diplomacia y autorrepresentaciÓn en la roma antigua
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84-8373-835-X VITORIA 2005 GASTEIZ Instituto de Ciencias de la Antigüedad/Antzinate Zientzien Institutua Facultad de Filología, Geografía e Historia/Filologia, Geografia eta Historia Fakultatea UNIVERSIDAD DEL PAÍS VASCO/EUSKAL HERRIKO UNIBERTSITATEA ARGITALPEN ZERBITZUA SERVICIO EDITORIALTRANSCRIPT
DIPLOMACIAY AUTORREPRESENTACIÓN
EN LA ROMA ANTIGUA
Instituto de Ciencias de la Antigüedad/Antzinate Zientzien InstitutuaFacultad de Filología, Geografía e Historia/Filologia, Geografia eta Historia FakultateaUNIVERSIDAD DEL PAÍS VASCO/EUSKAL HERRIKO UNIBERTSITATEA
VITORIA 2005 GASTEIZ
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CIP. Biblioteca Universitaria
Esta publicación ha sido subvencionada por:
Departamento de Educación, Universidades e Investigación del Gobierno Vasco
© Servicio Editorial de la Universidad del País Vasco Euskal Herriko Unibertsitateko Argitalpen Zerbitzua
ISBN: 84-8373-835-X
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Diplomacia y autorrepresentación en la Roma Antigua / Instituto de Ciencias de la
Antigüedad = Antzinate Zientzien Institutua, Facultad de Filología, Geografía e Historia =
Filologia, Geografia eta Historia Fakultatea, Universidad del País Vasco = Euskal Herriko
Unibertsitatea.—Vitoria-Gasteiz : Servicio Editorial. Universidad del País Vasco/Euskal
Herriko Unibertsitatea, 2005. — 104 p. ; 24 cm. — (Veleia. Anejos. Acta ; 6)
D.L.: BI-126-06 ISBN: 84-8373-835-X
I. Instituto de Ciencias de la Antigüedad (Vitoria-Gasteiz). 1. Roma - Relaciones
exteriores.
94(37)
ÍNDICE PRESENTACIÓN __________________________________________ 9
AMBASCIATE E AMBASCIATORI IN POLIBIO
por G. ZECCHINI _________________________________________ 11
EMBAJADAS Y EMBAJADORES ENTRE HISPANIA Y ROMA
EN LA OBRA DE TITO LIVIO
por E. TORREGARAY _______________________________________ 25
IL RUOLO DEGL’INTERVENTI DIPLOMATICI NELLA ROMANIZZAZIONE
DELLA GALLIA CISALPINA (III-II SECOLO A.C.)
por G. BANDELLI _________________________________________ 63
AMBASCERIE E AMBASCIATORI NELLA LEGATIO AD GAIUM
DI FILONE ALESSANDRINO
por L. TROIANI ___________________________________________ 77
RITUALES DE CONSENSO EN LAS PROVINCIAS OCCIDENTALES
DEL IMPERIO
por F. MARCO SIMÓN______________________________________ 89
PRESENTACIÓN
La amplia expansión territorial del imperio romano forzó un intenso
intercambio diplomático entre los pueblos conquistados y la metrópolis que
favoreció, a su vez, el desarrollo de labores de autorrepresentación, tanto
por parte de los romanos como por la de sus nuevos súbditos. Las fuentes
literarias, epigráficas e iconográficas proporcionan numerosos testimonios
de las ocasiones en las que las gentes de todas las provincias del imperio
romano acudían, bien a Roma, bien a los grandes centros provinciales de
poder buscando un contacto favorable con el conquistador. Las formas en
las que estos intercambios se desarrollaron y las consecuencias que tuvieron
para la representación, tanto de los romanos como de los diversos pueblos
conquistados, fueron el objeto de un seminario científico celebrado en
Vitoria el 2 de abril de 2003, en el que tomaron parte relevantes
especialistas tanto nacionales como internacionales y cuyos resultados
parciales son el objeto de estas actas. El éxito final de la iniciativa se debe,
además del buen hacer de los profesores del área de Historia Antigua del
Departamento de Estudios Clásicos de la Universidad del País Vasco/Euskal
Herriko Unibertsitatea, al apoyo institucional recibido, tanto por parte de
dicha Universidad, que contribuyó a su financiación como una actividad
programada en el marco del proyecto de investigación UPV 00106.130-H-
14822: “Las embajadas hispanas y la ciudad de Roma (III a.C.-I d.C.)”,
como del Gobierno Vasco, que se ha hecho cargo de los gastos de la
publicación de esta monografía.
Los editores
AMBASCIATE E AMBASCIATORI IN POLIBIO
Nel testo di Polibio a noi giunto sono contenuti riferimenti a 433
ambascerie1; la maggior parte proviene, come è ovvio, dagli Excerpta de
legationibus, 154 dei quali sono attinti allo storico di Megalopoli, ma non va
dimenticato che sono andati perduti gli Excerpta gentium ad Romanos dei
primi 17 libri e dunque nella originaria silloge bizantina il materiale
polibiano doveva essere ancor più rilevante: è notevole che l’autore più
rappresentato dopo Polibio in questa serie di Excerpta, Cassio Dione, pur
avendo scritto un’opera di ampiezza doppia (80 libri rispetto ai 40 di
Polibio) e pur godendo di grande prestigio nella cultura bizantina, sia stato
escerto ‘solo’ in 90 casi, presumibilmente la metà, se non di meno, rispetto
al Megalopolitano.
Ho cominciato enumerando questi aridi dati, perché una corretta
trattazione del tema proposto non può prescindere da alcuni presupposti ad
essi collegati: 1) lo stato di conservazione del testo polibiano genera
l’impressione che soprattutto dal XXI libro (anno 190/188) in poi le sue
Storie siano essenzialmente una storia diplomatica, costruita sulla
registrazione ripetitiva e quasi ossessiva di tutte le ambascerie, che ogni
anno confluivano a Roma, e di tutte le legazioni romane inviate in Oriente
in risposta ai quesiti sollevati; 2) quest’impressione è confortata in misura
rilevante dalle scelte operate dagli escertori costantiniani: essi disponevano
del Polibio completo e lo privilegiarono quale testo principale per comporre
1 E’ l’esito della schedatura sistematica di tutto Polibio da me eseguita; di conseguenza
né questo dato, né quelli successivi sono esenti da margini d’errore, non tali tuttavia da
modificare il quadro complessivo della presente indagine.
GIUSEPPE ZECCHINI Universidad Católica (Mil án)
GIUSEPPE ZECCHINI
12
un’antologia de legationibus, un’antologia, diremmo noi, di storia
diplomatica; 3) quindi, anche se noi abbiamo dal 15% al 30% dei libri XXI-
XXXIX di Polibio e se perciò l’impressione precedente va in qualche modo
corretta al ribasso e in ogni caso recepita con cautela, essa conserva una sua
sostanziale validità; 4) d’altra parte la situazione del mondo mediterraneo
dopo la guerra siriaca e la pace di Apamea e il confronto con Tito Livio, il
cui testo, come è noto, a differenza di quello polibiano è integro sino al 168,
portano a concludere che il crescente spazio accordato alla diplomazia non
corrisponde tanto a una scelta soggettiva di Polibio quanto a un’oggettiva
constatazione: che Roma era avvertita come la potenza egemone ed arbitra
di ogni conflitto o tensione regionale e che la sua supremazia militare le
permetteva di intervenire con il solo strumento della pressione diplomatica,
senza dover ricorrere all’uso delle armi.
Su questo sfondo, che è –insisto– non peculiarmente polibiano, ma, per
così dire, radicato in rebus ipsis, vanno collocate un paio di considerazioni
preliminari.
Dal punto di vista terminologico Polibio sembra distinguere in modo
semplice, ma netto l’ambasceria vera e propria, i cui esponenti (�!�1�0�"
�!01�0#2.�) hanno un certo margine di autonomia nel condurre trattative,
delle quali sono stati ufficialmente incaricati dal proprio governo, dal testo
scritto affidato a uno o più messaggeri, che devono solamente recapitarlo
(non si ricorre allora a un termine preciso, ma ad espressioni appartenenti
all’area semantica di ��µ�& e composti)2.
Dal punto di vista giuridico Polibio non sembra affatto interessato agli
aspetti del diritto internazionale riguardanti la diplomazia: egli si preoccupa
di darci spesso un puntiglioso elenco degli ambasciatori (di solito due per le
città o le monarchie greche, tre per Roma) e ci offre qualche sporadica
notazione cronologica sull’accoglienza delle legazioni straniere a Roma (di
regola gli ambasciatori venivano ricevuti in senato agli inizi di gennaio
prima che i consoli entrassero in carica e rispetto a questa norma Polibio
registra talvolta anticipi o ritardi)3. In un solo caso, quello delle legazioni
dei popoli celtiberici dei Belli, dei Titti e degli Arevaci nel 152/1514, egli
ricorda la prassi romana, secondo la quale gli inviati di popoli ritenuti amici
2 Sul linguaggio diplomatico antico (ma non specificatamente su Polibio) cfr. ora L.
Piccirilli, L’invenzione della diplomazia, Roma 2002 e L. R. Cresci - Fr. Gazzano - D. P.
Orsi, La retorica della diplomazia nella Grecia antica e a Bisanzio, Roma 2002. 3 P. e. a 32, 1 si precisa che nel 160/159 l’ambasciata di Ariarate di Cappadocia giunse
eccezionalmente a Roma �!ò 2 #� $0�µ&�� ". 4 35, 2-3.
AMBASCIATE E AMBASCIATORI IN POLIBIO
13
ed alleati (i Belli e i Titti) venivano ospitati intra pomerium e ricevuti subito
dal senato, gli inviati di popoli giudicati nemici (gli Arevaci) venivano fatti
aspettare extra pomerium, oltre Tevere, e ammessi in senato solo in un
secondo tempo. Il rifiuto, eccezionale e clamoroso, di accogliere un
ambasciatore indicava la profonda irritazione dei patres nei suoi confronti,
ma non implicava l’automatico stato di guerra col suo paese: ciò è evidente
nell’unico esempio a noi noto da Polibio, quello di Eumene II di Pergamo,
tradizionale alleato del popolo romano, ma sospettato di simpatie e
connivenze con Perseo all’indomani della III guerra macedonica
nell’inverno 167/1665. Sembra che fosse consuetudine per gli ambasciatori
essere introdotti in senato dal pretore urbano (in realtà dal magistrato che
presiedeva la seduta e che di norma era un console, come sappiamo da
Livio)6, il quale godeva di notevole discrezionalità nel sottoporre le loro
richieste ai senatori: nel 156/155 A. Postumio Albino si trovò in presenza di
ben tre risoluzioni (��&�µ.�) proposte dagli ambasciatori achei riguardo
all’annoso problema degli ostaggi da far rientrare in patria, ma decise di farne
votare dal senato solo due, scartando a priori quella che aveva più possibilità
di essere accolta a favore degli esuli e quindi di fatto pregiudicando l’esito
dell’ambasceria7. Gli ambasciatori erano garantiti nella loro inviolabilità non
solo a Roma e nel territorio controllato dai Romani: quando nel 189 gli inviati
degli Etoli furono sequestrati dagli Epiroti durante il viaggio di ritorno
dall’Urbe alla loro patria, il senato inviò una lettera, che ingiungeva
l’immediato rilascio dei diplomatici senza il pagamento di alcun riscatto, ed è
appena il caso di aggiungere che gli Epiroti obbedirono8.
Come si vede, il materiale fornito da Polibio è scarso: non a caso M.
Bonnefond-Coudry, occupandosi di recente di contrôle et traitement des
ambassadeurs étrangers sous la République romaine, si è servita quasi
esclusivamente di testi liviani, in particolare dai libri XLII-XLV9; è
naturalmente possibile che anche qui gli escertori bizantini abbiano
impoverito il testo polibiano del suo ‘contorno’ giuridico, ma resta il fatto
5 30, 18-19. Polibio, seguito da Livio (Per. 46), precisa però che un senatoconsulto
apposito, vietando a ogni re di entrare in Roma, evitò di far considerare Eumene, che non
era stato accolto entro il pomerio, come nemico. 6 Testi in Bonnefond-Coudry cit. alla nota 9. 7 33, 1. 8 21, 26. 9 M. Bonnefond-Coudry, Contrôle et traitement des ambassadeurs sous la République
romaine, in C. Moatti (a cura di), La mobilité negociée, Paris (in c.d.s.). Recente, ma più
generale D.J. Bedermann, Making Friends: Diplomats and Foreign Visitors in Ancient
Times, in International Law in Antiquity, Cambridge 2000, 88-136.
GIUSEPPE ZECCHINI
14
che allo stato attuale delle 433 ambascerie attestate da Polibio solo 4 sono
state utilizzabili sul piano del diritto diplomatico10.
La prospettiva ovviamente cambia, se ci poniamo invece sul piano della
politica internazionale: infatti, come vedremo, la quasi totalità delle
ambascerie menzionate da Polibio è parte integrante della sua narrazione-
ricostruzione dei rapporti internazionali tra grandi e medie potenze del
mondo ellenistico. Anche qui però cominciamo da qualche dato concreto:
ambascerie, che riguardano in qualche modo la confederazione achea (o
perché inviate dagli Achei o da essi ricevute o concernenti l’Acaia),
ricorrono in 62 occasioni, segue la Macedonia con 58 occorrenze, l’Egitto
con 48, Rodi con 44, la Siria con 37, Pergamo con 31 e l’Etolia con 30; a
più grande distanza segue un ulteriore gruppo costituito da Atene (12
occorrenze), Sparta (pure 12), il regno di Bitinia (11), il regno di
Cappadocia (9), il regno del Ponto (6).
Il primato acheo in uno storico acheo può sembrare ovvio, ma implica già
il prevalere di un punto di vista locale e autoreferenziale, che contrasta con
il conclamato universalismo delle Storie. Esso nasce comunque dalla
somma delle relazioni, a lungo privilegiate, con Roma, di quelle con la
Macedonia (soprattutto all’epoca dell’alleanza tra Arato il vecchio e
Antigono Dosone in funzione anticleomenica) e di quelle con l’Egitto;
proprio quest’ultimo caso è il più interessante, perché è il meno
giustificabile; voglio dire che i ripetuti scambi di ambascerie tra la
confederazione achea e la corte dei Lagidi rientravano nella routine
dell’attività diplomatica di due stati tradizionalmente alleati, ma non
sortirono mai effetti di rilievo: i tentativi achei di porsi come mediatori tra
l’Egitto e la Siria nelle ricorrenti crisi tra le due potenze del Vicino Oriente
e specialmente in occasione della VI guerra per la Celesiria (169/168) non
furono mai presi in seria considerazione dai Seleucidi11; un progetto di
intervento armato a fianco dei Lagidi sollecitato da un’ambasceria egizia nel
168 fu bloccato da una lettera di Q. Marcio Filippo12; addirittura era tale il
numero delle alleanze stipulate tra Achei e Lagidi con clausole diverse
secondo le circostanze che, quando si procedeva al rinnovo, non si aveva
ben chiaro a quale delle alleanze precedenti questo rinnovo si riferisse e ci si
poteva prestare alle imbarazzanti obiezioni sollevate dallo stratego acheo
Aristeno nel 186/185 davanti agli inviati achei reduci dall’Egitto (tra cui il
padre di Polibio stesso, Licorta) e agli ambasciatori tolemaici venuti con
10 Rispettivamente 21, 26; 30, 18-19; 33, 1 e 35, 2-3 (da cui App. Iber. 49). 11 Cfr. infra p. 14 con la nota 21. 12 29, 23-25: l’invio di aiuti militari fu sostituito da quello della solita, inutile legazione.
AMBASCIATE E AMBASCIATORI IN POLIBIO
15
loro in Grecia13. Ci si può quindi domandare perché mai Polibio si senta in
dovere di registrare missioni diplomatiche fini a se stesse e inconcludenti ed
è difficile sottrarsi all’impressione che ciò sia dovuto all’illusoria
prospettiva che le relazioni acheo-egizie contassero ancora qualcosa nello
scacchiere mediterraneo anche dopo la II guerra macedonica.
Lo spazio quasi analogo riservato all’attività diplomatica macedone si
concentra soprattutto sui tre principali eventi bellici, che coinvolsero gli
Antigonidi, la guerra cleomenica, la II e la III guerra macedonica. Da questa
sezione proviene il corpus di ambascerie a mio avviso più prezioso, che
Polibio ricava dalla consultazione della storiografia macedone coeva e dalla
possibilità di interrogare gli amici di Perseo esuli come lui a Roma dopo il
16814; in particolare l’evento epocale di Cinoscefale, che occupa il centro
del libro XVIII, è inserito in una fitta trama di trattative (l’incontro tra
Flaminino e Filippo V a Nicea), legazioni a Roma (di Flaminino, Filippo,
Attalo I di Pergamo, Etoli, Achei e Ateniesi prima della battaglia, di Filippo,
Flaminino e alleati dopo la battaglia), legazioni in Grecia (di Filippo a
Flaminino e dei Beoti a Filippo e a Flaminino dopo la battaglia), invio di
una commissione di dieci senatori in Grecia, che noi riusciamo a cogliere
nel suo intricato svolgersi solo grazie a Polibio15: non a caso già Livio lo
seguiva qui con grande fedeltà e attenzione, senza trovare nulla da
aggiungervi; ancora, i prodromi della III guerra macedonica, sia le trattative
segrete e fallite tra Perseo ed Eumene II, sia il complicato accordo raggiunto
tra Perseo e il re illirico Gentio grazie all’invio di ben tre ambascerie
macedoniche (la I dell’esule illirico Pleurato e di Adeo di Berea, la II di
Pleurato, Adeo e Glaucia, la III del generale Ippia), ci sono noti in modo
esauriente solo per merito di Polibio16: Livio, che pure segue Polibio e ce ne
restituisce la sostanza, è più impreciso e, per esempio, riguardo ai rapporti
con Gentio fa riferimento, forse per semplificare, a due sole ambascerie17.
In Grecia l’unica altra entità politica, che secondo Polibio condusse una
ricca attività diplomatica, è la confederazione etolica, grande avversaria di
Achei e Macedoni e quindi coprotagonista, sia pure in senso negativo,
dell’ultima fase indipendente della storia greca; qui sicuramente Polibio ha
13 22, 9. 14 Sulla documentazione orale e scritta di Polibio cfr. G. Zecchini, Polibio e la
tradizione orale, in A. Casanova - P. Desideri (a cura di), Evento, racconto, scrittura
nell’antichità classica, Firenze 2003, 123-141. 15 18, 1-10; 18, 34 e 18, 42-43. 16 Rispettivamente 29, 4-6 e 28, 8-9. 17 Liv. 43, 19-20 e 23.
GIUSEPPE ZECCHINI
16
potuto servirsi anche di fonti orali primarie (Pantaleone e/o Nicandro)18;
sotto il 211/210 egli riferisce però in forma apparentemente integrale il
lungo discorso dell’ambasciatore etolo Clenea a Sparta in coppia con quello,
altrettanto lungo, dell’ambasciatore acarnano Licisco, il primo filoromano e
antimacedone, il secondo di animo opposto: se si considerano le
dichiarazioni programmatiche di Polibio riguardo ai discorsi e alle modalità
della loro riproduzione in un contesto storiografico (il discorso riportato
deve corrispondere nel contenuto a quanto effettivamente detto)19 e la sua
conseguente renitenza a inserire discorsi, che fossero pure creazioni
retoriche, è possibile ipotizzare che lo storico di Megalopoli disponesse qui
del testo scritto di questi due discorsi, forse circolanti in forma autonoma, e
che lo riportasse integralmente per rappresentare in modo emblematico le
due opposte posizioni dell’opinione pubblica greca, costretta a scegliere se
schierarsi coi Macedoni o coi Romani, con gli antichi o i nuovi padroni.
All’elevato numero di ambascerie achee, macedoni ed etoliche si oppone
la scarsa presenza di legazioni ateniesi e spartane (12 a testa). In particolare
Atene interviene solo come mediatrice diplomatica (non ha la forza di usare
altri mezzi) nei conflitti altrui in virtù di un passato e di un prestigio, che
non sortiscono grandi risultati; l’esito più brillante è la riuscita mediazione
tra gli Scipioni e gli Etoli nel 190, che pervenne alla proclamazione di una
tregua di sei mesi20, il fallimento più evidente è l’iniziativa congiunta del
170/169, quando, per scongiurare l’ennesima guerra per la Celesiria tra
Lagidi e Seleucidi, Atene inviò ben tre ambascerie in Egitto, gli Achei due e
una ciascuna Mileto e Clazomene: l’insieme di queste sette legazioni, a cui
se ne aggiunse una tolemaica, cercò di far recedere Antioco IV dalle sue
bellicose intenzioni, senza peraltro ottenere nulla, mentre l’anno dopo bastò
la sola presenza del legato romano C. Popilio Lenate per ridurre il re a più
miti consigli e costringerlo a una precipitosa ritirata21. Per il resto noi
vediamo la diplomazia ateniese impegnata in operazioni di piccolo
cabotaggio a proposito dell’isola di Delo22. Quanto a Sparta, il suo raggio
d’azione è ancora più ristretto e si limita in sostanza dopo la sconfitta di
Sellasia e l’esilio di Cleomene III a questioni esclusivamente
peloponnesiache (i rapporti con gli Achei; la riammissione degli esuli in
18 Sulle quali rinvio di nuovo a Zecchini, Polibio e la tradizione…, cit. alla nota 14. 19 36, 1. 20 21, 4 (= Liv. 37, 6-7). 21 28, 19 e 29, 2 e 27. 22 32, 7 (sotto l’anno 159/158).
AMBASCIATE E AMBASCIATORI IN POLIBIO
17
concomitanza con l’ingresso della città nella lega achea nel 182)23. La
drammatica decadenza delle due più famose póleis greche durante il II
secolo non potrebbe essere sottolineata più efficacemente che da questa
attività diplomatica o velleitaria o su scala ormai solo locale.
Eccezionale sembra invece il ruolo diplomatico di Rodi. Naturalmente ci
sono ragioni oggettive che lo giustificano, la posizione al crocevia tra la
Grecia vera e propria e le monarchie del Vicino Oriente, l’attivismo
filoromano durante la guerra siriaca e invece l’ambiguità vera o presunta
durante la III guerra macedonica, tutti fattori che fecero di Rodi una piccola
potenza mai come allora inserita nel vivo della grande politica: basti pensare
che Polibio registra nei libri XXVII-XXX (172/168) 13 ambascerie tra
Roma, Perseo e appunto Rodi, a cui Livio permette di aggiungerne almeno
altre 324. Tuttavia Polibio enfatizza questo ruolo: in particolare sotto il 169
egli registra un’ambasceria rodia a Roma, menziona i componenti della
legazione, riferisce, sia pur brevemente, la risposta del senato e poi
aggiunge che una risposta analoga fu data agli ‘altri ambasciatori della
Grecia, che perseguivano la medesima politica’, mentre Livio, più
equilibratamente, dà un elenco di città (Atene, Mileto, Lampsaco, Alabanda,
Creta, Calcide), che ci permette di conoscere da dove provenivano questi
‘altri ambasciatori’25; inoltre Polibio ha cura di registrare anche gli scambi
di ambascerie tra Rodi e l’entroterra micrasiatico in occasione di contese
locali (con i Lici di Xanto nel 178/177, con Cibira nel 168/167, tra i Cauni e
Calinda nel 164/163)26 decisamente trascurabili nell’ambito di una storia
ecumenica. L’eccezionalità del ruolo diplomatico di Rodi è quindi del tutto
sproporzionata all’effettivo peso politico dell’isola e deriva, in ultima
analisi, dalla disponibilità di fonti rodie, scritte e forse anche orali27, dalle
quali Polibio trasse materiali certamente preziosi e abbondanti, ma senza
operare una selezione, che sarebbe stata in più di un caso forse opportuna.
L’eredità ellenistica di Alessandro Magno è rappresentata dalle tre
monarchie degli Attalidi, dei Seleucidi e dei Lagidi, di cui Polibio registra
l’intensa attività diplomatica: innanzitutto ci sono i contatti bilaterali tra
23 Mi riferisco alla doppia ambasceria di rappresentanti ufficiali di Sparta e di esuli
spartani a Roma nel 183/182 (23, 9) e nel 182/181 (23, 18 e 24, 1). 24 Liv. 42, 26 (legati rodii a Roma); 42, 14 (legati rodii a Roma); 45, 10 (due
ambasciatori romani a Rodi). 25 28, 2 da confrontarsi con Liv. 43, 6-7. 26 25, 4-5 (= Liv. 41, 6); 30, 9; 31, 5. 27 Cfr. Zecchini, Polibio e la tradizione…, cit. alla nota 14 e già H. U. Wiemer,
Rhodische Traditionen in der hellenistischen Historiographie, Frankfurt am Main 2001.
GIUSEPPE ZECCHINI
18
Pergamo e la Siria e tra quest’ultima e l’Egitto riguardo alla Celesiria, poi vi
sono i regolari contatti col mondo greco (di Pergamo e della Siria,
soprattutto di Antioco III, con la Macedonia, dell’Egitto con i tradizionali
alleati achei, come si è già osservato sopra) e con Roma; a quest’ultima si
rivolgono Eumene II tramite i suoi fratelli Attalo e Ateneo per ottenere aiuto
contro Prusia di Bitinia oppure per scagionarsi dalle accuse di vicini meno
importanti come Selge, i Galati ecc…, Demetrio I di Siria tramite una
legazione guidata da Menocare negli imbarazzanti frangenti dell’assassinio
di Cn. Ottavio a Laodicea (160/159), Tolemeo VI e il fratello minore
Tolemeo VIII prima nel 162/161, poi nel 154 per risolvere le loro contese
dinastiche28; il caso dell’Egitto è davvero peculiare, perché dopo Rafia
sembra aver rinunciato all’uso delle armi e aver adottato la diplomazia come
unico strumento di politica estera: soprattutto nei confronti dell’aggressività
di Antioco IV di Siria i Lagidi appaiono inerti e inermi e dunque terreno
privilegiato di una frenetica attività diplomatica greca, che ebbe il suo
epicentro, come si è visto, con le sette ambascerie del 170/169. Quel che più
conta, però, al di là dei singoli episodi, è la constatazione conclusiva che le
tre monarchie ellenistiche sono impegnate in contese del tutto avulse dal
contesto mediterraneo o, se si preferisce, greco-romano, nel senso che conflitti
come quelli tra Pergamo e la Bitinia o tra la Siria e l’Egitto per la Celesiria
appaiono conflitti locali, rigorosamente delimitati, ma restano inserite nella
rete complessiva delle relazioni internazionali, in quella che Polibio definisce
la 1#µ�� ��� 2&�� �0� �)2&�, solo e proprio grazie all’attività diplomatica, a
quel regolare e fitto scambio di ambascerie, che coinvolge gli stati greci e
Roma in tali contese e, appunto, le internazionalizza.
Una categoria a parte, più semplice da esaminare, è data dalle regioni ad
est di Pergamo, la Bitinia, il Ponto, la Cappadocia e la Galazia, che ricevono
un’attenzione e uno spazio diplomatico in apparenza minore, nonchè dati
quantitativi pari a quelli di Atene e di Sparta, tutti elementi che vanno però
interpretati in senso ben diverso. Infatti esse emergono alla luce della storia
solo a un certo punto della narrazione polibiana, a mano a mano che sono
coinvolti nella sfera dell’espansionismo e dell’influenza romana e più
precisamente la Bitinia dal 190, la Galazia dal 189, la Cappadocia dal 188, il
Ponto dal 18329, tutte e quattro in rapida sequenza in meno di un decennio:
qui le ambascerie rappresentano i primi contatti, di tipo diplomatico e quindi
(con l’eccezione della Galazia) pacifico, tra Roma e l’Asia oltre Pergamo, il
28 32, 16 e 31, 1 e 6 (Eumene II); 32, 2 (Demetrio I); 31, 20 e 33, 11 (i Tolemei). 29 Rispettivamente da 21, 11, 21, 37, 21, 40 e 23, 9. Isolata è una precedente menzione
di Prusia I di Bitinia a 4, 47 e 49.
AMBASCIATE E AMBASCIATORI IN POLIBIO
19
cui coinvolgimento nella ‘grande storia’ è l’immediata, visibile conseguenza
della vittoria romana contro la Siria e della pace di Apamea cosicchè una
dimenticata periferia si trasforma in frontiera caldissima, terreno di scontro
tra la nuova superpotenza e l’ellenismo declinante, che sfociò nelle guerre
mitridatiche. In questo caso la prontezza delle registrazione polibiana, la
capacità di ampliare il proprio orizzonte secondo le esigenze di una
situazione geopolitica in rapida evoluzione appare impeccabile e tanto più
consapevole in quanto egli enfatizza questa fase di svolta nel momento del
primo contatto con Prusia I, quando, appena prima dell’ambasceria di C.
Livio Salinatore, che concluse l’alleanza col re, inserisce il testo
dell’epistola inviata dagli Scipioni al medesimo sovrano, che contiene una
circostanziata esposizione della dottrina politica romana verso le monarchie
ellenistiche30.
Volgiamoci ora ad Occidente e al mondo barbarico; considererò l’area
illirica nei suoi rapporti con Roma (escludo i rapporti con la Macedonia, che
sono rapporti col mondo greco e di cui in ogni caso ho già trattato), l’area
celtica (esclusi i Galati per ragioni analoghe), l’area iberica, l’area punica e
infine l’area italica.
Ambascerie da e per Roma riguardanti l’area illirica sono registrate in
Polibio sin dalla �! �.2.1�0#�, per l’esattezza dal libro II, in occasione
della I guerra illirica del 23031; sembrano poi mancare contatti diplomatici
dalla II guerra illirica del 220 sino alla III guerra macedonica, durante la
quale sono invece accuratamente riportati i contatti diplomatici tra Gentio e
Perseo, e riaffiorano legazioni dalmatiche (di Issa e dei Daorsi) verso l’Urbe
e di C. Fannio e C. Marcio nell’area suddetta solo sotto gli anni 158/15632.
E’ dunque possibile, ma, dato lo stato del testo polibiano, non sicuro che
Polibio abbia omesso le ripetute ambascerie romane a Gentio
nell’imminenza della guerra con Perseo così come quella coeva di Istri,
Carni e Iapidi, tutte attestateci da Livio33: ciò rivelerebbe un interesse, per
così dire, sussultorio verso il settore illirico-dalmatico, visto più come zona
periferica della Macedonia che come una delle direttrici dell’espansionismo
romano.
Anche per quanto riguarda i Celti o meglio i Galli Cisalpini Polibio
ricorda le ambascerie di Insubri e Boi ai Gesati nel 231 e degli Insubri ai
30 21, 11 (= Liv. 37, 25-26). 31 2, 8 e 2, 11-12. 32 32, 9 e 14. 33 Liv. 43, 11; 44, 27, 11 e 30, 11; 44, 31, 9 (ambascerie romano-illiriche); 43, 4
(ambasceria di Carni, Istri e Iapidi).