abstract del workshop produzioni ceramiche a cuma tra il i sec. a.c. ed il i sec. d.c

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9:15Saluti M. Bernardini - DireĴore Dipartimento Asia Africa Mediterraneo M. DAcunto - DireĴore missione di scavo a Cuma dellOrientale F. Sirano - DireĴore Uଃcio Archeologico di Cuma, Soprintendenza Archeologia Campania I SESSIONE Presiede: Adele Campanelli 9:30 9:30 Il quartiere artigianale cumano a ridosso delle mura seĴentrionali M. Giglio (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Il contesto archeologico e le struĴure funzionali alloଃcina S. Iavarone (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Gli indicatori della produzione G. Borriello (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) La ceramica a pareti soĴili M. Giglio (Uni M. Giglio (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Le ceramiche comuni G. Borriello S. Iavarone (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Le ceramiche ni Pausa caè 11:15 Presentazione di una selezione di oggeĴi del contesto e discussione 12:00 12:00 G. Camodeca (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Per una storia sociale edeconomica di Cuma fra la tarda repubblica e il primo impero 12:30 G. Soricelli (Università degli Studi del Molise) La produzione di sigillata in area ଂegrea: stato delle ricerche Pausa pranzo II SESSIONE Presiede: Bruno dAgostino Presiede: Bruno dAgostino 14:30 M. Bergamini (già Università degli Studi di Perugia) Scoppieto (TR). StruĴura edorganizzazione degli impianti produĴivi tra I a.C. e I d.C. 15:10 G. Olcese (Università degli Studi di Roma "La Sapienza) Indirizzi e prospeĴive di ricerca nello studio delle ceramiche (comuni) di Lazio e Campania 15:40 15:40 A. De Bonis (Università degli Studi di Napoli Federico II) Tecnologia e materie prime nella produzione ceramica Pausa caè 16:30 discussione generale 17:00 I. Bragantini (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) considerazioni conclusive 8 febbraio 2016 Workshop Produzioni ceramiche a Cuma tra il I sec. a.C. edil I sec. d.C.

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9:15 SalutiM. Bernardini - Direore Dipartimento Asia Africa MediterraneoM. D’Acunto - Direore missione di scavo a Cuma dell’OrientaleF. Sirano - Direore Ufficio Archeologico di Cuma, Soprintendenza Archeologia Campania

I SESSIONEPresiede: Adele Campanelli

9:30 9:30 Il quartiere artigianale cumano a ridosso delle mura seentrionaliM. Giglio (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Il contesto archeologico e le struure funzionali all’officinaS. Iavarone (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Gli indicatori della produzioneG. Borriello (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) La ceramica a pareti soiliM. Giglio (UniM. Giglio (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Le ceramiche comuniG. Borriello – S. Iavarone (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Le ceramiche fini Pausa caffè

11:15 Presentazione di una selezione di oggei del contesto e discussione 12:00 12:00 G. Camodeca (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Per una storia sociale ed economica di Cuma fra la tarda repubblica e il primo impero 12:30 G. Soricelli (Università degli Studi del Molise) La produzione di sigillata in area flegrea: stato delle ricerche Pausa pranzo

II SESSIONEPresiede: Bruno d’AgostinoPresiede: Bruno d’Agostino

14:30 M. Bergamini (già Università degli Studi di Perugia) Scoppieto (TR). Struura ed organizzazione degli impianti produivi tra I a.C. e I d.C. 15:10 G. Olcese (Università degli Studi di Roma "La Sapienza“) Indirizzi e prospeive di ricerca nello studio delle ceramiche (comuni) di Lazio e Campania 15:40 15:40 A. De Bonis (Università degli Studi di Napoli Federico II) Tecnologia e materie prime nella produzione ceramica

Pausa caffè

16:30 discussione generale 17:00 I. Bragantini (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) considerazioni conclusive

8 febbraio 2016Workshop

Produzioni ceramiche a Cuma tra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C.

1

Il Workshop Produzioni ceramiche a Cuma tra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C.

si configura come un primo esito del progetto di ricerca “Cuman Roman Kiln Research

Project”, svolto presso il Dipartimento Asia Africa Mediterraneo dell’Università degli

Studi di Napoli L’Orientale.

Il colloquio, con contributi di Margherita Bergamini, Giovanni Borriello, Irene

Bragantini, Giuseppe Camodeca, Alberto De Bonis, Marco Giglio, Stefano Iavarone,

Gloria Olcese, Gianluca Soricelli, nasce dall’esigenza di diffondere i primi risultati sulle

analisi di un ampio contesto produttivo rinvenuto a Cuma (NA), che fornisce nuovi

elementi e spunti di riflessione circa le produzioni di ceramiche da cucina e da mensa tra

il I sec. a.C. ed il I sec. d.C.. I contributi, inoltre, saranno dedicati ad una riflessione sulle

produzioni flegree di epoca romana e la loro diffusione nel bacino del Mediterraneo.

8 febbraio 2016 alle 9.30 presso la sala conferenze di Palazzo Du Mesnil – Via

Chiatamone 61/62, Napoli – Università degli Studi di Napoli L’Orientale.

Informazioni: [email protected]

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Il contesto archeologico e le strutture funzionali all’officina M. Giglio (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Tra il 2004 ed il 2006 nel settore ad occidente della cd. Porta Mediana della città è stata messa in luce la

gradinata dello stadio, che fu realizzata nel corso del II sec. a.C., addossandosi o sovrapponendosi al

lato interno delle fortificazioni. L’edificio fu abbandonato abbastanza precocemente, con una prima

fase di obliterazione databile già ad età augustea ed un progressivo interro nella prima età imperiale. Nel

settore meridionale delle gradinate si è formato, a partire dal II d.C., un asse stradale che ha svolto la

funzione di via pomeriale interna. Nel 2008 fu realizzato un piccolo intervento di scavo in una zona di

cruciale importanza per la comprensione del rapporto tra le gradinate dello stadio, le fortificazioni – in

particolar modo una scala per l’accesso al cammino di ronda - ed alcuni ambienti, realizzati a partire dal

tardo II sec. a.C., che si addossano alle mura nell’area tra lo stadio e la porta. Tali ambienti sono stati di

recente pubblicati nell’ambito dell’edizione delle fortificazioni, identificandoli, anche in rapporto con la

presenza dello Stadio, con un complesso termale. Gli elementi considerati a favore di questa ipotesi,

quali grandi bacini di raccolta per l’acqua, un piccolo praefurnium, un ampio ambiente connesso con

condutture per l’acqua, nonché un ambiente con nicchie rettangolari alle pareti, potrebbero essere, alla

luce dell’analisi di questo deposito, reinterpretati e spingere ad un’identificazione di questi ambienti

come di servizio all’impianto produttivo, come comproverebbe anche la presenza di un ambiente

provvisto di vasca - non scavata - forse di decantazione. Lo scavo di questo settore ha riguardato solo

parzialmente i livelli di obliterazione ed appare, pertanto, necessaria una nuova campagna di scavo.

Lo scavo ha interessato solo parzialmente il livello di obliterazione delle gradinate e della scala per il

cammino di ronda, che era stato già indagato superficialmente nel 2005; è stata rimossa solo una

porzione di questo possente deposito, alto al momento ca. 80 cm., costituito da uno strato a matrice

limo-sabbiosa, ricchissimo di materiale ceramico, in particolar modo ceramiche comuni, ceramica a

pareti sottili ed anfore. Lo strato è probabilmente, in base alla matrice del deposito ed alla posizione dei

reperti, di formazione alluvionale; si tratta, molto probabilmente, di un accumulo unitario, un deposito

antropico che è stato parzialmente rimaneggiato da un evento alluvionale che ha interessato la città,

trascinando, in base alla naturale pendenza da Sud a Nord di questo settore dell’abitato, materiali contro

le mura. Lo stato di frammentazione dei reperti, nonché il rinvenimento degli stessi in gruppi

omogenei, lascia ipotizzare che la colata di fango abbia prelevato i reperti da un’area prossima a quella

di rinvenimento.

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Gli indicatori della produzione S. Iavarone (Università degli Studi di Napoli L'Orientale) Pur mancando l’identificazione delle strutture produttive in senso stretto, di cui comunque sembrano

emergere indizi che andranno in futuro verificati sul campo, il contesto rinvenuto a Cuma apre spunti

interessanti circa i sistemi di produzione e l’organizzazione del lavoro. Allo stato attuale della ricerca e

delle indagini la questione può essere affrontata tracciando una serie di tematiche che possono

stimolare il dibattito su questioni complesse, solo in minima parte ricostruibili sulla base del record

archeologico.

In primo luogo il deposito restituisce non solo materiale ceramico, ma anche utensìli (tra cui almeno

due distanziatori), elementi strutturali della o delle fornaci e possibili materie prime legate alla

lavorazione del vasellame. Alla volta della fornace sono da attribuire una serie cospicua di grumi di

argilla grezza, utilizzata come legante tra filari di olle impilate, di cui ancora recano il negativo impresso

all’interno. Si tratta di un sistema ben noto per la realizzazione delle coperture dei forni ancora

comunissimo in età medievale ed ancora in uso ai giorni nostri. Resta invece da comprendere a pieno il

significato di altri elementi presenti nel deposito, tra cui un discreto numero di malacologici, soprattutto

murex, e alcuni panetti di pigmento rosso. Per i primi non è da escludere un uso come degrassante,

generalmente ritenuta prassi comune nella produzione di vasellame e che le indagini archeometriche in

corso potranno eventualmente verificare. Nel caso specifico la netta predominanza di murex, noti

soprattutto per l’estrazione della porpora, tra l’altro a Cuma ben documentata (Alfaro, Fernàndez 2014)

potrebbe far pensare all’impiego di materiali di scarto provenienti da altri cicli produttivi. Ancora più

intrigante è la presenza di diversi campioni di colore rosso, a base di ossidi di ferro, il cui possibile

impiego nella fabbricazione dei cd. tegami a vernice rossa interna deve ancora essere confermato.

Discorso diverso ma altrettanto interessante è quello costituito dall’analisi del materiale ceramico dal

punto di vista del rapporto tra prodotti riusciti e quelli scartati. La presenza di reperti che coprono

un’ampia gamma di alterazioni permette di studiare, almeno a grandi linee, le logiche adottate

dall’officina nella commercializzazione o meno dei prodotti riusciti imperfetti. Ad esempio nel caso dei

tegami in rossa interna la frequente ricorrenza di individui che presentano solo imperfezioni marginali

nel rivestimento (come le focature) attesta l’esistenza di criteri molto rigidi, volti a tutelare la fama di

questi prodotti cumani.

Infine emergono labili ma interessanti tracce dell’organizzazione della produzione. Un caso eccezionale

è costituito da una cretula, probabilmente originariamente avvolta intorno ad una cordicella,

ripetutamente bollata con un sigillo che riporta un Herakles epitrapezios. Si tratta di un oggetto cottosi

fortunosamente, in origine da riferire a qualche forma di controllo ancora sfuggente. Possono essere

poi riferiti all’organizzazione interna dell’officina diversi graffiti che l’analisi attenta dei reperti sta

iniziando a far emerge. Oltre ad un numerale, che potrebbe far pensare ad un conto di infornata

ricorrono più volte una serie di incisioni alfabetiche, di uno o due caratteri, che probabilmente

veicolavano indicazioni ai lavoranti di cui deve essere ancora compreso il significato.

Bibliografia

Alfaro, C., Fernández, G., “Las tonalidades del tinte púrpura y las posibles estrategias de uso de los

muricidae en los talleresde la Antigüedad: el caso del territorio de Cumas (Italia)”, in Cantillo, J.J.,

Bernal, D., Ramos, J., Moluscos y púrpura en contextosarqueológicos atlántico-mediterráneos. Nuevos

datos y reflexiones en clave de proceso histórico, Càdiz 2014, pp. 329-338.

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La ceramica a pareti sottili G. Borriello (Università degli Studi di Napoli L'Orientale)

Il corposo scarico messo in evidenza presso le fortificazioni settentrionali, ha permesso l’individuazione

di tre principali classi ceramiche prodotte nel sito cumano: ceramiche comuni, vernice rossa interna e

pareti sottili. Se per le prime due, già i precedenti studi avevano consentito un primo approccio

tipologico dei prodotti cumani, per le pareti sottili si tratta di una novità assoluta. Il rinvenimento, oltre

a consentire una prima definizione degli aspetti tipologici e produttivi caratterizzanti tali prodotti,

permette di riaprire la discussione in merito alle fonti letterarie che menzionano questo vasellame.

Mediante l’analisi dell’ampio campione a disposizione, è stato possibile riconoscere le caratteristiche

macroscopiche pertinenti agli impasti e alle superfici, nonché individuare un primo gruppo di forme di

sicura produzione cumana. Il repertorio si compone prevalentemente di coppe e bicchieri, tuttavia non

mancano forme meno comuni, strettamente legate al repertorio locale. Tra queste è significativo un tipo

di brocca dotata di protome raffigurante una maschera teatrale. Oltre agli aspetti citati precedentemente

è stato possibile individuarne alcuni strettamente legati alla produzione e all’organizzazione dell’officina.

In particolare è stata evidenziata una modularità nel tipo di coppa maggiormente attestato, la quale

veniva realizzata in moduli diversi allo scopo di consentire un più agevole sistema di impilaggio.

Inoltre, da una prima analisi di diffusione dei materiali prodotti, è stato possibile riconoscere, oltre

un’ampia circolazione in ambito campano, anche numerose presenze in Spagna e sul limes germanico.

Tale ricostruzione preliminare permette una prima definizione dei circuiti commerciali al centro dei

quali il sito di Cuma svolse un ruolo determinante.

5

Le ceramiche comuni M. Giglio Tra i materiali prodotti rinvenuti il numero maggiore è costituito dalle ceramiche comuni, in particolar

modo forme da cucina, attestate da 7774 elementi diagnostici.

È ben nota in bibliografia una produzione flegrea di ceramiche comuni, per le quali tuttavia non è mai

stata identificata una localizzazione puntuale; nel caso dei tegami a vernice rossa interna l’area di

produzione è stata collocata sia in zona flegrea sia in quella vesuviana; per quella flegrea ci si basa sia

sulle fonti antiche sia su alcuni rinvenimenti archeologici. In riferimento a Cuma il Pucci identificò con

la ceramica a vernice rossa interna le cumanae testae o cumanae patellae – patinae ricordate dalle fonti, in

particolar modo Apicio e Marziale.

Una ventina di anni fa, inoltre, fu presentato un vecchio contesto di scavo, proveniente dalla cd. Crypta

Romana a Cuma, costituito da uno scarico di vasellame; oltre a numerosi vasi con profilo ricostruibile

vi sono anche scarti di lavorazione, per i quali è stato possibile identificare tre tipi, tutti riferibili a

tegami con orlo indistinto, con una proposta di una produzione cumana attiva dalla tarda età

repubblicana sino al II d.C..

Per quanto riguarda le ceramiche comuni da cucina, i materiali rinvenuti nel nuovo scarico cumano

sono riferibili ai seguenti tipi:

● coperchi a calotta ribassata ed orlo indistinto, lievemente a tesa o a calotta ribassata con orlo

ingrossato superiormente, pari al 41% del materiale presente;

● tegami ad orlo bifido, a pareti sia dritte sia emisferiche, pari al 26%.

A questi si associa la produzione con rivestimento a vernice rossa interna, che prevede la presenza di

tegami con piccolo orlo a tesa, che rientrano nel tipo Luni 2-4 / Goudineau 17, e con orlo indistinto,

tipo Luni 3/5 / Goudineau 16, pari al 33%, costituiti da tegami con diametri molto variabili, da medie

ad elevate dimensioni, nonché di piccole dimensioni, con pareti di spessore ridotto e vernice molto

accurata.

Sempre per i tegami a vernice rossa interna, ad una prima analisi autoptica, l’impasto si discosta per

quantità e dimensioni degli inclusi vulcanici dall’impasto degli oggetti rinvenuti in contesti stratigrafici

pompeiani; ulteriore differenza è costituita dalla qualità del rivestimento, molto scadente nelle

attestazioni pompeiane.

Il contesto è omogeneo e cronologicamente definito tra l’età augustea e tiberiana; tra le produzioni a

vernice rossa interna sono attestati sia tipi ben noti da contesti coevi (Oberaden ed Haltern, da cui

proviene un esemplare con graffito sul fondo S MAR che rientra nella nota produzione dei MARI) sia

in contesti più antichi. Inoltre analoghi tipi provengono da contesti stratigrafici cumani inquadrabili tra

la fine del II ed il pieno I sec. a.C.. È tuttavia da escludere una residualità di questi elementi più antichi,

che quantitativamente sono omogenei con le altre attestazioni.

Allo stato attuale della ricerca – in assenza di conferme sul luogo di produzione degli esemplari

provenienti da contesti provinciali – è possibile ipotizzare una continuità produttiva del centro cumano

con tipi morfologici di lunga durata.

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Le ceramiche fini G. Borriello – S. Iavarone Pur non rappresentando il materiale maggiormente attestato nel contesto produttivo, le ceramiche fini

non sono prive di interesse. Oltre alla terra sigillata che fornisce significativi ancoraggi per la definizione

delle cronologie interne al contesto, risultano altamente interessanti i rinvenimenti di alcuni individui in

Graue Platten, nonché in ceramica invetriata.

Per quanto concerne le sigillate sono stati riconosciuti diversi individui quasi tutti di origine italica. La

maggioranza dei prodotti è riconducibile all’area flegrea, come risulta evidente sia dalle caratteristiche

macroscopiche degli impasti che dei bolli attestati. Il reperto più significativo è un calice figurato in

sigillata italica il quale reca tre bolli sulla parete esterna. Tra questi il principale è riconducibile a

Rasinius, il quale pur essendo stato attivo ad Arezzo, sembra aver svolto la sua attività anche in area

flegrea.

Il repertorio delle sigillate della Baia di Napoli, si colloca pienamente in età augustea, con prodotti che

imitano i servizi Ib e Ic di Haltern. Tra questi sono stati distinti due diversi gruppi, che potrebbero

corrispondere a differenti aree produttive.

L’invetriata è presente con pochi individui pertinenti ad una produzione piuttosto precoce. Tuttavia si

riconosce una certa variabilità interna: se alcuni frammenti presentano un impasto e spessore simile alle

ceramiche comuni da fuoco, di cui riprendono anche le forme (piatto-coperchio, tegame), un altro

individuo, composto da più frammenti, presenta una conformazione insolita ed un impasto più vicino a

quello delle pareti sottili. La forma sembra ricordare un askos realizzato a matrice, su cui sono leggibili

figure stanti, tipiche dei prodotti in sigillata italica. Tale reperto potrebbe corrispondere ad un tentativo

iniziale e ancora non maturo di applicazione della tecnica a vetrina. Inoltre il repertorio figurativo,

consente dei confronti con le principali produzioni a rilievo di area flegrea.

Per quanto riguarda i Graue Platten le loro attestazioni in Italia sono recentemente cresciute nel

numero ed in particolare a Cuma sembrano annoverarsi ora diversi individui, sia dal contesto in esame

che dall’area dell’abitato e dalla terrazza superiore dell’Acropoli (per questi ultimi vd. Petrillo 2015). I

materiali rinvenuti nello scarico presentano caratteristiche atipiche, tra cui un corpo ceramico tendente

al rosato piuttosto che al peculiare colore grigio. Attualmente l’ipotesi più plausibile sembra comunque

quella di riferire anche questi reperti alle ben note produzioni orientali; ciò nonostante l’esistenza di

officine in Italia è stata recentemente ipotizza per la zona di Roma (Carrara 2012) così come la presenza

a Cuma di una imitazione in sigillata Baia di Napoli costituisce un altro indizio della possibile esistenza

di produzioni locali.

Carrara, M., “Patinarum paludes. Scarti di "Graue Platten" e relativa fornace presso La celsa (Roma)”,

Bollettini di Archeologia online, III, 2012/3-4, pp. 1-27.

Petrillo, N., Acropoli di Cuma, Tempio Maggiore. Ceramiche di età ellenistica e romana dalla Zona 2, in

“La ceramica per la storia di Napoli e del litorale flegreo (IV a.C. – VII d.C.). Dagli scavi di San

Lorenzo Maggiore ad oggi”, Napoli 9-30 ottobre 2015.

7

Per una storia sociale ed economica di Cuma fra la tarda repubblica e il primo impero G. Camodeca (Università degli Studi di Napoli L'Orientale)

L’autore in base alle fonti letterarie e soprattutto alla raccolta e alla revisione della

documentazione epigrafica latina, restituita da Cuma in quantità rilevante (a differenza di

quanto un tempo si riteneva), è in grado di delineare non solo le trasformazioni amministrative

della città, successive alla guerra sociale, ma anche le vicende dell’élite municipale e almeno in

parte dei ceti produttivi.

Inoltre tramite l’utilizzo di un aggiornato database prosopografico, frutto dell’ampia

documentazione raccolta, si può finalmente abbozzare un quadro più generale della variegata

composizione della società cumana tra tarda-repubblica ed età giulio-claudia.

8

La produzione di sigillata in area flegrea: stato delle ricerche G. Soricelli (Università degli Studi del Molise) Il rinvenimento di matrici, scarti di fornace e, più di recente, i risultati di analisi archeometriche

confermano la presenza nell'area del golfo di Napoli di un importante e dinamico distretto produttivo,

che, tra la metà del I sec. a.C. e la seconda metà del secolo successivo, ha prodotto vasellame a vernice

rossa in forme sia lisce che decorate a rilievo, largamente esportato nel bacino occidentale del

Mediterraneo e, sia pure in quantità sensibilmente minori, anche in quello orientale.

Napoli, Cuma, Pozzuoli sono i centri nei quali è possibile, al momento, localizzare officine che

hanno prodotto questo tipo di ceramica. In particolare, è verosimile credere che proprio a Napoli, ove

si produceva già da due secoli una ceramica a vernice nera largamente esportata nel Mediterraneo, negli

anni intorno alla metà del I sec. a.C. alcune delle officine che producevano questa ceramica abbiano

iniziato a produrre ceramica fine da mensa a vernice rossa, così come stava accadendo in quegli stessi

anni in altri centri di produzione della penisola. Questi primi prodotti presentano come caratteristica

più evidente la vernice di colore rosso / rosso-arancio, non "sinterizzata", poiché la cottura avveniva in

quegli stessi forni utilizzati per la ceramica a vernice nera. Si tratta, per l'area flegrea della cd. "Prod. A

della baia di Napoli" o “Campanian Orange ware” una produzione ceramica dalle caratteristiche

omogenee e, tutto sommato, di buona o discreta qualità. Il rinvenimento di due possibili scarti di

fornace e i risultati delle analisi chimiche suggeriscono che uno dei centri di produzione di questa

ceramica sia appunto da collocare a Napoli; è invece da scartare - o quanto meno non dimostrabile dalla

documentazione presentata dalla McKenzie Clark - l'ipotesi che le sue officine siano da collocare in area

vesuviana.

Qualche anno più tardi anche a Cuma e a Pozzuoli si inizia a produrre terra sigillata, adesso con

vernici "sinterizzate". La cronologia iniziale di questa produzione resta ancora da definire così come

ancora da definire è la relazione, anche cronologica, tra l'officina cumana e quella puteolana del

principale produttore, N. Naevius Hilarus. Nonostante il rapido affermarsi della sigillata flegrea con

vernici sinterizzate, le officine della cd. "Prod. A della baia di Napoli" continuarono a produrre e ad

esportare sulla lunga distanza il loro vasellame, utilizzando i medesimi circuiti distributivi che

permettevano la circolazione mediterranea della sigillata puteolana.

9

Scoppieto (TR). Struttura ed organizzazione degli impianti produttivi tra I a.C. e I d.C. M. Bergamini (già Università degli Studi di Perugia) A Scoppieto il I sec. a.C. e il I sec. d.C. corrispondono ai Periodi II e III di frequentazione del sito.

In tutto l’arco cronologico della frequentazione (III sec. a.C.- metà del V sec. d.C.), suddiviso in 6

periodi, con una cesura che interessa la seconda metà del III sec. d.C.(Periodo V), è stata riconosciuta

sul sito una produzione di ceramiche, più o meno intensa, che, ad eccezione del Periodo III (età

augustea- età traianea) in cui assume dimensioni assai ampie, risulta collegata ad lla destinazione d’uso

delle strutture.

Così, nel Periodo I (fine del III/inizi II sec.a.C.) , in cui si registra una frequentazione di tipo cultuale

motivata dalla presenza di un santuario del tipo etrusco-italico, l’attività produttiva è testimoniata dal

rinvenimento di matrici per teste votive di alta qualità (effige di Alessandro Magno), che le analisi

archeometriche hanno consentito di attribuire a produzione locale. Non sono riferibili a questo Periodo

strutture produttive, e non può essere esteso a questo periodo l’uso delle strutture attribuite al Periodo

II, poste in area retrostante il tempio, che la presenza di resti di colonne, probabilmente riferibili a un

colonnato in relazione col tempio, rende incompatibile con l’esistenza di un quartiere artigianale.

Nel Periodo II il sito è interessato dalla presenza di una azienda agraria e la realizzazione di ceramiche si

svolge al suo interno, rivolta ad una produzione su scala ridotta di anfore dei tipi greco-italico e Dressel

1 collegata all’attività vitivinicola, di gliraria, di opus doliare e di ceramica a pareti sottili, con forme diffuse

nel periodo compreso tra l’inizio del II e il terzo quarto del I sec. a.C.. Sono riferibili a queste attività

cinque fornaci, di cui due ubicate nell’area sacra del tempio e tre nell’area retrostante.

Nel I sec. d.C. (Periodo III- età augustea- età traianea) si sviluppa sul sito una manifattura dedita a un’

importante produzione di vasellame di terra sigillata, lucerne, ceramica a pareti sottili e ceramiche

comuni.

Essa risulta articolata in una organizzazione di vasai che all’interno del complesso avevano officine

indipendenti che producevano individualmente utilizzando strutture in comune. Due produttori aretini,

C. Titius Nepos e M. Perennius Crescens affidarono alla manifattura di Scoppieto parte della loro

produzione, testimoniata dalla presenza di matrici e punzoni.

Nell’arco cronologico del suo funzionamento la manifattura ceramica vide avvicendarsi nella

produzione di vasi di T.S. un numero assai elevato di artigiani, documentati da 95 diversi tipi di marchi

di fabbrica e fu in grado di svolgere tutte le operazioni del processo produttivo, che le strutture

conservate hanno consentito di riconoscere. Il modello organizzativo seguito fu certamente

rappresentato da quello delle fabbriche aretine che resta del tutto sconosciuto; essa pertanto assume un

rilievo particolare in quanto si ritiene che da Arezzo abbia recepito oltre all’organizzazione del lavoro le

tecnologie produttive più innovative.

Il complesso produttivo ricopre una superficie di 2300 metri quadrati ed è abbastanza articolato. Gli

spazi lavorativi sono divisi in due settori separati da una zona centrale aperta collegata verso nord ad

una “corte” più ampia (AA), facilmente accessibile a chi arrivava alla manifattura e che doveva

affacciarsi ad un percorso stradale e svolgere una funzione emporiale.

Sono riconoscibili vani di lavorazione (A, G, H, O), locali probabilmente destinati allo stoccaggio dei

vasi finiti e dell’argilla lavorata (F) e un ampio spazio che si ritiene fosse destinato all’essiccamento dei

vasi (P), le vasche di decantazione (M-N), la fornace (F1) con un vano antistante (I) funzionale alla

pulitura e all’alimentazione della camera di combustione.

10

La realizzazione del complesso risulta frutto di un progetto preliminare unitario in cui era stata prevista

anche la costruzione dell’impianto idraulico, che venne realizzato al di sotto dei piani pavimentali ed era

articolato in modo da raccogliere la maggior quantità possibile di acqua sia di sorgente che di

infiltrazione per convogliarla alle vasche di decantazione. Un pozzo di raccolta collegato al sistema di

canalette garantiva la continuità di approvvigionamento. Della presenza di una fornace sotto le vasche

di decantazione sono state rinvenute solo tracce, mentre della fornace principale non è possibile

individuare il tipo. Era certamente fuori terra, costruita su un basamento quadrangolare al quale si

sovrapponevano la camera di combustione e la camera di cottura, ma la rasatura effettuata in funzione

della destinazione abitativa che inizia in età adrianea ne ha conservato solo il basamento fino al piano di

combustione.

Le strutture del complesso produttivo sono riconoscibili grazie alla fortunata conservazione di gran

parte di esse, dovuta al deposito di un consistente strato di limo causato da un evento alluvionale

verificatosi in età traianea. Esso provocò il ricoprimento delle strutture e l’ostruzione delle

canalizzazioni dell’impianto idraulico costituendo il piano di posa dei piani pavimentali e delle strutture

murarie funzionali agli ambienti aventi destinazione abitativa costruiti nel Periodo IV.

11

Tecnologia e materie prime nella produzione ceramica

Alberto De Bonis (1), Chiara Germinario (2), Celestino Grifa (2), Vincenza Guarino (1), Alessio Langella

(2), Vincenzo Morra (1)

________________________________________________________________________________

(1)Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse (DiSTAR), Università degli Studi

di Napoli Federico II, Napoli

(2)Dipartimento di Scienze e Tecnologie, Università del Sannio, Benevento

Cuma rappresenta uno dei maggiori centri produttivi di ceramica della Baia di Napoli, con attestazioni

che vanno dall’età arcaica fino al periodo altomedioevale. Le analisi archeometriche, eseguite con

tecniche analitiche mineralogico-petrografiche presso il Dipartimento di Scienze della Terra,

dell’Ambiente e delle Risorse dell’Università degli Studi di Napoli Federico II in collaborazione con il

Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’Università del Sannio di Benevento, hanno fornito nuovi e

importanti dati di ceramiche ritrovate nell’area della Baia di Napoli (Cuma, Neapolis, Pompei, Stabia).

Questi dati hanno permesso, attraverso una sinergia tra la componente geologica e quella archeologica,

di definire le caratteristiche produttive delle produzioni locali e importate. Fra le potenzialità

dell’approccio geoarcheologico vi è, infatti, la possibilità di identificare i luoghi di produzione. Ciò può

essere ottenuto sia attraverso lo studio comparato della composizione mineralogico-petrografica e

chimica dei reperti con quella delle litologie affioranti nel luogo di produzione, ma anche confrontando

la composizione di materiali ceramici la cui origine è certa (scarti di fornace, resti di materie prime e altri

indicatori di produzione).

Un altro importante contributo fornito dalle Scienze della Terra per ottenere informazioni sulla

provenienza e sul processo produttivo delle ceramiche, è l’individuazione delle materie prime utilizzate

in passato. Attraverso un programma di ricognizione geologica sono stati identificati alcuni potenziali

siti di approvvigionamento di materie prime (argille e smagranti) della Campania (e.g., De Bonis et al.,

2013). I campioni raccolti sono stati analizzati e confrontati con reperti ceramici per individuare i

relativi luoghi di produzione e acquisire informazioni sui processi tecnologici produttivi. In particolare

si è visto che determinate produzioni ceramiche della Baia di Napoli sono state realizzate con materie

prime dalla composizione specifica, correlata all’utilizzo finale dei manufatti. Infatti, una delle

caratteristiche che condiziona maggiormente le proprietà tecnologiche dei manufatti è il carattere

calcareo o non calcareo delle materie prime argillose (cfr., Picon e Olcese, 1993; Maniatis e Tite, 1981).

Due argille di tipo differente raccolte nell’area della Baia di Napoli sono state selezionate per preparare

repliche ceramiche simulando il processo produttivo utilizzato in antichità (diverse temperature di

cottura e quantità di smagrante), al fine di verificarne il potenziale tecnologico attraverso prove fisico-

meccaniche (De Bonis et al., 2014). Una delle due materie prime è rappresentata dall’argilla calcarea

(CaO = 10-15%) d’origine marina dell’isola d’Ischia, ritenuta da vari autori, in base a evidenze

geologiche e fonti storico-archeologiche, un importante sito d’estrazione d’argilla della Baia di Napoli. I

provini sono stati realizzati miscelando proporzioni crescenti di smagrante vulcanico dei Campi Flegrei

per simulare le caratteristiche dei differenti impasti. L’altra materia prima è una piroclastite argillificata

non calcarea raccolta in penisola Sorrentina, ancora adesso utilizzata per la produzione tradizionale di

ceramica refrattaria e dalla composizione molto simile a quella delle argille utilizzate per le ceramiche da

cucina.

I risultati analitici hanno mostrato che le due argille presentano caratteristiche tecnologiche molto

diverse fra loro, che le rendono adatte alla produzione di materiali ceramici con destinazioni d’uso

specifiche. Argille calcaree, caratterizzate da un’elevata concentrazione di ossido di calcio, portano allo

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sviluppo in cottura di complesse reazioni mineralogiche e alla formazione di un corpo ceramico più

rigido e compatto, adatto, ad esempio, alla produzione di manufatti da mensa o per contenere acqua,

ma non adeguato per ceramiche da cucina che devono sopportare intense sollecitazioni termiche. Le

caratteristiche ottimali per la produzione di ceramica da cucina, invece, si ottengono tramite l’utilizzo di

una materia prima non calcarea, che permette di ottenere un corpo ceramico in grado di assorbire

meglio l’energia termica, evitando la rottura dei manufatti.

Per quanto riguarda la presenza di smagrante, è stato osservato sperimentalmente che favorisce la

dissipazione di energia termica e meccanica, migliorando la resistenza delle ceramiche da cucina e anche

quella di altri oggetti destinati a resistere agli urti come, ad esempio, le anfore da trasporto.

Studi archeometrici di reperti ceramici della Baia di Napoli, databili dall’età arcaica fino al medioevo,

hanno fornito informazioni sulle tecnologie produttive. Per molte ceramiche comuni, fini, da mensa e

da servizio è stato evidenziato l’utilizzo di un’argilla calcarea. Le analisi e le prove sperimentali di

cottura hanno indicato una buona compatibilità sia dal punto di vista composizionale che tecnologico

fra questi prodotti ceramici e l’argilla di Ischia, confermandone l’utilizzo come materia prima nell’area

della Baia di Napoli (De Bonis et al., 2013, 2014). Viceversa, le indagini su ceramiche da cucina della Baia

di Napoli, prodotte nello stesso intervallo cronologico, hanno mostrato un utilizzo di argille non

calcaree, la cui localizzazione è ancora oggetto di ricerche.

In conclusione, gli studi hanno evidenziato che nell’area della Baia di Napoli esisteva una tradizione

artigianale con un elevato livello tecnologico, caratterizzata da una continuità nell’uso di materie prime

ben selezionate (argille di natura calcarea e non, miscelate all’occorrenza con smagranti di natura

prevalentemente vulcanica), per la produzione di prodotti dalle caratteristiche differenti.

Un programma di analisi in corso sui materiali ritrovati in un potente scarico di fornace a Cuma, fornirà

nuovi dati che potrebbero confermare il ruolo fondamentale che la città aveva nel commercio e nella

produzione ceramica fra i vari centri della Baia di Napoli.

Riferimenti bibliografici

De Bonis A., Grifa C., Cultrone G., De Vita P., Langella A., Morra V. (2013). Raw materials for

archaeological pottery from the Campania Region of Italy: a petrophysical characterization.

Geoarchaeology, 28(5), 478-503.

De Bonis A., Cultrone G., Grifa C., Langella A., Morra V. (2014). Clays from the Bay of Naples

(Italy): New insight on ancient and traditional ceramics. Journal of the European Ceramic Society,

34(13), 3229-3244.

Maniatis Y., Tite, M.S. (1981). Technological examination of Neolithic–Bronze Age pottery

from central and southeast Europe and from the Near East. Journal of Archaeological Science, 8, 59–

76.

Picon M., Olcese G (1993). Per una classificazione in laboratorio delle ceramiche comuni. In:

Ceramica romana e archeometria: lo stato degli studi. Atti delle giornate di studio (Castello di

Montegufoni, Firenze). Quaderni del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, Sezione

archeologica – Università di Siena, 105-114.