considerazioni e ipotesi sulle sculture lignee nelle chiese dell'umbria tra xii e xiii secolo

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1 ELVIO LUNGHI CONSIDERAZIONI E IPOTESI SULLE SCULTURE LIGNEE NELLE CHIESE DELL'UMBRIA TRA XII E XIII SECOLO Alcuni anni fa fui convolto da Giordana Benazzi per un libro dedicato al duomo di Spoleto, all’interno del quale avrei dovuto occuparmi di quella parte della decorazione primitiva della chiesa che si era conservata nonostante la riforma tridentina, che anche a Spoleto aveva donato un aspetto moderno agli interni ecclesia- stici, rimuovendo le immagini antiquate dagli altari e occultando le strutture medievali dietro tramezzi decorati secondo le mode architettoniche vigenti: barocca prima, neoclassica poi 1 . Fatto salva la tribuna absidale con i celebri dipinti di Filippo Lippi, provvidenzialmente salvati dalla distruzione e dalla sostituzione, l’edificio romanico aveva conservato pochi frustuli di affreschi risalenti ai secoli finali del Medioevo, per essere stati occultati sotto una mano di scialbo - la decorazione frammentaria della parete di facciata - o per trovarsi in ambienti tagliati via dalla ricostruzione neoclassica dell’interno - l’antica testata occidentale del transetto con i sepolcri di famiglie nobili nella cappella di San- t’Anna. A questi aggiunsi poche considerazioni su due sculture lignee del XIV secolo, la statua di una Madonna e quella di un Crocifisso, che si erano salvate dal fuoco per le forme di devozione popolare di cui erano state oggetto, giustificandone la conservazione nonostante il loro aspetto antiquato. Nel 1610 il cardinale Maffeo Barberini trovò la statua della Madonna all’altare di Santa Maria dei Campanelli, e la disse «more grecorum in ligno antiquitus depicta», cioè «dipinta su legno in tempi antichi alla maniera dei greci» 2 . Ci fu anche un terzo gruppo di sculture che attrasse la mia attenzione, benché non ne fosse rimasta appa- rentemente traccia: un gruppo ligneo che ritraeva il Cristo, la Vergine, san Giovanni con Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea. Nel 1712 il vescovo Giacinto Lascaris aveva trovato queste statue a un altare nella navata a cornu epistolae, meglio noto sotto il titolo di “Cappella delle Immagini”, e ne aveva dato una descrizione tanto accurata che consentiva di riconoscervi un gruppo scultoreo romanico di Deposizione di croce, genere molto diffuso nelle regioni intorno Roma nei secoli XII e XIII: “La seconda cappella si chiama volgarmente la Cappella delle Imagini. Ha un altare proveduto decen- temente di suppellettili sagre, nel di cui frontespicio vi è una croce di legno di rilievo, nella quale è dipinta la imagine del SS. Crocifisso ed a’ lati di detta croce vi sono le imagini della Beata Vergine e di S. Giovani come pure le statue di legno di rilievo di Nicodemo e Gioseppe d’Arimatia in atto di deporre dalla croce il Crocifisso. In quest’altare vi sono l’armi della città di Spoleto con la seguente iscrizione intagliata nel marmo ... 3 . Come Giuseppe Valadier dette inizio alla ricostru- zione neoclassica del duomo (1785), furono rinnovati gli altari e i quadri della chiesa barocca. Fu probabilmente in questa occasione che il gruppo di Deposizione fu rimosso dall’altare che lo ospitava, e che più o meno corrispondeva all’odierno altare del beato Gregorio eremita ornato da una tela del romano Pietro Labruzzi. È difficile credere che lo si potesse rimuovere e bru- ciare, come era stato costume nei decenni seguenti la conclusione del concilio tridentino, quando i vescovi furono particolarmente rigidi verso le immagini obsolete o semplicemente mal conservate. È quanto risulta per la diocesi di Spoleto dal verbale della visita compiuta nel 1571 dal visitatore apostolico Pietro de Lunel, nella quale è notizia della rimozione e della successiva distruzione di un numero impressionante di dipinti e di sculture di età medievale, per il loro aspetto vetusto o per la mediocre conservazione 4 . È più probabile che una volta rimosso dalla “Cappella delle Immagini” il gruppo della Deposizione fosse destinato a una sede meno prestigiosa tra le chiese della diocesi spoletina, bisognosa di una immagine sacra meglio se devota. Ma quale chiesa? E dove? In quel volume sul duomo di Spoleto non mi posi semplicemente il problema, limitandomi a rimandarne la soluzione all’auspicata pubblicazione del catalogo di una bella e importante mostra sui gruppi romanici di Deposizione, che si era tenuta nell’autunno 1999 nel Museo di Montone, a cura di Giovanna Sapori e di Bruno Toscano, e che «purtroppo [non era stata] accompagnata dalla pubblicazione di un catalogo» 5 . Il catalogo uscirà a stampa nel 2004 - il volume sul duomo di Spoleto è del 2002 - ma inutilmente vi cercai notizie su quelle statue perdute: la città di Spoleto nell’indice finale dei nomi figurava soltanto per lamentare l’assenza di sculture prestigiose nel capoluogo del Ducato 6 . Eppure il gruppo ligneo della “Cappella delle Imma- gini” doveva avere ricoperto un ruolo d’importanza nel contesto della religione civica nell’antico Ducato di Spoleto, trovandosi sopra un altare che presentava

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Elvio Lunghi

ELVIO LUNGHI

CONSIDERAZIONI E IPOTESI SULLE SCULTURE LIGNEE NELLE CHIESE DELL'UMBRIA TRA XII E XIII SECOLO

Alcuni anni fa fui convolto da Giordana Benazzi per un libro dedicato al duomo di Spoleto, all’interno del quale avrei dovuto occuparmi di quella parte della decorazione primitiva della chiesa che si era conservata nonostante la riforma tridentina, che anche a Spoleto aveva donato un aspetto moderno agli interni ecclesia-stici, rimuovendo le immagini antiquate dagli altari e occultando le strutture medievali dietro tramezzi decorati secondo le mode architettoniche vigenti: barocca prima, neoclassica poi1. Fatto salva la tribuna absidale con i celebri dipinti di Filippo Lippi, provvidenzialmente salvati dalla distruzione e dalla sostituzione, l’edificio romanico aveva conservato pochi frustuli di a!reschi risalenti ai secoli finali del Medioevo, per essere stati occultati sotto una mano di scialbo - la decorazione frammentaria della parete di facciata - o per trovarsi in ambienti tagliati via dalla ricostruzione neoclassica dell’interno - l’antica testata occidentale del transetto con i sepolcri di famiglie nobili nella cappella di San-t’Anna. A questi aggiunsi poche considerazioni su due sculture lignee del XIV secolo, la statua di una Madonna e quella di un Crocifisso, che si erano salvate dal fuoco per le forme di devozione popolare di cui erano state oggetto, giustificandone la conservazione nonostante il loro aspetto antiquato. Nel 1610 il cardinale Ma!eo Barberini trovò la statua della Madonna all’altare di Santa Maria dei Campanelli, e la disse «more grecorum in ligno antiquitus depicta», cioè «dipinta su legno in tempi antichi alla maniera dei greci»2.

Ci fu anche un terzo gruppo di sculture che attrasse la mia attenzione, benché non ne fosse rimasta appa-rentemente traccia: un gruppo ligneo che ritraeva il Cristo, la Vergine, san Giovanni con Nicodemo e Giuseppe d ’Arimatea. Nel 1712 il vescovo Giacinto Lascaris aveva trovato queste statue a un altare nella navata a cornu epistolae, meglio noto sotto il titolo di “Cappella delle Immagini”, e ne aveva dato una descrizione tanto accurata che consentiva di riconoscervi un gruppo scultoreo romanico di Deposizione di croce, genere molto di!uso nelle regioni intorno Roma nei secoli XII e XIII:

“La seconda cappella si chiama volgarmente la Cappella delle Imagini. Ha un altare proveduto decen-temente di suppellettili sagre, nel di cui frontespicio vi è una croce di legno di rilievo, nella quale è dipinta la imagine del SS. Crocifisso ed a’ lati di detta croce

vi sono le imagini della Beata Vergine e di S. Giovani come pure le statue di legno di rilievo di Nicodemo e Gioseppe d’Arimatia in atto di deporre dalla croce il Crocifisso. In quest’altare vi sono l’armi della città di Spoleto con la seguente iscrizione intagliata nel marmo ... ”3.

Come Giuseppe Valadier dette inizio alla ricostru-zione neoclassica del duomo (1785), furono rinnovati gli altari e i quadri della chiesa barocca. Fu probabilmente in questa occasione che il gruppo di Deposizione fu rimosso dall’altare che lo ospitava, e che più o meno corrispondeva all’odierno altare del beato Gregorio eremita ornato da una tela del romano Pietro Labruzzi. È di"cile credere che lo si potesse rimuovere e bru-ciare, come era stato costume nei decenni seguenti la conclusione del concilio tridentino, quando i vescovi furono particolarmente rigidi verso le immagini obsolete o semplicemente mal conservate. È quanto risulta per la diocesi di Spoleto dal verbale della visita compiuta nel 1571 dal visitatore apostolico Pietro de Lunel, nella quale è notizia della rimozione e della successiva distruzione di un numero impressionante di dipinti e di sculture di età medievale, per il loro aspetto vetusto o per la mediocre conservazione4. È più probabile che una volta rimosso dalla “Cappella delle Immagini” il gruppo della Deposizione fosse destinato a una sede meno prestigiosa tra le chiese della diocesi spoletina, bisognosa di una immagine sacra meglio se devota. Ma quale chiesa? E dove? In quel volume sul duomo di Spoleto non mi posi semplicemente il problema, limitandomi a rimandarne la soluzione all’auspicata pubblicazione del catalogo di una bella e importante mostra sui gruppi romanici di Deposizione, che si era tenuta nell’autunno 1999 nel Museo di Montone, a cura di Giovanna Sapori e di Bruno Toscano, e che «purtroppo [non era stata] accompagnata dalla pubblicazione di un catalogo»5. Il catalogo uscirà a stampa nel 2004 - il volume sul duomo di Spoleto è del 2002 - ma inutilmente vi cercai notizie su quelle statue perdute: la città di Spoleto nell’indice finale dei nomi figurava soltanto per lamentare l’assenza di sculture prestigiose nel capoluogo del Ducato6. Eppure il gruppo ligneo della “Cappella delle Imma-gini” doveva avere ricoperto un ruolo d’importanza nel contesto della religione civica nell’antico Ducato di Spoleto, trovandosi sopra un altare che presentava

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La scultura lignea del XIII secolo a Perugia

«l’armi della città di Spoleto»7. Non poteva essere semplicemente sparito, senza lasciare traccia alcuna. Strideva al contrasto la presenza in mostra a Montone di un gruppo di Deposizione proveniente dal Museo della Castellina di Norcia (fig. 1), del quale la scheda di catalogo indicava una collocazione originaria nella chiesa di Santa Maria a Rocca Tamburo - un castello di vetta sulla costa montuosa a strapiombo sul fiume Nera, tra Spoleto e Cascia - che era stata costruita sopra le rovine di una precedente abbazia intitolata

a San Benedetto in Faucibus, ma per il quale non si avevano notizie prima del restauro eseguito da Gio-vanni Mancini nel 1955-19568. I curatori della mostra di Montone non mancarono di sottolineare questa apparente contraddizione:

“Se è da riconoscere che a vicende storiche spesso assai disomogenee nei fattori di distruzione e di dispersione corrispondono diverse quote di conservazione, non è però lecito dedurne che queste rispecchino senz’altro gli indici originali di produzione. Ciò vale naturalmente

1. Scultore umbro del XIII secolo, Gruppo di Deposizione, Norcia, Museo della Castellina.

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sia per l’Italia che per l’Europa. Ne abbiamo ben più di un indizio esaminando da vicino l’ambito geogra-fico caratterizzato in Italia dalla maggiore densità di reperti, cioè le regioni del centro. Infatti l’analisi dei luoghi di provenienza dei gruppi di Deposizione ci permette di assistere ad un fenomeno del resto ben noto agli studiosi dell’arte medievale, cioè all’ubicazio-ne della maggior parte dei reperti, compresi quelli di particolare rilievo, in capoluoghi di piccole diocesi, in centri minori e in località esigue e marginali, mentre la provenienza da centri di grande importanza si rivela del tutto minoritaria. Così, nel nostro atlante figura Barga ma non Lucca, Tivoli ma non Roma, Roncione ma non Perugia, Montone ma non Città di Castello, Roccatamburo ma non Spoleto9”.

Dove il nome di Rocca Tamburo è collegato a quello di Roncione, una localita che corrisponde all’alveo di un torrente nei pressi del colle di Deruta, presso il quale sorge il monastero di Santa Maria, al cui interno fu trovato un Crocifisso poi acquistato per la Galleria Nazionale dell’Umbria, elemento centrale di un gruppo di Deposizione di cui resta la figura di una Madonna nella sede originaria. Una tabella dipinta ai piedi della croce la dice eseguita nel 1236, fa il nome del priore Ludovico dei Barbarodis che riformò Santa Maria di Roncione, quello di un Nicolò priore che la dipinse nel 1492, di un Ermenegildo Cara!a che la restaurò nel 1784 (fig. 2)10.

Apparentemente non dovrebbero esserci dubbi sulla presenza ab antiquo del gruppo di Deposizione dalla chiesa di Santa Maria di Roncione, che dipendeva a sua volta dall’abbazia di Farfa in Sabina. Senonché questa certezza è contraddetta da una lettura delle prime visite pastorali della diocesi di Perugia, nelle quali un simulacro “antico” con la scavigliazione di Cristo compare a Roncione non prima del 157711. Nel

2. Scultore umbro del XIII secolo, Cristo deposto, Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria.

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La scultura lignea del XIII secolo a Perugia

1571 la chiesa di Roncione fu visitata dal visitatore apostolico monsignor Paolo Mario Della Rovere, che la trovò sprovvista di immagini e ordinò di collocare una croce sopra l’altare12. Nelle visite precedenti Santa Maria di Roncione non compare a!atto. Al contrario, nella visita del vescovo Fulvio Della Corgna (1564, 23 ottobre) fu descritto un gruppo di Deposizione sopra l’altare del Crocifisso nella chiesa di San Severo di Piazza a Perugia. Il vescovo trovò la situazione inde-cente, ordinò che le statue fossero rimosse per essere trasferite in qualche chiesa parrocchiale che risultasse priva di immagini di devozione13. In precedenza la chiesa di San Severo di Piazza era stata visitata dal vicario Donato Turri (1558, 13 dicembre), il quale aveva trovato sopra l’altare maggiore una croce abba-stanza antica, ma bisognosa di restauro14. San Severo di Piazza fu nuovamente visitata da Donato Turri, vicario del vescovo Fulvio Della Corgna (1571, 30 luglio), il quale ordinò che fosse rimosso dall’altare del Crocifisso un simulacro “antichissimo” di un Crocifisso con altri santi15. Pochi mesi dopo, la chiesa di San Severo fu visitata dal visitatore apostolico monsignor Paolo Mario Della Rovere (1571, 29 novembre): l’al-tare del Crocifisso era spoglio di immagini tanto che il visitatore ordinò al Capitano del Popolo di farvi dipingere un’immagine opportuna16.

Ovviamente, la coincidenza tra la rimozione di un gruppo di Deposizione da una chiesa di città e la concomitante emersione di un identico soggetto in un edificio del contado non proverebbe proprio nulla, se non ci fossero altri argomenti spendibili in suo favore: come l’annessione di Santa Maria di Roncione ai beni del Seminario di Perugia voluta nel 1569 dal vescovo Fulvio Della Corgna, o la ricostruzione integrale della chiesa avvenuta nel 1780, quattro anni prima che fosse restaurato il Crocifisso17. La questione di fondo è se davvero questi gruppi di statue erano un tempo molto di!usi, come propongono i curatori della mostra di Montone18. Io credo di no, e ne trovo conferma da una lettura sistematica della visita pastorale del ve-scovo Fulvio Della Corgna (1564-1568), che descrive in maniera accurata le chiese della diocesi perugina nei primi tempi della riforma tridentina: non si ha notizia di altri gruppi di Deposizione eccetto quello allora presente in San Severo di Piazza a Perugia, per quanto il visitatore non avesse libero accesso all’interno di edifici monastici che seguivano la regola benedettina o in conventi di ordini mendicanti.

La chiesa di San Severo di cui si parla era un tempo ubicata dove fu costruito il primo ampliamento del Palazzo del Capitano del Popolo, parallelo all’odierna via della Gabbia. La chiesa corrispondeva ad alcuni ambienti sottostanti la Sala della Vaccara, dietro la loggia che fronteggia il transetto meridionale della cattedrale, a ridosso della Fontana Maggiore di Nicola e Giovanni Pisano. Con l’ampliamento del Palazzo

del Capitano del Popolo, il titolo di San Severo fu collegato alla chiesa di Sant’Agata nell’attigua via dei Priori. Nel 1988 Maria Rita Silvestrelli ha pubblicato un inventario di San Severo risalente al 28 aprile 1301, che segnala la presenza sopra gli altari della chiesa di una Maestà e di una Croce “vetusta”, ritenuta già antica alla data 130119. Quest’ultima potrebbe corrispondere al gruppo di Deposizione che fu rimosso su ordine di Fulvio Della Corgna nel 1571. L’inventario del 1301 elenca tra le suppellettili per il servizio della chiesa due panni destinati a coprire il Crocifisso e un man-tello per la Maestà. Questo significa che i due gruppi scultorei erano visibili solo in particolari occasioni, e che normalmente erano nascosti dietro tendaggi o coperti da mantelli.

In un saggio del voluminoso catalogo sulla mostra di Montone, Pietro Scarpellini propose una intrigante lettura dei gruppi lignei di Deposizione, legandone l’origine a una visione provata da san Bernardo da Chiaravalle di fronte a un Crocifisso, che voleva giustificare la di!usione di questa iconografia nello scacchiere europeo con il successo arriso alla riforma della regola di san Benedetto promossa dai monaci di Citeaux in Borgogna nel secolo XII20. L’ipotesi di Scarpellini insisteva sulla provenienza del gruppo di Roncione da una fondazione benedettina, senza tenere in conto che l’abbazia di Farfa in Sabina, dalla quale dipendeva il priorato di Roncione, era una abbazia imperiale che seguiva la primitiva regola cassinese21. Inoltre, non si ha notizia della presenza di gruppi scultorei ra"guranti la Deposizione di Croce in chiese dell’ordine cistercense, né in Italia né altrove. I soli gruppi scultorei ammessi nelle prime sedi della riforma ra"gurano la Madonna con il Bambino e il Crocifisso, o la Crocifissione alle pareti del coro. Semmai potrebbe essere vero il contrario: cioè che la visione provata da san Bernardo davanti a un Crocifisso sia stata sollecitata dalla contemplazione di un gruppo scultoreo visto dal santo in una delle tante città da lui visitate predicando la seconda crociata del 1147. Forse più vicino al vero è quanto propose Antonino Caleca, in un altro saggio del catalogo di Montone, occupandosi del Crocifisso del Museo della Primaziale di Pisa, opera di uno scultore borgognone del XII secolo ed elemento centrale di un gruppo di Deposizione, sostenendo che potesse essere stato portato a Pisa come testimonial in favore delle crociate: “se di spoglia crociata si tratta (e l’esistenza in Terrasanta e proprio a Nazareth dei ben noti capitelli rende ghiotta la proposta) essa va riferita ad epoca precedente, forse alla seconda o alla terza spedizione (rispettivamente 1147-49 e 1188-92)”22.

Se davvero, come farebbero pensare i resoconti delle visite pastorali qui esaminate, un gruppo di Deposizione fu trasferito a Roncione dalla chiesa di San Severo di Piazza poco prima del 1577, e se davvero un gruppo di Deposizione - il gruppo del Museo della Castellina

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3. Pittore romanico umbro, Crocifisso, Assisi, Basilica inferiore di san Francesco.

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La scultura lignea del XIII secolo a Perugia

di Norcia trovato a Rocca Tamburo? - era esposto nella cappella del Comune nella chiesa cattedrale di Spoleto, a me sembra evidente la natura civica delle cerimonie paraliturgiche che coinvolgevano questi gruppi figurati. Religione civica che sopravvisse alla crisi delle forme romaniche con l’introduzione di nuove, più crude, immagini della passione all’interno delle sacre rappresentazioni del Venerdì Santo; come quelle che si tenevano a Perugia, nel sagrato della cattedrale di San Lorenzo, al termine delle infuocate prediche tenute da predicatori famosi delle quali è notizia nelle cronache della città23.

Quali immagini in rilievo trova il vescovo - o il suo vicario - nelle chiese della diocesi? Prevalentemente Crocifissi e Madonne col Bambino. Pressoché tutte le chiese parrocchiali della diocesi, e anche numerose chiese senza cura di anime, avevano un altare dedi-cato al Crocifisso e uno dedicato alla Madonna. In moltissimi casi l’altare del Crocifisso era servito da una compagnia di uomini, quello della Madonna da una compagnia di donne. Nella diocesi di Perugia il Crocifisso quasi sempre era in rilievo. L’immagine di

4. Scultore romanico umbro, Madonna con Bambino, Assisi, Museo del Tesoro.5. Scultore romanico umbro, Madonna con Bambino, Perugia, Museo del Duomo.

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Maria molto spesso era dipinta su tavola o su muro. Quasi sempre alle porte dei castelli o dei villaggi s’in-contrava una cappella dedicata alla Madonna. A volte le chiese parrocchiali ospitavano figure in rilievo dei santi titolari, e più spesso immagini dei santi invocati contro la peste, in prevalenza Sebastiano o Rocco. Delle moltissime situazioni descritte è rimasto poco o nulla: perché il visitatore ordinò la distruzione delle immagini usurate dal tempo e dall’incuria, o perché gli edifici furono radicalmente modificati e più spesso integralmente ricostruiti nel procedere delle generazioni. Il colpo di grazia si ebbe sotto il vescovo Gioacchino Pecci (1846-1877), poi asceso al pontificato sotto il nome di Leone XIII (1878-1903), che fece ricostruire più di 50 chiese all’interno della sua diocesi, concen-trandosi su quelle che avevano mantenuto il primitivo impianto medievale e salvando solo gli edifici già rico-struiti in forme neoclassiche. Per questa ragione sono importanti i resoconti delle visite pastorali dei decenni finali il secolo XVI: perché descrivono un mondo di immagini e di culti sopravvissuto in pochissimi esem-plari. Le “Madonne” a!rescate da Pietro Perugino a San Martino in Campo e a Fontignano, la Madonna del Feltro di Bernardino Pintoricchio a San Martino in Colle, gli a!reschi del Perugino e di Ra!aello a Cerqueto: sono spie dei vertici qualitativi toccati in località decisamente marginali prima che fosse attuata la riforma tridentina. Molte statue di Madonne e di santi furono anch’esse realizzate nei decenni iniziali del XVI secolo: lo si deduce dall’elenco degli abiti che si facevano indossare ai manichini in ragione del calendario liturgico.

Cosa sappiamo, cosa è rimasto dei secoli prece-denti? Come esempio propongo alcune situazioni delle quali ho avuto occasione di occuparmi in tempi recentissimi. Nella basilica inferiore di San Francesco in Assisi, in seguito al restauro degli a!reschi di Cesare Sermei, è stato esposto sull’arco trionfale della tribuna un Crocifisso dipinto da un ignoto pittore “romanico” proveniente dal Museo del Tesoro (fig. 3). La scheda che fu scritta da Pietro Scarpellini per il catalogo della raccolta pubblicato nel 1980 c’informa che il dipinto fu realizzato da un “Maestro umbro degli anni 1220-1240”, e che “il Crocifisso era nella chiesa di Porziano non lontano da Assisi: di qui è pervenuto al Tesoro alla fine del secolo scorso o agli inizi di questo”24. L’edificio di provenienza è la chiesa della Madonna del Gualdo alle porte di Porziano, un castello rurale nel sistema di colline tra Assisi e Gualdo Tadino. Nel 1705 Santa Maria del Gualdo fu visitata da un frate del Sacro Convento di Assisi, che vi trovò “due Altari, nel primo sono le pitture della Madonna, di S. Francesco, di S. Antonio, di S. Bonaventura e di s. Giovanni Evangelista nel muro. E nel 2° è una statua della Madonna col figlio in braccio, et un Crucifisso all’antica et una tavola dietro con Pitture malridotte.

Et in ambedue è la sua Croce di legno con Crucifissino d’ottone”25. Per errore, nelle pagine seguenti l’estensore dell’inventario trascrisse una seconda volta le notizie sulla chiesa di Santa Maria del Gualdo, con alcune si-gnificative varianti: non c’è più il ricordo del “Crucifisso all’antica”, si precisa che l’immagine della Madonna era “una statuetta di legno”26. Alla fine dell’Ottocento la chiesa era in procinto di crollare, come poi avverrà. Il Crocifisso e la statua della Madonna (fig. 4) furono trasferiti per sicurezza nel Sacro Convento di Assisi, dove sono ancor oggi conservati.

Sullo scorcio dello scorso secolo mi occupai di queste due opere, ignorandone la comune origine, all’interno di un volume dedicato al Crocifisso dipinto da Giunta Pisano per la Porziuncola27. L’occasione era l’interpretazione di un passo della Compilatio Assisiesis - una biografia di san Francesco scritta da uno dei primi compagni, forse identificabile in fra Leone - che raccontava come Francesco, quando qualcuno lo onorava o lo acclamava santo, era solito schernirsi dicendo che poteva avere ancora figli e figlie, e che se fosse stato privato dei doni del Signore non sarebbe rimasto di lui altro che l’anima e il corpo, né più né meno degli infedeli. Portava inoltre l’esempio di una pittura del Signore e di una Vergine dipinta nel legno, che sono onorate come fossero Dio e la beata Vergine pur essendo soltanto pittura e legno; egualmente l’uomo non deve gloriarsi di nulla perché ogni onore e gloria spettano soltanto a Dio28. Dove per “pictura Domini” s’intende un dipinto, mentre per “beate Virginis in ligno depicta” s’intende una scultura lignea policroma. È appunto la situazione che ci viene restituita dalle due opere provenienti da Santa Maria del Gualdo di Porziano - in quel libro proponevo un confronto con altre coppie di dipinti e di sculture del XIV secolo - che per risalire al primo quarto del Duecento e per la provenienza da un edificio alle porte di Assisi idealmente ben rappresentano le immagini davanti alle quali Francesco e i suoi frati potevano sostare nel loro peregrinare di chiesa in chiesa. Oltre naturalmente il celebre Crocifisso di San Damiano, che della croce di Porziano costituisce un immediato precedente cronologico. Di croci dipinte simili a questa se ne conoscono nella regione pochissimi esemplari. Più numerose sono le statuette lignee della Madonna presenti in chiese e in musei dell’Umbria, che per la loro di!usione - tra Todi, Assisi e Spoleto - e per l’ap-partenenza a un medesimo ceppo stilistico ci o!rono una cartina al tornasole per mappare la di!usione del fenomeno. Con l’avvertenza che, con il trascorrere del tempo, le croci dipinte diventeranno progressivamente minoritarie rispetto ai Crocifissi in rilievo, a partire dai decenni finali del XIII secolo29.

Il Crocifisso di Porziano si è conservato, è dunque agevole confrontare il suo aspetto materiale con le parole spese dal frate che lo descrisse nel 1705: “un Crucifisso all’antica”. Dove “all’antica” è una defini-

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La scultura lignea del XIII secolo a Perugia

zione decisamente meno generica delle parole “una statuetta di legno” che identificano la statua della Madonna. Nella visita compiuta alla diocesi perugina dal cardinale Fulvio Della Corgnia non ho incontrato la parola in volgare “antico/antica”, mentre più volte vi compare il termine in volgare “vecchio/vecchia”, che vi sta a indicare le croci stazionali poste sopra gli altari. Molto frequente è anche il termine latino “vetustus”, con il quale si indicava una delle più di!use cause di degrado delle immagini esposte sopra gli altari.

Nel Museo del Duomo di Perugia è conservata una scultura romanica in legno policromo di una Madonna in trono con il Bambino benedicente in grembo, che vi è stata depositata per esigenze conservative dall’abbazia di San Salvatore di Montecorona (fig. 5). È agevole riconoscervi una statua della Madonna che il vicario del vescovo Fulvio Della Corgna vide il 24 novembre 1564 sopra l’altare maggiore della chiesa di San Cle-mente nel villaggio di San Giuliano delle Pignatte, nelle immediate vicinanze di quell’abbazia cistercense. La Madonna era in rilievo e era posta tra due tavole dipinte con le storie del Santissimo. I due sportelli dipinti dovevano essere sistemati, ma se non fosse stato possibile li si doveva mantenere nel modo più decen-te30. Siamo fortunati perché la statua della Madonna con il Bambino si è conservata. Gli sportelli laterali con le storie di Cristo sono andati invece perduti. La succinta descrizione nella visita pastorale è comunque preziosa, perché c’informa che la scultura lignea era accompagnata da pannelli istoriati, e che li si dovesse conservare nonostante - aggiungo io - il loro aspetto

antiquato. Segno evidente che la Chiesa tridentina non si proponeva di eliminare sistematicamente le immagini antiche, ma che anzi intendeva promuovere una più decorosa esposizione delle immagini, anche quando non dovessero rientrare nei canoni estetici rinascimentali.

Naturalmente è possibile che l’intenzione di conser-vare decorosamente la Madonna di San Giuliano delle Pignatte fosse condizionata dalle forme di devozione di cui era oggetto l’immagine, nonostante il suo aspetto antiquato; meglio ancora se la devozione era esente da censure. È quanto si può dire per un Crocifisso devoto ma di aspetto - aggiungo io - orribile che il visitatore trovò nell’oratorio della fraternita dell’Annunziata in Porta Eburnea (fig. 6). Era costume trasportare questo Crocifisso in processione per le cerimonie del Giovedì Santo in cattedrale, quando si rappresentava il mistero della passione; nel corso della quale cerimonia il Crocifisso era oggetto di una pratica superstiziosa, che consisteva nel disporre cinque mandorle sulle cinque piaghe di Cristo, e di servirsene come antidoto per qualsivoglia infermità31. Il Crocifisso esiste ancora nella sua sede originaria32. È una statua in pergamena che si può far risalire agli anni ‘70 del XIV secolo, e che ancora ai tempi di Serafino Siepi (1810) si diceva realizzata con la pelle conciata di un cadavere33. Nel rivoltare la statua per fotografarne il dorso insanguinato, dalla ferita del costato cadde un quattrino ravennate del XVIII secolo: evidentemente i fedeli si servivano della ferita per deporvi elemosine33. Fulvio Della Cogna non criticò l’aspetto materiale dell’immagine, quanto

6. Scultore umbro del XIV secolo, Crocifisso, Perugia, Oratorio dell'An-nunziata.

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il comportamento superstizioso della popolazione.Altre volte il visitatore fu assai meno indulgente

nell’ordinare la rimozione e la distruzione nel fuoco di una immagine deturpata dall’antichità. È quanto ordinò nel visitare la chiesa di San Lorenzo di Grep-polischieto, un castello rurale a sud di Piegaro, dove passava il confine tra i comuni di Perugia e di Orvie-to. La statua della Madonna che trovò sopra l’altare maggiore doveva essere spostata a un altare secondario, oppure la si doveva distruggere perché troppo antica e consumata. Idem per un vecchio Crocifisso che il visi-tatore fece rimuovere e bruciare34. Provvedimenti del genere furono tutt’altro che rari, soprattutto in chiese di castelli e di villaggi isolati. Nella chiesa di San Giovanni a Castiglione della Valle fece rimuovere o restaurare una statuetta della Madonna perché indecente 35. Nella chiesa di San Felicissimo a Castel Lauro fece togliere un Crocifisso vecchio e indecente da una tavola dipinta, e lo spezzò con le sue mani36. A Pieve Caina, nella pieve di Santa Maria trovò sopra il fonte batte-simale un Crocifisso consumato dall’antichità, lo fece rimuovere e gettare nel fuoco37. A Spina nella chiesa di San Nicola trovò sull’altare maggiore un Crocifisso devastato dall’antichità e ordinò che fosse restaurato 38. Nella chiesa di San Giustino alle porte di Perugia trovò sull’altare maggiore una tavola con l’immagine del Crocifisso e una statua della Madonna in una nic-chia laterale, entrambe devastate dall’antichità: fece collocare la tavola sopra l’ingresso della chiesa e fece gettare nel fuoco la statua39. Nella chiesa parrocchiale di Santa Maria a Prepo trovò una piccola statua di gesso della Madonna in una nicchia: fece rimuovere la statua, chiudere la nicchia e dipingervi sopra una immagine della Vergine40. Nella chiesa parrocchiale del villaggio di San Fortunato trovò un vecchio Crocifisso e ordinò che fosse restaurato oppure rimosso41. A Papiano nella chiesa parrocchiale di Sant’Angelo, dipendente dall’abbazia di San Pietro di Perugia, trovò sull’altare del Crocifisso un’immagine antichissima in rilievo, che fece gettare nel fuoco42. Nella chiesa parrocchiale del villaggio di San Proveto trovò una statua del santo patrono devastata dall’antichità, che fece rimuovere e distruggere43.

Giungo ad una conclusione, che non potrà essere che provvisoria per la frammentarietà delle notizie di cui dispongo. Il Concilio di Trento si dedicò tanto alla riforma del clero, quanto al controllo sui fedeli: il primo con l’apertura dei seminari e l’obbligo di resi-denza; il secondo con nuove forme di partecipazione alla vita religiosa e la rimozione di culti superstiziosi. Le visite apostoliche e le ricorrenti visite pastorali furono strumenti essenziale di questa opera di riforma e di controllo, che richiedeva una costante attenzione nel sanare gli abusi, quasi sempre collegati a imma-gini miracolose. Con l’arte nuova terminerà anche il Medioevo. Molti di questi abusi saranno reintrodotti

dall’alto al tempo della Rivoluzione Francese, quando le Madonne riprenderanno a piangere chiamando il popolo alla lotta contro la democrazia. Con le vittorie di Napoleone seguirà la fine dell’Anciént Regime, si apriranno i musei per ospitarvi i capolavori dell’arte, le Madonne non faranno più miracoli e diventeranno oggetto di commercio. Per ricominciare da capo nel XX secolo, ma questa volta con Madonne di coccio e di poco valore. E siamo ad oggi.1) E. Lunghi, I cicli pittorici, le opere d’arte medievali e la cappella di Sant’Anna, in La cattedrale di Spoleto. Storia Arte Conservazione, a cura di G. Benazzi e G. Carbonara, Milano 2002, pp. 241-251.2) Spoleto, Archivio Diocesano (A.D.S.), Visita Barberini, I, 1610, c. 49r. Per l’edizione della visita, vedi Trascrizioni, a cura di L. Andreani, R. Chiovelli, P. Mercurelli Salari, in La cattedrale di Spoleto (nota 1), p. 491.3) A.D.S., Visita Lascaris, 1712-1715; per la trascrizione vedi Trascrizioni (nota 2), p. 495. 4) E. Lunghi, La scultura lignea in Umbria nel XIII secolo, in L’Umbria nel XIII secolo, a cura di E. Menestò, Spoleto 2011, pp. 299-331.5) E. Lunghi, I cicli pittorici (nota 1), p. 251.6) La Deposizione lignea in Europa. L’immagine, il culto, la forma, a cura di G. Sapori, B. Toscano, Perugia 2004.7) Al tempo della prima visita pastorale del vescovo Ma!eo Barberini (1610), la cappella di juspatronato del Comune di Spoleto risultava intitolata a Sant’Agostino e era decorata da una tavola con le immagini dei santi Agostino, Sebastiano, Girolamo e Rocco; vedi L. Andreani e G. Benazzi, L’interno della Cattedrale secondo le Visite Pastorali, in La cattedrale di Spoleto (nota 1), p. 514, n. 6.8) La Deposizione lignea (nota 6), pp. 231-232; scheda firmata da Giordana Benazzi. Nell’Archivio Diocesano di Spoleto è conservata la copia di una lettera indirizzata al Sindaco di Poggiodomo e al Vescovo di Norcia dal soprintendente Gisberto Martelli in data 24 ottobre 1953, che dà notizia dei lavori in corso all’interno della chiesa del Cimitero di Rocca Tamburo, frazione di Poggiodomo, e ordina che “sia posta in salvo la croce lignea pertinente alle statue che si trovano già in paese”. 9) G. Sapori, B. Toscano, Proposte per un ordinamento di materiali e problemi, in La Deposizione lignea (nota 6), pp. 23-24.10) “HOPERA ISTA FABRICATA FUIT. ANNO 1236 REFORMATA. DOMINO LUDOVICI DE BARBARODIS PRIORIS. DICTE ECCLESIE SANCTE MARIE DE RONCIONE. 1492. DE MENSE AUGUSTI. NICOLAUS PORISI PINSIT . RESTAURATA . A.R.D. ERMENEGI-LDO CARAFFA ANNO 1784 MENSE AUGUSTI”; in La Deposizione lignea (nota 6), pp. 69-71; scheda firmata da Corrado Fratini.11) Perugia, Archivio Diocesano (A.D.P.), Visita Bossi, 1577, vol. IV, cc. 78rv: «Visitavit ecclesiam rurale Sancte Marie vulgariter appellatam Santa Maria de Roncione, oblongam, recte tutam, totam pavimentatam, (...) et cum duobus portis, que adhuc obsignata, et cum altari maiori amplo ad mensuram, quod habet lapidem sacrum ad formam accomodatam, et cum simulacris antiquis loco icone, que Christi exclavationem representant, sed supra sine tegumine telari ex telo ad cuis ornatus adsunt paramenta de quibus infra». 12) A.D.P., Visita Della Rovere, 1571, cc. 137rv: «Deinde accessit ad eccle-siam sanctae Mariae Roncioni sine cura, ut dicitur, sub rectore D. Monaldi Monaldeschi de Orvieto, et ibi visis, audivit in ea per D. Io. Baptista Silvestri de Castro Paciani habitatorem castri Dirutae in hebdomada unam missam in diebus tamen feriatis celebrari. Et ad se certiorem reddendum, an dicta sit simplex, vel ei immineat curam animarum, ordinavit sibi bullas exhiberi in termino 15 dierum sub pena 25 scutorum, postea facta oratione ante altare et aspersione pro defunctis mandavit crucem erigi in altare, ipsumque muniri debitis, et convenientibus paramentis, et tobaleis, et plura haberi corporalia et purificatoria, et calicem et patenam fieri convenientem, et dicta alia planeta alba cum stola, et suo manipulo, ac camiscio provideri in termino duorum mensium sub dicta pena pijs locis».13) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 27v: «Visitavit altare Cruci-fixi, cum immagine crucifixi, et tribus alijs immaginibus et cum capite alterius immaginis, et quia non decenter darent: removeri mandavit quatenus parocchiam particularem ibidem non habeat devotionem».14) A.D.P., Visita Turri 1558, c. 1r: «Visitatio parrochialium ecclesiarum Sancti Severi de Platea alias Sancte Agate P.S.S. et Sanctae Mariae de Colle P.S.P. In Nomine Domini amen. Anno Domini Millesimo quingentesimo, quinquagesimo octavo, Indictione prima, Tempore Pontificatus S.D.N. Domini Pauli Divina

Elvio Lunghi
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appellata
Elvio Lunghi
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La scultura lignea del XIII secolo a Perugia

Providentia Papae quarti. Die vero XIII Decembris. Praesentibus ibidem ve-nerabilis viris Donno Christophoro de chinelis viro perusino et Donno Matheo Pancio, ac Donno Simone Gavantone presbiteris eugubinae diocesis testibus. Rev. D. Donatus Turrius V.S.D. Reverendissimi Episcopi Perusini vicarius Generalis visitavit Parrocchialem ecclesiam Sancti Severi de Platea vulgo nuncupata Sanctae Agathae sita Perusiae in P.S.S.. Astavit ibidem R.s D. Nicolao Gregoriano dicte ecclesiae rectore. Et primo visitavit locum sacratissimae eucharestiae ubi invenit lam-padam accensam et duodecim hostias sacratas. Visitavit etiam oleum sanctum, et reperto illius vasculo aliquantulum fracto, et ad hoc minimi apto precepit dicto D. Nicolao presenti, et intelligenti, ut illud vasculum diligenter comburarit in sacrario, vel sub altare, et aliud refici curaret bonum, et honestum intra quatuor dies sub poena excommunicationis, et etiam fieri faciat clavem cofanello, in quo retineatur ipsum sacratissimum sacramentum, et oleum sanctum, ac nonnulla reliquia. Et dixit oleum illud esse presentis anni, et habuisse a cathedrali ecclesia. Deinde visitavit Altare maius, et primo vidit lapidem parvum sacrum, et illum invenit sanum, integrum, et illesum, et similiter Mensam Magnam ipsius altaris, quam indequam integram reperit, et coopertam. Tribus tobaleis, quas mandavit lavari, intra octo dies. Et super eo crucem ligneam satis veterem, quam iussit ristaurari, et Duo candelabra lignea. Unum callicem, qui amovebatur. Unam patenam aliquantulum ruptam Et mandavit resarciri intra sex dies, et ea (...) non operari sub poena predicta excomminationis et decem scutorum. Unum Corporale cum palla propter usum maculata. Unum purificatorium tantum similiter turpi. Et mandavit fieri duo corporalia honesta, et quatuor purificatoria intra XV dies».15) A.D.P., Visita Turri 1571, cc. 3rv: «Visitavit altare crucifixi, quod dictum esse illorum de gilinijs, et cum adesset simulacra crucifixi et aliorum sanctorum de ligno vetustissima fecit illa hunc removeri, et mandavit per gilionis provideri altare de tobaleis palijs candelabris et tabula vel inde removeri». 16) A.D.P., Visita apostolica Della Rovere 1571, c. 10v: «Visitavit altare crucifixi quod est strenui capitanei Pandulphi hieremiae de civitate perusij, et ibi visis et iussit intimari dicto Capitano quod in termino sex mensium proxime futurorum debeat munivisse illud paramentis et tobaleis condecentibus, figurasque convenienter pingi procurasse sub XXV scutorum pijs locis. Vidit sacra vasa et suppellectile sacristiae recte teneri, et satis esse ad dictam ecclesiam».17) Per notizie su Santa Maria di Roncione vedi G. Fabretti, Memorie ecclesiastiche delle Chiese di Deruta e di alcuni soggetti religiosi del medesimo luogo incominciate nel Gennaio 1849 da me G. Fabretti, Perugia, Biblioteca Augusta, ms. 2004, pp. 333-347.18) G. Sapori, B. Toscano, Proposte per un ordinamento (nota 6), p. 24. 19) M.R. Silvestrelli, L’edilizia pubblica del Comune di Perugia: dal «Pala-tium comunis» al «Palatium novum populi», in Società e istituzioni dell ’Italia comunale: l ’esempio di Perugia (secoli XII-XIV), Perugia 1988, pp. 592-593: «In primis quidem assignat et dicit se invenisse ecclesiam cum duabus cellis quibus sunt sex camarae, computatis duabus cameris quae sunt sub ipsa ecclesia, et cum una campana in campanili, cum altaribus et reliquiis et lancis et cum maiestatibus et crucibus vetustis factis». Tra le suppellettili l’inventario elenca «duos pannos pro copertorio crucifixorum” e “unum mantellum suriani fractum pro maiestate».20) P. Scarpellini, Le Deposizioni dalla croce lignee nell ’Italia centrale: osser-vazioni e ipotesi, in La Deposizione lignea (nota 6), pp. 339-354.21) M. T. Maggi, I possessi dell ’Abbazia di Farfa in Umbria nei secoli VIII-XII, in “Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria”, XCI (1994), pp. 47-86 (70-73).22) A. Caleca, I gruppi toscani, in La Deposizione lignea (nota 6), pp. 325-337 (327).23) E. Lunghi, Due crocifissi da deposizione a Perugia, in Riflessioni sul Rina-scimento scolpito ~ Contributi, analisi e approfondimenti in margine alla mostra di Camerino 5 maggio ~ 5 novembre 2006, a cura di M. Giannatiempo Lòpez e R. Casciaro, Pollenza 2006, pp. 74-81.24) Il tesoro della Basilica di San Francesco ad Assisi, Assisi 1980, pp. 33-34; scheda firmata da Pietro Scarpellini.25) Assisi, Archivio del Sacro Convento, Registri 23, cc. 323rv.26) Ibidem, c. 324r.27) E. Lunghi, Il Crocifisso di Giunta Pisano e l ’Icona del ‘Maestro di San Francesco’ alla Porziuncola, Assisi 1995, pp. 31-34, 44-45.28) “Compilatio Assisiensis” dagli Scritti di fra Leone e Compagni su s. Francesco d ’Assisi. Dal Ms. 1046 di Perugia, II edizione integrale riveduta e corretta

con versione italiana a fronte e varianti, a cura di M. Bigaroni ofm., S. Maria degli Angeli 1992, p. 28: «Sicut in pictura Domini et beate Virginis in ligno depicta honoratur Deus et beata Virgo, et in memoria habetur Deus et beata Virgo, et tamen lignum vel pictura nichil sibi attribuit quia lignum vel pictura est, sic servus Dei est quedam pictura, videlicet creatura Dei, in qua Deus honoratur propter beneficium suum, sed ipse (nichil) sibi tribuere debet, tamquam lignum vel pictura, sed soli Deo honor et gloria reddenda est et sibi verecundia et tribulatio, dum vivit, quia semper, dum vivit, caro est contraria beneficiis Dei». 29) Per un repertorio di Madonne romaniche umbre vedi K. Krüger, Der frühe Bildkult des Franziskus in Italien, Berlin 1987.30) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 93r: «Visitavit madonnam rilievi cum tabulis pictis Santissime inde / quas reaptari si potest santissimi aut retineri quanto decentius».31) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 68v: «Et cum in dicta fraternita adsit crucifixus qui in die Jovis ebdomade sancte solet magna cum reverentia et fere totius populi multitudine cerimonijs et solemnitatibus soli die convenientibus deferri ad ecclesiam catedralem per misterio passionis representando, et audiverit esse usum, immo abusum quod in quinque plagis dicti crucifixi amandule quinque apponuntur quem in qualibet, et illis quis utatur pro curandis infirmitatibus / iussit id non fieri post hac sub poena excommunicationis tam quoad eos qui hoc remedio utentur. Quod eos qui tetigerint vel tangi fecerint huiusmodi plagas modo quo supra dictum est, vel alio simili».32) E. Lunghi, Due crocifissi da deposizione (nota 23).33) S. Siepi, Descrizione topologico-istorica della città di Perugia, Perugia 1822, II, p. 729.34) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568 cc. 215rv: «Et primo altare maius stabile non consecratum cum altare portatili cum madonna rilievi in eo vetustate consumpta, et ideo reaptari et poni in alio altari, seu igni comburi, et nichium altaris maioris infra annum repleri et in muro seu in tabula vel alias pingi figuras veluti crucifixi et s. Laurentij et huismodi. (...) Visitavit duo altaria que dicitur concessa particularibus parochianis, et mandavit vel provideri illa de tobaleis a dictis parocchianis quibus concessa sunt, seu removeri ea et cum in altare uno ex praedictis adesset crux in crucifixo vetustate confecto illum removeri fecit et igni comburi iussit».35) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 195r: «Visitavit altare ma-donne ipsius ecclesiae non consecratum cum madonna rilievi parva et eius filio indecentem, et idem vel anmoveri, vel reaptari».36) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, cc. 199rv: «Visitavit parrocchialem ecclesiam Santae Felicissimae de castro lauri cui unita est seu eius membrum ecclesiae Santi Antonii de eodem castro. Cuius rector est R. D. Vincentius grisaldus (...). Et primo altare maius lapideum in columna lapidea cum tabula olim picta nunc depinta cum crucifixo rilievi veteri, et indecenti. Et crucifixum laceravit, figuras autem seu figurarum vestigia removeri, et alias de novo repingi infra quattuor menses sub poena privationis fructum dictae ecclesie per annum».37) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 232r: «Et cum in ecclesia super fontem baptismi esset crucifixus vetustate consumptus removeri fecit, et igni tradi mandavit».38) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 347r: «In altari vero maiori erat crucifixus rilievi vetustate in aliqua eius parte devastatus, Et propterea mandavit reaptari».39) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 351r: «Visitavit aliud altare in dicta ecclesia ubi erat crucifixi immago in tabula vetustate devastari incepta /et iussit removeri de altare et poni intus ecclesiam super portam illius. Visitavit figuras virginis in quadam nicchio cum filio in brachio vetustate consumptas / quas igni comburi iussit».40) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 357v: «Visitavit altare maius et illius figuras nempe madonnam cum filio parvam de gesso in nicchio et iussit removeri et nicchium repleri et in muro pingi figuram virginis marie. Altare lapideum in columna lapidea non consecratum cum altare portatile quod continuo retineri iussit et sine eo non celebrari».41) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 366v: «Visitavit altare crucifixi cum crucifixo vetustate devastari incepto et iussit infra 15 dies vel reaptari vel removeri».42) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 382v: «Visitavit altare crucifixi ubi est ferrata fenestra cum cappella facta ex testamento Bernardini fabbri non tamen cum dote, et iussit ut super figuram crucifixi vetustissimam igni tradi et per monici vel cuilibet successores dicti Bernardini facere ibi in altari figuras vel faciant ipsi monaci sumptibus ecclesia».43) A.D.P., Visita Della Corgna 1564-1568, c. 400r: «Visitavit altare aliud in dicta ecclesia ubi erat immago rilievi cuiusdam sancti vetustate in totum devastati, et devastari et removeri fecit».