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Elisabetta Abignente Dare forma all’informe: Milton, Haydn e la natura ambigua del Caos STRUMENTI CRITICI / a. XXV, n. 3, settembre 2010 La terra era informe e deserta E le tenebre ricoprivano l’abisso. Genesi 1,2 I. Il racconto della Creazione del mondo, argomento del VII Li- bro del Paradise Lost, si configura sin dai versi di apertura come uno dei nodi cruciali del capolavoro di John Milton. Ad attrarre l’attenzione del poeta, nell’accingersi a una prova di così alto im- pegno come quello di rappresentare la Creazione in poesia, sem- bra essere, ben prima della varietà e dello splendore del Creato, il mistero sulle sue origini ovvero l’interrogativo pressante su cosa, prima della Creazione, già era. La Creazione non sorge, per Mil- ton, dal nulla. Alle origini del mondo c’è una materia prima incre- ata e informe, un abisso buio e insondabile: il Caos. «Canta, Musa Celeste, […] / come in principio sorsero i cieli e la terra dal Caos» 1 , sono infatti le parole dell’invocazione iniziale alla Musa. In opposizione all’ipotesi ortodossa di una creatio ex nihilo, Milton sembra aderire, piuttosto, all’idea di una creatio de Deo: l’opera del Creatore è stata quella di dare forma all’informe, di plasmare la materia grezza infondendole vita, di trasformare il Caos in Cosmo ordinato. L’unica traccia biblica di una materia precedente alla Creazione del mondo era condensata nel termine ebraico di theòm, abisso: 1 John Milton, Paradiso perduto, a cura di Roberto Sanesi, Milano, Mondadori, 2008: I, 6-10: «Sing, Heav’nly Muse […] / In the beginning how the heav’ns and earth / Rose out of Chaos». La traduzione italiana dei versi di Milton è tratta, nell’intero articolo, dalla suddetta edizione.

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Elisabetta Abignente

Dare forma all’informe: Milton, Haydn e la natura ambigua del Caos

STRUMENTI CRITICI / a. XXV, n. 3, settembre 2010

La terra era informe e desertaE le tenebre ricoprivano l’abisso.Genesi 1,2

I.

Il racconto della Creazione del mondo, argomento del VII Li-bro del Paradise Lost, si configura sin dai versi di apertura come uno dei nodi cruciali del capolavoro di John Milton. Ad attrarre l’attenzione del poeta, nell’accingersi a una prova di così alto im-pegno come quello di rappresentare la Creazione in poesia, sem-bra essere, ben prima della varietà e dello splendore del Creato, il mistero sulle sue origini ovvero l’interrogativo pressante su cosa, prima della Creazione, già era. La Creazione non sorge, per Mil-ton, dal nulla. Alle origini del mondo c’è una materia prima incre-ata e informe, un abisso buio e insondabile: il Caos.

«Canta, Musa Celeste, […] / come in principio sorsero i cieli e la terra dal Caos»1, sono infatti le parole dell’invocazione iniziale alla Musa. In opposizione all’ipotesi ortodossa di una creatio ex nihilo, Milton sembra aderire, piuttosto, all’idea di una creatio de Deo: l’opera del Creatore è stata quella di dare forma all’informe, di plasmare la materia grezza infondendole vita, di trasformare il Caos in Cosmo ordinato.

L’unica traccia biblica di una materia precedente alla Creazione del mondo era condensata nel termine ebraico di theòm, abisso:

1 John Milton, Paradiso perduto, a cura di Roberto Sanesi, Milano, Mondadori, 2008: I, 6-10: «Sing, Heav’nly Muse […] / In the beginning how the heav’ns and earth / Rose out of Chaos». La traduzione italiana dei versi di Milton è tratta, nell’intero articolo, dalla suddetta edizione.

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«La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso»2, recita infatti l’incipit del Libro della Genesi, con semplice solenni-tà. Fondendo con la tradizione giudaico-cristiana la concezione greca di un Caos precedente all’atto creativo – basti pensare al Timeo platonico3 – la capacità visionaria di Milton sviluppa e am-plifica in chiave poetica e barocca l’idea di Caos, interrogandosi a più riprese nel poema sulla sua imperscrutabile natura.

Dai versi di apertura emerge una prima caratteristica della ma-teria primordiale: il Caos è freddo e sterile. È Dio, attraverso il suo Spirito, a infondergli calore e vita, coprendolo con le sue ali:

Thou from the firstWast present, and with mighty wings outspread Dove-like sat’st brooding on the vast abyssAnd mad’st it pregnant…4.

La suggestiva immagine della covata, di chiara ascendenza bi-blica – cara in particolare al libro dei Salmi5 dove più volte ricorre nelle invocazioni alla protezione quasi materna di Dio – assume in questi primi versi il significato, simbolico eppure quasi letterale, del concepimento, che rende fertile ciò che è tale solo in potenza. La stessa immagine delle ali ritorna in modo più dettagliato nel settimo libro, consacrato interamente al racconto della Creazione fatto ad Adamo per bocca di Raffaele:

But on the watr’y calmHis brooding wings the Spirit of God outspread,And vital virtue infused, and vital warmthThroughout the fluid mass, but downward purgedThe black tartareous cold infernal dregsAdverse to life6.

2 Genesi I, 2.3 Il parallelo tra la visione del Caos di Milton, così come emerge nel poema e nel De

Doctrina Christiana, e il passo platonico del Timeo, 53 è suggerito da Roberto Sanesi (John Milton, Paradiso perduto, cit., Libro VII, nota 168-73): in entrambi i casi l’azione di Dio non è tanto quella del creare quanto quella dell’ordinare gli elementi, già esistenti in stato di anarchia.

4 I, 19-22: «Tu che fin dall’inizio / Fosti presente e con ali possenti spalancate / Come colomba covasti quell’abisso immane / E lo rendesti pregno».

5 Cfr. Salmo 17, 8: «Proteggimi all’ombra delle tue ali»; Salmo 36, 8: «Si rifugiano gli uomini all’ombra delle tue ali»; Salmo 57, 2: «Mi rifugio all’ombra delle tue ali»; ecc.

6 VII, 234-239: «[…] ma sulla calma delle acque lo Spirito di Dio / Come una covata distese le ali, e nella fluida massa / Infuse vitale virtù, un calore vitale, e al fine di purgarla / Gettò in basso le nere, le gelide scorie infernali / Del Tartaro, avverse alla vita».

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Dal punto di vista uditivo, sul Caos regna una totale assenza di suoni – sarà solo la Natura, infatti, a riempirne il Creato. L’unica percezione acustica è, piuttosto, di un rumore forte e incessante: il fragore del vento impetuoso che sconvolge le acque e su cui Dio invoca, con la sua voce, il silenzio. È però forse dal punto di vista visivo che la presenza dei flutti implacabili è resa in modo più in-cisivo da Milton, che trasferisce così in poesia lo scenario impres-sionante apertosi allo sguardo del Figlio e dello Spirito, inviati da Dio nella notte dei tempi:

On heav’nly ground they stood, and from the shoreThey viewed the vast immeasurable abyssOutrageous as a sea, dark, wasteful, wild,Up from the bottom turned by furious windsAnd surging waves, as mountains to assault Heav’n’s highth, and with the center mix the pole7.

È proprio il racconto della visione del Caos a metterne in ri-salto due delle caratteristiche più significative e pregnanti, eppure non esenti da una certa ambiguità in sede di interpretazione.

La prima di esse consiste nell’assenza di luce. Dal primo rac-conto della Creazione fino al Prologo giovanneo, la natura del Caos si identifica nella Bibbia con l’idea delle tenebre. Nel poema di Milton esso amplifica la propria familiarità con la Notte e il Buio eterni: l’oscurità, legata alla difficoltà del vedere e del distin-guere le cose tra loro, vi assume infatti un valore particolarmente forte, legato all’esperienza personale del poeta di graduale perdita della vista. Nell’invocazione alla Luce sacra, incipit del Libro III, la voce del poeta sembra abbandonarsi, infatti, a toni quasi lirici e intimistici: «E finalmente salvo ti rivisito, ora, e percepisco / la tua sovrana lampada vitale; ma tu non rivisiti / i miei occhi, che invano si volgono attorno / a ricercare il raggio penetrante, e non trovano alba»8.

7 VII, 210-215: «Poggiarono allora sul suolo celeste, / e dalla sponda videro l’abisso / vasto e incommensurabile, spietato come un mare, / e tenebroso, selvaggio, desolato, sconvolto nel profondo / da venti impetuosi, da ondate che insorgono / come montagne a assalire le vette del cielo, / fino a confondere il centro con il polo».

8 III, 21-24: «Thee I revisit safe, / And feel thy sovran vital lamp; but thou / Revisit’st not these eyes, that roll in vain / To find thy piercing ray, and find no dawn». La Creazio-La Creazio-ne del mondo rimanda così ad un’altra creazione, quella del poeta, che nel progressivo annebbiamento della vista teme di aver perso la propria capacità di “trarre dalle tenebre” poesia e conoscenza. Una preoccupazione, si ricorderà, che Milton aveva già riversato, con

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Assente dal Caos, per Milton la Luce è però, come il Caos, da sempre: «Prima del sole, prima dei cieli eri»9, sono infatti le parole con cui il poeta la invoca nell’incipit già citato. È anzi proprio dal-le tenebre del Caos, suo polo opposto, che essa sorge al solenne in-vito divino, «La luce sia»10. «Effluvio risplendente di risplendente essenza non creata»11 – così la definisce anaforicamente il poeta – essa sembra precedere dunque il momento della Creazione per rivelarsi coetanea di Dio, o meglio «coeterna»12.

Se il sole, la luna e le stelle, fonti di luce per la terra, saranno de-finiti solo nel terzo giorno, appare evidente che per Milton, come peraltro lascia immaginare anche la fonte biblica, esistano quindi due diversi tipi di Luce: la prima di esse, originaria, eterna, non creata, intesse proprio con il Caos, il regno del buio, un rapporto di problematica vicinanza, rivelandosi a un tempo suo contrario e sua coeterna compagna.

La seconda caratteristica del Caos messa in luce dalle visiona-rie descrizioni di Milton sarà di particolare rilevanza per il nostro discorso. Essa è condensata in modo magistrale in questa celebre descrizione, tratta dal secondo Libro:

Before their eyes in sudden view appear The secrets of the hoary deep, a darkIllimitable ocean without bound,Without dimension: where length, breadth, and highth,And time and place are lost; where eldest NightAnd Chaos, ancestors of Nature, holdEternal anarchy, amidst the noiseOf endless wars, and by confusion stand13.

altrettanti intensità e tormento, nei celebri versi del 1652: «When I consider how my light is spent, / E’re half my days, in this dark world and wide, / And that one Talent which is death to hide, / […] Doth God exact day-labour, light deny’d, I fondly ask» («Quando rifletto che la mia luce è spenta / a metà dei miei giorni, e in questo mondo / immenso e oscuro un Talento nascondo / che muore […] chiedo dal profondo: S’Ei nega la luce, come gli rispondo / dell’opera?». Trad. italiana di B. Fattori, Milano, Ceschina, 1958).

9 III, 9-10: «Before the sun, / Before the heavens thou wert». 10 VII, 243: «Let there be light». 11 III, 6: «Bright effluence of bright essence increate» 12 III, 2: «Of th’ Eternal coeternal beam».13 II, 890-897: «Davanti ai loro occhi all’improvviso apparvero / I segreti dell’abisso

incanutito, un oceano / Illimitato e oscuro, senza confini e senza dimensione; / dove lun-ghezza, larghezza, altezza e tempo e spazio / sono perduti; dove la Notte più antica ed il Caos, / che sono gli antenati della Natura, mantengono / un’eterna anarchia nel fragore di guerre interminabili, / e soltanto per quella confusione continuano ad esistere».

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Il Caos è dunque privo di ordine e di confini, privo di dimen-sioni temporali e spaziali. La sua migliore definizione, sembra sug-gerire Milton, è quella che ne metta in luce la totale indefinibilità, a meno che non si tratti di una definizione in negativo – la stessa ineffabilità, paradossalmente, che Sant’Agostino attribuiva a Dio: «Questo solo ho potuto dire [di Lui]: ciò che non è»14.

L’azione creatrice di Dio, attraverso suo Figlio e lo Spirito, è dunque quella di dare forma e dimensione alla materia primordia-le tracciandone i confini. La Creazione, infatti, si configura prima di ogni altra cosa come separazione: della Luce dalle Tenebre, del-la Terra dalle Acque e dal Cielo, in seguito di ogni specie da tutte le altre. Se «in principio» erano le tenebre e il disordine, il primo compito che Dio si prefigge è quello di definire e delimitare, di dare forma all’informe:

He took the golden compasses, preparedIn God’s eternal store, to circumscribeThis universe, and all created thingsOne foot he centered, and the other turnedRound through the vast profundity obscure,And said, «Thus far extend, thus far thy bounds,This be thy just circumference, O world!»15.

La celebre immagine del compasso16, usato per circoscrivere l’Universo, condensa in un gesto simbolico la forza ordinatrice e organizzatrice di Dio. La stessa che era stata per altro già evocata, dal giovane Milton, nei versi di lode al Creato dell’Ode on the morning of Christ’s Nativity:

14 Agostino, Enarrationes in Psalmos, 85, 8 (12): «Deus ineffabilis est; facilius dicimus quid non sit, quam quid sit. Terram cogitas; non est hoc Deus: mare cogitas; non est hoc Deus: omnia quae sunt in terra, homines et animalia; non est hoc Deus: omnia quae sunt in mari, quae volant per aerem; non est hoc Deus: quidquid lucet in coelo, stellae, sol et luna; non est hoc Deus: ipsum coelum; non est hoc Deus: Angelos cogita, Virtutes, Potestates, Archangelos, Thronos, Sedes, Dominationes; non est hoc Deus. Et quid est? Hoc solum potui dicere, quid non sit». (Trad. italiana mia)

15 VII, 225-231: «E lui afferrò con la mano / il compasso dorato, finora trattenuto negli eterni / depositi di Dio, per circoscrivere questo universo / e tutte le cose create. Fissando-ne al centro una punta, / ruotò la seconda d’intorno in quella ampia ed oscura / profondità, dicendo “Estenditi fino laggiù, siano questi / i tuoi confini, oh mondo, sia questa la tua / giusta circonferenza!”».

16 Come quella precedente delle «ali», anche l’immagine del cerchio tracciato da Dio è di chiara ascendenza biblica: essa compare, ad esempio, nel Libro dei Proverbi (8, 27), nella seconda personificazione della Sapienza creatrice, per poi ricorrere anche in altri Libri Sapienziali.

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While the Creator greatHis constellations set,And the well-balanced world on hinges hung, And cast the dark foundations deep, And bid the weltering waves their oozy channel keep17.

Appare evidente, così, come per Milton il merito del Creato-re sia non soltanto quello di infondere vita alla terra desolata ma anche quello di disporre, ordinare, prendere decisioni, mantenere il controllo sul mondo creato, come ben suggerisce la scelta del verbo «set». Ogni atto creativo, sembra qui intendere il poeta, non può prescindere, insieme alla creatività e allo slancio emotivo, di una fase razionale di organizzazione della materia della propria opera.

L’idea dell’organizzazione della «one first matter» da parte di Dio non fa che confermare, tra l’altro, la mancata adesione di Mil-ton a una teoria di creatio ex nihilo: il Caos, infatti, non coincide col Nulla; l’abisso, per quanto profondo e insondabile, non è vuo-to – «non vacuous the space»18. Il suo aspetto materico e pieno di energia incontrollata – «Anarchy», «Noise», «Confusion» sono non a caso i termini che lo connotano – è al contrario più volte messo in rilievo nei versi del poema, tanto da lasciar immaginare il Caos primordiale come sede di tensioni forti in eterno conflitto.

Massa disordinata e indefinita eppure materia prima del mon-do, terreno di scontri fragorosi e violenti eppure potenziale fonte di Luce e di Vita: qual è dunque il significato ontologico – e mora-le – che Milton intende attribuire al Caos?

Non potendo qui dare conto della moltitudine di spunti che la bibliografia critica miltoniana ha elaborato su un tema tanto complesso e cruciale, varrà la pena fare accenno però a uno dei contributi più interessanti e originali elaborati sul tema nel corso degli ultimi decenni. Si tratta di un articolo del 1985 di Regina Schwartz, riapparso qualche anno dopo nel suo Remembering and Repeating. Biblical Creation in Paradise Lost19. Se le precedenti po-

17 John Milton, Ode on the morning of Christ’s Nativity, XII, 120-124: «Allor che il Creatore / le sue stelle dispose, / tra i suoi cardini il mondo esatto infisse, / aprì dei mari il fondo, / e all’onde irrequiete dette segnato corso» (Traduzione italiana di Carlo Izzo, Firenze, Sansoni, 1948).

18 John Milton, Paradise Lost, VII, 169.19 R.M. Schwartz, Milton’s Hostile Chaos: – … And the sea was no more, in «ELH»,

52, 1985, pp. 337-374. L’articolo riappare con il titolo di And the sea was no more: Chaos

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sizioni della critica, ripercorse nell’articolo, si erano rivelate più o meno concordi nell’accettare l’idea di un Caos «neutro», trasfor-mato in «Bene» da Dio ma di per se stesso privo di connotazioni morali20, la Schwartz pone invece l’accento sulla natura profonda-mente ambigua che sembra emergere dalle descrizioni del Caos di Milton.

La sua argomentazione prende le mosse da una considerazione preliminare: la constatazione di una certa incoerenza tra le rifles-sioni sul Caos degli scritti teorici di Milton e le immagini poetiche riferite allo stesso Caos nel poema. Se nel De Doctrina Christia-na, punto di riferimento indispensabile per l’interpretazione del Caos miltoniano, il Milton teologo difendeva la natura benigna del Caos, affatto pregiudicata dal suo disordine iniziale ma anzi strettamente determinata dalla sua origine sicuramente divina21 – «In Milton’s cosmos, all proceeds from God, a good God; hence, all, including first matter, must be good»22, spiega la Schwartz – la presenza ingombrante del Caos nei versi del Paradise Lost lascia invece spazio a una ben più complessa ambiguità.

A destare qualche sospetto, in effetti, in fase di interpretazione, è il continuo oscillare del Milton poeta tra descrizioni negative del Caos, su cui ci si è soffermati più sopra, e espressioni che ne valo-rizzino, al contrario, il proprio ruolo di fonte primaria di tutte le cose. Un’ambiguità che Milton non esita a rendere esplicita in due splendidi e celebri versi, in cui il Caos è definito a un tempo, senza soluzione di continuità, «abisso selvaggio, grembo della Natura e forse tomba»23.

La posizione della Schwartz, interessante seppur forse ecces-sivamente netta, sembra andare però ben oltre questa evidente

vs Creation, in R. Shwartz, Remembering and Repeating: Biblical Creation in Paradise Lost, Cambridge University Press, 1988, pp. 8-39.

20 R.M. Schwartz, cit., p. 339. Nel riportare l’interpretazione di un Caos miltoniano «neutro» la Schwartz fa riferimento principalmente ai lavori di R. M. Adams (A Little Look on to Chaos in Illustrious Evidence: Approaches to English Literature of the Early Se-venteenth Century, (ed.) Earl Miner, Berkeley, University of California Press, 1975) e di M. Lieb (Further Thoughts on Satan’s Journey Through Chaos, in «Milton Quarterly», 12, 1978, pp. 126-133). Tra i contributi più recenti nell’ambito dell’ampio e vivace dibattito sul Caos miltoniano, sviluppato soprattutto tra i critici statunitensi, si ricordi anche: J.L. Cummins, Milton’s Gods and the Matter of Creation, in «Milton Studies», 40, 2002, pp. 81-105 e J. Rumrich, Milton’s God and the Matter of Chaos, in «PMLA», 110, 1995, pp. 1035-46.

21 V. John Milton, De Doctrina Christiana, Cap. VII, De Creatione.22 R.M. Schwartz, cit., p. 337.23 II, 910-911: «wild abyss, / The womb of Nature and perhaps her grave».

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ambiguità finendo per interpretare il Caos del Paradise Lost come una vera e propria rappresentazione del Male. A mettere in crisi la teoria di una natura benigna del Caos, precisa la Schwartz, sa-rebbe la sua già citata e assai problematica assenza di confini. Se la Creazione, opera del Sommo Bene, si configura nella sua fase iniziale come un lavoro di separazione e di definizione di confini, e lo stesso Creatore vede in loro una «cosa buona», la loro assenza, precedente all’azione organizzatrice divina, suggerisce inequivo-cabilmente il contrario. Il Caos, questa «no man’s land without clearly definible boundaries»24, sarebbe quindi, proprio in quanto tale, luogo del Male.

La sua connessione con il Male sarebbe tra l’altro fortemente confermata da una certa familiarità che Milton lascia intendere es-serci tra il Caos e Satana: non soltanto egli è il solo ad attraversare la materia increata e ad esservene, per altro, riconosciuto, ma il suo regno, l’Inferno, non sembra differire molto, nelle descrizioni miltoniane, dalle tenebre desolate e selvagge del Caos primordiale.

Questa vicinanza al Male, unita alla negativa assenza di confini, meriterebbe di spingere il discorso ben oltre il piano ontologico e cosmologico per addentrarsi in una sfera più specificamente mo-rale. Non essendo questa la sede per farlo in modo approfondi-to, varrà in ogni caso la pena limitarsi ad accennare che se, come afferma la Schwartz, «in Milton’s world, to violate bounds is to fall»25, la minaccia del Caos, non-luogo di disordine e assenza di regole, si traduce in termini morali in un probabile monito all’uo-mo di ogni tempo di non lasciarsi tentare dalla massa informe del Caos, di obbedire alle leggi della Creazione per non cadere, o me-glio ri-cadere, nel Peccato.

Attraverso la rappresentazione del Caos e della sua natura am-bigua, Milton sembra dunque aprire il discorso sulla Creazione anche alla dimensione individuale: l’abisso primordiale diventa così, in qualche modo, metafora dell’abisso dell’anima umana.

Pur se riletto in chiave interiore, nel mistero della Creazione resta però qualcosa di insondabile e impenetrabile. Qualcosa che sfugge, quindi, anche a qualunque nostro tentativo di interpreta-zione. È quanto sembra suggerire lo stesso Milton che, nel porsi un obbiettivo così alto come quello di rappresentare la Creazio-

24 R.M. Schwartz, cit., p. 347.25 Ivi, p. 343.

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ne del mondo, si rivela consapevole dei propri limiti conoscitivi. Gli interrogativi pressanti sulle cause della Creazione («Che causa spinse il Creatore nel santo riposo per tutta l’eternità a costruire nel Caos così in ritardo»26), sui suoi tempi («E quando ebbe inizio il lavoro, e come presto fu terminato»27) e modi («Come questo mondo di cieli e terra visibili ebbe inizio»28), che tormentano e stimolano l’uomo di ogni tempo sin da Adamo, sono destinati a rimanere, almeno in parte, irrisolti. È quanto si legge nelle parole di Raffaele, a cui è dato il compito di rivelare al primo uomo le fasi della Creazione del mondo, ma anche di ricordargli i limiti invalicabili della fame di conoscenza dell’uomo:

Such commission of aboveI have received, to answer thy desireOf knowledge within bounds; beyond abstainTo ask, nor let thine own inventions hopeThings not revealed, wich th’invisible King,Only omniscient, hath suppressed in night,To none communicable in earth or heaven: Enough is left besides to search and know.But knowledge is as food, and needs no lessHer temperance over appetite, to knowIn measure what the mind may well contain, Oppresses else with surfeit, and soon turnsWisdom to folly, as nourishment to wind29.

Penetrare il segreto della Creazione è un’operazione impossi-bile dunque all’uomo, la cui conoscenza ha limiti oltre i quali non è sano spingersi. Rispetto ai contemporanei mistici francesi, che di fronte all’impossibilità di pensare e percepire il mistero della Creazione, vi si affidavano in atteggiamento di umiltà e di fede ai

26 VII, 90-93: «What cause / Moved the Creator in his holy rest / Through all eternity so late to build / in Chaos».

27 VII, 93-94: «and the work begun, how soon / Absolved».28 VII, 62-63: «How this world / Of heav’n and earth conspicuous first began».29 VII, 118-130: «[…] proprio dall’alto ho ricevuto / simile commissione, di rispondere

al tuo desiderio / di conoscenza, / ma entro alcuni limiti; oltre i quali / sarà opportuno che tu non insista, così da non lasciare / che la tua fantasia speri di intendere / cose non rive-late, che solo il Re invisibile, l’unico / ad essere onnisciente, segregò nella notte, a nessuno / comunicabili in cielo e sulla terra. Sono già abbastanza / quelle lasciate da interpretare e da conoscere. / Perché la conoscenza è come cibo, e si deve opporre / La temperanza all’appetito, sapendo in che misura / Può contenere la mente, che un peso eccessivo / Diversamente l’opprime, e subito trasforma la saggezza / Nella follia, come ogni cibo si trasforma in vento».

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limiti dell’esperienza estatica30, Milton sembra rispondere a questa sfida conoscitiva in modo diverso: dimostrando che se non si può comprendere fino in fondo la natura del Caos, così come le cause prime dell’origine del Cosmo, ad un particolare uomo, che è il poeta, è data però la possibilità di descriverlo e di rappresentarlo, o meglio di ri-crearlo, nei versi.

II.

Simili problemi di rappresentazione dovettero porsi, più di un secolo dopo, al musicista Franz Joseph Haydn durante la compo-sizione del celebre oratorio Die Schöpfung, trasposizione in musica di uno dei nuclei più evocativi e complessi del poema di Milton, il racconto della Creazione del mondo. Diversi sono, è evidente, i linguaggi artistici dei due autori, diverse le lingue di provenienza, i contesti culturali in cui lavorano, l’apparato teorico che cercano di tradurre in arte. Comune, però, la sfida in gioco: quella di dare vita, sulla pagine e sulla partitura, alla rappresentazione di una sostanza ineffabile, invisibile, impalpabile, e dunque apparente-mente irrappresentabile, come quella del Caos primordiale.

L’attenzione che il compositore dedicò durante il lavoro pro-prio al problema del Caos è testimoniata dallo splendido Preludio all’opera, intitolato, non a caso, «Die Vorstellung des Chaos». Co-munemente ritenuto dalla critica come il punto di massima effi-cacia e originalità dell’oratorio, esso si rivela uno dei picchi più intensi dal punto di vista espressivo dell’intera produzione stru-mentale di Haydn.

30 Si pensi, ad esempio, tra i mistici francesi, alla Méditation de la Création di François de Sales, in cui il tema della Creazione dal Nulla viene ripensato in chiave interiore, come figura di ciò che accade all’anima: il Néant ontologico diventa Néant spirituale: «Humiliez-vous profondément devant Dieu, disant de cœur avec le Psalmiste: Ô Seigneur, je suis devant vous comme un vrai rien. Et comment eutes-vous mémoire de moi pour me créer? Hélas! mon âme, tu étais abîmée dans cet ancient néant, et y serait encore présent si Dieu ne t’en eût retirée; et que ferais-tu dedans ce rien?» (F. de Sales, Introduction à la vie dévote, Méditation I de la Création, Ch. IX, I: «Umiliati profondamente davanti a Dio, dicendo di cuore con il Sal-IX, I: «Umiliati profondamente davanti a Dio, dicendo di cuore con il Sal-mista: Signore, davanti a Te sono come nulla. Come hai fatto a ricordarti di me per crearmi? Anima mia, eri inabissata in quell’antico nulla, e vi staresti ancora se Dio non ti avesse tratto di lì; e che faresti in quel nulla?». Trad. mia) o agli esiti estremi della mistica dell’essenza di Clau-de Hopil, che rinuncia a ogni tentativo di descrizione di Dio e del Nulla, che paradossalmente finiscono per identificarsi per il loro essere fuori dal Tempo: «Dieu n’estoit ny sera, celuy là que j’adore est eternellement » (C. Hopil, L’Esclat mistérieux: «Dio non è stato né sarà, Colui che adoro eternamente è». Trad. mia). Si ringrazia Benedetta Papàsogli per i preziosi spunti.

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Un primo libretto sulla Creazione del mondo, scritto in lin-gua inglese nella prima metà del secolo e pensato originariamente per Haendel, dovette giungere al compositore intorno al 1795 per mano di Johann Peter Salomon, suo impresario durante il periodo londinese, conclusosi proprio in quell’anno. Mentre resta incerta la paternità del libretto originale – forse del direttore d’orchestra Sir Thomas Lindley, ma più probabilmente di un autore rimasto anonimo31 – certa è quella della sua traduzione in lingua tedesca, realizzata dal Barone Gottfried Van Swieten. Per stimolare il la-voro di composizione di Haydn, il cui inglese non doveva essere abbastanza fluente, il Barone, committente dell’opera, «resolved to clothe the English poem in German garb»32; successivamente, a partitura ultimata, apportò modifiche anche al testo inglese origi-nale, dando così vita a un oratorio dal testo bilingue.

Al di là della qualità letteraria, piuttosto scarsa rispetto all’ele-vatezza del tema trattato, e di diverse scelte lessicali dell’autore, giudicate a tal punto ridicole dal pubblico inglese da far preferi-re di gran lunga la versione tedesca anche nelle rappresentazioni britanniche, dal punto di vista della versificazione quanto dell’or-ganizzazione del contenuto il testo di Van Swieten si rivela però fedele alle fonti principali del libretto inglese: il primo racconto biblico della Creazione, i salmi 19 e 145 e, soprattutto, il Paradise Lost di John Milton.

Mentre i recitativi in prosa che introducono ogni giorno della Creazione del mondo sono tratti direttamente dalla fonte bibli-ca, l’influenza del poema miltoniano è evidente, nel libretto, so-prattutto negli Inni di Lode intonati dal Coro al termine di ogni giornata e nei recitativi di introduzione che li precedono. Oltre che sul piano letterario, però, l’impronta miltoniana emerge con forza ed efficacia espressiva paradossalmente proprio nelle parti prettamente strumentali dell’oratorio: prima tra tutte il preludio della «Rappresentazione del Caos», che presenta ad Haydn la pos-sibilità di accettare la grande sfida di rappresentare il Sublime in musica.

31 La complessa storia del libretto di Die Schöpfung è ricostruita con dovizia di parti-colari in E. Olleson, The origin and libretto of Haydn’s Creation, in «Haydn Yearbook», IV, 1968, pp. 148-166 e in N. Temperley, Haydn. The Creation, Cambridge, Cambridge University Press, 1991, cap. 3, pp. 19-30.

32 Sono le parole dello stesso Van Swieten, riportate in N. Temperley, Haydn. The Creation, cit., p. 21.

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Trascrivere il capolavoro di Milton in termini musicali non si preannunciava certo operazione facile neanche per un composito-re prolifico e di grande esperienza come Haydn. Egli dedicò infatti al lavoro sulla Creazione l’intero biennio 1796-98, periodo ben più esteso rispetto a quello che soleva dedicare in media alle sue compo-sizioni, rivelatosi particolarmente impegnativo tanto dal punto di vi-sta artistico che spirituale, essendo Haydn un fervente uomo di fede.

A una parallela trasposizione del poema di Milton in un altro linguaggio artistico stava lavorando tra l’altro, proprio negli stes-si anni, anche Johann Heinrich Füssli, autore di quaranta tavole pittoriche ispirate al Paradise Lost: l’annuncio dell’inaugurazione della sua «Milton Gallery» londinese, allestita presso la Pall Mall della Christie’s nel maggio del 1799, compare sui giornali inglesi proprio accanto alla locandina di presentazione del nuovo oratorio di Haydn, che debutterà alcuni mesi dopo al Covent Garden. La preoccupazione del pittore di «turning readers into spectators»33, doveva essere sentita fortemente anche dallo stesso Haydn, che con il suo oratorio si apprestava a rivolgersi a un pubblico non soltan-to settecentesco ma anche tedesco, lontano quindi sia dal punto di vista linguistico che culturale da quello dei lettori inglesi di Milton.

Uno dei problemi centrali attorno al quale si concentrò l’ener-gia creativa dei due artisti dovette riguardare proprio la rappre-sentazione del Caos: come rendere il Sublime delle descrizioni cosmologiche di Milton in termini pittorici e musicali?

Mentre il lavoro di Füssli poteva essere in qualche modo aiu-tato se non almeno stimolato dall’attenzione che i versi di Milton dedicano all’aspetto visivo e a tratti visionario del Caos (reso sulle tavole dal caratteristico sfondo nero, lo «sconfinato pittorico», da cui si staccano a fatica le figure create)34, il lavoro di Haydn si presentava ancora più complesso, a causa degli scarsi riferimenti, tanto nel poema quanto nella fonte biblica, all’aspetto sonoro e acustico del Caos.

Come si accennava in precedenza, la comparsa del suono sem-bra coincidere infatti, nella fonte miltoniana, con la Creazione del

33 L’espressione, dalla quale la studiosa Luisa Calé prende spunto per aprire una in-teressante riflessione a proposito della slittamento di pubblico tra i lettori del poema mil-toniano e i possibili avventori della mostra di Füssli, è riportata in L. Calé, Fuseli’s Milton Gallery: turning readers into spectators, Oxford, Oxford University Press, 2006.

34 Per gli aspetti visivi e prospettici del poema miltoniano cfr. L. Calé, Visione e Cosmo: la prospettiva nel Paradise Lost, Roma, Bulzoni Editore, 1997.

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mondo e dei suoi abitanti, liberi di esprimersi, nel Cosmo ordina-to, nei loro versi caratteristici e infine, nel caso dell’uomo, con la parola. Sin dalla comparsa della Luce, anzi, il poema si presenta come un pullulare continuo e allegro di suoni: «arpa», «flauto», «cetra», «organi», «e ogni suono di archi e di corde dorate»35 ac-compagnano le voci dei cori angelici che scandiscono con ritor-nelli il susseguirsi dei sette giorni della Creazione (che verranno riprodotti fedelmente nell’oratorio, a ricoprire la medesima fun-zione al contempo di scansione del ritmo narrativo e di lode).

Niente di tutto questo era invece presente nel Caos primor-diale, connotato dal punto di vista acustico esclusivamente per il «fragore di guerre interminabili»36 generato dall’incessante e anar-chico infrangersi delle onde su loro stesse.

Come rendere dunque in musica questa anarchia acustica, que-sto fragoroso rumore così vicino paradossalmente al silenzio per la sua incapacità di produrre suoni? In che modo farlo, quasi un secolo prima delle dissonanze wagneriane, disponendo esclusiva-mente degli strumenti formali dell’Armonia settecentesca? Come rappresentare il mondo delle tenebre, così vicino al neonato Ro-manticismo, senza rinunciare allo stile equilibrato ed elegante che proprio Haydn aveva contribuito a diffondere nell’Europa del Lumi?

Fu forse proprio la complessità del compito che gli si presen-tava a incoraggiare Haydn a intraprendere la composizione della Creazione. Questa occasione gli offriva non solo la chance di misu-rarsi con un soggetto religioso di ampio respiro che avrebbe tocca-to le corde di un pubblico numeroso, ma soprattutto la possibilità di emulare in un proprio oratorio i capolavori di Haendel – in parte proprio di fonte miltoniana come nel caso del Samson – dai quali era rimasto affascinato nel soggiorno inglese appena conclu-so. A coinvolgere emotivamente il compositore tedesco, come più fonti dell’epoca riportano37, erano stati la potenza monumentale dei cori handeliani – e in particolare dell’Israel in Egypt –, la vivida coloritura timbrica delle parti strumentali e, non ultima, l’acco-glienza calorosa di un pubblico ampio, ben meno elitario di quello

35 VII, 594-597: «harp», «pipe», «dulcimer», «organs», «all sounds on fret by string or golden wire» Cfr. VII, 253-258, 450, 560-567, ecc.

36 II, 896-897: «noise / of endless wars».37 N. Temperley, Haydn. The Creation, cit., p. 4.

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che richiamavano gli Oratori tedeschi negli stessi anni, compresi quelli dello stesso Haydn.

Ulteriori influenze del periodo inglese dovettero venirgli, infi-ne, anche da un’esperienza extramusicale: come riportano alcune fonti38, la sua riflessione sulla rappresentazione del Cosmo dovette ricevere stimoli interessanti, infatti, anche dall’incontro con Wil-liam Herschel, astronomo, fisico e musicista di corte, che lo invitò a guardare il cielo attraverso il suo moderno telescopio. L’emozio-ne provata alla visione dei corpi celesti potrebbe avergli suggerito non pochi stimoli per la descrizione, soprattutto, del Caos primi-genio, così simile in fondo allo spazio disabitato.

Proprio sull’introduzione orchestrale della Creazione, dedicata alla «Rappresentazione del Caos», varrà la pena, dunque, soffermarsi.

È con un forte e grandioso unisono di Do minore che Haydn dà inizio alla descrizione dell’abisso primordiale offertosi alla vista di Dio all’origine del mondo. Seguono immediatamente tre bat-tute di pausa, attraversate solo da un timido motivo accennato dagli archi, presto interrotto da un secondo forte accordo dell’in-tera orchestra. Dopo l’interruzione, i violini tentano nuovamente di inaugurare un motivo, questa volta supportati dai fiati, con i quali propongono brevi scale ascendenti, destinate però a sfociare anch’esse in un nuovo grandioso accordo a tutta orchestra [figura 1]. È solo a partire dalla decima battuta che riescono a presentarsi i primi motivi, caratterizzati dall’eco di scale ascendenti, primi ti-midi accenni di vita nel silenzio grandioso del Caos.

Un incipit deciso e insolito per un pubblico di fine ’700, lonta-no dal canonico inizio di molte sinfonie di Haydn, tanto dal punto di vista melodico – l’impossibilità di cogliere un vero e proprio motivo, continuamente interrotto sul nascere dall’irruzione degli accordi in forte – che da quello armonico – la continua tensione verso la dominante, continuamente disattesa.

La stessa scelta della tonalità principale del Preludio, in Do mi-nore, è tutt’altro che scontata. Adatta a un movimento introdut-tivo, essa doveva però risultare piuttosto insolita all’orecchio di un ascoltatore del tempo. Per il suo carattere intimo e nostalgico, intenso e ambiguo come quello della sua relativa di Mi b maggio-re, essa sembra preludere, infatti, a sensibilità preromantiche. In

38 Tra le altre, v. la recensione di D. F. Tovey (1934) riportata in N. Temperley, Haydn. The Creation, cit., p. 103.

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questo senso, suggerisce Nicholas Temperley39, dal punto di vista tonale l’attacco della Creazione pare richiamare, probabilmente in modo inconscio, l’incipit della Fantasia in Do minore per piano-forte K 475 di Mozart (1785), precoce anticipazione dell’oscurità romantica di molti attacchi in Do minore ottocenteschi, beetho-veniani e chopiniani. Ambigua e non scontata dal punto di vista armonico è però non solo la scelta della tonalità di partenza, ma anche la serie continua di modulazioni inattese: le cadenze sulla dominante (Sol) e sulla complementare sulla tonica (Mi b) sono in-fatti rimandate lungo il corso dell’intero preludio (battute 6-9, 16-19, 25-26, 37-38) fino alla conclusione nella tonica di Do minore.

Pur restando dentro i limiti di un linguaggio musicale classico, Haydn non esita a introdurre, dunque, alcuni aspetti simbolica-mente “caotici”: l’alternanza tra il fortissimo degli accordi, che rende l’idea di un Caos materico e informe, e il piano dei fiati, che sembra suggerire il soffio del Creatore che infonde, poco a poco, la vita; i temi vaghi e frammentati, lì dove invece compare di solito il materiale motivico più solido e caratteristico (battute 3-5, 15-19, 28-31); e soprattutto, la sospensione data da aspettative armoni-che continuamente disattese.

Che l’intento del compositore sia quello di destabilizzare lo spettatore trattenendolo in un’atmosfera tesa e sospesa, ce lo ri-velano d’altronde le parole che lo stesso Haydn rivolge all’amico e collaboratore Silverstolpe, dopo avergli fatto ascoltare l’Einlei-tung appena composta, e riportate in inglese da Temperley: «You have certainly noticed how I avoided the resolutions that you most readily expect. The reason is, that there is no form in anything (in the universe) yet»40.

Un’assenza di forme che non può non ricordare la mancanza di dimensioni e di confini del Caos primordiale di Milton, prima che il compasso divino disegnasse il suo primo cerchio.

III.

Lo splendido Preludio, che per gli audaci passaggi cromatici, per la simbolica alternanza tra il timbro dolce e sinuoso di oboe

39 Ivi, p. 84.40 Le parole di Haydn sono riportate in N. Temperley, Haydn. The Creation, cit., p. 32.

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e clarinetto e la grandiosità degli accordi a tutta orchestra, è stato più volte accostato addirittura a quello del Tristan und Isolde wa-gneriano, sembra trarre dalla rappresentazione del Caos di Milton più di un aspetto rilevante.

Prima di tutto, si diceva, una significativa assenza di forme: se rapide terzine (battute 6-8, 10-13), sestine (27-28) e scale ascen-denti dei fiati (32, 40, 50) tentano a più riprese di suggerire un certo tessuto motivico, mancano però nel Preludio veri e propri temi riconoscibili e ben definiti.

La loro assenza, o meglio la loro continua interruzione per opera di accordi o forti ribattuti, finisce per determinare anche una certa difficoltà di attribuzione del brano a un genere predefinito. Tra quanti sostengono si tratti di una canonica Fuga (Tovey) e quanti invece pre-feriscono leggervi il carattere della Forma sonata (Rosen), si distingue l’ipotesi suggerita da Peter Brown in un articolo del 198941, secondo il quale il Preludio si avvicinerebbe alla forma, significativamente ibri-da, del Ricercar42. Irregolare e imprevedibile per il canone dell’epoca, il numero di apertura della Creazione sembra sfuggire, tuttavia, a una definizione di genere del tutto soddisfacente.

Significativi echi miltoniani riemergono anche in una seconda caratteristica del Caos di Haydn: come in Milton esso si presenta come luogo di tensione tra forze opposte e contrastanti.

Se nel poema la vicinanza degli estremi era il segno dell’anar-chia primordiale – «E rimosse lontano il Caos, così che la violenza degli estremi ravvicinati non dovesse travolgere il sistema unitario del mondo»43 – il disordine si traduce, significativamente, anche in musica, nella «unexpected juxtaposition of conflicting figures»44, che raggiunge il proprio apice, in particolare, nelle battute centrali del brano (27-30), ma anche nella continua alternanza di intensità, tra il piano e forte, su cui si regge la forza espressiva del Preludio.

La lotta ravvicinata tra gli opposti, caratteristica del Caos, si rifletteva, nel poema, anche nel suo rapporto con il Cosmo, con

41 P.A. Brown, Haydn’s Chaos: Genesis and Genre, in «The Musical Quarterly», 73, 1989, 1, pp. 18-59.

42 Originario del XVI secolo e molto usato da Bach, questo genere musicale consiste in una sorta di Fuga dal carattere serio ma con note di valore più alto e condivide molte caratteristiche anche con il Mottetto.

43 VII, 271-273: «And [God] the loud misrule / Of Chaos far removed, lest fierce extremes / Contiguous might distemper the whole frame».

44 P.A. Brown, Haydn’s Chaos, cit., p. 56.

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il quale esso dava vita a simboliche coppie antitetiche – freddo/caldo, rumoroso/sonoro, indefinito/circoscritto, anarchico/orga-nizzato – tutte generate e condensate nell’antitesi più emblematica e significativa: quella tra le Tenebre e la Luce.

Il contrasto tra queste ultime determina, anche nella «Rappre-sentazione del Caos» di Haydn, il momento di maggior splendore ed efficacia, la meta ultima nella quale tutte le tensioni si risolvo-no, in cui tutte le forze sotterranee si condensano e si incontrano.

A far elevare lentamente e gradatamente la tensione, dopo la lunga introduzione strumentale, è l’entrata della voce: prima quella di basso di Raffaele, che pronuncia, solenne, il fatidico «Im Anfang schuf…» biblico; poi quelle del coro, soavi e sottovoce, sostenute dai soli archi. Il silenzio rumoroso del Caos si lascia pian piano penetrare dalla voce, la sola che può ricreare, nella narrazio-ne, il momento della Creazione del mondo, a partire dalla prima comparsa: quella della Luce.

«Es werde Licht, und es war Licht»: è su quest’ultima paro-la che si alzano, improvvisamente, tutte le voci finora trattenute, mentre tutte le sezioni dell’orchestra, in fortissimo e all’unisono, intonano un brillante e prolungato Do maggiore, accuratamente tenuto in serbo fino ad ora. Il silenzio lascia il posto alla voce, le tonalità minori delle tenebre alle maggiori del trionfo della Luce, il carattere quasi funereo dei tromboni e degli archi iniziali, delle note lunghe e tenute delle prime battute, si apre definitivamente allo splendore dei fiati e al rullo dei timpani.

L’effetto, di semplicità e di forza, è dirompente, genera stupo-re e timore, emoziona per un istante e poi subito svanisce. Forte dell’esempio di Haendel – la comparsa della Luce deve molto al «On first created beam…» del Samson45 – Haydn riesce così a su-perare in modo brillante la difficile sfida che si era posto: quella di rappresentare il Sublime del Caos e del Cosmo in musica.

Nella sua memorabile rappresentazione della Luce, nemica del Caos eppure dal Caos generata, riesce così a passare tutta la po-tenza che alla Luce aveva assegnato lo stesso Milton, nel bellissimo inno di invocazione e di lode, con cui si concludono queste brevi considerazioni:

45 N. Temperley, Haydn. The Creation, cit., p. 80.

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Hail, holy Light, offspring of Heav’n first-born, Or of th’Eternal coeternal beamMay I express thee unblamed? Since God is light,And never but in unapproached lightDwelt from eternity, dwelt then in thee,Bright effluence of bright essence increate.Or hear’st thou rather pure ethereal stream,Whose fountain who shall tell? Before the sunBefore the heavens thou wert, and at the voiceOf God, as with a mantle didst invest The rising world of waters dark and deep,Won from the void and formless infinite46.

46 III, 1-12: «Salve a te, Luce sacra, primogenita figlia del Cielo, / o raggio coeterno dell’Eterno, se è lecito / definirti così senza rimprovero; e poiché Dio è luce / e mai se non in luce inattingibile / ebbe la sua dimora dall’eternità, / egli / dimora in te, effluvio risplen-dente / di risplendente essenza non creata. / O vorresti piuttosto sentirti definire come un fiume / Puro ed eterno, di cui nessuno conosce la sorgente? / Prima del sole, prima dei cieli eri, e alla voce / Di Dio a quel mondo che stava sorgendo donasti / Quasi un mantello d’acque profonde e tenebrose, / strappato al vuoto e all’infinito informe».

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Fig. 1