abstract del workshop produzioni ceramiche a cuma tra il i sec. a.c. ed il i sec. d.c
TRANSCRIPT
9:15 SalutiM. Bernardini - Direore Dipartimento Asia Africa MediterraneoM. D’Acunto - Direore missione di scavo a Cuma dell’OrientaleF. Sirano - Direore Ufficio Archeologico di Cuma, Soprintendenza Archeologia Campania
I SESSIONEPresiede: Adele Campanelli
9:30 9:30 Il quartiere artigianale cumano a ridosso delle mura seentrionaliM. Giglio (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Il contesto archeologico e le struure funzionali all’officinaS. Iavarone (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Gli indicatori della produzioneG. Borriello (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) La ceramica a pareti soiliM. Giglio (UniM. Giglio (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Le ceramiche comuniG. Borriello – S. Iavarone (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Le ceramiche fini Pausa caffè
11:15 Presentazione di una selezione di oggei del contesto e discussione 12:00 12:00 G. Camodeca (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Per una storia sociale ed economica di Cuma fra la tarda repubblica e il primo impero 12:30 G. Soricelli (Università degli Studi del Molise) La produzione di sigillata in area flegrea: stato delle ricerche Pausa pranzo
II SESSIONEPresiede: Bruno d’AgostinoPresiede: Bruno d’Agostino
14:30 M. Bergamini (già Università degli Studi di Perugia) Scoppieto (TR). Struura ed organizzazione degli impianti produivi tra I a.C. e I d.C. 15:10 G. Olcese (Università degli Studi di Roma "La Sapienza“) Indirizzi e prospeive di ricerca nello studio delle ceramiche (comuni) di Lazio e Campania 15:40 15:40 A. De Bonis (Università degli Studi di Napoli Federico II) Tecnologia e materie prime nella produzione ceramica
Pausa caffè
16:30 discussione generale 17:00 I. Bragantini (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) considerazioni conclusive
8 febbraio 2016Workshop
Produzioni ceramiche a Cuma tra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C.
1
Il Workshop Produzioni ceramiche a Cuma tra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C.
si configura come un primo esito del progetto di ricerca “Cuman Roman Kiln Research
Project”, svolto presso il Dipartimento Asia Africa Mediterraneo dell’Università degli
Studi di Napoli L’Orientale.
Il colloquio, con contributi di Margherita Bergamini, Giovanni Borriello, Irene
Bragantini, Giuseppe Camodeca, Alberto De Bonis, Marco Giglio, Stefano Iavarone,
Gloria Olcese, Gianluca Soricelli, nasce dall’esigenza di diffondere i primi risultati sulle
analisi di un ampio contesto produttivo rinvenuto a Cuma (NA), che fornisce nuovi
elementi e spunti di riflessione circa le produzioni di ceramiche da cucina e da mensa tra
il I sec. a.C. ed il I sec. d.C.. I contributi, inoltre, saranno dedicati ad una riflessione sulle
produzioni flegree di epoca romana e la loro diffusione nel bacino del Mediterraneo.
8 febbraio 2016 alle 9.30 presso la sala conferenze di Palazzo Du Mesnil – Via
Chiatamone 61/62, Napoli – Università degli Studi di Napoli L’Orientale.
Informazioni: [email protected]
2
Il contesto archeologico e le strutture funzionali all’officina M. Giglio (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Tra il 2004 ed il 2006 nel settore ad occidente della cd. Porta Mediana della città è stata messa in luce la
gradinata dello stadio, che fu realizzata nel corso del II sec. a.C., addossandosi o sovrapponendosi al
lato interno delle fortificazioni. L’edificio fu abbandonato abbastanza precocemente, con una prima
fase di obliterazione databile già ad età augustea ed un progressivo interro nella prima età imperiale. Nel
settore meridionale delle gradinate si è formato, a partire dal II d.C., un asse stradale che ha svolto la
funzione di via pomeriale interna. Nel 2008 fu realizzato un piccolo intervento di scavo in una zona di
cruciale importanza per la comprensione del rapporto tra le gradinate dello stadio, le fortificazioni – in
particolar modo una scala per l’accesso al cammino di ronda - ed alcuni ambienti, realizzati a partire dal
tardo II sec. a.C., che si addossano alle mura nell’area tra lo stadio e la porta. Tali ambienti sono stati di
recente pubblicati nell’ambito dell’edizione delle fortificazioni, identificandoli, anche in rapporto con la
presenza dello Stadio, con un complesso termale. Gli elementi considerati a favore di questa ipotesi,
quali grandi bacini di raccolta per l’acqua, un piccolo praefurnium, un ampio ambiente connesso con
condutture per l’acqua, nonché un ambiente con nicchie rettangolari alle pareti, potrebbero essere, alla
luce dell’analisi di questo deposito, reinterpretati e spingere ad un’identificazione di questi ambienti
come di servizio all’impianto produttivo, come comproverebbe anche la presenza di un ambiente
provvisto di vasca - non scavata - forse di decantazione. Lo scavo di questo settore ha riguardato solo
parzialmente i livelli di obliterazione ed appare, pertanto, necessaria una nuova campagna di scavo.
Lo scavo ha interessato solo parzialmente il livello di obliterazione delle gradinate e della scala per il
cammino di ronda, che era stato già indagato superficialmente nel 2005; è stata rimossa solo una
porzione di questo possente deposito, alto al momento ca. 80 cm., costituito da uno strato a matrice
limo-sabbiosa, ricchissimo di materiale ceramico, in particolar modo ceramiche comuni, ceramica a
pareti sottili ed anfore. Lo strato è probabilmente, in base alla matrice del deposito ed alla posizione dei
reperti, di formazione alluvionale; si tratta, molto probabilmente, di un accumulo unitario, un deposito
antropico che è stato parzialmente rimaneggiato da un evento alluvionale che ha interessato la città,
trascinando, in base alla naturale pendenza da Sud a Nord di questo settore dell’abitato, materiali contro
le mura. Lo stato di frammentazione dei reperti, nonché il rinvenimento degli stessi in gruppi
omogenei, lascia ipotizzare che la colata di fango abbia prelevato i reperti da un’area prossima a quella
di rinvenimento.
3
Gli indicatori della produzione S. Iavarone (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Pur mancando l’identificazione delle strutture produttive in senso stretto, di cui comunque sembrano
emergere indizi che andranno in futuro verificati sul campo, il contesto rinvenuto a Cuma apre spunti
interessanti circa i sistemi di produzione e l’organizzazione del lavoro. Allo stato attuale della ricerca e
delle indagini la questione può essere affrontata tracciando una serie di tematiche che possono
stimolare il dibattito su questioni complesse, solo in minima parte ricostruibili sulla base del record
archeologico.
In primo luogo il deposito restituisce non solo materiale ceramico, ma anche utensìli (tra cui almeno
due distanziatori), elementi strutturali della o delle fornaci e possibili materie prime legate alla
lavorazione del vasellame. Alla volta della fornace sono da attribuire una serie cospicua di grumi di
argilla grezza, utilizzata come legante tra filari di olle impilate, di cui ancora recano il negativo impresso
all’interno. Si tratta di un sistema ben noto per la realizzazione delle coperture dei forni ancora
comunissimo in età medievale ed ancora in uso ai giorni nostri. Resta invece da comprendere a pieno il
significato di altri elementi presenti nel deposito, tra cui un discreto numero di malacologici, soprattutto
murex, e alcuni panetti di pigmento rosso. Per i primi non è da escludere un uso come degrassante,
generalmente ritenuta prassi comune nella produzione di vasellame e che le indagini archeometriche in
corso potranno eventualmente verificare. Nel caso specifico la netta predominanza di murex, noti
soprattutto per l’estrazione della porpora, tra l’altro a Cuma ben documentata (Alfaro, Fernàndez 2014)
potrebbe far pensare all’impiego di materiali di scarto provenienti da altri cicli produttivi. Ancora più
intrigante è la presenza di diversi campioni di colore rosso, a base di ossidi di ferro, il cui possibile
impiego nella fabbricazione dei cd. tegami a vernice rossa interna deve ancora essere confermato.
Discorso diverso ma altrettanto interessante è quello costituito dall’analisi del materiale ceramico dal
punto di vista del rapporto tra prodotti riusciti e quelli scartati. La presenza di reperti che coprono
un’ampia gamma di alterazioni permette di studiare, almeno a grandi linee, le logiche adottate
dall’officina nella commercializzazione o meno dei prodotti riusciti imperfetti. Ad esempio nel caso dei
tegami in rossa interna la frequente ricorrenza di individui che presentano solo imperfezioni marginali
nel rivestimento (come le focature) attesta l’esistenza di criteri molto rigidi, volti a tutelare la fama di
questi prodotti cumani.
Infine emergono labili ma interessanti tracce dell’organizzazione della produzione. Un caso eccezionale
è costituito da una cretula, probabilmente originariamente avvolta intorno ad una cordicella,
ripetutamente bollata con un sigillo che riporta un Herakles epitrapezios. Si tratta di un oggetto cottosi
fortunosamente, in origine da riferire a qualche forma di controllo ancora sfuggente. Possono essere
poi riferiti all’organizzazione interna dell’officina diversi graffiti che l’analisi attenta dei reperti sta
iniziando a far emerge. Oltre ad un numerale, che potrebbe far pensare ad un conto di infornata
ricorrono più volte una serie di incisioni alfabetiche, di uno o due caratteri, che probabilmente
veicolavano indicazioni ai lavoranti di cui deve essere ancora compreso il significato.
Bibliografia
Alfaro, C., Fernández, G., “Las tonalidades del tinte púrpura y las posibles estrategias de uso de los
muricidae en los talleresde la Antigüedad: el caso del territorio de Cumas (Italia)”, in Cantillo, J.J.,
Bernal, D., Ramos, J., Moluscos y púrpura en contextosarqueológicos atlántico-mediterráneos. Nuevos
datos y reflexiones en clave de proceso histórico, Càdiz 2014, pp. 329-338.
4
La ceramica a pareti sottili G. Borriello (Università degli Studi di Napoli L'Orientale)
Il corposo scarico messo in evidenza presso le fortificazioni settentrionali, ha permesso l’individuazione
di tre principali classi ceramiche prodotte nel sito cumano: ceramiche comuni, vernice rossa interna e
pareti sottili. Se per le prime due, già i precedenti studi avevano consentito un primo approccio
tipologico dei prodotti cumani, per le pareti sottili si tratta di una novità assoluta. Il rinvenimento, oltre
a consentire una prima definizione degli aspetti tipologici e produttivi caratterizzanti tali prodotti,
permette di riaprire la discussione in merito alle fonti letterarie che menzionano questo vasellame.
Mediante l’analisi dell’ampio campione a disposizione, è stato possibile riconoscere le caratteristiche
macroscopiche pertinenti agli impasti e alle superfici, nonché individuare un primo gruppo di forme di
sicura produzione cumana. Il repertorio si compone prevalentemente di coppe e bicchieri, tuttavia non
mancano forme meno comuni, strettamente legate al repertorio locale. Tra queste è significativo un tipo
di brocca dotata di protome raffigurante una maschera teatrale. Oltre agli aspetti citati precedentemente
è stato possibile individuarne alcuni strettamente legati alla produzione e all’organizzazione dell’officina.
In particolare è stata evidenziata una modularità nel tipo di coppa maggiormente attestato, la quale
veniva realizzata in moduli diversi allo scopo di consentire un più agevole sistema di impilaggio.
Inoltre, da una prima analisi di diffusione dei materiali prodotti, è stato possibile riconoscere, oltre
un’ampia circolazione in ambito campano, anche numerose presenze in Spagna e sul limes germanico.
Tale ricostruzione preliminare permette una prima definizione dei circuiti commerciali al centro dei
quali il sito di Cuma svolse un ruolo determinante.
5
Le ceramiche comuni M. Giglio Tra i materiali prodotti rinvenuti il numero maggiore è costituito dalle ceramiche comuni, in particolar
modo forme da cucina, attestate da 7774 elementi diagnostici.
È ben nota in bibliografia una produzione flegrea di ceramiche comuni, per le quali tuttavia non è mai
stata identificata una localizzazione puntuale; nel caso dei tegami a vernice rossa interna l’area di
produzione è stata collocata sia in zona flegrea sia in quella vesuviana; per quella flegrea ci si basa sia
sulle fonti antiche sia su alcuni rinvenimenti archeologici. In riferimento a Cuma il Pucci identificò con
la ceramica a vernice rossa interna le cumanae testae o cumanae patellae – patinae ricordate dalle fonti, in
particolar modo Apicio e Marziale.
Una ventina di anni fa, inoltre, fu presentato un vecchio contesto di scavo, proveniente dalla cd. Crypta
Romana a Cuma, costituito da uno scarico di vasellame; oltre a numerosi vasi con profilo ricostruibile
vi sono anche scarti di lavorazione, per i quali è stato possibile identificare tre tipi, tutti riferibili a
tegami con orlo indistinto, con una proposta di una produzione cumana attiva dalla tarda età
repubblicana sino al II d.C..
Per quanto riguarda le ceramiche comuni da cucina, i materiali rinvenuti nel nuovo scarico cumano
sono riferibili ai seguenti tipi:
● coperchi a calotta ribassata ed orlo indistinto, lievemente a tesa o a calotta ribassata con orlo
ingrossato superiormente, pari al 41% del materiale presente;
● tegami ad orlo bifido, a pareti sia dritte sia emisferiche, pari al 26%.
A questi si associa la produzione con rivestimento a vernice rossa interna, che prevede la presenza di
tegami con piccolo orlo a tesa, che rientrano nel tipo Luni 2-4 / Goudineau 17, e con orlo indistinto,
tipo Luni 3/5 / Goudineau 16, pari al 33%, costituiti da tegami con diametri molto variabili, da medie
ad elevate dimensioni, nonché di piccole dimensioni, con pareti di spessore ridotto e vernice molto
accurata.
Sempre per i tegami a vernice rossa interna, ad una prima analisi autoptica, l’impasto si discosta per
quantità e dimensioni degli inclusi vulcanici dall’impasto degli oggetti rinvenuti in contesti stratigrafici
pompeiani; ulteriore differenza è costituita dalla qualità del rivestimento, molto scadente nelle
attestazioni pompeiane.
Il contesto è omogeneo e cronologicamente definito tra l’età augustea e tiberiana; tra le produzioni a
vernice rossa interna sono attestati sia tipi ben noti da contesti coevi (Oberaden ed Haltern, da cui
proviene un esemplare con graffito sul fondo S MAR che rientra nella nota produzione dei MARI) sia
in contesti più antichi. Inoltre analoghi tipi provengono da contesti stratigrafici cumani inquadrabili tra
la fine del II ed il pieno I sec. a.C.. È tuttavia da escludere una residualità di questi elementi più antichi,
che quantitativamente sono omogenei con le altre attestazioni.
Allo stato attuale della ricerca – in assenza di conferme sul luogo di produzione degli esemplari
provenienti da contesti provinciali – è possibile ipotizzare una continuità produttiva del centro cumano
con tipi morfologici di lunga durata.
6
Le ceramiche fini G. Borriello – S. Iavarone Pur non rappresentando il materiale maggiormente attestato nel contesto produttivo, le ceramiche fini
non sono prive di interesse. Oltre alla terra sigillata che fornisce significativi ancoraggi per la definizione
delle cronologie interne al contesto, risultano altamente interessanti i rinvenimenti di alcuni individui in
Graue Platten, nonché in ceramica invetriata.
Per quanto concerne le sigillate sono stati riconosciuti diversi individui quasi tutti di origine italica. La
maggioranza dei prodotti è riconducibile all’area flegrea, come risulta evidente sia dalle caratteristiche
macroscopiche degli impasti che dei bolli attestati. Il reperto più significativo è un calice figurato in
sigillata italica il quale reca tre bolli sulla parete esterna. Tra questi il principale è riconducibile a
Rasinius, il quale pur essendo stato attivo ad Arezzo, sembra aver svolto la sua attività anche in area
flegrea.
Il repertorio delle sigillate della Baia di Napoli, si colloca pienamente in età augustea, con prodotti che
imitano i servizi Ib e Ic di Haltern. Tra questi sono stati distinti due diversi gruppi, che potrebbero
corrispondere a differenti aree produttive.
L’invetriata è presente con pochi individui pertinenti ad una produzione piuttosto precoce. Tuttavia si
riconosce una certa variabilità interna: se alcuni frammenti presentano un impasto e spessore simile alle
ceramiche comuni da fuoco, di cui riprendono anche le forme (piatto-coperchio, tegame), un altro
individuo, composto da più frammenti, presenta una conformazione insolita ed un impasto più vicino a
quello delle pareti sottili. La forma sembra ricordare un askos realizzato a matrice, su cui sono leggibili
figure stanti, tipiche dei prodotti in sigillata italica. Tale reperto potrebbe corrispondere ad un tentativo
iniziale e ancora non maturo di applicazione della tecnica a vetrina. Inoltre il repertorio figurativo,
consente dei confronti con le principali produzioni a rilievo di area flegrea.
Per quanto riguarda i Graue Platten le loro attestazioni in Italia sono recentemente cresciute nel
numero ed in particolare a Cuma sembrano annoverarsi ora diversi individui, sia dal contesto in esame
che dall’area dell’abitato e dalla terrazza superiore dell’Acropoli (per questi ultimi vd. Petrillo 2015). I
materiali rinvenuti nello scarico presentano caratteristiche atipiche, tra cui un corpo ceramico tendente
al rosato piuttosto che al peculiare colore grigio. Attualmente l’ipotesi più plausibile sembra comunque
quella di riferire anche questi reperti alle ben note produzioni orientali; ciò nonostante l’esistenza di
officine in Italia è stata recentemente ipotizza per la zona di Roma (Carrara 2012) così come la presenza
a Cuma di una imitazione in sigillata Baia di Napoli costituisce un altro indizio della possibile esistenza
di produzioni locali.
Carrara, M., “Patinarum paludes. Scarti di "Graue Platten" e relativa fornace presso La celsa (Roma)”,
Bollettini di Archeologia online, III, 2012/3-4, pp. 1-27.
Petrillo, N., Acropoli di Cuma, Tempio Maggiore. Ceramiche di età ellenistica e romana dalla Zona 2, in
“La ceramica per la storia di Napoli e del litorale flegreo (IV a.C. – VII d.C.). Dagli scavi di San
Lorenzo Maggiore ad oggi”, Napoli 9-30 ottobre 2015.
7
Per una storia sociale ed economica di Cuma fra la tarda repubblica e il primo impero G. Camodeca (Università degli Studi di Napoli L'Orientale)
L’autore in base alle fonti letterarie e soprattutto alla raccolta e alla revisione della
documentazione epigrafica latina, restituita da Cuma in quantità rilevante (a differenza di
quanto un tempo si riteneva), è in grado di delineare non solo le trasformazioni amministrative
della città, successive alla guerra sociale, ma anche le vicende dell’élite municipale e almeno in
parte dei ceti produttivi.
Inoltre tramite l’utilizzo di un aggiornato database prosopografico, frutto dell’ampia
documentazione raccolta, si può finalmente abbozzare un quadro più generale della variegata
composizione della società cumana tra tarda-repubblica ed età giulio-claudia.
8
La produzione di sigillata in area flegrea: stato delle ricerche G. Soricelli (Università degli Studi del Molise) Il rinvenimento di matrici, scarti di fornace e, più di recente, i risultati di analisi archeometriche
confermano la presenza nell'area del golfo di Napoli di un importante e dinamico distretto produttivo,
che, tra la metà del I sec. a.C. e la seconda metà del secolo successivo, ha prodotto vasellame a vernice
rossa in forme sia lisce che decorate a rilievo, largamente esportato nel bacino occidentale del
Mediterraneo e, sia pure in quantità sensibilmente minori, anche in quello orientale.
Napoli, Cuma, Pozzuoli sono i centri nei quali è possibile, al momento, localizzare officine che
hanno prodotto questo tipo di ceramica. In particolare, è verosimile credere che proprio a Napoli, ove
si produceva già da due secoli una ceramica a vernice nera largamente esportata nel Mediterraneo, negli
anni intorno alla metà del I sec. a.C. alcune delle officine che producevano questa ceramica abbiano
iniziato a produrre ceramica fine da mensa a vernice rossa, così come stava accadendo in quegli stessi
anni in altri centri di produzione della penisola. Questi primi prodotti presentano come caratteristica
più evidente la vernice di colore rosso / rosso-arancio, non "sinterizzata", poiché la cottura avveniva in
quegli stessi forni utilizzati per la ceramica a vernice nera. Si tratta, per l'area flegrea della cd. "Prod. A
della baia di Napoli" o “Campanian Orange ware” una produzione ceramica dalle caratteristiche
omogenee e, tutto sommato, di buona o discreta qualità. Il rinvenimento di due possibili scarti di
fornace e i risultati delle analisi chimiche suggeriscono che uno dei centri di produzione di questa
ceramica sia appunto da collocare a Napoli; è invece da scartare - o quanto meno non dimostrabile dalla
documentazione presentata dalla McKenzie Clark - l'ipotesi che le sue officine siano da collocare in area
vesuviana.
Qualche anno più tardi anche a Cuma e a Pozzuoli si inizia a produrre terra sigillata, adesso con
vernici "sinterizzate". La cronologia iniziale di questa produzione resta ancora da definire così come
ancora da definire è la relazione, anche cronologica, tra l'officina cumana e quella puteolana del
principale produttore, N. Naevius Hilarus. Nonostante il rapido affermarsi della sigillata flegrea con
vernici sinterizzate, le officine della cd. "Prod. A della baia di Napoli" continuarono a produrre e ad
esportare sulla lunga distanza il loro vasellame, utilizzando i medesimi circuiti distributivi che
permettevano la circolazione mediterranea della sigillata puteolana.
9
Scoppieto (TR). Struttura ed organizzazione degli impianti produttivi tra I a.C. e I d.C. M. Bergamini (già Università degli Studi di Perugia) A Scoppieto il I sec. a.C. e il I sec. d.C. corrispondono ai Periodi II e III di frequentazione del sito.
In tutto l’arco cronologico della frequentazione (III sec. a.C.- metà del V sec. d.C.), suddiviso in 6
periodi, con una cesura che interessa la seconda metà del III sec. d.C.(Periodo V), è stata riconosciuta
sul sito una produzione di ceramiche, più o meno intensa, che, ad eccezione del Periodo III (età
augustea- età traianea) in cui assume dimensioni assai ampie, risulta collegata ad lla destinazione d’uso
delle strutture.
Così, nel Periodo I (fine del III/inizi II sec.a.C.) , in cui si registra una frequentazione di tipo cultuale
motivata dalla presenza di un santuario del tipo etrusco-italico, l’attività produttiva è testimoniata dal
rinvenimento di matrici per teste votive di alta qualità (effige di Alessandro Magno), che le analisi
archeometriche hanno consentito di attribuire a produzione locale. Non sono riferibili a questo Periodo
strutture produttive, e non può essere esteso a questo periodo l’uso delle strutture attribuite al Periodo
II, poste in area retrostante il tempio, che la presenza di resti di colonne, probabilmente riferibili a un
colonnato in relazione col tempio, rende incompatibile con l’esistenza di un quartiere artigianale.
Nel Periodo II il sito è interessato dalla presenza di una azienda agraria e la realizzazione di ceramiche si
svolge al suo interno, rivolta ad una produzione su scala ridotta di anfore dei tipi greco-italico e Dressel
1 collegata all’attività vitivinicola, di gliraria, di opus doliare e di ceramica a pareti sottili, con forme diffuse
nel periodo compreso tra l’inizio del II e il terzo quarto del I sec. a.C.. Sono riferibili a queste attività
cinque fornaci, di cui due ubicate nell’area sacra del tempio e tre nell’area retrostante.
Nel I sec. d.C. (Periodo III- età augustea- età traianea) si sviluppa sul sito una manifattura dedita a un’
importante produzione di vasellame di terra sigillata, lucerne, ceramica a pareti sottili e ceramiche
comuni.
Essa risulta articolata in una organizzazione di vasai che all’interno del complesso avevano officine
indipendenti che producevano individualmente utilizzando strutture in comune. Due produttori aretini,
C. Titius Nepos e M. Perennius Crescens affidarono alla manifattura di Scoppieto parte della loro
produzione, testimoniata dalla presenza di matrici e punzoni.
Nell’arco cronologico del suo funzionamento la manifattura ceramica vide avvicendarsi nella
produzione di vasi di T.S. un numero assai elevato di artigiani, documentati da 95 diversi tipi di marchi
di fabbrica e fu in grado di svolgere tutte le operazioni del processo produttivo, che le strutture
conservate hanno consentito di riconoscere. Il modello organizzativo seguito fu certamente
rappresentato da quello delle fabbriche aretine che resta del tutto sconosciuto; essa pertanto assume un
rilievo particolare in quanto si ritiene che da Arezzo abbia recepito oltre all’organizzazione del lavoro le
tecnologie produttive più innovative.
Il complesso produttivo ricopre una superficie di 2300 metri quadrati ed è abbastanza articolato. Gli
spazi lavorativi sono divisi in due settori separati da una zona centrale aperta collegata verso nord ad
una “corte” più ampia (AA), facilmente accessibile a chi arrivava alla manifattura e che doveva
affacciarsi ad un percorso stradale e svolgere una funzione emporiale.
Sono riconoscibili vani di lavorazione (A, G, H, O), locali probabilmente destinati allo stoccaggio dei
vasi finiti e dell’argilla lavorata (F) e un ampio spazio che si ritiene fosse destinato all’essiccamento dei
vasi (P), le vasche di decantazione (M-N), la fornace (F1) con un vano antistante (I) funzionale alla
pulitura e all’alimentazione della camera di combustione.
10
La realizzazione del complesso risulta frutto di un progetto preliminare unitario in cui era stata prevista
anche la costruzione dell’impianto idraulico, che venne realizzato al di sotto dei piani pavimentali ed era
articolato in modo da raccogliere la maggior quantità possibile di acqua sia di sorgente che di
infiltrazione per convogliarla alle vasche di decantazione. Un pozzo di raccolta collegato al sistema di
canalette garantiva la continuità di approvvigionamento. Della presenza di una fornace sotto le vasche
di decantazione sono state rinvenute solo tracce, mentre della fornace principale non è possibile
individuare il tipo. Era certamente fuori terra, costruita su un basamento quadrangolare al quale si
sovrapponevano la camera di combustione e la camera di cottura, ma la rasatura effettuata in funzione
della destinazione abitativa che inizia in età adrianea ne ha conservato solo il basamento fino al piano di
combustione.
Le strutture del complesso produttivo sono riconoscibili grazie alla fortunata conservazione di gran
parte di esse, dovuta al deposito di un consistente strato di limo causato da un evento alluvionale
verificatosi in età traianea. Esso provocò il ricoprimento delle strutture e l’ostruzione delle
canalizzazioni dell’impianto idraulico costituendo il piano di posa dei piani pavimentali e delle strutture
murarie funzionali agli ambienti aventi destinazione abitativa costruiti nel Periodo IV.
11
Tecnologia e materie prime nella produzione ceramica
Alberto De Bonis (1), Chiara Germinario (2), Celestino Grifa (2), Vincenza Guarino (1), Alessio Langella
(2), Vincenzo Morra (1)
________________________________________________________________________________
(1)Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse (DiSTAR), Università degli Studi
di Napoli Federico II, Napoli
(2)Dipartimento di Scienze e Tecnologie, Università del Sannio, Benevento
Cuma rappresenta uno dei maggiori centri produttivi di ceramica della Baia di Napoli, con attestazioni
che vanno dall’età arcaica fino al periodo altomedioevale. Le analisi archeometriche, eseguite con
tecniche analitiche mineralogico-petrografiche presso il Dipartimento di Scienze della Terra,
dell’Ambiente e delle Risorse dell’Università degli Studi di Napoli Federico II in collaborazione con il
Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’Università del Sannio di Benevento, hanno fornito nuovi e
importanti dati di ceramiche ritrovate nell’area della Baia di Napoli (Cuma, Neapolis, Pompei, Stabia).
Questi dati hanno permesso, attraverso una sinergia tra la componente geologica e quella archeologica,
di definire le caratteristiche produttive delle produzioni locali e importate. Fra le potenzialità
dell’approccio geoarcheologico vi è, infatti, la possibilità di identificare i luoghi di produzione. Ciò può
essere ottenuto sia attraverso lo studio comparato della composizione mineralogico-petrografica e
chimica dei reperti con quella delle litologie affioranti nel luogo di produzione, ma anche confrontando
la composizione di materiali ceramici la cui origine è certa (scarti di fornace, resti di materie prime e altri
indicatori di produzione).
Un altro importante contributo fornito dalle Scienze della Terra per ottenere informazioni sulla
provenienza e sul processo produttivo delle ceramiche, è l’individuazione delle materie prime utilizzate
in passato. Attraverso un programma di ricognizione geologica sono stati identificati alcuni potenziali
siti di approvvigionamento di materie prime (argille e smagranti) della Campania (e.g., De Bonis et al.,
2013). I campioni raccolti sono stati analizzati e confrontati con reperti ceramici per individuare i
relativi luoghi di produzione e acquisire informazioni sui processi tecnologici produttivi. In particolare
si è visto che determinate produzioni ceramiche della Baia di Napoli sono state realizzate con materie
prime dalla composizione specifica, correlata all’utilizzo finale dei manufatti. Infatti, una delle
caratteristiche che condiziona maggiormente le proprietà tecnologiche dei manufatti è il carattere
calcareo o non calcareo delle materie prime argillose (cfr., Picon e Olcese, 1993; Maniatis e Tite, 1981).
Due argille di tipo differente raccolte nell’area della Baia di Napoli sono state selezionate per preparare
repliche ceramiche simulando il processo produttivo utilizzato in antichità (diverse temperature di
cottura e quantità di smagrante), al fine di verificarne il potenziale tecnologico attraverso prove fisico-
meccaniche (De Bonis et al., 2014). Una delle due materie prime è rappresentata dall’argilla calcarea
(CaO = 10-15%) d’origine marina dell’isola d’Ischia, ritenuta da vari autori, in base a evidenze
geologiche e fonti storico-archeologiche, un importante sito d’estrazione d’argilla della Baia di Napoli. I
provini sono stati realizzati miscelando proporzioni crescenti di smagrante vulcanico dei Campi Flegrei
per simulare le caratteristiche dei differenti impasti. L’altra materia prima è una piroclastite argillificata
non calcarea raccolta in penisola Sorrentina, ancora adesso utilizzata per la produzione tradizionale di
ceramica refrattaria e dalla composizione molto simile a quella delle argille utilizzate per le ceramiche da
cucina.
I risultati analitici hanno mostrato che le due argille presentano caratteristiche tecnologiche molto
diverse fra loro, che le rendono adatte alla produzione di materiali ceramici con destinazioni d’uso
specifiche. Argille calcaree, caratterizzate da un’elevata concentrazione di ossido di calcio, portano allo
12
sviluppo in cottura di complesse reazioni mineralogiche e alla formazione di un corpo ceramico più
rigido e compatto, adatto, ad esempio, alla produzione di manufatti da mensa o per contenere acqua,
ma non adeguato per ceramiche da cucina che devono sopportare intense sollecitazioni termiche. Le
caratteristiche ottimali per la produzione di ceramica da cucina, invece, si ottengono tramite l’utilizzo di
una materia prima non calcarea, che permette di ottenere un corpo ceramico in grado di assorbire
meglio l’energia termica, evitando la rottura dei manufatti.
Per quanto riguarda la presenza di smagrante, è stato osservato sperimentalmente che favorisce la
dissipazione di energia termica e meccanica, migliorando la resistenza delle ceramiche da cucina e anche
quella di altri oggetti destinati a resistere agli urti come, ad esempio, le anfore da trasporto.
Studi archeometrici di reperti ceramici della Baia di Napoli, databili dall’età arcaica fino al medioevo,
hanno fornito informazioni sulle tecnologie produttive. Per molte ceramiche comuni, fini, da mensa e
da servizio è stato evidenziato l’utilizzo di un’argilla calcarea. Le analisi e le prove sperimentali di
cottura hanno indicato una buona compatibilità sia dal punto di vista composizionale che tecnologico
fra questi prodotti ceramici e l’argilla di Ischia, confermandone l’utilizzo come materia prima nell’area
della Baia di Napoli (De Bonis et al., 2013, 2014). Viceversa, le indagini su ceramiche da cucina della Baia
di Napoli, prodotte nello stesso intervallo cronologico, hanno mostrato un utilizzo di argille non
calcaree, la cui localizzazione è ancora oggetto di ricerche.
In conclusione, gli studi hanno evidenziato che nell’area della Baia di Napoli esisteva una tradizione
artigianale con un elevato livello tecnologico, caratterizzata da una continuità nell’uso di materie prime
ben selezionate (argille di natura calcarea e non, miscelate all’occorrenza con smagranti di natura
prevalentemente vulcanica), per la produzione di prodotti dalle caratteristiche differenti.
Un programma di analisi in corso sui materiali ritrovati in un potente scarico di fornace a Cuma, fornirà
nuovi dati che potrebbero confermare il ruolo fondamentale che la città aveva nel commercio e nella
produzione ceramica fra i vari centri della Baia di Napoli.
Riferimenti bibliografici
De Bonis A., Grifa C., Cultrone G., De Vita P., Langella A., Morra V. (2013). Raw materials for
archaeological pottery from the Campania Region of Italy: a petrophysical characterization.
Geoarchaeology, 28(5), 478-503.
De Bonis A., Cultrone G., Grifa C., Langella A., Morra V. (2014). Clays from the Bay of Naples
(Italy): New insight on ancient and traditional ceramics. Journal of the European Ceramic Society,
34(13), 3229-3244.
Maniatis Y., Tite, M.S. (1981). Technological examination of Neolithic–Bronze Age pottery
from central and southeast Europe and from the Near East. Journal of Archaeological Science, 8, 59–
76.
Picon M., Olcese G (1993). Per una classificazione in laboratorio delle ceramiche comuni. In:
Ceramica romana e archeometria: lo stato degli studi. Atti delle giornate di studio (Castello di
Montegufoni, Firenze). Quaderni del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Sezione
archeologica – Università di Siena, 105-114.