forze multinazionali - ministero della difesa

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4 COOPERAZIONE INTERNAZIONALE L a riunione del Consiglio d’Europa tenutasi ad Helsinki nei giorni 10 e 11 dicembre 1999 ha segnato un dra- stico passo avanti verso la creazione di un’Euro- pa della difesa e della sicurezza, dopo che l’Eu- ropa dell’economia appare ormai consolidata. Il Consiglio ha quindi deciso che gli Stati membri organizzino entro il 2003 una forza militare significativa (50-60.000 uomini) in grado di essere rischierati in 60 giorni e di ope- rare per almeno un anno nell’ambito delle cosiddette missioni di Petesberg. (1) Si tratta dell’ultimo, in ordine di tempo, di una importante serie di sviluppi di cooperazio- ne militare che hanno coinvolto i Paesi europei. La NATO Una delle più importanti innovazioni apportate dalla NATO è stata la creazione di forze multinazionali, in cui reparti e singoli individui appartenenti ai diversi Paesi dell’Al- leanza venivano assegnati a comandi integrati, operando quindi non più come espressione diretta del Paese d’origne, ma come elementi dell’Alleanza sovranazionale. La prima, all’inizio degli anni ‘60, è stata la creazione dell’AMF(L), ovvero l’ACE (Allied Command Europe) Mobile Force (Land), una brigata leggera di pronto intervento a cui ade- rivano tutti i Paesi della NATO. La struttura era permanente, quindi costituita già al tempo di pace, attingendo da un bacino di unità “pre- designate” forte di circa 19.000 uomini, ed attivata sia in occasione di esercitazioni perio- diche sia per contingenze che investissero la sicurezza di uno dei Paesi alleati. Il comando era esercitato a rotazione da un Generale di Divisione (quando fu il turno dell’Italia il comandante fu l’allora Gen.Div. Angioni), essendo previsto che l’AMF(L) potesse essere anche affiancata da una Brigata nazionale del- l’area di rischieramento. Uno degli aspetti più importanti di questa struttura, tuttora attiva, è stato senz’altro quello di aumentare la familia- rità degli Eserciti dei singoli Paesi membri con le procedure dell’Alleanza. Difatti per le Mari- ne e le Aeronautiche è sicuramente più facile addestrarsi con le controparti dei Paesi alleati, data la libertà intrinseca di spostamento offer- ta dal mare e dall’aria. L’AMF(L) non costi- tuiva, di per sé, una forza di combattimento tale da rappresentare un ostacolo invalicabile EUROPEE FORZE MULTINAZIONALI C.V. MASSIMO ANNATI (1) Nel giugno del 1992 nell’ambito della riunione dei Ministri della Difesa dell’Unione Europea di Petesberg, vennero definite le cosiddette “missioni di Petesberg”, ovvero: operazioni umanitarie, operazioni di evacuazione di civili da aree di conflitto (NEO), operazioni per il man- tenimento della pace (PKO), ed infine operazioni di combattimento per la gestione delle crisi e l’imposizione della pace (PEO).

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COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

LLa riunione del Consiglio d’Europatenutasi ad Helsinki nei giorni 10 e11 dicembre 1999 ha segnato un dra-

stico passo avanti verso la creazione di un’Euro-pa della difesa e della sicurezza, dopo che l’Eu-ropa dell’economia appare ormai consolidata.

Il Consiglio ha quindi deciso che gli Statimembri organizzino entro il 2003 una forzamilitare significativa (50-60.000 uomini) ingrado di essere rischierati in 60 giorni e di ope-rare per almeno un anno nell’ambito dellecosiddette missioni di Petesberg. (1)

Si tratta dell’ultimo, in ordine di tempo, diuna importante serie di sviluppi di cooperazio-ne militare che hanno coinvolto i Paesi europei.

La NATO

Una delle più importanti innovazioniapportate dalla NATO è stata la creazione diforze multinazionali, in cui reparti e singoliindividui appartenenti ai diversi Paesi dell’Al-leanza venivano assegnati a comandi integrati,operando quindi non più come espressionediretta del Paese d’origne, ma come elementidell’Alleanza sovranazionale.

La prima, all’inizio degli anni ‘60, è stata lacreazione dell’AMF(L), ovvero l’ACE (AlliedCommand Europe) Mobile Force (Land), unabrigata leggera di pronto intervento a cui ade-rivano tutti i Paesi della NATO. La strutturaera permanente, quindi costituita già al tempodi pace, attingendo da un bacino di unità “pre-designate” forte di circa 19.000 uomini, edattivata sia in occasione di esercitazioni perio-diche sia per contingenze che investissero lasicurezza di uno dei Paesi alleati. Il comando

era esercitato a rotazione da un Generale diDivisione (quando fu il turno dell’Italia ilcomandante fu l’allora Gen.Div. Angioni),essendo previsto che l’AMF(L) potesse essereanche affiancata da una Brigata nazionale del-l’area di rischieramento. Uno degli aspetti piùimportanti di questa struttura, tuttora attiva, èstato senz’altro quello di aumentare la familia-rità degli Eserciti dei singoli Paesi membri conle procedure dell’Alleanza. Difatti per le Mari-ne e le Aeronautiche è sicuramente più facileaddestrarsi con le controparti dei Paesi alleati,data la libertà intrinseca di spostamento offer-ta dal mare e dall’aria. L’AMF(L) non costi-tuiva, di per sé, una forza di combattimentotale da rappresentare un ostacolo invalicabile

EUROPEEFORZE MULTINAZIONALIC.V. MASSIMO ANNATI

(1) Nel giugno del 1992 nell’ambito della riunione dei Ministri della Difesa dell’Unione Europea di Petesberg, vennero definite le cosiddette

“missioni di Petesberg”, ovvero: operazioni umanitarie, operazioni di evacuazione di civili da aree di conflitto (NEO), operazioni per il man-

tenimento della pace (PKO), ed infine operazioni di combattimento per la gestione delle crisi e l’imposizione della pace (PEO).

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per una forza d’invasione dell’allora nemico, ilPatto di Varsavia, ma la presenza sul terreno diuomini appartenenti ai vari Paesi della NATOaveva un importantissimo significato politico:coinvolgere sin dall’inizio tutti i membri del-l’Alleanza in un eventuale stato di crisi o diconflitto, manifestando la solidarietà degli altrialleati con un apporto visibile e concreto, chenon si limitasse alle “semplici” formule diplo-matiche.

In pratica si rendeva reale e tangibile l’ap-plicazione dell’Art. 5 dello statuto dell’Allean-za Atlantica.

Il contributo dei Paesi Alleati richiedeval’assegnazione di unità altamente mobili, ido-nee ad operare in ambienti climaticamente oorograficamente difficili, come le montagnenorvegesi o gli altipiani turchi, e che fosserorischierabili in sole 48 ore.

Nell’ambito dell’AMF(L) l’Italia è stata per-lopiù rappresentata dal Gruppo Tattico “Susa”del 3° Reggimento Alpini, rinforzato da unabatteria di artiglieria da montagna e da unospedale da campo aerotrasportabile. A secon-da del teatro d’impiego ipotizzato la task-forcedell’AMF(L) comprendeva l’una o l’altraunità. Ad esempio l’Italia era responsabile del-l’ospedale da campo nell’area Sud, mentre laGermania lo era per il Nord.

Analogamente esisteva anche una AMF(A), acui davano il proprio contributo velivoli da com-battimento delle Aeronautiche alleate (per l’Italiai ricognitori del 3° Stormo). Il risultato di questastruttura, era rappresentato da due o tre stormimultinazionali, anche se, come precedentementericordato, le forze aeree sono molto più agevolatein questo impiego rispetto ai reparti terrestri.

Durante la Guerra del Golfo un aliquotadell’AMF(A) è stata rischierata in Turchia convelivoli italiani, belgi e tedeschi, a protezionedel territorio di questo Paese, l’unico dellaNATO a confinare con l’Irak.

Nel corso degli anni ‘80 molte delle ForzeArmate alleate hanno istituito per la prima voltaal loro interno una componente d’impiego rapi-do, puramente nazionale, da poter utilizzare incaso di crisi rischierandola, in tempi ridotti, sulteatro d’impiego. Sono così nate, tra le altre, laFAR (Force d’Action Rapide) francese, la RDF(Rapid Deployment Force) statunitense, la FAR(Fuerza d’Accion Rapida) spagnola e la FIR(Forza d’Impiego Rapido) italiana. Un elemen-to caratteristico di queste forze era la mobilità,ottenuta grazie al ricorso a forze leggere, vale adire unità paracadutiste, aeromobili, anfibie o alpiù blindo-meccanizzate “leggere”.

Si riteneva, difatti, che fosse importantepoter ridislocare aliquote significative di questeunità in tempi molto brevi, in modo da “avereun piede sul campo di battaglia”. Questeforze, alla bisogna, sarebbero state poi seguiteda adeguati rinforzi in tempi successivi.Nasceva così il concetto delle ExpeditionaryForces, con reparti assiemati in funzione dellanatura della missione, e, soprattutto, con unarobusta struttura per il comando ed il suppor-to logistico, indispensabili per le operazionilontane dalle normali aree d’assegnazione.

Solo in tempi successivi l’esperienza matu-rata sul terreno avrebbe indicato che anche per

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la gestione delle crisi e le operazioni a suppor-to della pace sarebbero state necessarie ancheforze pesanti, tanto che oggi le Forze Tedeschedi Reazione per le Crisi (KRK), recentementecostituite, si basano al 50% su unità corazzate

e al 50% su unità leggere o aeromobili.La componente navale disponeva di una

struttura per alcuni versi simile a quella del-l’AMF(L). La Naval Force-on-call Mediterra-nean era composta dai Paesi alleati che si affac-

ciavano sull’ex-Mare Nostrum, più gli StatiUniti, ciascuno dei quali metteva a disposizio-ne una fregata o un cacciatorpediniere. LaNAVOCFORMED (gli acronimi della NATOsono spesso ostici, ma quelli navali sono senza

dubbio i peggiori in assolu-to!) veniva attivata periodi-camente on call, con forzedesignate sin dal tempo dipace, mentre il comandoveniva assunto a rotazioneda uno dei Paesi. Fu istituitanel 1969 e la prima attiva-zione avvenne ad Augusta il22 aprile 1970.

Nell’area atlantica, inve-ce, considerato il maggiorlivello di pericolosità dellaflotta sovietica, la forzanavale NATO era assegnatain posizione permanente,ovvero standing (STANAV-FORLANT) già a partiredal 1968.

Con la disgregazione delPatto di Varsavia, ed il con-seguente mutamento delloscenario strategico, le forzedella NATO sono state pro-gressivamente orientateanche ad operazioni che nonriguardassero direttamenteaggressioni portate verso ilterritorio di uno dei Paesimembri, aprendosi a quelleche vengono definite (forseun po’ impropriamente)come operazioni “non-Arti-colo-5” (2).

Inoltre non erano piùnecessari grandi dispositivi

militari pronti ad entrare in azione con preav-visi minimi, essendo venuta a mancare l’in-combente minaccia delle divisioni corazzatesovietiche pronte e riversarsi attraverso il“Fulda Gap” e la “Soglia di Gorizia”.

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(2) L’Art.5 del Trattato del Nord Atlantico prevede che, in caso d’aggressione ad uno dei Paesi Membri, gli altri intraprenderanno l’azione

che giudicheranno necessaria, compreso l’uso delle Forze Armate, per assistenza al Paese aggredito. Va altresì osservato che anche l’Art.5

del Trattato Istitutivo della UEO prevede che: “Nel caso una delle parti contraenti dovesse essere oggetto di aggressione armata in Europa, le

altre le porteranno aiuto ed assistenza con tutti i mezzi in loro potere, militare e d’altro genere”. Tra i due, in realtà, è il Trattato UEO ad

essere maggiormente cogente.

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Le forze a disposizione del Comando Supre-mo Alleato Europeo (SACEUR) della NATOsono state quindi suddivise in tre categorie:forze di reazione immediata e rapida, forzeprincipali di difesa (main defence forces) ed infi-ne forze di rincalzo (augmentation forces).

Le forze di reazione immediata,interamente formate da forze multinazionali,si basano sulla pre-esistente AMF(L), mentrein campo navale la logica delle Forces-on-call èstata rimpiazzata da forze permanentementeassegnate e dislocate nelle due aree d’interesse,ovvero le Standing Naval Force Mediterranean eAtlantic, nonchè le Mine Counter MeasuresForces, Mediterranean e North, ovvero con ilconsueto ricorso agli orribili acronimi:STANAVFORMED, STANAVFORLANT,MCMFORMED, MCMFORNORTH.

Questa soluzione è stata adottata in quantole forze navali sono considerate svolgere unruolo “abilitante” all’impiego delle altre forze,e pertanto devono essere in grado di interveni-re sullo scenario di competenza con adeguatatempestività, oltre a svolgere in continuazioneun ruolo di presenza avanzata in acque inter-nazionali per la prevenzione delle crisi.

Dalla sua creazione nel 1969 la NAVOC-FORMED era stata attivata due volte all’annoper durate di circa un mese, sino a quando nel1991, prima con la Guerra del Golfo e poi conl’applicazione dell’embargo contro la ex-Jugo-slavia, ha avuto un’attivazione tanto lunga dapermetterne il passaggio a forza permanentestanding senza soluzione di continuità.

Un altro aspetto di fondamentale importan-za per quanto attiene le forze navali multina-zionali standing, riguarda la presenza conti-nuativa di unità britanniche, tedesche e statu-nitensi nelle formazioni navali assegnate alMediterraneo, evidente segno dell’accresciutaimportanza del bacino.

La NATO ha anche istituito, a partire dal1994, la CAFMED, ovvero Combined Amphi-bious Force Mediterranean, una forza multina-zionale “su chiamata” composta da navi ereparti anfibi di Italia, Turchia, Spagna, Greciae Stati Uniti, eventualmente rinforzati ancheda unità Olandesi e Britanniche. Questa forzaanfibia multinazionale è stata attivata svariatevolte per esercitazioni e dipende dal COM-STRIKFORSOUTH. Una sua particolarità è

la creazione di staff multinazionali sia per ilcomando della forza anfibia (CCTAF), che perla forza da sbarco (CCLF), che per il Multi-National Combat Service Support Center(MNCSSC).

Nell’ambito delle forze di reazione rapida, ilComando delle Forze Alleate in Europa (ACE)ha istituito nel 1993 l’ACE Rapid ReactionCorps (ARRC).

L’ARRC è basato in Germania a Rheindah-len, è comandato da un Generale inglese, conun vice italiano e supporti di comando e tra-smissioni inglesi (secondo il concetto frame-work, secondo cui un’unica nazione - beneorganizzata - fornisce la strutturaoperativa/organizzativa del comando multina-zionale). Questo comando può attingere daun “bacino” di 10 divisioni fornite da 12nazioni per formare la forza di reazione rapidaoccorrente alla contingenza. In particolare traqueste forze bisogna rilevare la MultinationalDivision Center o MND(C), precedentementenota come NATO Airmobile Division e forma-ta da reparti aeromobili di Germania, GranBretagna, Belgio e Olanda, e la futura Multi-national Divison South o MND(S) che saràformata da unità italiane, greche e turche.Inoltre può attingere anche a divisioni nazio-nali tedesche (due), greche, turche, spagnole ea tre ulteriori divisioni “strutturate”. Quest’ul-time (una italiana e due britanniche), sonograndi unità coordinate da un Paese, ma com-prendono anche forze assegnate da altre nazio-ni all’ARRC, ovvero brigate danesi, portoghesied un’ulteriore brigata italiana.

L’ARRC è già stato impiegato due volte sulterreno: nel 1995 in Bosnia e nel 1999 inKosovo, assegnando a forze nazionali diversisettori di responsabilità.

Tra le cosiddette main defence forces vaosservato che la Germania, l’Olanda e la Polo-nia hanno recentemente formato il Multi-National Corps (North-East) (MNC-NE), conComando a Stettino, ed orientato principal-mente alla gestione delle crisi ed a operazionidi pace, che sostituisce il precedente comandoNATO LANDJUT.

In campo aereo le Forze di Reazione sonoinvece costituite dal Reaction Forces Air Staff acui vengono assegnate unità predesignate trat-te dalle Aeronautiche dei vari Paesi Alleati.

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In Europa vi sono altre due strutture multi-nazionali NATO con una valenza strategica: ilCombined Joint Planning Staff e, soprattutto,la NATO Airborne Early Warning and Con-trol Force (NAEW&CF). Quest’ultima rag-gruppa tutti i velivoli AWACS E-3 Sentry conle coccarde NATO, si tratta quindi di unaforza solo ed esclusivamente NATO, e non,come negli altri casi, di mezzi e reparti nazio-nali assegnati a comandi multinazionali. Inquesto modo l’Alleanza si è potuta dotare diuno strumento di elevato costo e complessità,ma di vitale importanza per il controllo delcampo di battaglia aereo, laddove i singoli Statimembri ne sono invece privi (con le ovvieeccezioni di Stati Uniti, Francia e, con qualchelimitazione, Gran Bretagna).

Unione Europa Occidentale (UEO-WEU)

La UEO è stata istituita a Parigi nel 1954,ma, in pratica, è stata riattivata solo nel 1984,ad essa aderiscono 10 nazioni a pieno titolo,mentre altre 18 risultano nel ruolo di “associa-to” o di “osservatore”.

Nel periodo compreso tra il 1992 ed il 1996alcune Nazioni appartenenti alla UEO hannoprogressivamente costituito un Corpo d’Arma-ta multinazionale europeo (Eurocorpo) concomando a Strasburgo, formato da reparti diFrancia, Germania, Belgio, Spagna e Lussem-burgo, che costuiscono un “bacino” di circa50.000 uomini, 700 carri e 2700 veicoli blin-dati, da cui trarre, secondo il concetto della“struttura a geometria variabile” le unità neces-sarie per affrontare le diverse esigenze.

Nel giugno del 1999 l’Eurocorpo agli ordi-ni del generale spagnolo Ortuno, ha assunto ilcomando delle operazioni di pace in Kosovo,che è quindi transitato da un comando NATO(ARRC) ad uno UEO (Eurocorpo).

In tal caso dall’Eurocorpo dipendono siaunità NATO (europee e non europee) chepartners non-NATO, mentre l’Eurocorporisponde comunque a SHAPE, dato chel’ONU ha affidato alla NATO il comandodella missione di pace.

L’Eurocorpo è in grado di generare unaForza Immediata Leggera (FIL) equivalente aduna Brigata ed una Forza Immediata Mecca-nizzata (FIM) equivalente ad una Divisione,

nel giro di 20 giorni, con forze che presentanouna disponibilità di 4° livello (per riferirsi allaterminologia NATO).

Il cuore dell’Eurocorpo è la Brigata Franco-Tedesca di Mullheim, prima unità multinazio-nale europea totalmente integrata, che quindidispone di reparti propri (ovvero non assegna-ti alla bisogna). Questa unità è già stata impie-gata in operazioni quando, nel 1998-99 hapartecipato alla SFOR in Bosnia.

Oltre alla Brigata Franco-Tedesca, l’Eurocorpocomprende uno staff di 150 uomini, un Reggi-mento delle Trasmissioni Francese e forze di com-battimento che possono includere sino a quattroDivisioni generabili dai reparti nazionali.

Pur dipendendo dalla UEO, la brigata Fran-co-Tedesca in base agli accordi UEO-NATO,in caso d’esigenza può essere posto alle dipen-denze operative della NATO (SACEUR).

La UEO, con la “Dichiarazione di Lisbona”del maggio 1995, ha portato alla costituzionedi altre due forze multinazionali europee:EUROFOR e EUROMARFOR. A tale inizia-tiva aderiscono Francia, Portogallo, Spagna edItalia.

I comandi militari delle due unità rispon-dono al Comitato d’Alto Livello Interministe-riale (CIMIN), composto dai Capi di StatoMaggiore della Difesa e dai Direttori Generalidegli Affari Politici del Ministero Affari Esteri,o loro rappresentanti, dei quattro Paesi.

Il concetto su cui è stato realizzato l’EURO-FOR, con comando basato a Firenze, è quellodel core HQ, composto da un nucleo di perso-nale piuttosto ridotto (l’11° Rgt TrasmissioniItaliano più uno snello staff multinazionale) edulteriori forze mobilitabili in caso d’esigenza.Ogni Paese mette a disposizione una Brigata di5.000 uomini, Attingendo da questo “serba-toio” l’EUROFOR è in grado di schierare unaforza multinazionale di combattimento equi-valente ad una Brigata, arrivando, in caso dinecessità, sino ad una divisione leggera di10.000 uomini). I tempi di dispiegamento pre-vedono 5 giorni per un advanced party, 14giorni per l’elemento principale e 30 giorni peril completamento dello schieramento e deisupporti. Il comando viene ruotato tra i quat-tro Paesi con periodicità biennale e l’attualecomandante di EUROFOR è il Generale ita-liano Ciro Cocozza.

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L’idea dell’Eurofor era nata nel 1992, e giànello stesso anno era iniziata una serie di eserci-tazioni congiunte precedenti quindi l’istituzioneformale della Forza stessa (Farfadet 92, Ardente93, Tramontana 94, Eolo 96, etc), che hannopermesso di migliorare l’integrazione delle forze.

L’ultima in ordine di tempo, la Eolo-2000 si ètenuta a giugno in Spagna coinvolgendo 11.500militari dei quattro Paesi, di cui 2.350 spiegati sulterreno, e si è svolta in due fasi: la simulazione diun’operazione di evacuazione di civili dall’area dicrisi (NEO, Non-combatant Evacuation Opera-tion), seguita da operazioni di combattimentovolte ad imporre il mantenimento della pace(PEO, Peace Enforcing Operation).

Il comando della forza multinazionale euro-pea (CJTF, Combined Joint Task Force) hadesignato ed impiegato un comando congiun-to delle forze terrestri (LCC, Land ComponentCommand), uno delle forze navali (MCC,Maritime Component Command), uno delleforze aree (JAFCC, Joint Air Force ComponentCommand) ed un comando delle operazionispeciali (SOCC, Special Operation Compo-nent Command).

All’Eolo-2000 ha partecipato ancheEUROMARFOR: si tratta di un comandounificato tra le Marine dei quattro Paesi, conunità che possono venir impiegate con unpreavviso di 5 giorni.

La struttura di EUROMARFOR è, natural-mente, variabile in funzione dell’esigenza. Que-sta rappresenta forse la più importante differen-za rispetto alle forze multinazionali NATO già alungo sperimentate: qui difatti la partecipazionedelle singole nazioni è flessibile ed in grado diadattarsi alla bisogna, sia in termini qualitativiche quantitativi, mentre con la NATO il contri-buto era già stabilito a priori (un caccia o frega-ta per Paese). EUROMARFOR è quindi ingrado di assolvere ad una moltitudine di com-piti che vanno ben oltre il semplice sea control,includendo anche la proiezione di potenza, conmezzi che comprendono portaerei, navi anfibie,navi scorta, rifornitrici, sommergibili e velivolida pattugliamento marittimo

All’EUROMARFOR ha partecipato, come“osservatore”, anche una Fregata tedesca giàpresente in Mediterraneo nell’ambito dellaSTANAVFORMED. Altri Paesi, tra cui Gre-cia e Turchia, hanno espresso un forte interes-se all’adesione a questa forza.

In campo marittimo la UEO ha già comun-que gestito anche le operazioni d’embargo allaex-Jugoslavia, sia in Adriatico con una forzanavale di contingenza (WEUCONMAR-FOR), che sul Danubio. In quest’ultimo set-tore il coordinamento delle unità da pattuglia-mento fluviale era affidato alla Guardia diFinanza Italiana.

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La planning cell della UEO, creata nel 1993,è costituita da circa 50 persone appartenenti a12 diverse nazioni e si occupa della pianificazio-ne preventiva di contingenze, della definizionedelle regole d’ingaggio (ROE) e di procedureoperative standard per i comandi, nonché dellapianificazione di esercitazioni congiunte.

Nel corso del 2000 la cellula di pianificazio-ne della UEO ha collaborato con il CombinedJoint Planning Staff (CJPS) della NATO perl’esercitazione CMX-CRISEX.

Un altro importante organo che rispondealla UEO è il Centro di intelligence di Torre-jon (WEU SAT Center), inaugurato nell’apri-le 1993. Assicura la sorveglianza satellitare suaree designate, in supporto alle Missioni diPetesberg. Tra queste bisogna ricordare l’Alba-nia ed il Kosovo (da novembre 1998), oltreall’assistenza fornita nel corso della crisi africa-na nell’area dei Grandi Laghi.

Il Centro opera col contributo finanziario ditutti i Paesi membri della UEO a cui si sonoaggiunti anche Islanda, Norvegia e Turchia.Tutti hanno la medesima possibilità di accedereai dati di intelligence raccolti, realizzando cosìun servizio di rilevante importanza strategica.

Altre Forze Multinazionali

Oltre ai comandi ed alle unità multinazio-nali formate in ambito NATO e/o UEO, visono anche altre formazioni create con accordibilaterali tra Paesi Europei.

Tra queste bisogna ricordare per prima, gra-zie alla sua longevità, la forza anfibia britanni-co-olandese (UK-NL AF), composta dai RoyalMarines e dai Korps Mariniers e resa disponi-bile sia per operazioni NATO che UEO.

Più recentemente (1998) anche l’Italia e laSpagna hanno istituito una Spanish-ItalianAmphibious Force (SIAF), che prevede l’asse-gnazione “incrociata” di personale di un Paesenel Comando Anfibio dell’altro, e l’assunzio-ne, a rotazione, del Command Anfibious TaskForce (CATF) e del Command Landing Force(CLF), realizzati con l’assegnazione di unitàtratte dalle rispettive forze nazionali.

Questa unità può operare autonomamente,ovvero inserita nell’EUROMARFOR oppureancora nella CAFMED della NATO, rispon-dendo a richieste italo-spagnole, o di organiz-zazioni internazionali come ONU, NATO,OSCE, UEO.

L’Italia partecipa anche alla Brigata da Mon-tagna trinazionale composta anche da Unghe-ria e Slovenia, con il comando della BrigataJulia che assicura il comando della formazione.Nel 1998 un’esercitazione a livello posti dicomando (TRILOG 98) ha messo alla prova,per la prima volta, la cooperazione.

La Germania e l’Olanda hanno costituitoinsieme il 1° Corpo a Munster, composto dadue Divisioni corazzate e da una Brigata bi-nazionale di supporto.

L’unità fa parte della NATO, ma è stata resadisponibile ad operazioni WEU dal 1997(FAWEU, Forces Answerable to WEU) (3).

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(3) I vari governi europei hanno provveduto a dichiarare la potenziale disponibilità di alcune delle proprie forze per operazioni WEU. Alcu-

ni di questi reparti sono assegnati sia alla NATO, che alla WEU, ma possono venir passati di controllo in base a specifici protocolli. Le

FAWEU sono così composte: Eurocorpo, Multi-National Division (Center), 1° Corpo GE-NL, EUROFOR, EUROMARFOR, Forza

Anfibia UK-NL, Forza Anfibia IT-SP.

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L’Austria ha proposto, nell’ambito dellaParternship for Peace (PfP) l’istituzione di unabrigata multinazionale centro-europea CEN-COOP, che comprenda Austria, Ungheria,Romania, Slovenia e Slovacchia. Primo bancodi prova di questa iniziativa è stato l’inseri-mento di unità Slovene ed Ungheresi all’inter-no del contingente Austriaco di peacekeepingrecentemente inviato a Cipro (UNIFICYP).

Le tre repubbliche baltiche (Estonia, Letto-nia, Lituania) hanno dato vita ad un battaglio-ne di fanteria per operazioni di pace (BALT-BAT), ad una squadriglia navale per operazio-

ni di polizia marittima e di sminamento (BAL-TRON) ed ad una rete unificata di controllodello spazio aereo (BALTNET). Svezia, Norve-gia, Finlandia e Germania rappresentano iprincipali partners di tali iniziative, fornendomateriali ed addestramento.

Nel Mar Nero, tra Bulgaria, Georgia, Roma-nia, Russia, Turchia ed Ucraina, è attualmentein fase di costituzione (stesura dei Terms of Refe-rence) una forza navale multinazionale on-calldenominata BLACKSEAFOR e destinata ad

operazione di sminamento, di soccorso e di pro-tezione ecologica, oltre che a scambi di visite,etc. Come si vede, si tratta però di un’attivitàpiù rivolta alle cosiddette Confidence-Building-Measures, che al miglioramento dell’operativitàtipica delle forze di combattimento.

Esistono però, oltre a questi comandi orga-nizzati, che si basano su strutture ben definitee su accordi di lungo periodo, anche forze di“coalizione” che vengono attivate di volta involta, alla bisogna.Nel corso della Guerra delGolfo, delle missioni in Somalia ed in altreoccasioni, si sono infatti visti comandi multi-nazionali sotto l’egida dell’ONU, a cui eranoassegnate forze provenienti dai più svariatiPaesi. Si tratta di quello che è stato sopranno-minato patchwork coalition, in contrapposizio-ne alle strutture organizzate su cui possonocontare le istituzioni militari permanenti.

In questo caso, difatti, rischiano di venire amancare la necessaria standardizzazione di pro-cedure operative, l’interoperabilità dei mate-riali, e l’integrazione tra reparti e tra membridei comandi unificati.

Il risultato è che spesso la partecipazione dialcuni Paesi a queste coalizioni, pur avendoun’enorme importanza politico-diplomatica (sipensi, ad esempio, all’adesione di Egitto e Siriaalla coalizione anti-Irak nel 1990-91), risultaessere militarmente ben poco significativa.

A titolo d’esempio, la forza di pace in Kosovo,operante su mandato ONU e sotto comandoNATO (inizialmente ARRC e poi Eurocorpo),raggruppa anche personale appartenente a undiciNazioni NATO e a diciassette Nazioni non-NATO; queste ultime però forniscono complessi-vamente solo il 15% di tutte le truppe presenti,spesso con una valenza più politica che operativa.

Anche la gestione delle operazioni, senza unadeguato mandato politico, senza la definizio-ne comune e condivisa degli obiettivi della mis-sione e delle regole d’ingaggio, crea come risul-tato finale l’impossibilità di cooperare e, addi-rittura, la potenziale genesi di contrasti tra leforze in campo. Tutti si ricorderanno di quan-to accadde in Somalia, con il comando Statu-nitense impegnato in una guerra “personale”contro alcune delle fazioni, che nulla aveva ache vedere con il mandato dell’ONU e, piùrecentemente, le tensioni sorte in Bosnia ed inKosovo, tra il comando NATO e quello Russo,

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che hanno richiesto un intenso lavoro dellecancellerie delle potenze mondiali per disinne-scare una crisi di potenzialità altrimenti deva-stante per il processo di pace.

Le Forze di Polizia Multinazionale.

L’intervento europeo nell’area balcanica si èmanifestato anche in altri modi, dato che allagestione militare delle crisi si affianca anche lagestione civile.

In Bosnia, a Mostar, l’Unione Europea hacreato un’unità di polizia, composta da agenti diAustria, Finlandia e Svezia, per trasferire pro-gressivamente le competenze alla polizia locale.

In Albania è attivo dal 1997 il MAPE (Mul-tinational Advisory Police Element) della WEU,sotto la guida di un Generale dei Carabinieri,con circa 150 uomini di 22 nazioni impiegatisul campo.

In Croazia la WEU ha istituito nel 1999un’unità per lo sminamento umanitario(WEUDAM, WEU Demining Assistance Mis-sion), su mandato e finanziamento dell’UnioneEuropea.

I Carabinieri sono presenti nell’area bal-canica sia sotto mandato ONU per la rior-ganizzazione delle forze di polizia locali(missione IPTF), sia in ambito NATO nelduplice ruolo di forza di Polizia Militare(scorta, sicurezza, operazioni terrestri) e diforza militare di Polizia (ordine pubblico,pubblica sicureza, etc). I carabinieri hannofornito un eccellente contributo nelle varieMultinational Special Unit (MSU), compo-ste da unità di Polizia Militare dei PaesiEuropei ed impiegate nelle missioni NATOin Bosnia (SFOR), Albania (AFOR) e Koso-vo (KFOR), ottenendo riconoscimenti intutti gli ambiti internazionali.

Grazie all’esperienza dei Carabinieri e dellaGendarmerie Francese, è possibile che la MSUpossa arrivare a rappresentare il cuore di unafutura Forza di Polizia Militare Europea, unitàdi cui si sente specialmente bisogno negli sce-nari di Peacekeeping

Peraltro durante il summit di Helsinkil’Unione Europea ha stabilito anche la crea-zione, a partire dal 2003, di una forza dipolizia per la prevenzione dei conflitti e lagestione civile delle crisi, forte di 5000 uomi-

ni forniti dai vari Paesi membri ed in gradodi dispiegare una forza d’intervento di 1000unità in 30 giorni.

“Doppi e Tripli Cappelli”

La proliferazione di strutture multinaziona-li, senza che, naturalmente, crescessero le risor-se disponibili, ha fatto sì che molti comandi sitrovino ad indossare un “doppio cappello”, eda volte anche un “triplo cappello”, risponden-do ad una catena di comando nazionale, aduna NATO, ad una UEO, e così via. Vieneinevitabilmente in mente il capolavoro di Gol-doni “Arlecchino servitore di due padroni”,dove al costume della simpatica mascheraveneta dovremmo forse sostituire una altret-tanto multicolore tuta da combattimento.

È evidente che la forte coesione esistente trai Paesi Europei, nonchè tra le due sponde del-l’Atlantico, e la trattazione pressoché continuadei medesimi problemi di sicurezza collettivain una gran serie di forum internazionali(NATO, UE, UEO, OSCE, PfP, etc), fanno sìche non si verifichino “scollamenti”. Resta ilfatto che i comandi si trovino a dover spessoseguire più routines operative, a volte in con-trasto tra loro.

In alcuni casi l’impiegabilità di una forzamultinazionale sotto l’uno o l’altro “cappello”è stata specificatamente prevista da protocollipreventivi, come accade, tra gli altri, per l’Eu-rocorpo, per la UK-NL AF, per la SIAF, perEurofor ed Euromarfor, etc.

Ma più che il processo di generazione delleforze di combattimento e dei supporti tattico-logistici, appare problematico, invece, la creazio-ne delle idonee strutture di comando e l’asse-gnazione di alcuni assets strategici (velivoli datrasporto, sistemi di sorveglianza, comunicazio-ni satellitari, etc) che sono cronicamente carentisia per le singole Nazioni che a livello Alleanza.

La collaborazione tra alti comandi NATO eUEO, nonché la compresenza (a partire dal1993) delle due organizzazioni nella medesimacittà (Bruxelles), hanno dato un ulteriore aiutoalla soluzione del problema.

Nel maggio del 1992 si è svolta la primariunione congiunta tra Consiglio Atlantico eConsiglio UEO. Da allora i Segretari Generalidelle due organizzazioni vengono reciprocamen-

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te invitati alle rispettive riunioni ministeriali.Un importante risultato nella cooperazione

tra le due organizzazioni è stato raggiuntodurante la gestione della crisi Jugoslava. Difat-ti sia la NATO che la UEO avevano attivatonel luglio 1992 una propria forza navale(rispettivamente la STANAVFORMED e laWEUCONMARFOR), destinate inizialmentealla sorveglianza del traffico marittimo direttoda/per i porti dei belligeranti, e poi, in seguitoalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza,all’imposizione dell’embargo. Le due opera-zioni sono proseguite in mododistinto sino al giugno 1993, sotto lerispettive denominazioni di Mariti-me Guard e Sharp Fence, per con-fluire in un’unica operazione (SharpGuard). Quest’ultima è stata coordi-nata dalla Marina Militare Italiana eimpiegava mezzi aeronavali UEO eNATO (quest’ultima sia STANAV-FORMED che STANAVFOR-LANT).

Allo scopo di realizzare importantieconomie e di sfruttare le possibilisinergie, ci si sta orientando ad utiliz-zare gli assets NATO per la gestionedelle crisi da parte europea. La NATOdifatti dispone di strutture di coman-do ben consolidate, in cui prestanoservizio un significativo numero dimilitari europei addestrati e preparatiall’attività in ambiente multinaziona-le. Non vi sarebbe quindi ragione diduplicare strutture complesse e costo-se per creare dei “doppioni” sotto ban-diera europea. (4)

L’attuale obiettivo di realizzareappieno la Politica Europea Comu-ne in materia di Sicurezza e Difesa(PECSD) si scontra però, almeno in parte,con la realtà della presenza statunitense all’in-terno dei Comandi NATO, spesso in posizio-ni chiave.

Difatti, pur nell’assoluto mantenimento erafforzamento del legame transatlantico, èperò inevitabile osservare che la realizzazionedi una politica europea passa necessariamentedall’affrancamento delle strutture europee(comandi militari, intelligence, etc) dalla

“tutela” statunitense, senza peraltro rischiare ilpaventato decoupling.

Analoga situazione, almeno in potenza, perquanto riguarda gli altri Stati membri dellaNATO, ma non della UEO nè della UE (Nor-vegia, Canada, Islanda, Polonia, Ungheria,Rep. Ceca e Turchia).

In particolare, comunque, Turchia, Norve-gia, Polonia e la Repubblica Ceca hanno recen-temente offerto di contribuire con proprie forzein caso di operazioni militari a guida UE, men-tre Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Tur-

chia hanno da tempo avanzato la propria candi-datura per l’ammissione nella UE e le prime tresono ormai piuttosto avanti nel processo.

Non è quindi facile realizzare una coopera-zione tra NATO e UEO che non rappresentiper l’Europa una dipendenza dalla più forte edorganizzata struttura transatlantica. In questo,tra l’altro, vi sono differenti posizioni tra iPaesi europei; con la Gran Bretagna che paremaggiormente orientata ad un legame speciale

(4) Si veda, a tale proposito l’articolo “CJTF. Punto di situazione”, del Gen. Domenico Schipsi, Informazioni della Difesa n.5/98, pag 18-33

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con gli Stati Uniti o ad una politica nazionaleautonoma; la Francia, la Germania ed il Bene-lux (sia pur con reciproche differenze, a voltesensibili) sono invece più inclini ad una effetti-va politica europea.

Del resto in campo militare la cooperazioneeuropea è innegabilmente “targata” NATO ederiva da decenni di consolidata attività inambito Alleanza Atlantica che hanno prodottoun comune modus agendi, standardizzazione edinteroperabilità di materiali ed equipaggia-menti, procedure operative comuni e consoli-dati principi dottrinali. Non è infatti un casoche, nonostante la crescente mentalità “Joint”,gli Alpini italiani si trovino a colloquiare moltopiù facilmente con i Gebirsjager tedeschi e coni Chasseurs francesi piuttosto che con i mari-nai italiani, che peraltro, da parte loro si trova-no perfettamente a loro agio con i colleghidelle Marine alleate.

Del resto la cosa si ripete, assolutamenteuguale, in tutti i Paesi dell’Alleanza.

La comune matrice NATO si manifesta,forse, anche nel fatto che è sempre la linguainglese (e cos’altro, altrimenti) ad essere utiliz-zata nella pianificazione, nelle varie procedureoperative, nella gestione dei messaggi, e cosìvia, anche quando si tratta di rapporti bilate-rali tra Paesi che non sono certo anglofoni,come nei casi della Brigata Franco-Tedesca, odella Forza Anfibia Italo-Spagnola.

UEO ed UE

Per molti anni la UEO ha rappresentato, siapur informalmente e potenzialmente, il “braccioarmato” della Comunità Economica Europea.

Quando quest’ultima si è trasformata inUnione Europea, il Trattato di Maastricht(novembre 1993) ha istituito una Politica Este-ra e di Sicurezza Comune (PESC), ed è statapoi ulteriormente rafforzata dal Trattato diAmsterdam (giugno 1997) che definisce,all’art. J.7 la UEO come parte integrante dellosviluppo dell’Unione Europea.

Un importante passo verso questo obiettivoè stato la nomina di Javier Solana, ex-Segreta-rio Generale della NATO, a Segretario Gene-rale della UEO e, contemporaneamente a AltoRappresentante dell’Unione Europea per laPolitica Estera e la Sicurezza Comunitaria, con

l’obiettivo di armonizzare l’interazione tra ledue organizzazioni, in questo momento digrande accelerazione.

Dell’Unione Europea fanno parte 15 Paesi,e vi sono attualmente altri 12 candidati peruna successiva espansione verso l’Europa Cen-tro-Orientale.

Un elemento di fondamentale importanza ècostituito dal fatto che gran parte dei Paesimembri della UEO sono contemporaneamen-te membri della NATO e dell’Unione Euro-pea, anche se, ovviamente le tre istituzionisono ben lungi dal coincidere (si veda a taleproposito la tabella).

La trasformazione dell’Unione Europeada soggetto puramente economico ad unarealtà con una forte connotazione politicadeve fare i conti con tutti gli aspetti dellapolitica estera.

Nel cosiddetto processo di Barcellona l’Unio-ne Europea si è confrontata con i Paesi dellasponda meridionale del Mediterraneo, per iden-tificare forme di cooperazione e strade per lariduzione delle tensioni e delle possibili originidelle crisi. Purtroppo, però, a tale iniziativa nonsono state invitate né la UEO, né la NATO, sin-tomo evidente che per molti dei politici e buro-crati europei la politica estera non abbia molto ache spartire con gli aspetti di sicurezza collettiva,con buona pace della cosiddetta PESC.

La già citata riunione del Consiglio d’Europadi Helsinki del dicembre 1999 ha però costitui-to una netta svolta nella direzione della creazio-ne di un’Europa della difesa e della sicurezza.

Innanzitutto l’introduzione formale delconcetto stesso, sotto la denominazione diPolitica Europea Comune in materia di Sicu-rezza e Difesa (PECSD).

Tra le decisioni prese, quelle dell’istituzionein seno al Consiglio di nuovi organi in materiadi sicurezza e difesa: • un Comitato politico di sicurezza perma-

nente (CPS) col compito di assicurare ilcontrollo politico e la direzione strategica incaso di gestione militare delle crisi;

• un Comitato Militare (CM), compostodai delegati dei Capi di Stato Maggioredella Difesa, col compito principale difornire consulenza militare al CPS e diassicurare la direzione militare dello StatoMaggiore;

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• uno Stato Maggiore in seno alle strutturedel Consiglio, che assicuri la gestione mili-tare delle crisi sotto guida UE. Lo StatoMaggiore, altresì, fornirà la valutazione disituazione, la pianificazione strategica e l’i-dentificazione delle forze europee nazionalie multinazionali.Il documento di Helsinki fa inoltre uno

specifico riferimento alla consultazione e

cooperazione con la NATO e con i Paesi non-membri della UE.

È previsto che, in caso di operazioni, pos-sano partecipare anche i Paesi membri dellaNATO non appartenenti all’Unione, cosìcome i Paesi candidati all’adesione all’UE, inultimo, anche Russia, Ucraina e “altri StatiEuropei impegnati nel dibattito politico conl’Unione”.

Tra gli strumenti operativi di cui l’Unione èstata invitata a dotarsi per conseguire una realecapacità di gestione militare delle crisi, sonostati identificati come prioritari (e, in parte, giàadottati dai piani di sviluppo di alcuni deiPaesi membri):• lo sviluppo ed il coordinamento delle capa-

cità militari di comando e controllo e diallarme tempestivo;

• l’istituzione di un Comando Europeo per iltrasporto aereo;

• il potenziamento dei vettori navali per con-sentire il trasporto strategico e l’evacuazionevia mare;

• l’inserimento nei Comandi nazionali diUfficiali di altri Paesi dell’Unione;

• l’aumento del numero di truppe rapida-mente rischierabili;

• il rafforzamento della capacità di reazio-ne rapida delle attuali forze multinazio-nali.Si tratta di una grande sfida per contribuire

a cambiare il volto dell’Europa.Le esperienze pregresse, grazie a decenni di

cooperazione in ambito NATO e alle molteiniziative multilaterali di quest’ultimo decen-nio, costituiscono sicuramente un’importantepremessa.

Restano ancora da risolvere molti aspetti,sia politici che procedurali, inerenti soprattut-to alla cooperazione con la NATO e alla repe-ribilità delle risorse necessarie.

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

OSCE

CONSIGLIO DI PARTENARIATO EUROATLANTICO

CONSIGLIO D’EUROPA

ANDORRACIPRO

CROAZIALIECHTENSTEIN

MALTASAN MARINO

BOSNIA-ERZEGOVINAMONACO

R.F. JUGOSLAVIA*SANTA SEDE

ARMENIAAZERBAIGIANBIELORUSSIA

GEORGIAKAZAKHISTANKIRGHISISTAN

TAGIKISTANTURKMENISTAN

UZBEKISTAN

ALBANIAMOLDAVIA

RUSSIASVIZZERAUCRAINA

AUSTRIAFINLANDIA

SVEZIA

IRLANDA

BULGARIAESTONIALETTONIALITUANIAROMANIA

SLOVACCHIASLOVENIA

ISLANDANORVEGIAPOLONIA

REP. CECATURCHIA

UNGHERIA

BELGIOFRANCIA

GERMANIAGRECIAITALIA

LUSSEMBURGOPAESI BASSI

PORTOGALLOREGNO UNITO

SPAGNA

DANIMARCA

CANADASTATI UNITI

NATO

UEO

legenda:

* Sospesa

Membri pieni UEO

Membri associati UEO

Osservatori UEO

Partener associati UEO