bach ieri, bach oggi. un musicista barocco luterano nell’odierna liturgia cattolica?

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1 Alessio Cervelli BACH IERI, BACH OGGI Un musicista barocco luterano nell’odierna liturgia cattolica? Presentazione di Mons. Nicola Bux StreetLib - 2015

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Alessio Cervelli

BACH IERI, BACH OGGI

Un musicista barocco luteranonell’odierna liturgia cattolica?

Presentazione di Mons. Nicola Bux

StreetLib - 2015

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Al Padre Dominique Rouxelin De Formigny,per avermi guidato nella conoscenza

dei Padri della Chiesa.

Al mio allievo Francesco a e suo fratello Filippo,perché si accostino all’arte dei grandi uomini della storia

sempre sereni e sicuri,rincuorati dall’insegnamento dell’Aquinate:

tutto ciò che è buono, bello e veroè un dono dello Spirito Santo.

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INDICE

Presentazione (di Mons. Nicola Bux) 4

Introduzione 6

Capitolo INell’ombra di Lutero 8

Capitolo IIQuando suoni ed armoniadiventano fede vissuta 66

Capitolo IIIBach nella liturgia cattolica? 89

Riflessioni conclusive 109

Bibliografia 119

Nota dell’autore 124

L’autore 126

Ringraziamenti 127

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PRESENTAZIONE

Credo che questo testo possa fornire un'ottima guidadidattica agli studiosi di ogni ordine e grado in ambito musicalee teologico. Esso infatti permette, in modo agile e veloce, manon con superficialità, l'accesso a nozioni solitamenterintracciabili in testi iperspecialistici, spesso in lingua straniera,o scritti esclusivamente per gli esperti, del settore o teologico omusicale.

L'obiettivo apologetico, che l'autore persegue conefficacia, si nutre anche di una fresca capacità comunicativa edella giusta subordinazione della scienza a una retta e profondafede. In queste pagine, l'arido "politicamente corretto" dellatrattatistica positivista cede il passo ad una profondità d'analisiche sente la necessità di superare le barriere in cui ci siamo pertroppo tempo cinti, a causa di una pretestuosa conquista dioggettività del tutto umana. L'allargamento degli orizzonti, peruna maggiore comprensione delle cose, è possibile in questasola prospettiva: queste pagine ne sono una dimostrazione.

Al giovane autore non sarebbe stato possibile concepirela musica di Bach come il risultato dell'anelito alla uniomystica menomata nella liturgia protestante, vedere l'opera delkantor come aderenza alla chiamata pietistica di Spener,concepire la sua attenzione numerologica non come semplicepassione per cruciverba, … se non come ardente cammino dipurificazione verso una Perfezione irraggiungibile. Solo così èpossibile caricare di significato contenuti che altrimenti sisgretolerebbero: questo anche grazie al confronto storico e

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teologico coi Padri e gli Scrittori antichi della Chiesa.Solamente riconoscendo la genuinità e oggettività del

bello – sono parole dell'autore – sarà possibile riconoscere laVerità e il valore dei suoi profeti, così come dice San Tommasod'Aquino: “Omne verum, a quocumque dicatur, a SpirituSancto est", “Tutto ciò che è vero, da chiunque sia detto,proviene dallo Spirito Santo”. Soltanto in base a questa rettalinea di pensiero, dunque, possiamo domandarci e rispondercicon assoluta serenità: la bellezza dell'arte di Bach, di unprotestante, ha qualcosa da dire al culto cattolico di oggi?Indubbiamente sì!

d. Nicola Bux

Sabato 15 agosto 2015Solennità dell'Assunzione di Maria Santissima

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INTRODUZIONE

Per la maggior parte della brava gente che si aggira perle navate delle nostre chiese, l’unico Bach conosciuto è quellodella “Toccata e fuga”, senza neppure l’aggiunta “in reminore”; per la maggioranza degli studenti delle accademiemusicali, invece, il Bach noto è il geniale musicista, faticoso dastudiare e da eseguire. In entrambi i casi, si è rimasti appenaalla superficie di quello che invece è un vasto, meravigliosooceano di umanità e di fede.

Moltissimi saggi ed articoli di musicologia ci hannoregalato risultati di ricerche scientifiche affascinanti e viaggimeravigliosi in un mondo musicale alto, nobilissimo. Talvolta,però, manca qualcosa, ossia il saper avvicinare tali altezze allivello concreto della gente: non si avverte uno spontaneoadoperarsi nel concreto per spezzare il pane di questa ricchezzaa beneficio della quotidiana vita ecclesiale e, più in generale,anche per le fila più semplici della grande famiglia umana.

La grandezza di Bach come organista e compositore dimusica sacra la si può comprendere solo quando si è in gradodi abbracciare in un unico colpo d’occhio, assieme allagrammatica ed alla tecnica musicale, linguaggio artistico eartigiano, anche l’esperienza umana e quella della fede: perchétutto è una catena!

In relazione alla vita liturgica e musicale delle nostrechiese locali, dunque, gli intenti di questo piccolo lavoro sonodue:

a) Fornire all’organista liturgico, specialmente segiovane, uno strumento agile e piano per poter

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compiere un sereno percorso esegetico, senzapretese accademiche, con l’unico proposito dimeglio comprendere Bach come il più grandecompositore per organo barocco (su quest’aspetto siconcentrerà la totalità dello sforzo, lasciando ad altriil compito di riflettere, indagare e scrivere sugli altri“settori” del lavoro compositivo bachiano);

b) capire se e in quale modo rendere al popolo di Dioun servizio concretamente migliore nella liturgia enella preghiera attraverso la musica organistica diBach, perché questa è una curiosa ironia dei nostritempi: forse un luterano può esser preso da maestropure per la musica della liturgia cattolica?

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CAPITOLO INELL’OMBRA DI LUTERO

A molti organisti ed appassionati del settore,sicuramente sono note le parole della compianta ed eccellenteinterprete Marie-Claire Alain che, nello stupendo documentarioToccatas, Organs & Fantasias1, affermava: “senza Lutero nonavremmo avuto Bach”.

Pur non essendo certo questa la sede di unadissertazione sul luteranesimo, sulla sua storia ed evoluzione,non possiamo certo esimerci da spenderci sopra un po’ ditempo, seppur per sommi capi, diciamo con qualche“impressionista” colpo di pennello che faccia al caso nostro.

I.1 – LA LUCE VERA DEL MONDO:LA SCOMODA INTRANSIGENZA DELL’AMORE DIVINO

In principio era il Verbo, e il Verbo erapresso Dio e il Verbo era Dio. (…)Veniva nel mondo la luce vera, quella cheillumina ogni uomo. La luce splende nelletenebre, e le tenebre (letteralmente) nonl’hanno vinta2.

1 B. MONSAINGEON (a film by), Organs, Toccatas & Fantasias. Marie-Claire Alain plays Bach, Warner Music Group Company, DVD, EratoProduction, 1990.2 Gv I, 1 e ss.

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La luce nel mondo antico riveste un significato assaiparticolare. Basta pensare che una commistione di luci etenebre sta alla base dell’inganno nel mito della cavernaanalizzato dal filosofo Platone. In realtà, vedere la luce nelmondo antico come elemento di collaborazione per un ingannoè assai raro, per non dire estremamente singolare: a questasingolarità, in effetti, deve la sua celebrità il mito platoniano.Questo perché la luce nella cultura mediterranea antica eclassica è invece l’elemento che svela la verità, promanandodall’alto, dalle sfere celesti, dalla realtà metafisicatrascendente, di cui la luce è, nel mondo fisico, elementoimmanente, ossia che ha in se stesso il proprio principio e ilproprio fine. Il mondo antico ha nel suo pensiero questaimmagine: il buio assoluto, denso e imperscrutabile, capace dicelare tutto, segno concreto di inevitabile ignoranza… cheviene squarciato dal raggio di luce che discende dall’alto.

Tutta la mitologia antica vede questo fine nella luce.Prendiamo ad esempio il mito di Eros e Psiche: tutto va benefin quando la luce della lampada di Psiche non svela allafanciulla che il suo ignoto amante è nientemeno che il diodell’amore; seppur con risultato negativo, in effetti è la luceche svela la verità. Non è affatto un caso, dunque, cheGiovanni Evangelista, nel suo prologo giustapponga il terminetò fòs (luce) con tòn alethinòn, “la luce, quella vera”3, che ha ilcompito di illuminare pànta ànthropon. La traduzione dellaConferenza Episcopale Italiana rendeva questa espressione con“ogni uomo”; San Girolamo, nella sua vulgata, traduceva

3 Gv I, 9.

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“omnem hominem”. In effetti, sia il testo greco che quellolatino, più che “ogni uomo”, dovrebbero esser resi con “tuttol’uomo”, l’essere umano nella sua interezza. L’uomo è dunquequella zona oscura, avvolta nelle tenebre del peccato, che viened’improvviso illuminato dalla luce vera, che è manifestazioneimmanente del Verbo Trascendente dotato dell’“essere” fin dalprincipio, che sta presso Dio ed è Dio.

Dunque la Luce che scende altro non è se nonimmagine e rappresentazione visibile di ciò che, in quantopurissimo spirito, è per sua natura invisibile per un essereincarnato, vincolato ai limiti di spazio e di tempo qual èl’essere umano.

Ecco perché l’immagine della Luce viene impiegata nelprologo giovanneo per descrivere l’evento dell’Incarnazionedel Verbo del Padre, del Suo Unigenito Figlio: come la lucediscende dal cielo e illumina ciò che altrimenti è invisibile, cosìil Verbo scende dal cielo e, incarnandosi, svela la verità.Questo elemento della luce in quanto manifestazione visibiledell’invisibile incarnazione, è elemento noto e trattato purenelle arti figurative. Si pensi alla Vocazione di Matteo dipintada Caravaggio, il quale ha fatto di un sapiente studio della lucel’elemento cardine della propria arte pittorica: la luce procedeobliquamente dalla testa del Cristo e, soprattutto, dalla suamano destra indicante il pubblicano, e Matteo il levita èinvestito da questo fascio di luce che promana dalla persona edal braccio del Figlio di Dio.

Incarnazione del Verbo – illuminazione dell’uomo.

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La teologia fondamentale4, a proposito della strettarelazione tra queste due operazioni, si sofferma sul versetto 21del capitolo 17 del Vangelo di Luca:

Il regno di Dio non viene in modo daattirare l’attenzione, [e nessuno] dirà:“Eccolo qui” o: “Eccolo là”; poiché, ecco,il regno di Dio è dentro di voi.

Il Regno di Dio, l’esito legato alla discesa dal Cielo delVerbo Incarnato, fino al compiersi della parusia, non andràricercato altrove che dentro lo stesso essere umano, rinnovatodalla Grazia Divina: il Regno di Dio alberga dentro l’uomo chein Cristo ha incontrato il Figlio del Padre.

Sempre l’Evangelista Giovanni ci riferisce questeparole del Signore Gesù:

Io sono la luce del mondo; chi segue me,non camminerà nelle tenebre, ma avrà laluce della vita5.

E giustamente l’Evangelista Marco avverte:

Andate per tutto il mondo, predicate ilVangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto

4 Cfr. F. LAMBIASI, Teologia Fondamentale, Ed. Piemme, CasaleMonferrato (AL) 1991, pp. 51 e ss.5 Gv VIII, 12.

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e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chinon avrà creduto sarà condannato6.

Quanto suonano dure, severe e soprattutto “incredibili”,queste parole del Figlio di Dio! Eppure sono contenute daduemila anni nel Vangelo: forse è la nostra idea di modernitàrelativista che stenta a farci credere che il Signore, il Dio-Amore descrittoci da San Giovanni – il prediletto, il discepoloche Gesù ama – possa essere così univoco e scomodamenteintransigente.

Un Gesù che sia d’accordo con tutto e contutti, un Gesù senza la sua santa ira, senzala durezza della verità e del vero amore,non è il vero Gesù come lo mostra laScrittura, ma una sua miserabile caricatura.Una concezione del “Vangelo” dove nonesista più la serietà dell’ira di Dio, non haniente a che fare con il vangelo biblico. Unvero perdono è qualcosa del tutto diversoda un debole “lasciar correre”. Il perdono èesigente e chiede ad entrambi – a chi loriceve ed a chi lo dona – una presa diposizione che concerne l’intero loro essere.Un Gesù che approva tutto è un Gesù senzala croce, perché allora non c’è bisogno deldolore della croce per guarire l’uomo. Edeffettivamente la croce viene sempre piùestromessa dalla teologia e falsamente

6 Mc XVI, 16.

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interpretata come una brutta avventura ocome un affare puramente politico. Lacroce come espiazione, la croce come“forma” del perdono e della salvezza non siadatta ad un certo schema del pensieromoderno. Solo quando si vede bene ilnesso fra verità ed amore, la croce divienecomprensibile nella sua vera profonditàteologica. Il perdono ha a che fare con laverità e perciò esige la croce del Figlio edesige la nostra conversione. Perdono èappunto restaurazione della verità,rinnovamento dell’essere e superamentodella menzogna nascosta in ogni peccato. Ilpeccato è sempre, per sua essenza, unabbandono della verità del proprio essere equindi della verità voluta dal Creatore, daDio7.

Quindi domandiamoci: chi è stato mai Lutero?Per rispondere esaurientemente a questi interrogativi

non basterebbe un intero decennio di studi approfonditi e diabbondanti letture scientifiche e storiche. Pur tuttavia, sebbenequesto breve lavoro abbia un mero ed umile scopomusicale/liturgico, un’idea occorre farcela, e che sia il risultatodella maggior onestà intellettuale possibile. La ragione èsemplice: senza capire Lutero, non possiamo capire lasensibilità e le scelte di Bach.

7 J. RATZINGER, Guardare a Cristo, Jaca Book, Milano 1986, pag. 76.

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I.2 – UNA CRISI ANNUNCIATA:PROTESTA, CLERICALISMO, INFALLIBILITA’

Occorre tentare di fare spazio nel nostro intelletto aduna realtà, certo scomoda e dolorosa, ma tuttavia oggettiva: ipapi del Rinascimento – seppur siano riscontrabili in essi sforzidegni di nota sia nel governo che nella vita personale – insiemea cardinali e vescovi troppo immersi nella politica, nellaricchezza, nella vita fastosa, nella cultura profana, nelbenessere delle loro famiglie, avevano condotto la Chiesa delloro tempo sull’orlo della rovina, al punto di sfidare il castigodi Dio con la loro condotta e la loro inerzia pastorale8.

La crisi protestante era latente già allafine del secolo XV, secolo tormentato,che vedeva le sue aspirazioni religiosecontrariate da penose situazioni, e checon la sua sensibilità troppo facilmenteeccitabile esagerava le miserie e le tare.Si può convenire che allora la Chiesa nonera in grado di rimediare a questeinquietudini o di soddisfare a questi nuovidesideri. L’insegnamento teologicosempre più scolastico, e d’una scolasticadecadente, si perdeva in problemi di purobizantinismo e non vedeva il fosso che siscavava tra i suoi maestri, preoccupati di

8 Cfr. J. LORTZ, Storia della Chiesa in prospettiva di storia delle idee, Vol.II, Ed. Paoline, Roma 1980, pp. 72 e ss.

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sillogistica, e i suoi discepoli, presi da unmisticismo nuovo, da regole di vitamorale staccate da queste tradizionilibresche. In moltissime anime nauseatedal ristagno del pensiero cristiano l’eresiatrovò un terreno propizio in cui germogliòcon rapidità pari alla violenza. Invece laChiesa fu presa quasi alla sprovvista, e isuoi difensori poco sensibili al fatto chel’ostilità bruscamente generalizzatanasceva da un moto dell’anima più chedall’angoscia dell’intelligenza, preteserodi combatterla come le eresie del passato,cioè con la forza dialettica e il vigore deiragionamenti. Le anime non erano piùsensibili alla scossa delle idee, e la tatticadegli apologisti della Chiesa non potevapenetrare nei cuori refrattari alla morsadei sillogismi sapienti. Checché se nedica Lutero agiva più con l’eloquenza chefaceva fremere, che con la sua scienzascritturistica, tanto spesso colta in fallo econvinta di versatilità9.

E’ inutile contestare il fatto che la Riforma sia stata la piùgrande catastrofe che si sia mai abbattuta sulla Chiesa

9 Apologétique: Nos raisons de croire - Réponses aux objections, in AA.VV., Enciclopedia Apologetica della Religione Cattolica, Ed. Paoline, Alba1953, traduzione di G. Dragone.Cfr.http://apologetica.altervista.org/protestantesimo_luterano_calvinista.htm

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nell’intero corso della sua storia, in quanto è stata la primavolta in cui si è realmente spezzata l’unità della fede in tutta lacristianità10; e se in effetti Lutero non è stata proprio una figuralimpida e cristallina quanto a virtù e santità – come avremomodo di vedere tra poco –, tuttavia va ammesso con serenaumiltà che lo stato di degrado insito in diverse compagini dellagerarchia della Chiesa Cattolica era tale da innescare una lottaper la “vera forma del cristianesimo”: un conflitto per nientenaturale, ed ancora più snaturato è il risultato a cui pervieneuna larga parte della cristianità occidentale, ossia un profondosenso anticattolico ed antipapale.

Era ed è ineccepibile la validità sacramentaria ex opereoperato: questa espressione significa che il sacramento, quandoviene amministrato secondo la retta volontà di Cristo e dellaChiesa, è per Dio un mezzo valido e adatto a produrre laGrazia, al di là delle disposizioni soggettive ed individuali dichi amministra o riceve il sacramento11. Indubbiamente è veropure quanto insegna Sant’Agostino di Ippona:

Un ministro superbo va messo assieme aldiavolo; ma non per questo vienecontaminato il dono di Cristo, cheattraverso di lui continua a fluire nella suapurezza e per mezzo di lui arriva limpido a

10 Non ignoriamo certamente i contrasti tremendi tra la chiesa greco-ortodossa e la chiesa latina: il fatto è che, nonostante tutto, esserappresentano entrambe lo stesso tipo di chiesa sacramentale e a strutturagerarchica legata alla successione apostolica.11 G. OCCHIPINTI, I Sacramenti, Ed. Piemme, Casale Monferrato (AL)1991, pag. 29.

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fecondare la terra […]. La virtù spiritualedel sacramento è infatti come la luce:giunge pura a coloro che devono essereilluminati e, anche se deve passareattraverso esseri immondi, non vienecontaminata12.

Poiché i sacramenti sono dono di Dio e in essi è Dio, nonl’uomo, che opera e dona la Sua Grazia, la Santa Messa, anchese fosse celebrata da un prete godereccio, dedito alla lussuria,oppure omicida, sarebbe sempre e comunque valida ex opereoperato. Da parte nostra non possiamo che esclamare,commossi: Deo gratias! È altrettanto innegabile, però, cheministri di tal genere sono stati realmente e in ogni tempocausa di scandali e divisioni.

Chi scandalizza anche uno solo di questipiccoli che credono in me, sarebbe meglioper lui che gli fosse appesa al collo unamacina girata da asino, e fosse gettato negliabissi del mare. Guai al mondo per gliscandali! È inevitabile che avvenganoscandali, ma guai all’uomo per colpa delquale avviene lo scandalo!13.

Proprio per questo l’Apostolo Giacomo scriveva:

12 Sant’Agostino, In Iohannis evangelium tractatus, 5, 15: CCL 36, 50 (PL35, 1422).13 Mt XVIII, 6-7.

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Che giova, fratelli miei, se uno dice diavere la fede ma non ha le opere? Forseche quella fede può salvarlo? Se un fratelloo una sorella sono senza vestiti e sprovvistidel cibo quotidiano e uno di voi dice loro:«Andatevene in pace, riscaldatevi esaziatevi», ma non date loro il necessarioper il corpo, che giova? Così anche la fede:se non ha le opere, è morta in se stessa. Alcontrario uno potrebbe dire: Tu hai la fedeed io ho le opere; mostrami la tua fedesenza le opere, ed io con le mie opere timostrerò la mia fede. Tu credi che c’è unDio solo? Fai bene; anche i demòni locredono e tremano. (…) Infatti come ilcorpo senza lo spirito è morto, così anchela fede senza le opere è morta14.

In pratica, al riparo dell’ex opere operato, si apre la stradaanche ad una visione “magico-legalistica” dell’effetto deisacramenti, svincolandoli dalla necessità di una vita cristianacoerente ad essi nelle opere; si perderà sempre più di vista laloro fondamentale caratteristica di azione, di eventi legati almistero per eccellenza: Cristo morto e risorto15. Dunque,seppur la grazia divina continuava a riversarsi sulle umanecreature, il popolo di Dio aveva spesso (forse “troppo” spesso?)a che fare con presbiteri che sapevano a stento leggere il latinodel messale, con maestri di teologia che non alimentavano il

14 Gc II, 14- 19. 2615 G. OCCHIPINTI, op. cit., pag. 29.

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loro intelletto ai magnifici scritti di San Tommaso d’Aquino,ma al suo pallido, sbiadito riflesso di una scolastica deterioreed infarcita di uno stile di pensiero frammentario e non-sacramentale, imbevuto di un umanesimo malsano; di fattoLutero, l’Alta Scolastica, quella che colloca la Grazia alproprio centro, non la conobbe mai16. L’atteggiamento correttoè innanzitutto quello che dimostrò Papa Adriano VI17 alla dietadi Norimberga del dicembre 1522, dove, per bocca di un suodelegato, ammise con franchezza che l’incendio innescato dallaRiforma affondava le proprie radici nei disordini della stessacuria romana. Quindi dobbiamo accogliere le opinioniproposteci da persone sante quali da una parte San PietroCanisio18 (che affermava come l’ignoranza e l’incontinenza delclero tedesco fossero la causa della Riforma), dall’altra SanClemente Maria Hofbauer19 (il quale sosteneva che la Riformafosse nata perché i tedeschi avevano bisogno di essere pii, nelsenso sano e cristiano del termine).

16 Cfr. J. LORTZ, op. cit., pag. 109.17 Adriaan Florenszoon (o Floriszoon) Boeyens d'Edel (Utrecht, 2 marzo1459 – Roma, 14 settembre 1523), 218° romano pontefice, dal 1522 al1523. Fu considerato da non pochi contemporanei una sorta di barbaro perla sua ostilità al lusso e alle opere artistiche come ostentazione di potere esfarzo (perfino la Cappella Sistina di Michelangelo rischiò la distruzione).Fu tuttavia uomo pio e profondamente attento alla dottrina e alle necessitàdi riforma disciplinare e teologica della Chiesa.18 Pieter Kanijs, (Nimega, 8 maggio 1521 – Friburgo, 21 dicembre 1597),primo gesuita della provincia germanica. Nel 1925 è stato proclamato santoe dottore della Chiesa da papa Pio XI.19 Clemente Maria Hofbauer, al secolo Jan (Taßwitz, Znojmo, 26 dicembre1750 – Vienna, 15 marzo 1820), sacerdote della Congregazione delSantissimo Redentore. Nel 1909 papa Pio X lo ha proclamato santo.

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Eppure dobbiamo allo stesso tempo constatare con unacerta gioia del cuore che è proprio in circostanze come questeche il Signore sorprende i suoi figli, rivelando non solo unamisericordia infinita, ma anche tutta la fantasia della Grazia!

Infatti, proprio per amor di verità, sarebbe assai graveed ingiusto dimenticarci che quel periodo così problematico èstato riempito dalle preclare figure di grandissimi santi: ilroccioso fondatore dei Gesuiti Ignazio di Loyola, il missionarioe martire Francesco Saverio, il vescovo di Milano CarloBorromeo, la mistica riformatrice dell’ordine carmelitanoTeresa d’Avila, il poeta di Dio Giovanni della Croce, quelfiorentino vivace dall’indomabile entusiasmo e dall’indefessafede di Filippo Neri, per non parlare del sapiente pastore chesancì la vera, grande riforma della Chiesa col Concilio diTrento: Papa Pio V. Tanti carismi diversi, tante voci che,intonate sulle corde del Cuore del Signore Gesù Cristo,cantavano l’armonia dell’Unica Verità. Anzi, l’enorme“infornata” di uomini e donne che hanno condotto una vitacristiana santa e santificatrice costituisce sia una dimostrazioneche un esempio: dimostrano l’enorme bisogno di esistenzeumane e cristiane che, con le loro opere, testimoniassero la piùgenuina fede in un tempo così ferito da tante miserie, econtemporaneamente sono il più fulgido esempio di come Dionon cessi di ammaestrare, ammonire, consolare e risanare ilsuo popolo per mezzo di suoi strumenti eletti. Accanto a questifratelli nel battesimo e giganti nella fede, sorge la “protesta”contro la gerarchia, i vescovi, il papa che è vicario di Cristo interra.

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Qui va aperta una parentesi.Quanti sanno che il Medioevo può essere considerato a

un tempo il periodo di massimo entusiasmo per la fede e dimassimo anticlericalismo?

Dante Alighieri, per esempio, era un uomo di profondafede. La sua Commedia – che il Boccaccio volle qualificarecome Divina – è un preclaro compendio enciclopedico didottrina, teologia tomistica, nozioni di filosofia averroista,cultura classica. Pochi docenti, però, insegnano ai loro studentiche Dante era un terziario francescano, che vivevaregolarmente la vita liturgica della Chiesa: nella Commedia,specie nel Purgatorio, ma anche nel Paradiso, il padre dellalingua italiana dimostra di ben conoscere la liturgia, citandoinni, ore canoniche, il modo di suonare dell’organo inalternanza col coro. Eppure, Dante non ha alcun problema dicoscienza a mettere all’inferno vescovi e perfino papi, inclusoil Sommo Pontefice regnante mentre lui scriveva le sue terzine.

Questo cosa ci spiega? Che il “clericalismo” ècriticabile come tutti gli “-ismi”, cioè tutti gli eccessiideologici. E’ l’atteggiamento che si mostra in un membrodella gerarchia quando questo perde l’autorevolezza che lacustodia viva della retta dottrina e un’esistenza sacerdotaleconforme ad essa gli procurerebbero agli occhi del popolo diDio. Dunque, quest’individuo diventa autoritario, e deve a tuttii costi difendere se stesso e la sua posizione gerarchica, alpunto che qualsiasi cosa dica o faccia deve per forza essereinfallibile e sacrosanta.

Un sacerdote, un vescovo, un laico “clericalista” sicomporta come un mero burocrate, uno pseudo-ragioniere con

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lenti pari a fondi di bottiglia infilate sul naso, oltre le quali èincapace di vedere…eppure pretende assoluto rispetto e ciecaobbedienza! Un’anima fedele che si avvicini a un taleindividuo vive un’esperienza pari a chi attraversasse una gelidatormenta di neve, bussasse alla porta, entrasse in casa, vedesseindicare un fuoco acceso, vi si avvicinasse di corsa stendendovile mani intirizzite sopra… per poi scoprire che le fiamme diquel fuoco spirano lame di ghiaccio, anziché tepore. Stessacosa: la bella dottrina può esserci anche tutta, ma un cuoresimile è incapace di esternare il benché minimo calore umano.Ed è dall’umanità magnanima e calda che scaturisce laconversione all’amore soprannaturale di Dio.

Il Figlio Unigenito dell’Altissimo Padre si è incarnatoper salvarci dal peccato mediante il suo sacrificio di croce,certo. Ma è sceso tra noi, ha camminato tra noi, ha abbracciatoi bambini, ha perdonato le peccatrici (invitandole ovviamente anon peccare più), si è commosso sui lebbrosi, sul dolore digenitori che avevano perduto i loro figli. Cosa ci dimostra contutto questo? Che non c’è verità senza carità, e l’essere umano,per poter tornare a incontrarsi con la carità soprannaturale diDio, aveva bisogno – allora come oggi – di incontrare questoDio che, come ci dice San Paolo, spoglia Se stesso e assume lanatura umana, donandoci un incontro che prima di tutto èumano calore sul piano naturale.

Occorre prestare attenzione a cieche “clericolatrie” atutti i costi, perché esse sono invece atti di irrazionale fideismonell’uomo, non nell’ortodossia della fede cattolica garantita dalMagistero, dalla Tradizione e dalla Sacra Scrittura.Rammentiamoci di San Paolo, che riprende pubblicamente e a

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brutto muso san Pietro.20 Richiamiamo alla menteSant’Atanasio che, nonostante la condanna firmata da papaLiberio21 caduto nell’eresia ariana, continuò a sopportare ledurezze dell’esilio, della persecuzione, dell’abbandono ancheda parte della stessa gerarchia ecclesiastica, come a dire:«Tenetevi pure le vostre chiese, io mi terrò la vera fede!». ESant’Ippolito? Fu il primo antipapa della storia, preferendorisultare scismatico piuttosto che eretico, finché alla fine dellasua vita, in vista del martirio in Sardegna, si riconciliò conpapa Ponziano e con lui versò il sangue per la sequela diCristo. Che dire di San Bernardo di Chiaravalle, che scrisseaddirittura un manuale per fare bene il papa perché un chiericodi sua conoscenza (e, a suo giudizio, particolarmente incapace)era stato eletto al Sacro Soglio?22

Vogliamo condurre la nostra riflessione pure secondo itermini della pari dignità? Ci imbattiamo in un’energica SantaCaterina da Siena, che ad Avignone e nel viaggio di ritornoverso Roma apostrofa il papa Gregorio XI, non coi tonimelensi e romantici che immaginiamo, ma con un’energia

20 “Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso apertoperché evidentemente aveva torto” (Gal II, 11); le questioni inerentil’imposizione meno della legge mosaica ai pagani convertiti e la risoluzionedi esse nel cosiddetto Concilio di Gerusalemme (attorno al 50 d.C.), e a cuiSan Paolo fa allusione nella lettera ai Galati sono narrate negli Atti degliApostoli, XV.21 Filostorgio, Storia Ecclesiastica, Ar. XLI: “Liberio, dopo essere statoesiliato, tornò dopo due anni, e, per paura della morte con la quale fuminacciato, firmò (la condanna di Atanasio)”.22 Bernardo de’ Paganelli fu eletto papa il 15 febbraio 1145 col nome diEugenio III. Per lui Bernardo di Chiaravalle scrisse il Trattato buono perogni papa, adeguatamente adattato a lui.

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tremenda e temeraria, invitando il pontefice a comportarsi inmodo degno della tiara che portava in capo, a comportarsi nonda fanciullo timoroso, ma da uomo virile e saldo23.

Chissà se nella temperie intellettualmente eteologicamente burrascosa dei nostri tempi, oggi tutti questieccelsi santi della storia della Chiesa sarebbero o meno additaticome “sedevacantisti”? Invece non è forse vero che tutti questisanti sono stati piuttosto dei ferventi credenti, che hanno saputodistinguere il ministero petrino o episcopale dal singolosoggetto che lo ha ricevuto, correggendolo e rimproverandolo,all’occorrenza, pur senza mancar mai di rispetto ad un vescovo

23 Caterina raggiunse Avignone il 18 giugno 1376 e venne dal papa, cheprese la risoluzione di ritornare a Roma, varcando il ponte sul Rodano e la-sciando Avignone il 13 settembre. Raggiunto il porto di Marsiglia, GregorioXI s’imbarcò per l’Italia, facendo scalo a Genova. Ma qui fu preso dagrande timore per via dei disordini scorti a Roma e per la sconfitta delletruppe pontificie per mano dei fiorentini. Tra i cardinali che loaccompagnavano, la maggioranza insisteva per il ritorno ad Avignone, maCaterina rassicurò Gregorio XI: la volontà divina lo chiamava a Roma eCristo lo avrebbe pro- tetto. Così il papa riprese il viaggio e raggiunse lacittà eterna. Esempi di forti parole che Caterina rivolse risoluta al SommoPontefice sono la lettera 229, scritta al papa forse ancora da Firenze: “Voimi dimandate dell’avvenimento vostro, e io rispondo e dico da parte diCristo crocifisso che voi veniate”. An- cora, a una richiesta del papa, checontinuava a chiedere consigli, Caterina scrive: “Pregando io el nostro dolceSalvatore per voi, sì come mi mandaste dicendo, manifestando Egli ch’iodicessi a voi che voi doveste andare”, e dicendo Cristo a lei: “diglisicuramente che questo ottimo segno li dò... che quanti più contrarii liveranno, e più li sarà contradetto ch’egli non vada, più si sentirà cresciareuna fortezza... che è questo contra ‘l modo suo naturale” (lett. 238); vi è poila Lettera 239, dove la piccola Santa senese senza mezzi termini, intima aGregorio XI: “sia forte e perseverante... non sia fanciullo timoroso, mavirile! (…) Sia uomo fermo e stabile”.

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in quanto successore degli apostoli, oppure al Santo Padre e alsuo sacro ruolo di Vicario di Cristo in terra?

Molti forse si chiederanno: l’ “infallibilità” dove va afinire?

Altri invece si chiedono, con una punta di amarezza, sea cinquant’anni dal Concilio Vaticano II abbiamo messo in attoo meno quest’aggiornamento di linguaggio e forma che,secondo l’intuizione ottimista del Santo Papa Giovanni XXIII,avrebbe dovuto esprimere con rinnovata freschezza leintramontabili verità della fede…oppure se non lo abbiamoancora fatto, lasciando spazio piuttosto ad una sconcertanteanomia liturgica e catechetica.

Mi permetto di proporre qui un esempio, tanto percapirci. Il Santo Papa Giovanni XXIII, durante i lunghipontificali papali, era solito farsi portare al trono una tazza dicaffè, che un suddiacono recava celata sotto un velo, per nondisturbare la sacralità della Liturgia. Papa Giovanni, infatti,soffriva di forti abbassamenti della pressione sanguigna, indottispesso dal calore procuratogli dai molti e pesanti paramentiindossati. Non sarebbe forse assurdo, dunque, che, siccome lofaceva il papa, tutti i vescovi e i presbiteri da quel momento sifacessero portare un caffè in chiesa, prima dei riti d’offertorio?Questo esempio ci dà “il la” per ricordare che il RomanoPontefice è infallibile quando, avvalendosi esplicitamente edichiaratamente del carisma dell’insegnamento ex chatedraPetri, annuncia le verità di fede contenute nel depositum fidei,fondate sulla scrittura, sancite dai concili dogmatici e trasmessedalla Tradizione, proclama un dogma di fede e/o governa la

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Chiesa in fatto di costumi (lat. mores)24. Dunque non tuttoquello che compiono il Papa, i vescovi e i membri dellagerarchia25 è infallibile26, come ci insegna il Magistero stesso,

24 “Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordidella fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazionedella religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, conl’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelatoda Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quandoesercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e inforza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fedee i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessanella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divinoRedentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intornoalla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sonoimmutabili per se stesse, e non per il consenso della Chiesa. Se qualcunoquindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio nonvoglia!: sia anatema” (Papa Pio IX, Pastor Aeternus, CostituzioneDogmatica sulla Fede Cattolica, 18 luglio 1870, cap. IV).25 L'infallibilità promessa alla Chiesa risiede pure nel Corpo episcopale,quando questi esercita il supremo Magistero col Successore di Pietrosoprattutto in un Concilio Ecumenico. (CCC n° 891).26 Non si può e non si deve cadere nella trappola di una sorta di“infallibilismo” del Romano Pontefice, dato che, oltretutto, vi sono diversigradi di adesione al magistero del papa (de fide credenda, de fide tenenda,religiosum obsequium). Quando la Chiesa, mediante il suo Magisterosupremo, propone qualche cosa « da credere come rivelato da Dio» e comeinsegnamento di Cristo, «a tali definizioni si deve aderire con l'ossequiodella fede». Tale infallibilità abbraccia l'intero deposito della rivelazionedivina. L'assistenza divina è inoltre data ai successori degli Apostoli, cheinsegnano in comunione con il Successore di Pietro, e, in modo speciale, alVescovo di Roma, Pastore di tutta la Chiesa, quando, pur senza arrivare aduna definizione infallibile e senza pronunciarsi in «maniera definitiva»,propongono, nell'esercizio del Magistero ordinario, un insegnamento cheporta ad una migliore intelligenza della Rivelazione in materia di fede e dicostumi. A questo insegnamento ordinario i fedeli devono «aderire colreligioso ossequio dello spirito» che, pur distinguendosi dall'ossequio dellafede, tuttavia ne è il prolungamento (CCC §§ 891 – 892).

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il catechismo e come dimostrano sia la storia della Chiesa sia ilcomportamento di molti santi che, certo per amore dellaChiesa, ma rimanendo saldamente “dentro la Chiesa”, hannosollevato perplessità, critiche ed anche rimproveri verso imembri della gerarchia.

I. 3 – LUTERO?TUTT’ALTRA COSA RISPETTO AI SANTI!

Mi sono dilungato in tali considerazioni per poter farmeglio comprendere che, rispetto a tutto ciò, Lutero è un’“altracosa”: un uomo estremamente problematico, con ferite intimeprofonde causategli dal suo vissuto personale, dai propri dubbi,dalle proprie incertezze. Martin Lutero è un personaggio moltocontraddittorio: costretto dal padre e studi di giurisprudenzache egli non riusciva a sopportare, forse addirittura assassino diun compagno di studi27e, conseguentemente, monacoagostiniano sia per evitare il processo sia per espiare incoscienza la propria colpa28; c’è il Lutero che, scosso

27 Si tratterebbe di Jerome Buntz, che Lutero avrebbe ucciso in duello, forseper legittima difesa oppure per violenza passionale, la vigilia dellapromozione a Magister Teologiae assieme a Lutero, il quale, in seguitoavrebbe affermato: “Io sono stato un grande mascalzone e omicida” (WAWW 29, 50, 18). In proposito del delitto d’omicidio compiuto da Lutero, sivedano le esegesi delle fonti condotte da Dietrich Emme (Martin Luther,Seine Jugend und Studienzeit 1483-1505. Eine dokumentarischeDarstelleng, 1983) e da Theobald Beer e Remigius Baumer.28 “Per un singolare consiglio di Dio sono divenuto monaco affinché non miarrestassero. Altrimenti sarei stato arrestato facilmente. Ma così nonpoterono, poiché tutto l’Ordine (agostiniano) si occupava di me” (M.Lutero, WA Tr. I, 134, 32).

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profondamente dalla “vendita delle indulgenze”, redige le sue95 tesi, dalle quali da un lato emerge tutta la sua premura versola dottrina e il suo interesse verso il ruolo del papa:

Si deve insegnare ai cristiani che se il papaconoscesse le esazioni dei predicatori diindulgenze, preferirebbe che la basilica diS. Pietro andasse in cenere piuttosto cheessere edificata sulla pelle, la carne e leossa delle sue pecorelle (Tesi 50°). Si deveinsegnare ai cristiani che il papa, comedeve, vorrebbe, anche a costo di vendere -se fosse necessario - la basilica di S. Pietro,dare dei propri soldi a molti di quelli aiquali alcuni predicatori di indulgenzeestorcono denaro (Tesi 51°).

I tesori della Chiesa, dai quali il papaattinge le indulgenze, non sonosufficientemente ricordati né conosciutipresso il popolo cristiano (Tesi 56°). Certoè evidente che non sono beni temporali,che molti predicatori non liprofonderebbero tanto facilmente mapiuttosto li raccoglierebbero (Tesi 57°).

Ma se consideriamo tutte assieme le 95 tesi, si manifesta tuttal’ignoranza che affliggeva non solo Lutero, ma anche una nonpiccola parte della gerarchia, allorquando i banditoridell’indulgenza – come Tetzel – per la erigenda basilica di San

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Pietro motteggiavano: “Quando la moneta batte in fondo allacassetta, vola in cielo l’anima benedetta”29.

L’origine dell’indulgenza è antichissima.Dio, dopo aver istituito la settimana comememoria dei sette giorni della Creazione(Es 20,8- 10), istituisce la settimana dianni, il cui settimo era sabbatico (Lv 25,1-7), le sette settimane di anni (49 anni) estabilisce: “Dichiarerete santo ilcinquantesimo anno e proclamerete nelpaese la libertà per ogni suo abitante. Saràper voi un giubileo” (Lv 25,10). Nell’annosabbatico e in quello giubilare, Diocomandava agli Israeliti di avereindulgenza verso i poveri (cancellando idebiti o restituendo le terre) e verso glischiavi (liberandoli, per far memoria dellamisericordia di Dio che li aveva liberatidalla schiavitù d’Egitto). Gesù eleva laliberazione dalla schiavitù a liberazionedalla schiavitù del peccato, e dunque aperdono della colpa. Quanto allacancellazione dei debiti, questa si eleva aremissione della pena provocata dalpeccato, dunque a indulgenza. La primaindulgenza cristiana viene applicata da

29 Circa il mercante di indulgenze Tetzel non possediamo notizie autenticheche ci mettano al corrente di gravi errori morali nella sua vita; e tuttavia nonrisulta che egli abbia mai insegnato che i peccati potessero venir rimessisenza il pentimento.

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Cristo stesso: “In verità ti dico: oggi saraicon me in Paradiso” (Lc 23,43). Appareevidente non solo un’immediata remissionedella colpa, ma anche della pena: al buonladrone viene di fatto applicata unaindulgenza plenaria, e questo non intacca lagiustizia divina, perché si era acquistatol’indulgenza con le sofferenze dellacrocifissione: “Stiamo ricevendo la giustapena per le nostre azioni” (Lc 23,41).Aveva cioè maturato i requisiti, perché lamisericordia di Dio viene sempre applicatacon giustizia. Dobbiamo, pertanto,meritarci i suoi Meriti. I nostri non sonosufficienti a salvarci, ma sono necessari. Èil solito binomio libertà e Grazia. Anche leindulgenze elargite dalla Chiesa non vannointese come colpi di spugna, ottenibili conformule o, come pensava qualche nobiledel Cinquecento, con denaro. Marichiedono sempre, da una parte, ilcambiamento, la conversione del cuore, laconfessione dei propri peccati (cioè occorresempre prima la cancellazione dello stato dicolpa), e dall’altra una penitenza (o stato dipena). Per duemila anni i cristiani hannoindividuato nel pellegrinaggio (quasisempre esercitato a piedi, anche perlunghissimi tragitti) e nel digiuno dueottimi strumenti di penitenza. In genere erala Chiesa a indicare i requisiti per le

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indulgenze, parziali o totali, e questoesercitando il mandato di Cristo a Pietro:“A te darò le chiavi del Regno dei Cieli, etutto ciò che legherai sulla terra sarà legatonei cieli e tutto ciò che scioglierai sullaterra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,19).Anche oggi, la Chiesa indica le condizioniper l’acquisto dell’indulgenza:Confessione, Eucaristia, preghiera secondole intenzioni del Papa, pellegrinaggio aRoma o alle chiese giubilari (presenti inogni diocesi), atti di penitenza (digiuno dalcibo, dal fumo...), esercizio delle opere dicarità (visita agli ammalati, agli anziani...).Ma la remissione dei debiti e la liberazionedalla schiavitù non saranno solo avantaggio della propria anima o, per laComunione dei Santi, a vantaggio delleanime del Purgatorio. La Chiesa vuolegiungere, infatti, ad una cancellazione deidebiti delle nazioni più povere utilizzandole offerte raccolte nazione per nazione (…):questo tipo di indulgenza educherà l’uomoalla solidarietà e contribuirà alla pace nelmondo30.

D’altronde quanto sia altalenante e malferma la figura diLutero, emerge dai suoi stessi sermoni e scritti. Vediamonequalche esempio:

30 BIAVASCHI S., Origine e significato dell’indulgenza, in <<IlTimone>> 5 (2000/II), pag. 26.

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È credenza dolce e pia che l’infusionedell’anima di Maria fu effettuata senzapeccato originale, cosicché nella stessainfusione della sua anima ella fu anchepurificata dal peccato originale e adornatadi doni di Dio, ricevendo un’anima purainfusa da Dio; perciò dal primo momentoche ella cominciò a vivere, ella fu libera daogni peccato”31 […] Ella è piena di grazia,viene dichiarata essere completamentesenza peccato – qualcosa di estremamentegrande. Perché la grazia di Dio la riempiedi ogni cosa buona e la rende priva di ognimale32 […] Cristo… fu il solo Figlio diMaria, e la Vergine Maria non ebbe altrifigli oltre a Lui… Io sono incline ad essered’accordo con quelli che dichiarano che‘fratelli’ veramente significa ‘cugini’ qua,perché la Sacra Scrittura e gli Ebreichiamano i cugini sempre fratelli33 […] Ladolce madre di Dio mi conceda lo Spirito,affinché io possa spiegare con sufficienteefficacia questo suo canto, per consentire aVostra Grazia, e a noi tutti, di trarne unaconoscenza che ci conduca alla salvezza ea una vita lodevole, in modo da poter

31 Sermone ‘Sul giorno della concezione della Madre di Dio’, 1527.32 Martin Lutero, Libro di Preghiera Personale (‘Piccolo’), 1522.33 Martin Lutero, Sermoni su Giovanni, cap. 1-4, 1539.

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celebrare e cantare questo eternoMagnificat nella vita eterna34.

Dovremmo dunque stupirci delle “grane teologiche”che Bach dovette passare, guardato di sottecchi da non pochipastori per una sorta di singolare attenzione per la Madre diDio? Si pensi ai corali per organo come la Fuga superMagnificat pro organo pleno35, al suo viscerale amore(comune d’altronde a non pochi altri organisti precursori econtemporanei di Johann Sebastian) per l’inno Nun Komm,parafrasi in tedesco del Veni Redemptor Gentium diSant’Ambrogio, dove si contempla con stupore il frutto delparto verginale di Maria, affermando che una nascita cosìspettava soltanto a Dio; per non parlare della meravigliosacantata Magnificat in Re maggiore BWV 243, o dellastraordinaria e celeberrima cantata Herz und Mund BWV 147,dedicata alla Madonna nella celebrazione della Visitazione.

Com’è possibile, allora, che Bach venga biasimato, seLutero stesso, nei suoi scritti – che Johann Sebastian peraltroconosceva – ci lascia una simile testimonianza di devozionemariana venata di una dottrina piuttosto retta?

Qui occorre indugiare un attimo su questioni teologicheche non si può omettere almeno di sfiorare, seppur col rischiodi annoiare coloro che non siano particolarmente appassionatidi teologia. Che dire? Se alla fine del ragionamento “fossimoriusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta”.

34 Martin Lutero, Commento al Magnificat, 1521.35 Chorale Meine Seele erhebet den Herren (Fuga super Magnificat), BWV733.

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Di fatto Lutero non ha espresso praticamente neppureun’idea che, per giusta od errata che fosse, non potesse essereriscontrata in molti teologi, critici e predicatori a lui precedenti.Dovremmo finire col concordare col Lortz, quando afferma:

Poiché il cristianesimo è insieme verità eamore, la loro unione impedisce la criticadistruttiva; allontana la tentazione di una falsainterpretazione dell’avversario, anche laddovene respinge con estremo rigore la posizione ericonosce al tempo stesso i valori che,nonostante tutto, vi possono essere contenuti.Questo atteggiamento non è altro che rispettoper la verità. (…) La verità è inesorabile:questa è la sua natura. Nell’opportunismo essamuore. E corrisponde senz’altro alriconoscimento, nel cristianesimo primitivo,dei germi di verità sparsi dappertutto nelmondo, come pure al significato pieno delconcetto di “cattolico”, il conoscere ericonoscere tracce di verità e bellezza di Dioanche laddove esse sono frammiste conl’errore e talvolta anche col male36.

Dunque, non ci sorprenda di trovare in Lutero elementidi dottrina cattolica corretti, quando non addiritturacommoventi ed apprezzabili. Il vero problema è insito proprioin Lutero, in quell’ambiguità e stravolgimento della rettateologia (che porterà a scissioni in seno ai protestanti stessi

36 J. LORTZ, op. cit., pag. 105.

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mentre Lutero è ancora in vita); per non parlare del caos circala dottrina dei sacramenti, in specie verso il sacerdozioministeriale atto all’offerta del sacrificio del Golgota sull’altaredella Messa37. Nella sua opera Della Cattività Babilonese(1520), Lutero nega che i sacramenti siano sette, riducendoli atre: Battesimo, Penitenza ed Eucaristia, della quale però nega ilcarattere sacrificale e la transustanziazione mediante ilsacerdozio ordinato, coniando la reinterpretazione dellaPresenza di Cristo nell’Eucaristia col termine di“consustanziazione”. Il paradosso lo riscontriamo nove annidopo, nel 1529, quando troviamo Lutero a Marburgo adifendere la fede nella Presenza Reale del Signorenell’Eucaristia, contro le ferme negazioni di essa da parte diZwingly; proprio qui si pongono i punti di partenza per lefuture e sempre crescenti scissioni all’interno delprotestantesimo in Germania. Tutto perché proprio il Luteroche pure crede alla Presenza Reale ha di fatto compromesso laretta dottrina circa lo strumento di attuazione e permanenza delCristo Vivo, Vero, Reale e Sostanziale nella Sua Chiesa: ilsacerdozio ministeriale legato alla successione apostolica e alsigillo indelebile del sacramento dell’ordine. Ci soffermeremomeglio su questo punto tra poco.

Come ha sostenuto giustamente Theobald Beer, lacristologia è il centro della “questione Lutero”. Dalla posizioneche si assume di fronte a Cristo dipende tutto il resto. E Luteronon comprende la profonda unità presente nell’incarnazione.Nel 1508 scrive: «Se si dice che Cristo è composto

37 Cfr. M. Lutero, Della Cattività Babilonese della Chiesa, 1520.

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(compositus) e si intende il termine nel suo senso stretto(proprie), allora è giusto. Se invece si afferma che Cristo ècostituito (constitutus), allora ciò è falso». Come si vede Luterotende alla scissione. Non a caso un suo contemporaneo,Hieronymus Dungersheym, lo accusò di arianesimo. Lo stessoLutero, nel 1511, si lascia andare ad affermazioni del tipo:Cristo è fatto per il Padre, nato per la Madre. I pochi che siaccorsero di queste gravissime lacune cristologiche, le hannopoi attribuite a Melantone, colui che ha propagato Lutero inGermania. In verità Melantone è un umanista cristiano esostiene l’esatto contrario di Lutero. Laddove sulla questionedella redenzione e della creazione Lutero dice: humanitate nihilcooperante – Yves Congar ha notato che qui si tratta di unasorta di monoergismo, vale a dire che l’umanità di Cristo noncoopera alla giustificazione –, Melantone parla invece dinatura conditrix; la natura umana di Cristo partecipa allacreazione. Nessuno però si cura di confrontare i due autori.

Ci sono naturalmente anche ragioni oggettive chespiegano il ritardo. Le millecinquecento annotazioni di Luterofatte a margine di numerosi testi, sono state scoperte solointorno al 1900: si è trattato di una scoperta decisiva. Percomprenderli bisogna inoltre conoscere a fondo Agostino, PierLombardo, Taulero, Gabriele Biel, quest’ultimo un eccellenteteologo. Anche la conoscenza di questi autori è per molti unostacolo. Il Concilio di Trento non conosceva questi testiautografi, altrimenti Lutero sarebbe stato direttamentecondannato. In una annotazione del 1511, per esempio, scrive:«Quando si chiede che cosa – attenzione, Lutero non dice “chi”è Cristo, ma “che cosa” è Cristo – i logici rispondono che egli è

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persona. (Lutero rifiutava la logica ndr). Il teologo invece dice:Cristo è roccia, pietra d’angolo». Lutero spiega quel che luiintende con ciò. Cristo è la roccia che ci protegge dalla colleradivina. Egli è inteso come “funzione” e non come “persona”:Lutero fa sì uso della parola hypostatice, ma la annullaaggiungendo l’espressione sed additus. Lutero diceapertamente che Cristo non è persona; rimane così solo lafunzione di copertura dall’ira divina. Esaurendosi la“funzione”, si esaurisce anche Cristo. Le affermazioni diLutero sono, tra l’altro, in netto contrasto con Sant’Agostinoche invece sostiene che Cristo è Imago Dei e non factus adimaginem Dei, come fosse una parte qualsiasi della creazionedi Dio. L’immagine di un Lutero profondamente agostiniano èallora falsa, e su ciò non esiste alcun dubbio: Lutero disprezzaAgostino, tanto che vi sono innumerevoli passi in cui eglicommenta Agostino con ironia38.

Lutero giunse addirittura a negare l’esistenza del liberoarbitrio. Egli divise l’umanità in predestinati, che vengonosalvati da Dio, e in “pre - dannati”, che sono irrimediabilmenteal guinzaglio del demonio. Un arbitrarismo divino che ilsingolo deve subire passivamente, sforzandosi sì di avere lamassima fede, ma senza poter fare nulla con la sua libertà,ormai svuotata di significato. Se la salvezza passa soloattraverso la fede o la predestinazione, non è affatto sempliceintuire cosa rimane del cristianesimo nella filosofia luterana,

38 T. RICCI, Lutero “cattolico”? Nemmeno per idea, in «Trenta Giorni», n.4, (1983/I) pp. 56-58.

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dove non trovano cittadinanza né un Cristo da seguire né unprossimo da amare39.

La distruzione di una retta cristologia, poi, si associaalla distruzione della retta sacramentaria che sta alla base dellaMessa. Lutero applica alle specie eucaristiche il termine diconsustanziazione, per cui il pane si mantiene panenell’Eucaristia: anche se c’è la presenza reale del corpo diCristo, il pane non si trasforma (transustanziazione40) in corpodi Cristo, e dunque per Lutero nel pane convivono duesostanze, quella fisica del pane e quella divina del Corpo diCristo. Simili posizioni, infatti, erano già state sostenute daBerengario da Tours41 e opportunamente sviscerate e confutatenell’XI secolo.

39 L. COSTA, recensione ad A. PELLICCIARI, Martin Lutero, inCulturaCattolica.it.http://culturacattolica.it/default.asp?id=125&id_n=32098.40 In teologia, transustanziazione o transubstanziazione (lat. trans -substantiatio) è il termine indicante la conversione della sostanza del panenella sostanza del corpo di Cristo e della sostanza del vino nella sostanzadel sangue di Cristo, che avviene, durante la celebrazione eucaristica, dopola pronuncia delle parole della consacrazione della preghiera eucaristica.41 Berengàrio di Tours. Teologo (Tours inizî sec. XI-ivi 1088), discepolo diFulberto di Chartres, scolastico a Tours, arcidiacono (1040) di Angers. Lesue dottrine sull’Eucarestia, in polemica con Lanfranco di Bec, furono ainiziativa di questo condannate nei concilî di Roma e Vercelli (1050) e diParigi (1051). Per le protezioni di cui godeva, Berengario non fu peròdisturbato, e nel concilio di Tours (1054) il legato papale Ildebrando (poiGregorio VII) si contentò di una formula generica, ottenendo poi che B. sipresentasse al concilio di Roma (1059). Qui egli pronunciò la for- mulapreparata dal card. Umberto, che poi ripudiò, onde perdé la dignità adAngers (1060) nonostante l’intervento, da lui sollecitato, di Alessandro II(1064). Compose allora il De sacra coena. Nel sinodo romano del 1078,Berengario lesse una formula che soddisfece Gregorio VII, ma che eglidovette precisare, confessando l’errore, nel sinodo del 1079, ritirandosi poi

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Purtroppo dobbiamo costatare che, partendo da questipericolosi ed ambigui “equivoci” luterani, dettatidall’ignoranza dell’agostiniano su certe tematiche di dogmaticae sacramentaria, certi filoni filo protestanti, nel tempo del postConcilio Vaticano II, giungono ad alterare terminologie tantoprecise quanto delicate sostituendo la parola (a dire di certunitroppo scolastica e troppo deteriore) di transustanziazione, conterminologie ecumenicamente accattivanti ma a dir pocoambigue, equivoche e disorientanti, quali per esempiotransignificazione o transfinalizzazione: non a caso il BeatoPaolo VI promulgò nel periodo del post concilio la letteraenciclica Mysterium Fidei, per ribadire la dottrina cattolicatradizionale circa l’Eucaristia e la Santa Messa: un documentodel Magistero – ahinoi – fin troppo dimenticato dalle comunitàecclesiali.

Si badi bene: il sacerdozio universale è già contenutonella dottrina dei padri della Chiesa e degli scrittoriecclesiastici antichi. Si pensi, ad esempio, ad Origene. Nella

a vita privata, forse di penitente. La base del suo pensiero è agostiniana,anche nella dottrina generale dei sacramenti; ma egli nega (forse soprattuttoper l’impossibilità di separare, se non concettualmente, gli accidenti visibilidalla sostanza) la possibilità della mutazione (conversio) di sostanza (iltermine “transustanziazione” non esisteva ancora). Quindi egli scindeconversione sostanziale e presenza reale, identificate da Pascasio Radberto(sec. IX), onde gli avversarî lo accusarono di negare la presenza reale,ch’egli invece afferma, considerandola però non materiale ma quantum adspiritualitatem o per similitudinem, in figura: modo di pensare che derivadal De corpore et sanguine Christi attribuito a Scoto Eriugena (in realtà, diRatramno di Corbie). Di B. resta un corpus di epistole che illuminano lesue ricerche. (<<Enciclopedia Treccani>> :http://www.treccani.it/enciclopedia/berengario-di-tours/).

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sua Omelia sul Levitico, dopo essersi riferito al divieto fatto adAronne di entrare nel Santo dei Santi della tenda del convegno,l’alessandrino scrive:

Da ciò si dimostra che se uno entra a qualunqueora nel santuario, senza la dovuta preparazione,non rivestito degli indumenti pontificali, senzaaver preparato le offerte prescritte ed essersi resoDio propizio, morirà (…). Questo discorsoriguarda tutti noi. Ordina infatti che sappiamocome accedere all’altare di Dio. O non sai cheanche a te, cioè a tutta la Chiesa di Dio e alpopolo dei credenti, è stato conferito ilsacerdozio? Ascolta come Pietro parla ai fedeli:“Stirpe eletta”, dice, “regale, sacerdotale, nazionesanta, popolo che Dio si è acquistato”. Tu dunquehai il sacerdozio perché sei stirpe sacerdotale eperciò devi offrire a Dio il sacrificio (…).Ognuno di noi hai in sé non soltanto il fuoco maanche l’olocausto, e dal suo olocausto accendel’altare, perché arda sempre. Io, se rinuncio atutto ciò che possiedo e prendo la mia croce eseguo Cristo, offro il mio olocausto sull’altare diDio; e se consegnerò il mio corpo perché arda,avendo la carità, e conseguirò la gloria delmartirio, offro il mio olocausto sull’altare diDio42.

42 Origene, Omelia sul Levitico, IX, 1; 9. Cfr. BENEDETTO XVI, I padridella Chiesa. Da Clemente Romano a Sant’Agostino, Libreria EditriceVaticana, Città del Vaticano 2008, pp. 48 – 49. Cfr. Udienza Generale, 2maggio 2007, Piazza San Pietro.

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Ma mentre per la Tradizione ecclesiale l’esercizio delsacerdozio universale consiste nell’offrire al Padre la propriavita43 in unione al Sacrificio del Suo Unigenito Figlioincruentemente offerto nell’Eucaristia per le mani dei vescovi edei presbiteri, un enorme problema risiede nel sacerdoziouniversale propugnato da Lutero: per ricevere la grazia divinanon occorre la mediazione di un clero istituzionalizzato, perchétra l’uomo e Dio c’è un contatto diretto. Partendo da questopresupposto, dunque, non c’è bisogno di un sacramentodell’ordine concepito per la remissione dei peccati e per lacelebrazione eucaristica. Dunque la Messa non è sacrificiodonato all’umanità quale mezzo supremo per placare l’ira delPadre verso il peccato mediante l’offerta del Figlio, operando eperpetuando costantemente la riconciliazione e lasantificazione delle membra (i battezzati) del Corpo mistico diCristo (la Chiesa), ma è soltanto “convito, banchetto, mensa”.

Una piccola, discreta ma dolorosa parentesi si imponedi aprire circa certi moderni movimenti ecclesiali in seno aiquali serpeggiano simili, ambigui pensieri (fosse pure perbuona fede, per carità!). So per esperienza diretta che ilCammino Neocatecumenale viene vissuto da persone dotate dicarità e ardore di fede encomiabili; tuttavia, in seno a talemovimento non è difficile constatare come si tenda aconfondere il sacerdozio regale di Cristo, a cui partecipanouniversalmente tutti i battezzati, dal sacerdozio ministeriale diCristo, al quale invece partecipano solo i consacrati nel

43 Ancora oggi è questa la retta dottrina della Chiesa Cattolica: cfr.Costituzione Liturgica Sacrosanctum Concilium n° 48, Conc. Ec. Vat. II.

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Sacramento dell’Ordine. Sulle loro celebrazioni liturgiche, poi,preferisco stendere un velo compassionevole, lasciandoall’autorità ecclesiastica l’onere di intervenire con fermezza ecarità: alcune di queste liturgie, infatti, si spingono veramenteai massimi eccessi, dove l’enfasi sulla cena, la mensa, ilgioviale banchetto, tende ad annullare quasi completamente ilmistero e l’intera teologia del Sacrificio Eucaristico.

Scrive giustappunto Lutero:

Nella vera Messa, fra puri cristiani, l’altarenon dovrebbe rimanere così e il sacerdotedovrebbe sempre rivolgersi verso il popolo,come ha fatto senza dubbio Cristonell’Ultima Cena. Ma attendiamo che iltempo sia maturo per ciò44.

Innanzi tutto questa affermazione di Lutero mostra laprofondissima incomprensione degli atti e dei segni compiutidal Signore Gesù nell’Istituzione dell’Eucaristia. La scelta delrivolgere l’altare non è davvero giustificabile col pretesto divoler compiere l’azione liturgica il più possibile conforme aquanto fece il Cristo la notte dell’ultima cena. Questo perché,nel mondo antico mediorientale sarebbe stato impensabile fareun banchetto col presidente della mensa a capotavola e tutti glialtri commensali di fronte a lui. Anche il Cristo segue l’usoantico del tavolo a sigma, ossia a mezzaluna, con tutti i

44 M. LUTERO, Messa tedesca e Ordine del Servizio divino, Ed. UTET,Torino 1967.

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commensali rivolti verso il medesimo lato della mensa, senzacioè che nessuno fosse posto frontalmente ad alcuno45.

In secondo luogo, realmente il “padre della solascriptura” dà un saggio della sua incapacità esegetica circa laScrittura stessa, proprio perché la intende avulsa dallaTradizione della Chiesa. Nel Vangelo di Giovanni, il SignoreGesù afferma di essere il pane disceso dal Cielo46, e che il panech’Egli dà è la Sua Carne per la vita del mondo: solo chimangia questa Carne ha la vita eterna. Sono le reazioni degliascoltatori a farci comprendere come Gesù non stesse affattoutilizzando una metafora: i Giudei presenti, infatti, per i qualisecondo le prescrizioni della Torah il cannibalismo è untremendo abominio, si sentono invitati a mangiare realmente –non simbolicamente né metaforicamente – la Carne del lorointerlocutore; di fronte a questa perplessità, Gesù non

45 La parte anteriore del medesimo tavolo rimaneva libera per consentire ilservizio delle vivande: i commensali sedevano o giacevano nell’emicicloposteriore del tavolo, servendosi assai spesso di un banco a forma di sigma.In origine il posto d’onore non era al centro, come si potrebbe credere, bensìal lato destro. Tale disposizione dei posti la ritroviamo regolarmente nellepiù antiche raffigurazioni dell’ultima cena fino in pieno medioevo. Gesùgiace o siede sempre al lato destro del tavolo. Solo all’incirca a partire dalXIII secolo comincia a imporsi un nuovo modello: il posto di Gesù è ora allato posteriore del tavolo in mezzo agli apostoli. Ciò sembrerebbeeffettivamente una celebrazione versus populum, ma in realtà non lo eraaffatto, perché il “popolo” cui il Signore avrebbe dovuto rivolgersi, come sisa, nel Cenacolo non c’era. Quindi l’argomentazione di Lutero si rivelainconsistente (F. AGNOLI, K. GAMBER, La liturgia tradizionale. Leragioni del Motu Proprio sulla Messa in latino, Ed. Fede & Cultura, 2007,pp. 43-44. / Cfr. Kl. Wessel, Abendmahl und Apostelkommunion,Recklinghausen, 1964 / Cfr. G. RICCIOTTI, Vita di Gesù Cristo, Ed. OscarMondadori, Milano 2007, pp. 615 e ss.).46 Gv VI, noto come il discorso nella sinagoga di Cafarnao.

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disambigua nulla, anzi rincara la dose, affermando che chi nonmangia la carne e non beve il Sangue del Figlio dell’Uomo nonpuò avere in se stesso la vita eterna. Di fronte al testogiovanneo, quindi, ci possiamo accorgere da noi stessi quantosia fumosa e inappropriata la dottrina della consustanziazione,rispetto alla razionale, innamorata crudezza divina del pane divita che è realmente Carne del Figlio di Dio.

Inoltre, nelle parole dell’istituzione dell’Eucaristia,durante l’ultima cena, Gesù dice del pane spezzato che esso è ilSuo corpo dato in nostro favore, e il vino del calice è SuoSangue versato per molti per il perdono dei peccati.

In quale evento il corpo è dato in sacrificio e il sanguedi Cristo è versato? Non di certo durante l’ultima cena, masulla Croce innalzata sul Golgota. Qual è l’evento col quale ilSignore riconcilia i peccatori al Padre Celeste, rimettendo ipeccati? Non certo con l’Ultima Cena, ma col sacrificio delGolgota. Vi è quindi il comando agli uomini – gli apostoli –scelti da Lui stesso per assistere a questa anticipazionemisteriosa (sacramentale ndr) della sua passione redentrice:“Fate questo in mio memoriale”. La parola memoriale è latraduzione del greco anàmnesis. Non significa banalmente“ricordo”, e neppure un po’ meno banalmente “evocazione”:significa rendere ancora e ancora presenti quegli eventi disalvezza. Per questo l’Apostolo Paolo può affermare, circa lafrazione del pane: “Ogni volta che mangiate di quel pane ebevete di quel calice, voi annunziate la morte del Signore, finoa quando Egli ritornerà”47.

47 1 Cor XI, 26.

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Per tal fine Gesù istituisce il Santissimo Sacramentoquando si trova solamente con gli apostoli: non costituisce“sacerdoti” tutti i suoi discepoli, uomini e donne, che loseguivano. Per lamissione sacerdotale atta alla santificazione e salvezza delleanime Egli sceglie determinati uomini, donando loro lo SpiritoSanto e la facoltà di rimettere i peccati48. Dunque il sacerdozioordinato è voluto dal Cristo per la continua rinnovazionedell’offerta sacrificale della Sua Passione e Morte al Padre eper la remissione dei peccati, per azione dello Spirito Santo:questo è ciò in cui la Chiesa ha sempre creduto fin dall’epocaapostolica, che i padri greci e latini hanno insegnato, e che, indefinitiva, la Santa Tradizione, i Concili e il Magistero deiSommi Pontefici hanno sempre creduto, conservato einsegnato, obbedendo al comando dell’Apostolo: “Gesù Cristoè lo stesso: ieri, oggi e sempre; non lasciatevi sviare da dottrinefalse e peregrine”49.

Si rammenti difatti come nel II secolo la Didaché parlidell’Eucaristia in quanto sacrificio (“thysìa”, Didaché XIV).Sant’Ignazio d’Antiochia nelle sue intense epistole scrive delpane eucaristico come carne di Gesù Cristo (“sàrx JesoùChristoù”, Lettera alla Chiesa di Smirne VII,1), con grandeinsistenza sulla realtà e concretezza di queste verità, inmanifesta opposizione all’eresia docetista. Tutta l’ininterrottaTradizione ecclesiale trasmette attraverso i secoli le verità dipresenza reale (si pensi al pane “eucaristizzato” di San

48 Cfr. Gv XX.49 Eb XIII, 7-9a.

46

Giustino, Apologia I) e di sacrificio (la Chiesa è, perSant’Ignazio d’Antiochia, “thysiasterìon”, sacrificatrice,Lettera alla Chiesa di Efeso V, 2; di Tralli, VII, 2; di Filippi,IV).

Lutero tutto ciò o lo ignora o lo calpesta.Il grande biblista ed esegeta San Girolamo, Padre della

Chiesa, che sulla scia di Origene, rimarcava l’importanzadell’esatta cognizione della lettera del testo della SacraScrittura (aspetto, questo che, per il Lutero della sola scriptura,era irrinunciabile), eppure riteneva che il fondamentale metodonell’interpretazione di essa fosse la sintonia col Magistero dellaChiesa, perché non si può leggere da soli la Bibbia, se non colrischio di trovare troppe porte chiuse per l’incapacità dicomprendere realmente il senso di un linguaggio assolutamentenon quotidiano né contemporaneo al lettore del XVI secolocome a quello del XXI secolo, finendo così per scivolarenell’errore. Per questo Girolamo raccomanda:

Rimani fermamente attaccato alla dottrinatradizionale che ti è stata insegnata,affinché tu possa esortare secondo la sanadottrina e confutare coloro che lacontraddicono50.

C’è poi il Lutero oscuro, quello delle invettive che – aldi là di certe leggende nere – letteralmente fanno accapponarela pelle.

50 San Girolamo, Epistola LII, 7.

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Se potessi l’ebreo io lo schiaccerei e lotrapasserei con la spada nella mia rabbia…Incendiate le loro sinagoghe o le loroscuole e ciò che non brucia seppellitelo conla terra e ricopritelo di sassi, in modo chenessuno ne possa più vedere una sola pietrao una sola macchia. E lo dovremmo fare inonore di nostro Signore e della cristianità,affinché Dio veda che siamo cristiani…Che si abbattano e si distruggano anche leloro case… Questi fannulloni esaccheggiatori non meritano alcuna graziae alcuna pietà… Vietate loro di lodare,ringraziare e pregare pubblicamente Dioquando sono vicini a noi e di insegnare,punendoli con la perdita del corpo e dellavita… Questi ebrei sono una cosa talmentedisperata, malvagia, avvelenata eimpossessata dal diavolo che sono stati esono da 1400 anni la nostra piaga, la nostrapestilenza e la nostra sciagura. Infine, conloro abbiamo veramente il demonio51.

Il “padre della riforma”, poi, non esita a incitare iprincipi a riportare alla ragione i loro contadini ribelli conmezzi non propriamente caritatevoli:

Ritengo che sia meglio uccidere deicontadini che i principi e i magistrati,

51 Martin Lutero, Gli ebrei e le loro menzogne, Wittenberg 1543.

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poiché i contadini prendono la spada senzal’autorità divina. [...] Il momento ètalmente eccezionale che un principe può,spargendo sangue, guadagnarsi il cielo.Perciò cari signori sterminate, scannate,strangolate, e chi ha potere lo usi. Cheognuno pugnali, picchi e strozzi chi può ese morirai, buon per te, perché non potraitrovare una morte più beata. Muori infattinell’ubbidienza alla parola e all’ordinedivino52.

E così via, avanti con la benedizione alle più sanguinosetorture contro le prostitute, alla condanna di morte per gliadulteri, alla soppressione dei bambini disabili perchérassomiglianti al demonio, alla manifesta volontà di uccidere ilpapa con le proprie mani.

A concludere:

Io non ammetto che la mia dottrina possaessere giudicata da alcuno, neanche dagliAngeli. Chi non riceve la mia dottrina nonpuò giungere alla salvezza53.

52 Nell’aprile del 1525 Lutero pubblicò l’Esortazione alla pace a propositodei dodici articoli dei contadini di Svevia. In questo scritto, con cuidimostrava di aver scelto ormai definitivamente l’alleanza coi signorifeudali, egli prendeva le distanze da quel movimento, esortando i principitedeschi alla soppressione delle “bande brigantesche e assassine deicontadini”.53 Martin Lutero, Weim., X, P. II, 107, 8-11.

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Questo è un Lutero sempre più agitato, sempre piùavvinghiato in gozzoviglie, quasi a distrarsi da tutto e da tutti,forse anche da se stesso.

Lo psicanalista M. Roland Dalbiez, studiando gli scrittiautografi di Lutero e le testimonianze incontrovertibili di chigli stava vicino, non esita a diagnosticare una nevrosid’angoscia gravissima, talmente grave che ci si può domandarese essa non sia dovuta a uno stato-limite alle frontiere tra lanevrosi, da una parte, e il raptus suicida, dall’altra parte, unautomatismo teleologico anti – suicida54. E in tale, drammaticadirezione Lutero sembra essersi incamminato, verso la propriafine.

Non poche testimonianze, tanto cattoliche quantoprotestanti, depongono a favore della tesi secondo la qualeLutero sarebbe morto suicida. La più celebre è senz’altro quelladi uno dei suoi domestici, Ambrogio Kuntzell:

Martin Lutero, la sera prima della suamorte, si lasciò vincere dalla sua abitualeintemperanza e con tale eccesso che noifummo obbligati a portarlo via, del tuttoubriaco, e coricarlo nel suo letto. Poi, ciritirammo nella nostra camera, senza nullapresagire di spiacevole! All’indomani, noiritornammo presso il nostro padrone peraiutarlo a vestirsi, come d’uso. Allora – oh,quale dolore! – noi vedemmo il nostropadrone Martino appeso al letto e

54 Cfr. M. R. DALBIEZ, L'angoisse de Luther, Téqui, Paris 1974.

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strangolato miseramente! Aveva la boccacontorta, la parte destra del volto nera, ilcollo rosso e deforme. Di fronte a questoorrendo spettacolo, fummo presi tutti da ungrande timore! Non di meno corremmo,senza alcun ritardo, dai prìncipi, suoiconvitati della vigilia, ad annunziare loroquell’esecrabile fine di Lutero! Costoro,colpiti dal terrore come noi, ciimpegnarono subito, con mille promesse ecoi più solenni giuramenti, ad osservare, suquell’avvenimento, un silenzio eterno, eche nulla di nulla fosse fatto trapelare. Poi,ci ordinarono di staccare dal capestrol’orribile cadavere di Lutero, di metterlosul suo letto e di divulgare, dopo, in mezzoal popolo, che il “maestro Lutero” avevaimprovvisamente abbandonata questa vita.

Volendo procedere a rigore d’onestà intellettuale, è doverosoaddurre sia gli elementi a favore che quelli contrari atestimonianze di questo tipo. Cominciamo con i datisfavorevoli. Lutero muore il 18 febbraio 1546. Latestimonianza del domestico esce in pubblicazione ad Anversanel 1606, ad opera dello scienziato Sedulius. È vero che il testoparla di giuramenti fatti dai servi per non rivelare la tragica finedel padrone; ma, nel contesto di una “verità processuale”, ladistanza di sessant’anni dagli eventi narrati sicuramenteinciderebbe non poco.

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Quali elementi, dunque, si possono addurre a favore ditale deposizione?

Essenzialmente due.Fu il medico De Coster a venir convocato per constatare

la morte di Lutero, e la sua diagnosi fu in effetti conforme aquanto racconta il servo: bocca ritorta, una parte del voltoannerita, collo rosso e deformato. Il giorno dopo LucasFortnagel realizzò un’incisione, giuntaci intatta, che in effetticomprova non pochi elementi della diagnosi del medico e delladeposizione del servo: la bocca ritorta, il collo deformato, lametà sinistra del volto annerita. Jacques Maritain ha pubblicatoquesta incisione nella sua opera I tre riformatori55, peraltroenunciando una lugubre lista di discepoli, amici e compagni diLutero morti suicidi.

55 Essi sono i Padri di alcuni errori dell’età moderna. Questo non significache, in essi, tutto è negativo, ma che tra le loro affermazioni ce ne sono al-cune che sono le cause di alcuni grossi squilibri. Il “cancro” dell’etàmoderna si chiama “soggettivismo”: esso è l’esaltazione e l’esasperazionesolo della soggettività, a scapito o rifiuto dell’oggettività. Non si rifiutano,dunque, i valori dell’interiorità o dell’esperienza personale, ma si negal’esclusivizzazione della dimensione soggettiva a scapito della dimensioneoggettiva. L’uomo tende a rivendicare per sé stesso quello che la filosofiaclassica attribuiva a Dio, e quindi a rimuovere ogni costrizione esterna, ogni“eteronomia”. Il Vangelo parla, invece, di dare gloria a Dio e di “rinnegarese stessi” (Mt 16,24). Tutto ciò che non sgorga dal di dentro, per ilsoggettivismo, è considerato nevroticamente un attentato alla libertà (pp.27-28). Il grande fatto – introdotto dalla Riforma e dal Rinascimento – èl’avvento dell’io, che rompe con i legami oggettivi che lo equilibravano.Lutero, Cartesio e Rosseau operano la rottura e la liberazione dell’io su trelinee diverse, in tre campi diversi. [F. P. GABRIELLO, Jaques Maritain, iTre (falsi) riformatori, in <<Fede e Cultura>> n. 9 (2003)].

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Il secondo elemento a favore della tesi del suicidio diLutero è la sua maschera funebre, che corrobora l’elementodella bocca ritorta in modo innaturale.

Suicida per strangolamento o impietosamente decedutoper coma etilico a seguito dell’ennesima gozzoviglia a base dialcol e affini, il dato di fatto incontrovertibile è la mortedrammatica e indecorosa del padre della riforma protestante.

Una conclusione storico – esegetica oggettivamenteonesta su Lutero non può che essere questa.

Senza dubbio dobbiamo rivolgere a Lutero deirimproveri severi su alcuni degli atteggiamenti che ebbequando ancora viveva la vita del convento; nella suacostituzione psichica, poi, sono senz’altro rintracciabilielementi oscuri, tratti morbosi, specie nell’ultima fase della suaesistenza; molte parti della sua dottrina vanno giudicate comeopposte alla retta fede cattolica, e dunque considerate eresie; ètriste e doloroso dover ammettere che le posizioni di Luterotrovano le proprie basi sulla situazione di sfacelo della realtàecclesiastica del suo tempo e sulla teologia di una pseudo –scolastica degradata ed infarcita di umanesimo filosofico –mondano; e d’altro canto non si può non ammettere che Luterosia come monaco che come predicatore abbia lottato (finché lesue turbe più profonde non ebbero preso il sopravvento su dilui) con una interiorità ed una serietà irriducibili, combattendoin primo luogo per la salvezza della propria anima ed, anzi,temendo per essa56.

56 Cfr. J. LORTZ, op. cit., pp. 108 e ss.

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I. 4. SENZA LUTERO, NIENTE BACH?

Torniamo ora alla domanda che ci siamo postiall’inizio: senza Lutero non avremmo avuto Bach? Sì e no,potremmo dire.

Non lo avremmo avuto coi suoi corali per organo,poiché il corale è la forma di canto liturgico per eccellenzaadottata da Lutero per la liturgia riformata, tanto che Luterostesso compose alcuni corali.

Tuttavia, a mio avviso, non è del tutto esatto sostenereche Bach non avrebbe composto le sue musiche cosìintrospettive, filosofiche e atte a “muover l’affetto” se si fossetrovato in un contesto come quello della liturgia cattolica,dove la musica del tempo aveva piuttosto un solenne e santoruolo di ornamento, pari agli splendori delle arti figurative, deiparamenti, dei vasi sacri.

Se è vero che la musica cattolica d’epoca barocca nonpossiede quelle profondità psicologiche e metafisiche propriedella musica di Bach, forse la ragione andrebbe ricercata piùche altro nel talento di Bach stesso, indubbiamente superiore aisuoi contemporanei, non tanto nei bisogni del culto cattolico,che invece, come ci dimostrano i trattati di musica dell’epoca,non disdegnava affatto e anzi ricercava la descrizione diun’emozione e il suscitare stati d’animo che corroborassero ladevozione e la preghiera.

Il Quarto Tuono rende l’Armonialamenteuole mesta e dogliosa. Il Registro

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principale con il tremolo farò quest’effetto,ouero in qualche Registro del Flautosonato nelli suoi tasti naturali con lemodulationi appropriate. Questo Tuono, &il Secondo, sono quasi d’vna medesimaArmonia; ve ne seruirete per sonar’ allaleuatione del Santissimo Corpo, & Sanguede N. S. Giesu Christo, innando con ilsonare li duri & aspri tormenti dellaPassione57.

Alla levatione del S. Sacramento usaregravità & affetto, acciò gli divoti possinomentalmente considerare quelle melodiecelesti concertate da gli Angeli santi avantila Maestà Divina58.

La musica, dunque, anche in casa cattolica aveva unruolo fondamentale, «per sollevare la mente alla riflessionedella gloria e beatitudine del Paradiso» come possiamo leggerenella Relatione delle cerimonie nella Beatificazione delglorioso Servo di Dio Giovanni della Croce. I toni gregorianivenivano inquadrati sempre di più anche in base alla lorocoloritura e all’impressione che erano in grado di suscitare:

57 G. DIRUTA, Il Transilvano. Seconda parte: Discorso sopra il concertarli registri dell'organo, in Venetia, appresso Alessandro Vincenti,MDCXXII, A/I D3138.58 A. BANCHIERI, Armoniche conclusioni nel suono dell’organo. Copiad’una lettera scritta dal Sig. Agostino Agazzari à un Virtuoso Sanese suocompatriotto, in Bologna, per gli Heredi di Gio. Rossi, MDCVIIII, ristampaanastatica Arnoldo Forni, Bologna 1981.

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Qualche autore ha preteso di attribuire aciascun modo una specifica caratteristicaespressiva di un determinato sentimento.Questa qualità è denominata “eticamodale”. Guido d’Arezzo dice: “Il primo ègrave, il secondo triste, il terzo mistico, ilquarto armonioso, il quinto allegro, il sestodevoto, il settimo angelico e l’ottavoperfetto”. Adàn de Fulda così li commenta:«Il primo modo si presta a ogni sentimento,il secondo è adatto alle cose tristi, il terzo èveemente, il quarto è tenero, il quinto siaddice agli allegri, il sesto alle persone diprovata pietà, il settimo attiene allagioventù e l’ottavo alla saggezza». Juan deEspinosa, autore del secolo XVI,commenta a sua volta: «Il primo è allegro emolto adatto per attenuare le passionidell’animo…; grave e piangente il secondo,molto appropriato per provocare lacrime…;il terzo è molto efficace per incitareall’ira…; mentre il quarto prende in sé ognigioia, incita ai diletti e calma la rabbia...; ilquinto produce allegria e piacere a coloroche sono tristi…; lacrimoso e pietoso è ilsesto…; piacere e tristezza si uniscono nelsettimo…; per forza dev’es- sere molto

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allegro l’ottavo…» (Trattato dei principi,del 1520)59.

Forse non avremmo avuto il Bach dei corali; ma, se in Italiaabbiamo avuto la poeticità immensa, sobria, tanto maestosaquanto all’occorrenza strappalacrime di Girolamo Frescobaldi,in Germania vi sarebbe comunque stato il Bach delle grandipagine libere, delle Toccate, dei Preludi, delle Fantasie e delleFughe, e d’altro canto, la poeticità della musica bachiana, unmisto meraviglioso di amore e fede, umanità e spiritualità,avrebbe senza dubbio trovato un’altra via.

Per terminare questa carrellata di materiale utile acontestualizzare la musica organistica bachiano, occorrespendere ancora un po’ di tempo sul servizio divinoprotestante.Innanzitutto dobbiamo toglierci dalla testa che il culto luteranoin cui Bach presta servizio sia come quello praticato dallechiese pentecostali (nate in seguito a ulteriori scissioni rispettoal ceppo protestante originario), col pastore in giacca e cravattache, quasi fosse uno show-man, grida: “Halleluja!”, al ritmo dibatterie assordanti e chitarre elettriche ruggenti. Molti studiosi,in tempi recenti, si sono adoperati per restituirci l’idea del cultoprotestante dell’epoca bachiana: basti rammentare imonumentali saggi di Cristoph Wolff e di Alberto Basso.Sempre in anni recenti, è giunto uno splendido contributo insoccorso dei giovani cultori della musica bachiana: la Missa

59 G. VIANINI, Metodo di Canto Gregoriano, con il contributo diAmbrogio De Agostini, Milano 2003, pag. 33.

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Epifania dell’epoca di Bach, ricostruita ed eseguita da PaulMc-Creesh60. In un modo estremamente pratico, con questostupendo elaborato è immediatamente possibile farsi un’ideachiara e precisa di come si svolgesse il culto in una grandechiesa luterana durante una solennità. Si tratta di una liturgiamolto, molto lunga (più di due ore), che si snoda come segue:

- Preludio dell’organo al corale d’ingresso- Corale d’ingresso- Introduzione al Kyrie

(ad esempio con una toccata di J. Pachelbel)- Kyrie e Gloria, per soli, coro e orchestra- Orazione colletta- Lettura dell’Epistola- Inno graduale cantato da tutta l’assemblea- Proclamazione del Vangelo- Introduzione alla cantata da eseguirsi dopo il Vangelo

(solitamente una breve toccata)- Cantata sul tema liturgico della celebrazione corrente, per

soli, coro, e orchestra- Canto del Credo da parte di tutta l’assemblea- Saluto liturgico e ammonizione (“La grazia e la pace del

Signore nostro…”)- Corale per organo- Corale che introduce al Sermone del pastore, cantato

dall’assemblea

60 P. MCCREESH, Bach, Missa Epifania. Una liturgia per la natività, CD,in allegato a <<Classic Voice>> 103 (2007).

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- Sermone.- Corale per organo.- Inno di ringraziamento cantato da tutta l’assemblea.- Preludio per organo.- Prefazio (“Il Signore sia con voi. R. E con il tuo spirito”.

“In alto i nostri cuori. R. Sono rivolti al Signore”)- Sanctus, per soli, coro e orchestra.- Padre Nostro.- Racconto dell’Istituzione dell’Eucaristia.- Corale per organo.- Cantata per la Comunione.- Corale per organo.- Inno, cantato dall’assemblea.- Corale per organo.- Corale per l’Agnello di Dio, solitamente cantato

dall’assemblea.- Comunione.- Canto del Post-communio.- Orazione dopo la Comunione.- Formula di benedizione e congedo.- Corale per organo.- Inno finale, cantato dall’assemblea.- Grande pagina libera per organo (Toccate, Preludi, Fantasie e

Fughe).

Certamente una celebrazione estremamente ricca e nutrita,splendente quanto a bellezza musicale, solenne quanto apartecipazione e arte celebrativa. È in un contesto cosìgrandioso e articolato che va concepita l’opera di Bach:

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difficilmente, infatti, essa può essere compresa, al di fuori dellacelebrazione liturgica, in una condizione che altrimenti è unmero diletto estetico, ma nulla più, mentre invece – si tratti delcorale per organo come della pagina libera – abbiamo a chefare con vere e proprie orazioni musicali, attentamente studiate,meticolosamente elaborate e devotamente costruite.

Come ho già detto in altro luogo61, tra i libri di Bach cisono infine gli scritti del teologo Johann Arndt, che sono delletrattazioni sul concetto di fede e delle “letture edificanti”.Cuore di questi testi è la unio mystica, ossia l’unionedell’anima del credente con il Salvatore, nell’attesa dellavenuta e del ritorno del Signore. Anche in questo caso èquantomeno interessante la consultazione e l’attenta lettura nonpriva di annotazioni e di sottolineature, da parte di colui che,secondo alcuni critici, musicologi e “sapienti” sarebbe stato unsemplice mercenario dell’organo, un lavoratore non più ditanto interessato alla liturgia, una persona la cui fervida fedesarebbe solo una favola per ingenui e melanconici devoti.

In questo processo storico ed esegetico mirato sovente auna vera e propria laicizzazione di J. S. Bach, in un mondo e inuna società nella quale si esige sempre più che tutto siastaccato da Dio e che Dio sia staccato da tutto, emerge,all’esatto contrario di quanto molti sperano e desiderano, lafigura di un uomo ispirato, non solo dal suo straordinariotalento musicale ma anche dalla sua fede.

61 A. CERVELLI, Bach: tra amore e fede. Apologia ed analisi dellaGrande Fantasia e Fuga, Ed. Bonanno, Roma 2013.

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Bach è stato un servo fedele della liturgia, comeprovano alcune delle sue numerose opere – pensiamo peresempio all’Orgelbuchlein, dedicato dall’autore stesso a lodedel Sommo Dio e al prossimo, perché si istruisca; alleinnumerevoli cantate sacre; alla Messa in Si minore –, unservizio che nasce dalla sua partecipazione attiva emusicalmente creativa al mistero di fede del quale la liturgia èstrumento di grazia nel rapporto tra Dio e l’uomo e tra l’uomoe Dio.

La sua è una fede concreta anzi, letteralmente“concretata” in un risultato artistico/artigianale quali sono lesue musiche. Vale la pena di addurre un esempio pratico: laCantata BWV 61 si apre con un maestoso contrappuntosull’inno d’Avvento Nun komm, der Heiden Heiland (come giàdetto, sulla melodia dell’inno Veni Redemptor Gentium di S.Ambrogio vescovo di Milano) che vuole esprimere la solenneentrata nella storia e nel mondo del Figlio di Dio, del Re deiRe. Bach si trova dunque nella necessità di introdurre a untempo l’inno in modo adeguato all’affetto e condurrel’ascoltatore alla percezione immediata della grandezza regaledi tale evento.

Cosa poteva fare un abile artigiano di tale calibro?Semplice: introdurre la cantata con un’entrata regale, nelcarattere di ouverture francese; da un lato si osserva così uningegno professionale eccellente mentre dall’altro emergeun’attenzione alla mistagogia del culto divino pronta e limpida.Lo spirito scende nella carne, nelle opere partorite dall’abilitàd’ingegno e di tecnica. In poche parole, si tratta di una fedeviva concretata in musica, come è naturale che sia. Ma perché?

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È sufficiente guardare al Crocifisso. Una bellezzaumana, addirittura fisica, che tuttavia porta in sé e svela agliocchi di carne degli uomini e delle donne di questo mondo laDivina Bellezza, la Bellezza di Dio, che col trascorrere deglianni non appassisce, ma che, dopo averla incontrata e seguitacon amore, produce in chi l’ha accolta il frutto della vita eterna.Questa Bellezza è Colui che, essendo il Bel Pastore (o poimèno kalòs) che sacrifica la vita per le sue pecorelle, spalanca lebraccia su una croce romana. E’ talmente bello quel sacrificio,pur nella sua violenza e nella sua cruenta visione, che da secoligrandi artisti hanno preso alla lettera le parole del Salmo 44,“Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle tue labbra èdiffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre”, regalandocicrocifissi artistici di enorme valore e di immensa bellezza. Inoro, argento, legno, avorio, bronzo o in qualsiasi altro materialeimpiegato, con tratti ora scultorei e particolarmente mascoliniora gentili e delicati come la stessa grazia celeste: il corpo delCristo confitto in croce attira a Sé gli sguardi e, come ilserpente issato sul bastone di Mosè salvava gli israeliti morsidalle serpi velenose, così guardare quell’Assoluta Bellezza chemuore e risorge per il peccatore salva colui che è stato morsoed avvelenato dalla serpe del peccato, inoculandogli il sierosalvifico della Grazia Divina.

Bach purtroppo non può godere della consolazioneprofonda e cosciente che viene dai Sacramenti, nei quali laGrazia opera mediante le parole del ministro validamenteordinato, ma anche tramite materia che cade sotto i sensiumani: tatto, gusto, olfatto, udito, vista. La Carne del Signore sigusta nel sapore del pane. L’Eucaristia si vede e si adora nella

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gloria della bella liturgia, dove l’udito è colpito dalla musica edal canto e l’olfatto dalla fragranza dell’incenso. L’unione dellapropria sofferenza fisica al mistero della Croce passa attraversoil conforto di un contatto fisico: l’olio santo e le maniconsacrate del presbitero, per mezzo delle quali è Cristo stessoche ci tocca e ci consola. La dimensione religiosa luterana harinunciato a questa fede nella concretezza e realtà della Graziamediante i Sacramenti, ma chi vi si trova dentro fin dallanascita resta pur sempre uomo, con le aspirazioni proprie di unessere incarnato in questo tempo e in questa storia. Ecco perchéBach cerca l’unio mystica, questa unione profonda e veradell’anima credente al suo Salvatore non inseguendola per viadi fervorini insipidi. Da uomo energico, virile, talvolta perfinorude qual è, Bach vive i drammi e le aspirazioni della sua vitatendendo verso quel Regno di luce infinita. La sua musica,dunque, altro non è che il segno di questo bisogno umano,carnale e spirituale a un tempo; è testimonianza di un incontronella fede tra il Cielo e un uomo che ne ha concretato l’esitocon il frutto del suo intelletto artistico e delle sue pratiche edesperte mani d’artigiano. Potremmo osare dire che, in Bach, ildesiderio ardente di “comunione spirituale” col DivinoRedentore si è fatto musica, ossia materia per il senso umanodell’udito.

Nello slancio di Johann Sebastian verso il cielo nel suoanelare all’unio mystica, si può come intendere quello sforzo disincera contemplazione di cui parla tanto poeticamenteSant’Anselmo:

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Entra nell'intimo della tua anima, escludi tuttotranne Dio e quello che ti aiuta a cercarlo, e,richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, dì oracon tutto te stesso, dì ora a Dio: Cerco il tuovolto. «Il tuo volto, Signore, io cerco». Orsùdunque, Signore Dio mio, insegna al miocuore dove e come cercarti, dove e cometrovarti. Signore, se tu non sei qui, dovecercherò te assente? Se poi sei dappertutto,perché mai non ti vedo presente? Ma tu certoabiti in una luce inaccessibile. E dov'è la luceinaccessibile, o come mi accosterò a essa? Chimi condurrà, chi mi guiderà a essa si che inessa io possa vederti? Inoltre con quali segni,con quale volto ti cercherò? O Signore Diomio, mai io ti vidi, non conosco il tuo volto.Che cosa farà, o altissimo Signore, questoesule, che è così distante da te, ma che a teappartiene? Che cosa farà il tuo servotormentato dall'amore per te e gettato lontanodal tuo volto? Anela a vederti e il tuo volto gliè troppo discosto. Desidera avvicinarti e la tuaabitazione è inaccessibile. Brama trovarti enon conosce la tua dimora. Si impegna acercarti e non conosce il tuo volto. Signore, tusei il mio Dio, tu sei il mio Signore e io non tiho mai visto. Tu mi hai creato e ricreato, mihai donato tutti i miei beni, e io ancora non ticonosco. Io sono stato creato per vederti eancora non ho fatto ciò per cui sono statocreato. Ma tu, Signore, fino a quando ti

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dimenticherai di noi, fino a quando distoglieraida noi il tuo sguardo? Quando ci guarderai e ciesaudirai? Quando illuminerai i nostri occhi eci mostrerai la tua faccia? Quando ti restituiraia noi? Guarda, Signore, esaudisci, illuminaci,mostrati a noi. Ridonati a noi perché neabbiamo bene: senza di te stiamo tanto male.Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostrisforzi verso di te: non valiamo nulla senza te.Insegnami a cercarti e mostrati quando ticerco: non posso cercarti se tu non mi insegni,né trovarti se non ti mostri. Che io ti cerchidesiderandoti e ti desideri cercandoti, che io titrovi amandoti e ti ami trovandoti62.

E’ lo stesso Gesù, Figlio di Dio a dirci da duemila anniche il Regno dei Cieli soffre violenza, e i violenti se neimpadroniscono63. È la santa violenza di coloro che siimpossessano del Regno dei Cieli a prezzo di ciò che agliocchi del mondo appare come dura rinuncia, mentre altro non èche il coraggio di scegliere, tra molte cose, ciò che c’è dimeglio: il vero e autentico Bene. È la violenza malvagia dellatirannia delle potenze demoniache, e dei loro servi terreni, iquali pretenderebbero di conservare il dominio di questomondo.

62 Sant’Anselmo d’Aosta, vescovo, Proslògion, cap. 1: Opera omnia, ed.Schmitt, Seckau-Edimburgo 12938, 1, 97-100.63 Mt XI, 12.

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Infine, è la violenza con cui il Regno dei Cieli stesso sifa strada, ossia si stabilisce con forza, distruggendo tutti gliostacoli.

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CAPITOLO IIQUANDO SUONI ED ARMONIA DIVENTANO

FEDE VISSUTA…

Se l’Incarnazione nel suo aspetto regale è resa da Bachcon una overture francese, l’incontro dell’umanità col Verboche discende dal Cielo come viene descritto nell’universobachiano dei suoni?

Tra i Corali per organo del Manoscritto di Lipsia, ven’è uno di particolare, sublime bellezza: il corale Nun komm,der Heiden Heiland, BWV 659.

Come ben spiegano grandi commentatori del calibro diAlbert Schweitzer e Michael Radulescu, la melodia cantata nelregistro di solo dalla mano destra (rigo in chiave di violino),assommandosi alle voci dei contralti e dei tenori (rigo in chiavedi Do) alla mano sinistra, rappresentano l’umanità orante, cheattende con struggimento e ardente orazione la discesa delRedentore. I passi del Redentore che va incontro a questa

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umanità sono affidati ai maestosi bassi della pedaliera (rigo inchiave di Basso).

La pedaliera si muove con note d’ottavi messe in scala,quasi a mimare i passi, la discesa dal cielo. Ed è proprio perchési tratta di un’operazione divina che tale parte è affidata alpedale: solo i suoni robusti, potenti e maestosi della pedalieradell’organo sono in grado di creare l’affetto (ossia lapercezione dell’emozione razionale) della discesa dal cielo delVerbo Incarnato, descrivendo a un tempo all’orecchiodell’ascoltatore sia questo movimento di discesa, sia lecaratteristiche di Colui che discende, ossia il Figlio di Dio:maestà, grandezza, potenza infinita che fanno sentire all’uomola sua piccolezza da un lato, e il suo essere considerato oggettodell’amore di Dio dall’altro, al punto che è Dio stesso aincamminarsi verso l’essere umano e a chinarsi su di lui.

Da qui possiamo oltretutto comprendere meglio l’utilitàdi una retta intesa dei colori dell’organo per Bach: è davveronecessario saper miscelare bene le sonorità, oltre cheapprontare esecuzioni decenti che facciano funzionare il pezzo.L’uso sapiente dei registri, infatti, unito a una buonaesecuzione colpisce le orecchie e il cuore di chi ascolta, ed è ingrado di consolare, far innamorare, far pregare, aiutare losfogo, confortare nel pianto, rinfrancare dalla fatica. Quantoabbiamo detto sul corale preso in esempio può già dimostrarciche non stiamo parlando di fumose questioni campate per aria,ma di elementi importanti e tangibili, e proprio per questodegni di essere considerati per uno scopo essenzialmentepratico, non meramente intellettuale o speculativo: il bene delleanime.

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Lo abbiamo già affermato all’inizio di questeriflessioni: si può comprendere appieno l’arte di Bach soloquando si è in grado di abbracciare in un unico colpo d’occhiogrammatica e tecnica musicale, linguaggio artistico e artigiano,esperienza umana e di fede.

Un altro esempio pratico per comprendere questacomplessa e affascinante dinamica tra suono e fede èl’Orgelbuchlein, sintesi mirabile tra suono e teologia, checoncretizza questo concetto, apparentemente complesso, mafondamentale.

L’Orgelbuchlein: un modello insuperato diliturgia armoniosa ed essenziale, dotta esemplice, che riassume ed esalta con pochepennellate il dogma e la pietà delCristianesimo64.

E Bach di suo pugno sul frontespizio di quest’operaannotava:

Piccolo libro d’Organo nel quale si dà adun organista principiante un metodo pereseguire in tutte le maniere un corale e, nelmedesimo tempo, per perfezionarsi nellostudio del pedale, poiché è trattato in modoobbligato. Al solo Dio supremo peronorarLo, al prossimo perché si istruisca.

64 P. SANTUCCI, L’opera omnia organistica di J. S. Bach, Ed. Berben,Ancona 1976, pag. 91.

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Autore Joane (sic) Sebast. Bach p. t.Capellae Magistro S.P.R. AntheltiniCotheniensis65.

Sono due gli elementi che colpiscono il lettore di questalunga didascalia: 1) per Bach i corali dell’Orgelbuchleinrappresentano quanto dovrebbe saper fare un organista dilivello – base, per formare il quale il grande Maestro hapensato di compilare questa sorta di “manualetto”; 2) la frasefinale non può lasciare indifferente l’occhio che vi si posa:“All’unico Dio Altissimo per onorarLo, al prossimo perché siistruisca”. In essa si scorge quella costante (e per certiintellettuali laicisti, “fastidiosa”) preoccupazione di Bach per ilDio supremo, culmine ultimo di tutte le sue aspirazioni, fonte epilastro di tutta la sua vita interiore; poi viene il prossimo, dicui Johann Sebastian fa un oggetto di cura e di studio, al puntoche, forse, si potrebbe scorgere una sottile punzecchiatura –tesa a spronare al miglioramento – in quel “perché si istruisca”.

Poiché non c’è niente di nuovo sotto il sole, ancheallora, come oggi, gli autentici musicisti che ponevano lapropria arte al servizio della bellezza s’imbattevano in unprossimo recalcitrante nell’accettare i connotati della vera arteliturgica. Per Bach questi soggetti erano individuimusicalmente ineducati, al punto di avvertire la necessità dispronarli. Una tale dedica vergata da mano così autorevole, sefa onore all’autore, non lusinga di meno il “destinatario”;qualunque giovane organista dovrebbe anzi sentirsi oggetto di

65 P. SANTUCCI, op. cit., pag. 91.

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questo severo, burbero ma anche paterno invito: chi prende inmano l’Orgelbuchlein per imparare a suonare l’organo devesentir riversare su di sé la cortese attenzione del grandeMaestro che l’ha messo insieme. Come molti ben sanno,l’Orgelbuchlein si presenta composto da 46 Corali per organocomposti sulla base del significato teologico dei testi cui siispirano: sono composizioni che svolgono la mansione diintrodurre al canto dell’assemblea e calare l’ascoltatore neldovuto clima di preghiera; il corale per organo lo possiamointendere come un invito, un suggerimento, un ripasso per ifedeli, e può essere fatto nei modi più disparati, a patto che lamelodia da dover poi cantare sia riconoscibile.

E’ difficile stabilire se Bach abbia concepito questomanuale d’organo proprio durante la sua ingiusta prigionia aWeimar, dal 6 novembre al 2 dicembre 1717. Il lavoro in effettifu pubblicato a Coethen fra il 1717 e il 1723; le pagine,secondo non pochi esperti, sembrano anteriori al soggiorno diJohann Sebastian a Coethen. Qui, peraltro, Johann Sebastiannon poté dedicarsi alla musica sacra di proprio gusto: Coethenera una corte calvinista, dove era vietato praticare musicareligiosa dall’estetica elaborata. In questo ambiente Bach finìdunque col coniugare al modesto incarico di Kapellmeisterquello di direttore della musica da camera. In un climaamichevole e disteso, dunque, (anche se appunto non cosìincline all’amata musica sacra) Bach agisce come al suo solito:rivede, ritocca, corregge tutto il materiale precedentementerealizzato. Avendo deciso di realizzare un lavoro perl’insegnamento, non poteva non essere perfetto. È assai piùprobabile che Johann Sebastian stesse lavorando già da un po’

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di tempo a questo progetto e abbia approfittato di quel riposoforzato a Weimar per ultimarlo, revisionarlo, dare qualcheprezioso colpo di lima66. Comunque sia, l’immagine di Bachche nello squallore della prigione mette manoall’Orgelbüchlein, fa assumere alla dedica un significato ancorpiù denso: quei 46 Corali per organo si fanno a noi più vicini,più nostri.

Qualcuno ha notato che, rispetto al corpus dei coraliprevisti dal culto protestante, l’opera bachiana si presentaincompiuta: l’intero repertorio di corali tedeschi è di 164 brani,mentre Bach ha realizzato solo 45 preludi per organo, di cuil’ultimo è presentato in due varianti diverse. Perché Bach nonha terminato il lavoro? È improbabile che l’abbia bloccatol’insostenibilità dell’impegno che avrebbe richiesto larealizzazione di tutti i corali, dato che Johann Sebastian inqueste cose risulta sempre un oceano inesauribile! Forse non neha avuto il tempo, dato che a Coethen non era organista equindi aveva altro da fare? Ma allora avrebbe mai pubblicatouna sua opera incompiuta? È assai più plausibile, per non direlogicamente probabile, che l’Orgelbuchlein non volessecostituire un intero repertorio liturgico per l’organista, bensì un

66 Il musicista fece poi ritorno a Weimar per risolvere con Wilhelm Ernst laquestione del proprio congedo: l’incontro degenerò, e Ernst fece incarcerareil riottoso musicista nella prigione del ducato di Weimar, e ve lo tennedetenuto dal 6 novembre al 2 dicembre. Infine, Ernst si risolse a liberareBach e ad accordargli il congedo dalla sua corte, e il musicista potè cosìassumere ufficialmente e definitivamente la funzione di kapellmeister aCoethen. A quel che si sa, Bach, nel periodo di detenzione nel carcere diWeimar, si dedicò alla revisione di alcuni Corali dell’Orgelbuchlein.(Cfr. A.MOLTENI, Johann Sebastian Bach. La vita, le opere, Edizioni BlueBrothers, Milano 1998).

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manuale, una scuola, un insegnamento su come ben intervenirenel culto, allorquando l’organo è chiamato a introdurre ecommentare il canto: in tal senso, allora, il Piccolo Librod’Organo ci risulta in sé ben compiuto e strutturato.

Il motivo per cui è parsa cosa buona accennare quibrevemente all’Orgelbuchlein è presto detto. Al giorno d’oggi,si tratti d’ideologie oppure semplicemente diun’organizzazione degli studi e della cultura fatta a isolaticompartimenti stagni, un’operazione esegetica di sufficientechiarezza appare ai più come “qualcosa che non sta né in cieloné in terra”… appunto! Per capire davvero Bach, invece,bisogna stare sia in cielo che in terra, ossia nella suadimensione terrena e umana così come in quella trascendente ecristiana. Quel che spesso non si rammenta è la rigorosafunzionalità del corale: se già la pagina libera (toccate, fantasie,preludi e fughe) è funzionale al culto – ad esempio, lointroduce oppure lo conclude –, il corale è assai piùintimamente legato alla liturgia, perché da essa trae il momentoispirativo e in essa si inserisce come forma, risultandonecondizionato circa la durata e i tratti caratteristici.

Va da sé, quindi, come il corale per organo sia unlavoro più vincolato, con una libertà più controllata, con unapoeticità protetta dalla regola: fra questi binari precostituitidalle necessità liturgiche del culto protestante, Bach cidimostra di saper lavorare con un’intelligenza e un amoresenza limiti di sorta: inquadra tutto il materiale musicale in unavisione sistematica e precisa, in cui la sua creatività, la sualibertà, la sua fantasia di organista e la sua ispirazione dicristiano si mettono in umile servizio della comunità dei fedeli,

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per offrire ad essa solo cose autentiche e valide, non di certosottoprodotti in senso consumistico. Quindi non si escludeaffatto la partecipazione personale e penetrante che l’organistaesecutore deve sentirsi nascere nel cuore e infondere nellamusica secondo l’“affetto” di quel canto ch’egli è chiamato apreludiare.

Diremo di più!È proprio il lasciarsi andare alla bellezza di questi corali

che ne rende poi viva l’esecuzione, come sottolinea J.Mattheson, affermando che i corti preludi che sgorgano dallafantasia dell’organista devono tendere ad esprimere, attraversole figure sonore, la passione stessa alla quale si riferiscono leparole del Corale che la comunità dovrà cantare. Se questo valeper i corali di modesta durata dell’Orgelbuchlein, cosa maidovremmo pensare di fronte a quelle “gigantografie musico –teologiche” che sono i Corali del Manoscritto di Lipsia (comeil Nun Komm, di cui abbiamo parlato)? Bach sarebbe dunqueda intendersi come una sorta di “quinto evangelista”?

Tutta la questione ruota attorno a un preciso termine: ilpietismo.

È innegabile che la diffusione delle dottrine legate allariforma luterana abbia generato vere e proprie disputeteologiche tra cristiani riformati separati dalla Chiesa Romanae cristiani cattolici, fedeli al magistero fondato sulla roccia

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petrina, il papa, e sulla Scrittura letta e trasmessa in seno allaTradizione e al Depositum Fidei67.

Se tali diatribe apparivano altamente stimolanti perteologi, filosofi e intellettuali del tempo, sembravano però futiliesercizi di reciproco annientamento agli occhi di non pochisemplici credenti. Il pietismo, dunque, nient’altro è se non unfenomeno di vasta portata spirituale, sorto nel tentativo diravvivare il nocciolo della fede cristiana, nella speranza diriportarlo alla sua intima genuinità, ponendo l’accento sullaqualità dell’esperienza personale del credente esull’applicazione pratica della fede: aspetto, quest’ultimo, chedeve potersi riscontrare in un impegno quotidiano del credenteper alimentare una pietà che dia frutti visibili.

Il cristianesimo secondo il pietismo viene quindi vistopiù come vita che come dottrina, più come esperienza concretache sapienza. Il pietismo in pratica reagiva all’aridità dottrinaledelle diatribe circa l’ortodossia, sentite come sterileintellettualismo. Ad A. Jakob Spener (1635-1705) viene

67 Il Deposito della Fede costituisce l’unico patrimonio di tutte le verità, siain ordine alla conoscenza (ossia alla fede) che al comportamento (ossia allamorale), secondo gli insegnamenti del Signore Gesù in quanto mediatore epienezza della Rivelazione; il Depositum è costituito quindidall’insegnamento degli Apostoli e dei loro successori, i Vescovi. Questo“patrimonio di verità” costituisce il fondamento da cui costantementeattinge il Magistero della Chiesa, che di per sé non può aggiungere nulla aquanto è contenuto nella Rivelazione, almeno implicitamente. Lacomprensione della verità rivelata, tuttavia, è in continuo e ininterrottocammino in seno alla Chiesa attraverso i secoli, mediante l’aiuto delloSpirito Santo, così come il Signore Gesù aveva promesso ai suoi discepoli:“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci diportarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà allaverità tutta intera” (Gv XVI, 12-13).

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attribuito lo sbocciare del pietismo, allorquando nel 1675pubblicò l’opuscolo Pia desideria col proponimento diemendare gli abusi di mondanità, aridità e formalismo dellachiesa luterana mediante cinque antidoti:

un più ampio uso della Scrittura; un diligente esercizio del sacerdozio universale

promanante dal battesimo; la predicazione e diffusione della fede da parte di

tutti, non solo dei pastori; avere spirito caritatevole e autentica mitezza nelle

controversie, specie in quelle dottrinarie; promuovere una formazione degli studenti di

materie teologiche che ponesse maggiormentel’accento sulle necessità urgenti della pastorale.

Le idee di Spener trovarono i propri canali di diffusionesoprattutto quanto egli venne nominato predicatore ufficialedella corte di Dresda, nel 1686.

Con l’andare del tempo, tuttavia, il pietismo mostreràtutto il suo limite e la sua pericolosità, insite in questosoggettivismo svincolato dal riconoscimento di un’autoritàcentrale disciplinante. Anzi, a tal punto accentuerà il rigettodella ragione in materia di fede che genererà il suo preclarofiglio in Emmanuel Kant, che fu tanto organista e pietista diprovato entusiasmo, quanto la pietra angolare di tutto quelsistema filosofico che propugna l’impossibilità per la ragioneumana di poter dimostrare o disquisire alcunché in materia difede soprannaturale.

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Lungi dall’aver qualsiasi rapporto col pensiero di Kant,Bach è uomo e credente di ben altra portata. La sua adesione alpietismo è comunque la chiave per comprendere un pochino dipiù quel suo “credere” che inevitabilmente sconcerta e lasciaperplessi. Se riprendiamo i cinque punti di Spener, ci potremoaccorgere come Johann Sebastian ne abbia fatto una sorta di“secondo decalogo” per la propria vita:

a) ampio uso della Scrittura: si pensi alla Bibbia diKalov posseduta da Bach e giunta ai nostri giorni, contenentecentinaia di annotazioni a margine, segno indiscutibile di unapassione vibrante per la riflessione sulla Parola di Dio;

b) diligente esercizio del sacerdozio universale /predicazione e diffusione della fede: se consideriamo lecantate, le passioni, gli oratori, i corali, le pagine d’organo, cirenderemo conto di come Johann Sebastian abbia fatto dellapropria arte musicale lo strumento della propria testimonianzadi fede;

c) spirito caritatevole / formazione degli studenti:Bach ebbe a contrastare per tutta la vita col proprio carattere“da orso”. Quest’elemento è comprensibile se teniamo contodi quante volte il dolore e il lutto abbiamo fatto violentementeirruzione nella vita di Johann Sebastian, fin dalla più tenera età,con la perdita dei genitori, seguita dalla morte di molti dei suoifigli e della prima moglie Maria Barbara. Tuttavia, Bach nonmancò affatto di cura, attenzione e riguardo verso il suo

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prossimo, così come verso i giovani, che fossero figli suoi68 odegli altri.

Se poi prendiamo in considerazione l’aspetto essenzialedel pietismo, ossia la santificazione personale concretata in unafede vissuta nelle opere, allora non possiamo che sbizzarrircinel ricercarne tutte le tracce nel vissuto di Johann Sebastian.

Se i corali già di per sé costituiscono un ottimo esempiodi riflessione teologica o spirituale, a tal proposito, che diredella Fantasia e Fuga in Sol minore BWV 542, che al concorsodi Amburgo per l’organo di San Giacomo diviene la sintesimirabile di amore sponsale per la defunta moglie MariaBarbara e di fede che ricapitola in Cristo l’elaborazione di

68 A tal proposito, episodi di complicità affabile ci vengono raccontati dallefonti a noi giunte, come le pacche sulle spalle ad Emmanuel, oppurel’annotazione di un canone da parte di Bach, il 15 ottobre 1747, sulquaderno di Johann Gottlieb Fulda (1718-1796), studente di teologia emusicista nell’orchestra della scuola di San Tommaso: Bach accompagnòquesto ca- none con due scritte in latino. La prima, in basso a sinistra dice:Symbolum. Christus Coronabit Crucigeros (Credo. Cristo incoronerà coloroche portano la croce). Si tratta di una piccola professione di fede nellaprovvidenza e nella volontà di Dio di consolare secondo giustizia chiaccoglie e sopporta le sofferenze. La seconda scritta, in basso a destra, dice:Domino Possessori hisce notulis commendare se volebat J. S. Bach (J. S.Bach voleva affidare se stesso al Signore padrone di queste note). Se anchequi vi è contenuta una piccola devozione cristiana, secondo la quale Bachaffida se stesso a Dio, al Signore che ha creato i suoni e la loro armonia, equindi la musica, in questo secondo scolio Johann Sebastian sta anchescherzando con lo studente al quale ha affidato le parti del canone, come adirgli: “Metto me stesso nelle tue mani. Cerca di fare un buon lavoro”,dimostrando una certa misura di complicità e quasi una sfumatura paternaverso il giovane. (A. CERVELLI, Bach: tra amore e fede, op. cit., pp. 39 ess.).

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questa perdita? Una fantasia che è un urlo di dolore misto asguardi di tenerezza e nostalgia; una fuga con il soggetto checanta Ik ben gegroet van (“io ti saluto”), e nel cui tripudiopulsante, alla battuta 82, si inserisce l’inciso melodico Hilf,Jesu, hilf (“Aiutami, Gesù, aiutami”) della cantata BWV 147,tutta intessuta sulla dolcezza dell’amore di Cristo.

Poi ancora la Passacaglia in Do minore BWV 582, doveil tema del basso ostinato altro non è che un’antifonaeucaristica del Rito Romano che allude, con un versetto delSalmo 50, il Miserere, all’Eucaristia in quanto sacrificio (unavera e propria aberrazione per i luterani): Acceptabissacrificium super altare tuum, Domine, oblationes etolocausta69.

È vero, Bach la utilizza nella versione a note dilataterealizzata da Raison; tuttavia egli è sufficientemente esperto dilatino per capire che il testo dice: “O Signore, accetterai soprail tuo altare il sacrificio, l’oblazione e l’olocausto”70. Per non

69 “Accetterai il sacrificio sopra il tuo altare, Signore, le offerte e gliolocausti”.70 Anche Alberto Basso ha scritto circa la scelta del tema per l’ostinato nellaPassacaglia, spigando come Bach l’avesse desunto dal Livre D’Orgue(Parigi, 1688) di André Raison, che lo utilizzava anch’egli in forma di

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parlare della Messa in Si minore, laddove nel Credo, una caldavoce baritonale canta: Et unam, Sanctam, CatholicamEcclesiam71; enunciato sul quale Bach non passa affattovelocemente, ma vi indugia con arte e con uno straordinario“affetto”, nel senso lato e musicale del termine.

Al che finirà con lo spuntare qui una questione che,recentemente ha appassionato – forse anche troppo – certiamanti dell’esoterismo: la gematria bachiana. La possiamodelegare a queste interessanti considerazioni:

Recentemente hanno fatto rumore gli studidella musicologa tedesca Helga Thoene,che ha trovato in Bach tracce di gematriamusicale (di origini cabalistiche, lagematria è il metodo per decifrare il nomeda un numero sommando i valori numericidelle lettere dell’alfabeto ebraico). “Ilrapporto tra numeri e note non è nuovo,risale a Pitagora. Nel Medioevo la musicarientrava nelle discipline speculative, comefisica e matematica; Leibniz la definiva unesercizio della mente che non sa di contare.Nei periodi di maggior razionalismo ladignità della musica era direttamenteproporzionale alla sua densità concettuale.Un po’ il contrario di oggi, in cui prevale

piccola passacaglia per il Christe, eleison della Messe du Deuziesme ton;anche Basso, trovandosi di fronte alla scelta di Bach sull’Acceptabissacrificium si chiede: “Che in questa scelta vi sia un recondito significato?”(A. BASSO, Frau Musika, vol. I, pp. 500-501).71 Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica.

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l’aspetto irrazionale, spontaneo. La musicadi Bach dà un’impressione di grandeimmediatezza, sembra scorrere via senzasforzo – il ruscello Bach –, perciò uno siribella all’idea che abbia passato il suotempo a elaborare giochini degni dellaSettimana enigmistica. Se poi si considerail suo catalogo sterminato, la presenza neisuoi spartiti di codici cifrati e complicatesimbologie numeriche lascia un po’perplessi. Ma uno studio serio edocumentato come quello della Thoene fariflettere. Anzitutto il suo stesso nome,Bach, è perfettamente musicabile secondola notazione tedesca (che si serve di lettereper indicare le note), si bemolle - la- do- sibequadro, a formare un motivo che lui usaspesso come simbolo del peccato e dellafinitudine – e molti dopo di lui lo use-ranno per omaggiarlo. Il valore gematricodel suo nome corrisponde anche alle parole‘Soli Deo Gloria’, con le quali chiosavaogni suo brano. Inoltre, in Bach ricorronoalcuni numeri significativi: il 14 (7moltiplicato per 2, e il suo nome), 41(ricorre nel suo nome ed è il contrario di14), 37 (due cifre simboliche come il 3 e il7; inoltre è il monogramma di Cristo, la x ela p che si incrociano). La cosa sor-prendente è che questi riferimenti sitrovano anche nella sua musica profana,

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come le sonate per violino solo – inparticolare la seconda partita compostaquando, al ritorno da un viaggio di lavoro,trova la moglie morta e sepolta –,smentendo così gli studiosi che hannoprovato a smontare la sua religiosità72.

Un’ultima curiosità merita d’esser rammentata, aproposito del “suono teologico” in Bach: si tratta del cosiddettoClavicembalo ben temperato.

Nel febbraio 2005 è stato pubblicato un articolo delclavicembalista americano Bradley Lehman73. Il musicista,esaminando il frontespizio manoscritto del WohltemperierteClavier, notò che era proprio la “rosetta”, la “sequenza dighirigori” posta sopra al titolo a indicare cosa Bach intendesseper “buon temperamento”. I cerchi disegnati da JohannSebastian sono le undici quinte del sistema. I primi tre cerchipresentano al loro interno una sorta di bottoncino; seguono poialtri tre cerchi, stavolta però vuoti; poi ve ne sono altri cinquecon più bottoncini al loro interno. Altro elemento da osservare:sopra la parola Clavier, al di sopra della “v”, Bach ha tracciato

72 M. BURINI, Bach, la passione di Dio è nota. Il musicista teologo chefaceva cantare il popolo seminò nei suoi spartiti gli indizi dell’alfabetodella fede, <<Il Foglio>> 7 giugno 2008.73 L’articolo in questione è uscito col 33° numero della rivista Early Music.In questa sede, invece, il materiale sulle questioni dell’accordatura bachianadel clavicembalo sono tratte da W. VAN DE POL, Scoperta l’accordaturadi Bach?, in <<Arte Organaria Organistica>> 2 (2005/XII) EdizioniCarrara; cfr. M. BURINI, op. cit.

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una “C”, ossia il Do centrale della tastiera. L’accordatura chene deriva sarebbe dunque la seguente:

i cinque cerchi con più bottoncini interni sonocinque quinte, ciascuna di 1/6 comma più piccola:fa - do - sol - re - la - mi;

i tre cerchi senza il bottoncino rappresentano lequinte pure: mi - si - fa# - do#;

i tre cerchi con un solo bottoncino interno indicanotre quin- te ognuna di 1/12 comma più piccola: do#- sol# - re# - la#.

Rimane una quinta la# - fa, che è più grande di 1/12 comma,laddove per comma Lehman considera quelli pitagorici, di 24cent. Sia Lehman che de Pol hanno provato ad accordare ilcembalo secondo questo sistema di quinte e hanno potutotestimoniare come ne risulti un’accordatura veramenteaffascinante; oltretutto, considerando che Bach nulla scriveva acaso, tale spiegazione della rosetta di ghirigori posta sopra iltitolo manoscritto della sua opera, non solo pare la piùplausibile ma, alla verifica dei fatti, anche la più credibile.

Il passo successivo l’ha compiuto un giovane studiosodi Genova, Graziano Interbartolo, bravo musicista e valenteorganaro. Egli ha semplicemente ragionato in terminipuramente logici. L’accordatura perfetta degli strumenti atastiera come ad esempio il pianoforte si ottiene solo conl’accordatore elettronico: in pratica non era tecnicamenteraggiungibile in quell’epoca, seppure qualche eccellenteorecchio potesse andarci vicino. Interbartolo ritiene che Bach

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abbia proposto il suo criterio di temperamento dell’ottavabasandosi su valori che avessero un significato numerologicoespressamente teologico. La rosetta di ghirigori che JohannSebastian tracciò di suo pugno sopra il titolo delWohltemperierte Clavier nasconde un preciso codice diaccordatura strutturato secondo un preciso linguaggioteologico-metafisico. Possiamo, dunque, concludere cheJohann Sebastian non è il “quinto evangelista” da certunipropugnato, ma neppure “l’artigiano ignorantone, orso mabonaccione” da cert’altri perpetrato.

Davvero sul credo di Bach potremmo consumare fiumid’inchiostro, ed il motivo è semplice, tanto semplice che ilCanone Romano della Messa ce lo ricorda da secoli:“Ricordati, Signore, dei tuoi fedeli dei quali Tu solo conosci lafede e la devozione”. In altre parole, il cuore dell’uomo èrealmente un abisso e, se vogliamo provare a guardarci dentro,lo dobbiamo fare con un infinito rispetto, senza pretendere diinventare né omettere nulla, altrimenti è cosa migliore farecome tanti accademici “laicisti”: tacere in merito, col rischio,però, di ricavare un’immagine parziale, quindi incompleta edeformata, di quel che è stato un uomo. Come per molte cose,anche per Bach vale l’antico proverbio: in medio stat virtus.Non un evangelista, dunque, non un grande ma superficialeartigiano privo d’intelletto, e neppure un esoterico cabalista:

Questi messaggi cifrati non sono giochiniesoterici alla Dan Brown. “È probabile chelo divertisse condividere con i membridella società di musicologia queste

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allusioni criptiche; ma secondo me c’è unaspetto molto più serio. È come se Bachentrasse in camera sua e, chiusa la porta,pregasse il Padre che vede nel segreto. Lagematria è un po’ il linguaggio privato traBach e Dio. Un compositore che ha visto lapubblicazione di pochissime delle sueopere e i cui brani erano destinati a un veroe proprio usa e getta (doveva comporre unacantata alla settimana... ) probabilmentenon avrebbe mai immaginato che, secolidopo, qualcuno si sarebbe messo a contarele note delle sue composizioni (…) Bach èil musicista teologo per eccellenza, non nelsenso che applica alla musica un’intenzioneteologica preconfezionata (come tanti dopodi lui) ma perché nelle sue composizionirisuona l’atto di fede in tutta pienezza, èuna summa ineguagliata. Il teologoprotestante Karl Barth ha detto una voltache in Paradiso, quando il buon Dio sitrova in riunione con gli spiriti eletti, sisuona Bach; quando però si ritira con gliangeli, per i suoi momenti privati, allora sisuona Mozart. Come a dire che se Bachrende la musica sacra maestosa, Mozart larende festosa. Pierangelo Sequeri, teologo emusicista /musicologo di vaglia, chiosa amodo suo: “Dio fa suonare la musica diBach nelle riunoni alle quali tutti

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partecipano, perché essa è – sino ad oggi –la più ospitale nei confronti di tutti”74.

Il filosofo e scrittore Emil Cioran [1911-1995], pur forseeccedendo un po’ nel suo limpido e giustificabile entusiasmo,amava dire:

Quando ascolti Bach, tu puoi vedere Diomaterializzarsi. Quando ascolti un oratorio,una cantata o una Passione, tu sai che Egliesiste. Pensa che così tanti teologi e filosofihanno faticato giorno e notte cercando leprove dell’esistenza di Dio edimenticandosi forse dell’unica prova daaddurre: la musica di Bach.

Quella di Cioran, è comunque un’osservazione piena dibuonsenso. Per esempio, perché non provare a spiegare aigiovani musicisti di una parrocchia o di un istituto di musicasacra il dogma della Santissima Trinità con una Sonata in Trioper organo di Bach?

La dottrina cattolica utilizza i concetti teologici di“sostanza” per designare l’Essere Divino nella sua unità; di“ipostasi” o “persona” per designare il Padre, il Figlio e loSpirito Santo. Di “relazione” per indicare che la distinzione trale Persone Divine sta nel riferimento delle une alle altre. Perspiegare alla nostra ragione umana, incarnata nel tempo e nellospazio, una realtà così totalmente “altra” rispetto al piano

74 M. BURINI, op. cit.

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naturale, è davvero sufficiente prendere una Sonata in Trio:tutte e tre le voci sono della medesima sostanza che necostituisce l’unità, cioè il suono eufonico, il bel suono. Ognunadelle tre voci è ipostasi, cioè è una “persona” distinta, dallealtre due; e la distinzione tra le tre voci si può considerare soloin riferimento alla relazione che c’è tra di esse.

Ho appena cominciato a pensare all’Unità,ed eccomi immerso nello splendore dellaTrinità. Ho appena cominciato a pensarealla Trinità ed ecco che l’Unità mi sazia75.

Sono parole che potrebbero esprimere tranquillamente leimpressioni di bellezza e di stupore che si avvertono ascoltandouna buona esecuzione di una Sonata in Trio: si è appenainiziato ad ascoltare l’armonia del tutto che ci colpisceun’entrata tematica, una frase, un’unità melodica di una vocesingola tra le tre; allora si inizia a seguire con l’orecchio quellavoce, ed ecco che la nostra mente si appaga dell’abbraccio

75 San Gregorio Nazianzeno, Oratio 40, 41: SC 358, 294.

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inscindibile delle tre. Così, ciò che i teologi da sempre stentanoa spiegare a parole, ecco che Bach lo materializza per i nostrisensi con una naturalezza e una bellezza assolute, esattamentecome Dio è assolutamente Semplice e assolutamente Bello; inaltre parole, Bach ci mostra (e ci dimostra) con la sua arte cheUnità e Trinità non solo sono raffigurabili per la nostra ragione,ma sono anche autentica bellezza76.

Come potremo concludere, dunque, sulla fede di Bach?Quale sunto potremmo farci per poter dire di averlo compreso,se non completamente, almeno più in profondità?

Dobbiamo solo giungere alla constatazione di quandocorrisponda al vero il concetto di lògos spermàtikos, dei semidi verità divina sparsi ovunque, anche fuori della comunioneecclesiale: in Bach troviamo in ultima istanza il carattereessenzialmente cristiano del protestantesimo originario, (seppurvenato dal profondo senso pietistico del “fare semplicemente ilbene con le proprie mani ed il sudore della fronte ”, senzapreoccuparsi di troppi “grilli filosofico-teologici”): talecarattere consiste nell’abbandono fiducioso nel Padre Celesteper mezzo del Suo Figlio Gesù Cristo crocifisso. Ed il veroparadosso è questo: se pensiamo che questo abbandonofiducioso costituisce il nucleo centrale della dottrina riformistadella giustificazione, ebbene dobbiamo ammettere come fattosconvolgente che i riformatori, proprio nel punto da essi

76 A. CERVELLI, Bach: tra amore e fede…, op. cit., pp. 29-30.

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considerato come articolo decisivo, presentano una dottrina diper sé cattolica77.

77 Cfr. J. LORTZ, op. cit., pag. 108.

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CAPITOLO IIIBACH NELLA LITURGIA CATTOLICA?

Un buon vecchio proverbio recita: “a ciascuno il suo”.Diremo dunque che fu grazie all’input del movimento cecilianoche si iniziò ad avere in Italia strumenti sui quali Bach fosseeseguibile (seppure, ahinoi, mediante una fonica che risultaessere ben lungi da quella pensata e voluta da Bach). Diconseguenza dobbiamo ammettere che è proprio a seguito delleesortazioni di papa S. Pio X nel Motu Proprio Tra leSollecitudini che le armonie “classiche” per organo – ossia nontardo rinascimentali legate ai gusti operistici o, peggio che mai,bandistici – iniziarono a risuonare nuovamente nelle nostrechiese, comprese le musiche di Bach.

Certamente, è noto il caso di più di un vescovo che, purconcedendo d’accostarsi al Maestro a fini artistici,raccomandava tuttavia al proprio organista: «Sia chiaro: nelleLiturgie niente Bach!»; questo perché ad alcuni pastori d’animepoteva sembrare disdicevole impiegare nel culto cattolico lepagine di un uomo che cattolico non era. Tuttavia, salvo casirelativamente sporadici, sin da subito si tollerarono musiche diBach, Haendel, Mendelssohn: anzi, le antologie78 per gli

78 Alcuni celebri esempi di tali raccolte: Luigi Picchi, La scuola classica delgiovane organista (Ed. Carrara), Autori Vari, Armonie Classiche (Ed.Carrara), Sandro Dalla Libera, Liber Organi in dieci volumi (Ed. S.A.T.,Verona); tra i volumi più interessanti, G. S. Bach, Corali a commentodell’anno liturgico a c. di Ernesto dalla Libera (Ed. S. A. T.), del 1955,dove il compilatore afferma senza problema alcuno che l’organista liturgicodi media cultura non può permettersi di ignorare i Corali per Organo diBach, ne offre una curata antologia e propone per ciascun corale sia una

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organisti liturgici degli anni ’40, ’50 e ’60 del secolo appenatrascorso ne mostravano un’ampia e generosa selezione,indicando perfino il momento liturgico in cui tali musichepotessero essere eseguite. Insomma, si mise in pratica quel cheTommaso d’Aquino afferma nella sua Summa, dicendo che nonimporta da quali labbra – o, diremmo noi, quali mani e qualepenna – la verità esca: essa sarà sempre proferita dallo SpiritoSanto di Dio79; di quel Dio Trino in cui Johann Sebastian hasempre creduto e per la Cui gloria ha lavorato con immensoamore, producendo cose bellissime, vere e buone.

Messa pace nel cuore del credente cattolico circal’appropriatezza della musica bachiana nel culto latino romano,occorrerà indubbiamente che l’organista liturgico ve la sappiadebitamente adattare.

In una solenne messa pasquale, il corale Christ Lag inTodesbanden80 dell’Orgelbuchlein potrebbe benissimofunzionare come introduzione alla sequenza del VictimaePaschali, per la qual cosa in effetti tale corale è stato concepitodall’autore.

In tempo di Quaresima, non certo durante la messa, madurante l’adorazione eucaristica o una liturgia penitenziale, icorali Ich ruft zu dir81 e O mensh bewein’dein’sunde gross82

guida illustrativa che un ocu- lato suggerimento per il tempo liturgico in cuieseguire i pezzi.79 “Omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est”: Ogni verità,da chiunque sia detta, proviene dallo Spirito Santo. (S. Tommaso d’Aquino,Sum. Theol., I-II, q. 109, a.1, ad 1; In Johan., c.8, lect. 1; In primam adCor., c.12, lect. 1; In II ad Tim. c. 3, lect. 3).80 BWV 625.81 BWV 639.

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(sempre dell’Orgelbuchlein) potranno ben aiutare i fedeli inuna contemplazione della presenza reale che compenetri ancheil tempo liturgico, così come in un quieto esame di coscienza.

Una toccata, una fantasia, un preludio, una fuga sceltitra le pagine libere potrebbero efficacemente introdurre oconcludere una messa solenne. Indubbiamente occorrerà buonsenso nella scelta della pagina bachiana da eseguire duranteuna liturgia, tenendo conto della circostanza, del tempoliturgico, dell’assemblea in seno alla quale si presta servizio.Cerchiamo allora di vedere nella pratica come sviluppare undiscorso esegetico-liturgico corretto. Prendiamo a mo’d’esempio la Prima Domenica del Tempo di Avvento:

“Ah, se Tu squarciassi i cieli e scendessi!”83.

Vi è una festa – o meglio, una solennità – nel corso dell’annoliturgico, assai cara alla devozione popolare: è il Natale, checostituisce un unicum con la vera e propria manifestazione, chetrova un’eloquentissima immagine nell’adorazione da parte dei“magi” del Divino Verbo incarnato, ovvero l’Epifania84. Adifferenza di quel che molti pensano, non si tratta propriamentedi una “preparazione della Pasqua”, come neppure di un

82 BWV 622.83 Is LXIII, 19.84 È peraltro a motivo di questa natura propriamente epifanica (dal verbogreco epifàino, “mostrare, manifestare”), che nel giorno dell’Epifania siproclama – si “manifesta” – con un annuncio dato dal diacono o dalpresbitero celebrante, la data della Pasqua, dalla quale scaturiscono tutti glialtri giorni santi: le Ceneri, inizio della Quaresima; l’Ascensione delSignore; la Pentecoste; la prima domenica di Avvento.

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momento del ciclo pasquale. Più propriamente vi si celebra lostesso mistero della Pasqua, ma sotto un aspetto diverso, cheviene correttamente espresso dalla parola “Emmanuel”, “Dio-con-noi”, meglio ancora, il Dio che viene per essere con noi enoi in Lui. È per questo che nei paesi di lingua ispanica, laduplice solennità Natale/Epifania è chiamata da tempoimmemore pequeña Pascua, piccola Pasqua.

Nella grotta di Betlemme si porta a temine quell’azionedivina per la quale dal momento stesso dell’Annunciazione, permezzo del grembo verginale di Maria Santissima, entra neltempo e nella storia il Verbo Incarnato, Gesù di Nazareth. Quelcorpo deposto nella mangiatoia (in latino, patena) è ilmedesimo corpo la cui carne i discepoli sono invitati amangiare quale vero pane disceso dal cielo per la vita delmondo85; è il corpo che sarà offerto nell’oblazione cruentadella Croce, sul Gòlgota e che sarà protagonista dell’eventoglorioso della risurrezione.

Pequeña Pascua, dunque.Credo non vi sia termine più appropriato: l’incarnazione

che prepara il “passaggio” – Pasqua, appunto –, dalla schiavitùdel peccato alla salvezza e alla libertà dei figli di Dio.

Nel IV secolo, il tempo pasquale con la suapreparazione, la Quaresima, avevano già assunto un assettoassai vicino a quello odierno. È tra il IV e il VI secolo che siiniziò ad avvertire l’esigenza di un periodo di preparazione allacelebrazione della nascita/manifestazione del Signore.Sappiamo che Roma celebrò il Natale per la prima volta nel

85 Gv VI.

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336, e che già dalla fine del IV secolo in Gallia e in Spagnarisulta l’esistenza di un tempo di preparazione alle festivitànatalizie.

Tale tempo venne inizialmente denominato “quaresimadi S. Martino” a motivo del suo carattere penitenziale che loassimilava in qualche modo alla Quaresima – giorni di digiunoe di penitenza, colore liturgico violaceo, seppur declinato invarie tonalità a seconda del rito della chiesa celebrante – violaintenso per il rito romano; morello per il rito ambrosiano, ecc.Ben presto tale tempo liturgico venne indicato col terminelatino adventus, “venuta”:

la venuta del Messia, annunziata dai profeti,additata da Giovanni Battista, amorosamentesospirata dall’umanità intera, e accolta dal fiat dellaVergine-Madre;

la venuta di Dio, re eterno, re universale, re deipoveri;

la venuta di Dio che vuole unirci a Lui col farsi Eglistesso figlio del genere umano;

la venuta continuata di Dio, che nel corso dei secoliattua la Redenzione del mondo e l’ingresso degliuomini nel Suo Regno;

infine, ma non per ultimo, è il risvegliarsi dell’attesadella Parusia, della risurrezione dei morti per la vitao la perdizione eterna, del giudizio di questo“secolo” da parte del Supremo Giudice, del fuocopurificatore che distruggerà e farà passare la scena

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di questo mondo perché giunge il tempo eterno deicieli nuovi e della terra nuova86.

San Cirillo di Gerusalemme ricorda in toni assai chiari e benpoco “diplomatici” che:

Noi annunziamo che Cristo verrà. Infattinon è unica la sua venuta, ma ve n’è unaseconda, la quale sarà molto più gloriosadella precedente. La prima, infatti, ebbe ilsigillo della sofferenza, l’altra porterà unacorona di divina regalità. […] Una primavolta è venuto in modo oscuro e silenzioso,come la pioggia sul vello. Una secondavolta verrà nel futuro in splendore echiarezza davanti agli occhi di tutti. Nellasua prima venuta fu avvolto in fasce eposto in una stalla, nella seconda si vestiràdi luce come di un manto. Nella primaaccettò la croce senza rifiutare il disonore,nell’altra avanzerà scortato dalle schieredegli angeli e sarà pieno di gloria.Perciò non limitiamoci a meditare solo laprima venuta, ma viviamo in attesa dellaseconda. E poiché nella prima abbiamoacclama- to: «Benedetto colui che viene nelnome del Signore» (MT 21, 9), la stessalode proclameremo nella seconda. […]

86 2 Pt III, 8-14.

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Il Salvatore verrà non per essere di nuovogiudicato, ma per farsi giudice di coloroche lo condannarono. Egli, che tacquequando subiva la condanna, ricorderà illoro operato a quei malvagi, che gli fecerosubire il tormento della croce, e dirà aciascuno di essi: Tu hai agito così, io nonho aperto bocca (cfr. Sal 38, 10).Allora in un disegno di amoremisericordioso venne per istruire gliuomini con dolce fermezza, ma alla finetutti, lo vogliano o no, dovrannosottomettersi per forza al suo dominioregale.[…] Questa è dunque la fede che noiproclamiamo: credere in Cri- sto che èsalito al cielo e siede alla destra Padre. Egliverrà nella gloria a giudicare i vivi e imorti. E il suo regno non avrà fine. Verràdunque, verrà il Signore nostro Gesù Cristodai cieli; verrà nella gloria alla fine delmondo creato, nell’ultimo giorno. Vi saràallora la fine di questo mondo, e la nascitadi un mondo nuovo87.

La prima domenica del tempo di Avvento è tuttaintessuta di attesa. Non si tratta però – almeno nonprincipalmente – dell’attesa del giorno della Natività in cui laChiesa, facendone “memoriale”, attualizzerà per l’azione dello

87 Dalle Catechesi di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo (Cat. 15, 1. 3;PG 33, 870-874).

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Spirito Santo, all’interno dello scorrere del tempo (krònos)l’evento celebrato, facendo sì che il momento dellacelebrazione divenga il tempo propizio per ricevere la Grazia ela salvezza di Dio (kàiros).

La liturgia della prima domenica d’Avvento ci fapiuttosto volgere la mente e l’anima alla contemplazione dellareale attesa della seconda venuta, quella in cui il Signore Gesùsarà giudice del mondo: “Verrà dunque, verrà il Signore nostroGesù Cristo dai cieli; verrà nella gloria alla fine del mondocreato, nell’ultimo giorno. Vi sarà allora la fine di questomondo, e la nascita di un mondo nuovo”.

Leggendo le parole di San Cirillo di Gerusalemme,parrebbe quasi che solamente coloro che furono i fautori dellacondanna a morte del Signore avrebbero di che preoccuparsi.Non illudiamo noi stessi, e non zittiamo le nostre coscienzecosì alla leggera, perché, come ben ci spiega il CatechismoRomano,

È chiaro che più gravemente colpevolisono coloro che più spesso ricadono nelpeccato. Se infatti le nostre colpe hannocondotto Cristo al supplizio della croce,coloro che si immergono nell’iniquitàcrocifiggono nuovamente, per quanto è inloro, il Figlio di Dio e lo scherniscono conun delitto ben più grave in loro che nonnegli Ebrei. Questi infatti – afferma SanPaolo – se lo avessero conosciuto, nonavrebbero crocifisso il Signore della gloria(1 Cor II, 8). Noi cristiani, invece, pur

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confessando di conoscerlo, di fatto lorinneghiamo con le nostre opere e leviamocontro di lui le nostre mani violente epeccatrici88.

San Francesco d’Assisi rincara la dose:

Neppure i demòni lo crocifissero, ma seistato tu con essi a crocifiggerlo, e ancora locrocifiggi, quando ti diletti nei vizi e neipeccati89.

Una curiosità che vale la pena di rammentare èl’impiego più antico della celebre sequenza Dies Irae, il giornodell’ira, cioè del Giudizio. Come ricorda l’Ermini90, solo in unsecondo tempo furono aggiunte le strofe Lacrimosa e Pie Jesu,per poterla trasferire alla liturgia di Requiem (le esequie e lamessa per i defunti). Ciò può essere constatato con un semplicecolpo d’occhio: il ritmo metrico del finale della sequenza è bendiverso dalle terzine di ottonari con cui è intessuto tutto il restodel testo.

Non ci suoni strano, allora, che proprio dalla Dies Iraepossa provenirci una luce che rassereni l’anima spaventata dichi sa di essere peccatore, e quindi meritevole di condanna.

88 Catechismo Romano, i, 5, 11: Ed. P. Rodrìguez (Città del Vaticano-Pamplona 1989), p. 64.89 San Francesco d’Assisi, Admonitio, 5, 3: Opuscola sancti PatrisFrancisci Assisiensis, ed. C. Esser (Grottaferrata 1978), p. 66.90 Cfr. A. BERGAMINI, Le Sequenze nella Liturgia della Parola, Ed. SanPaolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004, pag. 99.

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Dopo aver descritto l’arrivo del giorno della gloria e dellagiustizia perfetta nella Parusia, con la morte e la natura chesbalordiscono di fronte alla risurrezione delle umane creature,il Giudice siede in trono e un libro gli viene portato davanti,contenente tutto ciò di cui il mondo ha da esser giudicato;dapprima l’anima prova un salutare orrore per la condanna:

Quid sum miser tunc dicturus?quem patronum rogaturus,cum vix justus sit securus?

[Allora, me misero, cosa dirò?Quale avvocato invocherò a difendermi,

dato che chi ha vissuto giustamente a stento è sicuro di salvarsi?]

Sì, la prima domenica di Avvento, anche se non fa piùutilizzo da secoli del testo di questa sequenza straordinaria,tuttavia ci invita con le sue letture e le sue antifone a nonpresumere della salvezza, poiché nessuno si salva da solo, néalcuno ha meriti scaturiti dalla sua sola forza da presentare alGiudice per reclamare un qualsivoglia diritto di quiescenza.

Rex tremendae majestatis,qui salvandos salvas gratis,

salva me, fons pietatis.

Recordare, Jesu pie,quod sum causa tuae viae

ne me perdas illa die.

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[O Re di tremenda maestà,che coloro che salvi li salvi per gratuita misericordia,

salva anche me, o Sorgente di compassione!

Ricordati, o compassionevole Gesù,che il motivo per cui hai scelto la tua via (quella della croce) sono io,

proprio perché non vada alla perdizione eterna in quel giorno.]

L’anima del credente, riconosciuta la propria miseria efragilità, smette di guardare narcisisticamente a se stessa e,dopo uno sguardo di timore rivolto al giudice, ne rivolge unsecondo, ricolmo di speranza, alle sante e gloriose piaghe delSignore Gesù, Colui il quale non possiamo affrontare comeGiudice, ma che sospiriamo come Salvatore91. Tutta la secondaparte di questo testo meraviglioso è ricolma di quel sospiroinnamorato che vuole trasformare il dolore imperfetto di unpentimento, mosso inizialmente dal terrore della condannaeterna, nella contrizione perfetta di chi si addolora di averricusato col peccato l’Amore ineffabile di quel Gesù, Figlio delDio vivo, che stende le braccia sulla croce per morire erisorgere per noi.

Così il peccatore penitente, riscaldando il proprio cuorealla luce del dono del paradiso al buon ladrone, della salvezzaconcessa alla peccatrice adultera, può gettarsi ai piedi del suoSignore Crocifisso e supplicarlo con speranza sicura e vivaumiltà:

91 Cfr. Sant’Ambrogio, Oratio in praeparatione Missae.

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Oro supplex et acclinis,cor contritum quasi cinis:

gere curam mei finis.

[Ti prego supplice e prostrato a Te,il mio cuore è addolorato come se fosse cenere:prenditi a Cuore della mia fine per l’eternità.]

Per poterci orientare nel servizio liturgico della musicasacra nella prima domenica d’Avvento, occorre ora capire qualiindicazioni la Madre Chiesa ci comanda di seguire perché l’artedei suoni e dell’armonia esprima in modo conveniente, con tonie colori adeguati, l’affetto (lo stato d’animo, il linguaggioemotivo della preghiera92) proprio di questo tempo liturgico.L’Ordinamento Generale al Messale Romano (OGMR) cosìprescrive:

In tempo d’Avvento l’organo e altristrumenti musicali siano usati con quellamoderazione che conviene alla natura diquesto tempo, evitando di anticipare lagioia piena della Natività del Signore93.

Si eviteranno perciò brani per organo – e per altristrumenti – particolarmente brillanti, maestosi e gaudiosi,preferendo pagine più meditative, quiete, con qualche lievetratto di sobria e serena austerità; sia nell’accompagnamento

92 Sul linguaggio degli affetti nella musica si veda Athanasius Kircher,Musurgia Universalis.93 OGMR n° 313.

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dei canti che nell’esecuzione di pagine tratte dalla proprialetteratura, l’organo eviterà i timbri festosi e potenti del ripienoe delle ance forti (trombe, fagotti, ecc.), impiegando inveceampiamente sonorità suadenti e riflessive (oboe, cornetto,nazardo, ecc.). Un tono più gioioso, che ammetta anche untimbro pieno, lo si potrà impiegare per quella domenica che hail compito di anticipare la gioia della Natività: la terzadomenica Gaudete, per la quale è consigliato di utilizzare ilparamento di colore rosa.

Circa l’impiego di pagine musicali di letteraturastrumentale nel tempo di Avvento, non pochi cadono inconfusione; questo perché le rubriche del Vetus Ordo Missaeparificavano l’impiego dell’organo sia in Quaresima che inAvvento: in pratica, a parte l’accompagnamento dei canti,l’organo taccia. Il Novus Ordo, che Papa Benedetto XVI hadefinito “Forma Ordinaria del Rito Romano” col Motu ProprioSummorum Pontificum, presenta col Novus Ordo una piccoladiversità di rubriche circa l’impiego degli strumenti per questidue tempi liturgici. Questo per esprimere una diversità tra lapenitenza quaresimale e quella avventizia. Giova a talproposito vedere cosa prescrive l’OGMR per la quaresima:

In tempo di Quaresima è permesso il suonodell’organo e di altri strumenti musicalisoltanto per sostenere il canto. Fannoeccezione tuttavia la domenica Laetare (IVdi quaresima), le solennità e le feste94.

94 OGMR N° 313.

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Questa diversità è bene che si esprima con una paginadi letteratura organistica che introduce l’assemblea in un climadi preghiera e adorazione prima del canto d’ingresso; inoltre,dopo il canto finale, un altro brano di letteratura potràsottolineare con pacatezza il termine della celebrazione e loscioglimento dell’assemblea liturgica, permettendo ai fedeliche lo desiderino di sostare in ringraziamento e adorazioneaiutati nella loro preghiera dalla bellezza e dai giusti affettidell’armonia. In altri tempi e contesti liturgici — Ordinario,Pasqua, Natale, solennità e feste —l’organo e gli altri strumentilegittimamente ammessi possono prolungare con un pezzostrumentale di carattere adeguato il canto per l’offertorioqualora si eseguano le incensazioni; non sono disdicevolineppure un preludio e un postludio di breve durata al canto dicomunione per preparare i fedeli dalla ricezione dell’Eucaristiae aiutarli in un dovuto, breve momento di raccoglimento.

Circa tale pratica, è sufficientemente eloquentel’Istruzione Musicam Sacram:

Nelle Messe cantate o lette si può usarel’organo, o altro strumento legittimamentepermesso per accompagnare il canto della«schola cantorum» e dei fedeli; gli stessistrumenti musicali, soli, possono suonarsiall’inizio, prima che il sacerdote si rechiall’altare, all’offertorio, alla comunione e altermine della Messa. La stessa norma vale,

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fatte le debite applicazioni, anche per lealtre azioni sacre95.

E, molto opportunamente, la medesima istruzioneaggiunge:

È indispensabile che gli organisti e gli altrimusicisti, oltre a possedere un’adeguataperizia nell’usare il loro strumento,conoscano e penetrino intimamente lospirito della sacra liturgia in modo che,anche dovendo improvvisare, assicurino ildecoro della sacra celebrazione, secondo lavera natura delle sue varie parti, efavoriscano la partecipazione dei fedeli96.

Tuttavia questo documento, circa i tempi d’Avvento edi Quaresima, presenta una prescrizione ben netta e chiaraquanto alla musica strumentale:

Il suono, da solo, di questi stessi strumentimusicali non è consentito in Avvento, inQuaresima, durante il Triduo sacro, nellemesse e negli uffici dei defunti97.

In conclusione, un intervento tratto da appropriatepagine di letteratura organistica – e strumentale – prima e dopo

95 IMS § 65.96 IMS § 67.97 IMS § 66.

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la celebrazione eucaristica nelle domeniche di Avventocorrisponderà a un adempimento delle prescrizioni del OGMR,così diversificate rispetto a quelle tratte dal medesimodocumento e riguardanti le domeniche di Quaresima;all’interno della celebrazione, invece, sarà preferibile eseguirequalche strofa in più nel canto o lasciare spazio al silenzio,evitando il suono degli strumenti.

Per quanto riguarda propriamente il canto stesso, infine,va tenuto presente che nel tempo d’Avvento è omesso l’innodel Gloria. Le motivazioni sono assai profonde e meritanod’essere comprese. Abbiamo detto che l’Avvento ci preparaall’incontro con il Cristo. Se noi già gustiamo la gioia di sapereche Egli viene tra di noi e in noi nella Divina Liturgia,sappiamo però che nell’oggi della Chiesa siamo resi partecipidi una pregustazione delle stupende realtà eterne: questa gioiache pregustiamo non è ancora la gioia piena di possedereeternamente Cristo. Siamo in cammino, verso un duplicetraguardo: la pienezza della gioia promessaci dal Cristo nelcompiersi dell’eternità – nostra personale così come del mondointero – e la letizia della celebrazione che attualizza nellaChiesa la Natività del Signore. Il canto del Gloria in excelsis èil canto con cui le schiere angeliche si mostrano ai pastori lanotte della Natività, mentre lo innalzano verso la maestàdivina. Ecco perché, in Avvento lo si omette: per poterlo farrisuonare con tutto il suo carico di gioia nella messa della NotteSanta.

Giungendo ad indicazioni pratiche, come preludio per laMessa della Prima Domenica di Avvento, possiamo scegliere il

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Corale Nun komm, der Heiden Heiland BWV 659, dai Coralidel Manoscritto di Lipsia

“Vieni, Salvatore delle genti, mostrati qualfrutto del parto della Vergine! Sbalordiscatutto il creato:una nascita così spettava soloa Dio!”

Abbiamo già parlato di questo splendido innod’Avvento con il quale Bach ci introduce subito in un mondotutto mistico, il suo mondo preferito quando si raccoglie in sestesso. Si basa su una melodia ornata, cantata al soprano nelregistro di solo, circondata dalle serene parti del contralto e deltenore, mentre il pedale si muove in lente e solenni scale. Se lamelodia del corale e le voci mediane raffigurano la coralitàumana che invoca la venuta del Salvatore, i bassi del pedale simuovono col ritmo cullante che fa addormentare il BambinGesù.

Bach qui si rende cantore dell’umanità sofferente einvoca con la forza della sua fede e di un bruciante amore quelDio la cui Incarnazione avrebbe un giorno salvato le genti e lacui manifestazione gloriosa nella Parusia porterà il tempo deinuovi cieli e della nuova terra. È una musica scritta da un poetae da un credente, che mette tutta la sua arte al servizio dellafede. È questa una delle pagine più profonde ed emotive dellaletteratura organistica mondiale98.

98 Cfr. E. DALLA LIBERA (a c. di), G. S. Bach. Corali a commentodell’anno liturgico, Ed. S. A. T., Verona 1955.

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Come conclusione appropriata della Liturgia, in untempo liturgico che vieta i suoni potenti e maestosi dell’organopieno, andrà più che bene (ammesso che il maleducatochiacchiericcio di certi “in-fedeli” lo permetta), il coraleWachet auf! Ruft uns die Stimme! BWV 645, dai CoraliSchubler:

Svegliatevi, una voce vi chiama! Vichiama la voce della sentinella dal piùalto della torre. Svegliati, oGerusalemme! Mezzanotte: è questal’ora. Essa ci chiama con voce chiara.Dove siete, o Vergini sagge? Su! Losposo sta per arrivare. Alzatevi,prendete le lampade. Alleluja! Siatepronte per le nozze: andate incontroallo sposo!

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È una rilettura poetica del capitolo XXV del Vangelo diMatteo, la parabola delle Vergini sagge e delle stolte. Il testodel corale è di Philippe Nicolai – uno dei più antichi organisticonosciuti – ed anche la melodia originaria pare essere sua. Lapagina organistica bachiana così come ci si presenta è unatrascrizione dalla Cantata BWV 140: una parodia dunque, daun lavoro sacro a un altro lavoro sacro. La melodia è bellissimae piena di immediatezza. È un luminoso esempio di ricchezzaespressiva e di carica affettiva sia spirituale che umana, unsaggio di grande nobiltà del canto popolare autentico, che nons’improvvisa né si storpia con ignoranza, dal momento che harichiesto una sua interiore gestazione e si presenta come partodovuto all’incontro tra la sensibilità umana e la loquacità delloSpirito Santo; vi è esaltata la pietà profonda maturata dallafede, non dalle romanticherie o dalle sdolcinatezze scialbe!

Nella sua parodia per organo, Johann Sebastian restafedele al testo originale. La parte del corale, costituita da notesolenni e affidata in origine al tenore, qui è consegnata allamano sinistra con un registro di solo. La mano destra ha inveceil compito di proporre la parte in origine affidata agli archi. Ildiscorso musicale si snoda con semplicità, con linee sobrie, iltutto basato su tre voci. Dall’incontro tra queste tre parti nasceun’armonia fresca e gioiosa: una sobria ebbrezza dello Spirito!È una musica che parla da sola per la serenità e il candore chevi sono espresse. L’anima del fedele è una di quelle vergini inattesa che giunga il Signore Gesù, suo sposo99.

99 Cfr P. SANTUCCI, op. cit., pag. 109.

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Se il corale Nun komm, che ha introdotto lacelebrazione, possiede toni austeri e sobri ben adatti a meditarele realtà ultime del Giudizio e del compiersi della parusia, ilcorale Wachet auf, pur sereno e composto, presenta tratti piùlieti. L’esecuzione di tale brano al termine della liturgia dellaprima domenica d’Avvento vuole donarci un aiuto prezioso permeditare le letture alla luce della speranza e della gioiadell’incontro col Signore Gesù nella sua viva carne donatacinell’Eucaristia. E’ una pregustazione, con un atteggiamento piùrasserenato e adorante, della Comunione Eterna che Egli ciprepara nel Suo Regno di Luce infinita.

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RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Un’ultima domanda ci permette di tirare le somme.Perché oggi dovremmo dedicare tutte queste attenzioni a Bach?

Innanzitutto perché non è bello ciò che piace, ma èbello ciò che è bello, e soprattutto se fa pure bene. Bastipensare agli studi di musicoterapia condotti negli ultimi anni: ilmassimo beneficio per la salute di pazienti in terapia intensiva,per dirne una, è stato evidenziato nei pazienti ai quali venivaproposto l’ascolto di musica classica, in particolare di Mozart,di compositori italiani del periodo barocco e, soprattutto, diBach. Addirittura è stato accertato come la pressione sanguignae il battito cardiaco siano positivamente influenzati dallamusica di Bach100.Quindi dovremmo ascoltare e suonare Bachperché la bellezza di cui è stato capace Johann Sebastian “fabene al cuore”: non solo in senso metaforico! Poi, o forsesoprattutto, perché per la società e la realtà ecclesiale del nostrotempo Johann Sebastian è veramente un esempio straordinario:se dal punto di vista della dottrina, noi cattolici non potremocerto prenderlo a modello, possiamo, anzi dobbiamo imitarlocome padre premuroso, marito devoto, uomo – anche se dalcarattere un po’ burbero – di buon cuore, artigiano che nellavoro delle proprie mani e del proprio ingegno ha infuso la suacura verso il prossimo e la propria, rocciosa e caparbia fede nelDio uno e trino.

100 H. J. TRAPPE, (2014) Johann Sebastian Bach: life, oeuvre and hissignificance for the cardiology, <<Deutsche medizinische Wochenschrift>>139 (51-52) pp. 2619-25.

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Compariranno quindi i soliti “animatori” del “cabaretliturgico” che chiederanno, tanto beffardi quanto ingenui:“Perché perdere tempo con tutte queste attenzioni? Figurarsi sequalcuno s’accorge che si è scelto una musica o un cantopiuttosto che un altro in base al tempo liturgico e alle letture,dato che nemmeno ai preti importa di seguire le rubriche!Facciamo canti gioiosi!”. Gli organisti veramente liturgicisanno per provata esperienza che queste sono le obiezioni piùcomuni che emergono quando si dà avvio alla formazione diuna cappella musicale in una parrocchia che, quasi sempre, havissuto il più assoluto sfacelo musicale e liturgico dacinquant’anni a questa parte.

Posto che si debba essere strumenti della verità, non ipadroni – perché padrone della verità è Dio solo, che appunto èla Verità –, fermo restando che la verità non può essere usatacome il bastone di pioppo “leggero e morbido” con cui DonCamillo voleva mazzolare il sindaco Peppone per farloaddivenire a più miti propositi, l’organista e il maestro dicappella dovranno comunque esercitare una dolce fermezza,non priva di senso pedagogico e pastorale. Chiunque prestiservizio nel Culto Divino dovrebbe aver caro un mottoattribuito a Santa Teresa d’Avila: “Darei la vita per unarubrica!”. Non credo si tratti affatto di esagerazione. Comeinfatti ci ricorda il n° 22 della Costituzione SacrosanctumConcilium:

Nessuno, assolutamente, anche sesacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere,

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togliere o mutare alcunché in materialiturgica.

La ricompensa per un servizio liturgico ben curato e,possibilmente, illustrato in precedenza mediante un’opportunacatechesi musicale e liturgica, non tarderà: vedere lo stupore, lameraviglia, gli occhi che brillano, l’ascolto attento e lapassione per Bach, Zipoli, Frescobaldi, in bambini emozionatie in ragazzi appena adolescenti che trovano in queste musicheun momento di pace dai dubbi e turbamenti di quella delicataetà è quanto di più bello ci sia. Non c’è concerto, esibizione,audizione, ottima valutazione d’esame che possa dare ad unmusicista quello che si può sperimentare quando i cuori e lementi di ragazzi ed adulti si aprono al mondo della Musica diDio. Lì, in quello stupore, in quell’innamorarsi, in quellospalancarsi e brillare delle pupille nella sobria ebbrezza delloSpirito, un organista sincero con se stesso non impiega molto acapire che non è lui a dare o fare bellezza: è la Bellezza di Dioche in quei momenti ha preso dolce possesso di quelle suemani e le ha usate quale indegno mezzo per concretizzare inatti semplici ed efficaci quell’incontro con l’amoredell’Altissimo.

Purtroppo dobbiamo serenamente prendere coscienzache oggi tutto va ricostruito nella vita cristiana, a cominciaredal senso liturgico, e che la piena adempienza delle normeliturgiche è nella maggioranza delle comunità ecclesiali unobiettivo urgente a cui tendere, non – ahimé – un puntoconsolidato da cui partire, come invece dovrebbe essere (manon è). Un cammino, questo, che, affinché metta radici e porti

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frutto, deve essere condotto con comprensione e gradualità.Occorre riscoprire la bellezza dello ius divinum nella Liturgia,che ci è consegnata per essere vissuta e fedelmente trasmessa,non modificata o cambiata ad arbitrio e capriccio dichicchessia; va assaporata la conseguente, meravigliosa libertàdell’obbedienza alle rubriche del culto, perché sono questi“rossi catadiottri” che ci fanno pregare in un cuor solo eun’anima sola in comunione con la Chiesa tutta.

Dobbiamo poi essere consapevoli dell’efficacia dellaGrazia Divina, con la quale siamo chiamati – indegnamente ecome mezzi assolutamente inadeguati – a collaborare per ilbene delle anime. A tal proposito credo che il modello cuidovrebbero ispirarsi i musicisti liturgici sia un santo diaconodella chiesa siriaca del IV secolo: Sant’Efrem. Grande scrittoredi inni, egli era poeta e compositore, come ha sottolineato papaBenedetto XVI:

La sua teologia diventa liturgia, diventamusica. (…) Teologia, riflessione sulla fede,poesia, canto, lode di Dio vanno insieme; ed èproprio in questo carattere liturgico che nellateologia di Efrem appare con limpidezza laverità divina. (…) Efrem, onorato dallatradizione cristiana con il titolo di “cetra delloSpirito Santo”, restò diacono della sua Chiesaper tutta la vita. Fu una scelta decisiva edemblematica: egli fu diacono, cioè servitore,sia nel ministero liturgico, sia, piùradicalmente, nell’amore a Cristo, da luicantato in modo ineguagliabile, sia infine nella

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carità verso i fratelli, che introdusse con raramaestria nella conoscenza della divinaRivelazione101.

Il musicista liturgico, per essere tale deve dunque averedottrina salda e cattolica, fedele al magistero della Chiesa e allaTradizione. Deve vivere pienamente la dimensione liturgicadella fede ed, anzi, deve avere a cuore di indicare la verità diDio mediante la propria musica. E poi deve vivere, comesant’Efrem, questo profondo senso di diakonìa: essere sìservitore della liturgia, essere imprescindibilmente innamoratodi Cristo ma, non per ultimo, essere a servizio dei fratelli, per“introdurli” nell’intimità del Cuore di Gesù. Per poter farquesto, al musicista liturgico occorrerà un prudente sensopastorale. Attenzione: non un senso pastorale che giustifichil’abuso invalso, ma un senso pastorale “genitoriale e fraterno”che innanzitutto comprenda la situazione spesso disastrosa incui egli è chiamato a svolgere il proprio servizio, per poiguidare la sua comunità ecclesiale in un cammino paziente dirisanamento, in collaborazione col presbitero e in comunionecon la Chiesa, locale e universale.

Un progetto mastodontico? Forse sì. Ma è all’interno diun così ampio respiro d’azione che si può operare il bene delleanime mediante la musica, congiuntamente alla propriatestimonianza di vita cristiana. Carità verso i fratelli sarà

101 BENEDETTO XVI, I padri della Chiesa…, op. cit., pp. 180 – 181; 185.Cfr. Udienza Generale, 28 novembre 2007, Aula Paolo VI.

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scegliere, ad esempio, i corali di Bach più brevi e facilmenteascoltabili per orecchie ineducate.

Pensiamoci bene…E’ inutile e dannoso pretendere che la nostra brava

gente di parrocchia, del tutto digiuna di un linguaggio musicaleliturgico ed anzi abituata agli “emotivismi” e allesentimentalità di certi repertori che tutto favoriscono tranne ilraccoglimento orante, si “sorbisca” un quarto d’ora di – seppurmeravigliosa – Toccata, Adagio e Fuga in Do Maggiore primadella Santa Messa, o di Passacaglia in Do minore duranteun’adorazione eucaristica: sarebbe lo stesso che un genitorepretendesse di far mangiare una bistecca alla fiorentina ad unbimbo di 20 giorni di vita. Lo ucciderebbe! Diakonìa è dunquepredisporre un posato, sobrio, comprensivo cammino dirieducazione al bello, al buono, al vero della musica e dell’artesacra. Forse non potrò eseguire tutta la Toccata, Adagio eFuga, ma il solo Adagio durante la distribuzione della SantaComunione sì, e produrrà il suo effetto. Forse non potròeseguire dici minuti di Corale dal Manoscritto di Lipsia, ma treminuti di Corale scelto dall’Orgelbuchlein sì. Forse dovròsopportare per qualche tempo lo scempio musicale di farconvivere l’arte sublime di Bach coi canti più o meno disastratidei repertori parrocchiali…ma questa è diakonìa musicale!

Poniamo di avere davanti a noi un recipiente, al cuiinterno sappiamo esserci un meraviglioso smeraldo, che però èsommerso e reso pressoché invisibile da una melmanauseabonda che riempie il recipiente per metà. Possorovesciare il recipiente, prendere lo smeraldo, lavarlo egodermelo… ma se teniamo conto che quel recipiente è la

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comunità ecclesiale e che quello smeraldo è la bellezza divinache intendevo mostrare, più che mostrarla ho provocato unotsunami! Credo che di traumi e terremoti, nella recente storiadella nostra Madre Chiesa, ce ne siano stati fin troppi.Un’operazione più delicata, misurata e paziente sarà la piùopportuna: prendere il recipiente e fare in modo che un rivolod’acqua pulita inizi a fluire calmo e quieto al suo interno.All’inizio l’acqua pulita si mescolerà alla melma, e siintorbidirà. A mano a mano che l’acqua aumenterà, la melmadiverrà sempre meno densa e si inizierà ad intravvedere losmeraldo; infine l’acqua strariperà dal recipiente e, col tempo,porterà con sé tutta la melma fino a quando il recipiente nonrimarrà pieno che di acqua pulita che ci permetterà di godere lavista sfavillante dello smeraldo: l’obiettivo sarà stato raggiuntoper gradi, con pazienza e costanza.

E’ una prospettiva di macerante martirio interiore?Certo che lo è: eppure, a mio avviso, è l’unica praticabile, nelnostro tempo, affinché l’albero della comunità ecclesialeriscopra e rinsaldi le proprie radici.

Sant’Efrem, infine, visse la propria diakonìa non solotrasmettendo fedelmente ciò che la Tradizione della fede, dellaliturgia e della musica aveva riposto nelle sue mani: prendendole mosse dall’esperienza liturgica, musicale ed ecclesiale che loaveva preceduto, arricchì lui stesso il culto divino, facendo delproprio talento poetico un prezioso strumento di catechesi e ditestimonianza, componendo inni di una tale bellezza damozzare il fiato, ancora oggi. Questa è l’ultima, alta forma dicarità musicale che deve tornare ad essere praticata da chi neabbia ricevuto il dono: non accontentarsi di una mera

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ripetizione degli splendori del passato ma, anzi, prendendooggi a modello Bach e i grandi di ieri, tornare a produrregrandezze nuove e durature a gloria di Dio, testimonianze vivee preziose per la Chiesa di domani.

Quindi il musicista liturgico, dopo aver fatto il propriodovere ogni giorno, si rammenterà di esser soltanto servo dellabellezza di Dio. Faccia semplicemente quel che deve, conquella modestia che Gesù ha inteso insegnare:

Così anche voi, quando avrete fatto tuttoquello che vi è stato ordinato, dite: Siamoservi inutili. Abbiamo fatto quantodovevamo fare102.

Come farlo? Dove trovare risorse ed energieper svolgere un tale servizio?

Presso una sola sorgente: la preghiera, fatta con l’umiltàdi chi, serenamente, riconosce che siamo nelle mani Sue e chesenza di Lui non potremo mai fare nulla, specialmente nellabreccia di questa furibonda – e silenziosa – battaglia per labontà, la bellezza e la verità. Se dunque da un lato dobbiamoauspicare e pregare affinché i membri della nostra MadreChiesa ritrovino il coraggio della bellezza nella pastorale enella vita delle comunità ecclesiali, dall’altro tutti i musicistiche abbiano ricevuto un talento degno del servizio liturgico,dovranno “scendere un pochino dal piedistallo” sul quale,magari per frustrazione da costante autodifesa o percomprensibile e cocente delusione, sono saliti da decenni, e

102 Lc XVII, 10.

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seguire finalmente l’invito del Beato papa Paolo VI, cheinvitava gli artisti a fare pace con la Chiesa103. Si scenderà dalpiedistallo quando si comprenderà che l’autentica vitalità egiovinezza dell’arte e della musica nella vita della Chiesa nonsi trovano nella moda storicista, nell’affanno filologico enell’erudizione (strumenti buoni ed encomiabili, ma pursempre e solo strumenti, non fine ultimo della vita artistica),bensì solo in Cristo. E poiché tutto ciò che ci sta intorno cisembra irrimediabilmente logoro, vecchio o inadeguato alleaspettative ed alle aspirazioni di questo mondo, non trovoparole migliori che ci spronino tutti a rivolgere lo sguardo allavera sorgente, il Cuore sacratissimo del Figlio dell’EternoPadre, se non quelle del grande vescovo di Ippona,Sant’Agostino, rilette da Papa Benedetto XVI:

Nel maggio del 429 i Vandali (…)passarono lo stretto di Gibilterra e siriversarono nella Mauritania. L’invasioneraggiunse rapidamente le altre riccheprovince africane. Nel maggio o nel giugnodel 430 “i distruttori dell’Impero romano”,come Possidio qualifica quei barbari (Vitadi Sant’Agostino 30,1), erano attorno adIppona, che strinsero d’assedio. (…) Anchese vecchio e stanco, Agostino restò tuttaviasulla breccia, confortando se stesso e glialtri con la preghiera e con la meditazione

103 B. PAOLO VI, Omelia nella Messa degli Artisti, Solennitàdell’Ascensione di Nostro Signore, Giovedì, 7 maggio 1964.

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sui misteriosi disegni della Provvidenza.Parlava, al riguardo, della “vecchiaia delmondo” – e davvero era vecchio questomondo romano –, parlava di questavecchiaia come già aveva fatto anni primaper consolare i profughi provenientidall’Italia, quando nel 410 i Goti di Alaricoavevano invaso la città di Roma. Nellavecchiaia, diceva, i malanni abbondano:tosse, catarro, cisposità, ansietà,sfinimento. Ma se il mondo invecchia,Cristo è perpetuamente giovane. E alloral’invito: “Non rifiutare di ringiovanireunito a Cristo, anche nel mondo vecchio.Egli dice: Non temere, la tua gioventù sirinnoverà come quella dell’aquila”(Sermoni 81, 8)104.

104 BENEDETTO XVI, I padri della Chiesa..., op. cit., pp. 208 – 209. Cfr.Udienza Generale, 16 gennaio 2008, Aula Paolo VI.

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NOTA DELL’AUTORE

Sono persuaso del fatto che, a trent’anni appena di età,sia autentica e sconsiderata presunzione ritenere di conoscereapprofonditamente quello sconfinato universo che è JohannSebastian Bach. Non sono né un esperto bachista né una guidaidonea per istruire circa uno dei più grandi musicisti dellastoria…se non addirittura il più grande!

Ho già scritto su Bach, in particolare su quel brano cheha accompagnato per un tratto considerevole la miaadolescenza e che tutt’ora è il mio più intenso affetto musicale:la Grande Fantasia e Fuga in Sol minore. Si trattava di appuntistilati per ragazzi più giovani di me, che mi erano stati affidatinelle attività educative di una parrocchia perché da mevenissero introdotti al mondo della musica sacra, in particolarequella per organo. A questi appunti venne data veste letteraria,con quel giusto “tremore” che accompagna il “novizio” che facapolino nel mondo della musicologia liturgica e sacra.

Vario materiale mi era risultato d’avanzo in quelfrangente: fonti, appunti, considerazioni. Alla fine mi sonoarreso alla seduzione del fascino umano e cristiano delprotagonista trattato e, sotto lo sprone di amicizie el’incoraggiamento venutomi da sereni confronti con chi è benpiù grande ed esperto di me, ne sono nate le seguenti pagine.

Le ho messe insieme sotto quest’unica condizione: chilegge, mi intenda semplicemente come compagno di studio e di

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riflessione, neanche per un attimo come “maestro”. Come laprima volta, così anche adesso quel che propongo è il semplicefrutto della testimonianza di un musicista che presta il suoservizio nelle parrocchie della sua terra, un servizio per il qualeha sentito il dovere di studiare ed approfondire le propriemagre competenze, incalzato tante volte dal mio prossimo conun denso interrogativo a due uscite: “Chi è Bach? E perché ècosì importante per te, oggi, nella vita della Chiesa?”.

Con questo secondo lavoro intendo offrire una risposta,sicuramente non esaustiva, tuttavia – lo spero –accettabile,unicamente nei termini propri della testimonianza cristiana edel servizio fraterno, per far incontrare a qualcuno non solol'esimio Bach di ieri, ma anche il potenziale, straordinario Bachdi oggi.

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L’AUTORE

Alessio Cervelli (Poggibonsi, 1984) – Laureato in LettereClassiche all’Università di Siena, si è licenziato summa cumlaude in Organo Liturgico all’Istituto Diocesano di MusicaSacra di Firenze, dove insegna Latino e Musicologia Liturgica.E’ Maestro di Cappella della Chiesa di S. Bartolomeo Apostoload Ulignano ed Organista Liturgico della Basilica di S.Lucchese a Poggibonsi.

Pubblicazioni:

Bach: tra amore e fede. Apologia ed esegesi della Grande Fantasia eFuga, Edizioni Bonanno, 2013.

Nardo ed Alabastro. Dal “cabaret liturgico” alla Divina Bellezzanella Liturgia e nella Musica Sacra, Edizioni Lalli 2015, prefazionedi Mons. Nicola Bux. Edizione eBook, Streetlib, agosto 2015.

CD – Workshop Un Giubilo nel Cuore, con il contributo di LeonardoAgnelli, Elia Mori e Clizia Miglianti, Shelve, febbraio 2015,realizzato per il Santuario di San Lucchese a Poggibonsi e laParrocchia di San Bartolomeo Apostolo ad Ulignano; prefazione diS. E. Mons. Rodolfo Cetoloni, Vescovo di Grosseto.

Audio CD Un harmonium di campagna, con un contributo diLeonardo Agnelli, Shelve, agosto 2015, realizzato per la Parrocchiadi San Giovanni Battista a Pievescola.

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio di cuore il caro amico Giuseppe Colonna che, consincerità e schiettezza, ha saputo darmi ottimi consigli perchéquesto lavoro avesse un assetto il più adatto possibile a deigiovani lettori.

La mia sincera gratitudine non può non andare poi al miotecnico grafico di fiducia e dilettissimo amico AndreaVerzeroli, per la pazienza e l'assistenza offertami cosìgenerosamente nella realizzazione del presente lavoro.