f.r. stasolla, i riti e i corredi funerari. periodo tardoantico e medievale, in il mondo...

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IL MONDO DELL’ARCHEOLOGIA ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI ROMA

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IL MONDO DELL’ARCHEOLOGIA

ISTITUTO DELLA

ENCICLOPEDIA ITALIANAFONDATA DA GIOVANNI TRECCANI

ROMA

©PROPRIETÀ ARTISTICA E LETTERARIA RISERVATA

Copyright by

ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA

FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI S.p.A.

2002

FotolitoMARCHESI GRAFICHE EDITORIALI S.p.A.

Via Bomarzo, 32 - 00191 Roma

StampaGRAFICHE ABRAMO

Traversa Cassiodoro, 19 - 88100 Catanzaro

Printed in Italy

Per quanto riguarda i diritti di riproduzione, l’Istituto si dichiara pienamente disponibile a regolare

eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte

Privati dell’oggetto primario della loro frequentazione, isantuari delle catacombe caddero nell’oblio. Solo alcuni di es-si sopravvissero ancora per qualche tempo alla traslazione deicorpi dei loro martiri, come mostrano i documenti archeolo-gici e come è attestato da alcune fonti letterarie (Lib. Pont., II,p. 161). Restarono accessibili durante tutto il Medioevo, co-me si è visto, unicamente quei settori delle catacombe con-nesse con le basiliche martiriali che conservavano ancora ge-losamente al loro posto le spoglie dei martiri eponimi. Per ilresto, l’abbandono e l’oblio, fino alla “rinascita” della fine delCinquecento.

Bibl.: In generale: A. Bosio, Roma sotterranea, Roma 1632; M.A. Boldetti,Osservazioni sopra i cimiteri de’ Santi Martiri ed antichi cristiani di Roma,Roma 1720; G. Marchi, Monumenti delle arti cristiane primitive nella me-tropoli del cristianesimo, Roma 1844; G.B. De Rossi, La Roma sotterraneacristiana, Roma 1864-77; M. Armellini, Gli antichi cimiteri cristiani diRoma e d’Italia, Roma 1893; G. De Angelis D’Ossat, La geologia e le ca-tacombe romane, I, Roma 1930-32; O. Marucchi, Le catacombe romane.Opera postuma, Roma 1933; P. Styger, Die römischen Katakomben, Berlin1933; Id., Römische Märtyrergrüfte, Berlin 1935; A. Ferrua, Epigrammatadamasiana, Città del Vaticano 1942, n. 47, 2; G. De Angelis D’Ossat, Lageologia delle catacombe romane, Città del Vaticano 1943; P. Testini, Le ca-tacombe e gli antichi cimiteri cristiani in Roma, Bologna 1966; S. Carletti,Le antiche chiese dei martiri, Roma 1972; U.M. Fasola, Les catacombes en-tre la légende et l’histoire, in DossAParis, 18 (1976), pp. 51-65; P. Testini,Archeologia cristiana, Bari 1980; U.M. Fasola, s.v. Cimitero, in DPAC, I,1983, cc. 666-77; Ph. Pergola - P. Barbini, Le catacombe romane, Roma1997 (con bibl.); V. Fiocchi Nicolai - F. Bisconti - D. Mazzoleni, Le ca-tacombe cristiane di Roma, Regensburg 1998 (con bibl.). Storia delle ri-cerche: G. Ferretto, Note storico-bibliografiche di archeologia cristiana, Cittàdel Vaticano 1942. Origine: P.-A. Février, Études sur les catacombes ro-maines, in CahA, 11 (1960), pp. 1-14; U.M. Fasola - P. Testini, I cimite-ri cristiani, in Atti del IX Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana(Roma, 21-27 settembre 1975), I, Città del Vaticano 1978, pp. 103-39; F.Tolotti, Influenza delle opere idrauliche sull’origine delle catacombe, in RACr,56 (1980), pp. 7-48; H. Brandenburg, Überlegungen zu Ursprung undEntstehung der Katakomben Roms, in E. Dassmann - K. Thraede (edd.),Vivarium. Festschrift Theodor Klauser zum 90. Geburtstag, Münster 1984,pp. 11-49; L. Reekmans, Zur Problematik der römischen Katakomben-forschung, in Boreas, 7 (1984), pp. 242-60; Id., Spätrömische Hypogea, inO. Feld (ed.), Studien zur spätantiken und byzantinischen Kunst FriedrichWilhelm Deichmann gewidmet, II, Bonn 1986, pp. 11-37; Ph. Pergola, Lecatacombe romane: miti e realtà (a proposito del cimitero di Domitilla), inA. Giardina (ed.), Società romana e impero tardoantico, II, Roma - Bari1986, pp. 333-38; É. Rebillard, L’Église de Rome et le développement descatacombes. À propos de l’origine des cimetières chrétiens, in MEFRA, 109(1997), pp. 741-63. Sulle catacombe romane in particolare: G. Bertonière,The Cult Center of the Martyr Hyppolytus on the Via Tiburtina, Oxford1985; J. Osborne, The Roman Catacombs in the Middle Ages, in BSR, 53(1985), pp. 278-328; W. Tronzo, The Via Latina Catacomb. Imitation and

Discontinuity in Fourth-Century Roman Painting, University Park 1986;C. Vismara, I cimiteri ebraici di Roma, in A. Giardina (ed.), Società roma-na e impero tardoantico, II, Roma - Bari 1986, pp. 351-92; J.G. Deckers -H.R. Seeliger - G. Mietke, Die Katakombe “Santi Marcellino e Pietro”.Repertorium der Malereien, Città del Vaticano - Münster 1987; J. Guyon,Le cimetière aux Deux Lauries. Recherches sur les catacombes romaines, Cittàdel Vaticano 1987; L. Reekmans, Le complexe cémétérial du pape Gaiusdans la catacombe de Calliste, Città del Vaticano - Leuven 1988; A. Nestori,La basilica anonima della via Ardeatina, Città del Vaticano 1990; J.G.Deckers - G. Mietke - A. Weiland, Die Katakombe “Anonima di via Anapo”.Repertorium der Malereien (mit einem Beitrag zu Topographie und Geschichtevon V. Fiocchi Nicolai), Città del Vaticano 1991; I. Camiruaga et al., Laarquitectura del hipogeo de via Latina en Roma, Città del Vaticano 1994;J. Deckers - G. Mietke - A. Weiland, Die Katakombe “Commodilla”.Repertorium der Malereien (mit einen Beitrag zu Topographie und Geschichtevon C. Carletti), Città del Vaticano 1994; C. Carletti, Viatores ad marty-res, in G. Cavallo - C. Mango (edd.), Epigrafia medievale greca e latina:ideologia e funzione. Atti del seminario di Erice (12-18 settembre 1991),Spoleto 1995, pp. 197-225; L. Spera, Cantieri edilizi a Roma in età caro-lingia, in RACr, 73 (1997), pp. 185-254; P. Saint-Roch, Le cimetière deBasileus ou Coemeterium Sanctorum Marci et Marcelliani Damasique, Cittàdel Vaticano 1999; L. Spera, Il paesaggio suburbano di Roma dall’antichitàal medioevo. Il comprensorio tra le vie Latina e Ardeatina dalle Mura Aurelianeal III miglio, Roma 1999; D. Nuzzo, Tipologia sepolcrale delle catacomberomane. I cimiteri ipogei delle vie Ostiense, Ardeatina e Appia, Oxford 2000.Per le catacombe fuori Roma: Ch. Bayet, La nécropole chrétienne de Milo,in BCH, 2 (1878), pp. 347-59; J. Führer - V. Schultze, Die altchristlichenGrabstätten Siziliens, Berlin 1907; A.F. Leynaud, Les catacombes africai-nes, Sousse 1910; O. Garana, Le catacombe siciliane e i loro martiri, Palermo1961; A. Nestori, La catacomba di Sabratha (Tripolitania), in LibyaAnt,8 (1971), pp. 7-24; U.M. Fasola, Le catacombe di S. Gennaro a Capo-dimonte, Roma 1975; L. Pani Ermini, Il santuario del martire Vittorino inAmiternum e la sua catacomba, Terni 1975; Catacombes juives et chrétien-nes, in DossAParis, 19 (1976), pp. 8-130; M. Salvatore, Venosa: un parcoarcheologico ed un museo. Come e perché, Taranto 1984, pp. 88-92; R.Giordani, La catacomba di Villa San Faustino presso Massa Martana(Perugia), in RendPontAcc, 57 (1984-85), pp. 145-68; M. Buhagiar, LateRoman and Byzantine Catacombs and Related Burial Places in the MalteseIsland, Oxford 1986; R.M. Bonacasa Carra, Agrigento paleocristiana,Palermo 1987, pp. 50-54; V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocristiani delLazio, I. Etruria Meridionale, Città del Vaticano 1988; M. Griesheiemer,Genèse et développement de la catacombe Saint-Jean à Syracuse, in MEFRA,101 (1989), pp. 751-82; L. Porru, Riesame delle catacombe, in L. Porru -R. Serra - R. Coroneo, Sant’Antioco, Cagliari 1989, pp. 13-51; A. SimoneCampese, Un nuovo sepolcreto paleocristiano nell’area di Lamapopoli aCanosa, in RACr, 69 (1993), pp. 91-123; V. Fiocchi Nicolai, Zum Standder Katakombenforschung in Latium, in RömQSchr, 89 (1994), pp. 199-220; A. Ahlquist, Pitture e mosaici nei cimiteri paleocristiani di Siracusa,Venezia 1995; G. Liccardo, Le catacombe di Napoli, Roma 1995; V.Cipollone, Le catacombe di Chiusi, Città del Vaticano 2000.

Vincenzo Fiocchi Nicolai

I RITI E I CORREDI FUNERARI

Il contributo delle indagini archeologiche per la conoscenza deirituali funebri di età postclassica assume una particolare rile-vanza, vista la carenza di fonti letterarie a fronte della commi-stione di popolazioni che caratterizzò il periodo tardoantico ealtomedievale nell’Europa centro-occidentale e successivamentenel Nord Africa. Proprio le ricerche archeologiche hanno evi-denziato quanto poco aderente alla realtà fosse la tradizione chevoleva la semplificazione dei riti e l’abbandono del corredo inconcomitanza con l’avvento e la diffusione del cristianesimo.In realtà, proprio le usanze legate al mondo dei morti si sonorivelate particolarmente conservatrici e, sia pure avvolte da si-gnificati differenti, hanno continuato a permanere; l’archeolo-gia le documenta almeno fino al VII-VIII secolo, quando dinorma cessa l’uso del corredo, per poi riprendere solo a parti-re dall’XI. Il tracciante archeologico assume poi enorme im-portanza nello studio dei movimenti migratori; l’analisi dei ma-nufatti – soprattutto elementi di ornamento personale – dellepopolazioni germaniche, noti quasi esclusivamente da ritrova-menti tombali, ha consentito in prima istanza l’identificazio-

LE AREE E LE TIPOLOGIE SEPOLCRALI, I CORREDI E I RITI FUNERARI

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Veduta della cd. Cappella

Greca nella catacomba

di Priscilla a Roma.

ne etnica dei defunti, elemento di particolare interesse nei ca-si in cui le fonti letterarie tacciono o sono lacunose e i repenti-ni passaggi nei centri urbani non hanno lasciato resti monu-mentali. Le tracce dei rituali funebri hanno consentito di co-gliere nei dettagli quei processi di acculturazione che leconversioni di massa e la costituzione di talora effimeri regni“barbarici” lascerebbero altrimenti intendere nei termini deimutamenti improvvisi e che la realtà della documentazione ar-cheologica rivela invece come ovviamente graduale. Così, è sta-to possibile ricostruire i percorsi migratori di popolazioni chenon hanno lasciato altre tracce materiali se non le spoglie deiloro defunti – e i relativi corredi – e di riconnettere a queste se-polture altri elementi da soli troppo labili, come quelli topo-nomastici e linguistici. Altrove, ad esempio nella Spagna visi-gota, lo studio è così avanzato da consentire una ricostruzionecronologica molto più puntuale per gli invasori che per le po-polazioni autoctone, presso le quali continuavano a valere lecostumanze di tradizione romana e bizantina.

La prassi della preparazione del corpo del defunto non di-vergeva dagli usi romani, cui va aggiunta la consuetudine di ce-lebrare l’eucarestia. Il rito principale – e quello che a livello ar-cheologico ha maggiore visibilità – che accompagnava la depo-sizione era il pasto funebre (refrigerium), che i partecipanticonsumavano in onore del defunto e a cui questi idealmentepartecipava. Tale rito era ben noto per il mondo romano, nelquale erano stabiliti giorni precisi dedicati alla commemora-zione dei defunti, e venne ripreso anche dagli adepti al cristia-nesimo. Si tratta di un’usanza combattuta invano da alcuni Padridella Chiesa, soprattutto nei suoi eccessi, ma largamente in uso,sia pure in forme via via differenti, ancora nel periodo altome-dievale. In realtà in ambito cristiano questo rito assume sfuma-ture di significato diverse. Innanzi tutto viene celebrato il diesnatalis, cioè il giorno della morte terrena e della nascita alla ve-ra vita, in una cerimonia che diventa collettiva in connessionecon i culti martiriali. Le testimonianze iconografiche mostranocome l’avversione nei confronti del refrigerium che si evince daalcune fonti letterarie non avesse un serio riscontro nella prati-ca; esistono infatti numerose testimonianze epigrafiche che, ac-canto al vario uso del termine refrigerare, riportano immaginiallusive, come la colomba con il ramoscello d’ulivo nell’iscri-zione del cimitero di Domitilla a Roma accanto alla raffigura-zione di Cristor che compie il rito in onore della figlia defunta.

Le immagini di banchetti che pure ricorrono nella pitturacimiteriale sono state a lungo oggetto di discussione, nel dub-bio cioè che rappresentassero refrigeri simbolici o meno. La ri-cerca archeologica, soprattutto negli ultimi decenni, ha evi-denziato il permanere e la portata del rito in modo diffuso, co-sì che sono stati riletti in chiave realistica anche i numerosi passidi autori cristiani che alludono alla pratica. In particolare, sinota nelle fonti il tentativo di dare un significato cristiano allepratiche che non si riusciva a debellare. Ad esempio Agostinod’Ippona proprio dall’Africa, regione dove tali tradizioni era-no particolarmente sentite, afferma: Sacrificia mortuorum nosvertimus in agapes... Agapes enim nostrae pauperes sive frugibus,sive carnibus (Epist. XXIX, 2). Lo stesso autore, nelle Confessioni,riporta le abitudini della madre Monica di celebrare i riti com-memorativi, sicut in Africa solebat. L’organizzazione di cele-brazioni comunitarie ricorre anche nei canoni conciliari di VIsecolo, come ad esempio in quello di Tours che afferma: in fe-stivitate cathedrae sancti Petri apostoli cibos mortui offerunt.L’associazione di significato – celebrazione reale e rito simbo-lico – appare evidente nel tumulo musivo della necropoli diMatarés a Tipasa, che su un tappeto con scena marina e pescireca la scritta Pax et concordia sit convivio nostro, nella probabi-le voluta ambiguità della duplice interpretazione.

Nei cimiteri cristiani di ambito mediterraneo, soprattuttodel Nord Africa e della Spagna, ma anche in Sicilia, come at-

testa la necropoli tardoantica di Agrigento, sono state rinve-nute numerose strutture, intonacate o coperte da mosaico, po-ste tra le tombe, interpretate come mense, utilizzate proprioper la celebrazione dei riti funebri. Più di recente, lo studioanalitico di tali strutture nella necropoli sarda di Cornus haconsentito ad A.M. Giuntella (1985) di rileggere le testimo-nianze esistenti nel Mediterraneo occidentale anche alla lucedei frequenti strati di “terre nere” con molti materiali organi-ci, resti di pasto e numerosissimi frammenti ceramici e vitreispesso rinvenuti in ambito funerario ed abitualmente letti co-me generici scarichi. L’analisi di tali stratigrafie ha evidenzia-to la presenza, accanto a scarti di cibo, di manufatti vitrei e ce-ramici sottoposti a rottura intenzionale, testimonianza in-confutabile di un pasto non solo simbolico, ma reale, articolatoin più portate, con uso di vasellame da mensa anche di pregioche, entrato in contatto con il mondo dei morti, non venivapiù utilizzato dai vivi. Parallelamente, la rilettura delle fontipatristiche ha consentito di trovare spiegazione anche ai pic-coli focolari che vengono rinvenuti tra tomba e tomba, da ri-connettere all’uso diffuso di scaldare vino e bevande proprioin occasione di tali riti, consentendo quindi di leggere le raf-figurazioni di scene conviviali conservatesi per lo più in am-bito catacombale in chiave assolutamente realistica. L’attenzioneprestata dagli studiosi a questo fenomeno è quindi cresciuta,così da farne un argomento di grossa rilevanza negli studi diarcheologia funeraria postclassica e da costituire ormai un da-to acquisito nell’analisi dei contesti cimiteriali.

Le strutture del refrigerium possono prevedere piccole men-se intonacate, rettangolari, semicircolari e solo occasionalmentea sigma, nei pressi di una o più sepolture, come anche costru-zioni in muratura o parzialmente in legno funzionali alla ce-lebrazione comunitaria del rito. In realtà, sino alla fine del IIIsecolo le mense sono generalmente collegate a singole sepol-ture, mentre successivamente a questa data nascono come im-pianti collettivi, oppure vengono modificate ed ingrandite alfine di congiungere più tombe, presumibilmente per influssodel culto cristiano. Ci si avvia cioè alla creazione di spazi pri-vilegiati per il culto e la memoria, che in alcuni casi – ed è que-sto quello ben studiato di Cornus – potevano essere dotati diun pozzo e un forno, ad ulteriore conferma dello svolgersi ef-

PERIODO TARDOANTICO E MEDIEVALE E MONDO BIZANTINO

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Sepolture alemanne

in un disegno

del XVIII sec.

fettivo del pasto funebre e della complessità delle attrezzatu-re. A Roma la precocità della diffusione del cristianesimo e losviluppo dei culti martiriali hanno contribuito al moltiplicar-si delle strutture rituali, anche se la sequenza delle fasi archi-tettoniche e delle ristrutturazioni ha spesso reso difficile la let-tura delle forme originali. Sono però riconducibili alla prati-ca del refrigerium, ad esempio, le diverse fasi dell’ipogeo deiFlavi nella catacomba di Domitilla, la Cappella Greca in quel-la di Priscilla, oltre alla triclia legata alla memoria Apostolorumche celebrava Pietro e Paolo presso il cimitero ipogeo di S.Sebastiano. La massima diffusione delle strutture per i pastifunebri è però attestata in Nord Africa e nella Penisola Iberica,sia con la presenza di iscrizioni allusive al rito che di menserettangolari, a sigma, ad U, ad esempio nelle necropoli di Tipasae in quella di S. Fructuoso a Tarragona, anche in relazione aspazi appositamente recintati per un più tranquillo svolgersidella celebrazione. In altri casi, le lastre di copertura dei tu-muli e delle mense recano memoria della composizione delpasto funebre, con la teoria delle stoviglie e dei cibi (lastra diTimgad), in altri alle mense sono associati impianti di raccol-ta e di deflusso delle acque (Tipasa, necropoli di Matarés).Rinvenimenti in Nord Africa attestano anche la probabile pre-senza di triclini per la consumazione del pasto. I riti del refri-gerium venivano poi svolti nelle chiese funerarie, quali ad esem-pio le basiliche circiformi del suburbio romano, di età costan-

tiniana o immediatamente successive, come fossero grandi ci-miteri coperti, o in impianti ad esse collegate. È questo ad esem-pio il caso della cosiddetta “abside occidentale”, edificata a ri-dosso della basilica di S. Felice a Cimitile e, come attestato dalritrovamento di depositi archeologici, voluta proprio per la ce-lebrazione dei pasti rituali che lo stesso Paolino da Nola men-ziona in occasione della festa del martire. In altri casi, le stessebasiliche votate al culto martiriale potevano ospitare negli spa-zi annessi i partecipanti al rito, come ad esempio nel noto ban-chetto offerto da Pammachio a cento poveri nell’atrio di S.Pietro a Roma per commemorare la memoria della moglie.

Il defunto partecipava appieno a questi riti, con modalitàvarie. In qualche caso veniva immaginato al di fuori del se-polcro, nel gruppo dei convitati, magari al posto d’onore, co-me sembrerebbe attestato ad esempio dalle cattedre scavate neltufo della catacomba che va sotto il nome di CoemeteriumMaius a Roma e da quelle della necropoli ipogea di Hadrume-tum in Africa, cattedre troppo strette per essere utilizzate dauna persona e nelle quali si è quindi voluto vedere appunto ilposto del defunto. In altri casi, la presenza di fori nelle lastredi copertura delle tombe o di colli d’anfora infissi nei tumuliall’altezza della testa dell’inumato è stata riconnessa all’usan-za di immettere cibo e bevande all’interno delle sepolture, men-tre una costante è la presenza di piccoli depositi per offerte dicibo accanto alle mense. Al permanere dell’uso dell’offerta ali-mentare rituale va ricollegata la presenza di recipienti cerami-ci e vitrei all’interno delle sepolture, confermata dal rinveni-mento in alcuni di essi di grani di cereali, ossa animali e restidi cibo. In certi casi, è stata notata la presenza di cibo all’in-terno delle sepolture anche in assenza di recipienti atti a con-tenerlo, segno che l’offerta alimentare prevedeva recipienti de-peribili o non li prevedeva affatto, dato questo comune purea popolazioni di origine germanica. A partire dal IV secolo èattestato l’uso di deporre l’Eucarestia nella bocca del defunto,uso condannato invano da numerosi concili.

Abbastanza diffusa nelle tombe tardoantiche e altomedie-vali è la presenza di carboni all’interno delle sepolture, in me-rito alla quale sono state fatte svariate ipotesi, quali l’accen-sione di fuochi rituali, forse con intenti purificatori, la depo-sizione di arbusti profumati o di ceneri del focolare domestico.Resti di focolari sono frequentemente stati rinvenuti anche al-l’esterno delle tombe; a ciò si collega spesso la compresenza dicontenitori ceramici con tracce di combustione trovati all’in-terno delle sepolture, dato questo che li ha fatti mettere in re-lazione con il rituale del refrigerium, oppure, secondo un’altraipotesi meno agevole (Peduto 1984), sarebbero gli stessi con-tenitori utilizzati nel corso del rito del battesimo, conservatiper tutta la vita a collegamento tra la nascita spirituale e la “ri-nascita” alla vita eterna. L’offerta alimentare è comune sia al-la popolazione romanza che alle sepolture germaniche (ad es.,nel sepolcreto longobardo di Nocera Umbra) ed è spesso ac-comunata dalla presenza dell’offerta monetale.

La presenza monetale nelle aree funerarie assume la dupli-ce valenza di obolo-viatico posto all’interno della tomba, in ri-cordo dell’obolo a Caronte, e di obolo-offerta all’esterno di es-sa, ad attestazione di una doppia ritualità che ha consentito direcente (Giuntella - Amante Simoni 1992) di rivalutare l’ele-mento cronologico offerto dal reperto numismatico. Infatti,appare ormai chiaro come in molti casi venissero utilizzate aquesto scopo monete fuori corso (ad es., nella già citata necro-poli paleocristiana di Cornus, in Sardegna, in sepolture di VI-VII sec. sono presenti monete puniche), che quindi costitui-scono solo un ovvio e vago elemento post quem per la datazio-ne delle necropoli. Stesso valore quanto alla cronologia ha ilreperto monetale quando costituisce parte di un ornamento,ad esempio al posto di un vago di collana, secondo un uso dif-fuso soprattutto tra le popolazioni germaniche, che talora in

LE AREE E LE TIPOLOGIE SEPOLCRALI, I CORREDI E I RITI FUNERARI

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Fibula a staffa

dalla tomba 162

della necropoli

longobarda di Castel

Trosino, Ascoli Piceno.

Roma, Museo

dell’Alto Medioevo.

PERIODO TARDOANTICO E MEDIEVALE E MONDO BIZANTINO

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questo modo tesaurizzavano parte dei profitti derivanti dallelargizioni ottenute in qualità di foederati dell’Impero. Tali mo-nete ovviamente presentano una datazione più alta rispetto aquella della sepolture, soprattutto nel caso di corredi di mo-desta levatura, mentre in quelli più ricchi la cronologia dellamoneta è più vicina a quella del suo corso legale. L’obolo-viatico rimanda al permanere della tradizione dell’offerta aCaronte ed è posto generalmente nel cavo orale, anche se, inuno o più esemplari, può essere posto fra le dita della mano(ad es., a Nocera Umbra, a Cornus); dal punto di vista cro-nologico, è in genere una datazione più antica rispetto all’o-bolo-offerta. La presenza della moneta con questa accezionecontinua per tutto il periodo altomedievale per giungere inalcuni casi sino al pieno Medioevo: è questo il caso ad esem-pio della mummia naturale di S. Zita a Lucca, appartenentead un individuo morto nel 1278, per la quale l’esame radio-logico ha evidenziato la presenza di una moneta originaria-mente posta nella bocca. L’obolo all’esterno della sepolturaha un valore analogo a quello delle altre offerte e può ricor-rere in svariati esemplari, sovente di corso legale.

Nei cimiteri postclassici ricorre la massiccia presenza di lu-cerne e di lampade vitree, insieme con i loro portalampade,utilizzate senza dubbio per l’illuminazione, ma probabilmen-te anche per la loro valenza simbolica. I riferimenti alla lucesono numerosi nelle fonti ed evidenti nell’indagine archeolo-gica per i ritrovamenti presso le sepolture. Non lasciano dub-bi di interpretazione le lucerne murate all’esterno dei loculi incatacomba, non utilizzabili nella loro funzione primaria, mainserite con riferimento alla simbologia cristiana della luce ecome rappresentazione della fede, in richiamo a numerosi ac-cenni evangelici. L’importanza della presenza della luce vieneindirettamente confermata dall’abitudine di considerare co-me reliquie i residui degli oli che bruciavano presso le tombevenerate. All’uso di deporre profumi all’interno delle sepoltu-re vanno ricondotti i numerosi balsamari vitrei, il cui utilizzoprosegue in età postclassica.

Valore apotropaico sembrano avere avuto il corallo in va-ghi o grezzo, in rametti, deposto soprattutto all’interno di se-polture infantili o al di sopra di esse, i vaghi d’ambra, gli scar-ti di lavorazione del vetro. Stessa funzione dovevano avere ichiodi, il cui gran numero e la cui diversità all’interno dellastessa tomba avevano suggerito un uso simbolico, conferma-to dal rinvenimento in Piemonte di chiodi vitrei, dall’indub-bia valenza simbolica. In altri casi, la presenza di resti com-busti unitamente a chiodi disposti in modo particolare e del-lo stesso tipo fa presumere l’utilizzo di casse lignee o di lettighe,secondo un uso estremamente diffuso, rinvenute ad esempionelle necropoli gote di Kerã (fine IV - metà V sec.).

Per quanto riguarda l’orientamento delle sepolture, nellepopolazioni romanze viene in genere preferito l’orientamen-to est-ovest, con la testa ad est, ma questo dato può subire mol-tissime variazioni e mutare anche all’interno della stessa ne-cropoli in momenti cronologici diversi, o può essere condi-zionato dalla presenza di edifici cultuali o da ragioni di spazio.Nei pressi delle sepolture venerate o genericamente in conte-sti di grande affollamento, l’orientamento passa in secondopiano rispetto alla necessità di uno sfruttamento intensivo de-gli spazi. Si tratta cioè di un dato significativo al fine del ri-tuale, ma secondario ad altri elementi, come la vicinanza adun advocatus quale poteva essere un martire. Non sembranoassumere rilevanza le modalità di sepoltura, che per tutto ilperiodo postclassico prevedono l’inumazione, con l’eccezionedi alcune zone di permanenza del rito dell’incinerazione, qua-li l’area anglosassone fino al VII secolo e quella bulgara finoall’VIII-IX secolo. Generalmente il defunto viene deposto inposizione supina, con gli arti inferiori paralleli o talvolta so-vrapposti; gli arti superiori sono di solito ripiegati sull’addo-

me e sul petto, oppure uno dei due ripiegato e l’altro distesolungo il fianco, oppure più raramente entrambi paralleli aifianchi. Nelle necropoli tardoromane ed altomedievali la pre-senza di sepolture multiple rappresenta una costante, soprat-tutto nelle aree di maggior affollamento. Benché la normati-va ecclesiastica, come ben si evince dalle indicazioni sinodali,fosse molto rigida in materia, condannando decisamente lamanomissione delle tombe, in analogia con quanto previstodalla legislazione romana, i rinvenimenti archeologici testi-moniano quanto tale norma fosse derogata con la frequentepresenza di sepolture multiple, nelle quali i resti degli inuma-ti precedenti venivano raccolti ai lati o più di frequente ai pie-di dell’ultimo occupante, insieme con i resti dei corredi. Quantol’usanza fosse diffusa emerge anche dalla frequenza delle for-mule deprecatorie nell’epigrafia funeraria di età tardoantica ealtomedievale, che tentavano invano di dissuadere i violatoridelle sepolture.

Alcuni aspetti del rituale germanico non hanno sempre unriscontro archeologico, ma, soprattutto per quanto riguarda iLongobardi, sono noti dalle fonti documentarie e legislative.Va segnalato in particolare l’uso della frantumazione rituale,che in questo caso riguarda la scherpa, cioè il complesso dei be-ni mobili appartenenti al defunto. Numerose indicazioni te-stamentarie confermano la disposizione che tali beni venisse-ro rotti e distribuiti ai poveri; trattandosi generalmente di pre-ziosi, si possono considerare vere e proprie elargizioni, taloraaccompagnate dalla preparazione di un pasto funebre, anchequesto a beneficio dei poveri. Va notato come tale rituale fu-nerario sia spesso associato ad una figura femminile, come re-sponsabile della distribuzione della scherpa o della cura del pa-sto funebre. Progressivamente si avverte nella documentazio-ne scritta la sempre più marcata presenza di ecclesiastici, finoa che in età carolingia la cura della memoria dei defunti vienequasi universalmente affidata ai monaci, che in compenso ri-cevono lasciti e donazioni.

In Pannonia il rito funerario longobardo prevedeva la de-posizione del defunto, che recava con sé le proprie vesti ed isimboli materiali della sua classe sociale, in una cassa lignea ri-cavata da un tronco d’albero. Questa veniva posta all’interno

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Coppia di orecchini

decorati con perle, paste

vitree e ametiste

dalla necropoli

longobarda di Castel

Trosino, Ascoli Piceno.

Roma, Museo

dell’Alto Medioevo.

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Croci in lamina d’oro

dalla necropoli

longobarda di Castel

Trosino, Ascoli Piceno.

Roma, Museo

dell’Alto Medioevo.

33. – Il mondo dell’archeologia – Vol. II

di una capanna costruita su pali, generalmente quattro, ad imi-tazione delle abitazioni dei vivi. Presso la testa e i piedi veni-va deposto un pezzo di carne e spesso anche qualcosa da bere.Resti di queste “capanne pannoniche” sono stati riscontratianche in Italia, ad esempio in Lombardia, a testimonianza del-la persistenza del rituale. Quando l’individuo moriva in unPaese lontano, magari in guerra, presso i Longobardi vigeval’uso di piantare sulla sua sepoltura un palo (pertica) sul qua-le era una colomba lignea rivolta verso la terra patria. Quest’usoè rimasto a livello toponomastico nelle aree più influenzatedalla presenza longobarda, ad esempio nel caso della necro-poli di S. Stefano in Pertica presso Cividale del Friuli. Al co-stume longobardo, ma per influsso di quello romanzo, va si-curamente ascritto l’uso del sudario, testimoniato dal rinve-nimento di crocette auree anche in corrispondenza del volto,che recavano ancora i resti di fili di tessuto nei fori di fissag-gio. I pur profondi mutamenti che la romanizzazione e la con-versione al cristianesimo avevano apportato nelle usanze ger-maniche non impedirono il ricordo di pratiche precristiane,la cui memoria diventa rito. È questo il caso ad esempio del-la riapertura di sepolture al fine di prelevare il cranio dell’i-numato per ricollocarlo fra gli arti inferiori, riscontrata anco-ra tra VIII e XI secolo a Santa Maria alla Senigola (Cremona).

Indicatore del conservatorismo delle pratiche funerarie è sen-za dubbio la necropoli di Campochiaro-Vicenne (Campobas-so), dove sono state rinvenute sepolture con cavalli datate al VIIsecolo. Inumazioni con fosse contenenti animali, anche caval-li, non sono infrequenti nel periodo altomedievale (ad es., aNocera Umbra) e sono comuni all’ambito culturale merovin-gio. Nell’Europa centro-occidentale l’uso delle sepolture di ca-valli venne introdotto dagli Unni, così che resti di finimenti ecorredi da parata si rinvengono all’interno di sepolture oppurecome depositi votivi (Totenopfer), sempre legati al culto dei de-funti, trovati soprattutto in Ungheria e in Polonia. In partico-lare, il ricchissimo tesoro di Nagyszéksós-Szeged, in Ungheria,comprende anche gioielli e recipienti metallici ed era raccoltoin una fossa votiva presso un rogo, presumibilmente dedicataal re unno Ruga nella prima metà del V secolo. Resti di fini-menti e bardature preziose spezzati ritualmente si rinvengonoin sepolture in Austria, in sepolcreti turingi in Germania e fi-no in Scandinavia, in un intreccio di usanze e accezioni cultu-rali che influenzeranno anche il mondo merovingio, come sievince dal corredo funebre di Clodoveo (sepolto a Tournai nel482). L’esempio molisano però costituisce fino ad ora un uni-cum nell’Europa occidentale, in quanto il cavallo alloggia nel-la stessa fossa del suo proprietario, ad attestazione di un ritua-le che prevedeva il sacrificio del quadrupede affinché accom-pagnasse il suo proprietario anche dopo la morte. Questo ritoè noto dalle fonti (ne parla ancora nel IX-X sec. Ibn Fadlan,

ambasciatore presso i Bulgari del Volga del califfo abbaside) edè attestato archeologicamente in Asia Centrale e nell’Europacentro-orientale presso svariate popolazioni. In conclusione, ledeposizioni di elementi legati all’importanza del cavallo si so-stanziano nella presenza di bardature e finimenti spezzati ri-tualmente e sepolti in fosse votive, oppure nella loro colloca-zione in deposizioni di animali, o infine nell’unica inumazio-ne di cavaliere con cavallo e loro accessori, come nel casoparticolare, dato il contesto di ritrovamento, di Campochiaro-Vicenne. In Ungheria, le sepolture avare di altissimo livello se-guono anch’esse il rituale di deposizione del cavaliere con le sueinsegne contestualmente al cavallo. A questo fatto, che potreb-be far interpretare come avare le sepolture molisane, va con-trapposta la menzione di Paolo Diacono a proposito della pre-senza di Bulgari nella piana di Boiano, nell’area cioè del sito in-dagato, ad attestazione di una mescolanza culturale, che seimpedisce un riconoscimento certo, comunque identifica unuso, un sostrato affine alle popolazioni che nell’Alto Medioevopopolarono l’Europa occidentale. Legata alla rilevanza che ilmare aveva nella vita dei popoli del Baltico è l’usanza di seppel-lire personaggi di altissimo rango all’interno di imbarcazioni,poi interrate e ricoperte da un tumulo (Suttun Hoo in Inghil-terra, Vendel in Svezia, Oseberg in Norvegia, Nydam in Dani-marca, ecc.). In queste tombe, tutte inquadrabili tra V e IX se-colo, sono stati rinvenuti corredi principeschi.

L’uso di deporre manufatti all’interno delle sepolture, co-me corredo personale del defunto, continuò nel periodo tar-doantico e altomedievale, con modalità differenti soprattuttoin relazione alle diverse componenti etniche. Il diffondersi delcristianesimo comportò una teorica avversione all’uso del cor-redo, implicita attestazione della necessità di beni materiali do-po la morte; per il cristiano che attende il Giudizio, infatti, ildistacco dalla materia dovrebbe essere totale. Per questa ragio-ne le fonti ecclesiastiche esprimono contrarietà nei confrontidel corredo e della ritualità ad esso collegata, visti come unapermanenza degli usi pagani e come ostentazione di ricchezzanel momento stesso in cui la morte mostrava la vacuità di ognibene terreno, anche se i loro interventi rimasero sovente sen-za ascolto. Tale prassi rappresenta una felice coincidenza pergli archeologi, stante la mole delle informazioni – in merito al-la cronologia, all’individuazione etnica, agli elementi di cono-scenza delle dinamiche sociali e professionali, ecc. – che gli og-getti deposti all’interno delle sepolture consentono di recupe-rare. L’uso del corredo funebre rimane abbastanza costantealmeno fino alla metà del VII secolo.

Nel mondo mediterraneo e bizantino, nelle sepolture ditradizione romanza prevale l’uso promiscuo di materiale ce-ramico e vitreo insieme con gli oggetti di corredo personale,distinti a seconda del sesso e dell’età del defunto, oltre cheeventualmente del suo rango sociale e della sua professione. Sipuò così attuare una significativa distinzione tra corredo per-sonale, alludendo ai manufatti appartenenti al defunto in vi-ta e legati all’ornamentazione della sua persona o all’espleta-mento delle sue funzioni professionali, e corredo rituale, le-gato ai riti della deposizione. Le indagini archeologiche hannoevidenziato senza dubbio l’uso di deporre i defunti con i loroabiti e i loro ornamenti, uso che ha consentito di integrare lerappresentazioni iconografiche nella definizione del vestiario,soprattutto nel caso dei ceti meno abbienti, non altrimentirappresentati. Ben rari sono i casi di recupero da contesto ar-cheologico di lacerti di tessuti o di articoli di vestiario deperi-bili; in genere sono da porre in relazione alle tombe più ab-bienti, che hanno goduto di maggiori cure nella preparazionee nella protezione del sepolcro e che confermano la testimo-nianza delle fonti documentarie ed iconografiche. Nelle se-polture femminili di tradizione romanza ricorrono aghi cri-nali e fermavelo, resti di retine per le acconciature, orecchini,

LE AREE E LE TIPOLOGIE SEPOLCRALI, I CORREDI E I RITI FUNERARI

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Coppia di fibule

ad S d’argento dorato

con granati

dalla necropoli

longobarda di Nocera

Umbra, Perugia.

Roma, Museo

dell’Alto Medioevo.

611

Chiusura di borsa

con decorazione

policroma dal corredo

funerario della nave-

sepolcro (625 d.C. ca.)

rinvenuta a Sutton Hoo

nel Suffolk,

Gran Bretagna. Londra,

British Museum.

anelli e vere nuziali, armille in vetro e in metallo. Nelle tom-be maschili prevalgono fibbie e anelli digitali. Comuni ad en-trambi sono fibule e ornamentazioni per cinture. Per quantoriguarda i manufatti ceramici, è stata notata la compresenzadi forme di dimensioni normali, in analogia con i coevi con-tenitori da mensa e da cucina, accanto ad esemplari di piccolataglia, una sorta di “miniaturizzazione” delle forme che finoranon sembra riscontrarsi in altri contesti. È stata così avanzatal’ipotesi di una produzione esclusivamente funeraria, proprioper l’immissione all’interno delle sepolture di questo vasella-me costituito soprattutto da brocchette monoansate di variefogge e decorazioni, ma comunque alte 10-15 cm in media,alcune delle quali presentano tracce di combustione. Al vasel-lame ceramico sono spesso associati recipienti vitrei, in formeda tavola o da cosmesi, o più raramente contenitori metallici.A proposito del corredo esterno alla sepoltura, è stata coniatala definizione di “corredo-arredo” (Felle - Del Moro - Nuzzo1994) per indicare tutti quei materiali che finiscono per se-gnalare e abbellire la sepoltura: un uso del quale troviamo trac-ce prevalentemente in ambito catacombale, grazie alle miglioricondizioni di conservazione. Molti loculi mostrano, cemen-tati nella malta di chiusura, oggetti anche frammentari ap-partenuti al defunto (giocattoli, dadi, utensili d’uso comune,ecc.) o semplicemente decorativi, sia pure in qualche caso convalenza simbolica (fondi di vetri dorati con raffigurazioni ve-tero- e neotestamentarie, lucerne, ecc.).

Spesso il corredo rappresenta l’unico elemento attendibileper l’individuazione etnica del defunto ed è il caso ad esem-pio delle sepolture di individui di stirpe germanica, apparte-nenti a popolazioni nomadi, per le quali l’attribuzione di se-polture finisce per costituire una sorta di “fossile guida” e con-sente di ricostruire gli spostamenti; all’interno poi della grandekoinè germanica, spesso sono proprio i manufatti posti nelletombe a permettere l’attribuzione etnica del defunto. Parallela-mente, la tipologia dei corredi ha contribuito alla definizionedella gerarchia sociale delle varie popolazioni, in alcuni casinota attraverso le fonti, ma altrimenti non percepibile in con-testi materiali. Per le popolazioni germaniche, l’uso del corre-do personale sembra da porsi in relazione con i loro contatticon il mondo romano, unitamente al prevalere dell’inuma-zione – che consente tra l’altro di comporre il defunto con isuoi abiti e i suoi ornamenti – a vantaggio dell’incinerazione.

Questo dato, pur apparendo indiscutibile nell’analisi dellearee di confine dove è certa la presenza di foederati, non trovasempre riscontro archeologico. È quindi evidente che, accan-to a linee di tendenza che si delineano con sufficiente chiarez-za, esistono elementi di permeabilità e di mancata omologa-zione, legati presumibilmente ai contesti locali. L’analisi deicorredi è poi fondamentale per studiare le modalità dell’accul-turazione di tali popolazioni nel sostrato romanzo, costituen-do il tracciante delle dinamiche di scambio e di produzione deimanufatti da una parte e dei tempi di spostamento dall’altra.A questo proposito, la necropoli longobarda di Castel Trosino,di recente oggetto di una revisione critica, appare determinan-te nello studio delle modalità di acculturazione. Accanto infattia materiali appartenenti alla prima generazione degli immi-grati, manufatti di tipo “pannonico” o prodotti addirittura inPannonia, compaiono oggetti di transizione e successivamen-te elementi di corredo tipicamente mediterranei. L’analisi del-la dislocazione delle sepolture e l’individuazione dei loro cor-redi hanno di conseguenza consentito di ricostruire le dinami-che di formazione e di utilizzo del cimitero.

Le tombe gote del periodo antecedente ai contatti dei Goti conl’Impero, nel III sec. d.C., vanno dalle semplici fosse ai tumuli princi-peschi (a Perejaslav-Ãmelnicki, presso Kiev, e a Rudka in Volinia), ca-ratterizzati da: camere mortuarie anche di grandi dimensioni, rivestitein legno; servizio potorio composto da situla, brocca e bicchiere, di me-

tallo o di vetro; speroni da parata d’argento; indumenti in broccato d’o-ro; fibbie da scarpe; offerte di carne. Nel corso del IV secolo, i costumifunebri, come l’intera struttura sociale, subiscono progressive modifi-che dettate dalla convivenza con le popolazioni autoctone (Daci eCarpati) e soprattutto dalla cristianizzazione secondo il credo ariano.Caratteristiche restano la coppia di fibule sulle spalle in lamina d’ar-gento dei corredi femminili e la fibbia di cintura con placca in quellimaschili, accessori che caratterizzano le sepolture gote e genericamen-te germanico-orientali ed anche di età successiva. Le sepolture poveresono senza corredo, mentre le tombe principesche sorgono non più al-l’interno di aree cimiteriali, ma in tumuli isolati, con ricchi corredi diornamenti personali composti da fibule, fibbie, gioielli, in una conti-nuità formale dal Mar Nero all’Austria, per cui sepolture di questo ti-po della fine del V secolo non possono essere attribuite con certezza aduna popolazione precisa tra Goti, Gepidi, Eruli, Rugi o altri popoli, co-sì che vengono definite genericamente “germanico-orientali”.

Maggiori elementi di riconoscimento si hanno per i Visigoti inSpagna e, in Italia, per i Goti e poi per i Longobardi. Elemento preci-puo delle genti gote resta comunque la presenza della coppia di fibu-le sulla spalla, della fibula centrale sul petto e della fibbia di cintura.Una modifica degli elementi di corredo si avverte anche in Crimea,dove già dalla prima metà del VI secolo nelle sepolture gote erano dif-fusi elementi bizantini, quali ceramiche e fibbie con decorazioni a sog-getto cristiano cui si aggiunsero, nel corso del VII secolo, croci, anel-li digitali con monogrammi in greco e le loro imitazioni. Dalle sepol-ture in cripta del Bosforo provengono elementi di corredo di altissimopregio, quali le patere argentee con la raffigurazione di Costanzo II.La commistione di elementi etnici con manufatti bizantini è presen-te in svariati corredi funerari di personaggi di alto rango, come anchenel caso della tomba rumena di Concesti, nell’Alta Moldavia, di fineIV - inizi V secolo, appartenente ad un capo unno.

Rimane comunque difficile una sicura attribuzione etnicaper molti elementi, comuni alla moda della koinè germanico-orientale, come le collane con pendenti e medaglioni aurei, irecipienti in bronzo fuso con manici a fungo, gli specchi conforo centrale, gli ornamenti per cuffie. Così, nelle tombe diApahida, che si presume appartenessero alla famiglia reale deiGepidi, troviamo bracciali d’oro con le estremità ingrossate,uno dei simboli di rango più elevato dei Germani orientali,insieme con vasellame d’argento di tipo tardoromano. Comun-que, le sepolture di area germanico-orientale solo occasional-mente comprendono elementi di corredo rituale; gli inumatirecano unicamente il corredo personale e solo a seguito deicontatti con le popolazioni romanze aumentano, soprattuttonelle tombe più sontuose, i manufatti ceramici, metallici e vi-trei. Allo stesso modo, mancano cavalli e bardature, così chele tombe riconosciute come ostrogote o genericamente ger-manico-orientali in Pannonia sono quasi esclusivamente quel-le femminili, che recano gioielli, fibule e fibbie di cintura. Letombe di personaggi di alto rango contengono sì più mate-riali, ma questi seguono le mode internazionali, con l’uso dicorredi sovraregionali, così che appare a volte impossibile unasicura individuazione etnica. Sono attribuiti agli Ostrogoti i

PERIODO TARDOANTICO E MEDIEVALE E MONDO BIZANTINO

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Fibula d’oro

con decorazione

a intreccio dal corredo

funerario della nave-

sepolcro (625 d.C. ca.)

rinvenuta a Sutton Hoo

nel Suffolk,

Gran Bretagna. Londra,

British Museum.

corredi femminili con coppia di fibule in lamina d’argento ofuse e decorate a Kerbschnitt (incisione con strumento a cu-neo), grandi fibbie sempre in argento a placca rettangolare,talvolta con protome animale, orecchini con pendente a po-liedro, oltre agli specchi di tipo nomadico, spezzati intenzio-nalmente. Allo stesso modo, appare quasi impossibile distin-guere sulla base dei corredi le sepolture dei Germani (soprat-tutto Sciri) venuti in Italia con Odoacre nel 469 da quelli deiGoti arrivati con Teoderico nel 488, perché entrambe le po-polazioni provenivano dal bacino danubiano.

Tra la fine del V e la prima metà del VI secolo è invece pos-sibile distinguere in Italia le tombe femminili germaniche, perl’uso della coppia di fibule sulle spalle e della grande fibbia dicintura, da quelle autoctone, prive di corredo o con un’uni-ca fibula per chiudere il mantello al centro del petto e per latipologia di fibule a disco, a croce, a protome animale. L’abi-tudine femminile gota di appuntare sul vestito una sorta dimantello tenuto da due grandi fibule gemelle permane anco-ra nel VII secolo ed è l’elemento che consente, fino in Spa-gna, di individuare con certezza i passaggi di questa popola-zione; anche la grande fibbia per cintura è presente in tuttal’area della migrazione gota e rappresenta un elemento di gran-de conservatorismo; in Italia, la generazione immigrata usa il

tipo con placca romboidale, che successivamente diviene ret-tangolare. Le inumate recavano nella tomba solo il costumenazionale e mancano oggetti del corredo rituale e manufattid’uso quotidiano. Anche il costume goto maschile è piutto-sto conservatore (risale addirittura al I sec. d.C., alla culturadi Wielbark), con la grande fibbia di cintura, generalmente inmateriale prezioso, la mancanza di armi (gli elmi provengonoda tesori) e le grandi fibule a cloisonné a forma di aquila.Conosciamo in Italia due tombe che possono essere attribui-te con certezza all’aristocrazia gota: quella femminile di Do-magnano e quella maschile di Ravenna. Le caratteristiche del-la prima la accomunano alle sepolture nobili altomedievali:comprende un’acconciatura con due spilloni aurei, un ampiopettorale con due fibule ad aquila, orecchini con pendenti edanello di tradizione mediterranea, una borsa con applicazionidi oro a cloisonné ed un astuccio per coltello con punta d’oro.Il corredo della tomba di Ravenna, smembrato ed in parte per-duto, comprendeva sicuramente almeno due placche d’oro ap-partenenti ad una sella da parata di legno ricoperta di cuoio.Significativo dei passaggi migratori delle popolazioni germa-niche è il corredo della cosiddetta “dama di Ficarolo” (Rovigo),una donna cinquantenne deposta attorno al 500, di naziona-lità gota o gepida. Dall’area carpatico-danubiana della metàdel V secolo, da cui presumibilmente proveniva, recava la cop-pia di fibule, l’anello e forse la fibbia di cintura; dall’area re-nana dove doveva aver vissuto provengono lo spillone per ca-pelli per un’acconciatura a corona ed il bracciale, portato inunico esemplare sul braccio sinistro e non in coppia come usa-vano le donne gote; terminò la sua vita in Italia probabilmentea seguito della fuga del ceto nobiliare alamanno che, dopo lasconfitta da parte dei Franchi, attorno al 500 si rifugiò nel re-gno goto di Teoderico.

Per quanto riguarda l’altra parte del popolo goto che va sot-to il nome di Visigoti, la ricerca archeologica risente della man-canza di attestazioni certe per il periodo delle migrazioni (dal376, quando i Visigoti vennero accolti nei territori dell’Impe-ro, al 418, quando si costituì il Regno di Tolosa), presumibil-mente da imputarsi alla mancanza di insediamenti prolunga-ti. L’unica eccezione finora nota è la tomba femminile di Vil-lafontana (presso Verona), databile tra la fine del V e l’iniziodel VI secolo e quindi in concomitanza con l’arrivo dei Visigotidi Alarico, il cui corredo personale prevede due fibule in la-mina d’argento che si ricollegano ai reperti di poco anteceden-ti della cultura visigota di Sîntana-de-Mureó (nei territori del-l’attuale Romania). Rimane senza spiegazione il mancato ri-trovamento di necropoli per il periodo stanziale del Regno diTolosa (418-507), mentre le attestazioni riprendono nei ter-ritori iberici. Proprio nella Penisola Iberica lo studio dei cor-redi ha consentito di determinare le aree di espansione pro-gressiva dei Visigoti prima della loro assimilazione da partedelle popolazioni autoctone e di analizzare la progressione del-la migrazione stilistica dai modelli germanici a quelli medi-terranei. Dopo la prima generazione, che aveva portato con séi manufatti di propria fattura, al periodo tra il 490 e il 525 so-no ascritti corredi per lo più femminili composti da fibule adarco e da placche a tecnica trilaminare (Blechfibeln), successi-vamente fuse in bronzo, da fibbie di cintura rettangolari condecorazione a cloisonné, dall’introduzione di fibule ad aquilasempre a cloisonné, oltre a materiali di tradizione mediterra-nea (fibule ad arco e snodate, orecchini, bracciali, ecc.), il tut-to prodotto presumibilmente da artigiani ispanici. Tali mate-riali si trovano anche nel periodo successivo (525-560/580),insieme con le fibule circolari, sia decorate a cloisonné che conmotivi incisi, in linea con le coeve produzioni mediterranee,oltre a staffe ovali con ardiglioni a scudo e decorazioni e bor-chie per cinture, prodotti locali su imitazione dei prototipicentro-europei. Peculiarità iberica sono le fibule ad aquila ri-

LE AREE E LE TIPOLOGIE SEPOLCRALI, I CORREDI E I RITI FUNERARI

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613

Fibule d’oro a disco

con motivi animalistici

stilizzati e intrecciati

da Hornelund,

Danimarca. Copenaghen,

Nationalmuseet.

tagliate da una lamina bronzea dorata a fuoco, con decora-zione incisa, esempio della fusione di modelli germanici contecniche decorative autoctone. Nell’ultima fase (fine VI - ini-zi VII sec.) il processo di fusione tra le due popolazioni appa-re virtualmente compiuto, tanto che è ben difficile isolare lesepolture visigote da quelle romanze: in entrambe sono diffu-si in modo crescente manufatti di tradizione bizantina, qualile fibbie a lira e quelle cruciformi.

Si fonda sui mutamenti nei corredi anche l’evoluzione equindi la cronologia delle sepolture longobarde. Nelle tombemaschili, le mutazioni formali delle armi e la loro associazio-ne costituiscono un elemento guida per la loro definizione cro-nologica. In realtà, sembra che i guerrieri non venissero depo-sti con tutte le loro armi, ma solamente con quanto bastavaalla definizione del loro ceto. In Pannonia i guerrieri (hari-manni) erano sepolti con le armi, lo scudo posto generalmentedi lato, sul fondo o alla testa della sepoltura, mentre una fos-sa vicina era riservata al cavallo. La struttura sociale emergecon chiarezza: dopo i cavalieri seguono i liberi ( faramanni ),deposti con le lance, poi i semiliberi (haldii o aldiones), conarco e frecce, quindi i servi. In Italia, nelle sepolture di guer-rieri della prima generazione troviamo la spatha a due tagli,appesa ad una cintura con fibbia e poche placche ornamen-tali, la lancia con cuspide a foglia di salice o un corto giavel-lotto e lo scudo con umbone di ferro a coppa conica, taloracon punte di freccia che presuppongono un arco. Alla fine delVI secolo si avvertono alcuni mutamenti, costituiti soprat-tutto dall’arricchimento della cintura, dall’introduzione del-lo scramasax (una sorta di sciabola), dalle brevi cuspidi di lan-ce, dall’umbone a coppa emisferica, oltre ai resti delle barda-ture di cavallo.

I corredi si arricchiscono tra la fine del VI e il primo tren-tennio del VII secolo, con la diffusione presso le classi abbientidi sontuose cinture con placche d’oro, segno di rango secon-do l’uso bizantino, di selle e finimenti sempre decorati in oro.Parallelamente, l’evoluzione delle placche che ornavano le cin-ture più semplici, utilizzate per appendere le armi, costituisceun valido tracciante archeologico per la determinazione cro-nologica delle sepolture maschili: a partire dal VII secolo sipassa infatti dalla cintura “a guarnizione quintupla”, che di-scende dai cinturoni militari romani, alla cintura “a guarni-zione multipla”, di derivazione orientale, entrambe spesso de-corate con elementi animalistici. Ad esempio, la tomba 119di Castel Trosino, particolarmente ricca, doveva apparteneread un altissimo esponente del Ducato di Spoleto e compren-deva oggetti da parata (una cintura, una sella e briglie, tuttocon decorazioni in oro), l’equipaggiamento difensivo (elmo ecorazza a lamelle, scudo) e offensivo (spatha, scramasax, 2 lan-ce e 13 cuspidi di freccia, che presuppongono arco e faretra),oltre a 3 cinture per sospendere le armi, speroni di ferro, mor-so con placche argentee. Il corredo rituale era composto da 2crocette auree, un corno potorio con tracolla d’argento, uncorno potorio di vetro e una grossa ciotola bronzea. In so-stanza, gli elementi di romanizzazione nei corredi longobardisono costituiti dall’uso del sudario e quindi delle crocette inlamina d’oro, anche se queste spesso sono decorate da motivigermanici, dalla comparsa di cinture da parata maschili di de-rivazione bizantina, di anelli con sigillo di stampo bizantino,da nuove forme di armi, quali le cuspidi di lancia a foglia d’al-loro e gli scudi con umbone emisferico ed infine dalle formeceramiche di tradizione mediterranea.

In qualche caso nelle tombe vengono deposti anche gli stru-menti professionali del defunto. È questo il caso, ad esempio,dell’orefice longobardo di Grupignano di Cividale, la cui se-poltura conteneva due piccole incudini, una fibbia per cintu-ra in argento ed un utensile in ferro, oltre probabilmente adaltri manufatti non pervenutici. Sepolture di orefici sono co-

nosciute anche in aree preitaliane, a testimonianza di questiguerrieri-artigiani itineranti, i cui tariffari sono noti dall’Edittodi Rotari del 643. A Brno, ad esempio, una ricca tomba di ore-fice comprende incudine, tenaglia, bilancina, ascia, bulino, undisco di bronzo, due martelli, quattro pesi, un recipiente, la-mine frammentarie, guarnizioni in ferro e in bronzo, un pet-tine, pietre per affilare. Un’altra sepoltura analoga, di fine V -prima metà del VI secolo, si trova a Poysdorf.

Le sepolture femminili pannoniche non prevedono l’usodi bracciali, orecchini e anelli, tranne che per le donne di ori-gine germanica o romana. La moglie dell’arimanno si distin-gueva per la presenza di un simbolico pettine da tessitore. InItalia, nei corredi femminili longobardi della prima genera-zione la caratteristica principale consiste nell’uso delle quat-tro fibule, uso comune anche a Franchi, Alamanni, Turingi eBavari: due, a S o a disco, sono sul petto, altre due a staffa,più grandi, vengono rinvenute in genere tra il bacino ed i fe-mori delle defunte ed erano probabilmente fissate ad un na-stro che pendeva dalla cintura. Le fibule ad S costituisconoun vero e proprio tracciante archeologico dei Longobardi per-ché, diversamente dalle armi tipiche del costume maschile,sono soggette ai dettami della moda e quindi cambiano spes-so. Resti dell’acconciatura sono i frequenti aghi crinali e glispilloni, come pure i più rari resti di veli in broccato d’oro.Lungo gli arti inferiori si rinvengono spesso fibbiette e picco-le piastre, utilizzate per fissare calze o mollettiere, oppure so-no pertinenti a chiusure di scarpe; queste ultime sono di nor-ma presenti solo in tombe molto ricche e non prevedevanoparti in metallo.

Con la generazione successiva molti elementi del costumesi adeguano alla moda mediterranea, con l’uso della grandefibula a disco al centro del petto utilizzata, secondo il costu-me bizantino, per chiudere il mantello, costume che si diffon-derà anche presso altre popolazioni d’Oltralpe. Elementi bi-zantini sono anche gli orecchini a cestello, i pendenti aurei dacollana, gli anelli, che si ritrovano fino alla fine del VII seco-lo, quando viene abbandonato l’uso del corredo funebre. Lecollane sono formate da paste vitree, ambre, monete forate,ecc.; alla cintura erano appese piccole borse in cuoio o in pe-sante tessuto che contenevano pettini in osso, specchietti invetro, spesso una conchiglia (la Cypraea era un simbolo di fe-condità femminile) e piccoli oggetti quotidiani, quali accia-rini e selce. Ai nastri che pendevano dalla cintura si appende-vano chiavi e ciondoli, spesso in cristallo di rocca, che avevaun significato apotropaico. Le spade da telaio si trovano an-che in tombe longobarde in Pannonia e sembrano caratteri-stiche di corredi molto ricchi. Gli aghi crinali, invece, com-paiono nelle tombe longobarde dalla metà del VI secolo, suinfluenza della popolazione autoctona. Pettini ad una fila didenti sono tipici dei Longobardi della fase pannonica, men-tre gli esemplari in osso con doppia fila di denti e decorazio-ni ad occhio di dado sono diffusi in sepolture sia autoctoneche germaniche. Elementi comuni ai corredi longobardi ma-schili e femminili erano le crocette in lamina d’oro, i pettini,le forbici, gli acciarini e la selce, i coltelli, il vasellame bron-zeo (detto “alessandrino”), diffuso tra la nobiltà longobardanella prima metà del VI secolo.

In ambito franco, la tomba della regina Arnegunda, mogliedi Clotario I (fine VI - inizi VII sec.) rinvenuta nella cripta diSaint-Denis a Parigi è eccezionale per la ricostruzione del cor-redo personale, anche grazie alle particolari condizioni di con-servazione dei tessuti: una sottile camicia di lino, un abito cor-to di seta violetta e un mantello di seta rossa sostenuto da duefibule a disco; alla vita era posta in senso diagonale una cintu-ra chiusa da fibbia con placca e controplacca, che costituiva unapeculiarità del costume merovingio; sul capo aveva un velo disatin fissato da una coppia di spilloni d’argento. Le gambe era-

PERIODO TARDOANTICO E MEDIEVALE E MONDO BIZANTINO

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no coperte da calze di lana tenute al ginocchio da giarrettierecon doppio pendente in argento, secondo un uso abbondan-temente documentato nei Paesi d’Oltralpe, ed erano protetteda stivaletti di pelle chiusi da fibbie sempre in argento.

L’uso del corredo riprende, come già detto, solo a partiredall’XI secolo e va riferito ai soli beni personali, così che lo sca-vo di sepolture di personaggi di rango elevato conferma la pre-senza di abiti, spesso da parata, e di armi. Sono questi ad esem-pio i casi dei resti rinvenuti nelle tombe, nel duomo di Palermo,dei sovrani normanni e svevi: dalla sepoltura di Ruggero II (m.1154) provengono resti di tessuti con fregi in oro, mentre quel-le di Enrico VI (m. 1197) e di Costanza d’Altavilla (m. 1198)contenevano tra l’altro lacerti di brache sorrette da una cintu-ra e i guanti dell’imperatrice (South Kensington Museum,Londra), infine la sepoltura di Federico II (m. 1250) ha reca-to un campionario dell’abbigliamento imperiale dell’epoca.L’uso di deporre le armi con il defunto prosegue a lungo, co-me testimoniato ad esempio dalla tomba quattrocentesca diGiovanni de’ Medici in S. Reparata a Firenze, che contenevaun raffinato corredo di spada e speroni in bronzo dorato.

Bibl.: Oltre alla bibliografia generale sulle aree funerarie, in particolare, suiriti e i corredi: B. Young, Paganisme, christianisation et rites funéraires mé-rovingiens, in AMédiévCaën, 7 (1977), pp. 5-81; P.-A. Fevriér, Le culte desmorts dans les communautés chrétiennes durant le IIIe siècle, in Atti del IXCongresso Internazionale di Archeologia Cristiana (Roma, 21-27 settembre1978), Roma 1978, pp. 211-74; M. Colardelle, Sépultures et traditions funé-raires du Ve au XIIIe s. après J.C. dans les campagnes des Alpes Françaises duNord, Grenoble 1983; C. D’Angela, L’obolo a Caronte. Usi funerari medie-vali tra paganesimo e cristianesimo, in QuadMediev, 15 (1983), pp. 82-91;

P. Peduto (ed.), Villaggi fluviali nella pianura pestana del secolo VII. La chie-sa e la necropoli di S. Lorenzo di Altavilla Silentina, Salerno 1984; Awarenin Europa. Schätze eines asiatischen Reitervolkes (Catalogo della mostra),Nürnberg 1985; A.M. Giuntella et al., Mensae e riti funerari in Sardegna.La testimonianza di Cornus, Taranto 1985; La necropoli altomedievale diVicenne, in Conoscenze, 4 (1988); F.S. Faxon, Christianising Death: theCreation of a Ritual Process in Early Medieval Europe, Ithaca - London 1990;A.M. Giuntella - C. Amante Simoni, L’uso degli spazi: sepolture e riti fune-rari, in La civitas christiana. Urbanistica delle città italiane tra antichità e al-tomedioevo, Atti del Seminario di studio (Torino, 1991), Torino 1992, pp.127-43; J.-Ch. Picard, Cristianizzazione e pratiche funerarie. Tarda anti-chità e alto medioevo (IV-VIII secolo), Torino 1992; V. Bierbrauer - H. Büsing -A. Büsing-Kolbe, Die Dame von Ficarolo, in AMediev, 20 (1993), pp. 303-32; A. Melucco Vaccaro, s.v. Cavallo, archeologia, in EAM, IV, 1993, pp.598-601; A. Felle - M.P. Del Moro - D. Nuzzo, Elementi di corredo e arre-do nelle tombe di S. Ippolito sulla via Tiburtina, in RACr, 70, 1-2 (1994),pp. 89-158; E. Rebillard, In hora mortis. Évolution de la pastorale chrétien-ne de la mort aux IVe et Ve siècles dans l’Occident latin, Rome 1994; M.J.Becker, Medieval Mortuary Customs in Italy: Skull Relocations and OtherUnusual Burial Procedures, in AMediev, 23 (1996), pp. 699-714; C. Treffort,L’église carolingienne et la mort. Christianisme, rites funéraires et pratiquescommémoratives, Lyon 1996; G. Fornaciari et al., Santa Zita di Lucca: ma-lattie, ambiente e società dallo studio di una mummia naturale del XIII seco-lo, in Atti del I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Pisa, 29-31giugno 1997), Firenze 1997, pp. 280-85; B. Genito, Sepolture con cavalloda Vicenne (CB): un rituale nomadico di origine centroasiatica, ibid., pp.286-99; C. La Rocca, Segni di distinzione. Dai corredi funerari alle dona-zioni “post obitum” nel regno longobardo, in L. Paroli (ed.), L’Italia centro-settentrionale in età longobarda. Atti del Convegno (Ascoli Piceno, 1995),Firenze 1997, pp. 31-54; M. Marinone, I riti funerari, in L. Pani Ermini(ed.), Christiana Loca (Catalogo della mostra), Roma 2000, pp. 71-80.

Francesca Romana Stasolla

LE AREE E LE TIPOLOGIE SEPOLCRALI, I CORREDI E I RITI FUNERARI

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MONDO ISLAMICO

LE AREE SEPOLCRALI

La mancanza di studi sistematici sui criteri di ubicazione deicimiteri islamici, l’esigua documentazione archeologica e in-fine le scarse notizie delle fonti rendono necessario l’adatta-mento di una sorta di raggruppamento regionale attraverso ilquale emerge un quadro alquanto omogeneo sulla topografiacimiteriale rispetto alle aree urbane. Tuttavia, resta da sottoli-neare il carattere contraddittorio assunto dalla religione isla-mica riguardo ai cimiteri, considerati in alcuni casi luoghi im-puri, mentre in altri diventano importanti centri di preghierapoiché accolgono le sepolture dei personaggi venerati in gra-do di estendere la loro benedizione e protezione sulle città esugli individui. Una prima notizia a riguardo giunge da unanota di Ibn Taymiyya, il quale precisa che le aree cimiterialidei fedeli non debbono né coincidere né trovarsi in prossimitàdi quelle cristiane o giudaiche. Tale generica affermazione sem-bra chiarire, parzialmente, il problema della fondazione dellenecropoli, oggetto di una vera e propria pianificazione rispet-to al tessuto urbano delle città conquistate durante l’espan-sione islamica. Le aree funerarie primitive, infatti, datate pro-prio al VII sec. d.C., sorsero a Mecca e Medina intorno alletombe dei famigliari del Profeta; simili poli di attrazione di-ventarono in seguito anche le tombe martiriali di sempliceaspetto all’inizio, poi monumentalizzate da sontuosi mauso-lei (maqàm) e da moschee, cui vanno aggiunti i mausolei deipatroni locali e dei mistici sufi. La presenza delle tombe ve-nerate fece diventare tali luoghi importanti centri di pellegri-naggio e di riunione determinando sia l’estensione dei cimi-teri sia le fondazioni di nuove aree funerarie. Nella PenisolaArabica le aree sepolcrali sorgevano genericamente fuori del-le mura cittadine, in prossimità delle porte urbiche, chiuse en-tro recinti; le tombe sono disposte in file, a volte quasi addos-sate l’una all’altra.

Le più antiche aree funerarie sono indubbiamente quelle di Meccae Medina. Nella prima, il cimitero di al-Mala detto anche el-Hagiunè ubicato ad est della città sul versante dell’omonimo monte e pressola porta di Bab Mala. La necropoli, cinta di mura, conteneva le tom-be cupolate di Amina (madre del Profeta), Khadigia (una delle mo-gli) ed altri suoi famigliari e seguaci. Un altro cimitero più piccolo èsituato a sud della città sul versante del monte Kada. Nella città diMedina, dove venne sepolto il Profeta stesso (al-Haram al-Nabawi), sitrova il cimitero di el-Baki situato a nord-est presso l’omonima porta;l’area conta circa 10.000 tombe, tra le quali spiccano quelle dei com-pagni del Profeta e di alcuni suoi famigliari. Un cimitero verosimil-mente fondato al momento dell’emigrazione di Maometto da Meccaconserva il nome di al-Muhagirin ed è noto anche come luogo di pel-legrinaggio.

Il cronista arabo Ibn Asakir nella sua Storia della città di Damasco(Ta’rêé madênat Dimaèq) riserva alcune pagine al cimitero di Bab Tuma(oggi nominato Shaykh Raslan dove sorge l’omonima moschea), for-se il più antico della città, ricordando le tombe venerate ivi presenti.La dislocazione dei cimiteri damasceni segue la logica urbanistica so-pra indicata, infatti essi si trovano presso le porte di Bab Tuma, Babas-Saghir (con i mausolei di Fatima e di Sukhayna), Bab ed-Dahbah,Bab el-Faradis, Bab as-Sufiyya e Bab el-Giabiya. Il cimitero di es-Salihiyya è ubicato ai piedi del monte Qasiyun, al quale venne attri-buito un carattere sacro. Non mancano tuttavia rari esempi di sepol-ture urbane, come il caso del sepolcro di Saladino, tumulato nel 1193nei pressi della grande moschea omayyade.

A Baghdad le aree sepolcrali, dislocate fuori delle mura, prendonoi nomi delle porte che vi conducono: il cimitero di Bab Dimashq (da-tato al VII sec.), quelli di Bab et-Tibn, Bab el-Harb, Bab el-Kunas,Bab el-Baradan e Bab al-Abraz, ai quali si aggiungono la necropoli dial-Khayzuran ad est e quella di el-Fil ad ovest. Altre aree funerarie fon-date nel XIII secolo, considerate mete di pellegrinaggio, si trovano aMossul e a Takrit. A Gerusalemme le aree funerarie si inserivano ne-gli spazi disponibili ad est della collina del tempio, un altro, detto diMamilla, si estende ad ovest fuori delle mura. Si attesta, tuttavia, il sor-gere di aree cimiteriali, caratterizzate da uso ed estensione limitati, neipressi delle residenze estive dei califfi: un esempio è costituito dalla ne-cropoli di età omayyade-abbaside (VII-IX sec. d.C.) a Qastal (25 kmca. a sud di Amman, in Giordania), nei pressi dell’omonimo castello,che presenta numerose stele funerarie. L’analisi epigrafica e paleogra-