città, periferia, territorio

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ALDO ROSSI, LA STORIA DI UN LIBRO L’architettura della città, dal 1966 ad oggi a cura di Fernanda de Maio, Alberto Ferlenga, Patrizia Montini Zimolo I --- U --- A --- V ilPOLIGRAFO

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L’architettura della città, dal 19

66 ad oggi

a cura di Fernanda de Maio, Alberto Ferlenga, Patrizia Montini ZimoloFernanda De Maio, laureatasi presso la Facoltà di Architettura di Napoli, è stata borsista dell’Akademie Schloss Solitude di Stoccarda dove ha condotto una ricerca su Paul Bonatz, i cui esiti sono poi confluiti nella monografia Wasser-Werke (Edition Solitude, Stuttgart). È dottore di ricerca in Progettazione urbana e dal 2005 professore associato presso l’Università Iuav di Venezia. Come componente dello studio Na.o.Mi. ha partecipato a diversi concorsi di architettura nazionali e internazionali esposti in mostre, tra cui l’8. Biennale di Architettura di Venezia e La Biennale di Arti Visive di Venezia del 2001, ottenendo segnalazioni e premi. Coordina ricerche e seminari nazionali e internazionali e suoi saggi e progetti sono stati pubblicati in libri e riviste internazionali di settore.

Alberto Ferlenga si laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Professore ordinario di Progettazione architettonica presso l’Università Iuav di Venezia, dopo esserlo stato per dodici anni all’Università “Federico II” di Napoli, è stato visiting professor in diverse università del Nord e del Sud America. È stato a lungo redattore di «Lotus» e poi di «Casabella». Dal 2008 dirige la Scuola di dottorato dell’Università Iuav di Venezia. Fonda e anima molti seminari e workshop internazionali, il dottorato internazionale di architettura Villard d’Honnecourt e diverse collane editoriali. Curatore di importanti mostre, tra cui quella su Aldo Rossi al Beaubourg del 1991 e le successive alla Triennale di Milano e al Maxxi. Sue sono, tra le altre, le monografie Electa su Aldo Rossi e Dimitri Pikionis. Progetti e realizzazioni sono pubblicati sulle principali riviste internazionali.

Patrizia Montini Zimolo è architetto e professore di Composizione architettonica e urbana all’Università Iuav di Venezia, dove è stata assistente di Aldo Rossi dal 1987 al 1997 e attualmente è membro del collegio docenti del Dottorato in Composizione architettonica. La sua attività di progetto e di ricerca, centrata sul rapporto architettura/città e sulla registrazione dei differenti fenomeni urbani, è stata ampiamente documentata in esposizioni di architettura, tra cui la Biennale di Architettura di Venezia del 1985 e la Triennale di Milano del 1995, e in pubblicazioni italiane e straniere. Ha svolto attività d’insegnamento e promosso workshop internazionali in università europee. Negli ultimi anni sta sviluppando esperienze di progettazione sull’architettura sostenibile in territorio africano. Tra le sue pubblicazioni: Berlino ovest, tra continuità e rifondazione (Officina, Roma 1987), L’architettura del museo (Città studi, Milano 1995), Il progetto del monumento tra memoria e invenzione (Mazzotta, Milano 2000), Aldo Rossi e Venezia, il teatro e la città (Unicopli, Milano 2002), Sotto sopra. Le forme del movimento nella città antica (in Forme del movimento. Progetti per infrastrutture lineari in contesti storici e ambientali di rilievo, a cura di Gianni Fabbri, Officina, Roma 2008).

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ISBN 978-88-7115-851-8

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ilPOLIGRAFO

Pubblicato nel 1966 da Aldo Rossi, allora poco più che trentenne, L’architettura della città si è da subito rivelato una pietra di paragone con cui la cultura architettonica avrebbe dovuto confrontarsi negli anni a venire, diffondendosi nelle università di tutto il mondo e contribuendo in modo decisivo alla crescita di una generale consapevolezza sull’importanza dello studio della città, non solo nei suoi aspetti economici e politici, ma, soprattutto, in quelli architettonici e formali.I contributi raccolti in questo volume ripercorrono e illuminano, a quasi cinquant’anni dalla sua prima edizione, il contesto storico e culturale da cui il libro trae origine e delineano lo specifico apporto di Aldo Rossi alla ridefinizione di una teoria dell’architettura, rivelando come i temi e le questioni da lui portate in luce siano ancora la base di discussioni ampie e attuali. Ed è proprio in questa “attualità” del testo – nei suoi effetti diretti, indiretti o collaterali – che si valuta la portata innovativa di un lavoro intellettuale che è anche racconto autobiografico: il tentativo esaltante, ma allo stesso tempo complesso, di ri-nominare un mondo dopo che i presupposti teorici delle passate letture sono venuti meno.

Aldo Rossi, lA stoRiA di un libRoL’architettura della città, dal 1966 ad oggi

a cura di

Fernanda De Maio Alberto Ferlenga Patrizia Montini Zimolo

with english translation

ilpoligrafo

traduzioni Fulvia AndriFernanda De MaioMaría García GarmendiaAlexander PellnitzMilvia Vallario

progetto graficoIl Poligrafo casa editriceLaura Rigon

copyright © dicembre 2014

Università Iuav di VeneziaIl Poligrafo casa editrice

Il Poligrafo casa editrice35121 Padovapiazza Eremitani - via Cassan, 34

tel. 049 8360887 - fax 049 8360864

e-mail [email protected] 978-88-7115-851-8

Comitato scientifico per le iniziative editoriali dell’Università Iuav di Venezia

Guido Zucconi (presidente), Andrea Benedetti, Renato Bocchi Serena Maffioletti, Raimonda Riccini, Davide Rocchesso, Luciano Vettoretto

I volumi della collana Iuav - Il Poligrafo sono finanziati o cofinanziati dall’Ateneo

Il presente volume raccoglie gli atti del Convegno internazionale di studi “L’architettura della città di Aldo Rossi nel 45° anniversario della prima pubblicazione” Venezia, Palazzo Badoer, 26-28 ottobre 2011

Scuola di Dottorato, Università Iuav di Venezia

ringraziamenti

Archivio Progetti Iuav, Germano Celant, Fondazione Aldo Rossi, Peter Hefti, Marilena Malangone, Molteni&C, Fausto Rossi, Vera Rossi, Chiara Spangaro, Pietro Tomasi

Salvo dove diversamente indicato, le immagini provengono dagli archivi personali degli autori

indice

11 Nota dei curatori

introduzioni

15 A due anni dal ’68

L’architettura della città e la conquista di una libertà intellettuale

Alberto Ferlenga

23 Le lezioni veneziane

Patrizia Montini Zimolo

39 Alla ricerca della propria architettura

Fernanda De Maio

Parte prima il contesto culturale alle origini del saggio

49 Aldo Rossi e la Marsilio

Cesare De Michelis

55 Il razionalismo esaltato di Aldo Rossi

Antonio Monestiroli

63 «Eravamo tutti comunisti»

Gianni Fabbri

71 Città, periferia, territorio

Mary Louise Lobsinger

81 The Arezzo connection. Brevi note sul rapporto tra Ludovico Quaroni e Aldo Rossi

Pippo Ciorra

87 Da “giovane delle colonne” a L’architettura della città

Serena Maffioletti

103 Dal Manuale d’urbanistica a L’architettura della città: le radici del testo

Elisabetta Vasumi Roveri

109 Progetti e contributi teorici di Rossi, 1962-1963: verso la fondazione di una “metodologia scientifica”

per L’architettura della città

Beatrice Lampariello

123 Cut-ups: L’architettura della città come collage

Diogo Seixas Lopes

133 Da Barcellona a Santiago. Visioni della Spagna ne L’architettura della città

Carolina B. García Estévez

143 La bella e moderna città policentrica veneta

Manlio Michieletto

Parte seconda lageografiadelladiffusione

155 Alcune precisazioni relative ai viaggi di Aldo Rossi in America Latina

Tony Díaz Del Bó

163 Letture di L’architettura della cittàin America Latina: uno scambio tra argentini e cileni alla fine degli anni Settanta

Horacio Torrent, Gisela Barcelos de Souza

177 Tradurre Rossi: da Buenos Aires a New York

Ana Maria León

191 The architecture of the city: Rossi e gli “alleati” d’oltreoceano

Ernesto Ramon Rispoli

201 L’architettura della città: da Zurigo a Nantes

Thierry Roze

213 Rossi e la Germania. Traduzione e ricezione del libro L’architettura della città

Alexander Pellnitz

229 L’architettura come fatto

Vassiliki Petridou

237 Aldo Rossi in Svizzera

Alessandro Pretolani

Parte terza leconseguenzediuninsegnamento

247 Se ogni città possiede un’anima

Luca Ortelli

255 La città in sospensione: Aldo Rossi e la permanenza patologica

Can Onaner

Sezione Prima ilcontestocultu-ralealleoriginidelsaggio theculturalcontextfortheessay

265 Che fine ha fatto l’architettura analoga? Il significato dell’immagine in Aldo Rossi e Valerio Olgiati

Cameron McEwan

299 Il fatto urbano e il frammento architettonico. Note su alcune congetture della forma urbana 1963-1973

Roberto Damiani

309 Attualità della città per parti

Lina Malfona

315 L’architettura della città e l’architettura dei luoghi. Per una possibile costruzione rossiana della nozione di paesaggio

Chiara Visentin

325 >1966>architettura razionale_1973>oggi

Renato Capozzi, Ivano La Montagna, Federica Visconti

337 «La città ha per fine se stessa»

Jean-Philippe de Visscher

349 Che cosa significa “l’architettura della città”?

Pier Paolo Tamburelli

355 Autonomia dell’architettura e dispositivi critici. Per una genealogia di figli unici

Francesca Belloni

Parte quarta mostra

367 L’architettura della città: dal libro alla mostra

Antonella Indrigo

373 Aldo Rossi: cenni biografici

375 Abstracts

381 Note biografiche degli Autori

citt, periferia, territorio

Mary Louise Lobsinger

Otto fotografie pubblicate nel numero di «Casabella Continuità» del luglio 96 offrono la prova visiva delle trasformazioni fisiche e sociali che stavano prendendo piede nelle periferie delle maggiori città italiane. Le fotografie del Tuscolano, del Tiburtino III e del Prenestino a Roma e del sobborgo industriale di Sesto San Gio- vanni a Milano dipingono la periferia come una distesa di edifici abbandonati, di detriti di costruzioni e di quelli che appaiono come affioramenti di resti archeologici. Le persone sono per la maggior parte assenti e le fotografie in cui compaiono non offrono esempi convincenti di comunità o vita sociale. Le immagini accompagnano l’articolo La città e la periferia scritto da Aldo Rossi. Nonostante le fotografie non siano di Rossi (infatti esse sono liberamente attribuite ad altri), si può supporre che egli ne approvò l’utilizzo come testimonianza visiva delle condizioni urbane contemporanee.

Le immagini fungono da indice della realtà, catturano gli effetti concreti di forze invisibili sulla città. Le fotografie possono essere facilmente scambiate per dei fermo immagine presi da film italiani dei tardi anni Cinquanta e dei primi Sessanta. Rossi costruisce questa relazione nell’ultimo paragrafo dell’articolo in cui porta l’attenzione su registi come Pier Paolo Pasolini, Luchino Visconti, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni e sullo scrittore Giovanni Testori. Rossi scrive che «i film contemporanei col-gono le caratteristiche di un mondo senza radici e senza prospettiva» e, nelle rappresen-tazioni cinematiche, la periferia appare come «una frontiera tra la città e la campagna»2. In queste ultime righe l’analisi di Rossi delle condizioni della città italiana contem- poranea si allonta dalla ricerca corrente per riflettere sulle condizioni sociali. Egli caratterizza le popolazioni di immigrati che vivono nei sobborghi di Milano come forza lavoro catturata nel circuito della produzione, per cui il lavoro è motivato dall’ambizione di divenire un consumatore. L’emergenza di aspirazioni che differi-scono radicalmente dalla storica classe dei lavoratori implica una dinamica socio-economica che mette a confronto le storie narrate da Testori in Il ponte della Ghi- solfa (958), da Visconti in Rocco e i suoi fratelli (960) o da Pasolini in film come Accattone (96). Eppure, nonostante il triste ritratto, Rossi nota che la frontiera pro-spera con un’inestinguibile vitalità simile alla violenza che essa esercita sulla città. Per Rossi, la periferia presenta una nuova realtà urbana che contiene i semi della città futura. Il suo argomento chiude il cerchio, poiché l’investigazione cominciava con Rossi che affermava che

il volto della città contemporanea è rappresentato per la maggior parte dalla periferia, una gran parte dell’umanità è nata, cresce e vive nelle periferie urbane [...] queste vaste zone della

mary louise lobsinger 2

città moderna, che partono dai vecchi centri e che nella loro forma mostrano tanto le lacera-zioni di uno sviluppo rapido che una vitalità allo stesso tempo intensa e nuova.3

Negli scritti di Rossi di questo periodo, la periferia è spesso descritta, in termini conflittuali; nonostante la degradazione fisica e la perdita di forma della città tradizio-nale questa nuova frontiera presenta del potenziale, potrebbe essere l’evidenza di una fase di transizione nelle relazioni sociali. Quando Rossi scrive che l’architetto è inserito in una complessa «realtà nazionale» o che i margini urbani non incorporati sono luoghi dove prende piede una «nuova cultura», l’interpretazione potrebbe essere intesa in senso gramsciano, come se nel suo privilegiare le classi popolari privilegiasse il luogo del cam-biamento sociale (Gramsci è citato nell’articolo, sebbene per altri motivi). Come fron-tiera socio politica, la periferia, comprensiva dei braccianti agricoli, dei lavoratori delle vecchie periferie e degli strati della classe media emergente può alimentare una nuova cultura popolare. L’instabile composizione sociale potrebbe far presagire future alleanze, una forza egemonica che attraversa le divisioni di classe. Certamente la periferia potrebbe essere una forza regressiva, poiché produce consumatori, nuovi mercati e facilita l’as-sorbimento passivo dei soggetti nel capitalismo avanzato. Un anno prima, nel nume-ro di luglio 960 di «Casabella Continuità», Gian Ugo Polesello, Aldo Rossi e Francesco Tentori, pubblicarono un proposta di progetto per la periferia di Milano. Nell’articolo di accompagnamento, Il problema della periferia nella città moderna, gli architetti argomen-tavano che la vita civile non era più legata alla città storica. Venivano osservate relazio-ni emergenti tra periferie di pre- e di post guerra; esse erano socialmente e fisicamente distanti dal centro storico. Le periferie delle grandi città industriali stavano evolvendo indipendentemente in regioni policentriche di influenza. I giovani architetti seguivano le ricerche sociologiche coeve quando argomentavano che periferie geografiche e peri-ferie sociali non erano sempre coincidenti (il centro storico poteva essere una periferia sociale). Ad ogni modo il punto più importante era il problema della residenza, poi-ché ciascuno partecipa alla vita sociale della città solo quando abita in modo adeguato. Il progetto proposto per Milano nord imponeva una gigantesca porta tra la città vera e propria e la periferia oltre. Si tratta di un gesto monumentale che suggerisce che la forma architettonica ha la capacità di mediare tra l’antico e i nuovi molteplici centri della peri-feria. L’intervento, più analogico che possibile nelle sue ambizioni sociali, rispondeva agli effetti visuali di uno sviluppo socio-economico accelerato con una soluzione formale.

Durante i successivi cinque anni Rossi perseguì un percorso di ricerca che intende-va verificare le forze specifiche in atto sulla città. Il suo obiettivo andava contro le teorie che si preoccupavano di restituire, attraverso le descrizioni visive o le analisi quantita-tive, gli effetti della rapida urbanizzazione. Rossi, insieme con i colleghi dello IUAV e di «Casabella Continuità», voleva dimostrare che l’espansione senza precedenti della cit-tà non avrebbe potuto significativamente alterare i termini delle analisi, ma richiedeva un’inchiesta più scientifica che avesse i suoi fondamenti nell’architettura.

Egli investigò tecniche per una narrazione non quantitativa della forma urbana unitamente a modi d’inchiesta che legassero concretamente i cambiamenti nella for-ma urbana ai fatti materiali. Come è noto tali tecniche includevano le analisi morfo-logiche e tipologiche e concetti importanti come quello dell’artefatto urbano.

Tra il 959 e il 966 il problema della città e della rapida urbanizzazione arriva a do-minare il discorso architettonico. C’erano posizioni polemiche e in competizione, di so-lito sottoscritte da varie forme di marxismo, teorie sociologiche ed economiche e psico-

citt, periferia, territorio

logia della forma: tutte ambivano ad esprimere la dinamica urbana contemporanea. Un insieme condiviso di figure del discorso – come il centro e la periferia, forme chiuse e aperte, stasi e dinamismo, equilibrio e integrazione – prendono piede nel discorso architettonico. L’espressione «nuova dimensione» identifica la complessità delle forze in atto sulla forma urbana così come segnala la scala senza precedenti dell’espansione. Alcuni architetti chiamati per la riconfigurazione della città come territorio geopoli-tico osservano che, quale passaggio dello sviluppo capitalistico, questa deve adattarsi alle contingenze e al dinamismo del neocapitalismo. La retorica intorno alla “nuova dimensione” spesso esprimeva un ottimismo naïve che guardava al potenziale per il ricambio sociale, immaginando che le nuove forme sociali potessero spontaneamente emergere dall’interno di una libera dinamica urbana. Si pensava all’architetto come alla levatrice di questi cambiamenti da far nascere attraverso il progetto di strutture ca-paci di nuovi modi di circolazione che, come risultato, avrebbero corretto gli squilibri strutturali tra la città e la campagna e tra il nord e il sud Italia.

All’inizio degli anni Sessanta ci furono molti importanti eventi che influenza-rono il dibattito urbano. Nel 1962 Giancarlo De Carlo organizzò un seminario in-ternazionale a Stresa per discutere la relazione tra la nuova dimensione e l’idea della “città regione”. Armati di statistiche e studi provenienti dai contesti internazionali i partecipanti discussero la decentralizzazione urbana nel tentativo di definire e rende-re strategico il potenziale per la città come regione.

De Carlo caratterizzò la “città regione” come «l’insieme di una molteplicità di interessi che si differenziano in un territorio» o, per dirla più chiaramente, la crescita urbana esibita come forma di auto-organizzazione4. La città come regione funzionava come una struttura aperta opposta alla struttura chiusa della città tradizionale, de-scritta negativamente come gerarchica e statica. In questa definizione l’urbanizzazione contemporanea mostrava l’evidenza delle forze non autoritarie e spontanee al lavoro. Una posizione similare, caratterizzata da una più stridente posizione politica, infor-mava un progetto sperimentale che ebbe luogo all’università di Roma nella primavera del 196. I docenti – Carlo Aymonino, Giorgio Piccinato, Manfredo Tafuri tra gli altri – chiesero agli studenti di risolvere la congestione del traffico di Roma per mezzo di interventi che potessero sopportare la crescita della città. I professori sostenevano che la città periferica di Centocelle dovesse fungere da cerniera tra la città vera e propria e il territorio intorno e in quanto cerniera, avrebbe dovuto riorganizzare la periferia in termini di interessi nazionali e regionali. In quest’ottica l’architettura come infra-struttura programmata funzionava come strumento politico5. La maggior parte degli studenti rispose tentando di integrare alcune forme di architettura con le infrastrut-ture della mobilità, molti prendendo spunto liberamente da esempi internazionali, come il progetto per la baia di Tokyo di Kenzo Tange.

La competizione del 1962 per il nuovo centro direzionale di Torino fu forse l’evento più significativo che contraddistinse il dibattito urbano in Italia all’inizio de-gli anni Sessanta. Sebbene non sia mai stato adeguatamente chiarito, il programma per i nuovi centri direzionali fu inteso come un’infrastruttura a supporto degli im-perativi economici di una società opulenta. Nella recensione di Paolo Ceccarelli sui risultati della competizione l’espressione «società del benessere» viene definita come l’insieme delle condizioni sociali introdotte dallo sviluppo economico dove «il mon-do intero è investito nei consumi»6. Il concorso, in breve, richiedeva agli architetti di

mary louise lobsinger

-3. Le fotografie, che accompagnano l’articolo La città e la periferia («Casabella Continuità», 253, luglio 96, pp. 22, 23, 2), sono attribuite ad A. Cantoni, G. Grassi e V. Vercelloni. Le immagini sono cortesemente concesse da «Casabella Continuità»

-3. The photographs accompanying the article La città e la periferia («Casabella Continuità», 253, July 96) are attributed to A. Cantoni, G. Grassi and V. Vercelloni. The images are courtesy of «Casabella Continuità»

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realizzare il futuro di Torino come «un’apertura che configge e integra il Piemonte nel territorio europeo». L’imperativo di «tenere il passo con l’organizzazione e lo sviluppo delle città italiane ed estere nell’evoluzione dell’urbanistica»8 fu interpretato da molti concorrenti come un bisogno di sincronizzare varie modalità di trasporto e di rendere efficiente tutte le forme di circolazione dal centro storico alla periferia e dal nuovo centro degli affari al territorio circostante.

All’inizio degli anni Sessanta, l’entusiasmo architettonico per il connubio tra ar-chitettura e infrastruttura e per la mescolanza di città e territorio era basato su sciolte equivalenze metaforiche disegnate tra la crescita economica e l’espansione urbana. La dinamica della crescita urbana fu equiparata all’espansione urbana e la circolazio-ne effimera di moneta alle necessità di una facile comunicazione fisica. Il fervore per i progetti infrastrutturali aveva una componente visuale tangente alla problematica della rappresentazione. Accanto ai debiti verso l’economia, la sociologia e le teorie di pianificazione inglesi e americane, gli architetti si rivolsero a Kevin Lynch e alla progettazione urbana inglese per le teorie visive. Rossi, ben informato sul lavoro di Lynch in parte attraverso la corrispondenza con Ceccarelli, era scettico sulla rilevanza delle sole teorie visuali ai fini dell’analisi e del progetto. Al decimo meeting dell’Isti-tuto nazionale di urbanistica nel 966 Rossi e i colleghi Emilio Mattioni, Gian Ugo Polesello e Luciano Semerani indirizzarono una critica diretta alle recenti teorie del progetto urbano. Essi argomentarono che la sopravvalutazione delle intangibili varia-bili degli aspetti economici sottovalutava le concrete realtà della città. Essi accusarono gli architetti di essere distratti dai problemi reali a causa di questioni di demografia, di mobilità e di speculazioni sugli effetti psicologici della immediatezza visuale come proposta da Kevin Lynch o dal progetto urbano di ascendenza britannica.

Argomentarono altresì che le esagerazioni dei fatti tecnici e la mistificazione de-gli aspetti legati alla circolazione segnalavano il ritorno di vecchi temi funzionalisti mascherati in nuove politiche. Tra l’altro, essi asserivano che l’architettura fosse una concreta misura della città e a quest’ultimo punto seguiva proprio il libro appena pubblicato di Rossi. Nell’ultimo capitolo di L’architettura della città Rossi sfata il mito della scala. Come ho scritto altrove, egli aspira a stabilizzare i principi e gli strumenti analitici per fondare la disciplina urbanistica. Egli va oltre le mere metodologie tec-niche; piuttosto, produce concetti utili per categorie descrittive generali. Come rico-nobbero le recensioni italiane coeve del libro, Rossi ha proposto una scienza urbana obiettiva che definiva le competenze dell’architettura all’interno dell’urbanistica.

Le fotografie sono attribuite ad A. Carloni, G. Grassi e V. Vercelloni.2 A. Rossi, La città e la periferia, «Casabella Continuità», 253, luglio 96, p. 26.3 Ivi, p. 23. G. De Carlo, Relazioni del seminario «La nuova dimensione della città - La città regione», ILSES,

Milano 962, pp. 85-89.5 M. Tafuri, Gli organismi direzionali: indagine storica e ipotesi di lavoro, in Fondo Dardi, Archivio

Progetti, Venezia, p. 8.6 P. Ceccarelli, Urbanistica “opulenta”, «Casabella Continuità», 28, agosto 963, p. 36. V. Rigotti, Il piano regolatore generale di Torino 1959, articolo 15, «Atti e rassegna tecnica della

società degli ingegneri e architetti in Torino», 3, marzo 960, p. 0. 8 M.F. Roggero, A proposito del concorso del nuovo centro direzionale di Torino, «Atti e rassegna

tecnica della Società degli Ingegneri e Architetti in Torino», 5, maggio 963, p. 223.

city, periphery, territory

Mary Louise Lobsinger

Eight photographs published in the July 96 issue of «Casabella Continuità» offer visual evidence of the social and physical transformations taking place on the outskirts of large Italian cities. The photographs of Tuscolano, Tiburtino III and Prenestino in Rome and of the industrial suburb of Sesto San Giovanni in Milan de-pict the periphery as an expanse punctuated by derelict buildings, construction debris and what appears to be outcroppings of archaeological ruins. People are for the most part absent and the photographs in which they appear do not offer convincing exam-ples of community or social life. The photographs accompany the article La città e la periferia written by Aldo Rossi. While the photographs are not Rossi’s – in fact they are only loosely attributed to others –, it can be assumed that he approved their use as visual evidence of contemporary urban conditions. The images perform as an index of reality, or more precisely, the photographs capture the concrete effects of invisible forces upon the city.

The photographs could easily be mistaken for stills taken from Italian films of the late 950s and early 960s. Rossi makes this connection in the last paragraph of the article where he draws attention to the work of auteur directors, such as Pier Paolo Pasolini, Luchino Visconti, Federico Fellini and Michelangelo Antonioni, and to the writer Giovanni Testori. Rossi writes that contemporary «films capture the charac-teristics of a world without roots and without perspective» and, in cinematic repre-sentations, the periphery appears as «a frontier between the city and the country»2. In this last paragraph Rossi’s analysis of the conditions of the contemporary Italian city turns away from current research to speculate upon social conditions. He charac-terizes the immigrant populations living in the suburbs of Milan as a workforce caught in the circuit of production, where work is motivated by the ambition to become a consumer. The emergence of aspirations that differ radically from the historical working class implies a socio-economic dynamic that parallels the stories dramatized by Testori in Il ponte della Ghisolfa (958), by Visconti in Rocco e i suoi fratelli (960) or by Pasolini in films such as Accattone (96). And yet, despite the bleak portrayal Rossi notes that the frontier thrives with an inextinguishable vitality that is similar to the violence pressing upon the city. For Rossi, the periphery presented a new urban reality that contained the seeds of the future city. His argument had come full circle, for the investigation began with Rossi stating that

The face of the contemporary city is represented for the most part by the periphery, a great part of humanity is born, grows and lives in the urban peripheries [...] those vast

city, periphery, territory

zones of the modern city that depart from the old centers and in form show both the lacerations of extremely quick growth and a vitality that is intense and new.3

In Rossi’s writings of this period, the periphery is often described in conflicted terms; despite the physical degradation and loss of traditional city form, this new frontier holds potential and may be evidence of a transitional phase in social relations. When Rossi writes that the architect is inserted into a complex national reality or that the unincorporated urban edges are places where a new culture grows, the interpre-tation could be understood as Gramscian, that is, as his privileging of the popular classes as the locus of social change (Gramsci is cited in the article, although for other purposes). As a socio-political frontier, the periphery, comprised of former agricul-tural laborers, the working class of the older peripheries and the emerging middle class strata could nurture a national popular culture. The unstable social composi-tion could portend future alliances, a hegemonic force, that crossed class divisions. Of course, the periphery could be a regressive force, for the making of consumers, new markets and facilitating the passive absorption of subjects into advanced capitalism.

A year earlier, in the July 960 issue of «Casabella Continuità», Gian Ugo Polesello, Aldo Rossi and Francesco Tentori published a design proposal for the northern pe-riphery of Milan. In the accompanying article, Il problema della periferia nella città moderna, the architects argued that civil life was no longer tied to the historical city.

Emerging relationships between pre- and postwar peripheries were distinct; they were socially and physically distant from the historical city. The outskirts of large industrial cities were evolving independently into polycentric regions of influence. The young architects followed current sociological research when they argued that geographic and social peripheries should not be confused. Social marginalization was not a matter of geography, for the geographic and the social peripheries were not al-ways one and the same (the historic center could be a social periphery). In any case, the singular, most important issue was the problem of housing; for only when adequately housed one could participate in the social life of the city. The design proposed for Milan north imposed a gateway-like gigantic form between the city and the periphery beyond. It is a monumental gesture which suggests that architectural form has the capacity to mediate between the old and the multiple new centers of the periphery. The intervention, more analogical than possible in its social ambition, responded to visual effects of an accelerated socio-economic development with a formal solution.

During the next half decade Rossi pursued a course of research that sought to identify the specific forces acting upon the city. His aim stood against theories that were preoccupied with either visual description or quantitatively based analyses of the effects of rapid urbanization. Rossi, along with colleagues from IUAV and «Casabella Continuità», would argue that the unprecedented expansion of the city should not significantly alter the terms of analyses but required a more scientific inquiry that was grounded within architecture. He investigated techniques for a non-quantitative account of urban form along with modes of inquiry that concretely linked changes in urban form to the material facts. As is well known, the techniques include typological and morphological analyses and important concepts, such as the urban artifact.

Between approximately 959 and 966 the problem of the city and the rapid urbanization came to dominate architectural discourse. There were competing and polemical positions, usually underwritten by various forms of marxism, sociological

mary louise lobsinger 8

and economic theories and gestalt psychology, that sought to explain the contempo-rary urban dynamic. A shared set of figures of speech – such as the center and pe-riphery, open and closed form, stasis and dynamism, equilibrium and integration –, took hold within architectural discourse. The phrasing «la nuova dimensione» identi-fied the complexity of forces acting upon urban form and, as well, it signaled the un-precedented scale of expansion. Some architects called for reconfiguration of the city as a geopolitical territory arguing that, as a stage of capitalist development, it should adapt to the contingencies and the dynamism of neocapitalism. The rhetoric around «la nuova dimensione» often expressed a naive optimism that saw the potential for social change, imagining that new social forms could spontaneously emerge from within an unfettered urban dynamic. It was thought that architects could midwife these changes by designing structures to enable new ways of circulation that, as a result, would redress structural imbalances between city and countryside, between existing and emerging classes, and between northern and southern Italy.

In the early 960s there were several important events that influenced the urban debate. In 962 Giancarlo De Carlo convened an interdisciplinary seminar at Stresa to discuss the relation of the new dimension to the idea of «la città regione». Armed with statistics and studies from international contexts, participants discussed urban decentralization in an attempt to define and strategize the potential for the city as a region. De Carlo characterized «la città regione» as «the assembly of a multiplicity of interests that differentiated themselves within a territory», or, plainly put, urban growth exhibiting the behavior of a self-organizing system. The city as a region func-tioned as an «open structure» in opposition to the closed structure of the traditional city, negatively described as hierarchical and static. In this definition, contemporary urbanization was evidence of spontaneous and non-authoritarian forces at work.

A similar position, argued from a more strident political stance, informed an experimental design studio that took place at the University of Rome in the spring of 963. The teachers, Carlo Aymonino, Giorgio Piccinato and Manfredo Tafuri among others, asked students to resolve Rome’s traffic congestion by means of interventions that could also further city growth. The teachers argued that the outlying town of Centocelle would act as a hinge between the city and the territory beyond, and as a hinge, it would re-organize the periphery in terms of regional and national interests. In this view architecture as programmed infrastructure functioned as a political in-strument5. For the most part the students responded by attempting to integrate some form of architecture with highway infrastructure, many freely borrowed from inter-national examples, such as Kenzo Tange’s project for the bay of Tokyo.

The 962 competition for the new directional center for Turin was perhaps the most significant event marking Italian urban discourse of the early 960s. Although never adequately defined, the programming for new directional centers was under-stood as infrastructure supporting the economic imperatives of an affluent society. In Paolo Ceccarelli’s review of the competition results, the expression «affluent society» is defined as the social conditions brought about by economic development wherein, «the whole of the world is invested in consumption»6. The competition brief asked architects to realize Turin’s future as an «opening that pierced through and integrated Piedmont into the European territory». The imperative to “keep up with the organi-zation and development of Italian and foreign cities in the evolution of urbanism”8

city, periphery, territory

was interpreted by most competitors as the need to synchronize various kinds of transportation and to make efficient all forms of circulation from historic center to the periphery and from the new business center to the territory beyond.

In the early 160s the architectural enthusiasm for a marriage between architec-ture and infrastructure and for the melding of city and territory was based on loose, metaphorical equivalences drawn between economic growth and urban expansion. Dynamic economic growth was equated to urban expansion and the ephemeral circu-lation of money equated with the need for easy physical communication. The enthu-siasm for infrastructural projects had a visual component that skirted the problematic of representation. Along with borrowings from economics, sociology and American and British planning theories, architects turned to Kevin Lynch and to British town design for visual theories. Rossi, well informed about Lynch’s work in part through a correspondence with Ceccarelli, was skeptical of reliance on the merely visual theories as basis for analysis or design.

At the 10th meeting of the Istituto Nazionale di Urbanistica in 166 Rossi and colleagues Emilio Mattioni, Gian Ugo Polesello and Luciano Semerani leveled a direct critique of recent theories of urban design. They argued that the over-valuation of the intangible vagaries of the economic region undervalued the concrete realities of the city. They accused architects of being distracted from real problems by issues of demographics, mobility and speculation on the psychological effects of visual im-mediacy as proffered by Kevin Lynch and British town design. They argued that the exaggeration of technical facts and the mystifying of circulation signaled the return of old functionalist themes dressed up in new politics. Among other things, they as-serted that architecture was the concrete measure of the city. This last point followed Rossi’s recently published book on the city. In the last chapter of The Architecture of the City Rossi debuned the myth of scale. As I wrote elsewhere, he sought to stabilize the principles and analytical tools for grounding the discipline of urbanism. He went beyond mere methodological techniques; rather, he produced concepts that provid-ed for general descriptive categories. As the Italian reviews of the book at that time acknowledged, Rossi proposed an objective urban science that defined architectural expertise within urbanism.

1 The photographs are attributed to A. Cartoni, Giorgio Grassi and Virgilio Vercelloni.2 A. Rossi, La città e la periferia, «Casabella Continuità», 253, July 161, p. 26.3 Ivi, p. 23.4 G. de Carlo, Relazioni del seminario la nuova dimensione della città. La città regione, ILSES, Milano

162, pp. 185-18.5 M. Tafuri, Gli organismi direzionali: Indagine storica e ipotesi di lavoro, in Fondo Dardi, Archivio

Progetti, Venezia, p. 18.6 P. Ceccarelli, Urbanistica ‘opulenta’, «Casabella Continuità», 28, August 163, p. 36. V. Rigotti, Il piano regolatore generale di Torino 1959, article 15, «Atti e rassegna tecnica della soci-

età degli ingegneri e degli architetti in Torino», 3, March 160, p. 101.8 M.F. Roggero, A proposito del concorso per il nuovo centro direzionale di Torino, «Atti e rassegna

tecnica della Società degli Ingegneri e Architetti in Torino», 5, maggio 163, p. 223.