arte e potere. il mito di michelangelo padre e "fondatore" dell'accademia del disegno

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Arte e potere Il mito di Michelangelo padre e “fondatore” dell’Accademia del Disegno ENRICO SARTONI «n. 2800. Ritratto di Michelangelo Buonarroti. Figura intera, sedente, volta a destra, guardan- do in faccia, e vestita di nero. Sopra una tavola a destra vedesi la figura del David, alcune Corone, la Pianta della Fabbrica di S. Pietro, e un Carto- ne del Giudizio Universale. A destra e a sinistra Gruppi di Figure. Tela alta braccia 3.2, larga braccia 2 ½» 1 C osì un anonimo compilatore inventariale registra- va, nel 1853, l’archiviazione di una memoria col- lettiva che per secoli aveva animato, ispirato e pro- tetto generazioni di artisti. Da una cantina dei locali dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, riformata appena sessanta anni prima dal Granduca Pietro Le- opoldo (1784), si traevano, ad opera di Antonio Ra- mirez di Montalvo, le memorie dell’antica Accademia del Disegno per depositarle in un museo 2 . Si andava affermando, così, un nuovo paradigma della conser- vazione delle opere d’arte, che, fino ad allora aveva mantenuto, all’interno della stessa Accademia, un carattere pedagogico-memorialistico di impronta va- sariana 3 . Al contempo con quel grande trasferimento di opere nei magazzini della pubblica galleria, si obli- terava la memoria di una comunità viva di artisti, l’Ac- cademia, consegnandola alla pubblica e civica storia. Quella comunità, nata nel 1563 come Accademia del Disegno e che affondava le sue radici nell’ancor più antica Compagnia di San Luca, nelle pieghe del rifor- mismo leopoldino aveva mutato il nome e parte delle proprie funzioni in Accademia di Belle Arti, senza che la sua storia, quand’anche gloriosa, mai avesse tro- vato un racconto a stampa. L’Accademia del Disegno, infatti, che proprio secondo i fini statutari avrebbe dovuto eternare la memoria dei grandi con il conser- varne le gesta in un grande libro, i loro lavori in un archivio e la polvere del loro corpo in un sacello di glorie costruito a quello scopo nel santuario fiorenti- no della Santissima Annunziata 4 , non trovò, fino alla metà del XVIII secolo un appassionato cantore di res gestae ad esclusione di uno dei suoi inventori, Giorgio Vasari, che nella sua edizione Giuntina delle vite del 1568, narrando la vita di Giovannangelo Montorsoli, ne diede la prima storia a stampa 5 . Per oltre tre se- coli, quel breve riassunto evenemenziale che avreb- be dovuto dar conto dei voleri del sovrano, il Duca Cosimo, dello stesso Vasari 6 , architetto e apparatore di grandi eventi, di don Vincenzio Borghini 7 , erudito monaco benedettino e dello scultore e frate servita Giovannangelo Montorsoli 8 , rimase l’unica narrazione che ne attestasse la pubblica costituzione ed il valore fondante. Tale racconto, però, se godette del privile- gio di essere stilato da uno dei fondatori, ne subì le concezioni e la volontà rappresentativa, ancorando gran parte del merito della neonata Accademia, all’e- pisodio più prossimo alla data di pubblicazione della seconda ed ultima edizione del volume, quello cioè della morte di Michelangelo Buonarroti. Varcato il suo dies natalis, infatti, l’artista ormai da decenni stabi- litosi a Roma, e la sua memoria, rappresentarono per l’Accademia la più grande opera culturale ed artistica entro la quale esercitare il proprio primato ed il suo appena acquisito potere. Del resto, con desolante ci- nismo lo stesso Vasari poteva scrivere: «grandissima fortuna fu quella di Michelagnolo non morire prima che fusse creata la nostra Accademia dacché con tanto onore e con si magnifica pompa fu celebrato il suo mortorio» 9 . E le esequie del 1564, con l’orazione funebre scritta da Benedetto Varchi e stampata con i tipi Giunti 10 , rimarranno storiograficamente uno dei temi più scandagliati dei nostri tempi finendo per sus- sumere sull’impresa gli stessi esiti dell’Accademia del Disegno ed oscurare quasi tutto il resto dell’esistenza dell’accolita 11 . A tale risultato, che ci conduce dalle res gestae alla historia rerum gestarum, contribu- irono per la gran parte gli stessi protagonisti 12 e l’af-

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Arte e potereIl mito di Michelangelo padre e “fondatore”

dell’Accademia del Disegno

Enrico Sartoni

«n. 2800. ritratto di Michelangelo Buonarroti. Figura intera, sedente, volta a destra, guardan-do in faccia, e vestita di nero. Sopra una tavola a destra vedesi la figura del David, alcune corone, la Pianta della Fabbrica di S. Pietro, e un carto-ne del Giudizio Universale. a destra e a sinistra Gruppi di Figure. tela alta braccia 3.2, larga braccia 2 ½»1

così un anonimo compilatore inventariale registra-va, nel 1853, l’archiviazione di una memoria col-

lettiva che per secoli aveva animato, ispirato e pro-tetto generazioni di artisti. Da una cantina dei locali dell’accademia di Belle arti di Firenze, riformata appena sessanta anni prima dal Granduca Pietro Le-opoldo (1784), si traevano, ad opera di antonio ra-mirez di Montalvo, le memorie dell’antica accademia del Disegno per depositarle in un museo2. Si andava affermando, così, un nuovo paradigma della conser-vazione delle opere d’arte, che, fino ad allora aveva mantenuto, all’interno della stessa accademia, un carattere pedagogico-memorialistico di impronta va-sariana3. al contempo con quel grande trasferimento di opere nei magazzini della pubblica galleria, si obli-terava la memoria di una comunità viva di artisti, l’ac-cademia, consegnandola alla pubblica e civica storia. Quella comunità, nata nel 1563 come accademia del Disegno e che affondava le sue radici nell’ancor più antica compagnia di San Luca, nelle pieghe del rifor-mismo leopoldino aveva mutato il nome e parte delle proprie funzioni in accademia di Belle arti, senza che la sua storia, quand’anche gloriosa, mai avesse tro-vato un racconto a stampa. L’accademia del Disegno, infatti, che proprio secondo i fini statutari avrebbe dovuto eternare la memoria dei grandi con il conser-varne le gesta in un grande libro, i loro lavori in un archivio e la polvere del loro corpo in un sacello di glorie costruito a quello scopo nel santuario fiorenti-

no della Santissima annunziata4, non trovò, fino alla metà del XViii secolo un appassionato cantore di res gestae ad esclusione di uno dei suoi inventori, Giorgio Vasari, che nella sua edizione Giuntina delle vite del 1568, narrando la vita di Giovannangelo Montorsoli, ne diede la prima storia a stampa5. Per oltre tre se-coli, quel breve riassunto evenemenziale che avreb-be dovuto dar conto dei voleri del sovrano, il Duca cosimo, dello stesso Vasari6, architetto e apparatore di grandi eventi, di don Vincenzio Borghini7, erudito monaco benedettino e dello scultore e frate servita Giovannangelo Montorsoli8, rimase l’unica narrazione che ne attestasse la pubblica costituzione ed il valore fondante. tale racconto, però, se godette del privile-gio di essere stilato da uno dei fondatori, ne subì le concezioni e la volontà rappresentativa, ancorando gran parte del merito della neonata accademia, all’e-pisodio più prossimo alla data di pubblicazione della seconda ed ultima edizione del volume, quello cioè della morte di Michelangelo Buonarroti. Varcato il suo dies natalis, infatti, l’artista ormai da decenni stabi-litosi a roma, e la sua memoria, rappresentarono per l’accademia la più grande opera culturale ed artistica entro la quale esercitare il proprio primato ed il suo appena acquisito potere. Del resto, con desolante ci-nismo lo stesso Vasari poteva scrivere: «grandissima fortuna fu quella di Michelagnolo non morire prima che fusse creata la nostra accademia dacché con tanto onore e con si magnifica pompa fu celebrato il suo mortorio»9. E le esequie del 1564, con l’orazione funebre scritta da Benedetto Varchi e stampata con i tipi Giunti10, rimarranno storiograficamente uno dei temi più scandagliati dei nostri tempi finendo per sus-sumere sull’impresa gli stessi esiti dell’accademia del Disegno ed oscurare quasi tutto il resto dell’esistenza dell’accolita11. a tale risultato, che ci conduce dalle res gestae alla historia rerum gestarum, contribu-irono per la gran parte gli stessi protagonisti12 e l’af-

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fermazione, nei secoli successivi, di una storiografia artistica talvolta malata da una ossessione per l’attri-buzionismo o una propensione al sensazionalismo13. con questa affermazione non si intende negare in alcun modo gli esiti, ormai imprescindibili, della sto-riografia artistica che ha giustamente sottolineato la forte discussione avvenuta durante i primi decenni del XVi secolo sulla precessione delle arti e il ruolo della grazia14, la differenziazione culturale che era an-data creandosi tra artista ed artigiano15 e i prodromi accademici preconizzati e realizzati da Baccio Bandi-nelli16, ma occorre, però, bilanciare i dati acquisiti da queste correnti classiche del pensiero, rappresenta-te da Paola Barocchi17 e Zygmunt Waz´bin´sky18 con considerazioni più propriamente storico-politiche ed economiche19. Per cercare di affrontare il fenome-no mitografico di Michelangelo posto a fondamento dell’accademia occorre, quindi, separare il materiale dall’immaginario, recuperando, pur mitigando l’orto-dossia di certe analisi preliminari, gli studi giovanili di Sergio rossi, allievo di Giulio carlo argan20 e porre al centro le analisi di Massimo Firpo21. Dobbiamo così tornare a riflettere, con un processo che, specialmen-te in ambito fiorentino, si è cercato frettolosamente di archiviare, sulle tematiche storico-istituzionali e di rappresentazione del potere.

È proprio seguendo questa linea di rappresenta-zione del potere, in un viaggio a rebour, in cui si scandagliano i paradigmi sostituiti da altri paradigmi, che rinveniamo, nella temperie del XViii secolo, il manoscritto della storia dell’accademia del Disegno, opera di Girolamo ticciati. La curiosità di compiere attente autopsie sulle passate reliquie, propria del ca-rattere antiquario ben espresso dagli eruditi toscani, spesso esercitata al solo fine di creare consapevoli ostensioni del presente, condusse l’allora luogotenen-te dell’accademia Francesco Maria niccolò Gaburri a commissionare al provveditore Girolamo ticciati, tra il 1738 ed il 1739, una storia dell’accademia da porre ad introduzione delle Vite degli Accademici, sia vi-vi che defunti22. nel racconto dello scultore architet-to settecentesco, si ripercorrono i tòpoi vasariani del-la presenza michelangiolesca durante le prime fasi di gestazione dell’accademia ed allo stesso tempo se ne colgono ulteriori aspetti, non ultima l’eredità buonar-rotiana dell’arme accademica espressa nei tre cerchi secanti rappresentanti la commistione delle tre arti. Ma il destino di quelle Notizie settecentesche, così attentamente raccolte, dovette rimanere obliato an-cora per oltre un secolo, nell’attesa di quella che un periodico coevo auspicò con l’epiteto di «mano libera-

le e generosa» che, però, mai sovvenne all’impresa23. Lo stesso periodico, le “novelle letterarie fiorentine” fondate da Giovanni Lami, sottolineava come «per dar moto a quest’impresa» un accademico avesse «già fatto porre sotto il torchio la vita del Padre e Fonda-tore della medesima [accademia]», il «divino Mi-chel’angelo Buonarroti». non si tratta, a nostro pare-re, di un equivoco o di una disattenzione, ma di un sapiente mutamento del paradigma. Un divino artista che assurge a fondatore, duegento anni dopo l’istitu-zione giuridica dell’accademia, quando ormai più non contavano le vere e profonde ragioni che avevano guidato cosimo i alla fondazione dell’accolita. Questo mutamento, peraltro, si evidenzia proprio nella con-gerie di anni in cui l’ultima appartenente alla prosapia dei Medici, anna Maria Luisa, stipulava il suo patto di famiglia con la successione lorenese «affinché [qua-dri, gallerie, statue, biblioteche] rimanessero per or-namento dello Stato, per utilità del Pubblico e per at-tirare la curiosità dei forestieri», sostituendo al mito della famiglia Medici come lignaggio creatore, quello della famiglia Medici come fautori di una eterna con-servazione di quanto da loro creato24. Ma il duca cosi-mo, duecento anni prima, aveva ben altre necessità che così si possono riassumere: non essere inferiore rispetto al riordinamento dello Studio di Bologna, far-si trovare sollecito nell’ossequiare il riformismo tri-dentino verso un’ortodossia dell’immagine, avere un rapporto diretto con i fautori dell’immagine del pote-re ed infine guadagnare la giusta notorietà per otte-nere la sospirata sanzione di legittimo sovrano, che arriverà appena sei anni più tardi, con la concessione della corona granducale25. Festina lente, era lo stes-so motto di cosimo. Un atto creativo ed allo stesso tempo illiberale quello della fondazione dell’accade-mia del Disegno, che niente aveva a che vedere con l’uomo Michelangelo, o con l’arte di Michelangelo, che pure era stato iscritto alla compagnia religiosa, quella di San Luca, che aveva radunato, prima della creazio-ne dell’accademia, le schiere di artisti, unendole in un’associazione di mutuo soccorso e di edificazione religiosa26. L’accademia, che l’aveva sostituita, era un’organizzazione di tutt’altro spessore. istituzional-mente complessa, come tante istituzioni controrifor-mate, si componeva di una compagnia, cioè di una grande base di iscritti «d’ogni sorta di natione, purchè habbino buon disegno e adimandino d’entrarvi pagan-do però la tassa che sarà ordinata»27 e di un corpo più ristretto, la vera e propria “academia del Disegno” composta da eletti della compagnia «per i duo terzi delle fave nere» a cui si demandava il governo e l’ese-

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cuzione dei capitoli. Uno sforzo organizzativo sapien-temente sorretto dall’assenso del Duca e ben illustra-to nei suoi intenti da Massimo Firpo: la creazione di un corpo «in grado di trasformare quelle esigenze in progetti, di dotarli di contenuti e di significati, di dare espressione figurativa a quei processi storici e orien-tamenti politici che li animavano, e infine realizzarli attraverso l’opera dei grandi artisti di cui Firenze van-tava una tradizione ineguagliabile»28. Del resto, in de-cenni in cui le convulsioni politiche non erano manca-te, cosimo dette vita a un moderno stato territoriale, con una sapiente burocrazia ed una attenta politica culturale creando «nuove forme di rappresentazione del potere che segnassero la definitiva cesura rispetto all’estenuata eredità repubblicana, e soprattutto nuo-vi apparati simbolici per dare legittimità storica e di-gnità sacrale a una famiglia di banchieri ascesa ai fasti del potere»29. Ecco che arte e politica, significante e significato, assurgevano ad un nuovo ed evoluto mo-dello culturale in cui pubblico e privato erano ormai scomparsi e nel quale lo spregiudicato cosimo com-missionava al Vasari, tra il 1556 ed il 1559, la illustra-

zione pittorica di un vero e proprio nuovo ordine, di un nuovo cosmo, dove il sovrano, al centro, padre, committente e perfino artefice, raffigurato nell’atto di stringere nella mano sinistra la sesta e la squadra, in-terpretava egli stesso «il personaggio cortigiano dell’artista aggraziato che poteva compiere qualun-que cosa senza sforzo»30. S[enatus] P[opolus]Q[ue] F[lorentinus] optimo Principe, pacata Etrutia, aucto impero, constituta civitate recita l’apoteosi dipinta ancora dallo stesso Vasari tra il 1563 ed il 1565. E Michelangelo? il Buonarroti fa bella posa di sé nell’affresco realizzato da Bernardino Poccetti alla fine del primo decennio del Seicento sotto al loggiato dello Spedale degli innocenti31. L’affresco, che orna la volta posta sopra la porta centrale, illustrando le glo-rie di cosimo i, descrive l’ormai mitologico episodio (erano trascorsi ormai cinquanta anni dalla fondazio-ne) della concessione degli statuti all’accademia da parte del sovrano mediceo. La scena inquadra Vin-cenzo Borghini, spedalingo degli innocenti, prostrato nell’atto di baciare il testo concesso dalle mani di co-simo e attorniato da una folla di artisti capeggiati pro-

1. Bernardo Barbatelli detto Bernardino Poccetti, Celebrazione di Cosimo I, Firenze, Spedale degli Innocenti, loggiato

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prio da Michelangelo alludendo alla prima riunione della neonata accademia del Disegno, avvenuta il 31 gennaio 1563. Del genio michelangiolesco, infatti, si ammantava per convenienza una «gioventù fioritissi-ma» accorsa ad assistere a quello straordinario even-to fondativo, proclamando il Buonarroti «padre et maestro»32. avveniva così la consacrazione collettiva di un mito attraverso parole che appartenevano sia alla semantica a carattere sacro33, sia a quella profa-na34, ma che designavano con precisione la massima figura carismatica riconosciuta da un singolo, o da uno stuolo, che si dichiarava a sua volta discepolo. Michelangelo era eletto quindi, dall’accademia appe-na formata, nume tutelare laico e parimenti «più che mortal angelo divino», secondo il noto epitaffio ario-stesco, incarnazione trinitaria delle arti, pittura, scul-tura e architettura35. «Ánno voluto […] per l’obligo che à tutta l’arte alla Signoria Vostra, eleggerla per capo, Padre et Maestro di tutti, non avendo questa Sua città né forse il mondo el più eccellente in queste tre professioni che se n’abbi memoria», così ripeteva

Giorgio Vasari nella lettera indirizzata «al Molto Ma-gnifico Messer Michelangelo» il 17 marzo 156336. Si attribuiva quindi ad un immaginario teatro di parole, un potere evocativo che materialmente non esprime-va alcun effetto se non celare, da parte del Duca, il latente desiderio di far tornare l’ottuagenario nella patria fiorentina e, per il Vasari, il desiderio di poter completare la commessa delle tombe nella basilica fiorentina di San Lorenzo con la benedizione stessa del suo progettista. Entrambi i desideri, però, rimar-ranno frustrati per la morte dell’ormai vecchissimo Michelangelo, avvenuta in roma il 18 febbraio 156437. Morte che, come scrisse Benedetto Varchi attribuen-do al Buonarroti qualità profetiche e messianiche in-sieme («eletto in cielo e mandato in terra da Dio per dare l’ultimo compimento e l’estrema perfezzione alle tre arti»38), permise a Michelangelo di conseguire «l’ultima perfezione»39. cristallizzata così l’opera, pri-vo di una vita e di una voce, Michelangelo divenne l’oggetto dell’apoteosi, la bandiera da issare sul pen-none più alto. il medico Gherardo Fidelissimi, la sera

2. Scultore del Cinquecento, Busto di Michelangelo Buonarroti, Firenze, Accademia delle Arti del Disegno, Firenze

3. Pompeo Caccini, Michelangelo intreccia le corone nel suo studio, Firenze, Museo di Casa Buonarroti

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del giorno stesso della morte dell’artista, annuncian-do per lettera al Duca cosimo la notizia, si appellava al sovrano affinché «la sua bellissima città sia ornata delle honoratissime ossa del maggior huomo che sia mai stato al mondo»40 La Fama che, non a caso coro-nata con tre acutissime chiarine, si volle porre sulla sommità del magniloquente catafalco funebre proget-tato e realizzato per il funerale di Michelangelo dall’accademia, fu il vero obiettivo non soltanto del sovrano, ma di chiunque, da quel momento in poi, eb-be a che fare con l’eredità mortale e spirituale del ge-nio. Ben lo comprese chi era stato vicino al Buonarro-ti: «le essequie […] saranno ancho più honerevoli per chi le farà che per lui – scriveva l’allievo Diomede Le-oni a Leonardo Buonarroti, nipote del defunto, nell’imminenza del funerale – niente di meno sono ancho desiderabili da noialtri, acciò che si conosca che non manca in molti lo animo di concedere a tanta memoria li suoi debiti honori»41. Ma la canonizzazione del mito interessava, prima di tutti, la stessa accade-mia che neonata, trovò nella costruzione dell’immagi-nario michelangiolesco una propria identità artistica e “missionaria”. così proprio il luogotenente Vincen-zio Borghini fu il primo ad attestare l’incorruttibilità corporea delle spoglie michelangiolesche, attributo che fin dall’antichità era stato ritenuto principale si-

gnum sanctitatis: «noi tutti […] credevamo trovare quel corpo già putrefatto e guasto […] ma aperta che fu, non si sentì odore alcuno cattivo et haresti giurato che si riposasse in un dolce et quietissimo sonno»42, parole pressoché simili a quelle stampate da Giorgio Vasari nelle Vite. Lo stesso Vasari riteneva l’organiz-zazione dell’evento strategica, tanto da non dissimu-lare la sua precisa risoluzione anche nello scrivere al nipote di Michelangelo, Lionardo che aveva riportato il corpo dello zio nella patria fiorentina: «né pensate che si muova più di dov’è posto il corpo di Michela-gniolo, perché l’academia ora à da fare inn San Lo-renzo quel che tocha a llei et voi inn Santa croce fa-rete quel che vi piacerà»43. in un crescendo di idee, intuizioni e volontà le voci dei protagonisti di quegli eventi fissate negli impietosi archivi epistolari, si so-vrappongono. «Benedetto nostro carissimo, l’affettion che noi portammo alla rara vertù di Michelagnolo Buonarroti ci fa desiderare che la memoria di lui sia honorata et celebrata in tutti i modi possibili. Però ci sarà cosa grata che per amor mio vi pigliate cura di fare l’oratione che s’harà da recitare nell’essequie di lui, secondo l’ordine preso dalli deputati dell’accade-mia, nella sua orazione funebre»44 così il duca cosi-mo, dopo aver concesso la commessa dell’organizza-zione delle esequie, del catafalco e della tomba del

4. Cappella di San Luca, già della Santissima Trinità, Firenze, Convento della Santissima Annunziata

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divino all’accademia del Disegno, incaricava Bene-detto Varchi dell’orazione, la terza biografia di Miche-langelo come è stata definita45. Un’apoteosi che, se-condo la volontà dei fondatori della stessa accade-mia, avrebbe consegnato una precisa eredità alla neo-nata istituzione. cinque mesi occorsero per preparare il rito. il Varchi, il 14 luglio 1564, arringando i presenti nella basilica di San Lorenzo, dopo una accorata pre-ghiera supplicava gli accademici ad essere devoti «all’eterna memoria, all’immortal fama, e alla perpe-tua gloria» di Michelangelo, e ancora, descrivendo il carattere delle arti invitava con forte realismo l’ «ignegnosissima e honoratissima schiera e scuola dell’accademia e compagnia del Disegno colla suffi-cienza e colla maestria de’ dotti intelletti, e delle eser-citate mani vostre» a «ritenere nella perfezione» le arti, «in piacere di lui, in benefizio di voi, in honorare questa Patria comune, in servigio del Mondo, in isca-rico della vostra coscienza e in gratia dello illustrissi-mo Duca»46. Un coup de théâtre, una esplicita richie-sta che doveva costituire una sorta di giuramento, un sigillo impresso ai primi accademici, non soltanto in termini di fedeltà all’arte michelangiolesca47, mai ve-ramente applicata, ma, soprattutto, in termini di fe-deltà al Principe ed alla dottrina dei teologi, caratteri-stiche più volte attribuite nella narrazione funebre, con acuto senso macchiavellico della conservazione del potere, dal Varchi a Michelangelo. Michelangelo, infatti, espresse in vita ben altre convinzioni e, come ben ha scritto Eugenio Battisti, «fu l’artista non solo

più amato, ma anche più detestato»48. La fortunata connessione causale e casuale di circostanze che ac-caddero durante il primo anno di fondazione dell’ac-cademia del Disegno, coagularono il mito michelan-giolesco attorno alla fondazione dell’accolita, mito che, come abbiamo cercato di evidenziare, ebbe un ruolo più politico-immaginario che tangibilmente ma-teriale. Se è vero, infatti, che i primi artisti accademi-ci furono condotti a studiare i lavori michelangiole-schi nel complesso di San Lorenzo, come i loro mae-stri avevano fatto attorno agli anni Quaranta del cin-quecento49, occorrerebbe analizzare attentamente gli esiti di quel processo educativo. Del periodo rimango-no rilevanti tracce nei disegni descritti dagli allievi sulle pareti con pezzi di legno carbonizzato, dai segni spesso grandi e di colore nero brunastro, sui quali una certa storiografia punta ad una attribuzione mi-chelangiolesca50 piuttosto dubbia, ma spiccano so-prattutto due famosi e vivacissimi disegni di Federico Zuccari databili, secondo Detlef Heikamp, tra il 1575 ed il 1579, secondo Waz´bin´sky verso il 156451. nei fogli 4554 e 4555 del Département des arts graphi-ques del Louvre, l’artista marchigiano con grande in-tensità illustra le dedizione e l’impegno degli allievi dell’accademia che in un lavoro individuale ed allo stesso tempo corale copiano le opere michelangiole-sche secondo i programmi didattici della stessa52. Lo stesso Vasari, a compimento del percorso istituziona-le, aveva desiderato che la sede dell’accademia fosse proprio il tempio michelangiolesco di Firenze: la Sa-crestia nuova di San Lorenzo e la Libreria Laurenzia-na. Problemi logistici uniti ad una certa avversione del Borghini all’utilizzo di strutture preesistenti, se-condo la ricostruzione di Piero Pacini, fecero propen-dere per una sede del tutto nuova capace di rappre-sentare «l’epilogo della rinascita economica, politica e culturale della toscana» che lo stesso monaco bene-dettino attribuiva all’accademia53. Quella rinascita, che pure vedeva cimentarsi gli artisti aderenti all’ac-colita in numerosissime imprese collettive54, fu per lo più diretta e innervata dalla regia di amici ormai non più troppo giovani e vigorosi. nel 1574, infatti, a dieci anni dall’inizio della prima impresa accademica pub-blica mai realizzata in Europa, i protagonisti conclu-sero la loro vita. cosimo morì con il titolo di primo granduca di toscana nell’aprile di quell’anno e due mesi dopo il suo protetto, Vasari, si spense lasciando alla posterità, tra le molte imprese, la sua grandiosa opera storiografica nella quale eternò Michelangiolo come colui che aveva raggiunto il compimento della terza età dell’arte umana. Sei anni dopo, nel 1580, an-

5. Giorgio Vasari, Cosimo I circondato dai suoi artisti, Firenze, Palazzo Vecchio, Sala di Cosimo I

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che l’altro protagonista, il filologo benedettino don Vincenzio Borghini, tornava alla casa del Padre. Zig-munt Waz´bin´sky lega a questi eventi la legittima ri-flessione sul se, orfana dei suoi padri, l’accademia sia rimasta espressione di una grande idea realizzata sol-tanto in forma estremamente ridotta55. È difficile for-nire una risposta univoca a questa domanda. certo è che il decennio che dal 1574 conduce al 1585, anno della concessione alla stessa accademia del ruolo di arte con l’istituzione di un suo relativo tribunale e la pesante burocratizzazione dell’istituzione, molti furo-no i cambiamenti politici e culturali. Lo stesso Barto-lomeo ammannati, accademico della prima ora, ami-co di Vasari e Borghini, considerò la scomparsa degli amici il momento opportuno di scrivere, nel 1582, una «lettera agli accademici del Disegno». in quello scritto, dato alle stampe, rivendicava a sé un metodo didattico, diretta espressione di una discussione ac-cademica, capace di far comprendere ai giovani arti-sti il vero metodo di fare l’arte. L’obiettivo dell’am-mannati era però un altro. Sempre più vicino alle pra-tiche della pietà della compagnia di Gesù, da poco in-staurata anche a Firenze, l’architetto esprimeva il suo pubblico confiteor pregando tutti i membri dell’acca-demia affinché non raffigurassero nudità «coprendo quelle parti che si deono ricoprire e che vedere non si possono se non con vergogna, e che ragione et arte

ricoprir c’insegna, è grandissimo e gravissimo erro-re»56. il messaggio, rivolto proprio a quegli allievi del disegno, era tra le più insidiose mistificazioni scritte nel periodo. L’ammannati, infatti, nel testo loda spes-so il magistero michelangiolesco, al quale è perfino dedicato l’epitaffio finale, ma al contempo, con un’abi-le espediente retorico, sublima le pulsioni estetiche ed artistiche del Buonarroti in un’aurea di eterea ca-stità e vergogna: «i buoni cristiani sempre facevano le buone e belle figure». Ecco che, ribaltando le pro-spettive, persino una presunta frase attribuita al divi-no artista diveniva, nelle mani di sapienti pedagoghi, strumento di potere e di pressione sull’animo delle giovani generazioni. Del resto lo stesso ammannati, il 28 aprile del 1583, fece dono all’accademia di un tor-so michelangiolesco non finito, un modello ricevuto dallo stesso Granduca e identificato oggi con l’eponi-mo di Dio Fluviale, previsto da Michelangelo come or-namento di una tomba dei duchi di casa Medici ai lati dei sarcofagi di San Lorenzo57. L’episodio, apparente-mente in contraddizione, rappresentando il modello una divinità nuda - ma non evidentemente sessuata - si può inquadrare perfettamente nella concezione ac-cademica dell’ammannati per cui occorreva studiare, copiare, ispirarsi (anche secondo le indicazioni del de pictura di Leon Battista alberti), ma con discerni-mento. nella piccola collezione dell’accademia si ag-

6. Michelangelo, Dio Fluviale, Firenze, deposito dell’Accademia delle Arti del Disegno presso il Museo di Casa Buonarroti

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giungeva così, alla copia in gesso del cristo della Mi-nerva di Michelangelo di cui, oltre che per la didatti-ca, si disponeva largamente per l’uso liturgico inter-no all’accolita, il «modello di terra cruda grande in sur una basa di lengio» che rimarrà preziosa reliquia, per almeno due secoli, di un padre a cui mai fu permesso di fare da padrone58.

obliato cosimo i, a trent’anni dalla morte del Buonarroti, l’utilizzo dell’immagine emblematica di un mito ritornò, come ultimo episodio di un cinque-cento inquieto, in un quadro commesso dalla stessa accademia a Pompeo di Giulio caccini. Una raffi-gurazione evocativa, quella che era stata affidata al giovane artista nel 1595, culmine di una operazione di riordino memoriale e rappresentativo compiuto dalla stessa accolita anche attraverso la realizzazio-ne di tutti i ritratti dei luogotenenti che fino ad al-lora avevano governato l’istituzione. L’opera, la cui positiva accoglienza comportò l’iscrizione l’iscrizione dell’artista all’accademia, raffigura un Michelangelo maturo, seduto su di uno scranno del suo studio e

circondato da alcuni suoi modelli nell’atto di intrec-ciare tre ghirlande di alloro, di ulivo e di quercia59. Quell’intreccio simbolico di corone divenne, dopo una complessa disputa iniziale, l’emblema prescelto dall’istituzione accademica, fondendo in sé, oltre che l’intreccio delle tre arti, la memoria dell’utilizzo mi-chelangiolesco del marchio, le reminescenze dell’im-presa del magnifico Lorenzo, l’allusione alle tre gra-zie ed alla santissima trinità60. corona non già termi-nata, quella posta tra le mani del divino. allusione ad un’operosità in fieri, all’ombra lunga di Miche-langelo che è avanzata, attraverso i secoli, più anco-ra che nelle opere, nel simbolo trinitario dell’unione tra pittura, scultura e architettura e che ancora oggi si riverbera in quella accademia che fu «la prima e coerente risposta che uno Stato politico ha tentato di dare al problema della corretta utilizzazione (sia pure a fini strettamente di potere) del proprio poten-ziale artistico e culturale, aprendo un nuovo capitolo nella storia dei rapporti tra arte figurativa e organi-smi statali»61.

7. Agostino Ciampelli, Esequie di Michelangelo, Firenze, Museo di Casa Buonarroti

8. Capitoli dell’Accademia delle Arti del Disegno del luglio 1563. manoscritto, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, mss. II.I.399. c. 45r.

49arte e potere

note

1 Si ringrazia per la segnalazione Giulia coco. 2 S. Meloni trkulia, La quadreria dell’Accademia del Dise-

gno ricostruita, in Atti dell’Accademia delle Arti del Disegno 2007-2008, Firenze, 2008, pp. 55-60.

3 L. Zangheri, L’Accademia fiorentina del Disegno e la sua museologia, in Giorgio Vasari e la nascita del museo, a cura di M. Welligton Gahtan, Firenze, 2012, pp. 147-157.

4 Gli Statuti dell’Accademia delle Arti del Disegno, a cura di F. adorno e L. Zangheri, Firenze, 1998, pp. 3-16. Per la cap-pella della Santissima annunziata cfr. a. Giovannetti, Le storie a Grisaille ella cappella di San Luca alla Santissima Annun-ziata in «Paragone arte», s. iii, LX, 2006, 84-85, pp. 41-48; F. Vossilla, L’Accademia del Disegno e la cappella della Santissi-ma Trinità, in Ammannati e Vasari per la città dei Medici, a cura di c. acidini e G. Pirazzoli, Firenze, 2011, p. 199; L’infinito amore alle arti e agli artisti. La cappella dei pittori e il P. Montorsoli nel 450° anniversario della morte (1563-2013), a cura di P. ircani Menichini, Firenze, 2013.

5.G. Vasari, Delle vite de’ più eccellenti scultori, pittori e architettori, secondo et ultimo volume della terza parte, Fi-renze, 1568, pp. 609-624.

6 r. Scorza, Vasari, Borghini and Michelangelo, in Re-actions to the master, ed. by F. ames-Lewis and P. Joannides, aldershot, 2003, pp. 180-210; M. Faietti, Il disegno padre del-le arti, i disegni degli artisti, il disegno delle “Vite”. Interse-cazioni semantiche in Vasari scrittore, in Figure, memorie, spazio, a cura di M. Faietti, a. Griffo, G. Marini, Firenze, 2011, pp. 13-37; L. Zangheri, Giorgio Vasari e l’Accademia del Dise-gno, in I mondi del Vasari, a cura di a. nova e L. Zangheri, Ve-nezia, 2013, pp. 85-97; M. Marongiu, Giorgio Vasari e Michelan-gelo, in Vasari, gli Uffizi e il Duca, a cura di c. conforti con F. Funis e F. de Luca, Firenze, 2011, pp. 184-185; E. carrara, Gior-gio Vasari, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Storia e politica, diretta da G. Galasso, roma, 2013, pp. 193-200.

7 r. Scorza, Borghini and the Florentine Academies,in Italian academies of the sixteenth century, ed. by D.S. cham-bers and F. Quiviger, London, 1995, pp. 137-163; P. Gavitt, Cha-rity and State Building in Cinquecento Florence: Vincenzio Borghini as Administrator of the Ospedale degli Innocenti in «the Journal of modern history», 1997, 69, 2, pp. 230-270; E. carrara, Vincenzo Borghini, Lelio Torelli e l’Accademia del disegno di Firenze. Alcune considerazioni in “annali di criti-ca d’arte», 2, 2006, pp. 545-568; E. carrara, La nascita dell’Ac-cademia del Disegno di Firenze. Il ruolo di Borghini, Torelli e Vasari, in Les Académies dans l’Europe humaniste. Idéaux et pratiques, textes éd. par M. Deramaix, P. Galand-Hallyn, G. Vagheneim, J. Vignes, Genève, 2008, pp. 129-162.

8 B. Laschke, Fra Giovan Angelo da Montorsoli. Ein Flo-rentiner Bildhauer des XVI Jahrhunderts, Berlin, 1993.

9 G. Vasari, Secondo, et ultimo volume della terza parte. Nel quale si comprendano le nuove Vite, dall’anno 1550 al 1567. Con una breve memoria di tutti i più ingegnosi artefici che fioriscano al presente nell’Academia del Disegno in Fio-renza, et per tutta Italia, et Europa, & delle più importanti opere loro […], Fiorenza,1568, p. 795.

10 B. Varchi, Orazione funerale di M. Benedetto Varchi fatta e recitata da Lui pubblicamente nell’essequie di Miche-lagnolo Buonarroti in Firenze nella chiesa di San Lorenzo, indiritta al molto mag. et reverendo monsignore M. Vincen-zio Borghini priore degli Innocenti, Firenze, 1564.

11 Ultimo in ordine di tempo c. Battezzati, 1562-1564. L’ul-

timo Michelangelo: la Pietà Rondanini, la fine, in Michelange-lo una vita, a cura di P. aiello, Milano, 2014, pp. 267-278. Per una panoramica sugli studi r. Wittkower, The divine Michelangelo. The Florentine Academy’s homage on his death in 1564, Lon-don, 1964; M. collareta, Tre note su Santi di Tito. I, il quadro per le esequie di Michelangelo in «annali della Scuola normale Superiore di Pisa, classe di Lettere e Filosofia», 1977, 3° serie, 7, pp. 351-359; M. ruffini, Art without an author. Vasari’s lives and Michelangelo’s death, new York, 2011.

12 Ben presto l’accademia assunse altri ruoli rispetto a quelli preconizzati dal Vasari e dal Duca cosimo morti entrambi nel 1574, cfr. E. Sartoni, La storia spezzata: i primi decenni dell’Accademia del Disegno, in Da Michelangelo alla Contem-poraneità. Storia di un primato mondiale. 450 anni dell’Ac-cademia delle Arti del Disegno, a cura di E. Sartoni, Firenze, 2014, pp. 36-38.

13 Sempre attuale il pamphlet t. Montanari, A cosa serve Mi-chelangelo?, torino, 2011.

14 Trattati d’arte del Cinquecento fra Manierismo e Con-troriforma, a cura di P. Barocchi, 3 voll, Bari, 1960-1962; M. ros-si Monti, Il cielo in terra. La grazia fra teologia ed estetica, torino, 2008, pp. 133-151.

15 L. Berti, Il primato del Disegno, in Il primato del dise-gno, a cura di L. Berti, Firenze, 1980, pp. 21-38.

16 Z. Wazbinsky, L’Accademia medicea del Disegno a Fi-renze nel Cinquecento, i, Idea e istituzione, Firenze, 1987, pp. 179-263.

17 P. Barocchi, L’Accademia del Disegno ai suoi inizi, in I Fondatori dell’Accademia delle Arti del Disegno nel IV cente-nario della fondazione, a cura di P. Barocchi, a. Bianchini, a. Forlani, M. Fossi, Firenze, 1963, pp. 3-12.

18 Z. Wazbinsky, L’Accademia medicea, cit.19 G. Guerzoni, Novità, innovazione e imitazione: i sin-

tomi della modernità, in Il rinascimento italiano e l’Europa, Produzione e tecniche, a cura di P. Braunstein, L. Molà, iii, tre-viso, 2007, pp. 60-87; P. Boucheron, L’artista imprenditore, in Il rinascimento italiano, cit., 417-436.

20 S. rossi, Dalle botteghe alle accademie. Realtà sociale e teorie artistiche a Firenze dal XIV al XVI secolo, Milano, 1980.

21 M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo. Ere-sia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I, torino, 1997; idem, Storie di immagini. Immagini di storia. Studi di ico-nografia cinquecentesca, roma, 2010.

22 Novelle letterarie pubblicate in Firenze, n. 17, 22 aprile 1740, p. 266.

23 L’opera fu stampata soltanto nel 1876 cfr. G. ticciati, Sto-ria dell’Accademia del Disegno, in Spigolatura michelangio-lesca fatta da P. Fanfani, Pistoia, 1876, pp. 193-307.

24 tra la sterminata bibliografia ed apologetica cfr. anche M. Verga, Strategie dinastiche e mito cittadino: l’Elettrice Pala-tina e Firenze, in La Principessa saggia. L’eredità di Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina, a cura di Stefano casciu, Livorno, 2006, pp. 24-29; r. Menicucci, Le trattative per il “patto di famiglia” e la politica di Anna Maria Luisa de’ Medici, in Arte e politica. L’elettrice palatina e l’ultima sta-gione della committenza medicea in San Lorenzo, Livorno, 2014, pp. 42-49.

25 cfr. anche E. Sartoni, L’Accademia delle Arti del Dise-gno, un nuovo racconto, in Da Michelangelo alla Contempo-raneità, cit., pp. 203-206; B. W. Meijer, 1563. L’Accademia del Disegno, in Da Michelangelo alla Contemporaneità, cit., pp. 26-27.

26 E. Sartoni, La “Compagnia del Glorioso messer Santo

50 enrico sartoni

Luca Evangelista” dal Trecento al 1563, in Da Michelangelo alla Contemporaneità, cit., pp. 22-23.

27 Gli Statuti, cit., p. 7. cfr. anche B. W. Meijer, I primi ac-cademici “forestieri d’ogni natione”, in Atti dell’Accademia delle Arti del Disegno, 2009-2011, Firenze, 2012, pp. 113-134.

28 M. Firpo, Cosimo de’ Medici e Giorgio Vasari, in Vasari, gli Uffizi e il Duca, cit., pp. 25-29.

29 Ibidem.30 E. cropper, L’arte cortigiana a Firenze. Dalla repub-

blica dissimulata allo stato paterno, in Storia delle arti in To-scana. Il Cinquecento, a cura di r.P. ciardi e a. natali, Firenze, 2000, pp. 85-115.

31 G. Bruscoli, Le pitture del Poccetti nello Spedale degli Innocenti, Firenze, 1907.

32 Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, hrsg. K. Frey, H. e W. Frey, Munchen, i, Muller, 1923, p. 712-718.; P. Barocchi, L’Accademia del Disegno, cit., p. 3; B. W Meijer, Michelangelo Buonarroti; cit., pp. 30-31; Il carteggio di Michelangelo, edi-zione postuma di G. Poggi, a cura di P. Barocchi e r. ristori, V, Firenze, 1983, pp. 298-302.

33 ad esempio nella Scala Paradisi di Giovanni climaco, te-sto che circolò molto sia manoscritto che a stampa (edizioni del 1478, 1491 e 1517).

34 J. Sannazzaro, Arcadia secondo i manoscritti e le prime stampe, a cura di M. Scherillo, torino, 1888, p. 83.

35 «Solo Michelagnolo havendo in sé tutte le eccellenze e tut-te le grazie di quanti mai furono e saranno, diede in tutte e tre queste meravigliosissime arti […] tutte quelle bellezze che dare si potevano» cfr. B. Varchi, Orazione funerale, cit., p. 57. cfr. anche Patricia a. Emison, Creating the “divine” artist : from Dante to Michelangelo, Leiden, 2004; B. W. Meijer, Michelange-lo Buonarroti: “capo, padre, e maestro di tutti” (1563-1564), in Da Michelangelo, cit., pp. 30-34.

36 Lettera di Giorgio Vasari in Firenze a Michelangelo Buonarroti in Roma, in Michelangelo, Mostra di disegni, ma-noscritti e documenti, Firenze, 1964, pp. 194-196.

37 M. Marongiu, Giorgio Vasari e Michelangelo, cit., pp. 184.

38 Orazione, cit., p. 11.39 Idem, p. 62.40 aSFi, Mediceo del Principato, 503a, 707, 18 febbraio 1564.41 cfr. Lettera di Diomede Leoni in Roma a Leonardo

Buonarroti in Firenze, 20 giugno 1654, in Michelangelo, Mo-stra di disegni, cit., pp. 203-204.

42 cfr. a tal proposito P. Barolsky, Michelangelo’s Nose. A Mith and its Maker, Philadelphia, 1990, p. 55 e anche E. Sartoni, Effetto Michelangelo: trionfi e celebrazioni di una canonizza-zione laica, in Intorno a Michelangelo. Eredità ed iconografia di un mito, arezzo, 2014, pp. 8-16.

43 Il carteggio indiretto di Michelangelo, a cura di P. Ba-rocchi, K. Loach Bramanti, r. ristori, ii, Firenze, Spes, 1995, pp. 189-190.

44 aSFi, Mediceo del Principato, 1687, c. 49.45 a. Parronchi, Introduzione, in Orazione Funerale di M.

Benedetto Varchi, ed. anastatica, Firenze, 1563, Firenze, 1975; M. Hirst, Michelangelo e i suoi primi biografi, in M. Hirst, Tre saggi su Michelangelo, Firenze, 2004, pp. 31-53.

46 B. Varchi, Orazione funerale, cit., p. 59.47 c. acidini Luchinat, Michelangelo e i Medici, in L’ombra

del genio. Michelangelo e l’arte a Firenze 1537-1631, a cura di M. chiarini, a. P. Darr, c. Giannini, Milano, 2002, pp. 13-31.

48 E. Battisti, Michelangelo. Fortuna di un mito. Cinque-cento anni di critica letteraria e artistica, a cura di Giuseppa Saccaro del Buffa, Firenze, 2012, p. 5.

49 F. de Luca, Federico Zuccari, Artisti dell’Accademia intenti a copiare da Michelangelo nella Sagrestia Nuova, in Vasari, gli Uffizi e il Duca, cit., p. 190-191.

50 Sul tema cfr. P. Dal Poggetto, I disegni murali di Miche-langiolo e della sua scuola nella sacrestia nuova di San Lo-renzo, Firenze, centro Di, 1978; e ancora P. Dal Poggetto, Miche-langelo. La “stanza segreta”. I disegni murali nella sagrestia nuova di San Lorenzo, Firenze, 2012.

51 D. Heikamp, Federico Zuccari a Firenze, 1575-1579 in «Paragone», 205, 1967m pp. 44-68; Z. Wazbinsky, L’Accademia medicea, cit., i, p. 89; c. Falciani, Federico Zuccari, Artisti nel-la Sagrestia Nuova, in L’adolescente dell’Ermitage e la Sagre-stia Nuova di Michelangelo, a cura di S. androsov e U. Baldini, Pistoia, 2000, pp. 175-176.

52 r. rosemberg, Beschreibungen und Nachzeichnungen der Skulpturen Michelangelos. Eine Geschichte der Kunstbe-trachtung, München-Berlin, 2000, p. 138.

53 cfr. Z. Wazbinsky, L’accademia medicea, cit., p. 44; P. Pacini, Le sedi dell’Accademia del Disegno al Cestello e alla Crocetta, Firenze, oslchki, 2001, p. 8-9; E. Ferretti, Vasari, Am-mannati, e l’eredità di Michelangelo nei cantieri di San Lo-renzo, in Ammannati e Vasari, cit., pp. 35-47.

54 tra le imprese, i lavori pubblici e gli apparati effimeri ese-guiti per l’ingresso in Firenze di Maria Giovanna d’austria in oc-casione delle sue nozze con Francesco de’ Medici sono tra i più significativi. cfr. in proposito G. Belli, Vasari, Ammannati, Bor-ghini e l’età dell’oro cosimiana, in Ammannati e Vasari, cit., pp. 117-124.

55 Z. Wazbinsky, L’Accademia medicea, cit., p. 401.56 B. ammannati, Lettera di messer Bartolommeo Amman-

nati scultore, e architetto fiorentino, scritta agli accademici del disegno l’anno 1582, Firenze, 1582 e ristampata 1687, p. 11.

57 Z. Wazbinsky, L’Accademia medicea, cit., pp. 82-83; M. Marongiu, Michelangelo, Modello per un dio fluviale, in L’ado-lescente dell’Ermitage, cit., pp. 84-86.

58 P. Pacini, Le sedi, cit., p. 137; Z. Wazbinsky, L’Accademia medicea, cit., p. 280.

59 P. ragionieri, Pompeo di Giulio Caccini. Michelangelo nel suo studio, in Il volto di Michelangelo, a cura di P. ragionie-ri, Firenze, 2008, pp. 74-75.

60 Z. Wazbinsky, L’Accademia medicea, cit., pp. 168-175. cfr. anche I contratti di Michelangelo Buonarroti, a cura di L. ciulich Bardeschi, Firenze, 2005.

6 S. rossi, Dalle botteghe, cit., p. 181.