amore e politica: una variante del dualismo europeo

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Dai pochi ai molti

Studi in onore di Roberto Antonelli

a cura di Paolo Canettieri e Arianna Punzi

tomo ii

viella

Copyright © 2014 - Viella s.r.l.Tutti i diritti riservatiPrima edizione: febbraio 2014ISBN 9788867281367

viellalibreria editricevia delle Alpi, 32I-00198 ROMAtel. 06 84 17 758fax 06 85 35 39 60www.viella.it

Il volume è stato realizzato anche con il contributo della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Uni-versità di Roma La Sapienza

RedazioneAnatole Pierre Fuksas, Annalisa Landolfi, Gioia Paradisi, Roberto Rea, Eugenia Rigano, Gio-vanna Santini

Indice

tomo i

Paolo Canettieri, arianna Punzi

Premessa XIX

alberto abruzzese

Contro l’umanesimo e i suoi dispositivi 1

annamaria anniCChiariCo

La Biblis di Joan Roís de Corella (introduzione, edizione critica, traduzione) 15

rossend arqués

Dante y Octavio Paz: poética moderna y erotismo 37

Valentina atturo

Languor carnis. Echi di memoria salomonica nella fisiologia emozionale dei trovatori 49

anna maria babbi

«Je sui la pucele a la rose»: ancora sul Guillaume de Dole 79

sonia maura barillari

La «coppia d’Arimino» fra il Triumphus cupidinis e il Purgatorio di san Patrizio. (Una ballata per Viola Novella dal codice Magliabechiano VII, 1078) 89

maria Carla battelli

Il karma e la letteratura: insegnare in India 115

Fabrizio beggiato, antoni rossell

Ara que·m sui lonhatz d’est mestier brau 133

Indice922

Pietro g. beltrami

Il Manfredi di Jean de Meun (esercizio di traduzione dal Roman de la Rose) 135

ViCenç beltrán, isabella tomassetti

Refrains ed estribillos: dalla citazione all’imitazione 145

Valentina berardini

«Praedicatio est manifesta et publica instructio morum et fidei…». How did preachers act on the pulpit? 169

FranCesCa bernardini naPoletano

«Difficoltà di vita» e «ragioni dell’anima». Lettere di Alfonso Gatto a Enrico Falqui 179

Fabio bertolo

Minima filologica: quattro lettere inedite di Bruno Migliorini a Ettore Li Gotti 195

Valeria bertoluCCi Pizzorusso

«… non so che “Gentucca”»: analisi di Purgatorio XXIV, 37 199

simonetta bianChini

«Il mio tesoro» (Paradiso XVII, 121) 205

dominique billy

La Complainte de Geneviève de Brabant ou l’inconstance de la césure 215

Piero boitani

Identità europea e canoni letterari 231

Corrado bologna

Gli «eroi illustri» e il potere “illuminato” 241

massimo bonaFin

Rileggendo Les Vêpres de Tibert (branche 12 del Roman de Renart) 261

luCiana borghi Cedrini, Walter meliga

La sezione delle tenzoni del canzoniere di Bernart Amoros 273

merCedes brea

Esquemas rimáticos y cantigas de refrán 289

margaret brose

Leopardi and the gendering of the sublime. A meditation for Roberto Antonelli, in gratitude for his friendship 299

Indice 923

Furio brugnolo

Esercizi di commento al Dante lirico: Ballata, i’ vòi che tu ritrovi Amore (Vita nuova, XII [5]) e Tutti li miei penser’ parlan d’Amore (Vita nuova, XIII [6]) 307

giusePPina brunetti

Per un magnifico settenario 331

rosanna brusegan

Una crux della Passione di Ruggeri Apugliese: «bistartoti» 343

eugenio burgio

Achbaluch, «nella provincia del Cataio». (Ramusio, I Viaggi di Messer Marco Polo, II 28, 6-7) 359

rosalba CamPra

Costumbre de Primavera 375

Paolo Canettieri

Politica e gioco alle origini della lirica romanza: il conte di Poitiers, il principe di Blaia e altri cortesi 377

nadia Cannata, maddalena signorini

«Per trionfar o Cesare o poeta»: la corona d’alloro e le insegne del poeta moderno 439

mario CaPaldo

Eine altrussische sagenhafte Erzählung über Attilas Tod 475

maria grazia CaPusso

Forme di intrattenimento dialogato: la tenzone fittizia di Lanfranco Cigala (BdT 282, 4) 491

maria Careri

Una nuova traccia veneta di Folchetto di Marsiglia e Peire Vidal (Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 89) 513

attilio CastelluCCi

La sovrapposizione semantica di morriña e saudade 521

simone Celani

A empresa fornecedora de mitos. Un inedito di Fernando Pessoa tra ironia e mitopoiesi 535

maría luisa Cerrón Puga

¿Espía o traductor? El oficio de Alfonso de Ulloa en Venecia (1552-1570) 543

Indice924

Paolo CherChi

Il rito della visita omaggio al maestro 563

Claudia Cieri Via

Qualche riflessione sull’ekphrasis nell’arte del tardo Quattrocento: da Leon Battista Alberti ad Alfred Gell 581

Fabrizio Cigni

Il lai tristaniano Folie n’est pas vasselage e i suoi contesti (con edizione del manoscritto braidense) 587

mariella Combi

Qualche riflessione antropologica: ri-mappare i sensi e le emozioni 597

anna maria ComPagna

Il sentimento tradotto: da Ausiàs March a Baltasar de Romaní 611

emma Condello

Gentil donsella, l’amourousou visou: un nuovo testo poetico in margine alla scuola poetica siciliana? 627

silVia Conte

Il principiare del canto. Per una nuova edizione di Marcabru, Al departir del brau tempier (BdT 293, 3) 637

Fabrizio Costantini

Su alcune rubriche del canzoniere Laurenziano: paratesto, struttura, metrica 667

marCo Cursi, maurizio Fiorilla

Un ignoto codice trecentesco della Commedia di Dante 687

alFonso d’agostino

Gli occhi di Lisabetta (Decameron IV 5) 703

FranCo d’intino

Raccontare lo Zibaldone 721

silVia de laude

«Is Cardinal Roncalli still alive?». Sull’edizione italiana di Mimesis di Erich Auerbach 733

gabriella de marCo

I luoghi del fare arte. L’atelier dell’artista tra valorizzazione museografica, pagine di critica d’arte e letteratura 759

Indice 925

tullio de mauro

Dieci neosemie e neologismi d’autore 771

silVia de santis

La similitudo dantesca nelle illustrazioni di William Blake 775

gioVannella desideri

La guerra ’15-’18 di Cacciaguida (ancora su Fortuna in Dante) 793

roCCo distilo

Sguardi sul vocabolario trobadorico: lessemi e rime (fra ansa, ensa e ilh, ilha) 809

Carlo donà

Marie de France, Alfredo e la scrittura dell’Esope 825

luCiano Formisano

«Dantis erat»: notula sul Fiore di Marin Sanudo 837

anatole Pierre Fuksas

La cobla tensonada e la “dama del torto” di Peire Rogier 843

massimiliano gaggero

L’épée brisée dans le Conte du Graal et ses Continuations 855

gaia gubbini

Amor de lonh: Jaufre Rudel, Agostino e la tradizione monastica 885

saVerio guida

Tremoleta.l Catalas (BdT 305, 16, v. 49) = Pons d’Ortafa? 893

tomo ii

marCo inFurna

Ideali cavallereschi in Valpadana: il Roman d’Hector et Hercule e l’Entrée d’Espagne 931

annalisa landolFi

La “finta innocenza” di Alberico. Qualche nota sul prologo del Frammento su Alessandro 945

lino leonardi

Postilla a una postilla inedita (di Gianfranco Contini) su Federico II 967

Indice926

moniCa longobardi

Una traducson per Guiraut Riquier 979

lorenzo mainini

Rusticus, civis aut philosophus. Epistemi a confronto, modelli intellettuali e una “memoria dantesca” nel de Summo bono di Lorenzo de’ Medici 991

mario manCini

«Qu’il fet bon de tout essaier» (Roman de la rose, v. 21521) 1015

Paolo maninChedda

Amore e politica: una variante del dualismo europeo 1031

luigi marinelli

Tra canone e molteplicità: letteratura e minoranze 1041

sabina marinetti

L’altra interpretazione di «voce» e «vello» 1057

Paolo matthiae

Materia epica preomerica nell’Anatolia hittita. Il Canto della liberazione e la conquista di Ebla 1075

maria luisa meneghetti

Sordello, perché… Il nodo attanziale di Purgatorio VI (e VII-VIII) 1091

roberto merCuri

La morte del poeta 1103

Camilla miglio, domeniCo ingenito

Ḥāfez, Hammer e Goethe. La forma ghazal: Weltliteratur e contemporaneità 1109

luisa miglio

Ernesto Monaci, Vincenzo Federici, il Gabinetto di Paleografia e la Collezione manoscritta 1127

laura minerVini

Gli altri Siciliani: il poema sul Sacrificio di Isacco in caratteri ebraici 1139

mira moCan

Un cuore così illuminato. Etica e armonia del canto nella poesia dei trovatori (Bernart de Ventadorn, Marcabru, Raimbaut d’Aurenga) 1155

sonia netto salomão

Carlos Drummond de Andrade: a Máquina do Mundo em palimpsesto 1177

Indice 927

roberto niColai

Letteratura, generi letterari e canoni: alcune riflessioni 1197

teresa noCita

Loci critici della tradizione decameroniana 1205

sandro orlando

Un sonetto del Trecento su Bonifacio VIII 1211

mario Pagano

Un singolare testimone del Testament di Jean de Meun: ms. Paris, B.N., fr. 12483 1221

gioia Paradisi

Materiali per una ricerca su Petrarca e le emozioni («spes seu cupiditas», «gaudium», «metus» e «dolor») 1239

niColò Pasero

L’amor cortese: modello, metafora, progetto 1263

rienzo Pellegrini

Pasolini traduttore di Georg Trakl 1271

silVano Peloso

Letteratura, filologia e complessità: il caso del Brasile 1289

gianFeliCe Peron

Realtà zoologica e tradizione letteraria: il “gatto padule” 1299

Vanda Perretta

Nostalgia di buone maniere 1315

marCo PiCCat

La novella dei tre pappagalli 1325

antonio Pioletti

Cercando quale Europa. Appunti per un canone euromediterraneo 1335

mauro Ponzi

Goethe e gli “oggetti significativi” del cambiamento epocale 1347

norbert Von PrellWitz

Quando il canone dipende dai centimetri 1365

Carlo Pulsoni, antonio Ciaralli

Tra Italia e Spagna: il Petrarca postillato Esp. 38-8º della Biblioteca de Catalunya di Barcellona (primi appunti) 1371

Indice928

arianna Punzi

Quando il personaggio esce dal libro: il caso di Galeotto signore delle isole lontane 1395

gioVanni ragone

L’occhio e il simulatore 1423

roberto rea

«Di paura il cor compunto»: teologia della Paura nel prologo dell’Inferno 1433

eugenia rigano

Tra arte e scienza, la bellezza si fa meraviglia 1447

barbara ronChetti

Arte, scienza e tecnica fra immaginazione e realtà. Alcune riflessioni attraverso le pagine di Velimir Chlebnikov 1467

luCiano rossi

Les Contes de Bretaigne entre vanité (charmante) et eternité (précaire) 1491

gioVanna santini

«Or chanterai en plorant». Il pianto di Jehan de Neuville per la morte dell’amata (Linker 145, 6) 1521

maria serena saPegno

«L’Italia dee cercar se stessa». La Storia di De Sanctis tra essere e dover essere 1555

elisabetta sarmati

Metanovela, microficciones e racconti interpolati in El desorden de tu nombre di Juan José Millás 1563

anna maria sCaiola

La passione triste della vergine. Atala di Chateaubriand 1575

emma sColes

«que al que mil extremos tiene / lo extremado le conviene»: il codice cortese fra virtuosismo stilistico e rovesciamento parodico in un Juego de mandar cinquecentesco 1587

luigi seVeri

La resistenza della poesia: costanti petrarchesche e dantesche in Zanzotto 1597

Indice 929

emanuela sgambati

L’Ars poetica di Feofan Prokopovič fra teoria e prassi 1619

margherita sPamPinato beretta

La violenza verbale nel tardo Medioevo italiano: analisi di corpora documentari 1629

giorgio stabile

Favourite Poet. Alma-Tadema e una promessa in codice per Roberto Antonelli 1647

Justin steinberg

Dante e le leggi dell’infamia 1651

Carla subrizi

«Cercando l’Europa» nel 1945: dolore e follia nei disegni di Antonin Artaud 1661

giusePPe taVani

Codici, testi, edizioni 1673

steFano tortorella

Archi di Costantino a Roma 1703

luisa Valmarin

Una possibile lettura di Năpasta 1721

gisèle Vanhese

Imaginaire du voyage baudelairien et mallarméen dans Asfinţit marin et Ulise de Lucian Blaga 1733

alberto VarVaro

Considerazioni sulla storia della Filologia Romanza in Italia 1747

sergio Vatteroni

«Il mistero del nome». Sull’essenza della poesia nel giovane Pasolini 1751

riCCardo Viel

La tenzone tra Re Riccardo e il Delfino d’Alvernia: liriche d’oc e d’oïl a contatto 1761

Claudia Villa

Un oracolo e una ragazza: Dante fra Moroello e la gozzuta alpigina 1787

Indice930

maurizio Virdis

Un Medioevo trasposto: il Perceval di Eric Rohmer. Dalla scrittura letteraria alla rappresentazione cinematografica 1799

hayden White

History and Literature 1811

Claudio zambianChi

Marionette o dei: qualche riflessione su un saggio di Kleist 1817

Carmelo zilli

Su un “errore d’autore” nel Poemetto di Lelio Manfredi 1829

Bibliografia degli scritti di Roberto Antonelli 1835

1. Il titolo di questo piccolo contributo – scritto con grande piacere sulla base del-le suggestioni che i libri e l’amicizia di e per Roberto Antonelli mi hanno sempre provocato – è un po’ eterodosso, giacché dà l’impressione di un accostamento arbi-trario di due mondi oltremodo distanti: la politica (e cioè il potere, le istituzioni, la militanza, i rapporti civili, ecc.) e l’amore (l’intimità, il sentimento, il piacere, ecc.). Tuttavia, non è per niente un titolo originale, anzi si tratta di un accostamento già utilizzato. Si pensi a L’amour et l’Occident di Denis de Rougemont,1 dove la malattia europea che vuole necessariamente legati eros e tanatos viene scandagliata in molte delle sue possibili evoluzioni e perversioni (una delle quali, sia chiaro, è il morali-smo); o a Eros e civiltà di Herbert Marcuse,2 la famosa inchiesta filosofica su Freud, la quale esordisce con una frase che è tutto un programma: «L’affermazione di Freud che la civiltà è basata sulla repressione permanente degli istinti umani è stata accol-ta senza discussione»; frase che va accompagnata con una riflessione sul fatto che spesso ciò che di emancipatorio si è sviluppato sotto il profilo dei costumi sessuali in Europa e in America dopo Freud, è stato trasformato da un certo ottimismo progres-sista occidentale (lo stesso che è il padre dell’industrialismo a oltranza e dello svi-luppismo come nuova frontiera del darwinismo) in futilizzazione commerciale, cioè in anticorformismo autorizzato, in eversione à la page (come non ricordare quanto scrisse Pasolini dopo i fatti di Valle Giulia sulla radice qualunquistica e consumistica di molte – non tutte – le forme del Sessantotto italiano?).3

Si pensi infine, ma su un altro livello, alla prima enciclica di Papa Benedetto XVI, Deus caritas est, nella traduzione italiana Dio è amore.4 Ciò che interessa in questa sede del testo del pontefice è la bipartizione dell’argomento: eros vs agape.

1. D. de Rougemont, L’amour et l’Occident, Paris 1939, con un’importante seconda edizione con lo stesso editore nel 1956 nella quale l’intero capitolo II viene riscritto e il VI integrato, e una definitiva nel 1972. Per la traduzione in italiano, cfr. L’amore e l’Occidente, Milano 1986.

2. H. Marcuse, Eros and civilisation. A Philosophical Inquiry into Freud, Boston 1955, tr. it. Eros e civiltà, Torino 1964.

3. P. Pasolini, Il PCI ai giovani!, in «L’Espresso», 16 giugno 1968: «i vostri adulatori (anche Comunisti) / non vi dicono la banale verità: che siete una nuova / specie idealista di qualunquisti: come i vostri padri, / come i vostri padri, ancora, cari!».

4. Benedetto XVI, Deus caritas est. Lettera Enciclica sull’Amore Cristiano, Roma 2005.

Paolo maninChedda

Amore e politica: una variante del dualismo europeo

Paolo Maninchedda1032

Nella prima parte, Ratzinger si occupa dell’amore come desiderio e giunge a confi-gurare l’amore oblativo cristiano – l’amore donato – come l’evoluzione naturale e personale dell’eros; nella seconda parte, l’amore oblativo diviene fondamento dei rapporti sociali, cioè del sistema dei vincoli che fanno di un gruppo di persone una società, e viene declinato nei suoi sviluppi conclusivi fino al rapporto tra la carità ecclesiale e il welfare degli Stati organizzati.

Si pensi, infine, a una delle più importanti radici della cultura europea, non rico-nosciuta nel piccolo e celebre opuscoletto di Le Goff dedicato all’Europa medievale e moderna.5 La radice di cui parlo è il dualismo, che ritroviamo in modo radicale nel catarismo, in modo attenuato nel monachesimo estremista (fortemente sessista e masochisticamente mortificatorio), in modo teologico nel grande scontro tra cattoli-ci e riformati e infine come grande problema nel Concilio Vaticano II.6 Il nucleo di questo notevole e irrisolto dilemma della cultura occidentale, ha avuto grandi sintesi dicotomiche (corpo vs anima, piacere vs dovere, volontà vs desiderio, libertà vs de-stino, libero arbitrio vs Grazia, temporaneità vs eternità) tra le quali spiccano quelle tra libertà vs legge e individualità vs sistema. Sono temi che impattano fortemente sulla cultura del mondo occidentale. Non a caso, dunque, essi sono scandagliati nel saggio Filologia e modernità, scritto da Antonelli come premessa alla traduzione in italiano di Letteratura europea e Medio Evo Latino di Curtius, nel quale si affronta anche il dualismo tra singolo e massa, tra minoranze colte e virtuose da una parte, e masse incolte ma politicamente attive dall’altra, come pure quello, più tragico, tra tradizioni culturali liberali e libertarie, ma minoritarie, e totalitarismi plebiscitari ed egemoni.7 D’altronde, già Dante aveva ben chiaro il nesso tra felicità e sapere e individuava nei difetti di educazione familiare e di cultura sociale i grandi ostacoli alla piena realizzazione dell’uomo.8

Tra amore e politica, a mio avviso, l’Europa ha istituito un dualismo che ha risolto politicizzando, purtroppo, il primo dei termini a confronto.

La dialettica tra la felicità dell’individuo e la struttura della società, ha gene-rato un’ideologia che fonda sul desiderio e sull’amore una visione del mondo, un modello di uomo, un percorso formativo della persona e una pretesa preminenza e nobiltà di chi se ne fa interprete.

Questa ideologia ha alla sua origine il discorso d’amore dei provenzali, che progressivamente è divenuto discorso sulla nobiltà (cioè diritto individualmen-te conquistato a governare perché si è eccellenti interiormente rispetto agli altri), sull’aristocrazia del sapere e del bello, sulla separazione tra sapere e potere e quindi sull’autonomia dell’intellettuale dal riconoscimento del potere, sull’eroismo della li-

5. J. Le Goff, L’Europa medievale e il mondo moderno, Bari 1994.6. La Costituzione Gaudium et spes (Roma, in San Pietro, 7 dicembre 1965) è il vertice della

riflessione conciliare anti-dualistica. 7. E.R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, a c. di R. Antonelli, Firenze 1992; saggio

introduttivo dello stesso curatore: Filologia e modernità, pp. XVII-XX, con la significativa citazione de La rebelión de las masas di Ortega y Gasset, p. XIX.

8. Ovviamente mi riferisco al Convivio, ed. critica a c. di C. Vasoli, D. De Robertis, Milano-Napoli 1988.

Amore e politica: una variante del dualismo europeo 1033

bertà individuale (contro il potere, divenuto sistema) fondato sul sapere e sul piacere dei libertini del XVII secolo francese.

È un percorso lungo su cui sto scrivendo un libro, ormai da anni, e non so se lo finirò mai. Qui tratto solo del suo punto di partenza, ossia della radice dualistica rinvenibile nella primissima poesia provenzale.

2. Riepilogo brevemente per il mio scopo argomenti ben noti.Se c’è un dato certo e incontestabile sulla produzione limitata di Guglielmo

IX,9 questo è che egli non distingue l’amore dal piacere sensuale. L’amore è piacere e Guglielmo afferma il suo pieno diritto a goderne non occasionalmente; l’amore è felicità, attesa, rimpianto, colpa e incontro, ma non sublimazione o rinuncia. Esso è l’incontro tra l’uomo e la donna, voluto e previsto dalla Natura. Dio è distante da queste faccende; Egli è la politica dell’Universo e pertanto ha i suoi àmbiti che han-no le sue stesse dimensioni, più alte e più vaste di quelle umane. Guglielmo pensa che il suo dio sia quello dei cristiani, ma può comunque dirgli, «Anqar mi lais Dieus viure tan / Q’aia mas manz sotz son mantel»,10 perché pensa che Egli regni ma non governi e dunque non si occupi troppo di spiccioli casi umani.

Quando immagina di essere esposto al rischio della morte («Pos de chantar»), il duca di Aquitania non si pente di nulla, come si conviene a un gran signore, perché è certo di andare da colui presso il quale finiscono tutti i peccatori («et eu irai m’en a cellui / on tuit peccador troban fi»); non solo: il tono è quello del rimpianto per le gioie, l’onore, gli amici e gli spassi che lascia («Tot ai guerpit cant amar sueill / cavalaria et orgueill»).

Guglielmo è un fiero anticlericale, ma lo è in termini radicalmente diversi da quel-li cui siamo abituati dall’anticlericalismo moderno. Come potente barone di Francia, certamente si oppose alla politica della Chiesa che, usando la leva del riconoscimento della legittimità della prole, tentò e riuscì a egemonizzare non solo la sfera della legali-tà, cioè quella degli atti pubblici e privati regolati dalla legge (per ciò che questo termi-ne valeva nel Medioevo), ma anche quella della moralità (ossia quell’ampio territorio degli atti non rilevanti giuridicamente ma genericamente iscrivibili nelle categorie del bene e del male) e della felicità (cioè del percorso giusto perché interiormente si possa gioire). Queste vicende sono note e ben illustrate da chi, come Duby,11 tempo fa si è occupato dello scontro tra la Chiesa rigorista di Urbano II e di Innocenzo III e le case regnanti in Francia e in Germania, le quali, dopo aver goduto della sacralizzazione della monarchia, si ribellarono alla sacralizzazione del matrimonio attraverso cui la Chiesa conquistò il potere di riconoscere o meno il diritto dei figli a succedere ai padri e di scomunicare o meno i re, in ragione della loro condotta morale (ma sarebbe meglio dire “sessuale”) e della loro politica verso il Papa e i suoi vescovi.

9. Cito da Guglielmo IX d’Aquitania, Vers, a c. di M. Eusebi, Parma 1995.10. Ab la douzor del temps novel, in Guglielmo IX d’Aquitania, Vers cit., p. 75.11. G. Duby, Le chevalier, la femme et le prêtre. Le mariage dans la France féodale, Paris 1981,

tr. it. Il cavaliere, la donna, il prete, Bari 1987; Id., Dames du XIIe siècle. Ève et les prêtres, Paris 1996, tr. it. I peccati delle donne nel Medioevo, Bari 19992. Ovvio anche il riferimento a G. Duby, M. Perrot, Storia delle donne. Il Medioevo, a c. di C. Klapish-Zuber, Bari 1994.

Paolo Maninchedda1034

Burcardo di Worms, nella sua tassonomia del peccato e nella corrispondente metodologia dell’indagine penitenziale, è un ottimo vademecum per conoscere la censura del piacere che il mondo clericale predicava e pretendeva.12

In che termini, dunque, Guglielmo è anticlericale? In termini erotici, civili e ideologici. Egli considera sleale che una donna ami un chierico, e dunque che questi sia suo rivale, perché il chierico è il nemico del piacere, è il nemico della felicità degli amanti non dovuta al matrimonio, è il nemico della felicità legata al prendere e non al rinunciare. Il prete amante è un infiltrato e la donna che lo frequenta è come una spia che traffica col nemico, per cui merita di essere bruciata come un tizzone («Farai un vers pos mi sonelh»).

Esiste dunque per Guglielmo una legalità (lealtà), sottratta al controllo della Chie-sa, che ha le sue regole al punto che chi le viola è sleale, cioè commette un reato.

3. Su quali argomenti Guglielmo fonda il diritto a esistere del suo mondo etico, laico ed estetico?

È banale dirlo, ma lo fonda sul suo potere. Egli è un grande conte-duca; ammini-stra la giustizia nel suo feudo; lo difende militarmente; è il leader dei suoi cavalieri; è il poeta del suo regno. All’interno del suo mondo lui è la misura della giustizia e del diritto. In fin dei conti, la cultura cortese nasce all’interno di un sistema garan-tito da un potere; anzi nasce come espressione del prestigio di quel potere. «La mia ragione», sembra dire Guglielmo, «è fondata sulla mia forza di poterla affermare». È sintomatico che la prima espressione della laicità si fondi certamente sull’amore e sul piacere, ma soprattutto sulla forza di poterne godere e parlare.

Lo schema etico della poesia provenzale che sta tra Guglielmo IX e Raimbaut d’Aurenga, è sufficientemente semplice: il cavaliere desidera la donna come dono meritato per la propria dedizione, il proprio valore, la propria fedeltà; la donna-dono è signore (midons) del cavaliere e si concede o si ritrae secondo i codici feudali del patto sbilanciato tra vassallo e signore. Giacere e godere con l’amata è sinonimo di felicità. Il ragionare d’amore e l’amare non sono certo la stessa cosa, ma il discorso d’amore è l’unico capace di attribuire senso e valore ai fatti e alle emozioni.

Il cuore della dinamica è dunque semplificabile nel desiderio, nella fatica della conquista e nel merito del godimento, da un lato, e nel saper parlare di questo percor-so dall’altro. Questa non è una novità culturale, al punto che l’ampio dibattito sulle origini della poesia provenzale e sul suo debito verso la tradizione paraliturgica me-diolatina continuamente illumina motivi di continuità con questo o quel preceden-te.13 La novità consiste, al di là di tutto ciò che si può argomentare sul piano metrico e retorico, nell’autosufficienza estetica e morale del discorso poetico provenzale, nella sua pretesa di fondarsi su se stesso, senza auctoritates esterne. La radice di

12. Burchardi Vormatiensis Episcopi opera omnia, in Patrologiae cursus completus omnium SS. Patrum, doctorum, scriptorumque ecclesiasticorum sive Latinorum, sive Graecorum. Patrologia Latina, accurante J.P. Migne, Parisiis, apud Garnier fratres editores et J.P. Migne successores, 1880, vol. 140; A pane e acqua. Peccati e penitenze nel medioevo. Il Penitenziale di Burcardo di Worms, a c. di G. Picasso, G. Piana, G. Motta, Novara 1986.

13. Un erudito riepilogo dello status quaestionis del tema delle origini e degli esordi della lirica occitanica si ha in L. Lazzerini, Letteratura medievale in lingua d’oc, Modena 2001, pp. 1-81.

Amore e politica: una variante del dualismo europeo 1035

questa pretesa e ostentata autonomia è l’autosufficienza politica: la lirica d’amore occitanica è il discorso di un potere, non dell’unico potere né del più forte tra i poteri, ma certamente è il discorso identificativo del potere signorile che afferma la propria volontà di pronunciarsi sull’amore, sulla felicità, sul piacere e la bellezza, sul desti-no. La lirica europea nasce da un potere feudale che laicizza alcuni temi e legittima un suo discorso poetico amoroso come concorrente con le altre forme della cultura, in particolare con quella clericale. La longevità di tale poesia (che echeggia ancora nei versi e nelle canzoni pop contemporanee) deriva da questa sua origine contra-stiva o dialettica che dir si voglia, perché i baroni occitanici furono i primi (magari rivendicandolo come privilegio del loro ceto) ad affermare, descrivere e raccontare, eticamente e esteticamente, la libertà intangibile e individuale di desiderare, amare, giacere e godere senza altri arbitri che se stessi; crearono il repertorio di forme, immagini e simboli necessari per farlo, inaugurarono un percorso i cui esiti erano necessariamente imprevedibili.

4. Il dato fondativo della lirica europea è dunque la sua autonomia. Essa irrompe nell’Europa cristiana e crociata, feudale e regia, come un discorso poetico, origina-riamente non politico ma politicamente tutelato dai baroni, che pone al suo centro ancor più della donna, la felicità, il joi, e lo lega all’amore tra uomo e donna, alle sue dinamiche e al piacere sessuale, cioè lo vincola a una sfera privata e non pubblica dell’esperienza umana. Non me ne vorranno i filosofi, ma è grazie a ciò che si svi-luppò dalla poesia trobadorica che si è potuto scrivere: «L’Europa è la sua storia. E questa storia non è la storia di un’idea che permette una sola tradizione, ma è la storia di una tradizione che permette le idee più diverse e azzardate».14

La lirica provenzale d’amore non fu un’innovazione da poco. Infatti, a fronte di grandi sforzi di reductio omnium ad unum, si pensi nel campo normativo a Graziano e Irnerio e in campo politico al duro scontro tra Papato e Impero, la poesia trobado-rica costruisce uno spazio etico e estetico individuale intorno al tema della felicità e della soddisfazione personale. Infatti, se da un lato l’io lirico non è mai un io stret-tamente biografico e, dall’altro, è sempre un io collettivo nella somma dei lettori, è pur vero che, ogni volta che esso viene ripronunciato da ciascun lettore, diviene inevitabilmente individuale e produce, col suo corredo di forme e di linguaggio, una consapevolezza del proprio desiderio e del piacere di realizzarlo che struttura la co-scienza di sé in modo dialettico con l’esterno. Eros e agape non sono facilmente ri-ducibili l’uno all’altro, anzi, è la dialettica tra persona e società che ha sempre diviso l’Europa tra “individualisti” e “organicisti”. Quando Antiseri, il traduttore di Popper in Italia, cerca di contrapporre una visione individualistica ma non egoistica della storia alle tante visioni collettiviste, cita solo filosofi e trascura i poeti,15 gli unici che veramente hanno insegnato a dire “io” senza chiedere il permesso al potere. Il primo che lo fece fu il potente Guglielmo.

Il tema delle felicità personale non è strettamente politico, ma è ben noto che non vi è mai stato un potere che si sia compiaciuto di una piena soddisfazione in-

14. D. Antiseri, Relativismo, nichilismo, individualismo, Soveria Mannelli 2005.15. Ibid., pp. 44-59.

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dividuale ottenuta “privatamente” grazie a percorsi liberi da canoni, leggi e ordini esterni. Un uomo felice è un uomo libero, non a caso Dante scrive a Cangrande che quanto alla sua Commedia «dicendum est breviter quod finis totius et partis est removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis».16 Usa il termine felicitas, non salus, perché è in hac vita che Dante vuole liberare gli uomini dalla miseria-tristezza. L’avo irriverente e laico della felicitas di Dante è il joi di Guglielmo.

5. Quando nasce una forma di discorso poetico di successo, connesso col prestigio del potere, è inevitabile che esso, al di là della realtà cui si ispira o che racconta, venga riprodotto in mille varianti perché procura fama e onore. Il trobar fu un grande ascensore sociale e fu usato per aumentare il prestigio di chi già ne aveva e di chi ambiva ad acquisirne ulteriormente. La sua fortuna fu il motivo della sua politicizza-zione. All’interno del suo perimetro si riproposero, dunque, le ossessioni europee e la costante incapacità di comporle in un’equilibrata e realistica visione dell’uomo.

Laddove viene individuato un discorso/percorso nobilitante (in teoria fondato sul merito e che, altrettanto in teoria, dà in premio l’onore e il premio) iniziano le contese su chi sia più o meno nobile. Ovviamente, chi non è né un grande né un pic-colo signore, dirà che la nobiltà in amore non è nei titoli, ma nella perfezione d’ani-mo con cui si ama. Il sogno di Guglielmo di iscrivere nella sua poesia un’ideologia competitiva col clero (e con le sue rappresentazioni: la liturgia, la musica, il canto, ecc.), si trasformò e divenne un’etica e un’estetica cetuale e individuale competitiva con qualsiasi potere (e questa è la parte che Guglielmo non aveva previsto).

Una volta definita l’indipendenza dell’ambito erotico da ogni autorità diversa dagli amanti (i fatti) e dall’estetica che li rappresenta (le parole), l’amore non è più solo un fatto, ma diviene il discorso che difende, descrive, rappresenta quel fatto, fino a divenirne il fondamento. C’è il rischio del nominalismo, della mistificazione, dell’alibi estetico e della finzione verbale che ossessionava Nietzsche.17 Tra res e verba i conti devono sempre tornare per chi non è dualista. Tutta una generazione di trovatori, a partire da Marcabruno, scelse la strada del moralismo per ripristinare il rapporto con la verità che loro vedevano minacciato dalla costruzione simbolica della parola poetica. Per Marcabruno un mondo costruito da sole parole è un mondo falso e rituale coniato per celare più che per rappresentare: la fin’amor è una masche-ra a uso di ricchi ipocriti che preparano i letti per gli amanti delle mogli e allevano e generano figli bastardi.18 Signori adulteri, menzogneri, falsi e cortesi si aggirano nelle campagne a corteggiare pastorelle, ma con la riserva mentale di violentarle di-nanzi a un diniego.19 La proposta di Marcabruno è tutta volontaristica: l’uomo deve essere diverso, deve tornare alla regolarità delle unioni matrimoniali, alla fedeltà,

16. D. Alighieri, Epistola a Cangrande, a c. di E. Cecchini, Prato 1995, cap. XV, p. 16 (il corsivo è mio).

17. F. Nietzsche, Su verità e menzogna al di fuori del senso morale, tr. a c. di G. Ferraro, Napoli 1998.

18. Cito dal corpus trobadorico informatizzato presente in http://www.rialto.unina.it/. Dirai vos en mon lati: Moilleratz ab sen cabri, / a tal paratz lo coissi, / qe anc re no·i ac a faire: / gardatz s’es ben badoï.

19. Ibid., L’autrer jost’una sebissa.

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alla morale del donare e del buon ricevere. La sua felicità non è un sentire ma un volere. Non ha dubbi Marcabruno sulla coincidenza tra poter fare e dover fare, tra in-teriorità e socialità: per lui il peccato è vizio e colpa, la legge, il canone dell’esistenza ordinata degli uomini, è la salvezza e la felicità dell’uomo. Non sa e non vuol sapere nulla della normale condizione umana di intuire e vedere il Bene e scegliere invece il Male. La malattia dualistica dell’Europa, attraverso l’algida utopia della perfezione, si scaglia contro l’esplicito egoismo di Guglielmo e se da un lato riapre la questione dell’obbligo dell’agape rispetto all’egotismo del conte di Poitiers, dall’altro, col suo inumano rigorismo apre la strada alla tragica constatazione di Oscar Wilde, secondo il quale l’uomo dice la verità solo se protetto da una maschera.

6. Per quale motivo occorrerebbe essere perfetti per essere degni di una donna? Spesso si è ripetuta la fortunata definizione di Rajna su Guglielmo quale «trova-tore bifronte»,20 eppure non mi sono mai rassegnato alla vulgata che ne è scaturita, cioè al giudizio sul barone aquitano realizzato col palato accordato sul paradosso castrante-cortese così caro a Spitzer.21 Tutto è dialettica, tutto è doppio ma non è op-posto: vivere è risolvere questa fatica. Stevenson ne era perfettamente consapevole: «Giorno dopo giorno, con l’aiuto delle due entità del mio spirito, quella morale e quella intellettuale, mi andai sempre più avvicinando a quella verità la cui parziale scoperta mi ha condannato a questa rovina totale e cioè che l’uomo non è unico, ma duplice».22 Il paradosso è che il dualismo irrisolto è, per Stevenson e per tanti altri, generato proprio dal rigorismo: «Fu quindi la natura esigente delle mie aspirazioni, piuttosto che il carattere abbietto delle mie mancanze, a fare di me quello che divenni e a separare in me, con un solco più profondo di quanto avvenga nella maggioranza delle persone, quelle sfere del bene e del male che compongono e insieme dividono la doppia natura dell’uomo».23 Marcabruno è servito.

Il mondo provenzale generò, però, anche l’altra opzione dualistica europea: quella rinunciataria e ascetica, che potremmo chiamare “la grande rimozione”.

È la ben nota e famosa posizione del merito fondato sulla rinuncia (Jaufre Ru-del), sul dolore della distanza o del rifiuto (Bernart de Ventadorn), sul perfeziona-mento laico su base monastica, ma anche sul merito del martirio d’amore (morire per lei). È una sorta di perversione masochistica, e un po’ onanistica (solo in sogno, per Jaufre Rudel, si può godere d’amore: «d’aquest’ amor sui cossiros / vellan e pueis sompnanh dormen / quar lai ai joi meravelhos / per qu’ieu la jau jauzitz jau-zen») seppure molto produttiva liricamente. Infatti, il discorso poetico degli asceti d’amore consente la fuga dal reale e dalle complicazioni di un ‘tu’ storico e fem-minile. L’amore diviene l’interiorizzazione di un’immagine e la produzione di un discorso che genera soddisfazione per se stesso. Dall’amore come occasione tem-

20. P. Rajna, P. Rajna, Guglielmo, conte de Poitiers, trovatore bifronte, in Mélanges de linguistique et de littérature offerts à M. Alfred Jeanroy, Paris 1928, pp. 349-360.

21. L. Spitzer, L. Spitzer, L’amour lointain de Jaufré Rudel et le sens de la poésie des troubadours, in Id., Romanisches Literaturstudien (1936-1956), Tübingen 1959, pp. 363-413.

22. Tra le innumerevoli edizioni italiane cito da R.L. Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hyde, Milano 1994, p. 88.

23. Ibid., p. 87.

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poranea della felicità che produce un discorso, si passa all’amore esclusivamente inteso come discorso, come architettura mentale, retorica e estetica, che genera un altro reale, più controllabile, più razionale, elegante, lineare, nel quale il dolore raf-fina e non annichilisce e nel quale, addirittura, anche le tensioni sociali avrebbero trovato rappresentazione e composizione.24 Come spesso accade nella storia, ciò che sembra più tranquillizzante in termini sociali (amare da lontano è tollerabile anche per il più severo dei moralisti) diviene progressivamente eversivo, perché il reale per l’uomo diviene ciò che è cerebrale piuttosto che ciò che è storico: parlare d’amore significa educare (prefigurandola) all’esperienza d’amore e dunque inver-tire l’ingenua credenza del fatto che precede la parola, giacché la pretesa è quella di originare molti fatti come realizzazione di poche parole: i testi. Al di là delle inten-zioni di Jaufre Rudel e dei suoi epigoni, la loro lezione preparò la politicizzazione del discorso amoroso che si realizzò successivamente e in modo esplicito nelle tensos e nei testi dedicati al tema della vera nobiltà. Infatti, la premessa al tema della virtù necessaria per esser degni di una donna (ma, inevitabilmente, anche di governare la società), è costituita dall’attribuzione al trobar di una funzione educa-tiva in sé, non dipendente da una società o da un’esperienza. La letteratura diviene introduzione globale all’esistenza adulta e il formarsi retoricamente e poeticamente diviene il formarsi elitariamente per il mondo. Il vecchio ideale del vir christianus dicendi peritus, incarnato dai dotti chierici delle corti anglonormanne, subisce una forte innovazione tematica: l’amore tra l’uomo e la donna non è più una carrellata di casi morali, diviene un tema cui è stata applicata una ratio, cioè un’ideologia che ambisce a tradurre in metafora, ma totalmente, il folle gioco del mondo. Lentamen-te il discorso amoroso che sin dal principio aveva i suoi personaggi fissi (l’amante, l’amata, i guardiani-ostacolo, i chierici malvagi, le dame volgari e le dame cortesi) si arricchì di tutti i tipi del mondo feudale e di tutte le sue occasioni, divenne duttile nei generi e nei registri stilistici, tasformandosi così in un discorso onnicomprensi-vo, culturalmente pretenzioso e politicamente rilevante, su cui si formarono nuove generazioni di litterati. Nacque una grande tradizione che giunge fino a noi, fatta di «una poesia personale e storica, fondatrice e salvatrice di vita e di storia [in una] dolorosa coscienza della caducità dell’uomo e dell’universo».25 Tutto vero e tutto bello, ma quell’esigenza di felicità personale, di pienezza in hac vita, che si espres-se in principio, non seguì i fasti della neonata tradizione, divenne un fenomeno carsico dell’inquietudine europea che frequentemente è riemerso per rompere tutti i classicismi sterilizzanti e tutte i rigurgiti del primitivo bestiale di cui il secolo breve è stato prodigo. Ogni tanto, infatti, il desiderio di senso e di felicità fonda-to sulla temporaneità della soddisfazione generata dal sentirsi amati e dall’amare,

24. Faccio evidentemente riferimento a E. Köhler, Sociologia della fin’amor. Saggi trobadorici, a c. di M. Mancini, Padova 1976, al cui automatismo ideologico di matrice marxista che eccessivamente lega la letteratura al mero rango di rappresentazione della struttura sociale, preferisco la duttilità intellettuale e culturale di Walter Binni che, opponendosi gramscianamente a qualsiasi riduzione dell’espressione artistica alla sola rappresentatività storica, metteva in guardia dalle seduzioni della casualità deterministica e del conseguente impoverimento della critica in mero documentarismo o formalismo, cfr. W. Binni, Poetica, critica e storia letteraria, Bari 19763, pp. 1-10.

25. Cfr. Binni, Poetica cit., p. 30.

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quell’eternità sperimentata senza mediazioni e senza leggi, quella poesia della fe-licità senza pubblico, senza giudici e senza esami, rinnova la sua presenza come fondatrice di “vita e di storia”, non come «pezzo di cielo caduto sulla terra, né puro rispecchiamento della realtà già esistente e semplice nuova edizione di valori già correnti in altri campi di esperienza».26 Io inseguo questi “chierici” fondatori della persona, memore della lezione di tanti colleghi che si sono dedicati ai “chierici” fondatori di sistemi, di costumi, di élite, di storia: unicuique suum.

26. Ibid., p. 24.