breve guida alla scrittura della prova finale, roma, aracne 2008

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ARA RACNE CNE ARA RACNE CNE Breve guida alla scrittura della prova finale Un prontuario per le Facoltà umanistiche La Breve guida si rivolge agli studenti, soprattutto a quelli delle Facoltà uma- nistiche, per aiutarli ad affinare le loro capacità di argomentazione e per for- nire norme e suggerimenti utili nella progettazione e nella stesura della tesi triennale (e di altri elaborati accademici). L’auspicio è che possa rappresenta- re, per chi deve cimentarsi nella scrittura universitaria, uno strumento prati- co per fugare i dubbi più urgenti e scongiurare gli errori più imbarazzanti. Dopo aver illustrato le caratteristiche fondamentali del testo argomentativo, il libro suggerisce come organizzare il lavoro, procurarsi il sostegno di fonti attendibili, migliorare la scrittura. Niccolò Scaffai collabora con la Facoltà di Scienze umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo e insegna attualmente Letterature comparate presso l’Università degli Studi di Siena- Arezzo. Ha pubblicato Montale e il libro di poesia (2002), Il poeta e il suo libro. Retorica e sto- ria del libro di poesia nel Novecento (2005), La regola e l’invenzione. Saggi sulla letteratura italiana nel Novecento (2007). Ha curato, con F. Lo Monaco e L.C. Rossi, il volume «Liber», «fragmenta», «libellus» prima e dopo Petrarca (2006). Ha commentato le Prose narrative di Montale negli «Oscar» Mondadori (2008). ARACNE euro 9,00 415 ISBN 978-88-548-xxxx-x STUDIO BG Breve guida alla scrittura della prova finale Un prontuario per le Facoltà umanistiche Niccolò Scaffai Scaffai Breve guida alla scrittura della prova finale

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Breve guida alla scrittura della prova finaleUn prontuario per le Facoltà umanistiche

La Breve guida si rivolge agli studenti, soprattutto a quelli delle Facoltà uma-nistiche, per aiutarli ad affinare le loro capacità di argomentazione e per for-nire norme e suggerimenti utili nella progettazione e nella stesura della tesitriennale (e di altri elaborati accademici). L’auspicio è che possa rappresenta-re, per chi deve cimentarsi nella scrittura universitaria, uno strumento prati-co per fugare i dubbi più urgenti e scongiurare gli errori più imbarazzanti.Dopo aver illustrato le caratteristiche fondamentali del testo argomentativo,il libro suggerisce come organizzare il lavoro, procurarsi il sostegno di fontiattendibili, migliorare la scrittura.

Niccolò Scaffai collabora con la Facoltà di Scienze umanistiche dell’Università degli Studi diBergamo e insegna attualmente Letterature comparate presso l’Università degli Studi di Siena-Arezzo. Ha pubblicato Montale e il libro di poesia (2002), Il poeta e il suo libro. Retorica e sto-ria del libro di poesia nel Novecento (2005), La regola e l’invenzione. Saggi sulla letteraturaitaliana nel Novecento (2007). Ha curato, con F. Lo Monaco e L.C. Rossi, il volume «Liber»,«fragmenta», «libellus» prima e dopo Petrarca (2006). Ha commentato le Prose narrative diMontale negli «Oscar» Mondadori (2008).

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AC

NEeuro 9,00

415

ISBN 978-88-548-xxxx-x

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Breve guidaalla scrittura

della prova finaleUn prontuario

per le Facoltà umanistiche

Niccolò Scaffai

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provafinale

Copertina 21-10-2008 11:34 Pagina 1

A10415

ARACNE

Breve guidaalla scrittura

della prova finaleUn prontuario

per le Facoltà umanistiche

Niccolò Scaffai

Copyright © MMVIIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 A/B00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 978–88–548–xxxx–x

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: ottobre 2008

Indice Premessa 7 Capitolo I. Che cos’è il testo argomentativo 11 1.1 Caratteristiche e obiettivi del testo argomentativo 11 1.2 Che cosa non è il testo argomentativo: le funzioni 13 1.3 Gli elementi del testo argomentativo 16 1.3.1 Il titolo 16 1.3.2 La premessa 17 1.3.3 La tesi 18 1.3.4 Gli argomenti 20 1.3.5 Le prove 24 1.3.6 Le conclusioni 25 1.4 Riconoscere lo schema argomentativo 26 1.5 Paragrafi e capoversi 32 1.5.1 Coesione e coerenza 32 1.5.2 Modalità di sviluppo di capoversi

e paragrafi 34 Capitolo II. Il progetto e la ricerca delle fonti 39 2.1 Individuare l’argomento 39 2.2 Documentarsi 41 2.2.1 La biblioteca 41 2.2.2 L’archivio 46 2.2.3 Internet 46 2.2.4 La libreria 57 2.2.5 La schedatura 57 2.3 Dare una struttura al testo 61 2.3.1 Il frontespizio 62 2.3.2 L’indice generale (o sommario) 63 2.3.3 L’introduzione 64 2.3.4 I ringraziamenti 64 2.3.5 Le conclusioni 65 2.3.6 Appendici e indici speciali 65

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Indice 6

Capitolo III. La stesura 67 3.1 Norme, caratteri, numeri 67 3.1.1 Formati 67 3.1.1.1 Maiuscole e minuscole 69 3.1.1.2 Corsivi 70 3.1.1.3 Virgolette 70 3.1.2 Numeri 71

3.2 Misure e spazi 72 3.3 Lessico e stile 73 3.4 Le abbreviazioni 75 3.5 Le citazioni 77 3.6 Le note 82

3.6.1 Funzioni e tipologia 82 3.6.2 Note e traduzione 85 3.6.3 Note e abbreviazioni 85 3.7 La bibliografia 86 3.7.1 Rinvii a volumi 87 3.7.1.1 Monografie 87 3.7.1.2 Volumi miscellanei 93 3.7.1.3 Opere in più volumi 94 3.7.2 Rinvii ad articoli 96 3.7.2.1 In rivista 96 3.7.2.2 In opere composite 97 3.7.3 Come si ordina la bibliografia 98 3.7.3.1 Ordine cronologico 101 3.7.3.2 Bibliografia ragionata 102 3.7.4 Altre fonti 103 Capitolo IV. La correzione (e qualche consiglio per la discussione) 105

4.1 Grafica e struttura 106 4.2 Grammatica 108 4.3 Punteggiatura 112 4.4 Lessico e stile 116 4.5 La discussione 122

Riferimenti bibliografici 125

Premessa In due pungenti corsivi pubblicati sul «Corriere della Sera» il 5 lu-

glio e il 10 settembre 1977, lo scrittore Giorgio Manganelli sosteneva che la tesi di laurea, specialmente nelle materie umanistiche, «è un fin-to libro su un argomento piuttosto irreale […] che spesso non viene scritto e di rado viene letto». La sfiducia, maturata negli anni del suo servizio accademico, lo portava a schierarsi a favore di una totale abo-lizione di quel rito — la stesura di una tesi — che considerava bizzar-ro e, nel migliore dei casi, utopico. Il «primo annunzio del delirio ma-rasmatico che stava colpendo» l’Università. Così diceva.

Non serve replicare, né i pezzi di Manganelli, argutamente intrisi di umorismo sociale, sono fatti per l’indignazione. Ma talvolta occorre lasciare da parte l’ironia e il disincanto: se per noi l’elaborazione scrit-ta di un pensiero critico maturato attraverso letture e ricerche non rap-presentasse il più alto obiettivo della formazione universitaria, in par-ticolare degli studia humanitatis, non varrebbe la pena dedicarvi un libretto.

Manganelli diceva, ancora, di essersi ridotto a fare il genio non a-vendo appreso per tempo l’etichetta per la buona redazione di un testo. Però credeva che la lettura di Come si fa una tesi di laurea di Umberto Eco, storico vademecum allora fresco di stampa, tutto sommato avreb-be potuto giovargli:

L’avessi incontrato, un libro così fatto, nella mia giovinezza, avrei impa-

rato a fare cose che non saprò mai fare. Ad esempio le note a piè di pagina. Troppo tardi: incapace di frequentare metodicamente le biblioteche nostrane, di compilare schede, di catalogare argomenti, di redigere note, ho dovuto ri-durmi a fare il genio. A più di trent’anni dagli articoli di Manganelli, la tesi di laurea, in-

vece di scomparire, si è in un certo senso raddoppiata. Come ognuno

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Premessa 8

sa, la riforma universitaria nota con la formula «3+2» ha previsto che al termine del triennio lo studente elabori una tesina definita in molti atenei prova finale, cui eventualmente seguirà, a coronamento del biennio specialistico, una tesi propriamente detta. La differenza tra i due tipi di lavoro — lo vedremo meglio — è o dovrebbe essere quan-titativa e qualitativa: da un grado all’altro aumentano sia l’estensione media in termini di pagine, sia la complessità e l’ampiezza dei temi trattati. Molto simili, però, sono spesso le carenze tecniche (e talvolta anche logico-argomentative) riscontrabili nelle tesi triennali e in quel-le specialistiche. Se nessuno può insegnare come «fare il genio» né tantomeno come diventarlo, è invece possibile fornire qualche nozione e suggerire alcune norme per redigere un testo il più possibile corretto e convincente. Prima che sia troppo tardi, come diceva Manganelli.

Questa Breve guida non ha le ambizioni del manuale di Eco e di al-tri analoghi lavori che l’hanno seguito. Né possiede, tranne che nell’ultimo capitolo, l’impostazione prevalentemente linguistico-stilistica che hanno molti degli ottimi strumenti citati nei Riferimenti bibliografici in fondo al volume. Come il libro di Eco, però, si rivolge soprattutto agli studenti delle Facoltà umanistiche, per aiutarli ad affi-nare le loro capacità di argomentazione e per fornire norme e sugge-rimenti utili in vista della progettazione e della stesura dei loro elabo-rati. L’auspicio è che la Breve guida possa rappresentare, per chi deve cimentarsi nella scrittura universitaria, uno strumento pratico per fuga-re i dubbi più urgenti e scongiurare gli errori più imbarazzanti.

Forse una volta c’era il tempo di imparare certi criteri a forza di leggere con attenzione decine di saggi per decine di esami o seminari. Magari l’organizzazione degli studi prevedeva anche una trasmissione più diretta e profonda di conoscenze e di tecniche dai maestri agli al-lievi. O ancora, è possibile che, entrati nella cosiddetta «terza fase» dell’apprendimento umano, la capacità di individuare e interpretare le relazioni di causa ed effetto si sia affievolita, a favore dell’intelligenza analogica ma con inevitabili ricadute sull’elaborazione del pensiero logico. Certo è che, oggi, chiunque debba leggere e valutare gli elabo-rati di uno studente universitario non può fare a meno di notare l’ignoranza di alcuni princìpi fondamentali: su questi princìpi, validi per la scrittura accademica in genere — dalla relazione per un esame alla tesi di dottorato — converrà insistere.

Premessa 9

Poiché la mia formazione e le mie competenze sono letterarie, è probabile che i lettori notino, nella scelta degli esempi, una certa pre-valenza di quell’àmbito sulle altre “scienze” umanistiche. Tuttavia, mi sembra che le norme e i concetti presentati siano facilmente applicabi-li a materie diverse. Del resto, ogni disciplina ha le sue peculiarità, an-che formali: per questo ho cercato di tagliare l’esposizione in modo da facilitare precisazioni e integrazioni da parte dei singoli docenti; i qua-li — è bene che gli studenti non lo dimentichino — rimangono i prin-cipali referenti a cui rivolgersi in ogni fase dell’elaborazione di una tesi. Anche per suggerire, ciascuno nel proprio àmbito, autori e testi esemplari da assimilare e, almeno in un primo tempo, da imitare nello stile e nella tecnica argomentativa.

Le pagine che seguono sono il frutto dell’attività di tutorato in ap-

poggio alla progettazione e alla stesura della prova finale che ho svol-to presso la Facoltà di Scienze umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo, negli a. a. 2006-2007 e 2007-2008. Ai docenti e ai ricer-catori dell’Ateneo bergamasco con i quali ho collaborato e che hanno incoraggiato la stesura di questo lavoro — in particolare Federica Guerini, Francesco Lo Monaco e Luca Carlo Rossi — vanno i miei ringraziamenti.

Dedico la Breve guida ai miei studenti, nella speranza che oggi o domani queste pagine possano aiutarli a non scrivere la loro tesi come fosse «un finto libro su un argomento irreale».

NS

Luglio 2008

Capitolo I Che cos’è il testo argomentativo

Gli elaborati che siamo tenuti a scrivere alla conclusione di un ciclo

di studi universitario appartengono alla categoria dei testi argomenta-tivi (distinti da quelli descrittivi, narrativi, drammatici, informativi). Lo scopo di chi scrive un testo argomentativo è presentare una tesi e convincere l’interlocutore a cui ci si rivolge della sua validità. Per far questo, è necessario ricorrere all’argomentazione: ovvero, mettere in campo un complesso di ragionamenti opportunamente coordinati, per accreditare la propria tesi o confutarne una diversa. Ma un’argomentazione, per rivelarsi efficace, deve essere sostenuta da un’organizzazione equilibrata, da una documentazione scrupolosa e da una forma corretta. In questo capitolo, cercheremo appunto di impara-re, insieme alle caratteristiche fondamentali del tipo di testo, alcuni princìpi in base ai quali selezionare e organizzare gli argomenti; in se-guito, vedremo come procurarsi il sostegno di fonti attendibili e da quali errori guardarsi.

1.1 Caratteristiche e obiettivi del testo argomentativo Come si è detto, lo scopo dell’argomentazione è persuadere attra-

verso prove convincenti. Perciò, argomentare non vuol dire dimostra-re; la dimostrazione vera e propria, infatti, è possibile e necessaria so-prattutto in àmbito scientifico. In campo umanistico, le dimostrazioni sono rare e riguardano in prevalenza i settori più tecnici delle discipli-ne (come l’indagine documentale o l’applicazione di metodi scientifici per l’analisi dei manufatti). Difficilmente in àmbito letterario, artisti-co, filosofico o storico sarà possibile raggiungere un’inconfutabile og-gettività. Tuttavia, gli argomenti a sostegno delle tesi si riveleranno più o meno plausibili e convincenti in base alla capacità di osservare

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Capitolo I 12

attentamente un’opera o di considerare le circostanze di un avveni-mento per ricavarne delle inferenze. Le inferenze sono deduzioni logi-che che legano un particolare, un fenomeno, un fatto a una spiegazio-ne. Le inferenze possibili sono molte e diverse: alcune sensate, altre no. Se, ad esempio, la data di pubblicazione di uno scritto è successiva alla morte del suo autore, a nessuno verrà in mente di inferirne che l’opera è stata dettata a un medium dallo spirito del defunto; sarà più logico pensare che il testo sia stato lasciato incompiuto o ritrovato tra le carte dello scrittore e successivamente stampato a cura di un’altra persona. Naturalmente, le inferenze scorrette in cui possiamo incappa-re sono spesso assai più insidiose rispetto all’esempio appena fatto. Prendiamo un caso più concretamente legato a una materia di studio. Accade spesso di notare analogie molto evidenti tra passi di due scrit-tori o tra dipinti di due artisti; potremmo inferire che i due autori ab-biano letto o visto l’uno l’opera dell’altro, traendone ispirazione diret-ta per il proprio lavoro. Ebbene, un’inferenza del genere si rivela spes-so infondata: gli autori potrebbero essersi reciprocamente ignorati o essere vissuti in luoghi, epoche, contesti troppo distanti per ipotizzare un contatto. Sarà allora più probabile che entrambi si siano ispirati a un terzo autore o che abbiano semplicemente ripetuto un tratto stereo-tipato, un luogo comune nelle rispettive arti.

Per giungere alla formulazione di inferenze corrette è necessario in primo luogo sviluppare la capacità di osservazione e di riflessione, non accontentandosi di esternare impressioni vaghe e generali su un argomento di nostro interesse, ma elaborando un giudizio critico basa-to sulla considerazione di specifici elementi e possibilmente corrobo-rato da opportuni confronti. In secondo luogo, dovremo maturare una buona conoscenza della regola generale valida per la disciplina o per l’àmbito particolare di cui ci occupiamo. La regola generale consiste nell’insieme dei criteri di metodo unanimemente accettati e delle co-noscenze fondamentali di ogni materia; prima di affrontare la stesura di un testo argomentativo è quindi necessario essersi documentati a sufficienza: vedremo nel prossimo capitolo verso quali fonti indiriz-zarsi a questo scopo.

Particolarmente importante, nell’àmbito della regola generale, è la terminologia; ogni materia ha un suo lessico specifico, che lo studioso conosce e utilizza, condividendolo con altri esperti della stessa disci-

Che cos’è il testo argomentativo 13

plina. Pur senza esagerare (l’abuso di tecnicismi può valervi l’accusa di ‘esoterismo’ accademico e comunque limitare la leggibilità del vo-stro testo), è necessario acquisire una sufficiente competenza, attraver-so i corsi universitari e la lettura dei manuali e di altri repertori istitu-zionali consigliati dai rispettivi docenti. Prendiamo come esempio la parola ‘stemma’. Nella lingua comune, designa un simbolo araldico o identifica gruppi, squadre, istituzioni, ecc. In filologia, invece, ha un significato diverso e specifico, incomprensibile per chi non abbia ap-preso almeno i rudimenti della materia: è per così dire “l’albero genea-logico” dei manoscritti (o comunque dei testimoni: un’altra parola u-sata in un senso diverso da quello comune!) a cui è affidata la tradi-zione di un testo.

1.2 Che cosa non è il testo argomentativo: le funzioni In uno studio del 1960, il linguista Roman Jakobson mise a punto

una teoria in cui individuava i sei fattori fondamentali presenti in ogni forma di comunicazione: il mittente (o locutore), il messaggio (cioè il contenuto), il destinatario, il contesto (l’insieme delle circostanze in cui avviene la comunicazione), il codice (che corrisponde al linguag-gio, verbale o no, che permette al mittente e al destinatario di comuni-care), il contatto (cioè il mezzo, il canale che permette materialmente la comunicazione). A ciascun fattore, Jakobson associava una funzio-ne:

• referenziale (contesto); • emotiva (mittente); • conativa (destinatario); • fàtica (contatto); • poetica (messaggio); • metalinguistica (codice).

La funzione referenziale si ha quando vengono date informazioni sul contesto, quella emotiva quando il mittente esprime il proprio stato d’animo, conativa quando si cerca di convincere o influenzare il desti-

Capitolo I 14

natario, fàtica quando si insiste sul canale (come in una banale conver-sazione telefonica: «pronto, parla più forte, non ti sento!»). La funzio-ne poetica mette l’accento sul messaggio, attraverso i valori fonici, le scelte lessicali, le figure retoriche: è la funzione presente in massimo grado nei testi letterari. Infine, la funzione metalinguistica, dando ri-salto al codice, entra in gioco quando si definisce il significato di una parola o quando si spiega una regola grammaticale: è prevalente nei dizionari e nelle grammatiche.

Molto spesso, alcune delle sei funzioni intervengono insieme a ca-ratterizzare un testo: quella emotiva con la conativa, o quella referen-ziale con la metalinguistica. Ma, come già in parte si è visto, non tutte le funzioni sono coerenti con ogni tipo di testo. In uno scritto di natura argomentativa com’è quello che lo studente universitario deve impara-re a scrivere, le funzioni opportune sono tre: referenziale, conativa, metalinguistica. La prima interviene quando inquadriamo il contesto (storico, critico, metodologico, ecc.) nel quale il nostro contributo si colloca, ovvero quando forniamo dati e riscontri sui quali basare le ar-gomentazioni; la seconda riguarda il fine stesso del testo argomentati-vo, che è appunto convincere, persuadere il destinatario; la terza è pre-sente ogniqualvolta definiamo un termine o un concetto.

Dobbiamo limitare l’impiego delle altre funzioni, specie quando siamo alle prime armi e non sappiamo ancora gestire i salti di registro e le accensioni personali (arte in cui eccellono i saggisti provetti e i migliori giornalisti). Ma, se a nessuno verrà in mente di far ricorso alla funzione fàtica (magari intervallando le argomentazioni con frasi del tipo: «Accidenti, com’è lento questo computer!»), può darsi invece che alcuni studenti siano tentati dalla funzione poetica e cerchino così di impreziosire il loro stile con lessico e figure retoriche, magari im-plicitamente gareggiando con gli autori studiati. O che diano sfogo al-la funzione emotiva, esprimendo un coinvolgimento nella materia trat-tata difficilmente conciliabile con i princìpi di razionalità a cui si ispi-ra la scrittura accademica. Inoltre, c’è da dire che se la funzione cona-tiva è sempre presente in un testo argomentativo, la sua finalità è di persuadere attraverso la logica stringente delle inferenze, non di con-vincere facendo leva sui sentimenti, i bisogni, le aspettative (come in-vece deve fare, per esempio, il testo pubblicitario).

Che cos’è il testo argomentativo 15

Nello schema seguente, mettiamo a confronto le caratteristiche del-le funzioni emotiva, referenziale, conativa (o persuasiva) con quelle dell’argomentazione:

Funzione emotiva: soggettivi-tà, creatività, originalità, liber-tà stilistica.

Argomentazione: impersona-lità, coerenza, precisione, norma stilistica.

Funzione referenziale: infor-mazioni, notizie, dati oggetti-vi.

Argomentazione: elaborazio-ne di una tesi soggettiva a partire da dati oggettivi.

Funzione persuasiva: solleci-tazione di bisogni, sentimenti, impulsi.

Argomentazione: attivazione del pensiero logico.

Alcuni anni dopo, tra il 1978 e il 1985, il linguista australiano Mi-

chael Alexander Kirkwood Halliday mise a punto nei suoi studi un modello comunicativo diverso da quello di Jakobson, basato non su sei ma su tre funzioni fondamentali:

• ideativa: rappresentare la nostra esperienza del mondo; • interpersonale: intrattenere relazioni sociali e favorire

l’interrelazione tra le persone; • testuale: formulare messaggi congruenti con una determinata

situazione comunicativa.

In ogni messaggio che mandiamo — quindi anche in ciò che scri-viamo — è implicita una visione del mondo; anche una tesi, inoltre, contribuisce alle relazioni sociali (comprendendo tra queste anche l’àmbito dello studio e della professione): in primo luogo, instaura un dialogo tra studente e docente; in secondo luogo, serve al futuro laure-ato come legittimazione in campo lavorativo. Ma è la funzione testua-le che caratterizza il testo argomentativo (specialmente la tesi) rispetto ad altri tipi di messaggio; più di ogni altro, infatti, esso si basa sulla congruenza rispetto a dei criteri di metodo e di forma accettati da una

Capitolo I 16

comunità di individui competenti, che possono accogliere o rifiutare i presupposti dai quali discendono le inferenze e confutare la conse-guente argomentazione.

1.3 Gli elementi del testo argomentativo In un testo argomentativo è possibile individuare una serie di ele-

menti minimi: • Titolo • Premessa • Tesi • Argomenti • Prove • Conclusioni

Analizziamoli uno alla volta.

1.3.1 Il titolo Deve corrispondere alla tesi centrale del testo; infatti, sebbene di

rado sia possibile sintetizzare con pochissime parole concetti elabora-ti, il titolo serve comunque a preparare il terreno per la successiva e-sposizione. Perciò è bene che contenga parole che mirano al cuore dell’argomentazione: un tema cruciale, il nome di un autore o il titolo di un’opera studiata, una formula critica. Se si è scelto — o concorda-to con il docente — un titolo più allusivo e magari brillante (per e-sempio, la frase di un autore, la cui pertinenza con la tesi emerge solo dopo averne lette le prime battute), sarà opportuno aggiungere un sot-totitolo più referenziale (esempio: Io come filosofo era stato dubbio. La retorica dei «Dialoghi» di Tasso). Nella letteratura critica, che dobbiamo sempre tenere presente come modello, si danno entrambi i casi; prendiamo i titoli di due tra i più importanti studi letterari del Novecento: Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (titolo originale: Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur,

Che cos’è il testo argomentativo 17

1946) di Erich Auerbach e Letteratura europea e Medio Evo latino (Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, 1948) di Ernst Robert Curtius. Mentre il secondo titolo definisce già con una certa chiarezza almeno la materia e l’àmbito geografico e cronologico in cui la ricerca si colloca, il primo apparirebbe oscuro (tutt’al più, chi cono-sce il greco avrà colto il significato della parola mimesis, cioè “imita-zione”) se non intervenisse il sottotitolo a delimitare l’argomento: la “realtà rappresentata” (formula più precisa rispetto al “realismo” che si legge nella traduzione italiana), nella letteratura del cosiddetto Oc-cidente.

Sul piano grafico, il titolo deve essere ben rilevato (per collocazio-ne e scelta del carattere di stampa) e distinto dall’eventuale sottotitolo o dai titoli di singoli capitoli, paragrafi o sezioni. Come vedremo me-glio, le singole Facoltà forniscono quasi sempre dei modelli a cui atte-nersi, almeno per il frontespizio (§ 2.3.1).

1.3.2 La premessa

Deve esservi esplicitata la situazione argomentativa (nel caso di

una tesi, l’àmbito disciplinare e le principali coordinate relative all’epoca, all’evento, all’autore di cui ci si occupa). È la condizione necessaria perché il destinatario capisca i presupposti dell’argomentazione e valuti la correttezza delle inferenze in base a una specifica regola generale. Naturalmente, l’esplicitazione dei pre-supposti deve essere commisurata al destinatario: in una tesi, letta da docenti della materia, non è necessario né opportuno illustrare anche le nozioni più semplici. Semmai, qualche informazione, anche se pre-sumibilmente già nota al destinatario, potrà essere integrata nel discor-so senza assumere un tono ingenuamente didascalico. Ad esempio, in-vece di scrivere «Montale è il principale poeta del Novecento in Italia. Nel 1939 ha pubblicato la raccolta Le occasioni», possiamo dare le stesse informazioni amalgamandole all’interno dell’argomentazione: «Come mostrano alcuni studi recenti, tra le raccolte dei maggiori poeti italiani del Novecento, Le occasioni (1939) di Montale è quella che ha influenzato più profondamente gli autori successivi».

D’altra parte, se l’oggetto della vostra ricerca non ha mai ricevuto prima l’attenzione di critici e studiosi, varrà la pena non dare niente

Capitolo I 18

per scontato, chiarendo tutti i presupposti necessari perché il lettore si orienti nell’argomentazione.

È bene, inoltre, che all’inizio del testo venga subito ben delimitato l’àmbito dell’indagine e inquadrato il problema (anche attraverso una breve ricostruzione delle sue origini e della sua storia). Ciò permetterà di contestualizzare meglio il proprio contributo rispetto alla tradizione interpretativa precedente.

I professionisti, che si trovano già abbastanza a proprio agio con la scrittura, spesso evitano di esplicitare in forma didascalica le informa-zioni preliminari. In alternativa, introducono il lettore all’esposizione della propria tesi prendendo spunto da un caso particolare. Così, nell’esempio che segue, l’autore del brano non dichiara subito di quale argomento vuol parlare (il crollo del Muro di Berlino), né si affretta a situare le proprie osservazioni nel quadro delle interpretazioni storiche dell’evento. Parte invece raccontando un breve ma significativo aned-doto:

La storia è nota. Nel bel mezzo della crisi della DDR, il 9 novembre 1989,

Günter Schboski, portavoce del Partito al potere nella Germania dell’Est, ri-spondendo alla domanda di un giornalista sulle restrizioni relative al rilascio dei visti, comunica, quasi en passant, che i cittadini tedeschi possono libera-mente recarsi in Occidente. Il giornalista chiede: «Da quando?» «Da subito» è la risposta. (M. Belpoliti, Crolli, Torino, Einaudi, 2005, p. 7)

Il vantaggio, in termini di eleganza e di attrattiva nei confronti del

lettore, è indubbio; non è detto, però, che lo studente sia già in grado di muoversi con altrettanta agilità: il rischio è di apparire pretenziosi invece che brillanti. 1.3.3 La tesi

È il cuore del testo argomentativo. Può essere esposta all’inizio,

nella premessa o introduzione, e successivamente argomentata oppure può emergere gradualmente. Di norma, in un lavoro accademico è meglio mettere subito in luce la tesi centrale: ciò consentirà a docenti e lettori di valutare più facilmente la tenuta dell’argomentazione. Se la tesi viene presentata all’inizio e successivamente argomentata e prova-ta, nelle conclusioni potrà essere ripresa con miglior cognizione di

Che cos’è il testo argomentativo 19

causa, alla luce dell’intero svolgimento. Nel brano seguente, tratto da un saggio su Leopardi, la circolarità dell’argomentazione emerge con particolare chiarezza (e con un tono perentorio che il grande critico può permettersi, lo studente certamente no):

Inizio del saggio: esposizione della tesi Leopardi non è un poeta metaforico. Questa è la tesi da dimo-strare. Cominciando dalle Canzoni, la cui alta eloquenza farebbe a rigore supporre un tasso figurale più alto. (p. 115) → Conclusione del saggio: conferma della tesi Quanto alla depressione, già a partire dagli Idilli, delle metoni-mie tradizionali, essa dice la conquista di un linguaggio poetico più personale, sobrio e moderno. E la conclusione assoluta: Le-opardi, nell’assieme, non è affatto un poeta metaforico; c.v.d. (p. 128). (Pier Vincenzo Mengaldo, Leopardi non è un poeta metaforico, in Id., Sonavan le quiete stanze. Sullo stile dei «Canti» di Leo-pardi, Bologna, il Mulino, 2006). La tesi corrisponde a una domanda analitica: la questione di fondo

che l’autore si pone e a cui cerca di dare una risposta convincente. Nel saggio citato sopra, la domanda analitica potrebbe essere: «Quale in-cidenza hanno le metafore nella poesia di Leopardi?»

Per ciò che riguarda l’aspetto funzionale della tesi, teniamo presen-te che esistono tesi deboli e tesi forti: le prime confermano un dato di fatto già accertato nella tradizione di studi di una disciplina, le secon-de correggono o addirittura contrastano quella tradizione, relativamen-te all’oggetto in esame. Spesso le ricerche più apprezzate si basano sull’argomentazione di una tesi forte; ciò non basta, però, per stringere un vincolo necessario tra forza della tesi e qualità del lavoro. Come diremo meglio, anche un lavoro dedicato alla compilazione di una ric-

Capitolo I 20

ca e ragionata bibliografia può essere di ottima qualità e di grande uti-lità; d’altra parte, l’argomentazione di una tesi forte richiede consape-volezza metodologica e soprattutto approfondita conoscenza della ma-teria.

1.3.4 Gli argomenti

Sono i ragionamenti, i passaggi in cui è articolato il testo. Ciascun

argomento deve essere ben individuato sul piano logico e rilevato sul piano espositivo e grafico, attraverso un’opportuna divisione in capo-versi e paragrafi. Per sottolineare la struttura dell’argomentazione, è utile ricorrere a formule come “in primo luogo…, in secondo luogo…, ecc.” e ai connettivi (vedi oltre, § 1.5.1).

Sul piano logico, i principali metodi di argomentazione sono: la deduzione (da un principio generale si ricava un argomento valido nel caso particolare di cui ci stiamo occupando), l’induzione (che, al con-trario della deduzione, consiste nell’estendere a un àmbito più genera-le un principio valido in uno o più casi particolari), l’analogia (fondata sull’applicazione di un principio valido per un certo àmbito a un cam-po diverso). Ai tre metodi principali si aggiungono l’anticipazione del-le obiezioni e la controargomentazione. La prima, efficace nel caso si voglia proporre una tesi dichiaratamente forte, consiste nel prevedere le possibili critiche: l’argomentazione si baserà quindi sulla risposta alle obiezioni che gli ipotetici lettori potrebbero rivolgervi. La contro-argomentazione permette invece di far risaltare la propria tesi confu-tando la tesi opposta. Nell’adottare l’uno o l’altro metodo, bisogna te-ner presente che la deduzione è, dal punto di vista logico, la forma di argomentazione più sicura; induzione, analogia, controargomentazio-ne richiedono una notevole competenza nella propria materia; non è detto, infatti, che un principio applicabile in un singolo caso sia valido sempre e comunque; ugualmente, princìpi che valgono in un certo campo potrebbero essere privi di fondamento in un campo diverso; in-fine, per confutare in modo convincente una tesi opposta alla nostra bisogna conoscerla a fondo in tutte le sue sfumature.

Che cos’è il testo argomentativo 21

Deduzione (generale → particolare) Questi contributi tendevano in genere a privilegiare i legami con una tradizione “alta” (Dante, D’Annunzio, Pascoli, quest’ultimo magari attraverso la mediazione “oggettiva” di Gozzano, e sul fronte “europeo”, Hölderlin, Browning, Eliot, Valéry), in grazia della stessa altezza degli esiti di quella poe-sia. Ma è pur vero che ogni poeta dialoga e fa i conti soprattut-to con i suoi contemporanei e questo anche quando il suo at-teggiamento è di proclamato rifiuto di quella produzione. […] Tra questi contemporanei un posto di primo piano lo ha pro-prio Govoni: il Govoni, specificamente, della Inaugurazione della primavera […]. (Luigi Blasucci, Montale, Govoni e l’“oggetto povero”, in Id., Gli oggetti di Montale, Bologna, il Mulino, 2002, pp. 15-16). Induzione (particolare → generale) Le similitudini tendono alla larghezza eloquente e all’espansione del comparante rispetto al comparato: sia perché il primo è spesso di carattere culto (in particolare storico, vedi fra l’altro I 9-10, III 3-5), sia perché in vari casi si scinde e moltiplica (vedi soprattutto III 42-43: «Qual… O come… o come…»). […] In altre parole, e lo mostra questo confronto, lo stile metaforico della Palinodia, pur nel suo stridore satirico, non è certo estraneo alla tensione lirico-conoscitiva degli ulti-mi Canti. (Pier Vincenzo Mengaldo, Leopardi non è un poeta metafori-co, cit.).

Capitolo I 22

Analogia D’altra parte la stessa ipotesi, forte stavolta di chiarissime indi-cazioni nel libro di Freud sul motto di spirito, assimila ogni fi-gura retorica a una formazione di compromesso: anzi, identifi-ca la stessa elaborazione retorica dell’espressione con ogni compromesso possibile — nell’uso del linguaggio — fra ri-spetto della razionalità, o della realtà, o della funzionalità, e piacere della trasgressione logica o fantastica o ludica. Per la proprietà transitiva, dunque, se l’impressione di letterarietà è data dal tessuto delle figure, e se questo è a sua volta un tessuto di formazioni di compromesso, otteniamo l’ipotesi che i testi illuministici si qualifichino come letterari quando sono tributa-ri di una qualche formazione di compromesso. (Francesco Orlando, Illuminismo, barocco e retorica freudia-na, nuova ed. ampliata Torino, Einaudi, 1997, p. 12). Controargomentazione Poche cose hanno fatto più danno della credenza da parte di individui o gruppi (o tribù o Stati o nazioni o Chiese) che lui, o lei, o essi sono i soli possessori della verità, soprattutto riguar-do a come vivere, che cosa essere o fare — e che chi la pensa diversamente non solo sbaglia, ma è un malvagio o un pazzo, e bisogna rinchiuderlo o eliminarlo. (Isaiah Berlin, Appunti sul pregiudizio, trad. it. in «Adelphia-na», 28 gennaio 2002, pp. 7-8). Anticipazione delle obiezioni Vorrei proporvi un quesito o, come si dice oggidì, un test: rite-

Che cos’è il testo argomentativo 23

nete più importante la Pietà di Michelangelo, o un viaggio in jet, senza scalo, da Francoforte a Tokio? Capisco che la do-manda, posta in termini così succinti, vi sembri idiota, ma con-sentitemi, prima di voltare pagina, qualche spiegazione. (Piero Ottone, Meglio la «Pietà» o il «Jet», da «La Repubbli-ca», 20 agosto 2004).

Nel primo esempio, un principio ritenuto sempre valido («ogni poe-

ta dialoga e fa i conti soprattutto con i suoi contemporanei e questo anche quando il suo atteggiamento è di proclamato rifiuto di quella produzione») viene applicato a un caso particolare, cioè la relazione tra Govoni e Montale. Nel secondo esempio, dall’analisi di alcuni sin-goli passi della Palinodia leopardiana, si ricava una regola ritenuta va-lida per l’intero componimento. Nel terzo esempio, un’osservazione riguardante l’idea freudiana di “motto di spirito” (ogni figura è assimi-labile a una formazione di compromesso, cioè a una sorta di equilibrio tra le regole imposte dalle vigenti autorità politiche, sociali, morali e le istanze di ribellione a quelle regole) viene adottata come chiave di interpretazione per un àmbito (la letteratura) e un’epoca (il barocco e l’illuminismo) diversi: le figure retoriche sarebbero perciò da interpre-tare come ‘spie’ del contrasto che il testo letterario esprime rispetto al sistema di valori comunemente accettato. Nel quarto, le tesi dell’autore sul pregiudizio vengono argomentate partendo da una cri-tica alla tesi opposta (cioè «la credenza da parte di individui o gruppi […] che lui, o lei, o essi sono i soli possessori della verità»). Infine, nel quinto esempio, l’autore anticipa le obiezioni verosimilmente su-scitate da un paradossale confronto: peraltro, mettendosi nei panni dei lettori, ne attira più facilmente l’interesse e il consenso.

Nota bene • Esprimere obiezioni nei confronti di una tesi diversa dalla nostra è

un esercizio difficile e delicato. Innanzitutto, c’è differenza tra una critica e una confutazione: la prima consiste semplicemente nel ri-fiutare i presupposti dell’avversario; la seconda richiede un più at-

Capitolo I 24

tento esame degli argomenti e delle prove, per mettere in luce co-me, partendo dagli stessi presupposti, sia possibile trarre conclu-sioni diverse o addirittura opposte. In ogni caso, la valutazione di tesi che non condividiamo deve essere espressa in modo almeno formalmente corretto.

• Oltre alla critica e alla confutazione, esistono altri modi di con-frontarsi con le posizioni altrui: adesione («Concordo con le os-servazioni di Tizio…»); analisi («Lo studio di Caio ha dei meriti e dei limiti…»); comparazione («Gli argomenti di X sono più/meno stringenti rispetto a quelli di Y»); concessione («Nonostante i suoi pregi, il libro di Z appare oggi per certi versi superato»).

1.3.5 Le prove

Sostengono l’argomentazione e ne garantiscono la veridicità o la

serietà; devono essere mirate e funzionali alla tesi. Se false, confutabi-li o semplicemente inappropriate, mettono a rischio l’intera argomen-tazione. Le prove sono fondamentalmente di due categorie: scientifi-che e di autorità. Le prime forniscono dati oggettivi sull’argomento in questione (cifre, tabelle, liste, constatazioni di fenomeni); le seconde, molto frequenti soprattutto nei testi argomentativi di carattere umani-stico, sono garantite dalla credibilità della fonte (ad esempio, gli studi di un riconosciuto maestro della disciplina):

Prova scientifica Nella metrica italiana, come in genere in quella romanza, il numero di una serie di sillabe è legato alla posizione dell’ultimo accento; due se-rie di sillabe sono numericamente uguali se l’ultima sillaba tonica è nella stessa posizione, indipendentemente dal fatto che essa sia l’ultima («“Sperent in te” di sopr’a noi s’udì») o che invece essa sia seguita da una («a che risposer tutte le carole») o due sillabe atone («Già non compié di tal consiglio rendere»). (Pietro G. Beltrami, La metrica italiana, Bologna, il Mulino, nuova ed. 1994, p. 24).

Che cos’è il testo argomentativo 25

Prova d’autorità Uno dei pensatori che più si è occupato di questi argomenti, un filoso-fo nordamericano in continuo rapporto con il pensiero europeo, è Ri-chard Rorty […]. Ma se è vero che egli è un filosofo della pluralità, della finitudine e della molteplicità, risulta già in qualche modo evi-dente che la retorica ha per lui, nell’interpretazione del mondo con-temporaneo, qualche rapporto con il molteplice e il finito. Primo com-pito, dunque, sarà quello di tornare per un momento indietro nel tem-po, nel tentativo di dimostrare che questo rapporto privilegiato della retorica con il molteplice è stato presente sin dall’origine […]. (Ezio Raimondi, La retorica d’oggi, Bologna, il Mulino, 2002, pp. 13-14). Mentre nel primo esempio l’argomento consiste nella definizione e

nella classificazione di fenomeni metrici, nel secondo si basa sul cre-dito concesso all’affermazione di un’autorità, il filosofo Richard Ror-ty, da parte dell’autore, l’italianista Ezio Raimondi. In particolare, Raimondi, senza ritenere necessarie altre prove, dà per certo il rappor-to tra retorica e molteplicità, ritenendolo «in qualche modo evidente» nell’interpretazione del mondo di Rorty. L’equilibrio logico di questa forma di argomentazione rischia di apparire precario se l’autorità non è ben selezionata; per questo, è necessario che gli studenti, con il con-siglio del docente, raccolgano e analizzino con cura le fonti, accredi-tando solo le affermazioni realmente convincenti.

1.3.6 Le conclusioni

Se il testo è costruito in modo da lasciar emergere gradualmente la

tesi, le conclusioni possono di fatto coincidere con l’esposizione della tesi stessa. Altrimenti, in esse verranno riaffermati alcuni presupposti fondamentali del lavoro e illustrati dagli argomenti discussi nelle parti precedenti. Vi sarà inoltre ribadita la tesi principale, accanto alla quale potrà essere introdotto l’accenno a una tesi secondaria; tale inserimen-to serve per dare al lavoro una conclusione per così dire aperta, pro-blematica: non è perciò richiesto lo stesso rigore argomentativo che abbiamo esercitato nei confronti della tesi principale. Il caso è ben e-

Capitolo I 26

semplificato dalla conclusione del brano che stiamo per esaminare al paragrafo 1.4.

1.4 Riconoscere lo schema argomentativo Un testo argomentativo equilibrato lascerà intravedere, nella mag-

gior parte dei casi, gli elementi della propria struttura: • Premessa • Tesi • Argomento 1 → Prova 1, Prova 2, ecc. • Argomento 2 → Prova 1, Prova 2, ecc. • Argomento n → Prove 1, 2, 3, n • Conclusioni. Non è detto però che essi si presentino nella forma più lineare, qua-

le è rappresentata nello schema qui sopra. Come si è detto, la tesi può ad esempio essere formulata solo alla fine, nelle conclusioni; gli ar-gomenti possono talvolta intrecciarsi o diramarsi in argomenti secon-dari. D’altra parte, per imparare a costruire un testo, è necessario esse-re anche in grado di riconoscere lo schema argomentativo sotteso ai saggi che studiamo o leggiamo, per poi adattarlo e riprodurlo nei no-stri elaborati. Peraltro, quest’esercizio facilita anche la sintesi e l’apprendimento, perché fa emergere gli elementi veramente impor-tanti e aiuta a seguire il filo logico.

Proviamo a leggere il brano seguente, tratto da una lezione dell’antropologo francese Dan Sperber, e a individuarne lo schema ar-gomentativo:

La struttura di base delle catene causali della cultura consiste, come si è

appena illustrato, in un’alternanza di episodi mentali e pubblici. In che modo una tale alternanza può assicurare la riproduzione dei contenuti trasmessi? Due tipi principali di processi sono stati invocati: l’imitazione e la comunica-zione.

[…] Idealmente, l’imitazione garantisce la riproduzione delle rappresen-tazioni pubbliche, mentre la comunicazione garantisce la riproduzione delle rappresentazioni mentali. L’imitazione e la comunicazione possono accaval-

Che cos’è il testo argomentativo 27

larsi e susseguirsi, nella misura in cui l’imitazione acquisisce la capacità di produrre a sua volta una versione della rappresentazione pubblica interpreta-ta.

In effetti, studi recenti sull’imitazione e sulla comunicazione tendono a mostrare che il loro potere e il loro ruolo, per quanto siano importanti, sono stati sovrastimati. Innanzitutto l’imitazione e la comunicazione non sono meccanismi di copia fedele. L’imitatore o l’interprete costruiscono una ver-sione piuttosto che una replica di ciò che essi imitano o interpretano, e questo non solo perché tali processi sono imperfetti, ma anche e soprattutto perché la copia fedele dal modello, quand’anche fosse realizzabile, non è generalmente ciò che interessa l’imitatore o l’interprete, per il quale l’imitazione o l’interpretazione sono dei mezzi piuttosto che dei fini in sé. In secondo luogo, la produzione di comportamenti o di pensieri improntati a comportamenti o pensieri altrui mette in gioco di solito dei processi più costruttivi di quanto non suppongano i modelli abituali dell’imitazione e della comunicazione. L’imitatore spesso s’ispira al modello più che copiarlo. L’interprete sviluppa i suoi propri pensieri per mezzo di quelli degli altri senza necessariamente adottare questi ultimi e senza nemmeno preoccuparsi di interpretarli esatta-mente.

Per illustrare ciò che è stato appena detto, facciamo una digressione — ma si tratta davvero di una digressione? — nell’àmbito delle culture animali. Uno degli esempi più citati a questo proposito è quello dei passerotti inglesi. […] Se cito questo esempio, è perché negli ultimi anni esso ha dato luogo a una reinterpretazione interessante. Nella sua descrizione classica, si riteneva che ogni passerotto novizio osservasse il modo in cui i passerotti esperti si procuravano della panna forando il coperchio delle bottiglie, che compren-dessero l’effetto benefico di questa azione e che la riproducessero per ottene-re lo stesso effetto. Secondo la descrizione più parsimoniosa che prevale at-tualmente, i passerotti hanno una disposizione istintiva a becchettare in modo esplorativo degli oggetti dello stesso tipo di quelli che essi osservano bec-chettare da parte di altri passerotti. Così, un passerotto che ne osserva un altro mentre becchetta un tappo di bottiglia sarà portato a fare altrettanto. Esso scoprirà allora per suo proprio conto i benefici di un tale comportamento. […] Più che di imitazione, in questi casi, si parla di valorizzazione dello sti-molo (stimulus enhancement) oppure di «emulazione».

Se si può parlare, a proposito dei casi — oggi abbondantemente documen-tati — di trasmissione di competenza fra animali, di fenomeni propriamente culturali, una differenza significativa esiste, nondimeno, fra questi fenomeni e la cultura umana. Certi animali sociali hanno delle pratiche culturali, ma al di là di queste poche pratiche, la vita sociale non è affatto caratterizzata dalla cultura. La vita umana, invece, vi è immersa sin dall’infanzia. Non soltanto le attività sociali, ma anche quelle individuali e la vita mentale degli uomini ri-guardano ciò che si potrebbe chiamare «l’onni-culturale». Tuttavia, si avreb-

Capitolo I 28

be torto a inferirne che la trasmissione culturale umana si serve meno di quel-la animale di processi di emulazione. Come indica il simbolo […], sul quale torneremo nel Capitolo IV,

il testo originale è stato scorciato in alcuni punti. Si tratta, inoltre, solo di un paragrafo all’interno di un saggio più ampio, con premesse e conclusioni più generali, argomenti e ulteriori prove che non è possi-bile qui riprodurre per intero. Ciononostante, il brano ha una sua auto-nomia argomentativa e soprattutto presenta uno schema abbastanza facilmente riconoscibile. Riscriviamolo in colonna, indicando, a fian-co di ciascuna porzione di testo, l’elemento corrispondente dell’argomentazione:

Premessa [inquadramento

del problema] La struttura di base delle catene cau-sali della cultura consiste, come si è appena illustrato, in un’alternanza di episodi mentali e pubblici. In che mo-do una tale alternanza può assicurare la riproduzione dei contenuti trasmes-si? Due tipi principali di processi sono stati invocati: l’imitazione e la comu-nicazione.

Tesi a. Idealmente, l’imitazione garantisce la riproduzione delle rappresentazioni pubbliche, mentre la comunicazione garantisce la riproduzione delle rap-presentazioni mentali. b. L’imitazione e la comunicazione possono accavallarsi e susseguirsi, nella misura in cui l’imitazione acqui-sisce la capacità di produrre a sua vol-ta una versione della rappresentazione pubblica interpretata.

Argomento 1 a. In effetti, studi recenti sull’imitazione e sulla comunicazione tendono a mostrare che il loro potere e il loro ruolo, per quanto siano impor-tanti, sono stati sovrastimati.

Che cos’è il testo argomentativo 29

b. Innanzitutto l’imitazione e la co-municazione non sono meccanismi di copia fedele. L’imitatore o l’interprete costruiscono una versione piuttosto che una replica di ciò che essi imitano o interpretano, e questo non solo per-ché tali processi sono imperfetti, ma anche e soprattutto perché la copia fe-dele dal modello, quand’anche fosse realizzabile, non è generalmente ciò che interessa l’imitatore o l’interprete, per il quale l’imitazione o l’interpretazione sono dei mezzi piut-tosto che dei fini in sé.

Argomento 2 a. In secondo luogo, la produzione di comportamenti o di pensieri impronta-ti a comportamenti o pensieri altrui mette in gioco di solito dei processi più costruttivi di quanto non suppon-gano i modelli abituali dell’imitazione e della comunicazione. b. L’imitatore spesso s’ispira al mo-dello più che copiarlo. c. L’interprete sviluppa i suoi propri pensieri per mezzo di quelli degli altri senza necessariamente adottare questi ultimi e senza nemmeno preoccuparsi di interpretarli esattamente.

Prova Per illustrare ciò che è stato appena detto, facciamo una digressione — ma si tratta davvero di una digressione? — nell’àmbito delle culture animali. Uno degli esempi più citati a questo proposito è quello dei passerotti ingle-si. […] Se cito questo esempio, è per-ché negli ultimi anni esso ha dato luo-go a una reinterpretazione interessan-

Capitolo I 30

te. Nella sua descrizione classica, si riteneva che ogni passerotto novizio osservasse il modo in cui i passerotti esperti si procuravano della panna fo-rando il coperchio delle bottiglie, che comprendessero l’effetto benefico di questa azione e che la riproducessero per ottenere lo stesso effetto. Secondo la descrizione più parsimoniosa che prevale attualmente, i passerotti hanno una disposizione istintiva a becchetta-re in modo esplorativo degli oggetti dello stesso tipo di quelli che essi os-servano becchettare da parte di altri passerotti. Così, un passerotto che ne osserva un altro mentre becchetta un tappo di bottiglia sarà portato a fare altrettanto. Esso scoprirà allora per suo proprio conto i benefici di un tale comportamento. […] Più che di imita-zione, in questi casi, si parla di valo-rizzazione dello stimolo (stimulus en-hancement) oppure di «emulazione».

Conclusioni Se si può parlare, a proposito dei casi […] di trasmissione di competenza fra animali, di fenomeni propriamente culturali, una differenza significativa esiste, nondimeno, fra questi fenome-ni e la cultura umana. Certi animali sociali hanno delle pratiche culturali, ma al di là di queste poche pratiche, la vita sociale non è affatto caratterizzata dalla cultura. La vita umana, invece, vi è immersa sin dall’infanzia. Non soltanto le attività sociali, ma anche quelle individuali e la vita mentale degli uomini riguardano ciò che si po-trebbe chiamare «l’onni-culturale». Tuttavia, si avrebbe torto a inferirne che la trasmissione culturale umana si

Che cos’è il testo argomentativo 31

serve meno di quella animale di pro-cessi di emulazione.

Non sempre l’interpretazione di uno schema argomentativo è uni-

voca; del resto, a ben guardare, anche nel brano appena letto l’esposizione della tesi e degli argomenti è a sua volta scandita in fasi distinte, come si è messo in rilievo attribuendo a ciascuna di esse una lettera. Ma andiamo con ordine. Nella premessa, la frase sottolineata («come si è appena illustrato») si riferisce a una parte dell’argomentazione che precede il brano trascritto; qui, ha comunque un ruolo importante, perché dimostra come una tesi già provata possa a sua volta divenire premessa per lo sviluppo di una tesi ulteriore: è il nesso che lega una ricerca accademica alla tradizione di studi sull’argomento. Abbiamo poi diviso la tesi in due parti, di cui la pri-ma, contrassegnata dalla lettera “a” è una sorta di raccordo tra la pre-messa e la tesi vera e propria (marcata dalla lettera “b”). Solo “b” («L’imitazione e la comunicazione possono accavallarsi e susseguirsi, nella misura in cui l’imitazione acquisisce la capacità di produrre a sua volta una versione della rappresentazione pubblica interpretata») viene effettivamente sottoposta a un processo di argomentazione, mentre “a” viene accettata come conseguenza della premessa. Nel primo dei due argomenti è possibile distinguere una parte “a”, introdotta dalla for-mula «in effetti», e una parte “b”, introdotta da «innanzitutto»; “b” è il primo vero argomento, a cui fa da pendant il secondo, individuato ap-punto dalla formula «in secondo luogo», mentre “a” segna lo snodo rispetto alla tesi. A suo modo, infatti, “a” ha ancora i tratti di una tesi: consiste infatti in un’affermazione “d’autorità” che il punto “b” ha il ruolo di confermare. Si vede bene, in questo caso, come un’argomentazione possa spesso avere una struttura “frattale”; il ter-mine, mutuato dalla geometria, designa infatti un ente composto da parti sempre più piccole che riproducono la forma dell’ente di parten-za. La stessa relazione si apprezza nell’argomento 2, dove i punti “b” e “c” sono a loro volta argomenti secondari rispetto ad “a”. Alla pro-va, di carattere scientifico in quanto basata su un’osservazione speri-mentale, succedono le conclusioni. Nell’ultima parte («Non soltanto le attività sociali, ma anche quelle individuali…»), sottolineata, l’autore

Capitolo I 32

non si limita a porre un sigillo all’argomentazione, ma fa emergere un ulteriore, problematico sviluppo che nel brano non viene argomentato.

1.5 Paragrafi e capoversi Le unità logico-argomentative in cui il testo si articola sono i capo-

versi e i paragrafi. Il capoverso è la porzione di testo compresa fra un a capo e l’altro; il paragrafo può coincidere con un lungo capoverso o comprenderne più di uno. L’unità maggiore rispetto al paragrafo è il capitolo.

Un’attenta organizzazione rende scorrevole la lettura e gradevole l’aspetto della pagina; perciò, paragrafi e capoversi devono essere ben individuabili grazie ad alcuni accorgimenti. Il paragrafo, generalmente delimitato da uno stacco tipografico (una riga lasciata in bianco), può essere contrassegnato da un numero progressivo ed eventualmente da un titolo proprio. Il capoverso si riconoscerà per il rientro del primo rigo, impostabile automaticamente:

Con Word Sulla barra degli strumenti, selezionare Formato > Paragrafo > Rientri e spaziature: Speciale > Prima riga. Accanto alla dicitura “Rientra di:”, si trova l’indicazione della misura da dare al rien-tro: in genere, mezzo punto (0,5 cm) o un punto (1 cm).

Nota bene • È meglio non andare a capo troppo spesso, per non frammentare il

discorso; è infatti opportuno cambiare capoverso solo per segnare l’effettivo passaggio da una fase all’altra dell’argomentazione.

1.5.1 Coesione e coerenza

I requisiti fondamentali di ogni unità logico-discorsiva (dal sempli-

ce periodo al capitolo) sono la coesione, data dall’omogeneità di stile e contenuto interna all’unità, e la coerenza, ottenuta attraverso il le-game tra un’unità e l’altra.

Che cos’è il testo argomentativo 33

Per una buona coesione è necessario tenere d’occhio tre livelli: • grammaticale: concordanze di genere e numero tra nomi,

aggettivi, avverbi, verbi; uso dei tempi e dei modi; • sintattico: sintassi chiara e semplice; limitate estensione e ar-

ticolazione dei periodi; • tematico: unità dell’argomento. Per una buona coerenza, bisogna fare in modo che capoversi e pa-

ragrafi si succedano in base a un ordine logico. Tale ordine è ribadito dai connettivi, cioè da preposizioni, congiunzioni, avverbi, locuzioni che marcano gli snodi logico-sintattici:

SPAZIALI Esprimono rapporti di spa-zio, anche astratto, tra i para-grafi.

Davanti, dietro, sopra, sotto, dove.

TEMPORALI Esprimono rapporti di tempo tra un paragrafo e l’altro.

Dopo, nel frattempo, in quel momento, intanto, mentre, ora, ormai, poi, precedente-mente, prima, quando, spes-so, successivamente.

CAUSALI Stabiliscono un rapporto di causa/effetto tra il paragrafo precedente e quello seguente.

Conseguentemente, dato che, dal momento che, perché, poiché, perciò.

ESPLICATIVI Stabiliscono un rapporto di chiarificazione tra il paragra-fo precedente e quello suc-cessivo, che lo spiega.

Ad esempio, cioè, con que-sto, così, infatti, ossia, vale a dire.

DI SOMIGLIANZA Stabiliscono un rapporto di analogia tra il paragrafo pre-cedente e quello successivo.

Addirittura, analogamente, anche, come, mentre.

AVVERSATIVI Stabiliscono un rapporto di

Al contrario, anzi, benché, ciononostante, eppure, di-

Capitolo I 34

opposizione tra il paragrafo precedente e quello successi-vo.

versamente, invece, ma però, tuttavia, viceversa.

FINALI Introducono un paragrafo che, rispetto ai precedenti, ha una funzione riassuntiva e conclusiva.

Affinché, allo scopo di, al-lora, perciò, pertanto, quindi.

1.5.2 Modalità di sviluppo di capoversi e paragrafi

Gli argomenti sviluppati nelle unità del testo possono presentarsi in

forme diverse; i tipi principali sono la definizione, l’enumerazione, la classificazione, l’analisi, il rapporto causa-effetto, il confronto e il contrasto, l’esempio. Alcuni, come la definizione, la classificazione, l’enumerazione, sono particolarmente adatti per introdurre le tesi che intendiamo elaborare: permettono infatti di illustrare bene i presuppo-sti. L’analisi, il rapporto causa-effetto, il confronto e il contrasto sono più adatti per la discussione degli argomenti; l’esempio coincide di fatto con una prova d’autorità. I diversi tipi non si escludono a vicen-da: nei paragrafi più complessi, possono anzi incrociarsi e cooperare per il progresso dell’argomentazione:

Che cos’è il testo argomentativo 35

Definizione Per bilinguismo (o plurilinguismo) si possono intendere due fatti di-versi secondo il punto di vista che si assume. Se si guarda all’insieme della comunità politica, il bilinguismo non è altro che l’esistenza di due (o più) lingue diverse nello stesso Stato. Se ci si pone dal punto di vista dei parlanti, il bilinguismo consiste nella competenza e nell’uso di due (o più) lingue per necessità di convivenza. (Alberto Nocentini, L’Europa linguistica. Profilo storico e tipologico, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 63). Enumerazione Dal Notaro per eccellenza, quel da Lentini, e da Guido Giudice, quel delle Colonne da Messina, e da Pier delle Vigne, a Brunetto Latini, a Guido Guinizzelli, a Lapo Gianni, a Cino da Pistoia, a Francesco da Barberino, ininterrotta e fitta per tutto il Duecento e fino alla metà del Trecento è la schiera dei giuristi poeti. (Carlo Dionisotti, Chierici e laici, in Id., Geografia e storia della let-teratura italiana, Torino, Einaudi, 1999 [19671], p. 58). Classificazione L’ipotesi è questa: da un certo punto di vista i tempi di una lingua — in questo caso della lingua italiana, la sola trattata sinora — si possono distinguere in due gruppi. Provvisoriamente li chiamerò: gruppo I e gruppo II. In italiano al gruppo I appartengono almeno i seguenti tem-pi verbali: presente, passato prossimo e futuro, al gruppo II invece al-meno questi tempi: imperfetto, passato remoto, trapassato prossimo e i due condizionali. (Harald Weinrich, Tempus. Le funzioni dei tempi nel testo, nuova ed. it. Bologna, il Mulino, 2004 [19781], pp. 29-30). Analisi In particolare, la lingua fiorentina documentata dall’autografo, con i suoi tratti fonomorfologici e grammaticali aderenti all’uso coevo e in

Capitolo I 36

minima parte arcaici, si rivela nel Decameron soprattutto come lingua letteraria, sottoposta perciò a un controllo retorico-stilistico che è tutt’uno con il progetto artistico dell’opera. (Stefano Carrai-Giorgio Inglese, Letteratura italiana del Medioevo, Roma, Carocci, 2003, p. 303). Causa ed effetto La rivoluzione del 1989 segna una cesura profonda nella storia della modernità. […] Il 1989 ha visto la fine dell’impero sovietico e del dominio della nomenklatura di cui era portatore. Di colpo, si è aperta la prospettiva di un mondo disponibile al nuovo, alla società aperta. Sia verso l’interno che verso l’esterno, gli anni successivi sono stati fortemente caratterizzati da un processo che tutti ormai mettono sotto l’etichetta di “globalizzazione”. […] Sempre più in questo processo si sono manifestate inaspettate conseguenze collaterali della globalizza-zione. (Ralf Dahrendorf, La società riaperta. Dal crollo del muro alla guerra in Iraq, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. VII-VIII). Confronto e contrasto Ariosto e Tasso infatti non soltanto ci prospettano […] due concezioni personali, quasi opposte, della vita e della funzione della poesia, ma identificano anche due momenti fondamentali della cultura e della co-scienza rinascimentali. Le due diverse facce del nostro Rinascimento (tra Umanesimo e Barocco) si rispecchiano, ad altissimo livello, nel Furioso e nella Liberata mostrando […] la precisa e non mistificabile storicità di queste due eccezionali opere d’arte. (Lanfranco Caretti, Ariosto e Tasso, Torino, Einaudi, 1970 [19611], p. 7). Esempio Nelle civiltà indoeuropee, ma soprattutto nella cultura occidentale, il bianco ha sempre avuto due contrari: il nero e il rosso […]. La “Dea Bianca”, l’archetipo di cui parla Robert Graves, ci viene presentata

Che cos’è il testo argomentativo 37

nella versione di Apuleio avvolta in un mantello che coniuga appunto tre colori: il bianco, il rosso e il nero:

La sua veste era del lino più fine e mostrava diversi colori, in un punto bianco brillante, altrove giallo come il fiore di croco, altrove ancora rosa-to, altrove rosso fiamma. E (cosa che mi turbò molto la vista e lo spirito) il suo manto era interamente scuro e fosco […].

(Alberto Castoldi, Bianco, Scandicci, La Nuova Italia, 1998, pp. 4-5).

Capitolo II Il progetto e la ricerca delle fonti

Se nel primo capitolo abbiamo messo in luce le caratteristiche ge-

nerali del testo argomentativo, nel secondo, terzo e quarto esaminere-mo gli elementi specifici della “forma tesi”. Partiremo dalla pianifica-zione del lavoro, soffermandoci sull’individuazione del tema, sulla documentazione e infine sulla distribuzione degli argomenti nelle di-verse parti: in altre parole, sulla struttura dell’elaborato.

2.1 Individuare l’argomento Il primo passo da compiere riguarda la scelta della materia e del re-

latore con cui discutere la tesi. In linea di massima, è meglio rivolgersi a un docente con il quale abbiamo sostenuto un esame con esito posi-tivo e che ci abbia colpito per le sue qualità didattiche e scientifiche: in primo luogo, avremo già acquisito le competenze minime su una materia verso la quale ci sentiamo portati o che ci incuriosisce (lavora-re per mesi in un campo che non appassiona è frustrante e garantisce spesso una cattiva riuscita); in secondo luogo, avremo già gettato le basi per stabilire un rapporto docente-allievo basato sulla fiducia e la credibilità. Può accadere che un professore, già impegnato a seguire molti altri laureandi o pressato da doveri accademici, decida di non accettarvi. In questo caso, potrete essere indirizzati a un altro docente della stessa materia o di un settore affine.

Nel momento in cui un professore acconsente a seguirvi, dovrete concordare l’argomento. Spesso è il relatore a proporlo allo studente, che in questo caso dovrà assicurarsi di aver ben compreso la consegna, per non rischiare di impostare male il lavoro. Altre volte, è lo studente a suggerire almeno un’area di interesse, che verrà precisata con l’aiuto del docente; in questo caso, sarà compito del laureando documentarsi

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preliminarmente sugli ambiti di ricerca del relatore e procurarsi le prime fondamentali informazioni sull’argomento: eviterà così di appa-rire sprovveduto o di insistere su un tema che non rientra nelle specifi-che competenze del docente o che magari è stato già ampiamente trat-tato e non richiede al momento indagini ulteriori. Ricordiamoci, inol-tre, di scegliere un aspetto ben determinato entro una materia più am-pia, accantonando argomenti troppo vasti per poter essere gestiti in una tesi triennale.

Tra gli aspetti da mettere subito in chiaro vi è anche l’obiettivo: tesi documentativa (detta anche compilativa) o di ricerca (definita speri-mentale nelle facoltà scientifiche)? In genere, la prova finale richiede un’estensione e un grado di complessità inferiore alla tesi specialisti-ca: è più facile, dunque, che il docente consigli un’impostazione do-cumentativa. Da una tesi specialistica è lecito attendersi una maggiore originalità nei risultati o nelle interpretazioni. Ma non si tratta, benin-teso, di una regola fissa; non è detto poi che una tesi compilativa sia più facile da scrivere o più banale di una tesi di ricerca: se la docu-mentazione è stata fornita con ordine e precisione, il lavoro potrà rive-larsi di grande utilità anche per gli studiosi della materia; d’altra parte, se una ricerca è stata condotta in modo approssimativo o sulla base di interpretazioni poco fondate, la tesi invece che originale sarà confusa e inattendibile.

Una volta definiti gli aspetti generali, ci si concentrerà sull’obiettivo, finalizzando le letture e le ricerche al raggiungimento dell’obiettivo. Se, come spesso accade soprattutto agli studenti since-ramente appassionati all’argomento, si trovano idee e materiali non strettamente attinenti all’argomento ma comunque degni di nota, il consiglio è di non inserirli per forza nel lavoro ma di metterli da parte per poi eventualmente svilupparli nella tesi specialistica o in quella di dottorato.

Per questo, può essere utile tenere una sorta di diario della ricerca (dove raccogliere idee allo stato nascente, riflessioni, commenti, ecc.), distinto dalla scaletta o dalle schede bibliografiche che, come vedre-mo, precedono immediatamente la stesura del lavoro vero e proprio. In un diario potremo anche stabilire una tabella di marcia, fissando al-cune scadenze ideali che cercheremo di rispettare il più possibile: que-sto ci aiuterà a calcolare i tempi per documentarsi e procurarsi il mate-

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riale, per stendere e rileggere il lavoro. Teniamo presente che un ritmo che ci permette di scrivere due pagine al giorno, pulite e corrette, è già buono.

2.2 Documentarsi Prima di iniziare la stesura, è necessario procurarsi le basi sulle

quali impostare le nostre argomentazioni e reperire i dati da utilizzare come prove. In altre parole, dobbiamo documentarci, leggendo opere, studi e ricerche che riguardano più o meno direttamente il nostro lavo-ro. È probabile che le prime letture siano state suggerite già dal docen-te durante l’incontro nel quale avete stabilito l’argomento; altre do-vranno aggiungersi a quelle, in seguito alla nostra autonoma consulta-zione delle fonti. Per accedere al materiale bibliografico di cui abbia-mo bisogno possiamo utilizzare:

1) biblioteche 2) archivi ed emeroteche 3) internet 4) librerie

2.2.1 La biblioteca Sarebbe bene che lo studente conoscesse le biblioteche presenti nel

territorio in cui vive o studia. In Italia, le biblioteche sono più di 15.000, che l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU, http://anagrafe.iccu.sbn.it) distingue in diverse categorie in base alla funzione: nazionale, centrale, universitaria, dipartimentale, ecc. Tra queste, le biblioteche pubbliche statali sono una cinquantina, con un patrimonio librario di oltre 20 milioni di volumi. Nelle maggiori città, hanno sede le Biblioteche Nazionali alle quali si aggiungono le biblio-teche delle singole Università o Facoltà. Due Nazionali hanno anche la qualifica di “Centrale”: la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (la più grande d’Italia per numero di volumi posseduti, molti dei quali risultano però irreperibili e di difficile consultazione, anche in seguito

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ai danni causati dall’alluvione dell’Arno nel 1966) e la Biblioteca Na-zionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma. Le Biblioteche Cen-trali godono del diritto di stampa: in teoria, cioè, una copia di tutto quel che viene stampato in Italia (comprese le tesi di dottorato) deve essere depositato presso le due istituzioni. Lo stesso diritto vale a fa-vore delle biblioteche locali, per ciò che viene stampato sul territorio delle singole province.

Molte delle maggiori biblioteche sono collegate in diversi poli, ciascuno facente capo a un ente locale (città, province, regioni) oppure a università, accademie e istituzioni di vario tipo. I poli sono a loro volta coordinati dal Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), dotato di un OPAC (Online Public Access Catalogue) che permette di sapere via internet in quali biblioteche sul territorio nazionale sono presenti le pubblicazioni desiderate (e di ricavarne informazioni: autore, data, e-ditore, collana, pagine, ecc.). Il polo regionale del Piemonte, quello lombardo, il sistema integrato dell’area fiorentina e quello dell’area bolognese, il polo della «Sapienza» di Roma sono tra i più ricchi di biblioteche e di volumi.

Dal punto di vista dell’organizzazione funzionale, le biblioteche possono essere “a scaffale aperto” o “a scaffale chiuso”. Le prime so-no quelle in cui il lettore può aggirarsi liberamente fra gli scaffali, pre-levarne un volume e consultarlo senza la mediazione del bibliotecario (cui si rivolgerà solo per un ausilio nella ricerca o per il prestito). Le seconde sono quelle in cui l’utente non accede direttamente ai volumi (se non a quelli di consultazione, generalmente collocati in un’apposita sala all’ingresso), ma deve presentare al personale una ri-chiesta per vedere i testi di cui ha bisogno: sarà poi il bibliotecario, nei tempi e con gli orari previsti da ogni biblioteca, a reperire i libri e a darli in lettura al richiedente. A proposito: se avete intenzione di anda-re a studiare e a cercare del materiale in una biblioteca in cui non siete ancora mai stati, informatevi prima sugli orari e i giorni di apertura, sulle condizioni di accesso, sulle modalità del prestito, sulla disponibi-lità di attacchi per PC portatili, sulla possibilità di fare fotocopie. Evi-terete spiacevoli sorprese e perdite di tempo.

Nelle sale di consultazione si trovano soprattutto i dizionari, le ope-re a carattere enciclopedico, le bibliografie generali: gli strumenti da cui partire per muovere i primi passi nella ricerca. Molte discipline di-

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spongono di specifici repertori bibliografici (alcuni dei quali, su CD-ROM o in rete, descritti più avanti nell’apposita scheda): è opportuno, su questo, consultare il docente della nostra disciplina o un biblioteca-rio esperto che ci aiuti nella ricerca. Per la letteratura italiana, ad e-sempio, si fa riferimento alla BIGLLI (Bibliografia Generale della Lingua e della Letteratura Italiana), pubblicata dall’editore Salerno a partire dal 1991; oppure alla LIAB (Letteratura Italiana. Aggiorna-mento bibliografico), confluita nel repertorio automatizzato LIRA (vedi scheda).

Lo “scaffale chiuso” garantisce certamente una più sicura conser-vazione del patrimonio librario, ma spesso fa dilatare i tempi per la ri-cerca e impedisce gli “incontri” inattesi con libri diversi da quelli che stavamo cercando, ma vicini per collocazione e ugualmente utili per il nostro lavoro. Per questo, sebbene le maggiori biblioteche italiane (quelle Nazionali, ad esempio) siano “a scaffale chiuso”, è utile fre-quentare anche una buona biblioteca a scaffale aperto, se vicino a voi ne esiste una.

Qualunque sia il tipo di biblioteca in cui vi recate, la prima cosa da fare sarà comunque consultare il catalogo, cartaceo o elettronico. Oggi quasi tutte le biblioteche dispongono di un catalogo elettronico; molte, anzi, permettono una consultazione on-line: in questo modo, potete conoscere in anticipo la disponibilità e la collocazione dei volumi che vi interessano. Può accadere però che i volumi più vecchi o certi fondi speciali non siano stati (ancora) registrati e occorra quindi controllare il catalogo cartaceo (solitamente, un voluminoso schedario all’ingresso).

I cataloghi sono generalmente ordinati e consultabili in base a due criteri: per autore (volumi ordinati alfabeticamente in base al cognome e al nome dell’autore); per soggetto (volumi ordinati in base agli ar-gomenti e agli autori o alle opere più importanti). Accanto ai titoli si trovano sempre delle sequenze di numeri e lettere, riprodotte nell’etichetta sulla costola del libro: se la biblioteca è “a scaffale chiu-so”, la sequenza corrisponderà a un sistema di catalogazione noto al personale, che non siete tenuti a conoscere; se è a “scaffale aperto”, si tratterà più spesso della Classificazione Decimale Dewey (CDD). Tale sistema, valido a livello internazionale a prescindere dai criteri interni

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a ciascuna singola biblioteca, prevede che a ogni àmbito disciplinare sia assegnato un codice numerico:

Classificazione decimale Dewey: codici numerici

• 000 — Informatica, scienze dell’informazione, opere

generali • 100 — Filosofia e discipline connesse • 200 — Religione • 300 — Scienze sociali • 400 — Linguistica • 500 — Scienze pure • 600 — Tecnologia e scienze applicate • 700 — Arti, belle arti e arti decorative • 800 — Letteratura • 900 — Geografia, storia e discipline ausiliarie

Dopo la cifra identificativa della materia seguono altri numeri, che

specificano ulteriormente il settore, e poi la lettera iniziale del cogno-me dell’autore o del curatore dell’opera. I numeri finali indicano l’ordine progressivo del testo rispetto ad altri che hanno la medesima lettera nella sequenza. Saper leggere la classificazione decimale può agevolare la ‘manovra’ tra gli scaffali e accelerare il reperimento del volume.

Oltre alle opere, alle monografie, ecc., le biblioteche conservano anche i periodici (riviste scientifiche su specifici argomenti, materie, autori), generalmente collocati in settori dell’edificio distinti da quelli in cui si trovano gli altri libri (come i ballatoi o i piani interrati) e regi-strati in appositi cataloghi dove vengono indicate le annate possedute.

Quando si comincia a studiare in una biblioteca, è opportuno rivol-gersi al personale per informarsi, oltre che sulle questioni logistiche di cui si è detto, sulle risorse a disposizione degli utenti; molte istituzio-ni, ad esempio, forniscono gratuitamente l’accesso a data base e ad altri strumenti di ricerca utilizzabili dai terminali. Si tratta o di reperto-ri on-line consultabili previo abbonamento o di CD-ROM fruibili at-traverso la rete interna della biblioteca. Ve ne sono molti, tra i quali:

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Aureae Latinitatis Bibliothecae Contiene testi integrali della letteratura latina dell’epoca repub-blicana e alto imperiale, secondo edizioni accreditate. BNI Bibliografia Nazionale Italiana dal 1958 al 2005, relativa alle monografie e ai periodici. CLIO Catalogo dei libri italiani dell’Ottocento. Include volumi e opu-scoli sopra le 12 pagine. Contiene descrizioni di 420.000 opere pubblicate in Italia e nel Canton Ticino tra il 1801 e il 1900. LIRA Letteratura Italiana Repertori Automatizzati 1985-1999. Banca dati bibliografica relativa alla lingua e alla letteratura italiana dal 1986 al 1995. Contiene anche uno spoglio parziale dei principali quotidiani italiani. LIZ Letteratura italiana Zanichelli. Contiene testi integrali, interro-gabili secondo varie chiavi di accesso, della letteratura italiana dalle Origini al Novecento. MLA Modern Language Association of America. Banca dati relativa agli studi letterari e linguistici, in àmbito prevalentemente anglo-americano. Contiene circa 1.300.000 registrazioni bibliografi-che, risultanti dallo spoglio di 4000 periodici e monografie, dal 1963 a oggi. È aggiornata annualmente. Philosopher’s Index Contiene registrazioni bibliografiche dal 1940 a oggi (e ab-stracts dal 1970) di articoli di àmbito filosofico (comprese filo-sofia del diritto, della religione, della storia, della scienza). For-nisce gli indici di 300 periodici internazionali del settore.

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2.2.2 L’archivio Gli archivi sono di vario tipo: privati, legati a istituzioni, di Stato.

Questi ultimi sono i più importanti: negli Archivi di Stato, presenti in ogni capoluogo e in altre sedi distaccate, sono infatti conservati i do-cumenti relativi agli Stati preunitari e altri fondi depositati da enti e da privati. Ciascuna città o regione vanta poi archivi legati a università e altri istituti culturali presenti nel territorio; molto spesso, vi vengono conservati importanti documenti inediti e manoscritti (come nell’“Archivio Contemporaneo Bonsanti”, collegato al “Gabinetto Scientifico Letterario Vieusseux” di Firenze, e nel “Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei” dell’Università di Pavia). Può essere una buona idea, per “farsi le os-sa” nel campo della ricerca, scegliere per la tesi un argomento che ri-chieda lo studio o anche la semplice catalogazione di quel materiale.

Nelle emeroteche, annesse a biblioteche ed archivi, sono raccolti i quotidiani e altri periodici; poiché la conservazione di quel tipo di ma-teriale è particolarmente difficile, quasi tutte le emeroteche più impor-tanti permettono di consultare non le copie cartacee ma i microfilm (o le più moderne versioni digitali) dei giornali. Se gli archivi hanno un insostituibile valore per la documentazione storica, le emeroteche so-no delle miniere in cui reperire dati e testi per l’età moderna e con-temporanea.

2.2.3 Internet

Su Internet è possibile reperire con facilità le informazioni biblio-

grafiche su un volume e conoscerne la disponibilità presso le più vici-ne biblioteche (per esempio accedendo al sito dell’SBN o a quelli del-le Biblioteche Nazionali Centrali), leggere e scaricare in versione digi-tale un’opera, consultare un repertorio o una banca dati. Alcune istitu-zioni (Biblioteche universitarie, Dipartimenti e Facoltà) offrono sui rispettivi portali i link alle risorse in rete. Per esempio:

dal portale del Dipartimento di Studi Italianistici dell’Università di Pisa ci si può collegare a una lista di siti di interesse per gli studi lette-rari (http://www.humnet.unipi.it/ital/siti.html);

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dal Dipartimento di Filologia Classica e Medioevale dell’Università di Bologna si accede alla lista dei principali strumenti di ricerca nell’àmbito della cultura classica (http://www.classics.unibo.it/CLASSICS/Risorse+e+strutture/strumenti_per_ant_class.htm);

dal portale dei Servizi bibliotecari dell’Università di Bergamo si raggiungono i principali OPAC italiani e stranieri (http://dinamico.unibg.it/library/libopacs.htm).

Tra le risorse più importanti vi sono: Biblioteche italiane: • Associazione Italiana Biblioteche

www.aib.it • OPAC italiani

www.aib.it/aib/lis/opac1.htm • SBN (Servizio Bibliotecario Nazionale)

www.sbn.it (oppure http://www.internetculturale.it/moduli/opac/opac.jsp, che do-vrebbe corrispondere allo stesso OPAC SBN, ma che al momento in cui scriviamo questa guida risulta più aggiornato di www.sbn.it) • Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

www.bncf.firenze.sbn.it • Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II

www.bnve.roma.sbn.it • OPAC delle biblioteche della Lombardia

www.biblioteche.regione.lombardia.it • SDIAF (Sistema Documentario Integrato Area Fiorentina)

opac.comune.firenze.it/easyweb/sdiaf

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• Catalogo OPAC MAI (Metaopac Azalai Integrato)www.aib.it/aib/opac/mai2.htm

(da utilizzare per cercare documenti posseduti da poche biblioteche, che non si è riusciti a trovare in altri cataloghi di biblioteche vicine al luogo dove ci si trova, o in grandi cataloghi collettivi italiani come SBN).

Periodici: • ACNP (Catalogo Italiano dei Periodici)

http://acnp.cib.unibo.it/cgi-ser/start/it/cnr/fp.html (permette di risalire alle biblioteche che possiedono la rivista cercata e le relative annate presenti). • Italinemo

www.italinemo.it (banca dati delle riviste di italianistica: può essere interrogata per au-tore o soggetto e fornisce gli estremi bibliografici e una sintesi per cia-scun articolo trovato). Biblioteche straniere: • British Library (Londra)

www.bl.uk/catalogues/listings.html • Catalogo collettivo di Francia

www.ccfr.bnf.fr • Bibliothèque Nationale de France (Paris-Avignon)

www.bnf.fr/ • Deutsche Bibliothek (Leipizig-Frankfurt am Main-Berlin)

www.d-nb.de/ • Biblioteca Apostolica Vaticana

http://bav.vatican.va/it/v_home_bav/home_bav.shtml

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• Library of Congress (Washington)www.lcweb.loc.gov/

Altri cataloghi: • Catalogo dei Libri in commercio

www.internetbookshop.it • Edit 16

edit16.iccu.sbn.it/web_iccu/ihome.htm

Testi leggibili e scaricabili: • Biblioteca Italiana Telematica

www.bibliotecaitaliana.it • Liber Liber

www.liberliber.it/biblioteca • Google Books

books.google.com • Gutenberg

www.gutenberg.org

Alcuni repertori e motori di ricerca in àmbito filologico, letterario, linguistico: • AIDI (Archivio Informatico della Dedica Italiana)

www.margini.unibas.ch • ALIM (Archivio della Latinità Italiana del Medio Evo)

www.uan.it/alim • BedT (Biblioteca Elettronica dei Trovatori)

www.bedt.it

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• CEOD (Corpus Epistolare Ottocentesco Digitale)

www.bibliotecaitaliana.it/ceod • CIL (Corpus Inscriptionum Latinarum)

cil.bbaw.de • REMACCLA (Repertorio dei Manoscritti e dei Commenti degli

Autori Classici Latini) http://remaccla.unibg.it/

• TLIO (Tesoro della Lingua Italiana delle Origini)

www.ovi.cnr.it

Siti di interesse per la lingua e la scrittura argomentativa: • Accademia della Crusca

www.accademiadellacrusca.it • DOP (Dizionario italiano multimediale e multilingue d’ortografia

e di pronunzia) www.dizionario.rai.it/index.aspx?treeID=1

• Servizio Italiano Scritto Università di Venezia

www.italianoscritto.com • Corso on-line di italiano scritto professionale

www.italicon.it

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Fig. 1 – SBN: Ricerca base

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Fig. 2 – SBN: Risultati ricerca

Il progetto e la ricerca delle fonti 53

Fig. 3 – BNCF: Ricerca base

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Fig. 4 – Catalogo italiano dei periodici: maschera di ricerca

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Fig. 5 – Catalogo italiano dei periodici: risultati ricerca

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Fig. 6 – Library of Congress Catalog: Basic Search

Il progetto e la ricerca delle fonti 57

2.2.4 La libreria Nelle librerie più fornite o in quelle gestite da un libraio competen-

te, solitamente presenti nei maggiori capoluoghi, è possibile trovare volumi usciti di recente e non ancora acquistati o catalogati dalle bi-blioteche. Per questo, le visite periodiche in libreria possono essere u-tili ai fini della ricerca. Spesso è il docente a segnalarci la pubblica-zione di un testo che può avere a che fare con i nostri argomenti di studio; ma possiamo anche informarci autonomamente, attraverso la consultazione di www.internetbookshop.it o la lettura dei principali supplementi culturali e di altre riviste che si occupano di recensire vo-lumi freschi di stampa («L’Indice dei Libri del mese» e «La Rivista dei libri», mensili reperibili in libreria e in edicola; «Alias», supple-mento culturale del «manifesto», in uscita il sabato; la «Domenica» del «Sole-24ore»; «Tuttolibri», allegato il sabato alla «Stampa»; ecc.).

2.2.5 La schedatura

Tutto il materiale (volumi, articoli, recensioni, ecc.) attinente alla

ricerca che siamo riusciti a consultare deve essere schedato. Per cia-scun titolo, cioè, dobbiamo stendere una breve scheda bibliografica che contenga alcune informazioni:

1) autore, titolo, luogo, editore e data (o, se si tratta di una rivista: fascicolo, annata, pagine);

2) biblioteca in cui abbiamo reperito il titolo e relativa segnatura; 3) sintesi e breve commento sull’utilità in rapporto alla ricerca; 4) eventuali recensioni o note sullo studio reperite in altri lavori. È opportuno annotare anche se la scheda si riferisce a un testo che

già possediamo o che già abbiamo studiato approfonditamente. La scheda bibliografica permette di ricordare meglio ciò che si è letto, vi-sto, utilizzato e facilita i controlli finali; in particolare, si rivela di grande utilità al momento di redigere la bibliografia e di controllare l’esattezza dei riferimenti in note e citazioni (vedi Capitoli III e IV).

Fino a qualche anno fa, le schede si scrivevano solo a mano su ap-positi cartoncini disponibili in diversi formati: era facile portarle con sé in biblioteca, ordinarle alfabeticamente e aggiungerne di nuove.

Capitolo II 58

Oggi, se si possiede un PC portatile con cui recarsi a studiare in bi-blioteca, si possono schedare volumi e articoli direttamente su file di Word o Access, purché si abbia l’accortezza di non accumulare tutti i titoli in un unico file: è meglio crearne più d’uno, in base all’argomento o alla sezione del lavoro a cui gli studi schedati corri-spondono.

Un esempio: • Lucio Gambetti-Franco Vezzosi, Rarità bibliografiche del

Novecento italiano. Repertorio delle edizioni originali, Mi-lano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2007, pp. 1061.

• Biblioteca del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna: Collocazione CONS VII B 0153 (Documento per sola consultazione interna).

• Catalogo delle edizioni di opere letterarie di 277 scrittori ita-liani del XX secolo. Le schede bibliografiche riportano i dati tecnici di ogni edizione e le indicazioni del valore di mercato corrente. In appendice, note ad altre edizioni di opere di par-ticolare interesse di autori esclusi dall’elenco principale.

• Recensione in “Il Nostro Tempo” del 13 aprile 2008: http://www.ilnostrotempo.it/archiviopdf/2008/tempo_15/ILNTEMPO015G1K_014.pdf

• Utile per il capitolo della tesi sui libri di poesia del primo Novecento.

Dobbiamo essere molto precisi nell’appuntare i dati relativi al testo

schedato; meglio abbondare nelle informazioni (per esempio scriven-do per intero anche il nome e non solo il cognome dell’autore, pren-dendo nota dell’anno dell’edizione e di eventuali ristampe o edizioni precedenti), consultando con attenzione il frontespizio, la quarta di copertina e le pagine interne: al momento opportuno, potrà essere utile avere immediatamente a disposizione dati che, altrimenti, dovremo tornare a controllare in biblioteca o su internet. Se avete tempo, tra-scrivete sinteticamente anche l’indice del volume e i brani salienti che

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avete intenzione di citare (stando attenti a non commettere errori e ri-cordando di segnare i numeri di pagina esatti della citazione).

Non solo le monografie e gli articoli possono essere schedati. Se l’argomento e l’impostazione del nostro lavoro lo richiedono, potremo registrare i dati di altre “fonti”: film, spettacoli, mostre, ecc. A secon-da dei casi, varieranno i dati da annotare:

Capitolo II 60

Film:

• titolo; • nazione e anno; • regista, attori principali; • casa di produzione; • genere, durata; • ambientazione, trama, personaggi; • commento sull’attinenza alla ricerca, scene significative,

ecc.

Spettacoli:

• tipo di spettacolo (commedia, opera, danza, balletto, concer-to, performance, ecc.);

• titolo; • regista o artista principale; • luogo e data dell’evento; • ambientazione, trama, personaggi; • relazione con la ricerca.

Mostre:

• titolo; • luogo e date di apertura; • nome del curatore; • descrizione spazi espositivi; • catalogo (curatore/autori); • relazione con la ricerca.

Musica:

• titolo; • nome del compositore; • nome dell’esecutore; • genere;

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• data di composizione e di esecuzione; • casa discografica; • relazione con la ricerca.

2.3 Dare una struttura al testo Anche se la consultazione delle fonti e la ricerca bibliografica non

si esauriscono in una fase determinata del lavoro, ma continuano spes-so anche durante la prima stesura, è bene che lo studente, dopo aver reperito e letto i contributi più importanti indicati dal docente, butti giù una scaletta degli argomenti che intende trattare (per delimitare argomenti e obiettivi del lavoro e per consentire al relatore di seguire meglio il progresso del lavoro), cominciando poi a scrivere le prime pagine.

Dei problemi legati alla scrittura ci occuperemo specificamente dal prossimo capitolo. Intanto, bisogna mettere in chiaro quali sono gli e-lementi che formano la struttura dell’elaborato accademico: in parte, coincidono con quelli di un qualsiasi testo argomentativo (vedi il Ca-pitolo I); in parte, sono propri del “genere tesi”. La struttura dell’elaborato prevede infatti:

1) frontespizio; 2) indice generale (o sommario); 3) premessa/introduzione; 4) ringraziamenti (facoltativi); 5) testo (diviso in paragrafi e capitoli); 6) conclusioni; 7) appendici (facoltative); 8) indici speciali (facoltativi): dei nomi, ecc.; 9) bibliografia.

Capitolo II 62

2.3.1 Il frontespizio È la copertina del testo. Alcune università o facoltà forniscono dei

modelli che il laureando può scaricare direttamente dai rispettivi siti e a cui comunque deve attenersi. In ogni caso, le informazioni che il frontespizio contiene riguardano: il nome dell’Università e della Fa-coltà a cui si è iscritti (ed eventualmente la denominazione del Corso di Laurea); la materia in cui si discute la tesi; il titolo dell’elaborato; il nome e il cognome del relatore (per la specialistica, anche del correla-tore), preceduti da “Prof.” o “Chiar.mo Prof.”; il nome, il cognome e la matricola del candidato; l’anno accademico in cui avviene la di-scussione.

Fig. 7

Il progetto e la ricerca delle fonti 63

2.3.2 L’indice generale (o sommario) Illustra le parti in cui il testo è articolato, mettendo tipograficamen-

te in evidenza la struttura (parti, capitoli, paragrafi, ecc.). Può essere collocato all’inizio, dopo il frontespizio, o alla fine del lavoro, dopo la bibliografia. Deve riportare con precisione i numeri di pagina corri-spondenti all’inizio di ciascuna parte (possibilmente utilizzando gli apposti rientri ottenuti con il tasto “Tabulazione” e i caratteri di riem-pimento come i puntini, a separare il titolo dal numero). Nel redigere l’indice, bisogna fare attenzione a comporre i dati sulla pagina in mo-do che la partizione risulti immediatamente percepibile, per esempio usando caratteri diversi per i titoli di capitolo e quelli degli eventuali paragrafi. Si può prendere esempio da uno dei libri che abbiamo tra le mani per la nostra ricerca:

Fig. 8

Capitolo II 64

2.3.3 L’introduzione Va collocata all’inizio, subito dopo il frontespizio (e dopo l’indice,

se non si è deciso di metterlo in fondo). È una sezione abbastanza bre-ve, la cui misura media varia in rapporto all’estensione dell’elaborato: da un minimo di tre o quattro pagine, fino a venti, trenta o più per le tesi specialistiche o per quelle di dottorato. Serve per presentare il problema e inquadrarlo nell’àmbito della disciplina; per chiarire i mo-tivi della ricerca e il metodo adottato; per illustrare in sintesi il conte-nuto dei capitoli. Per questo, è meglio che l’introduzione venga scritta alla fine o che almeno venga rivista dopo la stesura di tutto il resto del lavoro (talvolta, infatti, per “rompere il ghiaccio” e chiarire le idee in-nanzitutto a noi stessi, si può scrivere un’introduzione provvisoria in cui esporre il progetto di massima).

2.3.4 I ringraziamenti

Sono facoltativi e si collocano eventualmente tra il frontespizio e

l’introduzione. Teniamo presente che, di norma, non è necessario rin-graziare il relatore e il correlatore: l’avervi seguito nel progresso della ricerca fa parte dei loro doveri professionali. Vale invece la pena di menzionare coloro che ci hanno aiutato senza essere tenuti a farlo: al-tri docenti, bibliotecari, personale di istituzioni (archivi, musei, uni-versità, ecc.) a cui ci siamo rivolti ottenendo consulenze o accesso a materiali. I ringraziamenti privati ad amici e parenti occupano spesso l’intera pagina, oscillando tra il patetico e il trionfale, tra il camerate-sco e il commosso; per quanto prezioso sia stato il sostegno affettivo dei nostri cari (animali domestici compresi!), sarebbe bene limitare al massimo l’esternazione dei sentimenti nella tesi. Non è una censura, ma una questione di genere: il testo argomentativo deve convincere con la forza dei ragionamenti e delle prove, non suscitare coinvolgi-mento emotivo.

Il progetto e la ricerca delle fonti 65

2.3.5 Le conclusioni Nelle conclusioni, brevi (di media, non più di quattro o cinque pa-

gine) ed incisive, possiamo riprendere la tesi centrale, confermandola alla luce delle argomentazioni prodotte durante il corso del lavoro. Dopo avervi riassunto i risultati della ricerca, possiamo anche indicare le linee per eventuali sviluppi (nella specialistica, nel dottorato). Come per l’introduzione, vale il consiglio di scrivere le conclusioni dopo a-ver riletto tutto l’elaborato e averlo lasciato “decantare” per qualche giorno: ne guadagneremo in lucidità. Teniamo presente, inoltre, che le conclusioni sono l’ultima cosa che viene letta e sono perciò la parte del lavoro che resta meglio in mente. L’ultima e, in certi casi, l’unica. L’importanza delle conclusioni, così come dell’introduzione, dell’indice e della bibliografia, risiede anche in questo: la commissio-ne, oltre che dal relatore, è composta da altri docenti ed esperti che non hanno potuto leggere il vostro lavoro e hanno appena il tempo di farsene un’idea sfogliando appunto le pagine introduttive, quelle con-clusive e, al massimo, gli apparati.

2.3.6 Appendici e indici speciali

Se è necessario aggiungere delle appendici, queste vanno collocate

alla fine del lavoro (o di un capitolo, se riguardano solo il contenuto di quello). Devono essere ben distinte dal resto nell’impaginazione e contrassegnate non da numeri progressivi (come i capitoli e i paragra-fi), ma da lettere (Appendice A, B, C…). Possono contenere grafici, tabelle, illustrazioni, testi di servizio: per esempio, se nel lavoro ci siamo occupati di ricostruire l’impatto di un tema sociale attraverso la lettura dei quotidiani, in appendice potremo riportare i testi degli arti-coli giornalistici a cui abbiamo fatto riferimento. Per le illustrazioni, le tabelle, ecc. bisogna distinguere: se la tesi consiste proprio nell’analisi e nel commento di immagini, grafici, ecc., sarà meglio disporli nel te-sto man mano che si procede nel discorso; se invece si tratta solo di un corredo del lavoro (per esempio, le riproduzioni di dipinti ispirati ai personaggi dell’Orlando furioso in una tesi su Ariosto), andranno in-seriti in appendice.

Capitolo II 66

Gli indici speciali seguono eventualmente le appendici. Frequenti nei libri “ufficiali”, sono presenti più di rado in una prova o tesi. L’indice dei nomi, ad esempio, non è richiesto (salvo forse che in una tesi di dottorato particolarmente estesa e articolata). Altri indici pos-sono riguardare: i luoghi e le cose notevoli, i manoscritti (per un lavo-ro di carattere filologico), gli incipit (per esempio, nel caso di una tesi incentrata su un corpus di testi poetici), delle illustrazioni, dei siti in-ternet consultati (sitografia), ecc.

Infine, come vedremo meglio nel prossimo capitolo, la bibliografia contiene i riferimenti ai testi per varia ragione consultati, citati, utiliz-zati nella preparazione e nella stesura del testo.

Capitolo III La stesura

In questo capitolo, metteremo in luce problemi e criteri legati alla

fase più importante e delicata nella preparazione di una prova finale (e di qualsiasi elaborato): la stesura. A tale riguardo, si forniranno i sug-gerimenti essenziali sugli aspetti tecnici della scrittura accademica, mostrando come si compongono sulla pagina i dati e i concetti. Al momento opportuno, sarà utile perciò anche richiamare alcune funzio-ni dei programmi di videoscrittura.

Una raccomandazione: nei paragrafi che seguono, verranno indicati alcuni criteri riguardanti i caratteri, le abbreviazioni, le note, le cita-zioni, la bibliografia. È bene che tali criteri (in particolare quelli rela-tivi alle voci bibliografiche) siano adottati subito, quando si dà inizio alla stesura, senza aspettare la fine per dare uniformità al lavoro. In primo luogo, correggere ciò che si è già scritto costa fatica e dà spesso risultati incerti (prevenire è meglio che curare, recita un proverbio ben noto anche ai pubblicitari); in secondo luogo, difformità e imprecisio-ni lasciano al lettore una spiacevole impressione (anche se magari so-no state sanate in extremis, prima di passare in copisteria per la stampa definitiva).

3.1 Norme, caratteri, numeri

3.1.1 Formati Il primo passo è informarsi sulle norme eventualmente fornite

dall’Università o dalla singola Facoltà alla quale si è iscritti. In molti casi tali informazioni sono reperibili direttamente sul portale dell’Ateneo o sul sito della Facoltà; altrimenti, consulteremo la Segre-teria. Nonostante alcune oscillazioni, vi sono dei criteri standard:

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Capitolo III 68

• Formato della pagina: A4 • Colore: per i caratteri, salvo casi eccezionali, usare esclusi-vamente il nero. • Carattere consigliato: Times New Roman (può essere ac-cettato anche il Courier). Si impiega per lo più il “tondo” (cioè il carattere normale in cui è scritto anche questo testo), fa-cendo ricorso a corsivo, grassetto, MAIUSCOLETTO, MAIU-SCOLO, sottolineato solo in casi particolari (ne vedremo alcuni più avanti) e comunque di rado. • Corpo (cioè dimensione del carattere) : l’ideale è il 12 (o al massimo il 14). • Interlinea (cioè distanza tra una riga e l’altra): 1,5 (o al massimo doppia). • Margini: abbastanza ampi da permettere una facile rilega-tura e da lasciare spazio per le annotazioni e le correzioni. Ad esempio, 3 cm su tutti e quattro i lati. Di norma, è bene giustifi-care il testo, cioè allineare le righe sul margine destro e sul sini-stro. • Numerazione delle pagine: inserire la funzione in automa-tico, lasciando in bianco la prima pagina dopo la copertina. • Note: a piè di pagina o alla fine del testo. • Immagini/tabelle: inserirle dove servono, rispettando gli stessi margini utilizzati per il testo Con Word • Le icone che corrispondono al grassetto (G), al corsivo (I),

al sottolineato (S) nei normali programmi di videoscrittura si trovano già di default sulla barra degli strumenti. Il maiusco-letto (ABC) ed altri formati possono essere aggiunti: Stru-menti > Personalizza > Comandi. Si scorrerà poi la lista dei comandi, finché non si trova l’icona desiderata. A questo punto basta trascinarla con il mouse dalla finestra alla barra, per averla poi sempre a disposizione.

La stesura 69

• Per regolare i margini si partirà invece da File > Imposta pa-gina > Superiore, inferiore, destro, sinistro. Le icone per giu-stificare il testo (o per dargli altri allineamenti) si trovano di norma già sulla barra.

• Per la distanza tra le righe: Formato > Paragrafo > Interlinea • Per il colore: Formato > Carattere > Colore > Automatico (o

Nero).

3.1.1.1 Maiuscole e minuscole A parte alcune ovvie regole ortografiche (i nomi propri si scrivono

con l’iniziale maiuscola, così come la prima parola di un periodo) e certe consuetudini (i nomi di popolo, diversamente da quanto accade in altre lingue, possono essere scritti con l’iniziale minuscola: i tede-schi, i cinesi, ecc.), nella maggior parte dei casi l’italiano ammette o-scillazioni: paese/Paese, stato/Stato, ecc. La cosa migliore è fissare dei criteri razionali all’inizio della stesura, rispettandoli poi per tutto il corso del lavoro. Per esempio, potremmo usare la maiuscola quando “Paese” e “Stato” designano un territorio nazionale; la minuscola quando “stato” indica una condizione («lo stato della materia») e “pa-ese” un piccolo centro abitato («Sono nato in una paese di monta-gna»). Di seguito, riportiamo alcuni criteri di frequente adozione, an-che in àmbito editoriale: • Decenni e secoli in lettere e con l’iniziale maiuscola: gli anni Ven-

ti, l’Ottocento (Secolo: meglio se in numeri romani: XX secolo). • Parlamento, Università di, Risorgimento, Resistenza, Restaurazio-

ne, Illuminismo. • Ministro e ministero (se accompagnati dal nome del dicastero)

sempre minuscoli: ministero dell’Industria, ministro della Pubblica Istruzione.

• presidente del Consiglio, presidente della Repubblica, ecc. • Per i partiti, se scritti per esteso, soltanto la prima parola ha

l’iniziale maiuscola: Partito comunista italiano, Democrazia cri-stiana, Partito d’azione, ecc.

Capitolo III 70

• Per istituti, associazioni, ecc.; tutte le iniziali maiuscola: Istituto Italiano per gli Studi Storici, Scuola Normale Superiore, Organiz-zazione delle Nazioni Unite, ecc.

• Al contrario: Prima guerra mondiale, Seconda guerra mondiale. • Internet, New Economy, New Age • I titoli di premi hanno la P maiuscola e l'iniziale del nome del

premio maiuscola (senza virgolette): Premio Nobel, Premio Ban-carella.

3.1.1.2 Corsivi

Il carattere corsivo si usa:

• Per i titoli (libri, articoli, film, ecc.) • Per le parole straniere di recente introduzione (vedi Capitolo IV); • Per alcune abbreviazioni (ibid., op. cit.); • Per mettere in rilievo singole parole e locuzioni (al posto degli a-

pici ‘ ’ o delle virgolette alte “ ”).

Nota bene • Quando si elencano elementi scritti in corsivo (per esempio, i titoli

dei capitoli di un libro), la virgola o gli altri segni di interpunzione che separano un elemento dall’altro vanno comunque scritti in tondo.

3.1.1.3 Virgolette

Le virgolette sono di tre tipi: basse o caporali (« »), alte (“ ”) e apici

(‘ ’). Come per altri aspetti grafici, non esiste una norma sempre vali-da e riconosciuta. Tuttavia, l’uso più frequente, anche in sede editoria-le, prevede che si scrivano tra virgolette basse:

• le citazioni brevi all’interno del testo; • i discorsi diretti; • le testate di periodici.

La stesura 71

Il punto fermo va generalmente fuori dalle virgolette, anche se all’interno c’è già un punto interrogativo, esclamativo o i puntini di sospensione; si mette invece all’interno delle virgolette quando la ci-tazione o il discorso diretto non sono introdotti dai due punti, o quan-do la citazione o la frase sono precedute da un punto.

Si scrivono invece tra virgolette alte:

• le citazioni all’interno di citazioni (quando queste sono già delimi-tate da virgolette basse). Esempio: Livio scrisse: «Il comandante dei Galli disse: “Guai ai vinti!”»;

• le parole usate in senso traslato, ironico, gergale. Esempio: i “ba-roni” universitari scioperano contro i tagli in Finanziaria;

• i termini che specificano un concetto e le definizioni metalingui-stiche (il concetto di “capitalismo”, la parola “analessi”).

Gli apici semplici si usano:

• per le citazioni all’interno di un discorso già tra apici doppi; • per le definizioni metalinguistiche (al posto delle virgolette basse); • per dare un particolare rilievo a una parola (al posto del corsivo).

3.1.2 Numeri

Nel testo, i numeri si scrivono di preferenza in lettere, per intero:

«La raccolta comprende quarantanove racconti» (non «49 racconti»). Le cifre vanno invece usate per i numeri alti («La città conta

234.450 abitanti» ma è meglio «Roma ha tre milioni di abitanti») e per le date. Come vedremo meglio, nelle note, si usano le cifre per i nu-meri di pagina, gli anni delle riviste, i fascicoli.

I numeri romani (caratteri maiuscoli) si impiegano di norma per i secoli (secolo XV, XX, ecc.) e per le parti di un’opera (in tal caso, si adotta di preferenza il maiuscoletto: sonetto xxxv, canto XXVII, giorna-ta III).

Capitolo III 72

3.2 Misure e spazi Bisogna innanzitutto chiarire che non vi sono misure fisse per la

lunghezza di un elaborato e che non sempre la qualità di una prova fi-nale o di una tesi è direttamente proporzionale alla sua ampiezza. Mol-to dipende anche dalla materia e dall’impostazione del lavoro. Se il docente vi ha indicato una lunghezza ideale, attenetevi alla misura concordata. Altrimenti, tenete presente che la media per una prova fi-nale va dalle 30 e alle 100 cartelle (dalle 100 alle 300 per la tesi spe-cialistica).

La cartella è la pagina scritta al computer, con proporzioni predefi-nite:

• Formato A4; • max 40 righe, 60/65 battute per riga; • battute totali per cartella: 2000/2500. Inoltre, è opportuno mantenere una certa proporzione tra le parti,

evitando squilibri troppo marcati tra i diversi paragrafi o capitoli. Non è affatto detto che questi debbano avere tutti la stessa lunghezza, ma un’eccessiva disparità può dipendere da un difetto nello sviluppo del lavoro.

In una prova finale, di lunghezza limitata, la suddivisione tra le par-ti non sarà molto articolata; diverso il discorso per la tesi specialistica, che spesso presenta una ripartizione in capitoli, paragrafi, sottopara-grafi. L’importante è che le unità logico-argomentative del testo siano correttamente distribuite, in modo da rendere scorrevole la lettura e gradevole l’aspetto della pagina. Perciò ogni unità deve essere ben in-dividuabile: 1) per mezzo di un titolo (nel caso dei capitoli o talvolta, in un lavoro lungo, anche dei paragrafi) o di un numero progressivo; 2) attraverso spazi, rientri e capoversi. È bene che ogni capoverso sia rientrato, per meglio individuare il passaggio da un’unità all’altra (con Word: Formato > Paragrafo > Rientri).

Infine, nella successione dei capitoli, dei paragrafi o di altre unità, una volta scelta la soluzione più funzionale per distinguere le parti (ti-toli, numeri, gli uni e gli altri), la si rispetterà fino alla conclusione:

La stesura 73

Titolo generale Titolo del capitolo

Titolo di paragrafo oppure Paragrafi numerati (il numero può essere preceduto dal simbolo §), con scansione in livelli (la stessa che tro-viamo, ad esempio, nella Letteratura Italiana Einaudi): 1. 1.1, 1.2, 1.3, ecc. 1.1.1, 1.1.2, 1.1.3, ecc.

Con Word È possibile comporre automaticamente il sommario (o indice) del proprio elaborato. Bisogna attribuire a ciascun livello (titolo di capitolo, titolo di paragrafo, di sottoparagrafo, ecc.) un diverso Stile, aprendo il menu a bandiera in alto a sinistra del foglio di Word: per esem-pio Titolo 1 al titolo di capitolo, Titolo 2 a quello del paragrafo, Titolo 3 al sottoparagrafo. Dopodiché, basta puntare il cursore nel punto del testo in cui si vuole inserire il sommario (di solito alla fine) e seguire questa procedura: Inserisci > Indici e sommario > Sommario > Formato (scegliere) > Mostra livelli (tanti quanti sono i livelli in cui è di-stribuito il lavoro: nel nostro esempio sarebbero 3, cioè capitolo, paragrafo, sottoparagrafo) > Ok = Creazione automatica del sommario.

3.3 Lessico e stile Ciascuno, quando scrive, adotta più o meno consapevolmente un

proprio stile. Naturalmente, la varietà è massima nella scrittura creati-va mentre in quella argomentativa, come si è visto, è opportuno rispet-tare innanzitutto delle norme. È vero che anche in àmbito accademico o professionale ci sono delle differenze: non solo tra autore e autore, ma anche tra scritti di diversa natura (ad esempio fra una recensione brillante e un saggio scientifico) o destinati a sedi diverse (come una collana universitaria o una rivista militante). Alcune regole, però, val-

Capitolo III 74

gono comunque: scegliere termini precisi in relazione all’argomento; evitare ripetizioni e banalizzazioni; scartare forme tipiche del parlato o lessico di àmbito non appropriato; mantenere un registro uniforme in tutto il testo; astenersi dall’uso di preziosismi lessicali e virtuosismi sintattici.

Torneremo su questi punti nel prossimo capitolo, prendendo in e-same gli errori cui più spesso si va incontro nella scrittura argomenta-tiva (e non solo in quella). Soffermiamoci sull’ultimo: preziosismi e virtuosismi. Accade che lo studente che nutre aspirazioni creative, o semplicemente dotato di una buona abilità linguistica, tenda a dare una patina letteraria (magari imitando lo stile dell’autore studiato) alla sua scrittura, per esempio attraverso l’uso di figure retoriche. Vanno evitate soprattutto quelle tipiche — per usare la terminologia di Jakob-son — della funzione poetica: le figure di suono (come l’allitterazione o la rima, più o meno volontaria) e i tropi (la metafora, la metonimia e la sineddoche), a meno che questi non siano ormai entrati nell’uso comune (per esempio: la gamba del tavolo). Tali figure, infatti, sono per lo più esornative: tendono cioè ad abbellire il testo. Il nostro scopo è invece quello di rendere più efficace l’argomentazione; per questo, daremo la preferenza a figure di costruzione (per esempio climax o el-lissi) che servono a dare un ordine agli argomenti o agli esempi, oppu-re a sottrarre il superfluo dal discorso. Per esempio, si può scegliere di disporre gli argomenti in ordine di forza crescente, decrescente o in base al cosiddetto ordine “nestoriano”: si collocano all’inizio e alla fi-ne gli argomenti più convincenti, lasciando nel mezzo quelli ritenuti più deboli.

Poiché assai di rado il laureando può già considerarsi un’autorità nella sua materia, farà meglio a non apparire tranchant quando espri-me un’idea o una valutazione. Converrà perciò usare le figure di pen-siero utili per attenuare un giudizio e sfumare un’affermazione: la lito-te (che consiste nell’affermare un concetto negandone l’opposto: ad esempio «il problema non è da sottovalutare» per dire che è serio) o l’eufemismo («la tesi di Tizio non è del tutto condivisibile» per dire che la riteniamo decisamente errata).

La stesura 75

3.4 Le abbreviazioni Scrivendo, si usano frequentemente abbreviazioni per risparmiare

spazio (e tempo). Nella scrittura accademica, vi sono numerose abbre-viazioni standard; nella stesura dell’elaborato, in linea di massima, siamo perciò tenuti a usare quelle comunemente accettate, senza in-trodurre variazioni o aggiungerne di nuove. Nel caso siano possibili due abbreviazioni alternative (per esempio p. o pag. = pagina), potre-mo optare per l’una o per l’altra, purché la forma scelta venga adottata in tutto il lavoro, senza cambiare criterio in corso d’opera.

Capitolo III 76

AA.VV. a c. di ad es. c. ca canz. cap. capp. cfr. cit. citt. cod. codd. col. coll. coll. ecc. ed. edd. ed. it. / ed. naz. et al. fasc. fascc. fig. figg. f. ff. Ibid.

ill. Ivi Id. / Ead. misc. ms. mss. n. op. cit. / art. cit. p. pp. / pag. pagg. par.

autori vari: per volumi miscel-lanei a cura di ad esempio carta (nei manoscritti) circa canzone capitolo, capitoli confronta citato, citati codice, codici colonna, colonne collana eccetera edizione, edizioni edizione italiana, edizione na-zionale et alii = e altri (dopo il nome del primo autore) fascicolo, fascicoli figura, figure foglio, fogli Ibidem = stesso testo, stessa pagina citati subito sopra illustrazione stesso testo citato subito pri-ma, ma pagina diversa: es. Ivi, p. 23 Idem/Eadem = stesso auto-re/stessa autrice citato subito sopra miscellaneo manoscritto, manoscritti nota o numero opera citata / articolo citato pagina, pagine paragrafo

La stesura 77

pref. rec. r rist. /rist. anast. s. ss. / sg. sgg. s.d., s.e., s.l., s.i.p. son. s. v. t. tt. tav. tavv. trad. / trad. it. (o ital.) v vd. vol. voll.

prefazione recensione recto (nei manoscritti) ristampa / ristampa anastatica seguente, seguenti senza: data, editore, luogo, in-dicazione di prezzo sonetto sub voce (in dizionari, enci-clopedie) tomo, tomi tavola, tavole traduzione/traduzione italiana verso (nei manoscritti) vedi volume, volumi

3.5 Le citazioni

Siamo entrati in un’era in cui, almeno in linea di principio, tutti possiamo condividere una messe sconfinata, inconcepibile di informazioni, premendo semplicemente qualche tasto su un terminale. Non ci sono più scuse per le banali sviste, e spero che ciò porti anche a una maggior prudenza nel rubare i dati contando di non essere scoperti. (Thomas Pynchon, Introduzione a Un lento apprendistato, trad. it. Torino, Einaudi, 2007, p. XXII) Nel parlare di citazioni, siamo partiti appunto citando un brano del

grande scrittore americano Thomas Pynchon, perché valga come esor-tazione. Le citazioni hanno una funzione cruciale: certificare l’attendibilità della ricerca come delle vere e proprie prove d’autorità. Poiché sono di fatto dei brani altrui immessi nel nostro elaborato, de-vono essere sempre rilevate rispetto al testo, mediante l’uso delle vir-golette o del corpo minore. Per l’esattezza, tra virgolette basse («») vanno collocate le citazioni brevi (al massimo tre o quattro righe) all’interno del testo; in corpo minore (cioè con una dimensione del ca-rattere di uno o, meglio, di due punti inferiore a quella del testo), van-no le citazioni più lunghe. In questo caso, il brano citato deve essere

Capitolo III 78

preceduto e seguito da una riga vuota (premere tasto Invio sulla tastie-ra del computer) e non va delimitato dalle virgolette; si può anche far rientrare i margini destro e sinistro del passo citato rispetto a quelli del paragrafo.

Con Word Le virgolette basse non si trovano di default sulla tastiera del computer. Si raggiungono da Inserisci > Simbolo. Attenzione quindi a non confondere le virgolette («») con i simboli di mag-giore/minore presenti invece sulla tastiera (<< >>). Oltre a rendere immediatamente distinguibile la citazione, è neces-

sario indicarne sempre la fonte, o con un apposito rimando in nota o tra parentesi dopo la fine del brano citato. Attenzione: appropriarsi di un passo altrui senza segnalarlo come citazione equivale a commettere un plagio!

Nota bene • Sarebbe meglio evitare di far precedere la citazione da frasi banali

del tipo «Ciò che l’autore vuole esprimere emerge con chiarezza nel brano seguente…» oppure «Ecco il passo della poesia a cui si accennava prima…». Se la citazione è opportunamente scelta e collocata, si inserirà naturalmente nel testo senza bisogno di appe-santirla con inutili introduzioni.

• I nomi degli autori che citiamo, come si è detto, vanno sempre e-splicitati; la sede più opportuna per farlo sono le note: limitiamo nel testo le menzioni di studiosi secondari o a noi molto vicini (il docente con il quale ci si laurea, ad esempio), per non apparire troppo “scolastici”.

La stesura 79

Citazione breve (nel corpo del testo, tra virgolette): È il caso, ad esempio, del già ricordato contrasto De anima cum corpore di Bonvesin de la Riva; della differenza tra questo e il contrasto iacoponico ha scritto Giovanni Getto: «diremo solo che mentre in Bonvesin assistiamo a un susseguirsi di discorsi spesso prolissi […], in Jacopone tutto si riduce ad una serrata al-ternanza drammatica fra i due protagonisti». Citazione lunga (in corpo minore, senza virgolette, staccata dal testo): La definizione sembra attagliarsi perfettamente ad autori come Gadda (e, in parte, ai suoi più o meno legittimi “nipotini” come Pasolini o Arbasino), noto all’estero assai meno di Calvino, spe-cie a causa della sua intraducibilità. Eppure anche uno scrittore stilisticamente meno arduo incontra delle difficoltà nella traspo-sizione linguistica:

Per esempio mettiamo che volessi far tradurre questo brano in france-se o in inglese. Dovrei riscriverlo di sana pianta, forse ripensarlo, con-sultandomi con una persona della lingua. E io ancora sono uno che con le parole va prudente […]. Ma se uno va più forte nell’usare ter-mini provenienti da “codici” diversi (come Pasolini, che ne fa un mi-nuzioso “collage” nazionale e internazionale) per farsi tradurre avreb-be bisogno d’una nota a ogni parola.

Capitolo III 80

Citazione all’interno delle note Sempre nel corpo della nota, tra virgolette basse. Dopo la citazio-

ne, indicare la fonte tra parentesi tonde, o senza parentesi ma prece-duta da cfr. (confronta) o vd. (vedi):

1 Lo «pseudodiegetico [è] un racconto originariamente secondo, ma immedia-

tamente ricondotto al livello primo e assunto direttamente, qualunque sia la sua fonte, dal protagonista-narratore» (Gérard Genette, «Discours du récit», in Id., Fi-gures III, trad. it. Discorso del racconto, in Id., Figure III. Discorso del racconto, Torino, Einaudi, 1994, p. 288).

Citazione di testi poetici 1) Nel testo (citazione breve) ogni verso va separato dal seguente

mediante barra obliqua / (doppia barra // per la separazione tra stro-fe): «Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida / scorta per avventura tra le petraie d’un greto, / esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi corimbi».

2) In corpo minore (citazione lunga) i versi vanno allineati uno

sopra l’altro e rientrati rispetto al paragrafo: Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida scorta per avventura tra le petraie d’un greto, esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi corimbi; e su tutto l’abbraccio d’un bianco cielo quieto.

Nota bene

• Se all’interno di una citazione nel corpo del testo è contenuta a sua volta un’altra citazione, bisogna usare le virgolette in base a una precisa gerarchia: basse quelle più esterne, per la citazione di primo grado; alte doppie per delimitare la citazione nella ci-tazione; apici (di fatto, il simbolo sulla tastiera è quello dell’apostrofo) per l’eventuale terzo livello. La sequenza è per-ciò: « “ ‘ ’ ” ».

La stesura 81

• Se nel citare si omette un passo della fonte, segnaliamo tale o-missione con tre punti (non due o quattro!) racchiusi tra paren-tesi quadre, o tonde: […] oppure (…). Naturalmente, facciamo attenzione che il taglio non crei danni né alla comprensibilità logica né all’equilibrio sintattico del brano.

• Quando è strettamente necessario, si può intervenire sulla cita-zione interpolando dei brevissimi chiarimenti (per esempio sul soggetto di una frase) purché questi siano sempre obbligatoria-mente collocati tra parentesi quadre. Vere e proprie modifiche del testo citato devono essere rigorosamente limitate e funzio-nali alla coerenza sintattica e linguistica: si può modificare un’iniziale maiuscola trasformandola in minuscola, e viceversa; si può sostituire un congiuntivo con un indicativo o un plurale con un singolare. In tutti questi casi, l’alterazione dell’originale deve essere indicata mettendo in corsivo le parti cambiate.

• Se la citazione breve finisce con un punto fermo, questo si col-loca all’interno delle virgolette; altrimenti, il punto o altri segni di interpunzione introdotti da noi andranno posti fuori dalla ci-tazione.

• Quando integriamo una citazione breve all’interno del discorso (senza cioè separarla dal testo con i due punti), stiamo attenti a rispettare la sintassi. A quel punto, infatti, il periodo sarà in par-te scritto da noi, in parte dall’autore citato: se tagliamo male il brano, le frasi potrebbero non tornare. Per questo, è meglio non proseguire la citazione oltre il punto fermo; se vogliamo ripor-tare altre frasi, interrompiamo la prima citazione, inseriamo formule di passaggio come «continua l’autore…» e apriamo una seconda citazione:

L’autore cita la frase di uno studioso suo allievo, secondo il quale

«con quella di oggi forse per la prima volta si è affacciata alla ribalta della storia una gioventù conservatrice.» Nelle successive riflessioni os-serva anche come ciò dipenda da «una rivoluzione culturale in corso».

Capitolo III 82

3.6. Le note 3.6.1 Funzioni e tipologia

Le note sono dei brevi testi informativi che accompagnano e inte-

grano il testo principale. Sono stampate in corpo minore, cioè con un carattere uguale a quello del testo ma di dimensione inferiore: di nor-ma, se per il testo si è usato il corpo 12, per le note impiegheremo il 10. Dei numeri in esponente (1), indicano che in quel punto del testo c’è il rimando a una nota; tali rimandi in esponente possono essere collocati prima (1.) o dopo (.1) gli eventuali segni di interpunzione: una volta che si è optato per l’una o l’altra collocazione, si deve rispet-tare il criterio in tutto il testo.

La funzione delle note è richiamare altri studi o sviluppare argo-menti secondari che riteniamo importanti, ma non strettamente neces-sari al progresso dell’argomentazione. È per questo, cioè per non in-terrompere lo sviluppo del discorso, che le informazioni supplementa-ri fornite dalle note sono collocate ai margini del testo vero e proprio: a piè di pagina, a fine capitolo o alla fine di tutto il lavoro. In linea di massima, è meglio collocare le note a piè di pagina: in questo modo verranno lette e ricondotte con facilità al punto del testo cui si riferi-scono. Le note finali richiedono uno sforzo ulteriore e spesso vengono lette con minore attenzione o trascurate del tutto. In ogni caso, è me-glio optare per l’una o l’altra collocazione dopo aver consultato il do-cente.

Con Word Word e altri analoghi programmi di videoscrittura permettono di inserire agevolmente le note, nella collocazione prescelta. La sequenza dei comandi è: Inserisci > Note… > Nota a piè di pagina oppure Nota di chiu-sura > Automatica oppure Personalizzata Si consiglia di optare per la modalità automatica, per evitare che con le modifiche del testo salti la numerazione progressiva delle note. Per ricominciare ad ogni capitolo: Suddividere testo in Sezioni > menù Opzioni > Ricomincia ad ogni sezione.

La stesura 83

È opportuno dare la stessa interlinea al testo e alle note per evi-tare errori di impaginazione. Può capitare di leggere splendidi saggi del tutto privi di note. Si

tratta appunto di saggi, cioè di brillanti riflessioni di autori o critici af-fermati. La prova finale e la tesi, pur rientrando nel genere argomenta-tivo al pari di un saggio, devono invece comprovare l’attendibilità di uno studioso “in erba”, che implicitamente si candida per entrare a far parte della comunità scientifica.

Ciò detto, è importante comunque che le note non siano troppo lunghe, né troppo numerose. Anche per questo, è buona norma non andare a capo all’interno di una nota. Inoltre, per non costringere subi-to il lettore a interrompere il filo dell’argomentazione principale, è meglio non inserire note nelle primissime battute del testo. A meno che non si tratti di un’irrinunciabile informazione bibliografica o, in un saggio, dei ringraziamenti o delle informazioni sulla stesura: testo letto a un convegno, rielaborazione di una parte della tesi, ecc. In que-sti casi, si potrà apporre una nota con asterisco (*).

Vediamo alcuni esempi di note con funzioni diverse: 1) semplice rimando bibliografico; 2) citazione di un brano dalla fonte a cui si è fatto riferimento nel testo, 3) sviluppo di un’argomentazione seconda-ria; 4) traduzione di un brano citato nel testo.

1) Nota bibliografica 1 J. NEUBAUER, Adolescenza fin-de-siècle, (1992), trad. it. il Mu-lino, Bologna, 1997, p. 105. 2) Nota con citazione 1 «Mobilità e interiorità. Certo, la gioventù moderna non è tutta qui: la crescente influenza della scuola, il rinsaldarsi dei legami interni di generazione, un rapporto interamente nuovo con la na-tura, la “spiritualizzazione” della gioventù […]. Eppure il ro-manzo di formazione le scarta come irrilevanti […]»; «Partico-larmente notevole l’antipatia che ha sempre regnato tra Scuola e

Capitolo III 84

Romanzo: l’una non tollera che gli studenti passino il loro tem-po a leggere romanzi, che giudica diseducativi — e il romanzo, per parte sua, impone al suo eroe di abbandonare gli studi alla prima occasione, e tratta la scuola come una parentesi trascura-bile che non ha nulla da insegnare a nessuno» (F. MORETTI, Il romanzo di formazione, Einaudi, Torino, 1999, p. 5, p. 25). 3) Nota esplicativa 1 Nell’ultima scena dell’ultimo atto dell'Otello verdiano (libretto di Boito), viene intonato un canto d’abbandono, la “canzone del salice” (anche lì un simbolo con sfumature luttuose, peraltro as-sociato alle chiome femminili, come accade in Montale attraver-so l’immagine delle «anella»), con triplice ripetizione della pa-rola: «salce, salce, salce». 4) Nota di traduzione 1 «Il dramma non era destinato ai cugini, bensì al fratello, di cui intendeva festeggiare il ritorno a casa e suscitare l’ammirazione per poi strapparlo alla sventata sequela di fidanzate e indirizzar-lo verso una moglie appropriata, quella che lo avrebbe convinto a tornare in campagna, e avrebbe cortesemente richiesto a lei di farle da damigella d’onore» (p. 8) [«Her play was not for her cousins, it was for her brother, to celebrate his return, provoke his admiration and guide him away from his careless succession of girlfriend, towards the right form of wife, the one who would sweetly request Briony’s services as a bridesmaid» (p. 4)].

La stesura 85

3.6.2 Note e traduzione Nelle note di traduzione, citeremo la fonte nella lingua originale se

a testo abbiamo fornito una versione italiana; viceversa, se a testo ab-biamo citato l’originale (com’è preferibile) nelle note presenteremo una traduzione italiana. Questa deve essere scelta tra quelle affidabili a disposizione (consultiamo il docente, al riguardo); nel caso di un testo mai tradotto prima, ci dovremo assumere il compito di darne un’adeguata versione italiana. Il discorso cambia se la prova finale ri-guarda proprio una lingua o letteratura straniera: poiché il lavoro si ri-volge a dei destinatari che conoscono in modo approfondito quella lingua, la necessità di tradurre può venir meno. Ma anche in questo caso sarà opportuno consultare il relatore.

3.6.3 Note e abbreviazioni

Quando due o più note bibliografiche consecutive fanno riferimen-

to a opere di uno stesso autore o autrice, dalla seconda nota in poi, al posto del nome, si usa Idem (lat. medesimo, per autori di sesso ma-schile) o Eadem (lat. medesima, per autori di sesso femminile), rispet-tivamente abbreviabili, come si è visto, in Id. e Ead:

1 Claudia Villa, Tra commedia e «Comedìa»: un’ipotesi per l’Epistola a Cangrande, in «Italia Medievale e Umanistica», XXIV (1981), pp. 18-63. 2 Ead., «Per le nove radici d’esto legno». Pier della Vigna, Ni-cola della Rocca (e Dante): anamorfosi e riconversione di una metafora, in «Strumenti critici», 6, LXV (1991), pp. 131-144. 1 Alberto Castoldi, Il testo drogato, Torino, Einaudi, 1994. 2 Id., Bianco, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1998. Quando due o più note bibliografiche fanno riferimento alla stessa

opera, a partire dalla seconda nota non si ripetono autore, titolo, ecc., ma si scrive Ivi o Ibidem (abbreviabile in Ibid.). Si usa il primo quan-do si fa riferimento a pagine diverse della stessa fonte, il secondo quando coincide anche la pagina:

Capitolo III 86

1 Si cita da LAVAGETTO, Inversioni di rotta, in LAVAGETTO 1974, p. 26. 2 Ivi, p. 58. 3 Ibid. Quando si adotta la bibliografia sintetica (cfr. § 3.7), i rimandi bi-

bliografici in nota consistono nel solo nome dell’autore (in Tondo o MAIUSCOLETTO), seguito dall’anno e dal numero della pagina (quest’ultimo indicato in vari possibili modi).

1 LAVAGETTO 1974, p. 26. 1 Contini 1968: 116-135. 1 Santagata (1992: 47).

3.7 La bibliografia La bibliografia è l’elenco delle opere e degli studi citati o consultati

per la preparazione e la stesura del lavoro. Le sue funzioni sono varie e importanti: permette di orientarsi nella materia del testo, anche pri-ma di averlo letto; testimonia l’ampiezza delle letture e l’impegno del-la ricerca; facilita i riscontri, rappresentando così una forma di prova degli argomenti trattati. Perciò, nel mettere insieme la bibliografia, è opportuno essere sinceri e precisi: si eviterà di citare testi che non ab-biamo neanche sfogliato e si avrà cura di verificare personalmente l’esattezza dei dati riportati. A meno che, d’accordo con il docente, non si ritenga utile fornire una bibliografia generale sull’argomento (per esempio, se trattiamo un soggetto sul quale non esiste ancora una specifica “storia della critica”): in quel caso, dovremo reperire e sare-mo autorizzati a citare quanti più titoli è possibile, anche senza aver letto e studiato a fondo ciascun contributo.

Si definisce bibliografia primaria quella che include le opere dell’autore (o degli autori) di cui il lavoro tratta; secondaria quella formata dall’insieme dei testi (articoli, saggi, monografie, recensioni) sull’autore (o sugli autori o argomenti) di cui il lavoro tratta. Se le vo-

La stesura 87

ci della primaria sono abbastanza numerose, è consigliabile distingue-re due sezioni (per esempio: A. Opere, B. Studi).

Come già visto a proposito delle note, i contributi possono essere citati secondo i criteri della bibliografia analitica (o “all’italiana”), cioè con tutti i riferimenti della fonte (nome e cognome dell’autore, titolo, città, editore, anno, numeri di pagina, ecc., eventualmente in forma abbreviata: cit.); o di quella sintetica (detta anche “all’americana”), con il solo cognome dell’autore e l’anno di pubbli-cazione (il resto è specificato nella tavola bibliografica finale: vedi ol-tre).

La bibliografia viene normalmente collocata alla fine dell’elaborato, integrandosi con il resto attraverso appositi rimandi, soprattutto se si adotta il metodo sintetico.

Poiché le pagine di bibliografia sono spesso le prime che un lettore sfoglia per farsi un’idea del lavoro, è bene ispirarsi a due princìpi: la leggibilità, ottenuta esprimendo autori, titoli, ecc. con gli opportuni caratteri; l’omogeneità, che consiste nel mantenere fino in fondo il cri-terio scelto, tra i diversi possibili, per citare le voci bibliografiche. Di seguito, esaminiamo tali criteri e la tipologia delle forme di rinvio bi-bliografico, attraverso alcuni esempi concreti. Distingueremo innanzi-tutto tra i riferimenti bibliografici che riguardano interi volumi (mo-nografie, opere miscellanee) e quelli relativi ai singoli contributi sui periodici (articoli e recensioni), all’interno di grandi opere di studio e consultazione (capitoli di una storia letteraria, voci di enciclopedia) o di volumi che raccolgono saggi di più autori (come gli atti di un con-vegno, le raccolte in onore o in memoria di studiosi, i cataloghi di mo-stre, ecc.).

3.7.1 Rinvii a volumi

3.7.1.1 Monografie

C. Segre, Fuori dal mondo. I modelli nella follia e nelle imma-gini dell’aldilà, Torino, Einaudi, 1999.

Capitolo III 88

Sono possibili delle varianti: nel modo di citare il nome e il co-gnome dell’autore; nella sequenza città, editore, anno. Tali alternative sono riassunte nello schema qui sotto. Ma attenzione: come si è detto, una volta che si è scelta una delle diverse possibili forme, si deve pro-seguire per tutto il lavoro usando il medesimo criterio: non possiamo citare in un caso il nome dell’autore per esteso (Cesare), in un altro caso solo l’iniziale puntata (C.). Così come, non possiamo una volta scrivere prima l’editore e poi la città (Einaudi, Torino), la volta dopo prima la città e poi l’editore (Milano, Mondadori):

Autore Titolo (completo di sot-

totitolo) Luogo, editore, anno

C. Segre, Cesare Segre, C. SEGRE, C.SEGRE

Fuori dal mondo. I modelli nella follia e nelle immagini dell’aldilà,

Torino, Einaudi, 1999. Einaudi, Torino, 1999. Torino, Einaudi 1999. Torino 1999.

Nota bene • Tra editore e anno, può non esserci la virgola. Inoltre, dei tre dati,

l’unico che può essere omesso è il nome dell’editore; gli altri due sono necessari.

Di seguito, si elencano alcuni casi particolari:

Doppio luogo di edizione T. De Mauro, Minima Scholaria, Roma-Bari, Laterza, 2001.

Edizioni successive alla prima (ristampe) 1) T. De Mauro, Minima Scholaria, Roma-Bari, Laterza, 2001 (20052) oppure 20011 (rist. 2005). 2) T. De Mauro, Minima Scholaria, Roma-Bari, Laterza, 2005 (I ed. 2001) oppure 20052 (20011).

La stesura 89

Gli esempi riguardano un volume uscito una prima volta nel 2001 e

ristampato di nuovo nel 2005. Come si vede, ci sono vari modi per in-dicare l’anno della prima e quello della nuova edizione. Anche in que-sto caso, scelta una forma la si adotta in tutto il testo. Attenzione: la ristampa, in linea di massima, è una semplice riproduzione che non apporta modifiche alla prima versione (al massimo, una postilla, o una nuova introduzione). Diverso è il caso di una nuova edizione, che può anche prevedere significativi rimaneggiamenti rispetto al testo origi-nale (è l’esempio subito sotto). La cosa migliore è comunque indicare sempre quale edizione abbiamo effettivamente utilizzato, per evitare ad esempio che eventuali slittamenti nei numeri di pagina possano rendere difficile reperire un passo, un riferimento, ecc.

Edizioni successive alla prima con modifiche e rimaneggiamenti pro-fondi

Edizione originale: d’A.S. Avalle, La letteratura medievale in lingua d’oc nella sua tradizione manoscritta. Problemi di critica testuale, Torino, Ei-naudi, 1961. Edizione rimaneggiata: d’A.S. Avalle, I manoscritti della letteratura in lingua d’oc, nuova edizione a cura di L. Leonardi, Torino, Einaudi, 1993.

Nota bene • Se l’editore dell’originale è rimasto lo stesso anche dell’edizione

rimaneggiata, nel riferimento bibliografico si potrà evitare di ripe-terne il nome, sostituendolo con “ivi”: d’A.S. Avalle, La letteratu-ra medievale in lingua d’oc nella sua tradizione manoscritta. Pro-

Capitolo III 90

blemi di critica testuale, Torino, Einaudi, 1961 (nuova edizione d’A.S. Avalle, I manoscritti della letteratura in lingua d’oc, a cura di L. Leonardi, ivi, 1993).

Volumi scritti da due o più autori M. Tavosanis e M. Gasperetti, Comunicare, Milano, Apogeo, 2004. M. Tavosanis-M. Gasperetti, Comunicare, Milano, Apogeo, 2004.

Nota bene • Se gli autori o i curatori sono più di due, si può indicare anche solo

il nome del primo, seguito dalla formula et alii (abbr. et al.), locu-zione latina che alla lettera significa “e altri”.

Quando nel titolo compare un corsivo (per esempio il titolo di un’opera o una parola straniera)

C. Paolazzi, Dante e la «Comedìa», Milano, Vita e Pensiero, 1989. C. Paolazzi, Dante e la Comedìa, Milano, Vita e Pensiero, 1989.

Curatela di una monografia

G. Martellotti, Scritti petrarcheschi, a cura di M. Feo e S. Rizzo, Padova, Antenore, 1983.

La stesura 91

G. Martellotti, Scritti petrarcheschi, a c. di M. Feo e S. Rizzo, Padova, Antenore, 1983.

Edizione italiana di libro straniero

E.R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, trad. it. Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1992 (Europäische Litera-tur und lateinisches Mittelalter, Franke, Bern, 1948).

Nota bene • Nel citare la traduzione italiana di un libro straniero, è opportuno

indicare almeno l’anno della prima edizione nella lingua d’origine. Ciò a maggior ragione quando tra la versione originale e la tradu-zione vi sono molti anni di distanza, come accade nell’esempio ci-tato sopra. È possibile aggiungere anche tutte le altre informazioni, specificando eventualmente anche il nome del traduttore (special-mente se si tratta di una figura “eccellente”, che potrebbe aver dato una propria impronta alla versione italiana: uno studioso, un intel-lettuale noto, uno scrittore).

Edizioni in lingue diverse dall’italiano

N. Mann, Petrarch, Oxford-New York, Oxford University Press, 1984

Nota bene • In lingue diverse dall’italiano, alla formula “a cura di” (abbr. “a c.

di”) equivalgono le seguenti diciture: inglese ed. = edited by francese éd. / ét. = édité / établi par

Capitolo III 92

tedesco hrsg. = herausgegeben von spagnolo al cuidado de (oppure dir.; coord.)

• Le altre lingue hanno spesso convenzioni diverse dall’italiano ri-guardo all’uso degli accenti (il francese e lo spagnolo, ad esempio) e delle maiuscole nei titoli. Nelle parole francesi, la vocale “e” ha molto spesso un accento acuto (é) o grave (è), anche quando non è tonica (es. école). In inglese, nei titoli le parole hanno di solito l’iniziale maiuscola (escluse preposizioni e articoli). In tedesco i sostantivi hanno sempre l’iniziale maiuscola. In ogni caso, per evi-tare ogni errore è opportuno riprendere fedelmente la forma così com’è nel frontespizio originale.

• Per i riferimenti a titoli in latino, attenzione a non mettere virgole tra nome dell’autore (che per convenzione si esprime in caso geni-tivo) e il titolo (al nominativo). Se lo facessimo, di fatto introdur-remmo una virgola tra nome e complemento di specificazione, commettendo un banale errore di interpunzione:

Benvenuti de Rambaldis de Imola Comentum super Dantis Al-digherii Comoediam, I, a cura di Filippo Lacaita, Firenze, Bar-bèra, 1887.

Edizioni di classici Per i classici antichi (latini e greci), per i libri della Bibbia e per i

classici medievali e moderni (Dante, Boccaccio, Machiavelli, Manzo-ni, ecc.), è necessario indicare con precisione, in bibliografia, l’edizione e/o la traduzione a cui si fa riferimento e da cui eventual-mente si cita. Tuttavia, nelle note, si eviterà di scrivere ad es. Dante (o Alighieri) 1975, solo perché magari quello è l’anno dell’edizione uti-lizzata. È meglio ricorrere a delle sigle e poi rimandare le informazio-ni sull’edizione nella bibliografia finale:

Inf., Purg., Par. (o Pd)

Inferno, Purgatorio, Paradiso (le cantiche della Commedia)

La stesura 93

Aen. (o En.), Buc., Georg. Il., Od. Gen., Apoc., Mat. Canz. (o Rvf) Dec. Orl. fur. (o OF) / Sat. Prom. sp. (o PS)

Eneide, Bucoliche, Georgiche di Virgilio Iliade e Odissea di Omero Libro della Genesi, dell’Apocalisse, Vangelo di Matteo Canzoniere (o Rerum vulgarium fragmenta) di Petrarca Decameron di Boccaccio Orlando furioso / Satire di Ariosto I promessi sposi di Manzoni

3.7.1.2 Volumi miscellanei

Si definiscono “miscellanei” i libri che raccolgono saggi e contri-

buti di autori diversi, composti in occasione di convegni (si tratterà al-lora di un volume di atti) o per celebrare studiosi di chiara fama.

AA.VV., Benvenuto da Imola lettore degli antichi e dei moder-ni. Atti del Convegno Internazionale Imola, 26 e 27 maggio 1989, a cura di P. Palmieri e C. Paolazzi, Ravenna, Longo, 1991. Benvenuto da Imola lettore degli antichi e dei moderni. Atti del Convegno Internazionale Imola, 26 e 27 maggio 1989, a cura di P. Palmieri e C. Paolazzi, Ravenna, Longo, 1991.

Capitolo III 94

P. Palmieri e C. Paolazzi (a cura di), Benvenuto da Imola lettore degli antichi e dei moderni. Atti del Convegno Internazionale Imola, 26 e 27 maggio 1989, Ravenna, Longo, 1991.

Nota bene • La formula AA.VV. (“Autori vari”), oltre ad appesantire un po’ la

voce bibliografica, risulta poco funzionale quando si tratta di ordi-nare alfabeticamente i contributi in base al nome dell’autore: sotto quella sigla, infatti, porremmo opere miscellanee di autori vari, sì, ma diversi da un titolo all’altro. Più razionale può essere la terza delle forme indicate nello schema, che consente di ordinare i con-tributi in base ai nomi dei curatori, avendo l’accortezza di inserire subito dopo, tra parentesi, (a cura di).

3.7.1.3 Opere in più volumi

Opera già conclusa

D. Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, 4 voll., Mondadori, Milano 1966-1967.

Se la registrazione riguarda un solo volume dell’opera avremo l’indicazione del volume in numero romano:

D. Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, I, Mondadori, Milano 1966.

La stesura 95

Si può riportare anche il titolo assegnato al singolo volume.

D. Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, I Introduzione, Mondadori, Milano 1966. Letteratura italiana, III Le forme del testo, Einaudi, Torino 1984.

Opera in corso di pubblicazione

Se l’opera in più volumi è ancora in corso di pubblicazione, dopo la

data del primo volume inseriremo un trattino (specificando eventual-mente anche il numero dei volumi già pubblicati).

Opere di san Bernardo, a cura di F. Gastaldelli, Scriptorium Claravallense, Milano, 1986-.

Nota bene • Le parole “volume” e “tomo” definiscono entrambe un libro; tut-

tavia, si definisce “volume” un libro con una propria autonoma numerazione di pagine, “tomo” una parte del volume (ma che è spesso, materialmente, un libro a tutti gli effetti, con una sua co-pertina ecc.) con una numerazione che continua quella del tomo precedente o prosegue nel tomo successivo.

Volume → numerazione autonoma: I vol. pagine 1-846 e II vol. pagine 1-678.

Capitolo III 96

Tomo → numerazione progressiva: I tomo pagine 1-620 e II tomo pagine 621-1198. Volume → Letteratura italiana, III Le forme del testo, Einaudi, Torino 1984. Tomo → Letteratura italiana, III/I, Einaudi, Torino 1984. oppure Letteratura italiana, III Le forme del testo, I Teoria e poesia, Ei-naudi, Torino 1984.

3.7.2 Rinvii ad articoli 3.7.2.1 In rivista

Dopo il nome dell’autore e il titolo del contributo, citati nella stessa

forma adottata per le opere in volume, vanno indicati: il titolo della ri-vista in tondo, tra virgolette doppie basse («»); l’annata progressiva (che indica da quanti anni la rivista viene pubblicata), preferibilmente in numeri romani; l’anno del volume citato, preferibilmente tra paren-tesi tonde; l’eventuale numero del fascicolo in numeri arabi (vedi sot-to); i numeri delle pagine in cui l’articolo inizia e finisce, separati da un trattino breve.

G. Magrini, Descrizione di «Trieste e una donna», «Paragone - Letteratura», XXXII (1981), 382, pp. 38-50.

Nota bene • È possibile anche far precedere al titolo della rivista la preposizio-

ne “in”: in «Italia medioevale e umanistica», ecc.

La stesura 97

• Casi particolari: - «Italia medioevale e umanistica», 17 (1974) [ma 1978] → quando

la data indicata sul frontespizio non corrisponde a quella dell’effettiva uscita del periodico. Sono molte le riviste che, per varie ragioni, sono in ritardo sulla scansione annuale: controllare all’inizio o alla fine del numero la data di stampa può essere utile per conoscere i tempi della reale diffusione di un contributo.

- IMU, XVII (1974) → i titoli delle riviste, specialmente quelli più lunghi o citati più spesso, possono essere abbreviati (in questo caso, IMU sta per «Italia medioevale e umanistica»). Naturalmente, se si abbrevia bisognerà prevedere un’apposita legenda, da collocare prefe-ribilmente all’inizio del testo, in cui si sciolgono le sigle usate.

- «Studi petrarcheschi», n.s., XI (1994); «Studi medievali, s. III, XXXV (1994) → “nuova serie”, “serie III”. Molte riviste, per avvi-cendamenti nella direzione, passaggi di editore o altre ragioni contin-genti, sono divise in serie successive.

«Filologia e Critica», V (1996), fasc. 2 → alcune riviste hanno più di un’uscita all’anno: ciascun numero è detto “fascicolo” (abbreviabile in “fasc.”). L’indicazione è indispensabile quando ciascun fascicolo ha una numerazione autonoma: in quel caso, infatti, i medesimi numeri di pagina possono riferirsi a più di un fascicolo. Ci saranno infatti le pp. 35-48 sia nel fasc. 1, sia nel 2 o nel 3: occorre specificare.

3.7.2.2 In opere composite (raccolta, miscellanea, voce di enciclope-dia, storia letteraria, ecc.)

C. Dionisotti, Salutati, Coluccio, in Enciclopedia dantesca, IV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1973, pp. 1086-87. Si può aggiungere, preferibilmente tra parentesi, l’anno della prima

edizione di un contributo successivamente edito in una raccolta dello stesso autore:

Capitolo III 98

A. Stussi, Lingua e problema della lingua in Luigi Capuana (1990), in Id., Lingua, dialetto e letteratura, Torino, Einaudi, 1993. Tale indicazione è particolarmente opportuna quando si elencano

più studi in ordine cronologico e comunque quando si vuole ricostrui-re la storia della critica su un tema.

3.7.3 Come si ordina la bibliografia

Di norma, le voci nella bibliografia finale si succedono in ordine al-

fabetico:

Avalle, d’A. S., Ai luoghi di delizia pieni. Saggio sulla lirica italiana del XIII secolo, Milano-Napoli, Ricciardi, 1972.

Bàrberi Squarotti, G., Le figure dell’Eden, in Id., Fine dell’idillio: da Dante a Marino, Genova, il melangolo, 1978, pp. 280 ss.

Bartlett Giamatti, A., The Earthly Paradise and the Renais-sance Epic, Princeton, Princeton University Press, 1966, pp. 137-169.

Battaglia Ricci, L., Ragionare nel giardino: Boccaccio e i ci-cli pittorici del Trionfo della morte, Roma, Salerno, 2000.

Battisti, E., Natura artificiosa to natura artificialis, in A-A.VV., The Italian garden, a c. di David Robbins Coffin, Wa-shington, Trustees for Harvard University, 1972, pp. 1-36.

Bertone, G., Lo sguardo escluso. L’idea di paesaggio nella letteratura occidentale, Novara, Interlinea edizioni, 1999.

Cabrini, A. M., Nei giardini dell’Eden (tra Poliziano e Ario-sto), in Studi vari di Lingua e Letteratura Italiana in onore di Giuseppe Velli, Milano, Cisalpino, 2000, tomo I, pp. 311-335.

Costa, G., Le leggende dei secoli d’oro nella letteratura ita-liana, Bari, Laterza, 1972

La stesura 99

Curtius, E. R., Letteratura europea e Medio Evo latino (1948), trad. it. Scandicci (Firenze),1992.

Nota bene • Gli autori medievali senza vero cognome ma con provenienza ge-

ografica, si mettono sotto l’iniziale del nome: es. Isidoro di Sivi-glia sotto la “I”, non sotto la “S”.

• Le preposizioni di origine nobiliare scritte con iniziale minuscola (“de”, “von”, “van”) non fanno parte del cognome: es. Lorenzo de’ Medici si metterà sotto la “M”, non sotto la “d”, Honoré de Balzac sotto la “B”, Ludwig van Beethoven sotto la “B”, ecc.

• Se la preposizione è però scritta con la maiuscola, è diventata parte del cognome. Perciò: Edmondo De Amicis, Vincent Van Gogh, ecc.

• Il cognome del poeta italiano Gabriele d’Annunzio si può trovare scritto con la “d” minuscola o con la “D” maiuscola: in ogni caso, la lettera “d/D” è considerata l’iniziale.

Se nel testo e nelle note abbiamo espresso le voci bibliografiche

con il metodo sintetico, la bibliografia finale farà anche la funzione di una legenda. Sceglieremo perciò una disposizione grafica che renda immediatamente riconoscibile la sigla (cognome e data), cui seguiran-no le informazioni complete (titolo, editore, città).

ANTONELLO 1991 = Massimo Antonello, La metrica del

primo Montale. 1915-1927, Lucca, Pacini Fazzi. ARVIGO 2001= Tiziana Arvigo, Guida alla lettura di Mon-

tale, Ossi di seppia, Roma, Carocci. AVALLE 1970 = d’Arco Silvio Avalle, Tre saggi su Montale,

Torino, Einaudi. ID. 1972 = Id., Ai luoghi di delizia pieni. Saggio sulla lirica

italiana del XIII secolo, Milano-Napoli, Ricciardi. BACHTIN 1995 [1965] = Michail Bachtin, L’opera di Rabe-

lais e la cultura popolare, trad. it. Torino, Einaudi. BALDISSONE 1996 = Giusi Baldissone (a cura di), Le Muse

Capitolo III 100

di Montale. Galleria di occasioni femminili nella poesia mon-taliana, Novara, Interlinea edizioni.

Nota bene • Per distinguere contributi dello stesso autore pubblicati nello stes-

so anno, si mette dopo la data una lettera minuscola:

MAHON 1953a Denis Mahon, Art Theory and Artistic Practice in the Early

Seicento: Some Clarifications, «Art Bulletin», 35 (1953), pp. 226-32.

MAHON 1953b Denis Mahon, Eclecticism and the Carracci: Further Refle-

xions on the Valdity of a Label, «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», 16 (1953), pp. 303-41.

• Nel caso di autori diversi con lo stesso cognome, si indicano tante lettere del nome quante sono sufficienti a distinguerli:

R(oberto) ORLANDO / S(andro) ORLANDO / F(rancesco) OR-

LANDO Ar. Momigliano / At. Momigliano (= Arnaldo e Attilio Mo-

migliano); Gi. Billanovich / Gu. Billanovich (Giuseppe e Guido Billanovich).

• Nelle abbreviazioni dei nomi francesi si mantiene la h quando è presente come seconda lettera: Ch. = Charles; Th. = Thierry. Il trattino che separa i nomi doppi si mantiene anche quanto sono puntati: J.-P. Vernant = Jean-Pierre Vernant.

La stesura 101

3.7.3.1 Ordine cronologico È possibile citare le voci bibliografiche non in ordine alfabetico ma

dalla più antica alla più recente. Questa disposizione è utile per rico-struire la storia della critica e mettere in evidenza le ultime acquisizio-ni su un argomento. Accompagna in genere testi brevi o parti di un la-voro più ampio (es. capitoli), ma è opportuno utilizzarla per una tesi o prova finale solo in caso di esplicita indicazione del docente; altrimen-ti, si ricorrerà al normale ordine alfabetico.

1882 A. BIESE, Die Entwicklung des Naturgefühls bei den Griechen, Kiel, Lipsius & Tischer [poi ripubblicato in A. BIESE, Die Entwicklung des Naturgefühls bei den Griechen und Romen, Hildsheim, Gerstenberg, 1973]. 1939 G. SOUTAR, Nature in Greek Poetry. Studies Partly Comparative, London, H. Milford-Oxford University Press. 1962 G. SCHÖNBECK, Der Locus amoenus von Homer bis Horaz, Inaugural Dissertation zur Erlangung des Doktorwürde der Philosophischen Fa-kultät der Ruprecht-Karl-Universität in Heidelberg. 1979 Le paysage grec, a cura di C. Préaux et al., Bruxelles, Edit. de l’ULB, 1979. 1989 M. CARROLL-SPILLECKE, Kepos. Der antike griechische Garten, Mü-nich, Deutscher Kunstverlag. 1998 P. HASS, Der Locus amoenus in der antiken Literatur: zu Theorie und Geschichte eines literaschen Motivus, Bamberg, Wissensschaftlichen Verlag Bamberg.

Capitolo III 102

3.7.3.2 Bibliografia ragionata La bibliografia cosiddetta ragionata permette di suddividere le voci

in base al tema, al genere, al taglio critico o storiografico, ecc. Spesso fornisce, per i contributi più importanti, brevi descrizioni e giudizi. Al suo interno, le voci sono tendenzialmente ordinate in base alla crono-logia. È utile nei testi che introducono alla studio di un argomento o autore, ma sull’opportunità di adottarla per una tesi vale la stessa rac-comandazione che abbiamo fatto per la bibliografia a ordinamento cronologico:

Il metodo storico è stato adottato per la critica dei libri poetici di

vari autori moderni (su Leopardi, ad esempio, si vedano L. BLASUCCI, I tempi dei Canti, in ID., I tempi dei «Canti». Nuovi studi leopardiani, Torino, Einaudi 1996, pp. 177-218 e ID., Sul libro dei Canti, in ID., Lo stormire del vento tra le piante. Testi e percorsi leopardiani, Venezia, Marsilio 2003, pp. 63-84) e contemporanei (come D’Annunzio, cfr. § 2.1). L'approccio teorico è maturato nella temperie strutturalistica, in-trodotta in Italia tra la seconda metà degli anni Sessanta e gli anni Set-tanta. Tra i principali studi teorici sul macrotesto, vanno ricordati G. GENOT, Strutture narrative nella poesia lirica, «Paragone», XVIII (1967), 212, pp. 35-52; J. ROUSSET, Les recueils des sonnets, sont-ils composés?, in The French Renaissance and its Heritage. Essays pre-sented to Alan M. Boase, London, Merhuen & Co. 1968; M. SANTA-GATA, Connessioni intertestuali nel «Canzoniere» del Petrarca, «Strumenti critici», IX (1975), 26, pp. 35-75 (poi in ID., Dal sonetto al Canzoniere, Padova, Liviana 1989 [19791]); S. LONGHI, Il tutto e le parti nel sistema di un canzoniere, «Strumenti critici», XIII (1979), 39-40, pp. 265-300.

La stesura 103

3.7.4 Altre fonti Nella bibliografia finale, è possibile contemplare anche voci diver-

se dai volumi, da saggi in rivista, ecc. Ciascun tipo di fonte richiede però le sue specifiche indicazioni:

Documenti d’archivio: • città; • biblioteca o archivio di conservazione (indicabile anche con sigle da sciogliere all’inizio); • fondo di cui il documento fa parte; • busta o filza che lo contiene; • numero dell’ordine progressivo (se esiste), carta o foglio. Manoscritti, incunaboli, stampe antiche: • segnatura: es. Cod. lat. 4456; • nome dello stampatore, indicazione della città di stampa, lingua dell’edizione. Pagine Web • URL (l’indirizzo web del sito) per esteso; • tra parentesi, l’istituzione, organizzazione, ecc. a cui corri-sponde il sito; • la data dell’ultimo aggiornamento; • il nome del webmaster (cioè della persona che si occupa materialmente dell’organizzazione e dell’aggiornamento del si-to). Film • titolo (in originale e nell’eventuale versione italiana); • regista; • paese (o paesi) e casa di produzione; • anno.

Capitolo III 104

Nota bene • Se nel lavoro è stato necessario citare molti siti internet, film o al-

tri tipi di fonte, sarà opportuno allestire delle apposite sitografie (ordinata in base agli argomenti o, alfabeticamente, in base all’iniziale del nome o sigla dell’istituzione), filmografie, ecc., di-stinte dalla bibliografia (che, in questi casi, conterrà solo i riferi-menti al materiale cartaceo).

Capitolo IV

La correzione (e qualche consiglio per la discussione) Conclusa la stesura, non resta che rivedere con attenzione il lavoro,

così da consegnare un testo il più “pulito” possibile. Ciò non vuol dire che altri interventi non si rendano necessari: rileggendo l’elaborato per intero, il docente suggerirà molto probabilmente qualche ulteriore modifica che saremo tenuti ad apportare. Quel che conta è che il rela-tore (e gli altri eventuali lettori, a cominciare dal correlatore nel caso di una tesi specialistica) abbia avuto sott’occhio una versione del no-stro lavoro priva di errori marchiani e dei difetti anche materiali tipici di una redazione provvisoria.

Perciò, prima della consegna, è bene: • lasciare passare qualche giorno dalla fine della stesura, così da svi-

luppare un minimo distacco dal lavoro: solo così riusciremo a giu-dicarlo obiettivamente;

• stampare l’elaborato e rileggerlo con attenzione parola per parola: sullo schermo del computer è molto più difficile individuare i re-fusi;

• verificare i dati; • controllare citazioni, note e bibliografia, magari facendo ricorso

alle schede bibliografiche precedentemente allestite; • uniformare le abbreviazioni e i criteri di citazione delle voci bi-

bliografiche, se non lo si è fatto fin dall’inizio; • se possibile, affidare il testo a un lettore imparziale (l’ideale è un

compagno di studi), non necessariamente competente nella vostra materia ma abbastanza consapevole da segnalarvi errori di stampa e passi oscuri o incompleti.

• annotare e riportare le correzioni sul testo. Nella rilettura e nell’annotazione degli errori, ci preoccuperemo in

particolare di:

105

Capitolo IV 106

• non aver presentato come dati di fatto dei nostri giudizi senza a-verli adeguatamente suffragati con prove adatte;

• non aver formulato conclusioni generali basandosi su pochi casi; • non aver semplificato problemi complessi che richiederebbero ul-

teriori approfondimenti. È molto importante che lo studente verifichi punto per punto la te-

nuta dei passaggi logici tra un argomento e l’altro e fra questi e le rela-tive prove. In particolare, bisogna prestare attenzione alle false rela-zioni che talvolta tendiamo a stabilire fra i vari paragrafi; per toglierci d’impiccio e proseguire verso l’obiettivo del discorso diamo infatti per accettati legami consequenziali che sono al contrario molto deboli. Tutte le volte che, rileggendo il lavoro, ci accorgiamo di aver fatto ri-corso a locuzioni come «è evidente che…», «è chiaro, è noto che…», ecc., dobbiamo fermarci a considerare attentamente quel passaggio e verificare che la supposta evidenza sia davvero tale in forza dei ragio-namenti e delle prove prima forniti. (A questo riguardo, ricordiamo che i legami tra i diversi paragrafi dovrebbero essere garantiti dall’uso degli opportuni connettivi, come quelli già elencati nel Capitolo I).

Dopo aver saggiato la tenuta logico-argomentativa del lavoro, po-tremo concentrare l’attenzione sugli aspetti formali:

1) grafica; 2) struttura: capitoli/paragrafi/sezioni; 3) ortografia e grammatica; 4) lessico; 5) punteggiatura; 6) stile.

4.1 Grafica e struttura Per quanto riguarda la grafica, gli elementi da sorvegliare sono: la

formattazione (giustezza, carattere, interlinea); l’uso e la gerarchia di parentesi e virgolette (soprattutto, controlliamo di aver chiuso parente-

La correzione (e qualche consiglio per la discussione) 107

si e virgolette aperte); l’impiego dei giusti trattini, lineette e altri sim-boli; i caratteri scelti per le cifre e i numeri; gli spazi tipografici.

Con Word • Gli spazi mancanti tra due parole e quelli di troppo sono tra i

refusi più frequenti. Per meglio individuare gli spazi trala-sciati, usiamo l’apposita funzione di Word. Cliccare sull’icona ¶ > Per ogni spazio battuto, comparirà sulla pagi-na un punto al mezzo (·), per ogni Invio, lo stesso simbolo dell’icona (¶).

• Per eliminare in una sola mossa tutti gli spazi superflui, si procede così: Modifica > Sostituisci > nello spazio bianco accanto alla parola “Trova” battere due spazi con la barra della tastiera; nello spazio accanto a “Sostituisci con”, batte-re un solo spazio > Sostituisci tutto.

• Se tra le parole di una riga si sono creati spazi troppo larghi non per errori di battitura ma a causa della giustezza del te-sto, si potrà rimediare introducendo la sillabazione: Stru-menti > Lingua > Sillabazione > Sillaba automaticamente documento.

• Per allineare con precisione una sotto l’altra delle parole o frasi (come in un elenco), bisogna usare il tasto della tabula-zione (in alto a sinistra sulla tastiera del computer: ha per simbolo due frecce orientate in direzioni opposte).

• Per ripristinare la formattazione, per esempio dopo una cita-zione o un elenco che hanno richiesto dei cambiamenti nei margini, si posiziona il cursore su una parte di testo già for-mattata, si clicca su “Copia formato” (icona con il simbolo di un pennello, sulla barra degli strumenti del foglio di Word) e infine si sposta il cursore nel punto del testo da formattare.

Per la struttura, verificare la corrispondenza del testo all’indice e

accertarsi che gli argomenti siano stati distribuiti come previsto nei

Capitolo IV 108

vari paragrafi. In particolare, è bene confrontare gli indici provvisori con l’indice definitivo e riflettere sulle modifiche: sono dovute a degli aggiustamenti meditati nello sviluppo del lavoro o sono frutto di sem-plici dimenticanze o di decisioni estemporanee? Sono state concordate con il docente?

4.2 Grammatica In molte Facoltà umanistiche, il piano di studi prevede almeno un

esame di linguistica italiana, per superare il quale è necessario affron-tare un test grammaticale. Gli esercizi qui sotto riportati sono tratti da una prova di media difficoltà per gli studenti del triennio:

1. Ortografia e fonetica a. Sottolinea la forma corretta l’Ottocento / l’ottocento; la Borsa di Wall Street / la borsa di Wall Street; nessun’altro / nessun altro; qual’età / qual età; fa’ questo / fà questo (imperativo, II persona singolare); perché / perchè; efficienza / efficenza; efficace / efficacie; su / sù; acce-cato / acciecato; seppure / se pure; lance /lancie; fascie / fasce; gli amici / gl’amici? b. Individua gli errori di ortografia nel brano seguente Di questi tempi si discute molto dei motivi per qui l’Italia non é (come dovrebbe) una nazzione, ma qualcos altro di molto meno definito e promettente. Si inziste sopratutto sulle cose che ci so-no mancate nella storia o che ci mancano per diventare una na-zione, cose la cui assensa può aver determiniato dei vuoti di va-lori più o meno come in un bambino la mancanza di certe vita-mine può produre disturbi di crescienza. (da Raffaele Simone, L’italiano arbitrario, in «Italiano & oltre», XII, 1997) 2. Morfosintassi Correggi le frasi sbagliate 1. So che mi stimi molto.

La correzione (e qualche consiglio per la discussione) 109

2. Credo che non vengono per cena. 3. Rivolgiti a Luca per qualsiasi cosa hai bisogno. 4. Dico che non mi piace. 5. Dubito che ha passato l’esame. 6. Avrei voluto che eri qui quando mi sono ammalato. 7. Quello è il vestito che te ne parlavo ieri. 8. Il paese natale di Anna è il più bello della zona. 9. Ci pensi te a prenotare il ristorante? 10. La maggior parte dei libri che ho letto quest’estate erano avvincenti. Se, esaminando gli esercizi, vi siete accorti di avere dei dubbi su

alcune forme, è opportuno che ripassiate con attenzione le regole grammaticali prima di rileggere e consegnare il vostro lavoro. (Senza contare che, quando si modifica un testo al computer, si cambiano spesso alcune parole dimenticando di correggere aggettivi o articoli: così, ad esempio, “un’amica” può facilmente diventare “un’amico”). Nella videoscrittura, più ancora che nella scrittura a mano, dobbiamo inoltre fare attenzione alla differenza tra accenti acuti e gravi. Per que-sto, è comunque utile inserire il correttore automatico del programma, che sottolinea con una serpentina molti errori (tenendo presente che possono essere considerate sbagliate anche parole giuste ma non in-cluse nel vocabolario del correttore e che il programma non indicherà come errore, per esempio, “un’eccezionale risultato”, perché “un’eccezionale” in sé non è sbagliato: “un’eccezionale vittoria” è in-fatti possibile).

Nella scheda seguente sono riepilogate le principali regole gram-maticali e la corrispondente tipologia di errore:

Regola Errore Correzione

ACCENTI Vocali «a», «o», «u» > ac-cento grave

cittá, cosí, peró, piú

città, così, però, più (vale per l’italiano: diverso ad esempio per lo spagno-lo)

Capitolo IV 110

Vocale «e» > accento gra-ve (aperta) su è (verbo) e su parole come caffè

é, cioé caffé

è, cioè caffè

Vocale «e» > accento acu-to (chiusa) sui composti di che, su sé (pronome), su né (negazione), sui passati remoti come dové, sui composti di re, tre

perchè, poichè, giacchè

sè, nè

dovè trentatrè, vicerè

perché, poiché, giacché

sé, né

dové trentatré, viceré

Terza persona del presente indicativo del verbo dare > accento

da dà

Terza persona del presente indicativo del verbo fare non ha l’accento

fà fa

APOSTROFI L’apostrofo non si usa nei troncamenti

un’altro ciascun’altro nessun’altro qual’è

un altro ciascun altro nessun altro qual è

L’apostrofo si usa nelle e-lisioni

un amica un’amica

Indica apocope (caduta), diversamente dall’accento

un pò un po’

MORFOLOGIA Plurali delle parole termi-nanti in «-cia», «-gia» hanno la «i» se precede una vocale; so-no senza la «i» se precede una consonante

camice ciliege pancie provincie

camicie ciliegie pance province

PRONOMI Pronome che si usa solo per il soggetto e il com-plemento oggetto; per gli altri casi si usa cui (a cui, di cui, ecc.) o al, del, ecc.

Il professore che non mi ricordo il nome

Il professore di cui/del quale non ricordo il nome

La correzione (e qualche consiglio per la discussione) 111

quale La forma gli non si può usare per indicare a lei femminile. (Non del tutto corretta, ma ormai sempre più spesso accettata la forma gli per indicare a loro)

Gli dico (= dico a lei)

Gli dico ( = dico a lui)

CONGIUNTIVO Le interrogative indirette vogliono il congiuntivo

Non so cosa tu vuoi sapere

Non so cosa tu voglia sa-pere

I verbi che esprimono in-certezza, dubbio, desiderio (controllare, dubitare, non essere sicuro, fare in mo-do, non essere vero, pen-sare, permettere, pregare, pretendere, sospettare, sperare, temere, volere che)

controlla che va tutto bene dubitavamo che eravate arrivati pensano che non sei stato tu vogliamo che vi fermate da noi

controlla che vada tutto bene dubitavamo che foste arri-vati pensano che non sia stato tu vogliamo che vi fermiate da noi

PREPOSIZIONI E PARTICELLE AVVERBIALI La «d» eufonica si usa solo tra due vocali uguali

e ecco od andare o osservare

ed ecco o andare od osservare

PAROLE STRANIERE In corsivo quelle che non sono di uso comune in ita-liano, in tondo le altre

praticare uno sport conoscere l’hardware

praticare uno sport conoscere l’hardware

Quando sono usate in ita-liano, si considerano inva-riabili

gli sports i films i files

gli sport i film i file

Capitolo IV 112

4.3 Punteggiatura Per la punteggiatura, oltre che alle regole nell’uso dei vari segni ri-

assunte nella scheda qui sotto, bisogna prestare attenzione agli spazi: • nessuno spazio tra la parola che li precede e i seguenti segni: vir-

gola, punto, punto e virgola, due punti, punto esclamati-vo/interrogativo, puntini di sospensione;

• uno spazio tra i segni appena elencati e la parola che li segue; • nessuno spazio tra i segni di apertura e chiusura di parentesi e le

parole che rispettivamente li seguono e li precedono: L’implicazione logica di due o più linee autonome nei rispettivi sviluppi temporali è sempre stata presente nella letteratura occi-dentale (dai romanzi cavallereschi al Tom Jones, e oltre, fino ad Underworld di DeLillo). non …nella letteratura occidentale ( dai romanzi cavallereschi al Tom Jones, e oltre, fino ad Underworld di DeLillo ).

• nessuno spazio tra le virgolette (di qualsiasi tipo) e le parole che rispettivamente le seguono e le precedono:

Mi chiese: «Vuoi accompagnarmi in Francia il mese prossimo?» non Mi chiese: « Vuoi accompagnarmi in Francia il mese pros-simo? ».

• uno spazio prima e dopo i trattini lunghi che delimitano un inciso:

Calvino — tra gli scrittori italiani del Novecento meglio cono-sciuti all’estero — viene spesso contrapposto a Pasolini.

La correzione (e qualche consiglio per la discussione) 113

Segni di interpunzione e loro signi-ficato

Quando si usano e quando non si u-sano

IL PUNTO Indica una pausa forte del discor-so; conclude un periodo ed è segui-to dalla lettera maiuscola

Si usa: 1. quando finisce un argomento e ne inizia uno nuovo 2. con moderazione: è bene non ecce-dere nell’uso dei punti per non fram-mentare troppo il discorso

LA VIRGOLA Indica una pausa breve del discor-so; viene utilizzata per separare e-lementi diversi nello stesso discor-so

Si usa: 1. nelle liste 2. per isolare un inciso. Esempio: La Valle d’Aosta, nel nord ovest dell’Italia, è una regione alpina 3. prima del che pronome relativo, quando ha funzione di inciso. Esem-pio: La moto, che è un mezzo potente, richiede una costante manutenzione. Attenzione: non si usa la virgola se la frase relativa non è un inciso. Esem-pio: La moto che ha comprato Luigi è molto costosa 4. per isolare un’apposizione che non altera il senso della frase. Esem-pio. Ho visitato Bergamo, una bellis-sima città 5. per separare proposizioni coordi-nate senza congiunzione (per asinde-to). Esempio: Mi preparo, esco, vado in biblioteca 6. per separare proposizioni coordi-nate con congiunzione, specialmente avversativa. Esempio: Il cane abbaia, ma non morde 7. per separare subordinate con il participio e il gerundio. Esempio: Co-noscendo il colpevole, il testimone lo ha denunciato 8. per separare proposizioni subor-

Capitolo IV 114

dinate temporali, concessive, ipoteti-che. Esempio: Quando rientri a casa, dammi un colpo di telefono 9. per evitare fraintendimenti. E-sempio. Tutti gli studenti, seduti tra i banchi, salutarono il Preside (= tutti gli studenti) / Tutti gli studenti seduti tra i banchi salutarono il Preside (= solo gli studenti seduti) Non si usa: 1. tra soggetto e predicato 2. tra predicato e oggetto 3. tra nome e aggettivo No: Il saggio prende in esame alcuni versi del sonetto XXXV di Petrarca, in esso il poeta riflette… Sì: Il saggio prende in esame alcuni versi del sonetto XXXV di Petrarca. In esso il poeta riflette…

IL PUNTO E VIRGOLA Indica una pausa intermedia tra il punto e la virgola

Si usa: 1. per separare due proposizioni auto-nome, ma legate dallo stesso contenu-to (altrimenti si usa il punto fermo). Esempio: Il corso serve per appren-dere come si articola un testo argo-mentativo; per imparare le tecniche per redigere la Prova finale; per evi-tare gli errori più frequenti 2. per separare due proposizioni coor-dinate. Esempio: Il sondaggio ha per oggetto la diffusione degli strumenti informatici tra i giovani; gli strumenti più usati sono internet e la videoscrit-tura

I DUE PUNTI Indicano che quanto li segue costi-tuisce una spiegazione o una causa di quanto li precede. Indicano una pausa superiore al punto e virgola e inferiore al punto fermo

Si usano: 1. per introdurre una numerazione, un elenco 2. per introdurre una spiegazione o una dimostrazione. Esempio: Sto u-sando Word: è uno dei più diffusi

La correzione (e qualche consiglio per la discussione) 115

programmi di videoscrittura 3. per introdurre un discorso diretto. Esempio: Allora disse: «Non pensavo che ci saresti riuscito» 4. per introdurre proposizioni causali, consecutive, esplicative (al posto dei rispettivi connettivi). Esempio: Aveva rinunciato al colloquio: [= poiché] l’avevano da poco assunto in un’altra azienda Non si usano: due o più volte in una stessa frase (con delle eccezioni, possibili spe-cialmente nei testi letterari)

IL PUNTO ESCLAMATIVO Indica che la frase che precede è un’esclamazione

Si usa: 1. nelle frasi esclamative 2. molto raramente nei testi saggisti-ci

IL PUNTO INTERROGATIVO Indica che la frase che precede è un’interrogazione

Si usa: 1. nelle frasi interrogative 2. con moderazione nei testi saggi-stici

I PUNTINI DI SOSPENSIONE Indicano un’interruzione o una so-spensione del discorso. Tre puntini tra parentesi quadre […] indicano la volontaria omissione di una par-te del discorso

Si usano: 1. nei discorsi diretti 2. nei testi saggistici si usano solo tra parentesi per le omissioni

LE VIRGOLETTE Delimitano il discorso diretto o se-gnalano una parola usata in senso particolare (cfr. § 3.1.1.3)

Si usano: 1. per mettere in particolare eviden-za una parola 2. per segnalare che una parola non viene usata nel suo significato pro-prio; in questo caso devono essere u-sate con moderazione, per non sottrar-re precisione al lessico 3. per i nomi stranieri, in alternativa al corsivo

I TRATTINI Delimitano un discorso

Si usano: 1. per introdurre il discorso diretto al

Capitolo IV 116

posto delle virgolette 2. per la delimitazione di un inciso 3. per racchiudere le informazioni bibliografiche di un inciso. Esempio: Nell’universo infinito della letteratura — scrive Calvino nelle «Lezioni ame-ricane» — s’aprono sempre altre vie da esplorare

LE PARENTESI TONDE Delimitano un inciso esplicativo, ma non necessario al senso della frase

Si usano: per introdurre una specificazione, un commento, un’indicazione secondaria. È opportuno non farne un uso troppo largo per non danneggiare la linearità dell’argomentazione

LE PARENTESI QUADRE Delimitano una porzione di testo

Si usano: 1. nelle note, per specificare dati bi-bliografici (come le date delle prime edizioni di un libro) 2. per i brani omessi in una citazione (con tre puntini all’interno) 3. per integrare una citazione con parti del discorso o brevi informazioni strettamente necessarie

4.4 Lessico e stile

Per il lessico, dovremo preoccuparci soprattutto di aver usato le pa-

role nella loro forma corretta (per esempio, “interpretare” non “inter-petrare”; il sostantivo “prosieguo” meglio che “proseguo”) e di essere stati precisi in relazione all’argomento, evitando approssimazioni e improprietà. In particolare, si dovranno evitare aggettivi che non cor-rispondono a un’argomentazione critica (per esempio bello, particola-re, interessante) e i superlativi (bellissimo), gli aggettivi enfatici (fan-tastico), le iperboli (infinite opere per dire molte o numerose opere).

Per lo stile, si dovrà far attenzione a eliminare tratti propri di un re-gistro informale (inadatti quindi alla nostra specifica situazione comu-nicativa) o veri e propri tic del parlato, quali ad esempio:

La correzione (e qualche consiglio per la discussione) 117

• intercalari (cioè, insomma, diciamo, praticamente); • concordanze a senso (“la maggioranza degli italiani leggono poco”

invece che “la maggioranza degli italiani legge poco”; “il perso-naggio di Lucia è tra le protagoniste dei Promessi sposi invece di “il personaggio di Lucia è tra i protagonisti…”);

• mutamenti di progetto (interruzione e correzione, anacoluti: “io questo mese non me lo danno l’aumento”);

• costruzioni marcate (“che polivalente”: “la materia che mi sono laureata” invece di “la materia nella quale mi sono laureata”; di-slocamenti a destra o a sinistra: “quel libro non l’ho letto”, “non l’ho letto quel libro” invece di “non ho letto quel libro”);

• paraipotassi (cioè la coordinazione di una sovraordinata a una sua precedente subordinata, possibile nell’italiano antico ma scorretta in quello moderno: “quando avrai letto il saggio e poi ne devi fare il riassunto”);

• ambiguità nella costruzione della frase (ad esempio, nella frase “a-nalizziamo lo schema argomentativo che sottende il saggio di Sperber”, il pronome relativo “che” può essere interpretato sia come soggetto che come complemento oggetto; mutando l’ordine delle parole — “analizziamo lo schema argomentativo che il sag-gio di Sperber sottende” — l’ambiguità scompare quasi del tutto e il “che” sarà correttamente interpretato come pronome oggetto);

• incoerenze e usi informali o misti nei modi e nei tempi verbali (specialmente per quanto riguarda il periodo ipotetico dell’irrealtà: “Se sapevo la risposta non te la chiedevo”, “Se sapevo la risposta non te l’avrei chiesta” invece di “Se avessi saputo non te l’avrei chiesta”);

• ripetizioni. È il caso di ricordare che, per limitare le ripetizioni, si può far ri-

corso a varie categorie di sostituenti: 1) lessicali: sinonimi, perifrasi, iperonimi (ad esempio, “opera” per

“romanzo”);

Capitolo IV 118

2) pronominali (senza eccedere: forme pronominali come esso/-a; quest’ultimo/-a rischiano di appesantire la frase e a volte il loro uso è scorretto);

3) avverbiali: ci/vi, lì, ecc. Ovviamente i sostituenti lessicali non possono essere usati al posto

dei termini tecnici che ogni disciplina possiede: la parola “manoscrit-to”, ad esempio, può essere abbreviata ma difficilmente potrà essere rimpiazzata da un altro vocabolo e meno che mai da una perifrasi del tipo “testo scritto a mano su carta, pergamena o altro supporto”. Se la frase lo permette, talvolta è meglio ricorrere a un ellissi, cioè all’eliminazione del superfluo, lasciando sottinteso ciò che il lettore può capire bene dal contesto (ad esempio, una frase come “Ho letto i versi scritti da Leopardi per l’amico che si chiamava Gino Capponi” può essere opportunamente semplificata: “Ho letto i versi di Leopardi per l’amico Gino Capponi”). Se in frasi o periodi successivi ricorre più volte il nome di un autore o di un’opera, si può lasciare solo la prima occorrenza e cassare le altre (compresi gli eventuali sostituenti), purché ciò non pregiudichi la comprensibilità del brano:

Gadda, nato a Milano nel 1893, si arruolò volontario durante la Prima guerra mondiale; lo scrittore ha lasciato una testimonian-za della sua esperienza bellica nel Giornale di guerra e di pri-gionia (l’edizione dell’opera è stata curata da Dante Isella). Nel caso non vi sia un modo efficace per eliminare una ripetizione,

non resta che cambiare la struttura della frase Il sonetto XXXV del Canzoniere tratta del tema della solitudine. In questo sonetto… > Il poeta tratta del tema della solitudine nel sonetto XXXV, nel quale… .

La correzione (e qualche consiglio per la discussione) 119

Alcuni “tic” linguistici hanno preso piede negli ultimi anni, diffon-dendosi sia nel registro parlato sia nello stile spesso un po’ corrivo u-sato nelle trasmissioni televisive e perfino sui giornali. Perciò, se qualche anno fa andava di moda la locuzione “nella misura in cui” (u-sata spesso a sproposito), oggi nel registro medio-alto proprio della scrittura accademica è meglio evitare:

• questo e quello, quando non indicano la posizione di chi parla o di

chi ascolta e quando non si riferiscono a elementi già introdotti nel discorso («La Commedia è quest’opera in cui Dante narra del suo viaggio attraverso i tre regni dell’aldilà» > «La Commedia è l’opera in cui Dante narra del suo viaggio nell’aldilà»);

• quello/quella che è, quelli/quelle che sono («Esaminerò quelle che sono le caratteristiche dell’arte cubista» > «Esaminerò le caratteri-stiche dell’arte cubista»);

• e quant’altro, per chiudere un’enumerazione con un elemento giu-dicato meno colloquiale di ‘eccetera’, ma ugualmente generico e più pretenzioso («Michelangelo fu scultore, pittore, architetto e quant’altro» > «Michelangelo fu scultore, pittore, architetto e si dedicò anche alla poesia»);

• piuttosto che, come sinonimo di “oppure”, “o anche” quando il suo valore è “invece che” («Tra i miei autori preferiti potrei citare Tol-stoj piuttosto che Dickens» > «Tra i miei autori preferiti potrei ci-tare Tolstoj oppure Dickens». Il valore corretto della locuzione si ha in una frase come: «Preferisco occuparmi di Dickens piuttosto che di Tolstoj, perché conosco bene l’inglese ma non so il russo»).

Qualche altro consiglio: • correggere le rime involontarie («la definizione della ragione

[…]»); • limitare l’uso improprio dei collettivi: es. “problematica” invece di

“problema”, “tematica” invece di “tema”, “tipologia” invece di “tipo”;

• non scrivere «L’autore ci dice» (come se si rivolgesse a noi in par-ticolare) ma «L’autore dice»;

Capitolo IV 120

• non usare “dove” per esprimere tempo, causa o mezzo, ma solo il luogo, reale o figurato (non «l’anno dove sono nato», né «l’esperienza dove sono maturato», ma «l’anno nel quale sono na-to», «l’esperienza grazie alla quale sono maturato»);

• non chiamare un autore moderno per nome (“Giacomo” per “Leo-pardi”); al contrario, si può usare il nome per alcuni autori medie-vali (“Dante”), specialmente per quelli noti per la provenienza ge-ografica invece che per il cognome (“Iacopone” per “Iacopone da “Todi”, “Cino” per “Cino da Pistoia”, ecc.); dei classici latini si ci-ta di solito il cognomen (“Cicerone” per “Marco Tullio Cicerone”; ma “Virgilio” per “Publio Virgilio Marone”). Non usare una forma quale “il Nostro”, che suona molto datata;

• evitare involontarie personificazioni, come nell’espressione «il te-sto parla» (meglio «il testo è incentrato su», «… tratta di», ecc);

• individuare e sanare eventuali goffaggini stilistiche, possibili resi-dui di una prima e ancora incerta stesura («Il problema che verrà trattato in questo lavoro è appunto un problema da affrontare con un metodo analitico…» > «Il problema che verrà trattato in questo lavoro deve essere affrontato con un metodo analitico…»);

• avere l’accortezza di non accumulare preposizioni dello stesso tipo («Il primo capitolo del romanzo di uno degli scrittori più rappre-sentativi della Scapigliatura» > «Il capitolo con cui inizia il ro-manzo di uno tra gli scrittori scapigliati più rappresentativi»);

• variare le parole e le voci verbali usate per introdurre gli elementi di un elenco (come in quello che state leggendo, dove ogni ele-mento è volontariamente introdotto da un verbo diverso: “correg-gere”, “non scrivere”).

Infine, prima di procedere con la consegna e di affrontare la discus-

sione, può essere utile fare per così dire un esame di coscienza, verifi-cando di aver rispettato i parametri indicati nella griglia di autovaluta-zione riportata qui sotto e assegnandosi per ciascuna voce un punteg-gio da uno a quattro (1 = insufficiente; 2 = sufficiente; 3 = buono; 4 = ottimo, il lavoro è pronto per la consegna):

La correzione (e qualche consiglio per la discussione) 121

PROGETTAZIONE

Requisiti

1

2

3

4

1. L’argomento è delimitato con cura, pro-blematico, adeguato allo spazio a disposi-zione.

2. Gli obiettivi della ricerca sono fissati in modo chiaro.

3. Le fonti e i documenti consultati sono validi, pertinenti e in numero sufficiente.

4. La schedatura del materiale è corretta e funzionale agli obiettivi.

STESURA

Requisiti per il contenuto

1

2

3

4

1. La tesi è formulata in modo chiaro.

2. La tesi è sostenuta da un adeguato nu-mero di argomenti, solidi e convincenti.

3. Gli argomenti sono stati scelti in funzio-ne dell’obiettivo.

4. Sono previste e confutate in modo con-vincente possibili obiezioni alla tesi.

5. Il ragionamento è logico, articolato e privo di contraddizioni.

6. L’ordine degli argomenti rende l’argomentazione efficace.

Requisiti per la forma e la struttura

1

2

3

4

1. La struttura finale è chiara e ben orga-nizzata.

2. L’impaginazione e la suddivisione in

Capitolo IV 122

capitoli, paragrafi, capoversi favorisce la leggibilità. 3. Le citazioni e le note sono corrette, ben segnalate e compilate in base alle norme stabilite.

4. La bibliografia è completa, adeguata-mente ricca e compilata in base alle norme stabilite.

REVISIONE

Requisiti

1

2

3

4

1. La struttura sintattica rende espliciti i nessi tra le idee.

2. Le figure retoriche sono usate in modo accorto ed efficace.

3. I connettivi aiutano il lettore a seguire il ragionamento.

4. Le regole della grammatica sono state rispettate.

5. La punteggiatura è stata inserita corret-tamente in base alla funzione di ciascun segno.

4.5 La discussione La discussione della prova finale o della tesi viene quasi sempre

condotta dal relatore, con gli eventuali e successivi interventi del cor-relatore o di altri docenti (a cominciare dal Presidente della commis-sione). In genere, il relatore introduce e chiede al candidato di esporre sinteticamente le linee della ricerca; il correlatore (o controrelatore) potrà rivolgere domande più specifiche, mettendo anche in luce i punti critici del lavoro: nel caso, prepariamoci a rispondere con pacatezza e precisione. Nell’esaudire la richiesta di presentare in breve la ricerca o nel rispondere a domande puntuali, il candidato dovrà sempre dimo-

La correzione (e qualche consiglio per la discussione) 123

strare la propria competenza sull’argomento trattato. (Senza per questo rivolgersi alla commissione con un tono troppo didascalico, come se stesse parlando con persone di rango culturale pari o inferiore al pro-prio). Meglio inoltre evitare di partire pretendendo di spiegare i mas-simi sistemi: se la vostra tesi tratta del tema del tempo in Petrarca, guardatevi dal pronunciare frasi di disarmante genericità come: «Il tempo segna lo scorrere della vita di ciascuno di noi». Rimanete sull’opera, sull’autore, sull’argomento specifico della ricerca. Piutto-sto, per valorizzare il lavoro che avete svolto, e sottolineare la consa-pevolezza se non proprio l’autorità acquisita, potrete dare rilievo: al metodo seguito; a indagini particolari condotte per così dire sul campo (codici visti di persona, opere rare consultate, missioni in biblioteche, archivi, musei anche lontani); a risultati o interpretazioni originali; a possibili sviluppi e approfondimenti, a cui dedicarsi per una successi-va tesi specialistica (o per un eventuale dottorato, nel caso siate al termine del corso biennale).

Ricordate inoltre che utilizzare una presentazione con Power Point (o con altro analogo programma) aiuta ad tener desta l’attenzione di chi vi ascolta e fornisce all’oratore una scaletta degli argomenti da trattare; si rivela poi indispensabile se durante l’esposizione è necessa-rio mostrare immagini e riproduzioni. Alla fine della discussione, il Presidente vi chiederà di accomodarvi fuori dall’aula, mentre la com-missione valuta la vostra prova e il vostro curriculum per assegnarvi il punteggio di laurea. Dopo pochi minuti verrete richiamati per la pro-clamazione. C’è un vecchio rito, ancora rispettato in moltissime Fa-coltà: se tutti i membri della commissione sono in piedi al vostro in-gresso, vuol dire che avete preso la lode. Buon lavoro e buona fortuna!

Capitolo IV 124

Soluzioni esercizi p. 77. 1 a: l’Ottocento; la Borsa di Wall Street; nessun altro; qual età; fa’ questo; perché; efficienza; efficace; su; ac-cecato; seppure; lance; fasce; gli amici. 1 b: Di questi tempi si discute molto dei motivi per cui l’Italia non è (come dovrebbe) una nazione, ma qualcos’altro di molto meno definito e promettente. Si insiste so-prattutto sulle cose che ci sono mancate nella storia o che ci mancano per diventare una nazione, cose la cui assenza può aver determinato dei vuoti di valori più o meno come in un bambino la mancanza di certe vitamine può produrre disturbi di crescenza. 2: Credo che non vengano per cena; Rivolgiti a Luca per qualsiasi cosa tu abbia biso-gno; Dubito che abbia passato l’esame; Avrei voluto che fossi qui quando mi sono ammalato, Quello è il vestito di cui ti parlavo ieri; Ci pensi tu a prenotare il ristorante?; La maggior parte dei libri che ho letto quest’estate era avvincente.

Riferimenti bibliografici I brani di Manganelli citati nella Premessa sono tratti da un volu-

metto che raccoglie alcuni dei suoi scritti apparsi su quotidiani e pe-riodici tra il 1972 e il 1989: Mammifero italiano, a cura di Marco Bel-politi, Milano, Adelphi, 2007, pp. 102 ss. Il libro di Umberto Eco, Come si fa una tesi di laurea, Milano, Bompiani, 1977, è stato più volte ristampato dal medesimo editore ed è ancora in commercio (per quanto mi riguarda, ho consultato l’ottava edizione nei “Grandi Ta-scabili”, 1988). La terza fase: forme di sapere che stiamo perdendo è il titolo di un fortunato saggio del linguista Raffaele Simone, uscito da Laterza nel 2000 e successivamente ristampato (l’ultima volta nel 2006).

Nel Capitolo I, lo studio di Roman Jakobson citato è Closing Sta-tements: Linguistics and Poetics, in Thomas Albert Sebeok (a cura di), Style in Language, New York-London, Wiley, 1960, pp. 350-77 (trad. it. Linguistica e poetica, in R. J., Saggi di linguistica generale, Mila-no, Feltrinelli, 1966, pp.181-218). Tra i lavori di Michael Alexander Kirkwood Halliday, abbiamo fatto riferimento a Language as Social Semiotic. The Social Interpretation of Language and Meaning, 1978 (trad. it. Il linguaggio come semiotica sociale, Bologna, Zanichelli, 1983) e al successivo An Introduction to Functional Grammar, Lon-don, Arnold, 1985. Il brano di Dan Sperber da cui si è ricavato un e-sempio di schema argomentativo è tratto da Cultura e modularità, Fi-renze, Le Monnier, 2005, pp. 8-12.

Agli studenti che volessero approfondire la conoscenza delle tecni-che argomentative, si suggerisce la lettura del classico Trattato dell’argomentazione (1958) di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, trad. it. Torino, Einaudi, 1966, a cui magari affiancare il Ma-nuale di scrittura (non creativa) di Marco Santambrogio, Roma-Bari, Laterza, 2006. Ma soprattutto si raccomanda l’ottimo (e imponente)

125

Riferimenti bibliografici 126

manuale di Carmen Dell’Aversano-Alessandro Grilli, La scrittura ar-gomentativa. Dal saggio breve alla tesi di dottorato, Firenze, Le Monnier, 2005: in poco meno di novecento pagine, gli autori mettono a punto consigli ed esercizi per aiutare lo studente a concepire e svi-luppare una ricerca originale in àmbito umanistico.

Più in generale, sull’arte di comporre un discorso e organizzare il pensiero in maniera efficace, è opportuno studiare un buon manuale di retorica; accanto ai canonici Heinrich Lausberg, Elementi di retorica (1949), trad. it. Bologna, il Mulino, 1969 (più volte ristampato, l’ultima nel 2002) e Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Mi-lano, Bompiani, 1988 (e ristampe, l’ultima nel 2000), si può consiglia-re il Breve manuale di retorica di Maria Pia Ellero-Matteo Residori, Milano, Sansoni, 2000.

Tra le molte guide alla scrittura uscite negli ultimi anni, per lo più concepite come sussidio per docenti e studenti di corsi e laboratori te-nuti in varie Università italiane (in primis Venezia e Pisa), segnalo per averle consultate e averne tratto utili spunti: Serena Fornasiero e Sil-vana Tamiozzo Goldmann, Scrivere l’italiano. Galateo della comuni-cazione scritta, Bologna, il Mulino, 1994 (nuova edizione riveduta e aggiornata, ivi, 2005); Roberto Lesina, Il Nuovo Manuale di stile. Guida alla redazione di documenti, relazioni, articoli, manuali, tesi di laurea. Edizione 2.0, Bologna, Zanichelli, 1994; Francesco Bruni-Gabriella Alfieri-Serena Fornasiero-Silvana Tamiozzo Goldmann, Manuale di scrittura e comunicazione, ivi, 1997 (nuova edizione rive-duta e aggiornata 2006); Francesco Bruni-Serena Fornasiero-Sivana Tamiozzo Goldmann, Manuale di scrittura professionale, ivi, 1997; Domenico Fiormonte-Fernanda Cremascoli, Manuale di scrittura, To-rino, Bollati Boringhieri, 1998; Roberto Fedi, La scrittura che conqui-sta. Manuale per redigere testi, Milano, Mursia, 1999; Francesco Bruni-Tommaso Raso, Manuale dell’Italiano professionale. Teoria e didattica, Bologna, Zanichelli, 2002; Monica Centanni-Claudia Da-niotti-Alessandra Pedersoli, Istruzioni per scrivere una tesi, un paper, un saggio, Milano, Bruno Mondadori, 2004; Mirko Tavosanis-Marco Gasperetti, Comunicare, Milano, Apogeo, 2004; Daniela Pietragalla, L’italiano scritto: manuale di didattica per laboratori di scrittura, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005; Paola Italia, Scrivere all’Università. Manuale pratico con esercizi e antologia di testi, Fi-

Riferimenti bibliografici 127

renze, Le Monnier, 2006; Massimo Cerruti-Monica Cini, Introduzione elementare alla scrittura accademica. Prefazione di Tullio Telmon, Roma-Bari, Laterza, 2007.

Chi volesse perfezionare la videoscrittura, e in generale l’uso dell’informatica per ragioni di studio, può fare riferimento a: Luigi Capra-Riccardo Vesco, Come si fa una tesi di laurea al computer, Mi-lano, Bompiani, 1997; Max Giovagnoli, Come si fa una tesi di laurea con il computer e internet, Milano, Tecniche nuove, 2003.

Per risolvere i dubbi linguistici ed evitare i “tic” di cui si è parlato nel Capitolo IV, è utile tenere presente la serie di manuali curata dai linguisti Giuseppe Patota e Valeria Della Valle, tra i quali Il salvastile, Milano, Sperling & Kupfer, 1997 e Il nuovo salvalingua: le facili re-gole per evitare gli errori della lingua parlata e scritta, ivi, 2007. Per destreggiarsi tra i segni di interpunzione, si raccomanda il Prontuario di punteggiatura di Bice Mortara Garavelli, Roma-Bari, Laterza, 2003.

Ogni studente ha esperienza di grammatiche e dizionari di uso sco-lastico, spesso sufficienti per venire a capo delle questioni più sempli-ci. Nell’affrontare la scrittura accademica, tuttavia, è bene familiariz-zare con strumenti più scientifici: tra le grammatiche, la Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, a cura di Luca Serianni, con la collaborazione di Alberto Castelvecchi, Torino, UTET, 1988 e la Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di Lorenzo Renzi-Giampaolo Salvi-Anna Cardinaletti, nuova edizione rivista, Bo-logna, il Mulino, 2001, 3 volumi; tra i dizionari, almeno il Grande di-zionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, diretto da Giorgio Bàrberi Squarotti, Torino, UTET, 1961-2002 (comune-mente abbreviato con la sigla GDLI) e il Grande dizionario italiano dell’uso, ideato e diretto da Tullio De Mauro, con la collaborazione di Giulio Lepschy e Edoardo Sanguineti, Torino, UTET, 1999-2003 (ab-breviato in Gradit).

AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI

Area 01 – Scienze matematiche e informatiche

Area 02 – Scienze fisiche

Area 03 – Scienze chimiche

Area 04 – Scienze della terra

Area 05 – Scienze biologiche

Area 06 – Scienze mediche

Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie

Area 08 – Ingegneria civile e Architettura

Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione

Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche

Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche

Area 12 – Scienze giuridiche

Area 13 – Scienze economiche e statistiche

Area 14 – Scienze politiche e sociali

Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su

www.aracneeditrice.it

Finito di stampare nel mese di ottobre del 2008dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri)

per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma

CARTE: Copertina: Patinata opaca Bravomatt 300 g/m2 plastificata opaca; Interno: Usomano bianco Selena 80 g/m2

ALLESTIMENTO: Legatura a filo di refe / brossura

Stampa realizzata in collaborazione con la Finsol S.r.l. su tecnologia Canon Image Press