con l’oggetto della prestazione».
Posto che l’orientamento maggioritario ritiene che nella disciplina
codicistica l’autorizzazione alla sostituzione debba essere espressamente
prevista nel contratto786, non pare potersi condividere il rilievo di chi ha
sostenuto che la novella, prevedendo il «previo consenso del committente» alla
sostituzione, «all’interno di una sorta di eterogenesi di fini, potrebbe aver
peggiorato la condizione della lavoratrice madre»787.
Piuttosto, per leggere la novella in senso innovativo rispetto alla previsione
di cui all’art. 2232 c.c., pare condivisibile l’opinione di chi ritiene che il consenso
del committente «non dovrebbe vertere sul se (l’esercizio della possibilità), ma
sul chi, ossia sulla persona indicata […] ovvero sul come, nl caso di forme di
compresenza della lavoratrice e del suo sostituto»788.
Resta da chiedersi, nel silenzio della legge, quale sia la natura giuridica dei
rapporti intercorrenti tra il committente e il sostituto, da un lato, e tra questi e la
lavoratrice sostituita, dall’altro, e, specularmente, il regime della responsabilità
per le eventuali condotte inadempienti del sostituto. A riguardo, si potrebbe sia
784 «Nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui al Capo XI, è possibile procedere,
in caso di maternità delle suddette lavoratrici, e comunque entro il primo anno di età del bambino
o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, all'assunzione di personale
a tempo determinato e di personale temporaneo, per un periodo massimo di dodici mesi, con le
medesime agevolazioni» previste per la sostituzione delle lavoratrici subordinate (sgravio
contributivo del 50%). 785 Per entrambi questi rilievi, v. M.D. FERRARA, La sostituzione nelle prestazioni di lavoro
autonomo in caso di maternità, cit., p. 424 s. 786 Nel senso della necessità che l’autorizzazione alla sostituzione di cui all’art. 2232 c.c. sia
espressamente prevista nel contratto, contrariamente a quanto avviene nello schema del mandato
(art. 1717 c.c.), A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 517 ss.; G. GIACOBBE, D. GIACOBBE,
Contratto d’opera professionale, cit., p. 215 ss. 787 Così G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 379, che parte
dal presupposto che l’art. 2232 c.c. ammetta la sostituzione anche nel silenzio del contratto. 788 Così M.D. FERRARA, La sostituzione nelle prestazioni di lavoro autonomo in caso di
maternità, cit., p. 429.
168
ipotizzare che si tratti di una semplice sostituzione «esecutiva», che lascia
estraneo il sostituto al vincolo obbligatorio, comportando in capo alla sostituita
la responsabilità generale di cui all’art. 1228 c.c.789, sia aderire all’opinione di
chi ha proposto di attingere all’elaborazione maturata in materia di
«subcontratto»790, per cui committente e sostituto sottoscrivono un contratto
uguale e subordinato a quello principale, intercorrente tra il committente e la
lavoratrice. In questo caso, la lavoratrice non sarebbe esposta alla responsabilità
per fatto degli ausiliari di cui all’art. 1228 c.c.791, gravando ogni responsabilità
relativa all’incarico sul sostituto792.
8. Il nodo dell’equo compenso per i lavoratori autonomi
In calce a questo breve excursus sulla “tutela contrattuale” del lavoro
autonomo «non imprenditoriale», come delineata dall’innesto delle previsioni
del nuovo Statuto sul formante normativo preesistente, pare necessario
soffermarsi anche su un tema che il legislatore statutario ha deliberatamente
obliterato, destinandovi poi alcune norme settoriali di recente emanazione.
L’equo compenso è senz’altro il “grande assente” nello Statuto del lavoro
autonomo, che al tema della misura del corrispettivo spettante al lavoratore
autonomo destina un assordante silenzio793.
Eppure, la previsione di un equo compenso era una delle istanze che avevano
animato anche di recente la prospettiva di uno “Statuto” per il lavoro
autonomo794, di cui si erano fatte portavoce anche le associazioni di categoria795,
789 Secondo lo schema codicistico del contratto d’opera professionale, nella lettura datane da A.
PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 518 s., e da G. GIACOBBE, D. GIACOBBE, Contratto d’opera
professionale, cit., p. 218, ribadita tra l’altro nella legge professionale forense, che prevede che
«l’avvocato che si fa sostituire o coadiuvare da altri […] rimane professionalmente responsabile
verso i clienti». 790 Per tutti, A.M. AZZARO, voce Subcontratto, in Dig. Disc. Priv. Sez. Civ., Aggiornamento, I,
Utet, Torino, 2000, p. 67 ss.; C. PISANI, Il subcontratto, in NGCC, 1999, n. 6, p. 245 ss. 791 È questa la tesi di M.D. FERRARA, La sostituzione nelle prestazioni di lavoro autonomo in
caso di maternità, cit., p. 430 s. 792 Secondo lo schema previsto anche dall’art. 26, comma 4, del codice deontologico forense in
caso di sostituzione del difensore d’ufficio impedito. 793 S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 493, che parla di una e vera e propria
«elusione» del legislatore; A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 187, e ID., Le tutele
civilistiche, cit., p. 42, che lamenta la mancata attuazione della delega contenuta nell’art. 1,
comma 7, lett. g), l. 183/2014, relativa all’estensione del salario minimo legale alle
collaborazioni autonome; M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la
contrattazione collettiva relativa al lavoro autonomo, cit., p. 3, secondo cui si tratta di un’assenza
che «balza agli occhi». 794 A. PERULLI, Un Jobs Act per il lavoro autonomo: verso una nuova disciplina della dipendenza
economica?, cit., p. 25. 795 ACTA, I 10 punti del Jobs Acta per i freelance, cit., punto 5.
169
e costituiva inoltre uno dei principi e criteri direttivi contenuti nell’ampia delega
affidata al legislatore del Jobs Act796.
Il tema aveva recentemente trovato spazio anche nella Carta dei diritti
universali del lavoro, elaborata dalla CGIL nel 2015, che all’art. 5 si proponeva
di introdurre il «diritto ad un compenso equo e proporzionato», stabilendo che
«ogni prestazione di lavoro deve essere compensata in modo equo, in
proporzione alla quantità e qualità del lavoro svolto» e che «in mancanza di
accordi collettivi applicabili, il lavoratore autonomo può in ogni caso chiedere
al giudice di determinare l’equo compenso nella misura desumibile anche dalle
regole riguardanti prestazioni comparabili».
Quello della determinazione del corrispettivo, d’altronde, è uno dei terreni
su cui più si può avvertire lo scarto tra la regolazione, perlopiù di fonte
eteronoma, propria del mondo del lavoro subordinato – dove pure è accesissimo
il dibattito circa l’opportunità di introdurre un salario minimo di fonte legale, in
attuazione della delega citata797 – e quella del lavoro autonomo, dove la misura
del compenso è invece lasciata alla libera determinazione delle parti.
La disciplina codicistica del contratto d’opera, infatti, rimette la
determinazione del compenso all’autonomia negoziale dei contraenti,
disponendo i criteri per la sua quantificazione giudiziale solo in via suppletiva798,
ove difetti l’accordo tra le parti799 (ovvero non ne venga fornita la prova800), nel
qual caso il giudice dovrà fare riferimento, in prima battuta, alle tariffe
professionali o agli usi e, in seconda battuta, «al risultato ottenuto e al lavoro
normalmente necessario per ottenerlo» (art. 2225 c.c.), nonché, in caso di
796 L’art. 1, comma 7, lett. g), l. 183/2014, faceva infatti riferimento all’«introduzione,
eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti
aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi
sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente
più rappresentative sul piano nazionale». Sul punto, oltre agli Autori citati alla nota seguente.
Sul punto S. BELLOMO, Il compenso orario minimo: incertezze ed ostacoli attuativi
dell’ipotizzata alternativa “leggera” al salario minimo legale, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a
cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Wolters Kluwer-Cedam, Milano, 2016,
p. 805 ss. 797 Per tutti, da ultimo, E. MENEGATTI, Il salario minimo legale. Aspettative e prospettive,
Giappichelli, Torino, 2017; M. BIASI, Il salario minimo legale nel “Jobs Act”: promozione o
svuotamento dell’azione contrattuale collettiva?, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT –
241/2015; V. SPEZIALE, Il salario minimo legale, ivi – 244/2015. Il salario minimo legale è stato
uno dei temi affrontati nelle ultime Giornate di Studio Aidlass, svoltesi a Palermo il 17-19
maggio 2018, dal titolo La retribuzione. 798 G. GIACOBBE, D. GIACOBBE, Il lavoro autonomo, cit., p. 170; G. MUSOLINO, Contratto
d’opera professionale, cit., p. 287; A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 270 ss. e 642 ss. 799 Ex multis, Cass., sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 29925, in DeJure; Cass., sez. VI, 29 luglio
2016, n. 15805, ivi; Cass. 15 ottobre 2008, n. 28718, in GCM, 2009, n. 2, p. 304; Cass. 1
settembre 2004, n. 17564, ivi, 2004, n. 9. 800 Cass., sez. II, 6 maggio 2005, n. 9503, in GCM, 2005, n. 5; Trib. Bari 7 giugno 2016, n. 3349,
in DeJure.
170
prestazione d’opera intellettuale, «all’importanza dell’opera e al decoro della
professione» (art. 2233, comma 2, c.c.).
Anche questi ultimi criteri, tuttavia, secondo l’orientamento largamente
prevalente in giurisprudenza, possono assumere rilievo solo in difetto di espressa
convenzione801, fungendo in particolare il canone del «decoro della professione»
appena da limite alla pattuizione di «somme praticamente simboliche»802,
laddove invece la dottrina più accorta803 è giunta a conclusioni opposte,
valorizzando il tenore letterale della disposizione (secondo cui la misura del
compenso deve essere «in ogni caso» adeguata ai canoni ivi indicati)804 e
cogliendo la sua evidente assonanza con il precetto sulla giusta retribuzione805,
sulla cui discussa (in?)applicabilità al rapporto di lavoro autonomo è necessario
soffermarsi brevemente, prima di esaminare il senso (oltre che l’effettiva
portata) dell’assenza di una disposizione in materia di «equo compenso» nello
Statuto del lavoro autonomo.
8.1. «Equo compenso» e «retribuzione proporzionata e sufficiente»: il
controverso rapporto tra l’art. 36 Cost. e il lavoro autonomo
Nonostante la pluralità di argomenti con cui una parte della dottrina806 ha da
tempo sostenuto che anche i rapporti di lavoro autonomo, o quantomeno quelli
801 A partire da Cass., Sez. Un., 16 gennaio 1986, n. 224, in Foro it., 1985, I, c. 1575, con nota
redazionale), secondo cui il compenso spettante al professionista «va determinato in base alla
tariffa ed adeguato al decoro dell’opera solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente
pattuito». In tal senso, successivamente, Cass., sez. II, 21 febbraio 2014, n. 4195; Cass., sez.
VI, 29 dicembre 2011, n. 29837; Cass., sez. II, 23 maggio 2000 n. 6732, in GCM, 2000, p. 1095.
Nella giurisprudenza di merito, Trib. Modena, sez. I, 23 maggio 2012, n. 873; Trib. Roma, sez.
XI, 2 settembre 2009, n. 17863; Trib. Milano, sez. V, 5 febbraio 2007, n. 1417, tutte in DeJure.
Sul punto, G. MUSOLINO, Contratto d’opera professionale, cit., p. 321 ss., secondo cui «del
secondo comma dell’art. 2233 c.c. medesimo si deve dare un’interpretazione restrittiva». 802 Così, da ultimo, Cass., sez. VI, 15 dicembre 2017, n. 30286, in DeJure; Cass., sez. VI, 22
dicembre 2015, n. 25804; ivi. 803 Diffusamente, A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 644 e 670 ss., secondo cui ai criteri di
cui all’art. 2233, comma 2, c.c., può e deve farsi ricorso «non solo quando manchi il
patteggiamento preventivo del compenso, ma – riteniamo – anche laddove, pur in presenza di
convenzione fra le parti, il professionista abbia abusato della fiducia in lui riposta per trarre «turpi
e disdicevoli guadagni» […] ovvero, al contrario, abbia accettato (non per benevolentia) la
corresponsione di un compenso irrisorio». 804 Ibidem. 805 In tal senso già G. CATTANEO, La responsabilità civile del professionista, Giuffrè, Milano,
1958, p. 31; G. GIACOBBE, voce Lavoro autonomo, in ED, XXIII, Giuffrè, Milano, 1973, p. 432;
C. LEGA, Le libere professioni intellettuali, Giuffrè, Milano, 1974, p. 151. 806 In ordine cronologico, C. LEGA, In tema di pattuizione privata di onorari professionali in
deroga alle tariffe, in Giur. it., 1956, I, p. 75; ID., Principi costituzionali in tema di compenso
del lavoro autonomo, ivi, 1960, I, p. 343; G. GIACOBBE, voce Lavoro autonomo, cit., p. 430; M.
NAPOLI, Le norme costituzionali sul lavoro alla luce dell’evoluzione del diritto del lavoro, in
Jus, 2008, spec. p. 67 ss. Sul punto, P. ICHINO, La nozione di giusta retribuzione nell’art. 36
171
di parasubordinazione807, devono ricadere nell’ambito di operatività della tutela
offerta dall’art. 36 Cost., la giurisprudenza, in modo pressoché808 unanime,
continua a ribadire la tesi tradizionale809 secondo cui il precetto costituzionale
riguarda unicamente i rapporti di lavoro subordinato810.
Forte anche di alcuni arresti del giudice delle leggi811 – per la verità non del
tutto univoci812 – la giurisprudenza di legittimità non dubita che «il principio
della retribuzione sufficiente di cui all'art. 36 Cost. riguarda esclusivamente il
lavoro subordinato e non può essere invocato in tema di compenso per
prestazioni lavorative autonome, ancorché rese, con carattere di continuità e
coordinazione, nell'ambito di un rapporto di collaborazione, assimilabile a quelle
della Costituzione, in RIDL, 2010, n. 4, I, p. 739 ss., anche per ulteriori riferimento alle proposte
de iure condendo avanzate a partire dagli anni ’80 del secolo scorso. 807 G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit., spec. p. 23 ss.; ID., voce Lavoro
autonomo, cit., p. 13 e 118; A.M. GRIECO, Lavoro “parasubordinato” e “giusta retribuzione”,
in L80, 1986, p. 745 ss. 808 Vanno infatti rammentate le spesso citate pronunce dei “pretori d’assalto” che avevano
cercato di aprire una breccia nell’orientamento restrittivo: Pret. Cagliari 17 aprile 1982, in Foro
it., 1984, I, c. 879, con nota redazionale; Pret. Venezia 3 luglio 1984, in L80, 1984, p. 1117; Pret.
Napoli 19 aprile 1985, in L80, 1986, p. 852; Pret. Napoli 1 marzo 1993, in D&L, 1993, p. 918,
con nota di G. TAGLIAGAMBE, Il futuro dell’art. 36 Cost. 809 A partire da A. TORRENTE, F. JANNELLI, C. RUPERTO, Del lavoro, in AA. VV., Commentario
del Codice Civile, V, I, Utet, Torino 1961, p. 150; L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro autonomo
in generale, in A. SCIALOJA, G. BRANCA (a cura di), Commentario del codice civile, Zanichelli-
Il Foro italiano, Bologna-Roma, 1963, p. 175; F. SANTORO PASSARELLI, voce Opera (Contratto
di), cit., p. 987; R. SCOGNAMIGLIO, voce Lavoro I) Disciplina costituzionale, in EGT, XVIII,
Treccani, Roma 1989, 10 ss.; nonché, sia pure con alcune sfumature, A. PERULLI, Il lavoro
autonomo, cit., p. 269. 810 Ex plurimis, in ordine cronologico decrescente, Cass., sez. II, 4 giugno 2018, n. 14292, in
DeJure; Cass., sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 29925, ivi; Cass., sez. II, 6 novembre 2015, n.
22701, ivi; Cass., sez. I, 13 dicembre 2013, n. 27919, ivi; Cass. 20 luglio 2007, n. 16134, in
GCM, 2007, n. 7-8; Cass. 1 settembre 2004, n. 17564, ivi, 2004, n. 9; Cass. 25 ottobre 2003, n.
16059, ivi, 2003, n. 10; Cass. 21 ottobre 2000, n. 13941, in NGL, 2001, p. 154; Cass. 14 luglio
1993, n. 7796, in RIDL, 1994, II, p. 317, con nota di L. NOGLER, Forza contrattuale delle parti
e qualificazione del rapporto di lavoro del direttore generale di una s.p.a. con società collegate;
Cass. 27 aprile 1990, n. 3532, in GCM, 1990, n. 4; Cass., Sez. Un., 16 gennaio 1986, n. 224, cit.;
Cass. 4 luglio 1963, n. 1796, in MGC, 1963, p. 852. In dottrina, per una panoramica relativa alla
questione, A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., spec. 267 ss.; nonché, da ultimo, E. MENEGATTI,
Il salario minimo legale, cit., p. 89 ss. 811 Corte cost. 7 luglio 1964, n. 75, in GCost, 1964, p. 751, e in RTDPC, 1973, p. 1643, con nota
di P. PALAZZO, La prestazione d’opera professionale e l’art. 36 della Costituzione; Corte cost.
23 aprile 1965, n. 30, in Giur. cost., 1965, p. 283, con nota di D. SERRANI, Brevi note in tema di
libertà contrattuale e principi costituzionali; Corte cost. 20 maggio 1970, n. 75, in Giur cost.,
1970, p. 1014. Sul punto v. supra, Cap. I, § 5, e nt. 102 per riferimenti all’oggetto dei
procedimenti di legittimità costituzionale. 812 Lo rileva G. GIACOBBE, voce Lavoro autonomo, cit., p. 430, in riferimento alle pronunce
citate alla nota che precede. L’equivocità, peraltro, sembrerebbe aumentare notevolmente se si
considera che successivamente la stessa Corte ha avuto modo di affermare, sia pure per obiter
dicta, che l’art. 36 Cost. non si applica agli imprenditori «ancorché in taluni casi riferibile anche
ai lavoratori autonomi» (così Corte cost. 12 gennaio 1993, n. 7).
172
svolte in regime di subordinazione»813, posto che «il dato sociologico della
condizione (ab origine) di sottoprotezione (a cui l'ordinamento positivo reagisce
con la peculiare normativa “di sostegno”) costituisce un attributo tipico e
specifico del solo lavoro prestato in regime di subordinazione e che il principio
della sufficienza retributiva assume, per la materia del “lavoro subordinato”,
carattere innovativo e derogatorio rispetto al principio generale dell'equilibrio
sinallagmatico che, invece, caratterizza la regolamentazione della materia del
“lavoro autonomo”»814.
8.2. L’equità del compenso nell’abrogata disciplina del lavoro a progetto
Sebbene si tratti ormai di una prospettiva di archeologia del diritto, vale la
pena ripercorrere brevemente le alterne vicende della disciplina del compenso
nell’abrogata disciplina del lavoro a progetto, al fine di comprendere le opzioni
di politica del diritto perseguite dal legislatore prima dell’abrogazione integrale
dell’istituto ad opera del Jobs Act.
Merita infatti evidenziare come, per aggirare il «muro granitico eretto dalla
giurisprudenza»815 contro l’applicabilità dell’art. 36 Cost. fuori del mondo del
lavoro subordinato, il legislatore fosse intervenuto in materia con l’art. 63, d.lgs.
276/2003, che nella versione originaria prevedeva che il compenso spettante al
collaboratore dovesse essere «proporzionato alla quantità e alla qualità del
lavoro eseguito» e dovesse inoltre tenere conto «dei compensi normalmente
corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione
del rapporto».
Nonostante il notevole valore sistematico del positivo riconoscimento del
canone della proporzionalità (ma non già della sufficienza816) – che per la prima
volta «sembra estendersi oltre il recinto, forse troppo angusto, della fattispecie
tipica ‘lavoro subordinato’»817 – oltre che dell’introduzione di una sorta di
principio di parità di trattamento tra i lavoratori autonomi818, la norma era
rimasta sostanzialmente inapplicata, alla luce delle difficoltà insite nel fare
813 Ex multis, da ultimo, Cass., sez. II, 4 giugno 2018, n. 14292, cit. 814 Così, molto esplicitamente, Cass. 25 ottobre 2003, n. 16059, cit. 815 Così M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, cit., p. 192. 816 Lo sottolineano M. PEDRAZZOLI, La disciplina delle collaborazioni ricondotte a progetto e
dei contratti di lavoro a progetto, in ID. (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs. 10
settembre 2003, n. 276, Zanichelli, Bologna, 2004, p. 776; A. PERULLI, Art. 63. Corrispettivo, in
E. GRAGNOLI, A. PERULLI, (a cura di), La riforma del mercato del lavoro, cit., p. 750 ss.; M.
BIASI, Il «salario minimo» per i collaboratori a progetto, in M. PERSIANI, S. LIEBMAN (a cura
di), Il nuovo mercato del lavoro, Utet, Torino, 2013, p. 225, che ricollega l’assenza del parametro
della sufficienza alla tradizionale lettura restrittiva della portata applicativa dell’art. 36 Cost. 817 F. MARTELLONI, Il valore sistematico del lavoro a progetto, in LD, 2006, n. 2-3, p. 351,
secondo cui pure «il legislatore non parla, invero, di retribuzione proporzionata e sufficiente,
secondo il dettato dall’art. 36 Cost. che ispira, almeno parzialmente, la disposizione». 818 A. PERULLI, Il lavoro a progetto tra problema e sistema, in LD, 2004, n. 1, p. 111.
173
riferimento a parametri oltremodo sfuggevoli819, tanto più nell’assenza di una
(pur auspicata) contrattazione collettiva destinata a disciplinare tali tipologie di
rapporti e nella (neppure troppo)820 implicita impossibilità di fare riferimento ai
minimi tabellari contenuti nei contratti collettivi applicabili ai lavoratori
dipendenti821.
Anche il successivo intervento legislativo realizzato con la legge Finanziaria
per il 2007 (art. 1, comma 772, l. 296/2006) – con il quale si era stabilito che i
compensi spettanti al collaboratore, oltre che proporzionati, dovessero «tenere
conto dei compensi normalmente corrisposti per prestazioni di analoga
professionalità, anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferimento»
–, pur spostando il termine di comparazione dal tipo contrattuale alla
professionalità822, non aveva sortito l’effetto di garantire un “minimo
inderogabile” in favore del prestatore, vuoi per l’intrinseca ambiguità
dell’intervento legislativo823, vuoi perché dei minimi tabellari era previsto
appena che si dovesse «tenere conto»824.
Maggiore incisività avrebbe avuto invece il successivo (e ultimo, prima
dell’abrogazione della relativa disciplina) intervento operato dalla c.d. riforma
Monti-Fornero. Nel quadro della più ampia «stretta sul lavoro autonomo»825,
essa aveva infatti stabilito che il compenso non potesse essere «inferiore ai
minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività» dalla
contrattazione collettiva specifica relativa a tale tipologia contrattuale, ovvero,
in mancanza, non inferiore «a parità di estensione temporale dell’attività oggetto
della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi
nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali
il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore
819 Lo rileverà successivamente M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, cit., p. 193,
secondo cui «l’art. 63 rimaneva scritto sull’acqua». 820 Rilevava infatti esplicitamente Circolare Ministero del Lavoro 8 gennaio 2004, n. 1, che alla
luce del riferimento testuale ai «compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di
lavoro autonomo», ai fini della determinazione del compenso del collaboratore a progetto «non
potranno essere utilizzate le disposizioni in materia di retribuzione stabilite nella contrattazione
collettiva per i lavoratori subordinati». 821 F. MARTELLONI¸ Lavoro coordinato e subordinazione, cit., p. 187, e ivi ulteriori riferimenti. 822 A. MARESCA, La determinazione del corrispettivo dovuto al collaboratore a progetto, in G.
SANTORO PASSARELLI, G. PELLACANI (a cura di), Subordinazione e lavoro a progetto, Utet,
Torino, 2009, p. 99. 823 Che non aveva infatti apportato modifiche all’art. 63 d.lgs. 276/2003, ma introdotto la misura
sul compenso in una norma speciale in materia di determinazione della base imponibile a fini
contributivi, dal che poteva derivare «l’equivoco se si intendesse intervenire sulla
determinazione del compenso minimo o soltanto su quella del minimo imponibile» (così M.
PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, cit., p. 193). 824 M. BIASI, Il «salario minimo» per i collaboratori a progetto, cit., p. 226. 825 Supra, cap. I, § 9.
174
a progetto» (art. 63, comma 2, d.lgs. 276/2003, come modificato dall’art. 1,
comma 23, lett. c), l. 92/2012)826.
8.3. Le ipotesi di «equo compenso» attualmente previste dalla legge
L’apparato protettivo in materia di compenso che si è appena avuto modo di
esaminare è stato integralmente abrogato, insieme a tutta la disciplina del lavoro
a progetto, ad opera del legislatore del Jobs Act (art. 52, d.lgs. 81/2015), il quale,
come si è visto, ha affidato le istanze di tutela dei (rectius, di una parte dei)
collaboratori autonomi, alla regola di cui all’art. 2, d.lgs. 81/2015, in materia di
riconduzione all’area della subordinazione delle collaborazioni c.d. etero-
organizzate827.
Nella denunciata assenza di una qualsivoglia disposizione in materia di
compenso nel corpo del nuovo Statuto – salva l’ipotesi che si realizzi una pur
auspicata valorizzazione dei rimedi avverso le condotte abusive contenute
nell’art. 3, l. 81/2017828, nei termini già precisati829 – la tutela eteronoma del
compenso dei lavoratori autonomi passa oggi esclusivamente per le poche norme
di settore che prevedono, con accenti e terminologie diverse e solo in determinati
e circoscritti ambiti specificamente individuati, il diritto del lavoratore autonomo
ad un corrispettivo «equo»830.
8.3.1. L’«equo compenso» dei giornalisti
Si allude, innanzitutto, all’esperienza maturata nel settore giornalistico, dove
la legge 31 dicembre 2012, n. 233 – esplicitamente emanata «in attuazione
dell’articolo 36, primo comma, della Costituzione», al fine di «promuovere
826 Sull’ultima versione dell’art. 63, d.lgs. 276/2003, e, in particolare, sulle sue ripercussioni sulla
struttura stessa del rapporto obbligatorio, v. M. BIASI, Il «salario minimo» per i collaboratori a
progetto, cit., p. 226 s. e 232 ss.; F. MARTELLONI, Lavoro coordinato e subordinazione, cit., p.
189, secondo cui dopo la riforma del 2012 il compenso «risponde non più, soltanto, ad un
principio di giustizia commutativa, ma pure ad un principio di giustizia distributiva» (laddove
nelle versioni precedenti, in assenza di un riferimento alla «sufficienza», avveniva il contrario,
come osservato da A. PERULLI, Art. 63, cit., p. 750 ss.), non potendo il compenso in nessun caso
«essere fissato al di sotto del c.d. minimo costituzionale tradizionalmente applicabile ai soli
lavoratori subordinati». In senso parzialmente contrario, tuttavia, v. M. PALLINI, Il lavoro
economicamente dipendente, cit., p. 195, secondo cui «a ben vedere, l’art. 63 ha una portata più
ridotta di quella dell’art. 36 Cost. […] la norma, pertanto, non risponde ad una ratio
redistributiva, bensì esclusivamente a una di giustizia commutativa». Sul senso di tale
distinzione, da ultimo, L. ZOPPOLI, Giustizia distributiva, giustizia commutativa e contratti di
lavoro, in DLM, 2017, n. 2, p. 279 ss. 827 Supra, Cap. II, § 3 ss. 828 M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la contrattazione collettiva
relativa al lavoro autonomo, cit., p. 4. 829 Supra, § 4.4. 830 In tale prospettiva P. PASCUCCI, La giusta retribuzione nei contratti di lavoro, oggi, Relazione
alle Giornate di Studio AIDLASS di Palermo, 17-19 maggio 2018, p. 41 del dattiloscritto.
175
l'equità retributiva dei giornalisti […], titolari di un rapporto di lavoro non
subordinato»831 (art. 1, comma 1, l. 233/2012) – definisce l’equo compenso
come «remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto,
tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione,
nonché della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva
nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro
subordinato» (art. 1, comma 2, l. 223/2012), demandandone tuttavia la concreta
determinazione a una apposita Commissione (art. 3, l. 233/2012) e prevedendo
che «il patto contenente condizioni contrattuali in violazione dell’equo
compenso è nullo» (art. 3, comma 2, l. 223/2012).
La tecnica, come si può apprezzare dal dato letterale, al di là del tralatizio
riferimento al canone della «proporzionalità», non coincide perfettamente con
quelle già adoperate nella disciplina del lavoro a progetto: da un lato è esplicito
(benché non univoco) il riferimento all’art. 36 Cost.; dall’altro il raffronto con la
retribuzione dei lavoratori subordinati comparabili non è né nei termini del
«tenere conto», né in quelli dell’applicazione diretta, bensì nell’inedito canone
della «coerenza». Ma soprattutto, la determinazione dell’equo compenso
secondo tali criteri viene demandata a un’apposita Commissione, secondo uno
schema del tutto inedito nel nostro ordinamento832.
Tale Commissione, tuttavia, non solo ha impiegato non poco tempo per la
stesura del tariffario833 – poi recepito dagli attori collettivi, che hanno codificato
il «trattamento economico minimo» dedicato ai collaboratori autonomi (art. 2,
Accordo tra FIEG e FNSI sul lavoro autonomo sottoscritto in data 19 giugno
2014) – ma soprattutto ha ristretto il novero dei beneficiari ai soli collaboratori
coordinati e continuativi e ha individuato il trattamento minimo in somme
sostanzialmente irrisorie834, generando un contenzioso giudiziario che ha portato
al parziale annullamento dell’atto da parte della giustizia amministrativa835.
831 Sui caratteri del lavoro giornalistico svolto in regime di autonomia, particolarmente
interessanti – considerate le peculiarità del settore, che hanno da sempre reso difficile
l’individuazione di una precisa linea di confine tra subordinazione e autonomia – i criteri
elaborati dalla contrattazione collettiva all’indomani della l. 233/2012, contenuti nell’Accordo
tra FIEG e FNSI sul lavoro autonomo sottoscritto in data 19 giugno 2014, allegato al CNLG
2013-2016 (sul punto supra, Cap. I, § 2.2., spec. nt. 275) 832 Lo rileva L. ZOPPOLI, L’«equo compenso» tra contratto collettivo e legge, in U. CARABELLI,
L. FASSINA (a cura di), Il lavoro autonomo, cit., p. 70. 833 Delibera 29 gennaio 2014 Commissione per la valutazione dell’equo compenso nel lavoro
giornalistico istituita ai sensi dell’art. 2 della L. n. 233/2012. 834 Il trattamento minimo individuato «per le specifiche tipologie di prodotto editoriale», dall’art.
2, Accordo tra FIEG e FNSI sul lavoro autonomo sottoscritto in data 19 giugno 2014, infatti,
prevede compensi minimi nell’ordine degli Euro 250 mensili. Di «tariffario molto riduttivo e
minimalista» parla L. ZOPPOLI, L’«equo compenso» tra contratto collettivo e legge, cit., p. 71. 835 TAR Lazio, sez. I, 7 aprile 2015, n. 05054, in giustizia-amministrativa.it, confermata, con
motivazione parzialmente diversa, da Cons. St., sez. III, 16 marzo 2016, n. 01076, ivi.
176
Non stupirà dunque il fatto che parte della dottrina non ha esitato a definire
l’intera vicenda come «sfortunata», parlando in proposito di un «equo
(s)compenso»836, sulla scorta, d’altronde, dei giudizi espressi da parte dei diretti
interessati837.
8.3.2. L’«equo compenso» per (alcuni) avvocati e (altri) liberi
professionisti
Una tecnica diversa è stata invece recentemente adoperata dal legislatore in
riferimento all’equo compenso per i professionisti.
A seguito di un rapido, ma sofferto, iter parlamentare838, che ha visto anche
il parere contrario (per quanto non vincolante) dell’AGCM839, è stata alfine
introdotta840 nella legge professionale forense (l. 247/2012) una previsione in
materia di «equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati» (art.
13-bis, l. 242/2017), a mente del quale il professionista ha diritto a un compenso
«proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto
e alle caratteristiche della prestazione legale e conforme ai parametri» previsti
dai regolamenti ministeriali in materia (cfr. oggi, per le professioni legali, il D.M.
55/2014)841.
A dispetto della rubrica e della collocazione topografica, la disposizione è
destinata, in virtù dell’estensione espressamente operata dalla legge842, a trovare
applicazione «anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui all'articolo 1
della legge 22 maggio 2017, n. 81, anche iscritti agli ordini e collegi», sicché
essa si candida a pieno titolo ad assolvere la funzione di norma fondamentale per
836 A. AVONDOLA, Lavoro giornalistico e equo (s)compenso, in DLM, 2017, n. 2, p. 369 ss. 837 E. VOLTOLINA, Iniquo compenso per i giornalisti, in repubblicadeglistagisti.it, 25 giugno
2014. 838 Su cui v. P.P. FERRARO, Le deleghe sulle professioni organizzate in ordini e collegi, cit., p.
334 ss., anche per un esame dei disegni di legge sull’equo compenso succedutisi nel corso del
2017, nonché ID., Professioni intellettuali e abuso di dipendenza economica, cit. p. 221. 839 AGCM, Segnalazione 24 novembre 2017 sul d.l. 148/2017 e sul DDL AC 4741 di
conversione dello stesso, in agcm.it, dove si rileca che «secondo i consolidati principi antitrust
nazionali e comunitari, infatti, le tariffe professionali fisse e minime costituiscono una grave
restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti
economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia
il prezzo della prestazione». 840 Ad opera dell’art. 19-quaterdecies, comma 1, d.l. 148/2017, convertito in l. 172/2017. 841 In generale, sulla portata del nuovo art. 13-bis, l. 242/2017, v. E. MINERVINI, L’equo
compenso degli avvocati, cit., passim; S. MONTICELLI, L’equo compenso dei professionisti
fiduciari: fondamento e limiti di una disciplina a vocazione rimediale dell’abuso nell’esercizio
dell’autonomia privata, in NLCC, 2018, n. 2, p. 299 ss.; L. ZOPPOLI, L’«equo compenso» tra
contratto collettivo e legge, cit., spec. p. 77 ss.; P. PASCUCCI, La giusta retribuzione, cit., p. 41
s.; P.P. FERRARO, Le deleghe sulle professioni, cit. p. 330 ss., spec. 337 ss. 842 V. il secondo comma del citato art. 19-quaterdecies.
177
la garanzia di un equo compenso per i lavoratori autonomi, nel silenzio delle
previsioni dello Statuto.
Non si tratta, tuttavia, di, una norma dalla portata generale.
Dal punto di vista soggettivo, se sono stati superati i disegni originari di
restringerne la portata ai soli avvocati843 ovvero alle sole professioni organizzate
in ordini e collegi844, vi è chi ha ritenuto che la previsione non possa trovare
applicazione alle collaborazioni coordinate e continuative, vuoi per l’utilizzo
nella novella del termine «professionisti» (anziché «lavoratori autonomi»), vuoi
per l’assenza di qualsivoglia riferimento agli elementi della coordinazione e
della continuità845.
Il rilievo, tuttavia, fatto salvo quanto si dirà appresso circa l’ambito di
applicazione oggettivo della previsione, non convince né nelle premesse né nelle
conclusioni. Da un lato, l’argomento letterale pare abbastanza debole, se si
considerano le notevoli interferenze tra la disciplina del contratto d’opera e
quella del contratto d’opera intellettuale e l’utilizzo spesso disinvolto dei termini
«lavoratore autonomo» e «professionista» da parte del legislatore846. Dall’altro,
posto che la previsione opera nell’ambito di «convenzioni» sottoscritte dai
professionisti con determinati committenti “grandi”, aventi ad oggetto
«prestazioni professionali», se pure ne saranno certamente escluse le
collaborazioni aventi ad oggetto prestazioni di carattere non intellettuale – ma si
tratta di un’esclusione ratione materiae, e non ratione personae –i professionisti
inclusi ben potranno essere anche collaboratori coordinati e continuativi ai sensi
dell’art. 409, n. 3847 (categoria a-negoziale nella quale si è già visto possono
rientrare finanche i piccoli imprenditori848). Anzi, spesso dovranno considerarsi
tali, considerato che nella pratica degli affari il termine «convenzione» sottende
proprio il carattere della continuità849 del facere per altri (nonché eventualmente,
il coordinamento su base bilaterale), propria dei rapporti di parasubordinazione.
843 Così si esprimeva il DDL proposto dal Ministro della Giustizia Orlando (AC 4631), approvato
dal Consiglio dei Ministri il 7 agosto 2017. 844 Così invece il DDL presentato dal senatore Sacconi (AS 2858), presentato il 14 giugno 2017. 845 In tal senso F. CAPPONI, Compenso equo: non si applica ai collaboratori, in Boll. ADAPT 17
dicembre 2017, n. 42. 846 Ciò tanto più se si guarda alla rapidità dell’iter legislativo, se non alla vera e propria “fretta”
di addivenire all’approvazione del testo definitivo nel decreto fiscale, e se si considera che nella
versione originaria i destinatari della previsione erano solo le professioni ordinistiche. 847 In tal senso P. PASCUCCI, La giusta retribuzione, cit., p. 42, secondo cui «l’equo compenso
potrebbe riguardare, da un lato, le collaborazioni di cui all’art. 2, c. 2, lett. b, d.lgs. n. 81/2015,
non riconducibili sotto l’egida dell’art. 36, c. 1, Cost., e, da un altro lato, le collaborazioni
prestate nell’esercizio di professioni non organizzate in ordini o collegi che presentino il
coordinamento di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., integrato dall’art. 15, c. 1, lett. a, l. n. 81/2017». 848 Supra, Cap. II, § 4.1.3. 849 Rileva E. MINERVINI, L’equo compenso degli avvocati, cit., p. 13, che «vengono denominate
convenzioni quei contratti – che potrebbero essere qualificati come normativi – che disciplinano
una pluralità indeterminata di futuri contratti d’opera professionale, ovvero di futuri incarichi
178
Piuttosto, il vero vulnus della novella parrebbe doversi ravvisare nella
ristrettezza del suo ambito di applicazione oggettivo, posto che il diritto
all’«equo compenso» si esplica, ai sensi del primo comma del citato art. 13-bis,
esclusivamente «nei rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad
oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività
professionali di cui all'articolo 2, commi 5 e 6850, […] in favore di imprese
bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle
microimprese o delle piccole o medie imprese» e sempre che tali convenzioni
siano «unilateralmente predisposte dalle predette imprese», circostanza che pure
viene presunta iuris tantum dalla legge (art. 13-bis, cit., comma 3).
Pare condivisibile, in proposito, il rilievo di chi ha affermato che «la
montagna partorisce un topolino»851, a tutto vantaggio, peraltro, di categorie di
lavoratori che operano su mercati abbastanza prosperi852, nei quali, pur nella
necessità di correggere alcune distorsioni – ma a tal fine parevano sufficienti le
tutele del “terzo contratto”, estese ai professionisti dalla l. 81/2017 – la misura
dei compensi professionali risulta nei fatti già ben superiore al canone della
«sufficienza».
In questa prospettiva, desta particolare perplessità la circostanza che il
legislatore abbia sentito l’esigenza di disciplinare sotto il profilo dell’equità del
corrispettivo un rapporto che è di natura sostanzialmente commerciale (quello
tra il professionista – che, si badi, può essere anche «organizzato in forma
associata o societaria» – e alcuni “grandi” clienti), omettendo del tutto di
considerare che in quella stessa realtà professionale le maggiori esigenze di
tutela (e non solo con riguardo al tema dell’equità del compenso) riguardano i
rapporti intercorrenti tra quel «professionista» e i suoi collaboratori (praticanti,
tirocinanti, stagisti, collaboratori che si trovano fuori dalla «ristretta cerchia dei
partners»853), i quali, da tempo all’attenzione delle cronache854, non hanno
ricevuto alcuna risposta alle proprie esigenze. Davvero singolare, in proposito,
appare la circostanza che l’unica previsione in materia di «adeguatezza» del
professionali che il cliente – generalmente, un litigante abituale come banche o compagnie di
assicurazione – conferirà al legale c.d. convenzionato o fiduciario: pertanto, a fianco della
convenzione vi è il singolo contratto d’opera professionale». 850 Vale a dire sia le attività riservate (come la rappresentanza e la difesa in giudizio) che quelle
non riservate (come la consulenza e l’assistenza stragiudiziale). 851 L. ZOPPOLI, L’«equo compenso» tra contratto collettivo e legge, cit., p. 78. 852 Ivi, p. 80. 853 M. PALLINI, Il lavoro economicamente dipendente, cit., p. 100. 854 V. ad es. D. DI VICO, Il calvario dei giovani avvocati senza welfare e senza clienti, in CdS,
22 ottobre 2009, p. 39. Per una panoramica delle esperienze lavorative nei grandi studi
professionali, S. BOLOGNA, V. BANFI, Vita da freelance. I lavoratori della conoscenza e il loro
futuro, Feltrinelli, Milano, 2011, p. 130 ss.
179
compenso del praticante avvocato sia affidata alle norme del codice
deontologico855, nel sostanziale silenzio della legge professionale856.
Posto che si tratta di lavoratori che, quand’anche soggetti di fatto a vincoli
di disponibilità del tutto paragonabili a quelli di un lavoratore (quantomeno)
etero-organizzato857, non possono valersi dell’estensione delle tutele del lavoro
subordinato, il fatto che il legislatore abbia inteso garantire l’equità del
compenso dei loro domini, ma non del loro, assume davvero il sapore di una
beffa.
8.3.3. Verso il riconoscimento della subordinazione negli studi
professionali?
Per le ragioni che si sono appena evidenziate non pare che la novella in
materia di «equo compenso» per i professionisti possa rappresentare
un’innovazione in grado di rispondere alle esigenze provenienti dal mondo dei
collaboratori degli studi professionali. Lo stesso, d’altronde, può dirsi anche con
riferimento alla regola in materia di collaborazioni etero-organizzate, giusta la
deroga di cui all’art. 2, comma 2, lett. b), d.lgs. 81/2015, sulla quale abbiamo già
avuto modo di soffermarci858.
Eppure, come è stato osservato, «le modalità tecnico-organizzative con cui
operano oggi i grandi studi professionali rendono difficile immaginare che
perdurino reali ragioni per sostenere […] che l’attività intellettuale svolta dai
professionisti collaboratori senza una propria clientela non possa presentare i
tratti tipici della subordinazione»859.
Ciononostante, conseguire l’accertamento della natura subordinata del
rapporto di lavoro richiederebbe comunque di avventurarsi in azioni giudiziarie
spesso perse in partenza860 e comunque professionalmente suicide.
855 Art. 40 regolamento CNF 31 gennaio 2014, a mente del quale è riconosciuto al praticante
«dopo il primo semestre di pratica, un compenso adeguato, tenuto conto dell’utilizzo dei servizi
e delle strutture dello studio». 856 Art. 41, comma 11, l. 247/2012, a mente del quale «decorso il primo semestre, possono essere
riconosciuti [sic!] con apposito contratto al praticante avvocato un’indennità o un compenso per
l’attività svolta». 857 Con riferimento alla pratica forense, si consideri che è lo stesso decreto ministeriale in materia
a prevedere che il tirocinio professionale debba esser svolto con «assiduità e diligenza», con
obbligo di frequentazione di uno studio «sotto la diretta supervisione del professionista, per
almento venti ore settimanali» (art. 3, d.m. 17 marzo 2016, n. 70). 858 Supra, Cap. II, § 3.3. 859 Così O. RAZZOLINI, La nozione di subordinazione alla prova delle nuove tecnologie, in DRI,
2014, n. 4, p. 982, nt. 38. 860 Si consideri che per i collaboratori avvocati la possibilità di vedere riconosciuta la sussistenza
di un rapporto di lavoro subordinato è esclusa dal regime delle incompatibilità di cui all’art. 19,
l. 247/2012, e che, in riferimento ai praticanti, è la stessa legge professionale a prevedere
espressamente che «il tirocinio professionale non determina di diritto l’instaurazione di un
rapporto di lavoro anche occasionale» (art. 41, comma 11, l. 247/2012).
180
Le novità apportate alla legge professionale forense hanno comunque fatto
emergere il dibattito relativo all’opportunità di ripensare lo status giuridico dei
professionisti che prestano la propria opera in regime di monocommittenza861,
complice la pendenza di disegni di legge di iniziativa parlamentare volti ad
ammettere la possibilità di configurare rapporti di lavoro subordinato
nell’ambito delle professioni, come quella forense, per le quali essa è attualmente
esclusa.
Con l’avvio della nuova legislatura è stata ripresentata la proposta di legge,
già presentata nel 2017, che mirava a modificare l’art. 19, l. 247/2012, allo scopo
di «far decadere l’incompatibilità tra la professione forense e il lavoro
dipendente o parasubordinato, quando questo sia svolto in via esclusiva presso
lo studio di un altro avvocato, un’associazione professionale ovvero una società
tra avvocati o multidisciplinare»862 e di aprire conseguentemente le porte ad una
regolamentazione da parte della contrattazione collettiva, previa individuazione
da parte di un decreto ministeriale dei criteri per la qualificazione del rapporto.
Si tratta di una linea di intervento potenzialmente dirompente, che ha
raccolto già alcune adesioni da parte delle organizzazioni di categoria863, ma
anche rilievi critici864. Nell’attesa di vedere l’esito dell’iter parlamentare,
parrebbe di poter esprimere un deciso apprezzamento rispetto all’iniziativa, a
condizione, tuttavia, che l’auspicabile superamento del tabù delle
incompatibilità non si traduca in un elemento di limitazione nei confonti delle
legittime ambizioni dei liberi professionisti che tali vogliono rimanere.
861 C. ROMEO, L’avvocato in regime di monocommittenza: tra autonomia e subordinazione, in
Lav. giur., 2018, n. 8-9, p. 774 ss.; V. VASARRI, Liberi professionisti o dipendenti? I giovani
avvocati tra indipendenza, collaborazione e salariato, in Prev. forense, 2018, n. 1, p. 17 ss., ove
interessanti dati statistici relativi alle condizioni reddituali dei giovani avvocati. 862 Così la Relazione alla proposta di legge n. 428/2018, prima firmataria l’On.le Gribaudo, che
riprende i contenuti della proposta 4408/2017, sottolineando che «la situazione odierna degli
studi legali è fatta di avvocati titolari degli studi, denominabili domini, e da avvocati che di questi
sono di fatto dipendenti». 863 V. la mozione dell’ANF per il Congresso nazionale di Catania 2018, reperibile in
http://www.associazionenazionaleforense.it/lavvocato-dipendente-la-proposta-a-n-f-per-il-
congresso-nazionale-forense-di-catania-2018/. 864 Da parte, curiosamente, di un’associazione rappresentativa dei giovani avvocati come
l’AIGA, che in una nota ha speigato che l'obiettivo di risolvere i problemi dei "sans papier" che
esistono soprattutto tra i più giovani «non può essere perseguito rinunciando alla caratteristica
fondamentale della professione di avvocato, che è l'indipendenza» (lo riporta M. CRISAFI,
Avvocati-dipendenti negli studi legali: la proposta a Montecitorio, in studiocataldi.it, 2 luglio
2017).
.
181
Sezione II
LE TUTELE FUORI DAL RAPPORTO
SOMMARIO: 1. L’anima welfaristica e promozionale dello Statuto. – 2. Le tutele
previdenziali tra unità e differenziazione delle discipline. – 2.1. La tutela contro la
disoccupazione. – 2.2. La tutela della genitorialità. – 2.3. Le tutele in caso di malattia
e infortunio e la disciplina in materia di salute e sicurezza sul lavoro. – 3. Le
disposizioni promozionali di carattere fiscale. Cenni. – 4. Le altre disposizioni
promozionali. – 4.1. Il nuovo «sportello dedicato al lavoro autonomo» presso i centri
per l’impiego. – 4.2. L’accesso agli appalti pubblici, ai fondi europei e ai bandi per
l’assegnazione di incarichi e appalti privati. – 4.3. Il tavolo tecnico di confronto
permanente sul lavoro autonomo.
1. L’anima welfaristica e promozionale dello Statuto
Oltre che alle tutele nel rapporto, che si sono appena passate in rassegna, lo
Statuto affida la tutela del lavoro autonomo «non imprenditoriale» a una serie di
misure protettive di vario tipo, tra le quali assumono particolare rilievo quelle di
carattere previdenziale, fiscale e “promozionale” in genere.
Nonostante tali misure individuino, nella sistematica dello Statuto, nuclei
concettuali distinti865, pare possibile esaminarle congiuntamente, nella misura in
cui entrambe si pongono nella prospettiva della tutela del lavoratore considerato
isolatamente, a prescindere dai rapporti intercorrenti con il committente (o i vari
committenti).
Ad esse, tuttavia, verrà dedicata un’attenzione minore rispetto a quella
destinata al nucelo della tutela “contrattuale”, sia perché si tratta di previsioni
dal carattere spesso tecnico, sia perché, ad avviso di chi scrive, in tali misure non
è dato rinvenire un fil rouge che le elevi a cifra di un nuovo approccio alla
regolazione del lavoro autonomo – come invece si può apprezzare in riferimento
alle tutele del rapporto, che si è visto essere ispiraste al paradigma della tutela
civilistica del contraente debole866 – caratterizzandosi le disposizioni che
delineano la tutela “oltre” il rapporto per il fatto di costituire semplici interventi
di manutenzione del sistema in essere, sia in riferimento alla disciplina
previdenziale867, sia in riferimento a quella fiscale868.
865 S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 484. 866 Supra, Sez. I, § 1. 867 In tal senso ancora S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 494. 868 In tal senso A. CARINCI, Il regime fiscale, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di),
Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 359, che parla di «interventi
marginali e di dettaglio, che coinvolgono previsioni estremamente specifiche».
182
2. Le tutele previdenziali tra unità e differenziazione delle discipline
Il tema della tutela previdenziale del lavoro autonomo è oltremodo
complesso e richiede di confrontarsi con un formante normativo sparso in una
pluralità di fonti – non solo di derivazione statuale, ma anche provenienti dal
frastagliato mondo delle casse professionali – le quali destinano alle diverse
categorie di lavoratori autonomi (co.co.co., liberi professionisti, ordinisti e non)
che versino nel «bisogno» trattamenti che risultano estremamente differenziati
nell’an come nel quantum, potendosi parlare quindi di un vero e proprio
«pluralismo dei regimi»869.
La tutela previdenziale del lavoro subordinato, ponendosi nel solco dei
canoni fissati dall’art. 38 Cost., si attua in modo sostanzialmente omogeneo per
le varie tipologie di lavoratori dipendenti, dando corpo ad un sistema
previdenziale unitario nella sua complessità870, benché assediato da più fronti
per quanto concerne il delicato tema della sostenibilità871.
Lo spiccato carattere “lavoristico” del nostro ordinamento previdenziale,
tuttavia, ha storicamente escluso i lavoratori autonomi dalla tutela
previdenziale872, o comunque giustificato il trattamento fortemente differenziato
previsto dalla legislazione in materia, sulla base del rilievo che «le rimarchevoli
differenze esistenti tra la fattispecie del lavoro autonomo e quella del lavoro
subordinato non consentono di riconoscere nella disciplina previdenziale di
quest'ultimo un idoneo tertium comparationis»873.
869 M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Giappichelli, Torino, 2015, p. 141. 870 Sul sistema previdenziale italiano, da ultimo, v. i contributi raccolti in G. CANAVESI, E. ALES
(a cura di), Il sistema previdenziale italiano. Principi, struttura ed evoluzione, Giappichelli,
Torino, 2017. 871 Per tutti, M. D’ONGHIA, Diritti previdenziali e compatibilità economiche nella
giurisprudenza costituzionale, Cacucci, Bari, 2013; M. PERSIANI, Crisi economica e crisi del
Welfare State, in DLRI, 2013, n. 4, p. 641 ss. Come noto, il dibattito sul punto è divenuto
incandescente a seguito della novellazione dell’art. 81 Cost. nel 2012 (su cui I. CIOLLI, Le ragioni
dei diritti e il pareggio di bilancio, Aracne, Roma, 2012) e della sentenza Corte cost. 30 aprile
2015, n. 70, tra l’altro in Giur. It., 2015, n. 5, p. 1177, con nota di M. PERSIANI (su cui funditus
M. BARBIERI, M. D’ONGHIA, La sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale, in WP
C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, n. 4/2015). 872 M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, cit., p. 142, il quale rileva che «per lungo tempo
l’ambito dioperativo della tutela previdenziale è stato condizionato dalla qualificazione
giuridico-formale del rapporto di lavoro». V. però già M. PERSIANI, Il sistema giuridico della
previdenza sociale, Cedam, Padova, 1960, p. 42 ss., che osservava come «l’estensione della
tutela previdenziale a categorie di lavoratori non subordinati non rappresenta in sé un fenomeno
nuovo», rilevando tuttavia come la dottrina avesse «limita[to] storicamente la sua indagine agli
istituti tradizionali della previdenza sociale dei lavoratori subordinati». Sul punto, anche ID., Art.
38, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione. Artt. 35-40, Zanichelli – Il Foro
italiano, Bologna e Roma, 1979, p. 232 ss., e L. GAETA, Lo stato sociale all’assemblea
costituente, in QF, 2017, p. 495 ss. 873 Così Corte cost. 19 marzo 2002, n. 70, in cortecostituzionale.it. Nello stesso senso Corte cost.
15 maggio 2001, n. 133, ivi, e già Corte cost. 5 febbraio 1986, n. 31, tra l’altro in
DL,1986, II, p. 314, con nota di G. VENETO, L. COPPOLA, Legittimità costituzionale della
183
Ciò, peraltro, nonostante non fossero mancate istanze nel segno di un
maggior universalismo – culminanti nelle varie proposte di un «reddito di
cittadinanza», su cui non è possibile soffermarsi in questa sede874 – che tuttavia
lo Statuto non ha inteso (o non è riuscito a) raccogliere875.
Il che non significa che non vi siano nel sistema linee di tendenza nel senso
di una maggiore convergenza di disciplina, con riguardo, specificatamente, al
mondo dei collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla gestione separata
Inps, rispetto ai quali la giurisprudenza più avveduta si muove nel senso di una
maggiore uniformità di trattamento, ammettendo, in chiave funzionalista,
l’applicabilità di alcuni rimedi tipici del lavoro subordinato.
Così, viene valorizzata l’analogia strutturale tra i rapporti previdenziali del
mondo del lavoro parasubordinato e quelli del lavoro dipendente876, per
realizzare una progressiva assimilazione, a fini previdenziali, tra le due categorie
– fermi restando evidentemente i differenziali relativi alle aliquote, peraltro
sempre meno significativi877 – al punto da consentirne l’unificazione nel genus
unitario composto da quelli che la Corte costituzionale aveva individuato come
i lavoratori privi di «una posizione attiva nel determinismo contributivo»878.
Tale superamento dell’impianto dicotomico della materia, oltre a essere
emblematico di un approccio di carattere squisitamente funzionale al problema
della selezione delle tutele applicabili al di là dell’area della subordinazione,
comporta non trascurabili effetti pratici, consentendo di realizzare l’auspicata879
diversità di trattamento minimo pensionistico tra lavoratori autonomi e subordinati (p. 324 ss.),
in materia di mancata perequazione delle pensioni di ex lavoratori autonomi, secondo cui «la
diversità di trattamento che deriva dalle norme in esame non appare arbitraria od irragionevole,
trovando essa la sua giustificazione nella differente valutazione delle situazioni in cui versano le
due categorie in discussione». 874 Per tutti, da ultimo, G. BRONZINI, Il diritto a un reddito di base, Gruppo Abele, Torino, 2017. 875 S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., spec. p. 494, ove si muove il rilievo
problematico che «attiene al tema del riordino della previdenza del lavoro autonomo. è questo
un tema di grande complessità, oltre che di ovvia problematicità […] non sorprende dunque che
la legge sia, sotto questo profilo, altrettanto elusiva». 876 In entrambi i casi l’obbligo di effettuare i versamenti contributivi, pur essendo a carico del
committente in misura pari a 2/3 ed a carico del lavoratore in misura pari ad 1/3, grava
interamente sul committente, il quale effettua le trattenute sul compenso del collaboratore
rispondendo, anche penalmente, per l’omesso versamento. 877 V. FILÌ, Stabilizzazione ed estensione dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con
rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di),
Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 355, che osserva come «lo scarto
tra i costi della subordinazione e quelli della parasubordinazione nel 1996 era di circa trenta punti
percentuali […] dopo ventuno anni, il delta si è ridotto a meno di dieci punti percentuali,
incidendo in modo decisivo sulla ‘convenienza’, sotto il profilo degli oneri sociali, delle co.co.co.
rispetto al lavoro subordinato». 878 Corte cost. 19 gennaio 1995, n. 18, in D&L, 1995, n. 3-4, II, p. 327, con nota di V.M.
MARINELLI, La Corte Costituzionale estende il riscatto dei contributi prescritti anche ai
collaboratori dell'artigiano. 879 In tal senso G. SANTORO PASSARELLI, voce Lavoro Autonomo (2012), cit., p. 749.
184
estensione al mondo delle collaborazioni autonome di alcuni importanti benefici
previdenziali, come la regola dell’automaticità delle prestazioni di cui all’art.
2116, comma 1, c.c.880, ovvero l’accesso ai rimedi risarcitori in tema di omissioni
contributive881 (anche nella forma della reintegrazione in forma specifica
mediante costituzione di rendita vitalizia (art. 13, l. 1338/1962)882. Rimedi da
cui, sulla base del medesimo approccio funzionale, sono invece esclusi i liberi
professionisti883, data la loro diversa qualità di soggetti attivi nel determinismo
contributivo884.
Al di là di queste tendenze giurisprudenziali, tuttavia, la tutela previdenziale
dei collaboratori coordinati e continuativi – a tacere, per il momento, dei liberi
professionisti – è sempre stata fortemente differenziata rispetto a quella prevista
per i lavoratori subordinati, con particolare riferimento alla tutela contro la
disoccupazione e a quelle in caso di malattia e di infortunio, nonostante a partire
da un decennio la legislazione previdenziale si sia mossa nella direzione di
apprestare in favore degli iscritti alla gestione separata alcune tutele aggiuntive,
modellate sulla falsariga di quelle proprie del lavoro subordinato, secondo una
linea di sviluppo che lo Statuto raccoglie e implementa, nei termini che verranno
esaminati nei paragrafi seguenti885.
880 Estesa ai collaboratori da Trib. Monza 28 settembre 2017, n. 385; App. Milano 19 ottobre
2015, n. 653, entrambe inedite a quanto consta; Trib. Bergamo 12 dicembre 2013, in RIDL, 2014,
n. 2, II, p. 439, con nota di G. CANAVESI, L’automaticità delle prestazioni previdenziali per i
lavoratori a progetto. 881 Esperibili da parte dei collaboratori secondo App. Milano 31 gennaio 2017, n. 32, inedita a
quanto consta; Trib. Bergamo 23 dicembre 2013, n. 941; Cass. 26 agosto 2003, n. 12517,
entrambe in DeJure. 882 Così, in adeguamento alle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, Circolare Inps 26
luglio 2010, n. 101. 883 Da ultimo, Cass. 14 giugno 2018, n. 18643, in DeJure. 884 Senza che ciò possa quindi costituire una lesione del principio di uguaglianza (Cass. 16 agosto
2001, n. 11140, in Giust. civ., 2003, I, p. 2589, con nota di E. BAGIANTI, Sulla prescrizione dei
contributi previdenziali dei liberi professionisti). Non a caso, d’altronde, la legge detta previsioni
estremamente diverse quanto alla prescrittibilità dei contributi previdenziali dei professionisti (v.
ad es. l’art. 66, l. 247/2012, che esclude la prescrizione dei contributi dovuti alla Cassa forense,
su cui L. CARBONE, Inadempimento contributivo, sanzioni e prescrizione, in Prev. forense, 2016,
p. 28 ss.). 885 Per una panoramica sulle novità in materia previdenziale introdotte dallo Statuto, D. MESITI,
Le modifiche in materia previdenziale contenute nella legge di riforma del lavoro autonomo, in
Lav. giur., 2017, n. 7, p. 621 ss.; S. CASSAR, Contratto d'opera: cenni sulla disciplina codicistica
e sulle novità “a caldo” della legge 81/2017 (Capo I, artt. 1-17, c.d. “Jobs Act” dei lavoratori
autonomi), in LPO, 2017, n. 5-6, p. 217 ss.; S. GIUBBONI, Le tutele del welfare per i lavoratori
non subordinati, in U. CARABELLI, L. FASSINA (a cura di), Il lavoro autonomo, cit., p. 83 ss.
185
2.1. La tutela contro la disoccupazione
Già all’alba del nuovo millennio una parte della dottrina886 aveva auspicato
una piena ed immediata inclusione nel sistema di ammortizzatori sociali per i
“nuovi” lavori, a carattere non subordinato, che erano nel frattempo proliferati
massicciamente a seguito della riforma del 1995.
Tali auspici avrebbero finito per trovare le prime, timide, risposte legislative,
a partire dagli interventi, in gran parte abortiti, effettuati a partire dal 2007887 e
riproposti l’anno successivo888, volti a prevedere forme di sostegno al reddito
per i collaboratori a progetto in stato di disoccupazione involontaria. Si trattava,
tuttavia, di risposte ancora insufficienti «per affermare che l’universalizzazione
della tutela […] abbia valicato il confine della subordinazione per irrompere
nell’area dell’autonomia»889.
Altrettanto si può dire per il successivo intervento operato dal d.l. 185/2008,
con cui era stata introdotta, in via sperimentale, un’indennità una tantum, sempre
a favore dei collaboratori a progetto, vincolata a rigidi requisiti (non solo di
carattere contributivo), che sarebbero poi stati parzialmente riscritti dalla riforma
Monti-Fornero890.
Maggiore sistematicità avrebbe invece assunto il riordino operato dal d.lgs.
22/2015, attuativo del Jobs Act, con cui il legislatore ha istituito, sempre in via
sperimentale, l’apposita indennità denominata DIS-COLL, corrisposta su base
mensile in favore di tutti i «collaboratori coordinati e continuativi, anche a
progetto, con esclusione degli amministratori e dei sindaci, iscritti in via
886 U. CARABELLI, Dagli ammortizzatori sociali alla rete integrata di tutele sociali: alcuni spunti
per una riforma del welfare, in P.G. ALLEVA ET AL. (a cura di), Tutela del lavoro e riforma degli
ammortizzatori sociali, Giappichelli, Torino, 2002, spec. p. 49. 887 V. art. 1, comma 1156, lett. d), l. n. 296/2006, che prevedeva la possibilità, poi non attuata,
di «sostenere programmi per la riqualificazione professionale ed il reinserimento occupazionale»
dei collaboratori a progetto che avessero collaborato presso aziende in crisi. Sul punto M.
MISCIONE, Gli ammortizzatori sociali prorogati, in M. MISCIONE, D. GAROFALO (a cura di), Il
lavoro nella Finanziaria 2007, Ipsoa, Milano, 2007, p. 21 s., il quale sottolinea la valenza
simbolica (più che pratica) della previsione, con cui il legislatore ha per la prima volta previsto
un ammortizzatore sociale a favore di lavoratori autonomi. 888 Art. 1, comma 526, l. 244/2007, che prevedeva «appositi percorsi di formazione e
riqualificazione professionale» a favore di «alcune categorie di lavoratori iscritti alla gestione
separata». 889 Così D. GAROFALO, La riforma degli ammortizzatori sociali: l’ipotesi “neocostituzionalista”,
WP Adapt n. 63/2008, p. 18. 890 Sull’evoluzione di tali normative, ID., La tutela della disoccupazione tra sostegno al reddito
e incentivo alla ricollocazione, in M. BROLLO (a cura di), Il mercato del lavoro, cit., spec. p.
772 ss.; E. GHERA, La tutela dei lavoratori parasubordinati disoccupati: dall’indennità una
tantum al DIS-COLL, in E. GHERA, D. GAROFALO (a cura di), Le tutele per i licenziamenti e
per la disoccupazione involontaria nel Jobs Act, Cacucci, Bari, 2015, spec. p. 301 ss.
186
esclusiva alla Gestione separata, non pensionati e privi di partita IVA» (art. 15,
d.lgs. 22/2015)891.
Su tale disciplina si innesta oggi l’art. 7, l. 81/2017, che aggiungendo tre
commi al citato art. 15, d.lgs. 22/2015, provvede a stabilizzare definitamente
l’istituto della DIS-COLL e a estenderne l’ambito di applicazione soggettivo892.
Vengono infatti inclusi nel novero dei fruitori anche gli assegnisti e i
dottorandi di ricerca, purché beneficiari di borsa di studio893, in relazione agli
eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dal 1 luglio 2017.
Il punto – per intuitive ragioni – sta a cuore a chi scrive. Considerato che
entrambe tali categorie di soggetti sono iscritti alla gestione separata Inps e
sottostanno al medesimo regime previdenziale delle collaborazioni coordinate e
continuative, era lecito ritenere che anche nel regime precedente alla novella essi
dovessero essere ricompresi nell’ambito di applicazione soggettivo della DIS-
COLL. Ciò tanto più visto che, pur nelle peculiarità dei relativi rapporti – in cui
certamente assume particolare rilievo l’elemento formativo – è difficile dubitare
della ricorrenza degli elementi di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c.894, peraltro con tratti
di instabilità occupazionale e reddituale che non a caso fanno di tali lavoratori
un vero e proprio simbolo del “precariato della conoscenza”895, che ha trovato
spazio anche nella cultura popolare e nel cinema896.
Il Ministero, tuttavia, in sede di risposta ad interpello proposto dalla CGIL,
aveva escluso che dottorandi e assegnisti, in ragione del carattere formativo del
relativo rapporto, potessero essere considerati collaboratori coordinati e
891 D. GAROFALO, La tutela della disoccupazione involontaria nel Jobs Act 2, in G. ZILIO
GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, cit., p. 805 ss.; F.
NATALINI, La riforma dell’Aspi nell’ambito del Jobs Act: nasce la Naspi. Come cambia il
sussidio di disoccupazione. Le ulteriori novità: la DIS-COLL e l’Asdi, in L. FIORILLO, A.
PERULLI (a cura di), Contratto a tutele crescenti e Naspi, Giappichelli, Torino, 2015, p. 240 ss. 892 Sulla previsione statutaria, in generale, v. V. FILÌ, Stabilizzazione ed estensione dell’indennità
di disoccupazione, cit., p. 347 ss.; V. CAGNIN, Art. 7, l. 22 maggio 2017, n. 81: la conferma della
DIS-COLL quale sussidio alla disoccupazione per i collaboratori e la sua estensione ad
assegnisti e dottorandi di ricerca con borsa di studio, in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Il
jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 59 ss. 893 Pari nel 2016 al 76,21% dei dottorandi totali, secondo la ricerca condotta in A. ROTISCIANI (a
cura di), Del declino e delle occasioni mancate. Numeri e condizione del Dottorato in Italia, VI
indagine ADI su Dottorato e Post-Doc, 6 ottobre 2016, reperibile in dottorato.it, dove si rileva
che 18,41% dei dottorandi italiani svolge attività di ricerca senza borsa, mentre altre categorie di
dottorandi (dottorandi dall’estero, dottorandi industriali e dell’apprendistato di alta formazione)
rappresentano complessivamente meno del 6% del totale. 894 Che l’attività di ricerca «è diventata una forma di occupazione», lo rileva molto chiaramente
V. V. FILÌ, Stabilizzazione ed estensione dell’indennità di disoccupazione, cit., p. 354. 895 Per una recente panoramica del lavoro accademico “non strutturato” D. FERRI, A. MURGIA,
Senza limiti, ma con passione. Senza riconoscimento, ma con ottimismo. Lavorare con un
assegno di ricerca nell’università italiana, in Sociologia del lavoro, 2017, n. 1, p. 184 ss. 896 Il riferimento è alla fortunata trilogia inaugurata da Smetto quando voglio (2014), di Sydney
Sibilia, che racconta la storia di precari dell’Università che non trovano altra soluzione che darsi
alla produzione e spaccio delle c.d. smart drugs.
187
continuativi ai fini della spettanza della DIS-COLL897, sicché l’intervento
legislativo, effettuato anche grazie alle pressioni delle associazioni
rappresentative dei diretti interessati898, era senz’altro opportuno, anche per
adeguare il nostro ordinamento a quanto avviene in altre realtà europee899, dove
anzi in molti casi è pacifica la loro riconduzione allo stesso lavoro
subordinato900.
Sebbene la stabilizzazione e l’estensione della DIS-COLL non possa che
essere salutata con favore, quale misura che si pone nella direzione di un maggior
universalismo delle tutele, i nodi irrisolti sono ancora molti. Dal punto di vista
operativo, con riferimento all’estensione della platea dei beneficiari, nonostante
le indicazioni ministeriali901, i dottorandi faticano ancora a ottenere
tempestivamente l’indennità, in ragione di ostacoli di carattere burocratico e
amministrativo902. Ma soprattutto, più in generale, la misura viene corrisposta
per una durata massima (6 mesi), molto minore di quella prevista per l’Aspi (che
può durare fino a 24 mesi) e pare comunque inadeguata a garantire – tanto più
nelle realtà geografiche caratterizzate da un elevato costo della vita – la
sussistenza del beneficiario, il quale peraltro non può integrare il trattamento con
nessun tipo di attività libero-professionale903. Inoltre, lo stesso beneficiario non
potrà nutrire molte speranze sul fatto che i centri per l’impiego – cui è tenuto a
rivolgersi, in virtù dei meccanismi di condizionalità previsti dalla normativa in
materia – possano realmente aiutarlo a reperire una nuova occupazione.
Tra le misure welfaristiche previste dallo Statuto, maggior rilievo sistematico
parrebbe piuttosto doversi attribuire alla previsione di cui all’art. 6, comma 1, l.
81/2017, che delega il governo ad adottare uno o più decreti legislativi «al fine
di rafforzare le prestazione di protezione sociale dei professionisti iscritti agli
ordini o ai collegi», indicando il principio e criterio direttivo consistente
nell’abilitazione degli enti di previdenza di diritto privato ad attivare
«prestazioni sociali» in favore degli iscritti «che abbiano subito una significativa
897 Ministero del Lavoro, risposta ad interpello del 22 dicembre 2015, n. 31. 898 Il riferimento è alla campagna Perché noi no?, promossa da ADI – Associazione Dottorandi
e Dottori di Ricerca Italiani. 899 S. NAPOLI, A. ROTISCIANI, «I migliori standard europei»? Il confronto con le altre realtà
nazionali, V indagine ADI su Dottorato e Post-Doc, 9 giugno 2015, reperibile in dottorato.it. 900 O. RAZZOLINI, Il ddl sul lavoro autonomo: dalla tutela della dipendenza alla tutela della
persona, cit., la quale osserva che «chiunque abbia viaggiato non può non aver notato come solo
in Italia […] assegnisti e dottorandi siano considerati lavoratori autonomi, con contributi
pensionistici inferiori e ridotte tutele». 901 Cfr. Circolare Inps 19 luglio 2017, n. 115, con cui l’Istituto ha precisato le modalità di
richiesta e di erogazione della DIS-COLL per assegnisti e dottorandi. 902 Lo segnala ADI, DIS-COLL, illegittima la richiesta del modulo UNILAV per il dottorato da
parte dell'INPS, in dottorato.it, 30 gennaio 2018. 903 Si ricorda che la titolarità di partita Iva è ostativa all’erogazione del trattamento.
188
riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria
volontà o che siano stati colpiti da gravi patologie».
Benché la delega sia ormai scaduta, e nonostante i rischi di abuso insiti nella
previsione di una prestazione sociale che scatta in presenza di «una significativa
riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria
volontà» – termini che dovranno essere dettagliatamente specificati ad opera dei
decreti attuativi, alla luce della loro vaghezza904 – pare assumere un particolare
rilievo la consapevolezza del legislatore che, in un contesto di generale
impoverimento della categoria dei liberi professionisti905, anche questi ultimi
possano essere destinatari di tutele del tutto inedite906.
2.2. La tutela della genitorialità
Alla tutela della maternità e, più in generale, della genitorialità, lo Statuto
dedica diverse previsioni. Su quelle relative al rapporto tra lavoratrice autonoma
e committente, riconducibili dunque al nucleo dell “tutela contrattuale” del
lavoro autonomo – le uniche, peraltro, applicabili a prescindere dalla gestione
previdenziale di riferimento – si è già detto907. È ora necessario soffermarsi
brevemente sulle misure di carattere previdenziale, che trovano tuttavia
applicazione solo in riferimento agli iscritti alla gestione separata Inps908.
In primo luogo, tra le deleghe previste dall’art. 6, l. 81/2017, compare anche
quella sorretta dal principio e criterio direttivo consistente nella «riduzione dei
requisiti di accesso alle prestazionei di maternità, incrementando il numero di
mesi precedenti al periodo indennizzabile entro cui individuare le tre mensilità
di contribuzione dovuta, nonché introduzione di minimali e massimali per le
medesime prestazioni» (art. 2, comma 2, lett. a), l. 81/2017).
In secondo luogo, lo Statuto porta a sostanziale compimento il percorso di
parificazione della disciplina dei congedi parentali spettanti ai lavoratori
autonomi a quelli previsti per i lavoratori subordinati, in linea con l’intervento
904 Lo evidenzia D. MESITI, Le modifiche in materia previdenziale, cit., p. 622. 905 E. MINERVINI, L’equo compenso degli avvocati, cit., spec. p. 2 ss.; S. GIUBBONI, Il Jobs act
del lavoro autonomo, cit., p. 492. 906 Sottolineano il carattere innovativo e la significatività della previsione P.P. FERRARO, Le
deleghe sulle professioni organizzate, cit., p. 325 s.; V. FILÌ, Stabilizzazione ed estensione
dell’indennità di disoccupazione, cit., p. 349 e 351; R. SALOMONE, Deleghe al Governo in
materia di atti pubblici rimessi alle professioni organizzate in Ordini e Collegi, sicurezza e
protezione sociale (e relative procedure di adozione), in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Il
jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 57, quest’ultimo però piuttosto scettico sulla possibilità di
«immaginare la operatività dell’istituto in tempi brevi». 907 Supra, Sez. I, § 7 ss. 908 Sulla tutela previdenziale della genitorialità nello Statuto, in generale, v. ancora M.L.
VALLAURI, Tutela della salute e sostegno alla genitorialità, cit., p. 135 ss.; R. NUNIN, La tutela
della gravidanza e la sospensione, cit., p. 409 ss.
189
già operato dal d.lgs. 80/2015 anche in ossequio agli «aggiustamenti»909 operati
della giurisprudenza costituzionale910. In particolare, l’art. 8, comma 4, l.
81/2017, riscrive la disciplina del congedo parentale per le lavoratrici e i
lavoratori iscritti alla gestione separata, stabilendo che essi «hanno diritto ad un
trattamento economico per congedo parentale per un periodo massimo pari a sei
mesi entro i primi tre anni di vita del bambino», e che i genitori potranno decidere
come suddividersi la prestazione, che non potrà comunque superare i
complessivi sei mesi anche quando il trattamento sia erogato a uno dei due
genitori da un’altra gestione dell’Inps o da un altro ente previdenziale911.
Lo Statuto, in sostanza, adegua la disciplina del congedo parentale per i
collaboratori autonomi iscritti alla gestione separata Inps a quella prevista per i
lavoratori subordinati dall’art. 34 d.lgs. 151/2001, che prevede infatti un
trattamento della durata di sei mesi, ancorché permangano alcune differenze di
trattamento rispetto alla disciplina prevista per il lavoro subordinato, da
considerarsi tuttavia in alcuni casi ragionevoli – come nei casi dei congedi per
malattia del figlio e dei riposi giornalieri, spettanti ai soli subordinati – in ragione
dell’autonomia organizzativa, anche spazio-temporale che deve connotare, come
non ci si stancherà di ribadire, il rapporto di lavoro autonomo, ancorché
continuativo912.
In tale prospettiva di dialettica tra identità e differenziazione delle tutele può
essere apprezzato anche l’ulteriore intervento operato dallo Statuto sulla
disciplina in materia di tutela della genitorialità, rappresentato dalla modifica
dell’art. 64, comma 2, d.lgs. 151/2001, che prevede oggi che per le collaboratrici
iscritte alla gestione separata Inps l’indennità di maternità spettante per i due
mesi antecedenti il parto e per i tre mesi successivi sia corrisposta «a prescindere
[…] dalla effettiva astensione dall’attività lavorativa» (aggiunta operata dall’art.
13, comma 1, l. 81/2017).
Merita evidenziare che prima della novella, il T.U. maternità prevedeva che
solo per le libere professioniste l’indennità di maternità fosse corrisposta
«indipendentemente dall'effettiva astensione dall'attivita» (art. 71, d.lgs.
150/2011), sulla base di un’opzione di politica del diritto avallata dalla Corte
costituzionale, che aveva considerato che «il diverso sistema di autogestione
dell'attività consente alle donne professioniste di scegliere liberamente modalità
di lavoro tali da conciliare le esigenze professionali con il prevalente interesse
909 R. PESSI, Alcuni aggiustamenti della Consulta sul riconoscimento dell'indennità di maternità
“piena” alle lavoratrici autonome, in GCost, 2013, n. 1, p. 490 ss. 910 Corte cost. 22 novembre 2012, n. 257, ivi. 911 I successivi commi dettano i requisiti e l’ammontare del trattamento (comma 5), che varia nel
caso in cui i fruitori abbiano diritto anche all’indennità di maternità (comma 6), precisando che
il trattamento spetta anche in caso di adozione o affidamento preadottivo. 912 In tal senso M.L. VALLAURI, Tutela della salute e sostegno alla genitorialità, cit., p. 138.
190
del figlio»913, e soprattutto che le lavoratrici autonome non si trovano « sotto la
pressione (con effetti anche psicologici) di direttive, di programmi, di orari, di
attività obbligatorie e fisse, ma [possono] distribuire più elasticamente tempo e
modalità di lavoro»914.
Sennonché, le collaboratrici iscritte alla gestione separata, a dispetto della
natura autonoma del proprio rapporto, si vedevano applicare “in blocco” la
disciplina dettata per i lavoratori subordinati915, ivi compreso il divieto di
svolgere attività lavorativa in costanza del periodo coperto dal congedo
parentale.
Lo Statuto interviene quindi per adeguare la disciplina delle collaboratrici
autonome a quella delle libere professioniste, secondo una scelta che pare
condivisibile916, oltre che in linea con le succitate indicazioni della Corte
costituzionale. Tale giudizio, tuttavia, può valere solo nella misura in cui, si badi
bene, si intenda la collaborazione autonoma come genuinamente tale, con
esclusione dell’ipotesi in cui il coordinamento assuma di fatto le caratteristiche
della etero-organizzazione spazio-temporale della prestazione. In tal caso,
infatti, la possibilità di non astenersi dall’attività potrebbe trasformarsi in un
obbligo per la collaboratrice, con evidenti ricadute negative per la salute della
collaboratrice stessa e del nascituro.
In questo senso, l’estensione della regola della facoltatività dell’astensione
dovrà deve essere letta alla luce del nuovo confine tracciato rispettivamente dagli
artt. 2, d.lgs. 81/2015 (in materia di etero-organizzazione), e 15, l. 81/2017 (in
materia di coordinamento genuino), oltre che in combinato disposto con le tutele
di cui all’art. 14, l. 81/2017, in materia di sospensione facoltativa e di
sostituzione soggettiva917.
913 Così Corte cost. 29 gennaio 1998, n. 3, in RIDL, 1998, II, p. 226, con nota critica di G. PERA,
Indennità di maternità senza danno?, su cui v. anche le perplessità di M. MISCIONE, La maternità
per le "donne professioniste", in Lav. giur., 1998, n. 6, p. 465 ss., secondo cui nel periodo in
questione «qualunque lavoro» è pericoloso per la donna e per il nascituro. Per una ricostruzione
del dibattito R. NUNIN, L’indennità di maternità per le professioniste: le ricadute della sentenza
Corte Cost. n. 3/1998, ivi, 2002, n. 2, p. 149 ss. 914 Così Corte cost. 2 aprile 1993, n. 181, in RIDL, 1994, II, p. 38, con nota di G.L. PINTO,
Lavoratrici autonome e indennità giornaliera di maternità. Nello stesso senso, di lì a poco, Corte
cost. 21 aprile 1994, n. 150, in MGL, 1994, n. 3, p. 297, con nota di S. SAETTA, Sui limiti della
tutela costituzionale del lavoratore padre. 915 In forza del rinvio previsto dall’art. 64, d.lgs. 151/2001. 916 In tal senso R. NUNIN, La tutela della gravidanza e la sospensione, cit., p. 414; M.L.
VALLAURI, Tutela della salute e sostegno alla genitorialità, cit., p. 133 s. Contra, D. MESITI, Le
modifiche in materia previdenziale, cit., p. 624, secondo cui «qualunque lavoro, sia esso manuale
o intellettuale, è pericoloso per il bambino e dovrebbe essere rigorosamente vietato». 917 Molto esplicitamente, M.L. VALLAURI, Tutela della salute e sostegno alla genitorialità, cit.,
p. 134, secondo cui l’intervento «si radica nel cambio di rotta varato nel 2015 con la ridefinizione
dell’ambito di applicazione delle tutele del lavoro subordinato» e «se si valorizza poi la lettura
coordinata degli artt. 13 e 14, la suddetta scelta assume contorni ancora più definiti».
191
2.3. Le tutele in caso di malattia e infortunio e la disciplina in materia di
salute e sicurezza sul lavoro
Anche le innovazioni apportate dallo Statuto alla disciplina delle tutele in
caso di malattia e infortunio si pongono in una logica di intervento specifico sulle
discipline di settore attualmente vigenti, piuttosto che in quella di una
ridefinizione organica della materia918.
Con riferimento agli iscritti alla gestione separata, che godono attualmente
di un’indennità giornaliera di malattia a carico dell’Inps919, tra le deleghe
previste dall’art. 6, l. 81/2017, compare anche quella sorretta dal principio e
criterio direttivo consistente nella «modifica dei requisiti dell’indennità di
malattia […] incrementando la platea dei beneficiari […] ed eventualmente
prevedendo l’esclusione della corresponsione dell’indennità per i soli eventi di
durata inferiore a tre giorni» (art. 2, comma 2, lett. b), l. 81/2017).
Il successivo art. 8, comma 10, l. 81/2017, dispone l’equiparazione ai periodi
di degenza ospedaliera, ai fini della relativa indennità, dei «periodi di malattia,
certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche, o
di gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti o che comunque
comportino una inabilità lavorativa temporanea del 100 per cento». Sulla
previsione, introdotta anche sulla scorta di vicende infelici balzate all’onore
delle cronache920, è già intervenuto l’Inps, che ha precisato l’elenco delle
patalogie da ricomprendere nella norma e gli adempimenti richiesti al
lavoratore921.
In caso di malattia o infortunio «di gravità tale da impedire lo svolgimento
dell’attività lavorativa per oltre sessanta giorni», poi, lo Statuto prevede una sorta
di moratoria contributiva, stabilendo che «il versamento dei contributi
previdenziali e dei premi assicurativi è sospeso per l’intera durata della malattia
o dell’infortunio, decorsi i quali il lavoratore è tenuto a versare i contributi e i
premi maturati durante il periodo di sospensione in un numero di rate mensili
pari a tre volte i mesi di sospensione» (art. 14, comma 3, l. 81/2017). Tale ultima
918 Sulle tutele in caso di malattia e infortunio, in generale, v. ancora R. NUNIN, La tutela della
gravidanza e la sospensione, cit., p. 409 ss.; M.L. VALLAURI, Tutela della salute e sostegno alla
genitorialità, cit., spec. p. 138 s.; D. MESITI, Le modifiche in materia previdenziale, cit., p. 624. 919 Istituita dall’art. 1, comma 788, l. 296/2007, in favore dei collaboratori a progetto ed estesa,
ad opera dell’art. 24, comma 26, d.l. 201/2011, a tutti i professionisti iscritti alla gestione
separata, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie. 920 Lo ricorda Sul punto, O. RAZZOLINI, Il ddl sul lavoro autonomo: dalla tutela della dipendenza
alla tutela della persona, cit., facendo riferimento alla toccante esperienza di Daniela Fregosi, la
quale, colpita nel 2013 da un cancro al seno, ha dovuto dibattersi nei meandri della burocrazia
per accedere alle ridottissime tutele di cui poteva godere in qualità di lavoratrice autonoma
iscritta alla gestione separata. Sull’evoluzione della vicenda, che ha visto anche il lancio della
petizione Diritti ed assistenza ai lavoratori autonomi che si ammalano (testo reperibile in
change.org), v. i diversi articoli e commenti in tumoreseno.blogspot.com. 921 Circolare Inps 18 settembre 2017, n. 139.
192
previsione, peraltro, contrariamente alle precedenti, parrebbe dover trovare
applicazione in riferimento a tutti i rapporti di lavoro autonomo «non
imprenditoriale», a prescindere sia dalla gestione previdenziale di riferimento,
sia della natura continuativa o meno del rapporto intercorrente con il
committente922, ancorché la collocazione topografica della disposizione
potrebbe suggerire altrimenti.
Il tema, inoltre, è strettamente collegato con le ipotesi di sospensione
facoltativa previste dall’art. 14, comma 1, l. 81/2017, che si sono già esaminate
nell’ambito della “tutela contrattuale” del lavoro autonomo923, e con il nodo della
disciplina in materia di salute e sicurezza dei lavoratori autonomi.
Quanto a quest’ultima, merita evidenziare che se già l’art. 66, d.lgs.
276/2003, aveva ricompreso i collaboratori a progetto – ma solo «quando la
prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente» –
nell’ambito di applicazione della disciplina antinfortunistica allora contenuta nel
d.lgs 626/1994924, il successivo Testo Unico Sicurezza del 2008 avrebbe poi
confermato tale impostazione, individuando una nozione ampia e funzionale di
«lavoratore», comprensivo di ogni «persona che, indipendentemente dalla
tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito
dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato» (art. 2, comma 1,
lett. a), d.lgs. 81/2008)925.
Non stupirà dunque che al tema della tutela della salute e della sicurezza sul
lavoro lo Statuto non destini disposizioni innovatrici del sistema, limitandosi a
prevedere una delega al governo «in materia di semplificazione della normativa
sulla salute e sulla sicurezza degli studi professionali» (art. 11, l. 81/2017)926,
922 In tal senso S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 488, secondo cui la moratoria
contributiva «soddisfa un interesse fondamentale sicuramente riferibile a tutti i lavoratori
autonomi». 923 Supra, Sez. I, § 7.1. 924 Sul punto C. LAZZARI, Brevi riflessioni in tema di tutela della salute e della sicurezza nel
lavoro autonomo, in P. PASCUCCI (a cura di), Il Testo Unico sulla sicurezza del lavoro, Ministero
della salute-Ispesl, Roma, 2007, p. 43 ss.; C. DE MARCO, La gestione della sicurezza nel
contratto di somministrazione e nel contratto di lavoro a progetto, in RGL, 2006, n. 2, I, p. 379
ss. 925 Sull’applicabilità del T.U. alle varie categorie di lavoratori autonomi, v. tra i primi
commentatori, P. PASCUCCI, Dopo la legge n. 123 del 2007. Prime osservazioni sul Titolo I del
decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di
lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” .IT - 73/2008, p. 43 ss., nonché, da ultimo,
anche per i riferimenti all’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale successiva al 2008, V.
PASQUARELLA, L’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo del d.lgs. 81/2008, in G.
NATULLO (a cura di), Salute e sicurezza sul lavoro, Utet, Milano, 2015, p. 484 ss., spec. p. 504
ss. 926 Sulla delega in questione, funditus, P. PASCUCCI, A. DELOGU, La delega per la
semplificazione della normativa sulla salute e sicurezza degli studi professionali, in L. FIORILLO,
A. PERULLI (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 97 ss.; A. DEL TORTO, La delega
al governo per la semplificazione della normativa in tema di salute e sicurezza degli studi
193
tesa al fine di adeguare la disciplina alle esigenze di maggiore flessibilità
organizzativa provenienti da mondi caratterizzati, sia pure solo in via
tendenziale, da rischi minori rispetto alle realtà produttive927.
3. Le disposizioni promozionali di carattere fiscale. Cenni
Nell’ambito delle tutele del lavoro autonomo “oltre” il rapporto, il legislatore
dello Statuto ha dedicato una particolare attenzione a quelle di carattere fiscale,
sia pure muovendosi, come è stato osservato, «con interventi marginali e di
dettaglio, che coinvolgono previsioni estremamente specifiche»928.
Alla luce della natura strettamente tecnica di tali interventi, pare opportuno
limitarsi a passarli brevemente in rassegna, per apprezzarne la (modesta) portata,
rinviando per l’approfondimento alle numerose trattazioni specialistiche già
disponibili929.
Le novità introdotte dal legislatore, tutte incidenti sulle modalità di
determinazione del reddito imponibile (art. 54 TUIR), possono essere ricondotte
essenzialmente a due linee di intervento.
La prima mira a risolvere alcuni problemi applicativi in relazione al
trattamento fiscale delle spese sostenute dal (o per il) lavoratore autonomo
nell’esecuzione dell’incarico. In particolare, il primo comma dell’art. 8, l.
81/2017 interviene sull’art. 54, comma 5, del TUIR, prevedendo innanzitutto che
non si applichino i limiti forfettari di deducibilità in relazione «alle spese relative
a prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande sostenute
dall’esercente arte o professione per l’esecuzione di un incarico e addebitate
analiticamente in capo al committente».
La legge riconosce dunque che laddove vi sia analitica menzione dei costi
nella fattura, la deducibilità degli stessi non rischia di dare luogo alle note derive
professionali, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo Statuto del
lavoro autonomo, cit., p. 389 ss. 927 Ancorché ammoniscano P. PASCUCCI, A. DELOGU, La delega per la semplificazione, cit., p.
99, che la logica del “basso rischio” o del “rischio zero” sia pericolosa, e corrisponda a un “falso
mito” l’idea «che il lavoro svolto negli studi professionali sia tale da comportare un livello di
rischio basso o inesistente». 928 A. CARINCI, Il regime fiscale, cit., p. 259, il quale rileva che «non si è trattato di un intervento
sistematico né rivoluzionario, quanto e più semplicemente di una manutenzione del regime di
tassazione dei professionisti, che resta nella sostanza invariato». 929 Inter alia, F. LOZZI, Le novità fiscali introdotte dal Jobs Act: lavoro autonomo, in Lav. giur.,
2017, n. 7, p. 626 ss.; G. FERRANTI, Le novità fiscali per i professionisti introdotte dalla legge
di tutela del lavoro autonomo, in Il Fisco, 2017, p. 2433 ss.; A. VIOTTO, Le disposizioni fiscali,
la deducibilità delle spese e l’accesso del lavoratore autonomo alla formazione permanente, in
L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 73 ss.; A. CARINCI,
Il regime fiscale, cit.; P. PASSALACQUA, Gli incentivi alla formazione e al collocamento del
lavoratore autonomo, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo Statuto
del lavoro autonomo, cit., p. 369 ss.
194
per cui venivano dedotte spese di natura più “turistica” che non inerente
all’attività professionale930. Dopo la novella dunque, le spese in oggetto
concorrono a formare il reddito imponibile del soggetto passivo, salvo essere
integralmente “neutralizzate” in quanto spesa deducibile.
In secondo luogo, la stessa previsione precisa che «tutte le spese relative
all’esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente
non costituiscono compensi in natura per il professionista», così superando gli
elementi di iniquità e di contraddizione insiti nel sistema previgente, in cui le
spese inerenti all’incarico sostenute dal committente (con l’eccezione, a partire
dal 2014, delle prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e di
bevande931) venivano considerate un compenso in natura per il prestatore, che
poteva poi dedurle come spese, ma ne subiva le ricadute di carattere
previdenziale932.
Un rilievo sistematico relativamente maggiore assumono invece le novità
fiscali previste dall’art. 9, l. 81/2017, che intervengono anch’esse sull’art. 54,
comma 5, del TUIR, prevedendo la deducibilità integrale, eventualmente entro
un massimale annuo, di una serie di spese sostenute dal prestatore al fine di
accrescere la propria professionalità mediante l’accesso a iniziative di
formazione933, ovvero al fine di fruire di servizi di placement934 offerti da
organismi abilitati935, ovvero al fine di tutelarsi dal mancato pagamento delle
proprie prestazioni936.
Senza addentrarci ulteriormente nell’esame di queste ultime novità, merita
segnalare come, rispetto all’intervento sulle spese inerenti allo svolgimento
930 Lo rileva F. LOZZI, Le novità fiscali introdotte dal Jobs Act: lavoro autonomo, cit., p. 627. 931 Art. 10, d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175. 932 Sottolineano questo aspetto A. CARINCI, Il regime fiscale, cit., p. 364, e F. LOZZI, Le novità
fiscali introdotte dal Jobs Act: lavoro autonomo, cit., p. 628. 933 In particolare, viene prevista l’integrale deducibilità, entro il limite annuo di 10.000 Euro,
delle spese sostenute «per l'iscrizione a master e a corsi di formazione o di aggiornamento
professionale nonché [del]le spese di iscrizione a convegni e congressi, comprese quelle di
viaggio e soggiorno». In precedenza, tali spese erano deducibili nella misura del 50%, ancora
una volta sulla base dell’assunto che «soprattutto in taluni settori, la partecipazione ad eventi
formativi fosse accompagnata da un’ampia offerta di attività voluttuarie» (così A. VIOTTO, Le
disposizioni fiscali, cit., p. 81). 934 In particolare, sono oggi integralmente deducibili, entro il limite annuo di 5.000 euro, «le
spese sostenute per i servizi personalizzati di certificazione delle competenze, orientamento,
ricerca e sostegno all'auto-imprenditorialità, mirate a sbocchi occupazionali effettivamente
esistenti e appropriati in relazione alle condizioni del mercato del lavoro, erogati dagli organismi
accreditati ai sensi della disciplina vigente». 935 Individuati, nella Relazione al Senato dell’allora ddl 2233, nelle agenzie per il lavoro di cui
al d.lgs. 150/2015. Sul punto, osserva P. PASSALACQUA, Gli incentivi alla formazione, cit., p.
372, che il nuovo sistema «si basa anche su una competizione, nella prospettiva della
sussidiarietà, che si spera virtuosa, tra pubblico e privato, nella gestione di tali servizi». 936 Sono infatti integralmente deducibili, senza limiti di sorta, «gli oneri sostenuti per la garanzia
contro il mancato pagamento delle prestazioni di lavoro autonomo fornita da forme assicurative
o di solidarietà».
195
dell’incarico, quello in materia di deducibilità delle spese di formazione, di
promozione e di salvaguardia dai mancati pagamenti assumono un maggior
rilievo sistematico. L’attenzione dedicata dallo Statuto alla formazione e alla
collocabilità del lavoratore autonomo – non solo nelle disposizioni fiscali937 – si
pone pienamente nel solco del cambio di paradigma del diritto del lavoro938, per
cui (anche e soprattutto nel mondo del lavoro subordinato) la prospettiva è quella
di bilanciare la ridefinizione in chiave minimale delle tutele della stabilità del
posto di lavoro (job protection o job property, che dir si voglia) con investimenti
più o meno effettivi sulla employability del lavoratore939. Che poi la flexicurity
“all’italiana”940 possa rappresentare una strategia vincente, nel lungo periodo, ce
lo saprà dire soltanto il tempo, ancorché parrebbe lecito nutrire più di una
perplessità (ma… incrociamo le dita).
4. Le altre disposizioni promozionali
Strettamente connesse alla prospettiva del sostegno all’occupabilità dei
lavoratori autonomi sono le ulteriori disposizioni dello Statuto con cui il
legislatore affida la promozione del lavoro autonomo a tre distinte linee
d’intervento che, nonostante il carattere parzialmente inedito dell’approccio e a
dispetto dei buoni propositi sottostanti, parrebbero destinate ad un sostanziale
buco nell’acqua: l’attribuzione ai centri per l’impiego di competenze in materia
di orientamento, riqualificazione e ricollocazione dei lavoratori autonomi (art.
10, l. 81/2017), la promozione della partecipazione dei lavoratori autonomi agli
appalti pubblici (art. 12) e l’istituzione del «Tavolo tecnico di confronto
permanente sul lavoro autonomo» (art. 17).
4.1. Il nuovo «sportello dedicato al lavoro autonomo» presso i centri per
l’impiego
L’art. 10, l. 81/2017, prevede, anche sulla scorta delle sollecitazioni
provenienti dalla Commissione Europea941, l’istituzione, presso «i centri per
937 Ma anche in quelle in materia di servizi per l’impiego (infra, § 4.1) e nella previsione relativa
all’istituzione del tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo (infra, § 4.3). 938 In tal senso P. PASSALACQUA, Gli incentivi alla formazione, cit., p. 374 s. 939 Sul punto, in relazione alla nuova disciplina del lavoro autonomo, L. CASANO, Il lavoro
(autonomo) tra vecchie tutele e promozione della professionalità, cit., spec. p. 435 ss. 940 Per tutti, M.T. CARINCI, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi: modelli europei e flexicurity
“all’italiana” a confronto, in DLRI, 2012, n. 4, p. 527 ss 941 Cfr. il Documento di lavoro dei servizi della Commissione, SWD (2017) 201 del 26 aprile
2017, che accompagna la Comunicazione COM (2017) 250 (Comunicazione della Commissione
al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato
delle Regioni «Istituzione di un pilastro europeo dei diritti sociali»), p. 20 s., dove si precisa che
«gli Stati membri sono invitati ad aggiornare e ampliare le loro prassi in materia di offerta di
196
l’impiego e gli organismi autorizzati alle attività di intermediazione ai sensi della
disciplina vigente», di uno «sportello dedicato al lavoro autonomo»942.
Tale sportello, che può essere aperto anche «stipulando convenzioni non
onerose» con gli ordini e i collegi professionali, con le associazioni
rappresentative dei professionisti non ordinisti943 e con le associazioni
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei lavoratori
autonomi (ordinisti e non), «raccoglie le domande e le offerte di lavoro
autonomo, fornisce le relative informazioni ai professionisti ed alle imprese che
ne facciano richiesta, fornisce informazioni relative alle procedure per l’avvio di
attività autonome e per le eventuali trasformazioni e per l’accesso a commesse
ed appalti pubblici, nonché relative alle opportunità di credito e alle agevolazioni
pubbliche nazionali e locali» (art. 10, comma 3, l. 81/2017).
L’intervento è nel contempo inedito e ambizioso, giacché nell’estendere per
la prima volta944 ai lavoratori autonomi servizi storicamente pensati per i soli
lavoratori subordinati, il legislatore affida tale (difficile) compito a una
molteplicità di soggetti; i quali, tuttavia, non pare possano essere all’altezza delle
aspettative, per una serie di ragioni.
In particolare, i centri per l’impiego, che costituiscono, a seguito del d.lgs.
150/2015, il fulcro della «rete di servizi per le politiche del lavoro», insieme alla
neoistituita Agenzia nazionale per le politiche del lavoro (Anpal)945, si vedono
affidati nuovi compiti che difficilmente riusciranno ad assolvere, vuoi per il
cronico sovraccarico di lavoro che già colpisce i centri per l’impiego con
riferimento ai servizi in favore dei lavoratori subordinati, frutto del
sottodimensionamento dei centri946, vuoi con riferimento ai deficit di formazione
assistenza nella ricerca di lavoro, anche autonomo, e a promuovere misure volte a tutelare i diritti
in materia di formazione e protezione sociale dei lavoratori quando cambiano lavoro». 942 Sull’art. 10, l. 81/2017, in generale, v. V. CAGNIN, Art. 10, l. 22 maggio 2017, n. 81 ed il
nuovo sportello di servizi al lavoro per i lavoratori autonomi: funzioni, soggetti coinvolti e
criticità contestuali, in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo, cit.,
p. 85 ss.; A. MONTANARI, I servizi per l’impiego per il lavoratore autonomo, in G. ZILIO GRANDI,
M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 379 ss.; G.
CANAVESI, Mercato del lavoro, servizi per l’impiego e lavoro autonomo. Un gap culturale
difficile da colmare, in ADL, 2018, n. 3, p. 685 ss. 943 Di cui agli artt. 4, comma 1, e 5, l. 4/2013. 944 Di «novità» parlano sia A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi, cit., p. 191, che G. SANTORO
PASSARELLI, Il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 381. 945 Sulla riforma dei servizi per l’impiego, che ha portato a compimento il lungo processo di
evoluzione del sistema originario del collocamento pubblico, v., inter alia, M. RICCI, I servizi
per l’impiego dopo le modifiche legislative tra luci e ombre, in ADL, 2017, n. 2, I, p. 326 ss.; G.
LELLA, Il difficile cammino della riforma dei servizi per il lavoro, in DLRI, 2016, n. 1, p. 186
ss.; L. VALENTE, La riforma dei servizi per il mercato del lavoro, Giuffrè, Milano, 2016; E.
GHERA, D. GAROFALO (a cura di), Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro nel Jobs
Act 2, Cacucci, Bari, 2016. 946 Rileva V. CAGNIN, Art. 10, cit., p. 92, che mentre in altre realtà europee il rapporto tra utenti
e operatori è nell’ordine delle decine, in Italia il rapporto è di un addetto per ogni 254 disoccupati.
197
degli addetti947, tanto più considerato che la novella precisa che ai nuovi
adempimenti «si provvede senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica,
con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente»
(art. 10, comma 5, l. 81/2017).
Anche gli altri enti che, accanto ai centri per l’impiego, dovrebbero dotarsi
di uno sportello dedicato al lavoro autonomo, vale a dire «gli organismi
autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro» – e dunque non
solo le agenzie autorizzate alla somministrazione di cui all’art. 4, d.lgs.
276/2003, ma anche i soggetti autorizzati a svolgere attività di intermediazione
ai sensi dell’art. 6, d.lgs 276/2003948 – non paiono allo stato attuale in grado di
svolgere efficacemente i nuovi compiti assegnati dal legislatore; né pare
plausibile ipotizzare un sostegno disinteressato da parte degli ordini
professionali (pure auspicato dal legislatore ove fa riferimento a «convenzioni
non onerose»), presso i quali parte della dottrina ritiene che sarebbe stato più
opportuno istituire gli sportelli in questione949.
4.2. L’accesso agli appalti pubblici, ai fondi europei e ai bandi per
l’assegnazione di incarichi e appalti privati.
Un discorso parzialmente analogo vale anche – quantomeno per quanto
concerne le problematiche operative derivanti dalla presenza di una clausola di
invarianza finanziaria – per le previsioni di cui al successivo art. 12, l. 81/2017.
La disposizione, volta anch’essa a promuovere le occasioni di lavoro del
lavoratore autonomo, si sviluppa lungo tre direttrici principali, prevedendo che
le stazioni appaltanti pubbliche favoriscano l’accesso alle informazioni relative
ai bandi per l’assegnazione di incarichi personali di consulenza o di ricerca,
anche mediante gli sportelli di cui si è detto al paragrafo precedente (comma 1),
equiparando i lavoratori autonomi alle piccole e medie imprese ai fini
dell’accesso ai piani operativi regionali e nazionali a valere sui fondi strutturali
Sul punto v. anche L. OLIVIERI, I servizi pubblici per l’impiego tra inadeguatezza strutturale e
scarsità di risorse, in attesa dell’Agenzia nazionale per l’occupazione, in DRI, 2015, n. 1, p. 268
ss. 947 Il rilievo è comune: V. CAGNIN, Art. 10, cit., spec. p. 89 e 93, che sottolinea il basso livello
di formazione (quando non di istruzione) degli addetti; A. MONTANARI, I servizi per l’impiego,
cit., p. 388; S. GIUBBONI, Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 490; G. CANAVESI, Mercato
del lavoro, servizi per l’impiego e lavoro autonomo, cit., p. 690; A. OLIVIERI, Quali politiche
attive per i lavoratori autonomi?, in MGL, 2017, p. 866 ss. 948 E dunque, tra gli altri, le Università pubbliche e private, i comuni, le camere di commercio,
le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative, gli enti
bilaterali. 949 Così V. CAGNIN, Art. 10, cit., p. 89, che rileva come sono già molti gli ordini e le associazioni
che offrono alcuni servizi all’impiego in favore dei propri iscritti, anche solo predisponendo
semplici bacheche on-line contenenti domande e offerte di collaborazione.
198
europei (comma 2)950 e consentendo ai lavoratori autonomi di associarsi, in varie
forme (reti di esercenti la professione, reti di imprese in forme di reti miste,
consorzi stabili professionali, associazioni temporanee professionali), al fine di
concorrere a bandi per l’assegnazione di incarichi e appalti privati (comma 3).
Senza addentrarci in un esame approfondito delle previsioni testé
menzionate, per il quale si rinvia a più compiute trattazioni951, merita evidenziare
come esse presentino un notevole valore sistematico nella misura in cui lasciano
trapelare un approccio di tipo funzionalistico alle nozioni di «lavoratore
autonomo», da un lato, e di «appalto», approccio necessitato dall’esigenza di
conciliare le categorie dello Statuto (e del codice civile) con la disciplina
settoriale, in gran parte di derivazione eurounitaria, in materia di contratti
pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 150 (il nuovo c.d. codice dei contratti
pubblici, che ha sostituito il precedente d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163).
In primo luogo, infatti, il lavoratore autonomo, se da un lato è già ricompreso
nella nozione di «operatore economico» prevista ai fini dell’applicazione del
codice dei contratti pubblici952, anche in forza di un’interpretazione
comunitariamente orientata della relativa definizione di legge953, viene
espressamente equiparato alla piccola e media impresa, secondo un’opzione
apparentemente contrastante con la linea di fondo dello Statuto del lavoro
autonomo, per l’appunto, «non imprenditoriale», destinato a non applicarsi al
mondo della piccola impresa954.
Nel contempo, tuttavia, l’art. 12, l. 81/2017 dimostra una fedeltà di fondo
all’idea basilare dello Statuto che esiste un confine – o una soglia – tra mondo
dell’autonomia e mondo dell’imprenditorialità, ma lo individua in termini
diversi, e precisamente nella distinzione tra «appalti pubblici di servizi» (art. 3,
comma 1, lett. ss), d.lgs. 50/2016), rispetto ai quali si promuove la partecipazione
950 La previsione ricalca quella già contenuta nell’art. 1, comma 821, l. 208/2015 (legge di
stabilità 2016), che viene contestualmente abrogata. 951 Per una panoramica sulle previsioni dell’art. 12, M. MONTINI, Informazioni e accesso agli
appalti pubblici ed ai bandi, in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Il jobs act del lavoro
autonomo, cit., p. 117 ss.; S. VARVA, Informazioni e accesso agli appalti pubblici, in G. ZILIO
GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 399
ss. 952 Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. p), d.lgs. 50/2016, si considera operatore economico «una
persona fisica o giuridica, un ente pubblico, un raggruppamento di tali persone o enti, […] che
offre sul mercato la realizzazione di lavori o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di
servizi». 953 La direttiva 2014/24/UE, infatti, al considerando n. 14 reputa «opportuno precisare che la
nozione di ‘operatori economici’ dovrebbe essere interpretata in senso ampio, in modo da
comprendere qualunque persona e/o ente che offre sul mercato la realizzazione di lavori, la
fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, a prescindere dalla forma giuridica nel quadro
della quale ha scelto di operare» (cc.nn.). 954 Sul confine tra autonomia e imprenditorialità ai fini dell’individuazione dell’ambito di
applicazione dello Statuto v. supra, Cap. II, § 5 ss.
199
dei lavoratori autonomi, e «appalti pubblici di lavori» (art. 3, comma 1, lett. ll)),
dai quali essi sono invece esclusi.
Se si è visto che nella prospettiva dell’applicazione della parte generale dello
Statuto l’actio finium regundorum si effettua guardando alla prevalenza o meno
del lavoro personale del prestatore rispetto all’organizzazione di cui si vale, nella
prospettiva funzionalistica della previsione in materia di accesso agli appalti
pubblici la linea di confine si individua, al contrario, avendo riguardo all’oggetto
del contratto, posto che devono considerarsi «appalti pubblici di servizi», i
contratti «aventi per oggetto la prestazione di servizi diversi» da quelli che
formano oggetto degli «appalti pubblici di lavori».
Come dire che il legislatore, nella disciplina in esame, si è spinto a
stravolgere i criteri di individuazione delle fattispecie già adottati per definire
l’ambito di applicazione della parte generale dello Statuto, al fine di promuovere
il lavoro autonomo nel contesto di discipline altamente specializzate e settoriali,
il che rileva un approccio pragmatico che pare piuttosto significativo nella
prospettiva di futuri interventi regolativi.
4.3. Il tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo
Il Capo I della l. 81/2017, dedicato alla tutela del lavoro autonomo «non
imprenditoriale» si chiude con l’art. 17, che istituisce presso il Ministero del
Lavoro un «tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo»,
composto da rappresentanti designati dallo stesso Ministero, dalle associazioni
sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro e dalle associazioni di settore
comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di individuazione
tutt’altro che semplice, ancorché in alcuni settori soccorrano espresse previsioni
di fonte regolamentare interna955. A tale tavolo cui viene devoluto il compito di
coordinare e monitorare gli interventi in materia di lavoro autonomo, nonché di
formulare proposte e indirizzi operativi in materia di politiche del lavoro
autonomo con particolare riferimento ai modelli previdenziali e di welfare e alla
formazione professionale.
Sebbene l’istituzione di organi con funzioni di monitoraggio non sia affatto
nuova nel contesto delle riforme del diritto del lavoro956, deve essere rilevato che
955 È il caso delle associazioni forensi maggiormente rappresentative, che il CNF ha disciplinato
con apposito regolamento (regolamento CNF 16 luglio 2014, n. 4), che detta i criteri per la loro
individuazione, anche ai fini dell’applicazione dell’art. 1, comma 3, l. 247/2012, secondo cui i
decreti ministeriali attuativi della legge professionale forense devono essere adottati previo
parere del CNF, che deve sentire anche le associazioni individuate come maggiormente
rappresentative. Sul punto, per tutti, R. DANOVI, Ordinamento forense e deontologia, Giuffrè,
Milano, 2018, p. 27 s. 956 Cfr., ad esempio, le ipotesi di monitoraggio previste dall’art. 86, d.lgs. 276/2003, e dall’art.
1, comma 2, l. 92/2012.
200
la novella presenta elementi di novità rispetto alle esperienze del passato, in
quanto il tavolo che viene istituito sembrerebbe essere concepito «non come
mero organismo di supporto esterno, bensì come sede permanente di
concertazione tecnica»957, avente come protagonisti esponenti del (rectius,
designati dal958) mondo dell’associazionismo sindacale e delle professioni,
secondo un disegno già sperimentato in altri ordinamenti959, così come
nell’ambito della nostra legislazione regionale960.
A prescindere dalla capacità del tavolo di rispondere efficacemente ai
compiti affidatigli, su cui ancora una volta si scontrano le problematiche relative
all’adeguatezza delle risorse (non) messe a disposizione961, la previsione pone
una serie di questioni in relazione al problema della rappresentanza, sia per
quanto concerne la dimensione della rappresentanza datoriale, che da qualche
tempo a questa parte è al centro di un vivace dibattito scientifico, del quale non
è possibile dare conto in questa sede962, sia soprattutto, per quanto qui interessa,
in relazione alla dimensione dell’associazionismo e/o della rappresentanza del
variopinto mondo del lavoro autonomo, anche ordinistico.
Si tratta di un tema che, nella previsione di chiusura dello Statuto del lavoro
autonomo, finalmente compare – appena accennato, quasi di sfuggita –
suggerendo così all’interprete di “cogliere la palla al balzo”, e di varcare il
sipario che divide le tutele individuali (dentro e fuori dal rapporto), ormai
957 Così R. DEL PUNTA, Commento all’art. 17, l. 22 maggio 2017, n. 81, in L. FIORILLO, A.
PERULLI (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 161. 958 Lo sottolinea R. ZUCARO, Tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo, in
G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo,
cit., p. 442, la quale ipotizza che, in assenza di previsioni ostative, «il Tavolo potrebbe avere al
contempo una composizione costante e una a ‘geografia variabile’, in virtù della precipua
esigenza su cui è consultato». 959 Il riferimento è al Consejo del Trabajo Autónomo, istituito dall’art. 22 dell’Estatuto quale
«organo consultivo del governo in materia socio-economica e professionale del lavoro
autonomo», su cui, da ultimo J. GARCÍA VIÑA, Representación colectiva/sindical. Especial
atención a las asociaciones profesionales de trabajadores autónomos, en J.L. MONEREO PÉREZ,
F. VILA TIERNO (Dirs.), El trabajo autónomo en el marco del Derecho del Trabajo y de la
Seguridad Social, Comares, Granada, 2017, p. 427 ss., il quale denuncia tuttavia che l’esperienza
è stata fallimentare, rilevando che nei dieci anni trascorsi dalla sua istituzione il Consiglio non
si è riunito nemmeno una volta (p. 444). 960 Il riferimento è alla Consulta dei lavoratori atipici, iscritti alla gestione separata dell’Inps e
dei libero professionisti della Regione Lazio, istituita presso l’Assessorato del Lavoro Regionale
dalla l.r. 14 luglio 2014, n. 7. 961 Definisce «immancabile» la clausola d’invarianza finanziaria, prevista anche dall’art. 17, l.
81/2017, S. GIUBBONI¸ Il Jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 491. 962 Si rinvia, pertanto, tra gli ultimi, a V. PAPA, L’attività sindacale delle organizzazioni datoriali,
Giappichelli, Torino, 2017; L. BELLARDI, L’associazionismo dei datori di lavoro: un elemento
di fragilità delle relazioni industriali?, in DLRI, 2016, n. 3, p. 403 ss.; A. MARCIANÒ,
L’associazionismo imprenditoriale nel moderno sistema di relazioni industriali, Giappichelli,
Torino, 2016; M. BIASI, Appunti sulla rappresentatività delle organizzazioni datoriali in Italia,
in F. CARINCI (a cura di), Il Testo Unico sulla rappresentanza 10 gennaio 2014, ADAPT
University Press, Modena, 2014, p. 229 ss.
201
«statutarie», da quelle collettive, che lottano per vedere compiutamente la luce
in un contesto ancora ebollizione, per tentare di verificare l’ipotesi di una
ricostruzione in via interpretativa di un profilo (quasi) del tutto trascurato dalla
novella.
202
Sezione III
LE TUTELE COLLETTIVE
SOMMARIO: 1. Premessa: un nodo problematico. – 2. La prospettiva interna: le tutele
collettive dalla fase espansiva… – 3. … al nodo dello «sciopero» dei lavoratori
autonomo. – 4. La prospettiva sovranazionale: il problema della compatibilità della
contrattazione collettiva relativa al mondo del lavoro autonomo con la disciplina
antitrust. – 5. Quali modelli organizzativi per il «sindacato» dei lavoratori autonomi?
1. Premessa: un nodo problematico
La norma di chiusura del Capo I della l. 81/2017, recante misure «per la
tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale», nel fare riferimento alle
«associazioni di settore comparativamente più rappresentative a livello
nazionale»963, apre, come è stato osservato, «una serie di interrogativi strategici
sul mondo della rappresentanza» e, più in generale, dell’associazionismo e delle
forma di lotta e di pressione collettiva dei lavoratori autonomi964.
Si tratta di un tema che, benché oggetto di alcune trattazioni rivolte però
soprattutto a esaminare il mondo dei «nuovi lavori»965 e le prospettive di
sindacalizzazione dei «lavoratori atipici» (questi ultimi, peraltro, non sempre
riconducibili solamente all’esperienza del lavoro autonomo966) e più raramente
963 Di «associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei lavoratori
autonomi iscritti e non iscritti ad albi professionali» parla invece l’art. 10, l. 81/2017, al fine di
individuare i soggetti che dovrebbero, nelle intenzioni del legislatore, collaborare con i centri per
l’impiego per offrire servizi di orientamento, riqualificazione e ricollocazione ai lavoratori
autonomi. 964 R. ZUCARO, Tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo, cit., p. 458. 965 Oltre alle monografie di C. LAZZARI, Nuovi lavori e rappresentanza sindacale, Giappichelli,
Torino, 2005, e di A.M. GRIECO, Libertà e azione sindacale dei lavoratori autonomi, Jovene,
Napoli, 2005, v., in ordine cronologico, F. SCARPELLI, Autonomia collettiva e autonomia
individuale nella regolazione del rapporto dei lavoratori parasubordinati, in LD, 1999, n. 4, p.
553 ss.; A. VALLEBONA, Lavoro autonomo coordinato e diritto sindacale, ivi, 2000, n. 4, p. 311
ss.; L. BELLARDI, Nuovi lavori e rappresentanza. Limiti e potenzialità di innovazione della realtà
sindacale attuale, in DRI, 2005, n. 1, p. 70 ss.; S. FERRARIO, Rappresentanza, organizzazione e
azione sindacale di tutela del lavoro autonomo caratterizzato da debolezza contrattuale ed
economica, in RGL, 2009, n. 1, I, p. 47 ss.; M. MONDELLI, Libertà sindacale e diritto di sciopero
oltre i confini della subordinazione, in DRI, 2010, n. 3, p. 674 ss. 966 Significativo, in proposito, che una della prime organizzazioni dei lavoratori «atipici», vale a
dire il Nidil, istituito nel 1998 in seno alla CGIL, si rivolga parimenti ai lavoratori dipendenti
delle agenzie di somministrazione e alla vasta platea dei collaboratori autonomi. Sul punto T.
VETTOR, Le ricerche empiriche sul lavoro autonomo coordinato e continuativo e le nuove
strutture di rappresentanza sindacale Nidil, Alai e Cpo, in LD, 1999, n. 4, p. 619 ss., e M.
MASCINI, I nuovi soggetti delle relazioni industriali: Cgil-Nidil, in Lav. inf., 2000, n. 4, p. 11 ss.
203
al mondo del lavoro autonomo libero professionale967, non ha mai ottenuto dagli
studiosi del diritto del lavoro (o del diritto sindacale) un’attenzione paragonabile
a quella destinata alle dinamiche delle relazioni industriali del lavoro
subordinato968.
In effetti, la dottrina ha messo sotto i riflettori il tema principalmente spinta
dalle contingenze del momento, in concomitanza con interventi innovativi delle
Corti superiori o del legislatore: così in relazione alle prese di posizione della
giurisprudenza costituzionale in materia di «sciopero» (rectius, «astensione
collettiva») degli avvocati969; agli arresti della Corte di Giustizia in riferimento
all’oggi superato sistema delle tariffe obbligatorie970; all’introduzione di
previsioni in materia di call center out-bound971, poi sostanzialmente estese alla
vasta platea delle collaborazioni etero-organizzate972; nonché, last but not least
alla lettura restrittiva del diritto alla contrattazione collettiva dei lavoratori
autonomi, da ultimo operata dal Giudice di Lussemburgo sulla scorta di
un’interpretazione quanto mai estensiva dei divieti previsti dalla disciplina
concorrenziale stabilita dai Trattati973.
Sembrerebbe tuttavia che lo Statuto del lavoro autonomo, per quanto sia
pressoché del tutto silente sul punto (al di là delle previsioni di cui si è già dato
conto), al contrario di altre esperienze straniere pur tenute presente dal
967 A. TOPO, Tutela e rappresentanza degli interessi collettivi nel lavoro autonomo, cit., p. 205
ss.; M.T. CARINCI, Attività professionali, rappresentanza collettiva, strumenti di autotutela, in
WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 69/2008. 968 Lo rilevano, inter alia, B. CARUSO, La rappresentanza delle organizzazioni di interessi tra
disintermediazione e re-intermediazione, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT –
326/2017, p. 3; R. ZUCARO, Tavolo tecnico di confronto permanente sul lavoro autonomo, cit.,
p. 452, nt. 30. 969 A partire da Corte cost. 27 maggio 1996, n. 171, tra l’altro in RGL, 1997, n. 1, II, p. 61 ss.,
con nota di L. MENGHINI, L'astensione dalle udienze da parte degli avvocati e il problema
dell'estensibilità del diritto di sciopero oltre il limite della subordinazione, e in Giust. Civ., 1996,
n. 9, I, p. 2188, con nota di G. PERA, Sullo sciopero degli avvocati, non a caso definita un «vero
e proprio turning point» da B. CARUSO, G. NICOSIA, Il conflitto collettivo post moderno: lo
“sciopero” dei lavoratori autonomi, cit., p. 16. 970 Per tutti, per il momento, B. NASCIMBENE, S. BASTIANON, Avvocati, diritto comunitario e
diritto nazionale: recenti orientamenti della Corte di Giustizia, in Corr. giur., 2002, n. 5, p. 581
ss. 971 S. CASSAR, La nuova prestazione di lavoro a progetto nei call center: “a passo di gambero”
sul tortuoso percorso interpretativo della disciplina speciale. Il ruolo delle parti sociali, in DRI,
2014, n. 1, p. 159 ss. 972 Supra, Cap. II, § 3.3. 973 Il riferimento è evidentemente a CGUE 4 dicembre 2014, C-413/13, FNV Kunsten Informatie
en Media v. Staat der Nederlanden, in RIDL, 2015, II, p. 566, con nota di P. ICHINO, Sulla
questione del lavoro non subordinato ma sostanzialmente dipendente nel diritto europeo e in
quello degli Stati membri, e in RGL, 2015, II, p. 301, con nota di S. ZITTI, Contrattazione
collettiva e concorrenza: il “prezzo” dell'armonia.
204
legislatore974, abbia prodotto un’accelerazione del dibattito975. Ciò,
probabilmente, anche a causa della contestuale e prepotente emersione del
problema nell’ambito del più ampio tema della tutela del lavoro nella c.d. gig
economy, nel quale il profilo delle tutele collettive ha già formato oggetto di
ampia letteratura976.
Il problema della rappresentanza dei lavoratori autonomi e degli eventuali
limiti alla piena titolarità dei diritti sindacali – in primis, contrattazione collettiva
e sciopero – in effetti, rappresenta un ulteriore terreno nel quale sondare
l’adeguatezza del diritto vigente (e «vivente») rispetto alle esigenze di tutela
promananti dal mondo del lavoro autonomo, che sembrerebbe peraltro
rappresentare un terreno nel quale tornano a profilarsi primigenie istanze di
«coalizione»977, mentre nel mondo del lavoro subordinato si assiste ad un
marcato processo di decentralizzazione, quando non di parcellizzazione, delle
974 Ai derechos colectivos del trabajador autónomo è infatti dedicato l’intero titolo III
dell’Estatuto spagnolo (art. 19-23). Sul punto, per tutti, P. RODRÍGUEZ-RAMOS VELASCO, Los
derechos colectivos de los trabajadores autónomos, en J. CRUZ VILLALÓN, F. VALDÉS DAL-RÉ
(Dirs.), El Estatuto del trabajo autónomo, cit., p. 331 ss. 975 AA.VV., Dove va il lavoro autonomo?, numero monografico di Quad. rass. sind., 2017, n. 1;
M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la contrattazione collettiva
relativa al lavoro autonomo, cit. 976 Limitatamente al contesto italiano, fatto salvo quanto si di dirà infra, Cap. IV, v. M.
FORLIVESI, La sfida della rappresentanza sindacale dei lavoratori 2.0, in DRI, 2016, n. 3, p. 664
ss.; ID., Interessi collettivi e rappresentanza dei lavoratori del web, in P. TULLINI (a cura di),
Web e lavoro. Profili evolutivi e di tutela, Giappichelli, Torino, 2017, p. 179 ss.; A. ROTA, Il
web come luogo e veicolo del conflitto collettivo: nuove frontiere della lotta sindacale, ivi, p.
197 ss.; M. FAIOLI, Jobs «App», Gig economy e sindacato, in RGL, 2017, n. 2, I, p. 291 ss.; S.
ENGBLOM, Una prospettiva sindacale su digitalizzazione e Gig economy, ivi, p. 357 ss.; M.
MENSI, Lavoro digitale e sindacato, ivi, n. 3, I, p. 525 ss.; A. LASSANDARI, Problemi di
rappresentanza e tutela collettiva dei lavoratori che utilizzano le tecnologie digitali, in AA.VV.,
Il lavoro nelle piattaforme digitali. Nuove opportunità, nuove forme di sfruttamento, nuovi
bisogni di tutela, Ediesse, Roma, 2017, p. 59 ss.; P. TERRANOVA, Il lavoro nelle piattaforme
digitali: nuove e vecchie sfide per la contrattazione, ivi, p. 123 ss. Al tema è stata dedicata anche
la sessione Rappresentanza e azione collettiva nella sharing economy nell’ambito del Convegno
Impresa, lavoro e non lavoro nell’economia digitale, Brescia, 12-13 ottobre 2017, con interventi
di S. BORELLI, J.M. SERRANO GARCÌA, Il necessario riconoscimento dei diritti sindacali ai
lavoratori dell’economia digitale; M. FORLIVESI, Interessi collettivi sul web e rappresentanza
del lavoro digitale; S. BINI, Appunti sulla rappresentanza sindacale dei contingent workers; G.
RECCHIA, Alone in the crowd? La rappresentanza e l’azione collettiva ai tempi della sharing
economy, di prossima pubblicazione negli atti del convegno. Da ultimo, v. il numero 1/2018 di
L&LI, con contributi di A. LASSANDARI, La tutela collettiva del lavoro nelle piattaforme digitali:
gli inizi di un percorso difficile, ivi, p. I ss.; P. TULLINI, L’economia digitale alla prova
dell’interesse collettivo, ivi, p. 1 ss.; F. MARTELLONI, Individuale e collettivo: quando i diritti
dei lavoratori digitali corrono su due ruote, ivi, p. 16 ss.; M. FORLIVESI, Alla ricerca di tutele
collettive per i lavoratori digitali: organizzazione, rappresentanza, contrattazione, ivi, p. 35 ss. 977 Nel senso individuato da B. CARUSO, G. NICOSIA, Il conflitto collettivo post moderno: lo
sciopero” dei lavoratori autonomi, cit., p. 3, di «fenomeno riassuntivo di tutte le azioni mirate
ad incidere collettivamente (il boicottaggio, la messa all’indice, il closed shop)», che come tale
«segna l’alba dei moderni sistemi sindacali».
205
dinamiche del confronto (e del conflitto) collettivo978, accompagnato da un
deciso ridimensionamento dello sciopero “classico” come strumento di
pressione979.
Il tutto, peraltro, in un contesto in cui alcune categorie di lavoratori autonomi
conoscono da tempo una dimensione di tutela collettiva, come nel caso degli
accordi economici collettivi degli agenti di commercio, che da sempre – con
l’esplicito avallo normativo rappresentato dall’art. 2113 c.c. – assolvono una
funzione analoga a quella dei contratti collettivi nel lavoro subordinato980, e in
cui altre categorie di lavoratori autonomi di seconda e di terza generazione non
hanno atteso né concessioni del legislatore né l’intervento degli attori sindacali
“tradizionali” per organizzarsi in secondo inediti (ma non troppo) schemi neo-
mutualistici estremamente eterogenei, che possono variare da modelli di
“sindacalismo associativo” (associational unionism) a modelli vere e proprie
umbrella companies981.
Fatta questa premessa di carattere generale, la presente sezione si soffermerà
in primo luogo sui fondamenti di carattere costituzionale che sottostanno alle
tutele collettive dei lavoratori autonomi – variabili, come si avrà modo di vedere,
a seconda della natura del rapporto – e sui limiti entro cui esse devono
eventualmente trovare esercizio. In questa prospettiva, che possiamo definire di
diritto interno, particolare attenzione verrà dedicata alla giurisprudenza
costituzionale in materia di «sciopero» dei lavoratori non subordinati, e ai
successivi interventi di adeguamento messi in atto dal legislatore (con particolare
riferimento alla disciplina dello sciopero nei servizi essenziali).
In secondo luogo, si affronterà la questione dal punto di vista del diritto
europeo, al fine di verificare la compatibilità o meno dell’assetto interno con la
disciplina europea della concorrenza (v. oggi l’art. 101 TFUE), con particolare
riferimento al mondo della contrattazione collettiva dei lavoratori autonomi,
etero-organizzati e non.
Infine, si esamineranno i più recenti modelli di associazionismo provenienti
dal mondo del lavoro autonomo, anche al fine di valutarne gli eventuali profili
di tensione con la disciplina interna ed europea.
978 Da ultimo, B. CARUSO, La rappresentanza delle organizzazioni di interessi tra
disintermediazione e re-intermediazione, cit. 979 Su tutti questi temi, da ultimo, G. NICOSIA, Coalizione e protezione. Il bilanciamento possibile
nello sciopero del lavoro indipendente, Giappichelli, Torino, 2017. 980 Per tutti, G. GHEZZI, Del contratto di agenzia, cit., spec. p. 23 ss. Agli AEC si è già fatto
riferimento supra, Cap. I, § 6 e Cap. III, Sez. I, § 3.1. 981 M. AVOGARO, New Perspectives for Workers’ Organizations in a Changing Technological
and Societal Environment, cit., p. 11 ss. Sul punto infra, § 5.
206
2. La prospettiva interna: le tutele collettive dalla fase espansiva…
Come si è già avuto modo di rilevare982, a estendere l’ambito di applicazione
soggettivo dell’art. 40 Cost. oltre l’ambito della subordinazione fu per prima la
giurisprudenza costituzionale983, in parte anticipata da alcune indicazioni del
Cnel risalenti ai primi anni ‘60984.
Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 505 c.p., che
puniva la serrata degli «esercenti di piccole aziende industriali o commerciali
che non hanno lavoratori alla loro dipendenza», la Corte aveva operato una vera
e propria riqualificazione dell’astensione del lavoro posta in essere dai piccoli
imprenditori privi di dipendenti in termini di sciopero985 – scelta peraltro non
obbligata986 – con conseguente (e a quel punto scontata) declaratoria di
incostituzionalità «per contrasto con l'art. 40 della Costituzione che riconosce il
diritto di sciopero».
Che non si trattasse tuttavia di una compiuta equiparazione dei lavoratori
autonomi ai lavoratori subordinati in materia di diritti sindacali, la stessa Corte
avrebbe avuto modo di precisarlo a distanza di pochi mesi, quando, chiamata a
pronunciarsi sulla legittimità delle disposizioni c.d. promozionali dello Statuto
dei lavoratori, nella parte in cui non si applicano a rapporti di lavoro non
subordinato, avrebbe ritenuto la questione non fondata987, rilevando che «altro è
la libertà di organizzazione sindacale, che l'art. 39 della Costituzione riconosce
e garantisce a tutti i lavoratori, siano essi subordinati o autonomi, ed altro è il
diritto di svolgere attività sindacale all'interno dei luoghi di lavoro», e che «la
essenziale differenza che intercorre tra lavoro subordinato e lavoro autonomo
982 Supra, Cap. I, § 5. 983 Corte cost. 8 luglio 1975, n. 222, in Foro it., 1975, I, c. 1569, con nota di richiami, e in RGL,
1975, II, p. 981, con nota di P. GIORDANO. 984 CNEL, Osservazioni e proposte del C.N.E.L. sull’attuazione degli artt. 39 e 40 Cost., 24
giugno 1960, riportate in Foro it., 1961, IV, c. 154 ss., ove si legge che «il C.N.E.L. è del parere
che il diritto di sciopero sia attribuito dalla Costituzione a tutti i lavoratori, siano lavoratori
subordinati in senso proprio […] siano lavoratori autonomi legati da rapporti che si concretino
in una prestazione d’opera coordinata e continuativa» (p. 167). 985 Sulla base del rilievo che «impropriamente quindi la norma in esame definisce serrata la
sospensione del lavoro dei piccoli esercenti che personalmente gestiscono un'azienda industriale
o commerciale nel campo di una professione, di un'arte o un mestiere. La realtà dimostra che ci
si trova pur sempre di fronte ad una categoria di lavoratori, definibili autonomi in quanto
svincolati da ogni rapporto di dipendenza, la cui forma di autotutela, strutturata dallo stesso
codice sul modello di quella dei lavoratori dipendenti, non può non essere compresa in quel più
ampio concetto di sciopero che ha trovato modo di esprimersi nell'attuale mondo del lavoro». 986 Delle due ordinanze di remissione, solo quella del Pretore di Pontedera sollevava la questione
di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 40 Cost., laddove il Pretore di Paternò aveva
dubitato della legittimità della norma in riferimento agli artt. 35 e 41 Cost. 987 Corte cost. 17 dicembre 1975, n. 241, in RGL, 1975, II, p. 977, con nota di F.F., relativa al
caso degli scrutinatori di schedine legati al CONI-Totocalcio da rapporti di collaborazione
autonoma.
207
giustifica pienamente […] il diverso regime di tutela delle due categorie di
lavoratori per quanto attiene all'esercizio delle attività sindacali».
Ciononostante, l’intervento della Corte costituzionale realizzato con la
sentenza n. 222/1975, insieme al positivo riconoscimento e alla promozione, da
parte del legislatore, della contrattazione collettiva relativa al mondo del lavoro
parasubordinato (a partire dalla legge Vigorelli, e fino all’art. 2113 c.c.)988,
avevano esercitato – in sintonia con l’allora dominante «tendenza espansiva» del
diritto del lavoro989 – un influsso estremamente significativo sia sulla
giurisprudenza, che sarà propensa a riconoscere come «sciopero» forme di
astensione organizzata da parte di lavoratori non subordinati990, innovando così
i precedenti orientamenti contrari991, così come sulla dottrina successiva, che non
mancherà di sostenere che, quantomeno in presenza di una condizione di
“debolezza” del prestatore992 (elemento cui tuttavia la Corte costituzionale non
aveva fatto riferimento), «appaiono pertanto ammissibili anche per i lavoratori
parasubordinati forme di coalizione o di azione sindacale»993, secondo una linea
interpretativa che si consoliderà nei decenni successivi994, sino a entrare a pieno
titolo, a cavallo tra i due millenni, nelle trattazioni di carattere manualistico995.
988 Supra, Cap. I, § 5. 989 Rilevano tale sintonia B. CARUSO, G. NICOSIA, Il conflitto collettivo post moderno, cit., p. 14. 990 Cass. 29 giugno 1978, n. 3278, in Foro It., 1978, I, c. 1626, che ha qualificato come sciopero
l’azione esercitata dai medici convenzionati con gli enti mutualistici, volta a conseguire migliori
condizioni economiche e normative nella convenzione, sulla base del rilievo che «il diritto di
sciopero può essere esercitato non solo nell’ambito del rapporto di lavoro in senso tecnico-
giuridico, ma tutte le volte in cui si verifichi una posizione di debolezza del prestatore […] dalla
quale deriva la “predisposizione al conflitto” che da luogo a quel “diritto al conflitto” costituente
il fondamento stesso dell’organizzazione sindacale e, quindi, dello sciopero». Nello stesso senso
già Cass. 5 novembre 1975, Zoppo, in Foro it., Rep. 1976, voce Sciopero, n. 24. 991 V. ad es. Cass., sez. III pen., 24 maggio 1951, Corpaci, in Foro it., 1951, II, c. 178; App.
Torino 20 luglio 1973, in Foro it., Rep. 1975, voce Sanitario, n. 322, cassata dalla prima
pronuncia citata alla nota precedente. 992 Ma nel senso che invece la libertà sindacale ex art. 39 Cost. spetta a tutti i lavoratori autonomi
v. M. NAPOLI, Le norme costituzionali sul lavoro alla luce dell’evoluzione del diritto del lavoro,
cit., p. 71, secondo cui «è fuori discussione […] l’estensione a tutte le forme di lavoro autonomo
del principio di libertà sindacale». 993 Così G. SANTORO PASSARELLI, Il lavoro «parasubordinato», cit., p. 122. 994 Nel senso che i lavoratori parasubordinati sono titolari del diritto – e non solo della libertà –
di scioperare, v., inter alia, A. TOPO, Tutela e rappresentanza degli interessi collettivi nel lavoro
autonomo, cit., p. 210; F. SANTONI, Continuità e innovazione nella disciplina degli scioperi nei
servizi essenziali, in RIDL, 2000, n. 4, I, p. 378; M.T. CARINCI, L’improbabile rilievo
costituzionale dell’autotutela collettiva di lavoratori autonomi, professionisti e piccoli
imprenditori. A proposito dell’art. 2 bis, l. 146/1990, in ADL, 2001, n. 3, p. 965, e ivi ulteriori
riferimenti (nt. 127); EAD., Attività professionali, rappresentanza collettiva, strumenti di
autotutela, cit., p. 26, ove si reputa l’orientamento ormai consolidato. 995 V. ad es. G. GIUGNI, Diritto sindacale, Cacucci, Bari, 2001, p. 219 s.; R. SCOGNAMIGLIO,
Diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 2000, p. 386 ss.; G. GHEZZI, U. ROMAGNOLI, Diritto
sindacale, Zanichelli, Bologna, 1997, p. 201 s.; M. PERSIANI, Diritto sindacale, Cedam, Padova,
2000, p. 158.
208
D’altronde, sotto diverso ma connesso profilo, anche prima degli interventi
(giurisprudenziali e legislativi) cui si è fatto riferimento, la dottrina non ha
pressoché mai ubitato della piena applicabilità della libertà di organizzazione
sindacale (art. 39 Cost.) al mondo del lavoro autonomo996 – anche in ragione del
nesso con la generale libertà di associazione di cui all’art. 18 Cost. – e dunque
della possibilità di costituire associazioni a tutela dei propri interessi di categoria,
anche al di là della dimensione degli ordini professionali, strettamente
pubblicistica997 e quindi «scarsamente idone[a] a funzionare da strumento attivo
e satisfattivo degli interessi professionali dei singoli professionisti»998 (ancorché
la giurisprudenza più risalente non mancasse di consacrare l’Ordine
professionale come «gruppo eretto in persona»999).
3. … al nodo dello «sciopero» dei lavoratori autonomi
Tale lineare, e tutto sommato “rassicurante”, processo evolutivo avrebbe
segnato una decisa battuta d’arresto in concomitanza con l’emersione di forme
di azione collettiva da parte di categorie diverse di lavoratori autonomi,
impattanti, per la loro natura e le loro modalità, su interessi della collettività
muniti di copertura costituzionale (i famosi «servizi essenziali»), che nel
996 C. LEGA, La coesistenza di ordini e sindacati professionali, in RDL, 1960, I, p. 12 ss.; R.
FLAMMIA, Organizzazione delle professioni e tutela sindacale, in Dir. Lav., 1969, I, p. 3 ss.
Successivamente M.T. CARINCI, Attività professionali, rappresentanza collettiva, strumenti di
autotutela, cit., p. 5 s., e, da ultimo, R. DEL PUNTA, Diritto del lavoro, 9° ed., Giuffrè, Milano,
2017, p. 199. 997 La natura pubblicistica degli Ordini e delle casse professionali, se in passato aveva consentito
di superare i dubbi di costituzionalità, in riferimento all’art. 18 Cost. nella sua dimensione
negativa del diritto a non associarsi, delle ipotesi di iscrizione obbligatoria (Corte cost. 18 luglio
1997, n. 248, in Foro it., 1997, I, c. 2755, con nota redazionale), in tempi più recenti non ha
impedito all’AGCM di sanzionare alcuni ordini, considerati alla stregua di associazioni di
imprese (cfr., in particolare, il provvedimento AGCM 22 ottobre 2014, n. 25154, in agcm.it, che
ha pesantemente sanzionato il CNF per avere «posto in essere un’intesa, unica e continuata,
restrittiva della concorrenza, consistente nell’adozione di due decisioni volte a limitare
l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento
economico sul mercato, stigmatizzando quale illecito disciplinare la richiesta di compensi
inferiori ai minimi tariffari») con l’avallo della giurisprudenza amministrativa.(Cons. St., sez.
VI, 22 marzo 2016, n. 1164, in personaedanno.it, 24 marzo 2016, con nota di M.A. MAZZOLA,
Il Consiglio di Stato conferma la sanzione di AGCM v CNF, sulla base del rilievo per cui è
possibile che «uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a
certi istituti, e possa invece non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi
normativi di natura privatistica»). 998 R. FLAMMIA, Organizzazione delle professioni e tutela sindacale, cit., p. 8, secondo cui
dunque «sarebbe irragionevole precludere l’attività di ‘promozione’ degli interessi in gioco». Sul
punto anche A. PERULLI, Il lavoro autonomo, cit., p. 389, il quale rileva che poiché il regime
ordinistico «è quello di un’amministrazione pubblica autogovernata, parzialmente
rappresentativa della categoria», l’Ordine «non assorbe l’area propriamente sindacale». 999 Cass., Sez. Un., 14 marzo 1961, n. 579, in Foro it., 1961, I, c. 399, con nota redazionale.
209
frattempo avevano riconosciuto l’apposita garanzia da parte del legislatore con
la l. 146/1990.
Se in precedenza il riconoscimento del diritto di sciopero a categorie di
lavoratori non subordinati, che era passato attraverso sentenze di accoglimento
totale delle questioni di legittimità costituzionale delle norme incriminatrici del
codice Rocco, non aveva generato particolari problemi, così come non li aveva
generati la sostanziale equiparazione ai lavoratori subordinati dei collaboratori
coordinati e continuativi, a porre problemi inediti è invece il contesto delle
“nuove” dinamiche dei conflitti collettivi1000. Tali conflitti, come è stato
osservato, «non sono monocausali, non si spiegano soltanto sulla base di logiche
di settorializzazione o corporativizzazione degli interessi, ma sono spesso
determinati dalle complesse interazioni tra i gruppi, dai continui stravolgimenti
di assetti consolidati indotti dalla globalizzazione, da processi di
razionalizzazione dei mercati nazionali e sovranazionali, da esternalità negative
prodotte dal mercato, da inefficienze della p.a., da motivazioni lato sensu
politiche»1001.
Il problema sarebbe emerso di prepotenza in riferimento allo “sciopero”
degli avvocati, di cui si sarebbe occupata, in diverse occasioni, la Corte
costituzionale, dando luogo ad un vivace dibattito che culminerà con
l’introduzione, ad opera del legislatore, dell’art. 2bis nel corpus della legge in
materia di sciopero nei servizi essenziali1002.
Inizialmente la Corte, investita della questione di legittimità costituzionale
dell'art. 159, primo comma, c.p. – nella parte in cui non prevede la sospensione
del corso della prescrizione per il tempo della durata della sospensione e del
rinvio del dibattimento conseguenti a «mancata presentazione, allontanamento o
mancata partecipazione del difensore dell'imputato, dovuti alla astensione dalle
udienze deliberata dalla categoria professionale» – non si pronuncia direttamente
sulla natura giuridica di tale astensione1003.
1000 Se il caso dello «sciopero» degli avvocati, di cui si tratterà nel prosieguo del presente
paragrafo, è emblematico, il problema riguarda altre categorie, come i tassisti, gli
autotrasportatori, i farmacisti, i medici convenzionati con il SSN, i concessionari di carburanti. 1001 Così B. CARUSO, G. NICOSIA, Il conflitto collettivo post moderno, cit., p. 6. 1002 Per un’approfondita ricostruzione, E. GIANFRANCESCO, “Sciopero” degli avvocati e
Costituzione, Giuffrè, Milano, 2002. 1003 Corte cost. 31 marzo 1994, n. 114, in Il nuovo diritto, 1994, II, p. 620, con nota di M.
NUNZIATA, Sciopero degli avvocati e mancata sospensione dei termini di prescrizione dei reati:
rilevante presa di posizione del “giudice delle leggi”, la quale dichiarava la questione
inammissibile, sia per l’impossibilità, da un lato, di sollecitare la Corte a pronunciare una
sentenza additiva in malam partem, volta ad introdurre una nuova ipotesi di sospensione del
corso della prescrizione al di fuori dei casi previsti dalla legge, sia per la possibilità, dall’altro,
che avrebbe avuto il giudice a quo di addivenire alla soluzione della sospensione della
prescrizione in via interpretativa.
210
Successivamente, con la nota pronuncia del 19961004, la Corte sarebbe entrata
invece nel merito della questione, considerando che sebbene «l'astensione da
ogni attività defensionale non può configurarsi come diritto di sciopero e non
ricade sotto la specifica protezione dell'art. 40», essa trova comunque copertura
costituzionale nella «libertà di associazione, che è oggetto di salvaguardia
costituzionale ed è significativamente più estesa rispetto allo sciopero».
Conseguentemente, rilevato che la legge 146/1990, nel limitarsi a regolare
l’esercizio del diritto di sciopero in senso stretto, «non appresta una razionale e
coerente disciplina che includa tutte le altre manifestazioni collettive» capaci
comunque di comprimere i diritti fondamentali della persona, la Corte
concludeva nel senso dell’illegittimità costituzionale della legge «nella parte in
cui non prevede, nel caso dell'astensione collettiva dall'attività giudiziaria degli
avvocati e dei procuratori legali, l'obbligo d'un congruo preavviso e di un
ragionevole limite temporale dell'astensione e non prevede altresì gli strumenti
idonei a individuare e assicurare le prestazioni essenziali, nonché le procedure e
le misure conseguenziali nell'ipotesi di inosservanza».
Da un lato, dunque, la precisazione che l’astensione degli avvocati – ma,
come è stato osservato, «il principio è senza dubbio suscettibile di applicazione
all'area del lavoro autonomo in genere»1005 – è costituzionalmente protetto,
sicché non può formare oggetto di una pretesa punitiva dello Stato, secondo una
linea interpretativa che verrà prontamente recepita dalla giurisprudenza
penale1006.
Dall’altro, un sollecito al legislatore a prendere atto della necessità di
regolare l’esercizio di tale “facoltà” – che si tratti di diritto o di libertà lo vedremo
a breve – sulla falsariga del modello realizzato con la legge in materia di servizi
pubblici essenziali1007.
1004 Corte cost. 27 maggio 1996, n. 171, cit., su cui v., oltre ai commenti già citati alla nt. 969,
anche le critiche di A. VALLEBONA, Lo sciopero degli avvocati sotto l’arbitraria mannaia della
Corte costituzionale, in Dir. Lav., 1996, II, p. 172. 1005 Così M.T. CARINCI, Il diritto di azione di lavoratori autonomi e professionisti intellettuali è
tutelato dalla Costituzione? Le domande di un giuslavorista ai costituzionalisti, in Quad. cost,
2001, n. 3, p. 609. Sostanzialmente in tal senso, più di recente, M. FERRARESI, Le astensioni
collettive degli avvocati: fattispecie, responsabilità e sanzioni, in ADL, 2017, n. 6, p. 1441 ss.,
secondo cui «il settore forense, per il particolare intreccio di interessi privati e pubblici […],
costituisce non a caso un ambito privilegiato per continuare a testare il (controverso) fondamento
costituzionale del diritto di astensione collettiva dei lavoratori autonomi». 1006 Cass., Sez. pen., 27 febbraio 1997, in Cass. pen., 1998, n. 2, p. 456, con nota di P. DI NICOLA,
G. GUZZETTA, “Esercizio del diritto” e suo abuso. L'astensione degli avvocati tra disciplina
costituzionale e ordinamento penale, la quale ha escluso nelle ipotesi di astensione dalle udienze
la configurabilità del reato di cui all’art. 340 c.p. (interruzione di pubblico servizio). 1007 Molto esplicitamene, «nel sottolineare che l'astensione di avvocati e procuratori da ogni
attività defensionale non rientra compiutamente, per la sua morfologia, nei meccanismi
procedurali previsti dagli artt. 8, 9, 10, 12, 13 e 14 della legge n. 146, la Corte non può che
lasciare al legislatore di definire in modo organico le misure atte a realizzare l'equilibrata tutela
211
Il sollecito sarebbe stato prontamente raccolto da legislatore, che ha dedicato
alle astensioni dei lavoratori autonomi l’art. 2bis l. 146/1990 (introdotto dalla l.
83/2000)1008, consentendo così anche l’introduzione del «diritto ad astenersi dal
partecipare alle udienze e alle altre attività giudiziarie» nel vigente codice
deontologico forense (art. 60)1009. Rimangono invece aperte – posto che la Corte
non se n’è occupata1010, né lo farà il legislatore – due questioni di grande rilievo.
In primo luogo quella relativa alla latitudine – e quindi della qualificazione in
termini di vero e proprio diritto ovvero di mera libertà – della posizione
soggettiva dei lavoratori autonomi che esercitino azioni collettive, le quali,
peraltro, nella pratica si concretizzano spesso, non solo da noi1011, in condotte di
carattere non solo omissivo (si pensi ai casi dei “tir lumaca”1012 e del “taxi
selvaggio”1013, ma non solo1014), ancorché la Commissione di garanzia non abbia
dei beni coinvolti, essendole preclusa l'individuazione nel dettaglio delle soluzioni» (ancora
Corte cost. 27 maggio 1996, n. 171). 1008 «L'astensione collettiva dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria,
da parte di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che incida sulla funzionalità
dei servizi pubblici di cui all'articolo 1, è esercitata nel rispetto di misure dirette a consentire
l'erogazione delle prestazioni indispensabili di cui al medesimo articolo». Sul punto, L.
MENGHINI, Le regole per il lavoro autonomo, in A. VALLEBONA, L. MENGHINI, M. MISCIONE (a
cura di), La nuova disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, Cedam, Padova, 2000,
p. 43; L. NOGLER, Proteste collettive dei lavoratori autonomi nei servizi essenziali: una
disciplina con due anime?, in QDLRI, 2001, p. 87; G. NICOSIA, Il conflitto dei lavoratori
autonomi, dei professionisti e dei piccoli imprenditori: la «sostenibile» leggerezza del confine
tra sciopero e astensione collettiva (commento all'art. 2 bis legge n. 146/1990 nuovo testo), in
RIDL, 2004, n. 1, I, p. 121 ss.; V. MAIO, Astensione dal servizio dei lavoratori autonomi,
professionisti e piccoli imprenditori, cit., p. 210 ss. 1009 Ove comunque l’esercizio del diritto è subordinato al rispetto delle disposizioni del codice
di autoregolamentazione «e alle norme vigenti». 1010 Lo rileva F. SANTONI, Lo “sciopero degli avvocati” nel giudizio della Corte costituzionale,
in MGL, 1996, p. 566. 1011 Cfr. da ultimo M.N. MORENO VIDA, Los instrumentos de «presión colectiva» y su
singularidad en el trabajo autónomo, en J.L. MONEREO PÉREZ, F. VILA TIERNO (Dirs.), El
trabajo autónomo en el marco del Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social, cit., p. 633 ss.,
ma già H. SINAY, J.C. JAVILLIER, La gréve, Dalloz, Paris, 1984, spec. p. 57. 1012 App. Roma 31 maggio 2012, n. 2604, in DRI, 2013, n. 1, p. 173, con nota di V. MAIO, La
«posizione di garanzia» delle associazioni di categoria nelle ipotesi di astensione dal servizio
dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, che ribaltando le conclusioni
raggiunte da Trib. Roma 28 maggio 2007, n. 10226, inedita a quanto consta, ha accertato
l’illegittimità del blocco senza preavviso del servizio taxi, sfociato anche in blocchi stradali,
attuato sull’onda delle proteste della categoria contro il c.d. decreto Bersani nel 2006. 1013 Trib. Roma 10 dicembre 2008, n.20118, in DRI, 2010, n. 1, p. 210, con nota di V. MAIO,
Astensione dal servizio dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, efficacia
degli accordi di settore valutati idonei dalla Commissione di garanzia e responsabilità per
omesso esercizio del dovere di influenza sindacale; App. Roma 29 maggio 2012, n. 3685, in
RIDL, 2013, II, p. 443, con nota di A. ROTA, Dovere d’influenza sulle astensioni collettive dal
lavoro: una “maliziosa” strategia smascherata o una rigorosa decisione?, sui blocchi stradali
attuati dai c.d. padroncini nel dicembre del 2007. 1014 Sul caso dei medici convenzionati con il SSN che si facevano pagare le visite, e su quello
dei farmacisti che richiedevano il prezzo pieno dei farmaci, v. B. CARUSO, G. NICOSIA, Il
conflitto collettivo post moderno, cit., p. 33.
212
dato molto peso a tale profilo di differenziazione1015. La questione, inoltre,
richiede anche di individuare il senso da attribuire al riferimento mosso alla
finalizzazione della condotta di astensione «a fini di protesta o di rivendicazione
di categoria».
Sul primo profilo, la dottrina maggioritaria non dubita che l’astensione non
formi oggetto, al contrario dello sciopero, di un vero e proprio diritto,
rappresentando piuttosto una posizione di libertà che può essere fatta valere
(solo) nei confronti dei poteri pubblici, sicché il suo esercizio continua a
configurare un inadempimento sul piano privatistico1016. La conclusione,
peraltro, pare essere condivisa anche da chi – forse provocatoriamente – ha
proposto, anche per fugare i dubbi di legittimità costituzionale del citato art.
2bis1017, di rinvenire il fondamento costituzionale della facoltà in parola nella
libertà di iniziativa economica privata1018.
La soluzione per cui l’astensione forma oggetto di una libertà, e non di un
vero e proprio diritto soggettivo, pare convincente, a dispetto delle più recenti
1015 Lo rileva M. MURGO, Le astensioni collettive dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli
imprenditori nell’interpretazione giudiziaria e della Commissione di garanzia, in ADL, 2018, n.
1, p. 350. 1016 Molto esplicitamente, M.T. CARINCI, Attività professionali, rappresentanza collettiva,
strumenti di autotutela, cit., p. 28, secondo cui tal libertà «non riveste il contenuto del diritto
potestativo sul piano privatistico (e il suo esercizio configura un inadempimento
dell’obbligazione assunta dal professionista)». In tal senso anche M. MONDELLI, Libertà
sindacale e diritto di sciopero oltre i confini della subordinazione, cit., p 691 s.; B. CARUSO, G.
NICOSIA, Il conflitto collettivo post moderno, cit., p. 26, i quali rilevano che il rispetto dei vincoli
di legge «non estende oltre l’ombrello dell’immunità civile» e portano a titolo di esempio la
responsabilità risarcitoria dell’avvocato nei confronti di un assistito che in ragione
dell’astensione abbia subito un danno da perdita di chance, oltre che quello dei dipendenti del
professionista, che avranno diritto alla retribuzione anche per la durata dell’astensione. Contra,
tuttavia, M. FERRARESI, Le astensioni collettive degli avvocati, cit., p. 1449, il quale sostiene che
«la plausibilità della qualificazione come diritto deriva però, in primo luogo, da esigenze di
carattere sistematico», rilevando che comunque, alla luce della disciplina, «un danno alla
controparte contrattuale potrebbe dunque immaginarsi solo per il ritardo nella trattazione
dell’affare, sempre che sia provato il nesso causale». 1017 Sollevati da chi (M.T. CARINCI, Il diritto di azione di lavoratori autonomi e professionisti
intellettuali è tutelato dalla Costituzione?, cit., p. 611) ha ritenuto che la norma presenti il rischio
«di dotare indiscriminatamente qualsiasi gruppo organizzato di uno straordinario strumento di
pressione a difesa di proprie rivendicazioni corporative […] di superare, dunque, l'impianto
costituzionale che è ispirato, viceversa, ad una selezione dei singoli e dei gruppi meritevoli di
una particolare protezione in ragione della loro sostanziale debolezza» oltre che «di dotare di
particolare risalto lo strumento di lotta proprio dei datori di lavoro - la serrata – rispetto al quale
invece il legislatore costituente ha mantenuto un significativo silenzio» 1018 E. GIANFRANCESCO, Il fondamento costituzionale del diritto di azione collettiva di lavoratori
autonomi e professionisti: in risposta a Maria Teresa Carinci, in Quad. cost., 2002, p. 103 ss.,
il quale rileva che inoltre lo «sciopero» dei liberi professionisti «presenta la diversità essenziale,
rispetto alla serrata, di non essere rivolta nei confronti di lavoratori subordinati, spesso del tutto
assenti».
213
indicazioni terminologiche della giurisprudenza costituzionale1019, anche perché
è l’unica che consente di evitare il paradosso per cui il lavoratore autonomo,
potendo astenersi per «fini di protesta o di rivendicazione di categoria» (art. 2bis
cit.), finirebbe per godere di una tutela garantita in misura maggiore rispetto a
quella accordata agli stessi lavoratori subordinati, per i quali, come noto, lo
«sciopero politico» rappresenta il contenuto di una posizione di mera libertà,
inidoneo a fondare un’immunità sul piano privatistico nei confronti del datore di
lavoro1020.
Sotto diverso profilo, il riferimento teleologico contenuto nell’art. 2bis
citato, consente di evitare un utilizzo distorto della libertà accordata ai
professionisti, come nel caso di avvocati che fossero tentati dallo “scioperare”
per ragioni di strategia processuale1021, come facilitare il decorso della
prescrizione1022, ovvero per altre ragioni non inerenti l’agitazione collettiva,
ipotesi oggi espressamente presa in considerazione dal vigente codice
deontologico forense, che prevede che «l’avvocato non può aderire o dissociarsi
dalla proclamata astensione a seconda delle proprie contingenti convenienze»
(art. 60, comma 3).
Merita infine soffermarsi, nell’ambito della presente trattazione, nella quale
ci si è dilungati sull’ambiguo confine intercorrente tra mondo del lavoro
autonomo e mondo dell’imprenditorialità1023, sul senso da attribuire alla
compiuta equiparazione, nell’art. 2bis citato, di lavoratori autonomi e piccoli
imprenditori, da un lato, e, dall’altro, alla mancanza di alcun riferimento alle
medie e grandi imprese.
L’equiparazione tra lavoratore autonomo e piccola impresa parrebbe
spiegarsi innanzitutto alla luce del carattere eminentemente funzionale della
disciplina contenuta nella l. 146/1990, finalizzata a contemperare la libertà di
astensione dei soggetti «non subordinati» con i diritti di rango costituzionale che
potrebbero venire compromessi dalle condotte di questi ultimi. Una finalità, a
1019 Corte cost. 27 luglio 2018, n. 180, la quale – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale
dell’art. 2bis, nella parte in cui consente che i codici di autoregolamentazione interferiscano con
la disciplina della libertà personale dell’imputato, oggetto della riserva di legge di cui all’art. 13
Cost. – ha riconosciuto che l’art. 2bis «riconosce il diritto (sindacale) di “astensione collettiva
dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria”» come manifestazione della
dinamica associativa, «in relazione alla quale è identificabile, più che una mera facoltà di rilievo
costituzionale, un vero e proprio diritto di libertà» (cc. nn.). 1020 Corte cost. 27 dicembre 1974, n. 290, tra l’altro in Dir. lav., 1974, II, p. 397, con nota di G.
PERA, La Corte costituzionale e lo sciopero politico. 1021 A. PILATI, Il conflitto collettivo nell’area del lavoro autonomo, in P. PASCUCCI (a cura di),
La nuova disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, Ipsoa, Milano, 2000, p. 78 s.;
B. CARUSO, G. NICOSIA, Il conflitto collettivo post moderno, cit., p. 31. 1022 A. CONFALONIERI, La prescrizione come causa di elusione del diritto al difensore di fiducia,
in Cass. pen., 1994, p. 2461. 1023 Supra, Cap. II, § 5 e ss.
214
ben vedere, rispetto alla quale è del tutto indifferente la qualificazione giuridica
dei soggetti agenti, tanto più considerando che il problema si è posto (e si pone)
tanto per i liberi professionisti, come appunto gli avvocati, quanto per soggetti
dotati di una propria (micro)organizzazione, come i farmacisti, gli
autotrasportatori, i tassisti e i concessionari di vendita di carburanti.
Ciononostante, non è mancato chi ha ravvisato in tale equiparazione un’ulteriore
“spia” del processo di avvicinamento delle varie forme di lavoro «personalmente
personale»1024, che ha subito una battuta d’arresto con lo Statuto del lavoro
autonomo, che come si è detto esclude espressamente i piccoli imprenditori dal
novero dei beneficiari delle nuove tutele, salvo in alcuni passaggi1025.
In quest’ultima prospettiva, d’altronde, si spiega l’esclusione delle medie e
grandi imprese, che se per alcuni è frutto di una criticabile1026 dimenticanza del
legislatore1027, alla quale sarebbe comunque possibile rimediare in via
interpretativa1028, può essere proprio ricondotta al diverso rilievo che assume nel
nostro ordinamento il lavoro (prevalentemente personale) rispetto all’impresa.
Solo il primo, infatti, ha una dignità tale «da divenire comparabile con un
circoscritto numero di diritti fondamentali della persona di rango
costituzionale»1029; dal che si spiega l’esclusione dall’ambito di applicazione
della legge degli imprenditori medi e grandi, i quali, peraltro, non necessitano di
particolari forme di sostegno ulteriore per condizionare il decisore politico1030.
4. La prospettiva sovranazionale: il problema della compatibilità della
contrattazione collettiva relativa al mondo del lavoro autonomo con la
disciplina antitrust
Se nella prospettiva del diritto interno i principali nodi critici relativi alla
latitudine delle tutele collettive dei lavoratori autonomi si sono posti in
riferimento alla compatibilità di alcune forme di protesta messe in atto da questi
ultimi con la disciplina in materia di servizi pubblici essenziali, nella prospettiva
1024 O. RAZZOLINI, L’azione e l’astensione collettiva dei piccoli imprenditori nel quadro dei
diritti costituzionali della persona. Appunti per un dibattito, intervento al Convegno
Rappresentanza e rappresentatività delle organizzazioni imprenditoriali, Verona, 2-3 dicembre
2011, p. 6 s. del dattiloscritto. 1025 Come nel caso della promozione dell’accesso ai finanziamenti europei (supra, Cap. III, sez.
III, § 4.2). 1026 L. NOGLER, Proteste collettive dei lavoratori autonomi nei servizi essenziali, cit., p. 97. 1027 G. NICOSIA, La sostenibile leggerezza del confine fra sciopero e astensione collettiva dei
lavoratori autonomi, cit., p. 153. 1028 L. MENGHINI, Le regole per il lavoro autonomo, cit., p. 58 ss. 1029 Così O. RAZZOLINI, L’azione e l’astensione collettiva dei piccoli imprenditori nel quadro
dei diritti costituzionali della persona, cit., p. 9 del dattiloscritto. 1030 Come osserva M.T. CARINCI, L’improbabile rilievo costituzionale dell’autotutela collettiva
di lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, cit., p. 980.
215
del diritto europeo, invece, è la contrattazione collettiva dei lavoratori (non solo)
autonomi che viene posta sul “banco degli imputati”.
È noto che il processo di integrazione europea si è sviluppato a partire da una
logica mercantilista nella quale i “diritti sociali”, in genere, hanno a lungo tardato
prima di trovare un (parziale) riconoscimento1031. In tale prospettiva, persino la
legittimità della contrattazione collettiva dei lavoratori subordinati, quale
strumento storico di limitazione della concorrenza1032, era finita “nel mirino”
della Corte di Giustizia, la quale, a partire dal terzetto Albany1033, pur accordando
una antitrust immunity agli «accordi collettivi stipulati tra organizzazioni
rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori», ne definito rigorosamente
i confini, sia attraverso il riferimento di carattere teleologico alla «ricerca
comune di misure volte a migliorare le condizioni di occupazione e di
lavoro»1034, sia attraverso l’implicita delimitazione del perimetro della suddetta
immunità al solo mondo del lavoro subordinato1035.
1031 La letteratura sul punto è sterminata, inter alia, nella prospettiva della dottrina giuslavoristica
nazionale, v. S. GIUBBONI, Diritto del lavoro europeo. Una introduzione critica,
Cedam/Wolters-Kluwer, Milano, 2017, spec. p. 1-112: M. MAGNANI, Diritto sindacale europeo
e comparato, Giappichelli, Torino, 2017, spec. p. 10 ss.; M. ROCCELLA, T. TREU, Diritto del
lavoro dell’Unione Europea, 7° ed. con la collaborazione di D. IZZI, M. AIMO, Cedam/Wolters-
Kluwer, Milano, 2016, spec. p. 3-52; V. BRINO, Diritto del lavoro, concorrenza e mercato, Le
prospettive dell’Unione Europea, Cedam, Padova, 2012, spec. p. 29 ss.; A. PIZZOFERRATO,
Libertà di concorrenza e diritti sociali nell’ordinamento UE, in RIDL, 2010, n. 3, I, spec. p. 527
s.; L. DI VIA, Antitrust e diritti sociali. Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Esi,
Napoli, 2004, spec. p. 55 ss.; S. GIUBBONI, Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale
dell’integrazione europea, Il Mulino, Bologna, 2003. 1032 Lo ricordano A. PERULLI, L’idea di diritto del lavoro, oggi, in ID. (a cura di), L’idea del
diritto del lavoro, oggi. In ricordo di Giorgio Ghezzi, Wolters Kluwer – Cedam, Milanofiori
Assago, 2016, p. XLIX; R. DE LUCA TAMAJO, Concorrenza e diritto del lavoro, ivi, p. 13 ss.;
P. ICHINO, Il contratto di lavoro, II, Giuffrè, Milano, 2000, p. 150; L. DI VIA, Antitrust e diritti
sociali, cit., p. 83 ss. 1033 CGUE 21 settembre 1999, C-67/96, Albany; in RIDL, 2000, II, p. 209, con nota di M.
PALLINI, Il rapporto problematico tra diritto della concorrenza e autonomia collettiva
nell’ordinamento comunitario e nazionale, nonché in Lav. giur., 2000, n. 1, p. 22, con nota di A.
ALLAMPRESE, Diritto comunitario della concorrenza e contratti collettivi; CGUE 21 settembre
1999, C-115/97 a C-117/97, Brentjens, in EDP, 2000, p.171, con nota di A. RIZZO, Fondi-
pensione integrativi e regole di concorrenza; CGUE 21 settembre 1999, C-219/97, Bokken.
Nello stesso senso, successivamente, CGUE 21 settembre 2000, C-222/98, Van der Woude,
punto 22; CGUE 11 dicembre 2007, C-438/05, Viking, tra l’altro in RIDL, 2008, n. 2, II, p. 249,
con nota di M. CORTI, Le decisioni ITF e Laval della Corte di giustizia: un passo avanti e due
indietro per l'Europa sociale, punto 49; CGUE 9 luglio 2009, C-319/07, 3F c. Commissione,
punto 50; CGUE 3 marzo 2011, C-437/09, AG2R Prévoyance, in Revue Lamy de la Concurrence,
2011, n. 28, p. 37, con nota di S. DESTOURS, Licéité de l’affiliation obligatoire à un régime
complémentaire de soins de santé, punto 29. 1034 Lo rileva M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la contrattazione
collettiva relativa al lavoro autonomo, cit., p. 9. 1035 S. SCIARRA, Diritto del lavoro e regole della concorrenza in alcuni casi esemplari della
Corte di Giustizia Europea, in DML, 2000, n. 3, p. 597 s.
216
Gli accordi relativi al lavoro autonomo, infatti, non menzionati dal terzetto
Albany, rientrerebbero a pieno titolo nell’ambito di operatività dell’art. 101
TFUE, posto che i lavoratori autonomi sono considerati dal diritto europeo delle
«imprese», ai fini dell’applicazione dell’art. 101, comma 6, TFUE, nella misura
in cui offrono i propri servizi dietro corrispettivo in un determinato mercato1036,
esercitando la propria attività come operatori economici indipendenti rispetto ai
loro committenti1037, circostanza da valutare tenendo conto dell’assunzione o
meno del relativo rischio d’impresa1038.
Su tali assunti si fonda l’iter argomentativo della nota pronuncia Kunsten,
con cui la Corte di giustizia ha ritenuto che la disposizione di un contratto
collettivo di lavoro contenente tariffe minime per i prestatori autonomi di servizi,
affiliati a una delle organizzazioni di lavoratori parti del contratto, che svolgono
per un datore di lavoro, in forza di un contratto d’opera, la stessa attività dei
lavoratori subordinati di tale datore di lavoro, esula dall’ambito di applicazione
dell’articolo 101 TFUE «solo qualora tali prestatori siano «falsi autonomi», ossia
prestatori che si trovano in una situazione paragonabile a quella di detti
lavoratori»1039.
In questo modo, come è stato osservato, la Corte «ha chiuso ogni spazio di
immunità dalle regole della concorrenza alla contrattazione collettiva
nell’ambito del lavoro autonomo, disconoscendo così le esigenze di protezione
sociale del cd. lavoro ‘parasubordinato’»1040, limitando l’esclusione dall’ambito
di applicazione della disciplina della concorrenza solo il lavoro subordinato –
inteso peraltro in modo particolarmente restrittivo, sulla base di una lettura
“forte” dell’eterodirezione quale elemento caratteristico della fattispecie1041 –
1036 CGUE 28 febbraio 2013, C-1/12, Ordem dos Técnicos Oficiais de Contas, in GDir., 2013,
p. 55, con nota di M. CASTELLANETA, Professioni: sul sistema di formazione obbligatoria gli
Ordini sono tenuti a rispettare le regole antitrust. A rischio il sistema che attribuisce al Cnf il
potere di disciplinare l'aggiornamento, punti 36 e 37. 1037 CGUE 14 dicembre 2006, C-217/05, Confederación Española de Empresarios de Estaciones
de Servicio, in Revue des contrats, 2007, p. 763, con nota di C. PRIETO, Droit spécial du contrat.
L'applicabilité de l'article 81 CE aux contrats d'agence commerciale suppose un comportement
indépendant du distributeur, punti 43 ss. 1038 CGUE 24 ottobre 1995, C-266/93, Volkswagen e VAG Leasing, secondo cui un intermediario
«perde la qualifica di operatore economico indipendente soltanto quando non sopporta i rischi
conseguenti ai contratti procurati per conto del committente e opera come ausiliario integrato
nell'impresa del committente». In tal senso già CGUE 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73,
48/73, 50/73, 54/73, 55/73, 56/73, 111/73, 113/73, e 114/73, Coöperatieve Vereniging «Suiker
Unie», e successivamente, CGUE 14 dicembre 2006, C-217/05, cit. 1039 CGUE 4 dicembre 2014, C-413/13, cit., punto 42 e dispositivo. 1040 Così G. ORLANDINI, voce Rapporti di lavoro internazionali, in Enciclopedia del Diritto on
line, Treccani, 2017. 1041 La nozione di “lavoratore” viene infatti individuata sulla base della circostanza che il
soggetto «agisca sotto la direzione del suo datore di lavoro, per quanto riguarda in particolare la
sua libertà di scegliere l’orario, il luogo e il contenuto del suo lavoro, non partecipi ai rischi
commerciali di tale datore di lavoro e sia integrata nell’impresa di detto datore di lavoro per la
217
assoggettando alle regole antitrust qualunque pattuizione collettiva concernente
il lavoro autonomo economicamente dipendente, ma genuino1042.
Tale conclusione, se importata nell’ambito nazionale, potrebbe portare a esiti
stravolgenti e «pericolosi»1043: non solo verrebbe completamente mutilata la
contrattazione collettiva relativa al mondo degli agenti e rappresentanti di
commercio, ma anche quella che funge da limite alla riconduzione alla disciplina
della subordinazione delle collaborazioni organizzate dal committente (art. 2,
comma 2, lett. a), d.lgs. 81/2015), con il paradossale cortocircuito per cui i
lavoratori coinvolti da tali accordi «dovrebbero avere giuridicamente una natura
anfibia: essere ‘veri autonomi’ – come affermato dagli accordi – per consentire
l’esclusione del lavoro subordinato ai fini del diritto nazionale, essere ‘falsi
autonomi’ per ‘salvare’ gli accordi sindacali dalla violazione della disciplina
della concorrenza ai fini del diritto europeo»1044.
In realtà, come è stato osservato1045, si potrebbe sostenere che la Corte ha
confuso i criteri utilizzati per l’individuazione della fattispecie del lavoratore
autonomo rispetto a quello subordinato, laddove avrebbe dovuto valutare
semplicemente la ricorrenza o meno degli estremi della nozione di impresa a fini
antitrust, incentrato non già sul dato della etero-direzione ma sul livello di
indipendenza dell’operatore economico sul mercato1046. In questa prospettiva,
dunque, è fuorviante il riferimento al “falso” lavoro autonomo, posto che la
Corte «avrebbe potuto (o meglio dovuto) esprimersi in termini di ‘falsa impresa’,
durata del rapporto di lavoro, formando con essa un’unità economica» (CGUE 11 settembre
2014, C-413/13, cit., punto 36). 1042 Rispetto al quale la validità degli accordi collettivi potrebbe tuttalpiù derivare dal ricorso alle
deroghe ammesse dallo stesso diritto antitrust, come quella prevista dall’art. 101, par. 3, TFUE,
che fa salvi gli accordi «che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei
prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico». Sul punto, tuttavia, v. le perplessità
di M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la contrattazione collettiva
relativa al lavoro autonomo, cit., p. 29 ss., secondo cui la possibilità di invocare tale deroga in
riferimento alla contrattazione collettiva dei lavoratori autonomi si scontra con la prevalente
lettura dell’antitrust immunity in parola quale mezzo di correzione delle market failures, più che
come strumento di tutela dei diritti sociali. 1043 M. CORTI, Concorrenza e lavoro: incroci pericolosi in attesa di una svolta, in DLRI, 2016,
n. 3, p. 505 ss. 1044 Così L. IMBERTI, L’eccezione è la regola?! Gli accordi collettivi in deroga alla disciplina
delle collaborazioni organizzate dal committente, in DRI, 2016, n. 2, p. 424 s. Nello stesso senso
anche V. NUZZO, Il lavoro personale coordinato e continuativo tra riforme e prospettive di
tutela, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 280/2015, p. 14 s. 1045 M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la contrattazione
collettiva relativa al lavoro autonomo, cit., p. 14 s. 1046 Molto esplicitamente, nel caso dei concessionari spagnoli di vendita di carburanti (i quali
non possono certo essere considerati dei lavoratori etero-diretti), CGUE 14 dicembre 2006, C-
217/05, cit., punto 44, ha stabilito che il concessionario non ricade nel divieto di cui all’art. 85
(oggi 101) del Trattato, in quanto, «sebbene in possesso di una personalità giuridica distinta, non
determin[a] in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, dipendendo interamente
dal suo committente».
218
o, semplicemente di ‘non impresa’ ai fini antitrust, lasciando così la definizione
della ‘falsa autonomia’ al campo semantico e concettuale della qualificazione
del rapporto di lavoro»1047.
D’altronde, un’interpretazione conforme con il diritto internazionale – dove
è pacifico che le convenzioni OIL in materia di libertà sindacale trovano
applicazione anche al di là del lavoro subordinato in senso stretto1048 – e
armonica con il progressivo riconoscimento dei diritti sindacali come diritti
umani1049 – per loro natura non assoggettabili a bilanciamento con le libertà
economiche – imporrebbe di concludere che il lavoro autonomo personale non
possa essere privato degli strumenti apprestati dal diritto sindacale in ragione di
istanze di natura pro-concorrenziale.
Peraltro, se ciò dovesse verificarsi nell’ambito del diritto europeo,
l’ordinamento nazionale ben potrebbe reagire invocando nei diritti
costituzionalmente garantiti di organizzazione sindacale e di sciopero un vero e
proprio controlimite all’applicazione della normativa europea che pretendesse
comprimerli1050.
5. Quali modelli organizzativi per il «sindacato» dei lavoratori autonomi?
Se dunque, con buona pace di alcune tendenze “mercantiliste” del Giudice
di Lussemburgo, non vi sono ostacoli al pieno esercizio da parte dei lavoratori
autonomi dei diritti sindacali, resta da chiedersi attraverso quali schemi sia
possibile perseguire un’organizzazione «sindacale» di tali lavoratori che sia
rispettosa delle peculiarità che contraddistinguono il mondo del lavoro
1047 Ancora M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la contrattazione
collettiva relativa al lavoro autonomo, cit., p. 15. 1048 In riferimento alla Convenzione 87/1948, in materia di libertà sindacale, lo stesso Committee
on Freedom of Association dell’OIL ha avuto modo di precisare che «the criterion for
determining the persons covered by that right, therefore, is not based on the existence of an
employment relationship, which is often non-existent, for example in the case of agricultural
workers, self-employed workers in general or those who practise liberal professions, who should
nevertheless enjoy the right to organize» (Cfr. ILO, Freedom of Association: Digest of decisions
and principles of the Freedom of Association Committee of the Governing Body of the ILO
Geneva, International Labour Office, Fifth (revised) edition, 2006, para. 254). Sul punto J.
UNTERSCHÜTZ, Digital Work - Real Bargaining. How to Ensure Sustainability of Social
Dialogue in Digital Era?, di prossima pubblicazione in I. FLORCZAK, M. OTTO, J. KENNER (eds.),
Precarious Work. The Challenge for Labour Law in Europe, Edward Elgar, 2018, forthcoming. 1049 Nella prospettiva della Convenzione EDU, M. FORLIVESI, Interessi collettivi e
rappresentanza dei lavoratori del web, cit., p. 189 s., e ivi riferimenti alla giurisprudenza. Nella
prospettiva delle convenzioni OIL, V. DE STEFANO, Non‐standard workers and freedom of
association: a critical analysis of restrictions to collective rights from a human rights
perspective, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.INT – 123/2015. 1050 In tal senso M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la
contrattazione collettiva relativa al lavoro autonomo, cit., p. 18.
219
autonomo da quello del lavoro subordinato, nonché, all’interno del primo, le
varie categorie di lavoratori autonomi.
In proposito, se la linea di intervento seguita dai sindacati confederali si è
dimostrata, a distanza di un ventennio dai primi tentativi di sindacalizzazione dei
lavoratori atipici1051, sostanzialmente fallimentare, maggiore attenzione
sembrerebbero meritare i fenomeni di auto-organizzazione “dal basso” dei
freelance che si sono sviluppati nell’ultimo decennio in diverse realtà europee
ed extra-europee. Ciò, peraltro, anche per apprezzare la pluralità di approcci
adottati, che spaziando da modelli di tipo essenzialmente associativo, dove la
funzione dell’associazione è tipicamente di advocacy, oltre che di fornitura di
servizi interni di assistenza, a modelli di tipo para-cooperativo, dove si assiste
invece a un’inedita contaminazione tra schemi sindacali e imprenditoriali.
In particolare, come è stato osservato1052, tali nuovi modelli pur potendosi
ricondurre alla più ampia nozione di “neo-mutualismo”1053 – nella misura in cui
si rifanno a modelli propri dell’originaria esperienza mutualistica1054, nella quale
i lavoratori si associavano (rectius, si riunivano)1055 per soddisfare i propri
bisogni elementari, in un contesto in cui lo Stato sociale era ancora lungi dal
realizzarsi1056 – possono essere divisi in due categorie principali: lo schema delle
umbrella companies e quello dell’associational unionism1057.
1051 Cfr. supra, in questa sezione, il § 1, spec. le nt. 665 ss. 1052 M. AVOGARO, New Perspectives for Workers’ Organizations in a Changing Technological
and Societal Environment, cit., p. 11. 1053 Nel senso individuate da S. HOROWITZ, What is New Mutualism?, in huffingtonpost.com, 23
gennaio 2014, la quale afferma che il termine rimanda a un’esperienza di via (e non solo di
lavoro) fondata su almento tre principi chiave: Do It Ourselves; Driven By a Social Mission; Do
Together What You Can’t Do Alone. Con l’avvertenza che «New Mutualism goes beyond a list
of principles. The essence of New Mutualism is that it’s a movement. It’s about a spirit of
collaboration and mutual support. It’s about building meaningful connected lives and thriving
local communities». 1054 S. BOLOGNA, SMart, mutualismo del XXI secolo, in Ilmanifesto.it, 2 settembre 2017. 1055 Merita ricordare che lo Statuto albertino introdusse il solo diritto di riunione («è riconosciuto
il diritto di adunarsi pacificamente e senza armi», art. 32), e non invece quello di associazione. 1056 Sull’esperienza originaria delle società di mutuo soccorso, v., inter alia, P. PASSANITI, Il
mutuo soccorso nell’ordine liberale. Il sotto-sistema della solidarietà: la legge 3818 del 15
aprile 1886, in G. SILEI (a cura di), Volontariato e mutua solidarietà. 150 anni di previdenza in
Italia, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 2001, spec. p. 69 s., e, più recentemente, M. STRONATI,
Solidarietà relazione e solidarietà universale: la “liberazione dal bisogno” tra Otto e
Novecento, in G. CANAVESI, E. ALES (a cura di), Il sistema previdenziale italiano, cit., spec. p. 5
ss., la quale ricorda come le società di mutuo soccorso «sopperivano all’indifferenza del diritto
comune e dello Stato realizzando una solidarietà mutualistica (tra i soci) organizzata per far
fronte ai cambiamenti epocali […] Agli scopi principali di assistenza in caso di malattia,
infortunio e invalidità permanente, comprese le pensioni di vecchiaia, si accompagnavano spesso
altri scopi facoltativi, ma di rilievo come la scolarizzazione, corsi professionali, biblioteche, corsi
itineranti di alfabetizzazione economica ed altro» (p. 6). 1057 Termine coniato da C.C. HECKSCHER, The New Unionism. Employee Involvement in the
Changing Corporation, Basic Books, New York, 1988, p. 177 ss.
220
Le prime, tra cui può essere annoverata, insieme ad altre esperienze1058,
quella di SMart, piattaforma operativa in 9 paesi europei, dove opera con forme
giuridiche differenti offrendo servizi a oltre 120.000 affiliati1059, sono costituite
da soggetti muniti di personalità giuridica, generalmente sotto forma di società
cooperativa, che stipulano con i propri soci – freelance ma anche piccole imprese
– veri e propri contratti di lavoro, che consentono loro di accedere alle relative
protezioni di legge, anche in materia previdenziale. I soci continuano a offrire i
propri servizi sul mercato come lavoratori autonomi, ma la relativa fattura viene
emessa dalla società, che trattiene una percentuale per il finanziamento dei
servizi interni. Se originariamente, nel caso di Smart, la funzione del modello
era principalmente quella di consentire un pagamento tempestivo dei lavoratori
anche in caso di ritardi o di inadempimenti da parte del committente, i servizi si
sono ampliati, comprendendo anche servizi assicurativi, di formazione e di
assistenza e consulenza legale di vario tipo1060.
Alla categoria del “sindacalismo associativo”, oltre ad alcune esperienze
nordamericane1061, può essere ricondotta anche quella di ACTA (Associazione
Consulenti Terziario Avanzato)1062, che si è già visto essere stata uno dei
promotori delle iniziative che hanno portato all’introduzione dello Statuto del
lavoro autonomo1063.
In tale modello, contrariamente a quanto avviene nelle umbrella company, il
soggetto collettivo è giuridicamente strutturato come un’associazione – sicché
gli associati restano a tutti gli effetti lavoratori autonomi – e le funzioni sono
principalmente di advocacy, ancorché vi sia uno spazio significativo per l’offerta
di servizi di consulenza legale di vario tipo in favore degli associati, oltre che
per la stipula di convenzioni con vari soggetti per offrire agli associati beni e
servizi a condizioni di favore1064.
Senza dilungarsi ulteriormente sulle caratteristiche specifiche delle singole
esperienze di tipo neo-mutualistico, vale la pena di osservare le potenzialità
insite nei vari modelli di tutela collettiva che sono stati adottati dai lavoratori
1058 Cfr. M. AVOGARO, New Perspectives for Workers’ Organizations in a Changing
Technological and Societal Environment, cit., p. 12, nt. 32, ove riferimenti ad altre umbrella
companies francesi, e p. 15 ss., ove riferimenti all’italiana DocServizi. 1059 S. GRACEFFA, Rifare il mondo… del lavoro, DeriveApprodi, Roma, 2017, spec. p. 103 ss.
Sul punto anche S. BOLOGNA, SMart, mutualismo del XXI secolo, cit. 1060 Per approfondimenti, v. SMART FRANCE, Des services mutualisés, in smartfr.fr. 1061 Il riferimento è alla Freelancers Union, fondata a New York nel 1995, che conta oggi
350.000 affiliati negli Stati Uniti. Sul punto, FREELANCERS UNION, Frequently Asked Questions,
in freelancersunion.org. 1062 Per approfondimenti, ACTA, Acta, l’associazione che mette in rete i freelance, in
actainrete.it. 1063 Supra, nt. 536. 1064 Per i riferimenti, v. M. AVOGARO, New Perspectives for Workers’ Organizations in a
Changing Technological and Societal Environment, cit., p. 20 ss.
221
autonomi1065, spesso nel silenzio, se non nel disinteresse, del legislatore, almeno
fino a qualche anno a questa parte1066. Si tratta, peraltro, di modelli che ben
potrebbero essere esportati, in prospettiva, anche al di là del solo lavoro
autonomo c.d. di seconda generazione, per abbracciare la dimensione del lavoro
autonomo libero-professionale, nonché, perché no, lo stesso mondo del lavoro
subordinato.
1065 P. ICHINO, Le conseguenze dell’innovazione tecnologica sul diritto del lavoro, in RIDL, 2017,
n. 4, I, p. 525 ss. 1066 A. SORU, Statuto del lavoro autonomo. Il punto di vista di ACTA, cit., p. 166, ove riferimenti
alla proposta Ichino di integrazione dello Statuto del lavoro autonomo (progetto di legge n.
2934/2018).
223
CAPITOLO IV
IL BANCO DI PROVA DELLA GIG ECONOMY
SOMMARIO: 1. Premessa: le ragioni di una ricerca. – 2. Introduzione: il lavoro “digitale”
nell’economia “delle piattaforme”. – 3. “Nuove forme” di lavoro nella gig economy:
“work-on-demand-via-app” vs. “crowdwork”… – 4. … e “vecchi” schemi
contrattuali: le independent contractor clauses. – 5. La gig economy nella prima
giurisprudenza d’oltreoceano e d’oltremanica. – 5.1. «Square pegs into round holes».
Genesi e sviluppi del contenzioso negli Stati Uniti. – 5.2. Il ricorso al tertium genus
nella giurisprudenza britannica: gli autisti di Uber come workers. – 5.3. Il contenzioso
in altre giurisdizioni extraeuropee. Cenni. – 6. Il contenzioso in Europa continentale
e a livello eurounitario: l’originaria prospettiva di competition law. – 7. Le prospettive
nel segno della riqualificazione del rapporto in Italia. – 7.1. Il caso Foodora – 7.2. Il
nodo della qualificazione dei rider. – 7.3. Le posizioni della dottrina nell’attesa del
pronunciamento del Tribunale di Torino. – 7.4. La lunga vita della
giurisprudenza in materia di pony express. – 7.5. La decisione del Tribunale di
Torino. – 8. Oltre la riqualificazione: la tutela civilistica del platform worker. – 8.1.
Il nodo del recesso. – 8.2. La misura del compenso e la sua esigibilità. – 9. Le
prospettive dell’intervento legislativo e la promozione della regolamentazione di
carattere collettivo. – 10. Una considerazione conclusiva .
1. Premessa: le ragioni di una ricerca
Nell’ambito di una ricerca dedicata al tema del lavoro autonomo, la scelta di
dedicare un capitolo al tema del lavoro nella gig economy potrebbe apparire
l’indice di una precisa scelta di campo: quella di ricondurre senza riserve il
«variopinto mondo»1067 dei rapporti di lavoro che si instaurano nell’“economia
delle piattaforme” all’area dell’autonomia – o, ancor peggio, all’area del lavoro
non protetto – disattendendo così le numerose voci dottrinali che altrove nel
mondo1068, ma anche da noi1069, si sono levate in senso contrario, pur senza il
1067 Volendo mutuare l’espressione di M. PEDRAZZOLI, Il mondo variopinto delle collaborazioni
coordinate e continuative, in ID. (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs 10 settembre
2003, n. 276, Zanichelli, Bologna, 2004, p. 663. 1068 V. soprattutto, per il momento, J. PRASSL, M. RISAK, Uber, Taskrabbit, and Co.: Platforms
as Employers? Rethinking the Legal Analysis of Crowdwork, in CLL&PJ, 2016, vol. 37, n. 3, p.
619 ss., ma anche G. DAVIDOV, The Status of Uber Drivers: A Purposive Approach, in Spanish
Labour Law and Employment Relations Journal, 2017, n. 6, p. 6 ss. 1069 Tra le posizioni più esplicite quelle di M.L. BIRGILLITTO, Lavoro e nuova economia: un
approccio critico. I molti vizi e le poche virtù dell’impresa Uber, L&LI, 2016, vol. 2, n. 2, p 58
ss.; S. AURIEMMA, Impresa, lavoro e subordinazione digitale al vaglio della giurisprudenza, in
RGL, 2017, n. 2, p. 281 ss.; E. GRAMANO, Riflessioni sulla qualificazione del rapporto di lavoro
nella gig-economy, in ADL, 2018, n. 3, p. 730 ss.; G. PACELLA, Alienità del risultato, alienità
dell’organizzazione: ancora una sentenza spagnola qualifica come subordinati i fattorini di
Deliveroo, in L&LI, 2018, n. 1, p. 59 ss.; A. CONSIGLIO, Il lavoro nella digital economy:
prospettive su una subordinazione inedita?, ivi, p. R.78 ss.
224
conforto della giurisprudenza, quantomeno quella di casa nostra1070, ma forse
con un futuro (e ben più significativo) avallo del nuovo legislatore1071.
Pare quindi opportuno anticipare che chi scrive intende muoversi in una
prospettiva, per così dire, di sano agnosticismo – trovandosi peraltro in buona
compagnia1072 – cui si è spinti soprattutto dalla convinzione che le questioni di
qualificazione del rapporto richiedono inevitabilmente di confrontarsi con le
specifiche caratteristiche di ogni caso concreto, e ciò tanto più considerato che è
dato riscontrare profonde differenze tra i diversi modelli organizzativi adottati
dalle numerose piattaforme del settore, con riferimento sia alle condizioni
contrattuali sia alle effettive modalità di svolgimento del rapporto, e ciò non solo
nel vasto mondo della gig economy a stelle e strisce1073, ma persino nel ben più
ristretto ambito della consegna immediata via app, in Italia, che coinvolge poche
migliaia di lavoratori1074 distribuiti nei principali centri urbani1075.
In questa prospettiva, la scelta di destinare il capitolo conclusivo della
presente trattazione al tema del lavoro “digitale” si spiega con il fatto che esso,
nella misura in cui viene ricondotto, a ragione o a torto, al mondo
dell’autonomia – opzione per nulla scontata, e certamente non generalizzabile,
per le ragioni che si è appena detto, ma pare sia questa la direzione imboccata
dalla nostra giurisprudenza – si candida a costituire il prototipo di quel lavoro
economicamente debole1076, che, orfano delle tutele del lavoro a progetto (in
1070 Il riferimento è evidentemente a Trib. Torino 7 maggio 2018, n. 778, su cui infra, § 7.5,
nonché a Trib. Milano 10 settembre 2018, n. 1853, inedita. 1071 Il riferimento è alla bozza di decreto recante «norme in materia di lavoro subordinato anche
tramite piattaforme digitali, applicazioni e algoritmi», circolata tra gli addetti ai lavori nel giugno
del 2018, ma poi non trasfusa nel c.d. decreto dignità, nella quale si proponeva un indiretto, ma
“pesante”, intervento sulla stessa nozione di subordinazione di cui all’art. 2094 c.c. (sul punto
infra, § 9, in fine). 1072 Nel senso dell’opportunità di un approccio «laico» al problema, molto esplicitamente, V. DE
STEFANO, Introduction: Crowdsourcing, the Gig-Economy, and the Law, in CLL&PJ, 2016, v.
37, n. 3, p. 461 ss. 1073 J.W. MCHUGH, Looking through the (Mis)Classifieds: Why Taskrabbit Is Better Suited than
Uber and Lyft to Succeed against a Worker Misclassification Claim, in Cleveland State Law
Review, 2018, Vol. 66, n. 3, p. 649 ss., che sottolinea come la diversità dei modelli organizzativi
delle piattaforme (in specie, Uber e Lyft, da un lato, e Taskrabbit, dall’altro) si rifletta sulla
possibilità di riqualificare o meno i rapporti di lavoro intercorrenti con i lavoratori. 1074 Per tale dato M. GABANELLI, R. QUERZÈ, Sono 8.000 i rider non assicurati, in CdS, 13 giugno
2018, p. 27. 1075 Come rileva M. BIASI, Dai pony express ai riders di Foodora. L’attualità del binomio
subordinazione autonomia (e del relativo metodo d’indagine) quale alternativa all’affannosa
ricerca di inedite categorie, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo
Statuto del lavoro autonomo e del lavoro agile, Wolters Kluwer-Cedam, Milano, 2018, spec. p.
75 ss. Sul punto, se vuoi, G. CAVALLINI, Foodora, Deliveroo & Co.: le fattispecie della gig-
economy italiana tra previsioni contrattuali ed effettive modalità di esecuzione del rapporto,
paper presentato al convegno Impresa, lavoro e non lavoro nell’economia digitale, Brescia, 12-
13 ottobre 2017. 1076 W. DÄUBLER, T. KLEBE, Crowdwork: datore di lavoro in fuga?, in DLRI, 2016, n. 3, spec.
p. 474.
225
primis in materia di compenso), non può guardare che non alle nuove tutele
statutarie, rappresentando quindi, un privilegiato “banco di prova” per saggiarne
le potenzialità applicative1077.
Ed è in questa prospettiva, che non è quindi contrapposta bensì
complementare rispetto a quella di chi cerca di inseguire i tratti caratteristici
della subordinazione «a tutti i costi»1078, talvolta non senza tradire un certo
affanno1079, che ci si cercherà di muovere in questo capitolo.
2. Introduzione: il lavoro “digitale” nell’economia “delle piattaforme”
Sul lavoro nella gig economy, o platform economy, o ancora on-demand
economy1080 – ma non anche sharing economy, o economia collaborativa, come
si avrà modo di vedere, ancorché non manchino autori che ricorrono a
quest’ultima terminologia1081, anche oltre i nostri confini1082 – negli ultimi anni
è stato detto moltissimo.
Il tema, nelle sue molteplici declinazioni, ha formato oggetto di numerosi
convegni e seminari, a livello nazionale (o comunque nell’ambito di Università
1077 In questo senso non stupirà che il tema del lavoro nella gig economy sia stato incluso
nell’ambito delle più recenti ricerche relative al “nuovo” lavoro autonomo: cfr. A. PERULLI (a
cura di), Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, Wolters Kluwer-Cedam, Milano,
2018; G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro
autonomo, cit., in riferimento alla parte II, dedicata a Subordinazione, autonomia e “nuovi”
lavori). 1078 A. PERULLI, Capitalismo delle piattaforme e diritto del lavoro. Verso un nuovo sistema di
tutele?, in ID. (a cura di), Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, cit., p. 124, ove
riferimenti alle diverse proposte interpretative che si pongono in tale direzione. 1079 Lo rileva P. TULLINI, C’è lavoro sul web?, in L&LI, 2015, n. 1, p. 11 s. 1080 Sul proliferare degli anglismi nell’ambito della materia di cui si tratta v. le osservazioni di
M. BIASI, Dai pony express ai riders di Foodora, cit., p. 67 s. 1081 G. BRONZINI, Il futuro (giuridico) del lavoro autonomo nell’era della share-economy, in
RIDL, 2016, n. 1, III, p. 75 ss.; A. ALOISI, Il lavoro “a chiamata” e le piattaforme “online” della
“collaborative economy”: nozioni e tipi legali in cerca di tutele, in L&LI, 2016, n. 2, p. 41 ss.;
G. MARCHI, Il diritto ad un salario minimo per i lavoratori nella sharing economy, paper
presentato al convegno Impresa, lavoro e non lavoro nell’economia digitale, Brescia, 12-13
ottobre 2017. 1082 Ad es. A. TODOLÍ SIGNES, El trabajo en la era de la economía colaborativa : la clasificación
jurídica de trabajadores y autónomos y los efectos de la reputación online en la economía de
las plataformas virtuales, Tirant lo Blanch, Valencia, 2017.
226
ed enti di ricerca italiani)1083 oltre che internazionale1084, e ad esso sono stati già
dedicati diversi studi monografici di autori di diversa estrazione1085, oltre che
numerose opere collettanee1086 e numeri monografici di riviste di settore,
nazionali1087 e internazionali1088.
Complice la rapidità della trasmissione delle informazioni resa possibile da
quello stesso processo di digitalizzazione che tende a finire sotto la lente
d’ingrandimento degli interpreti, a pronunce emesse da Tribunali di remote
province d’oltreoceano è stata dedicata un’attenzione che mai prima d’ora era
stata riservata alla giurisprudenza straniera, neppure a quella proveniente dagli
scranni più alti1089.
1083 Dalla XV International Conference in Commemoration of Professor Marco Biagi: Digital
and Smart Work, Modena, 20-21 marzo 2017, al già menzionato convegno Impresa, lavoro e
non lavoro nell’economia digitale, Brescia, 12-13 ottobre 2017, a quello organizzato dalla CGIL
dal titolo Il lavoro nelle piattaforme digitali: nuove opportunità, nuove forme di sfruttamento,
nuovi bisogni di tutela, Roma, 20 ottobre 2017, solo per menzionarne alcuni, ma il tema ha
aleggiato anche il congresso Aidlass di Cassino, trovando spazio nella relazione di D.
GAROFALO, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative, ora in AIDLASS, Frammentazione
organizzativa e lavoro: rapporti individuali e collettivi, Giuffrè, Milano, 2018, spec. p. 163 ss.,
e negli interventi di L. RATTI, La somministrazione di lavoro come modello di disciplina del
lavoro tramite piattaforma digitale, ivi, p. 305 ss.; A. DONINI, ivi, p. 443 ss.; A. INGRAO,
Algoritmi e qualificazione del rapporto di lavoro, ivi, p. 469 ss. Da ultimo, il tema sarà al centro
del convegno AGI di Bologna, 25-27 ottobre 2018, dal titolo Innovazione digitale: categorie
giuridiche alla prova. 1084 Ricorda M. BIASI, Dai pony express ai riders di Foodora, cit., p. 66, nt. 1, che
significativamente al tema è stata dedicata la gran parte delle relazioni e delle tavole rotonde
della III Conferenza Internazionale del Labour Law Research Network, svoltasi a Toronto, 25-
27 giugno 2017. 1085 J. PRASSL, Humans as a Service. The Promise and Perils of Work in the Gig Economy,
Oxford University Press, Oxford 2018; E. SIGNORINI, Il diritto del lavoro nell'economia digitale,
Giappichelli, Torino, 2018; A. TODOLÍ SIGNES, El trabajo en la era de la economía colaborativa,
cit.; A. SUNDARAJAN, The Sharing economy. The End of Employment and the Rise of Crowd
Base Capitalism, Cambridge, Cambridge University Press, 2016; G. DANENDUC, P.
VENDRAMIN, Le travail dans l’économie digitale: continuités e ruptures, WP ETUI, 2016.03,
Bruxelles 2016. 1086 P. TULLINI (a cura di), Web e lavoro. Profili evolutivi e di tutela, Giappichelli, Torino, 2017;
B. WAAS ET AL., Crowdwork – A Comparative Law Perspective, Bund-Verlag, Frankfurt am
Main, 2017; AA.VV., Il lavoro nelle piattaforme digitali. Nuove opportunità, nuove forme di
sfruttamento, nuovi bisogni di tutela, Ediesse, Roma, 2017; L. MELLA MÉNDEZ (Dir.), Los
actuales cambios sociales y laborales: nuevos retos para el mundo del trabajo, I, Peter Lang,
Bern, 2017; E. ALES ET AL. (eds.), Working in Digital and Smart Organizations. Legal, Economic
and Organizational Perspectives on the Digitalization of Labour Relations, Palgrave Macmillan,
2018; A. TODOLÍ SIGNES, M. HERNÁNDEZ BEJARANO (Dirs.), Trabajo en plataformas digitales:
innovación, derecho y mercado, Aranzadi, Cizur Menor, 2018; A. PERULLI (a cura di), Lavoro
autonomo e capitalismo delle piattaforme, cit. 1087 Da ultimo RGL, 2017, n. 2, dedicato al tema Come cambia il diritto del lavoro nell’economia
delle piattaforme, senza poter dimenticare il costante monitoraggio di L&LI, a partire dal suo
primo numero uscito nel 2015. 1088 Merita segnalare quello di CLL&PJ, 2016, vol. 37, n. 3. 1089 Si pensi alla risonanza avuta dal contenzioso brasiliano relativo alla qualificazione del
rapporto di lavoro dei driver di Uber (G. PACELLA, Lavoro e piattaforme: una sentenza
227
La ragione, d’altronde, è semplice, quasi banale: i modelli adottati dalle
piattaforme della gig economy, in breve, «sfidano»1090 la prospettiva protettiva
del diritto del lavoro, nella misura in cui pretendono di strutturarsi secondo
inediti schemi organizzativi del fattore lavoro i quali, pur consentendo un
controllo sulla prestazione lavorativa paragonabile a quello proprio dei modelli
tayloristi1091, introducono elementi di rottura con le nozioni tradizionali di
lavoratore (e, specularmente, di datore di lavoro), determinando così l’apparente
possibilità di «fuggire»1092 dal diritto del lavoro subordinato, con tutti i vantaggi
che ne derivano in capo al “gestore” della piattaforma (volendo per il momento
utilizzare un termine neutro), ma anche – va in parte riconosciuto – allo stesso
prestatore, che potrebbe – il condizionale è d’obbligo – trovarsi a godere di
un’invidiabile «freedom to choose when and where to work, how long to spend,
and what work to perform»1093.
Le piattaforme che “forniscono e/o intermediano” prestazioni di lavoro, nello
sfidare la capacità di tenuta del diritto del lavoro, interrogano nel contempo altre
scienze sociali, dove la gig economy è già da alcuni anni al centro delle narrative
legate alla precarizzazione del lavoro, della quale rappresenterebbe infatti
l’ultimo e più insidioso capitolo1094.
In una diversa prospettiva, la gig economy rappresenta anche un aspetto del
generale fenomeno dell’economia collaborativa (o sharing economy), relativo
allo sviluppo di quelli che la Commissione Europea, in una nota comunicazione
del 20161095, aveva definito «modelli imprenditoriali in cui le attività sono
brasiliana qualifica subordinato il rapporto tra Uber e gli autisti, in RIDL. 2017, n. 3, II, p. 560
ss.; A. INGRAO, Uberlabour: l’organizzazione “uberiana” del lavoro in Brasile e nel mondo. Il
driver è un partner di Uber o un suo dipendente?, in DRI, 2018, n. 2, p. 705 ss.). 1090 M. WEISS, Digitalizzazione: sfide e prospettive per il diritto del lavoro, in DRI, 2016, n. 3,
p. 651 ss. 1091 Soprattutto B. ROGERS, Employment Rights in the Platform Economy: Getting Back to
Basics, Harvard Law & Policy Review, 2016, n. 10, p. 479 ss., nonché, da noi, R. VOZA, Il lavoro
e le piattaforme digitali: the same old story?, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT –
336/2017, spec. p. 9 s. 1092 W. DÄUBLER, T. KLEBE, Crowdwork: Die neue Form der Arbeit – Arbeitgeber auf der
Flucht?, Neue Zeitschrift für Arbeitsrecht, 2015, p. 1032 ss. L’idea della «fuga» dal diritto del
lavoro (subordinato), peraltro, è risalente, se è vero che la stessa espressione, da noi, si deve a F.
LISO, La fuga dal diritto del lavoro, in Ind. Sind., 1998, n. 28, p. 1 ss. 1093 A. FELSTINER, Working the Crowd. Employment and Labor Law in the Crowdsourcing
Industry, in Berkeley Journal of Employment and Labour Law, 2011, vol. 32, n. 1, qui p. 155. 1094 AA.VV., Digital Labour. Workers, Authors, Citizens, numero monografico di Ephemera,
Theory & Politics in Organisation, 2010, vol. 10, n. 3/4; S. O’CONNOR, When your Boss is an
Algorithm, in ft.com, 8 settembre 2016; R. STAGLIANO, Lavoretti. Così la sharing economy ci
rende tutti più poveri, Einaudi, Torino, 2018; S. KESSLER, Gigged: The Gig Economy, the End
of the Job and the Future of Work, St. Martin’s Press, 2018. 1095 COM(2016) 356 final, Un'agenda europea per l'economia collaborativa, 2 giugno 2016.
228
facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l'uso
temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati»1096.
Quand’anche non hanno ad oggetto prestazioni di lavoro – si pensi alla
piattaforma Airbnb, che consente a privati di affittare beni immobili per brevi
periodi, o alla piattaforma di car sharing BlaBlaCar – le piattaforme della
sharing economy rappresentano una sfida per altri settori dell’ordinamento, dal
diritto della concorrenza1097 al diritto tributario1098, dal diritto dei
consumatori1099 a quello dei contratti1100, con particolari implicazioni sul piano
del diritto delle locazioni1101 e dei trasporti1102, ma non solo1103, senza tacere
infine il campo della tutela dei dati personali, che presenta ovunque evidenti
ricadute di carattere giuslavoristico1104, tanto più a seguito della riscrittura
dell’art. 4 St. lav. e del rinvio in esso contenuto alla disciplina privacy1105, a sua
volta oggetto di una significativa evoluzione in virtù dell’entrata in vigore del
c.d. GDPR nel maggio del 20181106.
Con riferimento al diritto del lavoro, nondimeno, la sfida del “lavoro
digitale” pare assumere una dimensione diversa. Non si tratta infatti solo di
adeguare inedite fattispecie al diritto vigente, quanto di salvaguardare l’essenza
di quest’ultimo, le sua ratio di tutela che affonda le proprie radici nel principio
1096 Ivi, p. 3. 1097 V. infra l’apposito § 6. 1098 F. BOCCA, R. LEONARDI (Eds.), The Challenge of the Digital Economy. Markets, Taxation
and Appropriate Economic Models, Palgrave Macillan, 2016; G. BERETTA, Taxation of
Individuals in the Sharing Economy, in Intertax, 2017, n. 1, p. 2 ss. 1099 A. QUARTA, Il diritto dei consumatori ai tempi della “peer economy”. Prestatori di servizi
e “prosumers”: primi spunti, in EDP, 2017, n. 2, p. 667 ss. 1100 D. DI SABATO, La prassi contrattuale nella “sharing economy”, in Riv. dir. imp., 2016, n. 3,
p. 451 ss.; G. SMORTO, I contratti della “sharing economy”, in Foro it., 2015, n. 4, V, c. 222 ss. 1101 N. FERNÁNDEZ PÉREZ, El alojamiento colaborativo, Tirant lo Blanch, Valencia, 2018, in
riferimento alle complesse questioni, legate anche allo scottante nodo della c.d. gentrification,
sollevate dalle attività della piattaforma Airbnb. 1102 Per una ricerca non limitata alle questioni di diritto concorrenziale legate alle controversie
tra i tassisti e piattaforme a la Uber, A. BOIX PALOP, A.M. DE LA ENCARNACIÓN, G. DOMÉNECH
PASCUAL (eds.), La regulación del transporte colaborativo, Aranzadi, Pamplona, 2017. 1103 Per una panoramica sui diversi ambiti giuridici toccati dal fenomeno, N. DAVIDSON, M.
FINCK, J. INFRANCA (eds.), Cambridge Handobook on Law and Regulation of the Sharing
Economy, forthcoming 2018; G. SMORTO, Critical Assessment of European Agenda for the
Collaborative Economy, on behalf of European Parliament. In-Depth Analysis for the IMCO
Committee, European Parliament, Bruxelles, 2017. 1104 M. OTTO, The Right to Privacy in Employment. A Comparative Analysis, Hart Publishing,
Oxford, 2016. 1105 I. ALVINO, I nuovi limiti al controllo a distanza dell'attività dei lavoratori nell'intersezione
fra le regole dello Statuto dei lavoratori e quelle del Codice della “privacy”, in L&LI, 2016, n.
1, p. 45 ss. Da ultimo, con specifico riferimento al tema profilazione, A. DONINI, Tecniche
avanzate di analisi dei dati e protezione dei lavoratori, in DRI, 2018, n. 1, p. 222 ss. 1106 Funditus, A. INGRAO, Il controllo a distanza dei lavoratori e la nuova disciplina privacy:
una lettura integrata, Cacucci, Bari, 2018.
229
fondamentale per cui «il lavoro non è una merce»1107. È infatti la tendenza verso
una progressiva «commodificazione del lavoro»1108 – spesso richiamata con il
neologismo «uberizzazione»1109 – a venire individuata come il tratto insieme più
caratteristico e più pericoloso dell’economia delle piattaforme, dove le persone
sembrano diventare nulla di più che un «servizio» come tanti altri1110.
Sempre emblematica l’affermazione del CEO della piattaforma
Crowdflower, Lukas Biewald: «Before the Internet, it would be really difficult
to find someone, sit them down for ten minutes and get them to work for you, and
then fire them after those ten minutes. But with technology, you can actually find
them, pay them the tiny amount of money, and then get rid of them when you
don’t need them anymore»1111.
L’Economist ha parlato in proposito di «lavoratori alla spina»1112 dedicando
una propria copertina alla suggestiva immagine di una serie di lavoratori che
fuoriescono da un rubinetto per finire a volare nel cielo, richiamando
l’iconografia di Magritte.
3. “Nuove forme” di lavoro nella gig economy: “work-on-demand-via-app”
vs. “crowdwork”…
Il quadro cui si è appena fatto riferimento può essere riferito a entrambe le
categorie di “lavoro digitale” individuate dalla dottrina: il “work-on-demand-
via-app” e il “crowdwork”1113, sulle cui caratteristiche principali pare opportuno
1107 Sulla genesi della dichiarazione di Philadelphia, da ultimo, A. PERULLI, The Declaration of
Philadelphia, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.INT – 143/2018. 1108 B. BERGVALL‐KÅREBORN, D. HOWCROFT, Amazon Mechanical Turk and the
Commodification of Labour, in New Technology, Work and Employment, 2014, vol. 29, n. 3, p.
213 ss.; A. ALOISI, Commoditized Workers: Case Study Research on Labor Law Issues Arising
from a Set of “On-Demand/Gig Economy” Platforms, in CLL&PJ, 2016, vol. 37, n. 3, p. 653 ss. 1109 S. GRACEFFA, Rifare il mondo… del lavoro. Un’alternativa alla uberizzazione
dell’economia, trad. it., DeriveApprodi, Roma, 2017; M. ZOU, The Regulatory Challenges of
‘Uberization’ in China: Classifying Ride-Hailing Drivers, in International Journal of
Comparative Labour Law and Industrial Relations, 2017, vol. 33, n. 2, p. 269 ss.; M.C.
ESCANDE-VARNIOL, L’ubérisation, un phénomène global. Regard de droit comparé, in Revue
du Droit de Travail, 2017, p. 171 ss. 1110 J. PRASSL, Humans as a Service, cit., che richiama nel titolo la nota catchphrase del CEO di
Amazon, Jeff Bezos. 1111 Citato da M.Z. MARVIT, How Crowdworkers became the Ghosts in the Digital Machine, in
thenation.com, 4 febbraio 2014. 1112 The Economist, 30.12.2014, Workers on tap. 1113 V. DE STEFANO, The Rise of the “Just-in-Time Workforce”: On-Demand Work, Crowdwork,
and Labor Protection in the “Gig-Economy”, in CLL&PJ, 2016, vol. 37, n. 3, p. 474 ss.; E.
DAGNINO, Il lavoro nella on-demand economy: esigenze di tutela e prospettive regolatorie, in
L&LI, 2015, n. 2, p. 90; A. DONINI, Il mercato dei servizi sul web: il rapporto di lavoro su
piattaforma digitale, in P. TULLINI (a cura di), Lavoro e Web, cit., p. 93 ss. Diversi autori,
tuttavia, utilizzano il secondo termine in senso ampio, comprensivo di tutte le forme di “lavoro
230
spendere alcune parole al fine di apprezzarne i tratti distintivi, da un lato, e,
dall’altro, gli elementi comuni che consentono di ricondurli a un fenomeno
unitario, suscettibile di essere affrontato in termini giuridici non dissimili.
In estrema sintesi, con l’espressione “work-on-demand-via-app” si fa
riferimento alle prestazioni di lavoro, rese nell’ambito dell’attività di
intermediazione svolta dagli algoritmi propri delle varie piattaforme, aventi ad
oggetto attività “tradizionali” – attività di trasporto di persone (Uber, Lyft) o di
merci (Foodora, Deliveroo), in primis, ma anche servizi di vario genere
(Helpling, Taskrabbit) – svolte perlopiù nelle realtà dei grandi centri urbani,
caratterizzati da una maggiore presenza di domanda1114.
Del “crowdwork”, al contrario, è stato detto che esso mobilita una forza
lavoro «virtuale»1115, nella misura in cui oggetto della prestazione sono le c.d.
human intelligence tasks – vale a dire quelle micro-mansioni che, allo stato,
un’intelligenza umana è in grado di svolgere meglio di un’intelligenza artificiale,
potendovisi includere sia attività monotone e ripetitive (come effettuare un
riconoscimento facciale, trascrivere un file audio), sia attività di elevato
contenuto professionale (come traduzioni e lavori di grafica e design1116) – che
possono essere svolte da persone collocate in qualsiasi parte del mondo, purché
sia disponibile una connessione internet.
Se il “work-on-demand-via-app” si rivolge principalmente a un’utenza
composta da consumatori finali, al “crowdwork”, il cui esempio più importante
è dato dalla piattaforma statunitense Amazon Mechanical Turk1117, fanno ricorso
soprattutto imprese e altri enti pubblici e privati (inclusi gli istituti di ricerca),
che integrano i risultati delle attività svolte dai crowdworkers all’interno del
proprio ciclo produttivo, sicché, in questa prospettiva, il crowdsourcing può
essere visto come l’ultima tappa di quel processo di esternalizzazione dei
processi produttivi al centro delle attenzioni dei giuslavoristi già da diversi
decenni1118.
digitale”: J. PRASSL, M. RISAK, Uber, Taskrabbit and Co., cit.; W. DÄUBLER, T. KLEBE,
Crowdwork: Die neue Form der Arbeit, cit. 1114 G. SMORTO, The Sharing Economy as a Means to Urban Commoning, in Comparative Law
Review 2016, vol. 7, n. 1, p. 1 ss. 1115 E. DAGNINO, Il lavoro nella on-demand economy, cit., p. 90. 1116 Sul punto, S. SILBERMAN, L. IRANI, Stories We Tell About Labor: Turkopticon and the
Trouble with "Design", in AA.VV., Proceedings of Special Interest Group in Human Computer
Interaction, San Jose, 7-12 maggio 2016, p. 4573 ss. 1117 Su cui B. BERGVALL‐KÅREBORN, D. HOWCROFT, Amazon Mechanical Turk and the
Commodification of Labour, cit.; A. GINÈS I FABRELLAS, Crowdsourcing sites y nuevas formas
de trabajo. El caso de Amazon Mechanical Turk, in Revista Derecho Social y Empresa, 2016, n.
6, p. 66 ss. 1118 In questo senso EAD., Crowdsourcing y contratación on-demand: ¿una modalidad lícita de
externalización productiva en el nuevo entorno digital?, in L. MELLA MÉNDEZ (Dir.), Los
actuales cambios sociales y laborales, cit., p. 185 ss.
231
Ad accomunare queste due forme di lavoro, al punto da suggerirne una
trattazione in gran parte unitaria, sono sia elementi di carattere metagiuridico,
dati dalle comuni opportunità e rischi insite nei relativi modelli organizzativi, sia
elementi prettamente giuridici, dati dai modelli contrattuali adoperati dalle
piattaforme,
Quanto ai primi, le nuove forme di lavoro nella gig economy presentano
indubbiamente una serie di opportunità: se si è già detto che esse offrono al
lavoratore un’inedita flessibilità temporale e/o spaziale, consentendo la prima di
conciliare il lavoro su piattaforma con altre attività principali (come nel caso
degli studenti universitari) e la seconda di sperimentare modalità di
homeworking particolarmente interessanti per lavoratori diversamente abili, o
per chi non possa muoversi da casa per incombenze familiari1119, deve essere
altresì rilevato che l’economia delle piattaforme offre inedite possibilità
occupazionali a chi non abbia una particolare qualificazione professionale,
semplificando più in generale l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e
abbattendo i costi per i consumatori finali.
Nel contempo, anche in ragione dei modelli contrattuali che vengono
adoperati, e che si esamineranno nel prosieguo, l’occupazione che viene creata
dalle piattaforme è quanto mai precaria e instabile, presentando inoltre i modelli
organizzativi delle stesse piattaforme elevati rischi di sfruttamento del lavoro,
anche minorile1120, di autosfruttamento del lavoratore, tanto più a fronte della
misura dei corrispettivi, oltre che di discriminazioni su base etnica o di
genere1121, facilitate dall’anonimato dell’utente e dall’assenza di meccanismi di
controllo dei feedback reputazionali lasciati dai destinatari del servizio, che
impattano in modo estremamente significativo la posizione del lavoratore, posto
che recensioni negative possono condurre a una diminuzione degli incarichi e
finanche alla disattivazione dell’account, che rappresenta in qualche misura
l’ultima frontiera del licenziamento nell’era digitale1122. Il tutto, poi, senza tacere
la dimensione della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro,
particolarmente sentita, soprattutto con riferimento al mondo dei
1119 Tanto più in aree geografiche, come quelle del continente nordamericano, caratterizzate da
grandi distanze. Non a caso, d’altronde, è da tali realtà che era nata l’esperienza del telelavoro,
come ricordano L. GAETA, P. PASCUCCI (a cura di), Telelavoro e diritto, Giappichelli, Torino,
1998, spec. p. 10 ss, e F. TOFFOLETTO, Nuove tecnologie informatiche e tutela del lavoratore,
Giuffrè, Milano, 2006, spec. p. 58 s.). 1120 V. DE STEFANO, The Rise of the “Just-in-Time Workforce”, cit. p. 498 ss. 1121 G. CENTAMORE, L. RATTI, Oltre il dilemma qualificatorio: potenzialità e limiti del diritto
antidiscriminatorio nella protezione del lavoratore on-demand, paper presentato al convegno
Impresa, lavoro e non lavoro nell’economia digitale, Brescia, 12-13 ottobre 2017. 1122 A. ALOISI, Commoditized workers, cit., p. 664; M.L. BIRGILLITTO, Lavoro e nuova economia,
cit., p. 72. Sul punto infra, § 8.1.
232
ciclofattorini1123, anche a seguito di gravi incidenti balzati all’onore delle
cronache1124.
4. … e “vecchi” schemi contrattuali: le independent contractor clauses
Chi si limitasse a leggere i regolamenti contrattuali predisposti dalle
piattaforme della gig economy penserebbe, a prima vista, che il margine per
l’applicazione del diritto del lavoro (subordinato) sia strettissimo.
Nonostante le differenze, anche profonde, relative all’oggetto della
prestazione1125, in tutti i casi quello tra la piattaforma e il lavoratore è concepito
come un rapporto tra pari e i singoli contratti contengono specifiche independent
contractor clauses. Esse, a volte, si spingono a negare addirittura l’esistenza
stessa di alcun rapporto giuridico tra il lavoratore e la piattaforma, come nel caso
di Uber, che cerca di negare persino di avere un ruolo di intermediario,
qualificandosi come semplice marketplace virtuale: molto esplicitamente i
termini e le condizioni di Uber specificano che il lavoratore (rectius, il
«partner») «accetta e riconosce che una relazione giuridica diretta intercorre
esclusivamente con il cliente»1126. Anche fuori di questi casi, le piattaforme si
premurano comunque di sottolineare la natura autonoma del rapporto di lavoro.
1123 Solo per le co.co.co. la legge prevede a carico del committente l’obbligo di iscrizione all’Inail
(art. 5, d.lgs. 38/2000), assente invece nei contratti di collaborazione occasionale. Eppure,
muoversi in bicicletta è un’attività che presenta alcuni rischi, e se a ciò si aggiunge che i rider si
muovono in contesti urbani caratterizzati da un’elevata densità di traffico e da strade spesso poco
bike-friendly – si pensi al temibile pavé milanese – stupisce che i contratti dedichino
un’attenzione marginale ai profili della sicurezza sul lavoro, al punto da prevedere appena
l’affidamento in comodato di un dispositivo di protezione individuale: il caschetto da ciclista.
Anche sull’onda delle preoccupazioni manifestate da strati della società civile – e, quindi, dalla
platea dei potenziali clienti – alcune piattaforme hanno cominciato ad attivare apposite polizze
assicurative con le principali compagnie assicurative private, che tuttavia prevedono in favore
dei rider infortunati (o, peggio, degli eredi dei rider deceduti in servizio) la corresponsione di
importi di gran lunga inferiori alle indennità previste dall’assicurazione obbligatoria: appena
30.000 Euro in caso di morte (A. MAGNANI, Uber Eats e l’assicurazione ai suoi corrieri: solo
30mila euro in caso di morte, in S24, 15 dicembre 2017). 1124 Si fa riferimento alla tragica vicenda di Massimiliano, ragazzo 28enne che ha ha subito
l'amputazione di una gamba in seguito a un grave incidente avvenuto il 17 maggio 2018 a Milano
(E. TATA, Rider di Just Eat perde la gamba in un incidente, gli scrivevano: “Quando arrivi? Ci
metti troppo”, in milano.fanpage.it, 18 maggio 2018). 1125 A. ALOISI, Commoditized workers, cit., p. 688 ss.; B. WAAS ET AL., Crowdwork – A
Comparative Law Perspective, cit., p. 13 ss. 1126 «The Partner accepts, agrees and acknowledges that a direct legal relationship is created
and assumed solely between the Partner and the Customer», citata in Employment Tribunal,
Central London, 26 ottobre 2016, Caso n. 2202551/2015, Aslam, Farrar et al. vs. Uber et al., da
noi in DRI, 2017, n. 2, p. 575, con nota di D. CABRELLI, Uber e il concetto giuridico di “worker”:
la prospettiva britannica (testo integrale reperibile in https://www.judiciary.uk/wp-
content/uploads/2016/10/aslam-and-farrar-v-uber-reasons-20161028.pdf), § 33). Non a caso, lo
spin off di Uber in Italia, Uber Eats, non sottoscrive alcun contratto con i propri fattorini,
233
E così, rimanendo nell’esperienza della contrattualistica anglosassone, i
termini e le condizioni di Amazon Mechanical Turk evidenziano che «il
contratto non crea nessun […] rapporto di lavoro tra i prestatori e i clienti, o tra
i prestatori e AMT»1127, mentre il Supplier Agreement di Deliveroo si rivolge
direttamente al lavoratore, cui rivolge un vero e proprio memento: «sei un
fornitore indipendente e come tale riconosci di non essere né un lavoratore
subordinato né un lavoratore dipendente ai sensi di qualsivoglia legislazione del
lavoro»1128.
Anche in Italia, nonostante le diverse piattaforme del settore della food
delivery ricorrano a schemi contrattuali e organizzativi sorprendentemente
diversi tra loro1129, i contratti convergono nel sancire la natura autonoma del
rapporto di lavoro, con clausole modellate sulla falsariga delle independent
contractor clauses della gig-economy anglosassone.
Emblematico il contratto Foodora, che prevede che il rider «agirà in piena
autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere
gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi
genere»1130. Il contratto Deliveroo, poi, presenta anche una independent
ricorrendo allo schema – o, se si preferisce, alla fictio – per cui essi stipulerebbero ad ogni
consegna singoli contratti di lavoro autonomo occasionale con i relativi clienti. 1127 «This Agreement does not create an […] employer/employee relationship between Providers
and requesters, or Providers and AMT» (AMT Participation Agreement, § 3.d, reperibile in
https://www.mturk.com/mturk/conditionsofuse). 1128 «You are a self-employed supplier and therefore acknowledge that you are neither an
employee of Deliveroo, nor a worker within the meaning of any employment rights legislation»
(Deliveroo Supplier Agreement, § 2.1, reperibile in
http://www.parliament.uk/documents/commons-committees/work-and-
pensions/Written_Evidence/Deliveroo-scooter-contract.pdf. 1129 Sono essenzialmente due le forme contrattuali utilizzate dalle piattaforme italiane: la
collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409, n. 3, c.p.c. (Foodora, JustEat) e la
collaborazione occasionale c.d. ritenuta d’acconto (sottoscritta direttamente con il lavoratore da
Deliveroo e Glovo e presente anche nel modello di UberEats e Foodracers, dove tuttavia il
committente si identificherebbe, rispettivamente, nel ristorante e nel cliente finale). Le differenze
tra i due schemi riguardano prevalentemente il piano fiscale, previdenziale e assicurativo: per le
collaborazioni coordinate e continuative è prevista (art. 2, commi 26 e ss., l. 335/1995)
l’iscrizione alla gestione separata Inps; per le collaborazioni occasionali di lavoro autonomo,
invece, ai sensi dell’art. 44, c. 2, d.l. 269/03, l’obbligo di iscrizione alla gestione separata scatta
solo qualora il reddito annuo derivante da tali attività sia superiore ai 5.000 Euro, sicché sotto
quella soglia la contribuzione non è dovuta ma il committente, quale sostituto d’imposta, effettua
una trattenuta del 20%, a titolo di acconto Irpef. Inoltre, solo per i contratti di co.co.co. la legge
prevede a carico del committente l’obbligo di iscrizione all’Inail (art. 5, d.lgs. 38/2000), sicché
solo le piattaforme che utilizzano tale forma contrattuale ne fanno menzione, assente invece nei
contratti di collaborazione occasionale. Sul punto, se vuoi, G. CAVALLINI, Foodora, Delivero &
Co., cit. 1130 Art. 1 Contratto Foodora (marzo 2016). In termini equivalenti e la premessa d) e l’art. i) del
Contratto Glovo (febbraio 2017), nonché la premessa 3 e l’art. 3.1. del contratto Deliveroo
(marzo 2017).
234
contractor clause “rafforzata”, in quanto eleva la volontà di costituire un
rapporto di natura autonoma a «elemento determinante del consenso»1131.
Memori degli orientamenti della giurisprudenza in tema di pony express1132,
evocata in dottrina nel pieno del caso Foodora1133, alcuni contratti tengono poi a
sottolineare che il collaboratore «sarà libero di candidarsi o non candidarsi per
una specifica corsa»1134, e che il prestatore «resta libero di determinare luoghi e
tempi della propria disponibilità»1135.
Più in generale, anche al di là delle clausole contrattuali, le piattaforme sono
estremamente attente al linguaggio. Nell’aprile del 2017 il Guardian ha
divulgato un protocollo interno di Deliveroo destinato ai manager della
piattaforma, contenente una black list di termini e espressioni da non utilizzare
nei rapporti con il personale, nella curiosa forma del “dos and don’ts” (ad
esempio, non dire «working for Deliveroo», bensì «working with Deliveroo»)1136
Tali “giochi di parole”, peraltro, non sembrerebbero avere raccolto
particolare credito da parte della giurisprudenza straniera, propensa a ravvisarvi
«fictions, twisted language and even brand new terminology [that] merits, we
think, a degree of scepticism»1137, né dalla dottrina, propensa a rilevarne il
carattere spesso inconsistente1138.
Che le piattaforme siano ben consapevoli di trovarsi in una situazione
border-line, d’altronde, lo si evince dalle stesse clausole che predispongono nei
confronti della clientela, che viene avvertita che «benché i prestatori abbiano
convenuto di svolgere i servizi in qualità di fornitori indipendenti e non di
lavoratori subordinati, la prestazione di servizi reiterata e frequente da parte dello
stesso prestatore potrebbe portare alla riqualificazione del rapporto»1139,
declinando in tal caso ogni responsabilità1140.
1131 Art. 8.1. Contratto Deliveroo (marzo 2017). 1132 Infra, § 7.4. 1133 P. ICHINO, Sulla questione dei fattorini di Foodora, in pietroichino.it, 20 ottobre 2016. 1134 Art. 1 Contratto Foodora (marzo 2016); in tal senso anche l’art. c) Contratto Glovo (febbraio
2017). 1135 Premessa 3 Contratto JustEat (giugno 2017). 1136 S. BUTLER, Deliveroo accused of 'creating vocabulary' to avoid calling couriers employees,
in theguardian.com, 5 aprile 2017 1137 Employment Tribunal, Central London, 26 ottobre 2016, cit., § 87. 1138 V. DE STEFANO, The Rise of the “Just-in-Time Workforce”, cit., p. 485. 1139 «While Providers are agreeing to perform Services for you as independent contractors and
not employees, repeated and frequent performance of Services by the same Provider on your
behalf could result in reclassification of that employment status» (AMT Participation
Agreement, § 3, non più reperibile sul sito della piattaforma ma citato inter alia in V. DE
STEFANO, The Rise of the “Just-in-Time Workforce”, cit., p. 487) 1140 Taskrabbit Terms of Service, § 12, reperibile in https://www.taskrabbit.com/terms.
235
5. La gig economy nella prima giurisprudenza d’oltreoceano e
d’oltremanica
Che nel bene e nel male la natura subordinata del rapporto rappresenti
storicamente nel nostro ordinamento, come in molti altri1141, la porta d’accesso
alle garanzie proprie del diritto del lavoro, o, se si preferisce, allo «statuto
protettivo» del lavoro subordinato, è un fatto noto1142, sul quale peraltro abbiamo
già avuto modo di soffermarci in precedenza, così come abbiamo già avuto modo
di ribadire che secondo l’insegnamento della giurisprudenza costituzionale non
è consentito qualificare come autonomo un rapporto che presenti contenuto e
modalità di esecuzione propri del rapporto di lavoro subordinato1143.
Non stupirà quindi che la presenza delle independent contractor clauses non
abbia scoraggiato molti lavoratori ad agire avanti alle più svariate giurisdizioni
– dall’America all’Asia – per l’accertamento della natura subordinata del
rapporto1144.
5.1. «Square pegs into round holes». Genesi e sviluppi del contenzioso
negli Stati Uniti
Il compito non era, e non è. affatto agevole, posto che come rilevato da una
delle prime pronunce d’oltreoceano circa lo status dei lavoratori della gig
economy, essi «a prima vista, non sembrano granché lavoratori subordinati […]
ma neppure lavoratori autonomi»1145, avvertendo che tentare di ricondurli
1141 A. PERULLI, Economically dependent / quasi-subordinate (parasubordinate) employment:
legal, social and economic aspects, European Commission, Bruxelles, 2003, spec. p. 6 s. 1142 Nel senso che la subordinazione è l’elemento «che riconduce, non a tutti i lavori, ma a certi
lavori, un ordinamento garantistico, un insieme di normative protettive», tradizionalmente, M.
D’ANTONA, La subordinazione e oltre. Una teoria giuridica per il lavoro che cambia, in M.
PEDRAZZOLI (a cura di), Lavoro subordinato e dintorni. Comparazioni e prospettive, Il Mulino,
Bologna, 1989, p. 44. Nello stesso senso, per cui essa rappresenta il «gate keeper delle normative
protettive di diritto del lavoro», M. PEDRAZZOLI, La parabola della subordinazione: dal
contratto allo status. L. Barassi e il suo dopo, in M. NAPOLI (a cura di), La nascita del diritto del
lavoro. «Il contratto di lavoro» di Lodovico Barassi cent’anni dopo. Novità, influssi, distanze,
Vita e pensiero, Milano, 2003, p. 379. 1143 Corte cost. 29 marzo 1993, n. 121, tra l’altro in Foro it., 1993, I, c. 2432, e Corte cost. 31
marzo 1994, n. 115, tra l’altro in RIDL, 1995, II, p. 227, con nota di A. AVIO, La subordinazione
ex lege non è costituzionale, secondo cui, rispettivamente, «non sarebbe comunque consentito al
legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che
oggettivamente abbiano tale natura» e «a maggior ragione non sarebbe consentito al legislatore
di autorizzare le parti ad escludere direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione
contrattuale, l'applicabilità della disciplina inderogabile». 1144 Per una panoramica sintetica del quadro internazionale V. CAGNIN, Gig-economy e la
questione qualificatoria dei gig-workers: uno sguardo oltre confine, in A. PERULLI (a cura di),
Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, cit., p. 31 ss. 1145 U.S. District Court, Northern District of California, 3 marzo 2015, caso n. 13-cv-04065-VC,
Order Denying Cross-Motions For Summary Judgment, Cotter et al. vs. Lyft (reperibile in
http://adapt.it/adapt-indice-a-z/wp-content/uploads/2015/06/Cotter_Lyft.pdf), p. 1, che nel
236
univocamente all’una o all’altra delle tradizionali categorie del diritto del lavoro
è un po’ come «cercare di incastrare una forma quadrata in due fori rotondi»1146,
dal momento che l’utilizzo dei test tradizionali, in riferimento ai modelli
organizzativi della platform economy «crea notevoli sfide»1147.
Le difficoltà nel raggiungere una chiara conclusione circa lo status dei
platform workers ha dato luogo, negli Stati Uniti, a un significativo
contenzioso1148, facilitato dalle potenzialità insite nelle regole in materia di class
action previste in tale ordinamento1149, che a un certo punto è parso persino
minare le stesse fondamenta del modello di business adottato dalle
piattaforme1150.
Se si è appena dato conto dell’approccio dubitativo seguito da una parte dei
giudici statunitensi, il Labor Commissioner è stato più netto, riconoscendo la
sussistenza di una employment relationship tra Uber e i suoi autisti, valorizzando
la predisposizione unilaterale delle condizioni contrattuali ad opera della
piattaforma, e la titolarità in capo a quest’ultima della app, che consente un
controllo puntuale e pervasivo della prestazione, anche attraverso il sistema
reputazionale che demanda agli utenti la valutazione della corsa mediante
l’assegnazione di un certo numero di “stelle” 1151.
negare la sussistenza delle condizioni per un summary judgement ha rilevato come «a reasonable
jury could conclude that the plaintiff Lyft drivers were employees. But […] a reasonable jury
could also conclude that they were independent contractors». 1146 Ivi, p. 19. 1147 U.S. District Court, Northern District of California, 3 novembre 2015, Order Denying
Defendant Uber Technologies, Inc.’S Motion For Summary Judgment, O’Connor et al. vs. Uber
Technologies Inc. et al., caso n. 3:13-cv-03826-EMC (reperibile in
https://www.cand.uscourts.gov/EMC/OConnorvUberTechnologies), p. 27. 1148 Per una panoramica, M. CHERRY, Beyond Misclassification: The Digital Transformation of
Work, in CLL&PJ, 2016, vol. 37, n. 3, p. 577 ss.; W. B. LIEBMAN, A. LYUBARSKY,
Crowdworkers, the Law and the Future of Work: the U.S., in B. WAAS ET AL., Crowdwork – A
Comparative Law Perspective, cit., p. 51 ss. Da ultimo, J.W. MCHUGH, Looking through the
(Mis)Classifieds, cit., p. 658 ss.; S.D. HARRIS, Workers, Protections, and Benefits in the U.S. Gig
Economy, di prossima pubblicazione in Global Law Review, 2018. Per un’analisi del dibattito
nordamericano da una prospettiva italiana, T. TREU, Rimedi, tutele e fattispecie: riflessioni a
partire dai lavori della Gig economy, in LD, 2017, n. 3-4, p. 367 ss. 1149 Sulla homepage del sito appositamente creato www.lyftdriverlawsuit.com campeggia l’invito
ad aderire alla relativa class action: «if you used the Lyft smartphone application to give rides to
passengers in California between May 25, 2012, and July 1, 2016, you could get a payment from
a class action settlement». 1150 S. KESSLER, The Gig Economy Won’t Last Because It’s Being Sued to Death, in
fastcompany.com, 17 maggio 2015; C. DEAMICIS, Homejoy Shuts Down After Battling Worker
Classification Lawsuits, in recode.net, 17 luglio 2015. 1151 California Labor Commissioner 10 March 2015, caso n. 11-46739, Berwick vs. Uber
Technologies Inc. et al. Uber ha impugnato la decisione avanti la Superior Court of California
di San Francisco (caso n. 15-546378, pendente dal 16 giugno 2015). La decisione del Labor
Commissioner è reperibile in
https://digitalcommons.law.scu.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1988&context=historical.
237
Nonostante l’ampio risalto ricevuto dal contenzioso statunitense, dal
momento che diverse piattaforme hanno accettato di scendere a compromessi,
addivenendo a settlement milionari1152, nell’ambito dei quali sono stati previsti
anche miglioramenti delle condizioni normative, con particolare riferimento alla
predisposizione di alcune elementari garanzie procedurali in caso di
“disattivazione”1153, e altre hanno persino alzato “bandiera bianca”, risolvendosi
a “regolarizzare” le posizioni dei lavoratori che intendessero operare come
employees1154, anche per ottenere alcuni vantaggi di tipo organizzativo1155, la
questione relativa allo status dei lavoratori della gig economy resta ancora
aperta1156.
Pare, tuttavia, che da ultimo, nell’ambito di una generale evoluzione
giurisprudenziale nel senso della svalutazione del control test1157 in favore del
criterio imperniato sull’integrazione della prestazione nell’usual business della
controparte (c.d. ABC1158), esplicitamente sposato in alcuni recenti arresti delle
Corti superiori1159, l’ago della bilancia verrebbe a pendere maggiormente verso
la sussistenza di una employment relationship1160, mentre sullo sfondo si registra
l’attivismo dei legislatori locali1161.
1152 M. ISAAC, N. SCHEIBER, Uber Settles Cases With Concessions, but Drivers Stay Freelancers,
in nytimes.com, 21 aprile 2016. 1153 M. CHERRY, Beyond Misclassification: The Digital Transformation of Work, cit., p. 583 s. 1154 D. ALBA, Instacart Shoppers Can Now Choose to be Real Employees, in wired.com, 22
giugno 2015, riportando le parole del CEO della piattaforma Instacart che aveva avviato
l’operazione di conversione dei contratti per consentire di impartire specifici corsi di formazione
ai lavoratori. 1155 Lo sottolinea NELP, Employers in the On-Demand Economy. Why Treating Workers as
Employees is Good for Business, in nelp.org, marzo 2016. 1156 M. CHERRY, Beyond Misclassification: The Digital Transformation of Work, cit., p. 583, che
osserva, in riferimento al settlement raggiunto nel procedimento O’Connor vs. Uber case, che
tale esito risulta «disappointing for those who saw this as a case that would most likely set a
precedent». 1157 Il c.d. Borello test è stato tuttavia recentemente riaffermato da U.S. District Court, Northern
District of California, 8 febbraio 2018, caso n. 3:15-cv-05128-JSC (reperibile in
https://www.courthousenews.com/wp-content/uploads/2018/02/grubhub-ruling.pdf), che ha
rigettato la domanda di un fattorino della piattaforma GrubHub, sulla base del rilievo che nei
quattro mesi di attività la piattaforma non aveva esercitato pressoché alcun controllo sulle
modalità di esecuzione della prestazione. 1158 A. DEKNATEL, L. HOFF-DOWNING, ABC on the Books and in the Courts: An Analysis of
Recent
Independent Contractor and Misclassification Statutes, in University of Pennsylvania Journal of
Law and Social Change, 2015, Vol. 18, n. 2, p. 53 ss.; J.A. PEARCE II, J.P. SILVA, The Future of
Independent Contractors and Their Status as Non-Employees: Moving on from a Common Law
Standard, di prossima pubblicazione in Hastings Business Law Journal, 2018, vol 14. n. 14. 1159 In tal senso Supreme Court of California 30 aprile 2018, n. S222732, Dynamex Operations
West, Inc. v. Superior Court of Los Angeles County, reperibile in
https://scocal.stanford.edu/opinion/dynamex-operations-west-inc-v-superior-court-34584. 1160 Lo rileva N. SCHEIBER, Gig Economy Business Model Dealt a Blow in California Ruling, in
nytimes.com, 30 aprile 2018. 1161 Infra, § 9.
238
5.2. Il ricorso al tertium genus nella giurisprudenza britannica: gli
autisti di Uber come workers
A conclusioni ben più nette era pervenuto, nell’ottobre del 2016,
l’Employment Tribunal di Londra1162, nella decisione, ormai celebre1163, relativa
allo status dei driver di Uber attivi nella capitale britannica. Con ampia
motivazione – ricca di richiami a precedenti di common law, ma anche ad opere
letterarie e artistiche – recentemente confermata dalla Corte d’Appello1164. il
Giudice londinese ha stabilito in modo inequivoco che il livello di controllo
esercitato da Uber sui driver è tale da smentire la contractual label di
independent contractors – o, nel lessico predisposto da Uber, di partners –
dovendosi qualificare gli stessi, per il tempo in cui sono a disposizione della
piattaforme (vale a dire, in cui sono loggati all’applicazione e in attesa di ordini),
come workers, ai sensi della sezione 230 (3) (b) dell’Employment Rights Act del
1996, con conseguente accesso a importanti garanzie lavoristiche come il
minimum wage, il riposo settimanale e le ferie retribuite.
Deve essere precisato che quella di worker è una nozione intermedia tra
quella di employee e quella di independent contractor. Si tratta di una nozione
di fonte legislativa, introdotta per mitigare il rigore degli empolyment test
sviluppati dalla common law, che comprende i lavoratori che prestano la propria
attività in modo esclusivamente personale in favore di una parte terza che non
corrisponde al cliente o beneficiario della prestazione. In particolare, per
accertare lo status di worker la giurisprudenza britannica verifica il livello di
integrazione dell’attività lavorativa con quella del committente, per valutare se
si tratta di attività integrate nel ciclo produttivo di quest’ultimo ovvero di
operazioni commerciali indipendenti1165.
Analizzando il funzionamento della piattaforma, entrambi i gradi di merito
della giustizia britannica hanno ravvisato la discrepanza tra i Partner Terms e le
concrete modalità di esecuzione del rapporto di lavoro dei driver londinesi,
rilevando, in particolare, che una volta che i driver hanno effettuato l’accesso
1162 Employment Tribunal, Central London, 26 ottobre 2016, cit. 1163 Tra i primi commentatori, I. LLOYD, Uber Drivers in London: “To Be Or Not To Be” an
Employee?”, in Computer Law Review International, 2016, n. 6, p. 161 ss.; G. DAVIDOV, The
Status of Uber Drivers: A Purposive Approach, cit., p. 6 ss. 1164 Employment Appeal Tribunal, England and Wales, 10 novembre 2017, Case n.
UKEAT/0056/17/DA, Uber et al vs. Aslam, Farrar et al., da noi in RIDL, 2018, n. 1, II, p. 46
ss., con nota di A. DONINI, La libertà del lavoro sulle piattaforme digitali. 1165 Sul punto, con specifico riferimento al ricorso alla figura ai fini della qualificazione dei
rapporti di lavoro nella gig economy, e non solo in riferimento al caso Uber, J. PRASSL, Pimlico
Plumbers, Uber Drivers, Cycle Couriers, and Court Translators: Who is a Worker?, in Oxford
Legal Studies Research Paper No. 25/2017; J. KENNER, “Uber drivers are workers” – the
expanding scope of the ‘worker’ concept into the ‘gig economy’ in the United Kingdom, di
prossima pubblicazione in I. FLORCZAK, M. OTTO, J. KENNER (eds.), Precarious Work. The
Challenge for Labour Law in Europe, Edward Elgar, 2018.
239
alla app e si sono resi disponibili a effettuare le corse, essi si trovano di fatto
vincolati ad accettare almeno l’80% delle corse offerte per non incorrere nella
disattivazione temporanea dell’account, la quale viene peraltro espressamente
indicata come penalty1166.
Nella parte centrale delle motivazioni, poi, vengono rilevate una lunga serie
di circostanze che depongono contro il nomen iuris di lavoratori autonomi1167,
che denotano come nell’adottare un approccio particolarmente antiformalistico,
il giudice londinese ha fatto propria la prospettiva elaborata da chi aveva
suggerito di determinare l’applicazione delle garanzie del diritto del lavoro in
una logica di selettività delle tutele secondo le rispettive esigenze, ipotizzandone
anche la non necessaria concomitanza1168, nonché quella di chi ha proposto di
selezionarle sulla base di un approccio funzionale ai poteri del datore di
lavoro1169, anziché ricorrere alla figura (o, se si preferisce, al tipo) del lavoratore
subordinato, affinando poi tale metodo con specifico riferimento al lavoro
tramite piattaforma1170.
È tuttavia opportuno precisare che la dopo la “vittoria” dei driver di Uber,
altri lavoratori della gig economy londinese, peraltro in condizioni di maggiore
debolezza – non foss’altro che perché muniti di sola bicicletta, oltre che pagati
meno – si sono visti rifiutare lo status di workers, in virtù della possibilità di
farsi sostituire prevista dal modello organizzativo di Deliveroo1171. Ciò, peraltro,
quasi a suffragare la posizione di chi aveva rilevato che la prospettiva del tertium
1166 Employment Tribunal, Central London, 26 ottobre 2016, cit., § 52; Employment Appeal
Tribunal, England and Wales, 10 novembre 2017, cit., § 121. 1167 Quali «il fatto che Uber organizza colloqui e ingaggia i fattorini; il fatto che Uber controlla
le informazioni chiave (in particolare, i dettagli del passeggero e dell’itinerario) e non le
condivide con il driver; il fatto che Uber richiede ai driver di accettare le corse e/o di non
cancellarle e fa rispettare tali richieste disattivando i driver che non le rispettano; il fatto che
Uber determina l’itinerario e che il driver se ne può discostare a proprio rischio; il fatto che Uber
determina la tariffa e il driver non può pattuire una tariffa maggiore con il passeggero; il fatto
che Uber impone numerose condizioni di servizio ai driver, li istruisce sulle modalità lavorative
e controlla l’esecuzione della prestazione» (Employment Tribunal, Central London, 26 ottobre
2016, cit., § 92; Employment Appeal Tribunal, England and Wales, 10 novembre 2017, cit.,
punto 70, traduzione di chi scrive). 1168. G. DAVIDOV, A Purposive Approach To Labour Law, Oxford University Press, Oxford,
2016. 1169 J. PRASSL, The Concept of the Employer, Oxford, Oxford University Press, 2015, spec. p. 34
ss. 1170 J. PRASSL, M. RISAK, Uber, Taskrabbit, and Co., cit., spec. p. 636 ss., dove tale functional
approach viene applicato a Uber, che emerge come un «sole employer» e a Taskrabbit, nel quale
invece le principali prerogative datoriali vengono condivise tra la piattaforma e i clienti, secondo
lo schema del joint employment. 1171 S. BUTLER, Deliveroo wins right not to give riders minimum wage or holiday pay, in
theguardian.com, 14 novembre 2017. A seguito del riconoscimento dell’ammissibilità
dell’impugnazione, tuttavia, la piattaforma è scesa a compromessi con I lavoratori, con I quali è
addivenuta a un settlement dai contenuti riservati (EAD., Deliveroo couriers win six-figure
payout in employment rights case, ivi, 28 giugno 2018).
240
genus, altrove proposta – in una prospettiva de iure condendo – come strumento
di «modernizzazione» del diritto del lavoro e di superamento della sua logica
binaria1172, non può essere considerata di per sé stessa come una sorta di
panacea1173, provocando anzi il rischio di creare ulteriori incertezze
applicative1174.
5.3. Il contenzioso in altre giurisdizioni extraeuropee. Cenni
Ancor prima che della questione della qualificazione dei rapporti di lavoro
nella gig economy avesse ad occuparsi la giurisprudenza europea – che, come
vedremo nel paragrafo precedente, si è inizialmente concentrata principalmente
sui profili di diritto antitrust – il contenzioso in materia aveva raggiunto le
giurisdizioni più imprevedibili, con esiti alterni e non senza sfaccettature.
In Brasile, diversi giudici di prima istanza hanno riconosciuto la sussistenza
di un vero e proprio vínculo de emprego tra Uber e i suoi autisti, alla luce delle
concrete modalità di esecuzione della prestazione1175. I giudici superiori,
tuttavia, investiti del gravame, non hanno sposato tale ricostruzione, ritenendo
che le istruzioni rivolte al driver non potessero considerarsi tali da configurare
un effettivo potere di controllo in capo alla piattaforma1176, secondo una linea
interpretativa che parrebbe in via di consolidamento1177.
In Cina, dove la piattaforma Didi Chuxing ha rilevato i servizi di Uber
nell’agosto del 2016, sebbene la giurisprudenza si sia mostrata poco propensa a
riqualificare i rapporti di lavoro degli autisti, è comunque giunta a configurare
1172 S.D. HARRIS, A.B. KRUEGER, A Proposal for Modernizing Labor Laws for Twenty-First-
Century Work: The "Independent Worker", The Hamilton Project Discussion Paper 2015-10,
December 2015. 1173 V. DE STEFANO, The Rise of the “Just-in-Time Workforce”, cit., p. 497; M. CHERRY, A.
ALOISI, “Dependent Contractors” in the Gig Economy. A Comparative Approach, in American
University Law Review, 2017, vol. 66, p. 688. 1174 E. MENEGATTI, A Fair Wage for Workers On-demand via App, in E. ALES ET AL. (Eds.),
Working in Digital and Smart Organizations, cit., p. 78. 1175 33° Vara do Trabalho do Belo Horizonte, 13 febbraio 2017, in RIDL. 2017, n. 3, II, p. 560,
con nota di G. PACELLA, Lavoro e piattaforme, cit., nonché in DRI, 2018, n. 2, p. 705, con nota
di A. INGRAO, Uberlabour, cit. (testo integrale reperibile in
https://d2f17dr7ourrh3.cloudfront.net/wp-content/uploads/2017/02/uber-sentenc3a7a.pdf); 13°
Vara do Trabalho de São Paulo, 20 aprile 2017, reperibile in
https://d2f17dr7ourrh3.cloudfront.net/wp-content/uploads/2017/04/Sentenc%CC%A7a-
Uber.SP-V%C3%ADnculo.pdf. 1176 Tribunal Regional do Trabalho da 3° Região, 23 maggio 2017, anch’essa in DRI, 2018, n. 2,
p. 705, con nota di A. INGRAO, Uberlabour, cit. (testo integrale reperibile in
https://d2f17dr7ourrh3.cloudfront.net/wp-
content/uploads/2017/05/Aco%CC%81rda%CC%83o-RO-Uber-x-Rodrigo-Leonardo-Silva-
Ferreira-proc.-0011359-34.2016.5.03.0112-2.pdf). 1177 C. TOZETTO, Justiça de São Paulo nega vínculo empregatício a motorista do Uber, in
link.estadao.com.br, 6 giugno 2017, in riferimento alla quinta decisione brasiliana favorevole a
Uber.
241
un certo margine di responsabilità in capo alla piattaforma, accogliendo richieste
risarcitorie formulate nei suoi confronti da parte di terzi danneggiati nell’ambito
di incidenti stradali occorsi a causa di condotte negligenti dei suoi autisti1178.
Ciò, peraltro, a riprova del fatto che la riqualificazione del rapporto non
rappresenta l’unica alternativa rispetto alla completa deresponsabilizzazione di
una piattaforma come Uber, che non può quindi “spacciarsi” per un mero
intermediario, o marketplace virtuale, a prescindere dalla natura giuridica dei
rapporti di lavoro intercorrenti con i driver, come d’altronde è stato
espressamente affermato dalla Corte di Giustizia, all’esito di quel nutrito
contenzioso di diritto concorrenziale che Uber ha dovuto affrontare un Europa
continentale, dove i principali avversari della piattaforma non sono certo stati gli
autisti, ma i tassisti muniti di licenza.
6. Il contenzioso in Europa continentale e a livello eurounitario:
l’originaria prospettiva di competition law
In Europa continentale, il contenzioso relativo all’emersione dell’economia
delle piattaforma è insorto inizialmente, e di prepotenza, in materia di diritto
della concorrenza1179, con le azioni, legali e di protesta, intraprese contro Uber
dai tassisti muniti di regolare licenza1180.
Il primo obiettivo di tali azioni era il servizio Uber-pop, che avrebbe
consentito a qualsiasi privato cittadino munito di un autoveicolo di improvvisarsi
tassista, e che è stato prontamente bloccato dalla giustizia1181, non solo in
Italia1182, sulla base del rilievo che il ruolo di intermediazione svolto dalla
piattaforma, lungi dall’esaurirsi nella messa in contatto di autisti e passeggeri,
era piuttosto «volto ad organizzare e stimolare la presenza di autisti abusivi sulla
piazza e a trarre da detta attività dei proventi» e risulta certamente
indissolubilmente connesso all’attività dei singoli autisti che con il loro
1178 M. ZOU, The Regulatory Challenges of ‘Uberization’ in China, cit., p. 269 ss., ove riferimenti
alla giurisprudenza cinese. 1179 Cfr. V. HATZOPOULOS, S. ROMA, Caring for Sharing? The Collaborative Economy under
EU Law, in Common Market Law Review, 2017, vol. 54, p. 81 ss.; N. DUNNE, Competition Law
(and its Limits) in the Sharing Economy’, in N. DAVIDSON, M. FINCK, J. INFRANCA (eds.),
Cambridge Handobook on Law and Regulation of the Sharing Economy, cit. 1180 Per una panoramica sul contenzioso in Europa, N. RAMPAZZO, Rifkin e Uber. Dall'età
dell'accesso all'economia dell'eccesso, in Diritto dell'informazione e dell'Informatica, 2015, p.
957 ss. 1181 Trib. Milano 25 maggio 2015, confermato da Trib. Milano 2 luglio 2015, entrambe in Diritto
dell’informazione e dell’informatica, 2015, n. 6, rispettivamente a p. 1053 e 1068. In seguito,
Trib. Torino 24 marzo 2017, in in Foro it., 2017, I, c. 2082, con osservazioni di M. CAPUTI (c.
2139 ss.), ove ulteriori riferimenti giurisprudenziali. 1182 Nei Paesi Bassi il servizio Uber Pop è stato bloccato dal College van Beroep voor het
bedrijfsleven 8 dicembre 2014, caso n. AWB 14/726, reperibile in
https://uitspraken.rechtspraak.nl/inziendocument?id=ECLI:NL:CBB:2014:450.
242
comportamento violano la normativa di legge che regola il servizio di taxi e ne
sfrutta, ampliandole esponenzialmente, le capacità di alterazione del mercato
soggetto a regolamentazione»1183. Un rilievo, peraltro, che era stato d’altronde
già espresso dalla giurisprudenza lavoristica d’oltreoceano, che aveva
sottolineato che «Uber does not simply sell software; it sells rides»1184.
In seguito, è stata la legittimità del servizio Uberblack (svolto in Italia da
autisti muniti di licenza NCC) a venire posta in dubbio da una parte della
giurisprudenza, che – sulla base della considerazione che il titolare di licenza
NCC non può stazionare sulla pubblica via ma può raccogliere le chiamate solo
una volta rientrato al deposito – era arrivata a ordinare il blocco integrale della
attività di Uber1185, con una decisione che è stata tuttavia prontamente riformata
in sede di reclamo1186.
La questione relativa alla compatibilità del modello Uber con le discipline
che sottopongono lo svolgimento di attività di trasporto pubblico a speciali
regimi autorizzativi – e, in seconda battuta, della compatibilità di queste ultime
con il diritto eurounitario della concorrenza – è stata rimessa da non pochi giudici
europei al giudice di Lussemburgo, con varie richieste di decisioni pregiudiziali
emesse tra il 2015 e il 20161187.
Sin dalla prima decisione1188, la Corte non ha dubitato che un servizio di
intermediazione «avente ad oggetto la messa in contatto mediante
un’applicazione per smartphone, dietro retribuzione, di conducenti non
professionisti, che utilizzano il proprio veicolo, con persone che desiderano
effettuare uno spostamento nell’area urbana», è «indissolubilmente legato a un
1183 Trib. Milano 2 luglio 2015, cit. Nello stesso senso, College van Beroep voor het bedrijfsleven
8 dicembre 2014, cit., secondo cui Uber partecipa della violazione commessa dagli autisti dal
momento che «collabora strettamente» con gli stessi. 1184 California Northern District Court 3 November 2015, O’Connor et al. vs. Uber Technologies
Inc. et al., cit., p. 10. 1185 Trib. Roma 7 aprile 2017, in Foro it., 2017, I, c. 2082, con osservazioni di M. CAPUTI (c.
2139 ss.), la quale, in accoglimento del ricorso cautelare d’urgenza promosso da una serie di
sigle di tassisti, ha inibito alle società del gruppo Uber di porre in essere il servizio di trasporto
pubblico non di linea con l’uso della app Uber Black. 1186 Trib. Roma 25 maggio 2017, pubblicata e annotata insieme alla pronuncia citata alla nota
precedente. Sul contenzioso promosso dai tassisti contro Uber, da ultimo, P. TULLIO, In tema di
concorrenza sleale tra Uber e le cooperative di Radiotaxi, in Dir. trasp., 2017, n. 3, p. 917 ss. 1187 Vedi le richieste di pronuncia pregiudiziale di cui ai procedimenti C-434/15, Asociación
Profesional Elite Taxi vs. Uber Systems Spain, S.L., rimessa dal Juzgado Mercantil di Barcellona;
C-526/15, Uber Belgium BVBA vs. Taxi Radio Bruxellois NV, rimessa dal Nederlandstalige
rechtbank van koophandel di Bruxelles; C-320/16, Uber France SAS, rimessa dal Tribunal de
grand instance di Lille. 1188 CGUE 20 dicembre 2017, C-434/15, Asociación Profesional Elite Taxi vs. Uber Systems
Spain, S.L. tra l’altro in Revue des affaires européennes, 2017, p.757 s., con nota di C. CARTA,
Uber face à la compétition économique et au respect des règles de droit.
243
servizio di trasporto»1189 e rientra, pertanto, nella definizione di “servizi nel
settore dei trasporti” ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, con relativa
esclusione dall’ambito di applicazione dell’articolo 56 TFUE, della direttiva
2006/123 e della direttiva 2000/311190. Pertanto, come la Corte ha avuto modo
di ribadire poco tempo dopo, gli Stati Membri sono liberi di vietare lo
svolgimento di una tale attività in difetto delle necessarie licenze richieste dalla
legge nazionale, e di porre a presidio di tale divieto le sanzioni che ritengano più
opportune, ivi incluse quelle di carattere penale1191.
Viene così confermato quanto era stato già evidenziato dalla dottrina
lavoristica – che alla vicenda Uber aveva dedicato una particolare attenzione
anche prima che ne emergessero i profili di diritto del lavoro1192 – circa il fatto
che quand’anche si possa attribuire alla piattaforma un ruolo di intermediazione,
si tratta di un intermediario oltremodo «ingombrante»1193.
Tuttavia, sebbene una parte significativa della dottrina abbia voluto ricavare
dalle considerazioni della giurisprudenza antitrust conseguenze in ordine alla
natura necessariamente subordinata del rapporto di lavoro dei driver di Uber1194,
la Corte non ha espresso alcuna posizione sul punto. Anzi, le conclusioni
presentate dall’Avvocato Generale Szpunar, cui la Corte ha aderito
integralmente, si sono premurate di precisare che la conclusione per cui Uber
costituisce un’impresa di trasporto, e non di intermediazione, «non significa però
che i conducenti di Uber debbano essere necessariamente considerati come suoi
dipendenti», posto che Uber «può perfettamente erogare le sue prestazioni
1189 E non rientra quindi nella nozione di ««servizio della società dell’informazione», come
sostenuto da Uber. 1190 Sull’impatto della decisione, tra i primi commentatori, G. SMORTO, Caso Uber, l’impatto su
tutta la sharing economy, in ilsole24ore.com, 15 maggio 2017. Per un commento alla decisione
della Corte, e un raffronto con la giurisprudenza statunitense ed europea, L. BELVISO, Il caso
Uber negli Stati Uniti e in Europa fra mercato, tecnologia e diritto. Obsolescenza regolatoria e
ruolo delle Corti, in Riv. dir. media, 2018, n. 1, p. 1 ss. 1191 CGUE 10 aprile 2018, C-320/16, Uber France SAS. 1192 A. DONINI, Regole della concorrenza e attività di lavoro nella on demand economy: brevi
riflessioni sulla vicenda Uber, in RIDL, 2016, n. 1, I, p. 46 ss., in commento alle citate pronunce
del Tribunale delle imprese di Milano; E. DAGNINO, Uber law: prospettive giuslavoristiche sulla
sharing/on demand economy, in DRI, 2016, p. 137 ss. Da ultimo V. BRINO, Il caso Uber, tra
diritto del lavoro e diritto della concorrenza, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di),
Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p. 135 ss. 1193 A. DONINI, Il lavoro digitale su piattaforma, in L&LI, 2015, n. 1, p. 59. Nello stesso senso,
Cons. St., parere 23 dicembre 2015, n. 3586, secondo cui l’attività delle piattaforme informatiche
che mettono in relazione soggetti richiedenti e offerenti un servizio di trasporto non «si può
ritenere sia di mera mediazione tra prestazione e offerta di lavoro, infatti dalla dinamica
contrattuale emerge che la prestazione del trasporto sia un’obbligazione diretta della società». 1194 V. soprattutto S. AURIEMMA, Impresa, lavoro e subordinazione digitale al vaglio della
giurisprudenza, cit., p. 281 ss,; J,M. SERRANO GARCÍA, La “uberización” del trabajo: una forma
más de violencia laboral, en L. MELLA MÉNDEZ (Dir.), Los actuales cambios sociales y
laborales, cit., p. 209 ss.
244
servendosi di imprenditori indipendenti che agiscono a suo nome come
subcontraenti»1195.
7. Le prospettive nel segno della riqualificazione del rapporto in Italia
In Europa continentale, come abbiamo appena avuto modo di vedere, la
giurisprudenza si è concentrata inizialmente, e diffusamente, sui profili di diritto
concorrenziale legati all’attività di Uber e delle altre piattaforme che forniscono
servizi di trasporto passeggeri a livello locali.
Contrariamente a quanto avvenuto nelle giurisdizioni di common law, lo
status dei driver di Uber non è stato oggetto di indagine da parte della
giurisprudenza. In effetti, i collaboratori di Uber in Europa continentale non
hanno ritenuto di promuovere una causa di lavoro nei confronti della
piattaforma, con la sola eccezione di un procedimento proposto da una sigla
sindacale francese, peraltro subito naufragato per un vizio di forma1196. Anzi,
non solo i driver di Uber non hanno aperto un secondo fronte giudiziario contro
la piattaforma, ma ne hanno anzi sostenuto le ragioni nell’ambito dei
procedimenti promossi dai tassisti. In effetti, i driver di Uber, in gran parte
dell’Europa continentale, sono muniti di speciali licenze – in Italia la licenza
NCC –, che costituiscono un asset dall’ingente valore economico, necessarie per
fornire gli unici servizi di Uber ammessi, vale a dire quelli di categoria “lusso”
(UberBlack), da cui un driver può ottenere dei ricavi estremamente interessanti,
ben superiori ai minimi tabellari previsti per settori affini1197. D’altronde, in Italia
la professione di tassista gode di una reputazione – e di una rimuneratività – ben
superiore rispetto a quella propria dell’esperienza statunitense, da cui non a caso
è originato il contenzioso in materia di qualificazione del rapporto (si pensi al
classico caso del taxi driver newyorkese, spesso un immigrato da poco arrivato
nella grande mela)1198.
Tale differenza sociologica, prima che giuridica, spiega perché in Europa
continentale il driver di Uber non solo non si presta a fungere da prototipo del
lavoratore “debole” della gig economy, ma non si presenta neppure come un
1195 Conclusioni dell’AG Szpunar nel procedimento C-134/15, 11 maggio 2017, § 54, ove si
rimarca che «la polemica relativa allo status dei conducenti nei confronti di Uber, sfociata già in
decisioni giudiziali in taluni Stati membri è del tutto estranea alle questioni di cui siamo chiamati
ad occuparci nell’ambito della presente causa». 1196 C ALIS, Devant la justice, l'Urssaf perd face à Uber, in liberation.fr, 17 marzo 2017. 1197 Si consideri che in Italia una corsa con Uber costa mediamente più che effettuare lo stesso
tragitto con un taxi (inter alia, P. FIOR, Taxi contro Uber? Tra sfruttamento e falsi miti, in
ilfattoquotidiano.it, 22 febbraio 2017). 1198 Sul punto, per un’interessante analisi sociologica e giuridica su oltre un secolo di storia della
professione di tassista a San Francisco, V.B. DUBAL, The Drive to Precarity: A Political History
of Work, Regulation, & Labor: Advocacy in San Francisco’s Taxi & Uber Economies, in
Berkeley Journal of Employment & Labor Law, 2017, vo. 38, n. 1, p. 73 ss.
245
soggetto particolarmente bisognoso delle tutele proprie del lavoro subordinato,
che anzi in alcuni casi potrebbe essere tentato dal rifiutare, ove potessero
pregiudicare la sua capacità di agire sul mercato come un attore indipendente.
Quantomeno in Italia, quindi, non sono certo i driver di Uber a simboleggiare
il lavoro sottoprotetto e “sfruttato” dal “capitalismo delle piattaforme”. Lo sono,
piuttosto, i rider delle piattaforme attive nel servizio di consegna immediata di
pasti a domicilio via-app, che vediamo sempre più spesso sfrecciare nei
principali centri urbani del nostro paeso, come la comunità scientifica, insieme
all’opinione pubblica, avrebbe avuto modo di scoprire durante il “caso Foodora”.
7.1. Il caso Foodora
La piattaforma tedesca Foodora, attiva nel servizio della consegna di pasti a
domicilio previa prenotazione tramite app ha aperto i battenti in Italia
nell’autunno del 2015 (a settembre a Milano e a novembre a Torino), quando ha
lanciato una massiccia campagna pubblicitaria per affermarsi come leader del
settore, già in parte occupato in gran parte dal colosso JustEat (presente dal 2011)
e da altri player di minori dimensioni (le startup nostrane PizzaBo e Foodinho,
poi rilevate rispettivamente dalla stessa JustEat e da Glovo).
Operando tramite una s.r.l. con sede a Milano1199, Foodora stipula da subito
con i fattorini contratti espressamente qualificati come collaborazioni coordinate
e continuative – appena “liberate” dai vincoli del progetto1200 – aventi ad oggetto
la disponibilità del collaboratore a rendersi disponibile a ricevere in via
telematica richieste di consegna di pasti a domicilio, con il diritto di «candidarsi
o non candidarsi per una specifica corsa».
Fino all’ottobre del 2016, il compenso era determinato su base orario, nella
misura di 5,60 Euro «per ciascuna ora di disponibilità»1201. Il “caso Foodora” ha
portato la piattaforma al centro dell’attenzione mediatica nell’ottobre del 2016,
quando i rider si sono mobilitati contro la decisione dell’azienda di passare allo
schema del cottimo puro – nella misura di 3 Euro lordi a consegna –
organizzando sit in di protesta davanti alla sede dell’azienda e lanciando
numerose iniziative sul web, contro le nuove condizioni contrattuali e per
1199 La società è indirettamente controllata dalla subholding tedesca Foodora GmbH, la quale a
sua volta fa parte da settembre 2015 del gruppo internazionale Delivery Hero, capeggiato dalla
tedesca Delivery Hero AG, che opera in oltre 40 paesi del mondo, con diversi marchi oltre a
quello Foodora (PedidosYa/PedidosJá in America latina e Foodpanda in diversi paesi dell’Asia),
come risulta da Wikipedia e da numerosi contributi on-line. 1200 Supra, Cap. II, § 4 ss. 1201 Art. 9 Contratto Foodora (marzo 2016).
246
denunciare l’irregolarità del loro inquadramento nel mondo del lavoro
autonomo1202.
Foodora ha gestito la vicenda in modo piuttosto spregiudicato, rifiutando
ogni confronto con i lavoratori e disattivando gli account di alcuni rider1203,
contestualmente rimossi anche dalle chat di gruppo, lo strumento con cui, in una
prima fase, le piattaforme gestivano l’organizzazione delle consegne1204.
Nel pieno del “caso Foodora”, poi, i country manager di Foodora avrebbero
imboccato la discutibile strategia della “delegittimazione” del lavoro dei rider,
arrivando a sostenere che l’attività dei rider non doveva essere considerata un
lavoro ma appena «un’opportunità per chi ama andare in bici, guadagnando
anche un piccolo stipendio»1205.
In tale contesto, la vertenza, che ha anche funto da apripista per successive
mobilitazioni contro altre piattaforme1206, ha da subito ricevuto l’attenzione dei
media1207 e l’interesse della comunità lavoristica1208, già d’altronde allertata
dagli sviluppi del contenzioso nel mondo anglosassone, poc’anzi menzionati. Si
è resa necessaria anche la discesa in campo del Ministero del Lavoro1209, a
seguito della quale l’azienda avrebbe aumentato il compenso a consegna di un
1202 Per una ricostruzione nella prospettiva dei rider v. S. CAUSARANO, Foodora et Labora:
caporalato 2.0, in Vulcano Statale, 30 novembre 2016 (rivista degli studenti dell’Università
degli Studi di Milano, testo reperibile al sito: http://vulcanostatale.it/2016/11/foodora-et-
labora/). 1203 Lo riportano P. COCCORESE, Bloccare l’accesso all’app dei lavoratori di Foodora è la nuova
frontiera del licenziamento, in lastampa.it 10 ottobre 2016; D. LONGHIN, Torino, "sloggati" i
quindici rider di Foodora protagonisti della rivolta contro le paghe, in repubblica.it, 20 febbraio
2017. 1204 Le chat di gruppo (Whatsapp, Telegram) erano aperte a tutti i rider e moderate da dei
dispatcher che cercavano di risolvere “alla buona” i problemi della turnistica, arrivando anche
ad avallare le richieste di “scambio turno” formulate spontaneamente sulla chat. Il modello della
chat di gruppo è stata via via superato, anche per quanto riguarda altre piattaforme, dal sistema
di notifiche tramite Bot, nel quale il lavoratore comunica “a senso unico” con l’account
impersonale dell’azienda. A tale evoluzione organizzativa, peraltro, potrebbe aver concorso
anche il timore delle potenzialità latu sensu sindacali delle chat di gruppo, in cui i rider avevano
modo di comunicare tra loro (e, ancor prima, di “vedersi” e di “contarsi”). 1205 G. BALLESTRERI, “Il lavoro è un'opportunità per chi ama la bici”, ma soprattutto per i conti
di Foodora, in repubblica.it, 9 ottobre 2016. 1206 L. BARATTA, “Alza la bicicletta al cielo!”: i fattorini di Deliveroo scioperano a Milano, in
linkiesta.it, 14 luglio 2017. La vertenza contro Deliveroo ha anche visto l’occupazione degli
headquarter della Società a Bruxelles (Deliveroo: occupation of Brussels head office proceeds,
in Brusselstimes, 25 gennaio 2018. 1207 D. DI VICO, Foodora, Deliveroo e JustEat: la vita da pony express hi tech, in corriere.it, 16
ottobre 2016; G. MOSCA, Lo sciopero contro Foodora è il sogno infranto della sharing economy,
in wired.it, 11 ottobre 2016, contestuali all’uscita del numero di Internazionale (1174, 7-13
ottobre 2016) e del reportage di copertina Il mio capo è un algoritmo (p. 44), con la traduzione
di S. O’CONNOR, When your Boss is an Algorithm, cit. 1208 P. ICHINO, Sulla questione dei fattorini di Foodora, cit.; V. DE STEFANO, A. ALOISI, Testa
bassa e pedalare? No, i lavoratori di Foodora meritano rispetto, in linkiesta.it, 11 ottobre 2016 1209 F. SAVELLI, Foodora, salta l’incontro tra azienda e fattorini. Il ministero avvia le ispezioni,
in corriere.it, 14 ottobre 2016.
247
euro, portandolo a 4 euro lordi complessivi1210, senza però aprire spazi di
trattativa rispetto al nodo della (ri)qualificazione del rapporto, che avrebbe
costituito l’oggetto prevalente1211, ma non esclusivo, della riflessioni della
dottrina prima e dopo la sentenza emessa dal Tribunale di Torino del 7 maggio
2018, cui si erano rivolti alcuni dei rider “licenziati” da Foodora nell’autunno
del 2016.
7.2. Il nodo della qualificazione dei rider
Davanti alla figura – anzi, alle molteplici figure – del rider, e del lavoratore
nella gig economy in generale, il giuslavorista italiano fatica non poco a cercare
di addivenire a una risposta appagante dal punto di vista tecnico-giuridico, fermo
restando la percezione di uno stato di sottoprotezione sociale del lavoratore.
I rapporti di lavoro dei fattorini di Foodora – ma un discorso in gran parte
analogo1212 vale per le altre piattaforme del settore (Deliveroo, JustEat, Glovo e
UberEats) – così come quello dei tassisti di Uber, presentano alcuni elementi che
depongono nel senso della subordinazione e altri che militano nel senso
dell’autonomia del rapporto.
Da un lato, infatti, i rider spesso indossano una divisa, sono funzionalemente
integrati nel ciclo produttivo di un committente principale, che fissa
unilateralmente la misura del compenso (stabilito in alcuni casi quale
corrispettivo, su base oraria, della messa a disposizione di energie lavorative) e
le altre condizioni contrattuali; predispone meccanismi per l’elaborazione della
turnistica; monitora la prestazione controllandone l’adempimento tramite la app
e giungendo a penalizzare, in vario modo, i rider meno attivi.
Dall’altro lato, però, i pur diversi moduli organizzativi delle varie
piattaforme lasciano spesso – ma non sempre – liberi i lavoratori di proporsi per
i vari turni e di candidarsi o meno per una singola corsa, non avendo l’obbligo
giuridico di rispondere alla chiamata1213; possiedono il mezzo che utilizzano per
1210 ID., Foodora: «Quattro euro a consegna, contributi e assicurazione infortuni: vi spieghiamo
perché paghiamo così», in corriere.it, 4 novembre 2016. 1211 Lo rileva M. BARBERA, Impresa, lavoro e non lavoro nell’economia digitale, fra
differenziazione e universalismo delle tutele, in DLRI, 2018, n. 2, p. 403 ss. 1212 Ma non del tutto, cfr. M. BIASI, Dai pony express ai riders di Foodora, cit., p. 85 ss, spec. nt.
85. 1213 V. però già E. GRAMANO, Riflessioni sulla qualificazione del rapporto di lavoro nella gig-
economy, cit., p. 754, secondo cui «l’assenza di un obbligo di rendere la prestazione è talvolta
solo apparente […] la pura volontarietà della prestazione dei providers delle piattaforme è
ampiamente smentita dalla presenza di clausole contrattuali che impongono ai lavoratori di
garantire un numero minimo di prestazioni e di rimanere disponibili online per un numero
minimo di ore alla settimana». In riferimento a Uber, tuttavia, è stato lo stesso giudice inglese a
rilevare che «there is no prohibition against ‘dormant’ drivers» (Employment Tribunal, Central
London, 26 ottobre 2016, cit., § 85). Sul punto V. DE STEFANO, The Rise of the “Just-in-Time-
Workforce”, cit., p. 483.
248
effettuare le consegne; non sono soggetti ad obblighi di esclusiva e possono
prestare la propria attività anche in modo estremamente saltuario.
Non a caso, nel pieno del caso Foodora, vi era stato sia chi aveva osservato
che «l’azienda «impartisce ordini, impone una divisa, monitora la prestazione,
valuta la performance, premia i migliori, rimprovera gli inefficienti, chiude gli
account»1214, sia chi aveva replicato che, in fondo, «se un fattorino vuole, spegne
tutto e arrivederci»1215, facoltà preclusa a qualsiasi lavoratore dipendente.
7.3. Le posizioni della dottrina nell’attesa del pronunciamento del
Tribunale di Torino
Prima che il caso Foodora agitasse le acque, la dottrina che si era interessata
al dibattito giuridico emerso oltreoceano si era posta perlopiù nel senso di un
approccio dubitativo rispetto alla questione della qualificazione del rapporto di
lavoro dei platform workers, ammettendo che in molti casi la qualificazione in
termini di lavoro autonomo poteva dirsi corretta dal punto di vista del diritto
positivo1216, ferma restando la necessità di un’attenta verifica dell’effettivo grado
di libertà del lavoratore1217.
L’animato dibattito dottrinale che ha accompagnato gli sviluppi della
vicenda Foodora ha invece visto la presenza di un gran numero di voci a sostegno
della tesi della subordinazione, fondate spesso in via cumulativa sulla
valorizzazione delle posizioni di potere che fanno capo alla piattaforma1218; sulla
sovrapposizione tra attività lavorativa e oggetto sociale che si realizza
nell’ambito di quella che è a tutti gli effetti un’organizzazione d’impresa1219; sul
riconoscimento di una condizione di doppia alienità del platform worker nei
confronti della piattaforma1220, sull’onda degli approdi della giurisprudenza
spagnola1221; sulla valorizzazione, ancora, della disciplina, anche eurounitaria,
1214 V. DE STEFANO, A. ALOISI, Testa bassa e pedalare? No, i lavoratori di Foodora meritano
rispetto, cit. 1215 A. ROCIOLA, S. COSIMI, Se lo chiamate “lavoro” non avete capito cosa è Foodora (né la
sharing economy), in startupitalia.eu, 12 ottobre 2016. 1216 B. BERGVALL-KÅREBORN, D. HOWCROFT, Amazon Mechanical Turk, cit., p. 218; E.
DAGNINO, Il lavoro nella on-demand economy, cit., p. 91; W. DÄUBLER, Challenges to labour
law, in A. PERULLI (a cura di), L’idea del diritto del lavoro. Oggi. In ricordo di Giorgio Ghezzi,
Cedam-Wolters Kluwer, 2016, p. 501 ss. 1217 V. DE STEFANO, The Rise of the “Just-in-Time-Workforce”, cit., spec. p. 478 ss. 1218 M.L. BIRGILLITTO, Lavoro e nuova economia: un approccio critico, L&LI, 2016, vol. 2, n.
2, p 58 ss.; G. PACELLA, Il lavoro nella "gig economy" e le recensioni "on line": come si
ripercuote sui e sulle dipendenti il gradimento dell'utenza?, ivi, 2017, n. 1, p. 34 ss. 1219 S. AURIEMMA, Impresa, lavoro e subordinazione digitale al vaglio della giurisprudenza, cit.;
E. GRAMANO, Riflessioni sulla qualificazione del rapporto di lavoro nella gig-economy, cit.; A.
CONSIGLIO, Il lavoro nella digital economy: prospettive su una subordinazione inedita?, cit. 1220 G. PACELLA, Alienità del risultato, alienità dell’organizzazione, cit. 1221 Juzgado de lo Social de Valencia 1 giugno 2018, n. 244, testo reperibile in
https://adriantodoli.com/2018/06/04/primera-sentencia-que-condena-a-deliveroo-y-declara-la-
249
in materia di somministrazione di lavoro1222; il tutto combinato con le
potenzialità insite nella regola in materia di collaborazioni etero-organizzate1223.
Altra parte della dottrina, pur senza negare la necessità di un’attenta
valutazione delle circostanze del caso concreto, aveva ritenuto di poter
ricondurre una gran parte delle fattispecie della gig economy al mondo del
coordinamento di cui al novellato art. 409, n. 3, c.p.c.1224 – pur riconoscendo
l’esistenza di un deficit di tutela da colmare1225, anche attraverso interventi
normativi in materia di salario minimo legale1226 – se non a escludere in modo
assoluto la sussistenza dei caratteri dell’etero-direzione nell’ambito dei rapporti
di lavoro nella gig economy1227.
Tali letture, d’altronde, risultavano quasi obbligate dal consolidato
orientamento giurisprudenziale in materia di pony express. il quale,
consolidatosi negli anni, sembrò rappresentare un vero e proprio “asso nella
manica” per le piattaforme prima di essere compiutamente applicato dal
Tribunale di Torino.
7.4. La lunga vita della giurisprudenza in materia di pony express
Mutatis mutandis, la posizione contrattuale di un rider di oggi non differisce
poi tanto da quella dei pony express che sfrecciavano per le strade delle nostre
città collegati alla centrale tramite walkie talky, uno dei simboli dei ruggenti anni
’801228, come una parte della dottrina aveva immediatamente rilevato allo
scoppiare del caso Foodora1229.
Il modello dei pony express ha rappresentato a partire dai primi anni ’80
l’oggetto di un ampio dibattito dottrinale e di un nutrito contenzioso
laboralidad-del-rider/, con commento adesivo di A. TODOLÍ SIGNES, Primera Sentencia que
Condena a Deliveroo y declara la Laboralidad del Rider. 1222 L. RATTI, Online platforms and crowdwork in Europe: a two-step approach to expanding
agency work provisions?, in CLL&PJ, 2017, n. 38, p. 477 ss. In termini non dissimili M. FAIOLI,
Jobs App, Gig economy e sindacato, in RGL, 2017, n. 2, p. 291 ss. 1223 A. ALOISI, Il lavoro “a chiamata” e le piattaforme “online” della “collaborative economy”:
nozioni e tipi legali in cerca di tutele, in L&LI, 2016, n. 2, p. 46 ss. Sull’art. 2, d.lgs. 81/2015,
supra, Cap. II, § 3 ss. 1224 M. BIASI, Dai pony express ai riders di Foodora, cit., spec. p. 85 ss.; E. MENEGATTI, On-
Demand Workers by Application, autonomia o subordinazione?, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI
(a cura di), Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., p,. 98 ss.; F. CARINCI,
Prefazione, ivi p. VII. 1225 A. PERULLI, Il Jobs Act del lavoro autonomo, cit., p. 43 ss. 1226 E. MENEGATTI, A Fair Wage for Workers On-demand via App, cit., spec. p. 78 ss. 1227 Molto netta la posizione di F. LUNARDON, Le reti d’impresa e le piattaforme digitali della
sharing economy, in ADL, 2018, n. 2, p. 375 ss. 1228 Al punto da meritare un ruolo nel cinema: è del 1986 la pellicola Il ragazzo del pony express,
di Franco Amurri con Jerry Calà nel ruolo di protagonista 1229 P. ICHINO, Sulla questione dei fattorini di Foodora, cit.
250
giudiziario1230. Numerosi pretori avevano infatti riconosciuto la sussistenza di
un vincolo di subordinazione nei confronti dell’azienda, in procedimenti
promossi direttamente dal lavoratore1231 o dall’Inps1232, così come nell’ambito
di procedimenti penali1233. Tali decisioni avevano rappresentato, nel già rilevato
contesto di “crisi” della subordinazione1234, un tentativo di reinterpretare la
nozione di subordinazione valorizzando il rinvio mosso dall’art. 2094 c.c. alla
«realtà economico-sociale del fenomeno considerato, nella sua articolat a varietà
e nella sua dinamica storica»1235.
Enfatizzando la condizione di dipendenza economica del lavoratore, il suo
stabile inserimento nell’ambito di un’altrui organizzazione d’impresa e il
controllo comunque esercitato dalla centrale, tali pronunce avevano reputato
irrilevante la circostanza che i lavoratori erano liberi di non rispondere alle
chiamate, che rappresentava il principale argomento difensivo delle società. È
interessante rilevare come l’argomento svolto più di trent’anni fa secondo cui
«non è infatti realistico sostenere che i messaggeri siano liberi di accettare o non
accettare il singolo incarico» posto che «una volta scelto di lavorare per
guadagnare il messaggero è per forza di cose costretto a rispondere alla
chiamata»1236, ricorda alcune delle considerazioni svolte dalla pronuncia
britannica relativa allo status dei driver di Uber1237.
I giudici del gravame e le corti superiori, tuttavia, non avevano ritenuto di
abbracciare questa proposta interpretativa, individuando precisamente nella
1230 L. DE ANGELIS, I pony express tra subordinazione e autonomia, in G.G. DEODATO, E.
SINISCALCHI (a cura di), Autonomia e subordinazione nelle nuove figure professionali del
terziario, Milano, 1988, p. 57 ss.; L. NOGLER, Metodo e casistica nella qualificazione dei
rapporti di lavoro, in DLRI, 1991, n. 1, p. 121 ss.; M. ROCCELLA, Intervento sul tema: Il lavoro
e i lavori, in LD, 1989, n. 1, p. 28 ss. 1231 Pret. Milano 20 giugno 1986, in RIDL, 1987, II, p. 70, con nota di P. ICHINO, Libertà formale
e libertà materiale del lavoratore nella qualificazione della prestazione come autonoma o
subordinata, e in OGL, 1986, p. 978, con nota di L. SPAGNUOLO VIGORITA, Subordinazione e
impresa. 1232 Pret. Milano 7 ottobre 1988, in Foro it., 1989, II, c. 2908, con nota di M. DE LUCA,
Autonomia e subordinazione nella giurisprudenza di legittimità: la risposta della giurisprudenza
alla «sfida post-industriale», aspettando…Godot; Pret. Torino 12 febbraio 1996, in RIDL, 1997,
II, p. 290, con nota di L. ZANOTELLI, Il caso dei pony express ancora al centro della disputa sul
metodo della qualificazione dei rapporti di lavoro. 1233 Pret. Milano 27 aprile 1987, in Lavoro 80, 1987, p. 1025, con nota di S. CHIUSOLO, Il lavoro
subordinato e le nuove forme di organizzazione del lavoro. 1234 Supra, Cap. I, § 7. 1235 Pret. Milano 20 giugno1986, cit., p. 71. 1236 Ivi, p. 73 s., dal che la conclusione che «sostenere che si teratta di prestatoria autonomi […]
significherebbe non solo travisarne la valenza giuridica, attraverso la formalistica utilizzazione
dei canoni tradizionali di qualificazione, ma costituirevve anche una valutazione socialmente e
storicamente inadeguata» (p. 75). 1237 Employment Tribunal, Central London, 26 ottobre 2016, cit., § 85, secondo cui è irrilevante
il fatto che i driver «are never under any obligation to switch on the App or, even if logged on,
to accept any driving assignment».
251
libertà del lavoratore di non rispondere alla chiamata l’elemento sufficiente a
escludere la sussistenza del vincolo di subordinazione1238, sulla scorta di una
lettura del requisito della continuità del rapporto in termini esclusivamente
tecnico-formali, sulla scorta delle indicazioni di una parte della dottrina1239.
Dal momento che la giurisprudenza di legittimità non si era mai discostata
da tale orientamento, e l’aveva ribadito anche in tempi recenti1240, era
impossibile non ravvisarvi il principale ostacolo per la riqualificazione del
rapporto di lavoro dei rider1241, ancorché non siano mancate voci tese a
sottolineare che «la forte somiglianza del caso dei riders di Foodora a quello dei
pony express degli anni Ottanta non deve condurre l’interprete a considerare
scontata l’applicazione ai primi delle soluzioni giurisprudenziali che vennero
elaborate per i secondi»1242.
7.5. La decisione del Tribunale di Torino
A conclusioni del tutto analoghe giunge oggi il Tribunale di Torino1243 che
ha negato la ricorrenza dell’elemento della subordinazione del rider a Foodora
sulla base del rilievo essenziale che «il rapporto di lavoro intercorso tra le parti
era caratterizzato dal fatto che i ricorrenti non avevano l’obbligo di effettuare la
prestazione lavorativa e il datore di lavoro non aveva l’obbligo di riceverla»1244.
In particolare, il Tribunale considera in primo luogo che la circostanza che
ciascun rider poteva dare la propria disponibilità per i vari slot (turni) pubblicati
settimanalmente dall’azienda, ma non era obbligato a farlo – così come Foodora
1238 Trib. Milano 10 ottobre 1987, in RIDL, 1987, II, p. 688, con nota redazionale; Cass. 10 luglio
1991, n. 7608; in Giust. civ., 1992, I, p. 108, con nota di L. NOGLER, Osservazioni su
accertamento e qualificazione del rapporto di lavoro, e in RIDL, 1992, II, p. 370, con nota di B.
VIGANÒ, Sulla subordinazione la giurisprudenza di merito si allinea con quella di Cassazione;
Cass. 25 gennaio 1993, n. 811, in RIDL, 1993, II, p. 425, con nota redazionale. 1239 P. ICHINO, Libertà formale e libertà materiale del lavoratore, cit., p. 80, secondo cui la
continuità (eventualmente) propria dei rapporti dei pony express non coincide con la
«l’affidamento del creditore sul protrarsi nel tempo della prestazione […] secondo uno schema
inizialmente concordato». Sulle diverse accezioni del requisito della continuità, supra, Cap. II,
§ 4.1.1, anche per ulteriori riferimenti. 1240 Cass. 20 gennaio 2011, n. 1238, in DeJure. 1241 G. RECCHIA, Gig Economy e dilemmi qualificatori: la prima sentenza italiana, in Lav. giur.¸
2018, n. 7, p. 721 s.; P. ICHINO, Foodora: come si protegge il lavoro nella gig economy, in
pietroichino.it, 13 aprile 2018, che sottolinea come i rider avrebbero goduto delle tutele del
lavoro subordinato nella vigenza dell’art. 69bis, d.lgs. 276/2003, su cui supra, Cap. I, § 9. 1242 M. DEL CONTE, O. RAZZOLINI, La gig economy alla prova del giudice: la difficile
reinterpretazione della fattispecie e degli indici denotativi, in DLRI, 2018, n. 3, spec. p. 679. 1243 Trib. Torino 7 maggio 2018, n. 778, integrale in RIDL, 2018, n. 2, II, p. 283, con nota di P.
ICHINO, Subordinazione, autonomia e protezione del lavoro nella gig-economy (p. 294 ss.), ma
anche in Lav. giur.¸ 2018, n. 7, p. 721 ss., con nota di G. RECCHIA, Gig Economy e dilemmi
qualificatori: la prima sentenza italiana; in Ilgiuslavorista, 20 luglio 2018, con nota di F.
MEIFFRET, La natura autonoma(?) del rapporto di lavoro dei riders di Foodora. 1244 Trib. Torino 7 maggio 2018, n. 778, cit., p. 287.
252
poteva accettare o meno la disponibilità dei lavoratori – esclude la possibilità di
configurare un potere direttivo in capo alla piattaforma.
La libertà di determinazione temporale della prestazione vale così a
escludere la sussistenza del vincolo di subordinazione, come affermato poco
tempo prima dalla giurisprudenza francese in relazione alla piattaforma
Deliveroo1245, e ribadito a distanza di pochi mesi dal Tribunale di Milano in un
procedimento promosso contro la piattaforma Glovo1246.
Né, precisa poi il Tribunale, potrebbe configurarsi un potere direttivo a
partire dal momento in cui i lavoratori cominciano il turno loggandosi alla
piattaforma: il controllo esercitato a partire dal momento dell’attivazione del
profilo (comprensivo della possibilità di verificare in tempo reale la posizione
del rider mediante geolocalizzazione) viene infatti ricondotto dal giudice al
coordinamento di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., non valendo a integrare quella
«assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni»,
richiesta dal più rigoroso orientamento della giurisprudenza in materia di etero-
direzione1247.
Allo stesso modo, il Tribunale esclude che i lavoratori fossero sottoposti al
potere disciplinare di Foodora, che secondo i ricorrente si era concretizzato nel
richiamo verbale o nell’esclusione temporanea o definitiva dalla chat aziendale
o dai turni di lavoro. Il Tribunale ritiene che tale allegazione sia stata in parte
smentita dalle risultanze istruttorie, dalle quali sarebbe emerso che i rider
potevano revocare la propria disponibilità utilizzando la funzione c.d. swap e che
potevano anche non presentarsi senza comunicazioni di sorta (c.d. no show), e
che in ogni caso l’esclusione dalla chat o dai turni non può considerarsi una vera
e propria sanzione disciplinare «perché non priva i lavoratori di un loro diritto: i
ricorrenti non avevano infatti diritto né ad essere inseriti nella chat aziendale, né
ad essere inseriti nei turni di lavoro»1248.
In riferimento alla possibilità, sostenuta in dottrina1249, di ricondurre la
fattispecie al lavoro etero-organizzato, inoltre, si è già avuto modo di rilevare
1245 Cour d’Appel de Paris 22 novembre 2017, n. 16/12875, in RIDL, 2018, n. 1, II, p. 46, con
nota di A. DONINI, La libertà del lavoro sulle piattaforme digitali (p. 63 ss.), secondo cui è
sufficiente a escludere la sussistenza di une relation salariale la «liberté totale de travailler ou
non dont a bénéficié [il lavoratore] qui lui permettait, sans avoir à en justifier, de choisir chaque
semaine ses jours de travail et leur nombre sans être soumis à une quelconque durée du travail ni
à un quelconque forfait horaire ou journalier mais aussi par voie de conséquence de fixer seul
ses périodes d’inactivité ou de congés et leur durée». 1246 Trib. Milano 10 settembre 2018, n. 1853, inedita, secondo cui è incompatibile con il vincolo
di subordinazione la libertà del lavoratore «nella determinazione dell’an, del quando e del
quantum della prestazione». 1247 Supra, Cap. II, § 2.1. 1248 Trib. Torino 7 maggio 2018, n. 778, cit., p. 291. 1249 A. ALOISI, Il lavoro “a chiamata” e le piattaforme “online” della “collaborative economy”,
cit., p. 46 ss.
253
come il Tribunale abbia adottato un approccio di sostanziale chiusura rispetto
alle potenzialità insite nell’art. 2, d.lgs. 81/20151250. Secondo il giudicante,
infatti, se anche nelle intenzioni del legislatore la norma avrebbe dovuto
ampliare l’ambito della subordinazione, così non è stato, in quanto essa «non ha
un contenuto capace di produrre nuovi effetti giuridici sul piano della disciplina
applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro».1251 Anzi, facendo proprio
una delle tesi che erano emerse in riferimento alla natura delle collaborazioni
etero-organizzate1252, l’estensore arriva ad affermare che l’art. 2, d.lgs. 81/2015,
presenta persino un ambito di applicazione più ristretto di quello dell’art. 2094
c.c., perché richiederebbe che il potere direttivo e organizzativo del datore si
estrinsechi anche in riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, e non anche
soltanto con riferimento a essi, secondo un’interpretazione particolarmente
restrittiva che ha da subito destato diverse critiche in dottrina1253.
Se nell’iter logico-argomentativo della decisione torinese è dunque questo
criticabile postulato teorico ad avere impedito di approfondire la questione
relativa all’eventuale sussistenza dell’elemento dell’etero-organizzazione, la
successiva decisione del Tribunale di Milano sarebbe pervenuta per altra via al
medesimo esito, sulla base, ancora una volta, della riconosciuta libertà di
determinazione del quando e del quantum della prestazione1254.
In riferimento a entrambe le fattispecie – e dunque al rapporto dei rider di
Foodora e a quelli di Glovo – parrebbe tuttavia possibile proporre una lettura
diversa, che valorizza i vincoli che vengono di fatto a essere imposti al
collaboratore, anche con riferimento alla dimensione temporale1255.
In particolare, deve essere registrata la fondamentale distinzione tra le
piattaforme che prevedono un sistema di turnistica predeterminata “a
1250 Supra, Cap. II, § 3.2. 1251 Trib. Torino 7 maggio 2018, n. 778, cit., p. 292. 1252 P. TOSI, L’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 81/2015: una norma apparente?, cit., p. 1117. 1253 P. TULLINI, Prime riflessioni dopo la sentenza di Torino sul caso Foodora, in LDE, 2018, n.
1, p. 7; M. FAIOLI, Il caso Foodora. "Anche", "anche soltanto", l'abnorme interpretazione del
giudice di Torino, in Linkedin, 9 maggio 2018; M. DEL CONTE, O. RAZZOLINI, La gig economy
alla prova del giudice, cit., spec. p. 678. 1254 Trib. Milano 10 settembre 2018, n. 1853, cit., che, pur non investito della domanda, ha
ritenuto comunque necessario verificare d’ufficio l’eventuale sussistenza dell’elemento
dell’etero-organizzazione spaziale e temporale, che è stata comunque esclusa in quanto «le
modalità di esecuzione della prestazione, per quanto precedentemente evidenziato, non possono
ritenersi ‘organizzate dal committente con riferimento ai tempi […] di lavoro’, poiché la scelta
fondamentale in ordine ai tempi di lavoro e di riposo era rimessa all’autonomia del ricorrente,
che la esercitava nel momento in cui manifestava la propria disponibilità a lavorare in determinati
giorni e orari e non in altri». 1255 Quanto alla dimensione spaziale, non pare potersi dubitare della sussistenza dell’elemento
dell’etero-organizzazione del luogo della prestazione, considerato che l’applicazione finisce per
imporre al rider un itinerario che, benché formalmente solo “suggerito”, potrà essere disatteso
dal lavoratore a suo rischio e pericolo.
254
calendario” (c.d. slot) – come per l’appunto Foodora e Glovo, ma anche
Deliveroo – da quelle che ammettono che il lavoratore possa collegarsi
all’applicazione in qualsiasi momento.
Mentre in questo secondo modello ad “aggiudicazione immediata” il
prestatore gode di un ampio margine di autonomia nel decidere quando e se
lavorare, tale da denotare un’effettiva libertà di autodeterminare il tempo della
prestazione, nel modello a slot, invece, tale libertà viene a essere di fatto limitata
dal modulo organizzativo della piattaforma. Quest’ultima, infatti, attraverso la
predisposizione e la gestione del calendario è in grado di imporre al lavoratore
la dimensione temporale della prestazione già in fase di aggiudicazione dei turni,
e ciò tantopiù in riferimento a quelle piattaforme (in particolare Glovo e
Deliveroo) che prevedono che i lavoratori con un rating elevato siano privilegiati
nella prenotazione degli slot1256.
A ciò si aggiunga che una volta prenotato il turno il lavoratore ha ristretti
margini di revoca della disponibilità (Deliveroo prevede che tale ius poenitendi
debba essere esercitato con una settimana di preavviso1257), che Foodora richiede
espressamente un minimo di consegne (cinque a trimestre), a pena di risoluzione
del contratto1258 e che tutti i modelli organizzativi prevedono un tempo massimo
entro il quale deve essere effettuata la consegna1259.
In questa prospettiva ecco che la libertà di determinare l’an, il quando e il
quantum della prestazione finisce per diventare una chimera, e la dimensione
temporale della prestazione lavorativa viene a essere – se non etero-determinata
dalla piattaforma (il lavoratore che non si prenoti per gli slot, infatti, non è per
ciò stesso inadempiente) – quantomeno etero-organizzata, ai sensi e per gli
effetti dell’art. 2, d.lgs. 81/2015, in quanto la piattaforma è in grado, pur senza
l’esercizio di prerogative tipicamente datoriali, di «formattare il substrato
materiale della prestazione»1260, imponendo di fatto al lavoratore di osservare,
se non un orario di lavoro, un ritmo di lavoro.
1256 In tale sistema, un rider con un rating non elevato, all’atto della prenotazione dei turni per
la settimana successiva, troverebbe la gran parte degli slot già occupati, e, se intendesse lavorare,
sarebbe “costretto” a prenotare i pochi slot rimasti disponibili. 1257 Contratto Deliveroo (marzo 2017), art. 3.2. 1258 Art. 7 Contratto Foodora (marzo 2016): «La committente, altresì, si riserva la facoltà di
risolvere il presente contratto, previa semplice comunicazione scritta e senza preavviso, nei casi
in cui il collaboratore effettui meno di cinque corse nell’arco di tre mesi». 1259 Art. 6 Contratto Foodora (marzo 2016): «Il collaboratore, una volta candidatosi per una
corsa, si impegna ad effettuare la consegna tassativamente entro 30 minuti dall’orario indicato
per il ritiro del cibo». 1260 Secondo la formula di A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi: nuove (e vecchie) tutele per
il lavoro autonomo non imprenditoriale, cit., p. 173. Sulla lettura dell’art. 2, d.lgs. 81/2015, che
si è ritenuto di abbracciare nella presenta trattazione v. supra, Cap. II, § 3.4.
255
8. Oltre la riqualificazione: la tutela civilistica del platform worker
Solo il tempo (e l’esito del preannunciato giudizio di appello avverso la
decisione del Tribunale di Torino) consentiranno di valutare quale delle due
soluzioni interpretative finirà per prevalere, in un contesto complesso e
frastagliato nel quale da più parti si invoca un salvifico intervento del legislatore.
Nel frattempo, tuttavia, pare opportuno ricercare meccanismi di tutela diversi
rispetto alla sola strada della riqualificazione del rapporto (in termini di
subordinazione o di etero-organizzazione), posto che questa – tanto più alla luce
degli esiti dei primi contenziosi – può spesso risultare impercorribile.
Lo stesso Tribunale di Londra aveva tenuto a sottolineare che Uber «could
have devised a business model not involving [it] employing drivers»1261 e si è
già avuto modo di rilevare nel procedimento avanti la Corte di Lussemburgo
l’Avvocato Generale non aveva mancato di precisare che Uber «può
perfettamente erogare le sue prestazioni servendosi di imprenditori indipendenti
che agiscono a suo nome come subcontraenti»1262.
In questo contesto, pare necessario svolgere una riflessione relativa alla
possibilità di elaborare, prima di tutto in via interpretativa, meccanismi di tutela
idonei a rispondere alle esigenze provenienti dal mondo dei platform worker1263
– quanto meno in via sussidiaria, vale a dire nei casi in cui per qualsiasi ragione
non sia possibile procedere nel senso della riqualificazione del rapporto – e
quindi di individuare schemi protettivi rivolti a tutti gli individui che lavorano
sul web, a prescindere dal tipologia contrattuale1264.
Nel terzo capitolo si è avuto modo di sottolineare come negli ultimi decenni
il diritto dei contratti ha mostrato notevoli aperture verso il riconoscimento delle
esigenze di tutela del contraente debole1265, al punto che vi è chi ha osservato
provocatoriamente che il “nuovo” diritto civile sia diventato, persino più dello
stesso diritto del lavoro1266, il terreno fertile per «declinare in modo adeguato la
valutazione etica dei comportamenti che vengono svolti nell'ambito di
un'organizzazione imprenditoriale»1267. Nello stesso capitolo, si è rilevato che è
al sistema della tutela civilistica del contraente debole che guarda lo Statuto del
lavoro autonomo nell’ambito delle disposizioni che si riferiscono alla
1261 Employment Tribunal, Central London, 26 ottobre 2016, cit., § 97. 1262 Conclusioni dell’AG Szpunar nel procedimento C-134/15, 11 maggio 2017, § 54. 1263 A. PERULLI, Il Jobs Act del lavoro autonomo, cit., p. 46 s. 1264 P. TULLINI, C’è lavoro sul web?, cit., p. 9. 1265 Supra, Cap. III, sez. I, § 1. 1266 A. PERULLI, Il controllo giudiziale dei poteri dell’imprenditore tra evoluzione legislativa e
diritto vivente, in RIDL, 2015, n. 1, I, p. 107. 1267 A. NICOLUSSI, Etica del contratto e “contratti di durata per l'esistenza della persona”, in L.
NOGLER, U. REIFNER (eds.), Life Time Contracts: Social Long-term Contracts in Labour,
Tenancy and Consumer Credit Law, Eleven International Publishing, The Hague, 2014, p. 152.
256
dimensione del rapporto di lavoro autonomo, disciplinata in gran parte mediante
rinvio diretto o indiretto a discipline settoriali come la legge sulla subfornitura o
il decreto in materia di termini di pagamento1268.
Si tratta quindi di verificare se dalla combinazione tra le nuove disposizioni
a tutela del lavoro non imprenditoriale e dei principi generali del codice civile
nella lettura datane dalla più recente giurisprudenza non sia possibile elaborare
un nucleo minimo di tutele applicabili ai lavoratori della gig-economy oltre il
dilemma qualificatorio1269.
A tal fine, può essere utile ragionare intorno ad alcuni dei principali nodi
critici emersi nell’ambito dello stesso contenzioso in materia di riqualificazione
del rapporto, quali la disciplina del recesso (o “disattivazione”), il
funzionamento dei meccanismi reputazionali e l’esiguità dei compensi.
8.1. Il nodo del recesso
L’obiettivo di realizzare la massima flessibilità in uscita viene perseguito
dale piattaforme mediante la stipulazione di collaborazione a termine di
brevissima durata1270 nonché mediante l’attribuzione – giuridica o di fatto – di
procedure alla disattivazione dell’account del lavoratore. La rilevanza del tema,
peraltro, può apprezzarsi tenendo conto che una delle condizioni previste dal
settlement raggiunto nell’ambito del contenzioso Cotter v. Lyft1271 ha istituito un
apposito iter procedimentale che deve essere esperito prima della
disattivazione1272, prevedendo un sistema a garanzia della difesa del lavoratore
per certi versi simile a quello di cui all’art. 7, St. lav.
Rispetto alla disattivazione dell’account la dottrina si è interrogata rispetto
alla necessità di chiedersi se esso possa essere in qualche misura assimilato al
licenziamento1273, questione che tuttavia dipende in via pregiudiziale dalla
qualificazione del rapporto, arrivando anche a ravvisato nella disattivazione
l’ultima e più violenta manifestazione del potere di licenziamento del datore di
lavoro, tale da fungere anche da indice della subordinazione1274.
1268 A. PERULLI, Le tutele civilistiche: il ritardo nei pagamenti; le clausole e le condotte abusive
(artt. 2 e 3), in L. FIORILLO, A. PERULLI (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo, cit., p. 36,
secondo cui «la matrice di riferimento dell’art. 3 è, senza ombra di dubbio, proprio la legge sulla
subfornitura». 1269 In una prospettiva de iure condito cfr. G. CENTAMORE, L. RATTI, Oltre il dilemma
qualificatorio, cit., nonché P. ICHINO, Foodora: come si protegge il lavoro nella gig economy,
cit., che sottolineano l’opportunità di valorizzare il diritto antidiscriminatorio. 1270 Nell’ordine anche di un mese, come risulta dall’art. 5 Contratto Foodora (marzo 2016), e
dall’art. 5 Contratto JustEat (giugno 2017). 1271 Supra, § 5.1. 1272 M. CHERRY, Beyond Misclassification, cit., 583. 1273 A. ALOISI, Commoditized workers, cit., p. 674. 1274 M.L. BIRGILLITTO, Lavoro e nuova economia, cit., p. 72.
257
Se nell’ambito dei modelli organizzativi adottati dalle piattaforme che
sottoscrivono direttamente un contratto di collaborazione con il lavoratore (come
Foodora e Deliveroo) è scontato che si debba fare riferimento alla disciplina
relativa al recesso dal rapporto di lavoro autonomo, risultante dall’integrazione
tra l’art. 2227 c.c. e le nuove previsioni statutarie in materia di «congruo
preavviso» – ma quest’ultime solo in caso di collaborazione a carattere
continuativo – più problematico individuare meccanismi di tutela nell’ambito
delle piattaforme che riescano a sostenere il carattere di mero intermediario tra
lavoratori e singoli committenti/clienti (come nel caso di Uber e di AMT).
In particolare, uno dei nodi critici concerne la possibilità che l’esclusione
dalla piattaforma possa avvenire a seguito di una diminuzione del tasso di
gradimento risultante dai feedback dell’utenza, secondo il sistema a “cinque
stelle” – adottato tra l’altro da Uber – mediante cui la piattaforma finisce per
delegare i singoli clienti l’esercizio di un penetrante potere di controllo, con un
notevole impatto sulla posizione soggettiva del lavoratore1275.
In proposito, parrebbe potersi proficuamente attingere dalle riflessioni svolta
da una parte della nostra giurisprudenza di merito in relazione a due casi di
disattivazione dell’account operati dalla piattaforma di commercio elettronico
Ebay nei confronti di due rivenditori a causa del notevole numero di feedback
negativi ricevuti1276.
La prima decisione1277, partendo dal rilievo che la piattaforma, in quanto
intermediario, non può opporre al rivenditore eventuali illeciti contrattuali
commessi a danno dell’acquirente, ha considerato che la clausola che attribuiva
alla piattaforma il diritto di disattivare l’account in presenza di feedback negativi
è soggetta a doppia sottoscrizione ai sensi dell’art. 1341 c.c., mancante nel caso
di specie1278.
1275 A. ROSENBLAT, L. STARK, Algorithmic Labor and Information Asymmetries: A Case Study
of Uber’s Drivers, in International Journal of Communication, 2016, 10, p. 3758 ss.; J. PRASSL,
M. RISAK, Uber, Taskrabbit & Co., cit., p. 626; A. INGRAO, Assessment by Feedback in the On-
Demand Era, in E. ALES ET AL. (Eds.), Working in Digital and Smart Organizations, cit., p. 93
ss.; EAD., Il controllo a distanza dei lavoratori e la nuova disciplina privacy, cit,. p. 68 ss. 1276 E. SIGNORINI, Il diritto del lavoro nell'economia digitale, cit., p. 18. 1277 Trib. Messina 7 luglio 2010, in Dir. inf. inf., 2011, p. 118, con nota di I.P. CIMINO,
Sospensione dell'account di vendita nel marketplace di ebay, tutela del contratto e della libertà
di impresa nel commercio elettronico. 1278 Peraltro, secondo I.P. CIMINO, Sospensione dell'account di vendita, cit., p. 132, la clausola
dovrebbe considerarsi radicalmente nulla, a prescindere dalla doppia sottoscrizione, nella misura
in cui è in grado di realizzare l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente
gravose, ai sensi dell’art. 9 della legge della subfornitura, oggi applicabile anche ai rapporti di
lavoro autonomo (art. 3, c. 4, l. 81/2017).
258
La seconda decisione1279 si è soffermata invece maggiormente sulla
dimensione sociale ed economica della questione e ha attribuito rilevanza alla
struttura essenzialmente oligopolistica del marketplace gestito da Ebay. Il
giudice ha infatti riconosciuto il requisito del periculum, necessario per l’accesso
alla tutela cautelare d’urgenza, considerando come «l’esclusione a tempo
indeterminato da eBay non si atraduce semplicemente in una perdita di clienti,
ma abbia un’incidenza molto più pesante che può arrivare sostanzialmente ad
escludere l’impresa dal mercato»1280.
Per quanto in entrambi i giudizi venga espressamente esclusa l’applicabilità
della legge sulla subfornitura in assenza del dato dell’inserimento del
subfornitore nel processo produttivo dell’impresa1281, merita evidenziare come
entrambe le decisioni, pur rimanendo nell’ambito del diritto generale dei
contratti, arrivino ad applicare una tutela dal carattere sostanzialmente reale: la
“reintegrazione” nell’account. Un esito sorprendente, che supera persino le – già
rivoluzionarie – conclusioni fatte proprie dalla Cassazione nell’ambito del caso
Renault, ove l’abusività del recesso era stata sì sanzionata, ma solo con misure
di carattere risarcitorio1282.
Tanto più all’indomani dell’espressa previsione di applicabilità del divieto
di abuso di dipendenza economica a tutti i lavoratori autonomi (art. 3, comma 4,
l. 81/2017)1283, si potrebbe quindi fare tesoro degli insegnamenti della
giurisprudenza appena richiamata per sindacare efficacemente le estromissioni
dal servizio arbitrarie o discriminatorie – ivi incluse quelle di carattere latu sensu
sindacale – o comunque contrarie a buona fede e correttezza, senza necessità di
scomodare il dilemma qualificatorio1284.
In questo senso, si ritiene che sia l’estromissione dei rider di Foodora di cui si è
occupato il Tribunale di Torino, sia quella del driver di Glovo oggetto della pronuncia
milanese, avrebbero potuto essere efficacemente contestate – senza alcuna necessità di
una previa riqualificazione del rapporto – nella prospettiva del divieto di abuso di
dipendenza economica, sub specie di «interruzione arbitraria delle relazioni in atto».
1279 Trib. Catanzaro 30 aprile 2012, in Dir. inf. inf., 2012, p. 1174, con nota di G. ARANGUENA.
Sospensione di un “account” su “ebay”: il contratto telematico B2B tra accettazione “point and
click” e tutela dell'accesso al mercato del commercio elettronico. 1280 Ivi, p. 1180. 1281 Ivi, p. 1176. 1282 Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, tra l’altro in Foro it., 2010, n. 1, I, c. 85, con nota di A.
PALMIERI, R. PARDOLESI, Della serie “a volte ritornano”: l'abuso del diritto alla riscossa (c. 95
ss.). 1283 Supra, Cap. III, sez. I, § 4 ss. 1284 P. TULLINI, C’è lavoro sul web?, cit., p. 15, secondo cui «il complesso delle regole antiabuso
dettate per il regime della sub-fornitura potrebbe offrire indicazioni appropriate anche per i
lavoratori del web»; W. DÄUBLER, T. KLEBE, Crowdwork: datore di lavoro in fuga?, cit., spec.
p. 489.
259
8.2. La misura del compenso e la sua esigibilità
Un discorso in parte analogo può essere svolto in riferimento alla questione
della determinazione del compenso corrisposto ai lavoratori della gig-
economy1285, che le cronache ci insegnano essere spesso ben al di sotto dei
minimi contrattuali previsti dalla contrattazione collettiva.
Fuori dei casi di riqualificazione, infatti, il divieto in questione, per la sua
natura aperta e teleologicamente orientata, potrebbe persino – il condizionale è
d’obbligo1286– costituire una via, sia pure tortuosa1287, per garantire un compenso
minimo per i platform worker autonomi1288.
La dottrina civilistica riconosce infatti che l’abuso possa concretizzarsi
nell’eccessiva disparità economica delle prestazioni1289 e la giurisprudenza, in
tali casi, ammette la possibilità di una rimodulazione giudiziale del
corrispettivo1290, conformemente all’ampliato ruolo assegnato alla clausola
generale di buona fede oggettiva (art. 1175 e 1375 c.c.), che da criterio
meramente interpretativo-integrativo del contratto (art. 1366 c.c.) ha acquisito
anche una valenza finanche demolitorio-sostitutiva delle pattuizioni
negoziali1291.
I principi generali possono inoltre svolgere una preziosa funzione di tutela
anche rispetto a quelle clausole che autorizzano il cliente della prestazione di
rifiutarne l’accettazione, senza necessità di motivare il rifiuto, prevedendo che
1285 Il nodo dell’equo compenso per i lavoratori autonomi in generale è già stato affrontato supra,
Cap. III, sez. I, § 8 ss. 1286 M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la contrattazione
collettiva relativa al lavoro autonomo all’indomani della l. n. 81 del 2017, in WP C.S.D.L.E.
“Massimo D’Antona”.IT – 358/2018, p. 3, che ritiene improbabili balzi in avanti della
giurisprudenza. 1287 Di «spiraglio normativo» parla P.P. FERRARO, Le deleghe sulle professioni organizzate in
ordini e collegi e le proposte in discussione in materia di tariffe professionali, in G. ZILIO
GRANDI, M. BIASI, Commentario breve allo Statuto del lavoro autonomo, cit., spec. p. 341. 1288 In tal senso A. PERULLI, Il Jobs Act degli autonomi: nuove (e vecchie) tutele per il lavoro
autonomo non imprenditoriale, in RIDL, n. 2, I, p. 187; ID., Lavoro e tecnica al tempo di Uber,
in RGL, n. 2, I, p. 214. 1289 Così F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica: profili
ricostruttivi e sistematici, Esi, Napoli, 2002, p. 307, secondo cui l’abuso vietato può anche
concernere «l’eccessiva disparità economica delle prestazioni imposte alla parte debole». In tal
senso già V. PINTO, L’abuso di dipendenza economica «fuori dal contratto» tra diritto civile e
diritto antitrust, in Riv. dir. civ., 2000, II, p. 389, e A. BARBA, L’abuso di dipendenza economica:
profili generali, in V. CUFFARO (a cura di), La subfornitura nelle attività produttive, Jovene,
Napoli, 1998, p. 339. 1290 Trib. Massa 26 febbraio 2014 e Trib. Massa 15 maggio 2014, in NGCC, 2015, n. 3, pag. 218,
con nota di V. BACHELET, La clausola squilibrata è nulla per abuso di dipendenza economica e
il prezzo lo fa il giudice: note a margine di un caso pilota (p. 222 ss.) hanno ritenuto
«ingiustificatamente gravosa» la clausola di un rapporto di somministrazione di carburanti che
prevedeva che il prezzo sarebbe stato di volta in volta determinato dal gestore. 1291 E. NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo, in Riv. dir.
civ., 2005, n. 5, p. 511.
260
in tal caso nulla spetti al lavoratore1292. Se l’art. 2227 c.c. stabilisce che il
committente che receda dal contratto prima dell’esecuzione dell’opus deve
tenere indenne il lavoratore del mancato guadagno, parrebbe che a maggior
ragione non possa essere rifiutata, fuori dei casi previsti dal codice o dal
contratto, una prestazione già conclusa.
9. Le prospettive dell’intervento legislativo e la promozione della
regolamentazione di carattere collettivo
Se il tema della qualificazione del rapporto di lavoro dei platform workers
ha rappresentato l’oggetto prevalente delle attenzioni della giurisprudenza,
altrettanto non può dirsi con riferimento ai legislatori nazionali, che si sono
concentrati principalmente, almeno fino ad oggi, su un approccio di tipo diverso
alla regolazione del fenomeno.
Anziché provvedere all’introduzione di un complesso organico di regole
volte alla tutela del lavoro nell’economia delle piattaforme, pur auspicata da una
parte della dottrina1293, i legislatori sono intervenuti con norme specificamente
indirizzate alla disciplina di determinati aspetti, con particolare attenzione alla
valorizzazione delle dinamiche sindacali, da subito attentamente esaminate dalla
dottrina1294.
Sull’onda dell’esperienza positiva di alcuni modelli di aggregazione latu
sensu sindacali sviluppatisi da tempo in riferimento ad Amazon Mechanical
Turk1295, nel dicembre del 2015 che il City Council di Chicago ha approvato
un’ordinanza che ha stabilito in favore dei lavoratori inquadrati come
1292 AMT Participation Agreement, § 3, che non a caso è stato modificato nell’ottobre del 2017
nel senso di prevedere la necessità che sussista una good cause di rifiuto della prestazione
(https://www.mturk.com/participation-agreement). 1293 A. ALOISI, V. DE STEFANO, M. SILBERMAN, A Manifesto to Reform the Gig Economy, in
pagina99.it, 29 maggio 2017. 1294 Limitatamente al contesto italiano, inter alia, M. FORLIVESI, La sfida della rappresentanza
sindacale dei lavoratori 2.0, in DRI, 2016, n. 3, p. 664 ss.; ID., Interessi collettivi e
rappresentanza dei lavoratori del web, in P. TULLINI (a cura di), Web e lavoro, cit., p. 179 ss.;
A. ROTA, Il web come luogo e veicolo del conflitto collettivo: nuove frontiere della lotta
sindacale, ivi, p. 197 ss.; A. LASSANDARI, Problemi di rappresentanza e tutela collettiva dei
lavoratori che utilizzano le tecnologie digitali, in AA.VV., Il lavoro nelle piattaforme digitali,
cit., p. 59 ss.; P. TERRANOVA, Il lavoro nelle piattaforme digitali: nuove e vecchie sfide per la
contrattazione, ivi, p. 123 ss.; P. TULLINI, L’economia digitale alla prova dell’interesse
collettivo, in L&LI, 2018, n. 1, p. 1 ss.; F. MARTELLONI, Individuale e collettivo: quando i diritti
dei lavoratori digitali corrono su due ruote, ivi, p. 16 ss. 1295 Si veda l’esperienza di Turkopticon (https://turkopticon.ucsd.edu/), un software sviluppato
dalla UCSD che «helps the people in the 'crowd' of crowdsourcing watch out for each other—
because nobody else seems to be», consentendo ai lavoratori di AMT di condividere commenti
relative all’affidabilità dei requester allo scopo di evitare di incorrere in shady employers. Sul
punto M. SILBERMAN, L. IRANI, Operating an employer reputation system: lessons from
Turkoptikon, 2008-2015, in CLL&PJ, 2016, vol. 37, n. 3, p. 505 ss.
261
independent contractors il diritto di costituire organizzazioni sindacali, secondo
uno schema in parte costruito sulla falsariga del Wagner Act1296. Benché la
suddetta ordinanza sia stata impugnata avanti alla giustizia federale, sulla base
della presunta incompatibilità con la disciplina antitrust e dell’incompetenza del
livello municipale a regolare la materia, essa resta comunque estremamente
significativa, rappresentando emblematicamente un provvedimento innovativo
adottato da autorità locali di indirizzo progressista che “testano” la propria
autorità regolamentare1297.
Una tecnica in parte analoga è stata adoperata, su scala nazionale, dalla Loi
travail francese del 20151298, che ha attribuito ai «travailleurs indépendants
recourant, pour l'exercice de leur activité professionnelle, à une ou plusieurs
plateformes de mise en relation par voie électronique», in presenza di una serie
di circostanze – in primo luogo, la determinazione unilaterale del prezzo da parte
della piattaforma (implicitamente ritenuta dunque compatibile con la natura
autonoma del rapporto)1299 – una serie di diritti di natura sindacale1300, incluso il
diritto di costituire apposite organizzazioni (art. L. 7342-6) e di promuovere
azioni collettive comprendenti anche una sorta di diritto di sciopero (art. L. 7342-
5)1301.
Nello stesso senso, da noi, si erano poste nella scorsa legislatura alcune
iniziative legislative di provenienza parlamentare1302 così come l’esperienza
avviata a livello locale dall’amministrazione comunale di Bologna, che ha
promosso una «Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto
urbano»1303, applicabili «indipendentemente dalla qualificazione dei rapporti di
lavoro» (art. 1), che è stata sottoscritta dal Comune, dalla Riders Union Bologna
1296 N. WINGFIELD, M. ISAAC, Seattle Will Allow Uber and Lyft Drivers to Form Unions, in
nytimes.com, 14 dicembre 2015. 1297 W. B. LIEBMAN, A. LYUBARSKY, Crowdworkers, the Law and the Future of Work: the U.S.,
cit., p. 124. 1298 Loi n. 2016-1088 dell’8 agosto 2016, Relative au travail, à la modernisation du dialogue
social et à la sécurisation des parcours professionnels. 1299 P. ICHINO, Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, Giuffrè, Milano 1984, p. 38; R.
PESSI, Contributo allo studio della fattispecie del lavoro subordinato, Giuffrè, Milano, 1989, p.
155; A. PERULLI, Lavoro e tecnica al tempo di Uber, cit., p. 206. 1300 Sul punto V. CAGNIN, Gig-economy e la questione qualificatoria dei gig-workers: uno
sguardo oltre confine, cit. 1301 La disposizione, che non menziona il termine grève, fa riferimento ai «mouvements de refus
concerté de fournir leurs services». 1302 V. la rassegna in E. DAGNINO, Le proposte legislative in materia di lavoro da piattaforma:
lavoro, subordinazione e autonomia, in G. ZILIO GRANDI, M. BIASI (a cura di), Commentario
breve allo statuto del lavoro autonomo, cit., p. 207 ss., nonché A. SORU, Statuto del lavoro
autonomo. Il punto di vista di ACTA, associazione dei freelance, in A. PERULLI (a cura di),
Lavoro autonomo e capitalismo delle piattaforme, cit., p. 166, ove riferimenti alla proposta
Ichino di integrazione dello Statuto del lavoro autonomo (progetto di legge n. 2934/2017). 1303 Testo reperibile in
http://www.comune.bologna.it/sites/default/files/documenti/CartaDiritti3105_web.pdf.
262
e da alcune società attive nel settore, con l’assenza tuttavia dei player più
importanti1304, e che ha funto da apripista per altre iniziative, tra cui la recente
proposta di legge regionale della Giunta Regionale del Lazio1305.
Che si tratti di una linea di intervento particolarmente significativa lo ha
dimostrato anche l’esperienza di Smart, piattaforma di auto-organizzazione dei
lavoratori autonomi operativa in nove paesi europei1306, che è arrivata a
negoziare un accordo con Deliveroo, volto a garantire alcuni diritti fondamentali
ai rider1307.
In effetti, nel frastagliato contesto che si è tentato sin qui di esaminare,
caratterizzato dalla previsione di trattamenti economici e normativi
estremamente diversi – da piattaforma a piattaforma e da rider a rider –
probabilmente sono soprattutto i diretti interessati che meglio possono valutare
quali siano le esigenze di tutela meritevoli di formare oggetto di rivendicazione
e di riconoscimento.
Sullo sfondo, tuttavia, come da più parti osservato1308, si collocano sia il nodo
del potenziale contrasto delle esperienze di confronto e conflitto collettivo con
la disciplina concorrenziale europea, nei termini che si è già avuto modo di
esaminare dal punto di vista generale1309, sia l’ostacolo rappresentato
dell’indisponibilità di molte piattaforme a inserirsi nell’ambito delle dinamiche
contrattual-collettive, tale da rendere sostanzialmente inutili – in assenza di
interventi a monte sul piano della qualificazione del rapporto – iniziative pur
lodevoli come quella assunta dalle parti collettive sottoscrittrici del CCNL
Logistica e Trasporti con accordo del 18 luglio 2018, contenente apposite
previsioni a tutela dei ciclofattorini1310, le quali, tuttavia, risultano
sostanzialmente inesigibili nei confronti delle principali piattaforme, le quali non
1304 Sul punto F. MARTELLONI, Individuale e collettivo: quando i diritti dei lavoratori digitali
corrono su due ruote, cit. 1305 Proposta di legge regionale del 15 giugno 2018, «Norme per la tutela e la sicurezza dei
lavoratori digitali», testo reperibile in
http://www.regione.lazio.it/binary/rl_main/tbl_news/Norme_per_la_tutela_e_la_sicurezza_dei
_lavoratori_digitali.pdf. 1306 S. GRACEFFA, Rifare il mondo... del lavoro. Un'alternativa alla uberizzazione dell'economia,
DeriveApprodi, Roma, 2017, p. 101 ss. e, per approfondimenti, supra, Cap. III, sez. III, § 5. 1307 P. ICHINO, Le conseguenze dell’innovazione tecnologica sul diritto del lavoro, in RIDL, 2017,
n. 4, I, p. 529, il quale rileva gli «ostacoli ordinamentali» che si frappongono a un’esperienza del
genere in Italia. 1308 M. BIASI, Ripensando il rapporto tra il diritto della concorrenza e la contrattazione
collettiva relativa al lavoro autonomo, cit., passim. 1309 Supra, Cap. III, sez, III, § 4. 1310 Reperibile in Ilgiuslavorista, 23 luglio 2018, con nota redazionale Riders: siglato l'accordo
tra le parti del CCNL Logistica e Trasporti che disciplina l'attività dei fattorini della Gig
economy. In particolare, l’accordo introduce due nuovi appositi livelli contrattuali per i lavoratori
addetti alla «distribuzione di merci con cicli, ciclomotori e motocicli (c.d. riders)», stabilendo
altresì alcune misure di tutela con particolare riferimento all’orario di lavoro.
263
hanno aderito all’accordo e continuano a inquadrare i rider secondo lo schema
contrattuale della collaborazione autonoma.
Da ultimo, nell’ambito delle vicende politiche che hanno visto
l’affermazione di un’inedita maggioranza parlamentare e l’insediamento di un
nuovo titolare del dicastero del lavoro, nell’estate del 2018 è circolata una bozza
di decreto recante «norme in materia di lavoro subordinato anche tramite
piattaforme digitali, applicazioni e algoritmi»1311, che, intervenendo
direttamente sull’art. 2094 c.c., avrebbe consentito di qualificare agevolmente la
gran parte dei lavoratori della gig economy come lavoratori subordinati1312.
Il testo, che mirava tra l’altro a realizzare l’integrale abrogazione dell’art. 2,
d.lgs. 81/2015, non è stato trasfuso nel corpo del c.d. decreto dignità (d.l. 12
luglio 2018, n. 87, convertito dalla l. 9 agosto 2018, n. 96)1313, sicché non è dato
sapere se il governo sia ancora intenzionato a coltivare la strada dell’intervento
hard anche dopo aver saggiato le reazioni di alcune piattaforme, che hanno
dapprima pubblicato una sorta di controproposta1314 prima di annunciare
l’abbandono del mercato italiano1315. Al momento, voci informate hanno
evidenziato come la strada da ultimo caldeggiata dal legislatore sarebbe quella
di arrivare, grazie al tavolo tecnico appositamente istituito presso il Ministero,
alla stesura di un apposito accordo collettivo in deroga (ai sensi dell’art. 2,
comma 2, d.lgs. 81/2015), anche per “disinnescare” il rischio dell’applicazione
della disciplina del lavoro subordinato1316.
1311 Testo reperibile in http://www.rivistalabor.it/decreto-dignita-tutele-riders/. 1312 L’art. 1 della bozza di decreto prevedeva espressamente che «è considerato prestatore di
lavoro subordinato, ai sensi dell’art 2094 del codice civile, chiunque si obblighi, mediante
retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale, alle
dipendenze e secondo le direttive, almeno di massima e anche se fornite a mezzo di applicazioni
informatiche, dell’imprenditore, pure nei casi nei quali non vi sia la predeterminazione di un
orario di lavoro e il prestatore sia libero di accettare la singola prestazione richiesta, se vi sia la
destinazione al datore di lavoro del risultato della prestazione e se l’organizzazione alla quale
viene destinata la prestazione non sia la propria ma del datore di lavoro». 1313 Sul punto, F. SCARPELLI, Convertito in legge il “decreto dignità”: al via il dibattito sui
problemi interpretativi e applicativi, in giustiziacivile.com, 3 settembre 2018, p. 5, il quale parla
di un’operazione «dettata più da esigenze di immagine che dalla volontà di selzionare
rappresentanze sociali efficaci ed effettive». 1314 Foodora ha giocato d’anticipo rispetto alla bozza di decreto pubblicando a sorpresa una
propria «carta dei diritti», imperniata tuttavia sulla contrattualizzazione mediante collaborazione
autonoma: cfr. L. ZORLONI, Foodora presenta la sua contro-carta dei diritti dei fattorini, in
wired.it, 29 giugno 2018. 1315 R. PIOL, Foodora lascia l'Italia: "mercato difficile, meglio vendere", in huffingtonpost.it, 3
agosto 2018. 1316 Lo riferiscono M. DEL CONTE, O. RAZZOLINI, La gig economy alla prova del giudice, cit., p.
681.
264
10. Una considerazione conclusiva
È oltremodo difficile fornire delle compiute conclusioni rispetto a un
fenomeno recente e in continua evoluzione, che vede pressoché quotidianamente
la nascita e la morte di nuove e vecchie piattaforme, la trasformazione dei
modelli organizzativi e contrattuali, gli interventi, spesso eterogenei, di giudici
e legislatori d’ogni parte del mondo.
Nel corso del capitolo si è cercato di mettere in luce come siano molteplici i
possibili approcci per ovviare alla condizione di sottoprotezione dei lavoratori
delle piattaforme: la riqualificazione del rapporto, con tutte le conseguenze che
ne derivano, rappresenta senz’altro uno strumento potente, ma sconta le
difficoltà messe in luce dal contenzioso italiano e presuppone l’attivazione di
una parte – il lavoratore – che è spesso restia ad affrontare i costi e le alee del
processo; la valorizzazione della nuova disciplina del lavoro autonomo e degli
strumento del diritto civile di seconda generazione può svolgere un ruolo
importante, ma non pare da solo in grado di apprestare una tutela esauriente delle
condizioni contrattuali e presenta in ogni caso tutte le debolezze proprie delle
soluzioni di carattere interpretativo; gli interventi legislativi richiedono un
consenso politico di fondo, spesso mancante, e possono essere valutati solo nel
medio e lungo periodo; gli strumenti di lotta collettiva sono preziosi, ma
scontano un contesto in cui si registra la progressiva perdita di forza e di
legittimazione del sindacato tradizionale, non compensata dall’affermazione di
nuove forme di rappresentanza sindacale.
Pare dunque che solo un approccio capace di articolarsi
contemporaneamente lungo tutte queste linee di intervento possa ambire a
realizzare l’obiettivo della più efficace tutela per i lavoratori che si dibattono nel
capitalismo delle piattaforme.
265
NOTE CONCLUSIVE
Giunti ormai all’epilogo della trattazione – e con esso di un percorso umano,
prima ancora che professionale, durato tre anni intensi e appassionati – il
compito di tirare le fila del discorso si presenta arduo e ingrato, al punto che
verrebbe la tentazione di scansarlo, magari adducendo il carattere
autoconclusivo delle diverse partizioni in cui si suddivede il presente lavoro.
Tale “scusa”, peraltro, non sarebbe del tutto pretestuosa, posto che
effettivamente su molte delle questioni che sono state affrontate le rispettive
conclusioni sono state già rassegnate al termine del relativo esame.
Non si ritiene quindi proficuo dilungarsi qui nel ripetere quanto si è già avuto
modo di sostenere, con maggiore dovizia di argomenti e di riferimenti, in
relazione ad alcuni punti qualificanti della presente trattazione.
Ci si limiterà quindi a svolgere alcuni richiami, a beneficio del lettore, per
rilevare conclusivamente:
– come debba ritenersi ancora di perdurante attualità, nonostante
l’inarrestabile processo di trasformazione che investe i modi di lavorare e
produrre, la summa divisio lavoro autonomo / lavoro subordinato rispetto alla
quale parrebbe doversi registrare un approccio abbastanza conservatore della
giurisprudenza, nonostante le sollecitazioni provenienti da una parte della
dottrina;
– come tale primo confine esterno della fattispecie «lavoro autonomo» tenda
oggi a traslarsi lungo la nuova linea di confine intercorrente tra l’etero-
organizzazione e il coordinamento, imperniata sulla sussistenza o meno del dato
dell’autonomia organizzativa del prestatore, che può considerarsi genuinamente
autonomo solo nella misura in cui sia davvero, per usare le parole di Fernando
Pessoa, «padrone delle sue ore, nel tempo diurno della sua vita»;
– come, in riferimento al secondo confine esterno della fattispecie, l’attributo
«non imprenditoriale», adoperato dal legislatore per individuare l’ambito di
applicazione delle nuove tutele del lavoro autonomo, non debba essere inteso nel
senso di escludere dal novero dei beneficiari dello Statuto i professionisti che
facciano un ricorso limitato e strumentale a un’organizzazione di mezzi e di
lavoro altrui, a pena di circoscrivere eccessivamente l’ambito di applicazione
oggettivo della novella;
– come l’approccio univeralistico adottato dal legislatore della l. 81/2017 sia
foriero di vantaggi e di svantaggi, dovendosi sottolineare in particolare come
l’efficacia protettiva delle disposizioni che disegnano quella che si è definita la
tutela contrattuale del lavoro autonomo, modellata in gran parte sugli schemi di
tutela civilistica del contraente debole, dipenderà in gran parte
dall’interpretazione che si vorrà dare delle nuove clausole aperte previste dalla
266
legge (in primis, del divieto di abuso di dipendenza economica), anche per
riempire gli spazi di tutela lasciati vuoti dal legislatore, come in tema di equo
compenso;
– come le novità in materia previdenziale non possano dirsi ancora
rispondenti alle esigenze provenienti dal frastagliato mondo del lavoro
autonomo, complice la perdurante esistenza di un complesso normativo
articolato e spesso indecifrabile, ben lontano dal costituire un corpus unitario;
– come sia necessaria una precisazione sull’operatività delle tutele di
carattere collettivo, le quali, soprattutto in riferimento al mondo delle
collaborazioni coordinate e continuative, dovrebbero essere dal legislatore
salvaguardate e incoraggiate, anche a costo di disattendere le indicazioni di
segno proibizionista provenienti da una letture rigorose del diritto europeo della
concorrenza;
– come la sfida del lavoro mediante piattaforma digitale rappresenti un
formidabile banco di prova per saggiare le potenzialità applicative delle
disposizioni statutarie, soprattutto in relazione alla tutela contrattuale, dovendosi
quindi rifuggire l’equivoco per cui fuori dai capaci fianchi del lavoro subordinato
non vi sarebbe alcuna tutela del facere per altri.
Di fronte al piccolo “sisma” determinato dall’intreccio delle novità apportate
dal d.lgs. 81/2015 e dalla l. 81/2017 occorrerà attendere gli sviluppi della
giurisprudenza, e, in generale, della comunità degli interpreti, studiosi e
operatori, per verificare se, al di là dei buoni propositi, possa dirsi realizzato
l’intento del legislatore di disegnare una tutela realmente efficace per il lavoro
autonomo, nella consapevolezza che l’imperativo costituzionale di tutelare il
lavoro «in tutte le sue forme e applicazioni» impone di configurare l’esistenza
«un nucleo centrale di ampio respiro che giustifichi e la denominazione e i limiti
di un diritto del lavoro che non ripudia da sé i lavoratori autonomi; un nucleo
intorno al quale deve ruotare tutto l’ordinamento giuridico del lavoro e che
informa di sé i vari istituti, pur senza livellarli entro un unico schema o legarli a
uno stesso principio, ma anzi presentandoli differenziati, a seconda che debbano
rispondere alle diverse esigenze dei rapporti economico-sociali, cosicché si
possano considerare germinati da un unico tronco» (C. LEGA, Il diritto del lavoro
e il lavoro autonomo, in Dir. lav., 1950, I, p. 120).
267
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ss.
309
INDICE DELLA GIURISPRUDENZA CITATA
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
Corte cost. 27 luglio 2018, n. 180, in cortecostituzionale.it.
Corte cost. 7 maggio 2015, n. 76, tra l’altro in Giur. cost., 2015, n. 3, p. 680, con nota di E.
GHERA, La Corte alle prese con una norma di dubbia compatibilità con il c.d. principio
di "indisponibilità del tipo" (p. 690 ss.); in ADL, 2016, n. 2, p. 318, con nota di S.
BERTOCCO, Indisponibilità del tipo legale tra certezze della giurisprudenza e nuovi
orientamenti dogmatici; in RGL, 2016, n. 1, II, p. 10, con nota di G. FERRARO, La Corte
costituzionale nel vortice delle teorie della subordinazione.
Corte cost. 30 aprile 2015, n. 70, tra l’altro in Giur. It., 2015, n. 5, p. 1177, con nota di M.
PERSIANI, Perequazione automatica e adeguatezza delle pensioni. Ancora incertezze su
adeguatezza e proporzionalità delle prestazioni pensionistiche.
Corte cost. 6 ottobre 2014, n. 228, tra l’altro in Riv. dir. trib., 2014, n. 6, II, p. 250, con nota di
E. ARTUSO, Finalmente dichiarata incostituzionale la presunzione “prelevamento =
compenso” per i professionisti: prime osservazioni a caldo.
Corte cost. 22 novembre 2012, n. 257, in GCost, 2013, n. 1, p. 490, con nota di R. PESSI, Alcuni
aggiustamenti della Consulta sul riconoscimento dell'indennità di maternità “piena” alle
lavoratrici autonome.
Corte cost. 19 marzo 2002, n. 70, in cortecostituzionale.it.
Corte cost. 15 maggio 2001, n. 133, in cortecostituzionale.it.
Corte cost. 29 gennaio 1998, n. 3, tra l’altro in RIDL, 1998, II, p. 226, con nota critica di G.
PERA, Indennità di maternità senza danno?
Corte cost. 18 luglio 1997, n. 248, tra l’altro in Foro it., 1997, I, c. 2755, con nota redazionale.
Corte cost. 27 maggio 1996, n. 171, tra l’altro in RGL, 1997, n. 1, II, p. 61 ss., con nota di L.
MENGHINI, L'astensione dalle udienze da parte degli avvocati e il problema
dell'estensibilità del diritto di sciopero oltre il limite della subordinazione, e in Giust.
Civ., 1996, n. 9, I, p. 2188, con nota di G. PERA, Sullo sciopero degli avvocati.
Corte cost. 5 febbraio 1996, n. 30, oggi anche in L. MENGONI, Contratto di lavoro, a cura di M.
NAPOLI, Vita e pensiero, Milano, 2004, p. 149.
Corte cost. 24 luglio 1995, n. 365, in Giur. cost., 1995, p. 2708.
Corte cost. 19 gennaio 1995, n. 18, tra l’altro in D&L, 1995, n. 3-4, II, p. 327, con nota di V.M.
MARINELLI, La Corte Costituzionale estende il riscatto dei contributi prescritti anche ai
collaboratori dell'artigiano.
Corte cost. 21 aprile 1994, n. 150, tra l’altro in MGL, 1994, n. 3, p. 297, con nota di S. SAETTA,
Sui limiti della tutela costituzionale del lavoratore padre.
Corte cost. 31 marzo 1994, n. 115, tra l’altro in RIDL, 1995, II, p. 227, con nota di A. AVIO, La
subordinazione ex lege non è costituzionale.
Corte cost. 31 marzo 1994, n. 114, in Il nuovo diritto, 1994, II, p. 620, con nota di M. NUNZIATA,
Sciopero degli avvocati e mancata sospensione dei termini di prescrizione dei reati:
rilevante presa di posizione del “giudice delle leggi”.
Corte cost. 2 aprile 1993, n. 181, in RIDL, 1994, II, p. 38, con nota di G.L. PINTO, Lavoratrici
autonome e indennità giornaliera di maternità.
Corte cost. 29 marzo 1993, n. 121, tra l’altro in Foro it., 1993, I, c. 2432.
Corte cost. 5 febbraio 1986, n. 31, tra l’altro in DL,1986, II, p. 314, con nota di G. VENETO, L.
COPPOLA, Legittimità costituzionale della diversità di trattamento minimo pensionistico
tra lavoratori autonomi e subordinati (p. 324 ss.).
Corte cost. 26 maggio 1981, n. 76, tra l’altro in Foro it., 1981, I, c. 1779.
Corte cost. 10 maggio 1978, n. 65, tra l’altro in Riv. dir. civ., 1978, II, p. 586, con nota di C.A.
JEMOLO, Contro il lavoro autonomo.
Corte cost. 19 febbraio 1976, n. 29, in Foro it., 1976, I, c. 508.
Corte cost. 17 dicembre 1975, n. 241, in RGL, 1975, II, p. 977, con osservazioni di F.F.
310
Corte cost. 8 luglio 1975, n. 222, in Foro it., 1975, I, c. 1569, con nota di richiami, e in RGL,
1975, II, p. 981, con nota di P. GIORDANO.
Corte cost. 27 dicembre 1974, n. 290, tra l’altro in Dir. lav., 1974, II, p. 397, con nota di G. PERA,
La Corte costituzionale e lo sciopero politico.
Corte cost. 20 maggio 1970, n. 75, in Giur. cost., 1970, p. 1014.
Corte cost. 23 aprile 1965, n. 30, in Giur. cost., 1965, p. 283, con nota di D. SERRANI, Brevi note
in tema di libertà contrattuale e principi costituzionali.
Corte cost. 7 luglio 1964, n. 75, in GCost, 1964, p. 751, e in RTDPC, 1973, p. 1643, con nota di
P. PALAZZO, La prestazione d’opera professionale e l’art. 36 della Costituzione.
GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Cass. Sez. Un. 20 gennaio 2017, n. 1545, in RIDL, 2017, n. 3, II, p. 538, con nota di S. NAIMOLI,
Il rapporto tra amministratore e società di capitali: la svolta "antilavorista" delle Sezioni
Unite, e in RGL, 2017, n. 3, p. 399, con nota di S. BOLOGNA, Sulla natura giuridica del
rapporto tra amministratore e società per azioni.
Cass. Sez. Un. 10 maggio 2016, n. 9451, in Foro it. 2016, 9, I, c. 2813, con nota di A.M.
PERRINO, In tema di imposta regionale sulle attività produttive.
Cass. Sez. Un. 25 novembre 2011, n. 24906, tra l’altro in Foro It., 2012, I, c. 805, nonché in
NGCC, 2012, I, p. 298, con nota di V.C. ROMANO, La natura della responsabilità da
abuso di dipendenza economica tra contratto, illecito aquiliano e culpa in contrahendo.
Cass. Sez. Un. 30 giugno 1999, n. 379, in GCM, 1999, p. 1517.
Cass. Sez. Un. 14 dicembre 1994, n. 10680, in Foro it., 1995, n. 5, I, c. 1486, con nota
redazionale.
Cass. Sez. Un. 16 gennaio 1986, n. 224, in Foro it., 1986, I, c. 1575, con nota redazionale.
Cass. Sez. Un. 14 marzo 1961, n. 579, in Foro it., 1961, n. 3, I, c. 399, con nota redazionale.
GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI SEMPLICI DELLA CORTE DI CASSAZIONE
(in assenza di diversa indicazione le pronunce si intendono riferite alla Sezione Lavoro)
Cass. 14 giugno 2018, n. 18643, in DeJure.
Cass., sez. II, 4 giugno 2018, n. 14292, in DeJure, con titolo redazionale I criteri normativamente
previsti per la quantificazione degli onorari degli ausiliari del magistrato non si pongono
in contrasto con l'art. 36 Cost.
Cass., sez. VI, 16 maggio 2018, n. 12027, in DeJure, con titolo redazionale IRAP: nell’attività
artistica è presunto l’uso delle sole proprie capacità, pertanto avvalersi di un agente non
accerta di per sé l’autonoma organizzazione.
Cass., sez. VI, 19 aprile 2018, n. 9786, in DeJure, con titolo redazionale IRAP: condizioni ai fini
della sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione.
Cass. 27 marzo 2018, n. 7587, in DeJure.
Cass. 14 marzo 2018, n. 6324, in DeJure, con titolo redazionale Esclusi i benefici del contratto
di riallineamento al libero professionista non imprenditore.
Cass. 13 febbraio 2018, n. 3457, in DeJure.
Cass. 2 gennaio 2018, n. 1, in Foro it., 2018, n. 2, I, c. 492.
Cass., sez. VI, 15 dicembre 2017, n. 30286, in DeJure, con titolo redazionale Il Giudice deve
indicare i parametri di liquidazione solo in caso di scostamento apprezzabile dai valori
medi della tabella ministeriale.
Cass., sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 29925, in DeJure.
Cass., sez. VI, 27 novembre 2017, n. 28190, in D&G, 27 novembre 2017, con titolo redazionale
Ha natura subordinata l'attività svolta in call center con strumenti aziendali, in orari
prestabiliti e con obiettivi minimi da raggiungere.
311
Cass. 16 ottobre 2017, n. 24379, in DeJure, con titolo redazionale Nozione di specifico progetto
ex art. 61, dlgs 276/2003: apertura di un nuovo punto vendita di scarpe d’alta moda
diverse dall’ordinaria produzione.
Cass. 13 ottobre 2017, n. 24193, in DeJure.
Cass. 11 ottobre 2017, n. 23846, in D&G, 12 ottobre 2017, con titolo redazionale Lavoro
subordinato, in taluni casi l'assoggettamento al potere direttivo del datore va affiancato
da altri criteri.
Cass. 3 ottobre 2017, n. 23056, in RGL, 2018, n. 1, II, p. 11, con nota di O. LA TEGOLA,
L’eterodirezione della prestazione come criterio selettivo della subordinazione.
Cass. 2 ottobre 2017, n. 22984, in D&G, 3 ottobre 2017, con titolo redazionale La subordinazione
consiste nell'assoggettamento della prestazione lavorativa al potere di disposizione del
datore di lavoro.
Cass. 21 luglio 2017, n. 18018, in Foro it., 2017, 10, I, c. 3021.
Cass. 4 luglio 2017, n. 16377, in DeJure, con titolo redazionale Pizza a domicilio: il rapporto di
lavoro tra pizzeria e fattorini è subordinato se la prestazione è effettuata secondo le
esigenze organizzative della società.
Cass. 13 giugno 2017, n. 14660, in DeJure.
Cass. 3 maggio 2017, n. 10685, in ADL, 2017, n. 6, p. 1568, con nota di S. D’ASCOLA, Sul
rapporto di lavoro del collaboratore fisso.
Cass. 28 aprile 2017, n. 10583, in DeJure.
Cass. 24 aprile 2017, n. 10189, in DeJure, con titolo redazionale Rapporto di lavoro dei medici
incaricati presso gli istituti di prevenzione e di pena per le esigenze del servizio di guardia
medica.
Cass. 10 aprile 2017, n. 9157, in DeJure.
Cass., sez. II, 4 aprile 2017, n. 8700, in DeJure.
Cass., sez. III, 23 marzo 2017, n. 7410, in Giur. it., 2018, n. 2, p. 330, con nota di M. TICOZZI,
Gli obblighi informativi del professionista sono obbligazioni di risultato.
Cass. 17 agosto 2016; n. 17127, in DeJure, con titolo redazionale Lavoro a progetto: la mancata
specificazione di un progetto ne comporta la conversione in rapporto di lavoro
subordinato e indeterminato.
Cass. 3 agosto 2016, n. 16210, in D&G, 4 agosto 2016, con nota di M. TONETTI, La
subordinazione nei lavori creativi.
Cass., sez. VI, 29 luglio 2016, n. 15805, in DeJure, con titolo redazionale Il giudice può decidere
il compenso dell’attività professionale "non protetta" basandosi sulle tariffe di analoghe
prestazioni professionali "protette".
Cass. 15 giugno 2016, n. 12330, in DeJure.
Cass. 17 maggio 2016, n. 10048, in D&G, 18 maggio 2016, con nota di M. CORRADO, Quella
del settore giornalistico non è una subordinazione come le altre.
Cass. 16 maggio 2016, n. 10004, in Foro it., 2016, n. 7-8, I, c. 2416.
Cass. 11 maggio 2016, n. 9681, in DeJure.
Cass., Sez. I, 10 maggio 2016, n. 9463, in GDir., 2016, n. 36, p. 78.
Cass. 24 febbraio 2016, n. 3647, in DeJure.
Cass., sez. trib., 30 dicembre 2015, n. 2606, in DeJure.
Cass., sez. VI, 22 dicembre 2015, n. 25804, in DeJure.
Cass., sez. II, 6 novembre 2015, n. 22701
Cass., sez. IV, 4 novembre 2015, n. 22584, in DeJure.
Cass. 29 gennaio 2015, n. 1692, in Ilgiuslavorista, 21 maggio 2015, con nota di A. SIMONETTI,
Associazione in partecipazione: autonomia e subordinazione, requisiti.
Cass. 22 gennaio 2015, n. 1178, in RIDL, 2015, n. 3, II, p. 684, con nota di F. GADALETA, In
tema di prova dell’eterodirezione: mansioni ed indici della subordinazione.
Cass. 26 settembre 2014, n. 20367, in DeJure.
Cass., sez. II, 7 maggio 2014, n. 9897, in DeJure.
Cass., sez. II, 21 febbraio 2014, n. 4195, in DeJure.
Cass. 9 gennaio 2014, n. 290, in Lav. giur., 2014, n. 4, p. 406, con nota di G. TREGLIA, Lavoro
giornalistico e subordinazione.
312
Cass., sez. I, 13 dicembre 2013, n. 27919, in DeJure.
Cass., sez. II, 29 novembre 2013, n. 26856, in DeJure.
Cass. 26 agosto 2013, n. 19568, in Pluris.
Cass. 6 agosto 2013, n. 18710, in DeJure.
Cass. 19 luglio 2013, n. 17718, in DeJure.
Cass. 26 giugno 2013, n. 16092, in D&G, 27 giugno 2013, con nota di M. SCOFFERI, L'avvocato,
ancorché strutturato, non è mai imprenditore.
Cass. 4 dicembre 2012, n. 21715, in DeJure.
Cass., sez. II, 14 agosto 2012 n. 14510, in GCM, 2012, n. 7-8, p. 1038.
Cass. 15 maggio 2012, n. 7517, in Giust. civ., 2013, n. 5-6, I, p. 1098, con nota redazionale.
Cass., sez. VI, 29 dicembre 2011, n. 29837, in DeJure.
Cass. 27 dicembre 2011, n. 28982, in DeJure.
Cass. 2 dicembre 2011, n. 25811, in DeJure.
Cass. 16 agosto 2001, n. 11140, in Giust. civ., 2003, I, p. 2589, con nota di E. BAGIANTI, Sulla
prescrizione dei contributi previdenziali dei liberi professionisti.
Cass., sez. VI, 21 aprile 2011, n. 9273, in GCM, 2011, n. 4, p. 650.
Cass. 14 febbraio 2011, n. 3594, in Foro it., 2011, n. 10, I, c. 2788.
Cass. 20 gennaio 2011, n. 1238, in DeJure.
Cass., sez. trib., 13 ottobre 2010, n. 21122, in Riv. dir. trib., 2011, 2, II, p. 83, con nota di F.
ODOARDI, Esclusa l'Irap per i piccoli imprenditori: spunti per una nuova lettura del
presupposto impositivo.
Cass., sez. II, 2 settembre 2010, n. 10914, in D&L, 2010, n. 4, p. 1131, con nota di F. CAPURRO,
Ancora sulla qualificazione del contratto d’appalto.
Cass. 5 agosto 2010, n. 18271, in MGL, 2011, p. 153.
Cass., sez. II, 21 maggio 2010, n. 12519, in GCM, 2010, n. 5, p. 794.
Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728, in GCM, 2010, n. 2, p. 167.
Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, tra l’altro in Foro it., 2010, n. 1, I, c. 85, con nota di A.
PALMIERI, R. PARDOLESI, Della serie “a volte ritornano”: l'abuso del diritto alla riscossa
(c. 95 ss.).
Cass. 15 giugno 2009, n. 13858, in Lav. giur., 2009, n. 11, p. 1167.
Cass. 9 febbraio 2009, n. 3113, in Lav. giur., 2009, n. 6, p. 624.
Cass., sez. II, 29 dicembre 2008, n. 30407, in GDir. 2009, n. 15, p. 57.
Cass. 15 ottobre 2008, n. 28718, in GCM, 2009, n. 2, p. 304.
Cass. 20 luglio 2007, n. 16134, in GCM, 2007, n. 7-8.
Cass. 18 aprile 2007, n. 9264, in Foro it., 2007, n. 10, I, c. 2726, con nota di V. FERRARI, Rischio
contrattuale e alea nella qualificazione non giuslavoristica delle prestazioni di lavoro.
Cass. sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3680, in Foro it., 2007, 3, I, c. 726.
Cass., sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3676, 3677, entrambe in GCM, 2007, n. 2.
Cass. 16 gennaio 2007, n. 820, in RGL, 2007, II, p. 658 ss., con nota di A. ALLAMPRESE,
Subordinazione e doppia alienità: la Cassazione batte un colpo.
Cass. 28 dicembre 2006, n. 27576, in DeJure.
Cass. 9 ottobre 2006, n. 21646, in RGL, 2007, n. 2, II, p. 144, con nota di M. ROCCELLA,
Spigolature in tema di subordinazione. Lo strano caso del sig. B (p. 131 ss.).
Cass. 11 maggio 2005 n. 9894, in GCM, 2005, n. 5.
Cass., sez. II, 6 maggio 2005, in GCM, n. 9503, in GCM, 2005, n. 5.
Cass. 5 maggio 2005, n. 9343, in GCM, 2005, n. 5.
Cass. 23 dicembre 2004, n. 23897, in Lav. giur., 2005, p. 486.
Cass. 21 ottobre 2000, n. 13941, in NGL, 2001, p. 154.
Cass. 7 ottobre 2004, n. 20002, in Foro it., 2005, I, c. 2429.
Cass. 1 settembre 2004, n. 17564, in GCM, 2004, n. 9.
Cass. sez. trib., 22 luglio 2004, n. 13677, in DeJure.
Cass. 21 maggio 2004, n. 9764, MGC, 2004, p. 5.
Cass. 25 ottobre 2003, n. 16059, in GCM, 2003, n. 10.
Cass. 26 agosto 2003, n. 12517, in DeJure.
Cass. 7 marzo 2003, n. 3471, in GCM, 2003, n. 4, p. 490.
313
Cass. 19 aprile 2002, n. 5698, in Lav. giur., 2002, n. 12, p. 1164, con nota di G. GIRARDI,
Requisiti per la sussistenza del rapporto di subordinazione.
Cass. 6 luglio 2001, n. 9167, in RIDL, 2002, II, p. 273, con nota di M. AGOSTINI, Subordinazione
e metodi di qualificazione del rapporto.
Cass., sez. II, 23 maggio 2000 n. 6732, in GCM, 2000, p. 1095.
Cass. 6 maggio 2000, n. 5738, in D&G, 2000, n. 19, p. 73.
Cass. 2 maggio 2000, n. 5467, in Corr. giur., 2000, n. 8, p. 1029, con nota di F. DI CIOMMO,
L'abuso di potere del preponente nel rapporto di agenzia.
Cass. 1 luglio 1999, n. 6761, in GCM, 1999, p. 1535.
Cass. 8 agosto 1998, n. 7799, in Leggiditalia.
Cass. 24 luglio 1998, n. 7288, in DPL, 1999, p. 211.
Cass. 20 maggio 1997, n. 4504, in OGL, 1998, I, p. 64, con nota di V. POMARES, Clasuola
“cliente direzionale”: una presa di posizione della Corte di cassazione.
Cass., Sez. pen., 27 febbraio 1997, in Cass. pen., 1998, n. 2, p. 456, con nota di P. DI NICOLA,
G. GUZZETTA, “Esercizio del diritto” e suo abuso. L'astensione degli avvocati tra
disciplina costituzionale e ordinamento penale.
Cass. 15 maggio 1996, n. 4501, in DeJure.
Cass. 16 gennaio 1996, n. 326, in Rep. Foro it., 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 416.
Cass. 2 marzo 1995, n. 2426, in NGL, 1995, p., 529.
Cass. 18 novembre 1994, n. 9775, in Foro it., 1995, n. 5, I, c. 1487, con nota redazionale.
Cass. 17 novembre 1994, n. 9718, in Inf. prev., 1995, p. 108.
Cass. 11 agosto 1994, n. 7374, in RIDL, 1995, II, p. 480, con nota di A. LASSANDARI,
Qualificazione del rapporto di lavoro, oneri probatori e rilievo della volontà della parti
(p. 483 ss.).
Cass. 19 maggio 1994, n. 4918, in Foro it., 1995, n. 5, I, c. 1488.
Cass. 14 luglio 1993, n. 7796, in RIDL, 1994, II, p. 317, con nota di L. NOGLER, Forza
contrattuale delle parti e qualificazione del rapporto di lavoro del direttore generale di
una s.p.a. con società collegate.
Cass. 25 gennaio 1993, n. 811, in RIDL, 1993, II, p. 425, con nota redazionale.
Cass. 10 luglio 1991, n. 7608; in Giust. civ., 1992, I, p. 108, con nota di L. NOGLER, Osservazioni
su accertamento e qualificazione del rapporto di lavoro, e in RIDL, 1992, II, p. 370, con
nota di B. VIGANÒ, Sulla subordinazione la giurisprudenza di merito si allinea con quella
di Cassazione.
Cass. 15 aprile 1991, n. 4030, in Mass. giur. it, 1991.
Cass. 26 agosto 1990, n. 10382, in Leggiditalia.
Cass. 27 aprile 1990, n. 3532, in GCM, 1990, n. 4.
Cass. 3 aprile 1990, n. 2680, in RGL, 1991, II, p. 196
Cass. 16 luglio 1987, n. 6284, GCM, 1987, n. 7.
Cass. 19 maggio 1987, n. 4565, GCM, 1987, n. 5.
Cass. 25 febbraio 1987, n. 2011, GCM, 1987, n. 2.
Cass. 3 giugno 1985, n. 3310, in Giur. it., 1986, n, 1, I.
Cass. 21 febbraio 1985, n. 1580, in RIDL, 1985, II, p. 551, con osservazioni di S. MENCHINI.
Cass. 20 aprile 1983 n. 2728, in RIDL, 1984, II, p. 302.
Cass., sez. I, 28 aprile 1982, n. 2645, in GCM, 1982, n. 4.
Cass. 14 novembre 1980, n. 6102, in Rep. Foro it., 1980, voce Lavoro e previdenza
(controversie), n. 216.
Cass. 22 dicembre 1978, n. 6167, in Rep. Foro it., 1978, voce Competenza civile, n. 203.
Cass. 29 giugno 1978, n. 3278, in Foro it., 1978, I, c. 1626.
Cass. 22 luglio 1976, n. 2906, in Foro pad., 1976, I, p. 146.
Cass. 5 novembre 1975, Zoppo, in Foro it., Rep. 1976, voce Sciopero, n. 24
Cass. 4 luglio 1963, n. 1796, in MGC, 1963, p. 852.
Cass. 21 febbraio 1963, n. 590, RDL, 1963, II, p. 122.
Cass. 9 luglio 1959, n. 2212, in RGL, 1959, II, p. 543
Cass., sez. III pen., 24 maggio 1951, Corpaci, in Foro it., 1951, II, c. 178.
314
GIURISPRUDENZA DI MERITO
Trib. Milano 10 settembre 2018, n. 1853, inedita.
Trib. Torino 7 maggio 2018, n. 778, integrale in RIDL, 2018, n. 2, II, p. 283, con nota di P.
ICHINO, Subordinazione, autonomia e protezione del lavoro nella gig-economy (p. 294
ss.), ma anche in Lav. giur., 2018, n. 7, p. 721 ss., con nota di G. RECCHIA, Gig Economy
e dilemmi qualificatori: la prima sentenza italiana; in Ilgiuslavorista, 20 luglio 2018, con
nota di F. MEIFFRET, La natura autonoma (?) del rapporto di lavoro dei riders di
Foodora.
Trib. Bari 20 aprile 2018, in Ilgiuslavorista, 28 giugno 2018, con osservazioni di S. APA, Criteri
rivelatori della natura subordinata del rapporto di lavoro.
Trib. Roma 12 marzo 2018, n. 1841, in DeJure.
Trib. Novara 9 gennaio 2018, n. 125, in DeJure.
Trib. Cuneo 13 dicembre 2017, n. 280, in DeJure.
Trib. Bari 4 ottobre 2017, n. 8041, in DeJure.
Trib. Monza 28 settembre 2017, n. 385, inedita a quanto consta.
Trib. Milano 8 settembre 2017, n. 20146, in DeJure.
Trib. S. Maria Capua Vetere, 13 luglio 2017, n. 2029, in DeJure.
Trib. Venezia 27 giugno 2017, n. 404, in DeJure.
Trib. Roma 25 maggio 2017, in Foro it., 2017, I, c. 2082, con osservazioni di M. CAPUTI (c. 2139
ss.).
Trib. Roma 8 maggio 2017, n. 4219, in DeJure.
Trib. Roma 3 maggio 2017, n. 4117, in DeJure.
Trib. Forlì 11 aprile 2017, n. 133, in DeJure.
Trib. Roma 7 aprile 2017, in Foro it., 2017, I, c. 2082, con osservazioni di M. CAPUTI (c. 2139
ss.).
Trib. Torino 24 marzo 2017, in Foro it., 2017, I, c. 2082, con osservazioni di M. CAPUTI (c. 2139
ss.).
Trib. Milano 11 marzo 2017, n. 740, in DeJure.
Trib. Chieti 9 febbraio 2017, n. 15, in Ilgiuslavorista, 5 dicembre 2017, con nota di D.
FARGNOLI, Sui tre requisiti della parasubordinazione: continuità, coordinazione e
personalità.
App. Milano 31 gennaio 2017, n. 32, inedita a quanto consta.
Trib. Udine 26 gennaio 2017, n. 29, in DeJure.
Trib. Roma 24 gennaio 2017, in DeJure.
Trib. Roma 9 gennaio 2017, n. 19, in DeJure.
Trib. Udine 10 novembre 2016, n. 1306, in DeJure.
Trib. Roma 5 ottobre 2016, n. 8395, in DeJure.
Trib. Milano17 giugno 2016, in Foro it., 2016, I, c. 3636, con nota redazionale.
Trib. Bari 7 giugno 2016, n. 3349, in DeJure.
App. Milano 19 ottobre 2015, n. 653, inedita a quanto consta.
Trib. Milano 2 luglio 2015, integrale in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2015, n. 6,
p. 1068, 1053, nonché in RIDL, 2016, n. 1, I, p. 46, con nota di A. DONINI, Regole della
concorrenza e attività di lavoro nella on demand economy: brevi riflessioni sulla vicenda
Uber
Trib. Milano 25 maggio 2015, integrale in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2015, n.
6, p. 1053, nonché in RIDL, 2016, n. 1, I, p. 46, con nota di A. DONINI, Regole della
concorrenza e attività di lavoro nella on demand economy: brevi riflessioni sulla vicenda
Uber.
Trib. Vercelli 14 novembre 2014, in Foro it., 2015, I, c. 3344, con nota redazionale.
Trib. Milano17 ottobre 2014, n. 38792, in DeJure.
Trib. Milano 20 agosto 2014, in DeJure.
315
Trib. Massa 26 febbraio 2014, Trib. Massa 15 maggio 2014, entrambe in NGCC, 2015, n. 3, pag.
218, con nota di V. BACHELET, La clausola squilibrata è nulla per abuso di dipendenza
economica e il prezzo lo fa il giudice: note a margine di un caso pilota (p. 222 ss.).
Trib. Bergamo 23 dicembre 2013, n. 941, in DeJure.
Trib. Bergamo 12 dicembre 2013, in RIDL, 2014, n. 2, II, p. 439, con nota di G. CANAVESI,
L’automaticità delle prestazioni previdenziali per i lavoratori a progetto.
Trib. Bassano del Grappa 2 maggio 2013, in Giur. Comm., 2015, n. 4, II, p. 774, con nota di D.
ARCIDIACONO, Abuso di dipendenza economica e mercato rilevante. Il caso della
delocalizzazione produttiva (p. 786 ss.).
Trib. Milano 30 aprile 2013, n. 1403, in DeJure.
Trib. Modena, sez. I, 23 maggio 2012, n. 873, in DeJure.
App. Roma 31 maggio 2012, n. 2604, in DRI, 2013, n. 1, p. 173, con nota di V. MAIO, La
«posizione di garanzia» delle associazioni di categoria nelle ipotesi di astensione dal
servizio dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori.
App. Roma 29 maggio 2012, n. 3685, in RIDL, 2013, II, p. 443, con nota di A. ROTA, Dovere
d’influenza sulle astensioni collettive dal lavoro: una “maliziosa” strategia smascherata
o una rigorosa decisione?
Trib. Catanzaro 30 aprile 2012, in Dir. inf. inf., 2012, p. 1174, con nota di G. ARANGUENA.
Sospensione di un “account” su “ebay”: il contratto telematico B2B tra accettazione
“point and click” e tutela dell'accesso al mercato del commercio elettronico.
Trib. Bologna 11 aprile 2012, in ARC, 2012, n. 3, p. 35
Trib. Milano 16 febbraio 2012, in DeJure.
Trib. Napoli 19 gennaio 2011, in Assicurazioni, 2011, p. 684, con nota di E. FERRANTE, Agente
di assicurazione e recesso dell'impresa in una nuova prospettiva. Abuso di dipendenza
economica? Abuso del diritto?
Trib. Parma 20 gennaio 2011, n. 58, in DeJure.
Trib. Bari 3 novembre 2010, in ARC, 2011, n. 1, p. 36.
Trib. Forlì 27 ottobre 2010, in Foro it., 2011, I, c. 1578, con nota redazionale.
Trib. Messina 7 luglio 2010, in Dir. inf. inf., 2011, p. 118, con nota di I.P. CIMINO, Sospensione
dell'account di vendita nel marketplace di ebay, tutela del contratto e della libertà di
impresa nel commercio elettronico.
Trib. Roma 17 marzo 2010, in Foro it., 2011, I, c. 255, con osservazioni di G. COLANGELO;
Trib. Torino 12 marzo 2010, in Foro it., 2011, I, c. 271, con nota di A. PALMIERI, Abuso di
dipendenza economica: c’è ma non si vede.
Trib. Roma 19 febbraio 2010, in Foro it., 2011, I, c. 255, con osservazioni di G. COLANGELO.
Trib. Roma 30 novembre 2009, in Foro it., 2011, I, c. 256, con osservazioni di G. COLANGELO.
Trib. Roma 24 settembre 2009, in Foro it., 2011, I, c. 255, con osservazioni di G. COLANGELO.
Trib. Roma 2 settembre 2009, n. 17863, in DeJure.
Trib. Roma 5 maggio 2009, in Foro it., 2011, I, c. 255, con osservazioni di G. COLANGELO.
Trib. Roma 10 dicembre 2008, n.20118, in DRI, 2010, n. 1, p. 210, con nota di V. MAIO,
Astensione dal servizio dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori,
efficacia degli accordi di settore valutati idonei dalla Commissione di garanzia e
responsabilità per omesso esercizio del dovere di influenza sindacale.
Trib. Pisa 21 luglio 2008, in ADL, 2009, n. 3, p. 911, con nota di I. ALVINO, Il lavoro a progetto
tra individuazione della fattispecie e presunzione di subordinazione.
Trib. Roma 3 dicembre 2008, in DPL, 2009, p. 1887.
Trib. Roma 5 febbraio 2008, in Foro it., 2008, I, c. 2326.
Trib. Roma 28 maggio 2007, n. 10226, inedita a quanto consta.
Trib. Milano 5 febbraio 2007, n. 1417, in DeJure.
Trib. Milano 18 gennaio 2007, in DPL, 2007, p. 1264.
Trib. Trieste 21 settembre 2006, in Foro it., 2006, I, c. 3513, con osservazioni di G. COLANGELO
e di A. PALMIERI.
Trib. Genova 5 maggio 2006, in RIDL, 2007, n. 1, II, p. 40, con nota di S. BARTOLOTTA, Il lavoro
a progetto senza progetto: una critica all’interpretazione «morbida» dell’art. 69, d.lgs.
n. 276/2003.
316
Trib. Genova 7 aprile 2006, in ADL, 2007, n. 3, p. 736, con nota di M. MARAZZA, Il concetto di
progetto e programma di lavoro nel confronto con la giurisprudenza.
Trib. Milano 6 febbraio 2006, n. 356, inedita.
Trib. Milano 16 dicembre 2005, in ARC, 2006, n. 2, p. 46.
Trib. Ravenna 24 novembre 2005, in MGL, 2006, p. 149, con nota di G. PELLACANI, Il contratto
di lavoro a progetto al vaglio della giurisprudenza.
Trib. Torino 20 maggio 2005, in Giur. piem., 2006, n. 1, p. 95.
Trib. Torino, 5 aprile 2005, in Lav. giur., 2005, p. 660, con nota di V. FILÌ, Il lavoro a progetto
in una pronuncia pioniera della giurisprudenza di merito (p. 665 ss.).
Trib. Catania 5 gennaio 2004, in Danno e Resp., 2004, p. 426, con nota di A. PALMIERI.
Trib. Taranto 22 dicembre 2003, in Foro it., 2004, I, c. 262, con osservazioni di G. COLANGELO
Trib. Roma 5 novembre 2003, in Foro it., 2003, I, c. 3439, con osservazioni di G. COLANGELO.
Trib. Bari 2 luglio 2002, in Foro it., 2002, I, c. 3207, con nota di A. PALMIERI, Abuso di
dipendenza economica: dal “caso limite” alla (drastica) limitazione dei casi di
applicazione del divieto?.
Trib. Bari 6 maggio 2002, in Foro it., 2002, n. 7-8, I, c. 2178, con note di A. PALMIERI, Rifiuto
(tardivo) di fornitura, vessazione del proponente ed eliminazione delle alternative: un
caso limite di dipendenza economica, e di.C. OSTI, Primo affondo dell'abuso di
dipendenza economica.
Pret. Torino 12 febbraio 1996, in RIDL, 1997, II, p. 290, con nota di L. ZANOTELLI, Il caso dei
pony express ancora al centro della disputa sul metodo della qualificazione dei rapporti
di lavoro.
Pret. Napoli 1 marzo 1993, in D&L, 1993, p. 918, con nota di G. TAGLIAGAMBE, Il futuro
dell’art. 36 Cost.
Pret. Milano 7 ottobre 1988, in Foro it., 1989, II, c. 2908, con nota di M. DE LUCA, Autonomia
e subordinazione nella giurisprudenza di legittimità: la risposta della giurisprudenza alla
«sfida post-industriale», aspettando…Godot.
Trib. Milano 10 ottobre 1987, in RIDL, 1987, II, p. 688, con nota redazionale.
Pret. Milano 27 aprile 1987, in Lavoro 80, 1987, p. 1025, con nota di S. CHIUSOLO, Il lavoro
subordinato e le nuove forme di organizzazione del lavoro.
Pret. Milano 20 giugno 1986, in RIDL, 1987, II, p. 70, con nota di P. ICHINO, Libertà formale e
libertà materiale del lavoratore nella qualificazione della prestazione come autonoma o
subordinata, e in OGL, 1986, p. 978, con nota di L. SPAGNUOLO VIGORITA,
Subordinazione e impresa.
Pret. Napoli 19 aprile 1985, in L80, 1986, p. 852.
Pret. Venezia 3 luglio 1984, in L80, 1984, p. 1117.
Pret. Cagliari 17 aprile 1982, in Foro it., 1984, I, c. 879, con nota redazionale.
Pret. Bassano del Grappa 21 giugno 1979, in RGL, 1979, II, p. 1132.
App. Torino 20 luglio 1973, in Foro it., Rep. 1975, voce Sanitario, n. 322.
App. Milano 7 luglio 1961, in Rep. giust. civ., 1963, voce Lavoro (rapp. di), n. 24.
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA E TRIBUTARIA
Cons. St., sez. VI, 22 marzo 2016, n. 1164, in personaedanno.it, 24 marzo 2016, con nota di
M.A. MAZZOLA, Il Consiglio di Stato conferma la sanzione di AGCM v CNF,
Cons. St., sez. III, 16 marzo 2016, n. 1076, in giustizia-amministrativa.it.
Cons. St., sez. V, 27 gennaio 2016, n. 258, in Foro it., 2016, n. 9, III, c. 457.
Cons. St., sez. I, parere 23 dicembre 2015, n. 3586, reperibile in
https://www.taxistory.it/wordpress/2016/01/02/il-parere-del-consiglio-di-stato-n-3586-
del-23-dicembre-2015/.
TAR Lazio, sez. III bis, 30 giugno 2015, n. 8765, in giustizia-amministrativa.it.
TAR Lazio, sez. I, 7 aprile 2015, n. 5054, in giustizia-amministrativa.it.
TAR Lazio, sez. III bis, 7 agosto 2014, n. 8865, in giustizia-amministrativa.it.
Comm. trib. reg. Firenze, (Toscana), sez. VII, 21 novembre 2017, n. 2438, in DeJure.
317
GIURISPRUDENZA EUROPEA
CGUE 10 aprile 2018, C-320/16, Uber France SAS, in curia.eu.
CGUE 20 dicembre 2017, C-434/15, Asociación Profesional Elite Taxi vs. Uber Systems Spain,
S.L. tra l’altro in Revue des affaires européennes, 2017, p.757 s., con nota di C. CARTA,
Uber face à la compétition économique et au respect des règles de droit.
CGUE 4 dicembre 2014, C-413/13, FNV Kunsten Informatie en Media v. Staat der Nederlanden,
in RIDL, 2015, II, p. 566, con nota di P. ICHINO, Sulla questione del lavoro non
subordinato ma sostanzialmente dipendente nel diritto europeo e in quello degli Stati
membri, e in RGL, 2015, II, p. 301, con nota di S. ZITTI, Contrattazione collettiva e
concorrenza: il “prezzo” dell'armonia.
CGUE 28 febbraio 2013, C-1/12, Ordem dos Técnicos Oficiais de Contas, tra l’altro in GDir.,
2013, p. 55, con nota di M. CASTELLANETA, Professioni: sul sistema di formazione
obbligatoria gli Ordini sono tenuti a rispettare le regole antitrust. A rischio il sistema
che attribuisce al Cnf il potere di disciplinare l'aggiornamento.
CGUE 3 marzo 2011, C-437/09, AG2R Prévoyance, in Revue Lamy de la Concurrence, 2011, n.
28, p. 37, con nota di S. DESTOURS, Licéité de l’affiliation obligatoire à un régime
complémentaire de soins de santé.
CGUE 9 luglio 2009, C-319/07, 3F c. Commissione, in curia.eu.
CGUE 11 dicembre 2007, C-438/05, Viking, tra l’altro in RIDL, 2008, n. 2, II, p. 249, con nota
di M. CORTI, Le decisioni ITF e Laval della Corte di giustizia: un passo avanti e due
indietro per l'Europa sociale.
CGUE 14 dicembre 2006, C-217/05, Confederación Española de Empresarios de Estaciones de
Servicio, in Revue des contrats, 2007, p. 763, con nota di C. PRIETO, Droit spécial du
contrat. L'applicabilité de l'article 81 CE aux contrats d'agence commerciale suppose un
comportement indépendant du distributeur.
CGUE 13 gennaio 2004, C-256/01, Allonby.
CGUE 21 settembre 2000, C-222/98, Van der Woude.
CGUE 21 settembre 1999, C-67/96, Albany, in RIDL, 2000, II, p. 209, con nota di M. PALLINI,
Il rapporto problematico tra diritto della concorrenza e autonomia collettiva
nell’ordinamento comunitario e nazionale, nonché in Lav. giur., 2000, n. 1, p. 22, con
nota di A. ALLAMPRESE, Diritto comunitario della concorrenza e contratti collettivi.
CGUE 21 settembre 1999, C-115/97 a C-117/97, Brentjens, in EDP, 2000, p.171, con nota di A.
RIZZO, Fondi-pensione integrativi e regole di concorrenza.
CGUE 21 settembre 1999, C-219/97, Bokken, in curia .eu.
CGUE 16 settembre 1999, C-22/98, Becu, in Foro. it., 2000, IV, c. 525, con nota di C. BRUSCO,
La Corte di giustizia cambia opinione sul lavoro portuale?.
CGUE 24 ottobre 1995, C-266/93, Volkswagen e VAG Leasing, in curia.eu.
CGUE 14 dicembre 1989, C-3/87, Agegate, in curia.eu.
CGUE 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73, 48/73, 50/73, 54/73, 55/73, 56/73, 111/73, 113/73,
e 114/73, Coöperatieve Vereniging «Suiker Unie», in curia.eu.
GIURISPRUDENZA STRANIERA
Juzgado de lo Social de Valencia 1 giugno 2018, n. 244, testo reperibile in
https://adriantodoli.com/2018/06/04/primera-sentencia-que-condena-a-deliveroo-y-
declara-la-laboralidad-del-rider/, con commento adesivo di A. TODOLÍ SIGNES, Primera
Sentencia que Condena a Deliveroo y declara la Laboralidad del Rider.
Supreme Court of California 30 aprile 2018, n. S222732, Dynamex Operations West, Inc. v.
Superior Court of Los Angeles County, reperibile in
https://scocal.stanford.edu/opinion/dynamex-operations-west-inc-v-superior-court-
34584.
318
U.S. District Court, Northern District of California, 8 febbraio 2018, caso n. 3:15-cv-05128-JSC,
reperibile in https://www.courthousenews.com/wp-content/uploads/2018/02/grubhub-
ruling.pdf.
Cour d’Appel de Paris 22 novembre 2017, n. 16/12875, in RIDL, 2018, n. 1, II, p. 46, con nota
di A. DONINI, La libertà del lavoro sulle piattaforme digitali (p. 63 ss.).
Employment Appeal Tribunal, England and Wales, 10 novembre 2017, Case n.
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33° Vara do Trabalho do Belo Horizonte, 13 febbraio 2017, in RIDL. 2017, n. 3, II, p. 560, con
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il rapporto tra Uber e gli autisti, nonché in DRI, 2018, n. 2, p. 705, con nota di A. INGRAO,
Uberlabour: l’organizzazione “uberiana” del lavoro in Brasile e nel mondo. Il driver è
un partner di Uber o un suo dipendente? (testo integrale reperibile in
https://d2f17dr7ourrh3.cloudfront.net/wp-content/uploads/2017/02/uber-
sentenc3a7a.pdf).
Employment Tribunal, Central London, 26 ottobre 2016, Caso n. 2202551/2015, Aslam, Farrar
et al. vs. Uber et al., da noi in DRI, 2017, n. 2, p. 575, ., con nota di D. CABRELLI, Uber
e il concetto giuridico di “worker”: la prospettiva britannica (testo integrale reperibile
in https://www.judiciary.uk/wp-content/uploads/2016/10/aslam-and-farrar-v-uber-
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College van Beroep voor het bedrijfsleven 8 dicembre 2014, caso n. AWB 14/726, reperibile in
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Tribunal de Relação de Lisboa 10 ottobre 2012, in dsgi.pt.
PRASSI
Circolare Inps 18 settembre 2017, n. 139, Articolo 8, comma 10, della legge n. 81 del 22 maggio
2017- prestazioni previdenziali di malattia e di degenza ospedaliera ai lavoratori della
Gestione separata, in inps.it.
Circolare Inps 19 luglio 2017, n. 115, Articolo 7, legge 22 maggio 2017, n. 81 – Stabilizzazione
ed estensione dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa DIS-COLL. Istruzioni contabili. Variazioni al
piano dei conti, in inps.it.
319
Circolare Ministero del Lavoro 1 febbraio 2016, n. 3, D.Lgs. n. 81/2015 - "discipline organica
dei contratti di lavoro e revisione della normativa in lema di mansioni, a norma
dell'articolo I, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183" - artt. 2 e 54 -
collaborazioni coordinate e continuative - indicazioni operative per il personale
ispettivo, in DeJure.
Risposta a interpello 27 gennaio 2016, n. 6, Art. 9, D.lgs. n. 124/2004 - Sport dilettantistico -
Discipline sportive associate ed enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI -
Ambito di applicazione art. 2, comma 2 lett.d), D.lgs. n. 81/2015, in DeJure.
Risposta a interpello 20 gennaio 2016, n. 5, Art. 9, D.lgs. n. 124/2004 - Applicazione art. 2,
comma 1, D.lgs. n. 81/2015 - Rapporti di collaborazione degli intermediari assicurativi,
in DeJure
Risposta a interpello del 22 dicembre 2015, n. 31, Art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - Accesso DIS-
COLL - art. 15, D.Lgs. n. 22/2015, in DeJure.
Risposta a interpello del Ministero del lavoro 15 dicembre 2015, n. 27, Art. 9, D.lgs. n. 124/2004
- Applicazione art. 2, comma 2, D.lgs. n. 81/2015, in DeJure.
Provvedimento AGCM 22 ottobre 2014, n. 25154, Condotte restrittive del CNF, in agcm.it
Regolamento Consiglio Nazionale Forense 16 luglio 2014, n. 4, Norme per l’istituzione e le
modalità di tenuta dell’elenco delle associazioni forensi maggiormente rappresentative,
in consiglionazionaleforense.it.
Nota Ministeriale 3 dicembre 2008, n. 17286, Collaborazioni coordinate e continuative nella
modalità a progetto e attività dei call center. Richiesta di chiarimenti dell’Istituto
nazionale di previdenza sociale in merito alla corretta applicazione delle circolari n.
1/2004, n. 17/2006 e n. 4/2008, in adapt.it.
Circolare Agenzia delle Entrate 13 giugno 2008, n. 45/E, IRAP - assoggettabilità all'imposta
degli esercenti arti e professioni - giurisprudenza della Corte di cassazione - istruzioni
operative, in S24.
Circolare 31 marzo 2008, n. 8, D. L. n. 248/2007 conv. da L. n. 31/2008 e c.p.c. art. 1 commi
1202 e ss.. L. n. 296/2006 trasformazione dei rapporti di collaborazione chiarimenti
interpretativi, in nidil.cgil.it.
Circolare Ministero del Lavoro 14 giugno 2006, n. 17, Disciplina delle collaborazioni
coordinate e continuative nella modalità c.d. a progetto. Call center. Attività di vigilanza.
Indicazioni operative, in adapt.it.
Circolare Ministero del lavoro e delle politiche sociali 8 gennaio 2004, n. 1, Disciplina delle
collaborazioni coordinate e continuative nella modalità c.d. a progetto. Decreto
legislativo n. 276/03, in fiscoetasse.it.
Circolare Inps 26 luglio 2010, n. 101, Costituzione di rendita vitalizia ex art. 13 legge 12 agosto
1962, n. 1338, a favore dei soggetti iscritti alla Gestione Separata di cui alla legge n.
335/95, art. 2, comma 26, che non siano titolari dell’obbligo contributivo, in inps.it.
Circolare Ministero delle Finanze 30 aprile 1977, n. 7/1496, in S24.
320
Legenda delle abbreviazioni
ADL – Argomenti di diritto del lavoro
CdS – Corriere della Sera
CLL&PJ– Comparative Labor Law & Policy Journal
Contr. Impr. – Contratto e impresa
Corr. mer. – Il corriere del merito
D&G – Diritto e giustizia
D&L – Rivista critica di diritto del lavoro
Dir. lav. – Il diritto del lavoro
DLM – Diritti lavori mercati
DLRI – Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali
DML – Il diritto del mercato del lavoro
DRI – Diritto delle relazioni industriali
EDP – Europa e diritto privato
Foro it. – Il foro italiano
GCM – Giustizia civile massimario
GCost. – Giurisprudenza costituzionale
GDir – Guida al diritto
Giur. comm. – Giurisprudenza commerciale
Giur. it. – Giurisprudenza italiana
Giur. mer. – Giurisprudenza di merito
Giur. piem. – Giurisprudenza piemontese
Giust. civ. – Giustizia civile
L&LI – Labour & Law Issues
Lav. giur. – Il lavoro nella giurisprudenza
LD – Lavoro e diritto
LDE – Lavoro diritti Europa
MGL – Massimario di giurisprudenza del lavoro
NGCC – La nuova giurisprudenza civile commentata
NGL – Notiziario della giurisprudenza del lavoro
NLCC – Le nuove leggi civili commentate
OGL – Orientamenti della giurisprudenza del lavoro
QDLRI – Quaderni di diritto del lavoro e delle relazioni industriali
Quad. rass. sind. – Quaderni di rassegna sindacale
Resp. Civ. e Prev. – Responsabilità civile e previdenza
RGL – Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale
RIDL – Rivista italiana di diritto del lavoro (già RDL – Rivista di diritto del
lavoro)
321
Riv. dir. civ. – Rivista di diritto civile
Riv. dir. comm. – Rivista del diritto commerciale
Riv. dir. impr. – Rivista di diritto dell’impresa
Riv. dir. media. – Rivista di diritto dei media
Riv. dir. priv. – Rivista di diritto privato
Riv. dir. proc. – Rivista di diritto processuale
Riv. dir. trib. – Rivista di diritto tributario
Riv. it. sc. giur. – Rivista italiana per le scienze giuridiche
S24 – Il Sole 24 Ore